The Argue

di Teodosia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Part I ***
Capitolo 2: *** Part II ***



Capitolo 1
*** Part I ***


1

You got yout mother

In a whirl

She’s not sure if you’re a boy or a girl

We like dancing and we look divine

Rebel Rebel-David Bowie

Origliare è davvero così piacevole? si chiedeva Ermes ascoltando gli strepiti di Lei e le grossolane giustificazioni di Lui. Una strana domanda per il protettore di ladri e truffe. Si allacciava le scarpe nell’atrio della loro camera da letto in stile vintage. Quando si ha troppo tempo, si fanno cose sciocche. Era adorava il vintage.
Wow, pensò Ermes, sentendo un piatto…no, qualcosa di più grosso: una lampada entrare in collisione col muro.
“Ehilà” disse una vocina tenera alle sue spalle.
“Ehilà” disse lui alzandosi. Ciao ciao piccola Iris.
Poi, il più acuto degli dei si fermò a pensare. Che ci fanno due divinità messaggere insieme nello stesso posto. Una scommessa. Che noia.
“Che ci fai…?”
“Mi ha chiamato Lui. Tu?”
“Mi ha chiamato Lei” Ermes sorrise alla piccola Iris e la baciò sulla guancia. Forse se ne sarebbero stati un po’ da soli.
“Credo tu possa piantarla, adesso”. La voce tonante di Zeus interruppe il loro piccolo momento romantico. Ermes sbuffò annoiato dalla banalità della situazione. Ecco come sarebbe andata a finire: Zeus se ne sarebbe andato tra i terresti, o così avrebbe minacciato. Al secondo, dico, secondo giorno di sua assenza, Era sarebbe scoppiata a piangere e avrebbe detto di non poter più vivere senza suo marito, che lo amava eccetera. Così sua sorella Demetra accompagnandosi ad Ermes lo avrebbe rintracciato e Zeus sarebbe tornato a casa. Lo stesso ciclo per le ere infinite del mondo. Il bel dio biondo sbuffò.

“Non mi sembra proprio il caso di parlarne ora” aveva risposto un’oretta prima Zeus, quando Era gli aveva chiesto il motivo della sua defiance. Era non ci pensò molto su, prima di alzarsi impettita.
“Non ti sembra il caso? Quando ti sembrerà il caso?”
“Di che vuoi parlare, allora?”
“Di che voglio parlare?” seguì un intraducibile suono gutturale che manifestava l’irritazione di Era. Zeus sapeva di essere perduto e che la sua aria strafottente non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione. Ma non poteva far altrimenti che rispondere con lo stesso tono annoiato. “Voglio parlare del fatto che tu non invecchi, Zeus. Tu NON INVECCHI. Quindi sai che vuol dire? Vuol dire che se non facciamo sesso è solo perché sei un gran bastardo!”
Zeus spesso rimaneva sbigottito dall’illogicità delle affermazioni della moglie. Si chiese per quale motivo non era rimasto in Costa Azzurra. Con la bionda Leia e con Psiche dalla pelle diafana. Perché?
“Andiamo Era, può capitare a tutti”
“Non può capitare a te! Sei dannatamente onnipotente! Per quale motivo non…” Era pareva zittita dall’impetuosità del suo malcontento.
Ok, prendila così. Possiamo far finta di essere giovani, ma non lo siamo. Io ti amo, piccola”.

Era si stropicciò il viso. Dette le spalle a Zeus per qualche secondo. Quando si voltò piangeva.
“Quando dici così, vuol dire che menti. Quando dici piccola”.
In quel momento Zeus si sentì in colpa per quel che stava facendo a sua moglie, gia di per sé una creatura fragile. E si ricordò del motivo per cui aveva scelto lei e non Demetra e perché l’amava.

Era ci faceva caso. Era ci teneva veramente.
“Allora, che aspetti?” riprese lei. Era pazza pazza pazza di rabbia “Vattene. VAT-TE-NE” scandì “Non c’è qualche Corinzia che ti aspetta? O qualche Europa? Qualche nuovo bastardo da portare quassù?”

La parola bastardo lo irritò. Zeus amava i suoi bastardi. Prese il suo telefonino.
“Iris? Piccola? Mi senti? Iris, ti va di fare un salto qui?” sorrise. Riattaccò. “Adesso chiama Ermes.”

Era aveva chiamato Ermes ed erano rimasti in silenzio per qualche minuto. Era aveva percepito l’arrivo di lui per prima.
“Cos’hai intenzione di fare?” chiese Era.
Silenzio.
“Faremo una scommessa” rispose.
“Una scommessa? Un’altra scommessa? Sono stufa delle tue…” gridava. Prese una lampada e la lanciò contro il muro.
“Credo che tu possa piantarla, adesso” fu la risposta di Zeus. Ansimante, Era si sentì ridicola. Guardò in basso.
“Faremo la tua scommessa”.
“Sceglierai tu le premesse. Se vincerò io, dovrai accettare che ti amo e che sei una pazza e un'isterica. Se vincerai tu non scenderò dall’Olimpo, mai più”.

Tiresia non aveva mai desiderato ardentemente essere una donna come in quel momento.
Mentre archiviava scartoffie, lottando contro nuvole e tornadi di polvere, Tiresia avrebbe voluto seppellire per sempre la sua identità maschile, e possibilmente quei dannati fascicoli che proprio non aveva voglia di catalogare.
La fase della rabbia gli era passata. Ora era solo un po' deluso. Ma niente che una buona partita di basket alla tv con un po' di popcorn avrebbe potuto sistemare.
Era solo una donna, come tante altre. Si rese conto che in realtà poteva superarlo facilmente. Era stato troppo azzardato, e ora la pagava. Ecco.
Ma, ma! Se fosse stato donna, non avrebbe di certo dovuto preoccuparsi di tutto questo! No! Avrebbe solo aspettato le mosse dei suoi corteggiatori, si sarebbe vestita i modo carino, e fine.
Già. Tiresia era un uomo all'antica. Ma neanche. Era solo un uomo ingenuo, ecco tutto.
E per di più, ecco, per di più l'avevano costretto a lavorare in archivio. Lui era un poliziotto, perdio. Si sarebbe accontentato pure di pattugliare una scuola elementare. Ma no. No. A Tiresia tocca l'archivio. E va bene.
Tiresia decise che aveva bisogno di una vacanza. Oh sì, sì. Ne aveva proprio bisogno. Non era vero, ma difficilmente Tiresia l'avrebbe mai ammesso.
Magari avrebbe chiesto al capo giusto due miseri giorni di ferie, così sarebbe potuto andare al lago... Adorava il campeggio sui laghi di montagna.
Abbandonando una pila di fascicoletti rosa sbiaditi, che sollevarono un'ingente quantità di polvere, Tiresia trotterellò contento fino all'ufficio del capo.

