L'amore e la guerra

di didi93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1-Pensieri ***
Capitolo 2: *** 2- La verità ***
Capitolo 3: *** 3-L'angelo della morte ***
Capitolo 4: *** 4- Cambio di mano ***
Capitolo 5: *** 5-Duelli, sangue e sbarre. ***
Capitolo 6: *** 6-In viaggio. ***
Capitolo 7: *** 7-Prigioniera ***
Capitolo 8: *** 8-Federico ***
Capitolo 9: *** 9-A tutti i costi ***
Capitolo 10: *** 10-Bouchart ***
Capitolo 11: *** 11-La fortezza ***
Capitolo 12: *** 12-Lacrime ***
Capitolo 13: *** 13-Una nuova alba ***
Capitolo 14: *** 15- La decisione sbagliata ***
Capitolo 15: *** 14-Fiducia ***
Capitolo 16: *** 16-Sì ***
Capitolo 17: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** 1-Pensieri ***


Ho scritto l’inizio di questa storia un po’ di tempo fa, non pensavo di continuare, però, oggi, rileggendo, ho cambiato idea. Non mi atterrò prpr alla trama del videogioco, anche perché non è prpr ricchissima riguardo qst storia, comunque spero che vi piaccia, magari fatemi sapere che ne pensate, ciao:)

Pensieri

Maria appoggiò la mano sulla sporgenza. Era un gesto a lei familiare, l’aveva fatto mille e mille altre volte ma, questa in particolare, pregò di non cadere. Poteva usare un solo braccio, l’altro le cascava dolorante lungo il fianco, per lo sforzo di aver retto la spada troppo pesante, nonostante ciò, la mano premeva debolmente sulla ferita all’addome, nel vano tentativo di frenare il sangue che sgorgava prepotente. Si tirò su con fatica e appoggiò i piedi sulla pietra grigia del muro di cinta della città, poi rimase un attimo immobile scrutando l’oscurità. Nessuna sentinella da quelle parti. Sospirò per il sollievo, non ce l’avrebbe fatta ad affrontare un altro combattimento. Forse nessun altra donna, all’epoca e, soprattutto, in quell’emisfero, aveva pensieri del genere. Il fianco destro gocciolante di sangue la costringeva a piegarsi ogni tanto per il dolore e a soffocare un lamento, mentre, con il ricordo della sconfitta, la rabbia cresceva dentro di lei. Era colpa di quell’Assassino, pensò, digrignando i denti per la frustrazione ed il dolore. Non avrebbe mai dovuto permettergli di cavarsela e, poi, il modo in cui l’aveva guardata e le aveva risparmiato la vita con quell’espressione di…pietà! Tutto questo la faceva impazzire, non aveva mai voluto né chiesto la pietà di nessuno e l’Assassino avrebbe dovuto ucciderla, sarebbe stato più dignitoso per lei, perché non l’aveva fatto? Giurò tra sé che, prima o poi, gliel’avrebbe fatta pagare, si nel modo peggiore che avesse trovato, con la vita magari. Aveva ormai raggiunto quella torre abbandonata e mai frequentata dalle guardie, un tempo, forse, servita per gli avvistamenti. Ormai era una delle costruzioni più piccole, un rudere avvolto da piante rampicanti, freddo e spoglio, ma un ottimo rifugio, quando tornare a casa sembrava impossibile. Non sapeva neppure se ancora le rimaneva una casa, il suo amante, mecenate e benefattore era chissà dove a fronteggiare lo stesso nemico, il suo stesso assalitore, il responsabile di quella ferita, di quell’offesa e di quel dolore lancinante. Entrò nel piccolo abitacolo e sbarrò la porta, le sentinelle non entravano mai a controllare, bastava non fare rumore, dopo tutto, come potevano immaginare che lì si nascondesse una Templare? Cadde stremata sulla poca paglia che ricopriva il pavimento ed estrasse dalla sacca ago e filo, poi provò ad esaminare la ferita. La stoffa degli abiti era lacerata e un rosso vivo si poteva facilmente scorgere al di sotto, allargò lo strappo per avere una visione più chiara. Tutto sommato non era così preoccupante, aveva visto di peggio, nonostante ciò, ci sarebbero volute cure diverse da quelle che poteva fornire lei stessa, ma non avrebbe trovato nessuno che potesse aiutarla a quell’ora di notte e uscire dal nascondiglio sembrava troppo pericoloso. Non poteva più sapere di chi fidarsi, mentre Templari e Assassini si contendevano il controllo della città. Decise che avrebbe ricucito lei stessa i due lembi della ferita, non era certo la prima volta, era abituata a quel genere di dolore e, il giorno dopo, avrebbe fatto visita ad Hashim, una sua vecchia conoscenza. Dopo tutto lui era avvezzo a vedere brutte ferite come e peggio della sua. Si fasciò meglio che poteva il fianco e si sdraiò sulla paglia, ma non riusciva a chiudere occhio, l’unica cosa ad occupare la sua mente era il pensiero della vendetta.



 

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Capitolo 2
*** 2- La verità ***


Eccomi, dopo tempo immemore, ad infastidirvi di nuovo con un altro capitoloXD  se avrete la pazienza di leggere, magari fatemi sapere se vale la pena continuare, o se ho commesso errori. Ciao:)

La verità

Maria aprì gli occhi. Faceva caldo e l’aria era afosa. Il dolore le consentiva poca lucidità e non aveva neppure il coraggio di esaminare la ferita. Si alzò faticosamente in piedi. Il piccolo abitacolo era completamente illuminato dai raggi del sole che provenivano dall’apertura sul muro. Aveva dormito troppo e sarebbe stato difficile allontanarsi da lì in pieno giorno e con le sentinelle in giro. Non era neppure sicura che i turni di guardia fossero rimasti invariati dopo i tumulti della sera precedente. La vista le si annebbiò di colpo e dovette appoggiarsi alla parete per evitare di cadere a terra. Con cautela spiò all’esterno. L’area sembrava deserta. Uscì e si sporse dalle merlature per guardare in basso. La ferita non le avrebbe permesso di calarsi dal muro di cinta, doveva trovare un altro modo per andarsene. Si avviò lentamente nell’unica direzione possibile. Avrebbe usato il percorso principale che conduceva alla scale e, da lì, si sarebbe allonatanata sperando di non essere vista. Nessuna guardia. La città sembrava deserta. Sgattaiolò in fretta giù per le scale e percorse i soliti vicoletti poco frequentati, fino a quella casa dove era stata tante altre volte, sempre per motivi poco piacevoli. Sentiva che da lì a poco avrebbe perso del tutto le forze. Barcollava quando arrivò a destinazione. Diede un forte colpo alla porta di legno, poi cadde in ginocchio. Il buio l’avvolse e nessun suono poté più giungerle all’orecchio.
 
Lentamente Maria si svegliò, la testa le faceva male, ma il dolore che aveva provato fino a qualche ora prima era quasi scomparso. Pian piano mise a fuoco la stanza. Era sdraiata su un vecchio e malmesso tavolo di legno con i vestiti imbrattati di sangue, in un ambiente senza finestre.
-Bene, vedo che sei ancora viva.-
Si voltò lentamente in direzione del suono e, in piedi alla sua destra, vide Hashim.
-Non pensavo che ce l’avrei fatta ad arrivare qui, per un attimo ho creduto che sarei morta.- disse con un filo di voce.
-Per quante volte tu abbia rischiato la vita, per quante ferite io abbia dovuto curare, non ti avevo mai vista in questo stato.-
Si rese conto solo in quel momento di non aver mai detto grazie ad Hashim. Era sempre stato pronto ad aiutarla. L’aveva incontrato subito dopo la sua fuga dall’Inghilterra, poi si era unita ai Templari e, nonostante questo, lui si era dimostrato sempre un buon amico. -Ti ringrazio per tutte le volte che mi hai salvato la vita.-
Un sorriso sarcastico passò veloce sul volto di Hashim. –Non è da te dire grazie a qualcuno…neanche in punto di morte.-
Anche Maria sorrise.
-Posso sapere chi ti ha ridotta così? Sono curioso.- continuò Hashim con lo stesso tono tra l’ironico e il sollevato.
L’espressione di Maria si indurì di colpo e, di nuovo, sentì la rabbia crescere dentro di lei.
-Qualcuno che ha avuto solo fortuna.- rispose a denti stretti.
-L’Assassino di cui tutti parlano?-
-Chi ne parla?-
-Mi è giunta voce…-
-Sarà morto a quest’ora! E se non lo è, lo sarà presto!-
Hashim spostò il cappuccio del lungo mantello grigio che indossava sempre, lasciando scoperto il volto e la guardò con indecisione mentre cercava le parole giuste.
Quel gesto la rese più inquieta ed un terribile pensiero le offuscò la mente. Scattò a sedere ignorando la fitta di dolore al fianco e l’indolenzimento.
-Di cosa ti è giunta voce?-
-Si dice che…- Hashim si bloccò per un attimo, poi riprese –che Roberto di Sable sia morto.-
-No! Non è possibile! Non può essere vero.-
-Mi hanno riferito che l’Assassino l’ha ucciso.-
Maria rimase in silenzio per qualche secondo, come nel tentativo di assimilare quella verità sconcertante ed inaspettata.
-Quell’Assassino ha distrutto la mia vita. Deve pagarla.- fece per alzarsi ma ricadde subito a sedere.
-Non puoi andare da nessuna parte in queste condizioni.-
Senza prestare attenzione alle parole di Hashim si alzò con cautela dal tavolo e, un po’ barcollante, si rimise in piedi. -Riesco a stare in equilibrio, posso andare. Devo trovarlo.- disse fin troppo sicura di sè.
Hashim le lanciò un’occhiataccia.
-So per esperienza che non potrei fermarti, ma almeno porta questo con te.- disse infine rassegnato. Estrasse da una tasca un sacchetto di stoffa marrone e glielo porse. –Sono erbe curative, ti allevieranno il dolore.-
-D’accordo.-
-Lì ci sono dei vestiti puliti. Io vado di sopra.- le indicò un mucchio di abiti piegati su una sedia poco distante e uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.
Con cautela Maria si sfilò i vestiti lacerati ed esaminò la ferita. Era stata ricucita con cura ed era ricoperta da una poltiglia verde. Sospirò di sollievo, mai come quella volta aveva creduto davvero di morire. Rimise a posto la fasciatura e indossò i vestiti puliti che le aveva lasciato Hashim, una camicia bianca e un paio di pantaloni di stoffa grigia. Calzò gli stivali, poi si coprì con il suo mantello nero, prese la sacca che portava sempre con sé e uscì dalla stanza. La porta si apriva su un piccolo vano che ospitava esclusivamente una rampa di scale. Salì al piano superiore ed entrò in una camera scarna, arredata solo da un tavolo e da un braciere. Hashim era accanto alla porta. Lo raggiunse.
 -Allora buona fortuna Maria.- le disse lui rivolgendole un ultimo sguardo preoccupato.
-Ne avrò bisogno.- si tirò su il cappuccio  e sparì nella notte.

 

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Capitolo 3
*** 3-L'angelo della morte ***


L’angelo della morte
 
Maria percorreva lentamente una  strada di campagna. Aveva viaggiato per una notte e un giorno senza mai fermarsi, in cerca dell’Assassino, ma di lui nessuna traccia. Era venuta a conoscenza della morte di Al Mualim, ucciso dai suoi, e sapeva che l’Ordine era privo di un capo, o, almeno, così aveva sentito dire. Le cominciava a sembrare inutile continuare a cercare alla cieca e pensò che era arrivato il momento di scoprire come i Templari si stessero riorganizzando e chi avesse preso il posto di Roberto di Sable. C’era una sola cosa da fare, doveva riuscire a parlare con Daniel, lo conosceva da molto tempo, avevano combattuto insieme e, forse, era l’unica persona rimasta della quale potesse veramente fidarsi.

Era notte fonda e la stanchezza cominciava a farsi sentire. La ferita le dava ancora qualche noia nonostante le cure di Hashim e iniziò, seppur a malincuore, a pensare di fermarsi a riposare. Deviò dal sentiero e si inoltrò nella boscaglia. Quando fu certa di non essere visibile dalla strada, legò il cavallo ad un albero e si distese tra i cespugli.

Erano trascorsi pochi minuti quando uno scalpiccio sul sentiero attirò la sua attenzione. Con cautela, spiò attraverso le foglie. Qualcuno scendeva da cavallo. Si sporse di più per vedere di chi si trattasse e subito riconobbe quella figura incappucciata. Non poteva credere ai suoi occhi, un vero colpo di fortuna. L’Assassino sembrò dirigersi verso di lei e, per un istante, pensò che l’avesse vista. Falso allarme, si fermò poco prima e, appoggiata la schiena ad un albero, si diede ad esaminare attentamente qualcosa all’interno di un fagotto che aveva in mano. Maria ebbe un attimo di esitazione ingiustificato. No, non l’avrebbe ucciso alle spalle, ma lui doveva comunque pagarla per quello che le aveva fatto ed un’occasione del genere non le si sarebbe più presentata. Estrasse il pugnale dal fodero. Cercando di non fare nessun rumore gli si avvicinò.

-E’ arrivata la tua ora Assassino!- disse quando fu  abbastanza vicina puntandogli il pugnale alla gola.
L’uomo aveva già fatto sparire il fagotto prima che lei arrivasse e Maria si rese subito conto di non aver causato al proprio avversario neanche il minimo sussulto, non sembrava avere alcuna paura, anzi si voltò a guardarla con un’espressione a metà tra stupita e divertita.
-Tu non mi ucciderai.-  sentenziò calmo.
Era la prima volta che sentiva la voce dell’Assassino e questo lo rese in qualche modo più reale ai suoi occhi. Per molti Templari era diventato una sorta di entità astratta, quelli che più lo temevano avevano preso da tempo a chiamarlo “l’angelo della morte”, ma lei no, lei non ne aveva paura. Si trattava solo dell’uomo che le aveva rovinato la vita ed era sempre più irritata dalla sua spavalderia.
-Non credo tu sia nella posizione di dire o pensare una cosa del genere.-
-Vedo che ti piace sfidare la sorte, già una volta ti ho risparmiato la vita, chi ti dice che lo farò ancora?-
Questa nuova offesa le annebbiò la vista, ma prima che potesse affondare la lama la mano dell’Assassino si mosse rapida verso il suo fianco, non del tutto guarito dalla precedente ferita. Bastò una leggera pressione e il dolore che ne seguì fu lancinante, tanto da farle quasi perdere l’equilibrio. In un batter d’occhio, la situazione si era ribaltata. Si ritrovò schiacciata contro il tronco dell’albero e nell’impossibilità di muoversi, mentre una lama spuntata dal nulla le lambiva la gola. Il cappuccio dell’Assassino era ricaduto all’indietro lasciando scoperto il viso a un centimetro dal suo. Era molto più giovane di quello che pensava. Aveva lineamenti lineari e squadrati e i suoi occhi neri la guardavano divertiti e calmi. Era bello. Si stupì di questo pensiero e, all’istante, odiò se stessa per averlo formulato.
-E’ così che si minaccia qualcuno.- le disse lui con il tono con cui si parla ad un bambino svogliato. -Non bisogna mai lasciare possibilità di replica.-
-Se devi uccidermi, puoi risparmiarti di impartirmi lezioni.- sibilò in risposta.
-Vuoi che ti lasci vivere? Basta chiedere.-
-Non ti implorerò mai e non ho paura di morire.-
-Non ne dubito dato che tenti continuamente di suicidarti, ma penso che la tua morte sarebbe inutile Maria.-
Sgranò involontariamente gli occhi. -Come  fai a conoscere il mio nome?-
L’assassino trattenne visibilmente una risata. –Tu eri l’amante di Roberto di Sable.- disse come se la risposta fosse ovvia. - Io so sempre tutto dei miei bersagli. So quali sono le loro abilità, conosco i luoghi che frequentano, so perfino chi sono le loro donne.-
La parola amante e il modo in cui fu pronunciata la offese così profondamente che un lieve rossore le invase le guance. Provò a divincolarsi, ma senza successo.
-Perché non mi uccidi? Mi ritieni così insignificante da non rappresentare un pericolo per te in nessun caso?- quasi gridò in preda alla collera.
 –Non sei per nulla perspicace. Secondo te mi perdo in chiacchiere con qualunque incauto tenti di uccidermi? Tu…mi incuriosisci e, se così non fosse, saresti già morta.-
Maria lo guardò sorpresa senza rispondere e, suo malgrado, si sentì un po’ lusingata.
 -Credi che non ti abbia sentita arrivare? Non mi hai colto di sorpresa e avrei potuto porre fine alla tua vita in ogni momento, ma mi sembra un vero peccato, sarei curioso di vedere fino a che punto può arrivare la tua audacia.- continuò lui con lo stesso tono canzonatorio.
Detto questo le legò abilmente le mani con una corda che pendeva da un ramo dell’albero a formare una sorta di cappio. Qualcuno doveva essere stato appeso per il collo esattamente lì, non molto tempo prima.
-Io ti ucciderò, come tu hai ucciso Roberto, lo giuro.-
L’Assassino scrollò le spalle –Sei libera di provarci. Ora scusami, ho già perso troppo tempo.- concluse montando a cavallo.
-La pagherai prima o poi, te l’assicuro, non è finita qui!- gridò lei senza ricevere risposta mentre il cavallo, già spronato al galoppo, spariva nel buio.

