Save my life.

di Mad_Killjoy Cullen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciotto ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** capitolo 26 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Prologo

Alec


-

Lo schiaffo della governante arriva inaspettatamente, cogliendomi di sorpresa.

Non fa male.

Non sento dolore.

“Che sia l’ultima volta, chiaro?”, sbraita, cercando forse di intimorirmi.

Sbuffo.

Patetica; quella donna è completamente patetica, per vari motivi: Credeva di essere importante, invece, quella importante in quel posto era la sua sorella maggiore, che per mia fortuna, era partita per una settimana, lasciandoci con quella vipera della sua sorellina.

Quanto mi mancava quella donna.

La sua follia, alla fine, aveva finito col contagiare anche me.

“L’ultima volta di cosa? Si spieghi”, mormorai con tono monocorde e annoiato.

Volevo andarmene in camera, rintanarmi sotto le coperte e dormire tutto il giorno, finché quella matta non sarebbe entrata in camera mia, gettandosi sul letto, sperando di svegliarmi.

La vidi meglio in volto: Era paonazza dalla rabbia. I denti stridevano così insopportabilmente da farmi venire la pelle d’oca.

“Se vengo a sapere ancora delle tue storie dell’orrore, ti metto in punizione per un mese, ragazzino”.

Le scoppiai a ridere direttamente in faccia.

Dio quanto poteva essere ridicola quella donna?

Non tanto, di più.

Mi passai la mano fra i capelli, cercando di ricompormi. “Cara signora, quando lei avrà fatto pace col cervello, sempre che lei abbia un cervello decente, mi faccia un fischio”, feci per andarmene, ma mi fermai.

“Un fischio, non un salto nel mio letto, irrompendo nella mia camera come una ragazzina in piena crisi ormonale”.

Non le diedi nemmeno il tempo di rispondere che mi diressi in camera mia, chiudendomi la porta alle spalle.

Peccato che la mia tranquillità, venne interrotta.. fin troppo presto.

“Alexander, non voglio che lei si rivolga a me con questo tono, chiaro?”

Non mi voltai, perché farlo? Sarebbe stato inutile.

Mi limitai solo ad annuire.

Si sarebbe accontentata.

“Può uscire adesso?”.

Lo fece, lasciandomi in pace.

Almeno forse, adesso, avrei trovato un po’ di pace e serenità.

 
 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1. ***


Capitolo 1 
 
Demetri

-

Io.

Il segugio più abile di tutti i tempi.

Il più temuto.

Nessuno potrebbe mai sfuggirmi, infatti non per nulla, sono un membro permanente nella guardia dei Volturi.

Ho sempre preso parte a tutte le loro più importanti spedizioni e non ho mai fallito, nemmeno in una singola missione.

Nonostante tutto, la richiesta di Aro, mi metteva un certo disagio.

“Sono venuto a conoscenza di una verità alquanto interessante! In un lontano villaggio, si nasconde un ragazzino dalle marcate doti paranormali… Le sue illustri capacità potrebbero tornarci utili… sai cosa intendo…” la sua voce era un sussurro e il suo viso si riempì di un sorriso deliziato.
“Detto ciò, mio caro Demetri, sarei più che lieto, di affidare a te questa importante missione”

“I suoi desideri sono un ordine per me, mio stimato maestro” gli dissi, dimostrandogli la mia piena fedeltà nei suoi confronti.
Anche se in realtà, questa storia mi preoccupava parecchio.

Lasciai l’imponente porta alle mie spalle e mi rifugiai nei miei appartamenti.

Nella mia più completa tranquillità e solitudine.

Quello era l’unico luogo in cui potevo riflettere – d'altronde, in presenza di Aro, dovevo trattenere i miei pensieri – e l’unico in cui, trovavo sempre una soluzione ai miei numerosi dubbi.

Di solito la trovavo sempre, ma questa volta, fu molto più complicato.

Continuavo a muovermi per la stanza circolare con passi incerti, ma la mia mente era ancora più caotica.

Di solito, nelle mie missioni, ho sempre avuto a che fare con dei vampiri, ma questa volta non era un vampiro a mettermi in soggezione, ma un umano… un semplice ed inutile umano. Non per i suoi presunti poteri, anzi, quello non mi importava proprio… d'altronde, che sorte avrebbe potuto avere un fragile umano, davanti ad uno come me?

Quello che mi preoccupava era il suo sangue.

Solo al pensiero, un bruciore alla gola prese il sopravvento… avevo sete.

Potevo calmarla, lo so, ma non so se avrei potuto farlo di fronte a quell’umano.

Ucciderlo avrebbe voluto dire morte: la mia morte.

Aro lo voleva a tutti i costi, ne ero pienamente consapevole.

Come avrei potuto resistere?

Dovevo riportarglielo vivo, e questo mi sarebbe riuscito alquanto difficile.

Avevo solo una notte per pensare. Sarei partito all’alba.

Intanto, avrei colmato la mia sete.
-
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo II

 
Alec


«Ragazzi miei. Come sapete oggi ci saranno grandi visite, e ci terrei a far bella figura». La donna continuava a gironzolare per la stanza, ripetendo da troppo tempo, le stesse cose. Le stesse cose che a mio parere, non interessavano a nessuno.

«Signora, mi scusi, vorrei farle una domanda: Ma chi sono questi poveri disperati?». Mi volto. Jonathan.  Il mio carissimo compagno di stanza, come sempre, deve esporre a tutti, una delle sue cosiddette battute.

Vedo la donna voltarsi verso di lui, e andargli incontro, facendolo tacere immediatamente.

Impallidisce, scatenando una mia inaspettata risata, che stranamente, coglie impreparata la donna, che ora, è ferma come una statua davanti a me.

«Signor Alexander cosa ha provocato tutto ciò?», mormora. «Mi sembra abbastanza divertito. Sbaglio, forse?»

Mi guardo intorno.

Silenzio.

In quella stanza regna un silenzio insopportabile, chiassoso.

«Sta parlando con me.. Morgana?». Sì. Quello è il nome della donna.

So quanto odiasse quel nome, ma lei di certo non sapeva quanto lo amavo io.

Non c’era un motivo.

Amavo quel nome, punto.

La vedo passarsi una mano fra i capelli. «Sì, sto parlando con lei, con chi se no?», sussurra.

Alzo le spalle.

«Non so, Morgana», spiego. Forse così capirà.

La osservo meglio: è paonazza dalla rabbia.

«Alexander.. nel mio studio. Adesso». La vedo dirigersi fuori dalla mensa, diretta sicuramente nel suo cosiddetto studio. Per me, invece, è una tortura vera e propria. Quella stanza ha un odore insopportabile di chiuso.

«Certo. La seguo». Così feci.

Richiusi la porta alle mie spalle, incominciando a guardarmi intorno.

Vari quadri ricoprivano le innumerevoli crepe che si erano sparse ormai, in tutte le pareti, rendendo quel posto, ancora più orribile.

«Che cosa vuole ancora?», chiesi.

Mi fece segno di sedermi, cosa che feci subito dopo.

Sospirò pesantemente. «Volevo informarla di una cosuccia.»

«Perché mi da sempre del.. lei? Sono così importante?», intervenni io prima che potesse finire la sua frase.

«Suo padre era un uomo molto rispettato. Di conseguenza anche i membri della sua famiglia lo sono. Ciò significa che.. anche se lei è qui dentro, qualcuno dovrebbe avere ancora una sorta di.. rispetto verso di lei e verso la vostra famiglia, non crede?»

Annuii. «Su cosa volevate informarmi?»

«Lei sa di sua sorella, no? Bé.. diciamo che.. è scomparsa. Non la troviamo»

La fissai dritto negli occhi. «Sul serio?»

La vidi annuire.

Mi congedai, dirigendomi verso la mia stanza, volevo restare da solo.


 


 

 
“Guarda quella farfalla.. non è bellissima? Al..?”. Una bambina dai lunghi capelli biondi correva per il giardino, cercando di prendere una farfalla.

In lontananza un bambino... un bambino dai capelli castani, la scrutava sorridendo appena, era impegnato a disegnare.

“Ehi giovanotto... che ci fai ancora qui?”. Una donna si era avvicinata, sedendosi al suo fianco.

Era una donna splendida... in tutti i sensi: Dei lunghi capelli castani le incorniciavano il volto pallido, arrivandole fino alla fine della schiena.

Guardava la bambina, che intanto era riuscita ad afferrare quella farfalla.

“Mi annoiavo in casa.. per questo sono venuto qui a disegnare. Ti piace mamma?”. Il bambino porge il ritratto alla donna, che lo prese, scrutandolo con attenzione, con un sorriso stampato sulle labbra scarlatte.

“è bellissimo Alexander”. Poggia il ritratto per terra, portandosi il bambino sulle gambe, cullandolo. “Credo però, che sia ora di andare a dormire... non credi, mio piccolo?”


 
Mi sveglio di soprassalto.

Mi guardo intorno, confuso.

È notte fonda, chissà quante ora ho dormito.

Morgana non è venuta a svegliarmi come suo solito.

Che strano... è troppo strano.

Mi massaggio le tempie.

Un mal di testa insopportabile mi martella la testa come un martello.

Poggio la testa sul cuscino, continuando però, a massaggiarmi le tempie ritmicamente, sperando che quel dolore insopportabile, passi velocemente.

Sento la porta aprirsi. «Alexander sta bene?». Jonathan irrompe nella mia stanza, interrompendo quel silenzio che fino a qualche secondo prima, mi circondava.

«Che c’è John?», gli chiedo io, sperando in una sua risposta.

«Morgana si è preoccupata un sacco. Dormivi. Sudavi. Parlavi nel sonno. Che hai?»

Lo guardai confuso.

Parlavo nel sonno, adesso? Fantastico.

Maledetti ricordi.

«Dovresti preoccuparti del comportamento di Morgana, non di me», bisbigliai a bassa voce.

Se ne andò, lasciandomi da solo.

Tanto meglio, almeno così non mi sarei rotto le scatole.

Guardai la piccola finestra che era nella mia stanza: era buia.

Cercai di riprendere sonno, con scarsi risultati.

Per tutta la notte non feci niente.

A parte parlare con John, scambiandoci qualche segno d’affetto.

Non mi era d’intralcio, dopotutto solo lui era a conoscenza delle mie preferenze sessuali.

A parte questo...  nessuno mi disprezzava e questo, mi bastava.

 

 
Passavano i giorni e di mia sorella.. nemmeno l’ombra.

Era come se non fosse mai esistita.

Cercavano in ogni dove, ma era come se non fosse passata da quelle parti.

Nessuno la conosceva.

Nessuno non l’aveva mai vista e nella mia mente, la sua immagine andava a scomparire lentamente.

Il dolore, invece, era sempre più forte.

Ero solo.

Un fantasma nel vero senso della parola.

Non con gli altri, ovviamente, ma solo con me stesso.

Non mi riconoscevo.

Non mi sentivo me stesso.

Non ero più la stessa persona d’un tempo.

Avevo un presentimento, una brutta sensazione che mi perseguitava da giorni: Come se mi stesse per accadere qualcosa di orribile.

Non ci badavo, dopotutto era solo una strana sensazione, no?

«Alexander che hai?». John.

Mi voltai per poterlo guardare meglio, anche se al buio era quasi difficile.

«Niente. Tranquillo», mormorai a bassa voce.

In quel posto, ogni minimo rumore era come.. come qualcosa che riesce a spaccarti i timpani.

Sospirò pesantemente.

Ridacchiai.

Lo vidi avvicinarsi a me, mettendosi al mio fianco, appoggiando come suo solito, la testa sulla mia spalla.

Sentivo il suo respiro freddo sulla pelle, era.. piacevole.

Inclinai il capo di lato.

«Sei strano. Ho fatto qualcosa di male?».

Mi voltai di scatto.

Come poteva pensare una cosa del genere?

«No. Non hai fatto niente», confermai.

Non sopportavo quando si prendeva la colpa di tutto.

Era insopportabile per me.

«Me l’ho dai un bacio?», sussurrò piano, avvicinandosi a me.

Esitai per qualche secondo ma lo accontentai subito dopo.

Si spostò, mettendosi a cavalcioni sul mio corpo, cercando di non gravare il suo peso su di me.

Gli morsi  il labbro inferiore.

Lo sentii mugugnare e subito dopo si allontanò.

Lo guardai torvo. «Ti ho fatto male?»

Negò, sorridendo. «Non mi hai fatto niente»

Sorrisi a mia volta.

John non era male, era una persona socievole e altruista.

L’unico con cui abbia stretto amicizia, un’amicizia vera.

«Dovresti dormire. Sei distrutto». Era vero.

Lo vidi gattonare e infilarsi sotto le coperte; dopo qualche secondo era stato trascinato nel mondo dei sogni.

Lo portai in camera sua, almeno così avrebbe dormito meglio.

Ritornai in camera mia, con la seria intenzione di dormire in santa pace.

Mi distesi sul letto, chiudendo gli occhi.

Sentii un rumore provenire da fuori.

Mi alzai, per controllare, ma dovetti indietreggiare subito dopo.

«Chi sei?!», sbottai urlando.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3

Demetri
 


-
Dopo aver cercato invano una soluzione, trascorsi il resto della notte a cacciare.

Quella sera, non mi andava di condividere il pasto con gli altri della guardia. Preferii rimanere nella mia tranquillità.

A volte mi sentivo così solo… i Volturi erano per me come una famiglia, ma nessuno di loro era in grado di colmare pienamente la mia solitudine… non che io volessi provare dei sentimenti per qualcuno… non sia mai! Ma era come se mi mancasse qualcosa.

Poi colmando la mia sete, la solitudine svaniva per un attimo, come in un momento di euforia, ma sapevo che ben presto sarebbe ricomparsa.

Così accadde infatti quella notte.

Accecato dalla sete e da quel fuoco che mi faceva ardere la gola fino a farmi provare dolore, schizzai in avanti, verso il primo fragile essere umano di cui percepii il battito assordante del cuore e, afferrandolo per la gola, bevetti tutto d’un fiato, fino all’ultima goccia, lasciando poi scivolare al suolo, il corpo privo di vita.

Andare in cerca delle vittime da solo, era ancora più soddisfacente; mi riempiva di orgoglio e lo ritenevo alquanto eccitante.

Dopo aver dissanguato un terzo uomo, la mia gola andava piuttosto bene e probabilmente, sarebbe passato qualche giorno prima che potesse ricominciare a bruciare, ma il pensiero di quel giovane ragazzo, mi balenò nuovamente in mente, facendomi indebolire… il suo sangue sarebbe stato una droga per me.

Ebbi dei capogiri.

Osservai i cadaveri con disgusto, gettandogli, senza esitare, dei fiammiferi addosso.

Stupido, insignificante, fragile umano!

Per la prima volta nella mia esistenza, stavo avendo delle complicazioni.

E tutto questo per cosa? Per un essere totalmente inutile!

Speravo solamente che, quando l’avrei visto, sarei riuscito a controllarmi, e soprattutto a trattenermi lungo il tragitto per portarlo sano e salvo da Aro.

Per tutto il resto della notte non ebbi pace.

Era un pensiero fisso.

Poi partii presto all’alba.
-
Impiegai un paio di ore per arrivare dritto a destinazione.

Avevo scovato già da un pezzo la traccia mentale del ragazzo, e nonostante la distanza, trovare la sua scia fu la cosa più semplice che avessi mai fatto in tutta la mia esistenza.

Era notte fonda.

La pioggia scendeva a dirotto.

Osservai attentamente dall’esterno, il luogo in cui, secondo la mie abilità, che come sempre promettevano assoluta certezza, si sarebbe dovuto trovare quell’umano.

Era un palazzo tipico del ‘700, dalle mura alte e scure, nelle quali vi erano disposte, con una certa frequenza, delle minuscole finestre in stile medievale, che avevano tutta l’aria di nascondere all’interno delle piccole celle da reclusione.

Individuai immediatamente quella in cui doveva trovarsi e, con un semplice gesto, sfondai la piccola finestrina. Come avevo infatti previsto, il ragazzo si trovava in quella stanza.

Vedendomi spuntare all’improvviso, si gettò a terra strisciando e indietreggiando velocemente.

“Chi sei???” urlò con tutto il fiato che aveva in gola “Come hai fatto ad entrare???”

Non gli risposi.

Lo osservai attentamente: era estremamente bello per essere un umano.

Avrebbe avuto non più di sedici anni, e nonostante l’espressione terrorizzata, aveva dei lineamenti molto delicati.

“Che cosa vuoi da me???” continuò, alzando ulteriormente il tono della voce. Il battito del suo cuore accelerava rapidamente, ed iniziava a divenire sempre più insopportabile.

Avanzai lentamente verso di lui con la gola in fiamme. L’istinto mi diceva di ucciderlo, ma dovevo resistere.

Autocontrollo Demetri. Autocontrollo.

“Sta zitto! E soprattutto sta fermo… mi riesce già fin troppo difficile a sopportare la tua presenza, figuriamoci se inizi ad agitarti in modo così esagerato. Quindi vedi di controllarti!” gli dissi a denti stretti, scandendo bene le ultime parole, in modo che lui potesse capire la gravità della situazione.

Affondare i denti in quella tenera gola sarebbe stato fin troppo semplice. L’odore del suo sangue era talmente delizioso che non potevo fare a meno di sfiorare con il fiato il suo candido collo.

Digrignai i denti per resistere al dolore, sforzandomi con tutto me stesso di non perdere la lucidità. Non riuscii a trattenere un ringhio.
Ero talmente stordito dal suo odore, da non accorgermi che improvvisamente qualcuno aprì la porta.

“Per l’amor del cielo! Ragazzino che cos’è tutto questo…” la donna si fermò di colpo, urlando fuori di sé “Nostro Signore Gesù Cristo mi salvi da quello che vedo!!!” gridò con tutto il fiato che le rimaneva, facendosi il segno della croce con la mano destra.

“Visto??? Sei riuscito ad invocare il demonio con tutte quelle maledette storielle che inventavi!!!” continuò, rivolgendosi al ragazzo.

Era impietrita, accasciata al suolo, con gli occhi spalancati. Prese la lanterna sul muro e con l’altra mano sfoderò dalla tasca un piccolo crocifisso, puntandomelo contro.

Era un cadavere vivente.

“Che cosa sei???” urlò con un fil di voce.

“Cosa vorrebbe che io fossi, mia “gentile” signora? Il demonio, forse?” avanzavo lentamente verso di lei, con le mani dietro la schiena, facendola indietreggiare.

“Sta lontano da me!!!!!” sbraitò, agitando quel crocifisso.

“Sarò chi lei vuole che sia. La accontento subito” dissi incurvando le labbra in un sorriso e, schizzando in avanti, bloccai al suolo la donna, che cercava invano di liberarsi. Mi inginocchiai accanto a lei e le perforai il collo, fin quando il suo respiro fiacco non si fermò, dopodiché lasciai il suo corpo inerte a terra, completamente dissanguato.

Mi sentivo decisamente meglio dopo aver placato la mia sete.

Adesso avrei potuto resistere maggiormente all’irresistibile tentazione di mordere quell’umano.

“Tu” dissi rivolgendomi al ragazzo, puntandogli un dito contro “non una parola. Vieni con me!”
-

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo IV

 
Alec


«No! Io con te non ci vengo», sbottai alzandomi.

Guardai Morgana: Giaceva sul pavimento, oramai morta.

«Ti ho detto di seguirmi», mormorò a denti stretti il ragazzo che mi era davanti.

Negai col capo, indietreggiando.

Lo vidi avvicinarsi a me, e in pochi secondi ero con le spalle al muro.

«Non devi urlare, ragazzino. Non vuoi che ci sentano, vero?», mormorò scrutandomi dalla testa ai piedi. «Ora capisco perché Aro ti vuole.. sei speciale», continuò.

«Chi è Aro? Chi sei tu?», sbottai.

Nessuna risposta, solo un silenzio insopportabile.

Si allontanò, incominciando a guardarsi intorno. «Prendi le tue cose ragazzino. Dobbiamo partire»

Lo guardai di sbieco. «Cosa ti fa pensare che io voglia venire con te?»

Si voltò di lato, per  osservarmi meglio.

Deglutii.

Il suo sguardo mi metteva in soggezione.

«Lo dico io, ragazzino, anzi.. non fare niente. Solo  una cosa: seguirmi»

Lo vidi andare vicino la finestra, e voltarsi verso di me.

«Non ci vengo con te, mettitelo in testa»

Lo vidi tornare davanti a me, istintivamente indietreggiai, come se servisse a qualcosa.

«Senti ragazzino: Vuoi morire come quella donna, o.. venire con me e vivere?»

Mi strattonò, portandomi fuori da quel posto, afferrandomi il polso.

Doleva maledettamente.

Sentivo il sangue fluire più lentamente.

Era come se.. volesse staccarmelo.

«Mi fai male», urlai.

Cercai di allontanarmi, ma niente.. Non mollava la presa, di sicuro si sarebbe formato un livido.

Sentii la sua presa farsi più ferrea. «Lasciami, cavolo. Lasciami!», continuavo a dimenarmi, cercando di liberarmi, ma con scarsi risultati.

«Lamentati ragazzino, tanto non ti mollo. Potresti scappare, no?». Disse, come se la cosa fosse ovvia.

Scappare, andare lontano.. quella era la mia intenzione e se non fosse per la sua presa, l’avrei già fatto.

Lo sentii stringermi la vita, e issarmi sulle sue spalle.

Mi dimenai, cercando di scendere.

«Senti ragazzino: O resti fermo.. o resti fermo»

Annuii velocemente.

Prese a camminare lentamente, facendo salire la mia esasperazione alle stelle.

Lo sentivo strattonarmi, stringere la mia vita, procurandomi un fastidio immondo.

Passai una mano sul fianco, cercando di affievolire il fastidio che provavo in quel momento.

«Non morire adesso. Mi servi». Non lo ascoltai.

Mi addormentai.

Avevo freddo, e stare appoggiato a quel tizio, non mi aiutava nemmeno un po’.

Mi muovevo, mi dimenavo nel sonno.

Volevo scendere, dormire in un letto, non in groppa ad un tizio.

Sentivo le sue braccia stringermi, forse per non farmi cadere, forse per non farmi correre via a gambe levate.

Ma scappare non sarebbe servito a niente, un presentimento mi diceva che seppur scappando, mi avrebbe ritrovato.

Lo sentii farfugliare qualcosa tra se e se.

Parlava anche da solo? Mitico.

Riaprii gli occhi per qualche secondo.

Mi guardai intorno: Era buio, non vedevo niente.

Li richiusi; forse dormire era l’opzione migliore in quel momento.

Non so quanto tempo passò.. non mi importava.

Sentii il mio corpo, essere adagiato per terra e delle mani fredde e gelide, vagare per il mio corpo.

Mi mossi, come per farlo smettere, ma non fu così.

Continuava ad accarezzarmi, procurandomi mille brividi per tutto il corpo.

Sentii la sua mano sfiorarmi la guancia con estrema delicatezza.

«Smett..ila», gemetti piano, continuando a muovermi.

Si fermò.

Tenni gli occhi chiusi.

Sentii qualcosa di freddo e allo stesso tempo.. morbido, poggiarsi sulla mia bocca: Le sue labbra.

Sfiorò le mie per qualche secondo.. dopo qualche secondo era già tutto finito.

Mugugnai strofinando i miei occhi con le mani.

Sbadigliai sonoramente.

Mi guardai intorno: Buio assoluto, un bosco buio e lui.. vicinissimo al mio volto, intento a fissarmi, a scrutarmi attentamente.

Sentii un calore espandersi per tutto il corpo, il respiro accelerare, come il battito del mio cuore, che non cessava di battere.

Sfiorai con la lingua le mie labbra, poi dopo qualche minuto riportai il mio sguardo nel suo..

«Sai ragazzino.. ho riflettuto su una cosa: Non conosco il tuo nome».

Storsi il labbro, mi alzai, per potermi sedere.

Ci volle un secondo, un misero secondo..

Portai le mani alle tempie, massaggiandole ritmicamente.

Sentivo la testa girare, un volta stomaco insopportabile.

Come minimo mi ero procurato una polmonite.

«Mi chiamo.. mi chiamo.. Alexander», mi riabbassai, poggiandomi ad un’ albero, continuando però a massaggiarmi la testa.

«Vorrai dire.. Alec», mormorò.

Lo guardai sbigottito. «Alec?».

Lo vidi annuire. «Non ti piace questo nomignolo?»

Annuii.

Lo vidi avvicinarsi di più a me, lo stesso feci io.

Se pensava che non mi fossi accorto di niente, era un povero stupido.

Ne volevo ancora, era una cosa nuova per me.. in un certo senso mi eccitava, ma non lo facevo notare.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

Demetri


-
Fortunatamente quel moccioso aveva assistito alla crudele sorte di quella donna, che, in fondo, meritava quella fine.

Si sarebbe dovuto abituare presto a quel tipo di scene.

Per tutto il tragitto aveva continuato ad urlare senza sosta, fin quando si addormentò, esausto.

Nonostante l'odio che provavo, e provo ancora adesso, per gli umani, cominciai ad affezionarmi a quel ragazzo.

Era così impotente e indifeso, e la sua fragilità, odio ammetterlo, ma suscitava in me una certa eccitazione.

Sarebbe stato così dissetante... svariate volte, infatti, tentai di attaccarlo nel sonno, ma quando arrivavo al punto di affondare i denti in quel
collo caldo e palpitante, qualcosa più forte di me, mi induceva a fermarmi.

Cosa mi stava accadendo?

Avevo un'insaziabile sete del suo sangue, ma probabilmente era più importante per me averlo in vita... percepire il ritmo martellante del suo cuore e sentire il calore della sua pelle, era più forte del desiderio di ucciderlo.

Il suo corpo era troppo appetibile, e per me era alquanto piacevole rimanergli accanto... respirare il suo profumo era come una droga.

Dovevo assolutamente fermarmi… non resistevo.

Avevo voglia di osservarlo… annusarlo… toccarlo…

Ci fermammo in una radura.

Lo poggiai con estrema delicatezza sul terreno bagnato, ma lui continuava a dormire profondamente.

Aveva le guance paonazze e bollenti… ben presto si sarebbe preso una polmonite.

Gliele sfiorai con la massima delicatezza, poi con le dita, scesi verso il collo e il pizzo della manica lo infastidì leggermente, ma non lo svegliò.

Quelle labbra… rosse come il sangue.

L’eccitazione aumentava.

Dovevo trovare il coraggio di farlo.

Il coraggio di trattenermi. Di non ucciderlo.

Un minimo di forza in più l’avrebbe ucciso.

Mi avvicinai sempre di più ad esse.

Schiusi le labbra e subito le feci entrare in contatto con le sue… inizialmente le sfiorai… erano calde, morbide.

Non avevo mai provato una sensazione simile, prima d’ora.

Avrei tanto voluto approfondire, mordergli il labbro inferiore, e magari sentire il calore della sua lingua, ma la gola bruciava.

Sarei impazzito.

Notai che stava per svegliarsi, e rapidamente mi allontanai da lui.
 
"Smett..ila" gemette, strofinandosi gli occhi e continuando a guardarsi intorno.

Non gli avevo ancora chiesto come si chiamasse.

Alexander… ecco il suo nome.

Semplicemente meraviglioso, come il sapore delle sue labbra.

Ma volevo chiamarlo diversamente. Volevo dargli un nome che l’avrebbe fatto mio.

Alec… ecco… questo era assolutamente perfetto.

Avevo ancora voglia di quel sapore.

Non mi era bastato.

Lo guardai intensamente, dopodiché mi avvicinai sempre più.

Il suo respiro affannato mi eccitava ulteriormente…

Incollai le mie labbra sulle sue. Era eccitato come me. Lo sentivo. Anche se non voleva dimostrarlo.

Era più caldo di prima.

Ci avrei scommesso che avesse la febbre.

Quel calore mi faceva ansimare.

Incontrai la sua lingua, e questo mi indusse a spingerlo delicatamente al suolo.

Le sue labbra si muovevano perfettamente all’unisono con le mie, mentre incrociavo le dita fra i suoi capelli umidi.

Gli morsi il labbro inferiore, proprio come avevo desiderato in precedenza, anche se avrei voluto farlo più ardentemente, ma un minimo sforzo l’avrebbe fatto sanguinare, e questo non l’avrei mai voluto.

Gli passai una mano su tutto il corpo, provocandogli dei brividi, che riuscii perfettamente a percepire.

Il battito del suo cuore accelerava, e questo mi faceva impazzire.

La mia gola era in fiamme, ma potevo sopportarlo. Lui mi dava la forza di controllarmi.

Sentii le sue mani afferrarmi i fianchi e stringerli...stava usando tutta la sua forza, ma per me non era altro che un piacevole sfioramento.

Cercò con tutto se stesso di ribaltare le posizioni, ma ovviamente era un tentativo inutile. Era così fragile.

“Calma ragazzino” gli dissi, ancora eccitato. “Non correre… non immagini nemmeno lontanamente cosa sono io. Se lo sapessi non staresti qui a baciarmi così tranquillamente”

Lo vidi un po’ perplesso per un momento.

“Dopo questo, non mi fai paura.”

“Credimi, devi averne.”

“No… ne voglio ancora!” era ostinato. Era più coraggioso di quanto credessi.

Che fegato che aveva quel ragazzo…

“Vedremo… per ora alzati da terra… ti prenderai una polmonite” gli dissi con mezzo sorriso, porgendogli la mano.

Si strinse a me. La gola bruciava ancora, ma non ci badai.

Mi tolsi il mantello e glielo avvolsi attorno.

“Andiamo, Alec. Mi raccomando… stammi vicino.”

Lo vidi annuire.

“Adesso sono io a non mollarti.” mi disse, sicuro di se, stringendosi sempre di più.

-
  
  

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Capitolo VI

 
Alec

Lo vidi avvicinarsi a me.

Sentii le mie guance imporporarsi.

Il respiro accelerare.

Dopo qualche minuto le sue labbra erano già sulla mia bocca.

Schiusi le labbra... sentii la sua lingua sfiorare la mia.

Mi sentivo strano: felice e terrorizzato nello stesso tempo.

Sentivo le sue mani fredde accarezzare il mio corpo, procurandomi mille brividi.

Non sentivo il freddo, ma l’eccitazione salire sempre di più.

Scesi ai suoi fianchi, stringendoli con le mani.

Cercai di capovolgere le posizioni, ma non riuscivo a muoverlo nemmeno di un centimetro.

Si allontanò di qualche centimetro, rimanendo però, vicino a me.

«Calma ragazzino.. non sai cosa sono. Se lo sapresti.. non mi baceresti così tranquillamente. Dovresti aver paura di me, lo sai?»

Sbuffai.

Volevo risentire le sue labbra muoversi sulle mie, le sue mani stringermi saldamente.

Volevo continuare quel momento all’infinito.

«No... ne voglio ancora», cercavo in tutti i modi di riavvicinarmi a lui.

«Vedremo... ma adesso dobbiamo andare, non trovi?», mi porse la mano.

Mi alzai, stiracchiandomi, sentivo le ossa a pezzi e sentivo freddo.

Una polmonite era il minimo in quel momento.

Mi porse il suo mantello, avvolgendomelo intorno al corpo.

Non cambiò quasi niente, ma non sentivo più così freddo.

«Ora Alec... stammi vicino, okay?», mormorò, abbassando lo sguardo verso di me.

Mi strinsi a lui. «Adesso sono io a non mollarti»

Riprendemmo il viaggio subito dopo.

Passammo molte ore a camminare... baloccavo ripetutamente.

Avevo sonno, ma non volevo dormire.

Volevo arrivare a destinazione, anche se... nello stesso tempo non volevo.

Mi mancava John, sarei tornato da lui, l’avrei portato via da quel posto.

«Sei strano. Che hai?»

«Niente... »

«Ti credo.. Comunque.. Non manca molto alla nostra meta. Ti chiedo solo una cosa: Non.. fare resistenza, aspettano solo questo, chiaro?»

Lo guardai smarrito. «Che significa?»

Non mi rispose.

Avevo capito molte cose di quel ragazzo... e anche molto in fretta.

Era arrabbiato: taceva; non voleva dichiararmi la verità: taceva.

O taceva o mi minacciava.

«Dove mi stai portando?»

«Volterra. Hai presente?»

Negai.

Non conoscevo quel posto, cioè... non l’avevo mai visitato, sapevo solo che era in Italia, solo questo.

«Ti porterò in un palazzo, dal mio signore e dai suoi fratelli. Uno di loro ha detto che tu possieda delle doti paranormali, è vero?»

Lo guardai stranito.

Le persone mi evitavano... quando mi arrabbiavo e desideravo il loro silenzio, stranamente si zittivano immediatamente.

Quando volevo il loro morire... svenivano.

«Ha ragione... ». Sussurrai angosciato. Come minimo mi avrebbe ammazzato, o sottoposto a qualche intervento scientifico.

«Sarai diverso, tornerai come nuovo»

«In che senso? Che cosa diventerò? Sarò come te? Cioè... forte, bevitore di sangue, veloce?»

Lo vidi annuire. «Un vampiro»

Non mi scomposi, né, tantomeno mi allontanai.

Non avevo paura di lui.

«Hai sonno? Se vuoi, ci fermiamo»

«No. Voglio arrivare la prima possibile», dissi.


 


 

 
Arrivammo a Volterra al sorgere del sole.

Avevo sonno, ma non volevo dormire, l’avrei fatto dopo, forse.

Faceva freddo. Il sole era spento.

Enormi nuvole ricoprivano il cielo azzurro, rendendo di un grigio scuro, quasi tendente al nero.

Mi guardai meglio intorno.

Quella piazza era enorme: Al centro era situata una fontana, intorno, molte case dall’ aspetto antico, e davanti a me, un’ enorme palazzo.

Guardai Dem, anche lui guardava davanti a se.

«Stammi vicino»

Lo vidi incamminarsi verso quel castello, subito dopo lo seguii.

Non entrammo dalla porta principale, ma da una secondaria.

Quel posto era gelato.

Sentivo il freddo trapassarmi le ossa e la carne, come mille lame.

Sentivo gli occhi pizzicare, un groppo alla gola insopportabile, farsi sempre più forte, facendomi mancare l’aria.

Vidi Dem rallentare, ma non riuscivo ad arrivare al suo passo.

Arrivammo davanti ad una porta.

Mi fermai istintivamente.

Vidi Dem voltarsi verso di me. «Perché ti sei fermato? Va tutto bene?»

Non gli risposi.

La paura m’impediva di compiere anche la ben minima azione.

Non riuscivo a parlare, sentivo le parole morirmi in gola.

Gli occhi continuare a pizzicare, ed infine le lacrime scorrere sulle mie gote, bagnarmi le guancie e morire nella mia bocca.

Aprì la porta, entrando.

Aspettai qualche secondo... volevo scappare via, volevo morire.. non in quel posto, però.

Entrai all’interno della stanza.

Davanti a me, sedevano tre uomini, tre vampiri...

«Bentornato mio caro Demetri... vedo che hai portato alla fine il tuo compito».

«L’ho portato vivo, come volevate mio signore»

Indirizzai il mio sguardo su Demetri.

Signore? Tsè.

«Ora passiamo agli ospiti... Alexander giusto?», chiese, rivolgendo la sua attenzione verso di me.

Sussultai, incominciando a tremare.

Volevo scappare.

Annuii.

Si avvicinò a me. «Mio dolcissimo Alexander... i tuoi poteri potrebbero donarti l’immortalità... mio fragile, incantevole umano».

Cercai di indietreggiare, ma mi prese il volto tra le mani, facendomi fermare.

Mi osservava attentamente, come se mi stesse scrutando nell’ animo.

Qualcosa cambiò: L’uomo spostò il suo sguardo da me, passandolo su Demetri, che era poco dietro di me.

«Qualcosa non va mio caro?»

«Va tutto bene, mio signore»

Cosa gli prendeva adesso?

L’uomo si allontanò da me.

Indietreggiai, andando da Demetri.

«Mio caro, porta nella tua stanza il nostro caro ospite, vorrà riposare»

Sentii la mano di Dem, afferrarmi il polso e trascinarmi immediatamente fuori da quel posto.

«Dove mi porti?»

«Nella mia stanza... sei sfinito, fra poco ti metterai a dormire sul pavimento, meglio un letto, no?».

Ridacchiai. «Hai ragione... »

Arrivammo davanti ad una stanza... «è la tua camera?».

Lo vidi annuire. «è molto bella», continuai subito dopo.

Mi avvicinai al letto, sedendomi.

Si sedette al mio fianco, avvicinandosi a me.

«Hai paura di me?», chiese serio.

«No»

«Hai paura di diventare come me?», continuò.

«Solo se sarebbe quell’ uomo a farlo»

«E se lo facessi io?»

«Mi fido di te …»

Mi avvicinai al suo volto, alle sue labbra.

«Baciami ancora … per favore...»

Lo vidi esitare per qualche secondo … dopo qualche secondo,invece, le sue labbra erano di nuovo sulle mie.

Un bacio casto il suo … no, io volevo di più, stavo impazzendo totalmente.

Mi misi a cavalcioni su di lui, continuando però, a baciarlo.

Mi strinsi a lui il più possibile, non volevo lasciarlo andare.

Gli strinsi le spalle, muovendomi su di lui.

«Alec.. fermati.. », mi fece allontanare di qualche centimetro.