Annoiata, Era si girò sul fianco sinistro. Odiava spiare il mondo degli umani. Era così noioso. Con la mente sempre più lontana dal suo obbiettivo, ridacchiò contenta.
Poteva sentire Zeus in piedi, ritto come una colonna dietro di lei. E non riusciva a trattenere le risa.
"Allora, piccola. Hai trovato un umano che fa al caso nostro?"
"Non ancora. Sono così noiosi."
Zeus si stese di fianco a lei, e le prese il mento fra le mani. Aveva un mento ridicolmente piccolo.
"Sarai onesta, vero?"
Era lo fulminò con gli occhi. Zeus pensò che le veniva particolarmente bene.
"Certo".
Si liberò dalla presa di Zeus,e, infuriata, tornò a guardare nel mondo degli umani.

Iris ed Ermes guardavano mestamente i due. Ancora non avevano avuto ordini. Iris aspettava diligentemente. Ermes sarebbe voluto andare a giocare, ma lei non veniva.
Avrebbe voluto convincerla a prendere la gelatina alla fragola che teneva in tasca e poi le sarebbe saltato addosso.
Saltellò ridacchiando da un piede all'altro, ed Iris lo guardò incuriosita.
Zeus ed Era non volevano essere disturbati da nessuno e per nessun motivo. Tuttavia, per quel che vedeva, non stavano facendo niente di particolare.
Fuori Iris sentiva Afrodite che rideva. La sua risata era inconfondibile. Sembrava fatta da mille mila conchiglie che si infrangevano al suolo.
Gli altri dei probabilmente erano riuniti per l'ennesimo banchetto.
Ermes, attraversato dagli stessi pensieri, pensò che avrebbe voluto anche lui essere lì, per giocare con l'ambrosia, che era così divertente, e poi mangiarsela, che era così buona.
Si accorse che aveva voltato la testa in direzione del suono delle voci, e si accorse che pure Iris era attirata da quel vociare e ridere così festante.
Ermes la prese per la mano e decise che ce l'avrebbe portata, con la forza o meno.
Ma qualcosa lo bloccò.
Zeus era scattato in piedi, il volto soddisfatto. Guardava la moglie.
"Quindi, piccola, quell'umano va bene?"
Un lampo di sfida negli occhi, e poi la risposta "Certo".
"Non imbroglieremo, vero?"
Era cercò di trattenere un gesto stizzito "No di certo".
"Perfetto. Ermes!"
Ermes corse da Zeus, che gli diede le istruzioni.
Non appena il dio alato uscì dalla stanza, Era scoppiò in un allegro, isterico, nervoso attacco di risa.

Tiresia ancora si chiedeva come fosse riuscito a convincere il capo a concedergli quella settimana di ferie. Forse alla Centrale c’era poco lavoro o,più probabilmente,lui non era poi così fondamentale. Poco male,si era detto. Era stata una di quelle occasioni in cui aveva potuto gettare l’orgoglio alle ortiche e accettare con allegria quella fortuna che il cielo gli aveva concesso: una settimana in compagnia solo di sé stesso,pesci lacustri e una ciotola di fagioli,alle prese con pesca,caccia e notti passate all’addiaccio. Aveva portato con sé anche una discreta scorta di Jack Daniel’s,tanto per ammazzare il tempo. Una settimana ricca di attività virili e selvagge,che non avrebbe mai potuto praticare se fosse stato ancora insieme a lei. Lei che amava Bryan Adams e Titanic e che arricciava il naso ogni volta che Tiresia le proponeva di guardare i Lakers con lui. Andasse in malora.

Era arrivato al lago poco prima dell’ora di cena,e aveva montato subito la tenda monoposto che aveva comprato la mattina al 7eleven. Quella sarebbe stata la sua nuova casa per una settimana e provò subito un moto di affetto per quel pezzo di plastica.

Quella sera non avrebbe pescato. Il cibo che aveva portato da casa era ancora mangiabile,sebbene emanasse un leggero odore di rancido. Aveva farcito dei panini con tutto quello che aveva trovato in casa,con la certezza che sarebbe stato meglio mangiare qualcosa di iper-calorico in grado di mantenerlo in forze per più di una giornata. Ora,però, sperava vivamente che quella roba non sortisse l’effetto contrario e che non lo stecchisse all’istante. La serata,aveva programmato, l’avrebbe trascorsa suonando l’armonica a bocca. Strumento che non aveva mai suonato prima ma che era convinto facesse molto “campeggio”. L’aveva trovata da un rigattiere proprio quel giorno,mentre cercava degli ami per la sua canna da pesca. Per più di un’ora,però,non riuscì a far uscire dal piccolo strumento di latta altro che qualche suono strozzato. Dovette lavorare molto di fantasia per affermare,compiaciuto con sé stesso,che era riuscito a riprodurre perfettamente il ritornello di Knockin’ On Heaven’s Doors. La versione di Bob Dylan,naturalmente. Mentalmente, però, maledisse la sua malsana idea di non portare nemmeno un lettore MP3 con sé.

Stanco,senza fiato,e con i timpani leggermente doloranti,si infilò nel sacco a pelo appena alle nove di sera.

“Mi chiedo dove trovino tutta questa voglia di giocare,alla loro età”.