Maria si guardò le mani con nervosismo. Il nodo era troppo stretto perché potesse liberarsi da sola. Era evidente che l’Assassino non voleva essere seguito e si chiese dove fosse diretto.
Si mise a sedere con la schiena appoggiata al tronco dell’albero nell’attesa di scorgere qualcuno di sua conoscenza lungo il sentiero ma, per tutta la notte, la strada fu deserta. 

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Capitolo 4
*** 4- Cambio di mano ***


Cambio di mano

La Templare riaprì gli occhi quando il sole era già alto nel cielo. Senza volerlo, si era addormentata. Subito la sua mente andò agli avvenimenti della sera precedente. Si chiese se non avesse sognato tutto, ma la risposta le giunse, all’istante, dalla vista dei polsi ancora legati. Provò a dare uno strattone. Niente. L’unico risultato fu una fitta di dolore, ma la corda rimaneva ben salda al proprio posto. Spiò verso la strada. Con la luce del sole era ben visibile da dove si trovava e, di conseguenza, anche lei sarebbe stata vista facilmente. Due uomini a cavallo si avvicinavano lungo il sentiero. Il suo primo istinto fu quello di nascondersi, ma, poi, riconobbe le croci templari sulle loro tuniche.
Come previsto i due la scorsero da lontano e si fermarono incuriositi. Con pochi passi l’avevano raggiunta.
-Liberatemi.- ordinò lei porgendogli le mani legate.
Si guardarono per un attimo.
-Perché dovremmo?- chiese uno dei due.
-Io sono una Templare, una di voi. Mi chiamo Maria Thorpe.-
-Ma certo, ho sentito parlare di te, eri il braccio destro di Roberto di Sable, benché tu sia una donna.-
-Ma ora Roberto è morto e il nuovo capo non vede di buon occhio quelli che erano i suoi galoppini.- continuò l’altro.
I due si scambiarono un sorrisetto d’intesa che non le sfuggì. Se non avesse trovato un diversivo probabilmente non sarebbe uscita viva da quella situazione.
-Chiunque sia il nuovo capo, gli interesseranno le informazioni che ho.- disse precipitosamente.
-Che informazioni?-
-Di certo non ne parlerò a voi.-
-Tu stai mentendo, non hai nessuna informazione. Chi ti ha legata qui?-
-Io so dove si trova il frutto dell’Eden.-
L’uomo ebbe un sussulto- Non è possibile, non si sa dove sia, ma una cosa è certa, è nelle mani degli Assassini.-
-Ti sbagli, gli Assassini hanno rubato un falso. E’ sempre stato Roberto ad averlo e, per sicurezza, solo i suoi fidati lo sapevano. Prima di partire, l’ha lasciato a me ed io l’ho nascosto.- pronunciò questa frase sperando che quei due, che in verità non le sembrava eccellessero per intelligenza, potessero credere ad una simile sciocchezza.
La guardarono perplessi, poi, dopo un tempo che le sembrò interminabile, uno dei due le chiese –E dove l’avresti nascosto?-
-L’ho sepolto in un terreno abbandonato non lontano da qui. Slegatemi e vi mostrerò dove.-
Nessuno dei due si mosse.
-Non sono armata, il pugnale mi è caduto là.-
Indicò con un cenno del capo il punto nell’erba dove effettivamente si trovava il pugnale che le era caduto di mano la notte precedente.
A quest’assicurazione l’uomo che aveva parlato per primo tagliò la corda che le legava i polsi. Maria agì in fretta. Estrasse la spada dalla fondina di quello che l’aveva liberata e lo uccise così rapidamente da causare all’altro un momento di sbandamento, approfittando del quale, finì anche lui.
Attese che il respiro si normalizzasse mentre cominciava a pensare a come agire.
Sarebbe stato più sicuro che si vestisse da uomo. Si raccolse i capelli scompigliati e indossò tunica ed elmo di uno dei Templari che aveva ucciso. Coprì i cadaveri con dei rami, raccolse il pugnale e tornò al proprio cavallo.

Non molto tempo dopo già si inoltrava negli stretti vicoletti di Acri. Raggiunse una piccola casa in pietra e bussò due volte. Una donna comparve sulla porta. La osservò per un attimo,poi, riconosciuto il simbolo sulla sua tunica si spostò di lato per consentirle di entrare.
-Cerco Daniel.-  disse Maria appena fu entrata.
Senza proferire parola, la donna la condusse, attraverso il piccolo ingresso, in un’altra camera più ampia.
Daniel era di spalle e guardava fuori appoggiato al davanzale di una finestra. La donna fece cenno a Maria di aspettare, poi si avvicinò a Daniel, gli sussurrò qualcosa all’orecchio e uscì dalla stanza mentre lui si voltava a scrutare con occhi diffidenti il visitatore.
-Posso sapere chi mi cerca?-
Maria fece qualche passo avanti e si sfilò l’elmo lasciando scoperto il volto.
-Maria!- esclamò Daniel sorpreso e, d’istinto, l’abbracciò. –Non ho più avuto tue notizie dalla notte in cui Roberto…-
-Tranquillo, ne sono al corrente da un po’.-
-Beh, da allora tante cose sono cambiate.-
-E’ di questo che vorrei parlarti, ci sono troppe cose che ancora non so.-
La donna rientrò nella stanza e posò sul tavolo una pagnotta rotonda e un fiasco di vino.
-Grazie Amina.- disse Daniel.
Lei fece un cenno del capo e scomparve nel suo solito mutismo.
-Amina è mia moglie.- continuò lui come per rispondere ad una domanda inespressa di Maria.
-Quando ti sei sposato?-
-Non molto tempo fa.-
-E…non lo sapeva nessuno?-
-Non credo che la notizia sarebbe stata gradita.-
-Probabilmente hai ragione.-
–Sai, a dire la verità, io…vorrei farla finita con quest’assurda lotta. Ormai non mi sento più partecipe delle idee del nostro Ordine. Non tutti perseguono un ideale più alto e sono troppi gli orrori ai quali ho dovuto prendere parte.-
-Non avrei mai creduto che potessi dire una cosa del genere. E’ l’amore che fa quest’effetto? Se è così meglio starne alla larga.-
-No di certo, ma avere qualcuno da amare a volte può aiutare a prendere una decisione.-
-Beh, in ogni caso, se è questo che vuoi, sono felice per te, ma mi chiedo se ti sarà concesso di lasciare l’Ordine come se nulla fosse, ci hai pensato?-
-Certo. Nessuno a parte te sa, per adesso, quali siano le mie reali intenzioni. Voglio aspettare che la situazione si stabilizzi.-
-E’ proprio di questo che vorrei parlare.-
-Da quanto tempo non mangi?- chiese Daniel indicando con un gesto della mano il cibo portato da Amina.
-Da un po’.-
-Vieni, sediamoci.-
Presero posto intorno al tavolo e Maria mangiò senza lasciarsi ripetere l’invito.
-Beh, innanzitutto è bene che tu sappia che Armand Bouchart ha preso il controllo dell’Ordine e che, per questo motivo, non tutto, come puoi immaginare, rimarrà a lungo com’era.- cominciò a spiegare Daniel.
-Chi è rimasto in vita tra i fedeli di Roberto?-
-Tu e io per quanto ne so, la situazione non è più sicura per noi. Armand Bouchart vuole il controllo assoluto e lo avrà. Ora è a Cipro. C’è qualcosa di grosso lì, non so bene cosa stia accadendo, ma ha a che fare con l’archivio.-
-L’archivio? Gli Assassini hanno la mela dell’Eden e noi invece di andare a riprendercela ci occupiamo dell’archivio?-
-A quanto pare si. Questo è tutto ciò che so. Sembra che Bouchart tema che anche i segreti contenuti nell’archivio possano cadere nelle mani degli Assassini.-
-E quindi è lì per proteggere i segreti che l’archivio contiene?-
-Di questo non so nulla di preciso, ma mi sono fatto un’idea del genere, si.-
-E’ tutto?-
-Non esattamente. Non so se mi crederai, ma anche Roberto non era ciò che appariva, mi è giunta voce che aveva preso accordi con Bouchart di cui ci teneva all’oscuro, anche lui cercava di conservare il potere, era questa la sua prima preoccupazione e, dopo tutto, non ha esitato a lasciare che tu morissi al suo posto.-
-Io avevo accettato.-
-Si ma…-
- So che non mi amava, né io amavo lui, a te ormai posso dirlo, ma era l’unica certezza della mia vita, capisci?-
-Capisco.- Daniel abbassò gli occhi e fece una pausa, poi riprese - La notizia della morte di Roberto arrivò la mattina dopo, poi sono cominciate le liti tra fazioni opposte all’interno dell’Ordine, così mi sono allontanato e, da allora, ricevo notizie solo grazie ad alcuni informatori che mi sono rimasti fedeli. Hai fatto bene a sparire per un po’, è stata una mossa prudente, ma nessuno conosceva la tua sorte Maria, ho creduto che l’Assassino ti avesse uccisa.-
-Non ne ha avuto la possibilità.-
-Cosa farai adesso?-
-Devo pensarci, ma credo che andrò a Cipro.-
-Ne sei certa? Non so immaginare quale accoglienza riceveresti.-
-Quindi non mi resta che scoprirlo, c’è ancora qualcuno che può fornirmi una nave che tu sappia?-
-Certo, domani stesso allerterò quelli che mi sono rimasti fedeli e potrai partire al più presto.-
-Bene. Posso restare qui per questa notte?-
-Certo, puoi restare per tutto il tempo che ti serve.-
 



NOTE


Aggiorno con il mio solito pauroso ritardo e ringrazio quelli che, con pazienza, mi seguono.
Spero che non sia stato del tutto vano attendere.
Ciao;)

 

 

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Capitolo 5
*** 5-Duelli, sangue e sbarre. ***


Duelli, sangue e sbarre

Al calar della notte qualcuno camminava freneticamente su e giù lungo il molo del porto di Acri borbottando tra sé. I pochi pescatori che si aggiravano nei dintorni gettavano sguardi curiosi su quella figura avvolta in un lungo mantello nero con il cappuccio calato a coprire metà del volto.
Fin troppo esile per essere un uomo. La sua voce aveva un che di…femminile…ma una donna sola non si sarebbe mai aggirata in una zona come quella ed a quell’ora di sera, per di più vestita da uomo. Che assurdità. Negli occhi di quei pochi pescatori si leggevano queste ed altre domande e obiezioni, ma Maria non se ne accorse.
-Le nave è quasi pronta signora.- la voce di uno dei Templari che l’avevano accompagnata al porto la riscosse dai suoi pensieri.  La nave? Una sola nave? Evidentemente Daniel non era riuscito a fare di meglio. La loro posizione all’interno dell’Ordine era calata di parecchio. Peggio di quanto pensasse. Un tempo le sarebbe bastato chiedere e avrebbe avuto un’intera flotta.
-Bene.- si limitò a dire.
L’uomo le fece un cenno del capo congedandosi.
Decise di rientrare nella fortezza che dominava il porto. Per fortuna aveva ancora il diritto di stare lì, pensò sarcastica.
Oltrepassò la porta e salì la scala in legno che conduceva al piano superiore. La residenza era deserta e non riusciva a non pensare che solo qualche mese prima brulicava di suoi compagni e di attività. Tutto era gestito da Roberto, coadiuvato dal suo consiglio ovviamente, ora invece c’era la devastazione più totale…
Era seduta al tavolo di quella che era stata la sua stanza personale mentre queste considerazioni le affollavano la mente quando sentì dei rumori provenire dall’esterno. Un combattimento? Uscì precipitosamente sul balcone e osservò la scena. Vide il bianco delle vesti degli Assassini spiccare nell’oscurità della notte e lo scintillio delle lame, mentre udiva il rumore dei colpi e le grida dei feriti. In un batter d’occhio si era scatenata una guerra in piena regola. # Rientrò di corsa, estrasse la spada e si precipitò giù per le scale. Nella notte fredda sei dei dieci uomini che Daniel le aveva affidato giacevano morti in una pozza di sangue, mentre gli altri fronteggiavano un numero imprecisato di Assassini. Si gettò nella mischia combattendo meglio che poteva. Due uomini incappucciati le piombarono addosso. Schivava i colpi con facilità e ogni tanto si slanciava in avanti con un fendente. Colpì uno degli Assassini ad una gamba facendolo precipitare a terra, mentre puntava a stancare l’altro. Era certa che l’uomo avesse già combattuto abbastanza prima di raggiungerla, mentre lei era lucida e riposata, un punto a suo vantaggio. Certo, più facile a dirsi che a farsi, l’Assassino aveva un ottima resistenza e non perdeva la concentrazione. Stufa di quella danza sempre uguale, schivò un colpo e si spinse verso di lui con più foga e la spada sguainata ma mise un piede in fallo scivolando sul pavimento umido del porto. La spada le era caduta di mano e, in un batter d’occhio, si era trovata l’arma del suo avversario puntata alla gola. Lesse negli occhi di lui che di lì a poco avrebbe messo fine alla sua vita e distolse lo sguardo attendendo di sentire il ferro affilato affondarle nella gola. Ma non accadde.
-Fermo!- intimò qualcuno alla sua destra all’uomo che stava per ucciderla. Si voltò per scoprire di chi fosse quella voce vagamente familiare. Era l’Assassino che aveva ucciso Roberto. Nonostante la sua visuale fosse limitata e nonostante il buio ne era certa.
-Ma…-cominciò a dire l’altro.
-Non discutere! Mi serve, devo farle delle domande.-
Sentendo parlare al femminile di quello che credeva fosse un uomo l’Assassino sgranò gli occhi, ma senza battere ciglio rinfoderò la spada. Sollevò Maria da terra prima di strattonarla in una delle celle della fortezza, poi le legò le mani, chiuse a chiave la porta e si allontanò senza prestare ascolto alle proteste di lei.
 
Qualche ora dopo, Maria aveva rinunciato a protestare. Era seduta su un giaciglio di paglia, sul fondo della cella, e fissava le sbarre con aria torva. Tese l’orecchio quando avvertì il rumore di passi sempre più vicino.
-E’ nell’ultima cella Altair.- disse qualcuno.
Quindi si chiamava Altair, buono a sapersi.
Pochi secondi dopo la porta si aprì cigolando. Altair entrò e si appoggiò con la schiena alla grata di ferro osservando la prigioniera da sotto il cappuccio con un’espressione indecifrabile.
-Chi si rivede!- disse lei sarcastica per spezzare quel silenzio pesante.
-A quanto pare siamo destinati ad incontrarci, dovrai fartene una ragione.- rispose l’Assassino piegando le labbra in un mezzo sorriso.
-Prima o poi ti ucciderò così non ci incontreremo più.-
-Come ti dicevo, sei libera di provarci…ma dubito che ci riusciresti.-
Maria distolse lo sguardo infastidita.
-Anche se devo ammettere che combatti bene per essere una Templare.- aggiunse lui dopo un attimo e, ancora una volta, non potè fare a meno di sentirsi lusingata.
-Che cosa vuoi da me?-
-Vuoi dire perché ti ho salvato di nuovo la vita?-
Gli lanciò un’occhiataccia.
-Voglio sapere perché i Templari vanno a Cipro.-
Avrebbe voluto saperlo anche lei.
-Non lo so.-
Lui si accigliò –E va bene.- disse, poi fece scattare la lama con un clic e, senza avere neppure il tempo di accorgersene, Maria si ritrovò schiacciata sul giaciglio di paglia, immobilizzata sotto il peso dell’Assassino che, per l’ennesima volta, le puntava la lama alla gola.
Lo guardò negli occhi come quella sera di poco tempo prima e, di nuovo, i suoi battiti accelerarono, ma non era panico. Cosa diavolo le prendeva? Non sapeva perché ma anche in quella situazione non riusciva ad avere paura di lui, benché fosse certa che una volta avute le informazioni che voleva, per lei sarebbe stata la fine.
-Te lo richiedo, cosa fanno i Templari a Cipro?- le chiese Altair interrompendo il flusso di quei pensieri insensati.
-Non lo so! Grazie a te ho qualche difficoltà adesso ad avere accesso alle informazioni!-
Lui sembrò rifletterci per un attimo, poi decise di crederle.
-Chi è a capo dell’Ordine adesso?- continuò ignorando gli sforzi di lei per liberarsi.
-Il vostro Ordine invece? Sempre privo di un capo? E tu per conto di chi agisci?-
Altair trattenne un sorriso. Agiva per suo conto, dato che il Maestro adesso era lui. I Templari non lo sapevano. Meglio così.
- Rispondi, non ti conviene farmi perdere la pazienza.- concluse impassibile.
-Armand Bouchart.- sibilò Maria sentendo maggiore la pressione della lama.
-Lo sospettavo.- bisbigliò lui tra sé.
Ritirò la lama e aiutò Maria ad alzarsi. Lei lo guardò sorpresa, era sicura che una volta saputo quello che voleva, l’avrebbe uccisa.
Altair sorrise sarcastico come se avesse indovinato quello che le passava per la testa –Non ti ucciderò neanche questa volta, mi dispiace. Per adesso, tu vieni con me.-
 

 

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Capitolo 6
*** 6-In viaggio. ***


In viaggio

Era l’alba e sulla strada giacevano ancora le vittime del combattimento di qualche ora prima mentre Maria seguiva Altair verso la nave che li avrebbe condotti a Cipro. Aveva le mani legate ed era affiancata da due Assassini. Forse temevano che fuggisse. Non sapevano che, in quel momento, non ne avrebbe avuta né la voglia, né la forza. Tutto sommato, anche lei voleva arrivare a Cipro e pensò che, una volta lì, avrebbe trovato un modo per scappare. Altair li precedeva di qualche passo. Giunti a bordo i due Assassini si congedarono, dopo aver scambiato qualche parola sottovoce con il loro Maestro.