Lo guardai contrariato.
 
«Ti conviene dormire.. fa tutto ciò che vuoi ma soprattutto.. dormi. Dopo passerò di nuovo per controllare, chiaro?», disse,  dandomi un bacio casto e avvicinandosi alla porta, con l’ intenzione di andarsene.

«Come vuoi... ». Mormorai a bassa voce.

Se ne andò, lasciandomi da solo.

Mi distesi sul letto, senza coprirmi, stranamente sentivo caldo, tanto.

Chiusi gli occhi, e dopo qualche secondo... Morfeo mi aveva trascinato nel suo mondo di sogni.


 


 

 
Sentii un rumore lontano, ovattato.

Passi, tanti passi che continuavano a farsi più nitidi al mio udito.

Delle mani che mi scoprivano, scostando la coperta che fino a quel momento, copriva il mio corpo infreddolito.

Mi bastò un secondo per capire chi era: Demetri.

Il suo tocco era diverso: era dolce, grave … lento.

Mi trasmetteva serenità.

Sentii le sue labbra sul collo … mi mossi leggermente infastidito, per poi tornare fermo.

Sentii un braccio stringermi la vita e un dolore lancinante al collo.

Durò pochissimo tempo …

«Passerà presto …»

 

 
Caldo.

Il calore accanto al mio cuore si fece sempre più reale. Rovente.

Ancora più caldo … e meno piacevole.

Come se avessi preso un pezzo di legno rovente.

La prima reazione fu quella di lanciar via la fonte del mio dolore.

Ma niente … le mie braccia erano morte, senza vita.

Il calore che provavo proveniva da dentro, dall’ interno.

Nel mio petto, dietro le fiamme, sentii pulsare qualcosa: il mio cuore.

Il calore aumentava.

Mi sentivo letteralmente in fiamme.

In quel momento l’ unica cosa che volessi fare era alzare le braccia, squarciare il mio petto e strappare il mio cuore.

Avrei fatto di tutto pur di sfuggire a quella tortura.

Il calore aumentava sempre di più.

Rovente, prepotente.

Volevo morire.

Lo sentivo espandersi per tutto il corpo, procurandomi altro dolore.

Urlavo.

Mi dimenavo, ma sembrava che non mi sentisse nessuno.

Quanto sarebbe durato?

Cercavo di non urlare, ma non ci riuscivo.

Cercavo di restare fermo, era impossibile …

Vi prego.. ammazzatemi. Pensai.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

Demetri


-
Per tutto il resto del tragitto, non feci altro che pensare a quel momento di intimità trascorso con il mio Alec… sì, proprio così, il MIO.

Io lo avevo salvato da quell’insulso posto da reclusione e da quella donna infernale.

Ma dal momento in cui avrei messo piede a Volterra, il mio compito si sarebbe assolto.

Da allora, sarebbe diventato proprietà assoluta di Aro, ed io sarei rimasto inerme.

Per altro, il sangue di Alec, era troppo dissetante, e, chi poteva assicurarmi che dopo averlo morso, non l’avrebbe ucciso?

Dopotutto, quanto poteva contare un inutile umano di fronte alla sua forza e alla sua grandezza?

Avrebbe potuto farlo fuori in qualsiasi momento, improvvisamente, a suo piacimento. Aro aveva una mente imprevedibile.

Avevo un gran paura di perderlo.

-

Non appena arrivammo davanti alle mura del castello, notai Alec impallidire ulteriormente.

“Coraggio…  stammi vicino…” cercai di tranquillizzarlo, ma vidi che era a dir poco inutile… continuava a tremare.

Rallentai il passo, ma nonostante tutto, non riusciva a starmi dietro.

Prendemmo la seconda via d’accesso, attraverso il passaggio sotterraneo, e al vedere Alec, capii che in realtà si trattava di un luogo fin troppo freddo per un umano.

Una volta arrivati davanti alla grande porta, che ci avrebbe portati all’icontro con i tre capi, notai Alec arrestarsi.

“Che succede? Perché ti sei fermato? Va tutto bene?” subito mi resi conto di avergli posto una domanda priva di senso. Infatti non rispose.

I suoi occhi verdi trattenevano a stento le lacrime.

Erano lucidi come diamanti, e rivelavano terrore… d'altronde, come potevo biasimarlo?

Anch’io provai lo stesso terrore quando venni trasformato in quello che sono.

“Non aver paura” lo rassicurai, aprendo la porta. Poi con tono impercettibileall’orecchio umano, gli dissi “Ti rimarrò sempre accanto, qualunque cosa accada” ma fui più che sicuro, che lui non lo udì minimamente.

“Bentornato mio caro Demetri! Quale piacere e sorpresa!” cantilenò Aro, con il suo solito sorriso beato, che sicuramente riuscì ad incutere terrore al povero Alec, che indietreggiò lentamente.

“Vedo che hai eseguito il tuo compito fino alla fine.”

“L’ho riportato indietro vivo, proprio come voi avevate chiesto, signore.”

“Ottimo” continuò. “Ma ora passiamo al nostro ospite… Alexander, giusto?” chiese divertito, rivolgendosi al mio Alec, che subito annuì, spaventato.

“Mio dolcissimo Alexander…”

Iniziai a perdere la pazienza. Non potevo sopportare che Aro si riferisse a lui con quei termini.

“I tuoi poteri potrebbero regalarti l’immortalità, mio fragile, incantevole, umano…” gli disse ad un centimetro dalle sue labbra, prendendogli il viso tra le mani.

In quel momento persi la lucidità e non riuscii a trattenere un ringhio, che solo Alec non riuscì a percepire.

Aro spostò rapidamente la sua attenzione su di me. “Qualcosa non va, mio carissimo Demetri?” mi disse, con i suoi soliti modi gentili. Anche se aveva inteso tutto alla perfezione.

“No, va tutto benissimo, mio signore” mentii, cercando di controllarmi, anche se in quel momento gli avrei staccato la testa.

Vedevo Alec indietreggiare sempre di più, come se volesse fuggire, rifugiandosi accanto a me, ma io con lo sguardo, gli feci cenno di stare tranquillo.

“Mio caro, porta nella tua stanza il nostro caro ospite, vorrà riposare” disse Aro, rivolgendosi a me, con tono più severo.

Forse mi stava avvisando. Se avrei fatto un passo falso, mi avrebbe fatto fuori. Annuii.

Afferrai Alec per il polso. Era caldo, palpitante.

Sentivo il sangue scorrere velocemente nelle sue vene.

Avevo voglia di lui, e più del suo sangue, del suo corpo caldo.

“Dove mi porti?” mi chiese, meno agitato di prima, interromendo i miei pensieri perversi.

“Nella mia stanza…” che splendida idea, però, aveva avuto Aro. Mi passai la lingua sul labbro inferiore, quasi eccitato al solo pensiero che avrebbe riposato sul mio inutile letto. “Fra un po’ ti metterai a dormire sul pavimento… meglio un letto, non credi?” gli dissi, facendogli l’occhiolino.

Rise.

Era meravigliato dalle decorazioni della mia camera.

D’altronde aveva vissuto in quella lugubre stanza, se così si può definire.

I pensieri che mi passarono per la testa in quel momento erano innumerevoli… tutti perversi.

Lo feci accomodare sul letto sedendomi accanto a lui.

Se fosse stato meno fragile, l’avrei disteso immediatamente su quelle morbide coperte, dopodichè gli avrei fatto letteralmente in mille pezzi quei pochi vestiti che gli erano rimasti addosso dopo quelle notti di pioggia.

Lo scrutai attentamente dalla testa ai piedi, avvicinandomi sempre più al suo viso angelico.

Non badai al fuoco in gola, ormai mi ero abituato, anche se ben presto avrei dovuto colmare la mia sete, perché sentivo delle fiamme ardere dentro.

“Hai paura di me?” gli chiesi seriamente.

“No”

“Hai paura di diventare come me?”

“Solo se sarebbe quel “tuo signore” a farlo” mi rispose, con la voce tremolante. Aveva paura. Era evidente.

“Avresti paura se fossi io stesso a farlo?”

“Con te andrei ovunque… mi fido.” Si avvicinò a circa cinque millimetri dalle mie labbra. “Baciami ancora… te lo chiedo perfavore” il suo respiro era affannato. Mi eccitava troppo.

Come avrei mai potuto rifiutare una richiesta simile?

Non esitai nemmeno un millesimo di secondo e subito le mie labbra erano sulle sue.

Inizialmente fu un bacio casto, ma lui provò a sedersi a cavalcioni su di me. Si strinse saldamente – sempre con la sua delicatezza da umano – e cominciò a muoversi su di me.

“Alec.. Alec… fermati… fermati.” Gli dissi con la voce ancora eccitata, allontanandogli il mento con estrema delicatezza. “Non mi sono ancora dissetato, e improvvisamente potrei perdere il controllo, senza volerlo”

“Capisco, ma io desidero baciarti… voglio farlo.. sempre.” La sua ostinazione mi faceva letteralmente impazzire.

“Adesso ti conviene dormire… sarai sfinito. Dopo passerò di nuovo per controllare, d’accordo?”

Annuì dolcemente.

Prima di andare gli diedi un bacio a fior di labbra. Era caldo. Troppo.
-

Tornai nella sala delle riunioni.

Aro mi aspettava ansioso, seduto sul suo trono.

“Mio caro Demetri! Ti stavo aspettando…” mi venne incontro, con le mani incrociate.

“Dica, mio maestro” gli dissi con aria calma e gentile. Anche se in realtà, calmo, non lo ero nemmeno un po’.

“Quell’incantevole umano” - e già lì cominciai ad innervosirmi - “ha dei poteri notevoli, non lo metto in dubbio… però… il suo sangue…”

Dove aveva intenzione di arrivare????

Il mio corpo venne completamente arso da fiamme. Quelle parole mi fecero emettere un ringhio che non riuscii a trattenere per nessun motivo.

Aro mi ignorò.

Forse non aveva ancora capito che avevo bisogno di lui.

“Non dirmi che lo vorresti tu, mio carissimo Demetri. So che il suo sangue è un tale richiamo che scatena la sete di chiunque di noi gli stia accanto… ma.. lui è mio. Ritengo che le sue capacità siano meno preziose del suo sangue”

La rabbia mi assalì. Un’altra parola e l’avrei ucciso.

Fortunatamente non aveva intuito che il mio desiderio non era il suo sangue.

Forse così avrei potuto fare qualcosa per impedirgli di ucciderlo.

Qualcosa al più presto.
-

Me ne andai da quella sala senza dire una parola, stringendo i pugni.

Tremavo.

Sì. Tremavo.

Avevo paura.

Ovunque andavo vedevo l’immagine del corpo di Alec. Il suo fragile corpo.. dissanguato. Aro disteso su di lui… la sua gola forata. Sangue… sangue dappertutto…

Basta.

Dovevo sbrigarmi.

Aro l’avrebbe ucciso quella notte. Chissà in quale maledetto momento.

Mi precipitai in camera mia.

Spalancai la porta. Lui era lì, dove l’avevo lasciato.

Bello come non mai. Le guance infuocate. Piene di vita.

Dormiva inquieto.

Chissà quali incubi riempivano la sua mente.

Aveva il respiro affannato e il cuore aveva un battito eccessivamente accelerato. Aveva la temperatura alta.

Gli sfiorai la guancia con estrema delicatezza, per poi arrivare al collo e scoprirlo lentamente, sedendomi accanto a lui.

Dovevo trovare il coraggio di farlo.

Di fermarmi.

La paura mi assaliva.

Mi avvicinai alla sua gola infuocata.

Schiusi le labbra e cingendogli la vita con il braccio, affondai i denti in quel morbido collo.

Il suo sangue era una dolce ninfa… un nettare prezioso.

Ne volevo ancora e ancora e ancora… non avrei mai voluto smettere…

Dovevo riuscirci… dovevo trovare la forza. Io lo amavo.

Lui era la mia forza.

Pensai a quei momenti di passione tra di noi… mi travolsero.

Mi fecero ricordare quanto lui fosse importante per me.

Basta Demetri fermati!

Mi fermai.

Ce l’avevo fatta.

Ero riuscito a fermarmi. A non ucciderlo.

“Finirà presto, amore.” Gli sussurrai.

Chissà se l’aveva sentito.

Il suo corpo si contorceva in maniera impressionante.

Non potevo vederlo in quello stato.

L’unica cosa che avrei voluto fare, era porre fine a quella sua sofferenza.

Ma dovevo stare tranquillo.

Dopotutto, sarebbe durato qualche giorno, dopodiché sarebbe ritornato incantevole come prima… forse ancora più.

Urlava. Si dimenava. Si contorceva.

Provai a parlargli, ma sapevo che sarebbe stato tutto inutile.

“Alec? Riesci a sentirmi? Perdonami…”

Non avrei mai voluto provocargli quel dolore lacerante, ma dopotutto cos’altro avrei potuto fare?

Vederlo in quello stato, mi faceva letteralmente impazzire.

Gli rimasi accanto.

L’avrei fatto fino al suo risveglio, fin quando qualcuno non aprì la porta.
-

“Felix!” rimasi atterrito. Come potevo pretendere che nessuno avesse sentito quelle urla atroci?

Il suo sguardo era fisso su Alec, che continuava a contorcersi e a straziarsi.

“Felix, posso spiegare tutto…” cercai di rimediare in qualche modo, ma fu inutile.

“Non c’è niente da spiegare… Aro vuole parlarti di persona.”

Che scusa avrei potuto inventare, per convincere Aro a non ucciderci entrambi?

Ormai era troppo tardi.

Mi avviai, privo di speranze verso la sala delle riunioni, lasciandomi dietro le urla strazianti di Alec.

Per i corridoi non feci altro che pensare a delle scuse valide, ma con scarsi risultati.

Speravo solo di non aver nessun tipo di contatto con lui, altrimenti avrebbe scoperto tutta la verità.

Felix spalancò la porta e lì, trovai Aro seduto comodamente sul suo trono.

Il suo volto era visibilmente sereno, come sempre, ma nascondeva un sorriso infuriato, una smorfia di rabbia.

Se avesse potuto, mi avrebbe squartato con lo sguardo.

Potevo accettare la mia morte, ma non quella del mio Alec.

“Demetri, Demetri… quello che hai fatto è stato per me un grande colpo… un grave errore… non dovevi…”

“Signore, posso spiegarle tutto…”

“Non interrompermi!” mi interruppe, alzando leggermente la voce. “Sei stato da sempre il mio preferito, lo sai, ma quello che hai fatto mi ha fatto cambiare idea… mi hai deluso profondamente. Cosa hai da dire a tua discolpa?” mi disse calmandosi, e avvicinandosi sempre più a me.

“La verità, signore… ho.. notato, che il ragazzo possedeva… delle doti troppo fuori dal comune per… ucciderlo. Mi creda… non ne sarebbe valsa la pena bere il suo sangue. Potrà riconoscere tutto questo appena l’avrà visto trasformato in un incantevole.. immortale.”

Speravo con tutto me stesso che questa scusa avrebbe placato la sua ira.

Lo vidi avvicinarsi ulteriormente.

Abbassai lo sguardo, pronto per un suo verdetto.

“Posso fidarmi di te?” chiese, gentilmente.

Annuii. Forse aveva compreso, ma avevo paura di questa sua reazione.

“Mio carissimo Demetri, la mia stima per te ti ha appena salvato… per oggi…”

Ce l’avevo fatta.

Non potevo crederci, l’avevo convinto.

“Grazie signore…”

“Adesso vai! Ti affido il compito di prenderti cura del nostro novellino!”

Lo lasciai alle mie spalle, e corsi immediatamente dal mio adorato Alec.
-

 
  

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Capitolo VIII

 
Alec

 
Mi sentivo ardere dall’ interno.

Quel calore non cessava mai, aumentava, devastando il mio essere.

Sentivo il sangue fluire sempre più lentamente, e quel fuoco diventare sempre più ardente.

Sentivo le ossa rafforzarsi inesorabilmente.

Nello stesso tempo mi sentivo debole, imponente.

Lo sentivo spargersi nelle spalle, procurandomi un dolore lancinante, passare allo stomaco, facendomi contorcere, ustionandomi il volto, e  riversarsi come acido negli occhi.

Passarono secondi o minuti, forse settimane o mesi, non lo so, ma all’ improvviso tutto incominciò ad avere un senso.

Il dolore cessava sempre di più, lasciandomi.

Sentivo di riprendere il controllo sul mio corpo un passo alla volta, e ogni passo era il segno che il tempo si riattivava.

Mi accorsi che ero in grado di contrarre le dita dei piedi e di stringere i pugni.

Ne ero consapevole ma non volli farlo.

Mi sentivo forte, con i pensieri che filavano dritti, senza intoppi.

Il mio udito si era sviluppato: sentivo ogni rumore.

I respiri corti che compivo.

Il battito lento del mio cuore.

Nonostante quel battito,  mi sentivo nuovo, forte.

Sentivo i passi lontani farsi sempre più nitidi al mio udito.

Odori che non ero mai riuscito a percepire.

 «Alec..?»

Dei passi.

Una voce.. la sua.

Volevo alzarmi, andargli incontro e abbracciarlo forte.

Volevo sentirlo vicino, ma rimasi fermo ed immobile.

Non riuscivo a muovere un muscolo, mi sentivo indolenzito.

Il suo odore aveva impregnato tutta la stanza, arrivandomi alle narici, scatenando mille emozioni nel mio essere.

«Non spaventarmi.. so che puoi sentirmi»

A quel punto persi il controllo.

Aprii gli occhi.

Rimasi stupito da ciò che vidi: Riuscivo a scorgere ogni minimo particolare.

La polvere per aria, sul mobile davanti a me.

Ogni fibra della tenda che ricopriva il balcone alla mia destra.

Ma soprattutto lui.

Era.. stupendo.

Mi alzai dal letto, andandogli davanti.

Sorrise.

Lo abbracciai di slancio, avvolgendolo in una stretta non tanto forte, o almeno così credevo.

«Alec.. ti prego.. non stringere così forte», mi staccai immediatamente.

«Scusa..», sobbalzai udendo la mia voce.

Il tono era cambiato: era squillante, forte.

Fastidioso per me.

«Tranquillo», mormorò venendomi davanti. «Sei splendido», continuò subito dopo.

Ridacchiai piano.

Vidi uno specchio attaccato ad una parete.

Ci andai davanti, posizionandomi davanti ad esso.

Osservai il mio riflesso.

La mia pelle era pallidissima, la toccai... era fredda e ruvida, non più calda e liscia.

I capelli si erano scuriti, erano d’un nero corvino.

Passai agli occhi.. sospirai.. il verde smeraldo era scomparso, lasciando spazio ad un rosso vinaccia, acceso, vivo.

Gli occhi erano cambiati tantissimo: avevano assunto una leggera curva a mandola, le ciglia nere, li incorniciavano, donandogli una nota di.. dolcezza, anche se quel colore, dava l’ impressione dell’ esatto contrario.

«Ehi..», un sussurro.

Mi voltai. «Come mi trovi?»

Ridacchiò. «Come ti senti? Come ti vedi?»

Una sola parola frase. «Diverso. Mi sento completamente diverso. Forte tanto da demolire un palazzo, ma.. ho la mente svuotata»

«Passerà tranquillo. Altre sensazioni?», chiese venendomi vicino.

Stavo per negare, ma all’improvviso un dolore lancinante mi colpì alla gola.

Ardeva, lasciandomi senza fiato.

Gemetti.

«Che succede Alec?»

Massaggiai la gola, ritmicamente. «La gola.. brucia»

«Devi nutrirti. Vieni», disse con tono deciso, avvicinandosi al balcone, scostando la tenda.

«Usciamo dalla finestra?», chiesi ironico.

Lo vidi guardare di sotto, forse per controllare se ci fosse qualcuno.

«Non ti piace come idea?»

Gli andai incontro.

«Mi va bene. Ora però andiamo. Sto morendo»

Lo vidi gettarsi di sotto, atterrando però, in piedi.

Lo imitai, dopo qualche secondo gli ero di nuovo vicino.

Per la piazza non c’era nessuno, tanto meglio.

«Cosa senti?»

Chiusi gli occhi.

Sentivo dei cuori battere, voci distinte e soprattutto mille odori diversi.

L’ odore del sangue era sublime.

Mi morsi il labbro, riposando lo sguardo su quello di Demetri.

«Ci vediamo nel bosco», risi, sfrecciando lontano da lui.

Mi guardavo intorno, cercavo di scrutare ogni minimo dettaglio, riuscendoci.

Era tutto così straordinario, unico.

Sentii una scia farsi più intensa.

Mi fermai di botto, guardandomi intorno freneticamente.

Avevo sete.

La gola ardeva procurandomi un fastidio immondo.

Sentii dei passi.. mi voltai. «Sei troppo veloce Alec, dovresti rallentare»

Gli andai vicino. «Mi aiuti?»

Annuii, stringendomi i fianchi con le mani. «Devi percepire la scia, capire da dove viene.. e soprattutto devi capire se riesce a stuzzicare la tua sete..»

Chiusi gli occhi.

Annusai l’aria.. sentivo mille odori diversi, ma solo uno riuscii ad attirare a pieno la mia attenzione.

Una voce: Una donna.

Tanto meglio, sarebbe stato più facile.

Mi liberai dalla presa di Demetri, correndo via il più veloce possibile.

Arrivai davanti ad un dirupo, non così tanto alto.

Forse saltando.. l’avrei scavalcato.

Ci provai, riuscendo a scavalcare quel dirupo al primo tentativo.

Mi guardai intorno, quella scia continuava a farsi sempre più vicina.

Ripresi la corsa, voltandomi qualche volta, sperando che Demetri mi stesse dietro.

Arrivai ad un ruscello, dove una donna era intenta a riposare sotto ad un’ albero.

Gli andai vicino.

Sentii un liquido riversarsi nella mia bocca, facendo aumentare il bruciore che proveniva dalla gola.

La vidi sbadigliare, stiracchiarsi le ossa.

Mi guardò fisso negli occhi, sobbalzò cogliendomi impreparato.

Sobbalzai spaventato, forse sarei dovuto tornare indietro.

Stava per urlare, le tappai la bocca. «Sta zitta!»

Sentii le sue lacrime bagnarmi il palmo della mano. «No.. non piangere. Non farà così male, dopotutto durerà un’ istante».

Si dimenava, cercava di scappare.

Le artigliai la nuca, avvicinandomi alla sua giugulare.

Individuai la vena in cui fluiva quel nettare che bramavo.

Affondai immediatamente i miei denti nella sua tenera carne, incominciando a succhiare.

Sentivo il sangue fluire nella mia bocca e riversarsi nella gola, placando finalmente quel fastidio.

Quando finalmente non sentii più niente, mi allontanai.

Il corpo della donna aveva assunto un colore bianco, segno di morte.

Dalla gola si poteva intravedere la ferita che io stesso le avevo procurato.

Gli occhi spaventati, ormai erano spenti, senza vita, senza senso.

«Ehi.. com’è andata?»

«Credo.. bene», sussurrai senza voltarmi.

Continuavo ad osservare quel corpo.

Mi sentivo in colpa: le avevo strappato la vita in qualche secondo, solo per puro bisogno.

Forse ero diventato un’ essere senza cuore..

«Sono un mostro..»

«Cosa dici Alec? È la nostra natura, non possiamo farci niente»

Annuii.

Aveva ragione.

«Vieni, torniamo a casa, ti va?»

Dopo qualche secondo eravamo già di ritorno.

 

 
Tornammo in camera, senza farci vedere da nessuno.

Volevo rimanere da solo con Demetri, solo con lui.

«Come ti senti adesso?», mormorò Dem, chiudendosi la porta alle spalle, venendomi incontro.

«Non posso lamentarmi.. per adesso»

Rise.

Mi abbracciò.

Mi strinsi a lui. «Mi sento così strano.. è normale?»

«Normalissimo»

Mi strinse la mano, avviandosi verso il letto.

Si sedette.

«Vieni qui..», mormorò.

Mi misi a cavalcioni su di lui, stringendogli le spalle, cercando di non perdere l’equilibrio.

«Ti ho già detto che sei bellissimo?»

Alzai un sopracciglio. «Ci stai provando, forse?»

Sentii la sua mano sulla mia schiena, facendo aderire i nostri corpi. «Forse..»

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


CAPITOLO IX

Demetri

-
Spalancai la porta della mia camera.

Lui era lì.

A dimenarsi e a contorcersi  dal dolore, ancora più di prima.

Starlo a vedere in quello stato, era straziante per me, quasi quanto il suo tormento.

Mi inginocchiai per terra, accanto al letto e ci rimasi, immobile, per un giorno e due notti.

Non mi mossi da lì, nemmeno per andare a caccia.

Non mi importava quanto bruciore avessi in gola, perché, in quel momento, il mio unico pensiero era lui.

Osservarlo, mi face tornare in mente, il dolore che provai io, quando all’epoca venni trasformato.

Chi fu costui? Non ricordavo minimamente.

L’unica cosa che non riuscii mai a dimenticare del mio passato da umano, fu appunto, lo stessa sofferenza interiore che stava provando Alec, da quasi due giorni.

Man mano che si avvicinava al completamento del processo di trasformazione, cominciava ad agitarsi sempre meno, iniziando a riprendere il controllo del suo corpo.

Contrasse le dita della mano, in modo quasi impercettibile, e il battito del suo cuore, ben presto, cominciò a rallentare, fin quando non emise l’ultimo, profondo, battito…

Non vi era più alcun suono o rumore sordo.

Silenzio totale.

Aveva smesso completamente di respirare.

Mi allontanai, per istinto, ma quando fui più certo di avere la situazione sotto controllo, mi avvicinai nuovamente, con passo lento, quasi incerto.

“Alec…? Non spaventarmi… so che puoi sentirmi.”

Aprì gli occhi.

Indietreggiai istintivamente.

Mi scrutò attentamente, sedendosi sul letto, dopodiché, in una frazione di secondo, me lo ritrovai davanti, a cinque centimetri dal mio viso.

“Wow… semplicemente.. mozzafiato…” sorrisi.

Non mi diede il tempo di finire, che mi afferrò saldamente.

Mi sentii come in una morsa.

“Alec… ti prego… non stringere così tanto… sei un tantino più forte di me al momento.”

“Scusa…” mormorò.

La sua voce era cambiata. Sembrava il suono di un campanellino. Dolce, sottile e… sensuale allo stesso tempo.

“Tranquillo…” mi avvicinai, scrutando la sua bellezza. “Sei splendido…” continuai, incantato dalla sua immagine.

Il suo passo, era così elegante e leggero, che sembrava si librasse in aria.

Il suo sguardo, al contrario, era così intenso e travolgente… se l’avessi guardato fisso negli occhi, mi sarei sicuramente perso in quel rosso cremisi.

Le labbra, invece, erano semplicemente… sublimi.

La trasformazione lo aveva reso ancora più incantevole, addolcendone ulteriormente i tratti.

La sua pelle, pallida, fredda, sottile, era quella che si può definire la perfezione.

Mi avvicinai a lui, cingendogli la vita da dietro, indirizzandolo verso uno specchio.

“Guardati, amore…” gli sussurrai, con le mani sui suoi fianchi. “Guarda cosa sei diventato… ammira la tua estrema finezza” continuai, carezzandogli il viso, con la punta delle dita.

“Direi che ne è valsa la pena” rise.

Improvvisamente, una sfera di luce si rifletté dritta su di lui… brillava come un diamante al sole.

La sua pelle, sembrava avere mille sfaccettature… era una visione di estrema bellezza, una rarità assoluta.

Mi disse di sentirsi diverso.

Lo era.

Ma per me era rimasto lo stesso. Il mio Alec.

Il mio Alec meno debole, ma molto, molto più affascinante.

 “Che succede?” gli chiesi vedendolo gemere.

“La gola… brucia”

“Lo so… devi cercarti qualcuno da bere… devi nutrirti.” Gli dissi, con tono deciso, invitandolo ad uscire dalla finestra.

-

Quella, fu la caccia migliore della mia vita.

Vederlo cacciare, il suo modo animalesco di uccidere, mi eccitava particolarmente.

Inizialmente, lo osservai da lontano, ma poi ritenni più giusto lasciarlo fare nella sua tranquillità.

Dovevo nutrirmi anch’io dopotutto.

Mi sentivo debole.

Ero rimasto così tanto tempo accanto ad Alec, per assistere alla sua trasformazione, che avevo completamente messo da parte le fiamme che mi laceravano la gola.

Le sentivo ardere più che mai.

Mentre cercavo qualcuno da bere, pensai a come avremmo trascorso il resto della serata.

Avevo una voglia matta di assaggiare le sue nuove labbra… di toccare la sua pelle fredda… di odorare il suo nuovo profumo.

Avevo voglia del suo corpo… lo desideravo con tutto me stesso.

Quel desiderio mi spinse ad uccidere.

Sangue… avevo voglia di sangue…

Stavo letteralmente impazzendo.

Dovevo sbrigarmi… dovevo vederlo. Dovevo… averlo.

Quel pensiero mi fece quasi arrivare all’orgasmo.

Lasciai scivolare a terra quei corpi privi di vita.

Provavo repulsione nel vederli.

Li lasciai incenerire, mentre corsi via il più veloce possibile per raggiungerlo.

-

Aveva appena ucciso una donna.

Chissà quanto piacere aveva provato nel farlo.

Vedere la sua immagine, eretta, dinanzi a me, mi faceva provare un estremo piacere.

“Ehi… com’è andata?” gli sussurrai da dietro.

“Credo… bene. Dimmi… secondo te sono un.. mostro?” mi chiese, voltandosi verso di me.

“Cosa dici Alec?” lo guardai accigliato. Come poteva pensarlo? Per me era tutt’altro che un mostro… un angelo oscuro. “è la nostra natura, non possiamo farci niente.” Continuai, sfiorandogli
il viso.

Annuì.

“Torniamo a casa, ti va?”

Speravo in un suo sì, perché sinceramente, se non saremmo tornati, avrei realizzato i miei desideri perversi direttamente lì.

-

In una manciata di minuti eravamo di ritorno.

Tornammo in camera, di nascosto.

“Come ti senti adesso?” gli chiesi, chiudendo la porta alle mie spalle.

“Non posso lamentarmi… per adesso.” Rise.

Mi avvicinai a lui sempre di più, abbracciandolo.

Sentii il suo abbraccio saldo, possente.

“Mi sento così strano… è normale?” mi chiese torvo.

“Normalissimo… è tutto perfetto… tu sei perfetto.” Mi avvicinai ulteriormente alle sue labbra.

Gli strinsi la mano, e mi avviai verso il letto, sedendomi.

“Vieni qui…” lo incitai, con la voce già eccitata.

Me lo ritrovai a cavalcioni su di me, con le braccia attorno alle mie spalle.

Con le dita, gli spostai quei morbidi capelli che gli scendevano sulla fronte, coprendogli quell’incantevole viso.

“Ti ho già detto che sei bellissimo?” gli sfiorai le labbra.

“Ci stai provando, forse?” mi disse sensualmente, alzando un sopracciglio.

Gli misi una mano sulla schiena, facendo aderire il suo corpo al mio. “Forse…”

Cominciammo a baciarci con passione… quella passione che avrei desiderato dal primo istante.

Avevo troppa voglia di stenderlo sul letto, ma masochista per quant’ero, volevo far durare il più possibile quel momento.

Staccai le mie labbra dalle sue. Mi guardò contrariato.

“Dimmi di cosa hai voglia…”

“Dem… io… volevo appunto porti una domanda…”

“Sono qui anche per questo… dimmi tutto.” Speravo tanto di aver raggiunto il mio intento.

“Com’è… beh… com’è il… sesso tra…”

“Tra vampiri, intendi?”

“Tra uomini.”

Era proprio quello che volevo sentirmi chiedere.

Quelle parole, pronunciate da lui, mi eccitavano troppo.

“Non temere… lo scoprirai molto presto…” gli sussurrai, prendendolo per la vita e stendendolo sul letto, in modo violento. “Che ne dici di togliere via qualche strato?” mi leccai le labbra, cominciando a sbottonargli la camicia.

Mi guardò fisso negli occhi, mordendosi il labbro inferiore, già eccitato. “Direi che è un’ottima idea…”

Sentii il suo respiro affannato… continuava ad ansimare ogni volta che la mia mano gli percorreva il corpo.

Mi fece perdere la testa…

La sua camicia, finì in mille pezzi, e lo stessa fine avrebbero ben presto fatto i suoi pantaloni.

Il suo corpo, anche se sarebbe rimasto immutato in eterno, come quello di un ragazzino sedicenne, era la cosa più eccitante che avessi mai visto in vita mia.

La sua pelle era cerea, ed emetteva luce propria, proprio come un corpo celeste.

Potevo finalmente toccarlo e stringerlo saldamente, senza il rischio di ucciderlo.

Anche se il suo fisico era apparentemente più fragile del mio, possedeva una forza tale da ribaltare le posizioni, senza fare un minimo sforzo.

Possibilmente, riuscì a farlo, solo perché ero un po’ stordito dall’eccessiva eccitazione.

Infatti, non appena ripresi lucidità, le ribaltai nuovamente, rimanendo a cavalcioni sul suo basso ventre.

Il suo fisico, pallido e freddo, mi metteva su di giri, stimolando in me la voglia di.. sentirmi dentro di lui.

Desideravo averlo… solo il pensiero, mi faceva fremere e mi induceva a muovermi energicamente sul suo ventre.

Sapevo che desiderava la stessa cosa, infatti, con la sua rapidità, non mi permise di sfilarmi la camicia, perché lo aveva già fatto lui.

Il suo tocco freddo, intenso e delicato allo stesso tempo, era qualcosa di unico che mi eccitò ulteriormente. Sentii subito il bisogno di baciargli quelle morbide labbra color cremisi.

Sembrava non gli bastasse, infatti, scese a baciarmi il collo, facendo percorrere la sua lingua fredda e umida lungo tutto il mio corpo, facendomi gemere.

Quella frenesia, mi faceva perdere letteralmente la testa, e in una frazione di secondo, rapito dalla voglia di amarlo, non mi resi quasi conto, di aver messo fuori uso il letto, provocando un rumore sordo.

“Divertente… non credi?” gli dissi, con la voce spezzata dal forte stimolo.

“Molto…” rise “Ma ti prego… continua…” Riusciva a parlare a stento anche lui.

“Continueremo sul pavimento…” gli sussurrai, con mezzo sorriso. “Ti sembra che un simile inconveniente, possa riuscire a frenare la voglia che ho di te?”

“Non farlo, allora…”

“Non potrei mai…”

Ripresi a baciarlo con forza e passione… i nostri corpi combaciavano perfettamente e le nostre labbra si muovevano all’unisono.

Mentre inserivo le dita fra i suoi capelli, lui continuava a sfiorarmi delicatamente la schiena, procurandomi mille brividi in tutto il corpo.

Con un movimento quasi impercettibile, mi sbottonò i pantaloni e io, gli sfilai di dosso i suoi con i denti, facendolo boccheggiare.

Con la lingua, gli ripassai il lobo e scendendo verso il collo, gli morsi ripetutamente la gola, facendolo inarcare.

Intrecciò le sue mani con le mie e, facendomi alzare, mi mise al muro con forza, venendomi davanti con un sorriso orgoglioso.

Il suo sguardo da ragazzino era così sexy, che non seppi trattenere la voglia di assaggiare ancora le sue labbra, ma prima che potessi farlo, infilò una mano oltre l’elastico dei miei boxer, facendomi arrivare all’orgasmo.

Il suo tocco, saldo e delicato insieme, mi fece rabbrividire e, totalmente privo di controllo, lo presi violentemente per i fianchi, e facendolo girare di spalle, lo bloccai al muro.

Il dolce profumo che emanava la sua pelle, si diffuse rapidamente all’interno delle mie narici, facendomi riprendere improvvisamente lucidità.

Non volevo usare quella violenza.

Con lui non era semplicemente sesso… volevo amarlo in tutti i modi possibili ed impensabili, ma non usando quella brutalità.

Attirato dalla bellezza del suo corpo, e dal piacere smisurato che mi faceva provare, avevo perso totalmente la testa, non pensando che lui aveva bisogno di amore… lui, che non ne aveva mai ricevuto.

“Dem… perché ti sei fermato?” mormorò, voltandosi, con la voce soffocata. Mi stringeva saldamente la vita.

“Alec… io vorrei che questo fosse il momento più bello della nostra vita eterna, insieme. Voglio renderlo unico, perfetto…”

“Ma tu lo rendi già perfetto! Non smettere… ti prego, ne voglio ancora… di desidero con tutto me stesso!!!” mi strinse le spalle, con tono supplichevole.

“Non smetterei mai…” continuai, sfiorandogli appena le labbra.

Riprese a sorridere.

Era quello che volevo vedere. Il sorriso sulle sue labbra.

Il sorriso che mi faceva perdere la testa.

Con un semplice gesto gli sfilai i boxer, e, stringendolo a me, feci aderire i nostri corpi, facendoli combaciare perfettamente.

Si irrigidì leggermente, ma volli metterlo subito al suo agio, intrecciando la mia mano con la sua.

Mi feci spazio al suo interno, muovendomi continuamente avanti e dietro, facendogli emettere dei profondi sospiri eccitati, che mi stimolarono maggiormente, e, tenendolo per l’inguine, aumentai l’intensità delle spinte.