Ermes sussurrava le parole nell’orecchio di Iris nonostante sapesse benissimo che,essendo in forma divina,quell’umano non avrebbe mai potuto sentirli anche se gli avessero urlato direttamente nelle orecchie. Erano entrambi appollaiati su un ramo di un alto faggio,osservando l’uomo che strimpellava con un dannato strumento musicale a fiato. Ermes si disse che sarebbe stato comodo se,come l’uomo non poteva né vedere né sentire loro,anche loro avessero potuto evitare quello strazio. Quella missione l’annoiava. Di solito preferiva occupare il tempo con altre attività. Di tanto in tanto,schioccava un rapido bacio sulla nuca di Iris,che imperterrita continuava ad ignorarlo. Lei scrutava in silenzio ogni minimo movimento di Tiresia,adagiata sul petto di Ermes,che la cingeva dalle spalle con entrambe le braccia e le gambe. Al contrario di lui,era una che ci teneva a fare bella figura con i “superiori”.

“Credo sia un modo come un altro per dare pepe alla loro relazione. Il loro è un amore eterno,immagino sia dura…”

Ermes schioccò sonoramente la lingua sul palato. “Ci sono tanti modi per tenere viva una relazione. Modi che recano meno disturbi al prossimo,peraltro!” Il dio ammiccò ad Iris,che subito lo bloccò posandogli un dito sulle labbra.

“Silenzio,sta entrando in tenda.”

Il buio era quasi totale. L’unica fonte di luce erano la luna e le stelle,ma il loro chiarore filtrava a fatica attraverso le cuciture della tenda. Il suolo era duro e freddo,ma ciò era attutito dalla stoffa soffice del sacco a pelo. Tiresia non tardò molto ad addormentarsi,salvo svegliarsi dopo un’oretta,disturbato dall’insistente ronzio di due zanzare. Aveva con sé una scorta infinita di spray anti-insetto,ma quelle due bestiole erano refrattarie a morire. Insonnolito,spazientito ed esasperato,Tiresia afferrò un‘arma improvvisata -una rivista sulle automobili che aveva sfogliato prima di addormentarsi- e colpì l’aria. Dopo qualche tentativo,sentì il ronzio attenuarsi e dopo bloccarsi definitivamente e bruscamente. Giustizia era stata fatta. Poteva tornare a dormire.

Un momento prima di assopirsi, Iris aveva ricordato ad Ermes che il loro compito era finito e che dovevano tornarsene a casa. Non essendo una vera e propria divinità, Iris aveva ancora il lusso di riuscire a dormire. Cosa che Ermes le aveva sempre invidiato. Le scostò i capelli e si disse che l'amava. Poi ricordò a sé stesso per quale motivo non se n'erano andati. I mortali erano talmente noiosi, si disse. Era avrebbe fatto una scenata se non fosse rimasto lì ad aspettare il risultato del loro maleficio. Era era decisamente irritabile, dal momento che Ermes non era figlio suo. Era era una donna noiosa.
D’altra parte si disse che quella vicenda avrebbe potuto avere anche un lato grottesco. Rimanere a guardare non era poi un tale sacrificio.

Tiresia non aveva considerato la forza della luce del sole in maggio. La plastica bianca della sua tenda ne risultò del tutto illuminata, sin dalle sei del mattino. Tiresia ci provò con tutto se stesso a riaddormentarsi. Ma fu inutile. Allora si disse che pescare al mattino sarebbe stata un'idea grandiosa. La solitudine nella solitudine.
Si mise a sedere e si stiracchiò, sbadigliando. Ebbe la strana, straordinaria impressione che i vestiti gli stessero grandi. La sua giacca a scacchi rossa e verde e i suoi boxer. Inoltre lo meravigliò il tono acuto della sua voce nello sbadigliare. Il freddo poteva fare brutti scherzi. Sperò di non essersi preso un malanno.
Decise di non voler essere un barbuto grigio sinistro vecchio pescatore, e quindi di radersi.
Nell'allungarsi a prendere lo specchietto, la schiuma e il rasoio, sentì una strana forza che lo spingeva verso il basso, circa all'altezza del petto.
Mi sono preso una polmonite? Alla prima notte?
Si stropicciò gli occhi. Forse stava diventando un po' ipocondriaco, come sua madre. Tiresia si accorse di non averla avvertita della sua gita. L'avrebbe chiamata più tardi.
Quando iniziò a spalmarsi con la sua puzzolente schiuma da barba, si accorse che...che il suo mento sembrava...rimpicciolito, ecco.
Tiresia Twist era ufficialmente spaventato. O ipocondiarco. Era ipocondriaco e spaventato.
Fu un attimo, da quando afferrò lo specchio.
Non riuscì neanche a gridare. Al posto dei suoi occhi un po' incavati e spioventi verso il basso, ne aveva altri, dello stesso verde-azzurro ma dolci e sorridenti. I suoi zigomi marcati erano diventati alte gote rosee. La bocca, di per sé piccola e aggraziata, si era trasformata in un piccolo fiore. Gli si erano allungati i capelli, persino. Non di molto. E aveva identificato quel peso al petto. Si disse che quella poteva essere sua sorella. Una gemella, perdio. Che quella non poteva essere lui.

Perchè diamine guardandosi nello specchio, stava fissando una bella ragazza con la schiuma da barba?
Era un errore. Probabilmente stava ancora sognando. Si tolse la camicia e mise su una canottiera e dei bermuda. I bermuda erano tanto larghi da poter fasciare due volte i suoi fianchi. Strinse la cintura. Non poteva essere vero.
Tiresia non era ipocondriaco, era solo terrorizzato.
Prese la sua canna da pesca,una bottiglia di Daniel’s dalla scorta, e andò verso il lago.
Per quanto una parte di lui fosse convinta si trattasse di uno scherzo della sua mente, l'altra continuava a sentire quel peso sul davanti e i bermuda calare.
Piazzò la sedia al margine del lago. Si stupì di provare orrore alla sola idea di toccare quelle esche.
"Vuole una mano?" disse un ultraquarantenne con la pancetta, sorridendo. Tiresia non sapeva che fare, come rispondere. Sorrise, allungando l'esca e l'amo al vecchio pescatore.
"Sa, è strano vedere una signorina da queste parti"
Tiresia balbettò qualcosa a proposito di suo padre. Disse che lui l'aveva abituata a pescare sin da bambina. Il vecchio pescatore Jones. La squadrò. Tiresia capì che la trovava attraente, ma che i suoi abiti erano pittoreschi. La parte più spaventata di Tiresia pareva aver accettato questa cosa, tanto che si stupì della sua capacità di adattamento. La metà più razionale, restava ancora sulla difensiva.
"Grazie mille" disse. Poi si alzò, portandosi via la canna da pesca e tutto il materiale, e se ne andò ancor prima d'aver gettato l'amo.