-Meglio se non ci facciamo notare.- sentenziò Altair quando i due se ne furono andati e lui e Maria presero posto, l’uno accanto all’altra, sul fondo della stiva.
Rimasero a lungo immersi nel silenzio ad osservare l’andirivieni di marinai e uomini, per lo più, dall’aspetto losco.

La nave era già in mare da un po’ quando Maria si accorse che un uomo li aveva visti nonostante la penombra e li osservava incuriosito. Lo squadrò per un attimo. Aveva un’aria trascurata, i capelli ricci e sporchi, legati da un nastro nero, gli ricadevano sulle spalle ed indossava una cappa con il cappuccio, probabilmente si trattava di un ladro o qualcosa del genere. Rivolse lo sguardo ad Altair. Era immobile, sembrava quasi si fosse addormentato. La Templare si irrigidì, se fossero stati attaccati, non aveva armi con cui difendersi.
-Di che hai paura? Non ti accadrà niente, non preoccuparti.- disse Altair con un mezzo sorriso.
-Non ho le mie armi!-
-E non le riavrai, puoi starne certa.-
Maria sbuffò rumorosamente.
Intanto l’uomo, che ancora li stava fissando, si avvicinò di qualche passo e, con un ghigno, portò la mano all’elsa della spada che gli pendeva da un fianco. Altair alzò gli occhi con aria minacciosa e fece scattare la lama che scintillò nella penombra della stiva. Si guardarono per un attimo, poi l’uomo sembrò pensarci meglio e cambiò direzione.
-Che diavolo voleva?- chiese Maria.
-Credo sospetti che nascondiamo qualcosa e magari pensa che questo qualcosa potrebbe essergli utile.-
-E ci avrebbe uccisi solo per questo!?-
Scrollò le spalle. -Conosco persone che ucciderebbero per molto meno.-
-E’ ingiusto che io non possa difendermi!- bofonchiò Maria incrociando le braccia sul petto.
-Si, che ingiustizia.- commentò lui con una risatina di scherno.
Scosse la testa infastidita.
-Non avrai bisogno di difenderti, te lo assicuro.- aggiunse l’Assassino.
Maria gli lanciò un’occhiataccia. Non tollerava di dover dipendere da qualcun altro, era per questo che aveva lasciato l’Inghilterra -Sono sempre stata perfettamente in grado di proteggermi da sola!- 
-Però, che caratterino!- disse con tono ironico. –In fondo se sei viva lo devi a me, avrei anche potuto lasciarti morire ieri sera. Jamal ne sarebbe stato molto contento.-
Maria non rispose. Certo, magari adesso avrebbe anche dovuto ringraziarlo, pensò.

-Perché mi hai risparmiata?- chiese qualche secondo dopo.
Altair sembrò rifletterci un attimo.–Ancora non lo so…forse per curiosità. Dalla prima volta che ti ho vista mi sono chiesto cosa ci facesse una donna inglese in Terra Santa, nel bel mezzo di una crociata.-
 –Combatto molto meglio di tanti soldati e sono brava a farmi passare da uomo.-
Lui sorrise –Questo è vero.- fece una pausa –E quindi è per questo che hai lasciato l’Inghilterra? Per combattere?-
-L’ho fatto per essere libera, dato che in Inghilterra non potevo esserlo. Purtroppo per i miei genitori, io non sono fatta per ricevere ordini. Sono scappata da casa e sono partita con le truppe per la crociata. Arrivata qui mi sono unita alla causa dei Templari e stava andando tutto alla perfezione prima che tu uccidessi Roberto.-
Gli occhi di lui divennero seri. –Tu lo amavi?-
Maria rimase stupita da quella domanda e, sulle prime, non rispose.
-Non so se si possa definire amore, lui…era indispensabile per me.- disse alla fine.
-Indispensabile?-
-Perché potessi essere quello che volevo, perché potessi essere libera. Sapevo che la mia vita non era più importante di quella di tanti altri suoi fedeli.- parlò in modo così sincero da chiedersi perché mai stesse raccontato tutto quello che provava all’Assassino che avrebbe dovuto odiare –Non ha esitato a mandarmi a morire al suo posto ed io ho accettato per riconoscenza, perché grazie a lui, per la prima volta nella mia vita, mi sembrava di aver trovato finalmente il mio posto -
-Capisco. Può essere difficile trovare un equilibrio.-
Maria lo guardò di sottecchi. No, pensò, nessun uomo poteva capire. –Come potresti? Insomma, voi Assassini credete sul serio nella vostra causa. Venite educati dalla nascita a compiere la vostra missione e non avete esitazioni. E’ invidiabile. Io, invece, quando ero in Inghilterra, pensavo di continuo di trovarmi dalla parte sbagliata del mondo, nell’epoca sbagliata.-
Altair le lanciò uno sguardo strano da sotto il cappuccio e parlò a voce più bassa, quasi in un sussurro. -Io ricordo tutte le mie vittime. Quando mi danno un bersaglio, la prima cosa che devo fare è conoscerlo il più possibile, sapendo che porrò fine alla sua vita. Uccidere, anche se per una buona causa, non è né semplice, né gratificante e non è per tutti. Non tutti i nati nella Confraternita sono in grado di diventare Assassini.-
Maria tacque. Quelle parole la sorpresero e poteva leggerne la verità negli occhi dell’Assassino mentre cominciava a provare per lui qualcosa di estremamente diverso dall’odio.
 

NOTE
Devo dire che è venuto più breve di qanto pensassiXD Avevo pensato anche ad una seconda parte, ma si ricollega meglio al capitolo successivo, quindi la inserirò nel prossimo.
A presto;)

 

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Capitolo 7
*** 7-Prigioniera ***


Prigioniera

-Maria, svegliati.-
Maria aprì gli occhi, riportata alla realtà da una voce calda e familiare e si rese conto, all’istante, di avere la testa appoggiata alla spalla dell’Assassino. Per qualche strano motivo, il suo primo pensiero fu che non avrebbe voluto spostarsi. Sollevò il viso con una punta di imbarazzo, ritrovandosi ad un centimetro da quello di  Altair che la stava guardando. Ancora una volta, si perse nella contemplazione dei suoi occhi neri.
-Siamo arrivati.- sussurrò lui.
Annuì mentre i loro volti si facevano pian piano più vicini e le loro labbra, senza che nessuno dei due riuscisse a razionalizzare quello che stava per succedere, giungevano quasi a sfiorarsi.
Il suono di una voce stridula richiamò la loro attenzione e si voltarono all'unisono.
-Siete morti!- aveva esclamato qualcuno a pochi passi da loro.
Lo stesso uomo della sera prima, questa volta attorniato da tre scagnozzi, li guardava con un ghigno.
Scattarono entrambi in piedi. Altair estrasse la spada mentre i suoi avversari facevano lo stesso.
-Liberami e dammi un’arma.- disse Maria porgendogli le mani legate.
La guardò per un attimo con indecisione.
-Non puoi combattere e difendere me nello stesso tempo, così mi uccideranno.-
Quell’ultima affermazione convinse l’Assassino che, alla svelta, tagliò la corda che legava i polsi di Maria e le porse la sua spada.
-C-cosa…e tu come farai?- chiese sorpresa.
Lui sorrise, poi fece scattare la lama celata e si mise sulla difensiva, gettandole uno sguardo d’intesa in modo che facesse lo stesso.
-Ora basta!- ringhiò l’uomo con i capelli ricci infastidito e lui e due scagnozzi, spezzati gli indugi, si scagliarono contro Altair, mentre l’altro incrociava la spada della Templare convinto che avrebbe avuto gioco facile. Maria sorrise tra sé. Mai sottovalutare il proprio nemico. Riuscì a contrastare facilmente l’uomo e lo ferì al braccio destro. Il sangue gli macchiò la manica della camicia di rosso vivo mentre i suoi occhi avvampavano di rabbia. Le rivolse uno sguardo colmo d’odio, passò agile la spada dall’altro lato e Maria fu costretta a parare un altro fendente. D’un tratto, un urlo squarciò l’aria del piccolo abitacolo. Un’inconsueta preoccupazione strinse lo stomaco della donna che si voltò di scatto perdendo la concentrazione. Rivolse l’attenzione al duello che stava proseguendo a due passi da lei, la lama di Altair aveva aperto una ferita nel fianco dell’uomo che li aveva minacciati, mentre gli altri due giacevano già morti al suolo. Distolse lo sguardo subito prima di avvertire un dolore fortissimo alla spalla. Il suo avversario l’aveva appena colpita e sorrideva baldanzoso. Tirò un respiro profondo e si preparò a fronteggiare l’attacco successivo. Per sua fortuna, l’uomo, ormai convinto della vittoria, si slanciò in avanti con una mossa avventata dandole la possibilità di affondargli la spada nello stomaco. Lo vide cadere in ginocchio mentre un fiotto di sangue gli bagnava le labbra.
Ritrasse l’arma e guardò Altair. Era visibilmente affaticato e aveva la manica destra della tunica macchiata di sangue, ma non era ferito. A quella vista sospirò di sollievo mentre già lui le tendeva la mano per riavere la spada, rivolgendole uno sguardo indagatore. Fu allora che capì. Se voleva scappare, quello era il momento. Decise in fretta e puntò la spada contro l’Assassino. Si sarebbe aspettata di dover combattere, ma non accadde, Altair sollevò i palmi in segno di resa e si spostò di lato lasciandole libera l’uscita.
Ebbe un ultimo istante di indecisione, poi si precipitò su per le scale, ma riuscì a fare solo qualche passo prima di essere costretta ad appoggiarsi alla balaustra della nave, il dolore alla spalla cominciava a farsi sentire più forte e i sensi minacciavano di abbandonarla. No, doveva continuare. Fu il suo ultimo pensiero prima che la vista le si annebbiasse, poi si sentì cadere con un tonfo. Buio.
 
La Templare ritornò lentamente alla coscienza. Era in una cella, sdraiata su un giaciglio di paglia con le mani legate e la spalla fasciata. Si guardò attorno un po’ intontita, poi realizzò. Di nuovo imprigionata. Sbuffò tirandosi a sedere e guardò oltre le sbarre. Niente. Poteva scorgere solo un corridoio deserto.

Qualche ora dopo, qualcuno entrò nella cella. Maria gli gettò un rapido sguardo. Non era Altair, ma, a giudicare da come era vestito, una cosa era certa, era finita di nuovo nelle mani degli Assassini. L’Assassino depositò a terra una ciotola con della frutta e un fiasco d’acqua, rivolgendole uno sguardo colmo di disprezzo, poi fece per andarsene.
 -E tu chi diavolo saresti?- chiese lei poco gentile.
Lui si bloccò e si voltò di nuovo a guardarla –Questo non ti riguarda, Templare.-
-Se solo avessi una spada, ti farei rimpiangere di avermi trattata così, Assassino.-
A quelle parole l’uomo vide rosso. Si avvicinò a Maria che non potè trattenere un sussulto e le tirò i capelli fino a reclinarle la testa all’indietro provocandole una fitta di dolore alla spalla.
-Se dipendesse da me saresti già morta.- sibilò.
Lei sorrise per quanto le fosse possibile –E da chi dipende?- chiese per provocarlo.
L’uomo assottigliò gli occhi –Per adesso mi è stato ordinato di non farti un graffio, ma prima o poi non ci sarà più nessuno a proteggerti e allora puoi stare sicura che te la farò pagare.-
La lasciò andare violentemente e uscì dalla cella dandole le spalle. Quando l’Assassino si fu allontanato una lacrima di rabbia solcò il volto di Maria. L’asciugò subito e cercò di normalizzare il respiro. Appena ebbe riacquistato la calma osservò attentamente la cella alla ricerca di una via di fuga. Niente. L’unica apertura era una piccola feritoia situata troppo in alto. Tornò a sedersi rassegnata. Gettò un rapido sguardo al cibo, la fame cominciava a farsi sentire, ma era decisamente troppo orgogliosa per mangiare.

I giorni si ripetevano tutti uguali e non avrebbe saputo dire quanti ne fossero passati. Nel frattempo, le energie le venivano gradualmente a mancare a causa di quell’ostinato sciopero della fame e della ferita non ancora guarita del tutto. L’unica visita che riceveva era quella dell’Assassino che le portava il cibo due volte al giorno, cibo che, peraltro, si rifiutava puntualmente di mangiare. Se avevano pensato di tenerla rinchiusa lì per sempre, avrebbe preferito morire. L’ultima volta che l’aveva visto, l’Assassino le aveva intimato di mangiare qualcosa, ma lei non lo aveva degnato né di uno sguardo, né tantomeno di una risposta. Forse temeva che, se fosse morta, la colpa sarebbe ricaduta su di lui. Meglio così, pensò, un motivo in più per continuare.
Era sdraiata su un fianco con il viso rivolto verso la parete quando sentì cigolare la porta della cella. Non si voltò neppure attendendo che l’uomo, come di consueto, depositasse la ciotola sul pavimento e uscisse. Invece, qualcuno prese posto accanto a lei. Si voltò piano e, nonostante la vista un po’ annebbiata, riconobbe Altair, seduto con le gambe incrociate e una ciotola in mano. Con fatica si tirò su e appoggiò la schiena alla parete.
Altair le porse la ciotola. La prese e ne esaminò il contenuto. Era una specie di poltiglia di farro, ma avrebbe mangiato qualsiasi cosa, tanto era affamata.
-Avanti, mangia.- disse l’Assassino.
Senza più pensarci, Maria obbedì.
-Hai intenzione di restare qui a guardarmi?- chiese tra un boccone e l’altro.
-Non me ne vado finchè non avrai finito.- rispose lui impassibile.
Maria fece più fatica di quanto si aspettasse, era come se il suo stomaco si fosse disabituato a ricevere cibo. Quando ebbe vuotato il piatto, lo porse ad Altair. –Soddisfatto?-
 -Abbastanza.- disse lui con un mezzo sorriso.-Come va la spalla?-
Quella domanda le riportò alla mente ciò che era successo sulla nave.  -Meglio…-rispose.
-Comunque manderò qualcuno a controllare la fasciatura.-
–Non è necessario.-
-Si, invece.-
Annuì rassegnata, certo non lo avrebbe convinto e poi c’era ben altro che la preoccupava. Aveva bisogno di sapere se ci fosse una speranza di libertà, e, benché, per la prima volta nella sua vita, le mancasse il coraggio, doveva chiederglielo –Per quanto tempo hai intenzione di tenermi qui?-
Lo sguardo di lui divenne, in un lampo, impenetrabile –Non posso fidarmi di te, quindi è qui che starai finchè non avrò deciso diversamente.- rispose freddo, poi si alzò in piedi e si avviò verso la porta della cella.
-Sei stato tu ad ordinare che non mi facessero del male?- quella domanda le sfuggì prepotente dalle labbra. Senza riuscire a spiegarsi consciamente il perché, voleva a tutti i costi saperlo.
Lui si bloccò per un attimo ma non rispose nè si voltò, poi fece scattare la serratura e sparì nel corridoio chiudendosi la porta alle spalle.
 