I suoi respiri affannati mi facevano impazzire.

Lo amavo. In quel momento più che mai.

Lo spinsi più forte verso il muro, arrivando al piacere assoluto.

Lo feci voltare verso di me. “Adesso sai.. com’è… il sesso… tra uomini” gli parlai, sfiorandogli le labbra.

“Direi che… è semplicemente… meraviglioso.. il sesso.. con te….” Mi rispose, scandendo le ultime due parole.

Gli sorrisi, passandomi una mano tra i capelli, rubandogli un altro dolce e intenso bacio.

“Mi chiedo come faremo a smettere… non sarò mai stanco di fare l’amore con te…” mi trascinò sul pavimento.

“Non dovrai esserlo… tu puoi.. baciarmi.. toccarmi…” lo baciai ad ogni singola parola. “Quando vuoi… ogni volta che ne sentirai il bisogno… Solo tu” gli scostai i capelli dal viso, sfiorandogli con le dita, le labbra carnose.

Sorrise, stringendosi a me.
-

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Capitolo X

 
Alec

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«Forse?»

Mi scostò i capelli dal viso, accarezzandomi poi, la guancia.

«Ti ho già detto che sei bellissimo?», domando.

«Adesso.. mi pare»

Si avvicinò al mio viso.
Lo osservai per qualche secondo buono.

Era splendido, tutto di lui mi attraeva.

La sua voce, il suo viso, il suo fisico.. tutto.

Presi l’iniziativa, incominciando a baciarlo.

Sentivo le sue braccia stringermi a lui, facendo aderire perfettamente i nostri corpi.

Sentivo la sua lingua sfiorare la mia, e la mia fare lo stesso.

Si toccavano inesorabilmente.

Sentivo l’eccitazione salire inesorabilmente, sempre di più, ogni minuto che passava, faceva salire la mia eccitazione.

Sentivo le sue mani vagare nel mio corpo, procurandomi mille brividi.

Provavo delle sensazioni sconosciute, mai provate.

Si allontanò, lasciandomi una sensazione amara: il fastidio che provavo.

Mi lamentai.

«Dimmi di cosa hai voglia..»

Non ci pensai minimamente.

Non si deve pensare, quando c’è un’altra persona a farlo per te.

«Dem.. io ci terrei molto a porti una domanda»

«Dimmi tutto.. sono qui per questo, no? »

Mi morsi il labbro.

Ed ora come gli dicevo tutto ciò? Che imbarazzo.

Se sarei di nuovo umano, le mie guancie sarebbe diventate paonazze dalla vergogna.

Non sapevo come comportarmi, dopotutto non avevo mai fatto.. sesso.

«Bé.. com’è il sesso tra.. tra..», bisbigliai.

Mi maledii mentalmente.

Quando cadevo nelle mie stesse parole, era un vero casino.

«Il sesso tra vampiri, forse?»

Negai.

No, non era quello.

Sentii una strana sensazione farsi spazio dentro di me, causandomi un leggero fastidio.

«No.. tra uomini»

Rialzai lo sguardo, inchiodandolo nel suo.

Mi osservava. «Non temere.. lo scoprirai presto..», sentii le sue mani stringermi i fianchi.

Mi fece stendere sul materasso, con decisivamente.. molta violenza.

Non pensavo volesse essere violento anche se l’idea non mi dispiaceva.

Incominciò a giocare con i bottoni della mia camicia, sbottonandoli uno ad uno.

«Che ne dici di togliere qualche strato?»

Si leccò le labbra, continuando a sbottonare ogni bottone, arrivando subito all’ ultimo.

«Direi che è un’ottima idea..», dissi, con la voce roca.. rotta dal desiderio.

Prese ad accarezzarmi in ogni dove.

La sua mano sul mio corpo era qualcosa.. di meraviglioso.

Le sue carezze erano speciali, gravi, lente.

Mi facevano impazzire.

Mi strappò la camicia, lasciandomi a petto nudo.

Provavo un senso di imbarazzo, ma non lo feci notare.

Risultare un bimbetto timido e insicuro, era l’ultima cosa che volessi fare in quel momento.

La sentivo vagare sul petto, la vita, i fianchi ed infine il ventre.

Senza nessun ritegno, ribaltai le posizioni, mettendomi a cavalcioni su di lui, sedendomi sul suo basso ventre.

Sentivo la sua eccitazione salire e.. quei pantaloni che adesso erano decisivamente stretti.

Lo guardai.. aveva un’espressione di godimento assoluto dipinto sul volto.

Il respiro affannoso, anche se praticamente.. non era successo niente, almeno per ora..

Per mia sfortuna, invece, Dem ribaltò nuovamente le posizioni, mettendosi a cavalcioni su di me.

Si muoveva sul mio corpo, mozzandomi il fiato.

Stava per sfilarsi la camicia, ma lo feci prima io.

La buttai per terra, lontano da me e da lui.

Era perfetto, il suo corpo era mozzafiato.

Lo baciai, partendo dalla giugulare, andando in basso, per poi risalire lentamente.

Passavo la lingua sul suo petto, lasciando una scia.

Lo senti fremere.

Venne sospirando sommessamente.

Mi allontanai quel tanto che bastava per poterlo guardare meglio.

Aveva un’espressione indecifrabile.

Stava bene o male? Non riuscivo a capire, a scorgere la minima possibilità di una mia.. opzione.

Si mosse rapidamente, facendomi sussultare.

In quell’ unico movimento era riuscito a.. dividere quel letto, facendoci ritrovare entrambi sul pavimento.

Avevo il respiro affannoso.

Cercavo di fare dei respiri profondi, non riuscendoci.

L’eccitazione che provavo, mi impediva ogni cosa.

«Divertente.. non trovi?»

«Molto.. ma ti prego.. continua», sussurrai.

Non volevo fermarmi.

Avevo voglia di lui, del suo corpo.

Lo desideravo immensamente.

Volevo sentirlo dentro di me, volevo essere suo.

Totalmente, soprattutto nell’ animo.

«Lo faremo sul pavimento.. Credi che questo piccolo inconveniente, possa fermarmi?».

Negai. «Tu non farlo»

«Non potrei mai»

Mi prese  la mano, facendomi finire a cavalcioni su di lui.

Riprendemmo a baciarci.

Lo accarezzavo, stringendo i suoi capelli fra le mani, spingendolo di più a me.

Le sue labbra si muovevano in sincronia, le lingue danzavano in una danza apparentemente senza fine.

Tra un bacio e l’altro, gli sbottonai i pantaloni.

Si allontanò da me, facendomi scendere dalle sue gambe.

Lo vidi abbassarsi fino al mio ventre.

Mi abbassò i pantaloni coi denti, facendomi boccheggiare.

Tornai a cavalcioni su di lui.

Sentii le sue braccia stringermi saldamente, facendomi aderire al suo corpo marmoreo.

Sentii la sua bocca sulla gola, la morse ripetutamente, facendomi inarcare.

Gemetti.

Lo pregai mentalmente di continuare, di non fermarmi.

Stavo impazzendo dal piacere, la mia mente era totalmente sconnessa dal corpo.

Non controllavo nemmeno la più minima azione.

Mi alzai, sbattendolo al muro con forza.

Gli andai davanti, sorridendogli.

Gli accarezzai le spalle, scendendo lentamente lungo il petto, arrivando subito dopo all’ elastico dei suoi boxer.

Sfiorai il tessuto, per poi infilare una mano al suo interno.

Gemette.

Inarcai lo sguardo.

Mossi il dito, dall’ alto, verso il basso sul suo membro ormai eretto.

Ansimava ripetutamente, procurandomi un piacere indescrivibile.

Mi fece scostare, prendendomi per la vita, spingendomi contro il muro.

Sentivo le sue mani toccarmi, senza fermarsi un secondo.

Arrivò ai miei boxer, strappandomeli letteralmente di dosso, lasciandomi totalmente nudo ai suoi occhi.

Si avvicinò a me, stringendomi a lui.

Sentii un leggero fastidio.

Cercai di non farlo notare.. o almeno.. ci provavo con tutto me stesso.

Mi strinse a lui, facendomi avvicinare al suo corpo.

Lo sentivo muoversi lentamente, sentivo il suo fiato dolce sulla pelle.

Ansimavo senza sosta.

Sentivo le gambe tremare all’ inverosimile.

Mi sembrava di cadere nel vuoto, ma per fortuna avevo le sue braccia a sorreggermi.

Sentivo le sue spinte aumentare d’intensità, procurandomi un piacere senza fine.

Non riuscivo a trattenere il piacere.

Lo sentii allontanarsi uscendo da me, sempre però tenendomi stretto a lui.

Sentii una strana sensazione farsi spazio dentro di me, ma non ci badai troppo.

«Ti ho fatto male?», sussurrò al mio orecchio, portandomi sul letto.

«No..», confermai a bassa voce.

Mi distesi sul letto.

 Mi sentivo debole, le forze mi avevano abbandonato immediatamente.

«Adesso come ti sembra il sesso tra uomini?»

Ridacchiai.

Che domande.. «Fico..»

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Capitolo XI


Demetri
 

Quella passata con Alec, fu la notte più bella di tutta la mia esistenza.

Lo avevo amato proprio come desideravo farlo dal primo momento.

Non riuscivo a dimenticare quelle immagini, che riaffioravano continuamente nella mia mente… le sue labbra… il suo corpo perfetto… la sua pelle gelida sulla mia… il suo respiro freddo… la sua voce calda e sensuale.

Tutto di lui mi attirava.

Non avevo mai amato in vita mia.

Forse perché non avevo mai conosciuto il vero significato della parola amore.

Ma con lui, era tutto facile.

“Alec… credo sia ora di rivestirsi.”

Si voltò verso di me, con quella sua espressione splendida. “Cosa dovrei indossare?”

“Beh… non credo vorresti rimetterti quei vestiti” li indicai. “Anche perché, non credo che potresti, vedendone lo stato” curvai le labbra all’insù, in un sorriso soddisfatto. “È ora di cambiare stile. Dovresti indossare la nostra uniforme.. sai… simile alla mia... da adesso in poi fai parte dei Volturi, e questo richiede un certo portamento.”

“Ottimo… Cosa dovrei indossare?”

In una frazione di secondo aprii l’armadio e gli mostrai la sua uniforme.

“Dovrai adattarti…” continuai.

“Sarà difficile.” Mormorò dirigendosi verso il bagno.

Mi rivestii in un attimo, e dopo qualche minuto riapparve davanti a me, con quegli splendidi vestiti addosso.

Era una visione di estrema bellezza.

“Come sto?” mi chiese, sorridendo.

“Vuoi realmente saperlo?... Sei un incanto.” Confessai, avanzando verso di lui. “Ma manca ancora una cosina… Voltati”

Gli sfiorai il collo, poggiandogli una collana sul petto. “Ora puoi considerarti uno di noi… un Volturi.”

Annuì, gettandosi al mio collo. “Cosa facciamo adesso?” mi chiese.

“Ti spoglierei nuovamente… molto volentieri” gli sussurrai, ad un centimetro dalle sue labbra, sfiorandogli la schiena. “ma non posso… quindi, cosa ne dici di uscire dalla nostra… camera?”

Quella stanza aveva ancora l’odore dell’amore.

La abbandonammo alle nostre spalle, e mano nella mano, gli feci visitare tutto il palazzo.

In lontananza vidi Felix, avanzare verso di noi. “Felix…” mormorai.

“Demetri…” mi rispose, stringendomi la mano. “Hai parlato con Aro?”

Annuii. “Ci terrei a presentarti… Alec…”

“L’hai mostrato ad Aro?” mi chiese, quando vidi Alec irrigidirsi.

“Non ancora… ma a dirti la verità, è l’ultima cosa che vorrei fare.” Si allontanò.

“Andiamo…” mi rivolsi ad Alec. “Forse è meglio seguire il consiglio di Felix. Prima parliamo con Aro, meglio è, non credi?” gli chiesi, porgendogli la mano.

“Però… mi resterai vicino, vero?”

“Ovviamente” gli intimai, sfiorandogli la tasca posteriore dei pantaloni.

Rise.

Aprii la porta e Aro, Caius e Marcus, erano lì, come se ci stessero aspettando.

“Vedo che il nostro ospite è in ottima forma, non trovate, fratelli miei?” mormorò entusiasta Aro, avanzando verso Alec, che indietreggiò istintivamente. “Mio caro… Alexander..”

“Non fare il cortese, o il gentile, perché non lo sei!” rispose schietto Alec.

Rimasi atterrito.

Non potevo minimante credere alle mie orecchie! Aveva fegato quel ragazzo… tanto, ma tanto fegato.

“Come osi rivolgerti ad uno di noi con questo tono?” tuonò Caius, balzando dal trono.

Mi misi subito in posizione di difesa, pronto ad attaccare, nel caso ci fosse stato il bisogno.

“Mio signore, lo perdoni è solo un po’ confuso” intervenni, prendendo le difese di Alec.

“Lui voleva uccidermi!!!” continuò sfacciatamente, indicando Aro.

“Ti sbagli mio caro. Sono stato io a dire a Demetri di trasformarti. Le tue doti sono importanti per me..” mentì Aro.

Sentii la rabbia dentro e fu molto difficile riuscire a trattenermi.

Avrei voluto eliminarlo all’istante.

Come poteva mentire così spudoratamente, mettendomi in cattiva luce di fronte ad Alec?

Strinsi i pugni.

“Mi fai schifo!” continuò Alec. “E se credi che ti porterò rispetto, beh, ti sbagli di grosso! Sei un vile!!!”. Gli stava a pochi centimetri dal suo volto.

Mi misi pronto, nel caso Aro gli avesse sferrato un attacco, ma mi sbagliai, perché, in meno di un secondo, Aro si ritrovò schiantato contro il muro, che venne completamente frantumato.

Si rialzò rapidamente, lanciandosi contro Alec.

Subito mi misi al centro della stanza, pronto per difendere Alec, ma Aro, inspiegabilmente, era già disteso a terra, senza muoversi, né respirare. Inerte.

“Alec, calmati adesso” gli sussurrai, sfiorandogli il viso“Andiamo, prima che ti uccidano”

“Scusa Dem… sono troppo.. nervoso” disse, a denti stretti, sparendo in un istante.

Ero preoccupato. Gli corsi dietro.

Era inutile cercarlo, tanto, sapevo già dove si sarebbe rifugiato.

Spalancai la porta della mia camera.

Come avevo infatti previsto, era lì, con lo sguardo rivolto verso la finestra.

Lo raggiunsi, standogli dietro.

Con la mano, gli sfiorai una spalla, e ben presto la sua, si posò sulla mia.

“Dem… grazie per aver cercato di difendermi..”

“Questo è il minimo che io possa fare per te… io ti amo”

“Davvero?” si voltò verso di me, con la sua espressione stupenda.

“Mai stato più serio… ti amo più della mia esistenza… dal primo momento, in cui ti ho salvato da quel maledetto orfanotrofio”

“Sappi che ti amo anch’io…” mi rispose, baciandomi dolcemente le labbra.

Sentii un brivido scendermi lungo il mio corpo.

“Visto amore? Sono riuscito a calmarti…” gli sorrisi, e lui, subito, lo ricambiò. “Ma vorrei sapere, come hai fatto a stendere quel… forse è meglio che non pronunci il suo nome…”

“Io… non lo so… so solo che in quel momento, ho sperato con tutto me stesso di vederlo al tappeto… di farlo smettere di muoversi… di parlare… di respirare… sentivo l’odio percorrermi le vene… volevo vederlo.. morto”

Rimasi impressionato.

Lo guardai meravigliato.

“Amore… il tuo è… un dono…” ero impressionato persino dalle mie stesse parole.

“Un dono?”

“Sì esatto… quando provi odio, riesci a mettere al tappeto chiunque tu voglia.”

“Voglio imparare! Dem, ti prego… aiutami a controllare questo mio… potere!”

“D’accordo… ci proverò.” Gli promisi, anche se non avevo la minima idea di come fare. “Quando torneremo, ti andrebbe una doccia?” gli sfiorai il collo con il respiro.

“Eccome se mi andrebbe…”

-
 

Lo portai nella radura.

La mia preferita.

Lì mi ero appunto accorto di quanto amassi Alec.

Mi ricordò il primo bacio mentre lui era ancora umano.

Eravamo abbastanza lontani da Volterra.

L’avevo scelto apposta, per non essere disturbati, o peggio, scoperti.

Mi fermai poco più avanti di lui, dandogli le spalle.

«Dopo aver schiantato Aro, ho visto come una nebbia. Cerca di riprovarci di nuovo»

«Ma come?», mi chiese.

«Pensa ad Aro, immaginalo qui, davanti a te» lo incitai.

Attesi qualche secondo, ma non accadde nulla.

«Non ci riesco..», disse scoraggiato.

«Tranquillo. Dai amore, non abbatterti adesso, non ne hai motivo. Riproviamo» lo incoraggiai.

Sorrise.

Volevo aiutarlo.

Era importante per me, vederlo felice.

“Coraggio… fai scaturire la rabbia che hai dentro!”

“Ci provo…” mi rispose, concentrandosi al massimo.

Era inutile. Non ci riusciva.

Non era motivato.

“È inutile! Non ci riesco…” 

Dovevo escogitare qualcosa per stimolarlo.

Forse avevo un’idea…

“Pensa a cosa mi farebbe Aro, se scoprisse di noi… se scoprisse che ti ho trasformato solo perché ti amo… mi ucciderebbe…” vedevo la rabbia crescere in lui.

Lo stavo stimolando bene. “Pensa ad Aro mettermi le mani addosso… al mio corpo senza vita… al suolo… inerte…”

Lo vidi tremare.

Sentivo la sua rabbia crescere e sommergerlo completamente.

Riuscii a vedere una leggera nebbiolina, cospargersi dalle sue dita.

“Continua così Alec! Vai… puoi farcela!”

Quella che prima era una leggera nebbiolina, divenne più estesa.

Mi confuse leggermente.

“Bravissimo amore… ce l’hai fatta!”

“Davvero?” la nebbiolina era scomparsa.

Lui era felice.

Mi saltò addosso a braccia aperte, facendomi cadere al suolo.

Ridacchiò.

Lo feci anch’io. Avevo voglia di baciarlo.

In quella posizione era alquanto sexy, infatti i miei pantaloni, cominciarono a stringere.

“Uuuuhhh” Rise. “Il mio Demetri ha una certa.. voglia” sfiorò la mia sporgenza.

“Come lo hai scoperto?” gli chiesi, eccitato.

“Lo sento!” Ridacchiò, sfiorandola nuovamente.

“Non provocarmi, altrimenti faccio a pezzi anche questi vestiti” gli sussurrai.

“Direi che puoi farlo volentieri.. a casa!  L’idea della doccia è ancora valida?”

“Senza ombra di dubbio. Dai, andiamo.” Gli dissi, cercando di farlo alzare.

“D’accordo… ma prima baciami.” Mi sussurrò all’orecchio.

Sentii il suo respiro freddo sulle mie labbra, dopodiché prendemmo a baciarci con passione.
 

 -
 



 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Capitolo XII

 
Alec
 

«Sai.. credo sia ora di rivestirsi. Non trovi?»

Mi voltai. «Sì.. ma cosa mi metto?»

Lo vidi alzarsi, dirigendosi verso l’armadio di fronte.

Mi sedetti sul pavimento, a gambe incrociate, coprendomi con uno dei lenzuoli.

«Se i miei vestiti non sarebbero brandelli, avrei potuto mettere quelli, non trovi? »

Lo vidi annuire. «Sì ma toglierli delicatamente.. in quel momento.. No, non mi andava»

«Come farai senza letto, adesso?», mormorai.

Mi venne davanti, con dei vestiti in mano. «Non pensiamo al letto adesso. Rivestiti e torna qui, okay?»

Mi alzai, prendendo quegli abiti, per poi dirigermi nella stanza da bagno.

Mi avvicinai allo specchio, fermandomi per poter scrutare il mio riflesso.

Ero un disastro: i miei capelli erano completamente scompigliati, mille ciocche ricadevano sulla mia fronte.

Guardai quegli abiti, storcendo il labbro.

I completi giacca, camicia e cravatta non erano di certo quello che desiderassi in quel momento.

Li indossai, lasciando però la cravatta da un’altra parte.

Quella non l’avrei messa nemmeno sotto tortura.

Uscii da quella stanza, tornando da Dem.

«Cavolo, non sembri nemmeno più tu»

«Adesso non esagerare»

«Sei splendido.. ma manca ancora qualcosa », mormorò.

Lo vidi avvicinarsi a me. «Voltati», mi incitò.

Lo feci.

Lo sentii giocherellare con qualcosa di metallico.

Mi guardai il petto.. aveva agganciato una collana al mio collo.

Aveva un simbolo strano, ma non ci badai.

Mi voltai per poterlo guardare meglio.

«Ora sei perfetto. Un vero.. Volturi»

Annuii, avvicinandomi a lui, per poi gettargli le braccia al collo.

«Che facciamo?», chiesi.

«Ti spoglierei nuovamente.. ma non posso.. quindi..», disse, facendo scorrere una sua mano sul mio sedere.. Ridacchiai.

«Che ne dici di uscire da questa stanza?», continuò.

«Direi che è un’ottima idea», confermai, afferrando la sua mano, per poi uscire da quella stanza.

Mi guardavo intorno, scrutando ogni minimo particolare.

Quel posto era così buio e senza vita.

Mi trasmetteva una tristezza..

«Questo palazzo è una noia mortale.. Dem», sussurrai, sicuro che mi avesse sentito alla perfezione.

Lo vidi guardare in avanti, con fare scocciato.

Lo imitai.

Vidi un ragazzo venirci incontro.

Ci fermammo.

«Felix», lo salutò Demetri, sorridendo.

«Demetri.. Hai parlato con Aro?

Indietreggiai sentendo quel nome.

Sentivo la rabbia montare inesorabilmente.

Volevo vederlo morto quello stupido.

«Felix.. vorrei presentarti Alec», mormorò Dem.

Mi fissò per qualche secondo, per poi tornare a guardare Demetri.

«L’hai mostrato ad Aro?», chiese.

«A dire il vero, no.  Anche se lo vorrei evitare. Questa è l’ ultima cosa che vorrei fare», dichiarò Dem, a bassa voce.

Gli strinsi la mano.

Non volevo andarci da Aro.. mi avrebbe ucciso sicuramente..

Felix se ne andò, lasciandoci da soli.

«Forse è meglio seguire il suo consiglio: Prima parliamo con Aro, meglio è, non credi? »

Annuii, ricominciando a camminare.

Arrivati davanti alla pesante porta, mi fermai.

«Mi resterai vicino, vero?»

Lo sentii armeggiare con la tasca posteriore del mio pantalone. «Ovvio», ridacchiò.

Ridacchiai.

Entrammo.

Li vidi: Erano seduti sui loro rispettivi troni, con la solita apatia dipinta sul volto.

Aro però, appena mi vide, si alzò dal trono, venendoci incontro.

«Vedo che il nostro ospite è in gran forma, non trovate, fratelli miei?», disse entusiasta, avanzando verso di me.

Indietreggiai istintivamente.

«Mio caro Alexander..»

«Non fare il cortese, o il gentile, perché non lo sei», dissi schietto.

Silenzio assoluto, sentivo lo sguardo di tutti puntato su di me.

Non mi importava.

Ero fatto così: tutto ciò che pensavo.. dovevo dirlo ad alta voce, se no rischiavo di esplodere.

«Come osi rivolgerti ad uno di noi con questo tono?», urlò il biondo, alzandosi dal suo trono.

Non mi scomposi, ne tantomeno lo fissai.

Era solo un’esibizionista, non serviva a niente.

«Mio signore, lo perdoni.. è solo un po’ confuso, niente di che..», intervenne Demetri, in mia difesa.

Sentivo gli occhi pizzicare, procurandomi un fastidio immondo.

«Lui voleva uccidermi», sbraitai indicando Aro, che nel frattempo mi era davanti.

«Ti sbagli mio caro. Sono stato io a chiedere a Demetri di trasformarti. Le tue doti sono molto importanti per me».

Fissai per qualche secondo Demetri.

Sapevo che Aro mentiva.. era un vile.

«Mi fai schifo. Se credi che io ti porterò rispetto, sbagli di grosso. Sei solo un vile », sussurrai a denti stretti.

Stava per contra battere, ma gli sferrai un pugno che lo fece volare a qualche metro di distanza.

Il silenzio che pochi minuti fa, dominava in quella stanza, fu immediatamente sostituito dai sussulti dei presenti.

Lo vidi rialzarsi e venirmi in contro.

Ringhiai.

Lo volevo morto subito, in quel momento.

Volevo farlo fuori con le mie stesse mani.

Lo volevo vedere muto, sordo e immobile su quel pavimento.

Inerte all’istante.

Così fu.

Mentre continuava ad avvicinarsi lo vidi rallentare, per poi cadere con un tonfo sul pavimento.

«Alec, calmati adesso», sussurrò Demetri al mio orecchio, accarezzandomi la guancia lentamente.

«Scusa Dem.. sono solo un po’.. nervoso», sussurrai andandomene da quella stanza.

Mi sentivo oppresso, senza fiato.

La presenza di quell’essere riusciva a mandarmi in bestia.

Me ne tornai in camera..

Cosa avevo combinato? Cosa avevo fatto?

Forse.. quelle famose doti di cui tanto parlavano, esistevano sul serio.

Sentii la porta aprirsi.

Sentii una mano poggiarsi sulla mia spalla, seguita subito dopo, dalla mia.

«Dem, grazie per aver cercato di difendermi»

Mi voltai verso di lui, sorridendogli.  «Davvero?»

«Dal primo momento. Ti amo più della mia esistenza»

Mi avvicinai alle sue labbra.

Le sfiorai. «Sappi che.. anch’io ti amo»

«Visto amore? Ti sei calmato»

Gli sorrisi.

Era solo merito suo.

«Ma ora vorrei sapere solo una cosa: Come hai fatto a fare ciò che hai fatto su quello?»

«Non lo so. So solo che lo volevo morto.. o almeno, sordo, muto e fermo..»

Sembrava stupido, esterrefatto.

«Amore.. il tuo è.. un dono»

«Un dono?». Chiesi, inclinando il capo da un lato.

Annuii.

«È formidabile. Vuoi una persona morta.. è quella stessa persona cade al tappeto»

«Voglio imparare ad usarlo al meglio. Forse è anche utile. Mi insegni, Dem? », gli chiesi supplichevole.

Ero intenzionato a migliorare in tutto, volevo renderlo fiero di me.

A tutti i costi.

«Ci proverò».

Gli saltellai davanti, abbracciandolo di slancio. «Grazie»

«Quando torniamo.. ti va una doccia?» sussurrò al mio orecchio.

Mi morsi il labbro.

Quella proposta non era niente male, anzi.

«Ovvio che mi va», confermai.

«Bene.. ora andiamo, ti va?»

Annuii vivacemente.

Prima saremmo andati, prima saremmo tornati.


 

Mi portò in una radura.

Era gigantesca ma soprattutto silenziosa.

Un punto a mio favore.. amavo il silenzio, mi aiutava a concentrarmi al meglio.

Demetri era a molti metri di distanza, davanti a me.

«Quando hai usato il tuo dono, nella sala, prima, ho visto come una nebbia. Una distorsione della vista.. riprovaci di nuovo»

«Come?», chiesi.

«Pensa ad Aro, immaginalo qui, davanti a te»

Cercai di fare come mi aveva chiesto, con scarsi risultati.

«Non ci riesco..», dissi atterrito.

Non ci riuscivo. Era inutile provare, senza senso.

Ero solo una delusione, non servivo a niente.

«Tranquillo, amore. Non abbatterti adesso, non ne hai il motivo. Riproviamo»

Sorrisi.

Aveva ragione.

Niente era perduto, almeno non adesso.


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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


CAPITOLO 13


Demetri

Mi baciò dolcemente, ma allo stesso tempo con passione.

Aveva voglia di me… lo sentivo.

I miei pantaloni si facevano inesorabilmente sempre più stretti.

Sentivo quasi, che sarebbero scoppiati da un momento all’altro.

Capovolsi le posizioni, premendo un dito sulle sue labbra.

“Shh… sei una tentazione per me… non ti resisto…” gli sussurrai  all’orecchio. “Ti prego torniamo a casa”

Il solo pensiero di rifare sesso con lui, mi metteva su di giri.

Ci alzammo in fretta, presi dal desiderio di soddisfarci, e ci dirigemmo verso Volterra.

-                        

Al Palazzo incrociammo nuovamente Felix.

Era il mio migliore amico, ma in un certo senso, da quando stavo con Alec, mi dava quasi fastidio incontrarlo.

Non so esattamente il perché.

“Demetri…” fece un inchino col capo “Aro vuole parlarti in privato.”

Parlava con me, ma era come se non lo stesse facendo.

Fissava Alec, non so per quale sporco motivo.

La mia rabbia saliva spietatamente.

“Il tuo nuovo amico qui, lo ha fatto infuriare.”

“È un neonato, Felix, non riesce ancora a controllarsi…” cercai di dire, in sua difesa, stringendo saldamente la vita di Alec.

“Non ha la minima importanza” rispose lui, deciso. “Ha attaccato uno degli anziani”

“Ma lui voleva uccidermi!” si difese Alec.

Lo guardai, facendogli capire di contenersi.

Felix continuava a fissarlo.

Se Alec aveva aggredito uno degli anziani, ed era ancora vivo, io potevo benissimo schiantare quel colosso in qualche colonna.

Qualcosa mi dava l’impressione che Felix desiderasse qualcosa da lui.

Speravo solo di sbagliarmi.

“Tranquillo Alec, non ti accadrà nulla…  torniamo in camera” lo tranquillizzai.

Lo presi per mano, stringendola forte.

Volevo restare solo con lui.

Dimenticare tutto il resto… Aro… Felix… tutto e tutti.

Amarlo.

Mi chiusi la porta dietro le spalle, e lo raggiunsi al centro della stanza.

“Adesso siamo completamente soli… possiamo fare tutto quello che desideri, compreso… baciarmi… toccarmi…” gli sussurrai all’orecchio, sfiorandogli il collo con le labbra.

“Dem… ti desidero… adesso. Sono tuo” mormorò, a cinque millimetri dalle mie labbra.

Sentii il suo respiro freddo, sfiorarmi la gola. “Esatto… hai detto la cosa giusta… sei solo mio”

Lo incitai a sdraiarsi sul pavimento.

“Riprendiamo da dove avevamo lasciato.” Mormorai. “Dove eravamo rimasti?” appoggiai il mio corpo sul suo.

“Se non ricordo male, le posizioni erano un tantino diverse” mi mise le mani sui fianchi, facendo ribaltare le posizioni.

Si posizionò esattamente allo stesso modo, come  aveva fatto nella radura.

“Adesso sì, che cominciamo a ragionare” aveva un sorrisetto soddisfatto stampato sulle labbra.

“Non provocarmi amore…” ansimai, mentre i pantaloni cominciavano a divenire quasi insopportabili da tenere addosso.

Lo strinse forte attraverso i pantaloni. Non riuscii a trattenere un sospiro di piacere.

Non resistetti… gli strappai letteralmente i vestiti di dosso.

“Adesso cosa dovrò indossare, dopo che hai eliminato anche questo vestito?” chiese, con il suo solito sorriso ammiccante, mentre continuava a stringerlo.

Non aveva ancora capito che non doveva provocarmi.

“Questa è una cosa che non dovresti minimamente pensare, anzi… prova a pensare che se continui, perderai anche quelli…” gli mostrai i suoi boxer.

Si morse il labbro inferiore.

“Fallo allora…” mi provocò.

Mi passai la lingua sulle labbra. “Ogni cosa al suo tempo” gli intimai.

Gli sfilai i guanti con i denti.

Si eccitava solo a vedermi.

Si muoveva vigorosamente sul mio basso ventre.

Aveva la mia stessa voglia.

Feci aderire i nostri corpi. Lo desideravo.

Lo desideravo più della prima volta.

Già sapevo quanto era stupendo fare sesso con lui, quindi volevo riprovarlo.

Mi tolse la camicia, fin troppo, delicatamente.

“Dio, strappala Alec! Devi strapparla!” ansimai.

“Ogni cosa al suo tempo” imitò la mia voce. “Non l’hai detto tu stesso?” sussurrò, leccandomi le labbra.

Quel suo sarcasmo da ragazzino, mi faceva perdere la testa.

Era così sensuale.

Il suo corpo, apparentemente immaturo, era fin troppo provocante.

Scatenava in me un desidero carnale, tale, da far venir fuori la mia parte erotica.

Gli cinsi la vita, e con un semplice gesto, lo feci posizionare sotto il mio corpo, ormai quasi del tutto svestito.

Cominciai a baciare le sue labbra, morbide, carnose.

Poi scesi verso la sua gola, per arrivare lungo tutto il suo corpo, su cui feci scorrere la mia lingua, procurandogli un piacere incontenibile.

Il suo respiro ansimante mi faceva letteralmente impazzire.

Volevo sentirlo gemere ulteriormente.

Continuai ad assaporarlo, scendendo verso il suo basso ventre, per poi arrivare fino all’orlo dei boxer.

Lo feci trasalire.

Con le mani, mi incitava a scendere.

Non me lo feci ripetere due volte.

Lo assaporai, percorrendolo con la lingua da sopra a sotto, lasciando una scia umida.

Respirava affannosamente, e le urla gli soffocavano in gola.

I suoi ansimi erano rotti dalla forte eccitazione.

Persi completamente la testa.

Lo presi saldamente dai fianchi, guidandolo verso il tavolo, dove vi era lo specchio.

Non oppose un minimo di resistenza.

Lo feci sdraiare su di esso, continuando a toccarlo in ogni dove.

Si voltò, dandomi le spalle, facendomi capire che voleva sentirmi dentro.

Lo accontentai all’istante.

Mi feci spazio all’interno di lui, continuando a muovermi, inizialmente con un ritmo lento, poi sempre più veloce, aumentando l’intensità delle spinte.

Ad ogni spinta, lui non faceva altro che emettere respiri strozzati, incitandomi a fare sempre più rapidamente.

Sentii qualcosa di incontenibile al mio interno, che ben presto fuoriuscì, concludendo il mio bisogno.

Lo fece anche lui, poi, voltandosi verso di me, poggiò le sue labbra sulle mie, pronunciando le parole che desideravo sentire.

“Ti amo…”

“Io di più…” gli sorrisi.

“Non è vero… io di più!” alzò la voce, imitando quella di un ragazzino di dodici anni, seguita da una smorfia.
 
Gli baciai nuovamente le labbra carnose.

“Come ti senti?” gli chiesi, carezzandogli il viso.

“Direi che il paradiso non ha nulla a che vedere, in confronto a come mi sento…”

“Il paradiso non è nulla in confronto a te” gli sfiorai le labbra.

Mi sorrise.

Il suo sorriso era paragonabile solamente alla luce del sole.

Lui brillava.

“Amore… direi che adesso avremmo bisogno di un bel bagno” gli intimai.

“Hai ragione…” ammise, osservandosi.

“Vado a riempire la vasca… ti aspetto lì” mi morsi le labbra.

-

-

Ritornammo in camera dopo qualche ora.

Quella volta scelsi per Alec un completo nero, semplice.

“Prova questo” gli dissi, porgendoglielo.

“Direi che questo è decisamente migliore di quello che mi hai strappato la scorsa notte” ridacchiò.

Lo indossò rapidamente. Era semplicemente un incanto.

“Come sto con questo?” mi chiese, avanzando verso di me.

“Direi che sei splendido… anche se ti preferisco senza niente addosso” armeggiai con la sua tasca posteriore. Rise.

“Adesso che faremo? Andremo a parlare con quel… miserabile?”

“È inevitabile, purtroppo…” gli risposi, facendo una smorfia. “Adesso, dovrei scambiare due parole con Felix… andiamo, amore?”

“Si Dem, ti raggiungo subito… sarebbe meglio che io prima metta in ordine questa camera.. se si può definire così” mi disse, indicandomi gran parte della stanza, completamente in frantumi.

Non seppi trattenere una risata.

“D’accordo… raggiungimi” gli sussurrai, mandandogli un bacio dalla soglia della porta.

-

Raggiunsi Felix nei corridoi.

Sembrava mi stesse aspettando.

“Felix…” gli feci cenno col capo.

“Demetri… Sei andato a parlare con Aro?”

“Non ancora…” gli confessai. “Ma lo faremo più tardi, non appena Alec sarà pronto.”

“A proposito del tuo nuovo amichetto… sarei più che lieto di conoscerlo meglio…”. Alzò un sopracciglio.

“Che intendi dire???” lo guardai torvo, emettendo un ringhio.

“È un tipo molto interessante… mi affascina particolarmente…” si morse il labbro inferiore.

Tremavo.

Tremavo dalla rabbia.

Un’altra singola parola e l’avrei ucciso.

Le mie supposizioni erano totalmente esatte.

Mi disgustava.

“Ripeti ciò che hai detto, se hai il coraggio!!!” la mia rabbia cresceva inesorabilmente.

Sentivo ogni parte di me, ogni singola cellula, prendere letteralmente fuoco.

Continuavo a tremare, e se avessi perso il controllo, l’avrei fatto in mille pezzi.

“Ho detto qualcosa che non va?” chiese, come se non avesse detto niente.

