Springtime in Hades di blackmiranda (/viewuser.php?uid=102533)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** [Arc I] Five months later ***
Capitolo 2: *** Upstairs ***
Capitolo 3: *** The list ***
Capitolo 4: *** Trial and a plan ***
Capitolo 5: *** Mama's girl ***
Capitolo 6: *** The proposal ***
Capitolo 7: *** Gone ***
Capitolo 8: *** Field trip ***
Capitolo 9: *** Pomegranate ***
Capitolo 10: *** Strife and Discord ***
Capitolo 11: *** To the rescue ***
Capitolo 12: *** Guilty as charged ***
Capitolo 13: *** Old Friends ***
Capitolo 14: *** [Arc II] Ticking clock ***
Capitolo 15: *** Underground breakfast ***
Capitolo 16: *** Home alone ***
Capitolo 17: *** Elysium ***
Capitolo 18: *** Revelations ***
Capitolo 19: *** Apocalypse ***
Capitolo 20: *** Fallen Gods ***
Capitolo 21: *** Being human ***
Capitolo 22: *** Silver linings ***
Capitolo 23: *** Jealous much? ***
Capitolo 24: *** Mother of dreams ***
Capitolo 25: *** Told you so ***
Capitolo 26: *** Fire and blood ***
Capitolo 27: *** Farewell ***
Capitolo 28: *** [Arc III] On the road ***
Capitolo 29: *** Eurystheus ***
Capitolo 30: *** Bon Voyage ***
Capitolo 31: *** Maelstrom ***
Capitolo 32: *** news e scuse ***
Capitolo 1 *** [Arc I] Five months later ***
1. Five months later
In the Land of the Dead
Heck boy, ain't it grand?
I'm the Overlord of the Underworld
'Cause I hold Horror's Hand
In the Land of the Dead
I'm darkside royalty
I'm far renowned in the underground
And you can't take that from me.
Aurelio Voltaire – Land of the Dead
Five months later
“Aha!
Di nuovo in vantaggio!” esclamò Panico, appuntando il
risultato appena raggiunto su un pezzo di papiro ingiallito.
“Non posso crederci!”
si lamentò Pena, gettando rabbiosamente gli astragali sul
pavimento polveroso della sala del trono. “Dai, non ho più
voglia di giocare. Andiamo a vedere come sta Cerbero...”
“Ah, no, no, prima finiamo qui.” disse Panico sfregandosi le mani in preda all'euforia.
Pena sbuffò. “Non ho più niente da scommettere!”
Il suo compagno parve soppesare la
cosa. “Beh, mi accontenterò se prometti di pulire
tu.” disse indicando il disordine che regnava nella lugubre sala.
Il demone violaceo sbadigliò. “Ma che importa, tanto non c'è fretta...”
“Dici sempre così, e guarda che casino!” esclamò Panico, improvvisamente agitato.
Non riusciva a ricordare l'ultima
volta che avevano riordinato la stanza. A dire il vero, avevano per lo
più ignorato i loro compiti da quando Ade era stato... scaraventato nello Stige, oltre cinque mesi prima.
Il primo mese l'avevano passato in trepida attesa, pronti ad accogliere il loro signore in ogni momento.
Il secondo mese avevano abbassato
leggermente la guardia, nonostante i poco raccomandabili rumori che
emergevano ogni tanto dal fiume infernale.
Il terzo mese... Beh, dal terzo
mese in poi avevano iniziato a passare le giornate nella sala del
trono, che era la più spaziosa e la meno buia di tutto
l'Oltretomba, giocando pigramente a dadi e rimpinzandosi di frutta
dolciastra.
Pena sembrava convinto che Ade non sarebbe più uscito dallo Stige.
Panico, d'altra parte, non ne era
così sicuro. “Se non tornasse più, qualcuno ce
l'avrebbe detto, no? Pensi che lascerebbero l'Aldilà a noi
due?” continuava a ripetergli, incapace di zittire quella vocina
nella testa che gli diceva di non abbassare la guardia, perché,
quando il capo fosse tornato, li avrebbe certo arrostiti per bene al
minimo segno di negligenza.
Tuttavia, la pigrizia aveva avuto
la meglio sul rimorso, e altri due mesi erano passati, lenti,
sonnacchiosi, senza un segno, una notizia, niente di niente a parte
quegli strani gorgoglii provenienti dallo Stige.
Così la polvere si era
accumulata, insieme ai pezzi di papiro scribacchiati, alle bucce dei
melograni, ai resti del pranzo di Cerbero... Panico si guardò
intorno con molta attenzione.
“Davvero, dovremmo dare una pulita a questo posto. Se Ade lo vedesse in questo stato...”
Deglutì rumorosamente.
“Ti vuoi rilassare?” lo
rimbrottò Pena. “Che fretta c'è? Quando ci saranno
notizie riordineremo tutto. In una volta sola, una volta per tutte,
no?”
“La fai facile, tu. Però alla fine le prendiamo tutti e due per le tue brillanti idee.”
Pena stava per rispondere acidamente, ma fu interrotto da un lampo di luce improvviso che li accecò entrambi.
Qualche istante dopo, recuperato
l'uso della vista, i due demoni si accorsero, loro malgrado, di non
essere più soli nella sala.
Di fronte a loro si erano materializzate le Parche.
“A-ah, salve!” le
salutò Pena schiarendosi la voce, mentre Panico si portava alle
sue spalle, prudente. “Abbiamo cercato di contattarvi...”
esordì in tono cordiale.
“Lo sappiamo.” risposero in coro, come erano solite.
“... Giusto. Beh, il padrone non è ancora tornato, per cui... Se volete lasciarci un messaggio...”
“Preferiamo dirgli le cose di persona.” tagliò corto Atropo, scrutando la sala con l'unico occhio.
Le sue sorelle parvero fare lo
stesso. Il demonietto verde, da dietro le spalle del compagno, si
ritrovò a domandarsi cosa esattamente vedessero le loro due paia
di orbite vuote.
“Oh, capisco, ma...” D'un tratto Panico ebbe un sussulto, mentre a Pena si strozzarono le parole in gola.
La medesima rivelazione si era
fatta prepotentemente strada nelle menti di entrambi i lacchè,
che si slanciarono contemporaneamente in avanti, cercando di
raccogliere quanta più spazzatura possibile il più in
fretta possibile.
Esattamente trenta secondi dopo il
profetico arrivo delle Parche, in tutto l'Oltretomba si udì
distintamente un tremendo rombo che fece tremare le pareti in basalto
nero.
L'Acheronte sembrò ritirarsi nel proprio letto.
Le tre teste di Cerbero uggiolarono, le orecchie abbassate.
“OddeioddeioddeioddeiODDEI!!”
urlò Panico correndo scompostamente per la stanza, finché
il rombo fu così assordante da coprire completamente il suono
delle sue grida.
Pena si trascinò fino
all'imboccatura dello Stige, tappandosi le orecchie con le mani.
Tremante, seminascosto dietro una roccia poco distante, vide che le
acque del vortice, da verdi, erano diventate rosse.
Dal gorgo, con il fragore di
un'esplosione, si levò improvvisamente una colonna di fuoco alta
almeno quanto la volta dell'Oltretomba.
Il demone fu costretto a distogliere lo sguardo, tanto la luce e il calore provenienti dallo Stige erano insopportabili.
Quando riaprì gli occhi,
vide la massiccia figura del suo padrone emergere dal vortice,
completamente in fiamme, il viso contorto in una smorfia d'ira
indescrivibile.
Mai, in tutti i suoi anni di
onorata carriera, l'aveva visto così arrabbiato. E ragazzi, se
l'aveva visto un sacco di volte di quell'umore...
Indietreggiò velocemente, incapace di spiccicare parola. Non ci teneva ad essere arrostito.
Tecnicamente non l'avrebbe ucciso,
ma faceva comunque un male bestiale. Rimpianse di non aver seguito i
consigli del suo prudente compagno. Forse poteva ancora passare
inosservato e sgattaiolare nella sala del trono, aiutare Panico
nell'impresa disperata di raccattare tre mesi di rifiuti in una
manciata di secondi, o - meglio ancora – nascondersi nella parte
più oscura del Tartaro ed uscire fuori quando le acque si
fossero calmate...
I suoi pensieri furono interrotti bruscamente quando si rese conto che il furente sguardo di Ade si era posato su di lui.
Fece per aprir bocca, ma il dio lo
precedette, afferrandolo per la gola in un gesto repentino e portandolo
alla propria altezza.
“TU! INUTILE ESSERE STRISCIANTE!” lo apostrofò, la voce carica d'odio.
Pena gracchiò, dolorante.
Ade emise un urlo di rabbia e
frustrazione. “QUANTO TEMPO?” chiese al tirapiedi, il cui
volto si era tinto di un preoccupante viola scuro.
“... inque... esi...”
sussurrò a fatica il demone, cercando invano di inspirare un po'
d'aria. “... biamo... ercato... irarla... uori...” aggiunse
a mo' di spiegazione.
Il dio degli inferi lo scagliò senza troppi riguardi contro il muro di fronte a sé, ansimando affannosamente.
Sembrava essersi improvvisamente
stancato. Pena ne approfittò per mettersi al riparo alla bell'e
meglio, massaggiandosi i muscoli della gola.
Ade tornò del solito
colorito bluastro, sebbene avesse ancora un'espressione di puro odio
dipinta sul viso cinereo, i denti affilati digrignati, gli occhi gialli
ridotti a fessure.
“Cinque mesi?” disse
portandosi una mano alla fronte. “Cinque mesi.”
ripeté in tono apparentemente calmo.
Panico emerse dalla sala del trono,
titubante. “N-non sapevamo come tirarla fuori,
S-signore.” balbettò a fatica.
“Silenzio. Non voglio sentire
spiegazioni, scuse, suppliche, niente di niente. Cinque mesi nel fiume
della morte, e ho. Una. Terribile. EMICRANIA!” lo zittì il
dio, minacciando una nuova esplosione d'ira.
I due demonietti si ritirarono
nell'ombra, segretamente sollevati per il fatto di non dovere dare una
spiegazione per la loro incompetenza. Del resto, ripescare il loro
padrone dallo Stige era un compito che andava ben oltre le loro
capacità.
Ade si avviò stancamente verso la sala del trono, massaggiandosi le tempie.
Abbandonatosi sullo scranno dalle
rigide forme squadrate sospirò, gli occhi chiusi, la testa
pigramente poggiata sulla mano sinistra. “Mi serve una
vacanza.” disse in tono sarcastico. “Voi signore avete
qualche suggerimento?” domandò poi, rivolgendo la sua
attenzione alle tre Parche, che avevano atteso in silenzio a pochi
metri da lui.
Non sembrava sorpreso di vederle
lì. Stranamente, parve non accorgersi dei mucchi di spazzatura
accumulati negli angoli più bui della stanza.
“Ade, siamo foriere di notizie.” esordì Atropo, avanzando di un passo rispetto alle sorelle.
Il dio gemette. “Mi auguro che siano buone.”
Le tre megere non risposero. Atropo si cavò l'occhio dall'orbita.
“Questo mi mancava
proprio.” borbottò Ade tra sé e sé. Si
levò dal trono. “Signore, gentilissime signore. Vi prego.
Non potreste ripassare domani? Il fatto è che non sono proprio
in vena oggi...”
Lachesi lo zittì, portandosi
un dito alle labbra. “E' importante.” spiegò Clotho
gentilmente, un sorriso adorante sul viso verde e butterato. Stravedeva
per Ade e lui lo sapeva.
Il dio abbassò le braccia,
rassegnato. L'occhio si illuminò di una luce azzurrina che
invase tutta la stanza, mentre strane figure si formavano
vorticosamente al suo interno.
Le tre sorelle iniziarono a recitare la profezia, le loro voci stridule che si alternavano tra i versi.
Il tuo potere, Ade, si è indebolito,
E non resterai dagli Olimpi impunito.
Il tuo reame è minacciato,
Un dio dai tuoi poteri va presto trovato.
La terra, il mare e il cielo, così è venuto,
Devono stare uniti, o tutto è perduto.
Non ora, ma presto ciò avverrà:
Il vecchio sul giovane trionferà.
Detto questo, sparirono, come erano solite fare.
Pena e Panico capirono subito che il loro padrone era in procinto di avere un'altra crisi di nervi.
Aveva dapprima ascoltato la
profezia con un misto di sfiducia e tedio, poi, a mano a mano che le
parole delle Parche prendevano consistenza nella sua mente, con
crescente rabbia e senso di impotenza.
Ora gli otto versi della profezia
sembravano fluttuare nell'aria pesante e umida dell'Oltretomba, ognuno
una minaccia nei suoi confronti, ognuno testimone del suo totale
fallimento.
“... Fantastico. Davvero
fantastico.” disse Ade, iniziando a camminare avanti e indietro
mentre parlava. “Come se la situazione non fosse già titanicamente disastrosa. Il mio potere si è indebolito? Glielo faccio vedere io il mio – Ow, la testa...” si lamentò prendendosi il capo tra le mani.
“Va bene, va bene.” si
disse poi in tono pragmatico, lisciandosi i capelli fiammeggianti.
“Prima le cose importanti. Pena! Panico!” esclamò
imperiosamente.
I due gli si presentarono istantaneamente di fronte, rigidi come manici di scopa.
“Lasciate che vi dipinga il quadro delle prossime, uhm, diciamo dodici ore. Io andrò a riposare – inutile dire che gradirei non essere disturbato -, mentre voi
sfrutterete il tempo che vi ho così graziosamente concesso per
riportare questo posto al suo antico splendore. E, lasciatemelo dire,
vi converrà fare un buon lavoro, a meno che non moriate dalla
voglia di sperimentare in prima persona cosa si prova a farsi una
nuotata nello Stige.”
Detto questo, voltò loro le spalle, sparendo in un lungo corridoio semibuio.
I due demonietti si guardarono,
stupiti dal fatto che, complessivamente, il ritorno del loro signore
fosse stato seguito da una quantità minima di dolore fisico per
loro due. Che i poteri di Ade si fossero realmente indeboliti?
Un lugubre gorgoglio proveniente dallo Stige interruppe il silenzio tombale in cui erano sprofondati.
Cerbero ululò.
Salve gente! :D
Bene bene, cosa abbiamo qui? Una fanfiction su Ade? XD
Ebbene sì, una
fanfiction su Ade. Forse sapete già quanto adori questo
personaggio, sia nella versione originale (doppiato da James Woods,
attore che AMO) sia in quella italiana, che è stata poi quella
che mi ha fatta innamorare da piccola (sì, sono strana).
Ecco, è da febbraio 2012 che lavoro a questa storia; inutile
dire che ci tengo tantissimo. :3 E sì, so che questo fandom
è poco più che deserto, per cui non mi aspetto molte
recensioni, ma mi farebbe piacere avere qualche riscontro. In ogni
caso, sono determinata a finire di scrivere questa long, possa gelare
l'inferno! xD
Due cose veloci veloci da sapere su di me:
- non faccio mai capitoli lunghi (di solito mi tengo su una media di sei pagine word);
- cercherò di aggiornare ogni due settimane, anche se purtroppo
sono molto lenta a scrivere. Vi prometto che farò del mio
meglio! ;)
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Capitolo 2 *** Upstairs ***
Upstairs
Upstairs
Hera
abbracciò calorosamente Amphitrite, sorridendo. “Cara,
congratulazioni. Sette secoli, è un bel numero.”
La sovrana del mare sorrise a sua
volta. “Sì, è un bel record. Settecento anni che
sono sposata a Poseidone. Quasi non li sento, sai?” disse
ridacchiando, il viso allegro e appuntito da ninfa illuminato dalla
gioia. “Detto fra noi, lui è rimasto il solito testardo,
non è cambiato di una virgola!” aggiunse indicando alla
madre degli dei il marito Poseidone, che discuteva con Zeus poco
distante.
Hera annuì, serafica.
Amphitrite si schiarì la gola. Si sentiva intimidita dal
portamento regale della sua interlocutrice, dal suo aspetto
così... divino. Nulla
a che vedere, pensava, con il suo, di aspetto: certo era bella, ma era
pur sempre, almeno in origine, una ninfa marina dalla pelle pallida, la
figura esile, i capelli verde chiaro in gran parte nascosti dalla
grossa conchiglia rosa acceso che fungeva da corona.
Nulla di male in questo; ma gli dei olimpi le mettevano sempre un po' di soggezione, non poteva farci niente.
Ecco perché evitava quasi sempre di accompagnare il marito quando questi si recava sull'Olimpo.
Tuttavia, quel giorno era il loro
settecentesimo anniversario e Zeus ed Hera si erano così
gentilmente offerti di organizzare una festicciola in loro onore che
era stato impossibile rifiutare.
A questo proposito, disse precipitosamente: “Ah, comunque grazie ancora per la festa. Non dovevate, davvero...”
Hera scosse lievemente la testa.
“Non dirlo neanche, cara. E' un piacere per me e Zeus. E poi, a
che altro servirebbe tutto questo spazio?” fece indicando la loro
lussuosa residenza tra le nubi.
Era una giornata serena
sull'Olimpo; morbide nuvole dorate si arricciavano pigramente
tutt'intorno ai graditi ospiti sovrannaturali che si erano riuniti per
festeggiare il dio del mare e la sua sposa.
La festa era iniziata ormai da un
bel po' e le varie divinità si erano distribuite in piccoli
gruppi coloriti in cui il cicaleccio e la frivolezza regnavano sovrani.
Poco distante da Hera e Amphitrite stava il sorridente padre degli dei, più splendente che mai.
Teneva un braccio attorno alle spalle del fratello Poseidone, evidentemente fiero di lui.
A conversare con loro, la
perennemente florida Demetra e il fiero Apollo, unico tra gli dei della
seconda generazione a ricercare di preferenza la compagnia delle
divinità più anziane.
“Sì, la notizia
è confermata,” stava dicendo Zeus, “mio figlio
diventerà padre tra qualche mese. Non è
fantastico?” chiese, una scintilla di pura felicità negli
occhi blu.
I suoi interlocutori assentirono educatamente.
“C'è qualcosa di più eccitante che diventare nonni?” domandò Zeus, emozionato come un bambino.
“Diventare genitori.”
rispose Demetra prontamente, lanciando uno sguardo amorevole in
direzione di un chiassoso e variopinto gruppetto di giovani
divinità.
Zeus parve rifletterci su. “Sì, suppongo che anche diventare genitori sia eccitante.”
Poseidone rise. “E tu,
Demetra? Non vuoi diventare nonna?” le chiese, ben sapendo qual
era la posizione della dea al riguardo.
“Potrei chiederti la stessa cosa, caro mio.” ribatté lei evitando di rispondere alla domanda.
“Oh, beh, certamente, una
volta che Tritone sarà grande abbastanza...” disse il dio
riferendosi al giovane figlio.
Demetra annuì. “Per Kore è lo stesso. Quando sarà grande abbastanza.”
“Perdonami, Demetra,”
si intromise cautamente Zeus, “ma a me pare proprio che tua
figlia sia grande abbastanza, ormai.”
La dea dell'agricoltura sorrise,
sebbene si sentisse improvvisamente punta sul vivo. “Che fretta
c'è? La mia bambina deve ancora crescere. E' ancora così
innocente.”
Apollo azzardò un commento. “A volte per uscire dal nido serve un po' di incoraggiamento.”
Demetra fece finta di non aver
sentito. “Quando se la sentirà, prenderà marito. Ma
resterà comunque la mia bambina.” disse in un tono deciso
che non ammetteva repliche.
Ci fu un momento di silenzio
imbarazzato, che fu però spezzato dalle risate provenienti da un
capannello di ninfe acquatiche, tutte raccolte attorno a Tritone,
evidentemente lusingato da tante attenzioni.
Di fianco al gruppetto delle rumorose Naiadi stavano Cupido, Psyche, Helios e Kore.
Cupido, una mano languidamente
appoggiata sul fianco della compagna Psyche, sorseggiava pigramente
l'ambrosia che Hebe era stata così gentile da portargli.
“Non capisco dove sia Hermes.” disse poi, guardandosi
attorno. “Non è da lui perdersi una festa.”
Psyche gli schioccò un bacio
sulla guancia. “Vedrai che tra poco arriva.”
cinguettò ravviandosi i lunghi capelli celesti. La coppia si
scambiò uno sguardo amorevole.
“Ah, com'è bello
l'amore!” esclamò Cupido sorridendo. “Voi due non
sapete proprio cosa vi state perdendo.” disse a Helios e Kore con
tono di finto rimprovero.
Helios si schiarì
nervosamente la gola. “A questo proposito, Kore...”
esordì sfoderando l'espressione più seducente che
riuscisse a produrre.
La giovane dea lo osservò, evidentemente sorpresa. “Sì?” chiese, gli occhioni rosa spalancati.
Il dio del sole prese un respiro profondo. “Ti andrebbe di fare un giro sul mio carro dopo?” disse tutto d'un fiato.
Kore arrossì. “Oh,
beh... Grazie dell'invito, ma...” balbettò poco convinta,
“... sai com'è mia madre, non credo mi lascerebbe...”
Cupido sbuffò. “Non
c'è niente di male, sono certo che non avrebbe nulla in
contrario. Se vuoi glielo chiedo io.” propose ammiccando. Psyche
gli lanciò un'occhiataccia.
Kore non sapeva che dire. Helios,
conscio dell'inutilità dei metodi insistenti del dio dell'amore,
fece velocemente retromarcia. “Certo certo, capisco benissimo...
Magari un giorno di questi? Potrei passare a prenderti a Nysa...”
tentò, un accenno di supplica nelle voce.
La dea abbassò lo sguardo.
“Sei molto gentile, ma sono molto impegnata ultimamente, siamo in
primavera, sai.” mormorò a mo' di scusa. “Ora devo
proprio andare, ma grazie dell'invito, eh!” disse correndo dalla
madre.
Cupido scosse la testa. “Accidenti, mi dispiace, amico. E' proprio refrattaria.”
Helios si portò una mano alla fronte. “Vorrei sparire... Che figura...” si autocommiserò.
“Beh, potrei sempre darle
una... spintarella di incoraggiamento.” gli sussurrò
Cupido, indicando la propria faretra.
“Nah, lascia stare.”
rifiutò bruscamente Helios, voltandogli le spalle e dedicando le
proprie attenzioni ad una coppa traboccante di ambrosia.
Il dio dell'amore alzò gli
occhi al cielo, seccato. Dal suo punto di vista, non c'era nulla di
male a far innamorare la gente con l'aiuto di una o due frecce ben
scoccate. Con Psyche aveva funzionato alla perfezione, ed erano la
coppia più felice del mondo.
L'atmosfera festosa fu interrotta
dall'arrivo di Hermes, il messaggero degli dei. Cupido fece per
salutarlo, ma il dio andava talmente di fretta che non lo notò
nemmeno, passandogli davanti in un frullo d'ali e fermandosi di fianco
a Zeus.
Il padre degli dei aggrottò
la fronte mentre Hermes gli sussurrava qualcosa all'orecchio.
“Oh. Capisco.” commentò gravemente Zeus. Ergendosi
in tutta la sua altezza, richiamò l'attenzione dei suoi ospiti.
“Mi duole interrompere così bruscamente la festa, ma
è necessaria una riunione deliberativa il più presto
possibile.”
Si udì distintamente il grugnito di disapprovazione di Bacco.
“Mi dispiace davvero, ma
è una cosa importante e piuttosto complicata.” si
scusò Zeus mentre le divinità minori si dirigevano verso
le proprie vetture, piccate.
“Consiglio dei dodici tra
mezz'ora.” mormorò a Hermes. “Diffondi la notizia,
per favore.” disse prima di ritirarsi nelle proprie stanze, Hera
al seguito.
Il messaggero degli dei
suonò la tromba che portava sempre con sé.
“Consiglio tra mezz'ora! Vogliano gli Olimpi cortesemente
accomodarsi al più presto in sala riunioni!”
annunciò con voce squillante. “Spiacente, ragazze.”
disse rivolto ad un gruppetto di ninfe acquatiche dalle espressioni
alquanto deluse.
Demetra gli si avvicinò, tenendo per mano la figlia. “Riporto Kore a Nysa e torno subito.”
Hermes annuì. “Certo, cara. Come va, piccola?” chiese con fare amichevole alla giovane dea.
Kore gli sorrise. “Bene. Ci sei mancato prima. Dov'eri?” domandò curiosa.
“A lavorare.” rispose
lui calorosamente. “Anche tu mi sei mancata. Dovresti salire
più spesso a trovarci.” le disse aggiustandosi gli
occhialini rotondi.
Demetra si accomiatò
frettolosamente. “Dobbiamo andare ora. Torno tra un
attimo!” fece ad Hermes mentre si dirigeva verso il proprio
carro, trascinandosi dietro la figlia.
Kore salutò con la mano il
dio. Lui ricambiò, guardando madre e figlia allontanarsi a bordo
della carrozza di Demetra.
***
Mezz'ora dopo, seduti attorno alla
tavola rotonda al centro della grande e luminosa sala delle riunioni, i
dodici dei più importanti del pantheon greco si apprestavano a
discutere di quel problema così impellente da necessitare la
brusca fine della festa.
Nessuno, a parte Zeus ed Hermes,
sapeva esattamente quale fosse la spinosa questione, e tutti
attendevano le parole del loro signore con curiosità crescente.
Alla destra di Zeus stava la sua consorte, un'espressione di lieve preoccupazione dipinta sul volto luminoso.
Di fianco a lei sedeva Poseidone,
piuttosto di malumore; di seguito a lui venivano Demetra, Apollo, sua
sorella Artemide, Atena, il fratello Ares, Afrodite, suo marito Efesto
e Bacco.
Il cerchio si chiudeva con Hestia, seduta alla sinistra di Zeus. Hermes svolazzava immediatamente dietro il trono del dio.
“Penso di sapere di cosa si
tratta.” sussurrò Atena ad Artemide, portandosi la mano
color lavanda di fronte alle labbra. Le due andavano piuttosto
d'accordo, accomunate dall'amore per gli animali.
“Oh, certo, tu sai sempre tutto...” la schernì Ares.
“Non parlavo con te.”
rispose acidamente la dea della conoscenza. I due fratelli erano
perennemente in guerra a causa delle personalità diametralmente
opposte.
Afrodite materializzò dal nulla una limetta per le unghie e iniziò a farsi la manicure, annoiata.
Trovava quelle riunioni stancanti e i continui battibecchi dei due fratelli a dir poco spossanti.
Trattenne a stento uno sbadiglio.
Finalmente Zeus si decise a
parlare. “Figli, fratelli miei. Hermes mi ha comunicato che Ade
è riuscito ad uscire dallo Stige.”
Hera sussultò per la sorpresa. “Lo sapevo!” mormorò Atena tra sé e sé.
“Come ha fatto?” chiese Apollo indignato.
Zeus sospirò. “Sapevo
che sarebbe successo, prima o poi. In fondo non dobbiamo dimenticare
che è molto potente.”
Apollo si drizzò sulla
sedia. “Beh, se lo Stige non riesce a trattenerlo, c'è pur
sempre il Tartaro. Nessuno può evadere da lì.”
disse in un tono che ostentava sicurezza. “Io dico di metterlo
là, e sistemarlo una volta per tutte.”
Un coro di assensi si levò
nella stanza. Tutti portavano rancore nei confronti del dio
dell'Oltretomba, che aveva così arrogantemente tentato di
ribaltare l'ordine naturale sguinzagliando addosso tutti loro i Titani
cinque mesi prima.
Il padre degli dei scosse la testa.
“Non è così semplice. Non posso intrappolarlo nel
Tartaro perché ciò annullerebbe i suoi poteri. Chi si
occuperebbe del suo regno?”
Nessuno rispose. Apollo si dimenò sulla sedia. “Merita di essere punito per tanta tracotanza.” insistette.
Hera parlò, rivolta a tutti
gli dei e in particolare ad Apollo. “Ade regna sull'Oltretomba.
Questo è l'ordine delle cose, non si può cambiare.”
“Lui ha tentato di sconvolgerlo, l'ordine delle cose.” intervenne Ares burberamente.
“Vorresti che nostro padre facesse lo stesso?” lo zittì Atena fulminandolo con lo sguardo.
“Dimentichi forse che Zeus, Poseidone e Ade si divisero il regno e il potere di Kronos in parti uguali..?”
“Ah, a questo
proposito...” disse Hermes interrompendo il panegirico di Atena.
“I miei informatori mi hanno riferito di una profezia
recentemente formulata dalle Parche. Non sono riuscito a farmi dire il
contenuto preciso, tuttavia so per certo che accennava all'unione dei
tre regni.”
Zeus inarcò un sopracciglio. “Non sei riuscito a sapere nulla di più preciso?”
Hermes scosse la testa.
“Spiacente.” rispose soltanto, alzando le spalle.
“Non è facile leggere le trame del destino.”
Zeus assentì in silenzio, evidentemente turbato.
Grosse nuvole scure si erano formate nel cielo attorno all'Olimpo.
“In ogni caso,” disse Poseidone pensosamente, “un processo e una punizione sono d'obbligo.”
Il padre degli dei non rispose
subito all'appello del fratello. Infine, dopo aver riflettuto per
qualche minuto, propose: “Lo relegherò nei limiti del suo
regno. Non potrà più uscire dall'Oltretomba, a meno che
non venga convocato espressamente da uno di noi. Questo è nel
mio potere.”
Hestia parlò; un evento
raro, data la sua personalità schiva e accomodante. “Mi
sembra una punizione equa.”
“Mi vedo costretta a
dissentire.” disse Artemide spalleggiando il fratello.
“D'altronde, non vedo altro modo di risolvere questo
problema.” aggiunse con una punta di rammarico nella voce.
Il resto degli dei le diede ragione, chi più chi meno convinto.
Zeus si alzò in piedi. “Tutti in favore dunque?”
“Sì.” risposero tutti in coro.
“Bene. Hermes, quando vuoi.” disse il dio rivolgendosi al messaggero.
“Volo!” rispose quest'ultimo, dirigendosi prontamente verso l'entrata dell'Oltretomba.
Era giunto il momento di portare l'imputato di fronte alla giustizia.
Salve gente! :D Ecco qui il secondo capitolo, come promesso. ^^
Devo confessare che è
stato molto difficile anche solo gestire tutti questi personaggi in un
capitolo solo. Spero che il tutto non sia risultato troppo confuso. :S
Per la "mitologia" di Hercules mi sono rivolta alla Disney Wiki
anglosassone. Questa include aspetto fisico e nomi delle varie
divinità che compaiono nel film e nella serie tv/spin-off (di
cui ho visto giusto qualche puntata su YouTube). Ad esempio, so bene
che Bacco è il nome romano di Dioniso, ma nella Disney Wiki
lo chiamano Bacco, per cui... xD Insomma, non è colpa mia se
hanno mescolato i nomi! D'altronde, anche Hercules è il nome
romano... Ma non divaghiamo troppo. ;)
Ringrazio ancora Churippu, FloxWeasley, kiaky98 e TheHeartIsALonelyHunter per le graditissime recensioni: non sapete davvero quanto mi facciano contenta. ^^
Un bacione e grazie per aver letto. ;)
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Capitolo 3 *** The list ***
The list
The list
Fortunatamente
per Pena e Panico, Ade dormì per quasi ventiquattro ore, il che
diede ai due demonietti la possibilità di liberarsi di tutta la
spazzatura residua.
Dopo otto sudatissime ore di
lavoro, la sala del trono splendeva come mai prima di allora, e anche
le restanti numerose stanze in cui si articolava il centro
dell'Oltretomba erano tornate ad essere in buone condizioni.
I due si accasciarono a terra senza troppe cerimonie.
Erano esausti. Si auguravano che il boss si svegliasse di buon umore.
Panico si guardò intorno,
sospettoso. Le parole della profezia parevano ancora risuonare nella
grande sala, come vibrazioni di un'eco lontana.
Quasi in risposta ai suoi pensieri, lo Stige prese a gorgogliare insistentemente. Scambiò con Pena un'occhiata dubbiosa.
Non era normale che il fiume infernale facesse quel genere di rumori, e lo sapevano entrambi.
***
Non
molto lontano dalla sala del trono, Ade si svegliò, digrignando
i denti, con più mal di testa di quando era andato a dormire.
Profondamente irritato, scese
dall'ampio letto - decorato da ben trecentosessantacinque crani umani:
un vanto, in tutto l'Oltretomba - e, dopo essersi rinfrescato con un
po' d'acqua gelida, si guardò allo specchio.
Due occhi gialli iniettati di sangue ricambiarono il suo sguardo.
Si sentiva uno straccio. Trascorrere gli ultimi cinque mesi nello Stige l'aveva proprio sfiancato.
Tutte quelle anime che gli si avvinghiavano addosso... Il solo pensarci lo faceva rabbrividire, suo malgrado.
Uscì frettolosamente dalla
lussuosa camera da letto, giurando a se stesso che si sarebbe vendicato
per tutto quello che Ercole gli aveva fatto passare.
Lo odiava quasi quanto odiava Zeus.
Degno figlio di degno padre, pensò furente mentre si sedeva sul proprio trono e faceva comparire dal nulla un bicchiere colmo d'ambrosia corretta.
Finse di non notare gli sguardi
preoccupati dei suoi due tirapiedi, dedicando le proprie attenzioni al
drink, che ingollò tutto d'un fiato.
Tentò di rilassarsi, ma non era per niente facile con l'emicrania che si ritrovava.
Socchiuse gli occhi. Era in una situazione pessima e lo sapeva benissimo.
Ciò che gli avevano detto le
Parche era vero, come sempre. Si era indebolito. Faceva fatica a
controllare il suo regno e le anime nello Stige ne erano perfettamente
consce.
Represse una smorfia di puro disgusto. Come si era ridotto? La rabbia rischiava di lasciare il posto all'autocommiserazione.
Doveva sforzarsi di pensare a come
uscire da quella a dir poco spiacevole situazione. Non c'era tempo da
perdere. Ne aveva sprecato già in abbondanza, durante i
precedenti cinque mesi, per colpa di quel...
Non voleva nemmeno ripensarci, o sarebbe esploso.
Il bicchiere che teneva in mano si frantumò in mille pezzi.
Pena deglutì, avanzando
timidamente di un passo. “Ehm, Signore...” esordì,
non sapendo bene come continuare.
Ade parve letteralmente sbuffare
fumo dalle narici. Lentamente, abbassò lo sguardo a terra, fino
ad incontrare quello del diavoletto, rimasto perfettamente immobile.
La scena parve congelarsi per
qualche momento, mentre nessuno dei due emetteva alcun suono.
Dopodiché, Pena arretrò, tornando dove si trovava prima,
sempre in assoluto silenzio.
Il dio si sporse in avanti,
osservando i suoi movimenti con un'espressione omicida stampata sul
volto, e rimase a fissarlo in cagnesco per un tempo che parve infinito,
senza battere ciglio.
Infine, tornò rigidamente ad
appoggiarsi allo schienale del trono, non prestando più
attenzione ai due, il che parve loro un'ottima occasione per filarsela
a gambe levate - cosa che fecero, sgusciando via ad una velocità
insospettabile.
Ade riuscì a controllare la
rabbia solo grazie al mal di testa pulsante, che era, se possibile,
ulteriormente aumentato a mano a mano che cresceva la sua furia.
Si prese la testa fra la mani, strizzando gli occhi. Non doveva farsi distrarre.
Cosa diamine gli avevano detto le Parche? Doveva trovare un dio dotato dei suoi poteri...
Aprì gli occhi, chiedendosi
cosa mai volesse significare. A quanto ne sapeva, il posto di dio
dell'Oltretomba era unico e, soprattutto, già occupato.
Corrugò la fronte, domandandosi quanto davvero il suo regno fosse minacciato, e da chi.
Si alzò in piedi di scatto,
cercando di ignorare le ondate di emicrania che gli rimbombavano
prepotentemente nella testa.
Non avrebbe concluso niente
standosene lì a rimuginare. Doveva risolvere quel rompicapo e
agire di conseguenza, e c'era un solo modo per farlo.
“Pena! Panico!”
abbaiò, scrutando nella penombra in cerca dei due demoni, che
spuntarono da dietro una roccia appuntita.
“S-sì, Vostra Morbosità?” se ne uscì Panico in un fil di voce.
Ade fece loro segno di avvicinarsi.
“Seguitemi. Abbiamo del lavoro da fare.” ringhiò,
dirigendosi senza aspettarli verso una ripida scala a chiocciola,
seminascosta tra gli intricati ghirigori in basalto che spuntavano
dalle pareti.
I due lo seguirono frettolosamente
fino ad una massiccia porta di legno grigio, i cui cardini
scricchiolarono penosamente sotto lo sguardo furente del dio.
Entrarono in quello che aveva tutta
l'aria di essere uno studio: le alte pareti erano quasi totalmente
nascoste da scaffali di legno putrido, mentre il centro della stanza
era interamente occupato da un tavolo in pietra scura.
Sul soffitto volteggiavano pigramente pallide fiammelle cerulee.
Ade passò velocemente in rassegna una serie di scaffali polverosi, evidentemente alla ricerca di un tomo in particolare.
“Voi due, non statevene
lì impalati.” sbottò il dio, lanciando verso di
loro un paio di grossi volumi dalle copertine lacere.
“Che cosa dovremmo farci..?” domandò perplesso Pena, barcollando sotto il peso del libro.
Ade si girò a guardarlo.
“Oh, questa è un'ottima domanda. Verrebbe da chiedersi
cosa esattamente si faccia, di solito, con un libro. Lo so, è
difficile rispondere, ma sono fiducioso che riuscireste a risolvere il
dilemma, se solo vi spremeste un po' le meningi. Qualcuno ha qualche
idea?”
Panico deglutì, seminascosto da una gamba del tavolo. “... Si legge?” tentò.
“Ma bene, abbiamo un
vincitore!” esclamò il dio, sarcastico. “E adesso,
signori, se non vi è di troppo disturbo, vorreste cortesemente
METTERVI AL LAVORO?!” disse infiammandosi.
I due non se lo fecero ripetere due
volte. Prendendo posto all'estremità del tavolo più
lontana da Ade, iniziarono a sfogliare cautamente le pagine consunte,
che minacciavano di sgretolarsi da un momento all'altro.
“Tu ci capisci
qualcosa?” bisbigliò Pena a Panico, assicurandosi che Ade
fosse troppo occupato a frugare tra gli scaffali per prestar loro
attenzione.
Panico corrugò la fronte.
Era evidente che stava dando il meglio di sé nel tentare di dare
un senso alle parole e agli strani simboli che si trovava davanti.
Ade scaricò sul tavolo una
pila di libri ed un fascio di rotoli di pergamena. “Sono rituali
dell'Oltretomba.” disse sedendosi a sua volta. “Ovvero,
informazioni che bisogna spulciare per cercare di dare un senso alla
nuova filastrocca delle Parche, che a quanto pare hanno deciso di fare le criptiche.”
I servi non commentarono, limitandosi a chinare nuovamente il capo sui volumi che avevano di fronte.
I fuochi fatui calarono dal
soffitto, prendendo a galleggiare attorno al tavolo, proiettando una
pallida luce sulle pagine dei vetusti tomi.
Ade pareva spazientirsi sempre
più, minuto dopo minuto. Non staccava gli occhi dai libri che
aveva sottomano, borbottando di tanto in tanto parole incomprensibili.
D'un tratto, chiuse di scatto un enorme volume, sollevando un bel po' di polvere e facendo sobbalzare Panico sulla sedia.
“Maledetti siano Zeus e tutta
la sua progenie!” sibilò in preda alla frustrazione,
assumendo un colorito aranciato.
Pena si ritrovò
distrattamente a chiedersi se il dio avrebbe incenerito i libri in un
eccesso d'ira, cosa che, da parte sua, avrebbe apprezzato immensamente.
“E' solo colpa sua se mi ritrovo in questa situazione! Sua e di Megafesso, che se la spassano ai piani alti mentre io sono bloccato qui a studiare con due microcefali del vostro calibro!” sbraitò scattando in piedi.
Si mise a camminare affannosamente su e giù per la stanza, tenendosi la testa tra le mani.
Panico balzò giù
dalla sedia. “Forse dovreste andare a riposare un po', Signore...
Magari con un bell'infuso di locuste sul comodino...”
balbettò tentando di placare la sua rabbia.
“Oh, certo, ottima idea! Nel
mentre, immagino ci penserete voi due a decifrare la stramaledetta
profezia!” sbottò lui, tagliente.
“Non ha tutti i torti...” ammise Pena, guardando per terra.
“E' un rompicapo!”
riprese Ade. “Non può esistere un altro dio come me! Io
sono il sovrano dell'Oltretomba, nessun altro! Un dio dai tuoi poteri va presto trovato.
Per farne cosa, lasciare che si impadronisca del mio regno?!” Si
arrestò di colpo. “C'è qualcosa che non quadra.
Perché le Parche mi avrebbero avvisato di autodistruggermi? Non
avrebbe senso.”
Si sedette, poi si alzò di
nuovo. “No, ci dev'essere un'altra spiegazione. Ma che dovrei
farmene, dove potrei trovarlo e soprattutto chi è questo dio?”
A quelle parole, i fuochi fatui
parvero ridestarsi e quasi mettersi a danzare. La cosa non
sfuggì ad Ade, che prese ad osservarli con interesse.
Le fiammelle blu si avvicinarono ad
uno scaffale, baldanzose, posandosi infine su di un rotolo grigiastro,
dalla consistenza fumosa.
Ade afferrò prontamente il
rotolo, scacciando i fuochi fatui come fossero fastidiose mosche. Le
fiammelle crepitarono, apparentemente offese, ma il dio non ci fece
caso.
Aperto il lungo rotolo, gli bastò qualche secondo per capire di cosa si trattasse.
“Guarda un po' cosa abbiamo
qui.” esclamò sorpreso, stendendo la pergamena grigia sul
tavolo. Pareva fosse fatta di fumo solido. Non appena la sfiorò,
una serie di nomi comparvero uno dopo l'altro, fino in fondo al rotolo,
che occupava tutto il tavolo per la sua lunghezza e buona parte del
pavimento.
Pena si sporse a dare un'occhiata, incuriosito. “Che cos'è?”
“Questa, ragazzi miei,”
rispose Ade, improvvisamente compiaciuto, “è la Voce delle
Moire. O meglio, la sua trascrizione.” Un sorriso assorto si
formò sulle labbra bluastre del dio. “Era da un bel po'
che non mettevo gli occhi su questa roba.” mormorò mentre
leggeva rapidamente i nomi elencati sul rotolo.
Ne prese in mano la parte finale.
“Ogni divinità mai esistita e la natura a cui appartiene
sono presenti su questo rotolo.” Osservò il proprio nome,
accanto al quale campeggiava l'aggettivo ctonio. “Tra l'altro, si aggiorna da solo a mano a mano che nascono nuovi dei.”
Si interruppe quando vide l'ultimo nome presente sulla pergamena.
“Avrei dovuto immaginarlo che quello di Megafesso
sarebbe risultato illeggibile...” disse poi. Il nome era nascosto
da una patina grigiastra che Ade cercò di grattare via senza
entusiasmo, non riuscendoci.
Sotto il nome cancellato comparve d'un tratto la scritta “Mortale”.
“F-forse,” intervenne
Panico, “forse lì in mezzo potreste trovare il dio che fa
al caso vostro...”
“Forse.” convenne Ade, accarezzandosi il mento.
In lontananza si udirono
improvvisamente i feroci latrati di Cerbero. Ade parve non
accorgersene, troppo occupato a rimirare la Voce delle Moire.
“Ehm, Signore...”
“Silenzio. Sto pensando.”
“Ma Signore, Cerbero...”
Il cane a tre teste ringhiava ed abbaiava a più non posso, innervosendo i due lacchè.
Ade parve riscuotersi. Era giunto ad una conclusione.
Lanciò un'occhiataccia in
direzione dell'uscita, dopodiché si rivolse ai due demoni.
“Voglio che stiliate una lista di divinità ctonie, ovvero
sotterranee, profondamente legate alla terra. Ci siamo? Non dovrebbe
essere troppo difficile nemmeno per due idioti come voi. Basta cercarle
nell'elenco e copiarle.” sibilò subito prima di uscire
dalla stanza.
“Una lista..?”
“Ma ce ne saranno centinaia!” si lamentò Pena, osservando preoccupato il rotolo che terminava sul pavimento.
Panico lo superò, correndo dietro al padrone.
Pena lo seguì a sua volta, sbuffando.
Raggiunsero il dio nella sala del trono. Avevano entrambi il fiatone.
Non fecero in tempo a protestare ulteriormente, perché qualche istante dopo Hermes entrò nella stanza.
Non aveva affatto un bell'aspetto: doveva aver avuto un incontro ravvicinato con il cane a tre teste.
“Dovresti tenere quel botolo
al guinzaglio!” esclamò indignato il messaggero degli dei,
raddrizzandosi gli occhiali sul naso aquilino.
Ade ridacchiò. “Devo ricordarmi di dargli una doppia razione di carne, stasera.” commentò.
Hermes lo fulminò con lo sguardo.
“Allora, che ci fa un bel damerino come te in un postaccio del genere?” gli chiese Ade sogghignando.
“Sai benissimo che ci faccio
qui, caro mio.” rispose lui. “Per ordine di Zeus, sei
tenuto a presentarti immediatamente sull'Olimpo per venire processato
per i crimini commessi contro...”
“Bla bla bla, lo so, lo so.” lo interruppe Ade, alzando gli occhi al cielo.
Con uno schiocco di dita, il dio
richiamò il proprio carro, che comparve in uno sbuffo di fumo
nero come la pece. “Sai, non vi ucciderebbe tentare di prendere
le cose con un po' di umorismo, una volta ogni tanto.” aggiunse
poi.
Hermes non rispose, voltandogli le spalle e spiccando il volo verso l'uscita dell'Oltretomba.
Ade sospirò, salendo sul
carro. “Bene ragazzi, non dovrei metterci tanto. Mi aspetto di
trovare la lista stilata al mio ritorno. Intesi?” disse lanciando
loro un'occhiata eloquente.
Detto ciò, partì alla volta dell'Olimpo, il luogo che odiava e che agognava di più nell'intero cosmo.
Salve, miei carissimi lettori!
;) Sono desolata, purtroppo non sono riuscita a pubblicare prima. :( Il
fatto è che ho dovuto riscrivere gran parte di questo capitolo,
sotto eminente consiglio della mia beta (che, a proposito, non ho
ancora avuto modo di ringraziare - grazie Panda_chan, ti lovvo). Sono convinta che il risultato finale sia migliore di quello iniziale. ;)
FWI, Ctonio è un aggettivo che significa sotterraneo, riferito principalmente alle divinità legate ai culti della terra e di ciò che sta sotto di essa.
Per qualsiasi chiarimento, consiglio, critica non esitate a farvi
sentire. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Piano piano stiamo
arrivando al cuore della storia. Al prossimo capitolo! :D
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Capitolo 4 *** Trial and a plan ***
Trial and a plan
Trial and a plan
Ade
parcheggiò il carro appena fuori dai cancelli dell'Olimpo. Il
Grifone che lo trainava si lamentò; nemmeno lui aveva bei
ricordi di quel luogo.
Personalmente, c'erano due cose che
odiava di quel posto. Primo, l'arredamento. Secondo, gli abitanti. Non
necessariamente in quest'ordine.
Hermes lo scortò fino alla sala delle riunioni.
Un tempo era solito entrarci
piuttosto regolarmente. Non che rimpiangesse quei momenti: quasi sempre
si trattava di ore perse a discutere di questioni che oscillavano tra
futilità ed idiozia.
Come quella volta della mela che
Eris aveva lanciato alle nozze di Peleo e Teti: giorni e giorni
dedicati a cercare di far riappacificare Hera, Atena ed Afrodite.
Che poi, era ovvio chi delle tre fosse la più bella, che senso aveva discuterne?
Divertente comunque, quella Eris. Una delle poche divinità con cui andava relativamente d'accordo.
Non che sperasse in alcun tipo di
aiuto o supporto da parte sua; aveva ricercato il potere assoluto da
solo, e adesso si trovava da solo ad affrontare le conseguenze delle
sue azioni.
Non era pentito di ciò che aveva fatto. O meglio, lo era, perché adesso si ritrovava in quel casino.
Ma se fosse tornato indietro, l'avrebbe rifatto.
Correggendo qualche piccolo errore di giudizio, magari.
Tuttavia, Ade non era tipo da
tornare indietro nei ricordi e da perdersi nei se e nei ma: no, lui era
tipo da guardare sempre avanti, al presente e al futuro.
Ed ora come ora il suo futuro richiedeva una soluzione immediata a quel pressante problema delle anime ribelli.
La vendetta e il resto potevano aspettare.
Quando entrò nella stanza,
fu sorpreso nel notare che il grande tavolo rotondo era sparito e che
al suo posto c'era una fila di sedili, ricavati direttamente dalla
nuvola che fungeva da pavimento.
Dietro ai suddetti sedili, uno
scanno si ergeva a dominare la scena; di fronte a loro, una sedia
solitaria dai cui braccioli pendevano due grosse e pesanti catene in
ferro, chiaramente opera di Efesto.
Non c'era dubbio su quale fosse il suo posto.
I dodici Olimpi si voltarono
simultaneamente a guardarlo, chi atteggiando il viso in un'espressione
corrucciata, chi schernendolo piuttosto apertamente.
Zeus pareva più deluso che
altro. Ade dovette trattenersi per non infiammarsi. Odiava quando il
fratello indossava la maschera paternalistica.
Il signore degli dei parlò. “Ade. Vorresti per favore sederti?” chiese in tono grave.
Ade sorrise, mostrando le zanne e
le gengive grigiastre. “Certo, perché no?” disse
accomodandosi. “Devo dire che apprezzo molto le catene, danno un
tocco di sadismo che mi fa sentire quasi come se fossi a casa.”
osservò mentre queste ultime gli strisciavano sugli avambracci,
trattenendolo sulla sedia.
Gli altri dei presero posto di fronte a lui, mentre Zeus si sedeva a sua volta sul trono.
“Ti dispiace se fumo?” chiese Ade senza aspettare la risposta del fratello.
La giuria lo fissò gelidamente.
“Ma come, non ho neanche
diritto ad un avvocato?” domandò, ostentando nient'altro
che sicurezza e disprezzo nei confronti degli Olimpi.
“Spiacente, non siamo riusciti a trovarne uno disposto a difenderti.” sibilò Apollo.
“E questo la dice lunga.” commentò il dio dei morti, lasciando cadere la cenere del sigaro sul pavimento.
“Ti hanno mai detto quanto
sei disgustoso?” replicò Apollo, fortemente infastidito
dalla calma con cui Ade sembrava prendere la cosa.
“E' abbastanza.”
intervenne Atena, alzandosi in piedi. “Padre, possiamo
iniziare?” disse rivolta verso Zeus.
Lui annuì, facendo cenno ad Hermes di prendere nota.
La figlia di Zeus fece un passo in avanti.
“Ade, figlio di Crono. Sei
accusato dei seguenti crimini contro gli dei e gli uomini: aver
liberato i Titani dalla loro prigionia, a cui erano stati condannati
per l'eternità da Zeus; aver utilizzato i Titani per tentare di
conquistare l'Olimpo ed usurpare il trono di Zeus; aver tentato di
intrappolarci nel Tartaro; aver cercato di uccidere Ercole, figlio di
Zeus, in molteplici occasioni; aver causato le morti di centinaia di
uomini e donne durante il tuo fallimentare tentativo di impossessarti
dell'Olimpo.”
Atena lo guardò negli occhi. Ade sostenne lo sguardo della dea con facilità.
“Come si dichiara l'imputato?” chiese la figlia di Zeus in tono altero.
Ade si strinse nelle spalle. “Ehi, ho colto l'occasione che mi si presentava. Chi non l'avrebbe fatto al mio posto?”
Un coro di proteste si levò dalla giuria.
“E' evidente che non è pentito!” protestò Apollo, rivoltosi verso Zeus.
Ade spense il sigaro sul bracciolo
della sedia. “Sì, beh, questo è stato molto...
interessante, ma onestamente ho un sacco di lavoro arretrato di cui
occuparmi, per cui, se non vi dispiace...” disse indicando le
catene che lo trattenevano sulla sedia.
Zeus si alzò in piedi.
“In considerazione dei tuoi crimini e delle tue colpe, Ade, sei
condannato alla perenne prigionia nei confini del tuo reame. Non potrai
più uscire dall'Oltretomba, né potrai mettere piede sulla
terra o sull'Olimpo, a meno che tu non sia convocato personalmente da
me.” Voltò le spalle al fratello. “Questo è
ciò che è in mio potere fare.” aggiunse, mentre un
grosso ammasso di nuvole grigie copriva la Grecia, accompagnato da
vento di temporale.
Il dio dei morti non riuscì a nascondere il disappunto.
Quella sarebbe di certo stata una
bella seccatura. Non poter uscire dall'Oltretomba, a meno di non essere
convocato... E non credeva sarebbe stato convocato tanto presto.
Infatti, era probabile che le
intenzioni di suo fratello e dei suoi scintillanti compari fossero di
rinchiuderlo sottoterra e di buttare via la chiave, per così
dire.
Comunque, si disse mentre veniva
poco cerimoniosamente rispedito entro i confini del suo reame, sarebbe
potuto andare molto peggio.
Era abbastanza sicuro di poter vivere con quella limitazione, per quanto fastidiosa potesse essere.
Oltretutto, non è che avesse bisogno di risalire sulla terra. Era più un capriccio che altro, ormai.
Certo, era stato vitale per il suo piano, per il reclutamento del suo piccolo esercito di mostri.
Anche se negli ultimi anni se n'era praticamente sempre occupata Meg, aveva comunque dovuto tenerla d'occhio.
In effetti, avrebbe dovuto tenerla d'occhio molto di più...
Quello era stato il suo errore più grande: delegare.
Anche se non l'avrebbe mai ammesso
ad anima viva (o morta), sapeva benissimo di aver commesso un errore
fatale nel non occuparsi personalmente dei punti cruciali del piano.
Nonostante tutto, però,
attribuiva il suo fallimento alla sfortuna e all'incompetenza dei suoi
servi, non certo alla propria.
Una volta ritornato
nell'Oltretomba, venne accolto da una serie di lamenti ed urla fin
troppo familiari, provenienti dallo Stige.
“Pena! Panico!” esclamò entrando nella sala del trono.
I due arrivarono correndo. “Già di ritorno, Maestà?” chiese Pena con il fiatone.
Ade non rispose.
“Cos'è questo trambusto? I nostri ospiti non gradiscono
più il servizio che offriamo?” disse indicando in
direzione del vortice infernale.
Pena si strinse nelle spalle, indeciso su cosa rispondere.
“E' da quando ve ne siete
andato che sono irrequiete, Signore...” biascicò
Panico mangiandosi le unghie.
“In questo caso, ho un'ottima
notizia da darvi, ragazzi.” disse Ade sedendosi sul trono.
“Non me ne andrò da qui per un bel po'. Ordini di Sputafulmini.”
Pena e Panico restarono in
silenzio, presi in contropiede. Il loro boss era prigioniero nel suo
stesso regno... Come erano caduti in basso.
Il dio parve leggere i loro
pensieri, perché un'occhiata alle loro facce attonite
bastò per far cambiare colore alla sua vivace chioma azzurrina.
Pena e Panico cercarono di
ricomporsi. “Beh, non è poi così male, non è
così?” balbettò Panico in tono estremamente
servile. “Potevano intrappolarvi nel Tartaro, quello sarebbe
stato molto peggio...” aggiunse frettolosamente, temendo di
venire frainteso.
Ade sbuffò. “Non sarebbe stato possibile, non secondo le regole.”
Si ravviò i capelli, cercando di calmarsi. “Brutte notizie
anche per voi, comunque. Dovrete muovere le chiappe un bel po' di
più, d'ora in poi.”
“Ah, ma certo...” disse Panico accennando un inchino.
Pena fece lo stesso, mascherando una smorfia di tremendo disappunto.
Rimasero in silenzio per un momento. Le urla provenienti dallo Stige si fecero più forti.
Ade ringhiò,
infiammandosi. “Volete zittire quelle maledette anime o devo
scaraventarvi io stesso dentro lo Stige?!” gridò
conficcando le unghie affilate nei braccioli del trono.
“M-ma Signore...”
Le proteste dei due servi furono rapidamente zittite da due fasci di fuoco diretti ai loro rispettivi fondoschiena.
***
I tentativi dei demonietti si rivelarono infruttuosi.
Le anime dei morti continuavano ad
esprimere la loro crescente rabbia con terribili urla; alcune
addirittura trovarono la forza di opporsi alla corrente del vortice,
tentando disperatamente di uscire dal gorgo.
Non serviva un genio per rendersi conto che la situazione stava degenerando ad una velocità preoccupante.
Nel giro di poche settimane, senza dubbio, ci sarebbero state anime vaganti per tutto l'Oltretomba.
Bisognava fare qualcosa al
più presto. Tuttavia, Ade non sembrava particolarmente propenso
ad agire, né tanto meno a dar loro retta.
Tutte le loro timide proteste e i suggerimenti erano stati accolti con minacce di prematuro pensionamento.
“Credi che sia andato
completamente fuori di testa?” domandò Pena a Panico
mentre si spalmava della crema sulle più recenti scottature.
“Non ne ho idea!” piagnucolò Panico. “Ma non possiamo andare avanti così!”
Pena annuì. Erano due giorni
che vivevano accampati sulle sponde dello Stige, costretti a tenere
d'occhio le anime ventiquattr'ore su ventiquattro.
“Quanto lo detesto!” esclamò Pena, pieno di rancore.
“Shh!” lo zittì Panico. “Sei diventato matto pure tu?”
“Forse!” replicò
Pena, alzandosi in piedi. “Insomma, è lui il sovrano di
questo schifoso posto! E invece di fare il suo dovere se ne sta seduto
su quel maledetto trono tutto il tempo, senza fare un bel niente!”
In realtà, non è che Ade non stesse facendo niente.
Lo sguardo fisso nel vuoto, le mani giunte, stava riflettendo.
Aveva preso in considerazione tutte
le ipotesi che gli venivano in mente per ripristinare il proprio
potere, per fermare la crisi interna al suo regno, ma era estremamente
difficile ragionare con il mal di testa pulsante e il generale
malessere che provava.
Le anime acquisivano forza e lui la perdeva, ora dopo ora, minuto dopo minuto.
Infine si arrese. Suo malgrado, avrebbe dovuto attingere potere da un altro dio; era l'unica soluzione possibile.
Si levò dal trono e si diresse alla stanza dove era conservata la Voce delle Moire.
Sullo scaffale vicino al rotolo, i
due servi avevano infilato la lista di divinità ctonie la cui
natura era compatibile con la sua.
Rilesse i nomi sulla lista,
scettico. Si trattava per la maggior parte di divinità
campestri, legate alla terra e ai cicli delle stagioni e del raccolto.
Molto popolari in Oriente.
Demetra spiccava tra tutti,
ovviamente, per vecchiaia e potenza. Antica quanto lui, e per questo
decisamente fuori dalla sua portata: era troppo forte per lui, e per di
più lo odiava.
Non che il resto dei candidati ci
tenesse a lui, beninteso: non si illudeva che nessuna divinità
potesse venire persuasa pacificamente ad aiutarlo.
Per questa ragione, oltre che compatibile, bisognava che il donatore fosse anche relativamente debole e ingenuo, qualità che non era per niente facile trovare in un dio.
Il suo sguardo si arrestò improvvisamente.
Persefone.
Dove aveva già sentito quel nome? Non gli suonava nuovo, ma faticava a connetterlo ad un volto.
Esaminò la Voce finché non trovò il nome.
Era collegato a quello di Demetra da una sottile linea grigia.
La figlia di Demetra! Come aveva fatto a dimenticarsene?
Corrugò la fronte. Non ricordava di averla mai vista, ma gliel'avevano nominata, ne era certo.
Passò il dito sul nome. Ctonia. Isola di Nysa. Duecentodiciannove anni. Dea della primavera e della rinascita, recitò la Voce delle Moire.
Sembrava promettente. Relativamente giovane, e, si augurava, anche relativamente ingenua.
Non abitava sull'Olimpo, anche se avrebbe potuto, essendo la figlia di Demetra.
Questo semplificava di molto le cose.
Forse aveva trovato la candidata
ideale. Ora, il problema era: come avrebbe fatto ad utilizzare quella
giovane dea a suo vantaggio?
Si sedette al tavolo dello studio,
pensieroso. Quel piano avrebbe richiesto un po' di tempo per essere
formulato e un bel po' di fortuna per essere messo in atto.
Buongiorno,
miei carissimi lettori (sì, lo so che hanno recensito solo
donne, ma magari c'è anche qualche maschietto che legge, chi lo
sa)!
Come avrete potuto constatare, da qui in poi iniziano le perfide macchinazioni di Ade: la storia finalmente entra nel vivo! :D
Non potete immaginare quanto mi renda fiera essere arrivata fino a qui.
Inoltre, avevo davvero paura che questa storia sarebbe passata
inosservata, e invece sto ricevendo del feedback straordinario, che mi
riempie di felicità. I miei ringraziamenti vanno a tutti voi
recensore, in particolare a Estatemeravigliosa, che ha iniziato a leggere solo di recente.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto: sapete dove scrivere i vostri pareri. ;)
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Capitolo 5 *** Mama's girl ***
Cap 5 Mama's girl
Mama's girl
Dodici sudate ore dopo aver scoperto il nome della figlia di Demetra,
Ade era riuscito ad elaborare un piano piuttosto ingegnoso per
avvicinare la vittima designata senza mettere piede fuori
dall'Oltretomba.
Non sapeva molto di Persefone, ma quel poco che conosceva era sufficiente.
Era persino riuscito a ricordare dove aveva già sentito parlare di lei: alla sua prima festa di compleanno, nientemeno.
Non aveva prestato molta attenzione
alla piccola nella culla, ma ne aveva afferrato il nome, e ricordava di
aver pensato che fosse eccessivamente lungo e pomposo.
Niente di strano, in questo: era risaputo che lui aveva una predilezione per i nomi brevi e concisi.