NOTE
Su questo capitolo ho avuto un po’ di dubbi, soprattutto sul dialogo finale e sul duello, li ho riscritti un paio di volte, comunque spero che il risultato non sia terribileXD
Magari fatemi sapere che ne pensate, ciao.

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Capitolo 8
*** 8-Federico ***


Federico

Maria si svegliò quando già la luce del sole filtrava attraverso la piccola feritoia nella parete. Si guardò i polsi, la pelle era ancora arrossata e screpolata. L’Assassino doveva averla slegata quando non aveva forze, tanto che non se ne era neppure accorta. Un rumore insolito di passi la riscosse. Sollevò lo sguardo un attimo prima che una donna minuta, sulla quarantina, comparisse davanti alla porta della cella armata di bende e quant’altro e accompagnata immancabilmente dall’Assassino. Dopo tutto, era una pericolosa prigioniera Templare, pensò sorridendo tra sé, quale incauto avrebbe lasciato una povera donna sola con lei?
La serratura scattò.
-Vuoi che le leghi le mani Adila?- chiese l’Assassino.
-Non credo sarà necessario.- rispose la donna entrando e gettando un rapido sguardo su Maria.
Odiava che si parlasse di lei come se non fosse presente, ma si sforzò di rimanere in silenzio.
L’Assassino, che era rimasto fuori, fece spallucce e si voltò con le braccia conserte appoggiando la schiena alla grata di ferro.
Adila si avvicinò a Maria e rimosse la fasciatura precedente per esaminare la ferita alla spalla.
-Credo che tra un po’ potremo anche togliere i punti, li ho messi per sicurezza ma la ferita non era molto profonda.- disse sollevando gli occhi al volto della Templare. Per un attimo rimase stupita. Era solo una ragazza, molto più giovane di quanto si aspettasse. Ebbe voglia di chiederle perché mai avesse scelto una vita del genere, ma represse immediatamente la domanda abbassando di nuovo lo sguardo.
Le applicò una sorta di poltiglia verde sulla ferita che a Maria ricordò tanto i preparati di Hashim e risistemò la fasciatura.
-Grazie.- sussurrò Maria quando Adila ebbe finito.
Lei le rispose con un cenno quasi impercettibile del capo e si allontanò insieme all’Assassino.
 
Le ore del giorno erano per lei interminabili. Non sopportava di stare rinchiusa in una cella mentre giornate importanti le sfuggivano dalle mani. L’unica cosa a cui riusciva a pensare, anzi, in verità, l’unica persona a cui riusciva a pensare era Altair. Voleva disperatamente parlare con lui e la tormentava il silenzio con cui l’aveva lasciata l’ultima volta. Forse davvero stava impazzendo. Pensò che, prima o poi, quella condizione di prigionia l’avrebbe condotta alla follia più totale. Ma cosa poteva fare? Assolutamente nulla.
Era passata forse una settimana e, quella sera, Maria era seduta sulla paglia con le braccia conserte, immersa nella solita noia, quando udì il suono di due voci maschili. Ne riconobbe una. Altair. Si alzò di scatto e raggiunse l’ingresso della cella, strinse tra le dita le sbarre sporgendo la testa il più possibile e rimase in ascolto.
-Devo andare. Stanotte.- disse Altair.
-Ne sei sicuro? Il castello di Federico è ben sorvegliato.- riconobbe anche la voce del secondo uomo. Era l’Assassino che le portava il cibo, il Rafiq.
-E’ per questo che devo agire stanotte, prima che inizino a sospettare e rinforzino la guardia, allora sarebbe impossibile.-
-Allora fa come ritieni giusto. Che la fortuna ti assista fratello.-
Calò il silenzio. Maria rimase lì ancora un po’, in attesa. Niente. Tornò a sedersi e aggrottò le sopracciglia interrogandosi sull’identità del bersaglio di Altair. Passò in rassegna i nomi dei Templari di alto rango. Federico…Federico…no! D’un tratto capì, si trattava di Federico il Rosso, non l’aveva mai conosciuto di persona, ma sapeva che addestrava l’esercito crociato e che bè…la sua fortezza era inespugnabile. Una voragine le si aprì nello stomaco e si sentì più impotente che mai, mentre, tutt’a un tratto, si rendeva conto che non le importava nulla dell’Ordine, né di Federico, né dell’esercito crociato e nemmeno di Roberto, ma avrebbe dato qualsiasi cosa perché un Assassino in particolare tornasse indietro sano e salvo.
Non chiuse occhio tutta la notte e quando, alle prime luci dell’alba, sentì un rumore nella stanza accanto corse subito alle sbarre.
-Altair!- esclamò felice come una bambina quando lo vide passare davanti alla cella.
Lui si voltò a guardarla, i suoi occhi neri erano freddi e aveva il labbro inferiore spaccato e insanguinato.
La mano di lei si mosse da sola, senza intenzione, a sfiorare il suo viso.  -Sei ferito.- sussurrò.
Lui annuì mentre una smorfia di dolore si gli si dipingeva sul volto.
Maria lo guardò con più attenzione, aveva la tunica completamente macchiata di sangue non l’aveva mai visto così affaticato dopo un combattimento. Fu allora che notò la sua mano premuta all’altezza delle costole a fermare il sangue.
-Oh no!- gridò un attimo prima che l’Assassino cadesse a terra in uno stato di semicoscienza.
Il grido di Maria risuonò nell’aria facendo accorrere il Rafiq e Adila.
-Che cosa è successo!?- chiese l’Assassino guardandola in cagnesco.
Maria non rispose, non riusciva a parlare.
-E’ ferito.- disse Adila –Portiamolo di là.-
L’Assassino annuì, poi lui e Adila sollevarono Altair quasi di peso e lo portarono in una delle stanze che davano sul corridoio.
 
I giorni passavano e Maria credeva di impazzire. Era Adila adesso a portarle il cibo due volte al giorno, ma, al pari dell’Assassino, la ignorava e cercava di rivolgerle la parola il meno possibile. Avrebbe voluto qualche notizia sulle condizioni di Altair e la donna non era affatto propensa ad informarla. Un pomeriggio, vedendo passare il Rafiq, si precipitò alle sbarre.
-Voglio vedere Altair.- disse.
Lui si voltò a guardarla sorpreso –E perché credi che te lo lascerei fare?- chiese con una risata.
-Non lo credo, te lo sto chiedendo.- rispose lei con occhi imploranti. Forse mai nella sua vita si era rivolta a qualcuno con quel tono di sottomissione, ma le sembrava di non aver altra scelta.
L’Assassino la scrutò per un attimo interdetto –Altair sta bene, si riprenderà presto. Ma non puoi vederlo.- disse alla fine.
 
Altair riaprì piano gli occhi. Il dolore alla parte destra del torace gli mozzava il respiro. Gettò uno sguardo alla fasciatura e provò a ripensare a quello che era successo. Gli tornarono alla mente le immagini sfocate di una serie infinita di duelli e quella del viso di Federico mentre la vita abbandonava i suoi occhi, ma un altro ricordo era vivido nella sua mente, le dita di Maria che gli sfioravano il viso. Era l’ultima cosa che poteva ricordare, mentre dei giorni successivi gli rimanevano solo suoni confusi e oscurità. Si alzò in piedi con fatica, indossò la tunica e prese le armi. Era rimasto immobile già troppo a lungo.
 



NOTE
Mi rendo conto della brevità di questo capitolo, quindi chiedo veniaXD e spero non risulti troppo frammentario, più che altro fa da introduzione al prossimo.
Ovviamente sono beneaccetti consigli, critiche, ecc.
Ciao.

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Capitolo 9
*** 9-A tutti i costi ***


A tutti i costi

-Altair, bentornato tra noi!- esclamò il Rafiq da dietro il bancone quando Altair comparve nella stanza d’ingresso. –Spero che tu ti sia ripreso.-
-Alessandro.- lo salutò lui con un cenno del capo appoggiando la schiena al muro. –Sto bene, grazie.-
Alessandro gettò uno sguardo indagatore al volto teso del Maestro che nascondeva il dolore dietro la solita maschera di impassibilità –Ne sei sicuro?- chiese assottigliando gli occhi.
 Altair si limitò a lanciargli un’occhiataccia e ignorò la domanda. -Cosa è cambiato in questo tempo?- disse invece.
-Sei rimasto incosciente più o meno per una settimana, anche se Adila pensava che ci sarebbe voluto molto più tempo perché ti rimettessi in piedi. Era una brutta ferita.-
-E…?-
-La notizia della morte di Federico il Rosso si è sparsa. Si vocifera della comparsa a Cipro dell’angelo della morte, dell’assassino di Di Sable, ma non sanno dove tu ti nasconda, né che faccia abbia.- 
-Quindi questo è ancora un posto sicuro.-
-Lo è…per ora.-
-Non devi dirmi altro?-
-E’ tutto quello che so.-
-Bene.- concluse avviandosi alla porta d’ingresso. Ormai era perfettamente in grado di farsi da sé un’idea della situazione.
-Ah, dimenticavo…-esclamò Alessandro un attimo prima che uscisse.
-Cosa?-
–La prigioniera chiede di te.-
L’Assassino guardò il Rafiq provando ad eliminare dai propri occhi qualunque traccia della sorpresa che quella notizia gli aveva causato, notizia che, suo malgrado, gli faceva quantomeno piacere e si limitò ad annuire. –Grazie per avermi informato.- disse soltanto.
 
 
Era ormai notte inoltrata e Maria era seduta al solito posto nella sua cella, rivoltando i suoi pensieri tra la speranza e la rassegnazione, quando vide entrare Altair. Si alzò in piedi di scatto e, senza pensare minimamente a quello che stava per fare, corse ad abbracciarlo.
Solo dopo essersi allontanata di un passo e aver letto la perplessità nello sguardo di lui si rese conto della palese assurdità del suo gesto. Cosa diavolo le era preso?
-Mi…mi dispiace…io…insomma ho pensato che potessi morire e…- provò a giustificarsi.
-Strano, credevo che tu mi volessi morto.- commentò lui con un tono tra il serio e l’ironico.
Maria sentì il sangue risalirle alle guance e si voltò per tornare a sedersi. Cosa le era passato per la testa? Doveva essere sul serio folle allora. Non gli aveva ancora dato le spalle che Altair la trattenne per una mano. Lo guardò di nuovo. I suoi occhi neri erano intensi  e sinceri.
-Grazie per esserti preoccupata per me Maria.- disse in un sussurro.
Lei non rispose, né si mosse, si sentiva come incatenata al suo sguardo.
-Sai, quando ero al castello di Federico, ho pensato che, se fossi sopravvissuto, c’era una cosa che dovevo fare a tutti i costi.- continuò Altair prima di chinarsi piano verso di lei e posare le labbra sulle sue. Le loro bocche si dischiusero e Maria rispose al bacio intrecciando le mani nei suoi capelli neri e facendogli ricadere il cappuccio all’indietro.
Quando le loro labbra si allontanarono rimase come imbambolata continuando ad assaporare segretamente quel bacio, mentre lui le teneva ancora il viso tra le mani.
-Sei pentita?- chiese ad un tratto Altair per interrompere il suo mutismo.
-Forse dovrei esserlo…ma no, non sono pentita.- disse più a se stessa che a lui. Non riusciva neppure a sentirsi in colpa, doveva essere davvero una persona orribile, pensò. Aveva appena baciato l’assassino di Roberto, aveva appena baciato un Assassino, già questo bastava eppure non le dispiaceva. In un solo bacio si erano condensate molte più emozioni di quante ne avesse mai provate e, in quel momento, ebbe la certezza assoluta di non aver mai amato Roberto, forse di non essersi mai innamorata in tutta la vita…fino ad ora. Rinnegò all’istante l’ultima considerazione. Lei era una Templare. Ma, dopo tutto, cosa sarebbe successo se avesse dimenticato questo dettaglio solo per un po’? In fondo, allo stato attuale delle cose, nessun Templare avrebbe sofferto per la sua assenza.  
Era ancora immersa in questi pensieri quando Altair aprì la porta della cella.
-Sei libera.- disse come se nulla fosse.
Maria lo guardò sorpresa. Si era appoggiato alla grata di ferro con un’espressione seria sul volto. Era più bello del solito, non c’era dubbio. Si chiese se fosse impazzita. L’aveva appena inaspettatamente liberata e l’unica cosa che le interessava era quanto fosse bello  in quel particolare momento e, soprattutto, quanto volesse che quel bacio non si fosse interrotto.
-Sono libera…- sussurrò tra sé e sè chiedendosi al contempo perché quella prospettiva non la entusiasmasse.
-Sei libera di andartene…oppure…puoi restare con me.-
Maria sentì lo sguardo di lui cercare una risposta nel suo viso inespressivo per la sorpresa.
-Puoi anche rimanere in questa cella se preferisci.- aggiunse Altair con un mezzo sorriso mentre lei era ancora immersa nel silenzio-In ogni caso, sarà una tua libera scelta.-
Un turbinio di emozioni si agitava dentro di lei ed una valanga di pensieri discordanti le invase la mente senza che riuscisse a mettere ordine.
-Pensaci.- concluse Altair gettandole un ultimo sguardo prima di sparire nel corridoio buio.
Si sentiva come paralizzata. Mentre la ragione le ricordava che aveva fatto un giuramento e doveva rispettarlo, che aveva l’occasione di tornare da Bouchart e di rivelargli dove si trovasse l’Assassino, guadagnandosi di diritto un nuovo posto tra i Templari, si rendeva conto, allo stesso tempo, che non le importava nulla del giuramento, né dell’Ordine. Forse era pazza, ma l’unica cosa che voleva era assecondare fino in fondo la sua pazzia.
Senza sapere quanto tempo avesse trascorso in quello stato si avvicinò all’uscio. Gettò una rapida occhiata alla porta che dava sulla strada, le avrebbe dato la libertà se solo avesse voluto. Distolse lo sguardo e, come trascinata da una forza incontrollabile, s’incamminò nella direzione opposta. Sul corridoio davano quattro porte di legno, tutte chiuse, tranne una semiaperta. Il bagliore fioco di una candela illuminava una parte del corridoio attraverso quell’apertura. Si avvicinò con cautela ed entrò nella stanza. Altair era di spalle di fronte ad un tavolo. Le sembrò che fosse intento a slacciare la polsiera. Si chiese se si fosse accorto della sua presenza, gli si avvicinò e fece scivolare le mani sulla sua schiena appoggiandogli il viso tra il collo e la spalla.
-Sapevo che saresti venuta.- disse lui.
-Io invece ancora non posso crederci.-
Altair si voltò e la baciò. Il bacio si fece pian piano caldo e passionale mentre lui la stringeva a sé. Avevano deciso entrambi di dimenticare, almeno per quella notte, l’eterna lotta tra Assassini e Templari.
 