Tiresia sospirò sollevato la mattina del settimo giorno. Quel campeggio era stato una tortura.
Attento a non scheggiarsi le unghie, cominciò a riporre tutto in valigia. Non vedeva l'ora di mettersi qualcosa di comodo ed appropriato addosso.
Tiresia, dopo quel campeggio, era diventato un'altra persona. Non si rendeva più conto che quelle camicie a quadri di flanella grossa, i pantaloni larghi con mille tasche adatti alla pesca, le canottiere bianche e perennemente sporche... Quelli erano gli abiti adatti. Quegli erano gli abiti che avrebbero dovuto stargli comodi.
Tiresia ormai non pensava più a questo. Pensava ridacchiando alla serata precedente. Era una bella ragazza dal grosso seno, aveva tutto il mondo davanti!
Grazie a due o tre bottoni della camicia slacciati, riuscì a trovare un buon'uomo che la aiutò a smontare la tenda.
Rifiutò gentilmente la sua proposta di aiutarla a portare i bagagli alla Jeep, e si avviò trotterellando alla macchina, tenda e valigia sotto le braccia.
Prima di mettere in moto, lanciò un'occhiata alla tenda del vecchio pescatore. Dormiva ancora.
Pensò di essere davvero una donna caritatevole. Nessuno avrebbe mai fatto la carità a quell'uomo. E nessuna lo avrebbe fatto urlare in quel modo, tra l'altro.
Con un sorriso compiaciuto, girò la chiave nel cruscotto.

Sentimenti contrastanti, frutto di una sensibilità tutta nuova annebbiavano la mente di Tiresia. Sua madre l'avrebbe capito? La risposta era banale. Si. Perchè l'amore di una mamma per il suo bambino supera certi ostacoli superficiali. Perdio, certo che avrebbe capito, si disse, mettendosi a posto i capelli. Così parcheggiò nel suo quartierino tranquillo e di poco valore. Così si avvicinò tranquilla alla porticina blu. Così suonò il campanello.

"Ma..mamma?"
"Chi è?" gracchiò il citofono.
"Mamma?"
"Apetti, aspetti, scusi, chi è?"
"Ma' sono io, Tiresia".
"Maria, Tiresia non c'è. Se n'è andato in vacanza dopo che l'hai mollato".
"Ma' non sono Maria. Sono Tiresia"
"Maria, è davvero uno scherzo di pessimo gusto"
Dopo tutto anche la beffa. La sua voce somigliava a quella di Maria? Dimenticando i dettagli, Tiresia scoppiò a piangere.
Decise di prendere una strada conosciuta e farsela a dritto finché non sarebbe arrivata da qualche parte che non fosse lì. Qualunque posto sarebbe stato meglio di lì.
Con un piacevole nuovo carico di cinismo, con quella strana consapevolezza, si addentrò nei più oscuri vicoli della sua città. E così passò la notte. Al termine della quale decise di accostare, in quella via dei bassifondi e fumarsi una sigaretta sorseggiando liquore. Aveva ancora il suo Jack Daniel's.
"Bevi come una spugna, ragazza!" le aveva detto quel barbone. Scopriva di non poter reggere l’alcol tanto quanto una settimana prima.
Era abbastanza ubriaca e depressa da prendere la decisione sbagliata, quando quel tizio fermò la macchina accanto a lei e abbassò il finestrino.
Che strana vita.

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Capitolo 2
*** Part II ***


2

Femme fatales emerged from shadows

To watch this creature fair

Boys stood upon their chairs

To make their point of view

I smiled sadly for a love I could not obey

Lady Stardust sang his songs

Of darkness and dismay

Lady Stardust-David Bowie




Non è facile definire se quella scelta fosse stata davvero sbagliata. Resta il fatto che per gli assurdi, stancanti, noiosi, eccitanti sette anni a venire, quello fu il suo mestiere. A volte Tiresia ripensava ai giorni in cui era stata un uomo, un uomo onesto. Era così buffo e assurdo. Lei lo sapeva. Ogni cosa che credeva fosse accaduta, semplicemente non era...possibile. Tiresia lo sapeva, di essere solo una povera puttana pazza.
Una volta il signor Pierre Wolsey le aveva detto ch'era troppo bella per fare la puttana. Lei aveva riso forte col suo uccello stretto tra le cosce.
D'altra parte, arresasi all'evidenza di non avere un passato, si chiedeva come avesse potuto inventarsene uno tanto assurdo. Il cervello umano doveva essere uno strano marchingegno davvero. Con una sigaretta in bocca, sdraiata accanto a Claude il Bello, si chiedeva per quale motivo fossero ancora tatuati nella sua mente i visi di quelle due donne, Maria, alla quale associava sensazioni orrende, e poi sua madre. E a volte pensava al pescatore, e a quelle zanzare. E poi si assopiva.
"Ah! Questa è la vita più assurda che abbia mai vissuto"
Però la stupiva che sette anni avessero segnato così poco il suo aspetto. Sette anni di una vita tanto dissoluta. Alla fine non le era dispiaciuto. Anche se non sapeva cosa c'era stato veramente prima, il dopo le era piaciuto. Si era anche chiesta perchè non avesse avuto una vita normale. Una casa col tetto azzurro, un cane e un bambino di nome Thomas. Un marito coi baffi e una monovolume. Dio, che palle.
Pensava giusto a questo, a tutto questo, mentre accanto a lei Edward Talis, un uomo snello e piacevole, dormiva. Aveva pagato perchè dormissero insieme, oltre al resto. Spense la luce, tirando la cordicella che pendeva dall'abat-jour. Le sembrò di sentire qualcuno ridere. Ah, incubi del dormiveglia. Un ronzio. Con un colpo spiaccicò quella cosa inutile sulla sua pancia nuda e si addormentò.