“Sei un verme spregevole!!!” gli sganciai un pugno, in pieno volto.

Arrivò su una colonna, spaccandola a metà.

Si rialzò immediatamente, era furibondo.

“Tu! Tu sei un uomo morto!!!” Lo afferrai dal collo, e con un semplice gesto, lo schiantai sul pavimento, che si allineò.

“Ritieniti fortunato se non ti uccido subito! LUI. È. MIO!!!” scandii parola per parola, continuando a premerlo al suolo.

“Dem che sta succedendo???” Era Alec. Mi voltai di scatto.

“Alec… andiamo via di qui, prima che io lo faccia fuori” lo presi per mano, trascinandolo in camera.

-

“Amore mi vuoi spiegare cosa è successo???”

“Vuoi realmente saperlo???” sbraitai, ma me ne pentii subito. “Scusa amore… Felix ti desidera.” Confessai.

“In che senso? Non capisco”

“Felix ti ha messo gli occhi adosso… è attratto da te.”

“Non è possibile… ecco perché mi guardava in modo strano…”

Lo osservai. Era stupendo.

Lui era solo mio.

Avrei lottato per lui, anche a costo della morte.

“Che problemi ti fai amore?” mi sfiorò il mento. “Io amo solo te… lo sai benissimo”

Lo baciai dolcemente, sfiorandogli le labbra.

“Lo so amore… ma non riesco a sopportare che qualcuno possa metterti le mani addosso.”

“Devi stare tranquillo… insieme, supereremo ogni ostacolo”

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Capitolo XIV

 
Alec
-
 

Ci sono volte in cui, tutto ciò che in quel momento ti circonda, scompare, lasciandoti cadere in un vuoto apparente, non così apparente.
Ci sono anche quei momenti in cui tutte le tue speranze, sono annullate con l’arrivo di un qualcuno.
Demetri, riesce ad annullare ogni mio presentimento, o dubbio, standomi vicino con la sua sola presenza.


“Ti amo”, mormorai voltandomi verso di lui.

Lo guardai; era splendido.

“Io di più..”, bisbigliò.

Lo guardai contrariato.  “No, io!”, urlai.

Rise, appoggiando le sue labbra sulla mia bocca. Si staccò dopo qualche minuto.

“Come ti senti?”, chiese accarezzandomi la guancia.

“Credo che.. il paradiso, in questo momento, non abbia niente a confronto.. a come mi sento in questo momento..”, confessai. Lo amavo, l’avrei dimostrato fino allo sfinimento.

“Il paradiso in confronto a te, non è minimamente niente”.

Sorrisi.

“Credo che un bagno... non ci farebbe male, non trovi?”, continuò subito dopo.

Mi guardai il corpo, sì, un bagno era la cosa migliore in quel momento.

“Hai ragione..”, ammisi.

Si diresse verso il bagno. “Vado a riempire la vasca, ti aspetto dentro”

Lo seguii subito dopo, entrando in quella stanza.

“Finalmente sei arrivato”, ridacchiò.

Risi. “Ti sono mancato per caso?”

Lo vidi annuire e voltarsi verso di me. “Molto”

 

 
Quando uscimmo da quella stanza, per mia fortuna, potetti rivestirmi completamente, sperando che la prossima volta, anche questo completo non faccia la stessa fine degli altri.

“Come sto?”, chiesi.

Dem prese a osservarmi dalla testa ai piedi, ripetutamente, ma soprattutto così velocemente, che quasi mi spaventò.

“Vuoi la verità?”, domandò alzandosi, vedendomi davanti.

Lo guardai strano. –No Dem, prendimi per i fondelli, per favore-, pensai ironicamente, anche se l’avrei esposto a voce, molto volentieri, ma non era il momento di fare l’ironico.

“Sei un’ incanto.. splendido”, dichiarò. “Anche se ti preferisco... nudo”, continuò poggiando una mano sul mio posteriore. Risi annuendo.

Nella mia mente, con un tuono, apparve il volto di Aro. Sospira. Adesso mi sarebbe toccato parlare con lui, e magari, ascoltare la ramanzina che avrebbe fatto a Dem, per colpa mia.

“Che facciamo adesso? Aro ci aspetta, vero?”, sussurrai.

Non volevo vederlo.

Avevo così tanta paura, ma non per me, ma di poter perdere Demetri, in qualche modo.

Era così importante per me...

“Tranquillo, non ti accadrà niente”

“E se ti faranno qualcosa per colpa mia?”, mormorai scoraggiato al massimo.

“Non mi accadrà niente. Non ti accadrà niente, chiaro? Devi stare tranquillo. Non permetterò mai a nessuno di farti del male. Lo giuro, Alec”

Non lo fermai per niente al mondo, le parole mi erano morte in gola, lasciandomi senza fiato.

Lo amavo tantissimo, in quel momento più che mai.

“Vieni con me, prima andiamo da Aro, prima torneremo a stare da soli, anche se... dovrei scambiare due paroline con Felix, vieni, amore”

Lo vidi dirigersi verso la porta, ma prima di uscire, si voltò verso di me, con uno sguardo interrogativo. “Non vieni?”

“Si che vengo, ma prima vorrei riordinare questa camera che a dirla tutta... è un vero disastro”.

Fece una smorfia di disaccordo, ridacchiai guardandolo, era così buffo.

Lo sentii ridere.

Ridacchiai sotto i baffi.

“Sì... ma raggiungimi presto, ti prego”

Rimasi da solo in quella stanza.

Mi guardai intorno: Un letto in frantumi, coperte sparse, un tavolo... o quasi. Un bel vedere, nel senso contrario del termine.

Spostai i pezzi di legno da un lato, mettendomi uno sopra l’altro, ripiegai le coperte, mettendole sul tavolo, aprii le finestre; quella stanza doveva cambiare aria.

Amavo l’aria fresca, non l’odore di chiuso.

Sentii un frastuono provenire da fuori e la voce di Demetri.

Mi precipitai immediatamente fuori.

Mi avviai dove la scia era molto più intensa e ciò che vidi, mi colpì, e non poco: Felix si stava appena rialzando da terra, togliendosi un pezzo della colonna, che era crollata sicuramente con l’impatto del suo corpo e... Demetri davanti a lui, con una smorfia di rabbia dipinta sul volto, che mai e poi mai avrei dimenticato.

“Lui è mio, chiaro?”, sbraitava Demetri.

“Dem, che succede?”, urlai, avvicinandomi a lui.

Si voltò di scatto, facendomi indietreggiare di qualche passo.

“Vieni con me Alec, prima che lo ammazzi”, sbraitò avvicinandosi a me, prendendomi per il polso e trascinarmi nuovamente in camera.

Mi richiusi la porta alle spalle, sospirando sommessamente.

Girava in tondo, si torturava le mani, sbraitava in continuazione.

Demetri aveva un brutto vizio: Taceva. Aveva litigato con qualcuno: taceva; era arrabbiato: taceva.

O taceva, o urlava contro qualcuno, ma stranamente, urlava con tutti, tranne che con me.

“Amore, vorresti spiegarmi cosa succede?”, chiesi con tono insicuro.

Avevo paura di una sua qualsiasi reazione.

Si voltò di scatto, rivolgendo la sua attenzione verso di me. “Lo vuoi sapere davvero?!”

Lo vidi cambiare espressione in tempo record: Da arrabbiato, diventò pentito.. “Perdonami amore, mi dispiace.. non dovrei urlarti contro, tu non meriti questo trattamento e che.. quel Felix.. lui.. lui ti desidera, chiaro? Lui ti vuole, e questo mi fa davvero arrabbiare. Mi manda in bestia”

Non capivo cosa intendesse, anche se, un presentimento mi diceva, che forse era meglio non saperlo.

Ci sono momenti in cui... ti senti inopportuno, un peso.

Ci sono momenti in cui... vorresti avere un motivo per cui essere felice; Lo avevo, ma in quel momento... era così turbato da rendermi irrequieto.

“Ti guarda in quel modo, perché è attratto da te”, sbottò.

In quel momento avrei vomitato volentieri, quell’essere era ripugnante per me, così ripugnate da provocarmi un senso di nausea ogni volta che il mio sguardo si posava sul suo, anche per tre secondi contati.

Poggiai una mano sulla sua guancia. “Devi stare tranquillo, io amo solo e unicamente te”.

Sentii le sue labbra poggiarsi sulle mie.

Gli morsi il labbro inferiore, allontanandomi subito dopo.

“Lo so, ma non sopporto che qualcuno possa toccarti”.

Gli sorrisi. “Tranquillo. insieme supereremo ogni ostacolo”

Mi strinsi a lui. “Giurami che.. mi resterai sempre vicino, ogni cosa accada. Giuramelo Demetri, ti prego. Ho sofferto così tanto.. non voglio ricominciare a farlo”, sussurrai al suo orecchio.

Avevo sofferto troppo nella mia vita, e un’ altro dolore, mi avrebbe ammazzato, portandomi all’orlo della sopportazione.

“Lo giuro amore mio. Non ti abbandonerei mai per niente al mondo, a parte adesso... Devo parlare con Aro. Vieni con me?”

Mi scostai di qualche centimetro. “Vai avanti tu, ti raggiungo subito”

Annuii, uscendo dalla stanza.

Mi morsi un labbro.

Mi sentivo strano, oppresso da mille sensazioni negative.

Non so quanto tempo passai in quella stanza... forse ore, forse minuti.

Uscii, dirigendomi a passo spedito verso la sala conferenze.

Avevo memorizzato quel palazzo nella mia mente, come una mappa assai dettagliata.

Durante il tragitto, incrociai Felix.

Mille sensazioni negative incominciarono ad assalirmi.

Ansia. Tensione.

‘Calmo Alec, non ti accadrà niente.”, pensai nervosamente.

Aumentai il passo: Prima avrei raggiunto Dem, meglio era.

Sentii il suo sguardo addosso, mi procurava repulsione, odio.

“Dove vai così di fretta?”

“Da Demetri. Devo parlare con Aro”

Sentii un braccio afferrarmi e far urtare in malo modo il mio corpo, contro il muro.

“Aspetteranno ragazzino”

Provai a dimenarmi, ma mi teneva fermo, gravando il suo corpo sul mio.

“Che vuoi eh?”, sbraitai. Volevo andarmene.

Mi accarezzò la guancia con una mano, mentre l’altra vagava sul mio corpo, accarezzandomi fin troppo l’interno coscia. “Volevo sapere cosa ci trova Demetri in te..”

“Mi fai schifo!”, urlai.

Mi diede uno schiaffo, facendomi voltare. “Devi tacere, sgualdrina che non sei altro. Che pensi? Ti sento la notte... ”, sussurrò vicinissimo al mio volto.

Strinse il mio polpaccio così forte, da farmi male. “Mi fai... schifo... Lasciami stare!”

Mi dimenavo, cercavo di allontanarlo in ogni modo, ma non ci riuscivo, era più forte di me.

Sentivo la sua erezione contro di me. “Suvvia ragazzino, potrebbe piacerti, no?”

Sentivo gli occhi pungere inesorabilmente.

Sentivo le sue mani armeggiare con i pantaloni, calandoli di poco.

Sentii dei passi in lontananza, quei passi che inspiegabilmente risvegliarono le mie speranze.

“Dem..”, sussurrai.

“Che credi piccoletto, lui mi aiuterà in tutto..”

“Lascialo o giuro... che ti ammazzo all’istante”.

Ci sono momenti in cui, quando la speranza sembra ormai persa, qualcuno, inspiegabilmente, la fa tornare all’istante.

“Che cosa succede Demetri?”, chiese con tono ironico continuando a stringere l’interno coscia.

Mi lamentai, la sua stretta era insopportabile, faceva un male tremendo.

Cercai di allontanarlo in tutti i modi, ma niente, continuava a restarsene attaccato a me.

“Ti ho detto di lasciarlo, chiaro?”, ringhiò Dem, avanzando di qualche passo verso di noi.

“Se no? Dai Demetri, vuoi farmi davvero credere al fatto che tu tenga davvero a questo moccioso? È ridicolo da parte tua”

Ero disperato, volevo andarmene via, lontano, avevo bisogno di pensare.

“Sbagli Felix, sbagli di grosso”, mormorò. “Lascialo stare, adesso, o giuro che ti ammazzo”

No, non sarei andato via, sarei rimasto volentieri.

Lui mi amava, giusto?

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Capitolo XV
 


Demetri
 


Si strinse a me.

Era così forte, crudele nella sua natura, ma io continuavo a vederlo fragile, indifeso.

Gli accarezzai i capelli, che gli scendevano morbidi sul volto.

“Giurami che.. mi resterai sempre vicino, ogni cosa accada. Giuramelo Demetri, ti prego. Ho sofferto così tanto.. non voglio soffrire più” mi implorò, strofinando il suo dolce viso sulla mia gola.

“Lo giuro amore mio… non dovrai più soffrire da ora in poi, perché ci sono io. Io ti starò sempre accanto, pronto a difenderti e a proteggerti, qualunque cosa accada.  Non ti abbandonerei mai per niente al mondo, a parte adesso.. Dovrei parlare con Aro. Vieni con me?”

Forse udire quel nome, lo fece rabbrividire.

“Vai avanti tu, Dem… io ti raggiungerò.. molto presto”

Annuii, facendo finta di niente, ma capii subito che la sua, era paura.

Io ero pronto a proteggerlo, in tutti i modi, anche a costo della vita.

Io lo amavo.

Era troppo importante per me.

La mia vita non avrebbe avuto più senso, se lui fosse scomparso, così, da un momento all’altro, come se non fosse mai esistito.

Sentii una fitta dentro, come se mi stringesse l’anima.

Non dovevo minimamente pensarlo.

Quei pensieri, mi uccidevano.

L’unico mio compito, oltre a quello di amarlo e renderlo felice, era proteggerlo.

E l’avrei fatto fino alla morte.

Dopotutto ci eravamo giurati amore… quell’amore che sarebbe dovuto durare in eterno.

Mi feci di coraggio, stringendo i pugni, pronto per affrontare Aro, se ce ne fosse stato il bisogno.

Stranamente, ma per sua fortuna, quella volta per i corridoi, non incrociai quello sporco verme…

Al solo pensiero della sua lurida faccia, sentii la rabbia crescere.

Forse aveva capito come stavano le cose e aveva quindi deciso di starsene alla larga… ma lui non era il tipo.

O forse, aveva deciso di vendicarsi, spifferando tutto ad Aro.

Mille pensieri mi passarono per la testa.

Ero confuso.

Inspiegabilmente, Alec, non mi aveva ancora raggiunto.

Quanto ci metteva?

Qualcosa dentro, mi incitava a tornare indietro.

L’agitazione cresceva implacabilmente.

Avrei rimandato la visita ad Aro, ma dovevo, inequivocabilmente, tornare indietro.

Sentivo degli strani rumori, provenire da dietro l’angolo.

Speravo solo di sbagliarmi.

Ansia. Ansia. Ancora Ansia.

Sentii dei respiri agitati, che aumentavano man mano che mi avvicinavo.

Poi una voce. La sua.

Chiamava il mio nome.

Ebbi un senso di vuoto dentro. Una voragine.

Tremavo.

Tremavo dalla forte rabbia.

Svoltai l’angolo.

Lui era lì, puntato contro il muro.

Quel verme lo teneva fermo e lo… toccava. In ogni dove.

“Lascialo o giuro… che ti uccido all’istante!” sbraitai.

Come se niente fosse, Felix si voltò verso di me, continuando a ridere come un maniaco. Lo era a tutti gli effetti.

“Che succede… Demetri?” continuava a toccarlo.

“Ho detto di lasciarlo andare, chiaro???” ringhiai, avanzando sempre più verso di loro.

“Altrimenti che fai? Suvvia Demetri… vuoi farmi davvero credere al fatto che tu tenga a questo moccioso? Non è altro che una sporca sgualdrina… sei ridicolo quanto lui”

“Ti sbagli… sei tu quello ridicolo… sei ripugnante, mi fai vomitare. Mi fai schifo! Non sei altro che un verme disgustoso…” la mia ira aumentava, totalmente fuori controllo.

“Un altro passo e ti giuro che farò vedere al tuo amichetto, chi sono i veri uomini… gli farò provare il vero piacere..”

Era ad un centimetro dalle sue labbra, continuava a muoversi ritmicamente sul suo corpo, facendolo aderire ulteriormente.

Alec era fermo, immobile, con un’espressione terrorizzata.. completamente indifeso.

Con un gesto quasi impercettibile, si abbassò la cerniera dei pantaloni.

Persi la lucidità, e gli balzai addosso, aggredendolo da dietro.

Avrei voluto smembrarlo, ma era troppo forte in confronto a me.

Opponeva troppa resistenza… non ce l’avrei fatta da solo.

“Alec!!! Scappa!!!” gli urlai.

Rimase lì, immobile, come se non gli avessi detto niente.

“Diamine, Alec!!! Ho detto di fuggire!!! Vai via da qui!”

Non lo fece.

Questo mi indebolì ulteriormente.

Avevo paura che Felix l’avrebbe coinvolto nello scontro.

Avevo paura di perderlo.

Sarebbe morto.

Persi le forze… Felix mi schiantò al suolo.

Non faceva male.

Il dolore non era niente in confronto alla paura di non poterlo proteggere.

Continuava a gravare il peso su di me, facendo quasi sprofondare il pavimento.

Mi teneva saldamente dalla gola.

Dovevo farcela… dovevo assolutamente proteggerlo.

Riuscii ad alzarmi.

Lo presi dalla vita, facendolo schiantare contro il muro, ma dopo due secondi si rialzò, afferrandomi da dietro.

Era la fine.

Mi mise in ginocchio, forzandomi la testa all’indietro.

Chiusi gli occhi.

“Addio Alec” pensai “ti amerò per sempre… perdonami”

-

Sentii le mani di Felix, mollare lentamente la presa…

Era come se stesse perdendo la forza.

Aprii gli occhi.

Lo sguardo di Alec era puntato nel vuoto.

Mi sentivo confuso.

Vidi qualcosa cospargersi nell’aria… simile ad un fumo nero.

Strisciava lentamente al suolo, per poi diffondersi completamente tutto intorno.

Quella nebbia, mi confondeva leggermente.

Lo avevo già visto una volta.

Sì, avevo capito e ne ero più che certo… era stato Alec.

Aveva sfruttato il suo potere per salvarmi.

Mi voltai verso dietro.               

Felix era a terra, privo di forze. Inerte.

Non si muoveva, né parlava, né dava segni di vita.

Il mio sguardo si posò nuovamente su quello di Alec, che ricambiò.

Corsi fra le sue braccia.

Lo baciai, lo accarezzai, lo strinsi forte a me.

“Stai bene amore mio?” gli sussurrai preoccupato.

“Adesso che sei qui con me sì… ho avuto tanta paura… di Felix… ma soprattutto di perderti… Tu stai bene?” mi accarezzò la guancia.

“Mai stato meglio… non ci sono parole per ringraziarti…”

“Non ci sono parole per dirti quanto ti amo…”

Lo baciai con passione, trascinandolo verso la nostra stanza, prima che Felix si potesse rialzare.

-
-







Questo capitolo, è dedicato ad una persona veramente speciale... Tu che leggi, sai...
Sei troppo importante... grazie di esistere...
Se non fosse stato per te, non avrei mai tratto ispirazione per scrivere questa ff... TI ADORO <3








 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Capitolo XVI

 
Alec
-

«Come ti senti?», chiese Demetri chiudendosi la porta alle spalle. Esitai. Che cosa rispondergli? Stavo bene o male? Non m’importava del dolore, ma la forza... quella forse, mi avrebbe segnato per molto tempo; Avevo usato un dono, troppo tardi, ma l’avevo usato. Avevo la mente svuotata, ma il corpo era così forte, che sarei riuscito a ridurre in un’ammazzo di cenere, qualsiasi cosa.

 «Bene, ma tu?». Mi voltai, guardandolo. Era appoggiato alla porta. I capelli scompigliati, il vestito rovinato, sgualcito, uguale al mio, dopotutto. «Dem... mi dispiace», continuai subito dopo. Mi scusavo... perché? Non lo sapevo, non volevo saperlo, in quel momento dovevo solo scusarmi.

Gli angoli della sua bocca, tremarono impercettibilmente, alzandosi all’insù, cercando forse, di mimare un sorriso. «Sto bene, benissimo, ma è solo grazie a te Alec... se tu non mi avresti aiutato, di certo adesso non sarei qui con te, per questo ti ringrazio». Stirò con le mani, le maniche della sua giacca, abbassando lo sguardo. «Non devi scusarti, quello che dovrebbe farlo, in teoria.. sarei io. Se non ti avessi lasciato da solo, non sarebbe successo niente... Ma ora tocca a me, farti una domanda: Perché non sei andato via quando te l’ho chiesto?»

«Non è successo niente, Dem. Tu non hai colpe, sono stato io a farti andare avanti.. E bé.. dovresti saperlo il perché: Io ti amo, e bé, finché vivrò, ti proteggerò, proprio come tu fai con me, ti pare?», intervenni io, interrompendolo all’istante. La colpa era solo e unicamente mia, se sarei andato con lui, non sarebbe successo niente, se io non l’avessi mandato avanti, non sarebbe successo niente, invece, ero rimasto indietro, ed era successo tutto quel casino; la colpa era mia, non sua.

Rialzò lo sguardo, guardandomi fisso negli occhi. «Non voglio che tu ti prenda la colpa di tutto, chiaro?», disse, avvicinandosi di qualche passo. «Ti propongo un patto: Nessuno dei sue incolpa se stesso. Ti va?», contrattò, tendendo la sua mano nella mia direzione.

Afferrai la sua mano all’istante, stringendola saldamente. «Accetto... solo a una condizione: Tienimi quel verme lontano, perché... la prossima volta che l’incontro, lo ammazzo», sbottai. Quel tizio mi dava sui nervi, in quel momento più che mai, anche se... il posto di Aro, non l’avrebbe sostituito nessuno.
Rise, stringendomi a lui. Poggiai la testa sulla sua spalla. «Lo odio», sbottai a bassa voce. Come faceva Dem a parlargli? Era così antipatico. Quello non l’avrei mai capito. Mai e poi mai.

«Tranquillo, Alec, non ti toccherà mai più. Lo terrò lontano da te. Da oggi in poi, dove andrò io, andrai tu, saremo una sola ed unica cosa.. Solo io posso toccarti. Tu, sei solo mio», sussurrò al mio orecchio, stringendomi il polso saldamente; non faceva male, non era Felix, ma Demetri, il mio Dem, ed era una cosa ben diversa, il tocco.. era assai diverso.

Mi morsi il labbro, chiudendo gli occhi. Lo amavo troppo. «Ti amo, lo sai?», mormorai a bassa voce, sicuro al cento per cento che mi avesse sentito perfettamente.

«Grazie a te... ho capito cosa significa amare... mi hai stravolto l’esistenza Alec», sussurrò a bassa voce, guardandomi fisso negli occhi. «Ma ora.. sai cosa ci attende.. vero?»

Mi scostai. «Aro. Dovevamo parlargli, vero», chiesi sfinito. Non sapevo se avesse parlato con lui, speravo in una sua risposta positiva, non volevo vedere quell’essere. Mi dava repulsione.

Annuii. «Tranquillo, non ti farà niente», concluse.

Uscimmo dalla nostra stanza, dirigendoci a passo svelto verso la sala conferenza, anche se volevo tornarmene indietro.

Ci fermammo davanti alla porta, guardai Demetri, aspettando una sua eventuale risposta, sempre se ci fosse stata una risposta; «Stammi vicino»

«Mai amore mio», mi baciò, stringendomi a lui, baciandomi sulla bocca.

Le sue labbra erano così mielate e morbide che ogni volta che sfioravano le mie, mi mandavano in estasi, proprio come la prima volta.

Stavamo per aprire la porta davanti a noi, ma sentimmo una voce. La sua.

Sentii la mano di Demetri stringermi il polso e trascinarmi subito dopo, dietro una delle due colonne che erano situate vicino la porta.

«Mio caro Felix, non agitarti. Dimmi tutto», mormorò Aro.

«Mio signore si tratta di quel ragazzo: Alec, ma anche di Demetri.. Bé.. loro due si amano. Prima erano nel corridoio e si scambiavano delle carezze intime, e cose varie. Il nostro covo, non è più lo stesso, da quando quel ragazzino ci ha messo piede», mentì Felix, con tono ferito e angosciato.

«Alec?», chiese Aro, con tono perplesso. Come biasimarlo: Solo Demetri mi chiamava in quel modo, e gli ero riconoscente. Odiavo il mio nome vero, per non parlare degli altri due, che i miei carissimi genitori, mi aveva affiliato.

«è il nome con cui lo chiama Demetri, mio signore, ma il punto è un altro mio signore», spiegò subito dopo, col tono da finto dispiaciuto; Ringhiai. Sentivo la rabbia salire inesorabile, divorando il mio essere, distruggendolo e il veleno inondarmi la bocca, come acido.
Volevo ammazzarlo. Sbranarlo per poi bruciarlo.

Demetri mi teneva fermo, cercando di tranquillizzarmi, con scarsi risultati.

Lo guardai fisso negli occhi; Lo amavo, troppo, immensamente e non avrei permesso a nessuno di fargli qualcosa, a costo di morire.

«Capisco mio caro. Ora vorrei che tu, mio caro Felix, porteresti tu stessi i due, davanti al mio cospetto. Valuterò la situazione io stesso. Sono davvero curioso di vedere questa romantica intesa fra i due, sempre che tu stia affermando la verità», terminò Aro.

«Alec... sta arrivando», sbottò Demetri, innervosendosi d’un colpo.

Ringhiai. «Entro», sbottai acidamente, cercando di liberarmi dalla presa di Demetri, che continuava a tenermi fermo contro la colonna. Mi scostai, allontanandomi immediatamente da lui.

Entrai, facendo sobbalzare immediatamente i presenti all’interno, tutti tranne Aro che mi guardava divertito. «Alexander... che ci fai qui?»
Sentivo il veleno riempirmi la bocca in continuazione. Deglutii.

 «Perché sei qui insieme al mio caro Demetri?», continuò subito dopo, sorridendomi benevolo.

In quel momento, mi venne in mente una frase, che poco tempo prima Demetri, mi aveva detto: -Sii cortese. Sta al gioco. Non farti vedere offeso o arrabbiato, saresti debole e al nemico, piace.

Gli andai incontro, schivando Felix che era davanti a me. «Voglio parlarti. Adesso, chiaro?», sbottai schietto. Prima gli avrei parlato, prima me ne sarei andato da quella stanza.

«Di cosa vorresti parlare mio carissimo amico? Hai qualche problema?», chiese, alzandosi dal trono per potermi venire incontro, voltandosi però, verso Felix che in quel momento, mi guardava con odio, alternando lo sguardo da me a Demetri. «Potrei aiutarti», continuò subito dopo, fermandosi davanti a me, con la sua figura eretta, ed evidentemente, assai divertita da quella situazione.

«Precisiamo qualcosa: Il mio nome è Alec», sbottai avanzando verso di lui. «E voglio parlarti. Adesso, chiaro?», sbottai infuriato, fermandomi davanti alla sua figura.

«Che cosa succede? Sei a disagio qui, nel mio umile palazzo?», chiese evidentemente divertite.

Umile palazzo? Che faceva adesso? Giocava a fare il gentile? Deglutii, riversando nella mia bocca, il veleno che continuava a riversarsi nella mia bocca, lasciandomi un retro gusto acido. Acido come il mio stato d’animo in quel  momento.

Sentivo lo sguardo di tutti puntato su di me; che sfacciati.

Sentii un ringhio, mi voltai, vedendo da chi provenisse: Demetri, fissava Felix con astio allo stato puro, e Felix che alternava lo sguardo da me a lui, ringhiando allo stesso modo.

L’avrei ammazzato volentieri in quel momento. Nessuno doveva ringhiare contro il mio Demetri.

«Che cosa vuoi da me?», sbottai guardando Aro. «Che cosa volete da me?», continuai subito dopo.

Lo vidi fissarmi con uno sguardo apatico.

«E per il discorso di poco fa... ho ascoltato tutto per filo e per segno», sbottai, alzando la voce. Lo sguardo di Aro cambiò da tranquillo a turbato, come se qualcosa avesse scosso i suoi piani, il suo doppio gioco, che in quel momento era andato in frantumi, come la sua speranza.

«Benissimo mio caro, era di questo che volevo parlare. Poiché sei stato così educato da ascoltare tutto, vorrei sapere da te in persona, se quello che dice il mio carissimo Felix, è vero», chiese con tono monocorde.

Mi voltai all’indietro, verso Felix, che nel frattempo mi osservava con uno sguardo furente.

«Tu. Tu sei un verme schifoso senza ritengo e pudore. Che prove hai eh? Ci hai visto per caso?», sbottai avvicinando velocemente a lui, ringhiando.

Rise. «Brutta sgualdrina che non sei altro... sento tutto di notte, le tue urla e il tuo ansimare, si fanno eco per tutto il palazzo, da tanto che non riesci a contenerti. Sei solo una piccola puttanella. Per non parlare delle oscenità per i corridoi, la camera non vi basta?», mentì, ridendo nuovamente.

Sentivo le mani prudere, l’avrei ammazzato quel figlio di puttana. Se non fosse stato per Aro, l’avrei ridotto in mille pezzi e gli avrei dato fuoco ma dovevo contenermi.

«Mi fai schifo!», urlai.

«Miei cari, contenetevi. Potrei ammazzarmi anche adesso, lo sapete, vero?», disse all’improvviso Aro, avvicinandosi a noi, separandoci all’istante.
Feci un respiro profondo, guardando Demetri che in quel momento era sempre rimasto in silenzio e al suo posto. Era preoccupato, inerme. Sentivo la gola ardere, gli occhi pizzicare, le mani prudere, e la rabbia divorarmi dall’interno.

«Lui mente in continuazione», sbraitai puntando un dito contro Felix.

Aro ci fissava confuso, apparentemente sorpreso e confuso, come se non sapesse che fare in quel momento, come se la situazione gli fosse sfuggita dalle mani senza che lui potesse fare minimamente niente. «Mio caro Felix, direi che è l’ora di valutare questa situazione. Mi concedi l’onore?», chiese, porgendogli la mano.

Demetri mi aveva parlato del suo potere, lo reputavo interessante, m’incuriosiva moltissimo, alla fine avrei discusso di quella cosa.

Felix indietreggiò, con un’espressione di confusione e smarrimento dipinta sul volto, ma purtroppo, dovette porgere la mano ad Aro.

La afferrò, stringendola saldamente, come a volersi concentrare il più possibile.

Mi avvicinai a Demetri, cercando di calmarmi il più possibile; ero sfinito. Volevo andarmene, stare da solo con lui, sentire il suo odore entrarmi dentro.
Aro si allontanò da noi, voltandosi e camminando verso il suo trono a passo lento, non aveva fretta, io invece, volevo andarmene da quel posto il prima possibile, così da potermi rifugiare nella camera mia e di Dem, per poter stare in santa pace, ma soprattutto, senza che nessuno potesse interrompermi in qualche modo.

«Mio caro Alexander... ho saputo delle tue doti... Sono particolari, forti, nuove per me. Tra l’altro, da quando sei diventato un giovane vampiro come noi, si sono sviluppate notevolmente, diventando molto forti ed efficaci. Mi domandavo... ti va di mostrarmele, su Felix?», chiese, sorridendomi.

Guardai Felix e poi Aro. «Io... non sono capace di usarle al massimo, ci vuole un po’ di tempo... », bisbigliai.

Guardai Demetri, sperando in un suo aiuto.

«Mio signore è necessario?», intervenne subito dopo Demetri, avanzando di qualche passo.

Vidi Aro annuire. «Sono molto curioso... mio caro Demetri, tu no?», chiese sorridendogli benevolo. Un sorriso sincero il suo,  non falso come quelli di prima.
«In verità... sì, mio signore e le assicuro che col tempo... saranno devastanti», confermò Demetri, tornando al mio fianco.

Fissai Felix, sembrava confuso e spaventato, era fermo come una statua di sale, come una farfalla intrappolata in una ragnatela, gli sorrisi. «Tranquillo... non sentirai minimamente niente», sussurrai, sorridendogli.

Lo vidi indietreggiare di qualche passo, per poi cadere immediatamente al suolo, rimanendo fermo senza potersi muovere. Non respirava, non urlava, non vedeva, non sentiva. Un morto. L’avevo ridotto al nulla.

Fissai le mie mani: Una nebbia nera fuoriusciva dai miei polpastrelli, dirigendosi in continuazione verso Felix, entrandogli dentro come mille tentacoli oscuri.
Vidi lo sguardo di Demetri e Aro puntato sul mio e sentii dei respiri accelerati.

Felix si era già ripreso e si stava rialzando a fatica.

«Meraviglioso... ». Aro mi venne incontro, guardandomi fisso negli occhi. «Le tue doti... saranno molto utili al mio esercito.. Alexa..»

«Alec, Aro. Alec», intervenni io subito dopo fermandolo immediatamente.

Lo vidi annuire. «Alec»
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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Capitolo XVII
 

 


Demetri
 

“Perché non sei andato via, quando te l’ho chiesto?” gi chiesi, tenendogli il viso tra le mani, quasi in tono di rimprovero.

“Non potevo farlo… non crederai mica che ti avrei lasciato morire, nelle mani di quel colosso?”

“Mi sottovaluti, amore…” risposi in tono ironico, facendo finta di essermi offeso.

Non riuscì a trattenere una risata.

“Non farlo mai più” tornai immediatamente serio.

“Ti sbagli amore… lo farò sempre. Finché vivrò sfrutterò il mio potere per proteggerti.”

Gli sorrisi.

Anche se quello che aveva appena detto, non mi piaceva affatto.

Mi sentivo sfinito.

Quel combattimento, dopotutto, mi aveva indebolito parecchio.

Non tanto perché Felix, stava quasi per uccidermi, ma per il terrore di perdere Alec.

Non volevo dimostrare tutto questo ad Alec.

Non volevo trasmettergli la mie negatività.

“Vieni qui, omaccione…” gli dissi, ridendo, cercando di nascondere ciò che provavo.

Tesi le braccia verso di lui, tra le quali, in meno di un secondo, si strinse saldamente.

Riuscii a sentire tutto il suo amore.

Mille brividi, percorsero interamente il mio corpo.

Lo allontanai leggermente, per porre le mie labbra sulle sue, che combaciarono perfettamente.

“Non permetterò mai più che quel verme si avvicini a te… farò di tutto per proteggerti, perché solo io posso toccarti…” gli sfiorai le labbra con le dita.

“Promettimelo, amore…”

“Te lo giuro… ti starò sempre accanto, da ora in poi.. non ci separeremo mai più… dove andrò io, tu mi seguirai… saremo una cosa sola.”

“Da quando ho incontrato te, sto vivendo davvero…” mi sussurrò dolcemente.

“Anche per me… da secoli, ho cercato di essere felice, ma niente è mai stato come te, nemmeno lontanamente.”

I suoi occhi erano come diamanti… i rubini, non avevano niente a che vedere, comparati a lui.

“Adesso però amore… sai benissimo cosa ci attende…” continuai, a malincuore.

Avrei continuato per ore, con quei discorsi.

Lo vidi irrigidirsi.

“Lo so… anche se non vorrei nemmeno pensarci.”

“Andiamo, amore… tranquillo, ci sono io accanto a te.” Lo convinsi, porgendogli la mano.

-

Il corridoio era rimasto distrutto, proprio come lo avevamo lasciato.

Non me ne importava nulla.

Inspiegabilmente, però, Felix non c’era.

“Dov’è quel… verme riluttante?” mi chiese Alec, emettendo un ringhio, sulle ultime parole.

“Mi stavo chiedendo lo stesso… non saprei.” Era strano. Molto strano.

“Credi che abbia imparato la lezione?” Rise.

“Beh… non credo, direi…” quel famigerato, lo conoscevo fin troppo bene.

Eravamo stati amici, un tempo.

Ci aveva provato anche con me, ma non era amore.

Forse, ci provava con tutti.

Gli bastava vedere qualcuno attraente, che andava su di giri.

Non riuscii a trattenere una risata… dopotutto ero stato abbastanza modesto, con questo mio ultimo pensiero.

Non si arrendeva. Non era il tipo.

Quella scenata, ce l’avrebbe fatta pagare cara, lo sapevo. Lo sentivo.

“Dove sarà allora?” mi chiese, cominciando ad irrigidirsi.

“Non lo so amore… staremo a vedere.”

Mille emozioni mi travolsero completamente.

Provavo paura, rabbia, agitazione, insicurezza, ansia…

Cercavo inutilmente di controllarle, ma senza alcun risultato.

Ero troppo agitato.

Ci avvicinavamo sempre più alla sala conferenze.

“Stammi vicino…” mi chiese, in tono di supplica.

“Sempre…”

Gli diedi un leggero bacio sulla bocca, prima di aprire la grande porta, quando improvvisamente, sentii che i tre capi, non erano soli.

Mi fermai all’istante.

“Che succede?” domandò Alec.

“Shh…” gli premetti un dito sulle labbra.

Lo guardai negli occhi.

Aveva capito anche lui.

Lo presi da un polso, trascinandolo verso una delle due colonne all’estremità della porta.

Riconobbi immediatamente la voce che parlava maggiormente… era lui… Felix… ecco dove era finito.