NOTE
Questo capitolo l’avevo già scribacchiato prima di iniziare a scrivere la storia vera e propria, si può dire che sia stata la prima idea che mi è venuta. Penso sia uno dei più importanti, almeno credoXD Spero vi piaccia e di non aver deluso le aspettative.
Ciao a tutti:)

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Capitolo 10
*** 10-Bouchart ***


Bouchart

Maria stese il braccio a toccare le lenzuola fredde accanto a sé. Aprì pian piano gli occhi e si guardò attorno ancora assonnata e frastornata. Per un attimo le passò per la testa l’idea di aver sognato tutto. Cercò con lo sguardo Altair e subito riconobbe la sua figura color bianco candido in piedi al centro della stanza. Lo osservò mentre sistemava la spada nella fondina già vestito di tutto punto e si tirò su coprendosi con il lenzuolo. Il fruscio prodotto da quel movimento richiamò l’attenzione dell’Assassino che raggiunse Maria e si mise a sedere accanto a lei.
- Sabâhu-l-khàiri.-disse sfiorandole il viso e sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
-Dove stai andando?- chiese lei con la voce ancora impastata per il sonno.
-Ho qualcosa da fare.- rispose vago.
-O forse qualcuno da uccidere?-
Abbassò lo sguardo senza rispondere.
Maria sorrise  –Ancora non ti fidi di me, vero?-
Altair fissò gli occhi nei suoi serio. Avrebbe voluto fidarsi di lei incondizionatamente, avrebbe dato qualsiasi cosa perché fosse possibile, ma il destino aveva deciso in modo diverso e molte vite dipendevano dalle sue decisioni. –Mi sono fidato di te ieri.- riuscì solo a dire.
Lei aggrottò la fronte –Mi avresti davvero lasciata andare? E se fossi andata a raccontare tutto ai Templari?-
-Ho sperato che non lo facessi.-
Maria contemplò il suo viso, i suoi occhi neri, bui come la notte e la cicatrice vicino al labbro inferiore, poi si avvicinò sfiorandogli le labbra con le sue -Non avrei mai potuto farlo.-  sussurrò un attimo prima che lui la baciasse. Le sue mani le scivolarono sulla schiena nuda provocandole un brivido che non riuscì a reprimere. Chiuse gli occhi e gli strinse le braccia intorno al collo.
Si staccò da lui all’improvviso e sollevò un sopracciglio con uno sguardo malizioso. –Vuoi sempre andartene?-
L’Assassino rise –Per niente.- ammise dandole un altro bacio leggero sulle labbra –Ma devo.-
-Allora vengo con te.-
-No, puoi scordartelo.- rispose secco alzandosi in piedi.
Lei gli lanciò un’occhiataccia e incrociò le braccia con aria scocciata –E perché? Potrei aiutarti...-
- Mi aiuteresti molto di più restando qui, senza cacciarti nei guai, se ti è possibile.-
-So badare a me stessa.-
-Ma certo.- commentò Altair sarcastico tra sé e sé, poi sospirò e sfilò un pugnale dalla cintura –Tienilo, per sicurezza.- disse porgendoglielo.
Maria esaminò l’elsa intarsiata e fece scivolare le dita sul disegno dell’aquila con le ali spiegate che compariva su entrambi i lati. –E’ bellissimo.- sussurrò.
L’Assassino fece spallucce con disinteresse. –E’ solo un pugnale.- concluse liquidando l’argomento, poi le sfiorò un ultimo bacio sulle labbra –Ci vediamo dopo.-

Appena Altair fu uscito, Maria si alzò sbadigliando e osservò la stanza con più attenzione. Posò lo sguardo sul tavolo vuoto sotto ad una finestra rigorosamente chiusa e scorse, sopra una vecchia cassapanca, in un angolo, un recipiente di creta pieno d’acqua. Non sarebbe stato proprio un bagno caldo, ma meglio di niente. Dopo essersi vestita e aver legato i capelli, si affacciò dalla porta e diede un rapido sguardo al corridoio. Era deserto e tutte le porte erano chiuse. Lo percorse, oltrepassò la sua cella vuota ed entrò nella stanza dove si trovava il Rafiq, seduto, come al solito, dietro al bancone. Ostentando la più totale indifferenza nei suoi confronti, si mise a sedere sul tappeto colorato incrociando le gambe con la schiena appoggiata ai cuscini. Sentì lo sguardo dell’uomo posarsi su di lei. Immaginava quanto la odiasse in quel momento e si chiese cosa gli avesse raccontato Altair per giustificare il fatto che non fosse più chiusa in una cella. Probabilmente aveva ritenuto di non dover dare spiegazioni, pensò. Avrebbe volentieri rivolto all’Assassino un sorrisetto compiaciuto, ma si trattenne e sollevò lo sguardo. La rabbia era evidente sul volto dell’uomo, dopotutto come dargli torto? Lei era una Templare. Questo pensiero l’allarmò in modo inconsueto. Era ancora una Templare? Non ne aveva la certezza. Si chiese come fosse possibile. Cosa diavolo le veniva in mente? Scosse la testa per scacciare queste considerazioni e si avvicinò al bancone dietro cui si trovava il Rafiq. Non aveva certo dimenticato quello che era successo nella cella, ma valutò velocemente che non le sarebbe convenuto averlo come avversario e si sforzò di fare il primo passo.
-Stabiliamo una tregua?- chiese con tutta la gentilezza che riuscì a racimolare.
L’uomo la squadrò dall’alto in basso con occhi fiammeggianti. –Non stabilisco tregue con i Templari. Anche se Altair crede che tu sia dalla nostra parte, certo io non mi lascio ingannare.-
Maria gli ricambiò uno sguardo colmo di altrettanto sdegno -Come ti pare.- rispose fredda. Aveva già profuso fin troppo impegno in quell’impresa. Voltò le spalle all’uomo e tornò a sedersi. Passò qualche minuto a giocherellare con la stoffa dei cuscini. Non aveva nessuna intenzione di rimanere lì tutto il giorno in attesa che Altair tornasse, dopotutto, aveva anche lei qualcosa da fare. Trovare Bouchart e capire quali fossero i suoi scopi reali. Certo il Rafiq non avrebbe lasciato che aprisse la porta  e se ne andasse come se nulla fosse, quindi, le rimaneva solo un’altra possibilità. Si alzò in piedi e si avviò di nuovo alla stanza di Altair, cercando di mostrare un’aria scocciata. Entrò e si diresse direttamente alla finestra. Salì sul tavolo e cominciò ad armeggiare con la serratura, cercando di fare meno rumore possibile. Non fu poi così complicato come pensava. Si tirò su il cappuccio del mantello e attese un attimo inspirando l’aria fresca del mattino, prima di inoltrarsi nelle stradine di Limassol. Non le fu difficile rintracciare una guarnigione di soldati. Li seguì da vicino mimetizzandosi tra la folla e ascoltando i loro discorsi. Per un po’ i cinque uomini chiacchierarono volgarmente di taverne e donne dai nomi strani, cortigiane probabilmente. Maria sbuffò tra sé più volte chiedendosi se sarebbe mai giunta a ricavarne qualcosa di interessante.
-Bouchart ci aspetta.- disse ad un tratto uno di loro con un tono che le sembrò incredibilmente strano. Era…ironico. Quello che doveva essere il capitano gli rifilò un’occhiataccia, mentre altri due soldati rispondevano con un sogghigno.
Dopo un po’ la guarnigione si ritrasse in un vicolo isolato e i soldati si fermarono in semicerchio davanti alla porta di legno di una casa anonima. Maria si nascose appoggiando la spalla al muro che faceva ad angolo tra il vicolo e la strada principale e continuò ad osservarli. La porta si aprì cigolando e ne uscì un uomo avvolto in un mantello. Sgranò gli occhi al vederlo. Era Bouchart. O meglio, era vestito come lui e aveva la sua stessa corporatura, ma non riusciva a vederne il viso a causa del cappuccio che portava calato sul volto. Qualcosa non le quadrava. Si arrampicò sul tetto della casa più velocemente che poteva e continuò a seguire i soldati dall’alto. Quella strana processione proseguì in silenzio tombale fino ad un chiostro affollato, il luogo del mercato. Gettò uno sguardo intorno per assicurarsi che non ci fossero arcieri e si appollaiò su un tetto vicino assottigliando gli occhi. Bouchart non si sarebbe mai esposto tanto, non avrebbe mai rischiato di essere ucciso così e per cosa poi? Un pensiero terribile la raggelò. Era una trappola. Ma certo, cosa meglio di un’esca come Bouchart per prendere l’Assassino? Fu allora che sollevò lo sguardo e scorse, sul tetto di fronte al suo, Altair che mirava il suo bersaglio con la lama celata che scintillava alla luce del sole. Ora capiva come mai non aveva incontrato arcieri lungo il percorso. Dovevano essere già tutti morti, nascosti da qualche parte.
-No!- gridò con quanto fiato aveva in corpo senza riuscire a trattenersi. L’attenzione di tutti si catalizzò su di lei. Dannazione. Stupida, stupida, stupida. Nonostante la distanza percepì lo sguardo di rimprovero di Altair un attimo prima che sparisse dalla parte opposta del tetto. Si voltò anche lei e si lasciò scivolare sulle tegole. Poteva ancora scappare…forse. Quando appoggiò i piedi al suolo si ritrovò circondata da un numero imprecisato di soldati. Estrasse alla svelta il pugnale mentre in quattro si scagliavano su di lei con le spade sguainate. Non aveva possibilità e il pensiero di star combattendo con quelli che un tempo avrebbe definito suoi alleati le causò una strana sensazione. Parò un paio di fendenti, concentrandosi per rispondere ai colpi che provenivano da tutti i lati. Si abbassò per schivarne uno, poi si alzò in piedi mentre un altro soldato si slanciava in avanti con la spada tesa, cambiò posizione all’ultimo momento e ne approfittò per recidergli il braccio di netto. L’uomo cadde a terra con un grido di dolore mentre una pozza di sangue gli si formava intorno. Si girò alla svelta mirando alla gola di un altro, ma non fece in tempo ad assestare il colpo che qualcuno, da dietro, la fece piombare a terra con uno sgambetto. In men che non si dica si ritrovò le spade puntate alla gola. Sollevò le braccia in segno di resa mentre una guardia le strappava il pugnale dalle mani.
-Voglio vederlo in faccia!- sentì esclamare l’uomo che si era finto Bouchart. Un soldato la tirò su per un braccio, in malo modo e le calò il cappuccio.
L’uomo sgranò gli occhi  -Ma tu sei…-
-Una donna.- sibilò lei.
-Tu sei…Maria Thorpe, non è così? La donna che combatteva insieme a Roberto? E cosa ci fa una Templare con gli Assassini?-
Maria non rispose lanciandogli uno sguardo infuocato.
–Non vuoi parlare!? Bouchart sicuramente saprà cosa fare con una traditrice come te!- disse l’uomo prima di colpirla con uno schiaffo in pieno viso. -Chiudetela in cella e domani la porteremo alla fortezza di Kyrenia. Lì sapranno cosa fare con lei.- aggiunse rivolto ai soldati.
 





NOTE

Sabâhu-l-khàiri: dovrebbe significare buongiorno, o almeno spero, l’ho trovato su internetXD

Ciao a tutti,
sono dispiaciutissima per il ritardo, chiedo scusa. So che avevo detto che avrei aggiornato sabato, ma è stata una settimana un po’ incasinata, non ho avuto neanche un minuto per stare da sola con il computer a scrivere. Il capitolo l’ho appena finito, quindi non ho potuto ricontrollarlo come faccio in genere, perciò mi scuso anche per qualsiasi probabile errore o ripetizione, o mancanza di senso.

 

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Capitolo 11
*** 11-La fortezza ***


La fortezza

Maria crollò sulle ginocchia battendo i palmi delle mani sulla pietra dura. Il dolore che le derivò dal contatto tra la pelle screpolata e spaccata delle mani e il pavimento di quella nuova cella non lo percepì più forte della sensazione che le sarebbe venuta da una carezza. Ogni parte del suo corpo le gridava un male diverso, tanto da non lasciarle la possibilità di concentrarsi su inezie come quelle. Cadde di lato raggomitolandosi su se stessa e chiudendo gli occhi. Sentiva la parte destra del viso gonfia e pulsante, perfino tenere le palpebre sollevate le risultava difficile. Dopo l’ennesimo calcio nello stomaco ogni respiro era diventato un’agonia. Il ricordo della soleggiata mattina a Limassol, la mattina in cui era stata catturata, le sembrava lontano e sbiadito, come in un vecchio sogno ricorrente. Non aveva idea di quanto tempo fosse passato da allora. Quei giorni che avevano cambiato tutto il suo mondo, avrebbe detto di averli solo immaginati. Le sue labbra si piegarono in un mezzo sorriso al ricordo del tocco delicato della mano di Altair sulla sua schiena. Riusciva solo a pensare che avrebbe voluto dirgli addio, nulla di più, ma, nonostante il suo desiderio, sperava che lui non la cercasse, che non raggiungesse quella fortezza dimenticata da Dio della cui esistenza lei stessa era stata sempre all’oscuro, e, per di più, brulicante di nemici. Pregò che stesse bene. Sentiva il sapore metallico del sangue sulla lingua mentre rivedeva scorrere le immagini sfocate del tempo cha aveva trascorso in compagnia dei suoi “ alleati”. I soldati ed il generale che le chiedevano dove fosse la dimora, dove si trovasse il Maestro degli Assassini, che le chiedevano dove fosse la Mela e lei che non rispondeva. Anche se l’avesse saputo, non avrebbe mai tradito Altair. Forse era diventata debole, ma, per la prima volta, non poteva fare a meno di sentirsi più una donna che un semplice soldato, in un modo che aveva dimenticato da tempo. Una cosa comunque era certa, sarebbe morta volentieri, sapendo che lui stava bene e non l’avrebbe mai messo in pericolo lei stessa. Ogni suo rifiuto di aprire bocca si era tramutato velocemente in un pugno o un calcio o un taglio in più. Quella solitudine le sembrò, d’un tratto, un caldo rifugio e scivolò piano, senza accorgersene, nell’incoscienza.
 
 
-Abbi pietà, Assassino.-
Altair guardò il volto terrorizzato dell’uomo che gli aveva appena rivelato l’esistenza e la posizione della fortezza di Buffavento mentre lo implorava di rispiarmargli la vita.
-Mi dispiace.- sussurò freddo prima di affondare la lama. Gli occhi dell’uomo si spensero pian piano mentre la vita li abbandonava troppo presto e sul suo volto si dipingeva una triste smorfia. Bugiardo. Non gli dispiaceva affatto, neppure gli interessava. Di una  sola cosa gli importava da quattro giorni a quella parte. Il suo era un pensiero fisso e straziante. Non poteva fare a meno di chiedersi, ogni attimo, quale fosse la sorte di Maria….che cosa le stessero facendo.Contrasse la mascella con rabbia. L’avrebbero pagata, questo era certo. Di tanto in tanto si dava la colpa per non essere intervenuto a Limassol, ma cosa avrebbe potuto fare?  Scosse la testa scacciando il desiderio di precipitarsi alla fortezza e uccidere chiunque trovasse sulla sua strada. No, doveva riflettere e agire con attenzione, altrimenti Maria sarebbe morta e allora sarebbe stata davvero colpa sua.
Tornò alla dimora spostandosi agile attraverso i tetti. Era arrivato solo da due giorni a Kyrenia e gli sembrava passata un’eternità, gli sembrava che il tempo gli sfuggisse di mano, perché ogni minuto poteva essere l’ultimo per lei e lo sapeva bene. Scivolò silenzioso nel cortile coperto attraverso l’apertura sul tetto. Fece appello a tutta la tolleranza di cui poteva disporre, che in verità non era mai stata molta, e si preparò ad ignorare di nuovo l’atteggiamento irritante di Alessandro. Non perdeva occasione per dimostrargli quanto disapprovasse la sua decisione di dare fiducia ad una Templare da quando avevano abbandonato Limassol due giorni prima, dopo l’attacco alla dimora. Ritornò con la mente ad una mattina soleggiata, ormai sbiadita e lontana nei suoi ricordi, e il grido di Maria gli risuonò di nuovo nelle orecchie, l’aveva vista per l’ultima volta, mentre cercava di salvargli la vita. All’inizio sperava che fosse riuscita a scappare, poi l’aveva cercata a Limassol, prima di rendersi conto che si trovava nel posto sbagliato, prima di sapere che la guarnigione aveva lasciato da tempo la città portando con sé una traditrice. L’agitazione, la preoccupazione e il senso di impotenza che l’avevano colpito in quell’istante, si erano mantenuti pressocchè immutati nel tempo senza mai accennare ad abbandonarlo.
Entrò nella stanza in rigoroso silenzio concedendo un rapido cenno del capo in segno di saluto al Rafiq che lo scrutava da dietro il bancone. Meno gli avrebbero rivolto la parola, più a lungo sarebbe riuscito a mantenere la calma.
-Che piani hai Altair?- non era ancora scomparso nel corridoio che la voce di Alessandro lo raggiunse implacabile.
Si voltò a guardarlo. L’Assassino era in piedi in un angolo con le braccia conserte e l’aria torva e lo guardava di sottecchi da sotto il cappuccio.
-Forse dovresti metterci al corrente dei tuoi progetti per contrastare i Templari, non credi?- continuò e Altair pensò che il suo tono non gli piaceva affatto.
Strinse i pugni e mentalmente tirò un respiro profondo. -Stasera mi introdurrò nella fortezza di Buffavento.- rispose con tutta la calma che la situazione gli permetteva.
-E questo a cosa ti porterà?-
Lo guardò in cagnesco. –Lì c’è una donna che i Templari chiamano “l’oracolo oscuro”, voglio assicurarmi che non sia grazie a lei che anticipano le nostre mosse.- sibilò.
Alessandro proruppe in un risolino isterico –E’ grazie a quella donna Templare, se sono riusciti a trovare il nostro nascondiglio a Limassol, ed è merito suo se ora la città è nelle mani dei nemici e se Adila è morta, non ha nulla a che fare con gli oracoli.-
La lama di Altair scattò a vuoto mentre la rabbia incupiva di più i suoi occhi neri.  –Io non ti devo spiegazioni.- disse minaccioso con un tono che non ammetteva repliche. Non amava puntualizzare i ruoli, ma, in quella situazione, le parole gli erano sfuggite dalle labbra.
-Fa’ ciò che credi sia giusto Altair, ci fidiamo del tuo giudizio, hai già dato prova più volte di sapere ciò che fai.- Marko, il Rafiq, si era appena frapposto tra di loro con le braccia allargate e spostava gli occhi dall’uno all’altro con aria preoccupata.
Altair ritirò la lama e voltò le spalle a entrambi senza dire una parola.
 