D'altra parte, chi se ne importava del suo nome? Non era certo per quello che si era interessato alla dea della primavera.
Ripassò mentalmente il piano mentre usciva dallo studio.
Si articolava in tre fasi principali, dalla difficoltà crescente: trovare Persefone, rapirla e acquisirne il potere.
Il tutto senza farsi notare dagli altri dei, prima tra tutti Demetra.
Certo, era una bella scommessa, ma
si trovava con le spalle al muro e quella era l'unica via d'uscita
dalla situazione poco piacevole in cui era finito.
Raggiunse Pena e Panico sulle sponde dello Stige.
Panico stava dormendo, appoggiato
ad una pietra, mentre Pena, rivolto verso le anime irrequiete, tentava
di tenere la situazione sotto controllo servendosi di un lungo bastone
di legno con cui far indietreggiare gli spiriti.
Ade osservò i due in
silenzio per qualche secondo, reso apatico dalla stupidità della
scena che si era appena trovato di fronte.
Dopodiché si schiarì la voce, mettendo per il momento da parte la considerazione di rimpiazzare i due servitori.
Panico sobbalzò, svegliandosi.
“Ragazzi, ho delle buone
notizie per voi.” esordì sfoderando un sorriso che avrebbe
dovuto risultare accattivante, ma che, a causa della perenne emicrania,
riuscì invece estremamente minaccioso. “Siete diretti a
Nysa, e dovete trovarmi Persefone, dea della primavera, figlia di
Demetra, giovane, si spera piacente anche se non è fondamentale.
Non tornate qui prima di averla trovata e di aver raccolto più
informazioni che potete su di lei, senza farvi vedere. Intesi?”
disse scrutandoli con gli occhi iniettati di sangue.
I due annuirono. Tutto pur di lasciare quel posto infernale.
***
La fitta vegetazione che circondava
la piccola isola di Nysa, nell'Egeo, era un posto perfetto per
guardarsi intorno senza essere notati.
Pena e Panico, nei piumati panni di
due uccellini cinguettanti, si erano posati su più di una
cinquantina di rami mentre sorvolavano la zona in cerca della dea.
L'isola pareva deserta, eccezion fatta per la fauna locale, a cui si erano uniti i due diavoletti mutaforma.
Nonostante la ricerca sembrasse infruttuosa, Pena e Panico erano di ottimo umore.
La brezza primaverile era un toccasana dopo le interminabili ore passate nei pressi del fiume infernale.
Il sole caldo filtrava tra le fronde degli alberi, e il dolce profumo dei fiori era tutt'intorno a loro.
D'accordo, l'odore dei fiori era
forse un po' troppo penetrante per i loro gusti, ma in quel momento la
cosa non li turbava più di tanto.
Alzatisi in volo per l'ennesima
volta, giunsero infine in un grande spazio aperto, dove un gruppetto di
ninfe stava allegramente chiacchierando del più e del meno.
Pena e Panico si scambiarono un'occhiata dubbiosa. “Pensi che sia qui da qualche parte?” domandò Pena.
“Forse.” rispose
Panico, spiegando le ali. “Proviamo ad avvicinarci. Fa' finta di
niente, mi raccomando.”
Planarono sul prato, spaventando un paio di farfalle variopinte.
Fingendo indifferenza e cercando di
comportarsi da volatili come meglio potevano, i due diavoletti diedero
un'occhiata più da vicino al gruppo di ninfe.
Si trattava di Oceanidi, senza dubbio: la pelle azzurra e le sottili squame erano inconfondibili.
Spiccava tra di loro una giovane, il cui aspetto, in tutta onestà, ricordava una specie di fiore gigante.
Non c'era molto margine di errore: doveva per forza essere Persefone.
Somigliava parecchio a sua madre,
questo era innegabile. Il viso rotondo, da ragazzina, era illuminato da
due grandi occhi dello stesso colore della pelle, rosa acceso.
Il naso a punta contrastava curiosamente con le alte sopracciglia arcuate, che le davano un'espressione perennemente sorpresa.
I lunghi capelli biondi e ondulati
erano quasi completamente nascosti da un sottile velo e il volto della
dea era incorniciato da una corona di petali, anch'essi rosa.
Indossava, infine, un paio di
orecchini dalla forma allungata e un semplice chitone bianco, che
sembrava quasi voler compensare l'elaborata ricercatezza
dell'acconciatura.
Tutto sommato, sembrava perfettamente coerente nel suo ruolo di dea della primavera.
Era incredibile, si ritrovò
a pensare Panico, che Ade condividesse la stessa primigenia natura con
quelle colorate divinità della terra e i loro ridicoli cappelli
a forma di fiori e frutti.
Stettero ad osservarla per un bel po', spostandosi di tanto in tanto per non destare sospetti.
Le giovani ninfe chiacchieravano
animatamente tra di loro, mentre la dea, sorridente, ammirava la
propria immagine riflessa in un piccolo specchio.
“Oh, darei qualsiasi cosa pur di farmi notare da Tritone!” esclamò una di loro, sognante. Le altre assentirono, entusiaste.
“Oh, a proposito,
Kore!” disse un'altra ninfa rivolgendosi alla dea. “Come
è andata con Helios?” chiese ridacchiando.
“Sì, racconta! Voi due sareste proprio una bella coppia...” la incalzarono altre due Oceanidi.
Persefone arricciò il naso,
posando a terra lo specchio. “Non è proprio il mio
tipo.” disse con voce squillante. “Poveretto, un po' mi
dispiace.” aggiunse in tono frivolo.
Trascorso un po' di tempo, le
Oceanidi se ne andarono, lasciando Persefone da sola. Era quasi il
tramonto, e di lì a poco Demetra arrivò a fare visita
alla figlia.
Come appresero durante la seguente
settimana di spionaggio (Ade si era rivelato molto meticoloso durante
la prima fase del piano), la dea della fertilità andava a
trovare la figlia ogni giorno, un'ora prima del tramonto.
Quasi ogni giorno le portava un
dono; generalmente di trattava di frutta esotica o di semi da piantare
nel terreno fertile dell'isola.
Oltre alla madre e alle ninfe, Persefone, o meglio Kore, come veniva sempre chiamata, non sembrava avere contatti con nessun altro.
Passava le giornate dedicandosi quasi esclusivamente a far crescere piante e fiori, non curandosi apparentemente di nient'altro.
Dopo cinque giorni di quella
routine, Pena e Panico si ritrovarono a rimpiangere le ore passate a
fare la guardia alle anime nello Stige.
Era estremamente difficile restare svegli e non distrarsi di fronte ad uno scenario del genere.
Quanto a personalità, la dea non sembrava nulla di speciale.
Educata e affettuosa nei confronti
della madre, discretamente allegra, apparentemente vanitosa: non era
facile da capire quando tutto quello che faceva la maggior parte del
tempo era annaffiare i fiori.
Una cosa, però, era certa: era molto attaccata alla madre, e il legame pareva reciproco.
“Questo potrebbe
rappresentare un problema.” aveva commentato Ade quando gli
avevano riferito la notizia. “Ma onestamente non me ne
preoccuperei. Una volta trovato il modo di farla rimanere qui, la
grassona potrà strepitare quanto vorrà, e non
servirà a niente.”
“E... come avreste intenzione di farla rimanere qui, Vostra Ingegnosità?” domandò Pena curioso.
Ade lasciò andare di colpo
il lembo del rotolo giallastro che stava consultando, facendo in modo
che si riavvolgesse di scatto. “Oh, ho i miei metodi...”
rispose in tono lugubre.
“Intendete persuaderla... pacificamente?” chiese Panico.
“A dire il vero avevo pensato
ad un incantesimo o ad un vincolo di qualche tipo. Ma ehi, anche un
paio di catene andrebbe bene, non sono un tipo schizzinoso.”
disse accennando un sorriso divertito.
I due diavoletti ridacchiarono, cogliendo uno di quei rari momenti in cui il loro padrone era di buon umore.
Il dio incrociò le braccia dietro la testa, rilassando i muscoli per qualche minuto.
Tutto sommato, era soddisfatto del
piano, anche se gli risultava comunque molto fastidiosa l'idea di dover
rapire un'altra divinità.
La cosa avrebbe potuto scatenare effetti catastrofici, se organizzata male.
Per non parlare del fatto che non aveva ancora ben chiaro come fare per acquisire il potere di Persefone.
Certo, era al corrente di uno o due
modi per farlo, ma si trattava di incantesimi devastanti, che
richiedevano settimane, anche mesi per essere completati.
Al momento era alla ricerca di un metodo meno complicato e più veloce, se ne esisteva uno.
Non aveva avuto fortuna fino ad
allora, ma era anche vero che la Fortuna gli doveva un grande favore,
dopo la sequela di fallimenti a cui era andato incontro negli ultimi
mesi.
Per cui sì, era piuttosto ottimista. Una delle sue qualità migliori, a suo parere.
Si alzò in piedi di scatto. “Beh, per oggi basta studio. Devo far visita a tre vecchie signore, stasera.”
Pena e Panico si fecero da parte per farlo passare.
***
Atropo, Clotho e Lachesi si
trovavano, come erano solite fare, nell'ampia stanza che Ade aveva
riservato loro secoli prima, quando era entrato in possesso
dell'Oltretomba.
Nessuno sapeva dove esse abitassero
realmente, ma era noto che amavano soggiornare nella stanza che dava
direttamente sul perlaceo Acheronte, con una vista che era tra le
migliori che si potessero desiderare.
Sebbene in realtà le Parche
non dovessero parteggiare per nessun dio, non era un mistero il loro
debole per Ade: le aveva sempre trattate con rispetto e aveva pure un
certo ascendente su Clotho, il che non era di poco conto... per non
parlare del fatto che Zeus non si era mai premurato di riservare loro
una stanza privata sull'Olimpo.
Sapevano che Ade aveva bisogno del
loro aiuto, e sapevano anche che sarebbe arrivato nel momento in cui lo
sentirono bussare alla loro porta.
“Avanti!” gracchiò Atropo un attimo prima di tagliare l'ennesimo filo.
Il dio entrò, sfoderando il
suo sorriso migliore. “Signore mie, che piacere vedervi. Mi
auguro di non disturbare...” disse facendo un rapido baciamano a
Clotho.
“Oh no, affatto!” replicò quella, di ottimo umore.
Lachesi non pareva altrettanto
entusiasta di vederlo. “Devi dare una sistemata a queste anime,
Ade. Sono diventate irrequiete e irrispettose. E il rumore che fanno
è insopportabile.” lo rimproverò.
Il sorriso svanì dalle
labbra grigie del dio. “Già, è un bel
problema...” assentì, guardandosi intorno con
indifferenza, “... che sono quasi riuscito a risolvere, ma manca
ancora un dettaglio, una cosa da nulla, ecco...” aggiunse
frettolosamente, sperando che le tre sorelle finissero la frase per lui.
“Lo sappiamo.” dissero in coro.
“Mi fa piacere sentirvelo
dire.” commentò congiungendo le punte delle dita.
“Se solo esistesse un modo semplice e veloce per rimediare a
questo spiacevole incidente...” insistette in tono calmo e
tranquillo.
Atropo parlò, fissandolo con l'unico occhio. “Perché non la prendi in moglie?”
Ade rimase interdetto per qualche istante. “... Come, prego?”
Atropo non batté ciglio.
“Persefone. Perché non la prendi in moglie? E' un modo
semplice e veloce. La sposi, lei diventa tua moglie, regnate entrambi
sull'Oltretomba e i tuoi poteri sono raddoppiati.”
Ade rimase a bocca aperta, suo
malgrado. Ma certo, era così facile! Perché non ci aveva
pensato prima? In questo modo avrebbe risparmiato un sacco di tempo e
fatica.
“Beh, questo è un interessante caso di Deus ex machina...” riuscì a balbettare infine.
Le Parche non risposero. Lachesi e Atropo erano impassibili. Clotho sembrava improvvisamente contrariata.
Ade fece una smorfia. “La
fregatura sarebbe dover subire la sua presenza costante per il resto
dell'eternità.”
Le tre sorelle ripresero ad occuparsi delle vite dei mortali, mentre il dio borbottava tra sé e sé, pensieroso.
Si trattava semplicemente di valutare i pro e i contro di quella nuova possibilità.
Pro:
risparmio di tempo e di energie. Probabile vantaggio qualora gli altri
dei avessero scoperto che fine aveva fatto Persefone (sposata era pur
sempre meglio di morta o gravemente ferita).
Contro:
spartizione dell'Oltretomba con un'altra divinità. Ora, questo
era uno spiacevole inconveniente. Nonostante Ade avesse cercato di
impossessarsi dell'Olimpo, egli era comunque molto protettivo nei
confronti del suo dominio e non vi avrebbe di certo rinunciato di
propria volontà.
Insomma, c'era un motivo se non si era mai sposato, in milleduecento anni di onorata carriera.
Una cosa era certa: le riunioni
familiari si sarebbero ulteriormente complicate. Immaginando la faccia
che avrebbe fatto Demetra, si lasciò sfuggire un sogghigno.
Eccoci qui, signore e signori. Quinto capitolo, e finalmente si vede un po' meglio la nostra eroina. xD
Allora, che ne pensate? L'ho fatta abbastanza odiosa o potevo fare di
meglio? ;) La mia idea originale era di renderla molto simile a Charlotte La Bouff, personaggio de La Principessa e il Ranocchio, ovvero estremamente vanesia e viziata, con un bel po' di ingenuità a condire il tutto.
Intendiamoci, io adoro Lottie, allo stesso modo in cui adoro Ade. xD
Per chi volesse un complemento grafico, qui troverete tutto quel (poco) materiale disponibile sulla nostra dea della primavera: http://disney.wikia.com/wiki/Persephone
Inoltre, se vi va, aggiungetemi
pure su Facebook (pulsantino a destra dell'avatar nella mia pagina
autore): lì pubblicherò notizie, info e trivia sulla
storia.
Ho davvero bisogno di conoscere le vostre opinioni, ora più che mai. Quindi coraggio, non risparmiatevi in cattiveria! :D
Un abbraccio a tutti quelli che leggono e che recensiscono. :*
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Capitolo 6 *** The proposal ***
Cap 6 The proposal
The proposal
Era
un giorno come un altro a Nysa, la piccola isola nell'Egeo che Demetra
aveva riservato all'unica figlia più di un centinaio di anni
prima, inaccessibile agli sguardi dei mortali e raramente frequentata
dagli dei.
Persefone, ignara di essere oggetto
delle (non buone) attenzioni del dio dell'Oltretomba, si stava godendo
il calore del sole mattutino, stesa pigramente per terra, in mezzo ai
fiori profumati che lei stessa aveva fatto crescere con tanta cura.
Le sue amiche, ninfe Oceanidi che
visitavano l'isola di tanto in tanto, non si erano fatte vedere per un
paio di giorni, ma la cosa non la infastidiva più di tanto.
Era abituata alla solitudine, e a
dire la verità la apprezzava molto: si sentiva piuttosto a
disagio in mezzo alle svariate divinità che abitavano il monte
Olimpo, e cercava di evitare il più possibile di mettervi piede.
Nysa era il suo piccolo paradiso.
Quando era sola, o in compagnia dei
pochi veri amici che aveva, riusciva ad essere discretamente espansiva,
ma si chiudeva a riccio in presenza di troppa confusione.
Non aveva saputo come reagire alle
avances che Helios le aveva fatto l'ultima volta che era stata
sull'Olimpo; ovviamente, ne aveva subito parlato alla madre, e lei
l'aveva confortata dicendole che se ne sarebbe occupata di persona.
Non aveva niente contro il dio del
sole, anzi, era solo che... non si sentiva ancora pronta ad
intrattenere alcun tipo di relazione che andasse al di là
dell'amicizia.
Con nessuno. O meglio, forse con un dio come Apollo... Ma di certo non con Helios.
La verità era che adorava il
proprio stile di vita: era circondata dalla bellezza, immersa in una
primavera che durava tutto l'anno, regina della propria isola, e non
aveva bisogno di nulla e di nessuno.
L'unica cosa che realmente le
interessava era prendersi cura delle piante e dei fiori. Nulla di
eccepibile, beninteso, essendo quello il suo compito in quanto dea
della primavera.
Le sue riflessioni vennero interrotte dall'arrivo di una coppia di adorabili coniglietti che si facevano strada tra l'erba verde a piccoli balzi.
“Oh, che carini!” esclamò alzandosi a sedere.
Strappò una manciata d'erba
con la mano destra e la porse gentilmente al più grande dei due,
mentre con la sinistra la faceva ricrescere sul soffice terreno.
Il piccolo animale dal pelo grigio la guardò. Pareva sorridere.
“Coraggio, non ti faccio del
male.” lo blandì sventolandogli il pugnetto d'erba sotto
il naso. “Ce n'è anche per la tua fidanzata, non
preoccuparti.” aggiunse con fare scherzoso, lanciando un'occhiata
al secondo coniglio, che non sembrava altrettanto fiducioso.
Come se avesse capito, il coniglio grigio si mise a sgranocchiare un paio di fili d'erba.
Persefone tentò di accarezzarlo, ma quello se ne accorse e si ritrasse di un paio di metri.
Sembrava più timido che
spaventato, quindi la dea non si perse d'animo. Si alzò in piedi
e gli si avvicinò, prudente.
Invidiava l'abilità di Artemide con gli animali.
Stava quasi per raggiungerlo, quando quello si allontanò ulteriormente, continuando però ad osservarla.
“Non devi avere paura.”
lo ammansì sorridendo. Era così carino! E sembrava pure
intelligente, da un certo punto di vista. L'altro coniglio, più
piccolo e dal pelo marrone chiaro, pareva già più nervoso.
Continuarono così per un
po', lei che gli arrivava vicinissima e lui che all'ultimo momento
scappava, per poi fermarsi a guardarla, dispettoso.
Improvvisamente, si udì un tremendo rombo scuotere la terra.
Tutto tremava; Persefone
riuscì a stento a restare in piedi, atterrita, mentre, dal
nulla, una voragine le si apriva fronte, a pochi metri di distanza: una
lunga spaccatura nel terreno che aveva inghiottito in pochi attimi una
quantità sorprendente di terra, piante, fiori e alberi.
“Che cosa...?”
esclamò la dea, la sua stessa voce praticamente inudibile,
coperta dall'assordante rumore del terremoto.
Repentino come era arrivato, il
fragore cessò, lasciando come unica testimonianza di quanto era
accaduto la grande voragine, un'orribile cicatrice sul volto
perfetto dell'isola sacra.
La dea sbatté le palpebre, incredula. Un terremoto a Nysa? Non credeva fosse possibile...
Prese un paio di respiri profondi, tremendamente agitata. Cosa diamine era appena accaduto?
Era successo tutto così
rapidamente che quasi credeva di esserselo sognato. Eppure era certa
che non si trattasse della sua immaginazione. La scena era troppo
vivida, troppo reale.
Probabilmente avrebbe dovuto pensarci due volte prima di avvicinarsi alla spaccatura, titubante.
Di certo avrebbe dovuto essere
più prudente, non sporgersi così tanto per tentare di
vedere il fondo di quella nera voragine; né farsi prendere
così tanto dall'impulso di salvare i due coniglietti, che aveva
confusamente visto sparire sottoterra durante il sisma.
“...Ehilà?” chiese sottovoce, cercando di distinguere qualcosa in quella innaturale oscurità.
Per tutta risposta, ricevette una
secchiata di acqua gelida in pieno volto (cosa che la confuse e la fece
alquanto indignare), seguita da una brusca spinta che le fece perdere
l'equilibrio in avanti; infine, i suoi disperati sforzi per non cadere
dentro la spaccatura furono vanificati da un paio di mani fredde che,
afferratala per le caviglie, la trascinarono giù, sottoterra.
Cercò di urlare, ma non
riusciva ad emettere alcun suono. Si sentiva debolissima; solo in
seguito avrebbe saputo che era colpa dell'acqua del Lete che le era
stata lanciata addosso se ora non era nemmeno in grado di tenere gli
occhi aperti, e meno che mai di muoversi.
Di lì a poco, infatti, svenne.
***
Mentre
riprendeva lentamente conoscenza, Persefone fu colpita da due cose
estremamente sgradevoli: il freddo pungente e l'inquietante cacofonia
di quelli che sembravano centinaia di lugubri lamenti.
Riaprì faticosamente gli
occhi. Ci mise un po' per mettere a fuoco l'ambiente dove si trovava:
il pavimento era grigio, le pareti nere, con intricati ghirigori che
sporgevano dagli angoli, acuminati e minacciosi; il tutto fiocamente
illuminato da alti candelabri su cui bruciavano curiosi fuochi dalle
vivaci fiamme azzurre e blu.
Si portò una mano alla fronte, ancora molto confusa.
Non ricordava come fosse finita in quel posto, ed era sicura di non esserci mai stata in vita sua.
Si rese conto di essere seduta su una massiccia sedia in pietra, piuttosto scomoda, peraltro.
Tentò di alzarsi in piedi, ma le gambe non la reggevano.
“Ah, Seph, ben svegliata!” esclamò una voce stranamente familiare alle sue spalle.
Non ebbe bisogno di girarsi per
vedere a chi appartenesse: il misterioso interlocutore le si
avvicinò rapidamente, poggiandole una mano gelida sulla spalla
sinistra.
Sollevò lo sguardo per guardarlo in volto, e per poco non le sfuggì un urlo.
Sapeva benissimo chi era. L'aveva sempre visto da lontano, ma la sua figura alta ed emaciata era inconfondibile.
“Ade.” disse con voce fioca.
Rabbrividì. Ora ricordava la
spaccatura nel terreno, l'acqua gelida, la misteriosa forza che l'aveva
trascinata giù.
“Mi conosci? Fantastico, questo semplifica le cose!” sogghignò il dio dei morti.
Persefone si sentì stringere lo stomaco. Cosa voleva quel pazzo da lei?
Ade la fece alzare in piedi.
“Vieni, fiorellino, ti faccio fare un giro. Lo so, l'acqua del
Lete ti butta giù in maniera incredibile... Ah, tra parentesi,
perdona l'incidente di prima. Se il caro Sputafulmini
non mi avesse costretto a non uscire da qui avrei avuto occasione di
corteggiarti meglio, ma, beh, avevo le mani legate, per così
dire.”
Iniziarono a camminare, lui con un
braccio attorno alla vita di lei. “Seph – posso chiamarti
Seph? -, immagino tu sappia dove ti trovi, dico bene?”
Persefone lo fissò, ammutolita.
Faticava ad accettare che tutto ciò stesse realmente accadendo.
Stava passeggiando per l'Oltretomba
con il dio più odiato e pericoloso di tutto l'Olimpo, che
l'aveva rapita e aveva appena parlato di corteggiamento, il tutto con un tono di voce perfettamente calmo e pragmatico.
Quasi contro la sua volontà, annuì lentamente.
“Che ragazza
intelligente.” commentò Ade, guidandola verso una delle
grandi aperture circolari che davano sull'immenso Acheronte.
Persefone sgranò ulteriormente gli occhi.
Il paesaggio, se così si
poteva chiamare, era impressionante. Migliaia di anime scorrevano sotto
il suo sguardo, trasportate dalla placida corrente del fiume infernale.
Quel posto era l'esatto contrario
della sua isola: dove quest'ultima era gioiosa, calda e piena di luce,
l'Oltretomba era deprimente, freddo e oscuro.
“Niente male, eh?” chiese il dio, un sorriso soddisfatto dipinto sul lungo volto cinereo.
Persefone provò un moto di
puro disgusto. Gli afferrò il braccio e lo scostò
bruscamente dal proprio fianco.
Si sentiva meglio, meno debole, e
la confusione e lo spavento iniziali stavano rapidamente lasciando il
posto all'ostilità e alla rabbia.
“Si può sapere che
cosa vuoi da me? Come hai osato portarmi qui contro la mia
volontà?” sbottò lanciandogli un'occhiataccia e
incrociando le braccia orgogliosamente.
Ade sostenne il suo sguardo senza
battere ciglio. Era molto più alto e massiccio di lei; la dea
sentì la sua ritrovata sicurezza vacillare, ma fece del suo
meglio per non darlo a vedere.
“E' molto semplice, fiorellino.
Vedi, sono in giro da un bel po', e, anche a seguito di recenti
avvenimenti non molto piacevoli, mi sono ritrovato, come dire, un po'
solo. E così ho pensato, ehi, perché non cercare
moglie?”
Persefone rimase interdetta. La situazione si faceva sempre più surreale, minuto dopo minuto.
“Tu... vorresti sposarmi?” balbettò incredula.
“Indovinato ancora! Brillante, la ragazza...” rispose lui, sarcastico.
“M-ma io non voglio sposarti.” replicò lei, soffocando una risatina nervosa.
“Oh, ma dai, sono un tipo simpatico, sai?” insistette Ade, prendendo a girarle intorno a mo' di avvoltoio.
Persefone scosse la testa, a bocca aperta. “Ma sei vecchio!” protestò.
“Li porto bene.”
“... E malvagio!”
“Quale modo migliore di redimermi dell'amore di una brava donna?”
“Mi hai rapita!”
“Antica usanza, inaugurata da mio nonno. Che vuoi farci, sono un tradizionalista.”
La giovane dea sbuffò, esasperata. “Perché io?” chiese, una nota di disperazione nella voce.
“Non essere modesta, Seph. Potresti essere Regina dell'Oltretomba già da domani mattina.”
Così dicendo, Ade si fece
comparire sul palmo della mano destra una corona argentata, con due
alte cuspidi appuntite sulla parte anteriore. “Lascia almeno che
ti mostri cosa perderesti se non accettassi la mia generosa offerta.
Politicamente parlando sarebbe una mossa molto intelligente da
fare...” disse facendo sparire la corona in un sottile sbuffo di
fumo.
La dea non sapeva che dire. Era
oltremodo irritata, specialmente perché, nonostante la
situazione e il dio che si trovava davanti, la sua proposta di
matrimonio la lusingava.
E questo non era un bene.
“Facciamo così. Mi dai
due giorni di tempo per mostrarti l'Oltretomba per bene, a cominciare
da domani. Se poi decidi di rifiutare, ti riporto su di sopra da
mammina. Almeno saprai cosa ti perdi. Ma se cambi idea, e diventi mia
moglie... Beh, vivrai qui con me, come sovrana dell'Oltretomba. Che ne
dici? Ovviamente fino ad allora sarai mia gradita ospite.” disse
lui tendendole la mano ossuta.
Persefone esitò a rispondere, più combattuta di quanto – sentiva – avrebbe dovuto essere.
“... Se dico di no, mi riporti a Nysa?” chiese sospettosa.
“Promesso. Ehi, un patto è un patto.” rispose Ade.
La dea rimase in silenzio per
qualche momento. Doveva ammettere a se stessa che la prospettiva di
regnare su di un regno così vasto era, da un certo punto di
vista, allettante.
Diede un altro sguardo all'Acheronte. Avvertì un groppo alla gola.
No, non era possibile. Non era
adatta per quel compito. Sentiva già la mancanza dell'aria
pulita, del calore del sole, del profumo dei fiori... E sua madre? Il
pensiero di non rivederla più era insopportabile.
Scosse la testa. “Sei matto.
Non voglio sposarti e non lo vorrò mai. Trovati un'altra.”
Il suo tono di voce la sorprese. Non era mai stata più seria in
vita sua.
Ade si strinse nelle spalle.
“Va bene, d'accordo, hai fatto la tua scelta.” Detto
ciò, fece per andarsene, voltandole le spalle.
Persefone tirò un sospiro di
sollievo. “Bene. Ora, di grazia, mi riporti a Nysa?” chiese
schiarendosi la voce. “Mia madre si starà
preoccupando...”
Il dio si girò, scoccandole
un'occhiata poco rassicurante. “Ehi, ti ho fatto la mia offerta.
Prendere o lasciare, bella.”
La dea rimase di nuovo a bocca aperta. “Cosa... Come osi? Riportami subito indietro!” gridò.
Stava sfiorando la crisi isterica.
Ade sospirò, dandole un buffetto sulla guancia. “Forse devi ripassare il significato della parola rapimento,
riccioli d'oro. Vedi, il fatto è che non ho proprio intenzione
di lasciarti uscire da qui, specialmente considerando la fatica che ho
fatto per portartici – e non puoi immaginare quanto mi ci
è voluto per spaccare la terra in quel modo... Per cui, tirando
le somme: no, non ti riporto da mammina, a meno che tu non sia un po'
più gentile e accetti le mie condizioni. Ah, e potresti anche
toglierti quel ridicolo cappello, magari...” fece indicando la
corona di petali rosa che la dea portava in testa.
“Non ci posso credere! Pure il ricatto!” urlò Persefone, raddrizzandosi istintivamente la corona sul capo.
“Che posso dirti, sono fatto
così.” disse Ade accennando un inchino. “Bene,
è stato un piacere parlare con te, ma ho altre faccende di cui
prendermi cura. Divertiti!”
“Non la passerai
liscia!” lo minacciò lei. “Aspetta solo che mia
madre lo venga a sapere! Prima o poi mi troverà, e allora
sì che te la vedrai brutta!” Tremava di rabbia. “E
per tua informazione, questo non è un cappello, è una
corona!” aggiunse pestando per terra il grazioso piedino destro.
Il dio la liquidò con un cenno della mano, senza nemmeno voltarsi indietro.
***
Quella
sera stessa, poco prima del tramonto, Demetra atterrò dolcemente
sul suolo di Nysa, i capelli rossi scompigliati dal vento primaverile
che soffiava da nord.
“Kore!” esclamò, guardandosi intorno stupita. Nessuna risposta.
“Kore!” chiamò più forte, mentre una spiacevole punta di ansia le si faceva strada nel petto.
Non era proprio della figlia farla
aspettare. Era sempre lì che si incontravano, ogni sera. Come
mai non le rispondeva? Dov'era finita?
“Persefone!”
gridò, sperando che spuntasse fuori da un momento all'altro,
dispiaciuta per il ritardo e per averla fatta preoccupare.
Nulla. Solo il rumore del vento che spazzava il prato verde e curato.
Demetra risalì sul carro, ora dichiaratamente in ansia.
:3 Non fidatevi mai dei coniglietti, sono MALVAGI! xD
Ok,
stupidaggini a parte: che ve ne pare? Adesso abbiamo proprio ingranato:
Persefone è dove dovrebbe essere e Ade ha pronto un diabolico
piano per costringerla a sposarlo. :P
Spero davvero che vi siate divertiti a leggere questo capitolo almeno
la metà di quanto mi sono divertita io a scriverlo. xD E come
sempre grazie, grazie di cuore per le vostre recensioni. Ricordate che
accetto volentieri consigli e critiche, quindi non abbiate paura se vi
sentite di farne. E, dato che mi sento di aver raggiunto un traguardo
non indifferente, ecco che parte il giro di ringraziamenti (potete
saltarlo, tanto il capitolo è finito... xD):
Un ringraziamento speciale alle inossidabili kiaky98 e TheHeartIsALonelyHunter, che hanno recensito ogni capitolo.
E poi grazie ad Estatemeravigliosa, a FloxWeasley, ad Amento, ad Alyara94 e a Churippu per le loro recensioni.
Infine, grazie a Dark_Chocolate, GaaRamaru, GingerTrickster, Julia98_8, kagura, mintheart, MUSICAL, myforbiddenalterego, Valpur e __aris__, che mostrano il loro supporto seguendo la storia.
... Ah, quasi dimenticavo: l'acqua del Lete che provoca svenimento me
la sono inventata di sana pianta, quindi non spaccatevi la testa
cercandola nei miti. :P
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Capitolo 7 *** Gone ***
7. Gone
Gone
“Ho
cercato dappertutto, non c'è! Nella foresta, nella parte
costiera, dappertutto! E' sparita!” singhiozzò Demetra,
soffiandosi rumorosamente il naso. “E' sparita!”
Hera ed Hestia fecero del loro
meglio per confortare la sorella. “Magari si è solo presa
una vacanza...” azzardò la dea del focolare. “Sai
come sono i giovani...”
“No, no, non è
possibile, la mia Kore non farebbe mai una cosa del genere senza prima
avvertirmi!” piagnucolò Demetra. “Deve essere stata
portata via da qualcuno!”
Hera scosse la testa, incredula. “Ma chi...”
L'entrata in scena di Zeus, seguito
a ruota da Hermes, fece tornare un po' di colore nelle guance smunte
della dea dell'agricoltura. “Oh, Zeus!” lo chiamò,
correndogli incontro.
Il padre degli dei si fermò a guardarla, sorpreso. “Per il tuono, Demetra! Stai bene?”
“No, no, non sto bene! Kore è stata rapita!” disse Demetra tutto d'un fiato.
“Come? Quando?” chiese Zeus, lanciando un'occhiata confusa in direzione della moglie.
Demetra tirò su col naso.
“Non lo so, ieri sera sono andata a Nysa, come faccio sempre, e
non c'era... Ho passato tutta la notte a cercarla, ma sull'isola non
c'era nessuna traccia di lei...”
“Magari è andata a
farsi un giro.” intervenne Hermes, pulendosi gli occhiali con un
lembo della veste. “Magari si annoiava.”
“No, no, non è da
lei!” esclamò la dea, piccata. “Zeus, ti prego, devi
aiutarmi a cercarla.”
“Oh, beh, ecco...” fece
Zeus, improvvisamente impacciato. “Il fatto è che... al
momento sono molto impegnato a decifrare questa profezia, e...”
Demetra era scioccata. “Chi
se ne importa della profezia! Mia figlia... Una DEA è stata
rapita! Non posso credere che la cosa non vi interessi!”
Il dio del fulmine le posò
una mano sulla spalla. “Calmati, su. Certo che ci interessa, ma
non saltiamo a conclusioni affrettate. Aspettiamo almeno un paio di
giorni prima di andare nel panico.”
Demetra si asciugò gli
occhi. “Molto bene. Fate pure come vi pare. Ma io non
starò qui con le mani in mano.” Detto questo, si
incamminò fieramente verso il proprio carro. “E non
aspettatevi un raccolto abbondante, quest'anno!” esclamò
subito prima di sparire dalla loro vista.
Zeus si portò una mano alla
tempia. “Ci mancava anche questa. Hermes, va' a fare un giro di
ricognizione, per favore.”
Il dio annuì prontamente.
***
Dopo il consueto giro mattutino,
Helios se ne stava pigramente sdraiato su una delle tante nuvole
periferiche che circondavano l'Olimpo, sorseggiando ambrosia da una
piccola coppa dorata.
Un altro perfetto giorno di sole, si disse sorridendo soddisfatto.
Con la coda dell'occhio vide una indistinta macchia verde scuro avvicinarsi rapidamente.
Si girò, curioso, corrugando le sopracciglia alla vista di Demetra.
Cosa poteva volere a quell'ora del mattino?
La dea lo apostrofò senza troppi complimenti. “Tu! Dov'eri ieri pomeriggio?”
Helios deglutì,
improvvisamente nervoso. Gli occhi della dea sembravano in fiamme. Non
gli era mai sembrata così minacciosa come in quel momento.
“C-come?” balbettò alzandosi a sedere.
Demetra gli si avvicinò ulteriormente. “Dov'eri ieri pomeriggio!” ripeté scandendo le parole.
Il dio arretrò. “Che ti importa? Cosa vuoi da me?” protestò.
La dea socchiuse gli occhi. “Mia figlia è sparita. E se scopro che tu c'entri qualcosa...”
Helios si alzò in piedi.
“Cosa? Che idee ti vengono in mente? Io non c'entro nulla, non
l'ho neanche più vista...”
Demetra incrociò le braccia. “E' vero che le hai fatto delle avances?” gli chiese, sospettosa.
Il dio rimase interdetto per
qualche secondo. “Beh, sì, ammetto che mi interessa un
po'... Ma niente di serio, voglio dire...”
Lei lo fulminò con lo sguardo.
Helios fece precipitosamente
retromarcia. “Cioè, no, volevo dire, potrebbe essere una
cosa seria, se lei lo volesse... E comunque non la rapirei mai!”
Demetra lo squadrò con palese ostilità.
Infine, sospirò tristemente.
“Ti credo.” disse laconica. Fece per voltarsi, poi
aggiunse: “Se ti interessa, potresti aiutarmi a cercarla.”
Helios ci pensò su, poi annuì. “Darò un'occhiata dall'alto.”
La dea gli fece un mezzo sorriso. “Grazie.” Dopodiché se ne andò.
***
Persefone sapeva che, appena si fosse accorta della sua scomparsa, sua madre si sarebbe messa a cercarla senza indugiare.
Era convinta che sarebbe stata
soltanto questione di tempo e che presto sarebbe tornata a Nysa sana e
salva, lasciandosi alle spalle l'Oltretomba, Ade e la sua scioccante
quanto ridicola proposta di matrimonio.
Nonostante questi pensieri positivi, non poteva fare a meno di sentirsi sconfortata.
Aveva dormito malissimo quella notte. Ade le aveva assegnato una stanza nell'ala est, poco distante dalla sala del trono.
La camera era lugubre, grigia e fredda, come il resto dell'Oltretomba.
Aveva seriamente considerato di
chiudersi dentro e non uscire più, pur di non dover più
avere a che fare con il dio dei morti, ma poi aveva realizzato che
sarebbe solo servito a crearsi una prigione più piccola
all'interno della prigione in cui già si trovava.
Per di più, era pronta a giurare che le coperte avessero tentato di soffocarla, quella notte.
E quei terribili lamenti che non cessavano mai! Dubitava che persino Ade potesse sopportarli.
Quella mattina si era svegliata in
preda alla confusione più totale. Poi aveva rammentato dove si
trovava e lo sconforto aveva avuto la meglio.
Poggiato su una sponda del letto aveva trovato un himation grigio-azzurro, dal tessuto piuttosto pesante, che non aveva notato la sera prima.
Aveva deciso di indossarlo,
drappeggiandolo attorno alle spalle nella speranza che le tenesse
più caldo rispetto al leggero chitone bianco che indossava
solitamente.
Certo, non le donava un granché, ma in quel frangente avrebbe volentieri sacrificato un po' della propria vanità.
Aprì lentamente la porta della stanza, guardandosi attorno con circospezione.
Il corridoio era deserto. Uscì, chiudendosi la porta alle spalle.
Si sorprese quando si rese conto di
vederci di più grazie alla luce emessa dalla propria aura divina
piuttosto che grazie alle sporadiche lampade azzurrine che pendevano
dai muri.
Titubante, si diresse verso la sala
del trono. Non aveva cambiato idea riguardo alla proposta di Ade,
né aveva intenzione di stipulare alcun contratto con lui, ma ci
teneva ad ostentare sicurezza nei suoi confronti.
Ne andava del suo orgoglio.
Stava per uscire dal corridoio quando due piccoli demoni le sbarrarono la strada.
Sobbalzò, suo malgrado; le sembrava di averli già visti.
“Ah, buondì!”
esclamò quello verde dal naso lungo. “Il padrone al
momento è impegnato. Come possiamo servirla?” aggiunse
sfoderando un largo sorriso.
Persefone li squadrò con
occhio critico. “Beh, se poteste farmi uscire da qui...”
azzardò con una punta di speranza nella voce.
I due si guardarono. “Sfortunatamente, non ci è permesso. Ma se vuole una bibita, un drink...”
La dea alzò gli occhi al
cielo. “Lascia stare.” D'un tratto le venne in mente dove
aveva già visto i due demonietti.
“Voi due... Avete aiutato Ade a mettere in catene gli dei durante l'attacco dei Titani, vero?”
Pena e Panico parvero rimpicciolirsi. “C-come lo sai?” replicò Panico.
“C'ero anche io.” rispose lei incrociando le braccia.
“...Oh.” dissero
insieme. “Beh, non era niente di personale...” “Noi
ci limitiamo a seguire gli ordini di Ade...” aggiunsero
precipitosamente.
Persefone scosse la testa.
“Sentite, se non potete farmi uscire da qui, non-” Si
interruppe, colpita da un'idea improvvisa.
“Ripensandoci, forse c'è qualcosa che potete fare per me.” disse cercando di suonare cordiale.
“Vorrei un po' di terra. Una ventina di vasi andrebbero bene.”
I due assunsero un'espressione confusa. “Terra?”
“Sì, terra, terriccio. Per far crescere le piante.”
I demonietti annuirono. “Questo possiamo farlo.” dissero facendo retromarcia.
“Grandi, i vasi, mi raccomando!” puntualizzò la dea mentre Pena e Panico sparivano dietro l'angolo.
Rimasta di nuovo sola, Persefone
non sapeva che fare. Da un lato, non voleva tornarsene in camera;
dall'altro, non era certa di avere il coraggio di gironzolare per
l'Oltretomba senza una guida.
Decise infine di andare avanti con
il suo primo proposito. Non le importava se Ade era impegnato; non si
meritava certo la sua discrezione, dopo quello che le aveva fatto.
Girato l'angolo del lungo corridoio, udì delle voci provenire dalla sala del trono.
Si sporse in avanti per vedere a chi appartenessero, cercando allo stesso tempo di origliare la discussione.
“... Mi stavo solo preoccupando, ecco tutto.” disse una roca voce femminile.
La sua proprietaria, una dea dai
crespi capelli neri e dalla pelle rossastra, era sinuosamente
appoggiata sulla spalla sinistra di Ade, il quale non sembrava
particolarmente entusiasta della cosa.
“Sì, beh, ti
ringrazio, ma la situazione è sotto controllo.” rispose il
dio, evidentemente infastidito.
“Davvero?” fece la dea.
“Perché potrei scommettere che non è così.
Chiamalo istinto...” Si spostò, muovendosi languidamente
verso il centro della sala. “Potrei addirittura restarci, qui.
Ora come ora, è l'ambiente ideale, per me.” Abbozzò
una risatina.
Ade sogghignò.
“Carissima.” esordì prendendola per le spalle.
“In un altro momento sarei lusingato. Purtroppo, in questi giorni
sono molto... occupato con
altre faccende e non avrei il tempo necessario da dedicarti.
Perché non torni... un altro giorno, magari il prossimo fine
settimana?”
La dea sorrise. “Lo
prenderò come un invito a cena.” Detto ciò,
spiegò un paio di ali rossastre e spiccò il volo,
lasciando il dio dei morti da solo nella grande sala.
Persefone non aveva idea di chi
fosse la dea dai capelli neri, né di cosa stessero parlando,
quindi decise che avrebbe fatto finta di nulla.
Uscita da dietro l'angolo, non era
sicura di quale espressione avrebbe dovuto adottare; cercò di
apparire il più neutra possibile.
“Seph, mia dolce metà.
Dormito bene?” la accolse Ade senza alzarsi dal trono su cui si
era seduto poco prima.
“Per niente.” rispose lei cercando di stare calma.
“Desolato. Beh, hai almeno riconsiderato la mia proposta?” le chiese materializzando un sigaro e accendendolo.
La dea incrociò le braccia, senza rispondere.
Ade sbuffò una nuvola di
fumo. “Senti, perché non la smetti di fare la preziosa e
consideri la cosa da un punto di vista logico?” Si alzò in
piedi. “Voglio dire, non mi pare di chiedere tanto. Passi due
giorni con me e poi, se non accetti di restare, ti riporto
indietro.”
“Perché dovrei
fidarmi?” proruppe lei. “E poi, è solo questione di
tempo prima che mia madre mi trovi.” aggiunse distogliendo lo
sguardo.
Il dio le si avvicinò.
“Il punto è: quanto tempo ci vorrà perché ti
trovi?” le sussurrò beffardo.
“Con quella voragine che hai aperto a Nysa, non credo molto.” ribatté lei rabbiosamente.
Ade la squadrò, alzando un sopracciglio. “Oh, per favore. Credi davvero che l'abbia lasciata aperta?”
Persefone avvertì una stretta allo stomaco. “L'hai... chiusa?” chiese con un filo di voce.
Il dio le sorrise. “Ehi, per chi mi hai preso? Non sono così sprovveduto.”
“...Oh.”
Ade finì il sigaro in tutta
tranquillità. “Ma alla fine hai ragione. Insomma,
settimane, mesi di attesa... Vale la pena sopportare questo strazio,
piuttosto che collaborare per due giorni con me.” Il suo tono di voce si era fatto estremamente tagliente, quasi minaccioso.
La dea non sapeva cosa rispondere.
La prospettiva di restare bloccata lì sotto per settimane o
addirittura mesi la terrorizzava. Se solo avesse avuto un qualsiasi
mezzo di comunicazione con la superficie... Ma non ne aveva.
Si morse il labbro. Era completamente indifesa e impotente.
Sentì il panico congelarle lo stomaco.
Solo durante l'attacco dei Titani
si era sentita peggio. E anche allora, nonostante la terribile
minaccia, la paura era durata relativamente poco. Ercole era giunto ad
aiutarli e insieme a Zeus aveva cacciato i mostri una volta per tutte.
Inoltre, almeno allora sua madre le era accanto.
Adesso invece...
Tutte quelle sensazioni erano completamente nuove per lei.
Non si era mai dovuta preoccupare di niente, non aveva mai avuto bisogno di niente: sua madre pensava a tutto.
Solo in quel momento si rese davvero conto di quanto la sua vita fosse stata facile.
Era cresciuta nella bambagia, anche
per degli standard divini... E non aveva nessunissima intenzione di
rinunciare alla propria vita perfetta.
“Vedo che hai bisogno di un
po' di tempo per pensarci su.” disse Ade stringendosi nelle
spalle. “Sai che ti dico? Fa' pure. Ho tutta l'eternità a
disposizione.”
Persefone strinse le mani a pugno.
“Aspetta!” esclamò agitata. “...Va
bene.” disse dopo qualche momento. “Se ci tieni così
tanto, accetto!”
Il dio le scoccò un'occhiata trionfante. “Così mi piaci.”
“Tanto non riuscirai a farmi cambiare idea.” replicò lei.
Ade le strinse la mano. “Sono riuscito a farti cambiare idea su questo, no?” le fece notare, soddisfatto.
Persefone rabbrividì. “Solo perché voglio passare meno tempo possibile in questo posto orribile.”
“Come vuoi, fiorellino.”
“E smettila di chiamarmi così!”
La discussione fu momentaneamente
interrotta dal sonoro tonfo provocato dal primo dei venti vasi ordinati
da Persefone, appena poggiato sul pavimento da Pena e Panico.
“E quella che roba è?” sbottò Ade, colto alla sprovvista.
“La mia terra!” rispose lei, improvvisamente allegra.
“La tua... Stai scherzando, vero? Cosa vuoi fare, trasformare questo posto in un vivaio?”
Persefone abbracciò il
grosso vaso. “Dovevi pensarci prima di decidere di sposare la dea
della primavera.” gli disse lanciandogli un'occhiataccia.
Salve gente! :D Ho deciso di
aggiornare un po' prima del solito, dato che mi avete reso felicissima
con le recensioni che avete lasciato al capitolo precedente. (No,
davvero, non mi era mai capitato di ricevere OTTO recensioni allo
stesso capitolo, è incredibile, inaudito, pazzesco!!)
Inutile dire che vi amo tutti. xD
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto. ^^ Ah, piccola
nota: per evitare la scomoda tematica dell'incesto ho preferito
evitare, nella mia storia, la parentela tra Persefone e Zeus,
perché altrimenti, essendo Zeus e Ade fratelli... Avete capito
dove voglio arrivare. >.> E sì, lo so che nel mito sono
tutti imparentati, ma questa (non mi stancherò mai di ripeterlo)
è innanzitutto una storia su Hercules, e ho preferito mantenere lo spirito kid-friendly del film Disney.
Ancora GRAZIE. Grazie di cuore.
Non so davvero che altro dire. ^^'' Vi abbraccio. :3
|
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Capitolo 8 *** Field trip ***
8. Field trip
Field trip
Ade
rischiò seriamente di perdere la pazienza, ma resistette
stoicamente, rimandando l'incinerazione dei vasi e del loro contenuto
ad un momento più opportuno.
Doveva tenersela buona ancora per
qualche giorno. Ormai aveva ceduto: gran parte del piano era
completata. Mancava solo quell'ultimo, insignificante dettaglio del
matrimonio; fortunatamente, nonostante le avesse fatto credere il
contrario, il suo assenso non era necessario.
Certo era irritante, con quella sua
vocina stridula. Non faceva altro che sputare sentenze e tenergli il
broncio. E quel cappello a forma di fiore che si ostinava a tenere in
testa era davvero un pugno in un occhio.
Di sicuro era figlia di sua madre. Si augurava che la somiglianza non diventasse ulteriormente evidente col passare dei secoli.
“Dunque,” esordì nel suo tono più cordiale, “vogliamo iniziare il giro turistico?”
Persefone faceva la sostenuta. Era
ancora in ginocchio, alle prese con i fiori che aveva fatto sbocciare
pochi secondi prima. “Quanto ci vorrà?” chiese senza
degnarlo di uno sguardo.
Ade fece un sorriso tirato. “Ehi, quarantotto ore me le hai promesse. Prima iniziamo, prima finiamo.”
La dea sospirò, alzandosi in piedi.
La guidò fino all'uscita
della sala del trono. Una corrente d'aria gelida li travolse mentre si
affacciavano alla lunga scalinata dai gradini umidi e scivolosi.
Persefone rabbrividì.
“Dove stiamo andando?” gli domandò alzando gli occhi
al soffitto, da cui pendevano grosse stalattiti.
Ade iniziò a scendere le
scale. “Ho pensato che una gita in barca fosse l'ideale per
rompere un po' il ghiaccio.” Lei lo seguì, riluttante.
Per essere una dea era davvero
infantile. Era evidente che l'Oltretomba la spaventava. La cosa sarebbe
stata alquanto patetica, se non si fosse trattato esattamente di
ciò di cui Ade aveva bisogno.
Caronte li attendeva sulla sponda dell'Acheronte. La scricchiolante barca si muoveva appena, sospinta dalle onde.
Fece salire Persefone per prima. La
dea si aggrappò al bordo dell'imbarcazione con entrambe le mani.
“Che succede se cado nel fiume?” domandò spalancando
gli occhioni rosa.
“Meglio evitare l'esperienza.” rispose lui cupamente. “Non è molto piacevole.”
“Non avevo dubbi.” commentò lei.
Caronte iniziò a remare lentamente, il corpo scheletrico piegato in due per lo sforzo.
“Eccolo qui, comunque.
Acheronte. Tutto intorno all'Oltretomba. Le anime ci finiscono dentro
dopo essere state centrifugate nello Stige, per cui di solito sono
vecchie di qualche secolo quando arrivano qui. E' un fiume geriatrico, se mi passi il termine.”
Continuarono ad avanzare.
Stranamente, nessuna delle anime dell'Acheronte sembrava essere attiva
come quelle nello Stige. I loro lamenti erano fiochi e solo due o tre
tentarono, invano, di afferrare la chiglia della barca.
Superata un'ansa del fiume, si avvicinarono al posto di guardia di Cerbero.
Il cagnone a tre teste latrò, le labbra rosse tirate sulle zanne affilate.
“Cerbero, figlio di Echidna. Buon cane da guardia, tutto sommato.”
Persefone fissò il mostro,
una smorfia di disgusto stampata sul volto. “Non si può
andare più veloci?” chiese rivolta al nocchiere.
Non ricevette risposta.
“Non può sentirti. E
anche se potesse, non riuscirebbe a risponderti. Non è molto
brillante, l'amico. Infatti, per quanto io stesso a volte faccia fatica
a crederci, Pena e Panico sono dei geni, in confronto.”
La dea si sedette, titubante. “Se sono così stupidi, perché continui a usarli?”
Ade si strinse nelle spalle.
“Convenienza, per lo più. Sono costretti a servirmi. E
poi, a volte sono utili. Ad esempio, mia cara, non saresti qui se non
fosse stato per i loro poteri mutaforma.”
Persefone lo guardò,
confusa. “In che senso..?” Poi, all'improvviso,
capì. “I conigli!” Si nascose il viso tra le mani.
“Non posso crederci!” esclamò indignata.
Sollevò il viso. “Sei un essere spregevole, Ade.”
disse stringendo i pugni, la voce carica d'odio.
Il dio le sorrise, mellifluo. “Sapevo di piacerti, fiorellino.”
***
Hermes atterrò sul suolo di Nysa poco dopo mezzogiorno. Si guardò attorno. Sembrava tutto tranquillo.
Non aveva idea del perché
Kore fosse sparita, ma non era preoccupato. In fondo, era pur sempre
una dea. Non c'erano molte creature in grado di fare del male a una
divinità.
Tutto sommato, l'ipotesi che
più gli sembrava plausibile era quella della fuga. Probabilmente
si era stufata di stare sempre su quell'isola semi deserta;
francamente, non se la sentiva di biasimarla.
Svolazzò in giro per qualche minuto, cercando di prestare attenzione ai particolari.
L'unica cosa vagamente fuori posto
era un grosso ramo di ulivo per terra. Sembrava fosse stato
violentemente strappato dal tronco. Una prova? Ma di cosa?
Gli passò nella mente la
fuggevole immagine della giovane dea che si aggrappava al ramo
dell'albero per non venire trascinata via da un indefinito rapitore.
Scosse la testa. Quella era senza dubbio l'immagine che Demetra aveva in testa.
Si impose di rimanere razionale.
Kore era una dea. Non c'era mostro sulla terra in grado di farle del
male. Un'altra divinità, certo, avrebbe potuto. Ma chi? E
perché?
L'idea del rapimento gli sembrava alquanto sconclusionata.
Tuttavia quel ramo spezzato gli comunicava un senso di inquietudine che non riusciva a scrollarsi di dosso.
“Non bastava il casino dei
Titani...” mormorò tra sé e sé. Il pensiero
di quei tremendi giganti lo faceva ancora rabbrividire, suo malgrado.
C'era mancato davvero poco, quella volta.
Tutta colpa di quel maledetto di Ade. Si augurava che ci marcisse, nell'Oltretomba.
Per lo meno lui era sistemato. Ci
mancava solo che combinasse altri disastri. Fosse dipeso da Hermes, non
avrebbe avuto il minimo scrupolo a rinchiuderlo nelle prigioni del
Tartaro.
Decise di perlustrare l'isola.
Magari Kore si era nascosta da qualche parte. Forse avrebbe potuto
chiedere alle Oceanidi che abitavano lì vicino se avevano visto
o sentito qualcosa.
***
Si avvicinarono ad uno spiazzo
piuttosto grande, in cui era ben visibile un piccolo lago dalle acque
bianche, quasi fosforescenti.
La barca di Caronte approdò dolcemente sulla riva.
Ade scese per primo, tendendo la mano a Persefone per aiutarla a fare lo stesso.
La dea ignorò il gesto. “So scendere da sola, grazie.” disse in tono altezzoso.
Ade sospirò in modo teatrale. “Uno cerca di essere gentile...” disse, melodrammatico.
Persefone incrociò le braccia. “Che freddo fa qui...” la sentì mormorare.
“E' normale, siamo sulle
sponde del Lete. Le sue acque sono le più insidiose che troverai
in tutto l'Oltretomba. Se le tocchi o ti ci immergi, svieni. Se le
bevi, basta un sorso per farti perdere la memoria. Non importa che tu
sia un mortale o un dio... Tabula rasa, non ricordi nemmeno il tuo
nome.” spiegò lui con una punta d'orgoglio nella voce,
mentre entrambi osservavano la polla d'acqua argentata.
La dea sussultò, come
svegliatasi da un incubo. Distogliendo lo sguardo dal Lete, riprese
un'espressione imbronciata. “Quanto è grande il tuo
regno?” chiese.
Ade ghignò. “Piuttosto grande. Ma cerco sempre di espandermi, quando mi capita l'occasione.”
Persefone scosse la testa.
“Non capisco perché Zeus dimostri così tanta
clemenza nei tuoi confronti. Fosse per me...” disse con voce
petulante.
Il dio le si avvicinò,
improvvisamente di cattivo umore. “Forse”, fece abbassando
la voce in tono minaccioso, “forse il tuo caro Sputafulmini ha bisogno di me. Forse non ha l'autorità per sbarazzarsi di me. Forse stai parlando con uno dei tre dèi più importanti di tutto il cosmo, e forse dovresti evitare di farmi arrabbiare.”
Persefone era indietreggiata e si teneva una mano alla gola. “M-mi dispiace.” sussurrò impaurita.
Ade fece un respiro profondo, cercando di calmarsi.
Non era sicuro che spaventarla a morte fosse il modo migliore di procedere.
Doveva ammettere che tutta quella situazione iniziava ad essere pesante. Insomma, c'era un motivo se non aveva mai neanche provato a prendere moglie, in tutti i suoi secoli di onorata carriera.
Rimasero in silenzio per un bel po' di tempo.
Persefone sembrava paralizzata dallo shock. Aveva lo sguardo fisso a terra e le mani serrate vicino al cuore.
Lontano, si udivano fiocamente i lamenti delle anime dello Stige.
Infine, Ade le mise un dito sotto
il mento, facendole alzare lo sguardo. “Devi perdonarmi,
fiorellino. E' che sono, come dire, sensibile
a questo tipo di argomenti. Ma non è successo niente di grave,
non preoccuparti. Solo, cerchiamo di non menzionare più mio
fratello e i suoi allegri compari. Intesi?” disse, sforzandosi di
suonare il più gentile possibile.
La dea annuì, poi, all'improvviso, scoppiò in lacrime.
Ade si ritrasse di scatto, come punto da un serpente.
“Ti prego,” lo
supplicò lei tra i singhiozzi, “ti prego, lasciami andare.
Lo vedi anche tu che così non può funzionare, che siamo
troppo diversi, e io non voglio rimanere qui per il resto della vita.
Ti prego, non riesco a capire, perché proprio io? Neanche ti
conoscevo prima che mi portassi qui! Perché non ti sposi quella
dea con cui parlavi stamattina..?”
Ade, che alle suppliche di
Persefone aveva alzato gli occhi al cielo per l'esasperazione, li
abbassò all'improvviso. “Stai parlando di Eris?”
chiese stupito.
“Non so chi fosse, non l'avevo mai vista prima.” rispose lei, asciugandosi gli occhi gonfi.
Il dio dei morti sbuffò,
infastidito. “Eris non è il tipo di dea con cui voglio
avere a che fare. Per lo meno, non ora.”
Persefone inspirò
profondamente. “Davvero non capisco cosa possa interessarti di
me, comunque.” protestò stancamente.
Ade la condusse verso la barca, che
era rimasta ormeggiata presso la riva ad attenderli. “Oh, sono
certo che un giorno capirai, riccioli d'oro.” disse in tono
lugubre.
***
Diverse ore dopo, Persefone era
riuscita a congedarsi e a trascinare nella sua stanza una decina di
vasi pieni di terra scura e umida, nei quali aveva prontamente fatto
spuntare centinaia di fiori colorati.
Far crescere piante e fiori era
ciò che sapeva fare meglio, e in quel particolare frangente si
era dimostrata l'unica occupazione in grado di rinfrancarla.
Al momento era calma, nonostante lo
spavento di quel pomeriggio; si sentiva una stupida, e si odiava per
essersi dimostrata così debole e vulnerabile di fronte al dio
dei morti.
Durante l'interminabile traversata
dell'Acheronte, aveva avuto modo di riprendersi e di riflettere
seriamente sulla propria condizione: se davvero Ade aveva fatto in modo
di non lasciare tracce che potessero ricondurre a lui, per sua madre
non sarebbe stato facile trovarla.
Era ancora convinta di aver fatto
la scelta giusta ad accettare il patto delle quarantotto ore, ma non
riusciva a fidarsi di Ade. Temeva che avrebbe trovato un modo per
rendere il patto nullo: una scappatoia o qualcosa del genere.
Doveva stare attenta, non farsi raggirare dal suo rapitore, ma allo stesso tempo temeva la sua ira.
Si disse che avrebbe evitato di
fare commenti maligni (per quanto meritati essi fossero) e che si
sarebbe limitata ad ascoltare quello che aveva da dirle e ad osservare
ciò che voleva mostrarle.
Dopodiché, allo scadere delle quarantotto ore promesse, gli avrebbe ripetuto che non voleva essere sua moglie.
Un brivido le attraversò la
schiena. Il pensiero di essere legata per l'eternità ad un
essere così spregevole la disgustava.
Non succederà, si disse con decisione mentre faceva sbocciare un narciso giallo e arancio. Non può succedere. Non a me.
Se fosse stata una ragazza mortale, in quel momento avrebbe maledetto gli dèi per quel crudele scherzo del destino.
Finì per addormentarsi solo
in tarda notte, impaziente di consumare quelle poche ore che, credeva,
la separavano dalla libertà.
Purtroppo per lei, le Parche
tenevano in mano i fili del destino di tutti, mortali e
divinità. E, purtroppo per lei, le Parche avevano un debole per
Ade.
Buondì, gente! :D Spero
che questo capitolo sia stato di vostro gradimento. ^^ Dal mio punto di
vista, qualsiasi interazione tra Seph e Ade è uno spasso. ;)
Lascio la parola a voi: al mio segnale, scatenate l'inferno! xD
Spero di riuscire ad aggiornare
nei tempi previsti: purtroppo Maggio è mega sessione di esami,
ma farò del mio meglio.
Un abbraccio a tutti voi. :D
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Capitolo 9 *** Pomegranate ***
9. Pomegranate
Pomegranate
Persefone dormì poco e male quella notte, il che non la fece svegliare di buon umore.
Si rinfrescò con un po'
d'acqua fredda e, dopo essersi pettinata i lunghi capelli biondi, si
sistemò la corona a forma di fiore in testa, come tutte le
mattine.
Prima di uscire dalla camera da
letto dedicò ai fiori che aveva fatto sbocciare la sera prima le
sue attenzioni, necessarie per la loro sopravvivenza in quel luogo
buio, dove la luce del sole non arrivava mai.
Uscita in corridoio, per poco non
cacciò un urlo quando si trovò faccia a faccia con la dea
dai capelli neri e la pelle rosso sangue che aveva visto conversare con
Ade la mattina precedente.
“Ero certa di aver visto qualcuno, ieri!” esclamò la dea sorridendo compiaciuta.
“Po-potrei dire lo stesso...” replicò Persefone appoggiandosi alla porta della propria camera.