“Questa situazione ha un ché di molto voyeur,non trovi?”

“Dipende da quanto piacere provi osservando il nostro amico - pardon - la nostra amica lavorare”.

Invisibili all’occhio umano,due ricciolute divinità bionde ridacchiavano al buio,appoggiate alla parete di una pacchiana camera da letto,tappezzata di falsi Manet. Un gatto nero si stiracchiava sornione ai piedi della piccola e nuda Olympia che,insieme ad Ermes e Iris,placida aveva seguito con il suo sguardo immobile quel che nelle ultime ore era accaduto sul letto davanti a lei.

“Molto poco,invero“. Ermes osservò maliziosamente Iris,lasciando intendere senza molti giri di sguardi quel che voleva. Ma era uno dei momenti in cui Iris diventava noiosa. Ermes sapeva che avrebbe solo dovuto avere pazienza. Finito il lavoro le avrebbe offerto qualcosa, lei avrebbe accettato e si sarebbero rilassati un po’. Meglio finire in fretta,dunque. Schioccò un bacio sulla guancia di Iris e assunse di nuovo quello sciocco aspetto che aveva preso sette anni prima e subito dopo Iris lo imitò. Non potevano comunicare tra loro quando assumevano quell’aspetto,e anche ogni risata di lui diventava un fastidioso ronzio. Non dovette attendere per molto la reazione della donna stesa sul letto. Dopo qualche minuto,si ritrovò schiacciato sull’addome piatto di Tiresia. Perlomeno doveva aver fatto molto esercizio,in quegli ultimi sette anni.

Tiresia fu svegliata dal sonoro russare di Talis,accanto a lui. Aveva digrignato i denti nel sonno,e quel rumore colpì i suoi timpani come un martello pneumatico. Si alzò di scatto e si rese conto che doveva andare in bagno. Una nuova pesantezza nei movimenti la colse impreparata,e rischiò più volte di inciampare nel tragitto che la conduceva in bagno. Attribuì la colpa al troppo spumante da quattro soldi che aveva bevuto la sera prima. Passò davanti lo specchio senza degnare la sua immagine riflessa di uno sguardo. La mattina dopo aveva sempre un aspetto terribile,con tutto l’eye-liner colato. Si slacciò la veste da camera di raso,con cui aveva dormito,e si sedette sulla tavoletta del cesso. Dopodichè strillò con tutta sé stessa.

“Oh,dio santissimo!”

Si rivestì alla bene e meglio con gli indumenti di Edward Talis,disseminati qua e là nella stanza dell’alberghetto. Gli andavano un po’ stretti.

Scese la tromba delle scale rischiando nuovamente di inciampare, impacciato nei movimenti com’era, e si ritrovò nella hall dell’albergo. Si guardò attorno spaesato. Strano,si disse,la sera prima l’hotel gli era sembrato molto più dozzinale. Sicuramente,non aveva notato le poltrone di pelle,i tappeti e gli arazzi sulle pareti.

Lei tamburellava con le unghie su un tavolinetto in castagno, e muoveva la gamba destra come in una convulsione. Indossava un maglioncino di cotone verde, un foulard e occhiali da sole. Non le giovava la luce che le cose emettevano lassù.

Lui se ne stava seduto in disparte, leggendo una rivista. Era paradossale che lo facesse. Ma era uno strano tipo. Sottecchi la osservava. Si chiedeva come potesse essere tanto irritante e adorabile allo stesso tempo.

"Vado a fare un goccio".Lei alzò un sopracciglio

"Tu non fai pipì".

"Si, se mi va. Io sono onnipotente"

Lei rise.

"Non uscirai da questa stanza"

"Devo ripetertelo? Sai che odio ripetere. ON-NI-PO-TEN-TE"

"D'accordo, amore. D'accordo tesoro. Non sarà intelligente, ma chiunque sospetterebbe del tizio meno onesto al mondo. Inoltre, non mi pare proprio un caso che tu abbia voglia di fare un goccio giusto quando lui è arrivato." Zeus sorrise. Si aspettava di essere beccato.

"Potrei sentirmi offeso, tesoro. Chi è che amministra la giustizia su questa florida Terra?"

"Appunto" rispose Era. I due incrociarono gli occhi e sorrisero un poco. "Sai, lui è con Ermes. Per quanto sia un dannato bastardo, mi piace Ermes e mi fido di lui". Era sospirò e si lasciò cadere su un divanetto "Lo sai, già ti vedo, una divinità domestica. Solennemente devoto al tuo focolare. Ti concederò di scendere a farti un giro ogni tanto, ma solo accompagnato da me o da Atena. Ah, sarà una goduria".

Un brivido scese lungo la schiena di Zeus. Dove diavolo era finito Ares?

"Ben-ve-nu-to" Sillabò una voce serena e al contempo annoiata. Quando si voltò Tiresia vide uno strano tipo, abbracciato ad una ragazza bionda. Si meravigliò della loro straordinaria bellezza. La sua mente investigativa di uomo pareva essere tornata all'azione. Era un'oscura fosca vicenda, in cui aveva perso sette fottuti anni. Così non era una puttana pazza. E di certo non si aspettava di ritrovarsi in un posto sconosciuto e di venir salutato da un uomo con la faccia da schiaffi, tutto intento a pomiciare con un'adolescente bionda. Magari l'avrebbe potuto arrestare. Ma di tutto questo gli uscì di bocca solo un ciancicato

"Dove..?"

L'uomo rise.

"Poveretto" disse "la transizione ti ha conciato proprio male".

Tiresia si stropicciò gli occhi. Si sedette su una sedia di pelle.