Una luna piena illuminava il cielo blu d’Oriente carico di stelle e donava un colore argentato alle alte mura della fortezza di Buffavento. Era quella che si sarebbe definita una magnifica notte, ma Altair pensò che c’era fin troppa luce per i suoi gusti. Aveva studiato gli orari delle sentinelle e si arrampicò agile in corrispondenza della parte del camminamento che gli risultava essere più sguarnita. Arrivò in cima in poco tempo, per nulla affaticato  e si tenne al di sotto delle merlature. Era ormai vicino il momento in cui avrebbe saputo, nel bene o nel male, cosa le era successo. L’immagine di Maria coperta di sangue e in fin di vita fece capolino tra i suoi pensieri. Rabbrividì scacciando quell’idea e si sforzò di mantenere la concentrazione. Come previsto, finita la ronda, la guardia voltò le spalle alle merlature. La mano di Altair afferrò rapida la cintura dell’uomo e si mosse all’indietro, spingendolo a cadere nel vuoto sotto il suo stesso peso. Fu tale la sorpresa, subito seguita dal terrore, che non si udirono né grida né lamenti, solo un tonfo sordo quando il corpo raggiunse il suolo. L’Assassino gettò un rapido sguardo a destra e a sinistra. Via libera. Si spinse all’interno delle mura agile come un gatto e cominciò a percorrere cautamente la strada verso l’imponente edificio centrale. Di tanto in tanto era costretto ad appiattirsi con la lama celata sguainata contro le piccole casupole di legno che costeggiavano i camminamenti, per sfuggire alla vista delle pattuglie. Se le informazioni che aveva ottenuto erano corrette, quella strada l’avrebbe portato direttamente all’entrata secondaria della grande torre circolare che troneggiava al centro dello spiazzo. Percorse guardingo l’ultima parte del camminamento che si allungava dalle mura sino all’edificio principale a formare una sorta di ponte sospeso e aprì la piccola porta in legno che dava accesso ad una stanza scarna. Era evidentemente il passaggio utilizzato dalle sentinelle. Uscì dalla stanza, dopo aver sbirciato all’esterno e si ritrovò sul grande scalone. Avrebbe dovuto raggiungere le segrete, questo era certo, ma ora sarebbe stato decisamente più difficile passare inosservato. Sollevò lo sguardo al soffitto. Perfetto. Una lunga fila di travi in legno accompagnava dall’alto il percorso delle scale. Aveva quasi raggiunto il pianterreno attraverso quella strada sospesa quando udì le voci di due uomini provenire ovattate da una delle stanze attraverso la porta semiaperta. Scese con cautela senza fare alcun rumore e rimase in ascolto.
-Si ostina a non collaborare!?-  chiedeva uno dei due.
-Non sappiamo che altro fare, morirà piuttosto quella sgualdrina!- rispose l’altro.
Altair strinse i denti con rabbia, si trattava solo di aspettare, prima o poi avrebbero pagato ogni singola parola.
-Dov’è ora? Forse con le buone maniere parlerà! Altrimenti che muoia pure se si ostina a non rendersi utile, non sappiamo che farcene di una traditrice.-
-E’ nelle prigioni, principe Shalim.-
Altair smise di ascoltare, le voci dei due uomini gli arrivavano ormai come suoni indistinti. Sapeva che se avesse deciso di salvare Maria, non avrebbe potuto raggiungere l’oracolo, eppure la scelta gli appariva così ovvia che non poteva fare a meno di chiedersi perché stesse ancora lì immobile a pensare.
Non gli fu difficile raggiungere le segrete. L’aria fredda e umida di quel luogo era straziata da grida acute e angoscianti che sembravano provenire dalla zona opposta a quella delle prigioni e che, per un attimo, lo fecero sussultare. Due guardie presiedevano il lungo corridoio sul quale affacciavano le celle. Altair si parò loro davanti con disinvoltura. Affondò la lama nel collo di uno dei due uomini e il sangue caldo gli inzuppò la manica della tunica. In una frazione di secondo, mentre l’altro soldato estraeva la spada, si slanciò in avanti e finì, in un lampo, anche lui. Senza aspettare neppure un attimo, estrasse il mazzo di chiavi dalla sua cintura e si precipitò a passare in rassegna tutte le celle chiuse, finchè raggiunse quella di Maria. La osservò per un attimo, giaceva sul pavimento raggomitolata in una posizione innaturale, incosciente e visibilmente malridotta. Pregò che non fosse morta prima di far girare le chiavi nella toppa. Si inginocchiò accanto a lei e la sollevò piano facendole passare un braccio dietro alle spalle.
-Maryam, apri gli occhi, guardami.- disse con la voce tremante.
Maria sollevò pian piano le palpebre, richiamata alla coscienza da quella voce che aveva tanto sperato di risentire. I suoi occhi stanchi non le mostravano che immagini sfocate.
-Altair?- chiese in un sussurro quasi impercettibile mentre la sua bocca si riempiva di sangue.
-C-cosa ti hanno…non ha importanza, dobbiamo andare via da qui. Ce la fai ad alzarti?- continuò l’Assassino.
La donna lo guardò interdetta, attraverso la foschia che le annebbiava la vista, le sue parole la raggiungevano a tratti. Forse la sua mente le giocava quel brutto scherzo, pensò, forse era la fine e il suo desiderio si era trasformato in una vera e propria allucinazione.  -Io…io volevo…solo…solo dirti addio…-  sussurrò sfruttando l’ultimo briciolo di forze prima di ricadere in quello strano sonno.
 





NOTE

Ciao a tutti! Questa volta diciamo che non sono né in anticipo (ormai ci ho rinunciato), né in ritardassimo come la volta scorsa, rientro giusto nei tempi, più o menoXD
Vi confesso che l’idea iniziale della storia prevedeva che Maria venisse salvata prima di arrivare alla fortezza e che arrivasse a Kyrenia insieme ad Altair, solo che non sono riuscita a resistere, la dovevo proprio scrivere questa scena, a mia discolpa vi dico che le mie mani e la tastiera hanno fatto tutto da sole cospirando contro di meXD
Come al solito mi scuso per qualsiasi possibile errore o ripetizione causati dalla rilettura veloce e spero che la parte in cui Altair entra nella fortezza non sia venuta troppo noiosa, su quella ho avuto qualche difficoltà, non sapevo come renderla interessante, ma non volevo tralasciarla del tutto.
Maryam sarebbe Maria in arabo, è da un po’ che ho scoperto questa versione e mi piace molto, mi sembrava carino che, in questo momento della storia, Altair “personalizzasse” il nome di Maria.

Ok, detto questo, vorrei ringraziare tutti voi che leggete, seguite, preferite e ricordate la mia storia e voi che la recensite (grazie mille, vi adoro:)) e augurarvi buon Natale! Nel caso in cui io non riesca ad aggiornare prima, vi auguro anche un meraviglioso 2014, pieno di tutto ciò che desiderate!
P.S
Mi scuso se le note sono venute più lunghe del capitolo:D
  

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Capitolo 12
*** 12-Lacrime ***


Lacrime

Stava quasi per arrendersi, si era quasi rassegnata a quello che aveva creduto fosse un destino inevitabile. Non era da lei lasciarsi andare così e pensò che, forse, era solo bloccata perché aveva troppa paura di affrontare le conseguenze delle sue recenti scelte. Almeno con se stessa doveva ammetterlo. Non ricordava di aver mai avuto paura, non così. Non si era mai tirata indietro quando si trattava di rischiare la vita in combattimento, o di mostrare la sua dedizione alla causa, o di liberarsi dalla costrizione di una vita che non aveva scelto, non aveva avuto paura allora e ne aveva adesso, perché, per la prima volta, si trovava a dover difendere la sua libertà non da qualcun altro ma da se stessa. Si era sentita sollevare da terra e quello spostamento le aveva causato dolori lancinanti più o meno dappertutto. Aveva rischiato di ricadere al suolo, poi si era appoggiata ad Altair e aveva mosso qualche passo, o almeno credeva che fosse Altair, non ci avrebbe giurato. I suoi occhi non le mostravano altro che un’immensa oscurità. D’un tratto il suo sostegno l’aveva abbandonata e, a tentoni, aveva appoggiato la schiena al muro lottando contro la sua debolezza per mantenersi in equilibrio. Aveva sentito le grida delle guardie, il rumore di spade che cozzavano l’una contro l’altra, l’odore forte e nauseante del sangue, poi la voce di Altair spezzare il silenzio per lanciare quella che le sembrò essere un’imprecazione nella sua lingua. L’ultimo suo ricordo era quello di una luce abbagliante che percepì ancora più fastidiosa del buio che l’aveva avvolta fino a qualche istante prima. Sentì quel calore invaderle la mente con una forte pressione, svuotarla dei pensieri, poi perse del tutto i sensi.
 
Maria riaprì pian piano gli occhi e si guardò attorno. Non sapeva come ci fosse arrivata, ma era sdraiata su un letto, in una stanza che non aveva mai visto,quasi completamente avvolta dalle fasciature. Portò la mano a toccarsi la guancia tumefatta e dolorante, prima di tirarsi su con fatica facendo leva sui gomiti e ignorando il dolore alle costole. Si rese conto solo allora della presenza di Altair. Era seduto di fianco a lei, sulla sponda del letto, e la guardava con un’espressione preoccupata e circospetta, come si guarda un oggetto estremamente fragile.
 -Come stai?- le chiese in un soffio, quasi avesse paura che persino una parola pronunciata ad alta voce potesse mandarla in frantumi.
Maria si schiarì la voce –Sono stata meglio.-
Qualche secondo di silenzio, poi l’Assassino si calò il cappuccio con un gesto nervoso della mano, non da lui, e spostò lo sguardo lontano, come se, tutt’a un tratto, trovasse interessanti le pareti bianche della camera. Non voleva che lei vedesse riflessa nei suoi occhi la domanda che non osava rivolgerle. Che cosa ti hanno fatto?
Benchè le fosse già fin troppo chiara quella sua disperata preoccupazione, non aveva nessuna intenzione di parlargli delle ore orribili passate alla fortezza. Avrebbe voluto fargli così tante domande, sapere quanto tempo avesse passato in quello stato di incoscienza, cosa era successo a Limassol e come avesse fatto a ritrovarla, ma la voce le veniva a mancare, perché, insieme alla coscienza, era arrivata anche una lucida consapevolezza e una sola idea fissa le occupava la mente. Non poteva fare a meno di sentirsi una traditrice, perché, in quel giorno di follia a Limassol, senza pensarci due volte, lei aveva davvero tradito il suo Ordine, il suo giuramento e la sua libertà. Se ne rendeva conto pienamente solo adesso. Sentì, d’un tratto, una barriera insormontabile crescere tra loro due e pensò che davvero doveva aver perso la ragione per riacquistarla solo ora. Forse non era più una Templare, ma di certo non sarebbe neanche mai stata un’Assassina. Si portò le mani a coprire il viso e si voltò su un fianco dando le spalle ad Altair. Senza riuscire a contenersi, scoppiò in lacrime. L’Assassino la guardò per un po’ interdetto, senza sapere cosa fare. Non era mai stato bravo a consolare la disperazione di qualcun altro, non era mai stato bravo a consolare nemmeno la sua, si limitava a reprimere il dolore. Si sdraiò accanto a lei e l’abbracciò da dietro avvolgendole le braccia intorno alla vita. Voleva solo sentirla vicina, in un momento in cui gli sembrava tanto lontana.
-Calmati. Sei al sicuro adesso.- le sussurrò all’orecchio.
 Maria provò a divincolarsi senza successo,ricavandone solo altre fitte di dolore -Non voglio che tu mi veda così…nessuno dovrebbe vedermi così.- disse tra i singhiozzi.
Altair non rispose, né si mosse. Sentì il corpo esile della donna sussultare ancora per un po’ scosso dal pianto, poi lei si immobilizzò.
Passò qualche minuto prima che Maria si asciugasse le lacrime e si voltasse verso di lui. Appoggiò la fronte al suo petto e strinse tra le mani la stoffa bianca della sua tunica con rabbia.
-Non c’è niente di più sbagliato al mondo di noi due insieme.- sputò queste parole come fossero veleno, per fare male a lui e a se stessa.
Altair continuava a non parlare, avrebbe accettato qualsiasi cosa lei gli avesse detto, o forse si rendeva semplicemente conto che, per quanto dolorosa, quella era la verità.
-Ho tradito tutto quello in cui credevo e sarei anche morta…per te…per un Assassino…e neppure un Assassino qualunque, ma l’uomo che ha ucciso Roberto.- continuò.
Solo allora alzò lo sguardo al viso di lui. La sua espressione era indecifrabile e i suoi occhi più bui che mai.
La mano di Maria scivolò sul polso sinistro di Altair. Senza dargli il tempo di capire cosa stesse per fare, fece scattare la lama celata e se la portò alla gola mentre lui sgranava involontariamente gli occhi. Fu la prima volta che vi scorse qualcosa di molto vicino alla paura.
-Dovevi uccidermi. Da subito. La morte avrebbe fatto meno male di questo abbraccio.- si rese conto solo mentre le pronunciava di quanta cattiveria contenessero quelle parole. Si chiese se volesse ferire lui o se stessa. Forse entrambi, perché entrambi si erano concessi di credere in qualcosa di impossibile, in una follia che avrebbe potuto avere un solo prevedibile finale.
-Vuoi che lo faccia?- le chiese lui severo. I suoi occhi erano divenuti freddi e inespressivi, come se si stesse preparando ad uccidere una qualsiasi delle sue vittime e Maria credette davvero che si sarebbe ritrovata, da un momento all’altro, quella lama nella gola.
Non rispose e lo guardò con sfida. Che lo facesse pure, sarebbe stata la giusta conclusione di quella vicenda, pensò, ma nell’istante in cui formulava questa considerazione, Altair ritirò veloce la lama e, invece, la baciò, mettendo in quel bacio tutta la rabbia e la frustrazione che non aveva espresso a parole mentre il volto di lei si rigava, di nuovo, di lacrime.

 


NOTE
Salve a tutti! Eccomi con il primo aggiornamento del nuovo anno:) e spero che abbiate iniziato più che bene questo 2014!

Vi dico subito che non sono molto contenta del risultato finale di questo capitolo, avevo un’altra idea di come dovesse venire quando ho iniziato a scrivere. Nonostante questo, spero di non aver deluso le aspettative.
E’ molto molto breve e c’erano tante cose che avrei dovuto chiarire e ho lasciato a metà, lo ammetto, ma tutti i nodi verranno al pettine nel prossimo capitolo e, se tutto va bene, ci sarà un colpo di scena.
Non so se riuscirò ad aggiornare la prossima settimana perché ho un esame, ma ce la metterò tutta per riuscirci.