La dea la squadrò per un attimo, poi ammiccò. “Non sei di queste parti, vero carina?” chiese in tono suadente.
La sua voce era bassa e vellutata, ma a Persefone parve di percepire una nota stonata in sottofondo, quasi uno stridio.
“No, io...” fece, ma
l'altra la fermò prima che potesse dire altro. “Aspetta,
lasciami indovinare. Tu sei Kore, figlia di Demetra, scomparsa
misteriosamente da Nysa tre giorni fa. Giusto?” domandò
socchiudendo gli occhi verde smeraldo.
Persefone rimase a bocca aperta per un secondo, poi annuì. “Sì, sono io. Come..?”
La dea ridacchiò. “Oh, tesoro... A parte il tuo aspetto incredibilmente... floreale,”
disse mentre sul volto le si dipingeva una piccola smorfia,
“c'è anche il fatto che tutti parlano di te, ultimamente.
Tua madre è molto preoccupata, sai? Ti sta cercando dappertutto...”
Persefone avvertì una stretta al cuore. Il volto le si rabbuiò.
La sua interlocutrice le prese il
viso tra le mani. “Oh, dolcezza, non fare così. Adesso che
so dove sei finita, Demetra sarà qui in un lampo!”
Persefone sgranò gli occhi. Non poteva crederci! Qualcuno nell'Oltretomba era disposto ad aiutarla?
“Davvero?” chiese speranzosa.
“Ma certo! Una notizia del
genere va diffusa. A proposito, non mi sono presentata, che sciocca.
Eris, dea della discordia e del caos.” disse stringendole la
mano. “Probabilmente non mi hai mai vista prima, vero?”
aggiunse lasciandosi sfuggire una risatina.
“No, mai. A parte ieri, mentre parlavi con Ade.” rispose Persefone.
“Ah, non sono l'unica a cui
piace origliare le conversazioni altrui.” osservò
allegramente Eris prendendola sotto braccio. “Suppongo che tu non
sia qui di tua volontà, giusto?” le domandò
iniziando a camminare lungo il corridoio.
“No, Ade mi ha rapita.” rispose Persefone, imbarazzata.
“Immaginavo.”
“Allora... Dirai davvero a mia madre che sono qui?”
“Ma certo, tesoro! Oh, ma prima...” disse Eris, interrompendosi alla comparsa del dio dei morti di fronte a loro.
“Eris.” la salutò Ade, mortalmente serio. “Mi pareva di averti detto che non eri la benvenuta.”
“Ma caro,” rispose Eris
lasciando andare il braccio di Persefone, “non potevo stare
lontana. Sai bene che il caos mi chiama a sé, e questo posto ne
è saturo.”
Ade si infiammò, digrignando i denti.
“E comunque mi ritengo
offesa. Se avevi tanta voglia di prendere moglie, mi sarei offerta
volontaria senza esitare.” aggiunse Eris avvicinandoglisi, per
nulla intimorita dall'espressione di puro odio dipinta sul volto del
dio.
Persefone osservava la scena a
bocca aperta. Era sinceramente colpita dal modo in cui quella strana
dea sapeva tener testa ad Ade.
I due si fissarono in cagnesco per
alcuni momenti. Ade pareva sul punto di esplodere. Poi, Eris
spalancò un paio di ali cremisi, che fino ad allora erano
rimaste piegate, mimetizzate con il lungo vestito che indossava.
“Mi rincresce dover andare, ma ho dei pettegolezzi da
diffondere.” disse subito prima di spiccare il volo.
A quel punto, una colonna di fuoco si levò dal corpo del dio dei morti, e con essa un urlo carico d'ira.
Persefone si coprì il volto con le braccia, scioccata dal tremendo calore di quelle fiamme.
Fortunatamente, la rabbia di Ade durò poco. Il dio si spense all'improvviso, tornando del solito colore grigio fumo.
Dopo aver preso un paio di respiri profondi, si volse in direzione di Persefone. La sua espressione era incredibilmente calma.
“Credi di aver trovato
un'amichetta, riccioli d'oro?” le chiese andandole vicino.
“Beh, lascia che ti dia un consiglio. Non fidarti mai, mai, mai
di ciò che ti dice Eris, perché, e so che questo ti
lascerà a bocca aperta, ma devi credermi...” disse
abbassandosi tanto che i loro visi quasi si toccavano, “lei è molto, molto peggio di me.” sussurrò infine.
***
Zeus era preoccupato. Aveva
riflettuto intensamente sulla profezia – o per meglio dire, sullo
stralcio di profezia – che Hermes gli aveva riferito poche
settimane prima, e non era ancora giunto a capo di nulla.
Aveva persino chiesto aiuto ad Atena, la più intelligente tra tutti loro, ma nemmeno lei era riuscita a capire molto.
Il guaio era che le Parche non ripetevano mai una seconda volta le proprie profezie.
Zeus sbadigliò, esausto. Tutto quel lambiccarsi il cervello non faceva per lui.
Sapeva che l'unico modo per venire a conoscenza dell'intera profezia era chiedere direttamente ad Ade.
Tuttavia, non voleva ammettere a se stesso di avere bisogno dell'aiuto del fratello.
Avrebbe preferito di gran lunga
fare finta che Ade non esistesse, almeno per i seguenti trecento anni o
giù di lì.
“Mio Signore.” esordì Hermes.
Zeus lo guardò, stupito. “Non ti avevo sentito arrivare, Hermes.” disse, ancora sovrappensiero.
Hermes si schiarì la voce. “Abbiamo un problema.”
“Non avete ancora trovato la ragazza?” chiese Zeus corrugando la fronte.
“Beh, no. Sembra davvero
sparita nel nulla. E Demetra non fa altro che cercare, giorno e notte.
A quanto so, a quest'ora è in Asia. Pare che sia intenzionata a
girare tutto il mondo.”
Zeus sgranò gli occhi. “E nessuno sa niente?”
Hermes sospirò. “Non sembrerebbe. Ma non è questo il problema più grande...”
“E qual è?”
“Beh, sono i raccolti. Le... piante coltivate... stanno iniziando ad appassire.” disse Hermes, titubante.
“Che cosa?!”
tuonò Zeus, alzandosi in piedi. “Come può Demetra
comportarsi in questo modo?!” esclamò, sconvolto dalla
notizia. “Di questo passo ci sarà una carestia!”
Hermes annuì. “Cosa dobbiamo fare?” chiese, più a se stesso che a Zeus.
Il padre degli dèi prese a
camminare avanti e indietro, in preda alla rabbia. “Questa
situazione deve finire subito. Chiama a raccolta tutti e di' loro di
impegnarsi attivamente nella ricerca di Kore. Tu, invece, va' da
Demetra e cerca di farla ragionare.”
Hermes si dileguò in un
attimo, veloce come il vento. Se davvero Demetra era in Asia, avrebbe
dovuto fare un bel po' di strada per raggiungerla.
***
Quando Ade e Persefone giunsero presso lo Stige, trovarono Pena e Panico ad attenderli.
I due demonietti erano ormai
perennemente stanziati di guardia al fiume infernale, che ormai non
ricordava neanche vagamente un vortice. Le anime si muovevano in tutte
le direzioni, ingarbugliate e accatastate, una marea in subbuglio che
minacciava di esplodere da un momento all'altro.
Nessuna delle due divinità
disse nulla. Se anche avessero voluto parlarsi, il rumore infernale
prodotto dalle anime ribelli avrebbe coperto le loro voci.
Persefone era atterrita da quello
spettacolo orribile. Non credeva potesse esistere un luogo tanto
spaventoso. Il pensiero di dover regnare su un posto simile le faceva
venire la nausea.
Tirò un sospiro di sollievo quando si allontanarono.
Quasi le dispiaceva per i due diavoletti al servizio di Ade. Quasi.
Ade non aveva aperto bocca dal suo scoppio d'ira di quella mattina, ma poco le importava.
Sentiva che la libertà era
vicina: anche se lui si fosse rifiutato di restituirla a sua madre allo
scadere delle quarantotto ore, qualcun altro sapeva dove era tenuta
prigioniera.
Ade le aveva intimato di non fidarsi di Eris, ma Persefone non aveva intenzione di dargli retta.
Dea del caos o meno, era stata
l'unica a mostrarsi gentile e utile nei suoi confronti. Nella posizione
in cui si trovava, era molto più di quanto avrebbe potuto
sperare.
Passando per una serie di corridoi
immersi nella penombra, arrivarono di fronte ad un cancello enorme,
dalla fattura incredibilmente complessa e intricata.
Oltre le sbarre del cancello si
apriva un baratro che a Persefone sembrò infinito. Pareva che
risucchiasse la luce e allo stesso tempo diffondesse oscurità,
come se respirasse.
Oltrepassare il cancello era
impossibile. Stranamente, non sembrava esserci alcun lucchetto, nessuna
serratura in cui infilare un'ipotetica chiave.
“Che posto è questo?” chiese Persefone, infrangendo il muro di silenzio che si era formato tra loro.
“Tartaro.” rispose Ade
appoggiando la schiena al cancello. “O meglio, la sua entrata.
Desolato, ma non posso portarti a fare un giro dentro. Sai
com'è, è uno di quei posti da cui è
particolarmente difficile uscire, una volta entrati.”
Persefone fece un passo indietro.
E così quello era l'ingresso a Tartaro, la prigione da cui era impossibile uscire.
Nonostante la sua ignoranza su
tutto ciò che non riguardasse la sua piccola isola, persino lei
aveva sentito parlare di quel luogo di punizione eterna.
Poteva solo immaginare gli esseri
che languivano nelle sue profondità, rinchiusi per sempre in un
carcere dove l'oscurità aveva una forma e una sostanza.
“Davvero pensi che mostrarmi
queste cose mi farà cambiare idea sul diventare tua
moglie?” non poté trattenersi dal chiedere.
“Tutte queste domande irritanti stanno facendo cambiare idea a me.” borbottò Ade allontanandosi dalle inferriate.
“Come, scusa?”
Ade si produsse in un sorriso forzato. “Niente, bocciolo di rosa.”
Persefone sorrise, sardonica.
“Comunque, pare che il tempo a tua disposizione stia finendo. E
io non ho cambiato idea.”
“Oh, beh,” fece Ade girandole attorno, “ho ancora un asso nella manica. Da questa parte, fiorellino.”
Persefone aggrottò le sopracciglia, domandandosi cosa mai avesse in serbo questa volta.
Scoprì poco dopo che si
trattava di un giardino. Un autentico giardino, in un angolo remoto
dell'Oltretomba; una specie di stanza segreta.
La cosa la prese del tutto alla sprovvista. Non si sarebbe mai aspettata di trovare un giardino nel regno dei morti.
Si lasciò sfuggire
un'esclamazione di gioia quando i suoi piedi toccarono la terra.
Realizzò che quello era il posto da cui Pena e Panico avevano
estratto il terriccio da mettere nei vasi.
Fece qualche passo tra gli alberi e i fiori.
La flora era di una qualità
che non aveva mai visto prima: grossi petali blu scuro incorniciavano
un piccolo pistillo grigio fumo. Anche gli steli erano grigi, dotati di
sottili spine.
Si abbassò per esaminarli
meglio. “Come possono sopravvivere senza la luce del sole?”
chiese sottovoce. “E questi alberi... Melograni?” aggiunse
alzandosi in piedi.
“Deliziosi – vuoi
assaggiare?” fece Ade strappando un melograno dall'albero
più vicino e lanciandoglielo.
Persefone lo prese al volo. Era di un rosso brillante e pareva maturo al punto giusto.
Lanciò un'occhiata confusa
in direzione del dio. Per tutta risposta, Ade ne prese un altro e lo
addentò. “E' una fortuna che ce ne siano ancora. I miei sottoposti non fanno altro che mangiarne.” disse con noncuranza.
Persefone si rigirò il melograno tra le mani.
Non aveva mangiato nulla da quando
era stata rapita. Certo, in quanto dea non ne aveva bisogno.
Però era bello mettere qualcosa sotto i denti, di tanto in tanto.
Annusò il frutto. Dal profumo, pareva davvero buono.
Gli diede un piccolo morso, preparandosi a sputare subito il boccone se qualcosa non l'avesse convinta.
Dovette ricredersi: la polpa era molto dolce, quasi troppo, e piena zeppa di semi.
Dopo un'altra esitazione, deglutì.
Lo stomaco le si gelò quando vide l'espressione di trionfo dipinta sul volto di Ade.
“Seph, ti devo
ringraziare.” esordì il dio, incinerando il frutto che
teneva in mano. “...O forse dovrei ringraziare tua madre, che non
ha mai avuto l'intelligenza necessaria per metterti in guardia su...
beh, essenzialmente su di me,
e in questo modo ti ha cresciuta ingenua e ignorante di tutto quello
che si trova al di fuori di quella patetica isoletta nell'Egeo che eri
solita chiamare casa. Il che, per una fortunata coincidenza, era
proprio ciò di cui avevo bisogno.”
“Cosa..?” chiese lei a fatica, mentre la vista le si appannava.
“Le domande possono
aspettare, fiorellino. Adesso è ora di dormire. Sogni
d'oro!” fece lui un secondo prima che l'ormai ex dea della
primavera si accasciasse a terra, svenuta.
Eris, nascosta non molto distante,
si complimentò con se stessa per aver aspettato ancora un po'
prima di diffondere la notizia.
Il caos si sarebbe diffuso comunque alla notizia del rapimento, ma alla notizia del rapimento e delle nozze tra la dea della primavera e il dio dei morti si sarebbe alzato un polverone davvero enorme.
Già si immaginava la faccia di Demetra. Esilarante.
Se non avesse serbato rancore nei
confronti di Ade, sarebbe andata a complimentarsi con lui per la sua
abilità nel raggirare la giovane dea.
Certo, lei si era dimostrata
incredibilmente stupida. Persino i sassi sapevano che mangiare i frutti
dell'Oltretomba equivaleva a legarsi per sempre ad esso.
“Che sciocchina!”
esclamò scuotendo la testa. Poi spiccò il volo, diretta
verso l'uscita dell'Oltretomba.
Sono riuscita ad aggiornare! Viva me! xD
Eeh sì, Seph è proprio scema. >.> D'altronde, anche nel mito originale non è proprio brillante. xD
Ci stiamo quasi avvicinando alla fine del primo arco della storia, che
bello! :D Ma non temete, la fine della storia è ancora parecchio
lontana. ;)
Grazie mille a tutti voi, soprattutto a chi recensisce: mi date la
carica per andare avanti a scrivere e rendete migliori le mie giornate.
A prestissimo! :*
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Capitolo 10 *** Strife and Discord ***
Strife and Discord
Strife and discord
Quella mattina vide l'Oltretomba acquietarsi e i suoi abitanti tornare di buon umore.
Pena e Panico quasi si misero a
piangere quando si resero conto che lo Stige aveva ripreso il suo lento
corso a spirale e che le anime erano state domate.
Anche Ade era di ottimo umore. Pena
avrebbe giurato di averlo sentito canticchiare, mentre inceneriva, uno
dopo l'altro, tutti i fiori che Persefone aveva fatto crescere nella
sala del trono.
“Molto meglio.” aveva decretato il dio dei morti ad operazione compiuta.
"Parrebbe, Vostra Lugubrità, che il piano sia riuscito alla perfezione.” osservò Pena ridacchiando.
Ade si sedette, portando le mani
dietro alla testa. “Ragazzi, non mi sono mai sentito
meglio.” Si accese un sigaro. “Peccato che la poligamia non
sia permessa.” aggiunse ghignando.
Panico tirò un sospiro di sollievo.
Era tornato tutto alla normalità. Perfino lui si sentiva rilassato, cosa per nulla comune.
Un urlo improvviso turbò la calma che si era venuta a creare nel regno dei morti. Panico trasalì.
“Riccioli d'oro si dev'essere svegliata.” commentò Ade tirando una boccata dal sigaro.
Rischiò di farsi andare di traverso il fumo non appena vide l'aspetto della sua novella consorte.
I capelli, da biondi che erano, le
erano diventati bianchi, e la pelle aveva acquistato un colorito viola
spento, tendente al grigio.
La cosa più sorprendente,
tuttavia, erano gli occhi, di un rosso acceso che risaltava tantissimo
sulla pelle del viso; occhi puntati su di lui e recanti
un'inconfondibile espressione di odio.
L'effetto complessivo gli risultò sorprendentemente interessante.
“CHE COSA MI HAI FATTO?!” urlò la dea avanzando verso di lui.
Ade sollevò un sopracciglio, colpito da tanto furore.
“RISPONDIMI, MALEDETTO! PERCHE' HO QUESTO ASPETTO ORRIBILE?!” lo incalzò Persefone, fermatasi di fronte al trono.
Ade le fece segno di stare zitta.
“Shh, abbassa la voce, fiorellino. C'è gente che cerca di
riposare in pace, qui.”
Persefone si sporse in avanti,
afferrandolo per il bavero. “SMETTILA CON LE TUE STUPIDE BATTUTE
E DIMMI COSA MI E' SUCCESSO!” esclamò, mentre il suo tono
di voce raggiungeva nuove vette di isteria.
Ade scoppiò a ridere. Pena e Panico osservavano la scena a bocca aperta, incerti sul da farsi.
Il dio si alzò in piedi,
tenendola per i polsi. “Ma guarda, sei davvero furiosa. Non avevo
realizzato che ci tenessi così tanto alla tua chioma dorata...
Anche se, e te lo dico con tutta la serietà di cui sono capace,
ti preferisco adesso. Voglio dire, il rosa stonava troppo con un posto
come questo, e sono certo che tu comprenda che dobbiamo mantenere una
certa immagine, se vogliamo essere presi sul serio.”
Persefone cercò di divincolarsi.
Ade mollò la presa,
compiaciuto. “Ah, quasi dimenticavo. Tieni, te la sei
guadagnata.” disse porgendole la corona che le aveva offerto
quattro giorni prima.
La dea rimase in silenzio, tremante di rabbia.
“Wow, se gli sguardi
potessero uccidere, eh Seph?” la schernì Ade, il cui
buonumore era direttamente proporzionale all'ira di Persefone.
“Comunque, come potrei
esimermi dall'immenso piacere di spiegarti una volta per tutte come
sono andate le cose?” aggiunse il dio dei morti, lanciando a
Panico la corona che Persefone si era rifiutata di prendere.
Il demonietto per poco non se la fece sfuggire dalle mani, ma riuscì ad afferrarla prima che cadesse a terra.
Ade prese a camminare intorno alla
sala, unendo la punta delle dita scheletriche. “Vedi, come forse
tu sai, il buon vecchio Sputafulmini
lassù mi ha, diciamo, preso particolarmente in antipatia.
Così, dopo essersi consultato con il resto degli snob che
disgraziatamente abitano l'Olimpo, ha deciso di rinchiudermi sottoterra
per un bel po'. Non potendo uscire dai confini del mio regno, ho dovuto
ingegnarmi parecchio per riuscire ad invitarti
quaggiù. Ecco perché ho aperto quella voragine nella
terra. I miei fedeli sudditi hanno ovviamente fatto la loro
parte.”
Fece una pausa, scrutando le
reazioni della dea, la quale aveva abbassato lo sguardo e teneva le
braccia rigide lungo i fianchi e pugni serrati.
“E qui arriva la parte
più bella. Vedi, molti dimenticano che l'espressione 'prendere
moglie' può essere interpretata in senso più che
letterale. E per la nostra legge, cosa curiosa, è lecito
considerare un rapimento come vincolante, alla condizione che la sposa
rimanga nella casa del marito per un certo periodo di tempo. Mi segui
fino a qui, o vado troppo veloce per te?”
Pena soffocò una risata. Era evidente che la dea era fuori di sé dalla rabbia.
“Tuttavia,”
continuò Ade, “siccome sono un tipo prudente, ho ritenuto
opportuno tutelarmi. E qui entra in gioco il nostro piccolo
accordo.”
“Ma io non ho mai accettato di restare qui!” protestò Persefone interrompendolo.
Ade scosse la testa. “Al
contrario, l'hai fatto. E giusto in tempo, vale a dire allo scadere
delle quarantotto ore.” Fece comparire un melograno dal nulla.
“Ricordi questo? La cosa interessante dei frutti dell'Oltretomba
è che, una volta assaggiati, si è legati in eterno
all'Oltretomba stesso. Dunque, ricapitolando: ti sei volontariamente
legata agli inferi, ovvero alla mia casa, e così facendo sei
diventata a tutti gli effetti mia moglie – ed essendo mia moglie,
ti sei legata per sempre all'Oltretomba, diventandone regina. Questo
spiega il tuo nuovo aspetto, immagino, anche se, devo ammettere, non
ero al corrente di questo curioso effetto collaterale.”
Il dio le si fermò di fronte. “Domande? Commenti?” chiese beffardo.
Persefone gli scoccò
un'occhiata piena di frustrazione. “Non può essere
vincolante, non avevo idea che mangiare il melograno mi avrebbe
costretta a restare qui per il resto della vita!”
Ade si strinse nelle spalle.
“Che tu lo sapessi o meno non ha importanza. Quello che conta
è che tu abbia mangiato il melograno.”
Persefone era senza parole.
Dopo qualche momento, gli occhi le
si riempirono di lacrime. Uscì in fretta e furia dalla stanza,
sbattendo la porta della camera da letto con gran fragore.
Ade si accomodò nuovamente
sul trono. “Ragazzi, erano mesi che non mi divertivo
così.” commentò placidamente, accendendosi un altro
sigaro.
***
“Ascolta, cara,”
esordì Hermes nel tono più rassicurante e gentile che
riuscisse a trovare, “posto che io sono, come ben sai, un
messaggero, e che ambasciator non porta pena...”
Demetra non lo degnò di uno
sguardo. Era impegnata a sorvolare il Ponto, scrutando ogni metro
quadro in cerca di un qualche segno della figlia scomparsa.
Hermes non faticava certo a starle dietro, ma avvertiva un peso sullo stomaco per nulla piacevole.
La dea sembrava completamente fuori di sé; sfiorita, per mancanza di un termine migliore.
Il messaggero degli dèi non sapeva davvero come prenderla.
Infine, si arrischiò ad usare un approccio schietto, come gli veniva più naturale.
“Cara, non puoi trascurare i tuoi doveri. Siamo in piena primavera.”
Demetra lo guardò di
sfuggita. “Non ci sarà nessuna primavera se non
riavrò indietro mia figlia.” replicò con voce roca.
“Ma tutto l'Olimpo la sta
cercando, ormai. Vedrai che la troveremo presto. Tu però devi
tornare ad occuparti dei tuoi compiti.”
Demetra, piuttosto scortesemente, gli fece segno di chiudere il becco.
In un attimo, virò verso destra e scese in picchiata verso terra.
Hermes non afferrò subito il
motivo di quell'improvvisa commozione. Poi, guardando più
attentamente, vide una figura familiare a terra, con cui Demetra si era
fermata a conversare.
Si avvicinò frettolosamente. Riconobbe subito la sua l'interlocutrice: Hecate, dea della stregoneria.
“Brutto segno...” mormorò tra sé e sé.
“Dov'è? Dimmi dov'è!” esclamò Demetra concitatamente.
Hecate, un sorriso compiaciuto
dipinto sulle labbra bluastre, rispose prontamente: “Tua figlia
Kore è tenuta prigioniera nell'Oltretomba. Da Ade.”
A queste parole, Demetra ed Hermes rimasero impietriti.
Sul volto della dea del raccolto si dipinse un'espressione a metà tra il terrore e l'odio allo stato puro.
Hermes era scioccato. “M-ma
non è possibile. Come ha potuto..? E tu come fai a saperlo,
poi?” chiese sospettosamente. Non gli era mai piaciuta Hecate;
non si fidava neanche un po'.
Hecate lo guardò come se fosse una specie di insetto fastidioso. “Ho i miei informatori.” rispose laconica.
Hermes sbuffò. “E immagino che siano degni di fiducia quanto te.”
Hecate lo ignorò,
rivolgendosi a Demetra. “Possa io svanire per sempre nel Tartaro
se ciò che ti ho detto è falso.” disse posando la
mano destra sul cuore.
“Usi sempre dei giri di parole così coloriti o siamo solo fortunati?” commentò Hermes, infastidito.
Demetra si portò una mano
tremante alla tempia. “Cosa vuole Ade da mia figlia?”
chiese in un tono che non prometteva nulla di buono.
“Non lo so.” rispose
Hecate dopo una prima esitazione. “Ma ti assicuro che è
lì che troverai tua figlia.”
Demetra annuì lentamente.
Hermes le posò una mano sulla spalla. “Sono sicuro che sta bene. Vado subito a controllare.”
“No.” fece la dea, stringendo le redini convulsamente. “No, vado io.”
Detto questo, si rialzò in volo e partì rapidamente verso ovest.
Hermes imprecò sottovoce, cosa inusuale per un dio.
“Credo che dovresti
seguirla.” suggerì Hecate guardandosi le unghie. “Ho
come l'impressione che non abbia preso bene la notizia.”
Il dio la squadrò con fare
arcigno. “Non mi convince per nulla questa cosa. Ade non
può muoversi dall'Oltretomba, come può averla rapita? E
poi... perché mai avrebbe dovuto farlo? Così non farebbe
altro che peggiorare la sua situazione. Sarà anche un farabutto,
ma non è mica stupido...” Hermes fece una pausa.
“... O almeno, non così tanto.”
“Ti ho detto che non lo so. Io sono solo una portavoce.” rispose Hecate facendo la finta tonta.
In realtà conosceva
benissimo il motivo del rapimento di Persefone: Eris l'aveva informata
di tutto, ma le aveva anche raccomandato di non dire nulla più
del necessario. “Non vogliamo certo rovinare loro la
sorpresa!”, erano state le parole della dea della discordia.
“Comunque, ora devo
lasciarti. Faresti meglio a darti una mossa anche tu.” disse
Hecate subito prima di sparire in una nuvola di fumo bluastro.
Suo malgrado, Hermes dovette ammettere a se stesso che la strega aveva ragione. Era ancora incredulo, ma non poteva permettersi di trascurare la notizia, vera o falsa che fosse.
Imprecando nuovamente, partì a sua volta verso ovest, in direzione dell'entrata dell'Oltretomba.
***
Atena si sfilò stancamente l'elmo, appoggiandolo vicino al triclinio su cui era sdraiata.
La civetta, sua fedele compagna, la guardò con curiosità, piegando leggermente la testa verso sinistra.
“Non riesco a venirne a capo.” disse Atena strofinandosi gli occhi.
La civetta ascoltava, paziente.
“Insomma, ho cercato di
schiarirmi le idee mentre facevo il giro di ricognizione...”
spiegò la dea della saggezza. “Ah, tra l'altro, nessun
segno di Kore. Mi chiedo se le due cose siano collegate. La sua
sparizione e questa profezia, intendo.” precisò.
La civetta si mosse di un passo verso destra, socchiudendo gli occhi.
Atena si portò le mani alle
tempie, massaggiandosele. “Va bene. Ragioniamo.” Si
alzò a sedere, incrociando le braccia in grembo. “La terra, il mare e il cielo, così è venuto /Devono stare uniti, o tutto è perduto.” recitò fissando un punto indefinito di fronte a sé.
“Non può essere così difficile.” disse mordicchiandosi un'unghia. “Così è venuto...
I tre regni principali, no? Il cielo, il mare, la terra... o meglio,
quello che c'è sotto.” borbottò con una smorfia di
disappunto.
“... E devono stare uniti, o
tutto è perduto. Ma ora non sono uniti, perché governati
da tre divinità. Tre fratelli, con tre regni... Perché
mai dovrebbero stare uniti? Non lo sono mai stati...”
La civetta spalancò gli occhi all'improvviso, in segno di silenzioso rimprovero.
Atena se ne accorse. Fissò
la compagna, chiedendosi dove avesse sbagliato. Poi, in un istante,
capì. “Hai ragione! Sono stati uniti. Tutto il potere era di Crono. Poi Zeus, Poseidone e Ade se lo sono spartiti. Ma questo vuol dire...”
Atena trattenne il respiro.
Afferrò il proprio elmo, se lo cacciò in testa in fretta
e furia e corse fuori dalla camera.
La civetta parve sorridere. Spiccò il volo e seguì la propria padrona nella sala del trono.
*Puf... Puf...* Eccomi! Ce l'ho fatta!
Scusate se ci ho messo più del solito ad aggiornare. T.T Sed
nuntio vobis gaudium magnum: ho finito gli esami! :D Quindi avrò
molto più tempo da dedicare a questa mia storiella e ad EFP in
generale. Evviva! xD
Spero che il ritardo non vi abbia scoraggiati e, come sempre, che il
capitolo vi sia piaciuto. Fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando!
;)
Un abbraccio a tutti.
|
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Capitolo 11 *** To the rescue ***
Cap 11
To the rescue
Sdraiata a pancia in giù, con la testa poggiata sulle braccia,
Persefone rifletteva sugli avvenimenti che le avevano recentemente
stravolto l'esistenza.
Dopo ore ed ore di pianti e
lamenti, inframmezzati da sfuriate in cui aveva maledetto praticamente
ogni cosa, persona e divinità esistente sottoterra, si era
trovata in preda ad un particolare stato d'animo, che si sarebbe potuto
definire di profonda quiete.
Forse era la stanchezza, forse la
rassegnazione che si faceva strada piano piano: qualunque cosa fosse,
le aveva fatto riacquistare una certa lucidità.
Una parte di lei non riusciva ancora a credere a ciò che era successo.
Aveva trascorso due secoli vivendo
in pace, senza mai preoccuparsi di nulla e di nessuno, senza mai
provare angoscia o tristezza. E poi, tutto ad un tratto, era arrivato
Ade e le aveva tolto la libertà, legata a quel mondo così
buio e deprimente, strappata agli affetti più cari e trasformata
in qualcosa che non avrebbe mai voluto diventare.
Si guardò le mani. Odiava il
colore che aveva acquisito la sua pelle. Non sopportava di guardarsi
allo specchio; il rosso nei suoi occhi la spaventava.
Mai aveva provato una rabbia
così intensa. Se ne avesse avuto la forza, avrebbe volentieri
scaraventato Ade nello Stige, e questa volta si sarebbe assicurata
personalmente che non ne uscisse mai più.
Ma erano solo parole, fantasie di una vendetta che non avrebbe mai avuto. Lo sapeva bene.
Era finita. Anche se sua madre
l'avesse trovata, non era sicura che sarebbe riuscita a fare qualcosa
per risolvere quella situazione da incubo.
Forse, si ritrovò a pensare,
sarebbe stato meglio se sua madre non l'avesse mai trovata, mai
più rivista: meglio così, piuttosto di scoprirla sposata
al dio dei morti.
“Accidenti, questo posto è una serra, Seph.”
Persefone sobbalzò. Si alzò di scatto in ginocchio.
Ade era poco distante da lei, in piedi.
Non l'aveva sentito entrare. “Lascia in pace le mie piante e vattene.” gli disse gelidamente.
“Oh, ma dai. Non dirmi che ce l'hai con me...”
Persefone balzò giù
dal letto ed uscì dalla stanza, chiudendosi violentemente la
porta alle spalle. Non aveva intenzione di stare al suo gioco.
Tremante di rabbia, percorse il corridoio che portava alla sala del trono.
Sbucata nell'ampio salone, si
arrestò di colpo. Ade l'aveva preceduta ed era lì ad
aspettarla, evidentemente divertito dalla situazione.
“Lasciami stare! Cosa vuoi
ancora da me, si può sapere?!” esclamò Persefone,
frustrata. “Se il tuo obiettivo era rovinarmi la vita, ci sei
riuscito in pieno!”
“Beh, mi fa piacere saperlo, fiorellino.” disse Ade sorridendo.
“Ma guardati. Disperata per
una cosa da nulla. Su col morale, avanti! Un sacco di gente vorrebbe
essere al tuo posto. Regina dell'Oltretomba. Sai, non credo di essere
mai stato più generoso nelle mie offerte. E così sei
legata a questo posto per l'eternità. Non è poi
così male! Certo, è un po' un mortorio, non c'è
tutta questa eccitazione in giro, ma tanto vivevi già da reclusa
su quell'isola deserta nell'Egeo...”
“Nysa era casa mia! Non avevi alcun diritto..!”
In quel momento, si udì un gran fragore provenire dall'Acheronte, seguito dai terribili latrati di Cerbero.
I muri della sala del trono tremarono leggermente.
“Oh, questa sarà
bella.” mormorò Ade alla vista di un affannato Hermes,
appena entrato da una delle grandi finestre circolari che davano sul
fiume dei morti.
Persefone si lasciò sfuggire
un gridolino di felicità, poi un'ondata di vergogna la travolse,
ed indietreggiò istintivamente.
Non voleva essere vista in quello stato.
“Bene, bene, chi abbiamo
qui?” lo salutò Ade, beffardo. “Complimenti, sei il
primo. Immagino che Demetra sia poco indietro.”
Hermes lo guardò a bocca
aperta. “Quindi è vero!” esclamò. “E
dov'è lei? Che ne hai fatto?” chiese subito dopo in tono
minaccioso. “Ti avverto...”
“Ma come, non riconosci più la piccola Kore?”
fece Ade, spostandosi di fianco a Persefone. “Certo, è un
po' cambiata dall'ultima volta che vi siete visti...” aggiunse
poggiandole una mano sulla spalla. “... ma penso che sia cambiata
in meglio. Voglio dire, non siamo una bella coppia?”
Persefone si nascose il viso tra le mani.
Hermes era rimasto come pietrificato.
“... Kore..?” balbettò Hermes strabuzzando gli occhi. “Ma come... Perché..?”
Persefone lo guardò tristemente. “Mi dispiace, Hermes... Non lo sapevo, non ne avevo idea...”
Il dio le si avvicinò. “Oh, Kore... Mi dispiace così tanto...” disse prendendole la mano.
“Accidenti, sei gelida!” esclamò al contatto con la sua pelle.
Persefone abbassò lo
sguardo, desolata. “Ti prego, non dirlo a mia madre.” lo
supplicò. “Non voglio darle altri dispiaceri.”
“Altri dispiaceri..? Ma cosa dici, vedrai che andrà tutto bene. Ti porto via da qui, per sempre.”
Ade si schiarì la voce. “Temo non sia possibile, purtroppo. Vedi, sfortunatamente
un contratto matrimoniale non può essere sciolto. Non uno con
tutte le carte in regola, almeno, e il nostro lo è.”
Hermes gli lanciò un'occhiataccia. “Ma cosa è successo, esattamente?” chiese sottovoce a Persefone.
La giovane dea non sembrava avere
il coraggio di guardarlo negli occhi. “Ho... ho mangiato un
frutto dell'Oltretomba.” gli sussurrò di rimando.
Hermes si sentì mancare il
fiato. “Oh, no, no, non può essere!” esclamò.
“Ma come, come hai potuto...” Si interruppe, cercando di
pensare ad una soluzione per quell'enorme pasticcio.
Come aveva fatto ad essere così ingenua? Tutti sapevano che non si doveva mangiare nulla che provenisse dall'Oltretomba!
Cercò di mantenere la mente
lucida. Sapeva di non poter risolvere da solo la questione; era ora di
andare a riferire tutto a Zeus.
Le strinse la mano fredda. “Tesoro, devo lasciarti. Ma tornerò presto, te lo prometto.”
Persefone sembrava spaventata. “Dove vai?”
“Devo andare ad avvertire
Zeus. Ti giuro che sarò di ritorno in un baleno. E riusciremo a
risolvere tutto.” Le lasciò la mano, rivolgendosi ad Ade.
“Non è finita, maledetto. Questa volta non la passerai
liscia.”
“Oh, io scommetterei di sì.” mormorò il dio dei morti mentre Hermes spiccava nuovamente il volo.
***
Pesanti nuvole scure circondavano
l'Olimpo quando Hermes vi arrivò, seguito a ruota da Demetra,
che era riuscito ad intercettare e a convincere a non inoltrarsi
nell'Oltretomba senza prima aver parlato a Zeus.
Nella sala del trono, al centro
dell'Olimpo, Zeus meditava gravemente sullo stralcio di profezia che
Atena credeva di aver risolto.
Tutto portava a credere che
c'entrasse qualcosa suo padre Crono, e il solo pensiero era sufficiente
a procurargli un'emicrania di prim'ordine.
Specialmente considerando il fatto che era stato lui stesso a sconfiggerlo e a rinchiuderlo nelle viscere della terra.
Un improvviso cicaleccio, proveniente dall'anticamera, lo destò dalle sue cupe riflessioni.
Pochi istanti più tardi, un piccolo gruppo di divinità gli si presentò di fronte.
Hermes, agitatissimo, era in testa al gruppo. Seguivano Demetra, stralunata come non l'aveva mai vista, Hera ed Hestia.
“Per il fulmine, Hermes. Che sta succedendo?” chiese Zeus alzandosi in piedi.
“Mio Signore, abbiamo trovato Kore – volevo dire, Persefone.” rispose Hermes gesticolando animatamente.
“Oh, bene. Molto bene. Ben fatto. Dov'è?” replicò il padre degli dèi.
Hermes esitò, gettando una
fuggevole occhiata a Demetra. “Beh, ecco, è... è
nell'Oltretomba, mio Signore. Con Ade, e...”
Zeus corrugò la fronte. “Con Ade? E che cosa c'è andata a fare?”
Demetra gli si piazzò
davanti, spintonando Hermes. “Non è andata da sola, l'ha
rapita! Quel mostro ha rapito mia figlia!”
Zeus guardò confusamente Demetra, poi Hera, infine Hermes. Quest'ultimo annuì tristemente.
“E' così. E non è tutto, purtroppo...” disse Hermes, preparandosi a spiegare tutto quanto.
***
Nella sala del trono era calato un silenzio di tomba.
Persefone fece un paio di respiri
profondi, ravviandosi i lunghi capelli bianchi. Nella foga di quella
mattina, non si era nemmeno ricordata di indossare la sua corona di
petali rosa.
Guardò Ade di sottecchi. Il dio sembrava perfettamente calmo, e questo la irritava alquanto.
“Come fai ad essere
così tranquillo?” sbottò infine. “Ti
processeranno, sai?” aggiunse incrociando le braccia.
Ade si sedette sul trono. “Che vuoi farci, sono abituato, ormai.” rispose noncurante.
Persefone sospirò, portandosi una mano alla fronte. Il silenzio nella stanza era davvero pesante...
Ad un tratto, si rese conto che qualcosa era cambiato.
“Perché questo silenzio?” mormorò guardandosi intorno.
Ade sollevò un sopracciglio.
“Mmh? Non pretenderai mica che ti parli in continuazione. Sarebbe
un'eterna convivenza molto difficile...”
Persefone fece una smorfia. “Non intendevo questo, genio.”
Poi le si illuminò il volto. “Lo Stige! Come mai non fa
più rumore?” disse dirigendosi di corsa verso le sponde
del fiume infernale.
“Cos... Come mi hai chiamato?” sibilò Ade, affrettandosi a seguirla.
Persefone diede uno sguardo alle acque verdi dello Stige, sorpresa.
Le anime non erano per nulla come le ricordava: parevano addormentate, cullate dalla corrente del gigantesco vortice.
“Che è successo qui?” chiese, sospettosa. “Perché adesso sono calme?”
“Oh, riccioli d'oro gioca a fare la detective.” commentò Ade, sardonico. “Che meraviglia.”
Persefone puntò le mani sui fianchi. “Non era così quando me l'hai mostrato.”
Il dio sbuffò. “E
così la anime sono un po' meno vivaci dell'altra volta. Notizia
del secolo. Aspetta che lo sappiano le Muse, ci faranno su una delle
loro canzoncine commemorative.”
Persefone ignorò l'ennesima
battuta del suo indesiderato consorte e si spinse in avanti per
osservare meglio le anime nelle vorticose acque del fiume.
Senza nemmeno rendersene conto, era rimasta affascinata dallo strano e macabro spettacolo offertole dal fiume dei morti.
Era come se qualcosa la chiamasse a
sé; se fosse stata più esperta e consapevole, si sarebbe
resa conto che ciò che provava non era altro che senso di appartenenza.
Sbatté improvvisamente le palpebre, distogliendo lo sguardo dal vortice.
Infastidita, tornò sui suoi passi, oltrepassando Ade, che era rimasto stranamente silenzioso.
“Vado in camera mia.” gli disse senza voltarsi.
“Certo. Ottima idea.” ribatté lui alle sue spalle.
Lei si irrigidì, poi si
girò verso di lui. “Solo per precisare: io ti odio. Lo
sai, vero?” sbottò guardandolo negli occhi.
Ade ricambiò il suo sguardo.
Nel suo volto si aprì un ampio ghigno. “Oggi sei particolarmente sottile, Seph. Dimmi, hai altre cruciali rivelazioni da fare e che presumi siano così importanti da potermi interessare?”
Lei gli si avvicinò.
“Solo che farò del mio meglio per renderti la vita
impossibile, d'ora in poi. E' una promessa.” gli disse
orgogliosamente.
“... Fiorellino. Mi farai morire dal ridere, prima o poi.” replicò lui dandole un buffetto sulla guancia.
Lei si scansò, gli voltò le spalle per l'ennesima volta e se ne andò con passo fiero.
Ade, rimasto solo, recuperò la sua solita espressione indifferente e vagamente annoiata.
Lanciò un rapido sguardo
allo Stige, soddisfatto di se stesso per essere riuscito ad evitare la
crisi che minacciava il suo regno.
Tornato nella sala del trono, chiamò Pena e Panico in tono tagliente.
I due demonietti accorsero di
lì a poco. Panico teneva ancora in mano la corona che sarebbe
dovuta appartenere a Persefone.
“Volevate questa, Vostra Malignità?” chiese il demonietto porgendo la corona al dio.
Ade fece una smorfia. “Puoi anche tenertela, per quanto mi riguarda.” disse in tono sprezzante.
Prese a camminare avanti e
indietro, gesticolando mentre borbottava tra sé e sé.
“Ma chi si crede di essere? Minacciarmi! Come se potesse fare
qualcosa. Come se avesse il minimo potere...”
Pena si schiarì la voce,
dondolandosi avanti e indietro sulle punte dei piedi. “... Ma non
è, uh, tecnicamente, diventata regina?” chiese in tono innocente.
“Hah! Non è altro che
una pedina nelle mie mani, regina o meno.” esclamò il dio.
“Un fastidioso compromesso in cui ho avuto la sfortuna di
incappare.” aggiunse, fermandosi di fronte ad una delle due
grandi finestre che davano sull'Acheronte.
In realtà, avvertiva
distintamente che non tutto era sotto il suo diretto controllo:
qualcosa gli sfuggiva, lo infastidiva tremendamente.
Cos'era? Si portò una mano al mento, sforzandosi di mettere a fuoco la ragione del disappunto che provava.
La verità era che avere a che fare con Persefone lo spossava.
Anche se non lo dava a vedere, lo
frustrava non essere in grado di replicare come avrebbe voluto ai suoi
arroganti commenti da ragazzina viziata.
Era come se la forzata gentilezza che aveva dimostrato nei giorni precedenti si fosse cristallizzata,
e, anche adesso che la farsa era finita e che aveva pienamente
raggiunto il suo scopo, non riusciva a trattarla come avrebbe voluto.
Qualcosa lo bloccava, gli impediva di superare una certa soglia di crudeltà nei confronti della dea.
Dal suo punto di vista, era come se
non riuscisse a fare a meno di dimostrare una certa galanteria nei
confronti di Persefone (anche se era pronto a scommettere che lei non
la pensasse affatto così).
Si passò le dita tra i capelli fiammeggianti, archiviando mentalmente la questione.
Non doveva farsi distrarre. Adesso
era di nuovo forte, aveva nuovamente un saldo controllo sul proprio
regno e sulle anime in esso custodite. E, cosa più importante,
non aveva più quell'odiosa emicrania che lo aveva perseguitato
da quando era uscito, fumante di rabbia, dal fiume dei morti.
Sì, Ade era di nuovo in forma, finalmente. E, tra non molto, sarebbe stato di nuovo libero.
Beh, l'altra volta ho aggiornato in ritardo, per cui questa volta aggiorno in anticipo! :D Spero di farvi contente. ^^
La mia beta è oppressa dagli esami, per cui il capitolo non
è stato betato. ;( Mi auguro che non ci siano strafalcioni. In
caso li notaste, mi farebbe piacere saperlo per correre ai ripari. xD
Inutile dire che, non appena sarà possibile, provvederò a
sottoporre anche questo capitolo al betaggio. ;)
Bene mie care, lasciate che vi ringrazi ancora una volta per la vostra
pazienza, per i commenti e il supporto che mi date. Tanto amore a tutte
voi. :*
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Capitolo 12 *** Guilty as charged ***
Cap. 12
Guilty as charged
Ercole controllò di aver messo nella sacca tutto il necessario per il viaggio.
Scompigliò affettuosamente la criniera di Pegaso, il quale nitrì, impaziente di partire alla volta di Olimpia.
“Arrivo subito, bello.”
lo rassicurò lui, avviandosi verso la sala da pranzo dalle
pareti finemente decorate con scene di caccia e di banchetti.
Al centro della stanza, Meg lo stava aspettando, seduta su una delle tante sedie in legno intagliato.
Quando lo vide, la giovane donna ammiccò, alzandosi in piedi.
“Oh, no, non c'è bisogno che ti alzi...” balbettò Ercole andandole incontro.
Meg gli sorrise. “Guarda che non sono mica malata.” disse mentre lui la afferrava delicatamente per la vita.
“Certo che no... Dico solo, non dovresti fare sforzi, ecco...” si giustificò lui, distogliendo lo sguardo.
Meg rise, scuotendo la testa.
“Sei carino quando sei impacciato.” mormorò prima di
scoccargli un bacio sulla guancia.
Lui le accarezzò dolcemente
il viso. “Sei sicura che non ti dispiace che me ne vada per un
paio di giorni?” le chiese guardandola negli occhi, serissimo.
“Sopravviverò.” rispose lei in tono scherzoso.
Ercole sembrava ancora poco convinto.
Meg alzò gli occhi al cielo. “Sono grande e forte, ricordi?” lo canzonò.
Lui le sorrise. “Già. Eccome se lo sei.” le sussurrò teneramente.
Si avvicinarono ulteriormente. Meg
gli passò le braccia dietro il collo, alzandosi in punta di
piedi, e posò le sue labbra su quelle dell'uomo che amava
più di ogni cosa al mondo.
“Tornerò presto.” le sussurrò lui prima di sciogliere l'abbraccio.
Meg si poggiò entrambe le mani sul ventre.
La gravidanza era ancora ai primi stadi, ma già abbastanza evidente.
Herc si abbassò, posando la
mano destra sopra a quelle della moglie. “Ciao ciao, piccolino.
Papà torna presto.”
Fece per andarsene, poi si fermò, rivolgendosi a Fil, che lo aspettava all'entrata della stanza.
“Mi raccomando, prenditi cura di lei finché sono via.” gli disse sottovoce.
Fil annuì. “Stai tranquillo, Herc. Non la perderò mai di vista.”
Meg protestò a gran voce. “Non ho bisogno di essere sorvegliata! Me la cavo benissimo anche da sola!”
Fil ridacchiò. “Adesso è meglio se vai, ragazzo. Pegaso mi sembrava irrequieto.”
Il ragazzo lo salutò ed uscì.
Meg si avvicinò al satiro,
incrociando le braccia. “Di' un po', per quanto ancora hai
intenzione di rimanere parcheggiato qui?” gli chiese in tono
fintamente seccato.
Fil le scoccò un'occhiata
sardonica. “Ehi, bellezza, io qui ci abitavo prima di te!”
esclamò. “E poi,” aggiunse indicando la lussuosa
sala da pranzo alle loro spalle, “chi me lo fa fare di tornare
alla mia vecchia baracca, quando posso usufruire dei migliori comfort
nella villa dell'eroe più famoso di tutta la Grecia?”
Meg sbuffò. “Credevo che voi satiri amaste i boschi, non le ville...”
Fil si accomodò su di un triclinio. “Sì, beh, io sono un tipo particolare.”
“Questo si era capito.” ribatté la giovane guardando fuori dall'uscio.
Pegaso spiccò il volo sotto i suoi occhi, diretto verso il tempio di Zeus ad Olimpia.
Uscita in cortile, volse il proprio sguardo verso nord.
Il monte Olimpo, sede degli dèi (e casa dei suoi suoceri), era molto distante da Tebe, e si scorgeva a malapena.
Ciò che si vedeva senza problemi, tuttavia, era l'ammasso di nubi scure che avvolgevano il monte e le terre circostanti.
Erano lì da parecchi giorni, ormai. A volte diventavano meno fitte, ma non andavano mai via del tutto.
Quello era il motivo per cui Herc aveva deciso di andare a parlare con suo padre.
Anche se lui non la dimostrava,
Megara poteva percepire la sua preoccupazione. Si augurava che
riuscisse a trovare le risposte che cercava.
***
Un gran capannello di divinità si era riunito attorno a Demetra, quella mattina.
La dea dell'agricoltura sembrava
sul punto di svenire, mezza sdraiata com'era su di un morbido triclinio
costituito interamente da soffici nuvole dorate.
Persefone, poco lontano, osservava la scena, seminascosta dietro una colonna.
Hermes era tornato a prenderla
quella notte, e la prima cosa che aveva visto, una volta sbucata fuori
dall'uscita dell'Oltretomba, era stato il timido chiarore dell'alba
portata da Eos.
Rivedere il cielo, respirare di
nuovo l'aria fresca, il profumo dei fiori baciati dal sole:
improvvisamente tutte le sue disavventure nell'Oltretomba le erano
sembrate appartenere ad un passato remoto ed indistinto, non più
in grado di sconvolgere il suo presente.
Fiduciosa come non mai, era salita fino alla sommità del Monte Olimpo, impaziente di riabbracciare sua madre.
Tuttavia, qualcosa era andato
storto. Certo, Demetra l'aveva accolta con baci, abbracci, carezze e
pianti, ma nel suo sguardo Persefone aveva scorto un'ombra, un misto di
disappunto e orrore che conosceva fin troppo bene: era la stessa
espressione che le si dipingeva sul volto ogni volta che si guardava
allo specchio.
Delusa, la giovane dea si era chiusa in un mutismo fatto di scoramento e di rancore.
Piano piano, mentre sua madre
rendeva note le sue lamentazioni all'intero Olimpo, e le altre
divinità accorrevano a consolarla, si era allontanata e aveva
finito per addossarsi ad una colonna, al margine esterno della grande
sala circolare in cui si trovavano.
Si sentiva terribilmente a disagio.
Odiava ammetterlo, ma, dopo un primo sguardo, l'Olimpo iniziava a sembrarle troppo luminoso, troppo aperto e arioso.
La cosa la faceva sentire fuori posto, messa in evidenza, quando tutto quello che voleva era starsene da sola e in pace.
Lanciò un'occhiataccia in direzione della sala del trono.
Zeus e Ade erano chiusi lì dentro da più di un'ora, a confabulare di chissà cosa.
E pensare che lei si era figurata un processo in grande stile, con tanto di giuria e testimoni..! Non vedeva l'ora di vedere il suo rapitore in catene e di conoscere la pena che gli sarebbe stata inflitta.
“Non è giusto!”
esclamò battendo con violenza il piede sul pavimento. Si sentiva
tradita, da tutto e da tutti.
***
“Ti avverto, la mia pazienza ha un limite!” tuonò Zeus rivolto al fratello.
“Ehi, ehi, rilassati, grand'uomo. Non puoi fare nulla per disfare la faccenda, quindi perché alterarsi così?” replicò Ade.
Zeus boccheggiò, cercando di trovare le parole adatte ad esprimere l'ira che sentiva dentro.
“Tu...” esordì
il padre degli dèi. “Ti rendi conto che stiamo rischiando
una carestia di proporzioni continentali? E tutto perché hai
deciso di applicare una legge vecchia di millenni, che nessuno si
sognerebbe più di adottare!”
Ade fece una smorfia. “Punto uno: nel caso di una carestia, io mi limiterei a fare il mio lavoro, al contrario di drama-queen-Demetra là fuori. Punto due: forse, una volta salito al trono, qualcuno
avrebbe dovuto impegnarsi ad abrogare un po' di leggi che non gli
andavano più a genio, invece di limitarsi a fare la bella vita
dei ricchi e famosi...”
“BASTA!” ruggì
Zeus, fulminandolo con lo sguardo. “Ne ho abbastanza di te,
Ade.” aggiunse portandosi una mano alla fronte.
“Dillo a me. Sei tu che continui a convocarmi quassù...” borbottò Ade tra sé e sé.
Zeus sospirò gravemente.
“Si può sapere perché hai deciso di prendere
moglie, così su due piedi?”
Ade alzò gli occhi al cielo.
“Che c'è, uno non può volere un po' di compagnia,
una volta tanto?” chiese fingendosi stizzito.
Zeus, suo malgrado, gli rivolse un'occhiata sorpresa. Possibile
che avesse davvero sofferto la solitudine? Certo, con un regno del
genere a cui badare, chiunque si sarebbe fatto prendere dallo
sconforto. Ma Ade? Non poteva credere che fosse capace di simili emozioni.
Il dio scosse la testa, confuso.
“Beh, compagnia o meno, resta sempre il problema di
Demetra.” sbottò, incrociando le braccia.
“Beh, in questo caso, forse dovresti parlarne a Demetra.” replicò il dio dei morti, la voce traboccante di sarcasmo.
“Oh, andiamo, Ade! Non dirmi
che hai passato secoli senza nessuno al tuo fianco e adesso non riesci
a separarti da Persefone neanche per un attimo!” esclamò
Zeus, alzando le braccia al cielo in segno di frustrazione.
Ade rimase in silenzio per qualche
istante, ponderando la faccenda. “... Si potrebbe fare un piccolo
compromesso.” azzardò infine, sfoderando uno dei suoi
migliori sorrisi.
“Un compromesso?”
“Se Demetra ci tiene
così tanto a riavere sua figlia indietro, potremmo, per
così dire, dividercela. Sei mesi ciascuno, ad esempio. Ad una
condizione, ovviamente.”
“E sarebbe..?”
Il sorriso di Ade si fece ancora più largo. “La mia libertà.”
Zeus rimase interdetto. Ade
continuò, tranquillamente, ad esporre i termini dell'accordo:
“Facciamo così. Seph, pur restando mia moglie, passa sei
mesi all'anno con la cara mammina - qui, a Nysa, dove preferisce, non
mi interessa -, a condizione che io possa di nuovo muovermi dai confini
del mio regno alla terra, senza restrizioni di alcun tipo o genere.
Scaduti i sei mesi, torna nell'Oltretomba con me, per poi tornare da
sua madre dopo altri sei mesi, e così via. Cosa ne dici?”
Zeus soppesò la cosa attentamente.
Gli sembrava un compromesso vantaggioso, persino favorevole, per uno come Ade.
D'altronde, avrebbe significato
l'annullamento della pena giustamente inflittagli, cosa che trovava
molto sconveniente, oltre che terribilmente irritante.
“E se Persefone stesse
già da adesso con Demetra? In primavera e in estate, per
esempio?” propose Zeus, ancora dubbioso.
“Certo, come vuoi.” acconsentì Ade senza battere ciglio.
Un pesante silenzio calò tra i due.
Ade fece del suo meglio per restare
impassibile, ma dentro di sé stava esultando: ce l'aveva fatta,
aveva superato anche quell'ultimo ostacolo.
E, ciliegina sulla torta, non avrebbe dovuto sorbirsi i fastidiosi atteggiamenti della novella sposina per i seguenti sei mesi.
Meglio di così non poteva andare.
Infine, come aveva previsto, Zeus
acconsentì. “Ma voglio mettere in chiaro una cosa,
fratello.” disse in tono grave.
Ade si irrigidì. Non gli piaceva che Zeus lo chiamasse fratello.
Zeus gli piazzò una mano
sulla spalla. “Questa è l'ultima goccia. La mia pazienza
si è esaurita. Ricordalo.”
Ade si liberò a fatica dalla
sua stretta. Quando voleva, anche Zeus sapeva essere minaccioso: quasi
se l'era dimenticato, dopo tutti quei secoli.
“Lo appunterò sulla mia agenda.” gli rispose, ostentando una sicurezza che in quel momento non possedeva.
Zeus parve non udire quell'ultimo commento.
Ade gli voltò le spalle, cercando di guadagnare l'uscita.
“Un'ultima cosa. Cosa sai della profezia?” chiese infine il padre degli dèi.
Ade si sentì gelare. Come faceva Zeus a sapere della profezia delle Parche?
Possibile che fosse a conoscenza della vera ragione per cui aveva sposato Persefone?
“... Profezia?” sibilò il dio dei morti, voltandosi lentamente in direzione del fratello.
***
“Tesoro?” la chiamò timidamente Demetra.
Persefone, riluttante, sbucò da dietro la colonna. “Sì, mamma?”
Demetra le sorrise, titubante. “Vieni, tesoro. Non sei stanca? Andiamo in camera, così potrai riposarti.”
“... Posso stare qui ancora un po'?” chiese Persefone, guardando di sfuggita la porta della sala del trono.
Demetra rimase in silenzio per
qualche secondo, poi annuì stancamente. “Immagino di avere
bisogno anche io di un po' di riposo.” osservò mestamente.
Si avvicinò alla figlia, scoccandole un bacio sulla fronte. “Vieni quando te la senti.”
Persefone annuì.
“Grazie, mamma.” Abbassò lo sguardo. “Mi
piacerebbe tornare a Nysa il più presto possibile.”
aggiunse, abbozzando un sorriso.
Demetra, che le aveva già voltato le spalle, si fermò di botto. “Non credo sia una buona idea, Kore.”
Persefone sgranò gli occhi. “Perché no?”
Demetra sospirò. “Non
so nemmeno quanto potremo stare insieme. Voglio averti sempre vicina,
d'ora in poi. Non ti lascerò mai più da sola.”
Persefone stava per replicare, quando la porta della sala del trono si aprì.
Zeus uscì per primo, dirigendosi prontamente verso Demetra. I due cominciarono subito a confabulare.
Ade uscì qualche secondo dopo. Persefone non gli staccò gli occhi di dosso nemmeno per un istante.
Voleva che la guardasse, voleva
vedere con quale espressione, con quale stato d'animo fosse riemerso
dalla conversazione privata con Zeus...
Le sue aspettative furono deluse ancora una volta.
Ade non parve neanche rendersi conto di essere osservato. Non un cenno, non una parola.
Sparì dalla sua vista in un
attimo e lei rimase lì, immobile, ad aspettare un confronto che
non si sarebbe mai verificato.
***
“Padre, rispondimi se puoi!” esclamò Ercole rivolto alla gigantesca statua marmorea di Zeus.
Era ormai calata la notte sulla
Grecia; il giovane era giunto ad Olimpia nel tardo pomeriggio e aveva
fatto riposare Pegaso in una stalla non molto lontana dal tempio.
Dopo aver cenato, con il favore
delle tenebre, era entrato nella cella in cui era custodita la statua
di suo padre: quello era l'unico posto in cui padre e figlio potevano
comunicare, ammesso che Zeus fosse in ascolto.
Le sue speranze non furono deluse:
di lì a poco, come di consueto, una potente scarica elettrica si
abbatté con fragore sulla statua, animandola.
“Figlio mio! Cosa ti porta dal tuo vecchio?” lo accolse il vocione di Zeus, caloroso come sempre.
Il ragazzo sorrise, rinfrancato dall'affetto che il padre dimostrava nei suoi confronti.
“Ciao, papà.” lo
salutò. “Sono venuto perché... Beh, ero
preoccupato, sono giorni che l'Olimpo è avvolto da nuvole
scure... Sta succedendo qualcosa?”
Zeus corrugò la fronte.
“Abbiamo avuto qualche... inconveniente, di recente. Ma adesso
è tutto sistemato, non preoccuparti.”
Il giovane aggrottò le sopracciglia. “Che genere di inconveniente?” insistette, curioso.
Zeus fece un profondo, cavernoso
sospiro. “E' complicato, figlio mio. C'è questa profezia
che stiamo tentando di decifrare ma che non ci è ancora ben
chiara, e ci si è messo in mezzo anche Ade, e...”
“Ade?! Vuoi dire che è tornato?” esclamò lui, sconvolto dall'improvvisa notizia.
“Cosa? Oh, sì,
sì... Non te l'ho detto..?” borbottò Zeus,
sovrappensiero. “Comunque non preoccuparti, è tutto sotto
controllo.”
Ercole non sapeva che dire. Anche Pegaso sembrava scioccato: scalpitava e sbuffava piuttosto rumorosamente.
“Padre, ma come è possibile? Credevo di averlo intrappolato per sempre...” disse infine il ragazzo.
Zeus pareva distratto. “Oh, no, non basta certo lo Stige per intrappolare un dio... E poi, figlio mio, sempre è una parola piuttosto grossa.” replicò, una nota di rammarico nella voce.
Ercole scosse la testa, incredulo.
Zeus lo osservò in silenzio
per qualche istante. “Torna a casa, figliolo. E' lì che
c'è bisogno di te.” Detto ciò, si congedò
bruscamente. In un attimo, la gigantesca statua tornò immobile e
inanimata, lasciando dietro di sé solo l'eco di un poderoso
tuono.
Il giovane strinse i pugni con forza, abbassando lo sguardo.
Pegaso gli si avvicinò, strusciando affettuosamente il muso sul suo braccio destro.
Il ragazzo lo guardò, facendo un mezzo sorriso. “Papà ha ragione, Pegaso. Andiamo a casa.”
Le parole gli morirono in gola quando un pensiero gli si fece prepotentemente strada nella mente.
Impallidì. “Meg.”
mormorò, un secondo prima di salire in groppa a
Pegaso.
Ed eccoci qui, ragazze. Con questo capitolo si conclude il primo arco
della storia: il prossimo capitolo sarà una specie di "capitolo
bonus" per evidenziare lo stacco tra il primo e il secondo arco. Questo
casca giusto a fagiolo, perché a metà luglio parto per il
mare e non avrò internet a disposizione (vado in campeggio,
è già tanto se avrò l'acqua corrente e il gas xD).