Era andato tutto proprio come temevo.

Alec mi guardò fisso.

Notai la rabbia nel suo sguardo… era identica alla mia.

Sentii una voce pacifica, calma… “Non ti agitare, mio caro Felix… dimmi tutto.” Era Aro.

“Signore, quel.. moccioso, quell’Alec…”

“Alec?”

“Si signore… è così che lo chiama Demetri… da quando è arrivato lui nel nostro covo, tutto è cambiato…”

“Esprimiti, mio caro…”

Vidi Alec tremare dalla rabbia.

Lo presi per mano, cercando di tranquillizzarlo.

Nel frattempo, Felix continuava con le sue litanie.

“Io ho capito tutto… lui e Demetri… beh.. loro due si amano! Li ho visti insieme… poco fa, erano in atteggiamenti.. intimi, nei corridoi…”

Mentiva spudoratamente.

La mia rabbia, insieme a quella di Alec, cresceva inesorabilmente.

Tentò di alzarsi ed entrare nella sala, ma lo fermai subito.

“Questo spiega tutto” continuò Aro. “Valuterò io stesso la situazione… adesso ci terrei tanto che tu, mio caro Felix, porteresti entrambi al mio cospetto… voglio vedere personalmente questa romantica intesa… sempre che tu dica la verità.”

Sentii dei passi, avvicinarsi sempre più.

“Alec… arriva verso di noi!” lo informai, agitato.

“Io entro!” era ostinato.

Cercai di fermarlo, ma era troppo tardi.

Era deciso più che mai.

Aprì la porta.

Tutti i presenti sobbalzarono all’unisono.

Felix era intento ad aprire la porta, infatti rimase fermo lì davanti, con la sua figura eretta e allo stesso tempo rigida.

Alec avanzò, schivando Felix, come se non ci fosse, e io lo seguii, facendo lo stesso.

“Alexander… cosa ci fai qui?” domandò Aro, perplesso. “Ma soprattutto… perché hai portato con te il mio carissimo Demetri?” parlava come se non sapesse niente.

Stava perfettamente al doppiogioco.

Era un abile giocatore.

“Intanto, per chiarire le cose… io mi chiamo Alec. Secondo… devo parlarti… adesso!” sbottò Alec, schietto.

“Di cosa vorresti parlare, amico mio? Hai qualche problema? Non ti trovi al tuo agio, qui nel nostro umile palazzo?”

Umile? Beh… qui Aro stava facendo letteralmente lo spaccone.

Chi voleva prendere in giro?

 Felix continuava ad alternare lo sguardo da me ad Alec.

Lo guardai torvo, facendo fuoriuscire un ringhio tra i denti.

Lui fece altrettanto… mi faceva schifo.

“Cosa volete da me???” sbraitò Alec, avanzando lentamente verso Aro.

Era furioso.

Gli avevo avvisato di stare calmo, ma a quanto pare, non aveva funzionato.

“E per quanto riguarda il discorso che avete fatto prima…” continuò “vi ho sentiti perfettamente!!!”

Alec… ti prego… contieniti.Continuavo a ripetere fra me e me.

Vidi Aro cambiare la sua espressione da calma a turbata.

Nonostante tutto, non si tirò indietro.

“Benissimo, mio caro… Alexander…” sentii un ringhio provenire da Alec. “Proprio il punto che avrei voluto toccare… visto che sei stato così ‘educato’ da ascoltare la nostra conversazione, vorrei sapere se quello che dice il nostro amico Felix, è la verità. Saresti così gentile da spiegarmelo?”

Non rispose.

Si voltò verso Felix.

“Tu… brutto verme senza un minimo di pudore… che prove hai, per ammettere quello che hai appena detto?” si rivolse a lui, a denti stretti.

 Felix rise spudoratamente. “Io sento tutto la notte, sgualdrina che non sei altro… per non parlare delle oscenità per i corridoi…” continuava a ridere.

Avanzai verso di lui, pronto per attaccarlo se avesse detto un’altra delle sue vergognose bugie.

“Sei un farabutto! Mi fai schifo!!!” era fuori di sé.

“Calma, miei cari amici! Contenetevi! Non sapete che potrei uccidervi da un momento all’altro?” li interruppe Aro, mantenendo il suo sorriso beato.

“Lui non fa altro che dire fandonie!” continuò Alec, puntando un dito contro Felix.

Aro guardò entrambi, attonito.

Poi, dopo una frazione di secondo, riprese in mano la situazione.

“Mio caro Felix… direi che sia giunto il momento di valutare io stesso la situazione qui presente… vuoi concedermi l’onore?” porse la sua pallida mano verso di lui, invitandolo a  farsi leggere la mente.

Vidi Felix indietreggiare, atterrito.

Non aveva altra scelta.

Aro cominciò a leggere i suoi pensieri…

La mia ansia saliva… guardai Alec, che ricambiò il mio sguardo.

Gli andai incontro, pronto per difenderlo da qualsiasi reazione.

“Bene bene…” mormorò Aro, scostandosi da Felix.

Era sbigottito.

Non sapevo cosa aspettarmi.

La sua espressione mi metteva in soggezione.

Poi parlò.

“Mio caro Alexander… mi hanno riferito che tu, possiedi dei poteri davvero particolari, che hai sviluppato maggiormente da quando sei diventato uno di noi… che ne dici di mostrarmi questa tua capacità? …Magari usando il nostro sincero amico Felix, come cavia?”

“Io… non sono capace di usarlo al massimo… ci vuole… tempo…” bisbigliò Alec, guardandomi.

Sperava in un mio aiuto.

“Mio signore… lo ritiene proprio necessario?” intervenni, sperando di convincere Aro.

Annuì, per nostra sfortuna.

“In verità… mio signore, posso assicurarle che col tempo… saranno devastanti…” continuai, tornando al fianco di Alec.

Sapevo quello che provava in quel momento… aveva paura di non riuscirci.

Dimostrare ad Aro le sue capacità, era alquanto difficile, senza una vera motivazione.

L’odio l’avrebbe indotto a ridurre Felix nel nulla.

Sapevo benissimo che ci sarebbe riuscito.

Lo guardai un momento, incoraggiandolo con lo sguardo.

“Tranquillo… non sentirai niente…” sussurrò Alec, con un sorriso soddisfatto, mentre notai Felix indietreggiare parecchio.

Dalle sue mani fuoriuscirono mille tentacoli di nebbia nera… un fumo che annebbiava la vista, il tatto, l’udito… riduceva chiunque fosse la vittima, nel nulla…

Felix cadde immediatamente al suolo, privo di sensi.

Il suo corpo sembrava senza vita. Inerte.

“Davvero straordinario!!!” si avvicinò lentamente ad Alec “Le tue doti mi torneranno molto utili… mio carissimo Alexa…”

“Alec, Aro… sono Alec.” lo interruppe, mettendo in chiaro le cose.

Finalmente lo vidi molto più sicuro di sé.

“D’accordo… Alec” Aro sembrava molto più vero, rispetto a quello che era realmente. “Adesso andate, miei giovani amici!” continuò, con il suo sorriso beato.

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Appena varcammo la soglia della porta, presi Alec fra le mie braccia.

“Sei stato fantastico amore mio! Sei il migliore!” gli feci fare un giro, per poi baciarlo.

Staccò le labbra dalle mie. “Mi hai dato tu la forza.” Mi disse, riponendole poi nuovamente sulla mia bocca.

“Adesso non devi più temere nessuno.. hai parlato con Aro, hai scoperto di avere dei poteri immensi… cosa vuoi di più?”

“Voglio te…”

Senza dire una parola, ci dirigemmo verso la nostra stanza, dove nessuno ci avrebbe più disturbati.

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Capitolo 19
*** Capitolo diciotto ***


Capitolo XVIII

 
Alec

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Aro ci congedò, facendoci uscire finalmente da quella stanza infernale. Tornammo in camera subito dopo; volevo restare da solo con lui, in santa pace, senza nessun’ intralcio, o almeno, senza nessun rompiscatole insopportabile, anche se, effettivamente, in quel posto, non conoscevo quasi nessuno.

Aprii la porta, entrando in camera. Ero stupito, stordito, quel posto era cambiato: Non dovevamo più nasconderci, il che, mi rendeva meno nervoso. Mi avvicinai alla finestra, fermandomi davanti ad essa, osservando inizialmente la strada, per poi alzare lo sguardo verso il cielo.

Pioveva, esattamente come quella notte, la stessa notte in cui avevo allontanato Salem, l’orfanotrofio e John.

Pensando a quel nome, iniziai a sentirmi a disagio: L’avevo abbandonato, senza dare una spiegazione, senza spiegargli niente, ma era anche lo stesso giorno in cui conobbi Demetri; l’unica persona che era riuscita in pochissimo tempo a cambiare la mia vita, in un modo del tutto radicale.

Mi voltai, guardandolo meglio: Era fermo davanti a me, immobile, col suo solito sorriso sulle labbra. «Adesso possiamo stare tranquilli: Nessuno ci disturberà», disse, abbracciandomi di slancio, tenendomi stretto a lui.

Sorrisi alle sue parole, dopotutto erano vere; qualche tempo prima dovevamo nasconderci da tutto e tutti, invece, adesso.. era l’esatto contrario: Potevamo amarci senza nessuna esitazione o paura.

«Che hai, amore? Qualche problema», chiese timoroso, carezzandomi il volto lentamente.

“Che hai? Sei strano. È successo qualcosa? Quella fottuta donna ti ha detto o fatto qualcosa?”.

“Cavolo John, non urlare. Non serve a niente urlare.. capisci?”

“Io ti amo.. Al..”

No, non dovevo pensarci. Non dovevo pensare a lui, non in quel momento... era sbagliato.

«Zitto. Non roviniamo questo momento... lo aspettavo da troppo tempo... ». Sussurrai avvicinandomi al suo volto, zittendolo mettendogli un dito sulle labbra.

Lo afferrai per la nuca, avvicinandolo al mio volto, baciandolo subito dopo.

Un bacio casto, sì, ma pur sempre un bacio, no? Un bacio nettamente diverso dal primo, ma con un’intensità assai maggiore.

Sentivo le sue mani carezzarmi il corpo delicatamente, lentamente, senza fretta... avevamo l’eternità davanti, la fretta non serviva minimamente a niente.

“Forse... non ti rendi conto della mia situazione: Amare ma non essere ricambiati... fa veramente pena”

“Jonathan, chi ti dice questo?”

“Il tuo comportamento. Sei cambiato, non lo vuoi ammettere, ma sei cambiato”

Mi fece voltare, facendomi appoggiare al suo petto. Stavo per controbattere, ma mi arrestai all’istante.

Chiusi gli occhi. Sentivo le sue braccia stringermi saldamente, facendo aderire perfettamente il mio corpo al suo, le sue labbra poggiarsi lievemente sulla mia pelle, facendomi rabbrividire.

Purtroppo però, le cose belle, durano troppo poco. Si allontanò da me, venendomi davanti, scrutandomi dalla testa ai piedi con uno sguardo tra il felice e il meravigliato. Inclinai il capo di lato per una frazione di secondo. Si avvicinò a me, sbottonandomi fin troppo lentamente la camicia. «Perché non provi a strapparla?», sussurrai al suo orecchio.

Mi morsi il labbro inferiore, cercando di attirare la sua attenzione, peccato che, fosse impegnato a non strapparmi quella camicia.

«Il motivo lo conosci meglio di me: Non saprei cosa farti indossare», mormorò fermandosi per qualche secondo, portando il suo sguardo fisso nel mio.

«Sbaglio o... mi preferivi senza vestiti addosso?», chiesi beffardo.

«Non provocarmi ragazzino, non sai cosa potrei farti... », sussurrò.

Alzai il sopracciglio. «Fallo allora...», sbottai improvvisamente.

Lo sentii ridacchiare, guardarmi fisso negli occhi per una frazione di secondo per poi ritrovami con la schiena sul pavimento, col suo corpo che gravava sul mio basso ventre.

Sentivo le sue labbra pressare le mie, dolcemente. Sentivo le sue mani vagare nel mio corpo. Si allontanò. “Forse... è sbagliato”, mormorai io a bassa voce.

Mi guardò turbato. “Per me non è sbagliato..”

Ribaltai le posizioni, portandomi sul suo petto, strappandogli in seguito ciò che era rimasto dei suoi abiti, ormai, malandati e distrutti.

“Conoscerti... è stata  la cosa migliore della mia vita.. lo sai?”, parlò a stento John, girandosi di lato, per potermi osservare meglio.

“Sì... John, lo so”, ridacchiai piano, cercando di non farmi sentire. Se ci avessero scoperto, l’avrebbero allontanato da me, forse, portandolo lontano da me, o viceversa.

“Non fare il genio..”, sbottò mettendosi a cavalcioni su di me. “Non è da te”

Sentivo le sue mani vagare sul mio corpo, procurandomi mille brividi. Riusciva a mandarmi in estasi anche col solo tocco della mano.

 
Non so quanto tempo passò; forse settimane o mesi. Fare l’amore con lui riusciva a far passare il tempo, senza farmene accorgere minimamente. Ero disteso sul suo petto, ancora col respiro affannato e ansimante.

Fare l’amore con quel ragazzo... mi sfiniva. Il suo braccio stringeva saldamente la mia vita, mentre la mia testa era riposta tra l’incavo della sua gola.
Muovevo le dita lentamente, cercando in qualche modo, di rompermi da quella roba appiccicaticcia che rendeva la mia mano inspiegabilmente... appiccicata, anche se, in qualche modo, mi piaceva a tal punto, da farmi eccitare.

Portai le dita alla mia bocca, bagnandomi le labbra per poi... appoggiare un dito su di esse.

Forse, se fossi stato umano, avrei vomitato immediatamente, per il disgusto, invece, in quel momento, non provavo minimamente niente, nemmeno un po’ di disgusto, al contrario.

Leccai i polpastrelli per qualche secondo per poi allontanare la mia bocca e far vagare la mia mano, ancora impregnata, sul mio corpo, fino al basso ventre, dove mi fermai.

«Ti amo», sussurrò Demetri, scuotendomi dai miei pensieri.

Alzai lo sguardo verso di lui, sorridendogli. «Ti amo anch’io... troppo», bisbigliai baciandogli le labbra.

«Dovremmo rivestirci adesso... altrimenti... continueremo all’ infinito», concluse lui, tenendomi però, stretto a lui.

Sorrisi. «è proprio quello che voglio», mormorai. Non volevo allontanarmi da lui per nessuna ragione al mondo. John aveva ragione: Amare era una cosa bellissima, troppo.

 
«Che ne dici se... ti rivesti?», mormorò Demetri, girandosi di lato.

Sbuffai. Sempre lo stesso giro: Scopata, richiesta per vestirti. Solita routine, da ormai... qualche settimana. Solita routine che incominciava a darmi sui nervi, anche se non lo davo a vedere nemmeno da qualche kilometro, sarebbe stato.. inutile.

«Torno subito», sbottai prendendo i vestiti e dirigendomi nella stanza da bagno.

Sospirai chiudendomi la porta alle spalle.

Fottuti ricordi, fottuto ragazzino dei ricordi. Fottutissimo Jonathan.

Ma dopotutto, la colpa era solo mia: Io l’avevo confuso, e ora ne pagavo le conseguenze, con dei fottuti sensi di colpa.

Mi rivestii in qualche secondo, tornando subito dopo in camera.

«Alec...», mi voltai. Demetri era appoggiato alla finestra, coperto da un completo grigio. «Sei strano, che hai? È successo qualcosa di male? Ho fatto qualcosa di male? Parla... »,  continuò subito dopo, interrompendo la mia fila di pensieri, che in quel momento, rendevano la mia mente fin troppo confusa e incasinata, nel vero senso del termine.

«Non ho niente, Dem. Non hai fatto niente di male, ti avrei avvertito, in caso contrario, non credi?»

Lo vidi annuire, e venirmi vicino, stringendomi i fianchi. «Sei strano. Ora... o mi dirai tutto, da solo, o parlerò con Aro. Che cosa preferisci?»

Sbuffai, infastidito da quella situazione. Odiavo i ricatti, li ho sempre odiati, e credo che lo farò sempre. «Non. Ho. Niente. Demetri, chiaro?», sussurrai, scandendo bene le mie parole, sperando in un sua resa.

«Cercherò di crederti, e scusami...  sono troppo nervoso ultimamente... », mormorò a bassa voce, stringendomi, però, a se.

Abbassai il capo, sentendomi maledettamente in colpa. Non avevo bisogno di pensare, lui era la mia vita, il mio amore eterno. Lui mi aveva salvato, donandomi subito dopo, una nuova vita, gli ero riconoscente, lo amavo, troppo, ma quell’ intralcio, mi impediva di fare tutto.

«Tranquillo...», bisbigliai. Mi avvicinai alla finestra. «E non devi scusarti... non hai fatto niente, dopotutto»

Mi avvicinai alla finestra, appoggiandomi. Mi imitò dopo qualche secondo, poggiandosi al mio fianco. «Alec... sai alla perfezione, cosa provo per te, vero?». Annuii, voltandomi verso di lui. «Però.. sembri distaccato.. con me..», continuò subito dopo.

«Dem... non è vero...», mormorai.

«Mi ami?», bisbigliò avvicinandosi notevolmente al mio volto.

«Non immagini quanto...». Stavo per completando la frase, ma qualcosa riuscii a distrarmi immediatamente, facendomi voltare istintivamente verso la porta.

«Avanti», sbottò Demetri.

Entrò Felix che appena mi vide, indietreggiò lentamente, chiudendosi la porta alle spalle.

«Cosa ci fai qui? Che vuoi? La lezione che ti ho dato prima non ti è bastata?», ringhiai, avanzando di un passo, verso di lui.

«Calmati moccioso che non sei altro», ringhiò lui.

Mi sentii afferrare per il polso, e quel tocco, riuscii a tranquillizzarmi. Mi voltai, ringraziando Demetri con lo sguardo. Riportai lo sguardo davanti a me, osservando attentamente i movimenti di Felix, che a quanto pare, voleva andarsene il prima possibile. Come biasimarlo: Lo volevo morto, fuori dalla mia vita, ma mi sarei accontentato di vederlo fuori da quella stanza.

«Alec calmati, adesso», terminò Demetri, con tono fermo e deciso. Presi dei respiri profondi, calmandomi definitivamente. Dovevo rimanere calmo, a tutti i costi. Non volevo altri problemi.

«Che succede Felix? Qualche problema?», continuò lui, subito dopo.

«Aro vuole parlarti... adesso». Riferì Felix, con tono freddo, distaccato e monocorde, fissando dritto negli occhi Demetri, che era arrivato al mio fianco.
«Con noi?», chiese Demetri, con tono dubbioso.

«No. Solo con te». Concluse il vampiro che mi era davanti, con tono serio.

Ringhiai. «è un comportamento squallido, da parte sua», intervenni io, riferendomi chiaramente ad Aro.

Sentii lo sguardo di Demetri, puntato addosso; Mi voltai. Era a disagio, spaesato. Contrassi la mascella, cercando di rimanere calmo, anche se quella situazione, mi rendeva tutt’altro che tranquillo e calmo.

«Tornerò prestissimo, amore... non mi accadrà niente, tranquillo», confermò, guardandomi.

Annuii lentamente, vedendolo andare via, e uscire da quella stanza, lasciandomi da solo, con me stesso.

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


Capitolo XIX
 

 


Demetri

 
La nostra camera, non mi era mai sembrata come la vidi in quel momento.

Prima di allora, l’avevo sempre vista come un rifugio per nascondermi da tutto e da tutti.

Era diventata un luogo calmo, in cui avremmo potuto tranquillamente esprimere il nostro amore.

Un luogo dove potevamo amarci, senza impedimenti da parte di nessuno.

Lo avrei voluto sin dal primo momento, ma tutte le preoccupazioni ci impedivano di essere noi stessi.

Aprii la porta, rimanendo entrambi, per un attimo, fermi sulla soglia, ad ammirare la camera.

Al centro, vi era ancora il letto, senza materasso.

Non riuscii a trattenere una risata.

Alec, mi guardò, facendo lo stesso.

“Dopo di te…” lo invitai ad entrare per primo, facendo un inchino.

Mi sorrise, arrestandosi a pochi passi dalla finestra.

Lo raggiunsi in meno di un secondo, fermandomi dietro di lui.

Fuori era notte fonda.

Pioveva a dirotto, proprio come la notte in cui mi innamorai di lui.

La notte in cui assaggiai per la prima volta le sue labbra calde, morbide.

Chissà se lui stava pensando la stessa cosa.

Ne ero più che certo.

Si voltò verso di me, guardandomi intensamente, con quegli occhi color cremisi.

Dio, quanto lo amavo.

Gli sfiorai la guancia con le dita. “Adesso possiamo stare tranquilli amore… niente e nessuno potrà metterci tensione…” gli sussurrai.

Abbozzò un sorriso, senza parlare.

“Che hai amore? Qualche problema?” gli chiesi perplesso.

Premette un dito sulle mie labbra. “Shh… non dire niente… non roviniamo questo momento… l’ho aspettato da sempre.”

Dopo una frazione di secondo, le sue labbra si incollarono alle mie.

Un bacio dolce, casto, pieno d’amore.

Mille brividi mi passarono sulla schiena.

Mi venne in mente nuovamente il nostro primo bacio.

Due baci totalmente diversi, dal punto di vista dell’intensità, ma allo stesso tempo identici, pieni d’amore… di passione.

Il rumore della pioggia, che batteva sulla finestra, stranamente mi stimolava, come quella notte.

Solo il pensiero dei suoi vestiti totalmente inzuppati, che lasciavano intravedere i lineamenti del suo corpo, mi fece venire dei capogiri.

Non so per quale motivo, ma avevo ancora una certa sete… di lui.

Quella sensazione mi era rimasta da allora… non riuscivo a capire.

Stargli vicino, sentire il suo odore, mi mandava in estasi.

Forse quella sete si era tramutata in voglia.

Una voglia matta di averlo.

Lo feci voltare, con le spalle verso di me.

Il profumo della sua pelle, era così inebriante, da eccitarmi terribilmente.

Gli mordicchiai il lobo dell’orecchio, passandogli una mano fra i capelli, per poi poggiare la sua testa sulla mia spalla.

Gli sfiorai il collo con il respiro, poi con le labbra, succhiandogli la pelle… riuscii a percepire ogni suo singolo brivido, percorrergli il corpo, in tutte le sue misure.

I suoi leggeri ansimi mi istigavano maledettamente, accendendo in me la voglia di baciarlo più intensamente.

Quel bacio, precedentemente casto, divenne più deciso, energico… incontrai la sua lingua, il che mi fece perdere la ragione.

Il suo sapore, mi mandava in stato di ebbrezza.

Lo strinsi ulteriormente, avvicinando la sua schiena contro il mio petto, facendo aderire perfettamente i nostri corpi.

Le mie labbra, cercarono istintivamente la sua gola, dove un tempo, non desideravo altro che affondare i denti.

Desideravo ancora farlo, ma con una notevole differenza… non l’avrei di certo ucciso, anzi l’avrei stimolato maggiormente.

Cominciai a morderla ripetutamente con foga, il che lo fece gemere.

Il sapore e l’odore della sua pelle, erano più di una droga per me.

Tutto di lui mi attraeva, persino il suo modo di stringermi i fianchi, facendomi capire che mi desiderava.

Sentire il suo godimento, mi faceva letteralmente impazzire.

Infilai le mie dita fra i suoi capelli, che ben presto divennero scombinati,mentre con l’altra gli carezzavo la guancia, la mascella, le labbra, fin quando non ebbe dei brividi alla schiena.

Il suo corpo fremeva sotto ogni mio singolo bacio.

Mi fermai un attimo.

Avevo voglia di osservarlo.

Studiai il suo viso.

Era quello che poteva chiamarsi la perfezione.

Poi da lì, passai a scrutarlo completamente, dalla testa ai piedi.

Era mozzafiato.

Tuttavia, la sua giacca, fin troppo incollata, mi rendeva ancora più affamato, più ansioso di vedere il suo corpo candido perfetto.

Armeggiai con essa, cercando di sbottonarla senza doverla ridurre ad uno straccio.

Mi era troppo difficile.

“Perché non provi a strapparla?” mi sussurrò all’orecchio, con la voce rotta da leggeri ansimi.

“Il motivo lo sai meglio di me direi… dopo questo, non saprò più cosa farti indossare”

“Ottimo…  sbaglio o mi avevi detto che mi preferivi senza vestiti addosso?” diede alle ultime parole un intonazione sensuale, che mi faceva perdere il controllo.

“Non provocarmi ragazzino… sai benissimo quello che potrei farti…” mi morsi il labbro inferiore.

“Fallo allora…”

La sua era una provocazione bella e buona.

Con un gesto semplice e rapido lo misi con le spalle al suolo, rimanendo a cavalcioni su di lui.

“Prova a strappare i miei, se ci riesci…” cominciai a far vagare la mia mano per tutto il mio corpo, incitandolo maggiormente a spogliarmi.

I miei abiti erano ridotti a brandelli, per lo scontro precedente.

Che importava… Alec li avrebbe fatti ugualmente in mille pezzi, in meno di un secondo.

Senza quasi che me ne accorgessi, cambiò le posizioni, riducendo a brandelli, quello che era rimasto dei miei vestiti.
Gli tolsi i suoi, senza arrecargli gravi danni.

Il suo corpo perfetto, brillava come un diamante dalle mille sfaccettature.

Desideravo toccarlo all’istante… o meglio.. assaggiarlo.

Le mie labbra scesero lungo il suo petto, fino al ventre, succhiando con foga la sua pelle bianca, fredda.

Tutto quello lo fece gemere, inarcando il suo corpo su di me, che lo strinsi saldamente.

Non so quanto tempo passò… secondi, minuti, forse anche ore…

L’amore con lui era qualcosa di assolutamente unico.

Non ci accorgevamo minimamente del tempo trascorso insieme.

Non eravamo mai stanchi, e non avevamo nessun tipo di bisogno che potesse indurci a fermarci.

Il nostro desiderio era quello di continuare e continuare.

Continuare all’infinito.

Ci sdraiammo entrambi sul pavimento.

Lui stava disteso sul mio petto, con la testa poggiata dentro l’incavatura della mia gola.

Fissava attentamente il mio seme bianco perlaceo fra le sue dita, mentre gli carezzavo i capelli che gli scendevano morbidi sulla fronte.

Lo osservai, mentre leccava con ardore la superficie delle sue dita, che successivamente, fece scorrere lungo il suo corpo, scendendo fino al suo basso ventre.

Quel suo gesto mi fece provare un senso di piacere, tale da provocarmi nuovamente un’erezione.

“Ti amo…” gli sussurrai, interrompendo i suoi pensieri, che sicuramente in quel momento erano fin troppo erotici.

“Ti amo anch’io… troppo…” mi baciò le labbra.

“Adesso sarà meglio rivestirci… altrimenti continueremo all’infinito…” mormorai, abbozzando un sorriso.

“È proprio quello che voglio…” rispose, avvicinando il suo viso a pochi millimetri dal mio.

Era un ottima idea.

Dopotutto quella notte era la più serena della mia esistenza… quindi perché fermare un momento simile?

Avevamo un eternità davanti per fare il resto delle cose.

Cose ovviamente futili, in confronto alla nostra intimità.

Forse era già mattino, o forse era trascorsa anche la notte del giorno dopo… ma non mi importava.

Avremmo continuato ancora.

Senza nessuno che potesse disturbarci.

Io e lui da soli, in quella piccola camera, che era il nostro mondo.

-

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''Direi che sia arrivata l ora di rivestirci... Non credi?'' gli sussurrai dolcemente all orecchio, posizionandomi su un fianco.

''Torno subito...'' sbottò. Prese con sé la sua roba, senza dirmi nient’altro, e si rifugiò in bagno.

Rimasi allibito.

Quella reazione mi lasciò senza parole.

Non era da lui.

Lui di solito, era stato sempre dolce con me.

Qualcosa era andato storto. Lo sentivo.

Quella situazione non mi convinceva affatto.

Forse avevo fatto qualcosa che lo aveva infastidito.

Ma cosa?

Dovevo immediatamente parlargli.

Non riuscivo a sopportare quel senso di colpa che probabilmente, non dovevo avere.

Mi rivestii in pochi secondi, con un nuovo completo grigio, attendendo il suo ritorno davanti alla finestra.

Quando lo vidi arrivare, mi voltai verso di lui.

''Alec...'' mi avvicinai, posandogli le mani sui fianchi. ''Cos'hai? Sei strano. Ti è successo qualcosa? Parla''

''No amore...'' la sua risposta era fredda.

'Ti ho fatto qualcosa? Ti ho infastidito in qualche modo? Rispondimi... O preferisci che vada a parlare direttamente con Aro?''

"Non.ho.niente ho detto...'' La sua risposta mi entrò dentro, come se mi avesse squarciato il petto.

Quelle parole provocarono in me dolore. Tanto dolore.

Ma anche rabbia. Forse più del dolore.

Dovevo rimanere calmo.

''Va bene... Cercherò di crederti...'' lo strinsi a me, e lui non oppose nessuna resistenza.

Mi pentii della mia reazione troppo affrettata.

''Scusa... Forse sono stato troppo eccessivo... Sono un p0’ nervoso ultimamente...'' gli carezzai la guancia, distrattamente.

Mi guardò con uno sguardo più innamorato rispetto a prima.

''Non devi scusarti amore... Non ne hai motivo...''

''Mi ami?''

''Forse più di quanto credi...''

Non riuscì quasi a finire la frase, che qualcuno bussò alla porta.

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


Capitolo XX

 
Alec

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Felix richiuse la porta, dopo aver fatto uscire Demetri, lasciandomi per l’ennesima volta, da solo, ed era in quei momenti in cui... il sentirsi solo, dominava in me e nel mio animo fin troppo fragile.

Mi misi a frugare qui e lì, cercando qualcosa che, in qualche modo, potesse interessarmi così tanto, da non farmi annoiare, ma per mia sfortuna, non trovai minimamente niente.

Quella stanza era così vuota senza la sua presenza, senza la sua... allegria e spensieratezza, mancava qualcosa in quel posto, mancava solo ed unicamente lui. Mi sentivo soffocare, i sensi di colpa crescevano ogni minuto, sempre di più. Non meritava un certo comportamento, dopotutto mi aveva salvato e amato, ed io lo stavo ricambiando così: Pensando a una persona, che molto probabilmente era morta già da qualche tempo.

Ma dovevo anche ammettere altro: L’amore che provavo verso quel vampiro era smisurato, mi confondeva a tal punto, da non farmi capire niente.
Non trovando niente con cui giocare mi sedetti per terra, a gambe incrociate, muovendo le dita della mano, impercettibilmente, cercando in qualche modo, di poter riusare quella nebbia... «Stupida nebbia..», sbottai alzandomi in piedi, girovagando per la camera.

Niente di nuovo, per mia sfortuna, solo dei quadri, due precisamente, una balconata gigantesca, un bagno gigante come quella stanza, o forse di più, un tavolo e una scrivania. Non avevo mai visto nessun’altra stanza oltre a quella, forse non mi era permesso, forse, invece, avevano deciso di rintanarmi in quella stanza, senza un motivo, o forse uno c’era?

Mi avvicinai alla balconata, spostando la grande tenda, che copriva la visuale, rendendo il tutto fottutamente oscuro, e con un senso di depressione, che mi rendeva nervoso.

M’inclinai, guardando in basso, e dopo aver verificato che non ci fosse nessuno, mi sedetti sulla ringhiera, tenendomi però, fermo con le mani.

Quel posto era bellissimo. Riuscivo a scrutare monti, colli, e molto altro.

Mi toccai il petto, cercando la collana con lo stemma, senza trovarla, ovviamente.

Rivoltai la testa all’indietro, guardando la stanza, ogni angolo.

Non la trovai, allora guardai fuori, verso il suolo e la trovai immediatamente.

Un punto luminoso, impercettibile alla vista umana, era al centro esatto di quel suolo.

Non dovevo uscire dal palazzo da solo, non senza il permesso di Demetri, ma doveva prendere quella maledetta collana.

Guardai la porta e senza pensarci per un altro secondo, mi calai di sotto, atterrando sulle punte, che quasi persi l’equilibrio. Presi la collana, rimettendola in fretta al mio collo.

Mi guardai intorno curioso, aguzzando la vista.

Riuscivo a scrutare ogni minimo particolare... quasi urlavo dalla meraviglia.

Ero sempre stato curioso, mia madre, quando ero bambino, mi rinchiudeva in camera con dei giocattoli, per paura.

Era pomeriggio inoltrato, e le vie erano vuote, spente, come quella cittadina in generale che con Salem, non aveva in comune nemmeno uno spillo.

Salem era allegra, una cittadina socievole, o almeno, quando ero bambino, era così.

Più il tempo passava, più le persone cambiavano insieme con me... rendendo quel posto che un tempo era una festa, il buio totale.

Non mi mancava niente, solo una persona: Mia madre... l’unica donna che abbia amato più di tutti, in tutta la mia vita, l’unica persona che... in qualche modo, non riuscirei mai a dimenticare.

Dimenticare la donna che ti ha dato alla luce, è impossibile, no?

Incominciai a camminare verso destra, sarei tornato in camera dopo.

Quella città era così... bella, piccola ma bella.. Non aveva niente di particolare, o almeno per me. Era minuscola, piena di case e vie strette, con pochi abitanti che non vedevo mai... dalla fottutissima... balconata, e quei pochi che vedevo, fuggivano.. vittime dei loro.. voleri ormonali, lasciandomi nuovamente da solo con me stesso.

Non mi conoscevano. Loro non conoscevano me, io non conoscevo loro, ma lo ammetto: Fare amicizia era ed è il mio forte, ma come sono adesso, credo che questo pregio.. andrà a farsi una corsa molto lontano.

Non era colpa mia se adesso incutevo solo e unicamente terrore, era colpa dei vampiri e de loro aspetto estetico.

Sbuffai, fermandomi all’istante; Un bosco, ero arrivato in un bosco, senza nemmeno sapere la strada.

Andai nel panico. Non conoscevo la strada per il ritorno. Demetri non mi avrebbe trovato in camera, e se Demetri non mi trovasse in camera... si incavolerebbe a morte con me, o con tutti, iniziando a cercarmi in ogni dove, per poi trovarmi e.. sgridandomi, rinchiudendomi con le catene in camera, proprio come faceva mia madre qualche anno fa, prima di morire.

Mi morsi il labbro. Dovevo tornare immediatamente in camera.

Tornai indietro, andando per un’altra strada, peccato che stessi girando in tondo.

Battei il piede per terra, letteralmente infuriato.

Presi un’altra strada, nettamente più lunga, ma almeno... era quella giusta.

Arrivai, nuovamente, davanti al palazzo. Sospirai alleggerito da quella visione.

Balzai arrivando direttamente in camera; Mi guardai intorno: Niente si era mosso, nessun’odore nuovo o almeno a me sconosciuto. Tutto uguale. Tanto meglio.

Richiusi la balconata, senza però, muovere la tenda. Alla fine le avrei dato fuoco.


Sbuffai. Dove era finito? Non tornava... era andato via da una mezz’ora buona ed era totalmente scomparso.
Mi morsi il labbro, immaginandolo, almeno non mi annoiavo.

Lo amavo troppo. Ogni volta che incontravo il suo sguardo, mille emozioni m’invadevano, confondendomi.

Da quando l’incontrato, la mia vita è cambiata in meglio. Niente delusioni, niente tristezza e solitudine perenne... insomma, ero felice.

Mi aveva salvato, rendendomi immortale, l’ho ricambiato... ma niente basterà per ricambiare fino in fondo il suo gesto verso di me.

Mi aveva amato, mi aveva protetto da tutti, cercando di difendermi al meglio, rischiando quasi la sua posizione tra le guardie dei Volturi... solo e unicamente per me.

Un vuoto m’invase, facendomi avere una sensazione strana allo stomaco.

Mi sedetti per terra, abbassando lo sguardo.

Mi sentivo così maledettamente in colpa... per via dei miei sensi di colpa... così fottutamente presenti in quell’ istante.

In quel momento davanti ai miei occhi, apparve l’immagine di Demetri, seguita da quella di Jonathan.

Sentivo gli occhi pizzicare, la gola far male, un nodo che m’impediva di parlare, facendomi male... non fisicamente, ma almeno, mentalmente.

Amavo Demetri con tutto me stesso: Era la mia vita, la mia fonte di felicità e calore. Con una sola parola riusciva a tirarmi su di molare, scacciando ogni mio presentimento, o un’eventuale traccia di mal umore. Amandomi riusciva a cambiarmi, anche per un periodo, fin troppo breve per me, che di amore... ne ho ricevuto fin troppo poco.

La mia vita era un solo e unico giro: Agi e pregi, tristezza e depressione perenne, anche se... ero un solo bambino. Sì, avevo mia sorella, ma non era quasi mai presente... ero sempre da solo, a parte quando ero con mia madre al parco a giocare, o quando dormivo con lei durante le lunghe notti tempestose e lampeggianti... quelle stesse notti che ogni volta, mi incutevano terrore.. proprio come in quel momento.