Alla prossima;)

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Capitolo 13
*** 13-Una nuova alba ***


Una nuova alba

Maria osservava l’immagine del suo viso riflessa nell’acqua. La guancia sembrava aver riacquistato un colorito normale e il dolore che aveva sopportato nei giorni precedenti era ormai un ricordo. Le era rimasto addosso solo un po’ di indolenzimento, nulla di cui preoccuparsi. Si sentiva finalmente bene. Quest’ultima considerazione la raggelò. Ora che era guarita, non aveva più scuse, doveva prendere una decisione.
Gettò uno sguardo fuori dalla finestra al cielo scuro. La notte era calata in un lampo e non se ne era neppure accorta. Si alzò in piedi gocciolante d’acqua con i capelli sciolti che le ricadevano sulle spalle e uscì dalla tinozza di legno avvolgendosi nel lenzuolo che aveva lasciato ripiegato sul pavimento. Aveva sentito la porta aprirsi e richiudersi un attimo prima, ma solo ora portò lo sguardo alla figura dell’Assassino che la fissava immobile, con la schiena appoggiata alla porta. Trattenne un sorriso e gli si avvicinò per lasciargli un leggero bacio sulle labbra.
Quando fece per allontanarsi l’uomo la trattenne avvolgendola dolcemente in un abbraccio, in contrasto con il desiderio che era sicura aver visto accendere i suoi occhi un istante prima. –Come va oggi?- le chiese in un sussurro poggiando il viso sui suoi capelli bagnati. Da quando aveva riaperto gli occhi, quella era la domanda che le rivolgeva più di frequente.
-Sto bene…- rispose incerta. Si chiese se per lui sapere che stesse bene, che fosse perfettamente in grado di riprendere le fila della sua vita, avesse lo stesso significato che aveva per lei. Non avevano più parlato con vera sincerità da quando si era risvegliata. Qualcosa era cambiato ed era sicura che lo sentissero entrambi, benchè nessuno fosse ancora capace di ammetterlo.
L’Assassino si allontanò di poco senza sciogliere completamente l’abbraccio, solo per scrutare i suoi occhi alla ricerca di qualcosa che a lei non era chiaro. Probabilmente si domandava anche lui se quello sarebbe stato uno degli ultimi momenti che potessero passare insieme, come se fossero due persone e basta, non una Templare e un Assassino.
-Ho pensato che potessi morire, che non ti avrei più rivista…- disse con una nota amara nella voce.
Gli leggeva nel nero liquido degli occhi che si rendeva perfettamente conto di quanto la prospettiva di non rivederla più fosse realistica. Odiava quella freddezza che pian piano si era frapposta tra di loro e che ogni giorno di più li divideva. Benchè sentisse di amarlo, sapeva che non lo amava abbastanza, non tanto da rinunciare a se stessa, a quello che era sempre stata e che sempre aveva voluto essere.
Mentre ancora era assorta in questi pensieri lui la baciò, in un modo delicato e gentile. Maria rispose al bacio stringendogli le braccia intorno al collo e lasciando ricadere a terra il lenzuolo. Si staccò da lui con una scintilla di malizia negli occhi. Quando le loro labbra si incontrarono di nuovo il bacio fu molto meno casto.  Era certa che quel momento non sarebbe più ritornato.
 
 
Era notte fonda quando Maria si svegliò. Guardò Altair che dormiva, immobile come una statua, non fosse stato che per il movimento regolare del suo torace, tempestato di cicatrici, che si sollevava piano al ritmo del respiro. Si allontanò da lui con cautela, facendo attenzione a non svegliarlo e stupendosi di quanto facesse inaspettatamente male sciogliere quell’ultimo abbraccio. Sistemò i capelli ancora umidi in una crocchia, indossò alla svelta i vestiti maschili che gli Assassini le avevano procurato e si legò alla cintura la spada che Altair si era finalmente deciso a restituirle. Gli gettò un’ultima occhiata e, senza sapere bene cosa stesse facendo, o dove fosse diretta, sparì dietro la porta. Attraversò il corridoio deserto con una certa circospezione augurandosi che anche gli altri due Assassini dormissero ancora. In quel periodo di convalescenza e convivenza forzata non avevano perso occasione per farle capire quanto non fosse beneacetta, nonostante mettesse piede fuori dalla sua stanza solo quando era strettamente necessario.
Era evidente che le permettessero di rimanere lì  esclusivamente perché quello era il volere di Altair. A lui, per un motivo che solo ora cominciava ad apparirle chiaro, tributavano tutti una sorta di incondizionata obbedienza. Beh, finalmente non avrebbero più dovuto imporsi la sua presenza, pensò. D’altra parte, su una cosa avevano ragione, non era quello il suo posto. Raggiunse l’ingresso cercando di fare meno rumore possibile, ma la sua mano non aveva ancora sfiorato il legno scuro della porta che si ritrovò la fredda lama di una spada alla gola.
-Dove credi di andare?- chiese Alessandro guardandola torvo.
Maria non rispose e la pressione sul suo collo divenne più forte.
-Togliti di mezzo.- sibilò sguainando la spada e incrociandola con quella dell’Assassino, dopo essersi spostata di lato con un’abile mossa.
-Ho sempre saputo chi eri davvero, sei riuscita ad ingannare perfino il Maestro, ma certo non me.- aggiunse lui colpendola con forza.
Parava gli affondi meglio che poteva, ma non combatteva da molto tempo e sentiva di maneggiare la spada più fiaccamente del solito. Mentre lei perdeva gradualmente le energie, il suo avversario sembrava rinvigorirsi man mano che la sua superiorità diventava più evidente. Si scagliò contro di lei facendo leva sulla spada con il peso del corpo. Maria parò il colpo  ignorando i forti dolori alle braccia prima di perdere l’equilibrio e cadere al suolo. Lui spinse via con un calcio la spada che le era volata di mano, prima di sollevare la donna in malo modo trattenendola per il bavero del mantello.
-Sei stata tu a dare informazioni ai Templari fino ad ora, non è così? Come avrebbero fatto altrimenti a trovarci, a Limassol? - esclamò in preda alla rabbia colpendola con uno schiaffo.
Maria sputò a terra saliva e sangue –Non ne ho idea. E tu non sai un bel niente di me.- disse.
Per tutta risposta l’Assassino la scagliò lontano da sé facendola piombare a terra con un tonfo. Lo spigolo del tavolo le centrò in pieno lo stomaco. Si rannicchiò su se stessa per il dolore mentre Alessandro le si avvicinava. Le sembrò che volesse dire qualcosa, ma non fece in tempo ad aprire bocca che la lama di Altair si era materializzata sotto il suo mento.
-Dici un’altra parola e ti assicuro che sarà l’ultima.- sibilò con rabbia il Maestro.
L’Assassino gli lanciò un’occhiata piena di rancore ma rimase in silenzio finchè Altair ritirò la lama celata.
-Se le permetti di scappare, tutto quello per cui abbiamo lavorato fino ad oggi, andrà in fumo. Non puoi farlo.- disse subito dopo.
-Decido io quello che posso o non posso fare.- rispose Altair con un tono che non ammetteva repliche.
 –Non decidi solo per te, Altair. Tutti pagheranno le conseguenze delle tue scelte.-  Alessandro sputò queste parole mentre sul suo volto cresceva sempre più la rabbia, poi voltò le spalle con disprezzo e uscì sbattendo la porta.
Il Maestro lo guardò allontanarsi con la coda dell’occhio, poi si chinò vicino a Maria per aiutarla ad alzarsi, ma lei si tirò in piedi da sola reggendosi al tavolo e portandosi una mano al labbro spaccato.
-Tutto bene?- chiese preoccupato.
-Si.- rispose la donna con un filo di voce mentre evitava accuratamente di guardarlo negli occhi.
L’attimo di silenzio che seguì fu forse il peggiore della sua vita. Sentiva di potersi considerare una traditrice, non solo nei confronti del suo Ordine, ma anche di tutti coloro che, in un modo o nell’altro, l’avevano amata. Pensò che forse i suoi genitori e il suo primo marito avevano avuto ragione da sempre, non sarebbe mai riuscita a fare nulla di buono.
La voce di Altair la riportò alla realtà. –Saresti davvero sparita così, senza dire una parola? Non merito neanche una spiegazione?-  
–Mi dispiace…ho solo pensato che sarebbe stato più facile.- sussurrò.
-Non capisco…perché lo stai facendo? Cos’è cambiato?-
 -Era solo questione di tempo, ma sarebbe andata così in ogni caso. Ho solo anticipato le cose.-
-Potrebbe andare in un altro modo…se solo tu volessi.-
Maria scosse la testa decisa. –Questa è una follia, lo è stata sin dall’inizio. Abbiamo fatto finta fino ad oggi che io non sia quello che sono, adesso basta.-
-Tu non sei più una Templare Maria! Credi che ti stiano aspettando a braccia aperte? Non ti hanno già dimostrato che ti considerano una traditrice?-
Quell’ultima affermazione la irritò tanto da darle il coraggio di alzare finalmente lo sguardo al viso di lui. La sua solita maschera di impassibilità si era completamente sgretolata e, per la prima volta, potè vedere chiaramente sul suo volto il dolore che non riusciva a nascondere. –Forse no, non sono più una Templare, ma io credevo nella causa e di certo non sarò mai dalla parte degli Assassini. Rimanere con te andrebbe contro tutti i miei principi, contro tutto quello per cui ho lottato ed io tengo troppo alla mia libertà, non la sacrificherò, né per te, né per nessun altro.-
L’Assassino non rispose. D’altra parte, cosa poteva ribattere? La verità delle sue parole era sin troppo evidente, eppure le parve di leggere un’accusa negli occhi spenti di lui, forse un’accusa che in realtà era lei stessa a rivolgersi. La verità è che tu hai paura Maria, che la tua vita possa non andare come avevi programmato, perciò scappi.
Sentì una rabbia ingiustificata montare dentro di lei. Il suo solo desiderio era allontanarsi da lì, da tutta quella parte della sua vita il più velocemente possibile e dimenticare in fretta. –Forse hai ragione, c’è un altro modo.- disse scoccandogli un’occhiata di sfida. -Rinuncia al titolo di Maestro,lascia il tuo Ordine e andiamocene in un posto in cui dire Templare o Assassino non significa nulla.-
Altir la guardò sorpreso aggrottando la fronte senza rispondere.
 –Non lo faresti mai, non è così?- continuò Maria con una risata nervosa -Eppure è esattamente ciò che stai chiedendo a me, rinunciare a tutto quello in cui credo.-
L’Assassino si avvicinò a lei e appoggiò la fronte alla sua –Resta…ti prego.- disse con un filo di voce.
D'un tratto la colse l’improvviso e straziante bisogno di abbracciarlo, baciarlo e dirgli che sarebbe rimasta lì per sempre, per lui. Ma non era la verità. Aveva bisogno di tempo. Doveva capire, lo doveva a se stessa. Scosse lentamente la testa –Non posso.- sussurrò con la voce rotta  
L’Assassino rimase immobile, in ascolto. Sentì i passi di Maria e il rumore della porta che si chiudeva alle sue spalle. Gli avevano insegnato a sopportare il dolore, eppure questa volta gli sembrava maledettamente difficile.
 
Quando uscì all’esterno un vento gelido le graffiò il viso. Maria tirò un respiro profondo avvolgendosi di più nel mantello e facendo entrare nei polmoni l’aria fredda di quel mattino invernale. 
Era come se le sue gambe si muovessero da sole, non più governate dalla sua volontà, mentre si impegnava a ricacciare indietro le lacrime e nella sua testa regnava soltanto una gran confusione. Non avrebbe saputo dire per quanto tempo avesse camminato quando cominciò a sentire l’aria salmastra e il rumore delle onde del mare che si infrangevano sulla sabbia. Si allontanò dai vicoletti che si inoltravano fino al cuore della città e raggiunse la spiaggia.
Era seduta in riva al mare e lasciava scivolare la sabbia fine dalle dita chiuse a pugno come in una pioggia dorata, quando il cielo cominciò a tingersi di rosso. Una nuova alba spazzava via la notte precedente, come la luce del mattino allontana un incubo e pensò che per lei era giunto di nuovo il momento di ricominciare da capo, una nuova vita.

 



NOTE

Buonasera a tutti!
Chiedo scusa per il ritardo pauroso.
Ho un sacco di dubbi su questo capitolo, ma dato che quando rileggo quello che scrivo non mi piace mai e sto diventando ripetitiva, questa volta non mi esprimo.
Spero comunque che l’attesa non sia stata del tutto vana.
Ciao. A presto;)

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Capitolo 14
*** 15- La decisione sbagliata ***


La decisione sbagliata

Maria era seduta sull’ampio tappeto rosso dai drappeggi dorati, con la schiena appoggiata ai cuscini, intenta a fingere disinteresse, mentre, in realtà, si concentrava sul cinguettio delle cortigiane dall’altro lato della stanza. Aveva scoperto che, due giorni dopo, sarebbero state scortate su un baldacchino fino al castello di Saint Hilarion su ordine del principe Shalim e non aveva nessuna intenzione di lasciarsi sfuggire l’occasione di entrare a palazzo. Se voleva delle risposte, quello era l’unico modo per ottenerle.
 Si tirò in piedi con grazia affettata e raggiunse la porta della stanza. Scostò la tendina che separava l’ambiente dal corridoio e si avviò giù per le scale. Non si sentiva affatto a suo agio nel vestito verde e dorato da odalisca che si era procurata e poteva percepire su di sé gli sguardi lascivi dei primi avventori che cominciavano ad affollare il salone d’ingresso. Aveva già raggiunto l’uscita quando un uomo le si parò davanti sbarrandole la strada.
-Ehi tesoro, dove vai?- chiese con un sorrisino di apprezzamento.
Bastò l’occhiataccia che ricevette di rimando a persuaderlo a farsi da parte. Arretrò di qualche passo con un’espressione a metà tra incuriosita e interdetta e lasciò passare la donna.
Maria percorse la strada a passo svelto e deciso e si inoltrò in un vicoletto laterale. Quando fu abbastanza lontana, gettò uno sguardo al cielo livido. Cominciava ad imbrunire, ma era impossibile scorgere la luna o le stelle oltre la spessa coltre di nubi. Una timida goccia di pioggia le scivolò leggera su una guancia mentre avanzava nella penombra. Non avrebbe saputo dire come, ma si ritrovò a pensare ad Altair. Si chiese dove fosse e cosa stesse facendo prima di scacciare quelle domande con decisione. Per quanti sforzi facesse, il pensiero di lui continuava a raggiungerla per torturarla e lasciarle quell’orribile senso di vuoto nello stomaco e non poteva fare a meno di desiderare di tornare sui propri passi. Si fermò, chiuse gli occhi e tirò un respiro profondo per recuperare la concentrazione, poi si guardò attorno circospetta.
Nello stesso istante in cui si accorse di non essere sola, si sentì strattonare per un braccio. Scrutò nell’ombra il volto del suo assalitore. Lo stesso uomo che aveva incrociato qualche minuto prima la teneva schiacciata con la schiena contro il muro contorcendole il braccio. Lo sentì ridere, con un forte odore di alcol, il viso ad un centimetro dal suo. Come diavolo aveva fatto a non accorgersi di essere seguita?
-Allora dov’è che vai?- le chiese lui con un ghigno, palesemente ubriaco.
Provò a divincolarsi con tutte le sue forze mentre, nel contempo, portava una mano ad estrarre il pugnale che aveva assicurato, ben nascosto, nella fascia della gonna, dietro la schiena.
Era appena risuscita a stringere tra le dita il manico intarsiato dell’arma quando il peso sul suo corpo si dissolse.
Fece leva sui palmi delle mani per raddrizzarsi e sgranò gli occhi nel vedere Altair che teneva l’uomo sollevato da terra per il bavero della camicia. Pensò che doveva avergli fatto battere la testa contro il muro perché la ciondolava con aria intontita e terrorizzata al tempo stesso.
L’Assassino lasciò di botto la presa e l’uomo scivolò penosamente con la schiena lungo la parete fino a ritrovarsi seduto a terra.
-Ti conviene andartene, finchè sei in tempo.- disse Altair con un tono così terrificante che persino lei sentì un brivido gelido correrle lungo la schiena. Come se la morte in persona reclamasse un’altra vittima.
Non aveva neanche fatto in tempo a riacquistare la lucidità che già l’uomo che l’aveva aggredita era balzato goffamente in piedi per darsela a gambe.
Portò lo sguardo su Altair e si sentì combattuta. Non sapeva bene se avrebbe dovuto prendersela per la sua intromissione o ringraziarlo.
-Che diavolo stai facendo!?- le chiese lui mentre la fissava nell’evidente sforzo di mantenere la calma.
 –Che diavolo stai facendo tu!-  esclamò piccata sollevando gli occhi al cielo.
Lui sbuffò con nervosismo –Io!? Ti tiro fuori dai guai…come al solito.-
-Avevo tutto sotto controllo.-  disse incrociando le braccia sul petto.
-Si, certo, era evidente.-
-So badare a me stessa…come credi che sia sopravvissuta in mezzo ai crociati per tanto tempo?-
-Non smetterò mai di chiedermelo.-
Gli lanciò un’occhiataccia, ma lasciò cadere l’argomento. –Come sapevi che ero qui?- chiese invece.
-Ho i miei metodi.-
-O forse mi stavi seguendo?-
Lui non rispose guardandola di sottecchi da sotto il cappuccio, con l’aria colpevole di un bambino scoperto a rubare un frutto.
-E’incredibile!- disse stizzita scuotendo la testa.
Lo vide soffermarsi ad esaminare il suo abbigliamento e per poco non arrossì.
Forse aveva ragione lui. Che cosa stava facendo? Dopotutto, nel giro di pochi mesi, tutta la sua vita precedente era andata in frantumi e cominciava a rendersi conto che c’era una sola cosa di cui potesse ritenersi certa: era innamorata di un Assassino. Innamorata come un’adolescente alla prima cotta.
-Si può sapere che cosa ci facevi qui?- continuò Altair.
Maria tirò un sospiro rassegnato senza rispondere mentre qualche goccia di pioggia più insistente le bagnava i capelli –Devo andare.- riuscì solo a dire abbassando lo sguardo.
L’Assassino la trattenne per un braccio mentre già stava per voltarsi. –Ti devo parlare.-
Non disse nulla. Quell’uomo era capace di toglierle ogni forza di volontà solo con uno sguardo e, ancora una volta, pensò che avrebbe voluto scappare, solo perché temeva se stessa.
Il cielo fu scosso da un tuono e la pioggia cominciò a cadere prepotente. Lui avanzò di un passo e posò le labbra sui suoi capelli per sussurrarle qualcosa all’orecchio, prima di allontanarsi con un ultimo “Ti prego” mormorato.
Rimase lì da sola per un po’, mentre la pioggia le inzuppava i vestiti, incapace di trovare la forza di muovere un passo o dare un senso logico ai pensieri, mentre una parte di lei malediceva la sua testardaggine e l’altra la implorava di non assecondare quell’ultima preghiera.
                                                                            