"Cosa sarebbe una transizione?"

L'uomo sospirò, avvicinandosi a lui. La ragazza gli si sedette accanto, muta.

"Te lo dirò bruscamente, siccome probabilmente quando uscirai di qui non ricorderai più nulla" Pausa. "Hai presente tutte le ipotesi di voi mortali sul divino? Qui avrai le risposte. Voglio dire, noi siamo la risposta. Non la risposta a tutto, non sappiamo da dove veniamo o perchè viviamo o cose simili. Siamo solo creature sovrannaturali, esistenti da sempre e regoliamo le norme del vostro mondo".

Tiresia non aveva una faccia sconvolta. Sorrise, accartocciando il bel visino.

"Ok. Diciamo che io prenda questa faccenda per vera." Ermes si disse che non aveva mai sentito nessuno prendere la cosa in modo simile. Com'è che non scoppiava a ridere? Che non gridava? La transizione doveva averlo stancato.

"Siccome dovrei dimenticare tutto, potresti dirmi qualsiasi stronzata, quindi non vale la pena stare a discuterne. D'altra parte se tutto quel che mi hai detto è vero, che ci faccio qui? Se dovrò dimenticare tutto, allora non sarò neanche una specie di messia. A cosa potrei servire a delle creature onnipotenti?" Sorrise. Ermes pensò che era un uomo acuto. Porsi troppe domande sarebbe stato una perdita di energie e di tempo. Razionalmente era il modo migliore di prendere la cosa.

"Lo so che non è facile da credere, amico" ,riprese Ermes con un certo trasporto. Gli porse un succo di ananas."Ma essere immortali è una vera noia. Per questo motivo accade sovente che alcune divinità facciano scommesse".

"Scommesse? Io sarei parte di una scommessa?"

"Accade che loro si stanchino, litighino o si annoino. E allora spesso fanno cose strane a voi umani per vedere che succede".

"Il cambio di sesso, immagino. Parli di loro. Non sei uno di loro?"

"Si e no. Io non faccio scommesse".

"E lei?" Tiresia indicò Iris "E' diversa".

"Si lo è. Ma è molto timida e non aspettarti che ti risponda". Ermes sorrise. Pausa.

"La transizione".

"Non è così importante, Tiresia. Vuoi saperlo?" fece cenno di si col capo. Ermes sbuffò. "Sulla vostra terra noi siamo percepiti come onde radio. Non siamo niente. Per questo possiamo stare in mezzo a voi, seguirvi, scegliervi, innamorarci di voi senza essere visti. Possiamo prendere qualsiasi forma vogliamo, però. Quando invece tocca a uno di voi, come te per esempio, venire a farci visita, ascendere, subisce un processo che chiamo transizione. La tua materia è diventata il più simile possibile alla nostra. Per questo ti senti fiacco e ti duole il capo. Il succo ti farà stare meglio"

Era sorseggiava del vino, con gli occhiali sul naso, e leggeva un quotidiano di Tokio. Zeus si stava annoiando ancora più del solito e sonnecchiava.

"Cosa stai aspettando, tesoro?" disse lei

"Non sto aspettando proprio niente".

"Ti gratti la fronte quando aspetti qualcosa. Cosa stai aspettando, tesoro?"

"Perchè questa mia donna deve sempre pensar male?" Zeus l'abbracciò. Piantala, dicevano gli occhi di lei.

"Pa'? Pa' ho bisogno di te". Una voce cavernosa risuonò subito fuori dalla stanza.

"Oh che strano. C'è qualcuno qui per te. E dalla sua grazia straordinaria, direi che si tratti di Ares. Che tesoro il figlioletto di sua madre".

"Ti giuro, tesoro mio, che non ne sapevo niente. Lo giuro"

"Sbrigati, pa'… " Ares bussava con veemenza.

"Farò in un attimo, si. In un attimo solo"

Era sospirò. Quel maledetto bastardo.

Zeus accostò la porta, ma fece in modo d'essersi allontanato di molto per aprir bocca.

"Oh grazie a dio, Ares. Pensavo non saresti arrivato".

"Che cosa orrenda, mi hai fatto fare. Povera mamma".

"Sai bello mio, chiunque altro sarebbe stato più sospetto di te. A pensarci bene sei l'unico che non la odia o che lei non odia. Ah, che graziosa famiglia".

"M'importa solo che tu mi dia quel che mi hai promesso, vecchio"

"Bello mio, dovresti davvero moderarti. uhm, sei proprio un figlio scortese. Senza contare la tua relazione con la moglie di tuo fratello. Ah, ti ho mai detto quanto sono fiero di te?"

"Piantala Pa'. Concludi la tua questione, lei sta già sospettando. Vuoi che mi finga te per un po'?"

"Non se ne parla. Io e quella donna siamo sposati da...non voglio neanche pensarci. E poi non sono grezzo quanto te, ti riconoscerebbe subito. Aspetterà"

Tiresia s'era stiracchiato ed era riuscito ad alzarsi. La bella adolescente era rimasta seduta, mentre lui ed Ermes avevano imboccato un lungo corridoio. Lungo non era un eufemismo. Quel corridoio, sembrava cambiare aspetto ogni qualche minuto. E soprattutto sembrava non finire mai.

"Non è un impressione, amico. Questo corridoio è infinito. Devo spiegarti ancora un paio di cose".

Tiresia annuì. Che altro avrebbe dovuto aspettarsi?

"Le scommesse hanno un vero e proprio impianto formulario. Di solito il giudice è lo stesso Zeus, ma dato che la scommessa lo coinvolge ne sarà eletto uno sul momento. D'altra parte il vero e proprio giudice sarai tu".

"Zeus? Mi stai dicendo che sono immischiato in una scommessa del capo dei capi?"

"Esatto". I due risero. Tiresia assunse un'espressione fiera.

"Vedi, però. Lei è una donna irritabile".

"Lei?"

"Il boss dei boss ha scommesso con sua moglie".

"Oh. E' normale che io sia preoccupato, adesso?"

"Credo che tu non lo sia a sufficienza".