La mancanza di Demetri iniziava a farsi sentire troppo, immensamente. Avevo bisogno di lui, dei suoi abbracci, dei due baci, delle sue carezze... di lui.
Chissà perché Aro l’aveva convocato; forse voleva parlargli di me e del mio potere, forse di lui, forse... per mio probabile sbaglio, anche se... ultimamente ero rimasto in camera, fermo come una statua, con Demetri che mi controllava ogni secondo, per non perdermi di vista.

Aro e Felix, dopo quella mia scenata, tendono ad allontanarsi da me, preferendo parlare con altri, e mandandomi le notizie... tramite Demetri, manco li avessi ammazzati.
“Alec... li stavi per ammazzare”, mormorò la mia vocina interna.

Assunsi un’espressione contrariata. Non stavo per ammazzarli, ero sul punto di farlo, ma mi hanno fermato. «Stupida vocina...», ribattei io, sbuffando.

Sentii dei passi in lontananza, farsi più vicini, un’ odore inconfondibile: Il suo.

Balzai in piedi, improvvisamente... assetato.

Il suo odore mi mandava in estasi, facendomi perdere la ragione, mi rendeva... euforico, impazzito, mi faceva letteralmente impazzire.

Sentii la porta aprirsi e ciò che vidi... mi fece crollare il mondo, letteralmente addosso.

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


Capitolo XXI
 



Demetri
 


“Avanti…”

L’ospite aprì la porta.

Era Felix.

Subito Alec, lasciò la mia presa, voltandosi verso l’entrata.

“Che cosa vuoi?? Cosa sei venuto a fare???” era furioso… come se si fosse accesso un fuoco ardente, all’interno del suo corpo.

“Calmati moccioso…” rispose Felix, indietreggiando leggermente.

“Forse non hai imparato la lezione??? Ne vuoi ancora, eh???” era fuori di sé.

“Alec… Alec, calmati…” Lo afferrai da un braccio, e sotto la mia presa ferrea, sembrò tranquillizzarsi.

“Cosa c’è Felix? Problemi?” cercai di prendere in mano la situazione, senza arrecare danni a nessuno.

“Aro vuole parlarti… adesso.” disse, monocorde.

Era come se quella frase l’avesse imparata a memoria, senza capirne minimamente il significato.

Un suo burattino. Ecco cos’era.

“Con noi?” chiesi, cercando un chiarimento.

“Te e lui… da soli.”

“È squallido da parte sua…” commentò Alec, emettendo un leggero ringhio, che ignorai.

Aro voleva parlare da solo con me?

Per quale assurdo motivo?

L’ultima volta, avevamo chiarito tutto.

Cos’altro voleva dirmi?

Questa situazione mi mise leggermente in soggezione.

Guardai Alec.

Lui ricambiò il mio sguardo. Era preoccupato quanto il mio.

“Tornerò presto amore… non mi accadrà niente.” Gli sussurrai, lasciandogli gradualmente la mano.

Lo osservai fino alla soglia della stanza, dopodiché chiusi la porta alle mie spalle, seguendo Felix.

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Per tutto il corridoio, non lo degnai nemmeno di una sguardo.

Non  lo meritava.

Intanto, se avrei voluto tenere salda la mia posizione, all’interno della guardia, avrei dovuto mantenere la calma, come se non fosse successo nulla.

Quando arrivammo alla sala principale, Aro, mi accolse a braccia aperte, come al suo solito.

“Mio stimatissimo Demetri! Che piacere rivederti dopo questi svariati giorni!” mi venne incontro, con le mani incrociate.

“Come va con Alec? Tutto… d’amore e d’accordo?”

Avrei voluto rispondergli un sì netto, ma non potevo.

Quel pensiero mi distruggeva.

Non potevo mica dirgli che le cose andavano tutte per il verso giusto… sarebbe stato ridicolo da parte mia.

“Va tutto bene, mio signore…” mi limitai a mentire.

“Bene bene…” cambiò la sua espressione beata, in una smorfia “…però a quanto pare, il tuo Alec, non riesce a dimenticare il suo adorato… Jonathan…”

Jonathan?  

Chi era Jonathan?

“Di cosa parla, mio signore?” lo guardai perplesso.

“Il tuo caro amichetto, quindi, ti ha tenuto nascosto questo suo piccolo segreto… che tristezza…”

Sentii una fitta al mio interno.

“Demetri, odio dovertelo dire… ma lui lo pensa ancora… nella sua mente, vi è ancora il suo ricordo…”

No.

Non era possibile.

Sentii il mio corpo perdere lentamente le forze.

Era come se venissi schiacciato dalla forza di gravità.

Niente era paragonabile a come mi sentivo in quel momento.

Ecco il perché della sua freddezza.

Ecco qual’era il suo problema.

Lui pensava ad un altro.

Ad una sporco, fragile ed insignificante umano.

Magari lo amava.

“Va tutto bene, mio caro?” sentii in lontananza, la voce di Aro, che interruppe i miei pensieri, portandomi nuovamente sulla Terra.

“Va tutto… benissimo… signore…” riuscivo a stento a parlare.

Non so quali delle peggiori emozioni stessi provando io, in quel momento.

Dolore. Combinato alla rabbia.

Avevo voglia di accasciarmi al suolo… o forse, sarebbe stato meglio che qualcuno mi avrebbe fatto a pezzi… magari Felix.

Chiunque… l’importante sarebbe stato, sparire per sempre da questa stupida eternità che mi vincolava a vivere, all’inverosimile.

“Ohhh… mio caro… quanto mi dispiace…”

Cercavo in tutti i modi di non prestare attenzione alle parole di quel rude, e devo dire che ci riuscivo perfettamente… il dolore era di gran lunga più forte della voglia di eliminarli uno per uno.

Raccolsi tutte le mie forze, e lasciai quella maledetta stanza, senza dire nemmeno una parola.

Durante il tragitto verso la mia camera, il dolore mi sovrastava sempre più, fino a consumarmi completamente.

Sentivo un forte bruciore agli occhi, ed un continuo calore dentro.

Come una fiamma viva, che ardeva incessantemente, all’interno del mio corpo, e che lo consumava lentamente.

Le mie mani tremavano dalla rabbia.

Non mi importava di nulla, ormai… la mia esistenza non avrebbe più avuto un senso.

Ovunque passavo, riducevo tutto in frantumi, comprese le colonne ed i muri, che iniziarono a creparsi.

Non ero consapevole delle mie azioni, perché ero troppo accecato dall’ira, che mi impediva di rimanere lucido.

Mi fermai a pochi metri dalla mia camera… quello era il luogo in cui, ci eravamo amati… tanto.

Improvvisamente, mi vennero in mente tutti i momenti trascorsi insieme, all’interno di essa.

Io lo avevo amato con tutto me stesso, perché lui solo era la mia ragione di vita.

Non avevo mai pensato ad un altro, semplicemente perché non ne avevo motivo… io amavo solo lui.

Ma a quanto pare, lui fin’ora, non aveva fatto lo stesso.

Mi aveva mentito… usato.

Anche se non lo dimostrava… forse era fin troppo bravo a nascondere e a mentire.

Ma se credeva di ingannarmi adesso, si sbagliava.

Mi sentivo deluso e soprattutto tradito.

Io, di certo, non ero lo zimbello di nessuno.

Un vampiro non prova pietà, né compassione.

Dovevo far valere le mie autorità.

Spalancai la porta, staccandola, quasi.

Lui era lì, immobile davanti alla finestra. Si voltò non appena entrai.

Stava per dire qualcosa, ma non glielo permisi.

“È vero??? È proprio vero quello che dice Aro???” ringhiai.

Mi guardò perplesso, come se non capisse di cosa stessi parlando.

“Dimmi la verità Alec… non accetto più bugie da te, è chiaro???” alzai il volume della voce.

“Tu pensi ancora a quell’umano, ammettilo…” mi avvicinavo sempre più a lui, con le mani dietro la schiena. “Non è così Alec? Non è così???” pronunciai le ultime parole ad un centimetro dal suo viso, scandendole.

Lo vidi tremare impercettibilmente sotto le mie urla.

“No Dem… posso spiegarti tutto…”

“Non voglio più sentire nemmeno una parola da te, è chiaro??? Mi hai deluso abbastanza!!!” con un semplice gesto, feci volare il tavolo alla mia destra, che arrivò dall’altra parte della stanza, provocando un rumore sordo.

Poi continuai. “Io ti ho salvato la vita… ti ho reso come me… ti ho amato come non ho mai amato nessuno, e tu… mi ricambi così??? Amando un altro??? Un umano!!!”


“Non è così…” cercò di spiegarsi. Se fosse stato un umano, di sicuro avrebbe pianto.

“Non è così?? Sarebbero queste le tue ultime parole???” lo presi dalle spalle, sbattendolo contro il muro.

“Pensavi forse a lui ogni volta che siamo stati a letto??? Ogni volta che mi dicevi ‘ti amo’???

Fiamme. Ecco cosa avevo dentro.

Ero totalmente fuori controllo.

Scuoteva la testa in segno di disapprovazione.

“Ammettilo Alec!!! Tu lo amavi mentre amavi me!!!” Sfoderai i denti, premendolo ancora più contro il muro, che iniziò a sgretolarsi.

Non opponeva la minima resistenza.

“Io voglio te! Amo solo te!!! Ti ho salvato la vita ricordi?”

Riflettei un attimo, mollando leggermente la presa.

Scostai lo sguardo dal suo… quello che diceva era vero… mi aveva salvato la vita da Felix.

Forse avevo esagerato.

Mi calmai per una frazione di secondo, poi la mia ira, prese nuovamente il sopravvento.

“Lo hai fatto per compassione?? Ti giuro… avrei preferito un tradimento vero e proprio… ma questo… non riesco ad accettarlo… mi hai mentito per tutto questo tempo…” gli voltai le spalle, afflitto.

“Ti sbagli!!!” la sua voce interrupe il silenzio. “Io ti amo!!!”

Mi voltai di scatto verso di lui.

Era ancora incollato al muro, e aveva una smorfia di dolore dipinta sul viso.

Lo amavo… troppo.

Ero pentito del modo in cui lo avevo trattato.

Ma dentro di me, soffrivo troppo.

“Non mentirmi ancora, Alec.” Gli dissi, calmo.

“Non ti sto mentendo… non ho mai amato nessuno, oltre te.” Lo guardai, sconfitto.

Sembrava sincero. O forse lo era.

Si avvicinava sempre più a me, cercando di sfiorarmi il volto, ma io mi sottrassi leggermente.

Capii che anche lui provava dolore e… rabbia.

Intimorito da una mia possibile reazione, si avvicinò a me, baciandomi le labbra.

Il mio amore per lui era tale, che avrei voluto approfondire il bacio, come stava per fare anche lui, ma il mio dolore era troppo grande, da farmi opporre.

“Avevo promesso che non ti avrei mai più abbandonato… ma queste circostanze mi obbligano a farlo… ti ho amato, e continuerò ad amarti in eterno, ma non credo che questo sia sufficiente. Ti chiedo perdono di tutto… non volevo arrivare a tanto…”

Ero troppo addolorato, arrabbiato, ma soprattutto… deluso.

Sparii da quella stanza all’istante, lasciando Alec da solo.

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


Capitolo XXII

 
Alec

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“La vita non fa regali, ma solo prestiti.”

 
Stavo per dirigermi verso la porta, ma dovetti fermarmi per forza, se avrei fatto ancora qualche passo, ci avrei ricavato solo una porta sul naso.

Demetri entrò come una belva in camera, chiudendosi immediatamente la porta alle spalle. Mi guardava deluso, ferito. Stavo per dirgli qualcosa, ma vedendo la sua espressione furente, mi fermai all’istante, timoroso di una sua eventuale sfuriata. «è vero? Ciò che dice Aro è vero, Alec?», sbraitò alzando la voce, facendo qualche passo verso di me, tenendo le mani dietro la schiena.


Lo guardai stranito. Di cosa stava parlando? Cosa gli aveva detto Aro di così terribile da farlo infuriare così? Sentivo gli occhi pungere, come al solito. Volevo piangere, le lacrime erano invisibili, i singhiozzi mi erano rimasti in gola, bloccandomi le parole. Questa era l’unica pecca dei vampiri: Non potevano dimostrare il loro dolore, esponendolo all’esterno, dovevano soffrire dall’interno, come dei dannati, anche perché in teoria, i vampiri erano dei dannati. Condannati all’inferno, senza una via di scampo.


«Dimmi la verità Alec. Non accetto più bugie, chiaro?», urlò. «Tu pensi ancora a quel ragazzo, a quell’ umano. Non è così Alec?», continuò davanti al mio volto, scandendo le ultime parole, facendole penetrare nella mia testa immediatamente.

Tremai, rimanendo immobile. «No.. Dem.. Posso spiegarti.. tutto», balbettai impaurito.

Quella reazione, quella sfuriata di rabbia, mi impauriva e rendeva inutile, come un bambino, alle prese con la prima sgridata da parte dei genitori. Avevo paura, troppa paura. La sua espressione mi terrorizzava.


«Zitto. Non voglio più sentire una sola parola uscire dalla tua bocca. Mi hai deluso già abbastanza», terminò, fissandomi truce. Volevo scomparire, anzi no, non volevo mai essere nato, non avrei fatto soffrire nessuno, almeno.


Vederlo in quello stato.. mi faceva troppo male, e la fonte del suo dolore ero solo ed unicamente io.. «Dem.. non è così», mormorai a tono basso, sicuro che mi avesse sentito alla perfezione. Un punto a favore dei vampiri.

Lo vidi tremare dalla rabbia. «Non è così? E quali sarebbero le tue ultime parole, eh?», sbraitò, stringendo le mie spalle, sbattendomi al muro. «Ammettilo Alec: Quando amavi me, amavi lui», ringhiò mostrando i suoi denti a qualche centimetro dal mio viso.
«Io voglio solo te. Amo solo ed unicamente te. Ti ho salvato, ricordi?», dissi in mia difesa, anche se sapevo che non sarebbe servito minimamente a niente.

«L’hai fatto solo per compassione. Giuro.. avrei preferito un tradimento vero e proprio, ma questo non me lo aspettavo..», disse con tono monocorde e stanco.

“Credimi amore mio.. amo solo te. Ti prego..”, pensai stanco e distrutto. Volevo morire. Gli avrei risparmiato tutto quel dolore. Non lo meritavo. Lui meritava qualcuno migliore di me, qualcuno che l’avrebbe reso felice sul serio.

Mi lasciò andare, voltandosi, dandomi le spalle. «Io ti amo...», sussurrai, sperando che mi credesse. Era vero. Lui lo sapeva: Amavo solo e unicamente lui. Era la mia ragione di vita.

«Non mentirmi Alec..», mormorò voltandosi.

Aveva un’espressione distrutta, triste... desolata. Vederlo in quello stato mi faceva impazzire. Non volevo vederlo in quello stato e sapere che adesso era così solo per colpa mia, mi faceva sentire solo un fallimento totale.

Mi avvicinai a lui, cercando di avvicinarlo a me. Volevo toccarlo, abbracciarlo, fargli capire che aveva frainteso, fargli capire che amavo solo lui. Si fermò davanti a me, ed io, essendo molto vicino, lo baciai.

Era fermo, immobile come una statua di sale, e sentire che non ricambiava, mi rendeva inerme, debole... il niente. Lo avevo deluso, ed era solo colpa mia. Mi allontanai. «Dem...»

«Avevo promesso che non ti avrei mai abbandonato, per nessuna ragione al mondo. Ti amo e ti amerò in eterno, ma.. non credo che questo sia sufficiente. Ti chiedo perdono... non volevo arrivare a tanto...», mormorò, fermandomi e andandosene all’istante.

Mi sedetti per terra, guardando il vuoto, non vedevo niente, però. Non sentivo niente.

Era come se il vuoto mi avesse rinchiuso da qualche parte.

Ero solo. L’unica ragione della mia esistenza era andata via, solo per il mio puro egoismo.

L’avevo deluso, facendomi odiare immediatamente.

Volevo piangere, morire all’istante.

Volevo tornare al passato, rivivere tutto da capo... il passato che avevo passato con lui, quel breve passato che in quel momento tormentava la mia testa, facendomi avere dei capogiri forti e devastanti.

Tutto era andato via, con lui; niente aveva più senso se lui era scomparso dalla mia vita, sempre se quella, potesse definirsi tale.

Sentii la rabbia montarmi dentro, invadermi le interiora, fuoriuscendo dal mio essere come l’acido.

Ringhiai, alzandomi e dirigendomi fuori da quella stanza. Dovevo parlare con Aro, immediatamente.

Entrai in quella stanza, vedendolo seduto come sempre, sul suo trono.

Era da solo, gli altri due non c’erano. Tanto meglio, ne avrei pestato solo uno.

«Mio caro Alec, che succede?», mormorò venendomi davanti con la sua solita aria serena e felice. Ringhiai.

«Tu sei un fottuto bastardo. Sei un lurido verme. Perché? Cosa ti ho fatto eh? Perché mi stai fai facendo del male? Cosa ho fatto?», sbraitai, ringhiando.

Stava per replicare, ma non ci riuscii. Lo presi per il colletto della camicia, avvicinandolo al mio volto. «Prima di sparare cazzate, dovresti informarti...  mio signore», continuai subito dopo, vicinissimo al suo volto.

Lo vidi cambiare espressione in tempo record. Divenne spaventata, ma per sua sfortuna, adesso era da solo, fottutamente solo. Doveva soffrire, come stavo soffrendo io.

«Mio caro... non so di cosa stai parlando», spiegò calmo.

Lo gettai in una colonna, che a contatto col suo corpo si frantumò cadendogli addosso.
«Non sai niente? Oh... mio signore non è stato forse lei a parlare con Demetri, dicendogli tutto? O almeno... quello che lei ha visto?», mormorai tranquillo, sorridendo.

Si alzò, pulendosi i vestiti. «Mio caro... mi è sembrato opportuno parlargli».

Ringhiai, sfoderando la mia nebbia, senza però toccarlo. «Dichiarargli la verità no eh?»

«Mio caro ragazzino, tu forse non sai.. chi sono io, cosa posso farti.. voglio solo avvertirti: Non metterti contro di me», spiegò in sua difesa.

«Cavolo, che paura. Sto tremando», risi. Era patetico. «Voglio solo ringraziarla, mio signore... Grazie a lei.. sono tornato di nuovo quello di prima: Un coglione in solitudine, sarà contento vero?», chiesi con tono falsamente pentito, anche se non lo ero minimamente, ero solo arrabbiato.

Mi avvicinai a lui, sorridendogli. Alzai una mano al cielo, e gli assestai un pugno sulla guancia, facendolo schiantare sulla parete alla mia destra.

Lo guardai impassibile, senza smuovermi nemmeno di un millimetro, quello.. era il minimo.

Avrei preferito fargli altro, ma preferii evitare, per quel momento.
 
Me ne andai, lasciandolo da solo in quella stanza. Dovevo trovare Demetri, dovevo parlargli urgentemente, dovevo spiegargli tutto per filo e per segno, così da fargli capire, anche se.. sapevo che di sicuro non mi avrebbe mai più rivolto la parola, e questo mi faceva intristire maledettamente; avevo bisogno di lui.. lui era la mia salvezza.
 
Cercai in tutto il palazzo, non trovandolo da nessuna parte. Era come scomparso, come se non fosse mai esistito.. Cercai perfino nelle celle sotterranee, che avevo scoperto qualche giorno prima, grazie a Demetri che come sempre, mi faceva visitare il palazzo, quando mi annoiavo, e non avevo niente da fare.
 
Quel posto era pieno di vampiri assetati di sangue e che spesso, si ammazzavano fra loro, come per sfogarsi. Quel posto mi dava i nervi, mi faceva vomitare.
 
Un nauseante odore di polvere mi riempì le narici, disgustandomi in un modo eccezionale.

«Guardate chi c’è... il nuovo arrivato», mormorò un vampiro, con tono scherzoso. Strinsi gli occhi, cercando di trattenermi. Non dovevo attaccare nessuno, dovevo restare fermo per qualsiasi ragione al mondo.

«Hai fegato ragazzino: Attaccare il signore di Volterra e rimanere intatto, è un miracolo», continuò.

«Ha avuto solo fortuna... oppure... ha fatto la puttanella?», intervenne un altro, facendo ridere tutti.

Ridacchiai in modo nervoso, andandomene lentamente. Attaccarli non sarebbe servito a niente.

Cercai in svariate stanze, senza trovarlo. Era andato via, lasciandomi da solo con me stesso, ma soprattutto con questi pazzi del cavolo.

Tornai in camera, distrutto. Volevo averlo vicino, volevo sentire il suo calore, la sua voce, la sua risata. Mi mancava così tanto. Era andato via da poco e già ero distrutto. Dovevo trovarlo, cercarlo... ma dove? Avevo visitato tutto il palazzo, da cima a fondo, senza mancare nemmeno una stanza, nemmeno un’ angolo, senza risultati.

Un battito di ciglia. Mi si accese come una lampadina in testa.

C’era ancora un posto che non avevo ancora visitato: La radura.

Era lontana da Volterra, troppo, ma ci sarei arrivato. Costi quel che costi.

Non aspettai nemmeno un secondo, mi buttai dalla finestra, iniziando a correre, sperando di trovarlo lì. In caso contrario, se non li avessi trovato, l’avrei cercato fino in capo al mondo, finché non l’avrò trovato.

Arrivai al confine di Volterra in mezz’ora, cercando di trovarlo nelle vicinanze, forse per cacciare si era fermato, sempre se aveva sete. Non lo trovai e ricominciai il tragitto.

Mi fermai. Un bruciore alla gola iniziava a torturarmi dall’interno, infastidendomi notevolmente.

Cercai qualcuno con cui nutrirmi e nel mio caso, trovai un’ uomo.

Grazie al mio potere lo feci accasciare al suolo, rendendolo un vegetale vivente.

Non avevo voglia di usare le forze con un’ umano, quindi, usare un dono, in quei casi, è molto utile.

Bevvi dalla sua gola finché non sentii più niente. Mi staccai dalla sua giugulare, osservando quel corpo bianco e senza vita. Lo bruciai, ricominciando a camminare.

Mi sentivo più forte, più resistente, mentalmente, invece, ogni minuto in più, mi rendeva sempre più debole.

L’avevo deluso. L’avevo perso. Ero solo, come prima di diventare un’immortale. Era sempre così: Tutti si allontanavano. Era vero: La vita non faceva mai regali, ma solo prestiti.

Mi facevo pena da solo.

Chissà cosa stava facendo in quel momento.. Mi mancava così tanto..

“Alec, sei troppo veloce, dovresti rallentare adesso”, mormorò venendomi dietro.

Mi fermai all’istante. “Mi aiuti?”

Mi sorrise, tenendomi  per i fianchi. “Devi individuare la scia, controllare se fa al caso tuo, se stuzzica la tua sete..”

Mille immagini si fecero spazio nella mia mente, come mille tuoni che s’infrangono nel ciel sereno, interrompendo una giornata serena e preannunciando un temporale.

Arrivai alla radura dopo qualche minuto, mi addentrai al suo interno, fermandomi vicino a un’ albero. Lui era lì, seduto per terra, intento a giocare con l’erba, con lo sguardo basso guardava attentamente la sua mano. Non si era minimamente accorto di me, tanto meglio, per ora preferivo osservarlo. Era così bello, più del solito.

Sorrisi, mordendomi il labbro. Mi era mancato così tanto che anche vederlo da lontano, mi faceva sentire sereno, leggero, felice. Si alzò da terra, e a quel punto indietreggiai di un passo, quasi per non farmi vedere, anche se.. mi avrebbe visto lo stesso.

«Alec..», mormorò sbalordito, fissandomi attentamente.

Gli andai incontro. «Stavo per venire da te.. non riuscivo a vivere..», continuò subito dopo.

Poggiai un dito sulle sue labbra. «Non dire niente.. ti prego», sussurrai, avvicinandomi ulteriormente a lui.

Si scostò quel tanto che bastava per poter parlare. «Amore mio.. mi dispiace tantissimo. Sono un verme, adesso lo so. Se tu.. non mi vorrai più, sarai libero di amare chi vuoi tu..», disse.

Lo guardai contrariato. Quando capirà che amo solo e unicamente lui?

«Amo solo e unicamente te e non devi scusarti, quello che deve farlo sono solo io», terminai sicuro di me. Lui non aveva colpe, al contrario, io, dovevo rimediare, chiedendogli scusa.

Stava per rispondere, ma lo zittii posando le mie labbra sulla sua bocca e finalmente, mi sentii nuovamente completo. La sua bocca era così mielata e dolce che ogni volta mi mandava in paradiso, facendomi sentire per una volta, importante per qualcuno.. Io che.. in tutto quel tempo.. non ero mai stato importante per nessuno.

Sentivo le sue braccia stringermi, facendomi appoggiare al suo corpo marmoreo. Gli strinsi i capelli, continuando a baciarlo intensamente. Mi era mancato tantissimo, dovevo recuperare tutto il tempo sprecato. Sentii il mio volto bagnarsi, i vestiti attaccarsi alla mia pelle, infastidendomi all’istante. Aveva iniziato a piovere.. proprio come quella sera, la stessa sera in cui mi portò via dall’orfanotrofio, portandomi con se.

Mi allontanai quel tanto da poter parlare. «Ti amo.. mi credi, adesso?», mormorai guardandolo fisso negli occhi.

Annuii. «Ti credo amore mio.. dovessi morire»

Mi baciò dolcemente, un bacio casto, ma pieno d’amore, e questo bastava a farmi capire tutto.

«Ma tu.. cosa ci qui da solo? Mi avevi promesso che non ti saresti mai allontanato da Volterra..», disse, improvvisamente preoccupato.

Sorrisi. «Ci sono momenti in cui.. le promesse vengono infrante, soprattutto se c’è di mezzo una persona che si ama.. questo è uno dei tanti momenti.. E poi.. tu sei più importante della mia sicurezza. La tua assenza mi stava facendo impazzire», conclusi stringendomi saldamente a lui.

Mi carezzava la guancia continuamente, donandomi un senso di felicità senza eguali. «Non ti abbandonerò mai più, sarà l’ultima cosa che faccio. Ho imparato che, senza di te, la mia vita è un vero tormento», concluse lui, facendomi appoggiare al suo petto, carezzandomi continuamente la guancia.

«Ti amo Demetri, lo ripeterò all’infinito, per sempre. Non ho mai amato nessuno, così come amo te, sarai sempre e solo tu.. il mio unico vero amore. Nessuno ci sarà d’intralcio.. perché.. non lo permetterò a nessuno. Lo giuro», confermai sicuro di me. Lo stavo per perdere, ma non sarebbe mai più capitato. Più niente l’avrebbe diviso da me. Nessuno.

Ora ero certo di qualcosa: La prima: Demetri era la mia ragione di vita, se quella potesse essere definita tale.

La seconda: Aro me l’avrebbe pagata cara. A qualsiasi costo.

Non rispose, al contrario, rimase in silenzio. Tanto meglio, non saprei cosa rispondergli, non in quel momento, almeno. Le sue labbra sfiorarono nuovamente le mie, ma con più amore. Ricambiai felicemente. Tutto era tornato alla normalità, anzi, molto meglio di prima. Eravamo di nuovo una cosa unica, niente e nessuno ci avrebbe mai più divisi, ne ero certo.

Finalmente tutto tornò alla normalità ed io, potetti nuovamente, sentirmi completo.

Mai, nella mia vita avevo provato quelle sensazioni che solo ed unicamente Demetri riusciva a trasmettermi, anche solo sorridendo. Era come se la gravità fosse scomparsa, in quei momenti, l’unica cosa che riusciva a tenerti fermo e con la mente lucida, era solo quella persona.
In quel momento tutto scomparve: Il passato, le lacrime versate insieme al sangue, Jonathan e i suoi discorsi d’amore, in quel momento l’unica persona che fosse presente nella mia mente, era solo una: Demetri.

Non volevo tornare a casa, volevo rimanere in quella radura, isolato dal mondo, ma soprattutto, volevo restare lontano da quel castello monotono e noioso, ma se lui avrebbe deciso di tornare, lo avrei seguito all’istante.

«Ti va.. di tornare a casa?», chiesi impaziente, aspettando una sua eventuale risposta. Egoisticamente pensando, speravo in un no sonoro, quasi urlato. Quel posto, quel palazzo mi rendeva malinconico, troppo.

Ci pensò, dicendomi: «Amore.. a dire il vero.. vorrei rimanere ancora un po’ qui, con te.. ovviamente», terminò accarezzandomi la guancia dolcemente, sorridendomi.

Gli sorrisi. «Bene, dopotutto.. voglio rimanerci anche io. Questo posto mi ricorda così tante cose..», mormorai. «I ricordi migliori della mia esistenza», terminai subito dopo.

Ricambiò il mio sorriso, sdraiandosi sull’erba, facendomi sedere al suo fianco.

Mi strinsi, immediatamente a lui, cercando un contatto con lui, con la sua pelle, ma soprattutto con lui, che in quel breve lasso, mi era mancato infinitamente.

Lo amavo, fin dal primo momento in cui lo vidi davanti a me, anche se in quelle circostanze, ero spaventato, ma l’amore.. a volte.. sa essere una cosa devastante.

Ogni minuto in sua compagnia, alimentava sempre di più l’amore che provavo, fino a farmi scoppiare dall’interno. Era strano: Un umano, innamorato di un mostro, di certo non era una cosa normale, o che tanto meno, potesse definirsi tale, ma a me non importava.
Quando si ama, si perde la ragione, no?

Giusto?..

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


Capitolo XXIII
 

 


Demetri
 
 

Non volevo rimanere in quella stanza nemmeno per un altro secondo... né tantomeno in quel palazzo.

Mi faceva troppo male... Possedeva troppi ricordi positivi in contrasto con quelli negativi, il che mi faceva letteralmente impazzire.


''Posso spiegarti tutto...''

''Non voglio più sentire nemmeno una parola da te, è chiaro? Mi hai deluso abbastanza!!''


Quelle parole mi balenarono in mente, provocandomi un dolore indescrivibile.

Mi aveva deluso abbastanza, era vero... Mi aveva fatto troppo male, ma io, come un fottuto senza speranze, non lo avevo nemmeno lasciato spiegare.

Era troppo tardi per tornare indietro... Non vi era rimedio a quello che avevo fatto.

Preferivo non essere mai nato.

Io... Un perfetto idiota, che per giunta, adesso non aveva più niente.

Avevo perso il mio unico amore... La mia unica ragione di vita.

Cosa mi rimaneva per continuare a vivere? Nulla.

Avevo un vuoto dentro. Un vuoto incolmabile.

Senza lui, non ero niente.

Mi facevo pena da solo.

Avrei tanto voluto morire di sete, ma in quel momento, tra la rabbia ed il dolore, comparve improvvisamente, incendiandomi la gola.

Andai alla ricerca di qualcuno da bere...

Quanti umani... In giro per le strade, in piena notte... Non avevano alcuna possibilità di scappare.

Inspirai fin sotto ai polmoni, sentendo un forte bruciore, che non riuscii a trattenere.

Mi passai la lingua sulle labbra, sfoderando i denti, pronto ad attaccare.


''Sei troppo veloce Alec, dovresti rallentare...''

''Mi aiuti?''

''Devi percepire la scia, capire da dove viene....''


Di nuovo quei pensieri... La nostra prima caccia insieme.... Senza lui era tutto diverso... Senza senso...

Mi sentivo incompleto.

Li afferrai uno per uno… erano in cinque.

Affondai i denti nelle loro gole… sentii il sangue fluire lentamente al mio interno, facendomi riacquistare gradualmente le forze.

Nonostante tutto, non potevo di certo dire di stare bene.

Come potevo?

Mi mancava l’altra parte di me, che avevo perso qualche ora fa.

Colui che mi faceva stare bene, anche solo con un sorriso.

Il suo odore mi mandava in estasi… ma adesso lui non c’era.

Ero più che certo che non ci sarebbe mai più stato, per come lo avevo trattato.

Mi sentivo un verme.

Quella rabbia contro me stesso, mi indusse a squartare quei corpi inerti, prima di dargli fuoco.

Non ero un mostro… era la mia natura.

Ma adesso non sopportavo nemmeno quello, di me.

Odiavo tutto.

Me ne andavo in giro, come un alcolizzato, senza una meta.

Dove sarei andato?

Non aveva alcun senso.

La mia vita non aveva senso.

Sentii una goccia scendere sul mio viso.

Stava piovendo… proprio come quella sera.

“Chi sei?? Come hai fatto ad entrare???”

“Sta’ zitto… e soprattutto sta’ fermo… mi riesce già fin troppo difficile sopportare la tua presenza…”

“Smettila” dissi alla mia mente… come se potessi comandarla.

Quelle erano le prime parole che ci scambiammo, quando lo vidi la prima volta.

Non riuscivo a sopportare la sua presenza, per via del sangue, ma adesso… non riuscivo a sopportare la sua assenza… mi distruggeva.

Volevo solo dimenticare, ma non potevo.

Non ci riuscivo.

Io lo amavo troppo.

Non avevo il coraggio di tornare indietro, di rivederlo.

Ma se non l’avrei rivisto di presenza, avrei cercato un luogo, dove la sua immagine mi sarebbe tornata in mente, come se fosse reale.

Sapevo già dove rifugiarmi.

L’unico luogo che avrebbe potuto farmi stare meglio. Forse.

Mi diressi verso la radura.

Era tale e quale a come la ricordavo, quando… lo baciai per la prima volta.

Mi accasciai al suolo, stringendo tra le mani l’erba bagnata.

Avrei tanto voluto piangere… uno sfogo, almeno.

Ma niente di questo era possibile, per un essere come me.

Avevo dimenticato cosa volesse dire piangere… cosa si provava nel farlo.

Ma il mio dolore era più forte del pianto. Ne ero sicuro.


Schiusi le labbra e subito le feci entrare in contatto con le sue… inizialmente le sfiorai… erano calde, morbide.

Non avevo mai provato una sensazione simile, prima d’ora.


Avrei voluto averlo accanto… per riprovare quella sensazione, come se fosse la prima volta.

Era impossibile. Non c’era.

“Io ti amo!!!”

A quelle sue parole avrei dovuto corrergli incontro… stringerlo, baciarlo… mentre io lo avevo trattato in malo modo.

Mi facevo letteralmente schifo.

Dovevo tornare indietro.

Dovevo chiedergli scusa.

Lo avrei fatto subito.

Ero deciso più che mai.

Nel caso peggiore, sarebbe stato lui a decidere se volermi ancora, o amare quell’umano.

Gli avrei dato una scelta. Ma l’avrei fatto in modo distinto, chiedendogli prima perdono.

Mi alzai da terra, lentamente, ma qualcosa mi fece arrestare.

Qualcosa che conoscevo.

Mi voltai con lentezza, per non rimanere deluso… non volevo illudermi.

Era proprio lui.

Non riuscivo nemmeno a parlare, per l’emozione.

Era come se avessi visto un angelo.

Un angelo che mi avrebbe salvato dal mio dolore.

Se era venuto a cercarmi, vi era un motivo.

Mi amava.

Come io amavo lui.

“A..lec..” rimasi immobilizzato, come se fossi attaccato al suolo.

Mi rivolse uno sguardo dolce… pieno d’amore. Lo sentivo.

“Stavo venendo da te… non riuscivo più a vivere…”

In meno di un attimo, me lo ritrovai ad un centimetro da me, con un dito sulle mie labbra.

“Shhh… non dire niente, ti prego…” sussurrò, con la sua voce angelica.

Quella voce… mi era mancata maledettamente.

Era un sollievo per me.

Parlare mi veniva spontaneo. Dovevo scusarmi a tutti i costi, e dirgli che lo amavo.

“Perdonami amore… ero fuori di me… sono un verme, e adesso posso capirlo perfettamente, se tu non mi vorrai più… hai tutto il diritto di amare qualcun altro…”

“Shhh… io non amo nessun altro che non sia te. Non devi scusarti… sono io che devo chiederti le mie scuse”

“Tu non devi minimamente azzardarti a farl…”

Non riuscii a finire la frase, che poggiò le sue labbra sulle mie… dolcemente… un bacio che valeva più di mille parole.

Eravamo sotto la pioggia, proprio come quella meravigliosa notte.

Le sue labbra erano morbide… buonissime… un sapore unico, impareggiabile. Il sapore migliore che avessi mai assaggiato… le sue labbra erano ancora più dissetanti del sangue.

Andava contro la mia natura, ma, un suo bacio riusciva a dissetarmi completamente.

Adesso quei ricordi, prima frustranti, si erano trasformati in ricordi stupendi.

Strinse le sue dita fra i miei capelli, completamente inzuppati, e io feci lo stesso, avvicinandolo a me ulteriormente.

Quel bacio mi bloccava dolcemente il respiro… era di sicuro il bacio più bello di tutta la mia esistenza… pieno di vero amore.

Staccò lentamente le sue labbra dalle mie. “Ti amo… mi credi adesso?”

“Ti credo amore… dovessi morire…” stringevo il suo viso tra le mie mani, guardandolo intensamente.

Lo baciai velocemente, a fior di labbra. “Ma tu cosa ci fai qui da solo? Mi avevi promesso che non ti saresti mai allontanato da Volterra.” Continuavo a tenergli il viso.