Prevedo quindi che uno stacco, materialmente, ci sarà anche
nelle tempistiche di pubblicazione. Mi dispiace un sacco, ma vi
prometto che farò del mio meglio per prendermi avanti con la
scrittura dei prossimi capitoli. :3
Dedico questo capitolo a Estatemeravigliosa, con
l'augurio di buone vacanze. A voialtre lettrici farò un
ringraziamento a parte nel prossimo capitolo, altrimenti le note autore
diventano più lunghe del capitolo. xD
Spero, come sempre, di
avervi intrattenuto. Personalmente non mi pare che questo sia uno dei
capitoli migliori che io abbia scritto... :S Sapete dove andare a
lamentarvi, in caso. :P
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Capitolo 13 *** Old Friends ***
Cap 13. Old Friends
Old Friends
Meg passeggiava lungo il bordo esterno dell'elegante fontana in marmo,
godendosi il fresco venticello che spirava da ovest.
Il sole stava ormai
tramontando, tingendo le nuvole e il cielo di un affascinante color
porpora.
Si trovava spesso a
passeggiare in quel giardino, quando era sola e pensierosa.
Fil non si era
dimostrato molto d'accordo, ma alla fine aveva ceduto.
Non che un divieto di
Fil potesse
fermarla, ma non aveva voglia di litigare. Il che era una cosa
piuttosto nuova, per lei... Ma si stava abituando; piano piano, un
passo alla volta, si stava abituando ad essere felice.
Eppure, quella sera si
sentiva malinconica.
Faticava ad ammettere
a se stessa che era l'assenza di Herc a farla sentire un po'
giù.
Non voleva essere quel
tipo di ragazza, quella che non riesce a stare un attimo senza il
proprio uomo. Non di nuovo.
Scosse la testa,
sedendosi sul bordo della fontana.
C'era ricascata. In
pieno.
Ma questa volta,
questa volta era diverso.
Questa volta aveva lui.
Accarezzò
il pancione appena pronunciato. Presto sarebbero stati in tre.
Una famiglia: mai
avrebbe sperato di poterne avere una. Una vita normale, dopo tutto
quello che aveva passato...
Meg, la crocerossina. Sempre
pronta a sacrificarsi per gli altri., la
sbeffeggiò una voce che conosceva fin troppo bene, ma che
sapeva esistere, ormai, solo nella sua testa.
Si strinse nello
scialle blu che aveva indossato prima di uscire. Di colpo si era alzato
un vento freddo.
Non doveva pensarci.
Ormai quel capitolo della sua vita si era chiuso. Per sempre.
La vecchia Meg era
morta, e la nuova Meg era nata quando Ercole l'aveva riportata in vita.
Lui l'aveva salvata,
le aveva dato amore e felicità.
Non l'avrebbe mai
lasciata.
Continuava a
ripeterselo, quando era in quel particolare stato d'animo. Un mantra,
una preghiera, un incantesimo. Non
mi lascerà mai.
Perché lo
amava. Con tutta
sé stessa. E avrebbe sacrificato tutto ciò che
aveva per
lui, perché lei amava così, in modo pazzo e
sconsiderato.
Non era cambiata per
niente. Non aveva imparato la lezione, nonostante tutto.
Meg, la crocerossina.
Fece per alzarsi, ma
qualcosa la bloccò.
Un brivido gelido
lungo la spina dorsale: una sensazione terribilmente familiare.
Si guardò
intorno nervosamente. Era sola, nel giardino; quel giardino, lo
stesso giardino in cui aveva capito per la prima volta di essersi
innamorata di lui.
Il sole era quasi
sparito dietro l'orizzonte e le ombre iniziavano ad allungarsi.
Fece una smorfia: si
era fatta suggestionare dalle sue vecchie paure.
Si alzò in
piedi. Era ora di
tornare a casa, o Fil si sarebbe preoccupato e gliene avrebbe dette
quattro, come il suo solito.
“Chi non
muore si rivede, eh Meg?”
Il suo cuore
saltò un battito. Si girò di scatto, sgranando
gli occhi.
“...tu..!”
Non poteva essere. Non
era possibile che fosse lui.
Eppure i suoi occhi
non le stavano mentendo.
Era Ade, non c'era
alcun dubbio.
Si era quasi
dimenticata di quanto il suo aspetto fosse minaccioso.
Alto e imponente, la
pelle cinerea, i freddi occhi gialli, le zanne appuntite che mostrava
ogni volta che sorrideva...
Arretrò di
un passo. “Non può essere vero...”
mormorò.
“Ma come, ti
sembra questo il
modo di salutare un vecchio amico?” le fece lui, scomparendo
e
ricomparendo di fianco a lei in uno sbuffo di fumo grigio.
Aveva sempre odiato
quel suo modo di fare.
“Che cosa
vuoi?”
chiese, accigliata, rendendosi conto che era bastato un attimo per far
tornare in vita la vecchia Meg, quella che credeva fosse morta per
sempre.
“Beh, mi
stavo godendo la mia
ritrovata libertà, e mi sono detto, ehi, perché
non
andare a vedere come se la cava la mia Megadorata?”
“Non sono
più tua.
Il contratto è nullo.” gli rinfacciò
lei rabbiosamente.
Ade le diede un
buffetto sulla guancia. “Certo, certo. Com'è il
detto..? Finché
morte non ci separi? Ovviamente, non avevo previsto che Megafusto
sarebbe tornato indietro a tirarti fuori dallo Stige. Io non sono stato
altrettanto fortunato, ma ehi!, in qualche modo ne sono uscito anche
io.”
“Un vero
peccato.” commentò Meg, incapace di trattenere un
sorriso sardonico.
Ade sorrise.
“Sapevo di esserti mancato.”
Meg gli
voltò le spalle.
“Certo, mi mancava da morire reclutare mostri per
te.”
disse, allontanandosi di qualche passo.
“Ah, ma
quello era solo
lavoro.” replicò lui. “Però,
ci siamo
divertiti, insieme.” aggiunse poi, in tono nostalgico.
Meg gli
lanciò un'occhiata obliqua. “Come hai fatto a
trovarmi?” chiese, sviando il discorso.
Ade
sogghignò. “Ti conosco.” rispose.
Iniziò a
girarle intorno, facendola innervosire.
“Sei un po'
ingrassata,
tesoro. Attenta, il tuo uomo potrebbe farsi distrarre da altre
bamboline. Non sarebbe la prima volta...” le
sussurrò,
viscido come un serpente.
Meg fece del suo
meglio per non farsi raggiungere dal veleno di quelle parole, che
troppe volte l'avevano abbindolata.
Lasciò
vagare lo sguardo tra
i cespugli profumati. “Ovviamente non capisci.”
mormorò, posando le mani sul proprio ventre.
Sorrise. Era la
verità: come poteva, il dio dei morti, capire cosa
significava avere una vita dentro di sé?
Non aveva
più potere su di
lei, ormai l'aveva capito. Era tornato indietro solo per ferirla, per
dimostrarle che era ancora capace di dominare le sue emozioni e la sua
volontà.
Non ci sarebbe
riuscito.
Si voltò,
pronta ad affrontarlo, ma lui non c'era più.
Si guardò
intorno. Era di nuovo sola.
L'aria le parve subito
più tiepida.
Rimase immobile per
qualche minuto, chiedendosi se davvero non si fosse trattato solo di
un'allucinazione.
O forse... Forse Ade
aveva capito. Forse aveva capito qualcosa della nuova Meg, e la cosa
non gli era piaciuta.
Forse.
Ciao
a tutti. :) Spero che questo breve capitolo di passaggio vi sia
piaciuto. Come già accennato, tra pochi giorni
andrò in
vacanza e smetterò di aggiornare per un po'. Niente panico,
però! xD Al massimo tornerò a settembre,
probabilmente
prima.
Ci tengo a ringraziare un po' di persone.
Innanzitutto ringrazio Alyara94,
Amento, Aniron,
Dark_Chocolate,
DeaPotteriana,
FloxWeasley,
GaaRamaru,
GingerTrickster,
Glycca, Julia98_8, kagura, Luce Lawliet, mintheart,
MrsBlack4, MrsSnape, MUSICAL, myforbiddenalterego,
NicotrisAmaltea,
SenzaNome, StarFighter, TheHeartIsALonelyHunter,
TokorothX3, Triz,
valepassion95,
Valpur e __aris__, che
seguono la storia.
Un grazie particolarmente sentito a AmoTVD98, chichi77,
Ginevra Gwen White,
Gravirei, Hirae, MorwenFuinur, Sakura ciliegina,
SenzaNome e TokorothX3, che
hanno messo la storia tra le Preferite.
TokorothX3
merita anche un ringraziamento speciale per aver voluto
condividere SIH nel
forum Disney
Magic World.
Infine, mille abbracci a Churippu, FloxWeasley,
kiaky98, TheHeartIsALonelyHunter,
Sakura ciliegina,
Amento, Alyara94,
__aris__, Snake_Cobubra, MUSICAL, Ginevra Gwen White, Aniron,
TooSixy, Triz e MrsSnape, che hanno
recensito la storia.
Non
avete idea di quanto mi faccia felice sapere che la mia storiella piace
a così tanta gente. Sì, perché voi
siete tanti:
molti, molti di più di quanto mi sarei mai aspettata,
soprattutto considerando le modeste dimensioni del fandom. E vi
ringrazio di cuore, dal primo all'ultimo, per il supporto che mi avete
dimostrato in questi mesi. Prometto che riprenderò in mano Springtime in Hades non
appena sarò tornata dalle vacanze: non sono mai stata
più determinata a finire una storia in vita mia.
Un
abbraccio immenso,
blackmiranda
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Capitolo 14 *** [Arc II] Ticking clock ***
14.
Ticking clock
La sabbia dorata scorreva lungo lo stretto collo della clessidra, lenta e inesorabile, granello dopo granello.
Persefone aveva imparato che il
tempo scorre anche per chi è immortale, e che, cosa più
importante, non è mai possibile recuperarlo, una volta perduto.
Sospirò. Non erano stati sei
mesi facili, e l'autunno era ormai alle porte, cosa che la faceva
sentire sempre un po' depressa.
Sua madre si era trasformata in una
specie di carceriera. Non la lasciava sola un attimo; solo le
sporadiche riunioni con gli altri dèi, a cui la madre era
costretta a partecipare, fornivano alla giovane dea un po' di respiro.
Durante quegli intervalli di tempo
– sempre troppo brevi, ma cercava di accontentarsi – poteva
finalmente rilassarsi: chiacchierare animatamente con le
divinità minori che frequentavano l'Olimpo, talvolta addirittura
azzardarsi a scendere sulla Terra, con l'aiuto di Helios o Cupido.
Con suo sommo stupore, i suoi amici
non l'avevano ostracizzata per il suo nuovo aspetto o per il suo ruolo
di regina dell'Oltretomba: dopo un iniziale momento di imbarazzo, tutto
era tornato come prima, o almeno così sembrava.
La verità era che provava, contemporaneamente, un'immensa noia e una consumante inquietudine.
Non aveva idea di come fosse
possibile, ma quelle erano le parole migliori che aveva trovato per
descrivere ciò che provava, da sei mesi a quella parte.
Morale della favola, non era riuscita a godersi i sei mesi che aveva potuto -dovuto?- passare sull'Olimpo.
Ovviamente, la colpa era solo sua. Ed era da lui che sarebbe dovuta tornare, il giorno seguente.
Non l'aveva più visto, da
quando era tornata sull'Olimpo. Sapeva che ogni tanto ci era salito
anche lui (a cosa fare, non ne aveva idea), ma non l'aveva mai
incrociato.
D'altronde, perché avrebbe
dovuto vederlo? Non voleva vederlo. L'avrebbe visto a sufficienza
durante i sei mesi seguenti.
Sentì qualcuno avvicinarsi.
Alzò gli occhi al cielo, pensando fosse Demetra.
“Già finita la riunione?” chiese.
Cupido le si sedette accanto, sorridente. “Non mi pare.” rispose.
Persefone rise. “Oh, scusa, credevo fosse mia madre.”
Cupido annuì. “L'avevo intuito. Sempre di malumore?”
Lei sbuffò. “Non puoi
capire quanto. Ogni volta che mi vede è sul punto di scoppiare
in lacrime.” Si abbracciò le ginocchia, abbassando lo
sguardo. “Dopo un po' mi dà anche fastidio. Insomma, non
è lei a doversi seppellire sottoterra per sei mesi all'anno...
Insieme a quel -” Si interruppe, deglutendo. “Ma adesso la
smetto di lamentarmi. Non faccio altro, ormai.” disse,
sforzandosi di sorridere.
Cupido la guardò, pensoso.
“Che c'è?” gli chiese lei.
“Devo dirti una cosa, ma so
che ti farò arrabbiare. Per cui, non so se dirtela o
meno.” rispose Cupido, giocherellando con una delle frecce che
teneva sempre nella faretra.
Persefone rimase interdetta per
qualche momento. “Beh, prometto che cercherò di non
arrabbiarmi.” fece infine. “Però vacci piano con
quella cosa, non credo che Psiche sarebbe molto felice se mi
innamorassi di te.” aggiunse, indicando la freccia.
Lui parve non sentirla.
“E'... complicato, ma potrebbe essere tutto molto più
semplice, sai?” mormorò, continuando a rigirarsi la
freccia tra le dita.
“Che cosa è complicato?” chiese lei, aggrottando la sopracciglia.
Cupido fissò i suoi occhi
viola ametista in quelli rossi di lei. “E' solo che trovo molto
triste il fatto che tu non possa mai sapere cosa si prova quando si
è innamorati di qualcuno. Insomma, tu e lui...
E così, stavo pensando... Basta che tu me lo chieda, e in un
attimo sarebbe tutto diverso. Basterebbero un paio di frecce.”
Persefone rimase senza fiato.
“Cosa... come puoi anche solo pensare che vorrei una cosa
simile?!” esclamò, indignata.
“Ecco, lo sapevo che ti saresti arrabbiata...”
“Certo che mi arrabbio!” Si alzò in piedi. “Non è così semplice!”
“Potrebbe esserlo.” replicò Cupido senza scomporsi.
Persefone si portò una mano
alla fronte. “No. Io lo odio. Credevo di essere stata chiara,
sono sei mesi che lo ripeto!”
Cupido si alzò a sua volta.
“Non farò niente che tu non voglia, perché sei mia
amica. Però mi dispiace per te. Ti stai complicando la vita, e
questo problema non si può risolvere in nessun'altra
maniera.”
Persefone non sapeva cosa rispondere. Si limitò a fissare l'amico a bocca aperta.
“Pensaci.” le intimò lui prima di volare via.
Abbassò lo sguardo, sforzandosi di considerare la cosa da un punto di vista razionale.
Concordava con Cupido sul fatto che
non ci fosse altra via d'uscita; ma il prezzo da pagare era troppo.
Meglio vivere con il problema, piuttosto che accettarne la soluzione.
Voltò le spalle alla
clessidra dorata. Non voleva riflettere sul tempo che passava; non
voleva pensare che l'indomani mattina non avrebbe visto sorgere il
sole, intrappolata nel freddo sottosuolo.
Prese a camminare, in preda ad
un'agitazione che le chiudeva la gola. Senza rendersene conto,
raggiunse il punto più alto della dorata residenza sulle nuvole.
Guardò in basso. Dal punto
in cui si trovava, riusciva a vedere tutto l'Olimpo. Con una punta di
fastidio, vide che gli dèi stavano uscendo dalla Sala delle
riunioni.
Si appiattì istintivamente dietro una colonna. Non voleva che sua madre la vedesse; non subito.
Purtroppo per lei, in mezzo a tutte
quelle divinità dai colori accesi e vivaci, i suoi colori spenti
non la aiutavano a passare inosservata.
Con la coda dell'occhio, vide che qualcuno le era appena comparso di fianco.
“Buongiorno.” le fece una luminosa Afrodite.
Persefone provò a sorridere, ma le riuscì solo una smorfia poco convinta.
“Ti andrebbe di fare quattro chiacchiere?” le chiese la dea dell'amore in uno sfarfallio di ciglia.
“Riguardo a cosa?” replicò lei, sospettosa.
“Oh, nulla di importante.
Quattro chiacchiere, tanto per passare il tempo. Ho chiesto a tua madre
e mi ha detto che le andava bene.”
Persefone distolse lo sguardo. “... Va bene.” disse infine, sospirando appena.
Senza lasciarsi influenzare
dall'apparente apatia della giovane dea, Afrodite la prese per mano,
trascinandola nelle sue stanze e facendola accomodare su un grazioso
divanetto.
“Dunque, dunque...”
borbottò la dea, squadrandola con sguardo critico.
“Secondo me c'è bisogno di lavorare sulla tua
acconciatura.” disse, prendendo in mano una ciocca bianca e
ondulata.
Persefone arrossì. Odiava il colore dei suoi capelli.
“Non avevi una corona, una
volta? Sai, quella specie di corolla rosa..?” si informò
Afrodite, impegnata a frugare tra i molteplici prodotti di bellezza che
possedeva.
“Ehm... Sì, una volta.”
Afrodite annuì. “A mio
modesto parere, c'è bisogno di qualcosa che ti incornici di
più il viso. I capelli sciolti, così, ti appiattiscono.
Non va bene. Per niente.” dichiarò, armata di pettine.
“Ma non preoccuparti, adesso risolviamo tutto.”
***
“Caro, non penso che sia un'idea saggia.” protestò Hera, poggiando una mano sul braccio di Zeus.
Il dio le prese il viso tra le
mani. “So che sei preoccupata, ma è l'unico modo per
scoprire contro cosa andremo a misurarci.”
Hera scosse piano la testa. “Potreste rimanere intrappolati laggiù per sempre.” disse, con voce spezzata.
“No, non succederà. Fidati di me.”
“Non è di te che non mi fido.” sussurrò lei.
Zeus le sorrise. “Lo so. Ma
questa volta non ha altra scelta se non quella di collaborare. Lui
è tanto in pericolo quanto lo siamo noi.”
Hera lo guardò negli occhi. “State attenti.”
***
Afrodite la guardò, soddisfatta. “Molto meglio. Non trovi?” disse porgendole uno specchio.
Persefone osservò la propria
immagine riflessa. La dea le aveva acconciato i capelli in modo che
formassero una vera e propria cornice attorno al suo viso rotondo.
Sulla nuca, un fermaglio grigio ferro assicurava la folta chioma,
impedendo che ciuffi ribelli le cadessero sul viso, dandole fastidio.
Doveva ammettere che aveva fatto un ottimo lavoro. Stava molto meglio rispetto a prima.
“Grazie... Non dovevi.” balbettò, imbarazzata.
“Certo che dovevo!”
esclamò Afrodite, ridendo. “E' il mio lavoro. E poi, eri
così giù di morale... Non c'è niente di meglio di
un bel makeover per tornare di buon umore!”
Persefone abbozzò un sorriso. “Forse hai ragione.”
“Certo che ho ragione!”
convenne la dea dell'amore, sedendosi vicino a lei. “Allora...
Domani è il gran giorno, mi hanno detto.”
“Già.” rispose seccamente Persefone.
“Hmm.” fece Afrodite.
“Sai, Ade ha sempre avuto un debole per me. Non è l'unico,
ovviamente... ma la cosa mi ha sempre un po' sorpresa.”
Persefone la guardò, confusa. “In che senso?”
Afrodite si alzò in piedi di
scatto. “Oh, quasi dimenticavo. Ho una cosina per te.”
esclamò, evitando la domanda.
Le porse un portagioie rosa, dalla
serratura a forma di cuore. “Un regalino da parte mia.”
Aperta la scatolina, ne tirò fuori una boccetta di profumo, che
provvide a spruzzarle addosso senza esitazione.
Persefone, colta di sorpresa,
tossicchiò. Il profumo aveva una dolce fragranza di rosa appena
sbocciata, con un retrogusto che al momento non riusciva ad
identificare.
“Buono, no? Ne vado molto fiera, è una delle mie migliori creazioni.”
“Sei troppo gentile...” disse Persefone, imbarazzata.
“Sciocchezze.” la
liquidò Afrodite. “Bene, qui abbiamo finito. Buona
fortuna, cara.” aggiunse poi, mettendole in mano il portagioie.
Persefone si alzò in piedi. “Ti ringrazio.” Uscì dalla stanza, la fronte corrugata.
Non riusciva a spiegarsi
l'improvviso interesse della dea nei suoi confronti. Non ricordava
nemmeno l'ultima volta che si erano parlate.
Scosse la testa. Forse avrebbe
dovuto farsi meno domande e accettare semplicemente le stranezze che,
da un po' di tempo a quella parte, le si presentavano di fronte.
Guardò il cielo, di un blu
così profondo da risultare quasi accecante. Realizzò che
le sarebbe mancato. Dolorosamente, tristemente mancato.
“Oh, tesoro.” Demetra
le si avvicinò. Aveva gli occhi umidi. “Sei
bellissima.” le disse, abbracciandola.
Persefone, dopo un attimo di incertezza, ricambiò l'abbraccio, socchiudendo gli occhi.
“Mamma... mi mancherai tanto.” confessò con voce strozzata.
“Anche tu, piccola mia. Anche tu.”
***
La notte era ormai calata sulla
Grecia, portando con sé il frinire dei grilli nei campi e il
pacato chiarore delle stelle nel cielo. Non che facesse tutta questa
differenza, nell'Oltretomba: che fosse mezzanotte o mezzogiorno,
lì sotto era sempre il buio a farla da padrone.
Nonostante fosse di nuovo libero di
muoversi sopra la superficie terrestre, quella notte Ade aveva
preferito restare nel suo ambiente. Seduto sul trono, si rigirava tra
le dita scheletriche una grande chiave biancastra, di un materiale che
era quasi certo fosse osso, probabilmente un tempo appartenente a
qualche Titano.
Non l'avrebbe mai ammesso a voce alta, ma era preoccupato. Sinceramente preoccupato.
Non lo sopportava, quel senso di impotenza.
Aveva ingenuamente ignorato la
seconda parte della profezia, concentrandosi ossessivamente sulla
prima. In quel momento, se ne pentiva amaramente.
Osservò la chiave, scettico.
Si augurava che, oltre ad aprire le porte del Tartaro, avrebbe permesso
loro di uscirne, una volta completata la missione.
Un sorriso storto si aprì
sul suo volto cinereo. Sarebbe stato davvero esilarante, se fosse
rimasto intrappolato nel Tartaro insieme alle due divinità che
detestava di più nell'intero cosmo. Da morire dal ridere.
Oh, salve a tutti! ;) Ci si rivede! xD
Coraggio, dovete ammettere che sono stata brava ad aggiornare quasi in
orario. E sì, questo capitolo è di passaggio. No, non
preoccupatevi, non ce ne saranno altri, almeno per un po' (muahahaha).
Nel prossimo capitolo i due piccioncini torneranno
ad interagire... E finalmente la trama subirà un'accelerata
notevole. E' iniziato il secondo arco della storia! :D
Grazie a tutti coloro che hanno letto. Alla prossima! ;)
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Capitolo 15 *** Underground breakfast ***
Cap. 15
Underground breakfast
Quando Ade sbucò dall'entrata dell'Oltretomba, era ancora buio.
Il Grifone nero in testa al suo carro annusò l'aria, apparentemente compiaciuto di trovarsi in superficie.
Il dio gli lanciò un'occhiata scettica. Non condivideva per nulla lo stato d'animo della creatura.
Con un gesto imperioso quanto
stizzito, lo spronò ad alzarsi in volo, cosa che questi fece
prontamente, sollevando un gran polverone.
Più si avvicinavano
all'Olimpo, più l'umore di Ade peggiorava. Non ne poteva
più, di quel posto; e pensare che meno di un anno prima aveva
tentato in tutti i modi di conquistarlo!
Certo, il pacchetto era all-inclusive: con l'Olimpo erano compresi un sacco di bonus aggiuntivi, primo fra tutti il potere supremo sull'intero cosmo.
Digrignò i denti al pensiero
che il detentore di quell'immenso potere altri non era che
quell'imbecille tutto muscoli di Zeus.
La cosa lo disgustava. Eppure
eccolo lì, sottomesso al volere del fratello, uniformatosi,
infine, al resto dell'Universo e dei suoi abitanti.
Per non parlare dell'altro
suo fratello: Poseidone. Non ricordava l'ultima volta che si erano
parlati. Conosceva perfettamente i sentimenti che il sovrano dei mari
provava nei suoi confronti; inutile dire che li ricambiava amabilmente.
Ma il meglio doveva ancora venire.
Perché, se c'era una cosa che odiava più delle altre,
erano proprio le riunioni di famiglia.
D'altronde, come biasimarlo? Tra i
fratelli che lo detestavano, la novella sposa irritante fino
all'esasperazione e la suocera che, ne era sicuro, se ne avesse avuto
la possibilità l'avrebbe reso concime per le sue amate piante...
In verità, era stanco. Non
si era mai sentito tanto stanco in vita sua. Certo, il rapimento di
Persefone l'aveva divertito molto, ma era stato mesi prima. Aveva
bisogno di una nuova distrazione.
Aveva passato gli ultimi sei mesi a
partecipare a tediose riunioni sull'Olimpo, che puntualmente
risultavano in un nulla di fatto, per poi sbollire la sua rabbia
nell'Oltretomba, sfogando la propria frustrazione sulle anime
dell'Acheronte e, occasionalmente, sui suoi fedeli tirapiedi.
Il Grifone atterrò pesantemente sul circolo più esterno di nuvole azzurrine.
Suo malgrado, Ade non poté trattenere un ghigno.
Eccole lì, madre e figlia, una di fianco all'altra, entrambe a capo velato.
“Che atmosfera funerea.” commentò il dio, senza scomodarsi a scendere dal carro.
“Taci, serpente.” sibilò Demetra in tutta risposta.
“Oh, suvvia, non possiamo sforzarci di andare tutti d'accordo?” fece lui in tono fintamente dispiaciuto.
“Lascialo perdere, mamma.” intervenne Persefone, posandole una mano sul braccio.
Demetra parve mordersi la lingua.
La giovane dea la guardò,
sorridendo tristemente. Dopo un momento di incertezza, le due si
scambiarono un lungo abbraccio, al quale seguirono un paio di
singhiozzi soffocati.
Ade alzò gli occhi al cielo.
“Sì, è tutto molto commovente, ma possiamo darci
una mossa, fiorellino? Ho un po' di impegni, oggi.”
Persefone sembrò irrigidirsi tra le braccia della madre.
Sciolto l'abbraccio, Demetra
lanciò ad Ade un'ultima, terribile occhiata di fuoco. “Se
ti azzardi a toccarla, te la dovrai vedere con me.”
dichiarò, glaciale.
Il dio non rispose. Demetra
sarà anche stata una dea dall'aspetto innocuo, rotonda e
paffutella com'era, ma in quel momento era decisamente minacciosa.
Qualcosa gli diceva che avrebbe fatto meglio a tenere la bocca chiusa. Si limitò ad accennare un inchino beffardo.
Persefone salì sul carro, titubante, senza lasciare la mano della madre. Il Grifone sbuffò, come infastidito da qualcosa, facendo sobbalzare la giovane dea.
Ade fu improvvisamente travolto da una nuvola di profumo dolciastro. Interdetto, si rese conto che era Persefone la fonte di quell'odore insopportabilmente dolce e lezioso.
Fantastico, pensò torvo schioccando le redini. Aveva trovato un altro modo per risultargli fastidiosa.
Il lugubre carro nero si levò nuovamente in volo, costringendo Persefone a lasciar andare la mano di Demetra.
***
Il viaggio non durò molto. Come previsto, sarebbero arrivati a destinazione prima dell'alba.
Persefone non faceva altro che
guardarsi attorno, nel frenetico desiderio di imprimersi bene nella
mente ogni stella, ogni montagna, ogni collina.
Aveva ardentemente sperato che il
proprio odio per Ade l'avrebbe sostenuta, impedendole di lasciarsi
andare allo sconforto, ma la cosa pareva non funzionare come aveva
auspicato.
Non si erano rivolti neanche uno
sguardo. Non che la cosa le dispiacesse... Anche se, forse, avrebbe
preferito una di quelle sue battute idiote al silenzio assoluto. Almeno
le avrebbe dato uno stimolo per reagire.
Lo guardò con la coda dell'occhio. Era, se possibile, ancora più massiccio di come lo ricordava. Guidava
il carro volante con decisione e, apparentemente, senza sforzo alcuno.
Eppure, le sembrò di scorgere un'ombra di stanchezza sul suo
volto lungo ed emaciato.
Le occhiaie scure sembravano più profonde del solito e le guance più incavate.
Si ritrovò a chiedersi cosa
fosse andato a fare sull'Olimpo tutti quei mesi. Sua madre si era
rifiutata di parlare del contenuto di quelle frequenti riunioni, alle
quali – sapeva - aveva partecipato anche lui.
Scosse la testa, come a voler
scacciare quei pensieri inutili. Perché si soffermava a
ragionare su di lui? Non aveva niente di meglio a cui pensare? Certo,
era difficile ignorarlo, dato che la vettura su cui si trovavano era, a
quanto pareva, monoposto...
L'ennesima ondata di panico le attraversò lo stomaco. Chiuse gli occhi, cercando di darsi un contegno.
“Per la barba di Tifone,
Seph! Cosa ti sei messa addosso?” sbottò Ade di punto in
bianco, facendo una brusca virata.
La dea lo guardò, stupita. “Come?”
“Insomma, ci hai fatto il
bagno dentro?” chiese lui, una smorfia poco lusinghiera dipinta
sul volto. “Cos'è, hai trovato la ricetta della
leziosità liquida?”
La dea sollevò un
sopracciglio. “Oh, non ti piace il mio profumo? Me l'ha regalato
Afrodite.” rispose, accennando un sorrisetto.
“Sì, beh, mi congratulo. Un'idea geniale.” commentò Ade, sardonico.
“E' un peccato che non ti
piaccia, perché ne ho una boccetta piena.” replicò
Persefone mentre il suo sorriso si allargava: infastidire il dio dei morti era un ottimo antidepressivo.
Ade le lanciò un'occhiata
poco raccomandabile. “Non credere che ti lascerò ammorbare
il mio regno con fiori, profumi e amenità simili. Mettiamo le
cose in chiaro, riccioli d'oro: io sono il sovrano dell'Oltretomba. Stabilisco io le regole -”
“Ed io cosa sarei, scusa?” lo interruppe lei, incrociando le braccia.
“... Tu,
mia cara, sei, diciamo, un corpo ausiliario. Ecco, magari, in mia
assenza - posto che Pena e Panico siano momentaneamente
incapacitati...”
Persefone sbuffò. “Mi
rifiuto di essere subordinata ai tuoi tirapiedi. No, io sono regina
tanto quanto tu sei re, caro mio. Per come la vedo io, metà
dell'Oltretomba -”
Ade scoppiò a ridere. “Metà? Oh, no, no. Vedi, le cose funzionano così: io sono l'unico sovrano, come è sempre stato. Tu, fiorellino, puoi renderti utile in altri modi.”
“E quali sarebbero?” domandò lei, iniziando a sentirsi insultata.
“Oh, sono sicuro che Pena e Panico avranno qualche mansione da rifilar...
affidarti, se ci tieni tanto.” sogghignò lui mentre il
carro spariva dentro la spaccatura nella roccia che portava agli inferi.
Persefone lo fulminò con lo
sguardo. “Non ci sperare. Non mi abbasserò mai a
tanto!” dichiarò altezzosamente. Le sue parole
riecheggiarono nella cavernosa anticamera dell'Oltretomba.
“Come vuoi, riccioli d'oro.” la liquidò Ade mentre atterravano sulla brulla riva dell'Acheronte.
Caronte, riconosciuto il proprio
padrone, si avvicinò lentamente al piccolo molo, pronto a
trasportare le due divinità sulla barca di legno scuro.
Scesero dal carro, che sparì in una nuvola di fumo nero, Grifone compreso.
Persefone incrociò le
braccia al petto, torva. Suo malgrado, era offesa a morte dalle
insinuazioni di Ade. Non poteva sopportare l'idea di essere sottomessa,
figuriamoci poi ad un marito così odioso.
Inoltre, non voleva accettare un
ruolo così insignificante e subalterno. Era la Regina
dell'Oltretomba, per Zeus! Volente o nolente, lo era diventata. Doveva
pur significare qualcosa!
“Ehm, Seph? A meno che tu non
voglia rimanere lì impalata a presidiare il molo, ti consiglio
di salire.” le fece il dio in tono beffardo, già a bordo
dell'imbarcazione.
Non gli rispose, anche se dentro ribolliva di rabbia.
Riluttante, salì a sua volta
sulla piccola barca, aggrappandosi al bordo laterale. Ade se ne stava
in piedi, appoggiato alla prua, e le voltava le spalle.
Proseguirono, seguendo il lento corso del fiume infernale.
Le anime dei morti si destavano dalla loro apatia al passaggio della barca di Caronte, salutandoli con lugubri lamenti.
Persefone distolse lo sguardo,
scostandosi dal bordo dell'imbarcazione. Provava allo stesso tempo
disgusto e compassione per quei poveri disgraziati.
Giunti presso la grande scala che
conduceva alla parte più interna dell'Oltretomba, trovarono Pena
e Panico ad attenderli. I due demonietti sembravano irrequieti. Sorrisero ossequiosamente al loro padrone.
“Bentornato, Vostra Lugubrità!” esclamò Panico, torcendosi le mani.
Persefone scese dalla barca, aggiustandosi il chitone bianco.
“Ragazzi, preparate la tavola. Abbiamo ospiti.” ordinò Ade mentre saliva velocemente i gradini.
Pena e Panico annuirono, dissolvendosi nel nulla con un piccolo pof.
“Io non mangio.” lo informò lei, salendo svogliatamente le scale.
“Hai imparato la lezione?” la schernì Ade senza girarsi a guardarla.
Nella sala del trono era apparso un lungo tavolo rettangolare, apparecchiato di tutto punto, con tanto di candele al centro.
Ade si sfregò le mani,
compiaciuto. “Ah, così mi piace.” disse, accendendo
le candele con uno schiocco di dita.
“Pena! Panico!” chiamò poi, accomodandosi mollemente a capotavola.
I due diavoletti accorsero, portando con sé un paio di grandi vassoi d'argento.
Persefone osservò, disgustata, mentre venivano serviti una decina di piatti dal contenuto alquanto discutibile.
“Sicura di non volerti unire
a noi, Seph?” la apostrofò il dio, intento a servirsi da
un vassoio colmo di viscidi vermi.
La dea distolse lo sguardo, portandosi una mano alla bocca. “Che schifo.” mormorò appoggiandosi al bordo del tavolo.
“Deliziosi.” decretò Ade a bocca piena.
Persefone si allontanò dal tavolo, oltrepassando velocemente il proprio consorte.
“Ehi, aspetta un attimo, fiorellino. Dove corri?” le fece lui, voltandosi a guardarla.
“In camera mia.” rispose lei senza fermarsi.
“Ehi, ehi, andiamo. Uno cerca di essere gentile...” la blandì lui, materializzandosi di fronte a lei.
“Gentile? Hai una strana concezione della gentilezza, lasciatelo dire.” replicò lei, le mani sui fianchi.
Ade le sorrise, mellifluo. “Non eri tu quella che si considerava Regina dell'Oltretomba, pari a me in tutto?”
Persefone corrugò la fronte. “E questo cosa c'entra?”
Ade le posò una mano sulla
spalla, facendole fare un giro di centottanta gradi. “Vedi quel
tavolo? Ci sono due sedie. Ora, una è per me, come avrai
certamente capito dal fatto che mi ci ero seduto. L'altra, quella al
lato opposto del tavolo, è per te. Sempre che tu ti comporti da
regina e non da ragazzina isterica in preda agli ormoni
adolescenziali.” le spiegò in tono cattedratico.
La dea gli lanciò
un'occhiata sorpresa. Dove voleva andare a parare? Non riusciva a
credere che avesse organizzato quel banchetto per lei.
“... E chi ti dice che io
abbia voglia di passare del tempo con te? Dopo quello che mi hai
fatto?” gli chiese, la voce piena di risentimento.
Ade le passò un dito sotto
il mento. “Mia cara, dovremo prima o poi sotterrare l'ascia di
guerra. O preferisci passare il resto dell'eternità a
battibeccare? Prima di arrivare a quella fase del matrimonio, credevo
ci avremmo messo almeno un paio di secoli...”
Persefone si lasciò condurre al suo posto, indecisa sul da farsi.
Il dio la fece accomodare.
“Ecco. Non è poi così male, no?” le
soffiò all'orecchio subito prima di tornare a sedersi di fronte
a lei.
Lei lo squadrò, perplessa. Le era parso di avvertire una nota di dolcezza, nella sua voce, e questo la confondeva alquanto.
“Sappi che non ci casco.” gli disse, cercando di mantenere un tono di voce sicuro.
“Non capisco di cosa parli.” replicò lui, svuotando in un sol colpo un bicchiere colmo di ambrosia.
Persefone prese in mano il grande calice d'argento che aveva di fronte. Lo esaminò, scettica: era
un oggetto finemente decorato, dovette riconoscere, anche se il
soggetto della decorazione non era esattamente nelle sue corde: una
fila di scheletri danzanti, racchiusi in quelli che sembravano artigli
affilati.
Rimase a fissare il liquido dorato al suo interno: sembrava proprio ambrosia.
Titubante, ne prese un sorso.
***
Ade sorrise, compiaciuto. Tutto sommato, avere Persefone nel proprio regno non era così male.
Certo, era irritante –
cercò di tenerlo presente, mentre la osservava di sottecchi
spiluccare una o due bacche di Belladonna – ma era comunque una
dea... Oltre che sua moglie, dettaglio molto importante.
Forse, si disse mentre addentava un'ala di pipistrello fritta, forse la sua vita aveva bisogno di una ventata d'aria fresca.
Forse era rimasto solo per troppo tempo. Un po' di compagnia non poteva certo fargli male, no?
Insomma, la presenza femminile che più gli era stata vicina – e vicina, per uno come lui, era un'iperbole, a dir poco -, in tutti quei secoli, era stata Meg.
Certo, aveva avuto un paio di flirt con Eris, a suo tempo, ma Meg... Era tutta un'altra cosa.
Un'altra cosa che gli era stata portata via da Megafesso. Oh, la lista era lunga.
Improvvisamente, con fragore di
tuono, una potente scarica elettrica si abbatté con forza sul
pavimento della sala, interrompendo bruscamente il filo dei suoi
pensieri.
Dalla luce accecante emerse l'imponente figura di Zeus.
Persefone, nel vederlo, scattò in piedi, evidentemente imbarazzata.
Ade le lanciò
un'occhiataccia, prima di rivolgere le sue attenzioni al dio del
fulmine. “Siamo mattinieri, vedo. Impaziente di scendere nel
Tartaro?” gli fece in tono mellifluo, non accennando minimamente
a volersi alzare dalla sedia.
Persefone sgranò gli occhi. “Nel... Tartaro?” bisbigliò, scioccata.
Salve salvino!
xD Accidenti, era ora che aggiornassi. ^^'' Purtroppo ho ricominciato a
studiare per un esame di settembre (letteratura greca, manco a farlo
apposta) e quindi tempo e voglia di scrivere scarseggiano... Tuttavia,
farò come al solito del mio meglio per andare al passo col
programma.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto... Ho piantato un bel po' di
semi per futuri sviluppi della trama. :) In fondo capita anche ai
cattivi di innamorarsi, no? :P
Un saluto e un grazie di cuore a catherineheatcliff, Dark_Sorrow, MrsBlack4 e x_LucyW, che hanno di recente aggiunto la storia tra le seguite, e a KiriaL e Margherita Dolcevita, che l'hanno aggiunta alle preferite.
Al prossimo capitolo! ;)
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Capitolo 16 *** Home alone ***
Cap. 16
Home alone
Pena e Panico osservavano a debita distanza il gruppo di dèi che si erano radunati di fronte ai cancelli del Tartaro.
Zeus spiccava tra tutti,
ovviamente, per maestosità e possanza, ma anche Poseidone,
sbucato poco prima dalle acque del fiume Cocito, non passava di certo
inosservato.
“Vogliamo procedere?” domandò il dio dei mari, impaziente.
Ade sollevò un sopracciglio.
“Se sei così desideroso di scendere a salutare il caro
paparino, perché intanto non ci precedi?”
Poseidone emise un basso suono
gutturale simile ad un ringhio. “Considerati fortunato di non
essere lì a fargli compagnia.” replicò in tono
minaccioso, stringendo la presa sul tridente.
“Ahem!” si schiarì la voce Persefone, facendosi avanti.
I tre si girarono a guardarla, perplessi.
La dea incrociò le braccia
al petto. “Scusate se mi intrometto, ma... che accidenti sta
succedendo? Perché dovete scendere lì sotto, e,
soprattutto, io che dovrei fare?”
Zeus e Poseidone si scambiarono
un'occhiata confusa, non sapendo bene cosa rispondere, poi volsero la
loro attenzione ad Ade. “Non gliel'hai detto?” gli chiese
Zeus.
Ade fece una smorfia. “Era nella mia lista delle cose da fare.”
Poseidone ridacchiò. “Bel matrimonio...” mormorò grattandosi la barba verde acqua.
Il dio dei morti finse di non aver
sentito: guardò di sottecchi prima Zeus, poi Persefone, infine
si produsse in un sorriso accattivante, prese per mano la moglie e la
trascinò poco distante.
Zeus corrugò la fronte.
Ancora non capiva per quale motivo il fratello avesse deciso di
sposarla: non gli sembrava che ci tenesse a lei, e men che meno che ne
fosse innamorato. In effetti, dubitava che Ade fosse in grado di
provare un sentimento come l'amore.
In ogni caso, si disse, avrebbe
fatto del suo meglio per assicurarsi che la giovane dea fosse trattata
con tutti i riguardi possibili.
“E mollami!”
sibilò Persefone, irritata. “Che cos'è questa
storia, si può sapere?” aggiunse lanciando un'occhiata
truce al consorte.
“Quante storie, Seph. Pensavo
che ti avrebbe fatto piacere se me ne fossi andato per un po'.”
rispose Ade senza staccare gli occhi dal fratello minore.
La dea alzò le braccia al
cielo. “Non ci posso credere! Mi trascini quaggiù in
fretta e furia per poi neanche... Insomma, quando pensavi di dirmelo?!
E, tra parentesi, di quanto tempo stiamo parlando?”
domandò con una punta di preoccupazione nella voce.
Ade si strinse nelle spalle.
“Tre, quattro giorni. Dipende.” Sogghignò.
“Non dirmi che senti già la mia mancanza...”
In tutta risposta, Persefone gli voltò le spalle, producendosi in un lamento estremamente infastidito.
Il dio alzò gli occhi al
cielo. Non aveva certo tempo da perdere a battibeccare con lei.
Sgusciò fuori dalla sua portata, abbrancando Pena e Panico prima
che potessero fare altrettanto.
“Voi due,” sibilò, portandoli alla propria altezza, “assicuratevi che Miss Spocchia non combini disastri mentre sono via. Intesi?”
I demonietti si scambiarono un'occhiata dubbiosa. “C-cosa intende per disastri, Vostra Malignità?” balbettò Panico sorridendo nervosamente.
“Hmm.” fece lui,
fingendo di rifletterci su. “Facciamo così: non voglio che
faccia niente, che tocchi niente, che vada da nessuna parte. Abbastanza
chiaro, il concetto?”
Panico deglutì, annuendo.
“Bene.” disse Ade, mollando la presa. I due caddero a terra, rimbalzando sul pavimento grigio e freddo con un sordo boink.
Senza ulteriori indugi, il dio dei morti fece comparire dal nulla la
chiave dei cancelli di Tartaro e si portò vicino all'entrata
dell'abisso. "O la va o la spacca." mormorò socchiudendo gli
occhi.
Persefone, suo malgrado, non poté fare a meno di allungare il collo per vedere meglio cosa sarebbe successo.
Gli enormi cancelli sembrarono
piegarsi, come se una qualche forza invisibile li stesse martellando.
Al centro, dove a rigor di logica avrebbe dovuto esserci la serratura,
si formò allora un piccolo foro, che prese a girare e ad
allargarsi quasi spasmodicamente, mentre rumori a dir poco inquietanti
si facevano strada attraverso l'apertura.
La dea avvertì i capelli
drizzarsi sulla nuca quando un vento glaciale iniziò a soffiare
nel corridoio cieco in cui si trovavano. Il foro era diventato grande
abbastanza affinché un uomo adulto riuscisse a passarvi
attraverso; tutto attorno ad esso, le inferriate dei cancelli erano
drammaticamente distorte, quasi in procinto di fondere. Poi, tutt'a un
tratto, le tre divinità furono risucchiate all'interno,
scomparendo istantaneamente alla vista in un fragore che ricordava il
mare in tempesta e il fulmine che sia abbatte rabbiosamente sulla terra.
Persefone sgranò gli occhi
mentre il buco nero si richiudeva e le inferriate si raddrizzavano in
un clangore di ferro battuto. Tartaro era di nuovo chiuso e
inaccessibile; con un piccolo tuffo al cuore, la dea si augurò
che andasse tutto liscio. Non che fosse preoccupata per Ade, anzi; ma
non ci si vedeva proprio, nei panni di unica amministratrice del regno
dei morti.
“Vorrei tanto sapere cosa ci
sono andati a fare, là sotto.” brontolò
riavviandosi i lunghi capelli bianchi. Il suo sguardo vagò fino
ad incontrare quello dei due demonietti. “Voi ne sapete
qualcosa?” chiese in tono inquisitorio.
“Oh, crediamo siano andati a
parlare con -” La risposta di Pena fu interrotta da Panico, che
gli si piazzò davanti in fretta e furia. “No! No, non ne
sappiamo niente, sfortunatamente.” intervenne, girandosi poi a
borbottare con il compagno.
Persefone sollevò un
sopracciglio. Sorridendo furbescamente, prese a camminare in tondo.
“So di aver sentito Ade menzionare suo padre, che se non erro era
il Titano di nome Crono.” disse, cercando di suonare il
più innocente possibile.
“Mmh, sì,
chissà...” balbettò Panico, lo sguardo che saettava
da una parte all'altra del corridoio, quasi a cercare una via di fuga.
Lei sbuffò. “Mi annoio
di già. Cosa c'è da fare di un minimo divertente, qui
nell'Oltretomba?” chiese, incamminandosi pigramente verso la sala
del trono.
I due diavoletti si affrettarono a
seguirla. “Oh, niente, proprio niente! E' un vero e proprio
mortorio!” esclamò Panico, ridacchiando nervosamente. Pena
annuì vigorosamente, reggendogli il gioco.
“Sapete, avete ragione, questo posto E'
un mortorio! Certo, si potrebbe migliorarlo un po'. Ad esempio, due
belle ghirlande di fiori variopinti proprio sopra al trono, o
all'entrata dello Stige...”
Pena e Panico si guardarono l'un l'altro, un'espressione di puro terrore dipinta sul volto.
“Immagino che Ade non
reagirebbe molto bene alla cosa, o sbaglio?” continuò la
dea, iniziando a far germogliare un rampicante nella propria mano.
“Un po' di edera, magari, o delle rose...” Si
arrestò, divertita, osservando la reazione dei due piccoli
demoni.
“S-sono sicuro che se la prenderebbe anche con te.” tentò Panico, sudando freddo.
Persefone si strinse nelle spalle.
“Più odioso di così non può diventare, per
quanto mi riguarda. Inoltre, sono certa che anche solo vedere la sua
reazione quando avrò finito il restyling di questo posto mi darà una grande, enorme
soddisfazione.” Si avvicinò di un passo al trono e vi
poggiò una mano sopra. “Che ne dite, giallo o rosa, quale
dei due colori odierebbe di più?”
Panico tirò un grido atroce,
come se fosse già in grado di avvertire il ringhio furioso del
padrone sul collo. “E va bene, va bene! Ti dirò tutto
quello che so! Abbi pietà!”
Pena deglutì rumorosamente.
“Ade non sarà contento...” mormorò,
guardandosi attorno per assicurarsi che il dio non fosse
improvvisamente tornato per arrostirli tutti quanti.
“Dunque,” esordì
la dea, incrociando le braccia al petto, “con chi sono andati a
parlare, giù nel Tartaro?” chiese, sorridendo soddisfatta.
“C-con Crono.” ammise Panico sospirando.
“Aha! Lo sapevo!”
esultò lei battendo le mani. “Uhm, ok. E perché mai
dovrebbero volergli parlare?”
“Per via della profezia... Un
gran male sta per abbattersi sull'Olimpo, a quanto sembra... Giuro che
di più non so!” balbettò il demone gesticolando
freneticamente.
“Quale profezia? Di cosa stai
parlando?” lo incalzò Persefone sgranando gli occhi. Era
completamente all'oscuro di tutto, e la cosa le dava non poco fastidio.
Ecco spiegate le frequenti riunioni che avevano tenuto sua madre
così impegnata nei mesi precedenti.
“Ugh... Le Parche hanno
profetizzato che... una minaccia si sta avvicinando, qualcosa che
c'entra con Ade e i suoi fratelli... Capita spesso, che passino di qui
a profetizzare...”
La dea rimase in silenzio a
riflettere per un po' di tempo. Si appollaiò su uno dei
braccioli di pietra del trono, cosa che fece quasi venire un colpo al
demone verdognolo. “Quindi,” disse infine, “Zeus,
Poseidone e Ade sono scesi a parlare con Crono per cercare di saperne
di più su questa fantomatica minaccia?”
I due annuirono. “Possiamo andare, adesso?” chiese Panico in tono supplichevole.
“No.” disse lei,
gelida. “Ho ancora una domanda da farvi, e vi conviene rispondere
sinceramente.” Prese un respiro profondo. “Come ha fatto
Ade a venire a sapere di me?
Insomma, perché ha deciso di rapirmi e di sposarmi? Mi sembra
abbastanza ovvio che la mia presenza lo infastidisca, e non ha mai
mostrato interesse... ugh... nei miei confronti.”
Pena ridacchiò. “Questo è perché gli serviva una divinità ctonia, tutto qui.”
La dea corrugò la fronte. “Come, prego?”
Il diavoletto annuì,
atteggiandosi da saputello. “E' così: gli serviva una
divinità dalla natura compatibile con la sua, ha preso una lista
e ha scelto te perché eri la più facile da rapire.”
Persefone rimase a bocca aperta:
non se lo sarebbe mai aspettato, nonostante tutto. “Quindi... Io
non gli interesso? Non gli piaccio?” chiese con un filo di voce,
mentre constatava, suo malgrado, di stare provando una cocente
delusione.
Panico si schiarì la voce. “Ehem... Questo non lo sappiamo... Potrebbe essere che...”
“Aspetta un secondo,”
fece lei, interrompendo i balbettii del tirapiedi, “e allora io a
cosa gli servo, in quanto divinità ctonia? Perché tutto questo casino, se alla fine non gli piaccio neanche?”
Panico sospirò.
“Quando è uscito dallo Stige, i suoi poteri erano
diminuiti parecchio, perciò le Parche gli hanno consigliato di
sposarsi, in modo da riacquistare il controllo completo sul suo
regno.”
“Perciò, in poche
parole... io gli servo perché senza di me non riuscirebbe a
governare l'Oltretomba?!” esclamò Persefone,
improvvisamente euforica.
“Oddei, lo sapevo che non
avrei dovuto dirlo! Ade mi ucciderà davvero, stavolta!”
piagnucolò Panico iniziando a mangiarsi le unghie.
“Io... credo di dover restare
da sola per un po'.” sussurrò la dea, balzando giù
dal trono e dirigendosi velocemente verso la sua stanza.
Pena la osservò sparire nel
corridoio buio. “E io che pensavo avremmo avuto vita facile, con
lei... è carogna quasi quanto Ade!”
Panico gli saltò alla gola. “Siamo morti!
Non c'è la minima possibilità che lui non lo venga a
sapere, non appena sarà uscito da lì sotto!”
esclamò con voce stridula.
“Rilassati!” replicò Pena, scrollandosi il compagno di dosso. “Intanto bisogna vedere se ne uscirà. E poi, non ci aveva mica detto che non voleva che lei venisse a sapere certe cose.”
“Ooh, lo sai benissimo che era implicito! Testa di rapa! E' tutta colpa tua!”
“Colpa mia? Ma se sei stato tu a raccontarle tutto per filo e per segno!”
I due battibeccarono per un bel
po', mentre Persefone, non vista, sgattaiolava fuori dalla sua stanza e
si avventurava alla ricerca del giardino dove crescevano i melograni.
La sua camera era troppo buia e triste e le aveva trasmesso una
sensazione di soffocamento che non era riuscita a sopportare per
più di qualche minuto.
Si era sentita un po' in colpa per
aver ricattato in quel modo i due diavoletti, ma d'altra parte ne aveva
piene le tasche di essere trattata da vittima inconsapevole di quello
che succedeva intorno a lei. Voleva capirci qualcosa, finalmente:
voleva essere padrona del proprio destino, per quanto fosse possibile
nelle condizioni in cui si trovava. Improvvisamente, tutto quadrava: il
comportamento di Ade nei suoi confronti, il suo cambiamento di aspetto,
la connessione che in qualche modo aveva avvertito con il regno dei
morti quando si era sporta ad osservare le anime nello Stige. Era davvero la regina di quel posto, non una bella statuina messa lì per chissà quale capriccio.
La delusione che aveva provato
quando aveva saputo di non piacere al dio dei morti si era ben presto
mutata in sollievo: di certo era positivo che un pazzoide come lui non
si fosse innamorato di lei. Si lasciò sfuggire una risatina e
prese a volteggiare su se stessa in preda ad una strana allegria, che
mai avrebbe sognato di poter provare in un luogo del genere.
Improvvisamente, senza bene sapere
come, si trovò ad un bivio. Non ricordava di aver incontrato un
bivio quando Ade l'aveva portata nel giardino dei melograni.
Guardò alle proprie spalle: il corridoio che aveva appena
attraversato era identico a tutti gli altri, e si snodava nella
penombra fino ad essere inghiottito dalle tenebre.
Tornò a volgere la propria
attenzione al bivio: le due strade sembravano perfettamente speculari,
ma, a guardare meglio, una era un po' più illuminata rispetto
all'altra; addirittura, le parve di scorgere una flebile luce alla fine
del sentiero meglio illuminato. Dopo un attimo di esitazione, decise di
buttarsi e seguire la luce, che splendeva nel buio come una stella
lontana.
***
Eris si stava tranquillamente
beando della sofferenza e della distruzione presenti in un campo di
battaglia in Asia Minore: centinaia di corpi mutilati e ormai freddi
erano sparsi disordinatamente in tutta la piana, il cui suolo era tinto
di sangue nero. Uno stormo di corvi si era fermato a banchettare poco
distante; i secchi versi degli uccelli erano gli unici rumori che si
avvertivano in quella pianura desolata, che solo poche ore prima era
stata la silente spettatrice del clangore delle armi e delle atroci
urla dei soldati caduti.
Improvvisamente, la dea
rabbrividì, come non le era capitato di fare per secoli.
Sgranando gli occhi, alzò lo sguardo al cielo, incredula. Era
come se l'avesse appena colpita un fulmine. Si alzò in piedi e
spiccò il volo, alzandosi in aria.
“Discordia.”
Si guardò attorno, furente.
“Chi parla? Mostrati!” La voce, profonda e roboante,
sembrava provenire dall'alto, ma per quanto si sforzasse non riusciva
ad individuarne la fonte.
“Ho bisogno del tuo aiuto.” proseguì la voce, ignorando la sua richiesta.
Eris sorrise, sprezzante, ma non
ebbe il tempo di esprimere il proprio rifiuto: in quel momento,
infatti, il cielo le crollò addosso.
Zan zan zaaaan! xD
Allora, che mi dite di questo capitolo? :) Qualcuno di voi ha capito chi sarà il nostro nemico? ;)
Sono molto fiera di Seph, penso che finalmente si sia un po' svegliata fuori. ^^ Come direbbe Sakura ciliegina, ha imparato il mestiere da mafiosa. xD
Grazie a tutte, come sempre: il numero delle persone che seguono e che
mettono tra i preferiti questa storia aumenta ancora, e io sono sempre
più stupita e incredula e grata, soprattutto. :3 Un abbraccio
forte!
Btw, Cocito è uno dei cinque fiumi infernali che scorrono nell'Oltretomba: Stige, Lete, Acheronte, Cocito e Flegetonte. Sapevatelo!
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Capitolo 17 *** Elysium ***
Elysium
Persefone non riusciva a credere ai suoi occhi.
Aveva seguito la flebile luce lungo il corridoio immerso nelle tenebre fino ad arrivare a scorgere un'ampia zona ariosa; quasi una caverna sotterranea, ad eccezione del fatto che non era per niente buia, anzi: risplendeva di una luce bianca, chiaramente ultraterrena, così come ultraterrena era l'erba turchese che ricopriva il terreno.
La dea si avvicinò a bocca aperta. Quel luogo era talmente diverso dal resto dell'Oltretomba che credette di essere finita da tutt'altra parte. Anche l'atmosfera era diversa: il silenzio era pervaso da una strana vibrazione, quasi una carezza proveniente da chissà dove.
Quando i suoi piedi calpestarono l'erba l'emozione che provò fu talmente forte da farle girare la testa. Le sembrò di essere tornata a Nysa, di essere di nuovo libera; sé stessa, dopo mesi di incertezze e angoscia. Lacrime di felicità le offuscarono gli occhi: lasciò che le scivolassero sulle guance, senza tentare di ricacciarle indietro.
Non capiva da dove provenisse la luce: era tutto intorno a lei, la circondava come se la volesse abbracciare. Con la coda dell'occhio, le sembrò di distinguere delle sagome evanescenti in lontananza, ma appena cercò di concentrarsi e metterle a fuoco queste si dileguarono in uno sbuffo di fumo bianco.
Non ci fece troppo caso. Non si sentiva minacciata, né percepiva alcun tipo di ostilità in quel luogo. Si sedette per terra, accarezzando l'erba con le mani, come faceva ogni giorno quando abitava a Nysa. Non c'erano piante attorno a lei, né arbusti, né tantomeno fiori: solo una grande distesa erbosa e un cielo bianco di cui non riusciva a scorgere i limiti, cosa veramente assurda dal momento che, a rigor di logica, anche quel posto doveva trovarsi sottoterra. Provò l'improvviso desiderio di riempire quel luogo di fiori e piante, di renderlo ancora più bello, di migliorarlo e renderlo suo.
Corrugò la fronte. Ade sapeva dell'esistenza di quel posto? Perché non gliel'aveva mostrato quando le aveva fatto visitare il suo regno?
Forse non voleva che lei lo scoprisse. L'unico posto qui sotto in cui mi piace stare..! Non mi stupirei se l'avesse fatto apposta a non portarmici., pensò la dea facendo una smorfia.
Passò nuovamente la mano sull'erba azzurra, concentrandosi. I fiori erano la sua specialità, ma con un po' di buona volontà riusciva anche a far crescere gli alberi, sebbene le costasse molta più fatica.
Spinse con decisione il palmo della mano destra sul terreno, chiudendo gli occhi, ma si accorse ben presto che qualcosa non andava: la terra si rifiutava di obbedire e rispondere ai suoi ordini. Aprì gli occhi, sbigottita e anche un po' innervosita. Com'era possibile? Non aveva mai avuto difficoltà a far crescere delle piante, nemmeno nel Regno dei Morti.
Prese un respiro profondo e tentò di nuovo, e poi ancora una terza volta, senza ottenere il benché minimo risultato.
“Eppure l'erba cresce!” sbottò con frustrazione, sbattendo con forza i pugni a terra. “Perché non me ne va mai bene una?” fece in tono melodrammatico.
Fu allora che si accorse del colore che avevano assunto le proprie mani.
Un singulto le sfuggì dalle labbra mentre esaminava freneticamente il colore della propria pelle.
Era rosa. Rosa acceso, il medesimo colorito che le era stato strappato via non appena aveva mangiato il melograno.
Prese una ciocca dei suoi capelli tra le dita e la esaminò con cura: non vi era un solo capello bianco, erano tornati tutti biondi, di quel biondo del color del grano che sua madre amava così tanto.
“Cosa sta succedendo..?” sussurrò sconcertata.
***
Il passare del tempo non aveva mai avuto una grande importanza per gli esseri immortali come lui, eppure laggiù Ade poteva percepire che il tempo aveva assunto una diversa consistenza: era come se si fosse fatto più denso, più pesante, tanto che poteva quasi sentire le ore e i giorni scivolargli addosso. Non era una bella sensazione, per niente.
In tutta onestà, non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato da quando le porte del Tartaro si erano chiuse dietro di loro. Avevano iniziato a camminare nel buio e non si erano più fermati, riuscendo giusto ad illuminare fiocamente una falce di luna di fronte a loro. Persino un dio freddo e grigio come lui risultava essere più luminoso di quella prigione infernale.
Ade avanzava di fronte a Zeus e Poseidone, guidando i loro passi verso il luogo in cui Crono era tenuto prigioniero. Più di una volta gli era passata per la mente l'idea di condurli in una trappola, per poi andarsene e piantarli lì sotto per l'eternità, ma una forza sconosciuta aveva placato quei pensieri, almeno in parte, ricacciandoli in un angolo della sua mente. Qualcosa gli diceva che sarebbe stato meglio per sé se non si fosse inimicato ulteriormente i due fratelli; del resto, non era uno stupido, né si illudeva di poter fronteggiare da solo i pericoli che si sarebbero potuti presentare di lì a poco.
Ovviamente, si era chiesto innumerevoli volte, nel corso di quei mesi, chi si celasse dietro la profezia che le Parche avevano recitato. Nonostante tutto il suo arrovellarsi, però, non era riuscito a venire a capo dell'enigma, cosa che lo irritava alquanto. Sembrava davvero che tutte le domande portassero a Crono, e quindi era da lui che avevano finito per andare, dopo mesi e mesi di preparazione – perché, siamo seri, fare una capatina nel Tartaro non era mica una passeggiata. Se il caro paparino fosse risultato colpevole, sarebbero senza dubbio stati in grossi guai; non era da escludere che il titano fosse riuscito a liberarsi dalla sua prigionia durante le ferie forzate che Megafesso gli aveva fatto passare nello Stige. Un sorriso amaramente soddisfatto gli comparve sulle labbra: se quell'idiota tutto muscoli avesse realmente, anche se inavvertitamente, causato la liberazione di Crono, ci sarebbe stato da festeggiare. Al diavolo il pericolo in cui si sarebbero trovati, al diavolo la distruzione e la tortura: ne sarebbe valsa la pena, solo per potersi godere la faccia che l'eroe avrebbe fatto quando si fosse reso conto che era tutta colpa sua.