Pausa.

"E mi hai portato in un corridoio infinito solo per dirmi questo?"

"In effetti no. Vedi,credo che lui vorrà parlare con te".

"Ma questo non è scorretto?"

Ermes scoppiò a ridere.

"Ehi-là" disse la voce roca di un uomo da qualche parte. Tiresia sentì salirgli un forte mal di testa. Non ci capiva niente.

"Eccoti. Stavamo giusto parlando di te". disse Ermes.

"Siccome dubito si tratti della moglie..."

"...il boss dei boss, al tuo servizio". Ermes sorrise

"Mi auguro diceste cose belle di me. Mi offendo molto facilmente".

Tiresia fissò Ermes spaventato. Ermes sorrise, apprensivo. "Sto scherzando, andiamo. Ah, caro figlioccio mio. Ti sei affezionato al mortale?"

"Non mi dispiace. Ne avete pescati di peggiori".

Zeus sorrise. Amava i suoi bastardi. Si avvicinò a Tiresia il mortale e gli passò la mano sulle spalle.

"Ah, allora, come l'hai presa? So che non è molto ortodosso manipolare la vita di uno di voi così, ma alla fin fine...non è stato uno spasso?"

Tiresia rimase un attimo a pensare.

"Direi...non so". Zeus rise forte. Era uno strano uomo,quel Tiresia

"Ad ogni modo non voglio saperlo. Devo dirti un paio di cosette svelte. Vedi… si dà il caso che nelle relazioni anche noi di quassù siamo molto...molto umani, ecco. E si dà il caso che quando tutto è iniziato io abbia avuto un bel litigio con la mia signora, di là, anche se lei aveva proprio ragione. Proprio ragione. Lei ha sempre ragione. Così ho tirato fuori la scommessa, per cavarmene ed avere sette limpidi anni di tranquillità. Spesso si comporta come una stupida, perchè sono davvero tremendo. Solo che, vedi, sette anni fa ero un po' alterato probabilmente e...non vedevo la situazione in modo chiaro e... insomma ho messo in gioco una posta troppo alta".

"Parlami della scommessa. Cos'avete scommesso?"

"Ah, la scommessa. la scommessa" Zeus rise e rise e rise. Era un vecchio strano tipo. "Le dissi di decidere. Così mi fece una proposta proprio poco femminile. La scommessa consisteva nello scegliere un uomo a caso, sulla terra, e trasformarlo in donna per un tempo sufficiente a capire cosa significasse essere donna. Poi l'avremo portato qui e gli avremmo posto una certa domanda".

"Che sarebbe?"

"Vedi, come potrai immaginare" Tiresia si spazientì. Questo boss era un tizio prolisso, e continuava ad abbracciarlo come un mafioso "il nostro...problemino…era legato al sesso. Così lei tirò fuori questo interessante quesito: Chi è che si diverte di più quando si tratta di sesso? L'uomo o la donna? So che sembra idiota, e probabilmente lo è, ma siamo degli strani tipi, noi e le prendiamo sul serio, certe cose".

"Chi si diverte di più nel..." Tiresia era ufficialmente allucinato. Era disposto a credere su due piedi a creature superiori ma non a una stronzata come quella.

"Ah-ah. E cosa avrebbe puntato il boss dei boss su questa faccenda? Siccome immagino che tu abbia scommesso sulle donne e la consorte sugli uomini".

"Sei sveglio, si. Ma non mi credi mica. Eppure questa è la verità. Il sesso è tutto, figliolo. Ad ogni modo. Se perderò non potrò scendere mai più da qui. Mai e poi mai per tutta l'eternità. Non hai idea di cosa potrebbe significare".

"Invece non è poi difficile".

"Grazie, amico. Il punto è che non ti farò niente. Non sono mica un mostro. Però spero che tu mi capisca. Ti prego".

"E lei?"

"Cosa?" Zeus non si aspettava una domanda simile.

"Cosa perderà lei?"

"Dannazione, credi davvero che sia un mostro? Non lo sono. Lei non perderà niente. La scommessa voleva che lei avrebbe smesso di essere tanto noiosa e assillante con me. Ma non lo farà. D'altra parte non voglio che lo faccia. Mi piace che sia assillante. Anzi." Pausa "Credo di dover andare. Credo che non dovrei proprio starmene qui, ancora…" Sorrise. Scomparve.

Passò del tempo che Tiresia non avrebbe saputo calcolare, durante il quale gli si presentarono altre divinità più o meno importanti. Il loro rango gli si leggeva negli occhi. Aveva visto una libidinosa bionda, abbracciata a un bel tipo grezzo, e un giovanotto elegante che si accompagnava a un esile scricciolino che sembrava in acido. Gli posero alcune domande sulla vita dei mortali. Tiresia fu gentile, perchè frastornato dalla situazione generale.

Quando rimasero un po' da soli Ermes, il più umano di loro gli spiegò che tutti erano molto eccitati dall'eventualità di essere giudici. Disse che vedeva solo i più strambi, a parte il giovanotto elegante, che presenziava per puro spirito d'appartenenza, e che le divinità serie non partecipavano a certi giochetti. Infatti lo stesso Ermes fu molto sorpreso di veder arrivare una bella florida divinità bionda accompagnata da un uomo bellissimo, dall'aspetto grave e occhi straordinari che di quella piramide sociale in miniatura sembravano quasi raggiungere l'apice con la punta delle dita.

Si sentì un campanello ed Ermes e la sua ragazza di cui Tiresia non riusciva a tenere a mente il nome, lo accompagnarono in una stanza dalle pareti giallastre, con un tavolo lungo e stretto al quale si affiancavano poltrone. Tutto aveva un aspetto così consunto. Tiresia si chiese a che serviva davvero quel campanello. Quelle creature, parevano in grado di capire molte cose. Il suono cos'era per loro? Un passatempo?

Entrarono Zeus e la fantomatica moglie. Era una donna splendida, con occhi severi e lineamenti affilati. Al suono di un terzo campanello entrarono le altre divinità, portando chiasso. Tiresia non guardò mai Zeus. Aveva l'impressione che se avesse fatto notare la loro conoscenza sarebbero sorti dei problemi.