“Ci sono alcune circostanze per le quali non si possono mantenere le promesse… questa è una di quelle…” Sorrise, incurvando il labbro all’insù. “Tu sei più importante della mia sicurezza… mi hai quasi fatto impazzire…”

“Non ti abbandonerò mai più amore mio… sarà l’ultima cosa che faccio… ho imparato che, stare senza te, mi rende impossibile l’esistenza… è un tormento.” Gli sfiorai la guancia con le dita.

“Ti amo Demetri… te lo ripeterò all’infinito… niente e nessuno potrà essere d’intralcio al nostro amore… non ho mai amato nessuno nella mia vita oltre te… resterai per sempre tu il mio amore unico…”

Quelle parole erano le uniche che avrei voluto sentire da sempre, soprattutto in quel momento, che avevo un assoluto bisogno di rincuorarmi… avevo sofferto troppo.

Ma adesso era tornato tutto come prima… anche meglio direi.

Preferii non parlare.

Premetti le mia labbra sulla sua bocca, stringendola delicatamente.

Quel sapore mi era mancato da morire.

Eravamo tornati una cosa sola, e come diceva lui, niente e nessuno ci avrebbe più separati.

Volevo un’ultima cosa per rasserenarmi completamente… vendetta.

Vendetta verso colui che mi aveva mentito spudoratamente.

Come avevo potuto dubitare dell’amore di Alec?

Sapevo benissimo che mi amava come lo amavo io.

E per quello che avevo fatto, mi sentivo un perfetto idiota.

“Ti va.. di tornare a casa?” mi sussurrò dolcemente.

Lo guardai cupo.. per il momento, non avevo voglia di tornare in quel palazzo, né tantomeno in quella stanza.

Il ricordo della mia stupida follia, mi faceva letteralmente impazzire.

Non volevo minimamente ricordarlo, mi sarei sentito uno schifo.

Sicuramente, tornare in quella camera, sarebbe stato un incubo per me. E anche per Alec.

Avremmo di sicuro cambiato stanza, anche perché quella, era a dir poco inagibile.

“Amore… a dire la verità, vorrei rimanere ancora un po’ qui… con te ovviamente.” Gli sfiorai il viso.

“D’accordo amore… d’altronde questo è il luogo che preferisco… mi ricorda tante cose… forse le cose più belle della mia esistenza.”

Lo guardai, commosso per quello che aveva appena detto.

Mi sdraiai sull’erba bagnata, seguito da lui, che fece lo stesso, stringendosi a me.

Mi amava.

Adesso ne ero più che convinto. Mi sentivo l’uomo più felice di questo mondo… e niente oltre lui, poteva rendermi più felice.
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Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***


Capitolo XXIV

 
Alec

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Non so quanto tempo passò; forse minuti, ore. Il tempo con Demetri passava inesorabilmente, troppo veloce per poterne.. provare di più, quasi mi lasciava un retro gusto amaro in bocca.

Aveva smesso di piovere da non so quanto tempo. Presi a giocare con l’erba,mettendomi seduto a gambe incrociate, mentre Demetri, era seduto davanti a me, troppo impegnato ad osservarmi, per poter parlare, anche solo per pronunciare una sola lettera.

Prese a giocare con i miei capelli, spostando il mio ciuffo all’indietro. Cosa inutile, visto che dopo qualche secondo, era di nuovo sulla mia fronte. La sua mano accarezzò la mia fronte, scendendo e fermandosi sulle labbra, dove vi posò le dita. Ne delineò lentamente i contorni, lentamente, senza fretta.
Le bagnai leggermente con la lingua, fino a quando non le spostò.

Mi morsi lentamente il labbro inferiore, chiudendo gli occhi. Lo amavo troppo, in quel momento più che mai. Non avevo mai amato una persona, come amavo lui.

Sorrisi istintivamente, senza un motivo apparente, anche se, dentro di me, c’era un motivo assai specifico. Un brivido mi percorse la schiena, procurandomi un piacere improvviso, che risvegliò in me un desidero intenso. Lo volevo.

Lo spinsi per terra, facendolo distendere sui gomiti, mi misi su di lui, baciandolo con tutta la passione che avevo in corpo. Lo amavo e volevo dimostrarglielo a tutti i costi.

Mi leccai le labbra, osservandolo attentamente. La sua espressione era un misto tra sorpresa ed eccitazione, un miscuglio notevolmente eccitante ai miei occhi.

«Ti voglio..», sussurrai avvicinando al suo orecchio, leccandogli successivamente il lobo, facendolo sussultare appena.

«Anche io amore, non desidero altro che averti.. ma adesso, smettila di provocarmi..», disse subito dopo, osservandomi attentamente.

«Ti amo troppo..», continuai io, sorridendogli. Volevo farlo impazzire proprio come lui faceva impazzire me. Poggiai le mie labbra sulla sua bocca, cominciando a muoverle dolcemente.

Non so quanto tempo durò: forse minuti.. non mi importava.

Si allontanò subito dopo, osservandomi intensamente, come a scrutarmi nell’anima. «Non sai cosa ti farei..», sussurrò.

«Cosa? Spiegati meglio..», gli chiesi curioso, anche se.. avevo già qualcosa in mente.

«Tutto quello che si può fare con la persona che si ama e che si desidera, no?», rispose lui, prontamente, stringendomi saldamente a lui.

Gli sorrisi timidamente. Nessuno.. in vita mia, mi aveva parlato in quel modo. Mi sentivo amato sul serio, e questo mi rendeva la persona più felice in questo schifo di mondo.

«Spiegati meglio.. dai», ridacchiai, cercando di tirargli quel pensiero dalla bocca. Era assai difficile come impresa, ma ci sarei riuscito.

«Lo vedrai a casa.. tranquillo. Sei troppo eccitante e soddisfacente», rispose.

Lo baciai nuovamente, stavolta, con molta più intensità e con molta più passione.

Mi scostai. Improvvisamente volevo tornare a casa, quel posto iniziava ad annoiarmi senza un motivo preciso. Era diventato momentaneamente, noioso ai miei occhi. «Che ne dici.. vuoi tornare a casa?», gli chiesi, sperando in una sua risposta positiva. Quel posto iniziava a stressarmi, volevo rimanere in un posto più appartato, da solo, con lui.

«Sì.. andiamo.. ne ho bisogno», rispose lui. In effetti i suoi pantaloni, erano diventati nettamente più stretti. Lo sentivo. Ridacchiai.

«Andiamo via ti prego.. non ti resisto. Voglio amarti più delle altre volte, perché è questo quello che io desidero. Voglio amarti per il resto della mia esistenza», confermai, fermandomi cercando di riprendere fiato. Non erano parole lunghissime, ma per me.. erano un vero e proprio romanzo.

Amavo quel ragazzo con tutto me stesso, era la mia vita, la mia fonte di felicità. Se lui sarebbe scomparso, mi sarei fatto uccidere immediatamente, perché.. un’esistenza, senza la sua presenza, non era niente.

«Sì.. andiamo.. ma prima..», disse capovolgendo le posizioni, facendomi finire con la schiena al suolo. «Voglio risolvere una faccenda..», terminò, fissandomi.
Lo guardai confuso, non sapendo cosa stesse dicendo. «Cosa?». Gli chiesi.

«Qualcuno avrà la lezione che merita..», disse. Tutto tornò chiaro nella mia mente, tutto mi fu chiaro. Socchiusi gli occhi, cercando di trattenere un ringhio. Aro l’avrebbe pagata cara. Per colpa sua stavo per perdere la mia unica ragione di vita.

«Vengo con te», confermai sicuro di me, come non mai. Non l’avrei lasciato mai da solo, per niente al mondo. Gli sarei rimasto sempre accanto, anche a costo di morire, pur di salvarlo.

Strabuzzò gli occhi. «Non se ne parla nemmeno. Tu te ne starai buono, fuori da quella discussione, chiaro?»,tuonò.

Negai velocemente. No. Non l’avrei mai lasciato da solo. Mai. «Mi dispiace ma la risposta è no. Non ti lascerò andare da solo, da quel verme, non più.. sarò presente», obbiettai, cercando di convincerlo.

Non rispose, abbassò solamente lo sguardo, completamente sconfitto. L’avevo convinto con pochi sforzi, almeno quella volta.

Mi baciò dolcemente, poggiando le sue labbra sulle mie. Aveva un sapore, le sue labbra avevano un sapore sublime. Lo amavo.

Mi alzai, prendendogli la mano, incominciando a camminare, verso Volterra.

Durante il tragitto ci fermammo spesso, baciandoci per chissà quanto tempo.

Mi era mancato tutto di lui e volevo recuperare il tempo perso, volevo ricambiare il suo amore a tutti i costi, proprio come faceva lui con me.

Arrivammo al confine di Volterra dopo qualche minuto. Quel posto mi metteva ansia, da quando ci avevo messo piede la  prima volta. Non aveva niente a che fare con Salem e l’America in generale. L’Italia era tutta un’altra cosa. Era più calda, al contrario, l’America era decisivamente più fredda, almeno per me.

Appena arrivammo davanti al Palazzo dei Priori, mi arrestai all’istante. Lo osservai attentamente: Noioso. Quel palazzo era estremamente noioso, proprio come i suoi coinquilini.

Mi voltai verso Demetri, estremamente preoccupato. Volevo parlargli, dirgli qualcosa, ma non sapevo cosa, così preferii tacere, lasciando a lui la libertà di parola.

«Non ti succederà niente, amore mio. Non permetterò a nessuno di toccarti.. qualsiasi cosa accada.. io ti proteggerò.. sempre», aggiunse, baciandomi la fronte. Chiusi gli occhi, sospirando. L’avrei difeso sempre, come avevo promesso qualche tempo prima.

«Lo stesso vale per me», mormorai carezzandogli lentamente la guancia, guardandolo intensamente, perdendomi in quegli occhi color del sangue.
La sua mano si posò immediatamente sulla mia, fermandola sulla sua guancia. Sorrise. Lo imitai qualche secondo dopo, con tutto me stesso, con tutto l’amore che provavo per lui.

«Tranquillo.. ridurremo tutti quei bastardi a pezzettini», rispose a tono deciso, trascinandomi all’interno del palazzo.

Lo seguii senza fiatare, arrivando immediatamente davanti alla porta della sala conferenze, o sala delle torture, come amavo chiamarla io, ma dopotutto, sono solo dettagli futili, inutili.

Gli strinsi la mano, cercando un contatto più forte, come per convincermi della sua presenza in quel momento. Sentii la sua presa farsi più salda, e questo riuscii a tranquillizzarmi quel poco che bastava per non farmi perdere il controllo delle mie emozioni e di tutte le mie azioni, che in quel momento non erano affatto pacifiche e innocue.

Spalancò la porta. Entrammo immediatamente, fermandosi davanti ad essa. Mi guardai intorno. Nella sala erano presenti solo ed unicamente i tre anziani.
Caius, che sedeva alla sinistra di Aro, aveva assunto una maschera d’odio, iniziando a guardarci con astio. Non mi scomposi, provavo lo stesso nei suoi confronti.

Marcus, invece, come sempre era completamente disinteressato, quella situazione non gli importava minimamente. Tanto meglio, non mi aveva mai dato problemi, mi era completamente indifferente, proprio come io per lui.

Aro, infine, era seduto al centro e ci osservava completamente interessato.

Ringhiai cercando di restare calmo. Non dovevo attaccarlo, non adesso.

Caius si mosse, alzandosi dal trono, avanzando verso di noi, infuriato come non mai.

«Fratello, non prendere decisioni affrettate. Ascoltiamo i nostri carissimi amici, prima», sbottò Aro, fermandolo all’istante, rivolgendo uno sguardo verso di noi.

Il suo tono era calmo, flebile e monocorde, non lasciava trapelare nemmeno una misera emozione, a meno che lui, avesse mai avuto emozioni e tanto meno, un cuore palpitante, ma in tutta sincerità, escludevo quella possibilità.

Lo guardai fisso negli occhi, senza perderlo di vista. Tenerlo d’occhio era fondamentale, di vitale importanza. Quell’essere poteva essere imprevedibile.
Vidi Demetri scattare in avanti, puntando Aro che adesso era davanti a noi, immobile, come una stata di sale, ovviamente, senza vita, ma soprattutto senza senso.

«Sei un vile. Per tutti questi anni ti ho portato rispetto, chiamandoti addirittura signore, ma solo adesso, mi sono accorto che non meriti niente, nemmeno di essere definito tale, perché non lo sei», sbottò furiosamente.

«Invece, il mio rispetto non l’hai avuto prima, e non lo avrai mai perché per me, non sei un signore, ma ben altro», continuai subito dopo io, portando il mio sguardo su Demetri che era intendo ad osservarmi, stupito e colto alla sprovvista, dalla mia risposta inaspettata.

Mi sorrise. Lo imitai subito dopo. Il suo sorriso per me, era una fonte di forza.

«Hai fatto di tutto per separarci.. sei invidioso.. signore?», continuò Demetri, guardandolo dritto negli occhi. Fissai Aro attentamente. Non si scompose, rimase indifferente, come se quella situazione non lo sfiorasse minimamente. Cosa volevo aspettarmi da un’ essere come lui? Lui che non provava amore.

«Forse perché non hai mai trovato una puttana che potesse amarti sul serio?», terminò Demetri, trattenendo a stento una risata.

Aro incominciò a cambiare espressione, segno dell’efficacia delle parole di Demetri, che in quel momento, iniziarono a fare effetto. Aro incominciò a tremare, a ringhiai, a scoprire i denti, in segno di minaccia.

Non mi scomposi, soltanto, continuai a fissarlo attentamente. Era tutta una scenata, tutta pura finzione.

Quello era un suo punto debole. Sapevo quanto amasse sua moglie, ma stranamente, quella donna finiva con l’essere cornificata ogni giorno. Non se ne rendeva conto. Era così innamorata di quel vile, che il tradimento, non la sfiorava minimamente. Povera.

«Che fifa mio signore. Sai Aro, la tua faccia arrabbiata non fa paura a nessuno, anzi, fa soltanto ridere», confermai ridacchiando. Amavo farlo arrabbiare, si dimostrava così debole, mentre invece, doveva dimostrarsi il contrario.

Lo vidi balzare contro di me, cercando di afferrarmi per il collo, senza riuscirci. Demetri lo spinse sui gradini che erano posti ai piedi dei troni, che al contatto col corpo di Aro, si frantumarono, riducendosi in mille pezzi.

Cercò di alzarsi ma in qualche secondo riuscii a fermarlo, grazie al mio potere.

Vedevo quella nebbia nera, strisciare lentamente sul pavimento, arrivando davanti ad Aro, sfiorandolo con leggiadria, entrandogli dentro come mille tentacoli, bloccandogli le gambe, salendo al busto, bloccandogli completamente il corpo, entrargli dentro, neutralizzandogli ogni senso del movimento, e riversarsi come acido negli occhi, bloccandogli totalmente la vista.

Non respirava, non si muoveva. Una statua di sale.

Demetri prese ad attaccarlo, senza ricevere nessuna risposta. Il che.. era noioso.

Guardai Aro e i suoi fratelli che restavano immobili ad osservare la scena, senza scomporsi, come se fosse una cosa normale.

Provavo ribrezzo per loro, troppo da non riuscire a contenerlo.

Vidi Demetri inclinare all’indietro il capo di Aro, dal quale incominciarono ad intravedersi mille crepe, sempre più grandi, sempre più profonde, qualche secondo in più e gli avrebbe staccato la testa una volta per tutte.

Caius si alzò da trono, cercando di liberare suo fratello dalla presa di Demetri.

Peccato che quest’ultimo, fosse nettamente più veloce.

Lo scagliò lontano, allontanandolo, così da non avere nessun’intralcio per quel momento.

Le nebbia scomparve lentamente. Imprecai. Mi ero distratto, mollando la presa nel momento più sbagliato.

Aro incominciò a riprendersi e in quel momento sentii la porta aprirsi.

Inspirai l’aria, captando alla perfezione la scia del nuovo arrivato.

Sbarrai gli occhi, ringhiando.

Tutti, ma non lui. Dovevo immaginarlo che sarebbe arrivato lui, dopotutto, era il più forzuto in quel posto.

Mi voltai, fissandolo attentamente. Felix era davanti a me, pronto ad attaccare.

Cercai di riusare il mio potere, non riuscendoci. Lo vidi correre verso di me, facendomi sbattere sul pavimento, pressando il suo corpo sul mio. Cercai di spostarlo, senza riuscirci. Era troppo forte, troppo, soprattutto per me.

Mi mancava il fiato. Cercavo di capovolgere le posizioni, di ribaltare, così da liberarmi e aiutare Demetri che in quel momento si scagliò contro Felix per poterlo scaraventare via, ma non ci riuscì. Aro lo prese da dietro, bloccandolo sul pavimento, davanti a me.

Ero completamente inerme, non sapevo che fare. Volevo salvarlo a tutti i costi, ma quel fottuto bastardo mi bloccava tutti i movimenti.
Si liberò, scaraventando Aro lontano. Felix mi strinse la gola, pressandomi verso il pavimento, che non sopportando quella forza, incominciò a sgretolarsi sotto quella forza.

Chiusi gli occhi, vedendolo davanti a me, steso, nella mia stessa situazione.

“Ti amerò per sempre Demetri. Lo giuro.”, pensai disperatamente, poi, come un fulmine a ciel sereno, quelle parole mi tornarono in mente..  «Voglio amarti più delle altre volte, è quello che desidero. Amo solo ed unicamente te, e lo farò per il resto della mia esistenza..»

Quelle parole mi diedero la forza per poter reagire. Non potevo mollare così, non in quel modo così codardo e inutile. Dovevo reagire. Per me.. per lui.
Demetri, riuscì nuovamente a liberarsi di Aro, scaraventandolo lontano. Si rialzò, balzando verso Felix, prendendolo per la vita, e levandomelo finalmente da dosso. Mi rialzai velocemente, aiutato da Demetri, che si era preoccupato di darmi la mano.

«Stai bene?», chiese preoccupato, accarezzandomi delicatamente, quasi impaurito.

Annuii velocemente. «Io sto benissimo, ma adesso non perdiamo tempo..», dichiarai, cercando di usare nuovamente il mio potere.
Dopo qualche secondo quella nebbia nera, circondava me e Demetri, avanzando verso Aro, lentamente, senza fretta. Era l’avanzata della vittoria.
Aro ricadde sul pavimento, nuovamente inerme. Tanto meglio.

Demetri avanzò verso di lui, prendendogli la testa, con l’intenzione di staccargliela.

Sentii dei lamenti dietro di me e mi voltai di scatto. Felix nel frattempo si era rialzato, e caricava verso di me, correndo velocemente, ma con la mia velocità riuscii a schivarlo, e con la mia forza riuscii a mandarlo lontano con un sol colpo.

Non avevo bisogno del mio dono, in quel caso. Battere un’ avversario con la propria forza era decisivamente più soddisfacente. Era una soddisfazione, una goduria.

Si rialzò, ma con un pugno lo feci scontrare contro la parete, lasciandolo disteso per terra. Mi avvicinai a Demetri, che nel frattempo, continuava ad inclinare all’indietro il capo di Aro, che era completamente immobile e inerme, per via del mio dono che continuava a fluire in lui.

Lo vidi inclinare il suo capo, lasciando il collo scoperto. Alzai una mano, con l’intenzione di staccargliela.

Con un colpo riuscii ad appoggiare la mano sulla sua gola, ma una voce mi fermò all’istante.

Marcus. «Fermatevi», sbraitò, alzandosi improvvisamente dal trono.

Quasi mi spaventai. Quell’uomo non aveva mai reagito a niente, fino a quel momento.

Era sempre rimasto immobile e fermo come una statua, come un’ essere senza vita e adesso, mi interrompeva sul più bello.

«Risparmiatelo, vi prego.. parlerò io stesso con i miei fratelli, nel frattempo, nessuno vi arrecherà più fastidio. Insieme, siete fin troppo forti, anche per noi Volturi», dichiarò guardandomi fisso negli occhi.

Lo ascoltai attentamente. Qualcosa mi diceva che dovevo credergli.

Demetri mollò la presa su Aro, che cadde agonizzante al suolo. Mollai, anche io, la presa col mio potere, lasciandolo in pace, per quel momento.
Non mi bastava. Volevo vederlo morto e dopo di lui, anche gli altri.

Non meritavano di vivere. Erano degli essere abominevoli, senza cuore, senza animo.

«Adesso andate, penserò io a risolvere questa situazione», dichiarò Aro, congedandoci all’ istante.

Insieme a Demetri, uscii da quella stanza, potendo respirare di nuovo aria pulita.

Quella stanza mi metteva su di giri, negativamente parlando.

Alcune guardie si precipitarono nella stanza, aiutando all’istante Aro e Caius, che nel frattempo, ci guardava in cagnesco.

«è tutto finito amore.. anche se.. avrei preferito un altro finale», disse, carezzandomi la guancia.

Ridacchiai. «Almeno li abbiamo riempiti di botte», constatai.

«Ora è tutto finito..», disse stringendomi il volto tra le sue mani.

Era vero, era tutto finito, anche se per me.. era il contrario, ma preferii tacere su quell’ argomento, almeno per ora.

«Adesso.. vivremo in pace..?», chiesi.
Annuii. «Ovvio, anche se ho ancora un problema da risolvere», disse, grattandosi la nuca, con un’espressione preoccupata.

Imitai la sua espressione. «Problema? Quale?», chiesi preoccupato. «Dem, ti prego..», dissi scongiurato e preoccupato, vedendo che non mi rispondeva.
Mi spinse al muro, abbracciandomi saldamente. «Dobbiamo cercarci una stanza, ricordi?»

Annuii, ricordando all’istante. Stavo per rispondergli, ma la sua bocca sigillò la mia, con un bacio mozzafiato.

Mi staccai. «Cerchiamola. Adesso», dissi a tono deciso.

«Di qua..», disse lui, prendendomi per mano e portandomi in quella che sarebbe stata la nostra nuova stanza.

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Capitolo 26
*** Capitolo 25 ***


Capitolo XXV
 

 


Demetri
 


Stavo ancora disteso al suolo, quando Alec si alzò, rimanendo a gambe incrociate, giocherellando con l’erba.

Aveva stampata sul viso, un’espressione beata, finalmente serena.

Amavo vederlo felice.

Faceva stare bene anche me, anzi, era la sua felicità, l’unica cosa a darmi la forza di vivere.

Aveva smesso di piovere già da un pezzo.

Imitai anch’io la sua posizione, mettendomi esattamente di fronte a lui, per scrutarlo più attentamente.

Era semplicemente stupendo.

Lo osservai velocemente dalla testa ai piedi, soffermandomi infine, sul suo viso.

Aveva gli occhi di un rosso acceso… bellissimi… mi faceva capire che si era da poco nutrito. Esattamente come avevo fatto io.

Anche le nostre azioni, dimostravano che eravamo fatti l’uno per l’altro.

Ero più che certo, che anche lui, aveva avuto i miei stessi ricordi.

Le sue labbra erano incurvate all’insù, in un dolcissimo sorriso… quasi spensierato… chissà a cosa pensava.

Strinsi istintivamente le mie dita tra i suoi capelli umidi, cercando di spostarli all’indietro, con scarso risultato.

Feci scorrere un dito sulla sua fronte, percorrendo il naso, fino ad arrivare alle labbra, dove mi soffermai.

Disegnai il contorno di esse, avvicinando lentamente il mio viso al suo, mentre continuavo a sfiorarle.

Ebbi un brivido… sentivo intensamente di volerlo.

Con le sue labbra umide, mi bagnò leggermente la superficie delle dita, che subito portai sulla mia bocca, per inumidirla col suo sapore.

Gemette piano, posizionandosi impercettibilmente su di me, obbligandomi così, a distendermi sui gomiti.

Lo osservai leccarsi le labbra, esterrefatto da quella sua reazione, che mi faceva letteralmente impazzire.

“Ti voglio…” mi sussurrò dolcemente all’orecchio.

“Anch’io amore, non desidero altro che averti… ma adesso… smettila di provocarmi…” mormorai, con mezzo sorriso, mordendomi il labbro inferiore.

“Ti amo troppo…” disse, e dopo mezzo secondo, le sue labbra erano sulle mie, pronte a baciarle con passione.

Non so quanto durò quel bacio, sapevo solo che ne volevo ancora, e che, di quel sapore non mi sarei mai stancato.

Non ne avevo mai abbastanza di lui.

Mi staccai delicatamente. “Non sai che ti farei…” gli sussurrai, con il respiro spezzato dall’eccitazione.

“Cosa? Ti prego dimmi tutto…”

“Tutto quello che si può fare a qualcuno che si ama e si... desidera.” Speravo tanto che capisse le mie intenzioni.

“Spiegati meglio.” Si avvicinò nuovamente ad un millimetro dalle mie labbra.

“Te lo farò vedere direttamente a casa… sei troppo eccitante… soddisfacente…”

Mi guardò con la stessa voglia che avevo io di lui, dopodiché riprese a baciarmi.

“Quindi, vuoi tornare a casa??” mi chiese, come se si aspettasse un sì. Forse voleva tornare anche lui. Anzi, dal suo sguardo, ne ero più che certo.

“Direi di sì… ne sento il bisogno…” mormorai, vicinissimo alle sue labbra, sfiorandole con il respiro. In effetti, la cerniera dei pantaloni, stava divenendo insopportabile.

Lui se ne accorse, abbozzando un sorriso. “Ti prego… andiamo… non ti resisto…” si distese quasi totalmente, su di me. “Voglio amarti ancora più delle altre volte, perché è questo quello che desidero… voglio amare solo te per il resto della mia esistenza…”

Quelle parole erano.. tutto per me.

Il pensiero che stavo quasi per perderlo, mi uccideva dall’interno.

Ero stato un vero idiota… il mio comportamento, lo aveva fatto stare male, e questo mi distruggeva.

Come avevo potuto dubitare di lui?

Sentivo il suo amore sino in fondo all’anima… se ne avevo una. Forse non l’avevo mai avuta, ma lui… lui sì che era la mia anima.

Lo amavo con tutto me stesso, e per lui avrei lottato al costo della morte.

“Si amore… andiamo.” Capovolsi le posizioni, mentre gli carezzavo i capelli. “Ma prima… ho bisogno di portare a termine una certa faccenda…”

“Di cosa parli amore??” mi chiese, guardandomi di sbieco.

“Qualcuno avrà la lezione che si merita…”.

Esatto. Quelle erano le parole giuste.

Aro doveva avere la punizione che si meritava.

Le sue stesse menzogne, lo avrebbero fatto pentire di essere esistito fino a quel momento.

Aveva fatto abbastanza…

“Io vengo con te!”

“Non se ne parla nemmeno! Tu te ne starai buono buono, alla larga da questa faccenda.”

“Mi dispiace… ma la risposta è no! Verrò con te… non ti lascerò mai più andare da quel verme, da solo… voglio essere presente…”

Era inutile continuare ad obiettare, tanto lui, lo avrebbe fatto lo stesso. Ormai conoscevo fin troppo bene la sua ostinazione.

Gli baciai le labbra… volevo tanto fargli capire che non avrei voluto metterlo a rischio. Ma in fondo, lui lo sapeva già. Era solo ostinato.

Mi amava quanto io amavo lui… era evidente.

Mi prese per mano, e insieme ci avviammo verso quel maledetto palazzo.

-

-

Lungo il tragitto, ci fermavamo ripetutamente per scambiarci dei lunghi baci… mi era mancato tutto di lui.

Soprattutto in quel tratto, che di solito, lo avevamo percorso sempre insieme. Non avrei mai più voluto percorrerlo senza di lui.

Arrivati alla soglia del palazzo, ebbi una fitta all’interno. Quei fottuti ricordi mi martellavano in testa.

Vidi anche Alec, trasalire… stava sicuramente pensando a quello che avevamo passato… al dolore che avevamo provato.

“Shh… non ti succederà niente amore mio… te lo prometto… qualunque cosa accada, sarò pronto a difenderti e a proteggerti…” gli baciai dolcemente la fronte, stringendo gli occhi, che iniziavano a bruciare dalla rabbia… dall’ansia.

“Lo stesso vale per me amore…” mi carezzò la guancia con la mano, dove subito dopo, sopra la sua, si posò la mia.

“Stai tranquillo… li faremo tutti a brandelli questi bastardi…” gli sorrisi, incurvando le labbra all’insù, cercando di convincere me stesso.

Lo stesso fece lui, dopodiché entrammo, con un passo deciso… pronti ad affrontarli.

-

-

Arrivati davanti alla sala principale, ci scambiammo nuovamente lo sguardo, senza dire una parola.

Mi strinse la mano ed io ricambiai, facendolo sentire più tranquillo.

Spalancai la grande porta d’ingresso, varcandone la soglia.

Ci arrestammo entrambi a circa un metro dall’entrata. Alec mi stava costantemente accanto, sfiorando quasi la mia spalla con la sua.

Caius, che stava seduto alla sinistra di Aro, aveva uno sguardo schifato… le sopracciglia rivolte verso l’interno, la bocca diritta, con le estremità incurvate all’ingiù, in una smorfia.

Si alzò di scatto, continuando a guardarci in cagnesco, pronto per venirci addosso.

Mi preparai al contrattacco, ma Aro, lo fermò in tempo, prima che potesse avanzare di un altro passo.

“Fratello… non prendere decisioni affrettate… ascoltiamo prima cosa hanno da dire i nostri carissimi amici…” il suo tono era sereno come al solito, ma la sua espressione era tutto il contrario.
Si alzò dal suo trono, scendendo lentamente i tre gradini, che vi erano appena sotto di esso.

Marcus invece, aveva la sua solita espressione apatica… forse non gli interessava un bel nulla di quella situazione.

Meglio così… non avevo intenzione di attaccare lui. Mi era totalmente indifferente.

Il mio sguardo si scostò nuovamente su Aro.

Notai che aveva appena fatto un cenno a uno della guardia.

Quel gesto non mi convinceva affatto. Stava tramando qualcosa.

Era un vile a tramare alle nostre spalle. Era sleale, e noi eravamo in netto svantaggio.

Ma questo non mi preoccupò affatto, anzi, mi feci avanti.

“Tu… sei un essere rivoltante! Per tutti questi anni ti ho portato rispetto… ti ho chiamato da sempre ‘signore’, credendo che fossi tale, ma mi sbagliavo… non sei altro che uno sporco bugiardo... mi fai schifo…”

“…il mio rispetto invece, non l’hai mai avuto dal primo momento, e non l’avrai mai, perché per me, sei tutt’altro che un signore…” continuò Alec, spuntando fra i denti.

Lo guardai, soddisfatto delle sue parole… aveva continuato il mio discorso alla perfezione, come se fosse unico.

“Hai fatto di tutto per separarci, mio lurido signore… sei forse invidioso?” lo vidi  cambiare espressione, ed avvicinarsi sempre più a noi. “Forse perché non sei mai riuscito a trovare una sporca puttana disposta ad amarti veramente…” continuai.

Quello era il suo punto debole, ed io lo avevo centrato alla grande.

Tremava dalla rabbia, emettendo una serie di ringhi.

“Che fifa, mio ‘signore’… la tua faccia non fa paura a nessuno, anzi mi fa solamente ridere” lo provocò Alec, con tono sarcastico, sogghignando.

Quelle parole, gli fecero perdere il controllo… era arrivato al limite della sopportazione. Balzò in avanti, con un braccio teso verso di lui, pronto ad ucciderlo.

Nessuno, e dico nessuno doveva permettersi di torcergli nemmeno un capello!

Sfoderai i denti, emettendo un ringhio… dovevo difenderlo a costo della vita. Salvare la persona che amavo era il miglior modo di morire.

Grazie alla mia rapidità, in cui io ero nettamente superiore, riuscii a fermarlo in tempo, prima che potesse attaccarlo.

Lo presi dalla gola, scaraventandolo sui gradini, che si ridussero in frantumi.

Cercò di rialzarsi, ma fu inutile… la nebbia di Alec lo aveva già travolto e ridotto nel nulla.

Ne approfittai per scaricargli addosso tutto l’odio che avevo dentro.

Volevo vederlo soffrire in tutti sensi.

Ma vedere un corpo inerte, non mi soddisfaceva… lo misi in ginocchio, forzandogli il capo all’indietro, che cominciò a incrinarsi.

Mancava pochissimo, quando Caius si alzò dal trono, cercando di scagliarsi addosso a me, distraendomi.

Alec fece arrestare la sua nebbia, pronto per difendermi da lui, ma io, con una sola mano, lo avevo già scagliato contro la colonna, che andò in mille pezzi.

Aro, intanto, aveva ripreso lentamente le forze, e mentre ero impegnato con lui, udii un tonfo sordo alle mie spalle.

Mi voltai di scatto, e vidi una scena che non avrei mai voluto vedere.

Avrei tanto voluto smettere di vivere all’istante.

Il mio Alec era disteso per terra, sotto quel colosso di Felix.

Fino a quel momento non era stato presente, quindi capii che quel cenno di Aro verso uno delle guardie, significava: chiama i rinforzi.

Che gesto squallido, colpirlo alle spalle.

Mi lanciai verso di lui, per eliminarlo definitivamente, e salvare la mia unica ragione di vita dalle sue grinfie, ma Aro mi bloccò da dietro, stringendomi in una morsa.

Riuscii presto a liberarmi, ma vedere Alec in netta difficoltà, mi indeboliva… Felix lo stringeva dalla gola, premendolo al suolo, che cominciò a spaccarsi.   

In quelle condizioni non riusciva a sfruttare il suo potere, ed io… mi sentivo inutile.

Provai nuovamente a proiettarmi verso di loro, ma con scarso risultato… ero ancora una volta bloccato da Aro, sta volta sotto di lui.

Il suo peso gravava maledettamente su di me, impedendomi di muovermi… di reagire.

Mi voltai verso Alec… Eravamo nella stessa identica situazione.

Lui mi guardava nello stesso modo. Il suo sguardo implorava aiuto.

Quella scena mi tagliava il respiro… il dolore che provavo dentro, era più forte di quello fisico.

Chiusi gli occhi.

Perdonami Alec” continuavo a pensare… “Perdonami… il mio amore ti ha portato alla morte… brucerò all’inferno per sempre…

Ero pronto a morire, lo speravo proprio… non volevo più assistere a  quella scena orrenda…

 
“Voglio amarti ancora più delle altre volte, perché è questo quello che desidero… voglio amare solo te per il resto della mia esistenza…”
 

Quella frase, mi tornò improvvisamente in mente…

Dovevo salvarlo a costo della vita… come potevo lasciarmi andare in quel modo così codardo?

Gli avevo promesso che non gli sarebbe accaduto niente… e così doveva essere.

Quelle parole mi diedero la forza di reagire…

Presi Aro per i polsi, stringendoglieli saldamente, riuscendo così a ribaltare le posizioni. Adesso era lui con la schiena al suolo.

Lo premetti sul pavimento, tenendolo per il collo… continuava a muoversi sotto la mia presa salda, cercando di reagire in tutti i modi possibili.

“Hai fatto abbastanza… adesso basta.” Sfoderai i denti, mostrandoglieli ad un centimetro dal suo volto, dopodiché glieli piantai nella gola, che iniziò ad incrinarsi.

Rapidamente mollai la presa, e balzai verso Felix.

Era ancora intento a far sprofondare Alec nel pavimento incrinato, ma io lo fermai, prendendolo dalla vita, e scaraventandolo contro un’altra delle colonne, che si distrusse completamente.

Mi inginocchiai al suolo, pronto ad aiutare Alec a rialzarsi.

“Stai bene amore??” non riuscii quasi a parlare, per la preoccupazione. Gli porsi la mano, che subito afferrò.

“Sto bene adesso amore.. ma ora diamogli il colpo di grazia, non c’è tempo da perdere!!”

Vidi uscire nuovamente dai suoi polpastrelli, quella nebbiolina nera, che si espandeva sempre più verso Aro, che cercò inutilmente di liberarsene.

Mi lanciai verso di lui, ormai quasi inattivo, pronto ad eliminarlo definitivamente.

Alec intanto, lottava contro Felix, che sta volta, era in netto svantaggio. Lo scaraventò dall’altra parte della sala, mentre si avvicinava a me, per aiutarmi a fare fuori Aro.

Alzò una mano al cielo per tagliarli la gola, mentre io lo tenevo fermo, forzandogli il capo all’indietro.

“Fermatevi!”

Quella voce, proveniente da uno dei troni, indusse Alec a bloccarsi, che fermò la sua mano a pochi centimetri dalla gola di Aro.

Volgemmo all’istante lo sguardo verso quella voce… proveniva da Marcus, che era eretto davanti al trono, con le braccia rivolte verso di noi.

“Fermatevi… risparmiatelo vi prego… parlerò io stesso con i miei fratelli…”

Guardai Alec sconvolto… quell’uomo, che non aveva mai obiettato, mai parlato, mai preso delle decisioni… quella volta si era opposto.

Forse lo aveva fatto per amore dei suoi fratelli.

Lo capivo benissimo… amare qualcuno significava proprio quello.

Mollai Aro, che si accasciò al suolo, privo di forze, con una mano intorno alla gola, gli occhi sbarrati e il respiro affannato… si sarebbe ripreso presto.

“Abbiamo compreso che siete nettamente più forti di noi, insieme… ci arrendiamo…” continuò Marcus.

Non volevo che finisse così, volevo vederli tutti morti.

Avrei voluto il massacro… non meritavano di essere risparmiati.

Nonostante tutto, quelle parole, mi diedero una grande soddisfazione.