“Che hai da sorridere?” sbottò d'un tratto Poseidone, che non lo perdeva di vista un attimo.
Ade si girò a malapena a guardarlo. “Stavo facendo delle considerazioni.” rispose semplicemente. “Sai, sulla vita, l'universo e tutto quanto.” aggiunse gesticolando, senza abbandonare il sorriso aguzzo che gli si era dipinto in volto.
Vide Poseidone e Zeus scambiarsi un'occhiata fugace. Almeno non erano così stupidi da fidarsi di lui; tuttavia, doveva ammettere che avere il fiato di Poseidone sul collo iniziava a dargli parecchio fastidio.
D'un tratto, la pendenza del terreno cambiò sensibilmente sotto i loro piedi: sino ad allora avevano percorso quella che sembrava un'infinita strada in discesa, mentre da quel momento in poi parve loro di camminare in pianura.
“Uh-oh.” fece Ade guardandosi intorno nel tentativo di vedere qualcosa oltre il manto di oscurità che li avvolgeva.
“Cosa c'è?” indagò Zeus sgranando gli occhi.
“Beh, ragazzi, pare che abbiamo raggiunto il fondo, per così dire. Se non altro ci siamo avvicinati alla meta...” spiegò Ade, in atteggiamento pensoso.
“Vuol dire che siamo quasi arrivati?” chiese Poseidone.
Ade fece una smorfia. “Lo spero, non so quanto riuscirò ancora a resistere con te che mi aliti sul collo in continuazione.”
Poseidone ghignò. “Cos'è, hai paura che ti spenga i capelli..?”
“Smettetela!” tuonò Zeus in tono minaccioso. Ade non replicò, limitandosi a liquidare il tutto con un'alzata di spalle, cosa che gli costò parecchia fatica. Il dio dei mari, da parte sua, biascicò delle scuse poco convinte dirette a Zeus.
Continuarono ad avanzare per un tempo che sembrò infinito. Ade si rese conto, suo malgrado, di stare provando di nuovo la sensazione di estrema debolezza che lo aveva tormentato subito dopo essere uscito dallo Stige. Riusciva a percepire i primi segni della tanto odiata emicrania farsi strada nella sua testa; stava giusto ponderando se e quando fosse il caso di fermarsi a riposare un po', quando ad un tratto una barriera invisibile lo costrinse ad arrestarsi bruscamente.
Per poco i fratelli non gli finirono addosso. “Che succede?” fece Zeus anticipando la domanda di Poseidone (che, poteva immaginare, sarebbe stata molto più acida).
Un rombo profondo si infiltrò nelle loro viscere, facendoli gelare sul posto. Tutti e tre conoscevano fin troppo bene quel suono, che mascherava una roboante risata di scherno.
Un nuovo rombo, più forte del precedente, si abbatté su di loro, portando con sé parole in una lingua che da secoli nessuno osava pronunciare. “Ecco arrivati i figli ingrati a chiedere pietà.”
Di fronte a loro comparve una gigantesca figura, appena distinguibile dall'oscurità che la ammantava. Se Ade avesse potuto descriverla con una sola parola, avrebbe usato l'aggettivo cenciosa.
“Papà! Ti ricordavo più alto...” esordì, ostentando un coraggio che al momento gli mancava.
“Siamo venuti a cercare risposte, Crono.” interloquì Zeus in tono fiero. Di sicuro non aveva per nulla apprezzato quel “chiedere pietà”: no, Zeus era troppo orgoglioso per abbassarsi a tanto, persino all'ombra della sconfitta. Ade sentì il sangue ribollirgli nelle vene.
Dopo un momento di silenzio, il titano riprese a parlare. Nonostante tutto, le sue parole sembravano sibilanti, allo stesso tempo fragorose e taglienti come la lama di un pugnale. Ade ricordava bene quella voce, anche se erano passati secoli dall'ultima volta che l'aveva sentita. “Non potete nulla contro ciò che vi è ostile. È una forza troppo grande per voi. Chinate il capo e supplicate, così come vi si confà.”
“Wow, è stato facile...” commentò Ade alzando un sopracciglio. Non avevano neanche dovuto girarci attorno, era andato dritto al punto.
“Chi è la forza che ci è ostile? Ne sei a conoscenza?” chiese Poseidone avanzando di un passo.
Crono rise e l'intero Tartaro parve tremare da capo a piedi. “Io l'ho sempre presente, non l'ho mai dimenticato, mentre voi ci avete dimenticati qua sotto... Ma lui, lui non è possibile rinchiuderlo in nessun luogo. Lui vede tutto e sente tutto, e colpirà presto... Voi avete regnato dall'alto di un trono usurpato, come feci io... È tempo che riconsegniate quello che non è vostro al vero Signore della Terra...”
Ade non ebbe bisogno di altro per capire di chi si trattasse. “Siamo fregati.” mormorò, e se avesse potuto impallidire era certo che l'avrebbe fatto. Per un attimo barcollò, ma si ricompose subito, nonostante l'emicrania.
Poseidone gli lanciò un'occhiata obliqua, mentre Zeus parve non sentirlo. “Io sono il Signore della Terra!” tuonò, irato.
Crono rise di nuovo. Ade, stringendo i denti, si avvicinò a Zeus. “Ehi, grazie davvero, Signore della Terra – comunque, solo perché tu lo sappia, sta parlando di Urano.”
Vide i muscoli tendersi sotto la pelle dorata del dio. “Come?” chiese Zeus, quasi boccheggiando. Crono continuava a ridere fragorosamente, deliziato dalla situazione.
Ade alzò gli occhi al cielo. “URANO. U.R.A.N.O. Hai presente, il caro nonnetto..? Ha senso, in fondo, il vecchio sul giovane trionferà... Finalmente la profezia è diventata comprensibile. Oh, e – per la cronaca - siamo fregati. Meglio iniziare a fare i bagagli e cercare di squagliarcela.”
Zeus socchiuse gli occhi. “Non puoi pensare di arrenderti!” esclamò indignato.
Ade alzò un sopracciglio. “Sono realista, io. Come credi di poterlo sconfiggere? Io non so neanche che aspetto abbia, a parte blu con nuvole bianche di giorno e stellato di notte.”
“Non potete sconfiggerlo, né contrastarlo... Sarete schiacciati come formiche!”
“Ecco, appunto. Grazie per la conferma, paparino.” fece Ade rivolto alla sagoma buia, che si dissolse improvvisamente con un ultimo boato. “Anche da quaggiù, festeggerò la vostra rovina.” si congedò la voce incorporea, aleggiando attorno a loro per qualche momento.
Il dio dei morti rabbrividì. “Saremo fortunati se finiamo come lui.” mormorò cupamente.
***
Persefone incrociò le braccia al petto. “Toglietevi di mezzo.” ordinò di punto in bianco.
Pena e Panico deglutirono simultaneamente. “Ade non sarebbe contento di sapere che...” pigolò Panico.
“Non mi interessa se Ade è contento o meno! Mi ha piantata qui sotto da sola, è sparito da tre giorni e chissà quanto tempo ci metterà a tornare indietro. Voglio passare il tempo in un posto in cui mi piace stare, e l'unico posto in cui mi piace stare sono i Campi Elisi. Perciò, toglietevi di mezzo.” disse la dea fulminando i due diavoletti con lo sguardo.
Pena la guardò di sfuggita. Negli ultimi tre giorni non aveva fatto altro che starsene sdraiata sui prati dei Campi Elisi, in contemplazione di chissà cosa. La faccenda li aveva preoccupati moltissimo, specialmente perché non appena Persefone metteva piede in quella particolare zona dell'Oltretomba sembrava riacquistare il suo originario aspetto, che perdeva ogni volta che ne usciva. Di sicuro c'era qualcosa che non andava, e di sicuro Ade se la sarebbe presa con loro una volta messo al corrente degli ultimi sviluppi.
Purtroppo, non potevano di certo contrastare il volere di una dea. Persefone li oltrepassò e si diresse lungo il corridoio di nord-ovest. I due le andarono stancamente dietro, rassegnati al ruolo di babysitter impotenti. Erano praticamente arrivati, quando i rabbiosi latrati di Cerbero, seppur lontani, li fecero sobbalzare.
“Questo non può essere un buon segno.” osservò Pena.
“Che facciamo? Torniamo indietro?” fece Panico, lanciando un'occhiata alla dea, che ne approfittò per accelerare il passo.
“Facciamo che vado io e tu resti qui.”
“E se non torni?”
“Vienimi a cercare!”
“E lei la lascio qui?”
“E lasciala qui, o portatela dietro, che ne so!”
Improvvisamente, Cerbero smise di abbaiare. Pena e Panico rimasero in silenzio ad ascoltare, ma del cane a tre teste non si sentiva più neppure un uggiolio.
“...secondo te se li è mangiati?”
“Chi?”
“Non lo so, quelli che volevano entrare!”
“Meglio andare a controllare. Ade ci ammazza davvero se succede qualcosa anche a Cerbero..!” concluse Pena facendo rapidamente retro-front.
Panico prese a mangiarsi le unghie, correndo in direzione opposta per raggiungere la dea, che lo aveva seminato facilmente. “Guarda te cosa mi tocca fare per vivere...” borbottò, ansimante per la corsa.
I Campi Elisi non gli erano mai piaciuti, motivo per cui non ci era praticamente mai andato prima di allora, nemmeno quando Ade era intrappolato nello Stige e lui passava le giornate a non fare niente. Tre giorni prima, infatti, ci aveva messo un sacco di tempo per trovare quella capricciosa insolente, dopo che lui e Pena si erano accorti che non si trovava in camera sua: i Campi Elisi erano l'ultimo posto in cui era andato a cercarla. I suoi nervi rischiavano seriamente di andare in pezzi, non ce la faceva più a preoccuparsi in quel modo: quella dea non era stata che una fonte di guai da quando Ade aveva messo gli occhi su di lei.
Si fermò all'imboccatura della grotta che portava ai Campi Elisi. Non aveva alcuna voglia di metterci piede: quel posto era strano, diverso dal resto dell'Oltretomba, e lo faceva sentire a disagio, con quella luce accecante e quelle strane sagome nebbiose che fluttuavano in giro... Non era nemmeno sicuro che Ade esercitasse un pieno controllo su quella zona del suo regno, ma non aveva mai osato chiedere per confermare le proprie supposizioni.
Si sedette a terra, tenendo sott'occhio Persefone, che si era nuovamente sdraiata sul prato, beandosi della sua vita perfetta che – si disse - aveva pure il coraggio di disprezzare.
Stava sviluppando una tremenda insofferenza nei suoi confronti.
Rimase seduto a contare i minuti che passavano. Dieci, quindici, venti, e Pena non era ancora tornato. Forse Ade era risalito dal Tartaro? Eppure Cerbero non avrebbe abbaiato così ferocemente se avesse rivisto il proprio padrone... No, qualcuno di estraneo doveva aver provato ad entrare. Forse un'altra divinità, magari il messaggero alato con gli occhialini rotondi...
Dopo una mezz'ora abbondante, Panico si alzò in piedi, le gambe che gli tremavano. Era successo qualcosa, lo sentiva. Raccolse tutto il suo coraggio, che a onor del vero non era molto, balbettò in direzione della dea: “Torno indietro a controllare Cerbero” (Persefone non diede segno di averlo sentito) e sgattaiolò verso la sala del trono.
In quel momento avrebbe pregato anche Zeus perché tutto andasse bene.
… Zeusinoo, sono tornato! xD
Ok, ok, scherzi a parte... Perdonatemi, vi prego. Posso capire quanto vi siate rotte le scatole ad aspettare per tutto questo tempo... Vi posso solo assicurare che io mi sono rotta le scatole in altri modi, per nulla divertenti. -.- Sembra che il mondo si sia messo a cospirare contro di me per non farmi laureare. Ma non voglio annoiarvi con i cavoli miei. Vi basti sapere che:
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sono tornata;
-
non ho assolutamente intenzione di abbandonare questa storia.
E non posso fare a meno di ringraziare quelle splendide persone che hanno continuato a lasciare recensioni e a mettere tra le seguite/preferite/ricordate nonostante io fossi in ritardo con gli aggiornamenti. Grazie di cuore, ragazze. Vi lovvo. XD
Non posso davvero promettervi, in tutta onestà, che non ci saranno altri ritardi, ma sappiate che mi impegnerò con tutta me stessa affinché non ce ne siano. E speriamo bene. :)
(La vita, l'universo e tutto quanto non è una frase mia, ma di Douglas Adams, uno scrittore che adoro).
Un bacione a tutte, scusate eventuali errori e la formattazione ballerina (io e l'editor di EFP non andiamo molto d'accordo) e fatemi sapere se il capitolo è accettabile o se ho perso la capacità di scrivere qualcosa di decente dopo questi mesi di assenza. Bye bye!
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Capitolo 18 *** Revelations ***
Revelations
Persefone aprì gli occhi in uno sfarfallio di ciglia.
Non ricordava affatto di essersi addormentata. Confusa, si tirò su a sedere tentando di trattenere uno sbadiglio. Si stiracchiò, cercando di capire che ore fossero, ma senza successo: la luce in quel posto non cambiava mai, non c'erano né albe né tramonti.
Facendo una smorfia, si alzò in piedi. Non aveva idea di quanto tempo fosse passato da quando si era appisolata, il che era effettivamente insolito, per una dea.
Forse sarebbe stato saggio andare a vedere come andavano le cose là fuori, e soprattutto verificare di persona se Ade fosse tornato o no. Il pensiero di colui che ormai si era quasi abituata – o meglio rassegnata – a definire suo marito faceva capolino nella sua mente di frequente; un po' troppo di frequente, per i suoi gusti.
Sbuffò, irritata. Ovvio che pensasse a lui: l'aveva piantata in asso da un momento all'altro, e chissà quando sarebbe tornato, e... non che gliene importasse un fico secco di lui, beninteso. Si trattava semplicemente di una questione politica. Per quanto le bruciasse ammetterlo, non era minimamente pronta a gestire tutto da sola.
Prese a camminare a passo svelto in direzione del corridoio buio che l'avrebbe ricondotta alla sala del trono.
Odiava non essere in grado di gestire una cosa. Dopotutto, aveva appena scoperto di essere praticamente vitale affinché quel posto funzionasse come doveva. Non voleva stare in disparte, davvero.
Si fermò di colpo. Non voleva stare in disparte, certo, ma cosa aveva fatto in quei giorni in cui Ade era assente? Si era nascosta, isolata, aveva voltato le spalle al mondo intero, specialmente a quello sotterraneo di cui teoricamente era la regina.
Maledizione.
Riprese a camminare, combattuta. Non voleva essere inutile, ma allo stesso tempo aveva un'irrefrenabile voglia di andare in un angolo a fare il muso per un tempo indefinito. Che la chiamassero pure viziata e capricciosa: non l'aveva voluta lei, quella situazione, lei era la vittima in tutta quella storia, e non vedeva perché avrebbe dovuto riporre l'ascia di guerra e concentrarsi su qualcosa che non fossero lamentele. In fondo ne aveva tutto il diritto.
A grandi falcate oltrepassò la sottile linea di confine tra i Campi Elisi e il resto dell'Oltretomba. Un brivido di freddo le corse lungo la schiena mentre osservava tristemente le proprie membra ingrigirsi e i propri capelli tornare bianchi. Era come perdere un pezzo di se stessa, ogni volta che usciva di lì.
Con un groppo in gola e gli occhi che pizzicavano, si avviò lungo il corridoio in penombra, costringendosi non girarsi a guardare indietro.
***
Hera osservava il figlio dall'alto della sua dimora al di là delle nubi. Quello era un gesto che aveva ripetuto molte volte prima di allora e che avrebbe ripetuto per molto tempo in futuro; purtroppo, era tutto quello che poteva fare per sentirsi vicina a lui. Osservava in silenzio e in solitudine quello che un tempo, per troppo poco tempo, aveva stretto tra le braccia con infinito amore: il figlio che aveva deciso di restare mortale e vivere sulla terra, rinunciando al posto sull'Olimpo che gli spettava di diritto, per stare al fianco della mortale di cui era innamorato.
Hera non poteva fare a meno di provare una graffiante malinconia al pensiero di cosa sarebbe potuto accadere se Ercole fosse rimasto un dio, se quella notte fatale non fosse mai esistita. Eppure sapeva che lui era felice così com'era. Non poteva di certo ignorare la gioia che scorgeva nei suoi occhi quando Megara gli veniva incontro sorridente, o quando, con estrema delicatezza e orgoglio paterno, stringeva tra le braccia la bambina che gli era appena nata.
Era così piccola, proprio com'era Ercole tra le braccia di Zeus... La vide sbadigliare e stringere le manine a pugno. L'avevano chiamata Macaria. Per un attimo la piccola aprì gli occhi, blu come quelli del padre, e fece un mezzo sorriso.
Hera fece un passo indietro, smettendo istintivamente di osservare la nipote. Le distanze che la separavano da quel mondo erano incolmabili, lo sapeva fin troppo bene.
Il suo pensiero volò al marito, di cui non si avevano ancora notizie. Tentò di reprimere la preoccupazione meglio che poteva. Dalla sua serenità dipendeva quella di tutto l'Olimpo, specialmente quando Zeus era assente.
Si voltò con l'intenzione di andare a parlare con Hermes, ma la figura che le si parò di fronte glielo impedì.
“Bentrovata, Hera.” la salutò Eris sorridendo lieta.
La dea si accigliò. “Eris.” disse semplicemente, ostentando il proprio disprezzo per quella divinità sanguinaria e guerrafondaia. “Non sei la benvenuta, qui.” aggiunse duramente sollevando il mento.
Il sorriso di Eris si incrinò. “Credimi, non mi tratterrò a lungo.” sibilò. “Zeus non c'è, vedo.” disse fingendo di guardarsi attorno. “Mi auguro che torni presto.”
“Non penso sarebbe felice di vederti.” osservò Hera in tono tagliente. “Che cosa vuoi?”
“Non c'è bisogno di essere così sgarbate.” disse Eris muovendo piano le lunghe ali rossastre. “Sono venuta qui a fare il mio lavoro, tutto qui. Anche se immagino che la cosa sia superflua...”
“Vieni al punto.” la interruppe Hera, spazientita.
Eris le lanciò un'occhiata tutt'altro che amichevole. “Conosci l'identità del dio che ha fatto rapire tuo figlio e lo ha reso mortale?”
Hera sgranò gli occhi, suo malgrado. “Cosa?”
La dea della discordia si limitò a sollevare un sopracciglio.
Hera avvertì la rabbia risalirle la gola come un mare di lava infuocata. “Come... osi... parlare di mio figlio?”
“Sai chi è stato, Hera? Conosci l'identità del colpevole?” la incalzò. “Io sì.” ammise quasi ridendo.
Hera sembrava congelata da quanto era immobile.
“...vorresti saperlo anche tu?”
***
Persefone sentì delle voci e istintivamente si appiattì lungo la fredda parete del corridoio. Avanzò lentamente, allungando il collo per vedere al di là del muro in pietra.
Immediatamente scorse Pena e Panico, accucciati in un angolo poco lontano dal trono. Sembravano essere stati malmenati, cosa che – pensò - probabilmente significava che Ade era tornato. Si sporse un po' di più, aspettandosi di vedere il dio, magari in compagnia dei fratelli, ma le sue aspettative furono deluse non appena il suo sguardo si posò su due uomini che non aveva mai visto in vita sua.
Sbatté le palpebre, confusa. Cosa ci facevano due uomini – due esseri umani in carne ed ossa - nell'Oltretomba? Era abbastanza sicura che non fosse quello, il loro posto.
Lanciò un'altra occhiata ai diavoletti: Panico si teneva la testa tra le braccia, dondolandosi avanti e indietro, mentre Pena si reggeva il braccio sinistro con quello destro, all'altezza del gomito.
Cosa diamine sta succedendo?, si chiese mordendosi il labbro.
“Amico, questo posto è pazzesco!” sentì esclamare uno dei due uomini. Da come erano vestiti ipotizzò che fossero soldati.
L'altro rise, avvicinandosi al trono in pietra squadrata. “Pensi che Ade si arrabbierebbe se..?” disse, mimando l'azione di sedercisi.
“Non credo sia una buona idea.” intervenne Persefone uscendo allo scoperto. “A dire il vero, credo fareste meglio ad andarvene, prima che lui torni.” aggiunse, sorprendendosi del tono calmo con cui aveva pronunciato quelle parole. Forse stava iniziando a calarsi nel ruolo di regina, dopotutto.
I due uomini si girarono a guardarla di scatto. Quello vicino al trono sorrise con aria di sfida. “E tu chi saresti, leggiadra fanciulla?” la apostrofò, sarcastico.
Persefone fece un paio di passi avanti. “Bada a come parli, mortale. Io sono una dea, la sposa di Ade, tanto per chiarirci. Voi, piuttosto, chi siete?” ribatté altezzosamente.
Pena e Panico osservavano la scena, guardinghi.
“Oh, la sposa di Ade! Quale onore...” fece l'uomo, sedendosi sul trono. “Il mio nome è Teseo, re di Atene, e questi è il mio caro amico Piritoo.” disse indicando il compagno, che la squadrò da capo a piedi.
La dea incrociò le braccia, infastidita. “Ditemi, gli esseri mortali sono tutti stupidi come voi o..?”
Teseo si grattò la barba castana, noncurante. “Devo dire che l'ospitalità non è granché, qui sotto.”
“Credimi, sarò più che lieta di ospitarvi quando tirerete le cuoia. Il che, data la vostra arroganza, dovrebbe accadere a breve.”
“Bisogna ammettere che ha coraggio.” fece Piritoo dopo un attimo di silenzio.
Teseo sbuffò. “Ha la lingua lunga, come tutte le donne.”
Persefone si accigliò. “Come osi?!” esclamò inviperita.
Piritoo le si avvicinò, sorridendo. “Non dire così, amico mio. Non è giusto insultare una così bella fanciulla nella sua casa...” disse suadente, prendendole una mano.
La dea lo fulminò con lo sguardo. “Toglimi le mani di dosso.”
Teseo scoppiò a ridere, divertito dalla scena. “Avevo ragione o no?”
Piritoo, per nulla scoraggiato, le passò un braccio attorno alla vita. “Ha solo bisogno di essere domata...”
“A chi lo dici, amico.”
Un silenzio gelido calò improvvisamente nella sala, mentre Ade, le braccia dietro la schiena, avanzava lentamente in direzione del trono su cui Teseo era ancora seduto. Persefone approfittò del momento di distrazione per liberarsi dalla stretta di Piritoo. Si aggiustò il chitone, disgustata.
“Quindi, esattamente che è successo? Avevate bisogno di una vacanza e una crociera sull'Egeo era troppo mainstream, così avete optato per una gita nell'Oltretomba?” pontificò il dio dei morti.
“S-sono riusciti ad eludere la sorveglianza di Cerbero, Signore...” pigolò Panico.
“Direi che succede un po' troppo spesso, ultimamente.” borbottò Ade rabbuiandosi. “Dunque”, fece allegramente sfregandosi le mani, “abbiamo un paio di eroi qui con noi! Non gli esemplari più brillanti della loro specie, evidentemente, ma pur sempre degli eroi.” Passò un braccio sulle spalle di Piritoo, divenuto improvvisamente bianco come un cencio.
Persefone fece un mezzo sorriso.
“Allora, campione, come te la passi?” gli chiese Ade, guidandolo di fronte al trono. “Siamo comodi?” domandò quindi a Teseo, guardandolo dall'alto in basso. L'uomo si alzò lentamente in piedi, spostandosi a destra.
“Pare abbiano perso l'uso della parola.” osservò Persefone, godendosi lo spettacolo.
“Eppure erano così loquaci, pochi minuti fa.” aggiunse Ade sghignazzando.
Improvvisamente, Teseo sguainò la spada che teneva al fianco in un unico, fluido movimento, e la piantò con violenza nel fianco sinistro del dio. Persefone si lasciò sfuggire un urlo strozzato.
Ade sollevò un sopracciglio. “Sul serio?” disse, per nulla impressionato, mentre la lama della spada passava attraverso il suo corpo fatto di fumo. Teseo lo guardò, orripilato.
“Già, non ha funzionato come volevi, dico bene?” lo canzonò il dio, afferrandolo per il bavero. “Se questo fosse un giorno qualunque avrei anche potuto prenderla sul ridere”, sibilò infiammandosi, “ma questo non è un giorno qualunque, purtroppo per te, e io sono molto, molto arrabbiato.” Detto questo, li sollevò entrambi e, scalcianti e urlanti, li depositò con malagrazia su un paio di scranni che fece comparire dal nulla. Subito una serie di catene li avvilupparono, tenendoli ben ancorati ai sedili. “Prego, accomodatevi.” disse con disprezzo oltrepassandoli. “Toglietemeli di torno.” ordinò a Pena e Panico.
I diavoletti zoppicarono in direzione dei malcapitati. Persefone lanciò loro un'ultima occhiata, per poi seguire Ade a passo svelto. “Dobbiamo parlare.” disse con convinzione.
Il dio sbuffò. “Non ora, fiorellino.”
“Per quanto hai intenzione di tenerli legati a quelle sedie?” chiese lei, continuando a stargli dietro.
“Ti prego, non tentare di appellarti al mio buon cuore...”
“Non lo faccio. Ero solo curiosa.” buttò lì. “In ogni caso, se lo meritano.”
Ade sorrise, suo malgrado. “Guarda guarda, un lato di Seph che non conoscevo. Mi piace.” disse fermandosi di fronte alla porta della sua camera. “Ora, se vuoi scusarmi, ho bisogno di un po' di tempo per pensare...” aggiunse aprendo la porta.
“Aspetta!” esclamò lei prima che lui potesse chiuderla fuori.
“Cosa?” abbaiò lui.
Persefone prese un bel respiro. “So perché mi hai scelta.” ammise. “E so perché hai bisogno di me.”
Ade la fissò, gli occhi gialli che brillavano come fuochi nella notte. “Hmm. Beh, buon per te.” disse inespressivo sbattendole la porta in faccia.
No, non è uno scherzo, anche se aggiorno il primo di Aprile. ;)
Ragazze, cosa posso dirvi se non "mi dispiace"? Spero solo che il capitolo vi sia piaciuto. Come sempre, i commenti sono ben accetti, critici e non.
Un bacione a tutte voi, e grazie per la pazienza. :*
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Capitolo 19 *** Apocalypse ***
Apocalypse
Persefone si trattenne a malapena dal prendere a calci la porta.
"Ehi!” gridò, bussando freneticamente. “Non credere di poter evitare l'argomento! Dobbiamo parlare!”
Non ci fu alcuna risposta. La dea non si arrese. “Non mi muovo di qui, ti avverto!” esclamò continuando a tempestare di pugni la porta.
“Ti ho detto che non è il momento, riccioli d'oro.” fece Ade da dietro la porta. La sua voce le arrivò ovattata e riuscì a malapena a udirla.
Persefone non si lasciò scoraggiare. “Sono stanca di fare come dici tu!” disse facendo un passo indietro.
Ci fu un'esclamazione strozzata. “Come dico io?! Non fai mai come dico io!”
La dea incrociò le braccia al petto. “Ti ho aspettato qui senza protestare, o sbaglio?”
Una mezza risata di scherno. “Perché non avevi altra scelta.”
“Non ho mai avuto scelta, da quando mi hai portata qui!” gridò lei, perdendo definitivamente la pazienza.
Ci fu un attimo di silenzio. Persefone fissava torva la porta grigia, scolpita da infiniti ghirigori che somigliavano molto a dei serpenti aggrovigliati l'uno sull'altro.
“Se vuoi delle scuse, fiorellino, stai bussando alla porta sbagliata.” disse infine lui, cupo.
Persefone si morse il labbro. “Quindi hai davvero bisogno di me.” mormorò, arrivando direttamente al punto. “Il grande Signore dell'Oltretomba ha bisogno di me.”
“Io non ho bisogno di nessuno!” ruggì Ade, spalancando la porta di colpo. Era rosso come una brace. “E non azzardarti a starnazzare in giro questa cosa!” sibilò minaccioso.
“Mi stai dando dell'oca?!” sbraitò Persefone, troppo arrabbiata per essere intimorita.
Ade ghignò. “Perspicace come sempre...”
“Oh beh, scusa tanto, razza di...di...beccamorto che non sei altro! Sai che ti dico, non facevo per niente fatica a credere che mi avessi rapita per il gusto di farlo, dato che nessuna donna al mondo ti sposerebbe volontariamente!”
“Credi che io volessi sposarmi? Con te? Hah! Se tornassi indietro non lo rifarei, stanne certa! Pensi di essere speciale? Tu eri una delle tante sulla lista, ti ho scelta per puro caso e non passa giorno che io non me ne penta!”
“Credi sarebbe cambiato qualcosa? Io o un'altra, ti avremmo odiato allo stesso modo!”
“Oh, dubito che esista al mondo una donna più irritante di te!”
“E io sono certa che non esiste al mondo un pallone gonfiato come te!”
Si guardarono in cagnesco, ansimando. Persefone tremava di rabbia, mentre Ade crepitava, avvolto da fiamme arancioni e gialle.
“Comunque, se la cosa può consolarti,” disse lui, improvvisamente amaro, “non rimarrai Regina dell'Oltretomba molto a lungo.”
Lei alzò un sopracciglio, raddrizzando le spalle. “E questo cosa vorrebbe dire?”
Ade si spense di punto in bianco, assumendo un'aria rassegnata. “Vuol dire che presto non sarò io l'oggetto principale del tuo odio.” Sembrava quasi dispiaciuto dalla cosa.
Persefone sbuffò. “Ne dubito vivamente.”
Un'ombra di sorriso passò sul volto del dio. “Immagino che dovrei informarti degli ultimi sviluppi sul fronte profezie apocalittiche...”
Persefone rimase in silenzio. L'improvviso cambiamento d'umore del dio la preoccupava molto di più dei suoi scatti di rabbia.
Ade la squadrò, dubbioso. “Vuoi sederti?” chiese, aprendo un po' di più la porta alle sue spalle, che scricchiolò sui pesanti cardini.
Persefone diede un'occhiata all'immenso letto, decorato con decine e decine di teschi, che riusciva a intravvedere nella stanza in penombra. “Ehm... No.” rispose, asciutta.
“Come vuoi, fiorellino.” disse lui, stringendosi nelle spalle. “Dunque,” proseguì, appoggiandosi allo stipite della porta, “sai chi è Urano?”
“Urano?” fece lei, perplessa.
Ade alzò gli occhi al cielo. “Sì, Urano. L'amorevole paparino del mio amorevole paparino...”
“Lo so chi è Urano!” esclamò lei, infastidita dal tono accondiscendente di lui.
Il dio le lanciò un'occhiataccia. “E allora perché diamine hai fatto quella faccia da pesce lesso?”
“Era un'espressione di sorpresa!” spiegò lei, esasperata. “Cosa c'entra Urano?”
“C'entra perché, a quanto pare, si è risvegliato. E non penso sia molto contento...o piacevole da avere intorno, se è per questo.”
Persefone sbatté le palpebre un paio di volte. “Cosa?” mormorò, a bocca aperta. Una paura ancestrale le nacque nelle viscere, paralizzandola.
“Ed ecco di nuovo l'espressione da pesce lesso.” commentò lui, divertito suo malgrado.
“Stai scherzando.” boccheggiò lei.
“Nossignora. Credevamo ci fosse Crono, dietro tutto questo, e invece...”
“Dietro tutto cosa?” sbottò Persefone, tormentandosi una ciocca di capelli.
“Te l'ho detto, la profezia apocalittica.”
La dea deglutì rumorosamente. Doveva trattarsi della profezia a cui Pena e Panico avevano accennato pochi giorni prima. Qualcosa che c'entrava con l'Olimpo, e Zeus, e Poseidone, e Ade... “E quindi, cosa faremo?” chiese con voce tremante.
Ade si strinse di nuovo nelle spalle.
“Come fai ad essere così tranquillo?!” esplose lei, il cuore che batteva freneticamente.
Lui fece una smorfia. “Non sono tranquillo, sono rassegnato. Non credo ci sia nulla da fare.”
Persefone si portò una mano alla gola, cercando di respirare. Non poteva essere vero. Urano era stato imprigionato migliaia di anni prima, in uno stato che era quanto di più simile alla morte un dio potesse conoscere. Come aveva fatto a liberarsi? E cosa sarebbe successo a tutti loro? Soprattutto, cosa sarebbe successo a lei? E a sua madre?
Ade la osservò in silenzio per qualche secondo. “Non so tu, ma io ho proprio bisogno di un drink.” fece poi, materializzando dal nulla un bicchiere di liquido rosa.
“...credo di dovermi sedere.” disse lei con voce roca.
***
Anfitrione scese a fatica dal carretto di legno, facendosi prendere sottobraccio dalla moglie. Uno stalliere si avvicinò alla coppia di vecchietti, accennando all'asina in testa al carretto. “La porto nelle stalle.” disse, afferrando le redini.
“Oh, grazie.” fece Anfitrione sorridendo. “Dalle tanto fieno, se l'è meritato!”
L'animale sbuffò, tirando indietro la testa. “Fai la brava, Penelope!” la ammonì il vecchio ridacchiando.
Alcmena scosse la testa, sospirando. “A volte penso che tu sia più affezionato a quella vecchia asina che a me.” disse mentre i due si avviavano verso l'entrata della villa.
“Non dire sciocchezze, mamma.” intervenne Ercole uscendo sui portici di fronte all'entrata. “Aspetta papà, ti aiuto io.” aggiunse andando a sostenerlo.
“Ti ringrazio, figliolo.” disse Anfitrione agganciandosi al braccio muscoloso del figlio. “Questa maledetta gamba non mi dà tregua.”
Alcmena gli accarezzò una guancia. “Siamo molto felici di essere qui con voi, Ercole.”
Il ragazzo sorrise. “Potete fermarvi quanto volete. Anzi, perché non vi trasferite?” propose allegramente mentre salivano le scale del portico.
“Ma c'è la fattoria, figliolo...” protestò debolmente Anfitrione.
Alcmena scoppiò a ridere. “Lo sai che la fattoria è tutto per tuo padre! Guai a lasciare la fattoria!”
“...promettetemi almeno che ci penserete.” insistette Ercole facendoli entrare in casa. A pochi passi da loro, Megara aspettava, tenendo in braccio la figlia, che si guardava attorno con estrema curiosità.
“Benvenuti.” li salutò Meg chinando il capo.
I suoceri ricambiarono il saluto. Alcmena la abbracciò e la baciò. “Carissima, sei sempre più bella. E questa piccina è stupenda! Vieni dalla nonna, Macaria...” disse prendendo in braccio la nipotina. “Vieni a vedere il nonno! Guarda Anfitrione, non è bellissima? Ha i tuoi stessi occhi...” aggiunse rivolta a Ercole. Macaria le si aggrappò al braccio, iniziando a tirarle la manica del vestito.
“Fa' attenzione se inizia a stringere troppo, mamma. Ieri ha rotto un pezzo di culla mentre faceva i capricci.” fece Ercole, cauto.
Alcmena gli lanciò un'occhiata offesa. “Con chi credi di parlare, giovanotto? Pensi davvero che dopo aver cresciuto te non sia abituata a questo genere di cose?”
Megara sorrise tra sé e sé.
“Ah, beh, in effetti...” balbettò Ercole arrossendo appena.
“Una volta, mi ricordo, ha demolito mezza casa cercando di aiutarmi a cucinare.” disse Alcmena sospirando di nostalgia. “Ti ricordi, Anfitrione?”
Il marito annuì. “Ricordo anche che poi ci ha aiutati a ricostruirla, però.” disse guardando il figlio con un misto di dolcezza e orgoglio. “Non lo faceva apposta, l'ho sempre detto.”
“Sembra che ne abbiate, di storie da raccontare.” intervenne Megara in tono malizioso.
“Ah, senza dubbio.” rispose Alcmena allegramente. “Vieni, cara, abbiamo molto di cui parlare...” aggiunse mentre Megara le faceva strada in direzione della sala da pranzo.
Ercole fece una smorfia. “Vieni papà, ti faccio sedere...” disse, leggermente preoccupato dall'improvvisa alleanza che avevano formato sua madre e sua moglie.
Anfitrione gli aveva voltato le spalle. “Si è fatto nuvoloso all'improvviso.” osservò il vecchietto, sporgendosi a guardare il cielo. “Guarda come sono veloci quelle nuvole! Dev'esserci un gran vento lassù.”
Il ragazzo lo imitò. “Hai ragione.” Corrugò le sopracciglia e rimase ad osservare il cielo in silenzio. Una gran massa di nubi bluastre aveva coperto il sole e stava sorvolando la loro città con una rapidità eccezionale...
In direzione dell'Olimpo.
***
Persefone sobbalzò quando un gran fracasso di trombe si diffuse nell'Oltretomba. “Cosa sta succedendo?!” fece, alzandosi in piedi di scatto. Si era seduta sulla sponda del letto di Ade, tenendosi la testa tra le mani, mentre lui era rimasto languidamente appoggiato allo stipite della porta, impegnato a trangugiare bicchiere dopo bicchiere.
“Consiglio di guerra.” rispose Ade stancamente, facendo sparire l'ultimo bicchiere in un filo di fumo. “La nostra presenza è richiesta lassù.”
“Ma io non so combattere!” protestò debolmente lei.
“Oh, perdonatemi, Altezza. Preferisce restare qui?” fece lui, schernendola.
Persefone si prese un attimo per soppesare la cosa. Se fosse andata sull'Olimpo, chissà cosa avrebbe dovuto affrontare... D'altra parte, restare bloccata lì sotto da sola sarebbe stato anche peggio.
“No, vengo.” disse infine a malincuore. “Anche se ancora non posso credere che tutto questo sia reale.”
“È appena diventato reale, fiorellino.” disse lui voltandole le spalle. “Muoviamoci.”
Persefone dovette correre per stargli dietro. Quando arrivarono alla sala del trono, il carro nero trainato dal grifone era già pronto a partire.
Salirono e si alzarono in volo, uscendo da una delle due grandi aperture circolari che davano sull'Acheronte. Presero velocità quasi istantaneamente, tanto che Persefone si strinse nel mantello grigio-azzurro che portava attorno alle spalle per proteggersi dall'aria gelida che li sferzava.
In un attimo erano fuori. La luce del sole pomeridiano le ferì gli occhi e dovette schermarli con una mano. Era davvero triste disabituarsi alla luce del sole, pensò mentre facevano una brusca virata. L'Olimpo, avvolto da nubi perlacee, era di fronte a loro e si stava avvicinando rapidamente. Non ebbe il coraggio di aprire bocca durante il breve viaggio, né tantomeno di guardare Ade. Stava succedendo tutto troppo in fretta, tanto da farle girare la testa. Si aggrappò forte al bordo del carro nero mentre atterravano, un po' troppo bruscamente, sulle soffici nuvole periferiche.
Hermes li stava aspettando, svolazzando nervosamente di qua e di là. Persefone scese per prima, salutandolo senza troppo entusiasmo. Ade li superò entrambi, torvo.
Hermes era tesissimo. “Sono troppo vecchio per queste cose. Prima i Titani, adesso questo...” borbottò facendo loro strada verso il cuore della residenza dorata tra le nubi.
Persefone non disse nulla finché non vide, da lontano, la figura verde e prosperosa della madre, in mezzo alle altre divinità. Si mise a correre all'impazzata, colmando rapidamente la distanza tra di loro e tuffandosi tra le sue braccia. “Mamma!”
“Oh, tesoro!” esclamò Demetra, singhiozzando.
“Mamma, cosa succede? Cosa possiamo fare?” chiese lei, avvertendo il panico crescerle dentro.
“Combattiamo!” rispose Ares oltrepassandole con un clangore di armature.
“È ora di andare.” intervenne Hera, posandole una mano sulla spalla. “Non possiamo stare qui.”
Persefone sgranò gli occhi. “Dove andiamo?”
“In un luogo più riparato. Qui siamo troppo esposte.” spiegò Demetra, prendendola per mano. “Andiamo.”
La giovane dea si voltò mentre Demetra la trascianava via. Zeus era in testa al piccolo esercito di dei, pronto ad impugnare una serie di fulmini dall'aria letale, appena forgiati da Efesto. Poseidone gli era accanto, su un carro di spuma trainato da due enormi cavallucci marini. Ade si affiancò ai due fratelli, le spalle incurvate. Dietro di loro, una schiera di divinità erano pronte a combattere, primi fra tutti Ares, Apollo e Atena.
E poi lo vide. Un muro di nuvole, talmente scure da sembrare nere, che si avvicinava con un rombo che le fece accapponare la pelle.
“Kore, vieni!” gridò sua madre, stringendo ancora di più la presa sul suo polso.
Persefone non riusciva a staccare lo sguardo dalla massa informe che si stava per abbattere sull'Olimpo, su tutti loro, quando ad un tratto si rese conto che non era per nulla informe.
“Quello è...un viso..?” mormorò, orripilata.
Ciao a tutte. :)
Ieri ho ufficialmente finito gli esami, per l'ultima volta. Da oggi sto lavorando alla tesi, ma appena mi sono liberata ho voluto scrivere e postare il capitolo. Non nascondo di essere parecchio esaurita; spero di riuscire a rilassarmi dedicandomi un po' alla scrittura.
Ovviamente mi auguro che il capitolo vi sia piaciuto. Nel prossimo, per dirla all'inglese, all the shit is going down. E spero che possiate divertirvi. xD Nel frattempo vi ringrazio tutte, anche perché il numero di quelle che seguono e preferiscono continua ad aumentare. :) Un bacione a tutte voi.
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Capitolo 20 *** Fallen Gods ***
Fallen Gods
Non poteva che essere Urano, Persefone lo sapeva, ma nonostante lo stesse osservando con i propri occhi, ancora non riusciva a crederci. Si accorse di stare tremando come un inerme coniglietto; una morsa ferrea le stringeva la gola e quasi non riusciva a respirare.
Non ce la faremo, pensò all'improvviso. Non ce la faremo mai.
Il volto nelle nuvole spalancò quella che doveva essere la sua bocca: una voragine scura, apparentemente senza fondo; un foro grottesco nel mezzo di quella manciata di spaventosi connotati.
La dea immaginò che volesse divorarli tutti, e un urlo le sfuggì dalle labbra, prontamente soffocato dalla grassoccia mano della madre. “Sshh, Kore”, la ammonì Demetra con voce tremante. “Tesoro mio...” sussurrò poi, abbracciandola. “Non guardare.”
Persefone obbedì, chiudendo gli occhi e desiderando solo che tutto svanisse nel nulla, che si trattasse solo di un brutto sogno.
I quel momento, Urano parlò, la sua voce profonda incredibilmente simile al rombo dei tuoni. Suo malgrado, Persefone aprì gli occhi, perché ascoltare quella voce terribilmente innaturale ad occhi chiusi la riempiva di un terrore senza nome.
Il dio – ma sembrava riduttivo chiamarlo così, erano loro gli dei, quegli esseri così minuscoli, così limitati in confronto a lui – parlava lentamente, come se avesse tutto il tempo del mondo a disposizione. La bocca, pur non muovendosi, riusciva a scandire lo stesso le parole portate dalla furia del tuono. Le orbite erano vuote, non c'era ombra di pupille in quelle cavità oscure, ma in qualche modo riuscivano a dare l'impressione di stare fissando loro.
“INSIGNIFICANTI... VERMI...” fece il dio, con una violenza tale da minacciare di spazzarli via in un sol soffio. “VOI... MI AVETE IMPRIGIONATO... E ORA... VOI... MI LIBERATE...” Una roboante risata li investì, mentre la bocca si spalancava ancora un po'. Persefone era come ipnotizzata.
“Non faremo mai una cosa del genere!” urlò fieramente Zeus in risposta, brandendo un fulmine con la mano destra. Alle sue spalle, gli scarlatti cavalli di Ares scalpitarono.
Un'altra risata, più forte e lunga della prima. “LO AVETE... GIÀ... FATTO...” dichiarò Urano. “E ADESSO... TORNATE... A STRISCIARE... VERMI...”
Zeus si erse in tutta la sua altezza, che era comunque notevole, anche paragonata all'immenso essere che li sovrastava. “Questo lo vedremo!” fece in tono di sfida, scagliando la saetta proprio nel mezzo delle due vuote orbite oculari. Una scarica di luce percorse le nubi di cui era composto Urano, mentre tutti gli dei sull'Olimpo trattenevano il respiro.
Urano emise una sorta di grugnito, dopodiché si avvicinò minacciosamente, quasi crollando su sé stesso nel mentre.
“Caricaaa!” strepitò Ares sguainando la sua lunga spada fiammeggiante. Gli altri dei muniti di carro da guerra lo seguirono, lanciandosi con foga contro il gigantesco dio.
Zeus lo bombardò di fulmini mentre Poseidone richiamava a sé una spumeggiante onda marina. Persefone vide Ade incendiarsi e indirizzare una colonna di fuoco dritta tra le fauci del dio. Un possente rombo sconquassò l'Olimpo, rischiando di farla cadere a gambe all'aria. Ricordò il giorno in cui il terremoto provocato da Ade aveva aperto una voragine a Nysa. Non le sembrava possibile che fosse accaduto solo una manciata di mesi prima.
Urano parve arrestarsi sotto la gragnuola di colpi. Ares, Atena, Apollo, Artemide e gli altri lo avevano circondato nel tentativo di contenerlo, mentre i tre fratelli lo fronteggiavano, alternandosi nel colpirlo. Lampi bianchi, gialli, blu e rossi solcavano il volto del dio, volto che si contorse fino ad assomigliare ad una maschera da teatro.
Atena urlò qualcosa, ma le sue parole si persero nel vento, levatosi all'improvviso, che fece vorticare le vesti e i capelli di Persefone e delle dee che erano vicino a lei. Zeus levò un grido di rabbia: aveva scagliato una manciata di saette, che però erano state deviate dal vento e avevano rischiato di colpire Apollo e sua sorella.
“Saldi! Mantenete le vostre posizioni!” berciò Ares, cercando in tutti i modi di non venire sbalzato via dal vento.
“È di nuovo la battaglia contro i Titani...” gemette Hermes avvinghiandosi ad una colonna.
Tutto si era fatto più buio, si accorse la dea: il sole era definitivamente scomparso e nubi bluastre erano tutte intorno a loro...
“Dobbiamo scappare!” esclamò Demetra, terrorizzata.
“Non abbandonerò mio marito!” gridò in risposta Hera, cercando disperatamente di tenersi la corona sul capo.
“Hera, ti prego-” iniziò Demetra, quando una folata di vento più forte delle precedenti le mandò tutte a volare una ventina di metri più avanti. Persefone vide Hermes sballottato di qua e di là, in balia delle correnti, mentre sua madre rotolava lontano da lei, urlando a squarciagola. Lei stessa fu sollevata di nuovo e catapultata verso il cuore dello scontro. Non capiva più dove fosse il basso e dove l'alto: tutto quello che vedeva erano le nuvole e il cielo oscurato, soffocante. Sapeva di stare gridando a sua volta, e piangendo, e singhiozzando tutto insieme, mentre la testa le girava, e il mondo girava insieme a lei.
Improvvisamente andò addosso a qualcosa, ad una velocità che le tolse il fiato. Crollò bocconi per terra, tremante, ma non ebbe il tempo di rendersi conto dove fosse finita: avvertì subito un'altra furibonda folata ghermirla con le sue dita invisibili e cercare di strapparla via da quell'attimo di quiete.
“N-no, nooo!” urlò, disperata, tentando con tutte le sue forze di aggrapparsi a qualcosa.
Qualcuno le strinse il polso con forza, facendole non poco male, ma in quel momento non le importò. Impiegò qualche secondo per rendersi conto che quel qualcuno era Ade.
Boccheggiò, non sapendo cosa dire. Le fischiavano le orecchie e aveva gli occhi offuscati dalle lacrime. Il dio era ancora rosso a causa delle fiamme e aveva un'espressione di puro odio dipinta sul volto. Le disse qualcosa, ma le sue parole furono coperte dal terribile rombo del vento.
Persefone scosse con foga la testa. “Ci sta risucchiando! Ci sta risucchiando!! Fa' qualcosa!!” sbraitò agitandosi. Avvertì la stretta di lui allentarsi e un'ondata di panico minacciò di soffocarla. “NON LASCIARMI! NON LASCIARMI! TI GIURO CHE SE MI LASCI ANDAREEEE...”
Non riuscì a finire la frase. Girò su se stessa un paio di volte, scorse appena la bocca spalancata di Urano di fronte a sé, chiuse gli occhi e all'improvviso tutto finì.
***
Sono morta. Devo essere morta.
Non riusciva a muoversi, non vedeva nulla né sentiva alcunché. Era tutto così pesante, e la testa le pulsava dolorosamente, come mai prima di allora.
Rimase così per un tempo che le parve infinito, finché le tornò in mente come aprire gli occhi. Lo fece, e il buio si dissipò. Il suo cuore aumentò i battiti. Forse non era morta, dopotutto. Non c'era luce nell'Oltretomba, nessuno lo sapeva meglio di lei.
La luce le ferì gli occhi, ma non le importava. Cercò di muovere le braccia: una fatica inaudita, ma dopo un po' ci riuscì. A poco a poco, i sensi si risvegliarono: iniziò a udire delle voci, anche se attutite, e l'odore dell'erba e della terra bagnata la investì, riempiendola di un senso di familiarità e di pace. Respirò a pieni polmoni.
“Cara, ce la fai ad alzarti?” Una voce ovattata la raggiunse, mentre qualcuno le toccò delicatamente un braccio.
Persefone mugugnò, mentre un'altra fitta alla testa le fece socchiudere gli occhi.
“Dove sono?” mormorò, sputacchiando un po' di terra.
La fecero girare sulla schiena. Il cielo era tornato azzurro come per magia.
“Tesoro, come ti senti?” le chiese la voce di sua madre, apprensiva. Girò piano la testa e la vide, inginocchiata alla sua destra.
“Mamma?” fece sgranando gli occhi. “Cosa ti è successo?” Le guance di Demetra erano scavate, i suoi capelli spettinati e le sue vesti sbrindellate, ma non erano questi particolari a sconvolgerla, quanto il fatto che la pelle di sua madre non era più verde, ma rosa, e aveva perso la luce divina che la avvolgeva sempre. Anche i suoi occhi avevano perso la loro usuale brillantezza.
“Oh, tesoro...non so davvero come dirtelo, io...”
Persefone si portò una mano alla fronte e non ci mise molto ad accorgersi che anche la sua, di pelle, era rosa. Non rosa come quando non era ancora finita tra le grinfie di Ade: un rosa più tenue, quasi tendente al giallo pallido...
Si alzò a sedere, ignorando il mal di testa meglio che poteva. Si trovavano in una pianura verdeggiante, ai piedi del monte Olimpo, la cui cima era avvolta dalle nuvole e inaccessibile alla vista. Attorno a sé riconobbe gli altri dei che erano insieme a lei e a sua madre quando Urano li aveva attaccati: erano tutti ugualmente scarmigliati e macilenti. Vide quella che sembrava Afrodite strapparsi i capelli, di un biondo slavato, in preda a una crisi isterica; Hermes – lo riconobbe dalla statura – camminava avanti e indietro borbottando tra sé e sé, lo sguardo fisso a terra; Hestia singhiozzava nascondendosi il viso tra le mani.
Zeus e Hera stavano abbracciati al centro di quel caos di divinità, lui che sembrava essersi rattrappito e lei fragile come una foglia rinsecchita.
E tutti erano rosa, e tutti erano spenti, e tutti erano umani.
Disgustosamente, irrimediabilmente umani.
Ares, alle sue spalle, imprecava a voce alta, inveendo contro Urano e contro il mondo intero. Efesto si unì a lui, ancora più claudicante del solito.
Era tutto troppo assurdo per essere vero. Si sentiva troppo esausta persino per scoppiare in lacrime o per unirsi al coro di improperi alle sue spalle.
“Oh, che fato crudele, crudele, crudele...” singhiozzò sua madre. “Povera, povera Kore, non avrei mai voluto vederti così...”
“Già, scommetto che ora come ora essere la regina dell'Oltretomba non è poi così male, in confronto a essere mortale.” intervenne Ade avvicinandosi. Persefone si girò di scatto a guardarlo e dovette ammettere che forse nessuno era messo male quanto lui: più che umano, sembrava un cadavere che avesse improvvisamente preso vita, cereo com'era. La sua lunga e fumosa veste grigia si era tramutata in un cumulo di stracci altrettanto grigi, e inoltre era completamente calvo.
“Che fine hanno fatto i tuoi capelli, marito caro?” non poté trattenersi dal chiedere.
“Umpf. Non credere di essere messa tanto meglio, fiorellino.”
Si alzò cautamente in piedi e si prese una ciocca di capelli tra le dita. Erano tornati biondi, anche se comunque tendenti al bianco. “Io almeno li ho ancora.” lo schernì con un mezzo sorriso. Era incredibile come vedere Ade messo peggio di lei le risollevasse il morale, nonostante la situazione disperata in cui si trovavano.
“Ehi, aspetta un momento...” le tornò in mente come era stata risucchiata nella bocca di Urano. “Maledetto, mi hai lasciata andare!” esclamò avvicinandosi a lui con fare accusatorio.
“Se non l'avessi fatto saremmo stati risucchiati entrambi.” si giustificò lui alzando le spalle.
“Ah sì? E invece cos'è successo?” lo incalzò lei.
“Siamo stati risucchiati, prima tu e poi io.”
“Che bel risultato.”
“Ehi, io almeno ho provato a combattere, anziché stare attaccato alle gonne della mamma.”
Demetra lo fulminò con lo sguardo. “È tua moglie, viscido verme che non sei altro. Avresti dovuto proteggerla!”
“SILENZIO!” tuonò Zeus di punto in bianco. Tutti si girarono a guardarlo. Aveva il fiatone e si appoggiava alla bell'e meglio alla moglie. “Urano...ci ha privati della nostra immortalità, per punirci. Lo abbiamo sfidato e abbiamo perso.” ammise, sconfitto. “Non potremmo mai sperare di riprenderci l'Olimpo in queste condizioni. Tuttavia, io vi condurrò alla salvezza, figli miei.”
Un mormorio di incredulità si diffuse tra gli ex-dei. Zeus sollevò una mano. “Mio figlio Ercole vive da mortale, ma egli è riuscito a tornare sull'Olimpo come dio, con le sue sole forze. È da lui che andremo.”
Nessuno fiatò. Forse erano tutti troppo stanchi e disperati per replicare, forse semplicemente nessuno aveva un'idea migliore.
“Lui non verrà.” fece all'improvviso Hera, indicando Ade. La voce le tremava per la rabbia.
“Ah, e immagino di non avere nessuna voce in capitolo?” disse lui, incrociando le braccia.
Hera fece un passo avanti. “Tu non meriti di venire. È solo colpa tua se siamo in questa situazione, mi hai sentito? Solo colpa tua!” Persefone non l'aveva mai vista così agitata in vita sua: sembrava quasi febbricitante.
Ade sbuffò. “Certo, diamo la colpa al dio dei morti...”
Hera fece per avventarglisi addosso, ma Zeus la agguantò. “Che cosa stai dicendo?” le chiese dolcemente.
“È stato lui a liberare i Titani. Liberandoli, ha innescato una catena di eventi a ritroso e ha reso possibile tutto questo! Lui ha liberato Urano, amore mio. È colpa sua!” Si girò a guardare il marito, quasi annaspando tra le sue braccia. “Ed è stato lui a rapire Ercole. È stato lui a renderlo mortale. Voleva ucciderlo! Non si merita nulla, Zeus, nulla. Non lo voglio vicino a nostro figlio. Non lo voglio vicino al nostro bambino!”
Uiiiii salve gente!
Ce l'ho fatta ad aggiornare, alla fine. Allora, vi è piaciuto il capitolo? :D Io mi sono divertita un sacco, specialmente rido ogni volta che penso al povero Ade e a come l'ho conciato. XD Sono sicura che mi odia. *grin*
Vi ringrazio come sempre per le recensioni, che continuano ad aumentare. Siete carucce, siete. :3 Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo e del fatto che ora i nostri eroi sono diventati umani. Io rido. :D
Un abbraccio a tutte voi!
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Capitolo 21 *** Being human ***
Altolà! Prima di leggere il nuovo capitolo, andate a vedere questo link: http://kaalyah.tumblr.com/image/95763314907
Ringrazio ancora Kaalyah per il disegno, è stupendo! ;)
Being human
Rimasero tutti in silenzio, attoniti. Persino Ade non sapeva cosa ribattere all'accusa di Hera, e il suo mutismo certo non lo aiutava ad apparire innocente.
Zeus boccheggiò, sopraffatto dall'ira. Il suo colorito passò molto velocemente dal rosa al rosso acceso e poi al viola prugna.
Ares ringhiò come un cane idrofobo. “Lo sapevo che eri stato tu! Questa è la volta buona che ti ammazzo!” strepitò avvicinandosi minacciosamente. Apollo lo imitò, seguito da Poseidone, mentre gli altri iniziarono ad incitarli, accerchiando l'ex dio dei morti.
“Eh-ehi, ragazzi... Suvvia, cerchiamo di ragionare...” balbettò Ade, impallidendo ulteriormente. Prese a indietreggiare lentamente, portandosi le mani di fronte al petto.
“A morte! A morte!”
“Dàgli! Dàgli!”
“Gonfialo di botte!”
“Cavagli gli occhi!”
“D-dobbiamo stare uniti, in questi momenti difficili...uoff!” Ade si inciampò nella lunga veste stracciata e cadde pesantemente a terra, mugugnando per il dolore.
“Aspettate un attimo!” esclamò di colpo Atena. Due o tre ex-divinità si girarono a guardarla, mentre le restanti continuavano a gridare.
“Un secondo solo... per favore... SILENZIO!” esclamò battendo le mani. Ares si arrestò a meno di un metro da Ade. “Cosa vuoi?” sbottò, palesemente irritato.
“Ascoltatemi, vi prego.” continuò Atena, prendendo un bel respiro. Aveva l'elmo tutto ammaccato e impolverato e un paio di graffi sulla guancia destra. “Hera, come fai a sapere queste cose?” chiese cautamente.
Hera le lanciò uno sguardo indispettito. “Come, scusa?” sibilò in tono molto poco amichevole.
“Non starai insinuando che mia moglie sia una bugiarda!” tuonò Zeus.
“Non lo starai difendendo!” rincarò la dose Ares, indicando Ade, che se ne stava ancora col sedere per terra.
Atena scosse pazientemente la testa. “Ho solo fatto una domanda.”
“Una domanda legittima, direi!” intervenne Ade con voce tremante.
“Muto devi stare, muto!” abbaiò Ares, tirandogli uno scappellotto.
Hera incrociò le braccia. “Me l'ha detto Eris.” ammise tirando su col naso. “Ma questo non significa che non sia vero!” aggiunse con voce stridula.
Atena sollevò una mano. “Fratelli, ricordate cosa dissero le Parche. La profezia si è avverata, e diceva chiaramente che La terra, il mare e il cielo, così è venuto, /Devono stare uniti, o tutto è perduto.”
“Tutto È perduto, infatti! Per colpa sua!” protestò Apollo a gran voce.
“Io credo che ci sia ancora speranza, ma dobbiamo restare uniti! Non otterremo niente comportandoci così. Non capisci, Hera? Eris ti ha detto quelle cose per dividerci, per provocare ulteriore discordia tra di noi. Così stiamo solo facendo il suo gioco.”
Hera abbassò lo sguardo in silenzio. Zeus osservò la figlia, sbigottito. “Io...non so se...”
“È così, padre, devi credermi! È ovvio che sia così!” disse lei, sicura di sé. Guardandosi attorno, tuttavia, la sua sicurezza parve incrinarsi. “Lo so che non è giusto, ma abbiamo bisogno di lui...” supplicò. “Almeno fino a che non avremo deciso cosa fare, e non avremo chiesto l'aiuto di Ercole.”
Mormorii di disapprovazione serpeggiarono tra gli astanti. Si udì distintamente Efesto dire: “Sono stufo di questo lassismo...”
Atena alzò gli occhi al cielo. “Qui non si tratta di lassismo, si tratta di pragmatismo. Lui ci serve, punto e basta. E, sia ben chiaro, la cosa non piace nemmeno a me.”
Ares fece un sorrisetto maligno. “Ebbene, che ci serva pure, cara sorella.” Sorpassò Ade, curandosi di dargli un bello spintone che quasi lo fece cadere bocconi. Apollo fece lo stesso, lasciandosi sfuggire una risatina di scherno. Lentamente, tutti gli ex-dei si misero in marcia, seguendo Zeus e la consorte che camminavano in testa alla colonna.
Persefone lanciò uno sguardo di sottecchi al marito mentre sua madre le circondava le spalle con un braccio, spronandola ad avanzare. Stentava ad ammetterlo a se stessa, ma aveva provato un po' di pietà per il modo in cui l'avevano trattato. Giusto un po'.
Per ultimo, si incamminò anche Ade, tenendosi a debita distanza dagli altri. “Giuro che ve la farò pagare cara. Lo giuro.” mormorò tra i denti.
***
L'avanzata fu lunga e incredibilmente faticosa. Nonostante fosse ormai giunto l'autunno, il sole bruciava ancora come se fosse estate. Dovettero fermarsi a riposare più di qualche volta nel corso della giornata. Non avevano né cibo né acqua. Persefone, Estia, Hera e Afrodite rischiarono lo svenimento, mentre arrancavano attraverso pianure erbose e colline fangose, in mezzo a campi coltivati e pecore al pascolo.