"Poichè" prese parola Ermes "Come tutti sappiamo bene, non è disponibile al momento il nostro usuale giudice, siccome impegnato nella stessa disputa, è stata decisione comune quella di sorteggiarne uno per l'occasione" seguì un borbottio eccitato. Tiresia aspettò. Fu estratto da un'ampolla di cristallo il nome dello strano bellissimo ragazzo in acido, che mise su una corona. Tutti bevvero. Tiresia stava per sentirsi male.

"Ora" disse il ragazzo col bicchiere di vino in mano "Più o meno tutti conosciamo il motivo della disputa, no? Ah già dimenticavo te". Lo indicò. Tiresia abbassò lo sguardo. Era fissò Zeus con occhi poco rassicuranti.

"In pratica" il ragazzo era abbastanza ubriaco. Probabilmente calcava la cosa "La mamma di pochi qui",risate ,"sostiene che siano gli uomini a spassarsela di più durante il sesso. Il padre di...beh direi di tutti -ciao papà!- invece che siano le donne. Quindi, chi meglio di uno che è stato l’uno e l'altra per deciderlo? Andiamo, amico, rispondici e lasciaci tornare a casa".

Tiresia rimase in silenzio. Che avrebbe voluto dire? Che importanza avrebbe avuto? Doveva rispondere? Avrebbe potuto decidere di non rispondere? Si sedette. Prese un calice di vino e ne bevve. Aveva uno strano buon sapore. Aveva un ottimo sapore. Tiresia bevve ancora. Fissò Zeus. Silenzio. Silenzio. Silenzio.

"Da donna" sussurrò. "Le donne".

Zeus esplose in una sorta di grido. I bicchieri di tutti si riempirono di nuovo. Fu come un esplosione. Ma fu così che... Tiresia chiuse gli occhi per rendersi conto che era tutto finito e che non sapeva che avrebbe fatto. Quando li riaprì lui non vedeva.

"Ommioddio! Oddio! Aiuto!" Gridò.

Zeus fissò Era minaccioso. Il cielo si oscurò. Dioniso sbuffò."Hanno spezzato la festa, quei due"

"Come ti sei permessa?" tuonò Zeus.

"Avevi truccato la sfida".

"Avevo truccato...avev...CERTO! Certo che l'avevo fatto! Ma non avevo promesso niente! Avrebbe potuto scegliere lui! Non sono un mostro, io! Al contrario di te!"

"Ah si? Che farai adesso? Mi mancherai di rispetto davanti a tutti restituendogli i suoi occhi? Eh?"

Le coppe di vino e gli spuntini scomparvero. Tutti mascherarono la loro espressione delusa con una seria, tranne Dioniso. Ed Ermes, che ne manteneva una annoiata.

Zeus sembrava seccato. Si stropicciò la fronte. La voce si fece tonante.

"Tiresia Twist, senza aver commesso alcun peccato hai subito da solo, e senza comprenderlo, lo scherzo degli dei tuoi signori, ma l'hai accettato di buon grado astenendoti da peccati di presunzione contro di essi. Per questo, per la tua lealtà e la buona fede dimostrata nelle ore trascorse quassù, e anche per il torto appena subito da parte della mia deliziosa e acida consorte, io decido che pur non riacquisendo la capacità di vedere, tu abbia la possibilità di vivere sette volte la vita di un uomo, sette come gli anni in cui le nostre sciocchezze ti hanno condizionato, e di avere il dono della preveggenza, dono che potrai sfruttare venendo a contatto con noi a tuo piacere. In base alla tua condotta sarà deciso se tu potrai ascendere nel giorno della tua morte o se sarai destinato alla stesso morte dei tuoi amici mortali."

Detto questo, un grigio e offeso Zeus si ritirò nelle sue stanze, dopo aver fatto cenno ad Ermes di riportare Tiresia sulla terra.

Era lo seguì. Era insopportabile. LEI era offesa. LEI doveva andarsene pestando i piedi. Si chiedeva che potesse avere lui. Si chiedeva come e perchè. Quel pallone gonfiato. Tra cinque minuti avrebbe scordato l'intera vicenda. Sentiva la bile salire.

Spalancò la porta.

"Io sono indignata! Raramente mi hai mancato di rispetto in modo così plateale, e poi perchè? Per un mortale! Un solo mortale! Cosa conterà mai! Non conta niente neanche per te! E piantala coi discorsi sui mostri da crisi di mezza età: tu SEI un mostro. Non sei un bambino e neanche un dio buono. Sei un mostro. Quindi piantala, e perdonami, e se ti fa sentire meglio restituiscigli la vista. Non posso vivere senza di te".

Zeus era sorpreso. Lanciò da una parte la camicia che stava infilando in valigia. Il tono della voce di lei era passato da uno d'ira irrefrenabile a un altro contrito e stanco. Sembrava stesse per piangere.

"Oh. Oh tesoro. Oh baby. A me piace quel tizio. Sono contento che si faccia sentire prima o poi. Inoltre ho vinto la scommessa. Sono proprio di ottimo umore, sai?"

Lei vide la valigia. Perchè una divinità si fa una valigia? Ecco, era di nuovo arrabbiata.

"Inoltre, quel tipo piaceva pure ad Ermes. Sai, quel ragazzo avrebbe bisogno di qualche amico. E'così intelligente. Sono felice che gli piaccia. E la cecità. Ah, non è importante. Se la caverà. E poi ci siamo mancati di rispetto a vicenda. Siamo pari." Pausa.

"Dove stai andando? Credevo che avresti smesso per un po'".

"Oh, non è il caso. Se rimanessi qui, litigheremmo ancora, baby. Tesoro. Io ti adoro. Neanche io posso vivere senza di te, ma..."

"Sei un bastardo. Vattene".

"In effetti è quel che..."

"Vattene ORA".

"Sai, cara, credo che qualche tempo in Europa mi farà bene. Proprio bene. Ti Adoro".

Sorrise. Scomparve.

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