Eravamo più forti di loro… ma in realtà, non lo eravamo per niente… il nostro amore lo era.

Ci aveva dato la forza di reagire, per salvarci l’un l’altro.

“Adesso andate…” riprese Marcus, con il suo solito tono stanco, quasi svogliato. “Penserò io stesso a chiudere questa faccenda… da adesso in poi, nessuno andrà più contro di voi…” completò la frase, sedendosi nuovamente sul suo trono.

Mentre con Alec, ci incamminammo verso l’uscita, Caius, si alzò da terra, scotolandosi il mantello con le mani… ci guardò in cagnesco, come se volesse ucciderci con lo sguardo… consenziente o no, doveva sottostare al volere di uno dei capi.

Mi passai una mano tra i capelli, ricambiando quel suo sguardo… un misto tra una smorfia di rabbia e un ghigno di soddisfazione.

Appena varcata la soglia, dietro di noi, un insieme di guardie, all’unisono, si precipitò ad aiutare Aro… era come se tutti fossero abbindolati dalla sua maestria, che in realtà non possedeva affatto.

“È tutto finito amore… anche se non avrei voluto finirla in questo modo…” gli dissi, carezzandogli la guancia, cercando inutilmente di sistemargli i capelli, dietro l’orecchio.

“Se non altro, li abbiamo riempiti di botte…” rise, soddisfatto. “Se Marcus non ci avesse fermati, avremmo fatto una strage insieme…”

“Sei stato tu a darmi la forza di reagire… ma tu… stai bene amore?” gli chiesi, stringendogli il viso tra le mani.

“Adesso, accanto a te, sto benissimo… ma dimmi… da ora in poi, riusciremo a vivere insieme, serenamente?”

“Ne sono certo… anche se, rimane un piccolo problema da risolvere…” finsi di essere preoccupato, grattandomi il capo, come farebbe un umano.

“Dem… ti prego…” mi guardò ansioso, credendoci davvero.

Quella sua espressione, mi faceva letteralmente impazzire.

Lo avvicinai al muro, nel quale lo intrappolai, tra le mie braccia. “Dobbiamo cercarci un’altra stanza, ricordi?” gli sussurrai, ad un centimetro dalle sue labbra, abbozzando una risata.

Non riuscì nemmeno ad accennare un sorriso, che lo baciai con tanta passione, avvicinando il mio corpo al suo.

“Cerchiamola… adesso!” quel suo tono, quasi minaccioso, non riuscì a farmi trattenere una lunga risata.

“Di qua…” annunciai, indicandogli la strada, continuando ancora a ridere.

Lo presi per mano, avviandoci insieme, verso quella nuova stanza, che da quel momento in poi sarebbe stata la nostra.

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Capitolo 27
*** capitolo 26 ***


Capitolo XXVI

 
Alec

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Demetri mi portò nella parte ovest del palazzo, molto lontano dalla sala, dove risedevano gli anziani durante le loro esecuzioni, insomma, lontano da solo, una cosa molto positiva e a mio vantaggio.

Ci fermammo davanti una porta che, al contrario delle altre, era anonima.

Non potevo chiedere di meglio, soprattutto in quel momento.

In tutta la mia vita da umano non avevo mai incontrato nessuno che fosse riuscito a scaturire in me, quella strana parola chiamata amore.
 Mai nessuno era riuscito a farmi provare una sensazione tale da farmi mancare il respiro e far accelerare notevolmente il battito di quell’affare strano chiamato, invece, cuore. Mai.

Poi è arrivato Demetri e tutto è cambiato. Quella parola aveva iniziato ad avere un senso vero e proprio, arrivando al cuore, facendolo accelerare più del normale, facendomi mancare quasi il fiato in gola, strozzandomi.

Demetri era riuscito a farmi cambiare opinione in un solo giorno, in una sola notte, il che, poteva sembrare strano o addirittura pazzo e senza senso, ma per me, non era affatto così.

Ora, potevo capire al cento per cento cosa significasse amare una persona che in qualche modo, ricambia il tuo sentimento con tutto il cuore e tutto l’animo.
«Sei pronto?», mormorò Demetri, facendomi distogliere dai miei pensieri.

Mi voltai, sorridendogli. «Sono nato pronto.».

Aprì la porta, facendomi entrare. Feci qualche passo, ritrovandomi al centro della stanza, guardandomi intorno, scrutando ogni minimo oggetto.
Mi sembrava quasi un ritorno al passato: Tutto quel lusso, mi ricordava così tante cose, ma non ci badai. Ricordare il passato, adesso, era l’ultimo dei miei pensieri.

Era una stanza molto luminosa e spaziosa. Mi avvicinai alla balconata, spostando la tenda. Le odiavo. Erano un’ intralcio alla mia visuale, mi impedivano tutto.

Mi sentivo quasi a disagio a vedere tutto quello spazio, io che, nella maggior parte della mia vita, avevo cambiato stile di vita, in un’ attimo, passando a quello pessimo e povero in così poco tempo.

Tornai a scrutare la stanza per intero: Un letto al baldacchino al centro esatto della stanza, ai due lati due comodini di legno, anche se tutto il mobilio in quella stanza, richiamava il color del ciliegio, le pareti dorate che si abbinavano perfettamente agli altri colori della stanza, e infine, un divano e due poltrone.

Non era così male, dopotutto era migliore dell’altra, anche se quella... non mi dispiaceva per niente.

Il sole stava tramontando, lasciando spazio alla sera, alla notte e alla sua tranquillità.

Mi avvicinai nuovamente alla balconata, guardando attentamente la mia pelle che prese a brillare. Era una cosa pazzesca, che superava ogni mia attesa, rendendomi incredulo.

L’idea di essere diventato un vampiro continuava a stupirmi ogni giorno di più.

Ogni giorno speravo che fosse un sogno; l’essere umano mi mancava... ma solo a volte.

La consapevolezza del fatto che... per sopravvivere avrei continuato a uccidere, all’ inizio mi infastidiva.. e anche molto, ora, invece, non mi sfiorava un gran ché, avevo una persona al mio fianco che non mi avrebbe mai giudicato, e questo mi basta.. per non farmi sentire in colpa con me stesso e con quella che tutto sommato, era la mia natura.

Sentii qualcosa di freddo sul mio collo, e capii subito chi era.

Sorrisi istintivamente, sentendomi immediatamente... amato e non solo come un tempo, o tanto meno, usato come un giocattolo.

«Allora... ti piace?», domandò, avvicinandosi al mio viso, baciandolo delicatamente, per poi passare alla gola, facendomi rabbrividire incondizionatamente.
Nella mia vita da umano, mai nessuno era riuscito a far scaturire tali emozioni, anche con un contatto così... superficiale all’apparenza, ma che al contrario, non lo era per nulla, o almeno per me.

«è semplicemente stupenda. Non ho mai visto una cosa del genere in tutta la mia vita... ». Dissi ancora incantato, ma non per la stanza, quella, in quell’istante, era passata in secondo piano, adesso, invece, c’era una cosa, una persona nettamente più bella da ammirare.

«Ma a te.. piace?», chiesi subito dopo, guardandolo attentamente.

Sembrò rifletterci, anche se... non c’è n’era bisogno.

«Non ne sarei sicuro... la cosa più bella che io abbia mai visto, è qui, davanti a me e sei... tu.», disse guardandomi negli occhi con quel suo solito sorriso dipinto sulle labbra, quel solito sorriso che come sempre riusciva a farmi innamorare di lui, ogni minuto di più.

Rimasi senza parole, imbambolato a osservarlo senza riuscire a fiatare. Lo amavo e lo avrei amato per sempre. «Mi lasci senza parole...», sussurrai guardandolo dritto negli occhi.

Mi sorrise. «Allora non dire niente. Mi basta sentire il tuo respiro, o meglio.. assaggiare il tuo sapore.», sussurrò avvicinandosi al mio volto.

Ripassò il contorno delle sue labbra con la lingua, mandandomi letteralmente impazzito e immediatamente poggiai le mie labbra sulla sua bocca.

Lo strinsi a me. Volevo sentirlo vicino, volevo sentirlo mio.

Sentii qualcosa fermare il mio corpo, impedendomi anche un minimo movimento. Ero finito con le spalle al muro, con Demetri che continuava a baciarsi e di certo.. non mi dispiaceva affatto.

Gli strinsi i capelli, avvicinandomi di più al suo corpo, mentre sentivo le sue dita fredde, sfiorarmi il corpo, procurandomi mille brividi d’eccitazione.

Mi strinse a lui con un braccio, continuando a baciarmi. Sarei rimasto così per tutta la mia esistenza.

«Dem.. mi mancava la tua.. irruente.. passione.», confermai a bassa voce, allontanandomi di poco, dal suo viso.

Ed era vero; Amavo tutto di lui: Ogni suo movimento, la sua voce, la sua risata, i suoi sorrisi.

Tutto di lui riusciva a mandarmi in estasi, riducendomi a un’ ammasso di gemiti, sussurri, e parole d’amore.

«Parli sul serio?», chiese con quel suo sorriso soddisfatto sulle labbra.

Annuii velocemente, senza fiatare. Le parole mi erano morte in gola.

«Quindi tu.. credi che io sia aggressivo?», continuò subito dopo, avvicinandosi a me, sfiorando le mia labbra col suo respiro, mozzandomi il fiato in gola.
Volevo parlare, dirgli qualcosa.. ma cosa? Non riuscivo a formulare nessuno un pensiero di senso compiuto. Che senso ha.. pensare se c’è una persona che lo fa al posto tuo?

«E mi piace.», sussurrai con quel poco di fiato che mi era rimasto.

Sentii un leggero fastidio nel basso ventre. Sentivo i pantaloni diventare più stretti, donandomi un fastidio immondo, ma non ci badai, non in quel momento, almeno.

Sentivo lo sguardo di Demetri vagare sul mio corpo, soffermandosi sulla mia erezione, che ormai, era impossibile non notare.

“Fottuti pantaloni. Quasi, quasi.. li tolgo adesso.”. Pensai, sorridendo per non far notare il mio disagio.

«Lo vedo.», terminò lui, facendo aderire infine la sua erezione, sulla mia.

Sentivo la sua erezione sulla mia, che mi procurava mille sensazioni, che riuscivano a mandarmi fuori di testa in un’ attimo.

Mi spinse nuovamente al muro, muovendosi sul mio corpo, procurandomi mille gemiti.

Sentivo le sue mani carezzare il mio corpo attraverso il tessuto della camicia, procurandomi però, dei brividi.

Sentivo la sua erezione crescere, mozzandomi il fiato. Mi sentivo esplodere, e insieme con me, i miei pantaloni che non ne potevano più sentire.

I suoi gemiti erano la cosa più bella di tutto il mondo, soprattutto in quel momento.

Persi il controllo. Lo volevo mio all’ istante. Lo spinsi verso il letto che al contatto col suo corpo emise un tonfo leggero, di nessuna importanza.

Lo guardai attentamente, scrutandolo, stando attento a non perdermi nemmeno un singolo particolare.

Era splendido, la sua bellezza era insopportabile da vedere.

Mi faceva impazzire in tutti i sensi, anche solo con uno sguardo. Era incredibile, quasi surreale, ma per mia fortuna, era reale.

Mi prese per il colletto della camicia, avvicinandomi al suo volto.

«Non vorrai mica distruggere anche questo..?», sussurrò al mio orecchio.

Lo feci distendere, sedendomi sul suo basso ventre, dove i suoi pantaloni sembravano volessero esplodere da un momento all’altro e questo mi eccitava all’inverosimile, procurandomi mille brividi in tutto il corpo.

Presi ad accarezzarlo in tutto il corpo, passandogli le mani dentro i vestiti, sentendo la freddezza della sua pelle. Lo volevo mio, a tutti i costi, in quel momento più che mai.

Avevo già provato la brezza del sesso insieme con lui, e ogni volta sentivo quel bisogno, crescere sempre di più, insieme alla voglia che avevo di lui.

Non era un desiderio fisico, più che altro era sentimentale. Lo amavo, sì, ma amavo il suo essere dolce e gentile.

Amavo quella persona che anche con una carezza riusciva a farmi sentire amato, quella persona che con un bacio.. mi faceva sentire la persona più importante del mondo, anche se in effetti, non lo ero.

Ma a me non importava; se avevo lui, avevo tutto e a me, bastava per potermi sentire in pace con me stesso.

Il fisico, passava in secondo piano, sempre. Se una persona si ama.. non la si ama per l’aspetto fisico, no?

«Che ne dici di togliermi qualche strato?», sussurrò, distogliendomi dai miei pensieri, facendomi posare lo sguardo su di lui.

Non ci pensai nemmeno un altro secondo. Gli presi la camicia, strappandogliela direttamente. Ero ammaliato da lui. Poteva farmi di tutto, lo avrei assecondato sempre.

Non avrei mai fatto niente che l’avrebbe infastidito in qualche modo.

Lui per me era tutto.

«Assaggiami.», sussurrò al mio orecchio a tono fermo, come se fosse un’ ordine alla quale io avrei dovuto obbedire all’ istante. Non m’infastidiva, anzi, mi eccitava ancora di più.

Poggiai le mie labbra sulla sua gola, baciandola lentamente, senza fretta.

Lo assaggiavo lentamente, assaporando al meglio il suo sapore sublime.

Presi a leccare il punto in cui passavo le labbra, scoprendo di tanto in tanto i denti, mordendogli la gola con ardore, facendolo gemere.

Scesi lentamente verso il torace, baciandolo, leccandolo lentamente, lasciando una scia umida. Risalivo lentamente per poi riscendere verso il basso.

Mi fermai sul suo basso ventre che baciai ripetutamente con ardore, passando la lingua.

Gli morsi il ventre, piano, senza fargli male.

Arrivai al bordo dei suoi boxer. Mi sentii mancare il fiato.

Lo strinsi con i denti, cercando di tirarlo giù a tutti i costi, peccato che, non ci riuscivo.

Scesi più in giù, sentendo i suoi gemiti farsi sempre più acuti.

Arrivai davanti alla sua erezione. Morsi il tessuto dei boxer, di conseguenza, morsi la sua erezione, sentendo che reagiva al mio gesto.

Leccai il tessuto dei boxer, sentendo la sua consistenza che in quel momento sembrava d’acciaio.

Lo morsi nuovamente, stavolta con più intensità, sperando di non procurargli nessun dolore, in caso contrario, mi sarei fermato all’istante.

L’avrei fatto impazzire, questo era certo.

Passai la mano sulla sua erezione carezzandola in tutta la sua misura. Mi sentivo fuori di testa, più guardavo quella sporgenza più sentivo la voglia di lui crescere inesorabilmente, facendomi arrivare quasi all’orgasmo.

Sentivo la sua mano sulla mia nuca, e capendo che, in qualche modo, quel gesto lo stimolava, lo morsi di nuovo, strappando, in seguito i boxer, riducendoli in mille pezzettini.

Non esistevano parole per descrivere il mio stato d’animo. Ero eccitato al massimo, e la mia erezione ne era la prova.

Mi spogliò, facendomi rimanere nudo davanti ai suoi occhi.

Lo volevo, volevo sentirlo mio, volevo sentirlo dentro di me, per tutta la vita. Senza di lui, mi sarei sentito perso.

Non riuscivo a pensare, ogni mio pensiero mi procurava una fastidiosa sensazione alla testa, infastidendomi.

Mi fece distendere sul letto. Lo guardai contrariato per qualche secondo, poi tutto tornò come prima.

Si mise a cavalcioni su di me, facendo scontrare le nostre erezioni, senza nessun’ intralcio stavolta.

Sentivo la rigidità della sua erezione sulla mia e mi piaceva, mi donava un piacere immenso, indescrivibile. Era mozzafiato, tutto di lui mi attirava.

Si muoveva sul mio ventre, facendo toccare continuamente i nostri sessi, facendomi sussultare ad ogni contatto, e all’ improvviso mi sentii folgorato.

Sentii qualcosa di appiccicoso addosso, ma non era una sensazione strana o, sgradevole.

Lo avevo già provato in passato e, non mi era dispiaciuto, anche se quella volta, quello che era appiccicato, era solo ed unicamente il mio ventre.

Alzai lo sguardo il mio ventre, senza fiatare, senza far niente.

Portai le mie dita disgustosamente magre su quella chiazza, estendendola sulla mia pelle bianca e fredda, senza un motivo preciso. Volevo farlo, solo questo.

«Non provocarmi in questo modo.», ansimò Demetri guardandomi fisso.

Sorrisi, continuando però, il mio gesto. “Oh.. invece sì.. Demetri”, pensai. L’avrei detto volentieri, ma preferii evitare.

Stavo impazzendo totalmente, il desiderio di averlo cresceva a dismisura, portandomi a essere un’ ammasso di sussurri senza senso.

Mi fece voltare, mettendosi su di me. Sentivo le sue mani carezzare il mio corpo, vagare su tutta la mia pelle, le sue labbra sul mio collo. Lo baciavano delicatamente, senza fretta.

La sua mano carezzava l’ interno della mia coscia, stringendolo piano, delicatamente, senza forza, facendomi sussultare e ansimare.

Sentii le sue dita sul mio inguine, mi fece inarcare verso il suo corpo, facendomi combaciare al suo, perfettamente. Si fermò sul mio basso ventre, carezzando con le dita il mio membro, facendomi inarcare ancora di più.

Mi sentivo morire. Volevo parlargli, dirgli qualcosa, dirgli che lo amavo, ma non ci riuscivo.. le parole mi erano completamente morte in gola.

Non so quanto durò quel contatto, sapevo solo che il piacere e il desiderio di averlo aumentavano sempre di più, come le sue carezze sul mio corpo.

Si fermò per qualche secondo, ovviamente, ci rimasi di stucco.

Mi sentivo perso, come se fossi nuovamente da solo in un mondo da schifo, anche se, in pratica, non lo ero per nulla.

Sentii un leggero fastidio al basso ventre, un fastidio che scomparve immediatamente, lasciando il posto a quella piacevole sensazione, che ormai, conoscevo perfettamente.. quasi come le mie tasche.

Lo sentivo muoversi dentro di me lentamente.

Cercai un’ altro contatto con lui.. ne avevo maledettamente.. dannatamente bisogno.

Il suo respiro era un affanno mentre le sue mani ghiacciate vagavano sul mio corpo freddo e senza vita.

Baciò il mio collo, mentre era dentro di me, mentre le sue spinte ero lente e delicate.

Impazzivo dal desidero. Lo volevo mio, lo desideravo e lo possedevo.

«Dem.. per favore.. non fare così. Non fermarti..», mugugnai tra un sospiro e un’ altro, stringendogli la gamba, cercando di fargli capire che non provavo dolore, ma ben altro.

Le spinte aumentarono d’intensità, quasi a comando. Sentivo i suoi gemiti nell’ orecchio, i suoi respiri mozzati e il suo corpo sul mio, attento a non far gravare il suo peso su di me.

Deglutii pesantemente, sentendomi fuori di testa.

Volevo urlare, ma non volevo che potessero sentirci.

Stringevo le lenzuola fra le mani, cercando un sollievo, un qualcosa da fare.

Era una tortura non poter far niente, mentre qualcuno poteva sperimentare tutto ciò che volesse senza intoppi.

Le spinte aumentavano ancora, sentivo il suo bacino scontrarsi sul mio, le sue mani stringermi saldamente, senza paura, ormai non ero più fragile come prima, non ero più un fragile umano.

Mi sentii folgorato dall’ interno.

Improvvisamente mi sentii più.. leggero, come se un peso fosse andato via, lasciandomi in pace.. anche se non era affatto così.

Chiusi gli occhi, poggiando la testa sulle lenzuola stropicciate.

Cercai di calmarmi, anche se non ci riuscivo.

Mi mossi lentamente, ma mi fermai all’ istante.

Mi sentivo indolenzito, intorpidito da ogni parte, come se mi fossi appena svegliato da una lunga dormita.

Aprii gli occhi, sorridendo all’ istante.

Demetri si era disteso al mio fianco. Sorrideva beato. Accarezzava i miei capelli con le dita, avvicinandomi a lui, al suo corpo e finalmente, mi sentii nuovamente a casa.

Avevo bisogno di un suo contatto, senza, sarei caduto in depressione.

Era una droga per me, una droga di cui non mi sarei mai liberato.

Ne avevo dannatamente bisogno.

Lui riusciva a dare un significato alla mia vita, come nessun altro.

Lui era la mia vita ormai.

E lo sarebbe stato per tutta l’eternità, ne ero certo.

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Capitolo 28
*** Capitolo 27 ***


Capitolo XXVII
 

 



Demetri
 


Quella nuova stanza, era  molto più grande, spaziosa, ma soprattutto luminosa… soddisfaceva esattamente i gusti di Alec, a cui, senz'altro, sarebbe piaciuta ancora di più, rispetto alla precedente.
Sarebbe stata indubbiamente di suo gradimento.

Quella camera era l’unica in cui, non vi era mai stato nessuno… fin dall’inizio, infatti, ognuno aveva scelto la propria, ed io ero esitante nello scegliere tra quella e la mia attuale.

Malgrado io l’avessi valutata di gran lunga migliore, all’epoca, decisi di non prenderla… mi sembrava decisamente, troppo eccessiva, per non condividerla con nessuno.

Nonostante ciò, quella stanza, a quanto pare, era destinata ad appartenermi, e per giunta, l’avrei condivisa con colui che amavo davvero.

L’unico ad avermi fatto comprendere il significato della parola amore, che in tutta la mia esistenza, non avevo mai capito cosa fosse, o addirittura, se esistesse.

Prima di incontrare lui, nella mia vita, non avevo fatto altro che odiare, desiderare vendetta, uccidere per puro piacere di farlo… ma la mia unica voglia era il sangue… desideravo solo ed unicamente massacrare interi villaggi, per il bisogno di dissetarmi, e talvolta, anche solamente per il piacere di sentire il gusto di quel dolce nettare che mi faceva perdere la lucidità.

Poi, da quando vidi lui per la prima volta, fu come se qualcosa in me fosse cambiato… la mia unica voglia non era più solo il sangue e la vendetta, ma divenne lui la mia priorità.

Riuscivo benissimo a frenare la mia indole, anche solo avendolo accanto.

Sebbene ogni suo singolo bacio, risvegliava in me il mio istinto disumano, potevo contenermi perfettamente… mi bastava averlo vicino costantemente.

Era la mia eroina.

Cosa avrei voluto di più?

Avevo Alec, che per me era tutto, e non desideravo altro.

Prima di entrare, lo guardai, accennando un leggero sorriso. “Sei pronto?”

“Mai stato più pronto…”

Sapevo benissimo che quella sua prontezza, non era altro che un sinonimo di… voglia.

Capii che, se avrei esitato ancora ad aprire quella porta, anche solamente per un altro secondo, l’avrebbe sfondata con lo sguardo.

Il suo desiderio, d’altronde uguale al mio, era indubbiamente quello di entrare, e rimanervi dentro per tutta la notte, e magari oltre… lo percepivo alla perfezione.

Non riusciva a nascondere quella voglia… esattamente la stessa che avevo io di lui.

Abbassai piano la maniglia e spinsi, invitandolo ad entrare per primo.

Lo vidi arrestarsi sulla soglia… era esterrefatto.

Osservava attentamente ogni angolo della stanza.

Era una grande camera da letto, con abbastanza luce per distinguere ogni singolo colore dell’arredamento.

I mobili riportavano tutti lo stesso tono del ciliegio, e le pareti erano color oro, che si abbinavano perfettamente, ai riporti dorati del copriletto in lampasso rosso cremisi.

Ai lati del letto, vi erano due comodini, sui quali trovavano posto due candelabri dorati.

Dall’altro capo della camera, si trovavano invece, un divano e due poltroncine rivestite con una tappezzeria ricamata, nello stesso colore del copriletto, e accanto ad esse, vi era la grande finestra, nascosta in parte da un tendaggio damascato, nelle stesse tonalità.

Alec, si avviò verso di essa, per spostare leggermente la tenda da un lato… continuava a guardarsi intorno con meraviglia.

Mi sentivo quasi in colpa… io vivevo in quel lusso da secoli, mentre lui aveva visto solo dolore e miseria, in tutta la sua vita.

Il sole stava per tramontare completamente, quando un’ultima sfera di luce, gli illuminò il volto, che iniziò a brillare come un diamante dalle mille sfaccettature.

Era una visione stupenda… la più bella che avessi mai visto in tutta la mia esistenza…

Lui, che già in vita era bellissimo, con la trasformazione era diventato assolutamente irresistibile… era dotato di una bellezza rara, quasi insopportabile… lo desideravo… all’istante.

Mi avvicinai a lui, per scrutarlo più attentamente… era un incanto... una spettacolo senza paragoni.

La sua pelle sembrava ricoperta interamente da diamanti… avevo voglia di sfiorarla.

Mi accostai alle sue spalle, sfiorandogli il collo con le dita.

Le mie mani iniziarono a brillare, proprio come lui, e man mano che mi avvicinavo per baciargli la gola, pure il viso… “Allora… ti piace?...” mormorai.

“È… semplicemente.. stupenda… non ho mai visto una cosa del genere, in vita mia…” rispose, ancora incantato. “E a te… piace?” mi chiese dolcemente.

Riflettei un attimo… la stanza era bellissima, non vi era ombra di dubbio, ma non abbastanza…

“Non ne sarei così sicuro… la cosa più bella che ho mai visto in tutta la mia esistenza… sei tu…” gli sussurrai all’orecchio, sfiorandogli il lobo con le labbra, il che lo fece trasalire.

Si voltò istintivamente verso di me, rimanendo a meno di un centimetro dal mio viso. “Mi lasci senza… parole…”

“Shhh… non dire niente allora… mi basta sentire il tuo respiro, o meglio… assaggiare il tuo sapore…” gli dissi sottovoce, continuando a percorrere la sua pelle scintillante, con le dita.

Mi avvicinavo sempre più alle sue labbra, che continuavo a fissare, totalmente preso dal desiderio di morderle.

Ripassai il contorno delle mie, con la lingua, e lui, vedendo quel gesto, rispose istintivamente alla mia provocazione, facendo aderire perfettamente le sue labbra alle mie.

Mi baciava con una passione tale, da stringere eccessivamente il suo corpo al mio, come se volesse oltrepassarlo.

Quel suo atteggiamento, mi faceva letteralmente perdere la testa, risvegliando in me, il mio istinto incontenibile, che con lui, non riuscivo minimamente a controllare, infatti, in meno di un secondo, si ritrovò con le spalle al muro.

Forse non si aspettava una reazione simile, ma che potevo farci? Lui mi faceva impazzire totalmente, ed io non riuscivo a controllarmi.

Nonostante tutto, non smise di baciarmi nemmeno per un attimo.. continuava a farlo, stringendo saldamente i miei capelli, mentre io con le dita, cercavo di sfiorare la sua pelle fredda, attraverso le aperture tra i bottoni della camicia.

Lo scostai leggermente dal muro, stringendolo dalla vita con l’altro braccio, per riavere lo stesso contatto di prima.

“Mmh.. Dem… mi mancava la tua irruente… passione…” mormorò dolcemente a poco più di un millimetro dal mio viso… nella sua voce, vi era un misto tra sensualità ed erotismo.

“Dici davvero?” gli chiesi, accennando un sorriso di soddisfazione.

Annuì velocemente, senza emettere una parola.

“Quindi, tu credi che io sia… aggressivo?” mi avvicinai ulteriormente alle sue labbra, che sfiorai con il respiro, continuando a scrutarle con desiderio.

“E mi piace…” le sue parole erano fin troppo… eccitanti.

Lanciai uno sguardo eloquente, a tutto il suo corpo, soffermandomi sulla parte inferiore, che mi fece trasalire.

“Lo vedo…”continuavo a fissare quella sporgenza, leccandomi continuamente le labbra, con foga, per la forte voglia.

I suoi pantaloni, erano talmente rigonfi, che non riuscii a trattenere il mio bisogno di fare aderire la sua sporgenza, alla mia.

Quel suo contatto mi faceva perdere la lucidità.

Sentivo la sua rigidità sulla mia, il che mi indusse a muovere il mio corpo sul suo, spingendolo costantemente verso il muro.

Sentire i suoi gemiti, mi faceva godere all’ennesima potenza, tanto da non poter frenare i miei ansimi di piacere.

Probabilmente ci avrebbero sentiti, ma non mi importava.

Continuavo ad ansimare senza sosta.

Lo vidi immerso in un immenso piacere, e senza dubbio, furono i miei gemiti, ad indurlo a spingermi verso il letto, che sotto il mio corpo, emise un leggero tonfo.

Il modo con cui mi gettò su di esso, mi eccitava maledettamente. Non trovavo un termine esatto, per definire il suo gesto... era un misto tra aggressività e dolcezza. Era piuttosto strano, ma solo lui sapeva farlo.

Era l’unico, in grado di temperare la sua natura, riuscendo perfettamente ad unire quei due atteggiamenti.

Sapeva essere dolce e aggressivo allo stesso tempo, il che mi faceva perdere il controllo… amavo questo genere di cose.

Quando lo conobbi, Alec, non era altro che un umano, ed io mi innamorai follemente della sua fragilità... non potevo nemmeno baciarlo con maggiore passione, altrimenti, anche con un semplice gesto, l’avrei ucciso... ma questo mi piaceva. Era una sorta di masochismo.

L’odore inebriante del suo sangue, l’impossibile voglia di averlo… la costrizione a non spingermi oltre, ma più di ogni altra cosa, quel suo tocco debole sulla mia pelle… tutto ciò mi faceva letteralmente uscire di senno, mandandomi in uno stato di estasi.

Nonostante tutto, la forza che aveva acquisito con la trasformazione, mi eccitava ancora più della sua fragilità umana.

Vedere che poteva reagire esattamente come me, mi procurava un piacere unico, mai provato in precedenza.

“Non vorrai mica distruggere anche questo?” gli sussurrai, accennando un sorriso, mentre lo avvicinavo a me, afferrandolo dolcemente dal colletto.

Non riuscì a trattenere quel suo solito sorriso, che mi faceva perdere la testa.

Lo scrutai accuratamente, in tutta la sua bellezza.

La posizione che aveva assunto era assolutamente la mia preferita.

Stava a cavalcioni sul mio basso ventre… amavo quando credeva di essere lui al comando della situazione… avrei atteso non più di trenta secondi, dopodiché le posizioni sarebbero ribaltate.

Continuava a mordersi il labbro inferiore, mentre con le mani, vagava sul mio corpo.

Sentivo il suo tocco freddo, attraverso il tessuto della camicia, il che mi procurava mille brividi… l’avrei tolta volentieri, ma preferii aspettare… l’avrei trovato più eccitante se fosse stato lui a farlo.

“Cosa ne dici di iniziare a togliermi qualche strato?” lo sollecitai. Avevo voglia di sentire il suo tocco direttamente sulla mia pelle.

Ma non riuscii quasi a terminare la frase, che si tolse giacca e camicia insieme, in una frazione di tempo impercettibile all’occhio umano.

Toccai istintivamente il suo corpo, che al contatto con le mie dita ebbe mille brividi…

Bastarono pochi secondi, che iniziò a fremere sotto il mio tocco gelido, distendendosi completamente su di me, facendo aderire i nostri corpi.

Sentivo fortemente il bisogno di prendere in mano la situazione, infatti, molto facilmente, mi posizionai sui gomiti, stringendolo saldamente dai fianchi, ribaltando così le posizioni.

Non sopportavo più di avere addosso quella camicia, che vincolava maledettamente ogni mio gesto… era come se Alec, stranamente, mi avesse letto nel pensiero, perché me la tolse di dosso all’istante.

Aveva lo sguardo fisso su di me… era come ammaliato dal mio fisico e questo mi soddisfaceva parecchio…

“Assaggiami…” gli sussurrai all’orecchio. Quella parola suonò particolarmente seducente… sapevo che l’avrebbe fatto impazzire.

Eseguì immediatamente, come se fosse un ordine, poggiandomi le sue labbra inizialmente sul collo.

Lo mordeva con tale ardore, da provocandomi un piacere indescrivibile… scese poi lungo tutto il resto del torace, percorrendolo lentamente con la lingua, lasciando una piacevole scia umida, che con le dita, me la cosparsi addosso, in modo più esteso.
Questo lo indusse a scendere ulteriormente, arrestandosi lungo l’elastico dei boxer, in cui si soffermò, cercando di strapparlo con i denti.

Non facevo altro che gemere, ansimare… in quel momento desideravo con tutto me stesso, che lui scendesse ancora più in fondo.

Morse con forza, attraverso il tessuto, quello che si trovava all’interno… non vi erano parole per descrivere il mio stato.

Avevo completamente perso la ragione, e prendendolo dalla nuca, lo avvicinai ulteriormente alla mia erezione, incitandolo a mordere con più foga.

Aveva già ridotto a brandelli quei maledetti boxer, che mi infastidivano dannatamente.

In meno di un secondo, portai Alec al mio stesso stato… il suo corpo era assolutamente perfetto…

Avevo troppa voglia, lo desideravo con tutto me stesso, e se non l’avrei fatto mio all’istante, sarei impazzito.

Mi misi a cavalcioni su di lui, spostando il mio bacino sul suo, facendo entrare in contatto i nostri sessi, senza nessun tipo di sgradevole tessuto in mezzo.

Tutto quell’eccitamento, mi portò dritto all’orgasmo… il suo ventre era completamente ricoperto dal mio liquido bianco perlaceo, che lui fissava con molta attenzione, mentre continuava a respirare affannosamente.

Se lo spalmò addosso, e quel suo gesto mi stimolò terribilmente…

“Non… provocarmi… in questo modo.” Riuscivo a stento a parlare… le parole mi soffocavano in gola, e uscivano a fatica, a causa dei miei respiri spezzati.

Fu come se non avesse mai sentito quella mia frase, perché continuò senza scrupoli, la sua sensuale operazione, che mi procurava un tale piacere, da stordirmi totalmente.

Percepivo l’eccitazione, in ogni singola parte del mio corpo… il desiderio di entrare al suo interno era incontenibile.

Volevo amarlo, e non solo fisicamente. Lo volevo con tutto me stesso, ma in tutti i sensi possibili ed inimmaginabili.

Desideravo farlo con tutto l’amore e la passione che provavo nei suoi confronti… non aspiravo ad altro.

Gli cinsi i fianchi con un braccio e con un semplice gesto lo feci voltare, facendolo sdraiare sul petto.

Chiusi gli occhi, avvicinando il mio viso al suo collo freddo, di cui sentivo l’inebriante essenza che mi riempì le narici, entrandomi dentro.

Poggiai le mie labbra su di esso, e lo succhiai con dolcezza, come se stessi assorbendo il profumo della sua pelle, mentre la mia mano scorreva lentamente sulla sua gamba, stringendo dolcemente l’interno coscia.

Sotto il mio tocco, lo sentivo rabbrividire dalla testa ai piedi, emettendo dei gemiti, che divenivano sempre più acuti.

Infilai le mie dita sotto di lui, per toccare il suo inguine, arrivando così alla sua parte più intima… i suoi ansimi accrescevano freneticamente, aumentando in me la voglia di farlo impazzire totalmente.

Era immerso in un tale piacere, che mollai immediatamente la presa, per poter sfociare nell’atto sessuale, che avrebbe colmato quell’infinito e indefinibile desiderio, che avevamo l’uno dell’altro.

Lo afferrai dalla vita e lo strinsi saldamente, sollevandolo leggermente, per farlo aderire al mio corpo, che entrò all’interno del suo.

Inizialmente fui molto delicato, per non fargli troppo male. Poi le mie spinte si accentuarono ad ogni suo respiro accelerato, che mi faceva letteralmente perdere il controllo di me stesso.

Lo vidi affondare le dita sulle coperte e mordere ripetutamente il cuscino, che si perforò al contatto con i suoi denti affilati.

Moderai la velocità per una frazione di secondo… fargli male era l’ultima cosa che avrei voluto.

“Dem… ti prego… non fare così… non.. fermarti…” mugolò, tra una serie di respiri soffocati, stringendo una mano intorno alla mia gamba, esortandomi a continuare. Era quasi un’implorazione.

Capii che il suo non era dolore, ma pieno godimento.

Disegnavo di continuo il contorno delle mie labbra con la lingua, mordendole ripetutamente, totalmente eccitato.

Sentire la sua voce, mentre facevamo sesso, era fin troppo eccitante a dirsi, tanto che io, non riuscii nemmeno a pronunciare una singola parola, perché mi morivano in gola.

Ciò che volevo, era fargli provare quello che provavo io… un misto tra piacere e amore… soprattutto amore… e attraverso i miei gesti, gli avrei dimostrato quanto lo amavo.

Quelle sue parole, mi avevano dato una tale soddisfazione, da riprendere lo stesso ritmo di prima, spingendo ancora più intensamente.

L’avrei soddisfatto… proprio come lui desiderava.

I nostri ansimi si facevano sempre più acuti, procurandomi un godimento estremo, fin quando arrivai al culmine dell’eccitazione, concludendo il mio bisogno incontenibile, che si fece spazio al suo interno.

Mi sdraiai accanto a lui, lo baciai, infilando cautamente e fluidamente le dita tra i suoi capelli, per avvicinarlo al mio corpo.

Quell'amore rendeva significativa tutta la mia esistenza.

Era lui il senso della mia vita.

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