Persefone non credeva che potesse esistere una sofferenza così grande. Non aveva mai sperimentato cosa significasse avere davvero sete o avere davvero fame: nessuno di loro lo aveva mai provato sulla propria pelle. In breve tempo i piedi le andarono a fuoco per colpa delle vesciche e anche camminare divenne uno strazio insopportabile.
Finalmente, alla sera, raggiunsero un villaggio abitato per lo più da contadini e pastori, i quali però non solo li guardarono male, ma rifiutarono di ospitarli per la notte poiché non avevano di che pagare. Fortunatamente, Hermes riuscì a sgraffignare un cesto di mele, qualche pagnotta di pane secco e del vino da chissà dove. Mangiarono e dormirono fuori dal villaggio, ai piedi di una grossa quercia. Il cibo era pessimo, ma in quel momento avrebbero mangiato qualunque cosa pur di placare i morsi della fame. Ad Ade toccarono la mela più raggrinzita e il pezzo di pane più muffito di tutti, ma non si lamentò. Non aprì proprio bocca, a dire la verità, e dormì lontano da tutti per quella e tutte le notti a venire.
Impiegarono quasi tre settimane per arrivare a Tebe. Subirono il caldo tremendo del sole e l'abbraccio gelido della pioggia a catinelle. Talvolta ebbero la fortuna di riuscire a pernottare al chiuso grazie alle tasche prontamente svuotate di qualche ignaro viaggiatore, cortesia di Hermes. Fu un miracolo che nessuno si ammalasse. Un giorno riuscirono addirittura a scroccare un passaggio a un mercante d'olio sui suoi carretti, seduti in mezzo alle giare.
L'umiliazione era cocente, e forse fu proprio quello il male peggiore che dovettero sopportare. Un tempo erano dei, i padroni del cosmo, ed ora si erano ridotti ad essere la feccia dell'umanità, disprezzati da coloro che fino a poco tempo prima erano loro inferiori. Non incontrarono mai uomini o donne ridotti peggio di loro. Persefone si sorprese nel vedere i sorrisi della gente, di sentire le loro risate: cosa mai avevano di cui essere felici? Se quella era la vita da mortali, tanto valeva morire subito e farla finita, pensò mestamente. Ade pareva pensarla allo stesso modo: un giorno lo sentì distintamente borbottare: “Meglio il Tartaro di questo.”
Quando finalmente misero piede in città, non avrebbero potuto essere più sfiniti. Quasi nessuno di loro parlava più, neanche per scambiarsi due parole.
Si trascinarono fino ai cancelli dell'enorme villa di Hercules, rischiando di essere investiti da un carretto nell'attraversare la piazza. Persefone non aveva mai visto così tanti esseri umani tutti insieme. Quella città era soffocante, con i suoi edifici alti e costruiti l'uno attaccato all'altro e i templi giganteschi con le loro imponenti statue in pietra e metallo. Era così che si sentivano gli umani di fronte agli dei? Non si era mai sentita così minuscola in vita sua, nemmeno quando Ade l'aveva rapita, nemmeno quando si era ritrovata trasformata nella nuova regina dell'Oltretomba.
Le veniva quasi da ridere: chi l'avrebbe mai detto che avrebbe rimpianto quei momenti?
Nel frattempo Zeus, in testa alla fila, stava bussando prepotentemente ai cancelli dorati della villa, facendoli sbatacchiare fragorosamente. Un servo apparve d'un tratto, allarmato. “Ma che cosa state facendo, si può sapere?” chiese in tono scandalizzato.
“Voglio parlare con Ercole.” rispose Zeus, esasperato. “Digli che suo padre e sua madre hanno bisogno di lui.”
L'uomo al di là dei cancelli sembrava perplesso. “Suo padre? Sua madre? Ma siete impazziti?”
Zeus tirò un ennesimo pugno alle sbarre dorate. “Maledizione, fa' come ti dico!”
Il servo lo guardò con tanto d'occhi, evidentemente in dubbio su come procedere. “Io...avvertirò il padrone della vostra presenza.” risolse infine, titubante. Fece marcia indietro e si allontanò a passo veloce, guardandosi un paio di volte alle spalle.
***
“Padron Ercole! Padron Ercole!” chiamò il brav'uomo una volta rientrato. Non ottenendo risposta, ritentò, spostandosi dalle cucine alle stalle e infine nel cortile interno della villa.
“Ehi, amico. Cos'è tutto questo baccano?” lo apostrofò all'improvviso Phil, sbucato da dietro un cespuglio. “Un satiro per bene non può neanche farsi un pisolino dopo pranzo in santa pace...” borbottò stiracchiandosi e facendo scrocchiare un paio di vertebre nel mentre.
“Ci sono delle persone ai cancelli.” rispose semplicemente il servo, intimorito dal satiro nonostante lo superasse di gran lunga in altezza.
“Ah sì? E che cosa vorrebbero queste persone, di grazia?” lo rimbeccò Phil grattandosi il fondoschiena.
“Non l'hanno detto...dicono solo che hanno bisogno di vedere padron Ercole e che ci sono suo padre e sua madre o qualcosa del genere.”
Phil stava per replicare quando Meg fece la sua comparsa sull'uscio, guardandolo in cagnesco. “Ercole sta dormendo, e anche la bambina. Se si sveglia tocca a te farla riaddormentare, ti avverto.”
Il vecchio satiro deglutì rumorosamente. “Non è colpa mia, è lui che urla...” Meg gli fece abbassare la voce con un solo sguardo. “...dice che c'è della gente alla porta che vuole vedere Herc.” continuò bisbigliando.
Megara si mise le mani sui fianchi. “E chi sarebbe questa gente? Mi auguro per loro che non siano altre ammiratrici in calore.”
Il servo scosse la testa. “No, mia signora. Sembravano dei mendicanti...ce n'era uno grande e grosso che credo fosse il loro leader. Ha detto che suo padre e sua madre – di padron Ercole, intendo – avevano bisogno di lui. Non so cosa volesse dire, i genitori del buon padrone sono qui in casa, no?”
Meg non parve far caso alle parole dell'uomo. “Ci penso io.” tagliò corto incamminandosi verso i cancelli. Uscita dalla porta principale, poteva effettivamente vedere da lontano la piccola folla che si era ammassata proprio di fronte all'entrata. Si diresse verso di loro, pronta a trattarli a muso duro se fosse stato necessario.
A mano a mano che si avvicinava ai cancelli, la sua curiosità cresceva. Sembrava trattarsi di mendicanti, forse in cerca di un po' di cibo. Lungi da lei mandare via dei bisognosi, ma chiunque sapeva che per ricevere aiuto bisognava passare dalla foresteria dall'altro lato della strada. Non si era mai sentito di mendicanti che bussassero alla porta principale.
Si fermò a qualche metro dal cancello. “Mi hanno detto che avete bisogno di Ercole. Io sono sua moglie, in cosa posso esservi utile?”
Il colosso in prima fila sorrise, imbarazzato. “Mia cara, non avrei certo voluto incontrarci in simili circostanze...” esordì evitando di guardarla in faccia.
Meg sollevò un sopracciglio. “Come, prego?”
“Lascia fare a me, caro.” intervenne una donna dai capelli rossi scarmigliati, alta e slanciata. “Megara, giusto?”
Meg rimase interdetta per qualche momento, poi le parole del servo le tornarono in mente e capì. Sgranò gli occhi e rimase a bocca aperta, suo malgrado.
“Voi...siete...”
Quella che doveva essere Hera le rivolse un mesto sorriso. “È una storia lunga e complicata.”
La giovane donna sbatté le palpebre. Come era possibile una cosa del genere? Lei li aveva visti, gli dei, in tutto il loro accecante splendore, dopo che Ercole le aveva salvato la vita... quelli non erano dei, non potevano essere dei. Eppure, ora che li guardava meglio, quelli erano proprio gli stessi occhi blu del suo Megafusto, e quello era il suo mento, e il suo naso...
“Vi faccio subito entrare.” disse armeggiando con il lucchetto del cancello, che si aprì cigolando.
La colonna di divinità scese in terra si mosse e Meg si spostò da un lato per farle passare. Tutti le diedero un'occhiata, persino le donne, mentre lei li fissava a sua volta, cercando di indovinare chi fosse chi. La donna con l'elmo in testa poteva solo essere Atena, si disse, e il piccoletto con gli occhiali storti Hermes.
Poi, dietro a tutti gli altri, lo vide. L'avrebbe riconosciuto subito, se non se ne fosse stato nascosto in fondo. La soddisfazione che provò nel vederlo così malridotto fu tale da gonfiarle il petto... e all'improvviso scoppiò a ridere, così fragorosamente che tutti si girarono a guardarla, ma in quel momento non le importava: aveva le lacrime agli occhi. Ade digrignò i denti e si voltò dall'altra parte, cosa che servì solo a farla ridere più forte.
Meg rise a crepapelle, piegandosi in due, faticando a prendere fiato. Erano anni che non rideva così di gusto.
Bentrovati, gentili lettori.
Lo so cosa state pensando: “Un aggiornamento nel corso di una settimana? Impossibile!”
Sì, sono stupita anche io della cosa, ma il capitolo era pronto e volevo farmi perdonare per i mesi di assenza. Spero che vi sia piaciuto. Meg può sembrare un po' OOC alla fine, ma io penso che una volta ogni tanto una bella risata se la faccia anche lei. ;)
Vi mando un mare di baci. Alla prossima, con la reazione del nostro Megafusto. :P
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Capitolo 22 *** Silver linings ***
Silver linings
Zeus ed Hera si erano accomodati su un paio di sedie di fronte al tavolo da pranzo in noce, mentre il resto degli dei dell'Olimpo se ne stava raggruppato in un angolo della sala.
Alcmena e Anfitrione, anch'essi seduti, li occhieggiavano dall'altra parte del tavolo. L'anziano contadino non riusciva a capacitarsi di ciò che si trovava di fronte. In tutta la sua vita aveva creduto negli dei e li aveva pregati assiduamente, ma non avrebbe mai immaginato che un giorno li avrebbe incontrati faccia a faccia...certo, dato che Ercole era per metà un dio, forse avrebbe dovuto aspettarselo.
Di sicuro la sua vita non era stata priva di sorprese.
“Credo che un ringraziamento sia d'obbligo.” esordì Alcmena, sorridendo imbarazzata.
Zeus ed Hera le lanciarono un'occhiata perplessa.
L'anziana donna posò una mano rugosa su quella del marito. “Abbiamo pregato per anni di avere un figlio, ma non è mai successo. E poi, beh, abbiamo trovato Ercole. Averlo come figlio è stata la gioia più grande della nostra vita...”
Hera si accigliò, seppur impercettibilmente, mentre Zeus corrugò la fronte.
“Volevamo solo ringraziarvi per aver risposto alle nostre preghiere.” concluse Alcmena. “La vostra benevolenza e la vostra generosità sono infinite.”
Zeus si dimenò sulla sedia, facendola scricchiolare in modo preoccupante. “Beh, ecco...noi...” balbettò, lo sguardo che saettava dalla coppia di vecchietti alla moglie.
“Non siamo stati noi a decidere che Ercole diventasse mortale.” disse Hera cupamente. “Né sapevamo dove fosse finito prima che voi lo trovaste.”
La notizia parve spiazzare Alcmena. “Oh...capisco.” fece la donna, una nota di delusione nella voce.
Anfitrione si schiarì la voce. “Cara, te l'avevo detto. Gli dei non fanno caso ai poveretti come noi, hanno ben altro di cui occuparsi...” disse con voce roca sorridendo mestamente. “Perdonateci se abbiamo avuto la sfacciataggine di pensare che...”
In quel momento, Ercole fece il suo ingresso in sala da pranzo e tutti gli occhi dei presenti si puntarono su di lui. Megara lo seguiva a breve distanza, a braccia conserte.
Il ragazzo corrugò la fronte alla vista dei genitori biologici, un'espressione di smarrimento negli occhi azzurri. “Allora è vero. Siete davvero qui.” mormorò prendendo la mano sottile della madre tra le sue. “Padre, madre, che cosa vi è successo?”
“Figlio mio...” lo salutò Hera passandogli le braccia intorno al collo.
Zeus, alzatosi in piedi, gli mollò una pacca sulla spalla che però non lo smosse di un millimetro. “Figliolo, dobbiamo parlare.”
“Forse prima dovreste riposare e rifocillarvi.” intervenne Megara. “Sembrate esausti.”
Zeus sospirò pesantemente. “Temo che la tua graziosa consorte abbia ragione. Anche un bel bagno caldo sarebbe ben accetto.”
“Ma certo, padre.” acconsentì Ercole, facendo scorrere lo sguardo sul resto delle ex-divinità che si reggevano a stento in piedi. Si irrigidì nel riconoscere Ade. “Che ci fa lui qui?” ringhiò minacciosamente.
“È quello che ci stiamo chiedendo un po' tutti, credo.” disse Megara alzando un sopracciglio.
Ade li guardò in cagnesco senza fiatare.
“È una storia lunga.” intervenne Atena, raddrizzandosi l'elmo ammaccato in testa. Nonostante le sue condizioni, emanava ancora un'aria di superiorità e di profonda saggezza. “Ragioneremo tutti molto meglio dopo un buon riposo e a stomaco pieno.”
Ercole parve rifletterci su. Si vedeva benissimo che l'idea di fornire vitto e alloggio al dio che aveva attentato alla sua vita più di una volta e che aveva schiavizzato sua moglie non gli andava per niente a genio. Suo malgrado, infine annuì lentamente e Megara annunciò che avrebbe avvertito i servi di preparare un bagno caldo per gli ospiti e di iniziare a cucinare.
Ercole invitò gli ex-dei ad accomodarsi nel cortile interno. “Mamma, papà”, disse poi rivolto ad Anfitrione e Alcmena, “posso accompagnarvi in giardino se volete.”
“Oh, no, figliolo...stiamo bene qui, ti ringrazio.” rifiutò con fermezza Anfitrione.
“Tuo padre deve fare il suo pisolino.” aggiunse Alcmena sforzandosi di sorridere.
Il giovane le accarezzò con estrema delicatezza i capelli grigio ferro. “Se avete bisogno non esitate a chiamarmi.” disse congedandosi.
Anfitrione osservò il possente figlio uscire dalla sala da pranzo al seguito degli dei. Una fastidiosa sensazione di malinconia lo opprimeva e sapeva che Alcmena stava provando la stessa cosa. Le strinse la mano. “Ci ha chiamati mamma e papà, nonostante tutto.” osservò.
“Che sciocca che sono. Credevo davvero che avessero risposto alle nostre preghiere...che fosse destino che lui fosse nostro figlio. Invece è stato solo un caso.” mormorò Alcmena abbassando lo sguardo.
“Anche gli dei sono sottoposti al volere del fato.” le ricordò lui. “Sono convinto che non si sia trattato di un caso. E lui sarà sempre nostro figlio.”
***
Ercole intercettò Ade lungo il corridoio che conduceva al cortile interno della villa: era rimasto un po' indietro rispetto agli altri, probabilmente perché nemmeno loro volevano avere niente a che fare con lui. La cosa non sorprese affatto l'eroe.
“Prova solo a fare il furbo, Ade,” esordì d'un tratto, bloccandolo il nemico contro il muro affrescato, “e giuro che non ti rimarrà neanche una di quelle zanne che ti ritrovi in bocca, perché te le farò cadere tutte a suon di pugni.”
L'ex-dio dei morti non riuscì a trattenere una risatina. “Devi lavorare un po' sul carisma, Megafusto. Le frasi ad effetto non sono il tuo forte.”
“Io non abbindolo la gente con le parole come fai tu, Ade. Sono le azioni che parlano per me.” replicò il ragazzo spingendo il braccio destro sulla gola del dio.
Ade annaspò. “Non preoccuparti, non sono certo qui per rubarti la tua dolce metà. Sono un uomo sposato, adesso.” sibilò cercando senza successo di togliersi di dosso il giovane.
Ercole fece del suo meglio per non farsi distrarre da quella sorprendente novità. Si chiese distrattamente chi fosse la poveretta in questione, sempre ammesso che Ade dicesse sul serio.
Si accigliò ancora di più. “Tu dammi solo un pretesto e ti farò uscire da casa mia a calci. Tienilo bene a mente.” Si scostò, interrompendo la pressione sulla trachea di Ade, e riprese a camminare senza degnarlo di un'altra occhiata.
***
Ore dopo, con il tramonto che dipingeva il cielo di rosa e arancione, l'umore generale nella villa dell'eroe era decisamente migliorato. Raccolti attorno alla tavola, illuminata languidamente da candele, gli ex-dei dell'Olimpo banchettavano come mai prima di allora, chi seduto sulle sedie e chi adagiato sui soffici divanetti. Ognuno di loro aveva sperimentato lo spettro della fame e ai loro nuovi occhi umani il cibo terrestre appariva improvvisamente molto più allettante dell'ambrosia. E non si trattava certo di cibo qualunque, lo sapevano bene: Ercole si poteva permettere le più squisite leccornie, e in effetti ciascuna divinità decaduta sentiva di meritarsi solo il meglio. Dopotutto avevano affrontato una terribile minaccia e, come se non bastasse, avevano subito tre settimane di marcia non-stop e di atroci privazioni!
Ercole aveva fornito loro vestiti nuovi e puliti, che Bacco aveva già provveduto a macchiare di vino. Tutti gli dei, in realtà, si erano tuffati nel vino senza remore, chi per ingordigia, chi per annebbiare il dolore e la paura. Poseidone rimpiangeva di non essere stato al fianco della moglie nel momento fatidico: non aveva idea di come stesse, né se fosse ancora una ninfa o se si fosse trasformata in un'umana a sua volta.
Demetra, Hestia e Hera si erano riunite attorno a Ercole e lo stavano tempestando di domande e di leziosi complimenti; Afrodite se la spassava con Phil, al settimo cielo perché riceveva le attenzioni di una dea in preda ad una crisi di autostima e quindi con standard improvvisamente bassi; Persefone sbadigliava apertamente, la guancia poggiata sulla mano destra. Aveva bevuto appena un bicchiere e mezzo, ma già sentiva la testa girare in preda ad una deliziosa quanto curiosa leggerezza. Non sapeva come avrebbero fatto a risolvere quella spiacevole situazione, né se ne sarebbero stati in grado, ma in quel momento le sue preoccupazioni le sembravano lontane, lontane...
“Ho saputo che sei la nuova sposa di Ade.” le fece una voce di donna alla sua destra.
Persefone si girò, piccata, trovandosi faccia a faccia con la moglie del loro ospite. Era senz'altro molto affascinante, per essere una mortale, rifletté Persefone con una punta di inspiegabile gelosia. I lunghi e ondulati capelli castani le incorniciavano il volto dagli zigomi alti e il mento appuntito; gli occhi, di un singolare blu tendente al viola e dalle ciglia assurdamente lunghe, erano fissi su di lei e manifestavano un vivido interesse.
“Per mia immensa sfortuna, sì.” biascicò l'ex-dea, allungando una mano verso la brocca del vino. “Sei qui per prendermi in giro?”
La giovane donna sollevò un sopracciglio. “Niente affatto. Volevo solo esprimere la mia solidarietà nei tuoi confronti.”
Fu il turno di Persefone di sollevare un sopracciglio. “Nessuno te l'ha chiesto.” disse versandosi un altro bicchiere di vino rosso. “Che ne sai tu di cosa si prova...”
“Forse più di quanto tu non creda.” replicò la donna prendendo da bere a sua volta. “Sono stata legata ad Ade da un patto per oltre un anno, il più lungo e difficile della mia vita.”
Persefone rimase a fissarla a bocca aperta. Quella donna, la moglie di Ercole, quella che lui aveva tratto in salvo dal vortice della morte...aveva una relazione pregressa con Ade? Non ne aveva idea! Perché nessuno l'aveva informata?
“Che genere di patto?” le chiese socchiudendo gli occhi.
La giovane bevve un sorso di vino. “Quello più terribile di tutti. Gli vendetti la mia anima per salvare la vita di un uomo. Anche se definirlo uomo è un complimento, per un verme come lui.” ammise con una smorfia.
Persefone corrugò la fronte. “Perché l'hai fatto?”
“Beh, all'epoca lo amavo. Ero giovane e stupida.”
L'ex-dea abbassò lo sguardo, rimuginando su quelle parole. Quella donna aveva sacrificato la sua vita per amore di un uomo. Si chiese se avrebbe mai avuto l'occasione per sperimentare in prima persona cosa si provasse, ad amare qualcuno. Le tornò in mente Cupido e la proposta che le aveva fatto. Non aveva idea di che fine avesse fatto: anche lui era dato per disperso, come Amphitrite e tanti altri.
“Comunque, io ero completamente in suo potere, all'epoca. Almeno tu hai la possibilità di opporti al suo volere.” le disse l'altra prima di sorbire un altro sorso.
Persefone si lasciò sfuggire un gemito. “Già, è davvero una fortuna. In compenso sono legata a lui per tutta l'eternità...a meno di non restare mortale per il resto della vita, in tal caso la mia pena sarà drasticamente ridotta. Heh, a quanto pare si può trovare il lato positivo di ogni disgrazia, quando si è abbastanza ubriachi!” esclamò ridacchiando. “Vediamo se riesco a trovare altri lati positivi.” aggiunse trangugiando l'intero contenuto del bicchiere.
“Lungi da me vietarti di bere ancora, vista la tua situazione, ma ti assicuro che più starai bene adesso, peggio starai domattina.”
Persefone sbuffò rumorosamente. “La condizione umana fa davvero schifo. Insomma...com'è che ti chiami, tu?” borbottò indicandola.
“Megara. Meg per gli amici.” rispose lei abbozzando un sorriso.
“Megara. Che nome strano...io sono Persefone. Che immagino sia un nome altrettanto strano.” Si mise a ridere di nuovo.
“Insomma, Megara, non avete davvero un attimo di pace, voi mortali. Appena siete sazi diventate sonnolenti, poi c'è la sete, poi il bisogno di urinare, poi di nuovo la fame, poi il dolore fisico...cioè, è uno schifo continuo! Davvero, come fate a vivere così? È uno strazio! È mille volte peggio dell'Oltretomba, te lo dico io che ci sono stata...cioè, davvero, perché non vi suicidate e la fate finita e basta...cioè...”
Megara le lanciò un'occhiata divertita. “Ok, penso che per stasera il vino possa bastare.” mormorò allontanando la caraffa con un gesto deciso.
“Ehi, ma chi ti credi di essere...ridammelo...guarda che sono una dea, io!” protestò debolmente Persefone, che teneva a stento gli occhi aperti.
“Certo che lo sei.”
“Sono...la regina dell'Oltretomba...sono molto importante, me l'hanno detto Pena e Panico...”
“Ah beh, se te l'hanno detto loro...” commentò Meg, ma il suo sarcasmo passò del tutto inosservato alla fanciulla accasciatasi a faccia in giù sul tavolo in noce.
E rieccoci qui, gentili telespettatori... :D
Lo so, lo so, sono in ritardo, ma questa volta ho una buona scusa ragione: avevo la tesi da finire. E adesso sono ufficialmente laureata in Conservazione e gestione dei beni culturali! Cum laude! E quindi vedete bene che ne è valsa la pena. :3
Ma a parte questo, che ne dite del capitolo? Seph ubriaca è o non è stupenda? xD E che ne dite della breve conversazione di Alcmena e Anfitrione con Zeus e Hera? Questa è una cosa che mi ha sempre dato fastidio, anche da bambina: Alcmena crede che gli dei abbiano mandato Ercole sulla terra in risposta alle loro preghiere, ma in realtà agli dei non gliene frega una cippa delle loro preghiere. Se c'è da ringraziare qualcuno, bisognerebbe ringraziare Ade e soprattutto Pena e Panico per essere precipitati a terra mentre portavano il bambino (a mo' di cicogna ubriaca...).
Beh, spero che il capitolo vi sia piaciuto. ;) Alla prossima: se non rispondo alle vostre recensioni è perché tra poco mi trasferisco e non avrò internet per i primi giorni. Un bacione a tutti! ^3^
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Capitolo 23 *** Jealous much? ***
Jealous much?
Persefone ebbe la sensazione che qualcuno le stesse perforando la tempia con un trapano appuntito. Si portò una mano tremante alla testa, gorgogliando molto poco graziosamente mentre tentava di alzarsi a sedere.
Socchiuse gli occhi, scorgendo a malapena i confini della camera in cui si trovava. Non era una stanza grande, ma era senz'altro ben arredata, con le pareti dipinte di una calda tinta marrone e un grande specchio appoggiato a un cassettone in legno.
Un'altra fitta di mal di testa la fece rannicchiare su se stessa. Odiava essere mortale. Per Zeus, avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare ad essere se stessa...anche se aveva subito talmente tante metamorfosi, nel giro di quella manciata di mesi, da non riconoscersi quasi più.
Si trascinò di fronte allo specchio, tenendosi la testa tra le mani. Aveva delle occhiaie spaventose, i capelli erano un cespuglio informe pieno di nodi e doveva aver sbavato durante la notte...per poco non scoppiò in lacrime, poi il suo sguardo cadde su un pettine in avorio e si ricompose.
Almeno non ho gli occhi rossi, pensò adoperandosi per riacquistare un aspetto decente. Ma come accidenti fa Megara a essere così perfetta?, si chiese, indispettita. Quella mortale dalle labbra rosse e gli occhi languidi era stata al servizio di Ade per un anno, o almeno così le sembrava di aver capito. Magari avrebbe potuto darle dei consigli su come comportarsi con lui...non che le importasse, beninteso.
Una volta pettinati i lunghi capelli biondi, si aggiustò per bene il chitone bianco che le avevano offerto in regalo i suoi ospiti, si sciacquò il viso nel catino di fianco al letto ed uscì dalla stanza con movimenti cauti per non farsi esplodere l'emicrania nella testa.
Il corridoio in cui si trovava era deserto. Facendosi guidare dalle correnti d'aria, Persefone lo percorse fino ad arrivare al cortile interno che aveva visitato il giorno prima. A giudicare dalla posizione del sole, doveva essere mattina tardi. Il suo pensiero volò ad Helios, anche lui assente quando si erano risvegliati alle pendici del monte Olimpo e considerato disperso. Anche se forse, si disse abbassandosi ad accarezzare i fiori in vaso, quelli realmente dispersi erano loro.
Una figura si mosse nel suo campo visivo e alzò lo sguardo per metterla a fuoco. Si trattava di un giovane uomo che non aveva mai visto prima, probabilmente uno dei servitori di Ercole. Era abbigliato con una corta tunica beige che gli lasciava scoperti le gambe e gli avambracci scolpiti; tra le braccia portava due grandi pithoi in argilla dall'aria pesante.
Il giovane rallentò il passo, accortosi della sua presenza, e Persefone si raddrizzò di scatto, imbarazzata. Una fitta tremenda le percorse la fronte e si portò una mano alla testa, barcollando leggermente.
“State bene, signorina?” la chiamò, avvicinandosi in fretta.
“Uh, no, non è niente...è solo un mal di testa...” balbettò lei, sentendo le guance imporporarsi. Il ragazzo si fermò a un metro di distanza da lei, la fronte corrugata. “Posso fare qualcosa? La riaccompagno in casa?”
Persefone lo fissò, incapace di proferire parola: era l'uomo più bello che avesse mai visto. Non che ne avesse visti molti, a onor del vero, ma il suo aspetto era tale da toglierle il fiato: riccioli bruni gli ricadevano sulla fronte alta, appena sopra agli occhi verde prato, incorniciati da lunghe ciglia nere. La sua carnagione era olivastra, scurita forse dall'abbronzatura.
“Signorina?” le fece, evidentemente preoccupato dal suo silenzio e dalla sua espressione imbambolata.
“No, no, ero uscita per prendere un po' d'aria...” disse lei gesticolando in direzione della propria stanza.
Lui accennò un sorriso tutto fossette che la fece tremare da capo a piedi. “È meglio non fissare il sole con il mal di testa.”
Persefone annuì lentamente, come ipnotizzata. “Credo che tu abbia ragione.” biascicò mentre il cuore sembrava volerle uscirle dal petto. Deglutì a fatica.
L'uomo fece un mezzo inchino, accennando ad andarsene.
“Aspetta!” esclamò lei, cercando di pensare in fretta a una scusa per non farlo andare via. “Potresti...ehm...mostrarmi come arrivare in sala da pranzo? Ho un po' fame.” buttò lì sorridendo.
“Ma certo.” rispose lui, solerte. Reggeva ancora i pithoi tra le braccia, ma la cosa non sembrava dargli per nulla fastidio. “Mi segua.”
***
“Urano ci ha resi mortali per punirci.” esordì Zeus in tono grave. “Considera gli esseri umani creature infime e patetiche e ha deciso di farci vivere e morire come tali.” Lanciò un'occhiata imbarazzata ad Ercole. “Senza offesa, figliolo.”
Il ragazzo scosse la testa. “Quindi adesso è Urano a governare il mondo?”
“Governa molto di più, temo.” rispose Zeus, afflitto.
“L'intero cosmo.” intervenne Atena in tono lugubre. I restanti ex-dei restarono in silenzio, i volti corrucciati.
Ade fece una smorfia. L'intero cosmo...egli stesso aveva aspirato a conquistarlo, in quella che gli sembrava un'altra vita, e che a pensarci bene in un certo senso lo era stata.
Appoggiò la guancia destra sulla mano. Era così stanco. Detestava ammetterlo a se stesso, ma si sentiva vecchio, come se il peso di tutti i suoi secoli gli fosse improvvisamente crollato addosso.
Un'idea inquietante gli si fece strada nella mente: e se si fosse ammalato? Sarebbe stata una cosa grave? L'avrebbe debilitato a lungo? Avrebbe potuto...ucciderlo?
La stanza in cui si trovavano, il tavolo attorno a cui si erano riuniti per discutere della situazione, Megafesso e tutti i suoi detestati colleghi scomparvero dal suo campo visivo, mentre un solo pensiero gli occupava la mente: sarebbe potuto morire.
Era buffo, in realtà, che non avesse realizzato quella piccola, odiosa verità fino a quel preciso momento. Eppure era così: sarebbe bastato un solo attimo di disattenzione, un solo passo falso, un unico insulso raffreddore per fargli tirare le cuoia, e qualcosa gli diceva che non ci sarebbe stato nessun Megafusto a salvarlo dallo Stige.
Per la prima volta in tutta la sua lunga esistenza si sentì in completa balia degli eventi: non aveva più alcun controllo sulla sua vita. Sarebbe morto come un signor nessuno e nessuno l'avrebbe rimpianto.
“...non si è ancora manifestato sulla terra, e non sappiamo quando deciderà di farlo,” proseguì intanto Zeus, ignaro delle cupe elucubrazioni del fratello, “ma temo che non avrà riguardi per nessuno, essere umano o divinità. Siamo sull'orlo di un'era oscura.”
Ade ripensò allo Stige, ai miliardi di anime intrappolate al suo interno ed alle sue acque verdi e putride che bruciavano come sale sulle ferite, e miriadi di puntini neri iniziarono ad offuscargli la vista.
“Deve pur esserci un modo per intervenire!” protestò Ercole serrando i pugni.
Gli ex-dei si guardarono l'un l'altro, come aspettandosi che qualcuno se ne uscisse con un'idea geniale di punto in bianco.
Atena si schiarì la voce. “Ci sarebbe un modo per riacquistare lo status di divinità...”
Ade si scostò bruscamente dal tavolo, facendo strisciare le gambe della sedia sul pavimento, si alzò in piedi e fece per allontanarsi, brancolante: non riusciva a vedere nulla e gli mancava il fiato.
“Ehi, cosa pensi di fare?!” gli abbaiò dietro Ares, scattando in piedi.
Ade non gli prestò la benché minima attenzione, le orecchie che ronzavano come vespe rabbiose. Riuscì a trascinarsi fino alla porta, la aprì e se la chiuse alle spalle, incespicò e cadde a faccia in giù.
Non ricordava di essersi mai sentito così male, in tutta la sua lunga esistenza. Si convinse di essere sul punto di morire e, suo malgrado, non riuscì a soffocare un singhiozzo. Sarebbe morto, sarebbe rimasto intrappolato per sempre nel vortice di fuoco, sprofondando sempre più giù, sempre più giù...
“Cosa diamine stai facendo?” gli fece all'improvviso la voce oltremodo seccata di Meg, al di là del ronzio.
Ade digrignò i denti per lo sforzo e sollevò appena la testa. “Sto morendo, Meg! Sto morendo!” piagnucolò mentre sbatteva freneticamente le palpebre nel tentativo di vedere qualcosa.
La sentì sbuffare. “Non essere ridicolo!”
“Vedo tutto nero...sento le forze mancare...” biascicò respirando affannosamente.
La donna si chinò su di lui. “Stai avendo un malore, tutto qui. Piantala di fare il buffone e alzati.”
“Non riesco..! Non ne ho la forza!” annaspò l'ex-dio dei morti. “Mi devi aiutare, Meg! Aiutami!” la supplicò con la voce più pietosa che gli riuscì di fare.
“Hmm...hai proprio una brutta cera. Forse mi sbaglio e stai davvero per morire...” fece lei senza preoccuparsi di nascondere il divertimento.
Ade emise un grido strozzato. “Ti prego, Meg, ti prego, non lasciarmi morire!”
La donna rise. “Perché mai dovrei farlo?”
“Io ho fatto in modo che il tuo uomo vivesse!” le ricordò lui, mentre il ronzio alle orecchie scemava e la vista gli si schiariva. Forse non stava morendo, dopotutto, rifletté sentendosi incredibilmente sollevato.
Meg sbuffò di nuovo. “A carissimo prezzo!”
“Ehi, io ho fatto la proposta, sei tu che hai accettatnnngh.” fece lui quando lei gli calpestò la mano sinistra.
“Prometti che lascerai in pace me e la mia famiglia, da questo momento in poi.” gli intimò con ferocia.
Ade emise un grido strozzato. “Mi stai frantumando la mano!” protestò cercando di sfilarla da sotto il piede di lei. Era incredibile quanta forza avesse quella ragazza, nonostante il fisico minuto...
“Promettilo!”
“Okay, okay! Lo prometto!”
Meg scostò il piede. Cauta, gli si accostò e gli passò un braccio sotto l'ascella sinistra. “Pesi una tonnellata, maledizione...” si lamentò tirandolo bruscamente verso l'alto.
Ade non replicò. La vista gli si era schiarita quasi del tutto, ma si sentiva debolissimo e a stento riuscì a mettersi in piedi.
“Vieni, ti porto in camera.” gli fece Meg, iniziando lentamente a camminare. Ade la imitò, poggiando gran parte del proprio peso su di lei.
“Non ho ancora scartato del tutto...l'ipotesi di stare morendo.” ammise arrancando.
“Credimi, non chiederei di meglio.” replicò la giovane, tremante sotto il suo peso.
Ade fece un pallido sorriso. Doveva ammettere che gli era mancato il suo inossidabile sarcasmo. “Credo davvero che tu...sia troppo dura con me. Non sono stato un buon boss?”
Meg lo fulminò con lo sguardo.
Ade scorse l'entrata della sala da pranzo. “Aspe...aspetta. Fammi sedere...cinque minuti.”
Lei annuì. “Per una volta sono d'accordo con te, boss.”
Entrati in sala da pranzo, furono accolti dalla risata squillante di Persefone, in piedi di fronte ad un tizio muscoloso dall'aria piuttosto compiaciuta. “Oh, come sei divertente! Raccontamene un'altra, ti prego!” trillò l'ex-dea, che non si era accorta del loro arrivo.
Ade sollevò un sopracciglio, poi socchiuse gli occhi. Il giovane uomo lo guardò, corrugando la fronte.
Ade si irrigidì e decise tra sé e sé che poteva aspettare ancora un po' prima di sedersi. Meg gli lanciò un'occhiata perplessa.
“Sì, raccontacene un'altra!” esclamò d'un tratto, glaciale. “Voglio ridere anch'io.”
Persefone si girò a guardarlo, gli occhioni tondi spalancati. “Ad...eh...sei tu!” balbettò, arrossendo all'istante.
Il tizio le sfiorò il braccio nudo, un gesto che ad Ade non piacque nemmeno un po'. “Ehm...c'è qualche problema?” chiese, un'espressione confusa stampata sul volto dai tratti regolari.
“Nooo, figurati!” rispose subito Ade, sorridendo minacciosamente. “Sono sempre molto contento quando qualcuno intrattiene mia moglie. Giusto qualche settimana fa abbiamo avuto degli ospiti molto graditi, tanto che mi sono rifiutato di farli andare via da casa mia.” raccontò, mentre il rossore sulle guance di Persefone svaniva, sostituito da un pallore malsano. “Ricordi, Seph? Due giovani e aitanti eroi, anche se, devo ammetterlo, non aitanti come lui...”
Il ragazzo fece un passo indietro. “Io...io non sapevo che fosse sposata, signore...”
Ade cedette alla debolezza e si sedette ad un capo del tavolo, senza però distogliere lo sguardo dall'uomo. “No, certo che no. Immagino che si sia ben guardata dal dirtelo.”
“Non si può biasimarla.” osservò Meg, facendo rapidamente segno al ragazzo di andarsene.
Ade finse di non averla sentita. Avvertì distintamente la rabbia montargli dentro e rimpianse di non poterla incanalare in un paio di fasci di fiamme roventi da dirigere dritti dritti verso il belloccio che si trovava di fronte.
“Chiedo scusa, signore.” biascicò il giovane prima di andarsene in fretta e furia.
Persefone lo seguì con lo sguardo, incapace di proferire parola. Dopodiché si girò verso di lui, il viso contorto in una smorfia di rabbia.
“Bene, Meg, ora puoi portarmi a letto.” fece Ade sogghignando.
“Non credo proprio.” replicò lei incrociando le braccia al petto.
Persefone gli si avvicinò e sbatté con violenza le mani sul tavolo. “Si può sapere che problemi hai?!” gridò con tutto il fiato che aveva in gola.
Ade non si scompose. “La mamma non ti ha insegnato il significato di adulterio, riccioli d'oro?”
“Stavamo solo parlando!”
“A me non parli mai così.”
Persefone boccheggiò. “Che...cosa...cosa ti importa?!”
“È una questione di principio.” rispose lui candidamente.
“Principio?! Che ne sai tu di...urgh, ti odio! Non provare...non azzardarti a rovinarmi anche questa cosa, o giuro che...”
“Quale cosa, Seph? Vuoi fuggire con un mortale qualunque? Vuoi innamorarti di un mortale qualunque?!”
“Lui non è un mortale qualunque!” protestò la ragazza. “E comunque...sempre meglio che restare insieme a te!”
Meg indietreggiò silenziosamente. “...vi lascio soli.”
Aggiornamento natalizio lampo venti minuti prima di partire per l'Austria. :D
Vi auguro della bellissime vacanze! Scusate se non ho risposto alle ultime recensioni, non ho avuto tempo. Ma sono contenta di essere almeno riuscita ad aggiornare prima della fine dell'anno. Un bacione a tutte! :*
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Capitolo 24 *** Mother of dreams ***
Mother of dreams
I due coniugi si guardavano in cagnesco, separati solo dal lungo tavolo ligneo della sala da pranzo. Chiazze rosse erano fiorite sulle guance di Persefone, che teneva ancora le mani appoggiate al tavolo, la schiena curva in avanti e il respiro affannoso.
Ade non era meno arrabbiato: se fosse stato ancora un dio, si sarebbe senz'altro ricoperto di fiamme aranciate da capo a piedi. “Ascoltami bene, fiorellino.” esordì, una nota bassa e minacciosa nella voce. “Credi che il fatto di essere sposato con te mi faccia fare i salti di gioia?! Perché, forse ti è sfuggito, non è così!”
Persefone quasi si strozzò per la frustrazione. “Beh, genio, è tutto merito tuo se adesso siamo sposati! Per quanto mi riguarda, non c'è giorno della mia esistenza che non rimpianga più di quello!”
“Lasciami finire di parlare, razza di isterica!” replicò Ade, alzando ancora di più il tono della voce. Sapeva che probabilmente tutta la villa li stava ascoltando – o magari tutta Tebe, chissà -, ma arrivato a quel punto non era minimamente in grado di trattenersi. “Resta comunque il fatto che siamo sposati, per l'eternità, e se credi che me ne starò come un allocco a fare finta di niente mentre mia moglie se la fa con gli stallieri, non mi conosci affatto!”
La giovane si staccò di scatto dal tavolo, allontanandosi bruscamente da lui. “Tu...sei...la persona che più odio al mondo.” ringhiò, puntando l'indice verso di lui. “Non solo mi hai condannata a una vita nell'Oltretomba, lontana da tutto ciò che è bello, ma vuoi perfino impedirmi di amare! Lo so che l'AMORE è un concetto che a te sfugge completamente, ma per me è importante! È tutto!”
“Ah, certo, conosci un tizio attraente per la bellezza di cinque secondi, gli fai gli occhioni dolci e improvvisamente diventi un'esperta dell'AMORE!” sbottò lui, mimando le virgolette alla parola amore.
“Senza dubbio ne so più di te! Sai cosa credo? Credo che tu sia fisiologicamente incapace di amare.”
Ade sollevò un sopracciglio, incredulo. “Fisiologicamente incapace..?”
“Sì! Devi avere un'allergia o qualcosa di simile! Per te è fisicamente impossibile voler bene a qualcuno, o anche solo compiere un'azione che non sia volta esclusivamente al tuo vantaggio personale! Usi la parola, ma non ne capisci il significato, non ne hai minimamente idea!”
“Ok, Seph, ora stai delirando.”
“No! È la pura verità.” continuò lei, gli occhi che brillavano di una luce malsana. “E ti dirò di più, sei pure un ipocrita. Credi che non abbia notato come la guardi? Ora puoi portarmi a letto, Meg? Che accidenti era quello? E poi vieni a fare la predica a me? Come se te ne importasse qualcosa! Tutto quello che sono, per te, è un'altra pedina sulla tua scacchiera, e il mio compito l'ho portato a termine, quindi perché non mi lasci in pace?” Detto questo, la ragazza gli voltò le spalle, i lunghissimi capelli biondi oscillanti sulla schiena, e marciò fuori dalla stanza.
Ade, rimasto interdetto per una manciata di secondi, si riscosse proprio quando la figura di lei stava per sparire dietro l'angolo: “Allora è di questo che si tratta, riccioli d'oro? Una semplice scenata di gelosia?” le urlò dietro, sogghignando per la soddisfazione di averla smascherata.
Persefone si arrestò all'istante. “Oh, no! No no no no NO!” sbraitò, tornando sui suoi passi. “Io non sono per NIENTE gelosa! Sei tu che hai iniziato a fare il geloso, e per cosa poi? Per uno stupido senso di possesso nei miei confronti, che, mi dispiace deluderti, non esiste se non nella tua testa!”
Ade non si fece intimorire. “Diventi più articolata quando sei arrabbiata. Che si tratti del sangue che ti va alla testa?”
“Smettila di sorridere! Non sono gelosa! Credi che me ne importi qualcosa di te?!” continuò lei, e se fosse diventata più rossa era certo che sarebbe esplosa.
Lui si limitò a fissarla, perfettamente consapevole di metterla a disagio anche senza bisogno di aprire bocca.
D'altra parte, aprire bocca era una delle cose che gli riuscivano meglio, per cui rincarò la dose: “Ora tutto si spiega: mi sembrava effettivamente strano che avessi scelto il primo stalliere che capitava a tiro...”
“Non è uno stalliere, è un addetto alla cura dei cavalli.” sibilò lei tra i denti.
Ade interruppe il suo pontificare per lanciarle uno sguardo che solitamente riservava a Pena e Panico. “Sul serio, Seph? Dobbiamo fare un ripassino del vocabolario? Dopo adulterio, anche stalliere?”
Lei fece del suo meglio per ignorare il commento. “Tu sei quello che mi ha appena fatto una scenata di gelosia. È inutile che adesso rigiri la frittata, i fatti sono fatti.”
Ade sollevò l'indice, come avrebbe fatto un insegnante con uno scolaro poco attento. “Ma solo perché tu mi avevi provocato. E mi avevi provocato perché sei gelosa di Meg.” Le sorrise furbescamente. “Ammettilo, ti sentirai meglio.”
Persefone scosse la testa. “Incredibile.” mormorò, alzando gli occhi al cielo. “Nemmeno se fossi l'ultimo uomo, o dio, sulla terra potrei mai essere gelosa di te.” scandì lentamente, voltandosi nuovamente per andarsene.
“Continua pure a negarlo, ormai ti ho scoperta!” la canzonò lui, divertito, ma questa volta lei non tornò indietro.
***
Persefone si chiuse in camera e, afferrato il cuscino, ci soffocò dentro più di qualche urlo imbestialito.
Come osava, quel...quel...ormai non le venivano nemmeno più in mente dei termini adatti per definirlo! Come osava anche solo insinuare che lei fosse gelosa di lui, quando era tutto il contrario! Anzi, pensò maltrattando ulteriormente il cuscino, come osava anche solo essere geloso di lei! Non ne era degno! Neanche un po'!
Lanciò un altro grido soffocato, lasciandosi mollemente cadere sul letto. Era inammissibile, una cosa del genere! Doveva assolutamente trovare un modo per fargliela pagare una volta per tutte, si disse, ma poi un altro pensiero le attraversò la mente: e se fosse stato davvero geloso di lei?
Se solo avesse avuto a disposizione le frecce di Cupido, per trafiggerlo e fargli veramente provare gelosia, per poi torturarlo in eterno! O anche solo trafiggerlo con frecce normali, per provocargli un po' di dolore fisico, non le sarebbe dispiaciuto.
La sua mente tornò alla discussione di poco prima. Corrugò la fronte, poi si ricordò che da umana rischiava di farsi venire le rughe e cercò di distendersi la pelle del viso meglio che poteva.
Pena e Panico le avevano confessato i piani che Ade aveva per lei, e soprattutto il motivo che lo aveva spinto a sposarla, e lei era certa di poter escludere un qualsiasi interesse di tipo sentimentale da parte del dio dei morti: non solo non l'aveva mai corteggiata, ma era stato ben felice di scaricarla di nuovo sull'Olimpo in primavera ed estate.
Fece una smorfia. Era vero, c'era stata quella volta in cui avevano consumato quella bizzarra colazione, in cui forse era stato un minimo galante nei suoi confronti...
Scosse furiosamente la testa. No, non ci poteva pensare! Non poteva iniziare a chiedersi se lui provasse qualcosa per lei, altrimenti avrebbe solo fatto il suo gioco.
Una cosa era certa: gli dava fastidio che lei flirtasse con Adone, e se lei avesse saputo sfruttare bene quella carta, avrebbe potuto fargliela pagare...d'altra parte, se avesse continuato a vedersi con il ragazzo, l'avrebbe fatto anche per ingelosire Ade, e quindi in un certo qual modo gliel'avrebbe data vinta...
...però, se non si fosse più vista con Adone, gliel'avrebbe data vinta lo stesso.
Era fregata, realizzò sbuffando come un toro inferocito.
Si massaggiò le tempie, chiudendo gli occhi. Il mal di testa che le era magicamente passato in compagnia di Adone le stava tornando. Decise che ci avrebbe riflettuto su in un altro momento e, tiratasi su a sedere, prese a prepararsi per andare in cerca dell'aitante ragazzo. Non l'avrebbe di certo mollato con facilità.
***
Quella sera, tutti gli abitanti della villa erano andati a coricarsi presto, lanciando occhiate pensose al cielo plumbeo, che non prometteva nulla di buono. Ade era crollato già da ore, stroncato dalla malattia che l'aveva contagiato, cosa che, neanche a dirlo, aveva messo di buon umore tutti quanti.
“Spero che ci resti secco.” aveva commentato Ares.
“Sarebbe troppo bello per essere vero..!” aveva sospirato Demetra, che non si sarebbe mai abituata all'idea che la sua unica figlia fosse andata in sposa ad un essere tanto spregevole.
“È quello che si merita!” era intervenuto Apollo con fare altezzoso.
Atena era rimasta in silenzio: apparentemente era l'unica a rendersi conto che senza Ade non sarebbero mai e poi mai riusciti a sconfiggere Urano, per quanto forti potessero essere Zeus e Poseidone. La profezia era chiara in proposito, ma per quanto lo ripetesse in continuazione nessuno sembrava darle retta. L'ex-dea della saggezza faticò a prendere sonno quella notte, rigirandosi più e più volte nel letto: continuava a chiedersi tormentosamente come avrebbero fatto a riconquistare l'immortalità perduta, ma l'unica risposta che le veniva in mente era la solita, ovvero “Diventare eroi sulla Terra”. Facile a dirsi, non altrettanto facile a farsi.
O questo oppure sconfiggere Urano, e non sono nemmeno sicura che riavremmo indietro i nostri poteri, anche se riuscissimo a batterlo. E non riusciremmo mai a batterlo in queste condizioni. Era un cane che si mordeva la coda.
Lo stato di prostrazione in cui era caduta Atena, tuttavia, era un'eccezione: per il resto, chi più chi meno rapidamente, tutti gli altri abitanti della villa di Ercole erano caduti tra le braccia di Morfeo (ammesso e non concesso che Morfeo fosse ancora un dio, cosa che non era ancora stata appurata). A parte il fragoroso russare di Bacco, che da quando erano arrivati si era premurato di avere sempre una bottiglia di vino sottomano, la casa era tranquilla, e sembrava essa stessa riposare nella quiete notturna, sotto un cielo privo di stelle.
“Ehi, ragazza.” La voce era di donna, calda e profonda, e nascondeva al suo interno un rombo come di terremoto, il tono perentorio. “Ragazza, sto parlando con te.”
Persefone si riscosse bruscamente. “C-cosa?” mugugnò confusa, sfregandosi gli occhi.
“Oh, finalmente. Non ho tutto il tempo del mondo, sai?”
La ragazza cercò la fonte di quella voce con lo sguardo, e rimase paralizzata dallo stupore: la donna di fronte a lei era enorme, con un seno che avrebbe potuto essere facilmente scambiato per un paio di colline, eppure la sua voce le arrivava come se fossero nella stessa stanza, una di fronte all'altra.
“O meglio, io ce l'ho. Siete voi che non lo avete.” si corresse la strana apparizione, i lunghissimi capelli scuri che la coprivano come un mantello.
Persefone sbatté le palpebre. Le risultava difficile concentrarsi, come se il suo cervello non fosse ancora del tutto sveglio. Si accorse che la pelle della donna, rosata sul volto, sfumava verso il verde scuro nei pressi degli arti inferiori, e che i suoi piedi erano a tutti gli effetti fusi nel terreno, il che le conferiva uno strano aspetto piramidale.
Un campanello di allarme le risuonò in testa quando si rese conto di chi si trovava di fronte.
“Oh, alla buon'ora!” le fece la dea, come leggendole nel pensiero. “Voi giovani d'oggi, non avete il minimo rispetto...”
“Gaia.” la riconobbe Persefone, inchinandosi terrorizzata.
“Oh, su, non fare così. Ti perdono.” la liquidò Gaia in tono sbrigativo. “Ora ascoltami bene, ho alcune cose da dirti.”
Persefone si raddrizzò prontamente, notando solo allora che la pelle le era tornata viola e i capelli avevano perso di nuovo il biondo che amava tanto. “Questo è...un sogno, vero?” chiese timidamente.
“Ma certo che è un sogno!” sbottò Gaia, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. “Ora basta domande e ascolta. Come ti ho già detto, non c'è molto tempo.”
La fanciulla ubbidì, rigida come un manico di scopa. Non riusciva a credere ai suoi occhi...Gaia, la madre terra, la sposa primordiale di Urano, le stava parlando in sogno!
“Conosco la vostra condizione. Mi sono svegliata anche io, insieme ad Urano, da un sonno che andava avanti da eoni...e con me si sono svegliati anche i miei figli. Arriveranno presto per voi, e temo che sarà una dura battaglia.”
Persefone sgranò gli occhi. “Chi? Perché? Cosa vogliono da noi?” domandò, il panico che le cresceva dentro.
Gaia sospirò e il terreno sotto i loro piedi vibrò. “I Centimani. Zeus li conosce bene. Verranno presto per distruggervi. Sono incontrollabili, infuriati...spazzeranno via tutto quello che troveranno sul loro cammino. Dovete fuggire il più lontano possibile, e partire subito. Mi hai capita?” Il suo tono di voce si era abbassato. “Io non posso più trattenerli.”
“Ma...ma tu...” balbettò Persefone, incapace di formulare un pensiero di senso compiuto.
“Ascoltami! C'è un'altra cosa che devi sapere, e questa è la più importante di tutte.” la interruppe la dea. “C'è una falce, un'arma che io stessa forgiai all'alba dei tempi e che diedi a Crono affinché lui ci liberasse dalla schiavitù di Urano.” Improvvisamente il paesaggio cambiò, e di fronte a loro si aprì un verdeggiante promontorio sul mare. “Si trova qui, sepolta nelle mie viscere. Con essa, potrete sconfiggere Urano. Dovrete venire a prenderla, io non posso muovermi.”
La mente della fanciulla fu pervasa dagli striduli versi dei gabbiani e dall'odore salino dell'aria di mare, mentre la fisionomia del luogo le rimaneva impressa in modo indelebile nello sguardo.
“È là che dovete andare. Quando sarete arrivati, la falce verrà a voi. E questo è l'unico modo. Tutto chiaro?”
“Io...immagino di sì...” balbettò Persefone, ancora distratta a causa della vivida immagine del promontorio che le si era parata davanti.
Improvvisamente, la sua vista iniziò ad appannarsi. Presa dal panico, annaspando come se stesse per affogare, chiese: “Aspetta, ma dove si trova di preciso questo posto?”
“A ovest...al di là del mare.” rispose Gaia, e la sua voce era ormai solo un sussurro nel buio.
Persefone si svegliò di soprassalto. La stanza era illuminata a giorno, e realizzò che era mattina. Si passò una mano tra i capelli pieni di nodi, il respiro accelerato. Il sogno era vivido nella sua mente, tanto che avrebbe potuto riviverlo passo per passo, e ogni volta che chiudeva gli occhi poteva vedere senza la minima difficoltà il promontorio al di là del mare, come se le fosse stato marchiato nelle retine.
C'è una falce, un'arma che io stessa forgiai all'alba dei tempi e che diedi a Crono affinché lui ci liberasse dalla schiavitù di Urano...
Avrebbe dovuto dirlo agli altri, realizzò alzandosi di scatto dal letto, mentre l'ansia la pervadeva.
Non ho onestamente parole per dispiacermi abbastanza di questo ritardo.
La verità è che gli impegni universitari mi hanno fagocitata...il cambiamento quest'anno è stato grosso e la mia costanza nella scrittura ne ha sofferto moltissimo.
Ma a voi questo non interessa! A voi interessa sapere cosa ne sarà di questa storia, e lasciate pure che vi rassicuri in merito: come ho già ripetuto più volte, non voglio abbandonarla, ma voglio portarla a conclusione al meglio delle mie capacità.
Mi scuso con tutte voi per avervi fatto aspettare così tanto. :(
Spero che nel frattempo la mia capacità di scrivere una bella storia non sia sparita, perché rileggendolo il capitolo mi è sembrato un po'... così. Voi cosa ne pensate? Confesso che l'incredibile popolarità che sta avendo questa fanfiction mi mette anche una paura matta di sbagliare tutto e deludervi. Mi auguro che non sia così.
Intanto mando un abbraccio a chiunque abbia letto. <3
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Capitolo 25 *** Told you so ***
Told you so
La prima persona da cui Persefone corse a parlare del proprio sogno profetico fu sua madre, la quale era alle prese con la colazione alquanto generosa offerta quella mattina dai loro ospiti.
“Mamma, ho bisogno di parlarti!” esordì la fanciulla, andandole vicino. Demetra le lanciò un'occhiata incuriosita, che tuttavia non le impedì di continuare a spalmare il miele sul pane. “Che succede, tesoro?” chiese in tono serafico. Pareva che si stesse abituando a essere mortale, o almeno che avesse superato lo shock iniziale.
Persefone si guardò attorno, abbassando la voce. “Preferirei fossimo noi due sole.”, bisbigliò: nella stanza infatti si stavano raggruppando le altre ex-divinità, chi prima chi dopo, attirate dal profumo del pane appena sfornato e della frutta fresca.
Demetra addentò un grosso pezzo di pane. “Cara, non vedi che sto mangiando? Siediti, fai colazione anche tu...ne parleremo dopo.”
La ragazza le si sedette di fianco, suo malgrado. Non voleva contrariare sua madre.
Demetra le porse una mela, rossa e lucida. “È per caso una cosa che riguarda...Ade?” le chiese, una smorfia disgustata sul volto pasciuto.
“No, lui non c'entra niente.” rispose Persefone, distogliendo lo sguardo. Si rigirò la mela tra le mani, avvertendo lo stomaco stringersi. “È che...ho fatto uno strano sogno, anzi in realtà non credo che fosse un sogno, almeno non del tutto...”
La madre le scoccò un'occhiata confusa. “Cosha?” fece a bocca piena.
Persefone tremò per la frustrazione. “Ho sognato Gaia.” sbottò buttando alle ortiche la privacy. “Mi ha rivelato il modo in cui potremo sconfiggere Urano, e anche che-”
Demetra tossicchiò. “Cosa cosa cosa?” gracchiò, sorbendo un sorso di vino allungato con acqua.
Artemide e Apollo, che stavano bisbigliando tra di loro dall'altra parte del tavolo, si girarono a guardarle.
“Ho. Sognato. Gaia. Mi ha parlato in sogno.” scandì la ragazza, fremente. Più lo diceva più la cosa sembrava ridicola anche alle sue orecchie.
Finalmente sua madre si decise a prestarle attenzione. “Hai sognato Gaia? La grande madre terra Gaia?” le fece, incredula.
“Sì. Mi ha rivelato delle cose estremamente importanti...”
“Perché mai Gaia avrebbe dovuto parlare con te?” la interruppe Demetra, con tutta l'aria di aver appena ricevuto un insulto.
Persefone raddrizzò la schiena. “Non lo so, perché. Ma l'importante non è questo, l'importante che mi ha avvertita di una minaccia incombente e che mi ha rivelato l'esistenza di un'arma che possiamo usare contro Urano.”
Tutta la sala ascoltò in silenzio quelle parole, tanto che la voce di Persefone parve rimbombare tra le mura dipinte.
Demetra aveva la fronte corrugata e fissava la figlia con uno sguardo sospettoso che non le piacque per niente. “Tesoro, sei certa di non aver mangiato pesante, ieri sera?” chiese, e si sentirono Bacco e Apollo ridacchiare sotto i baffi.
Persefone sgranò gli occhi. “Credi che me lo sia inventato? Ho avuto un sogno profetico!” protestò, la voce che aumentava di tono ad ogni parola.
“Cosa ti avrebbe detto, esattamente?” le chiese Apollo, incrociando le braccia, mentre anche Ares e Afrodite facevano la loro comparsa in sala da pranzo.
Persefone incrociò le braccia a sua volta. Non poteva credere che la stessero trattando con sufficienza! Sbuffò rumorosamente. “Mi ha detto che presto arriveranno i Centimani e che dobbiamo andarcene da qui, e che solo grazie alla falce di Crono riusciremo a sconfiggere Urano. E mi ha detto dove possiamo trovarla.”
“E dove sarebbe questa falce?” la incalzò Apollo, mentre gli altri si misero a confabulare tra di loro.
“La falce è...in un posto che mi ha mostrato, al di là del mare. Un promontorio.” rispose Persefone, vaga. Aveva bene in mente il luogo, ma descriverlo ad altri non era propriamente una passeggiata.
“Tutto questo è ridicolo.” sbottò all'improvviso Demetra, alzandosi in piedi.
“Mamma!” protestò Persefone, imitandola. “Sto dicendo la verità!”
Il volto della madre si tinse di rosso. “Perché avrebbe scelto te per rivelazioni così importanti? Perché Gaia, la Terra, avrebbe deciso di parlare con te e non con me? Io non so nulla di queste cose-”
“E quindi me le sarei inventate?! È questo che stai dicendo, che sarei una bugiarda?” urlò Persefone, allargando le braccia in segno di costernazione. “Che motivo avrei per inventarmi delle cose del genere?”
Demetra incrociò le braccia al petto. “Modera i toni con tua madre, signorina!” esclamò. “Non sto certo dicendo che te lo stai inventando di proposito, sto solo dicendo che te lo sei semplicemente...sognato.”
Prima che la ragazza potesse replicare, Zeus, arrivato qualche momento prima, prese la parola: “Qualcuno potrebbe spiegarmi cosa sta succedendo? Mia nipote sta dormendo e voi fate baccano di prima mattina.”
Persefone boccheggiò. “Ho avuto un sogno profetico e nessuno vuole credermi!” si lagnò.
“Ha sognato che Gaia le parlava, ma Zeus, se veramente Gaia avesse voluto parlare con qualcuno, sicuramente avrebbe scelto me!” protestò Demetra a gran voce.
Persefone, indispettita, la guardò in cagnesco.
Zeus corrugò la fronte, mentre Atena gli si affiancava. “Forse dovremo prestarle orecchio.” interloquì l'ex-dea con fare benevolo.
Demetra sbuffò, ma Zeus le fece segno di zittirsi. Sospirando, disse: “E va bene, Persefone. Sentirò quello che hai da dire.”
La ragazza gonfiò il petto, soddisfatta di averla spuntata. In fretta, cercando di non mangiarsi le parole per la troppa foga, raccontò del sogno che aveva fatto e delle cose che Gaia le aveva rivelato. Sua madre ostentò scetticismo per tutto il tempo, ma Persefone fece del suo meglio per ignorarla. Non credeva che nessun altro fosse in grado di farle saltare i nervi come Ade, ma a quanto pareva si sbagliava.
Quando ebbe terminato il suo racconto, le mani puntate sui fianchi, attese che Zeus commentasse. L'ex-dio sembrava sorpreso e allarmato insieme. “I Centimani, dici?” borbottò accarezzandosi la barba.
“Credevo che fossero imprigionati.” interloquì Apollo, che, rifletté Persefone, quella mattina pareva particolarmente in vena di chiacchiere.
“Anche i Titani lo erano, finché qualcuno non li ha liberati.” ringhiò Ares. Persefone non poté fare a meno di guardarsi intorno alla ricerca del suddetto qualcuno, che però non si era ancora fatto vivo.
Meglio così, pensò l'ex-dea, mi avrebbe dato contro anche lui, come minimo.
“Quindi, cosa facciamo?” chiese, senza preoccuparsi di sembrare sfacciata.
“Devo pensarci su.” fu la laconica risposta di Zeus, il quale si sedette prontamente al tavolo della colazione. Gli altri lo imitarono, mentre Demetra voltava le spalle a tutti e usciva dalla stanza.
Persefone squadrò a bocca aperta i suoi connazionali, impegnati ad ingozzarsi come niente fosse. Non poteva credere ai suoi occhi. “Scusate!” esclamò irritata. “Non vorrei suonare scortese, ma vi ho appena detto che stanno arrivando i Centimani e che dobbiamo andarcene, e voi pensate a fare colazione?!”
“Ragazza, abbiamo fame.” le fece Bacco, come se la risposta fosse ovvia. “Inoltre, se davvero stanno arrivando i Centimani, non conosco posto più sicuro della villa di Ercole in cui stare.” aggiunse addentando un pezzo di formaggio.
“Ma...” fu la debole replica di Persefone, a cui nessuno sembrò prestare attenzione. Persino Atena sembrava ignorarla, persa nei suoi pensieri.
“Possibile che nessuno mi creda?!” esclamò la ragazza pestando i piedi per terra.
“Rilassati, fanciulla.” la blandì Zeus, scolandosi un intero calice di vino. “Non è che non ti crediamo, è solo che non vedo perché dovremmo scappare in fretta e furia da un supposto nemico di cui non si hanno notizie certe da millenni...”
“Oh, vuoi dire come Urano?!” sbottò lei, serrando le mani a pugno per la frustrazione.
“Ehi, moderiamo i termini!” fece Apollo in tono di rimprovero. “Stai parlando con Zeus!”
“Sì, e sai cosa me ne frega!” sbottò lei, marciando fuori dalla stanza.
Bacco scosse la testa. “Incredibile, sta diventando insopportabile e arrogante come suo marito.”
***
Meg bussò alla porta della stanza, reggendo il vassoio della colazione con una mano sola. In tutta risposta, da dietro la porta si sentì tossire insistentemente.
La donna entrò senza tante cerimonie. La stanza sembrava arredata per una veglia funebre: le finestre erano oscurate da lenzuola trasformate in tende improvvisate e l'intero ambiente aveva chissà come acquisito un'aura macabra e soffocante.
Ade giaceva sdraiato a letto, un braccio posato sugli occhi chiusi. Lo scostò quel tanto che bastava per lanciarle un'occhiata.
“Tieni, mangia.” gli fece Meg, disgustata. “Non voglio che tu mi muoia in casa.” Detto questo, posò il vassoio ai piedi del letto.
“Sto malissimo.” biascicò lui tirando su col naso. “Non sono mai stato peggio in tutta la mia vita.”
“Ti sei preso un raffreddore. Non è la fine del mondo.” lo liquidò lei, inforcando la porta.
“Aspetta, Meg! Non lasciarmi solo!” esclamò lui in tono supplichevole, girandosi a guardarla.
Aveva davvero un aspetto orribile, pensò la donna, mantenendo tuttavia un'espressione impassibile. “Non ci penso nemmeno, non voglio mica ammalarmi!” replicò, chiudendosi la porta alle spalle.
“Meg! Torna qui! Sei crudele...” lo udì gridare da dietro l'uscio.
“Sì, beh, ho imparato dal maestro!” gridò lei di rimando, prima di allontanarsi in direzione della propria camera da letto. Era strano a dirsi, dato che in quel momento gli dei non erano più dei, ma Meg sentiva che quello doveva per forza essere un qualche tipo di giustizia divina. Te le meriti tutte, “boss”, pensò sorridendo per la soddisfazione.
Entrata in camera di sua figlia, si sorprese trovando la bambina sveglia e tra le braccia di Hera.
Macaria si sporse verso di lei, allungando le braccia cicciottelle come per toccarla. “Chi è la bambina più bella del mondo?” cantilenava intanto Hera, cullandola dolcemente.
Meg incrociò le braccia, appoggiandosi con un fianco allo stipite della porta. Non voleva interrompere quel momento, ma d'altra parte non riusciva a nascondere il fastidio che le dava vedere sua figlia tra le braccia di quella che era, essenzialmente, un'estranea.
Hera la vide con la coda dell'occhio e le sorrise appena. “È un amore di bimba.” sussurrò, stringendola fermamente tra le braccia magre.
“Ha il carattere di suo padre.” disse Meg, facendo un passo in avanti.
“Se...tu hai altro da fare...posso occuparmene io.” disse Hera speranzosa, ma Macaria si stava dimenando e, Meg lo sapeva bene, non era per niente facile tenere a bada la sua forza sovrumana.
“Non c'è problema.” fece prendendo la figlioletta in braccio. Hera non riuscì a nascondere la smorfia di disappunto che le si dipinse in volto.
Macaria gorgheggiò, felice, le manine che accarezzavano il viso della madre. “Piano, tesoro, piano.” la ammonì Meg, sorridendo.
Hera si costrinse a sorridere. “Sarà meglio che vada a fare colazione.”, si congedò, ed era appena uscita dalla camera che il terreno sotto i loro piedi iniziò a vibrare, prima in modo quasi impercettibile, poi un po' più distintamente. Le due donne si guardarono negli occhi, preoccupate, mentre dalla cucina un paio di servitori lanciarono delle urla mescolate al fragore delle pentole in rame che impattavano con il pavimento.
“Cosa sta succedendo?!” esclamò Hera aggrappandosi allo stipite della porta.
“Un terremoto! Dobbiamo uscire!” gridò Meg, stringendosi la figlia al petto. Le due si precipitarono in giardino, chiamando a gran voce i nomi dei rispettivi mariti.
Ercole arrivò per primo, con Phil alle calcagna, dato che si stavano allenando nella palestra a cielo aperto. “State bene?” chiese loro il giovane, preoccupato.
“Noi sì. Fai uscire tutti di casa, potrebbero crollare dei muri!” ordinò Megara mentre Macaria scoppiava a piangere, confusa e spaventata.
Le vibrazioni non cessavano, anzi sembravano aumentare in violenza in modo costante. Meg avvertì i propri denti battere e rischiò più volte di mordersi la lingua. A stento riuscì a mantenere l'equilibrio.
I servi, i genitori di Ercole e i loro illustri ospiti si riversarono in giardino uno dopo l'altro, schiamazzanti. Hera volò tra le braccia di Zeus, mentre Ercole sosteneva Alcmena per non farla cadere.
“ERCOLE!” udirono improvvisamente urlare quelle che sembravano una miriade di voci all'unisono. “VOGLIAMO ERCOLE!”
“ERCOLE!”
“ERCOLE!”
L'eroe, disorientato, si mosse per andare a vedere di chi si trattasse. Phil lo seguì. “Cosa diamine vogliono, adesso? Maledetti tebani, non hanno davvero il senso delle priorità...” borbottò sculettando per star dietro al suo pupillo.
Un clangore di metallo stritolato li fece sobbalzare. “Questo non era mica il cancello, vero?!” esclamò il satiro, bloccandosi sul posto quando si rese conto di cosa aveva appena abbattuto il cancello principale della villa.
Ercole sgranò gli occhi azzurri: “Cosa sono quelli?!”
Phil deglutì rumorosamente. “Beh, non sono tebani, questo è certo!”
Ercole fischiò per richiamare Pegaso e si udì la voce stridula di Persefone gridare: “Io ve l'avevo detto! Ve l'avevo detto! VE L'AVEVO DETTO!”
Bentrovate, gentili lettrici. Spero che il capitolo vi sia piaciuto! :D
Volevo ringraziarvi ancora per la gentilezza delle vostre recensioni e per la pazienza che avete avuto. Davvero, siete state meravigliose.
Avrei aggiornato prima ma purtroppo sembra che il mio ragazzo, i miei amici e la mia famiglia non capiscano il significato della frase: "Non ho voglia, voglio stare a casa a scrivere". Quindi non ho tempo libero anche quando dovrei averne. xD
Un abbraccione grande, e fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo! Ricordo che se avete osservazioni la mia porta è sempre aperta. :)
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Capitolo 26 *** Fire and blood ***
Fire and blood
Pegaso rispose senza indugio al richiamo del suo padrone e amico, uscendo dalle stalle in fretta e furia, scalpitante, le grandi ali piumate che si stiravano preparandosi al volo.
Aveva fiutato il pericolo nel momento in cui il terreno aveva iniziato a vibrare sotto i suoi zoccoli. Fremente, si posizionò al fianco dell'eroe, facendolo salire in groppa, mentre quest'ultimo sguainava la spada.
Di fronte a loro, all'entrata della villa, degli esseri mostruosi avevano appena scardinato il cancello dorato e lo stavano calpestando senza pietà sotto quelli che sembravano decine e decine di piedi ma che ad un esame più accurato si rivelarono essere mani, ognuna con il polso cinto da un pesante bracciale bronzeo.
Mai avevano visto creature più repellenti: i Titani in confronto erano delle bellezze, persino il Ciclope che aveva quasi ucciso Ercole. Non erano enormi come i Titani, ma erano comunque tre volte più alti di un normale essere umano. Una miriade di volti dalle espressioni inferocite e grottesche se ne stavano al centro di un assembramento di braccia, disposte a formare una circonferenza completa, come se si trattasse degli aculei di un riccio di mare. Non c'erano gambe, piedi né tanto meno torsi in vista. Il tutto formava un quadro orrendo: sembrava che qualcuno avesse selezionato pezzi di uomini diversi e li avesse incollati con estro macabro a formare le tre creature che si paravano loro di fronte.
“Da quale maledetto buco del Tartaro se ne sono usciti, questi qui?!” esclamò Phil indietreggiando.
Ercole mulinò la spada in aria. “Che cosa volete, mostri?!” gridò, guardandoli dall'alto in basso, mentre Pegaso si manteneva a distanza di sicurezza, sbattendo le grandi ali bianche.
“VOGLIAMO ERCOLE!” risposero in coro le facce che componevano il mostro che si trovava più in avanti, quello che aveva sfondato il cancello.
“ERCOLE!” reiterarono gli altri due. “ERCOLE!”
Il giovane uomo prese un respiro profondo, preparandosi alla battaglia. “Ce l'avete di fronte.”
La creatura più in avanti esplose in una risata fragorosa. “TU?! TU SEI IL GRANDE E POTENTE EROE?!” tuonò, riprendendo poi a ridere. Gli altri due lo imitarono.
Ercole non disse nulla, sulla difensiva. Improvvisamente, il mostro di fronte a lui parve esaurire l'ilarità, tornando serio, e ci fu un attimo di attesa in cui tutti trattennero il fiato.
Dopodiché, il mostro aprì le sue cinquanta bocche e una fiammata dal calore insopportabile ne uscì, sospinta verso l'alto con una velocità che lasciò cavallo e cavaliere senza fiato. Pegaso nitrì per il dolore: era riuscito a scansarsi appena in tempo per non finire carbonizzato, ma le fiamme gli avevano strinato il fondoschiena e la coda.
“Tutto ok, bello?” gli fece Ercole, stringendo la presa sul suo collo.
“Attento!” gridò Phil, imitato da un paio di ex-divinità, che si tenevano a distanza di sicurezza insieme a Meg, Anfitrione, Alcmena e Macaria.
L'eroe riuscì a schivare la nuova fiammata per un pelo. Pegaso prese a volteggiare in aria, nervoso.
Il mostro rise di nuovo. “TUTTO QUI QUELLO CHE SAI FARE, EROE?!” sbraitò gongolando, mentre le sue cinquanta teste seguivano con lo sguardo i movimenti di Pegaso.
Intanto Zeus era visibilmente ansioso. “Se solo avessi le mie saette!” esclamò in tono sofferente. Phil si illuminò e prese a correre più velocemente che poteva in direzione dell'armeria, seguito a ruota da Ares, paonazzo in volto.
“Che cosa vuoi fare?!” gli gridò dietro Afrodite, tremante di paura.
“Non ho intenzione di starmene qui con le mani in mano!” rispose Ares senza voltarsi indietro. “Satiro, dammi una lancia e uno scudo!”
Le restanti ex-divinità si guardarono tra loro, allibite.
“È impazzito!”
“Finirà arrostito, o schiacciato!”
“Non posso credere che abbia davvero intenzione di...”
“Ha ragione.” si levò la voce fuori dal coro di Apollo. L'ex-dio era pallido e sudaticcio, ma fece del suo meglio per apparire coraggioso.
Artemide gli si affiancò. “È un suicidio!” protestò, ma qualcosa nello sguardo del fratello parve riscuoterla.
“Non serve essere un dio per scoccare delle frecce.” dichiarò Apollo dopo aver deglutito pesantemente. Le porse la mano, percorsa da un lieve tremolio, e lei, dopo un istante di esitazione, gliela prese.
Ares e Phil ricomparvero, trascinando con sé uno sferragliante set di armi. “Tu armati, io devo dare queste a Herc.” borbottò il satiro ad Ares prima di cominciare a correre in direzione dell'eroe.
Ercole, avvertendo il suo richiamo, si girò e scese in picchiata con la mano sinistra tesa verso di lui.
Il Centimane si lanciò al suo inseguimento. Vederlo correre era qualcosa di incredibile: ruotava su sé stesso a tutta velocità, i palmi delle mani che fungevano alternativamente da piedi, causando una serie di vibrazioni del terreno che potevano essere benissimo scambiate per un terremoto. Urlò minacciosamente a mano a mano che si avvicinava, ma Pegaso era comunque più veloce: Ercole riuscì a recuperare la lancia dalle mani di Phil, si girò con un movimento fluido e la scagliò con tutte le forze che aveva, riuscendo a conficcarla nell'occhio sinistro di una delle facce della creatura.
Il mostro lanciò un grido acuto, le mani che si chiudevano sul volto sfigurato, da cui sgorgavano fiotti di sangue rosso scuro, e prima che potesse reagire le frecce di Artemide e Apollo lo colpirono, un po' alle braccia, un altro po' ai visi lasciati scoperti.
Ercole calò la sua spada sul fianco sinistro della creatura, tranciando di netto una decina di braccia, che precipitarono a terra come grossi rami di una quercia abbattuta.
Le urla della creatura non fecero che aumentare di volume mentre crollava a terra, le braccia superstiti che correvano a sostenere i monconi sanguinanti.
“FRATELLO!” gridarono in contemporanea i due Centimani rimanenti, iniziando a correre a loro volta in direzione di Ercole e degli altri.
Ercole rinfoderò la spada e, sceso da cavallo, si armò di arco e frecce, mentre Ares prendeva la rincorsa e scagliava la lancia contro il gigante caduto. Questa andò a segno, anche se non si conficcò così profondamente come quella scagliata dall'eroe.
Quando i Centimani furono ad una distanza utile, Apollo, Artemide ed Ercole li bersagliarono di frecce, mentre Ares si avvicinava a quello caduto per recuperare la lancia...ma quest'ultimo afferrò la gamba dell'ex-dio a tradimento e prese a scuoterlo violentemente, come se fosse un pupazzo di pezza. Afrodite e gli altri lanciarono delle urla mentre Ares impattava violentemente al suolo. Pegaso volò in aiuto del guerriero, colpendo il Centimane con un possente calcio.
Ercole intanto scagliò un'altra freccia contro uno dei due Centimani, che in tutta risposta vomitò una fiammata incandescente nella sua direzione.
L'eroe scartò di lato, evitando le fiamme. “Pegaso!” urlò imperioso, e il destriero ubbidì prontamente, facendolo nuovamente salire in groppa.
Ares si mosse, lentamente e a fatica, e Apollo lo aiutò ad allontanarsi dalla battaglia. “Che botta...” biascicò l'ex-dio della guerra, un rivolo di sangue misto a bava che gli usciva dalla bocca.
Artemide urlò quando uno dei Centimani rimasti, quello che non era alle prese con Ercole, caracollò loro addosso, ma Ercole scese in picchiata come un fulmine e tranciò di netto le braccia che spuntavano dalla schiena del mostro, distraendolo prima che potesse fare loro del male.
Il mostro si girò verso di lui, sbraitando, ma l'eroe non si fece impressionare: afferrò strettamente una delle sue braccia e, dopo averlo fatto vorticare un paio di volte su sé stesso, lo scagliò con violenza verso il suo compagno. I due Centimani cozzarono fragorosamente l'uno contro l'altro e finirono entrambi a terra, un groviglio di braccia brulicanti.
A quel punto, Artemide e Apollo infierirono senza pietà, tenendosi a debita distanza, mentre Ercole scendeva su di loro dall'alto, tagliando e tranciando con l'ausilio della spada.
Gli ex-dei, che erano rimasti ammutoliti ad osservare il corso della battaglia, esplosero in un unanime grido di trionfo. “Per Zeus, ce l'ha fatta!” esclamò Ermes, mentre Afrodite schioccava un bacio sulla testa calva di Phil.
Ares sputò un dente. “Bel lavoro, non c'è che dire.” biascicò, mentre Zeus esclamava: “Il mio ragazzo! Il mio incredibile ragazzo!” cingendo con un braccio le spalle di Hera.
Quando furono certi che i Centimani non si sarebbero più mossi, gli ex-dei corsero da Ercole, complimentandosi con lui ancora una volta. “Uno di noi! Uno di noi!” cantilenò Bacco, esortando chissà chi a portargli del vino per festeggiare.
L'eroe cercò istintivamente lo sguardo di Megara, che era rimasta un po' indietro, insieme ai suoi genitori adottivi. I coniugi si scambiarono uno sguardo d'intesa. Ercole sorrise debolmente, ansimante, e Meg ricambiò il sorriso, carezzando piano i capelli ricci di Macaria.
Una volta che si fu liberato dalla folla che gli si era raccolta intorno, il giovane si guardò attorno, tornando serio: pezzi sanguinolenti dei Centimani erano sparsi dappertutto, e le tre carcasse erano così orrende che faticò a sopportarne la vista. Nemmeno nell'Oltretomba aveva visto cose così ripugnanti.
“Beh, il selciato è completamente da rifare.” commentò Phil, le mani sui fianchi.
Ercole abbassò lo sguardo. “Non è il selciato che mi preoccupa.” disse amaramente.
“Oh, certo: il cancello è in condizioni ben peggiori...”
“Phil...” gli fece, con l'aria di chi non aveva la minima voglia di scherzare.
Il satiro gli diede una pacca sul polpaccio. “Lo so, lo so. Ci penso io a...sistemare questo casino. Tu vai a farti un bagno.”
***
Dopo qualche esitazione, tornarono tutti nella villa. I muri avevano retto, a quanto sembrava, e solo un paio di crepe si erano insinuate nell'intonaco della cucina. I servi rispuntarono fuori a manciate: chi si era rifugiato nel giardino interno, chi nelle stalle, chi nelle rispettive camere, sotto i letti.
Quando Persefone vide Adone, non poté fare a meno di corrergli incontro e gettargli le braccia al collo. “Oh, per fortuna stai bene!” esclamò, ignorando gli sguardi di disapprovazione che le lanciò sua madre.
Il giovane, imbarazzato, non sapeva bene dove posizionare le mani, e infine decise di lasciarne una lungo il fianco e accarezzarle i capelli all'altezza della nuca con l'altra.
“Ero così preoccupata!” continuò Persefone, sempre attaccata al collo di lui.
“Non dovevate, signorina...” balbettò Adone guardandosi nervosamente attorno.
“Ti ho detto di darmi del tu...” replicò la fanciulla in tono languido.
“Si può sapere cos'è successo?!” fece improvvisamente una voce gracchiante ed estremamente seccata, proveniente dal corridoio.
Appena Adone vide a chi apparteneva quella voce, si staccò bruscamente da Persefone, la quale protestò, offesa.
“Non posso credere che tu sia rimasto a letto...” fece Apollo in tono di scherno.
Ade gli lanciò un'occhiata assassina, gli occhi iniettati di sangue. “Sto male, razza di pallone gonfiato...” Tossì fragorosamente.
“Per Zeus, tornatene da dove sei venuto!” esclamò Demetra, portandosi una mano alla bocca. “Ci infetterai tutti!”
Ade ghignò. “Vedo che le dinamiche tra noi non sono cambiate, nonostante la natura mortale.”
Zeus si fece avanti, alzando una mano. “I Centimani sono venuti a cercarci.” spiegò rapidamente, gettando un'occhiata a Persefone, che assunse rapidamente un'espressione soddisfatta. “Proprio come avevi predetto, mia cara.” aggiunse in tono dispiaciuto.
Persefone annuì solennemente. “Adesso mi auguro che starete a sentirmi.”
Ade sollevò un sopracciglio. “Mi sono per caso risvegliato in una dimensione parallela in cui mia moglie ha qualcosa di intelligente da dire?”
Persefone lo fulminò con lo sguardo. “Perché non te ne torni a letto? Nessuno richiede la tua presenza, qui.” Adone, intanto, era indietreggiato silenziosamente.
Ade ridacchiò e tossì insieme. “Oh, Riccioli d'Oro si mette a dare ordini tutto d'un tratto!” gorgogliò, per nulla impressionato.
“Taci! Mia figlia ha avuto un sogno profetico. Madre Gaia le ha parlato in sonno.” gli fece Demetra, ora completamente convinta dell'onestà di sua figlia.
Persefone, leggermente sorpresa dal cambiamento di idea della madre, annuì lentamente. “Esatto. Quindi dovete ascoltarmi!”
Zeus e Atena si scambiarono un'occhiata. “Ti ascoltiamo, Persefone.” le disse Atena in tono conciliante.
***
Phil, i servitori di Ercole e alcuni tebani offertisi volontari trascinarono i resti dei Centimani in una grande pila che poi venne data alle fiamme. Le carcasse senza vita bruciarono per tutto il giorno e tutta la notte, sprigionando un odore nauseabondo e un fumo nero che parve alzarsi fino al cielo.
Eris rimase a lungo ad ammirare la scena, appollaiata sul tetto della villa, le ali rosse avviluppate attorno al corpo come un mantello. Socchiudendo gli occhi, mormorò: “Pagherai per questo, figlio di Zeus.”
Buondì. ;) Spero che questo capitolo vi sia piaciuto! In caso non si fosse capito, nei prossimi capitoli si andrà verso la terza (e probabilmente ultima) parte della storia. E' molto emozionante essere arrivata fin qui! Non vedo l'ora di proseguire ancora. :3
Grazie, come sempre, per le vostre copiose e gentilissime recensioni. ;) Spero che il capitolo vi sia piaciuto, non so se le scene d'azione sono il mio forte ma ho cercato di fare del mio meglio. Il titolo mi è venuto così (Targaryen for ever) ma credo che sia appropriato. :)
Alla prossima!
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Capitolo 27 *** Farewell ***
Farewell
“Non so davvero cosa pensare di questa storia.” confessò Ercole alla moglie dopo essersi meticolosamente tolto di dosso ogni traccia di sangue. Aveva i capelli fradici, che gli scendevano in lunghi boccoli scuri sulla fronte e sul collo.
Megara gli si avvicinò, sollevando la mano destra ad accarezzargli una guancia. “Io fossi in te rinuncerei a cercare di comprendere gli dei.” gli disse dolcemente.
Lui la osservò intensamente, come se volesse imprimersi per bene in mente ogni singolo lineamento del suo volto. “Non voglio lasciarvi.” mormorò abbassando lo sguardo. “Tu e Macaria...siete la cosa più importante della mia vita. Tutto quello che voglio è vivere una vita normale...insieme a voi.”
Meg ridacchiò. “Noi saremo qui ad aspettarti quando tornerai.” lo rassicurò con voce vellutata. “Questa...sembra una cosa davvero seria, e nelle condizioni in cui sono hanno bisogno di te.” aggiunse, mentre lui le posava una mano sul braccio, sottile come un ramo d'ulivo.
Herc sospirò pesantemente. “Lo so. Sembra incredibile ma è così.”
Meg annuì. “Non avrei mai pensato, in tutta la mia vita, che sarebbe arrivato il giorno in cui avrei visto il grande e possente Zeus mendicare alla mia porta.” Fece una smorfia. “E io che pensavo di aver visto tutto, nella vita..!”
Il giovane le strinse i fianchi snelli. “Stai attenta, mentre sarò via.” si raccomandò guardandola negli occhi, quegli occhi viola che amava così tanto.
Lei gli sorrise. “Sta' tranquillo. Il rischio peggiore che correrò sarà che Bacco e gli altri mi ripuliscano la dispensa.” scherzò. “E poi, Phil farà la guardia.”
Questa volta riuscì a strappargli un sorriso. “Almeno Ade sarà con me. Non partirei mai se così non fosse.”
“Goditelo. Sarà uno spasso.” ironizzò Megara, sfiorandogli le labbra con le sue. “Coraggio, la poveretta che si è sposato sembrava ansiosa di partire al più presto...” disse facendo per dirigersi verso l'uscita della camera. Ercole le afferrò con delicatezza un braccio, facendola tornare sui suoi passi, e la baciò di nuovo, stringendola tra le braccia muscolose.
***
“Non puoi semplicemente spiegare a Zeus dove è questo posto?” chiese Demetra, le mani puntate sui fianchi prosperosi.
Persefone sbuffò. “No, non posso.” rispose laconica, evitando di guardare la madre negli occhi. Sapeva perfettamente cosa significasse essere l'unica in grado di guidarli alla falce di Crono: sarebbe dovuta partire e lasciare le comodità della villa di cui aveva ampiamente goduto durante quei giorni, dopo aver tanto patito. Ma soprattutto, avrebbe dovuto lasciare sua madre un'altra volta.
“Come sarebbe che non puoi? Hai visto il posto, no? Gaia ti ha spiegato come arrivarci, o no?” la incalzò Demetra, mentre Hestia e Hera le osservavano in silenzio. Persefone corrugò la fronte. Nonostante la villa fosse di dimensioni mastodontiche, sembrava impossibile sostenere una conversazione in privato tra quelle mura.
“Gaia mi ha solo detto che si trova al di là del mare, a ovest. E so che è un promontorio. Nient'altro.” spiegò la ragazza per l'ennesima volta, cercando di mantenere un tono calmo e controllato.
Avrebbe mentito a sé stessa se si fosse detta che sua madre era una donna facile da sopportare: le aveva fatto saltare i nervi non meno di una manciata di ore prima..! Sapeva che una parte di lei gioiva alla prospettiva di levarsela un po' dai piedi, e questo la faceva sentire dannatamente in colpa.
Provava una strana sensazione all'idea di partire: da un lato era sgomenta, dall'altro credeva fermamente che, se Gaia l'aveva scelta come sua messaggera, qualcosa voleva dire per forza. Precisamente non sapeva cosa, ma sospettava che si aggirasse attorno al Sei la prescelta e solo tu puoi salvare tutti.
Era pronta ad andare incontro al suo destino.
Peccato che a sua madre la cosa non andasse propriamente a genio.
Demetra non sapeva bene cosa replicare. “Kore, mia dolce Kore...io...ho paura per te.” confessò alla fine in tono rassegnato, come se la cosa non fosse già evidente.
Persefone allungò una mano e la posò sull'avambraccio della madre. “Mamma, non preoccuparti per me. Ci sarà Ercole a proteggermi, e l'hai visto con i Centimani, li ha massacrati in quattro e quattr'otto!” esclamò cercando di rassicurarla. “Non sarà certo peggio del viaggio che abbiamo dovuto affrontare per arrivare a Tebe. Almeno questa volta avremo dei soldi, e cibo, e acqua...”
Demetra annuì, mentre Hera le sfiorava la spalla destra. “Tua figlia ha ragione, cara. Puoi fidarti di Ercole. Lei fa in tutto e per tutto parte della sua famiglia, in fondo...”
“Già, non ci avevo pensato!” fece la fanciulla, gli occhi che le si illuminavano. “Ercole è mio nipote, perché Zeus e Ade sono fratelli. E tu e mamma siete sorelle, quindi io sono pure sua cugina...” Corrugò la fronte. “Wow, non ci avevo mai fatto caso ma...le nostre genealogie sono parecchio incasinate.”
“Ah, la cara vecchia tradizione dell'endogamia.” intervenne Ade, schiarendosi la voce rauca. “Se ci pensi, Seph, questo spiega molte cose.”
Lei si girò nella sua direzione. “Scusa, qualcuno ti ha interpellato?” chiese in tono noncurante, guardandolo appena. “Oh, mi ero quasi dimenticata.” fece poi rigirandosi verso la madre. “Torno subito mamma, vado a salutare Adone!” disse in tono squillante, esaminando la reazione di Ade con la coda dell'occhio.
Lo vide digrignare i denti, e tanto le bastò. Trotterellò in cerca del ragazzo con un sorriso soddisfatto stampato in faccia.
***
I preparativi per il viaggio durarono tutto il giorno e gran parte della sera. Alla fine, vedendo il sole tramontare, Ercole e Zeus decisero che sarebbe stato più saggio partire la mattina dopo, all'alba. Quella giornata era stata faticosa per tutti, anche per coloro che non avevano combattuto contro i Centimani come Ares o Apollo. Sembrava che un'altra caratteristica della specie umana fosse quella di stancarsi in continuazione, anche senza fare alcunché. O forse erano gli ex-dei ad essere pigri per natura.
Quando gli abitanti della villa si addormentarono, le carcasse dei Centimani abbattuti bruciavano ancora, rischiarando la notte con la luce spettrale emessa dalle fiamme fameliche.
Persefone, accoccolata sotto le coperte, faticò a prendere sonno: la sua mente era divisa tra il ricordo dei mostri fatti a pezzi da Ercole quella mattina e il dolce addio dato ad Adone quella sera. Socchiuse gli occhi, cercando di focalizzarsi sul ricordo più piacevole.
Adone si era fatto pregare prima di concederle un rapido bacio. Il suo primo bacio! Ade sarebbe stato furente se fosse venuto a saperlo, e Adone in effetti aveva espresso più di qualche riserva all'idea di mettere di nuovo le mani su qualcosa che sapeva appartenere ad un altro. La ragazza aveva dovuto rassicurarlo più volte, poi blandirlo, infine supplicarlo...ma aveva ottenuto quello che voleva, infine. E, giurò a sé stessa, qualsiasi cosa sarebbe successa, avrebbe sempre e comunque serbato gelosamente il ricordo di quel fusto da paura che le passava un braccio dietro la schiena e si chinava a baciarla...le sue labbra morbide e calde posate sulla sua bocca appena socchiusa...avrebbe voluto restare tra le sue braccia per l'eternità.
Adone...i loro nomi si assomigliano, per giunta...eppure non potrebbero essere più diversi..., pensò confusamente, la mente che iniziava a cedere alle lusinghe del sonno. Per un istante, appena una frazione di secondo, cercò di immaginarsi come sarebbe stato se invece di ricevere un bacio da Adone, l'avesse ricevuto da...
Rabbrividì, lasciandosi sfuggire un gemito disgustato. Si rigirò nel letto, cercando di scacciare l'immagine di Ade dalla mente. Piuttosto mi butto io stessa nello Stige, si disse augurandosi che quella bruttissima immagine non le provocasse degli incubi. Dopotutto, l'indomani all'alba sarebbe dovuta partire...
“In tutta onestà, speravo che foste già partiti. Non ti avevo detto che stavano arrivando i Centimani e di fuggire il più lontano possibile?!” la rimproverò seccamente Gaia, e la ragazza se la ritrovò di fronte all'improvviso, in tutta la sua enormità.
Persefone deglutì nervosamente. “Non è stata colpa mia, sono gli altri che non mi hanno voluta ascoltare...” si giustificò, guardandosi attorno allibita: l'illusione di trovarsi all'aria aperta in pieno giorno era davvero convincente, e ci sarebbe cascata in pieno se non fosse stata cosciente del fatto che fino a pochi istanti prima si trovava al buio nella propria camera da letto.
Gaia si produsse in un suono molto poco amichevole. “Forse ho sbagliato a fidarmi di te.” disse, e Persefone sbiancò. “No, no, non hai sbagliato! Stasera abbiamo fatto i bagagli e domani partiamo, lo giuro!” si affrettò a precisare, gesticolando animatamente.
“E chi sarebbero, dunque, i tuoi compagni di viaggio?” brontolò la dea dai lunghissimi capelli scuri.
La ragazza tirò un mezzo respiro di sollievo. “Dunque, siamo io, Zeus, Poseidone, Ade, e Ercole che viene a farci da scorta. Ah, e forse viene anche il suo cavallo, non ho capito bene...”
Gaia parve rilassarsi. “Bene. Molto bene. Non siete poi così senza speranza, in fondo.”
Persefone sorrise timidamente. “Dovremo attraversare il mare, vero? A ovest? Questo significa che il posto è nella terra a ovest, nella penisola o nell'isola vicina, giusto?”
“Quante domande!” esclamò la dea, di nuovo infastidita. “Ti basti sapere che è a occidente. I locali lo chiamano Drepanon. Ma vi ci vorrà molto per arrivarci. Quando vi sarete messi in moto, ti darò nuove istruzioni.” tagliò corto, e Persefone avvertì inconsciamente che il tempo a loro disposizione stava già per concludersi.
“Aspetta! Ho un'altra domanda da farti...” esclamò precipitosamente, iniziando a correre nel futile tentativo di avvicinarsi alla dea. “Perché ci stai aiutando, e perché mi hai scelta? Non voglio suonare ingrata, è solo che...”
Gaia si mise a ridere fragorosamente e Persefone cadde bocconi, mentre la terra tremava sotto i suoi piedi. “Piccola impertinente! Farò come mi pare e piace, o devo rendere conto a te delle mie azioni?” replicò Gaia, seguitando a ridere di gusto, mentre il suolo sotto di lei continuava a rollare.
“Scusa! Scusa! Ritiro tutto!” gridò Persefone, cercando di aggrapparsi all'erba per non rotolare via.
Gaia continuò, imperterrita: “Ma guardati! E tu dovresti essere una dea? Alzati, su! Un tempo eri la padrona di ogni cosa che aveva radici nel suolo, dico bene? O ti sei già dimenticata chi sei veramente?”
La ragazza avvertì una pungente sensazione di vergogna nascerle alla base del collo. Si raddrizzò, staccando le mani tremanti dal prato, tentando disperatamente di riprendere l'equilibrio.
“Oh oh oh oh!” rideva intanto Gaia. “Piccola Kore, forse un giorno la tua domanda riceverà risposta...sempre che tu sia ancora viva per ascoltarla!”
“Con tutto il rispetto, non è una cosa molto carina da dire!” esclamò Persefone, incapace di trattenersi.
Gaia acquietò la propria ilarità, sorridendo sardonica. “Non mi sono mai fatta tanti scrupoli nella mia lunghissima vita, ragazzina. C'è questa possibilità, cosa credi? Che Urano stia scherzando, con voi? Che sia un gran simpaticone? C'è una ragione per cui i suoi stessi figli si sono rivoltati contro di lui. L'unico motivo per cui non vi ha ancora uccisi è che vuole vedervi umiliati e sconfitti. Ma appena si renderà conto di ciò che avete intenzione di fare...” Non finì la frase, ma il suo tono di voce la diceva lunga.
Persefone abbassò il capo, i lunghi capelli bianchi che le ricadevano in pesanti ciocche sul viso. “Capisco.” si limitò a dire, con voce fioca.
“Per questo è essenziale che partiate al più presto. E che tu sia forte. Lo dico per te, sai.” ripeté la dea seccamente. “E ora, mia cara, il nostro tempo è definitivamente scaduto.” annunciò, sparendo progressivamente dalla sua vista.
Quando la ragazza aprì gli occhi, le sembrò di essersi appena addormentata. Il bagliore che entrava dalla finestra della stanza, tuttavia, le suggeriva il contrario. Il suo stomaco si contrasse per il nervosismo.
Rimase lunga distesa nel letto, gli occhi fissi al soffitto, soppesando le parole che Gaia le aveva rivolto nel sonno.
Non aveva realmente considerato l'idea che quel viaggio sarebbe stato pericoloso. Tutta presa com'era dalla convinzione di essere speciale e che tutto dipendesse da lei, non ci aveva proprio fatto caso. Ma Ercole sarebbe stato con lei, giusto? Non avrebbe lasciato che le accadesse niente di male...
Qualcuno bussò alla sua porta. “Signorina? Padron Ercole la aspetta in cortile...” la informò la voce anonima al di là dell'uscio.
Avrebbe voluto che Adone la accompagnasse in quel viaggio, ma sapeva che non sarebbe mai potuto accadere. Improvvisamente, aveva paura. Si alzò lentamente dal letto, scostando le coperte dal proprio corpo, e si sorprese del freddo che percepì tutto intorno a sé.
Era l'alba di un nuovo giorno, un giorno che avrebbe segnato l'inizio di un nuovo capitolo della sua vita. Mentre si preparava ad uscire, si chiese quando e se sarebbe di nuovo riuscita a trovare un po' di pace. Troppe cose erano cambiate nella sua vita ultimamente, e troppo in fretta.
Quando uscì dalla porta principale della villa, si accorse che tutti gli occhi erano puntati su di lei. Sua madre le si avvicinò, avviluppandola in un mantello di lana, stringendole la mano destra tra le proprie. “Fai buon viaggio, cara. E sta' attenta. E copriti, non vorrai ammalarti...”
Le gettò le braccia al collo, mentre gli occhi le si inumidivano e il cuore accelerava i battiti. “Non preoccuparti, mamma. Peggio dell'Oltretomba non può essere...” cercò di sdrammatizzare, ma il tremolio nella sua voce la tradì.
Gli altri ex-dei, i servitori, i genitori adottivi di Ercole con la moglie: tutti le augurarono buon viaggio, e si commosse nel vedere che forse, in fondo, sua madre non era l'unica a volerle bene, a quel mondo.
Si girò in direzione del cancello dorato, ancora tutto storto e ammaccato. Ercole la fissava con sguardo determinato, una mano posata sulla criniera azzurra del suo destriero alato. Zeus, Poseidone e Ade stavano un po' in disparte, tutti e tre, ironicamente, con un'espressione truce in volto e le braccia incrociate sul petto.
“Stiamo tutti aspettando te, Riccioli d'oro.” interloquì Ade con voce stanca, due grosse mezzelune scure sotto gli occhi.
Persefone incrociò le braccia a sua volta, unendosi a loro.
Ercole fece un timido sorriso. “Immagino che sia ora di andare.” disse, e nessuno replicò. Si incamminarono lentamente, accompagnati dai saluti della folla, il sole che sorgeva alle loro spalle.
Ciao a tutte! Chiedo scusa per il ritardo. Come potete certo immaginare, sono ricominciati i corsi, e prima ho fatto gli esami. :) Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Mi rendo conto che in questi ultimi capitoli lo humor scarseggia...purtroppo quando si arriva alla parte "seria" della trama è faticoso inserirlo senza mandare a quel paese tutta la suspence. :) Spero comunque di non avervi annoiate!
Un bacione grande e grazie per aver letto. ^^
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Capitolo 28 *** [Arc III] On the road ***
On the road
Il sole era calato da un pezzo quando Ercole e Zeus decisero di accamparsi. Il gruppetto era uscito da Tebe senza troppi problemi quella mattina, anche se svariati fan di Ercole si erano accodati loro a mano a mano che attraversavano le vie della città e ci era voluta più di qualche richiesta perentoria (e una ventina di autografi) da parte dell’eroe per farli disperdere. Persefone, nel vedere quella massa di gente accalcarsi loro attorno, si era stupita: quel giovane uomo era davvero un dio tra i mortali! Nemmeno nei suoi giorni migliori di dea della primavera aveva ispirato tanta adorazione, aveva riflettuto con una punta di gelosia nel petto, e di sicuro in quanto regina dell’Oltretomba non avrebbe ricevuto che qualche culto sporadico, per di più associato ad Ade. L’idea non era per nulla elettrizzante.
Usciti da una delle tante porte della città, si erano messi in cammino verso sud, dove in lontananza si riusciva a scorgere il monte Citerone; una volta giunti al Golfo di Corinto, il piano era quello di imbarcarsi su una delle tante navi che veleggiavano verso ovest. Il loro primo giorno di viaggio era trascorso lento e silenzioso. Ercole, dopo averla guardata di sottecchi un paio di volte, aveva chiesto a Persefone se per caso non volesse salire in groppa a Pegaso, per non affaticarsi troppo. Lei era arrossita, ma aveva accettato di buon grado la sua offerta. Alle proteste di Ade, il cavallo alato aveva sbuffato sonoramente, guardandolo storto.
Ogni tanto capitava che incrociassero qualche viandante, specialmente mercanti con i loro carri appresso, che invariabilmente li salutavano con un sorriso a trentadue denti non appena riconoscevano l’eroe in testa al gruppo ed il suo destriero. Non era molto comune incontrare una cavallo alato in giro, dopotutto.
Calata la sera, trovarono rifugio in una grotta delle dimensioni poco più grandi di una delle tante casupole dei contadini che avevano visto lungo la via, addentratisi sempre più nella campagna piena zeppa di ulivi. Ercole accese un fuoco con maestria e il gruppetto si spartì la cena, che consisteva in pane di segale e formaggio di capra, più delle mele che Pegaso aveva rintracciato su un albero poco lontano. Il cavallo affondò la testa in una sacca di miglio che aveva portato attaccata al fianco destro per tutto il giorno e iniziò a strafogarsi.
Il silenzio imbarazzato si prolungò anche durante la cena. D’un tratto Zeus, seduto a gambe incrociate su un masso, si schiarì la gola, impacciato. “Beh, direi che oggi è andata…bene.” commentò, cercando un pretesto per fare un po’ di conversazione.
“Sì, sono d’accordo.” replicò Poseidone, spazzolandosi via le briciole di pane dalla barba.
“Decisamente!” assentì Persefone, di ottimo umore. Quel primo giorno di viaggio era andato complessivamente molto meglio di quanto si aspettasse: non aveva praticamente faticato, si sentiva fresca e riposata. Le vesciche ai piedi erano un pallido ricordo.
Ade, appoggiato a braccia conserte sulla parete rocciosa della grotta, sbuffò. “Grazie tante, hai fatto tutto il viaggio a dorso di cervello d’oca, qui.”
Pegaso, sentendosi chiamato in causa, riemerse a bocca piena dal sacco di iuta.
Persefone gli scoccò un’occhiataccia. “Cos’è, sei geloso?” fece, rivolgendo lo sguardo su Ercole, che stava mangiando in silenzio fissando il fuoco. “Almeno lui sa come trattare una fanciulla.”
Zeus sorrise. “Hah! Certo che lo sa! È il mio ragazzo, dopotutto!” esclamò tirandogli una pacca sulle spalle, che parve riscuoterlo dal silenzio pensoso in cui era caduto. “Ah…grazie.” fece Ercole, lanciandole una rapida occhiata e un fugace sorriso. Ade, in tutta risposta, alzò gli occhi al cielo.
Pegaso si avvicinò, accucciandosi dietro al suo padrone. “Ciao, bello.” gli fece Persefone, alzandosi da terra per accarezzargli la testa. “Grazie per oggi.” aggiunse, e il cavallo le diede un’affettuosa musata sulla mano.
“Gli piaci.” commentò Ercole, giratosi a guardarla.
Lei gli sorrise, facendo del suo meglio per ignorare l’occhiata sardonica che Ade le rivolse.
“Bene, dunque, quanto credete che ci metteremo per arrivare al mare?” interloquì Poseidone, riportando la conversazione su un piano più pragmatico.
“A questa velocità, direi meno di una settimana.” rispose Ercole, rinfocolando le braci con un bastone. “Se ci mettiamo in cammino all’alba ogni giorno e ci fermiamo dopo il tramonto…”
“Ottimo, allora immagino che convenga andare a dormire.” decretò prosaico l’ex-dio dei mari, alzandosi in piedi.
“Faccio io il primo turno di guardia, tanto non ho sonno.” propose Ercole, volenteroso.
“Ottimo! Immagino non abbiate bisogno di me…” replicò Ade sfregandosi le mani.
I quattro (cinque, contando Pegaso) lo guardarono male, poi si scambiarono un’occhiata perplessa. Era evidente che pensavano tutti la stessa cosa: da un lato non era giusto che Ade dormisse tranquillamente per tutta la notte senza dover fare un turno di guardia, dall’altra nessuno di loro si sarebbe mai sognato di fidarsi di lui.
Alla fine, fu Zeus ad assentire, sconfitto: “Immagini bene.”
“Mi fa molto piacere. Beh, che dire: godetevi la nottata, ragazzi!” disse Ade, un sorriso compiaciuto stampato sul volto pallido e scavato. Dopodiché, staccatosi dalla parete della caverna, vi entrò, scegliendosi il punto più lontano dall’entrata.
“Se solo lì dentro ci fosse la tana di un orso, o di un cinghiale…” borbottò Poseidone, mentre Zeus gli tirava una gomitata, ridacchiando sommessamente. “Mi è mancato il tuo senso dello humor, fratello!”
Poseidone sorrise sotto i baffi. “Una cosa è certa, era da tanto che non passavamo più così tanto tempo insieme.”
“Vero, vero!” esclamò Zeus, raggiante. “È proprio vero che si possono trovare lati positivi in ogni situazione!”
I due si scambiarono un altro paio di battute da buontemponi, poi ognuno si accomodò alla bell’e meglio, più o meno vicino all’entrata della grotta, cercando di prendere sonno. Persefone si strinse nello scialle di lana che sua madre le aveva messo sulle spalle quella mattina, appoggiandosi ad un fianco di Pegaso, il quale la coprì pure con una delle sue ali piumate.
“Caspita, gli piaci davvero tanto!” commentò Ercole, un tocco di incredulità nella voce. La ragazza ridacchiò, mentre Pegaso nitrì appena, scuotendo la criniera azzurra.
Si diedero la buonanotte, e dopo poco calò il silenzio, interrotto solo dallo scoppiettio della braci incandescenti, che spandevano una luce rossastra tutto intorno, e dal frinire dei grilli.
La quiete, tuttavia, durò poco: non appena Zeus prese sonno, infatti, un fragoroso russare si diffuse per tutto l’accampamento improvvisato. Poseidone si rigirò più e più volte nel sonno, ma parve sopportare abbastanza bene il rumore molesto e costante. Persefone invece, dopo aver passato più di un’ora ad occhi chiusi, nell’inutile tentativo di addormentarsi, si alzò in piedi, sbuffando.
Ercole la guardò mentre lei gli si sedeva vicino, per terra. “Non è possibile, ma quanto russa?!” sibilò stizzita la ragazza, circondandosi le ginocchia con le braccia.
Il ragazzo ridacchiò, imbarazzato. “Penso che tra un paio d’ore lo sveglierò per il cambio turno.” replicò sottovoce.
“Sì, te ne prego!” esclamò l’ex-dea in tono tragicomico. “Non so come faccia Poseidone a dormire, davvero. O Hera? Che dormono pure insieme? Mi sorprende che l’Olimpo intero non resti sveglio di notte!”
“Può darsi che siano abituati.” rispose semplicemente l’eroe, divertito suo malgrado dalle proteste accorate della ragazza.
“Hmm.” borbottò lei con una smorfia. I loro occhi si incontrarono per un secondo ed entrambi distolsero lo sguardo, impacciati. “Quindi…” esordì poi Persefone, le dita della mano destra che tamburellavano sul ginocchio sinistro.
“Sì?” fece Ercole, leggermente curvo in avanti.
“Lo sapevi che siamo cugina e cugino e zia e nipote allo stesso tempo?” buttò lì lei, tanto per fare conversazione.
Lui corrugò la fronte. “Oh! …no, non ci avevo mai fatto caso…”
Persefone annuì. “Anche se preferisco pensare di essere tua cugina e basta. Zia lo sarei solo acquisita, in fondo.” rifletté cupamente, lo sguardo che vagava involontariamente verso l’imboccatura della grotta.
Ercole la osservò di sottecchi per qualche istante, prima di chiederle, titubante: “Quindi…è vero che…”
La ragazza si girò a guardarlo, un sopracciglio sollevato. “Cosa?”
Lui si passò una mano dietro la testa, imbarazzato. “Beh, ecco…mi è giunta voce che…tu e Ade…aah, lascia perdere.” balbettò, e le sembrò che fosse un po’ arrossito.
Persefone fece un’altra smorfia. “Se siamo sposati? Sì, è vero.” ammise con finta noncuranza, mentre lo stomaco in realtà le si rivoltava.
“Oh…” commentò lui, rabbuiandosi. “Ma come…come è successo?” chiese a bassa voce, quasi inudibile a causa del potente russare di Zeus.
La ragazza sospirò. “Immagino che le Muse non abbiano ancora diffuso la notizia ai mortali…beh, in poche parole: mi ha rapita e ho mangiato un frutto dell’Oltretomba.” raccontò seccamente, lo sguardo fisso sul fuoco ormai quasi del tutto spento.
Ercole annuì, poco convinto. “Ehm…non capisco.” confessò dopo un po’, grattandosi un orecchio. “Cosa c’entra il mangiare un frutto?”
Persefone lo guardò a bocca aperta. “Nemmeno tu lo sai? Mangiare un frutto dell’Oltretomba ti condanna a restare per sempre nel Regno dei morti…” disse, alzando il tono di voce.
Ercole sgranò gli occhi azzurri. “Ooh! Non lo sapevo!”
“Già, nemmeno io, all’epoca!” spiegò lei, appoggiando la guancia sulla mano destra. “Allora non è una cosa così scontata, vedi.” borbottò. “Mi hanno preso in giro tutti per questa storia. “Ma Kore, come hai potuto essere così ingenua…” “Lo sanno tutti che non si deve mangiare niente che provenga dall’Oltretomba…” Beh, io non lo sapevo! Non è stata certo colpa mia!” fece in tono risentito.
“Ma…perché Ade ha fatto una cosa simile?” le chiese l’eroe, prendendo confidenza.
Persefone, dopo un attimo di esitazione, gli spiegò sottovoce quello che aveva scoperto dopo aver ricattato Pena e Panico. Ercole la guardò con desolazione crescente a mano a mano che gli rivelava le vere motivazioni che avevano spinto Ade a prenderla in moglie.
“Mi…mi dispiace tantissimo.” fu il commento del giovane quando lei ebbe finito di raccontare. Sembrava sinceramente abbattuto. Persefone gli sorrise amaramente. “Non devi dispiacerti, non è colpa tua…” mormorò con voce roca.
Il ragazzo la fissò con un’espressione a metà tra lo sconcertato e l’orripilato. “Invece sì, è colpa mia! Sono stato io a scaraventarlo nello Stige…” disse, e la rivelazione la colpì come un fulmine a ciel sereno. Sgranò gli occhi, il cuore che accelerava i battiti, realizzando che aveva ragione. Se Ade non fosse mai finito nello Stige, i suoi poteri non si sarebbero indeboliti…e se i suoi poteri non si fossero indeboliti, non avrebbe mai avuto bisogno di rapirla.
I due si fissarono in gelido silenzio. Persefone si era irrigidita, quasi non respirava più. Se solo Ade non fosse finito nello Stige, lei non si sarebbe mai mossa da Nysa, non sarebbe mai diventata regina dell’Oltretomba, e soprattutto non avrebbe mai dovuto avere a che fare con lui…
Ercole fu il primo a distogliere lo sguardo. “Io…non so davvero come scusarmi…è tutta colpa mia…” balbettò con voce supplichevole.
Persefone osservò il semidio che si trovava di fronte. Le stava pure simpatico, fino a qualche minuto prima. Le aveva ispirato fiducia, tanto che gli aveva raccontato la sua storia senza alcun ripensamento. E all’improvviso era venuta fuori quella tremenda verità…
Provò l’impulso di prenderlo a schiaffi e di urlargli addosso che sì, era solo colpa sua, e che non l’avrebbe mai perdonato, finché le sarebbe rimasto da vivere. Ma poi realizzò che non era vero, che la colpa non era di Ercole. Che lui non aveva fatto nulla che Ade non si meritasse, e che non poteva conoscere le conseguenze di quel gesto, all’epoca. Dubitava che persino Ade fosse riuscito a prevederle.
Ercole aveva causato una catena di eventi che avevano finito per toccare profondamente la sua vita, lei che in tutto quello non c’entrava nulla…ma la paura, il senso di impotenza, la frustrazione e tutte le altre emozioni negative che Persefone aveva provato in quegli ultimi mesi, quelle erano dipese da Ade, solo ed esclusivamente da Ade. Forse era vero che non aveva avuto altra scelta e che non l’aveva scelta con malizia ma solo per caso…ma era altrettanto vero che il suo modo di fare odioso, la sua completa indifferenza verso i suoi sentimenti e la sua totale mancanza di etica erano completamente voluti, e non c’erano scuse per come l’aveva trattata da quando si erano conosciuti in poi.
Persefone prese un respiro profondo. “Non…non è colpa tua, Ercole.” disse con un filo di voce. “Davvero, non ce l’ho con te.”
“Ok, non so di cosa stiate parlando voi due, ma potreste cortesemente piantarla?! Sto cercando di dormire!” sibilò all’improvviso Ade, sbucando dalla penombra della caverna.
I due in questione lo fulminarono con lo sguardo. “Stavo raccontando a Ercole di come mi hai rovinato l’esistenza.” lo informò Persefone in tono tagliente, lo sguardo pieno di odio. Perché doveva sempre sbucare fuori nei momenti meno opportuni e rovinare le conversazioni significative che aveva con la gente? Sua madre, Adone, Ercole…
Ade alzò gli occhi al cielo. “Ancora con questa storia? Ti prego, risparmiaci un’altra versione lacrimosa della storia della povera innocente condannata all’Oltretomba! Stai diventando ripetitiva, fiorellino, dico sul serio.” disse incrociando le braccia al petto. “Che poi, Herc, non so se te l’ha detto, ma tecnicamente si tratta di sei mesi all’anno. Metà anno, è tutto quello che chiedo! Se lo consideri dal punto di vista di un dio, si tratta di appena mezza eternità. Non mi sembra una richiesta così esosa.”
“È comunque troppo.” ringhiò Ercole, nello sguardo la stessa indignazione di Persefone.
Ade sbuffò. “Già, ok, immaginavo che aspettarmi simpatia da Megafusto fosse una battaglia persa. Che cosa stavo pensando, mi chiedo…forse che è notte fonda e dovrei dormire, invece di stare qui a chiacchierare, voi che dite?”
Persefone sbuffò a sua volta. “Di cosa diamine stai ciarlando?! Se proprio non riesci a dormire, la colpa è di Zeus, non nostra!” sibilò puntando il dito sull’ex-dio del fulmine, che dormiva beatamente ignorando il battibecco e continuando a russare imperterrito.
Ade ghignò. “Punto primo: al russare di Sputafulmini io sono disgraziatamente abituato. Lo vedi Poseidone? Non fa una piega, eh? Chiediti perché. Quello a cui non sono abituato – anche se temo che farò l’abitudine pure a questo, ahimè – è la tua vocetta stridula all’una di notte. Punto secondo: ti sei chiesta perché ho scelto di dormire in grotta invece che all’aperto? Ora puoi indovinarne il motivo.” Detto questo, si congedò, tornandosene da dove era venuto.
Persefone digrignò i denti, alzandosi in piedi. “Di qui a poco mi verrà un’ulcera, lo sento.” commentò, allontanandosi dal falò. Ercole, rimasto solo, abbassò il capo. “Sarà un viaggio molto lungo.” constatò, sconsolato.
Pegaso nitrì in segno di solidarietà.
E rieccoci di nuovo qui, gentili lettrici/lettori. Come potete immaginare, questo periodo di corsi, tirocinio e esami non mi ha lasciato molto tempo per scrivere. Oltre al fatto che mi sono imbarcata nella scrittura di una one-shot di 10000 parole per un contest. xD Lo so, sono incorreggibile.
Comunque ecco, con questo capitolo inizia ufficialmente l’ultimo arco della storia! Se tutto va come dico io, ne vedrete delle belle. ;) Grazie per aver letto e a risentirci!
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Capitolo 29 *** Eurystheus ***
Eurystheus
Quando la servetta la chiamò, Megara stava allattando la figlia.
“C’è un uomo alla porta che chiede di padron Ercole.” la informò a bassa voce, occhieggiando la piccola Macaria.
Meg le lanciò un’occhiata infastidita. “Ercole non c’è. Se ha un messaggio da lasciare fattelo dare, altrimenti digli di ripassare tra qualche settimana.” ordinò, cullando leggermente la bambina.
La serva ubbidì prontamente, lasciandole sole. Meg sorrise amaramente alla figlia, che la scrutava con i tondi occhioni blu. “Chissà se papà tornerà tra qualche settimana…” considerò la donna tra sé e sé, stringendo Macaria al petto.
Dopo qualche minuto, la servetta tornò: “Dice che è venuto a far visita al signor Anfitrione e alla signora Alcmena. Dice che è un parente di padron Ercole, e che se potesse parlare con il signor Anfitrione lui potrebbe confermarlo.”
A quel punto, Meg sospirò appena. “Va bene, va’ a chiamare Anfitrione allora. Io arrivo subito.” disse scivolando con grazia in piedi mentre la bambina finiva la poppata. Macaria le sorrise, soddisfatta, ed Hera, come spuntata dal nulla, si offrì raggiante di prenderla in braccio.
“Attenta al chitone, deve fare il ruttino.” la avvertì Megara con una mezza smorfia. “Potrebbe rigurgitare un po’.”
L’ex-dea parve impallidire leggermente alla prospettiva. “Oh, beh, sono certa che non sarà nulla di irreparabile…” commentò prendendo in braccio la piccola.
“Dipende dalla stoffa, immagino.” commentò Meg, avviandosi a malincuore fuori dalla nursery.
Non era certo un granché come ospite, se ne rendeva conto benissimo. Inoltre, come se già non fosse di malumore per conto proprio – e lo era, con il marito impegnato in una missione di vitale importanza lontano da casa e una decina di ex-divinità che gironzolavano per casa – ci si mettevano pure lontani parenti sbucati da chissà dove a peggiorare la situazione.
Attraversate le ariose stanze della villa, percorse il viale pieno zeppo di operai e sacchi di malta e calcestruzzo. Si vedevano ancora i segni della lotta contro i Centimani, ma i lavori procedevano rapidamente. Presto qualsiasi traccia fisica dello scontro sarebbe stata obliterata; quanto alle tracce psicologiche, rifletté cupamente, ci sarebbe voluto senza dubbio più tempo.
Giunta al cancello principale, miracolosamente sostituito in meno di una settimana per merito di Phil, squadrò l’uomo al di là delle sbarre con un’espressione tutt’altro che cordiale. “Sì?” gli fece seccamente, incrociando le braccia al petto.
L’uomo la squadrò a sua volta, un’espressione di lascivia che pareva traboccare dal volto tondeggiante sul cui mento spuntava una rada barba. “Buongiorno a te, bellezza! Mi chiamo Euristeo, sono il cugino di Ercole. Mi hanno detto che non è in casa…”
“È così, infatti.” rispose Meg in tono perentorio. In quel momento arrivò Anfitrione, zoppicante, sottobraccio all’ancella di poco prima. Il vecchio corrugò la fronte e socchiuse gli occhi, come per vedere meglio il tizio che si trovava di fronte. “Per Bacco…” fece l’anziano uomo, affiancandosi alla nuora.
“Zio!” esclamò quindi l’uomo fuori dal cancello. “Zio Anfitrione, ti ricordi di me? Sono Euristeo!” esclamò, con una gioia a cui Meg non riuscì a credere fino in fondo.
Anfitrione sbatté le palpebre. “Euristeo? Mio nipote?” disse, incredulo, avvicinandosi ancora un po’ al cancello.
“Ma certo! Ne conosci altri?” chiese l’uomo, ridendo fragorosamente. “Caro zio, quanto tempo è passato. E la zia Alcmena, come sta?”
Anfitrione sembrava alquanto perplesso. “Bene, bene…” balbettò, ma il nipote non attese nemmeno che finisse di parlare prima di continuare: “Ho saputo che Ercole non è in casa, che peccato! E io che sono venuto fin qui da Tirinto solo per vedere lui! Ma per fortuna almeno ho trovato voi! Di’, caro zio, posso entrare? O qui a Tebe hanno un concetto diverso di ospitalità?” disse in tono affettato, gli occhi acquosi che si posavano su Megara.
Anfitrione, in evidente imbarazzo, si rivolse anch’esso alla donna. Meg, sforzandosi di trattenere l’irritazione, prese la chiave che teneva in tasca e aprì il cancello, che scivolò sui cardini senza il minimo cigolio.
“Grazie! Gentilissima!” le fece l’uomo, portandosi la sacca da viaggio sulle spalle.
“Ehm…lei è mia nuora, Megara.” la presentò Anfitrione, schiarendosi la voce nel mentre.
Euristeo la squadrò nuovamente. “Ah! Che maleducato sono, non ne avevo proprio idea!” esclamò, improvvisando un baciamano. “Mia cara, sono onorato, anzi onoratissimo! Il cugino Ercole ha dei gusti eccellenti in fatto di donne, devo dire!”
Meg sollevò un sopracciglio, ritraendo la mano non appena le fu possibile. “Prego, accomodati se vuoi: purtroppo, se sei venuto per Ercole, temo che non tornerà tanto presto…” esordì la donna, anche se aveva l’impressione che non gli sarebbe certo dispiaciuto fermarsi per un po’ a casa loro a scroccare vitto, alloggio e comodità correlate.
Come se già non fossero pieni quanto un albergo ad Atene durante le Panatenee.
“Oh, beh, vengo da un viaggio lungo, e se potessi giusto…” iniziò l’uomo, e Meg lo interruppe subito con un “Certamente” che aveva un che di rassegnato.
Percorsero il viale al contrario. Euristeo osservò con curiosità manifesta gli operai intenti a sostituire le mattonelle di pietra in frantumi con delle nuove lastre, integre e lucide. “Oh, cielo! Che è successo qui?” si informò l’ospite.
“Stiamo ristrutturando.” rispose laconica Meg, dandogli le spalle.
Anfitrione si schiarì la gola di nuovo. “Allora, come vanno le cose..?” chiese al nipote, cercando di fare conversazione.
“Eh, cosa vuoi, caro zio: quest’anno il raccolto è stato magro, le piante sono appassite all’improvviso…uno dice ‘meglio sacrificare a Demetra’, ma quando hai la pancia vuota cosa ti resta da sacrificare?” rispose Euristeo, lo sguardo che vagava su ogni singolo particolare della villa. “Voi, invece, vedo che ve la passate molto bene…” commentò con una punta di invidia nella voce.
Il vecchietto si strinse nelle spalle. “Si fa quel che si può. Ma in realtà io e la zia non abitiamo qui; siamo solo in visita.”
Euristeo annuì, pensoso. “E dimmi, Ercole dov’è andato? E quanto starà via?”
Meg assottigliò lo sguardo. Non le piaceva che quell’estraneo facesse tutte quelle domande. Sarà che aveva imparato a sue spese a non fidarsi troppo della gente, dei o uomini che fossero… “Mio marito è impegnato in una faccenda importante. Cose da eroi.” rispose, anticipando Anfitrione. “Ma se hai un messaggio da dargli, posso comunicarglielo io non appena tornerà.” aggiunse, girandosi a guardarlo. Erano quasi arrivati all’ingresso della villa.
L’uomo si produsse in una breve, secca, risata. “Mia cara, non è nulla di così importante! Si tratta semplicemente di un accordo economico, ecco tutto...ma non voglio annoiarti con i dettagli…” disse, vago, liquidando l’argomento con un sorriso untuoso.
“Sono certa che potrei capire. Ho una certa esperienza riguardo agli accordi.” insistette lei, ben sapendo di starlo mettendo con le spalle al muro. Con chi credeva di avere a che fare? Non era certo una stupida né una sprovveduta: sentiva che in quell’uomo c’era qualcosa che non andava. Le ricordava Ade, in qualche modo, e la cosa da sola era già un campanello d’allarme bello e buono.
In quel momento, tuttavia, lo stomaco di Euristeo brontolò fragorosamente, e questi ne approfittò per sviare il discorso. “Oh, per Zeus! Perdonate se ve lo chiedo, ma sarebbe possibile avere un po’ da mangiare? Non necessito di molto, appena un po’ di pane e formaggio…”
La servetta al fianco di Anfitrione, la quale fino ad allora era rimasta in silenzio, scattò sull’attenti. “Vado subito ad avvisare in cucina!” esclamò in fretta, pensando evidentemente di aver mancato ai suoi doveri.
Maledetta ospitalità greca, pensò Meg tra sé e sé, costringendosi a rimandare la discussione in un altro momento.
***
Ercole, Pegaso e le quattro ex-divinità erano in cammino da quasi una settimana ormai, e Gaia non si era più fatta sentire. Persefone stava iniziando a preoccuparsi; senonché, per tranquillizzarsi, diceva a se stessa che, tutto sommato, se la grande dea non cercava di contattarla, poteva benissimo voler dire che stavano andando nella giusta direzione ed era tutto tranquillo.
O forse non riusciva a parlarle nel sonno perché dormiva poco e male. In realtà, si stavano tutti stancando parecchio, a causa dei quotidiani turni di guardia e del russare prepotente di Zeus, che ogni mattina sembrava più mortificato. “Non posso davvero farci niente, mi dispiace.” si giustificava, come rattrappito per la vergogna.
L’unico che al mattino era fresco come una rosa era Ade, che dormiva indisturbato tutte le notti, vuoi perché non lo svegliavano mai per fare la guardia, vuoi perché era abituato al russare del fratello. Una notte, Poseidone l’aveva svegliato durante il suo turno di guardia, indispettito perché non trovava giusto che fossero tutti costretti a sacrificare ore di sonno tranne lui, ed erano quasi venuti alle mani.
Da allora avevano convenuto che fosse meglio ingoiare il rospo e ignorare l’ex-dio dei morti come meglio potevano, cosa che Persefone, suo malgrado, era praticamente allenata a fare.
Finalmente arrivati a Corinto, dopo aver speso un bel po’ di dracme sonanti per rifornire le scorte di viveri, si diressero verso il porto in cerca della nave che li avrebbe condotti alla terra occidentale al di là del mare.
Persefone non aveva mai visto una città portuale in vita sua, e fu estremamente sorpresa nel vedere tutta quella gente affaccendarsi con merce di ogni tipo e misura. Odori che non aveva mai sentito prima la colpirono uno dopo l’altro, facendole girare la testa. Gabbiani stridenti volavano appena sopra le loro teste e più di qualche mercante dal viso scurito e rugoso lanciò loro un’occhiata che voleva forse sembrare amichevole ma che la inquietò tanto che si tirò lo scialle fin sopra la testa, a coprirle il volto.
Pegaso le diede una leggera musata sulla spalla, come per rassicurarla.
A mano a mano che si avvicinavano ai moli, Poseidone allungava il collo in direzione del mare. Zeus se ne accorse e gli mollò una pacca sulla schiena. “Nostalgia, eh vecchio mio?” fece, il vocione ancora più profondo del solito.
L’ex-dio dei mari annuì stancamente. “Non so cosa darei per rivedere Amphitrite ancora una volta…e Tritone! Non so nemmeno che fine hanno fatto…”
Ade, che camminava a passo strascicato dietro i due fratelli, mormorò, rivolto alla moglie: “Vedi, questo è il vantaggio di non avere legami con nessuno: meno preoccupazioni, meno casini…”
Persefone sollevò un sopracciglio: “Senza dubbio tu non hai di chi preoccuparti, a parte te stesso.” commentò con una punta di disapprovazione nella voce.
Ade sogghignò. “E non passa giorno che io non mi rallegri per questo. D’altronde, ho avuto l’immensa fortuna di averti sempre appresso, fiorellino.”
La ragazza lo fulminò con lo sguardo. “Perché mi stai parlando? Credevo che non mi sopportassi.” sibilò a bassa voce, sperando che il resto del gruppo non li sentisse confabulare.
Ade si strinse nelle spalle. “Tutto sommato, e per quanto mi costi ammetterlo, sei quella che sopporto di più, qui in mezzo.”
Persefone socchiuse gli occhi. “Beh, la cosa non è affatto reciproca.”
Si fermarono davanti ad una serie di anfore in argilla che venivano caricate a poco a poco su di una nave commerciale. Quello che sembrava a tutti gli effetti il capitano della suddetta nave li occhieggiò con diffidenza, soffermandosi in particolar modo sul cavallo alato nelle retrovie.
Ercole prese la parola, spiegando a grandi linee la loro situazione all’uomo di mare. “Naturalmente, siamo disposti a pagare.” disse il ragazzo, facendo tintinnare il sacchetto in cuoio che portava legato alla cintura.
Il capitano parve rilassarsi un po’ quando vide il borsello gonfio di monete. “Potrei considerare di portarvi fino a Siracusa, certo…” esordì, lanciando un’occhiata critica a Persefone e a Pegaso, che lo osservarono perplessi di rimando. “Cosa?” domandò la ragazza, ignara del motivo per cui la stesse squadrando in quel modo.
L’uomo fece una smorfia, grattandosi il mento coperto da un barbone ispido e brizzolato. “Non è che trasporto spesso donne nella mia nave, e non avevo mai visto una bestia del genere in vita mia…” rispose gesticolando in direzione di Pegaso.
Ade colse la palla al balzo e, passando un braccio dietro le spalle della moglie, fece allegramente: “Non se ne vedono spesso in giro, è vero…ma tranquillo: questa qui non morde.” Persefone spalancò la bocca, indignata, e lo spinse via con tutta la forza che aveva. “Idiota!” sibilò, le guance in fiamme. Zeus, Poseidone, Ercole e Pegaso lanciarono un’occhiataccia all’ex-dio dei morti, mentre il capitano parve apprezzare la battuta e scoppiò a ridere fragorosamente. “Uahahahah! Questa sì che è bella!” esclamò, tossendo e sghignazzando al contempo. “Beh, beh, potrei fare un’eccezione, sì…” aggiunse, asciugandosi una lacrima, il viso rubicondo per l’improvvisa ilarità. “…ma solo perché mi sta simpatico.” bofonchiò indicando Ade, che si produsse nel sorriso più smagliante che gli riusciva di fare. “Sentito, ragazzi? Tutti a bordo!” esclamò, raggiante come Persefone non l’aveva visto da tempo.
Ercole, impacciato, fece per rivolgersi all’uomo, ma costui lo precedette, tornando improvvisamente serio: “Pagamento anticipato. E per la donna e il cavallo voglio il doppio.”
Pegaso lanciò un acuto nitrito e Persefone, indispettita, incrociò le braccia al petto.
***
La notte era ormai calata da un po’ quando Euristeo uscì in cortile, dopo essere sgattaiolato fuori dalla stanzetta che gli avevano assegnato. L’uomo si guardò attorno parecchie volte, sospettoso, cercando di fare meno rumore possibile, fino a quando un’alta figura ammantata non gli si parò davanti, rischiando di farlo urlare per la sorpresa.
“Siamo nervosi, mortale?” fece la figura con voce roca, sotto la quale si celava tuttavia un tono di perentorio comando.
“Beh, ecco, un po’…” rispose lui, ridendo nervosamente.
Gli occhi verde smeraldo della dea di fronte a lui brillavano nell’oscurità. “Allora, cosa mi dici di Ercole e degli altri?” chiese, andando dritta al sodo.
Euristeo si schiarì la voce. “Ehm, ecco…Ercole non c’è, a quanto pare…” pigolò, facendosi piccolo piccolo.
“Come sarebbe, non c’è? Dov’è andato?” si informò la dea, assottigliando lo sguardo.
“Non lo so…dicono solo che è partito in missione…non so dove.” riferì Euristeo, guardandosi intorno. “Hai sentito un rumore?”
La dea gli si avvicinò, prendendolo per il bavero. Lo sovrastava di tutta la testa. “Scopri dov’è andato. Subito.” sibilò, spintonandolo all’indietro. Detto questo, spiegò le grandi ali membranose e si alzò in volo, lasciando Euristeo solo nella notte.
Ce l'ho fatta! Ho aggiornato prima di Capodanno! Evviva! XD
Vi ringrazio ancora tantissimo per i continui complimenti che mi fate. :) E grazie anche per il sostegno che mi date. ^o^ Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Piccolo appunto: nella mia storia ovviamente Euristeo non è il re di Tirinto. L'ho immaginato più come il cugino di campagna o una cosa del genere. ;P
Tanti tanti auguri di buon anno nuovo! :) Statemi bene! :*
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Capitolo 30 *** Bon Voyage ***
Bon Voyage
Persefone allungò il collo oltre lo scafo ricurvo della nave per dare un’occhiata alle ultime operazioni di carico prima della partenza. I marinai di cui era composta la ciurma del mercantile erano degli omaccioni duri e temprati dalla calura e dalla salsedine, con delle facce truci, i volti bruciati dal sole e grandi mani callose, che non facevano altro che lanciarle occhiate strane da quando era salita a bordo. Per quel motivo, e anche perché il pensiero che a separarla dall’affogamento ci fossero poco più di un paio di assi di legno la inquietava parecchio, da quando aveva messo piede sulla nave era praticamente rimasta sempre appiccicata a Ercole, ovvero l’unico, lì in mezzo, che le ispirasse fiducia.
Abbassò lo sguardo a scrutare l’acqua sotto di sé, poco convinta. Buffo come avesse trascorso la maggior parte della propria vita su un’isoletta nell’Egeo senza imparare mai a nuotare. Del resto, lei era (o meglio era stata, si corresse con una punta di amarezza) la dea della primavera, non una ninfa acquatica…
Il capitano, che a causa dei commenti di poco prima le stava decisamente antipatico, stava sbraitando a destra e a manca, intento a completare i preparativi per la partenza. Poseidone, a poca distanza da lei, aveva lo sguardo fisso sulle onde verdastre che si infrangevano sulla chiglia; tuttavia, al contrario della ragazza, non sembrava minimamente rendersi conto di quello che gli accadeva attorno, come ipnotizzato dall’andirivieni dei flutti.
“Gira voce che tu sia quell’eroe di Tebe di cui tutti parlano da un po’ di tempo a questa parte.” fece il capitano all’improvviso, avvicinandosi ad Ercole, che stava accarezzando Pegaso sul muso. Persefone fece un passo nella sua direzione, staccandosi dal parapetto.
Ercole annuì, sorridendo caloroso. “Sì, è così.” rispose, aggrottando poi lievemente le sopracciglia. “Ė per caso un problema?”
Il capitano si strinse nelle spalle. “Ah, no, certo che no. Un paio dei miei ragazzi potrebbe volerti chiedere l’autografo, tutto qui…” spiegò l’uomo, mentre alle sue spalle due marinai arrotolavano le grosse cime che tenevano la nave ancorata al molo. “Ah, e il cavallo…per quanto mi riguarda, sarebbe meglio che venisse legato…” aggiunse, e Pegaso nitrì subito, scalpitando nervosamente.
Ercole si fece improvvisamente serio. “Non credo sia una buona idea. A Pegaso piace poter volare in libertà.” Persefone annuì con vigore, incrociando le braccia, mentre il cavallo alato le andava vicino, i passi che rimbombavano sul pavimento in legno della nave.
“Uhm…” borbottò l’uomo, apparentemente considerando la cosa. “Beh, suppongo che, finché non darà problemi…” continuò, con tutta l’aria di star facendo loro un grande favore. “Ma sì, voglio essere buono oggi. Giusto perché abbiamo una celebrità a bordo.” disse infine, azzardandosi a mollare una pacca sul braccio muscoloso del ragazzo.
“Sono certo che si comporterà bene.” gli assicurò il ragazzo, mentre Persefone lo fissava con lo sguardo più torvo che le riuscisse di fare (avendo a che fare con Ade, si era allenata parecchio). Mordendosi la lingua, pensò a cosa avrebbe detto, quell’uomo rozzo, puzzolente e avido, se avesse scoperto che, oltre al famoso e possente Ercole, si stava apprestando a trasportare nientepopodimeno che Zeus, Poseidone e Ade…
…e anche lei, ovviamente…altro che avere una donna a bordo..!
Come se le avesse letto nel pensiero, il capitano la squadrò con un cipiglio piuttosto scettico, dopodiché chiese: “E i tuoi amici, grande eroe, anche loro sono gente che dovrei conoscere, per caso?”
Zeus, alle loro spalle, a quelle parole parve irritarsi quanto se non più di lei. “Per tua informazione, mortal-“ esordì, e Persefone, Ercole e Pegaso si girarono all’unisono verso di lui, nel tentativo di zittirlo prima che dicesse cose di cui era meglio tacere, ma Ade intervenne prima che potessero fare alcunché: “Nessuno di importante, buon uomo: parenti, tutto qui.” disse in tono sbrigativo, con lo stesso sorriso falso che aveva usato con lei quando l’aveva rapita e portata nell’Oltretomba.
Ercole gli lanciò uno sguardo a metà tra il sorpreso ed il perplesso. “Ehm…sì, esatto.” balbettò, girandosi di nuovo verso il capitano, che lo teneva d’occhio con sguardo indagatore. “Lei è…uh…mia cugina Persea, e lui è mio padre Ze…none, e lui…” continuò, indicando Ade, “lui è mio zio…Adone.” Persefone, impegnata a fare cenno di sì con la testa per reggergli il gioco, strabuzzò gli occhi nell’udire il nome che Ercole si era inventato per Ade. Gli lanciò un’occhiataccia, che però il cugino non colse, ma che non sfuggì al marito, il quale si lasciò andare ad una breve risata: “E come amo il mio nome!” esclamò, chinandosi a posarle le mani sulle spalle. “Anche lei lo adora, vero Riccioli d’oro?” la punzecchiò, ghignando apertamente.
Il capitano sollevò un sopracciglio. “Ma…voi due siete sposati o che?” domandò bruscamente.
“Purtroppo sì.” sibilò lei, scrollandosi di dosso le manacce del consorte e avviluppandosi nello scialle.
Ade si strinse nelle spalle, per nulla impressionato dalla reazione di lei. “Donne, che vuoi farci.” si limitò a commentare, sempre col ghigno stampato sulla faccia.
“Ah, non dirlo a me.” gli fece l’uomo ridendo sotto i baffi. “Almeno è carina. Mia moglie è più mascolina di me!” aggiunse, tossicchiando.
Ade gli passò un braccio attorno alle spalle. “Sì, beh, dovresti vedere sua madre…” mormorò, ma non così piano da rendersi inudibile alle orecchie di Persefone. La ragazza arrossì dalla rabbia, conficcandosi le unghie nei palmi delle mani. Un giorno te le farò pagare tutte. Non so come farò, ma in qualche modo giuro che avrò la mia vendetta., pensò, cercando di calmarsi, onde evitare un litigio nel bel mezzo della nave in partenza. Ercole le si avvicinò, un’espressione dispiaciuta dipinta sul volto.
“Certo, è un po’ bisbetica.” borbottò nel mentre il capitano, accarezzandosi piano la barba.
“Un po’? Temo che non basterebbero due secoli per renderla meno acida!” sentenziò Ade, subito prima che un paio di uomini chiamassero a gran voce il suo interlocutore.
Il capitano si girò, rispondendo bruscamente al marinaio che l’aveva interpellato. Congedatosi seccamente da loro, fece un giro veloce della nave per controllare che tutto fosse a posto. “Le anfore sono fissate? Se si rompono un’altra volta, vi avverto, vi butto tutti in mare!” sbraitò, guadagnandosi un paio di gestacci da parte degli uomini a cui dava le spalle. “Vi ho visti!” replicò, burbero. Persefone tenne bene a mente il gesto che aveva appena visto fare ai marinai; magari, si disse, le sarebbe potuto tornarle utile…
“Suvvia, Ade, perché devi sempre offenderla in questo modo?” intervenne allora Zeus, con un’innocenza che quasi le fece venire da ridere.
“Vuoi dire Adone…” osservò il fratello, la voce colma di sarcasmo, facendole digrignare i denti.
Zeus sbuffò. “Lo sai cosa voglio dire. Insomma, è tua moglie o no? L’hai voluta per te, hai fatto un tale pandemonio per averla…e adesso la tratti così?” A quelle parole, lo sguardo di Persefone intercettò quello di Ade per un breve istante, e la ragazza si ritrovò, suo malgrado, a pensare che tutto sommato in quel momento qualcosa in comune ce l’avevano: l’espressione di incredulità mista ad una buona dose di insofferenza dipinta simultaneamente sui loro volti. Davvero Zeus non aveva capito che Ade non l’aveva sposata perché era innamorato di lei? La ragazza lanciò un’occhiata in direzione di Ercole, stupita che non avesse informato il padre di quanto lei gli aveva riferito una manciata di sere prima.
Nel frattempo, Ade aveva alzato gli occhi al cielo, evidentemente indeciso se degnarsi di rispondere o meno alle proteste del fratello. Dopo qualche secondo, tuttavia, parve decidersi: “Il fatto è, mio acuto fratello, che io e Seph, qui, abbiamo un rapporto di, beh, una specie di odio-amore, ecco.” spiegò. “Più odio che amore, in effetti…” aggiunse, lanciandole un’altra ironica occhiata, per poi chiederle: “Non è vero, Seph?”
Lei sbuffò sonoramente. La sua sfacciataggine le dava oltremodo sui nervi. “Decisamente più odio. Anzi, direi solo ed esclusivamente…” assentì, la voce piena di livore.
“Visto? Su certe cose andiamo pure d’accordo.” osservò l’ex-dio dei morti, tornando a rivolgersi a Zeus, che non sembrava del tutto convinto. “Ma tu non preoccuparti di queste cose, non devi, sul serio. Ecco, magari passami il nome del terapeuta di coppia da cui andate di solito tu ed Hera, e magari dopo che, sai, avremmo risolto quest’altra brutta faccenda di Urano, potremmo anche farci un pensierino.” aggiunse, rifilandogli un paio di pacche sul petto a mo’ di contentino.
Persefone scosse la testa, voltando stizzita le spalle a tutti quanti indistintamente, proprio quando il capitano diede l’ordine di partire. Le vele giallognole vennero spiegate, gonfiandosi quasi subito grazie al vento che spirava da est. La nave prese a staccarsi lentamente dal molo, provocando la prima vera reazione di Poseidone da quando si erano imbarcati: improvvisamente febbrile, raddrizzò la schiena, prendendo un’ampia boccata d’aria.
Persefone socchiuse gli occhi, facendo del suo meglio per godersi quello strano momento, nonostante la compagnia poco piacevole con cui viaggiava. Per un attimo le sembrò quasi di essere tornata indietro nel tempo e di essere ancora una giovane dea ignara di tutto, sulla sua piccola Nysa sperduta nel mare. Attorno a lei, i marinai urlavano tra le grida stridule dei gabbiani, in un tendersi di corde e vele.
In quello che le sembrò un battito di ciglia, si erano già allontanati dalla banchina. Vide il porto, con le sue persone e le sue merci traboccanti da ogni angolo, farsi sempre più distante, e restò immobile a fissarlo finché non riuscì più a distinguere chi fosse chi e cosa fosse cosa.
Un’altra manciata di momenti, ed erano partiti, definitivamente, allontanandosi sempre di più dalla costa, la prua della nave che si faceva strada tra i flutti, spezzandoli in un gorgoglìo di schiuma.
Da allora in poi, realizzò la giovane trattenendo il respiro, anche se lo avessero voluto, non sarebbero più potuti tornare indietro.
Pegaso si alzò in volo nitrendo gioiosamente, la criniera celeste scompigliata dal vento.
***
Euristeo scivolò nel corridoio con una destrezza che nessuno, incluso lui, si sarebbe mai aspettato che possedesse. Era un uomo piuttosto tozzo, con un ventre che, per quanto si sforzasse di nascondere, diventava anno dopo anno sempre più prominente, un paio di gambe secche dalle ginocchia a punta e la schiena resa curva dal lavoro nei campi…non quello che si direbbe un bell’uomo, in effetti, né tantomeno fortunato.
...almeno fino a quando, una notte di non molto tempo prima, quella dea oscura, il cui nome non era riverito né nominato volentieri da nessuno, non gli era comparsa di fronte come una visione delirante e febbrile.
Gli aveva promesso ricchezza, gli aveva riempito le mani di oro e argento, assicurandogli che ne avrebbe ricevuto ancora, se solo l’avesse servita. Era stata l’occasione migliore che gli fosse mai capitata nella vita; non poteva non accettare.
Quello stesso oro ora gli danzava in tasca, mentre faceva del suo meglio per apparire innocente, nient’altro che un poveraccio di campagna ammaliato dalla maestosità di Tebe e dalla sfarzosità della villa del cugino – cugino che, beninteso, aveva visto solo una volta, quando era ancora solo un contadino come lui, nella vecchia casupola di Anfitrione. Se lo ricordava goffo, con lo sguardo perennemente fisso a terra, Ercole: chi l’avrebbe mai detto che uno così sarebbe diventato un eroe ricco e famoso, con uno schianto di donna come moglie…
Ma magari, pensò l’uomo adocchiando un servo di mezz’età poco distante da lui, magari tra qualche anno la gente avrebbe pensato lo stesso di lui. In fondo, erano i soldi che importavano. Ci potevi comprare tutto, con i soldi. E lui ne avrebbe avuti in abbondanza, fino alla fine dei suoi giorni.
Prese a scambiare qualche battuta con il servitore, facendo casualmente tintinnare le monete al suo fianco. Che peccato che Ercole non c’era, si lamentò in tono contrito. Avrebbe davvero desiderato passare del tempo col cugino, non lo vedeva da tanto! Per caso non sapeva, quel brav’uomo, dove fosse andato Ercole? Per caso non sapeva quando sarebbe tornato? Dove era diretto?
Al cenno negativo del servo, passò oltre, una smorfia appena accennata sul volto: l’ennesimo tentativo fallito, ed era certo che, per quanto cauto potesse essere, alla lunga la gente nella villa avrebbe iniziato a parlare.
Anfitrione e Alcmena erano stati i primi a cui aveva cercato di carpire qualche informazione in più, ovviamente, ma gli avevano dato solo risposte vaghe, che era certo alla dea non sarebbero bastate. Così aveva provato ad interrogare gli altri ospiti della villa, che però erano estremamente diffidenti e sembravano inclini a stare solo ed esclusivamente tra loro. Aveva qualche speranza ancora riposta nel grassone festaiolo - magari avrebbe potuto offrirgli da bere una di quelle sere - ma nel frattempo aveva risolto di provare a chiedere alla servitù, la più suscettibile, si augurava, di farsi corrompere con un po’ di denaro…
Quando, all’improvviso, si sentì posare una mano sulla spalla, sgranò gli occhi, in preda al panico, temendo che l’avessero scoperto.
Si voltò di scatto, la bocca semiaperta, ritrovandosi di fronte un giovanotto muscoloso che lo superava in altezza di tutta la testa e che, nonostante l’abbigliamento anonimo, aveva tutta l’aria di essere un soldato. Sentì le gambe cedergli dall’angoscia, ma non fece a tempo a inventarsi una scusa che quello disse: “Ho sentito che stai cercando Ercole.”, ammiccando al borsello che Euristeo teneva legato alla cinta.
Si rilassò, prendendo un respiro profondo. “Per Zeus, figliolo…” sussurrò, trascinandolo in un angolo del corridoio, “mi hai fatto prendere un colpo!” I due si fissarono per un istante, studiandosi a vicenda, poi Euristeo riprese la parola: “Sì, sto cercando mio cugino. Vorrei sapere dov’è andato. Immagino che tu sappia che sono disposto a pagare…”
Il giovane si aprì in un sorriso smagliante. “Sarà meglio. Sono il tuo uomo, se ti serve sapere dove sono andati, lui e quegli altri…” dichiarò, gli occhi verdi che non si staccavano dal borsello gonfio di monete.
Euristeo sogghignò, esultante. “Parla, dunque.”
L’altro ridacchiò. “Prima dobbiamo accordarci sul prezzo.”
“Se le informazioni che mi darai saranno valide, ti darò tutto ciò che ho in tasca.” ribatté Euristeo, facendo lavorare la mente nel frattempo. Quel ragazzo aveva parlato di altri…così come aveva fatto Eris, l’ultima volta che l’aveva vista… “Ercole non è partito da solo?” indagò sottovoce, assicurandosi che fossero soli.
“No, sono partiti in cinque, più il cavallo.” rispose il giovane. “So che sono andati a ovest. Devono attraversare il mare, e credo sarà un viaggio piuttosto lungo.”
Euristeo avvertì i battiti del proprio cuore accelerare. Finalmente un indizio! “Lungo, dici?” lo incalzò, guardandolo dritto negli occhi. “Sai dove sono diretti?”
L’altro scosse la testa. “Non me l’ha detto. Ha detto solo che dovevano andare a ovest, al di là del mare.”
“Te l’ha detto Ercole?”
“No. Con loro c’è una ragazza, me l’ha detto lei.” Il ragazzo si strinse nelle spalle. “Da come ne parlava, sembrava una questione di vita o di morte…”
Euristeo annuì, cercando di tenersi tutto bene a mente. “Una ragazza, Ercole, il cavallo, e poi? Chi altri?”
“Non so chi siano. Erano tre uomini, uno di loro era grande e grosso, un altro calvo…non sono di qui, sono arrivati da poco in città.” Si grattò il mento cesellato. “Non conosco i loro nomi, ma la ragazza si chiama Persefone.”
Euristeo annuì nuovamente, al settimo cielo. Eris sarebbe stata soddisfatta, ne era certo...
“Non so altro.” fece intanto il giovane servo, incrociando le braccia al petto. “Allora, il mio compenso?”
Euristeo gli sorrise, dandogli una pacca sulla spalla. “Mio giovane amico, mi hai fatto davvero un grosso favore. Tieni, te lo sei meritato.” disse, di ottimo umore, consegnando il borsello in cuoio nelle mani del ragazzo. “Sappi che, se in futuro ne vorrai ancora, potrei aver bisogno nuovamente dei tuoi servigi.” Detto questo, si allontanò quasi saltellando, lasciando il giovane a contare avidamente le monete scintillanti.
Eccoci di nuovo qui, gente! Non so se questo capitolo si possa considerare un capitolo di passaggio o che, ma dal prossimo le cose inizieranno davvero a movimentarsi. Quindi stay tuned! xD
Ringrazio nuovamente tutte voi per i commenti e anche per i consigli che mi avete dato nelle recensioni del capitolo scorso.
Vi lascio con questa piccola considerazione: Euristeo un po’ me lo immagino come Edgar ne Gli Aristogatti. Non so se questa cosa è condivisa da voi lettrici. xD Mentre Adone (spero si sia capito che era lui!) inizia un po’ a ricordarmi Gaston, anche se non l’avevo scritto con questa intenzione all’inizio. ;P Saranno i muscoli.
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Capitolo 31 *** Maelstrom ***
Ehm... Salve! ^^'''''''''''''
Ok, non so come farmi perdonare il mostruoso ritardo, quindi...bando alle ciance, senza dovermi ripetere, se siete interessate alle mie patetiche scuse potete andare a leggere l'ultimo post sulla mia pagina facebook (link nella pagina autore).
Vi lascio al capitolo, che lo aspettate da fin troppo tempo! Spero vi piaccia. E' particolare, e più lungo del solito. ^^''''
Maelstrom
La navigazione proseguì verso il mare aperto senza intoppi. A mano a mano che la nave prendeva il largo, i contatti tra gli insoliti passeggeri del mercantile diventavano più radi, dato che apparentemente tutti e cinque soffrivano il mal di mare. Persino Poseidone, nonostante si sforzasse di nascondere la nausea, non poteva mascherare più di tanto il colorito pallido tendente al verde che la sua pelle umana aveva assunto.
Persefone provava sentimenti ambivalenti nei confronti del mal di mare: da un lato lo detestava – ecco un nuovo motivo per odiare la condizione umana! – dall’altro per lo meno la nausea faceva sì che Ade non le avesse rivolto più la parola da quando erano salpati.
L’unico che sembrava non soffrire per nulla, e che anzi pareva divertirsi un mondo, era Pegaso, che solcava il cielo sopra le loro teste, sempre un po’ più avanti o un po’ più indietro rispetto alla nave, la grande ombra alata proiettata sul ponte. Ogni tanto Ercole lo cavalcava, giusto per sfuggire al rollare continuo dello scafo, e l’eroe si era offerto di far fare un giro anche a Persefone, ma la ragazza aveva finito per rifiutare dopo essersi resa conto che, evidentemente, soffriva anche il mal d’aria.
Essere mortali non dava mai la minima opportunità di stare tranquilli e sereni. La pena che provava per gli esseri umani cresceva ogni giorno che passava, si rese conto la ragazza tra un conato di vomito e l’altro, maledicendo Urano e tutti gli dei primordiali a bassa voce…
Ad appena il secondo giorno di traversata, persino la vena umoristica di Ade si era completamente esaurita. “Questo è mille volte peggio dello stramaledetto Stige!” aveva esclamato, disperato, tra lo sghignazzare dei marinai, che colsero la battuta solo a metà ma che non potevano fare a meno di ghignare alla vista di un omone grande e grosso in preda al mal di mare. Persefone non credeva che il consorte potesse diventare ancora più pallido ed emaciato di come già era, ma l’evidenza l’aveva prontamente contraddetta.
“Questo è niente!” esclamò un giorno il capitano, portandosi in mezzo a loro, che se ne stavano, chi appoggiato alla balaustra di destra e chi di sinistra, con la testa penzolante verso le onde. “Aspettate solo di arrivare in mare aperto. Qui siamo riparati dai venti più violenti: siamo ancora nel Golfo. Dopo Patrasso, si entra nello Ionio. Lì sì che c’è da divertirsi!” esclamò lasciandosi andare ad una grassa risata. “Che mi dici, eroe? Non ti farai certo sconfiggere da un po’ di mal di mare!” aggiunse poi, scuotendo la testa in segno di delusione.
Ercole non sapeva come ribattere, evidentemente, perché si limitò ad accennare una risata a metà tra il finto e l’imbarazzato.
Persefone non comprese subito le parole dell’uomo di mare; dovette attendere ancora qualche giorno per realizzare cosa effettivamente volesse dire con “Questo è niente.” Fecero una breve sosta a Patrasso, un piccolo porto che le parve alquanto squallido in confronto a quello di Corinto, dove i marinai scaricarono una decina di grosse anfore e ne caricarono il doppio. Il gruppo di viaggiatori ne approfittò per mettere i piedi a terra, cosa che li rinfrancò non poco. “Quanto dovrebbe durare, il viaggio?” chiese Persefone mentre scendeva barcollando dalla nave, una mano serrata spasmodicamente alla bocca dello stomaco.
Nessuno seppe darle una risposta precisa: tutto ciò che ricevette furono occhiate affrante. “Meraviglioso.” commentò seccamente la ragazza, trascinandosi a sedere su di una cassa di legno.
Di lì a poco ripartirono. La differenza, ora che erano ufficialmente in mare aperto, era palpabile: tirava un altro tipo di vento, più selvaggio, quasi cupo. Era come se fossero entrati in un altro mondo, come se avessero varcato un confine impalpabile ma tuttavia presente. Si trattava di una sensazione comparabile a quella che la ragazza ricordava di aver provato quando era scesa per la seconda volta nell’Oltretomba. Rabbrividì improvvisamente, scossa da un brutto presentimento.
Contrariamente alle loro aspettative, la nausea diede loro tregua per buona parte della giornata successiva. Fu una giornata meravigliosa: il sole splendeva in cielo, tirava un vento forte ma non molesto e la barca filava che era un piacere sul mare azzurrissimo, per la felicità dei marinai che non erano costretti a remare. Persefone si sporse ancora una volta dal ponte, ma questa volta semplicemente per godersi il paesaggio. Ogni tanto una ciocca dei suoi lunghissimi capelli biondi le volava davanti agli occhi, frustandole le guance, ma lei si limitava a respingerla pigramente indietro con le dita, lo sguardo fisso sulla miriade di onde cristalline di fronte a sé.
Dopo un po’ che era lì, udì avvicinarsi qualcuno. Pensando che fosse Ade, si girò con un’espressione seccata, ma dovette ricredersi quando si rese conto che era stato Poseidone ad andarle vicino, mantenendo comunque una certa distanza. I due si guardarono per un istante in silenzio, per poi distogliere lo sguardo all’unisono, tornando a fissare le onde.
“Oh!” si lasciò sfuggire la ragazza alla vista improvvisa di un paio di pinne guizzanti appena sotto la superficie.
“Delfini.” commentò Poseidone, sorridendo sotto i baffi. Persefone gli lanciò un’occhiata stupita: vederlo sorridere era talmente raro che quasi credette di essersi sbagliata…
“Sono creature davvero eccezionali.” continuò l’ex-dio dei mari, sospirando. “Amphitrite li adora, li riempie sempre di carezze. Personalmente non ne vedo il bisogno…poi diventano pigri. Più un animale è intelligente, più è facile viziarlo, e diventa quasi impossibile fargli cambiare idea. Glielo ripetevo in continuazione, ma non mi ha mai dato retta…” Un improvviso tremolio nella voce del suo interlocutore le fece sgranare gli occhi. Si chiese se dovesse dirgli qualcosa o se fosse meglio non parlare e limitarsi ad ascoltarlo. “Ad ogni modo,” proseguì Poseidone dopo un attimo di pensoso silenzio, “mi fa piacere che ci siano ancora, i delfini. Mi fa sperare che da qualche parte ci siano anche mia moglie e mio figlio.”
“Sono certa che è così, e che stanno bene.” fece la ragazza senza riuscire a trattenersi. Si sentiva un po’ a disagio, ma più di tutto le dispiaceva per lui. Poteva sentire il dolore nella sua voce, il rammarico, il cupo rimpianto. Non immaginava che un uomo così burbero e incline alla lamentela potesse nascondere un lato così genuinamente dolce.
Poseidone si lasciò andare ad una breve, incredula risatina. “Il fato è strano. Ho amato tanto mia moglie e potrei non rivederla mai più…in compenso, tu…” osservò, accennando ad un punto non ben specificato alle loro spalle, “tu puoi godere della compagnia del marito che odi fino alla fine.”
Persefone tornò a fissarlo, silenziosa, ponderando le sue parole per un bel po’. Non aveva usato un tono volutamente offensivo, ma la ragazza non poté fare a meno di sentirsi leggermente derisa. Non le sfuggì, inoltre, la pesante nota di sfiducia che permeava le parole del suo interlocutore… “Sì, il fato è strano.” convenne infine, tornando a distrarsi guardando il mare e i delfini che ancora nuotavano vicino alla nave.
L’ex-dio annuì. “E ha un pessimo senso dell’umorismo.” aggiunse, dopodiché grugnì. “Che vadano in malora tutti: il Fato, le Parche, Crono, Urano. Puah! Che vadano tutti in malora! Alla malora!”
Ecco, questo Poseidone lo riconosceva già di più. D’altronde, come dargli torto?, pensò la ragazza, posando sconsolata la guancia sul palmo della mano destra.
***
Il sole calò in un trionfo di tinte scarlatte, che si tramutarono lentamente in un porpora talmente acceso da far impallidire anche le costose vesti dei più ricchi signori e re. Era, Ercole dovette ammetterlo, uno spettacolo meraviglioso a vedersi. In quei momenti, in cui il sole morente sembrava letteralmente tuffarsi in mare, avvertiva in modo ancora più acuto la mancanza di sua moglie e di sua figlia. Avrebbe dato tutto per averle con sé…ancora una volta seppe di aver fatto la scelta giusta, rinunciando alla propria immortalità per stare al fianco di Megara.
Di tutti coloro che erano a bordo, solo il capitano pareva non stare godendosi per nulla il tramonto. Ercole non si stupì più di tanto, ma si incuriosì nel vederlo incupire sempre di più, le sopracciglia folte aggrottate talmente tanto da formare un unico cipiglio cespuglioso. “C’è qualche problema?” andò ad informarsi, usando il tono di voce più cauto che gli riuscisse di fare. Ci teneva a mantenere dei rapporti il più possibile buoni col vecchio lupo di mare.
L’uomo grugnì, passandosi una mano sulla bocca. “In tutti i miei anni per mare, per Zeus, non ho mai visto un cielo del genere.” rispose quasi gorgogliando. Tossì e sputò.
“È davvero bello.” commentò il giovane. Non ricordava uno spettacolo del genere da quando era salito sull’Olimpo insieme a Meg, trasportato da una nuvola inviatagli da suo padre…
“È strano. Non mi piacciono le cose strane. Mi piace quello che conosco, che riesco a prevedere.” lo rimbrottò l’altro, per nulla colpito dalla poesia del tramonto. “Mah. Sarà quel che sarà…intanto siamo in ballo e dobbiamo ballare.”
E con queste enigmatiche parole si congedò. Ercole, perplesso, lo osservò andare a parlare con il suo secondo. Istintivamente alzò lo sguardo a cercare Pegaso, ma si accorse subito dopo che il cavallo si stava pigramente riposando sul ponte. Sorridendo, andò a fargli due carezze sul muso.
***
Il sole era tramontato da un pezzo quando iniziò a levarsi il vento. I marinai avevano ammainato le vele per la notte e la barca era ferma. Quasi tutti erano già addormentati o sul punto di prendere sonno.
Uno dei primi rumori d’allarme fu il nitrito nervoso di Pegaso, che svegliò Persefone di soprassalto, dato che la ragazza dormiva ormai d’abitudine vicino al cavallo alato. Quando aprì gli occhi, Persefone si ritrovò davanti la figura scalpitante dell’animale, la criniera azzurra arruffata dal vento freddo. “Che ti succede?” gli chiese, alzandosi in piedi di scatto. Stringendosi nello scialle, si guardò attorno, perplessa. Era una notte senza luna né stelle, particolarmente buia, tanto che faticava a vedere ad un palmo dal proprio naso. Soffocando un tremito, fece un passo indietro, andando a posare la schiena sul fianco del cavallo.
I grugniti infastiditi dei marinai si levarono in una specie di coro improvvisato a mano a mano che venivano svegliati a loro volta dai lamenti dell’animale. Ercole, che dormiva poco distante, arrivò brancolando nel buio. “Che hai, bello?” chiamò il giovane ad alta voce. Persefone si levò di mezzo, gli occhi puntati sulla figura dell’animale, che con il suo manto candido era la cosa più facilmente distinguibile in quel buio.
Pegaso nitriva, scalpitava, spiegava le ali e poi le ripiegava su sé stesse...Ercole fece per allungare una mano e cercare di calmarlo, quando un tuono rimbombante li assordò, svegliando anche i più duri d’orecchi. Persefone udì l’esclamazione sorpresa di Zeus e il commento sarcastico che gli rifilò Ade, puntuale come sempre quando si trattava di risultare fastidioso…
La ragazza alzò gli occhi al cielo per l’esasperazione, e fu allora che incrociò un paio di occhi verdi, brillanti come fari nella notte. A bocca aperta per lo stupore, quasi si sentì mancare quando scorse il barlume di un sorriso tutto zanne che, ne fu immediatamente certa, non era la prima volta che vedeva. Fece un passo indietro, gemente, puntando un dito in direzione della creatura che la stava fissando, chissà da quanto tempo…
“Buonasera, carina.” la apostrofò allora una voce femminile che riconobbe all’istante. “Eris!” esclamò, le gambe che le diventavano molli per la paura. L’istinto le diceva che, se la dea della discordia era lì, non era per nulla un buon segno.
Un altro tuono, preceduto appena da un lampo che rischiarò il cielo quanto bastava perché Persefone riuscisse a vedere chiaramente la dea alata e ammantata di rosso, sospesa a pochissima distanza dalla balaustra della nave.
“Ogni volta che ti vedo sei messa peggio.” osservò la dea, sghignazzando di gusto. “Peggio che essere mortale, non so cosa ci sia. Solo forse essere…morta!” Un altro flash di zanne ghignanti, accompagnato da una risata che le fece gelare il sangue nelle vene. A quel punto, la ragazza arretrò di corsa, voltando le spalle alla dea, mentre un altro lampo solcava il cielo, vicino, così vicino che Persefone era certa che il prossimo li avrebbe centrati in pieno.
Inciampò da qualche parte sul ponte, non vide dove…non vedeva niente…tutto quello che sapeva era che erano in bruttissimi guai, e che era ad un passo dal panico. “Ercole! Ercole!!” si ritrovò a chiamare, disperata, finendo invece addosso a Zeus, che la prese per le spalle. “Cosa succede, mia cara?” cercò di blandirla lui, che come al solito non aveva capito niente…
“C’è Eris…c’è Eris, l’ho vista, era là…ha detto..!” sputò tutto d’un fiato la ragazza, le parole mezze soffocate dal prepotente rombo dell’ennesimo tuono.
Al che, parlarsi iniziò a diventare molto difficile. I marinai avevano iniziato ad urlare, chiamandosi l’uno con l’altro, intimandosi di legarsi all’albero maestro con le funi; Pegaso nitriva, sempre più terrorizzato; il vento ululava spaventosamente; Zeus chiedeva spiegazioni con voce tonante e Persefone riusciva solo a balbettare il nome della dea alata.
Fu proprio la suddetta dea, infine, a richiamare tutti all’ordine. Lanciò un grido talmente feroce e disumano che tutti si zittirono all’istante, gelati sul posto. Persino il vento parve cessare il suo ululato…
“Siete tutti e cinque qui, vedo! Meraviglioso!” esclamò, andando ad appollaiarsi sulla cima dell’albero.
“Eris!” la chiamò Zeus, sbalordito.
“Come sei sciupato, padre degli dèi.” lo salutò lei, deliziata. “Mai avrei pensato di vedere questo giorno!” continuò, spiegando pigramente le ali membranose.
“Quale giorno?” domandò l’ex-dio mentre Ade gli andava vicino, cauto, lo sguardo puntato su Eris.
La dea si produsse in una risata rauca. “Oh, lo scoprirai presto!” Incrociate le braccia al petto, prese a rivolgersi ad Ercole. “E tu, grande eroe! Che pensavi di fare, a bordo di questa bagnarola? Oh, c’è anche il cavallo, vedo. Il ragazzo non mentiva affatto.”
Al che, Ercole fece un passo avanti, mentre gli sguardi complessivi di tutti i restanti facevano la spola tra l’eroe e l’altera creatura dagli occhi scintillanti. “Non so di cosa tu stia parlando, né chi tu sia…che cosa vuoi da noi?” chiese, adottando la voce più profonda che gli riusciva di fare.
Nel frattempo, Persefone, mezza morta di paura, si sentì afferrare di colpo per un braccio e tappare rudemente la bocca un secondo prima che potesse lanciare l’ennesimo grido. “Dov’è la falce?!” le domandò Ade subito dopo, a bassa voce, talmente vicino che i loro nasi si toccavano. “Dimmelo! Dov’è!?”
La ragazza, indignata oltre ogni misura, si dimenò furiosamente. “Ma che..!”
“Sshhh!!” la zittì lui, furente di rabbia.
“…tale padre, tale figlio!” continuava intanto Eris sopra le loro teste, dileggiando Ercole.
“Ti ho chiesto che cosa vuoi, mostro!” ringhiò lui per tutta risposta, sguainando la spada che portava al fianco.
La dea scoppiò nuovamente a ridere. “Cosa credi di poter fare, con quella?! Insolente! A differenza vostra, io sono una dea immortale!”
“Dimmi dov’è la falce di Crono!” ripeté Ade, sempre a mezza voce, guardandola con occhi spiritati.
“Lo sai già dov’è! Sul promontorio!” cedette Persefone, il braccio ancora bloccato tra le sue grinfie. “Si può sapere cosa vuoi, razza di psicopatico?!” sibilò con le lacrime agli occhi. Ci mancava solo che Ade andasse fuori di testa! Già erano in pericolo mortale…
“Non. Alzare. La. Voce.” le intimò lui, trascinandola da una parte. “Siamo morti, Seph. Te ne rendi conto, sì o no?” aggiunse poi, lo sguardo che saettava dal volto allibito di lei all’incombente figura di Eris, ritta sull’albero maestro. “Siamo morti. Qualcuno ha fatto la spia…ma tu devi dirmi dov’è la falce, perché giuro che farò di tutto per…”
“Per cosa?!” lo interruppe lei, tremante, mentre il suo cervello faceva due più due. Aveva capito perfettamente dove l’ex-dio dei morti volesse andare a parare. “Vuoi salvare la pellaccia, vero?! Ho ragione, eh?! Beh, caro mio, mi dispiace davvero tanto, ma non so dove sia la falce! Ho solo una vaga idea mentale, e di certo anche se lo sapessi non lo verrei a dire a te! Mi disgusti!”
“Ci puoi giurare che voglio salvarmi! Ho visto coi miei occhi com’è lo Stige, e di certo non ho intenzione di tornarci senza combattere fino alla fine!”
“Non mi interessa!”
“Il cavallo, Seph! Possiamo scappare..! Tu…lui ti conosce, si farebbe avvicinare…”
“Ah, adesso pensi al plurale! Ora che ti servo-”
“Seph, dannazione, fai funzionare il cervello, una buona volta-”
In tutto questo, i loro mormorii erano stati coperti dai goffi tentativi del capitano di parlamentare con la dea, tentativi che non erano andati affatto a buon fine. Non appena aveva capito che Eris ce l’aveva coi suoi passeggeri, infatti, l’uomo aveva negato ogni affiliazione, arrivando addirittura a giurare che l’avessero costretto a trasportarli contro la sua volontà…
Un lampo violentissimo squarciò il cielo a metà e il tuono che ne seguì li zittì tutti una seconda volta. “Temo che il mio tempo sia scaduto…e anche il vostro.” fece spallucce la dea, spiegando un’altra volta le ali.
“Cosa c’è voluto per comprarti, Eris? Cosa ti ha promesso Urano?” si udì allora la voce stridula di Ade, tra la sorpresa generale, specialmente di Persefone, che ancora gli stava accanto nonostante l’alterco appena avvenuto.
“Ade…confesso che un po’ mi dispiacerà, vederti morire. Giusto un po’.” gli fece Eris, ghignando malevola. “Però, guarda il lato positivo…te ne torni a casa!” E, così dicendo, spiccò il volo, sghignazzando.
Quando la dea alata fece per spostarsi dall’albero, Ercole balzò in groppa a Pegaso, determinato a non farsela scappare. Non aveva idea di cosa avesse in mente di fare, ma decise che impedirle di andarsene fosse un buon modo per metterle i bastoni fra le ruote.
Il cavallo, nonostante il visibile nervosismo, non lo aveva mai tradito e non lo fece neanche in quell’occasione. “Non preoccuparti bello, ci penso io.” gli soffiò il ragazzo all’orecchio mentre prendevano il volo, facendo del suo meglio per rassicurarlo.
Si pararono di fronte alla creatura, che da vicino era persino più brutta di Ade. Ercole si stupì nel constatare che era completamente diversa da suo padre e dagli altri dèi che popolavano l’Olimpo: sembrava proprio di un’altra razza. “Togliti di mezzo, mortale.” lo apostrofò, le labbra nere che si incurvavano in un sorriso derisorio. Il vento riprese a soffiare con violenza attorno a loro.
“Non ti permetterò di fare del male a queste persone!” dichiarò fieramente Ercole, la spada salda in pugno.
“Io? Io non farò proprio niente.” replicò la dea, fingendosi offesa. “Ma se insisterai a svolazzarmi intorno, potrei anche fare un’eccezione…per te.” Ciò detto, balzò in avanti ad artigli sguainati, facendo arretrare di scatto Pegaso, che nitrì per la sorpresa. A questo colpo schivato ne seguì un altro, che Ercole parò con la spada, sferrando subito dopo un pugno con la mano libera.
La dea fu respinta all'indietro, schiumante di rabbia. Si produsse in un paio di capriole in aria, per poi raddrizzarsi e tornare all'attacco, questa volta puntando volutamente a Pegaso, nel tentativo di colpirlo alla pancia.
Cominciò a piovere. Nonostante si trattasse di una divinità, Eris pareva essere in difficoltà: mettendocela tutta per non farsi cogliere di sorpresa, Ercole riusciva a tenerle testa. Più respingeva i suoi fendenti, più contrattaccava a suon di pugni e sferzate, più la dea sembrava covare odio, gli occhi verdi socchiusi che assomigliavano a lame fosforescenti nel buio.
D'un tratto, sotto di loro, un marinaio prese ad urlare parole che in un primo momento nessuno comprese; tuttavia, non si poté fraintendere lo sguardo terrorizzato dell'uomo, né tanto meno il gesto che andava ad indicare qualcosa al di là dello scafo della nave.
Ci si sporse, si aguzzò la vista, finché il panico non iniziò a diffondersi...
Di fronte a loro, gorgogliante ma allo stesso tempo subdolo, si era aperto un gigantesco vortice di acqua nera.
Pegaso allungò il collo verso il basso, scalpitante, spingendo i due contendenti a volgere a loro volta l'attenzione sul gorgo, illuminato dai lampi che attraversavano le nuvole in tempesta.
Eris sorrise, deliziata. “Puoi combattere questo, eroe?” lo sbeffeggiò, prendendo quota con un potente battito d'ali.
Al che, Ercole avvertì la prima fitta di vera paura da quando, sull'Olimpo, aveva saputo da un digrignante Ade che Meg stava per morire. Lo prese allo stomaco, risalendo in un attimo fino alla gola, gelida, ineluttabile, così come la realizzazione che no, non ce l'avrebbe fatta a combattere un vortice marino. Come avrebbe potuto? Questa volta non si trattava di un nemico fisico, contro cui pugni e colpi di spada avrebbero sortito effetto.
Eppure, pensò, cercando febbrilmente una soluzione, mentre la pioggia torrenziale gli inzuppava gli abiti e i capelli e il vento freddo gli frustava il volto, era riuscito a sconfiggere i titani..! Non poteva farsi fermare da un gorgo d'acqua, per quanto grande potesse essere.
Cercò di pensare in fretta al da farsi, ma le urla terrorizzate sotto di lui lo distraevano. Come avrebbe fatto a salvare tutti..?
“Te l'avevo detto che saremmo morti! Te l'avevo detto!” gridava intanto Ade, a metà tra il furibondo e il disperato. “E sai cosa, te lo meriti!” sbraitò, puntando su Persefone il lungo dito scheletrico con fare accusatorio.
“Stai zitto! STAI ZITTO!” gridò in risposta la ragazza, le mani conficcate tra i capelli fradici. “Non posso credere di stare per morire! Sono troppo giovane!” singhiozzò senza alcun ritegno. “E non posso credere che l'ultima cosa che vedrò sarà la tua faccia!!” aggiunse, indicandolo a sua volta.
Il panico si era ormai diffuso su tutta la nave. Molti uomini si erano messi a pregare in ginocchio. Zeus e Poseidone erano gelati sul posto, senza la più pallida idea di cosa fare. In quanto umani, erano completamente in balia degli elementi...e il vortice si avvicinava sempre di più. Quando la nave virò bruscamente, intrappolata nella spirale, le urla si fecero, se possibile, ancora più forti.
All'improvviso, videro Ercole tuffarsi in acqua, o meglio nel bel mezzo del gorgo. Sgranando gli occhi, Zeus e Poseidone si precipitarono a prua, nel tentativo di seguire i suoi movimenti. “È impazzito! Cosa crede di fare?!” esclamò Poseidone, che ben conosceva la potenza dei vortici marini.
Zeus non rispose, sentendosi morire dentro: alla prospettiva di perdere il figlio, anche la sua stessa fine non lo spaventava per nulla. “ERCOLE!” gridò a pieni polmoni, cercandolo freneticamente con lo sguardo.
Accorse anche Persefone, mentre Pegaso atterrava malamente sul ponte, sospinto dal vento che soffiava in diagonale. Rimasero tutti a guardare, a bocca aperta, una vaga speranza che germogliava nei loro cuori: forse non tutto era perduto. Forse Ercole li avrebbe salvati, per l'ennesima volta...
Dopo una manciata di secondi che parvero un'eternità, gli spettatori attoniti videro formarsi, sotto i loro stessi occhi, un secondo vortice spumeggiante, all'interno del primo, che però aveva tutta l'aria di stare girando nella direzione opposta. “Sta...sta nuotando in senso contrario!” esclamò Poseidone, sbalordito. Persefone si lasciò sfuggire una sonora esclamazione di sorpresa.
“Vuole fermare il vortice...” continuò Poseidone, non osando distogliere lo sguardo dalla prodezza del nipote.
“Il mio ragazzo!” fece Zeus, quasi in lacrime per l'emozione.
“Ti prego, dimmi che funzionerà!” gridò Persefone aggrappandosi spasmodicamente all'avambraccio destro dell'ex-dio dei mari.
“In teoria, dovrebbe...” rispose lui, salvo essere subito interrotto da un inquietante rumore di legno spezzato.
Barcollarono all'unisono mentre il pavimento sotto i loro piedi si inclinava verso destra, scricchiolando penosamente.
“Hai dovuto chiederlo, eh? Non potevi stare zitta...” borbottò Ade, che aveva ormai perso definitivamente tutte le speranze di salvare la pelle.
“Cos'è successo?!” gracchiò Persefone, che quasi non aveva più voce a furia di gridare come un'ossessa.
Poseidone si sporse dalla balaustra fradicia, pallido come un fantasma. Giratosi verso gli altri, dichiarò con voce mortalmente seria: “Lo scafo si è spezzato. Stiamo imbarcando acqua.”
Con un tonfo secco, Persefone cadde all'indietro, svenuta.
***
La benedetta incoscienza le sembrò durare appena una frazione di secondo. Dopo la calma ovattata e il buio profondo e vellutato, il tremendo ululato del vento che le riempì di nuovo con prepotenza le orecchie ebbe il potere di shockarla. Si mosse di scatto, quasi pervasa da una scossa elettrica, eppure le gambe le tremavano come burro.
Ercole era di fianco a lei, bagnato fradicio, con gli occhi rossi e il respiro cavernoso. “È sveglia!” esclamò in un soffio l'eroe, tirando su col naso.
“Ottimo, così possiamo morire tutti insieme.” fu il commento caustico di Ade, da qualche parte alle sue spalle.
“Cosa possiamo fare?” chiese Ercole rivolto a suo padre. La disperazione nel tono dell'eroe era tale da far rabbrividire Persefone. Era davvero la fine, realizzò, mentre qualche altra lacrima le scivolava giù per le guance. “È questione di attimi ormai, la nave...” continuò Ercole, il pianto nella voce. “Non...non sono riuscito a...”
“Hai fatto del tuo meglio, figliolo.” lo consolò Zeus, facendolo rialzare e serrandolo in un abbraccio avvolgente. “Hai fatto del tuo meglio.” ripeté a bassa voce. Sembrava rassegnato, ormai, un po' come si sentiva anche Persefone. Un po' come si sentivano un po' tutti, in effetti.
Stavano semplicemente aspettando la morte.
La ragazza si portò una mano alla bocca, nel tentativo di soffocare un gemito.
“Potreste volare via, sapete.” se ne uscì allora Ade, attirandosi addosso gli sguardi di tutti. L'ex-dio dei morti si strinse nelle spalle. “Sì, insomma...quanto peso può portare il cavallo? Seph, qui, non è che pesi poi molto. E sa dove trovare la falce, dettaglio tutt'altro che trascurabile.”
Ci fu un attimo di gelo, in cui nessuno osò aprir bocca. La distaccata calma di Ade era pura ostentazione, se ne rendevano conto tutti, tuttavia risultava comunque incredibilmente fuori posto in quel momento.
Il primo a spezzare il silenzio fu Ercole, incredulo: “Stai dicendo...stai dicendo che dovremmo scappare...e lasciarvi qui a morire?” Sembrava faticare a tirarsi fuori le parole di bocca.
Ade incrociò le braccia al petto, sollevando automaticamente un sopracciglio. “Hai un'idea migliore, Megafesso?”
Persefone aveva la bocca talmente spalancata dallo stupore che poteva sentire le gocce salate dell'acqua di mare sulla lingua. Non sapeva cosa dire, né cosa pensare...forse era ancora svenuta e stava solo sognando. Che Ade proponesse una cosa del genere era inconcepibile, al di là dell'assurdo.
“Pegaso, tu e Persefone allontanatevi di qui...Ade ha ragione. Almeno voi due dovreste salvarvi.” fece Ercole in tono febbrile.
La ragazza sgranò gli occhi. “N-no, un momento...” protestò flebilmente, la testa che le girava. Avvertì l'ennesima morsa di panico alla prospettiva di fuggire da sola e lasciarli lì ad affogare.
“Oh, gran bel piano, eroe. Mandala via da sola...ammesso che riesca a non venire spazzata via dalla burrasca, non durerà neanche un giorno.” replicò Ade, lanciandole un'occhiata fuggevole che non seppe davvero come interpretare.
“Io non lascio mio padre a morire!” sbraitò Ercole, anche lui praticamente sull'orlo delle lacrime.
“No, Ercole. Ha ragione.” decretò Zeus con voce grave ma ferma, posandogli una mano sulla spalla. “Dovete andare, almeno voi! Noi siamo vecchi, in fondo. E voi potete farcela. So che potete farcela.”
Un altro rumore secco, un'altra asse dello scafo che saltava via. Il ponte tremò paurosamente sotto i loro piedi.
“Papà, NO!” protestò il ragazzo, mentre Poseidone faceva cenno a Pegaso di avvicinarsi. “Non c'è più tempo, dovete andare ora!” li esortò l'ex-dio dei mari, il mento tremante sotto la lunga barba.
“Ricordati cosa ti ho detto, figliolo. Tu sei un vero eroe.” fece Zeus, sorridendogli con calore, gli occhi blu lucidi di lacrime.
Persefone non seppe come, ma finì da un momento all'altro in groppa a Pegaso, stretta più che poteva al petto del cugino, circondata dalle sue braccia possenti, portata via dal vento impetuoso.
I tre fratelli li guardarono volare via in silenzio. Erano ancora circondati da marinai gementi, accomunati a quei semplici mortali da un destino tenacemente avverso.
“Sembrerebbe proprio la fine.” osservò Poseidone, sospirando. “Rimpiango solo di non aver avuto più tempo per stare con la mia famiglia.”
“Già...” commentò Zeus, assorto. “Spero che Hera mi perdoni...” Lanciò un'occhiata obliqua a Ade, il quale se ne stava aggrappato alla balaustra, lo sguardo fisso nel centro del gorgo, sempre più vicino. “Devo dire che mi hai stupito, Ade...la ami davvero, in fondo!” non poté trattenersi dall'osservare, genuinamente sorpreso.
Ade alzò gli occhi al cielo. “Sai, non pensavo che questo momento potesse essere peggiorato, ma mi hai fatto ricredere. Complimenti.”
Zeus rise. E in quel preciso istante, lo scafo si spaccò del tutto.
…............................... Non odiatemi, vi prego. :P
Questo capitolo è importantissimo per lo sviluppo del resto della trama, quindi è rimasto in cantiere per un bel po'. Ero tentata, lo ammetto, di spezzarlo in due (AH-HA!), ma poi ho pensato che meritavate almeno che non ci fossero (troppi) cliffhanger. Poteva venire meglio? Molto probabilmente sì, ma ora come ora non posso permettermi il lusso di starci troppo a pensare su. Ho preferito pubblicare qualche giorno dopo averlo finito, anche per darmi una spinta dopo mesi di inattività su EFP.
Beh, che dire: spero vi sia piaciuto! Spero non vi abbia sconvolte troppo! In caso fatemi sapere (la mia vena sadica gioisce LOL :3). Un abbraccione a tutte voi che siete ancora qui dopo sette mesi di vuoto! :*
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Capitolo 32 *** news e scuse ***
gentili lettori, chiedo scusa per la mancanza di aggiornamenti; il fatto è che avevo la tesi magistrale da concludere e mi sono un po' persa per strada...in più mi sono ammalata piuttosto seriamente e francamente non avevo voglia/le forze per andare avanti a scrivere... un bacio a tutti quanti! |
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