 
                                                                                                            
 
I suoi stivali scalpicciavano nelle pozzanghere che si erano formate nella strada la notte prima. Il temporale aveva reso l’aria più umida e tiepida e le nuvole avevano lasciato il posto ad un cielo stellato. Aveva passato l’intera giornata a chiedersi che cosa avrebbe dovuto fare e alla fine aveva preso la decisione sbagliata, ne era certa. La confusione regnava sovrana nella sua testa, eppure continuava a camminare a passo spedito verso la torre di avvistamento ad est della città, dove lui la stava aspettando, o almeno così le aveva detto la notte precedente prima di sparire. Quell’ultimo  “Ti prego” continuava a risuonare nella sua testa da allora.
Scalò non senza difficoltà il muro di cinta ed entrò furtiva nel piccolo abitacolo richiudendosi la porta sgangherata di legno alle spalle.
Altair era appoggiato alla finestra, aveva il cappuccio calato sulle spalle e il suo viso era illuminato per metà dalla luce lunare. Scorse nei suoi occhi un luccichio di soddisfazione e gratitudine, nel momento in cui la vide entrare, e fece qualche passo avanti titubante mentre lui continuava ad osservarla senza dire nulla.
-Di cosa dovevi parlarmi?- chiese con finta freddezza.
Lo vide aggrottare la fronte come indeciso. -Perché te ne sei andata?-
La donna tirò un sospiro scuotendo la testa.  –Era ovvio che sarebbe successo, prima o poi.-
-Tu hai scelto di andartene, non eri obbligata.-
Maria sorrise amaramente -Quando qui sarà tutto finito, cosa pensi che succedrà? Tu tornerai a Masyaf ed io prenderò un’altra strada.-
L’Assassino esaminò la sua espressione serio, poi si avvicinò e, con un gesto del tutto inaspettato, le prese una mano tra le sue.  –Potrbbe andare in un altro modo…- disse e Maria pensò che non lo aveva mai visto tanto incerto.
-Potresti tornare con me a Masyaf.- sussurrò lui dopo un attimo di silenzio.
La donna sgranò gli occhi incredula –Tu sei pazzo.- disse con un moto di nervosismo. -Anche se fossi così folle da venire con te, come credi che mi accoglierebbero? Come potrei presentarmi lì?-
–Come…mia moglie.-
Sentì gli occhi di lui scrutare il suo volto, preoccupato per la sua reazione. –Non dire assurdità.- brontolò con un filo di voce voltandogli le spalle e rivolgendo l’attenzione al cielo stellato fuori dalla finestra. Non riusciva a sostenere il suo sguardo un minuto di più, né a leggere nei suoi occhi la delusione che stava per dargli. –Tu hai delle responsabilità, forse dovresti pensare a quello e trovare una buona moglie che possa aiutarti e stari vicino, non certo me.- aggiunse d’un fiato sentendo l’improvviso e inaspettato bisogno di giustificarsi.
Lui si pose tra lei e la finestra appoggiando i palmi alla pietra grigia, silenzioso ed elegante come al solito e…vicino, troppo vicino.
 -Ho sempre e solo pensato alle mie responsabilità…- disse guardandola con una sorta d’implorazione stampata in faccia.
-E devi continuare a farlo.- si affrettò a replicare.
Altair assottigliò gli occhi, come se cercasse nel suo viso una spiegazione a quel rifiuto più sensata delle scuse che aveva miseramente arrabattato fino a quel momento. –Credi che togliere la vita mi piaccia? Io lo faccio perché devo, perché servo un bene superiore e non ho il diritto di porre i miei desideri davanti a questo. E’ sempre stato così per me. Ma non questa volta.-
-Anche se io accettassi, ce ne pentiremmo tutti e due subito dopo, fidati.-
Quelle parole non ebbero su di lui nessun effetto e Maria pensò che l’unica cosa che avrebbe voluto in quel momento era poter sottrarsi al suo sguardo, quello sguardo che vedeva molto più di quello che lei lasciava trasparire.
-Mi stai dicendo che tu non mi ami?- le chiese lui con un mezzo sorriso.
-Questo non c’entra.- rispose allontanandosi di un passo.
Anche lui fece un passo avanti cancellando quella distanza che la donna aveva cercato di guadagnarsi con tanta fatica.
-Allora dimmelo e la facciamo finita.- sussurrò con il viso ormai a un centimetro da quello di lei mentre i suoi occhi accesi contraddicevano le sue stesse parole.
-Io non…- provò a dire, ma non riuscì a completare la frase perché la lontananza tra loro due si era azzerata e le sue labbra avevano incontrato quelle di lui, mentre le parole si disperdevano in un bacio intenso.
 


NOTE
Non so come sia venuto qst capitolo xk l'ho appena scritto e non ho fatto in tempo a rileggere, ma spero niente di tragicoXD

Ovviamente, come al solito, devo scusarmi perché sono in ritardo e il capitolo è vergognosamente breve, ma la mia libertà post-esame è durata poco, ho scoperto che devo preparare altri due esami entro un mese e nel frattempo seguire i corsi ç_ç

Ah devo anche scusarmi per un errore commesso nel capitolo precedente, mi sono resa conto di aver confuso l’aorta con la giugulare (tra l’altro la prima è un’arteria la seconda è una vena, ho fatto una ricerca in ritardo-_-) e non posso neanche appellarmi alla licenza poetica:S correggerò il prima possibile.
Morale della favola: devo togliermi il vizio di scrivere cose di cui non sono sicura senza un minimo di approfondimento.
Detto questo, scusatemi per l’ignoranza e vi consoli sapere che non studio né medicina, né biologia o affini perciò non sono potenzialmente pericolosa.

Alla prossima;)

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Capitolo 15
*** 14-Fiducia ***


Fiducia

La lama di Altair si aprì un varco nel collo di Moloch.
L’uomo emise un gemito strozzato mentre il suo corpo si afflosciava al suolo come svuotato e uno schizzo di sangue macchiava la tunica immacolata dell’Assassino. Sapeva che la sua vittima sarebbe passata a miglior vita in poco tempo e imprecò tra sé. Con un gesto troppo avventato, nella foga di quel combattimento interminabile, doveva avergli reciso la giugulare. Ritirò la lama provocando all’uomo un sussulto incondizionato e portò la mano sulla ferita a fermare il sangue, nel macabro tentativo di prolungare quei momenti di agonia. Il pensiero della crudeltà insita in quel gesto gli occupò la mente, ma solo per un istante. Negli ultimi giorni, si era accorto che anche quella poca empatia che poteva vantare in precedenza l’aveva del tutto abbandonato. Non era mai stato così distaccato, mai così bravo in quello che faceva. Decisamente non provava pietà. Quei pochi minuti strappati alla morte potevano essere determinanti e non esitò a reclamarli.
-Dov’è Bouchart?- chiese freddo.
Il Toro sbattè le palpebre un paio di volte con aria assente e Altair sospirò seccato maledicendo la sua fretta. Probabilmente non ne avrebbe ricavato più nulla.
-Dov’è Bouchart?- ripeté.
Quando ormai non sperava più di ottenere risposta, le labbra di Moloch scoprirono i denti ricoperti di sangue, rivelando un ultimo sorriso di scherno.
-Perché dovrei dirtelo?- la sua voce, potente quanto un alito di vento, aveva conservato la propria arroganza e non celava la derisione.
-Perché così smetterai di soffrire.- sibilò Altair.
-Voglio che tu sappia una cosa Assassino…-continuò l’uomo allargando il ghigno –riponi la tua fiducia nelle persone sbagliate.-
Un frastuono familiare di voci concitate e tintinnio di armi sopraggiunse dal corridoio e accompagnò l’ultimo respiro di Moloch. Altair gli chiuse gli occhi, striandogli il viso di sangue, ancora incapace di allontanarsi. Quelle poche parole, quasi impercettibili, pronunciate dal signore di Kyrenia mentre già la coscienza lo abbandonava, risuonavano nella sua mente come una sorta di oscuro presagio, la conferma di ciò che sospettava e temeva.
Quando la grande porta di legno dorato fu spalancata senza riguardo ed un manipolo di uomini armati si riversò nel lussuoso salone, al centro del quale giaceva il corpo senza vita di Moloch, l’Assassino era già scomparso oltre la finestra, sfidando l’altezza e la gravità, e si era dileguato tra la folla.
 
Era appena spuntata l’alba quando Altair discese nel cortile coperto della dimora, dopo aver attraversato la città in tumulto.
Fece il suo ingresso nella stanza principale silenzioso come un’ombra.
Alessandro aveva le mani appoggiate al bancone e gli dava ancora le spalle, mentre parlava con il Rafiq in preda ad un’inconsueta agitazione.
-Questa notizia potrebbe cambiare tutto…dovremmo parlarne…-
-In tal caso, tempismo perfetto.- lo interruppe Marko mentre sollevava lo sguardo dall’imponente registro –Salute e pace, Altair.- aggiunse accompagnando le parole con un cenno del capo.
-Salute e pace.- rispose il Maestro.
Alessandro si voltò di scatto. La sua preoccupazione gli impediva di espletare anche una semplice formalità come il saluto.
-Cos’è che dovrei sapere?- chiese Altair facendo appello a tutta la sua tolleranza.
-I Templari sanno che il Frutto è qui e che sei tu ad averlo.- rispose pronto l’Assassino.
Quella notizia non lo sorprese come avrebbe dovuto, ma cercò di non darlo a vedere. La sera in cui era ritornato alla dimora insieme ad una Templare priva di sensi, l’avevano guardato strabuzzando gli occhi, come se fosse uscito di senno e avevano esitato in modo irritante a prestarle aiuto, ma non gli avevano chiesto nulla riguardo i dettagli della sua missione. Aveva usato la Mela per lasciare la fortezza di Buffavento insieme a Maria e sapeva bene che quello che aveva fatto non riguardava solo lui e avrebbe avuto ripercussioni sull’intero Ordine, perché, con un solo avventato gesto, aveva dato ai Templari una preziosa informazione, forse l’unica di cui davvero avevano bisogno. Ripensò a quello che era successo e disse a se stesso che, per quanto assurdo potesse sembrare,  tornando indietro, si sarebbe comportato esattamente nello stesso modo.
-Ne sei certo?- chiese ostentando indifferenza.
-Ho origliato una conversazione, tra due generali dell’esercito crociato.-
Altair annuì piano -Ho motivo di credere che tra noi ci sia un traditore.- disse con calma forzata. Di certo non era stato un presunto traditore a fornire quell'informazione ai Templari ma le ultime parole di Moloch continuavano a risuonare nella sua mente.
Alessandro sollevò un sopracciglio con aria saccente. Non c'era bisogno che parlasse per lasciar intendere a chi stesse pensando.
-Hai qualche idea?- chiese Marko.
-Purtroppo no. Ma so chi potrebbe saperne di più.-
Il Rafiq rispose con un cenno di assenso.
 
 
 
Altair si richiuse la porta alle spalle e fu subito investito dal benefico calore prodotto dal braciere. Barnabas era seduto su un tappeto colorato con le gambe incrociate e tendeva le mani sulle braci. Gli lanciò uno sguardo indagatore al vederlo comparire nella stanza.
-Salute e pace Altair.- disse alzandosi in piedi con un atto di affettata riverenza -Ho saputo della morte di Moloch. Non mi avevi informato dei tuoi piani…-
-Non ne ho avuto modo.-
In realtà, ogni volta che poteva, evitava di dargli notizie sui suoi progetti e, per qualche motivo che neppure lui era ancora in grado di spiegarsi, preferiva che ne venisse al corrente a cose fatte. Per quanto avesse bisogno del suo appoggio, ad Altair quell’uomo non era mai piaciuto. Il capo della Resistenza cipriota non si era mai presentato alla dimora e sembrava avesse rapporti più con i capi a Limassol, o quello che ne rimaneva, che con i suoi seguaci a Kirenya.
-A cosa devo la tua visita?- continuò l’uomo guardandolo di sottecchi.
-Credo che tra di noi ci sia un traditore.-
La reazione di Barnabas non fu più chiara del suo comportamento. Per un istante, Altair credette di vedere il suo viso sbiancare e, se non fosse stato totalmente irragionevole, avrebbe detto che fosse proprio lui a nascondere qualcosa.
D’un tratto, una tremenda verità si presentò agli occhi dell’Assassino. Barnabas che informava i Templari della sua presenza a Limassol, la trappola e l’attacco alla dimora, tutto parte di un piano ben orchestrato. Dopotutto, lui non era riuscito ad arrivare a Bouchart, non aveva intaccato la colonna portante dell’Ordine ed i suoi tentativi, fino a quel momento, si erano rivelati una serie di fallimenti.
-Lo credo anch’io.- rispose Barnabas riacquistando alla svelta il suo contegno.
Altair aggrottò le sopracciglia. –E sospetti di qualcuno?-
-Si. Un commerciante, un membro della Resistenza.-
Per un attimo fu indeciso, con la lama pronta a scattare. Se davvero aveva visto giusto, ora che i Templari sapevano che la Mela era lì, quanto tempo sarebbe passato prima che tentassero di impadronirsene? Non poteva rischiare.
Scrutò l’uomo che aveva di fronte e lesse nei suoi occhi una malcelata preoccupazione.
Gli occhi di Barnabas scivolarono dal viso di Altair alla lama che fuoriusciva dalla manica candida della sua tunica -Cosa? Sospetti di me!?- esclamò -E' assurdo!-
-Non si tratta solo di un sospetto.- si arrischiò a rispondere il Maestro.
L’uomo lo guardò per un attimo come indeciso, poi sorrise –Bene, allora vorrà dire che ti ucciderò.- disse prima di estrarre la spada.
Altair sogghignò, non c’erano più dubbi.
 
La luna fece capolino dalle nuvole e gettò la propria luce ad illuminare l’Assassino, appollaiato sopra un tetto, con lo sguardo fisso sul vicolo sottostante. Era passata solo qualche ora da quando Altair aveva ucciso Barnabas. Era stato più difficile di quanto pensasse e sapeva di dover tornare alla dimora il prima possibile, ma non riusciva a staccare gli occhi dalla figura esile che percorreva la strada a passo spedito. Forse avrebbe dovuto chiedersi cosa diavolo ci facesse lì e sentirsi un perfetto idiota. Era un Assassino che spiava una ex-Templare, la quale, per di più, gli aveva rivelato di essere ancora fedele alla sua causa. Scosse la testa per scacciare quel pensiero, non riusciva ad associare la parola Templare al viso di Maria, nonostante tutto.
 

 




NOTE
Ciao a tutti.
Ebbene si, sono ancora qui e sono sopravvissuta agli esami (beh, non proprio a tutti ma siamo a buon punto).

Chiedo scusa per il ritardo, a mia discolpa posso solo dire che, fino a poco tempo fa, ero sommersa dai libri.

Questo capitolo serviva più che altro a dare qualche informazione e a sciogliere qualche nodo (e spero di esserci riuscitaXD). 
A presto;)

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Capitolo 16
*** 16-Sì ***




Maria percorreva a grandi passi la balconata di pietra bianca del castello di Saint Hilarion che scintillava sotto il sole cocente di un nuovo mattino. La sua mano destra, macchiata di sangue, stringeva l’elsa della spada che aveva sottratto ad una guardia. Si era sorpresa di quanto fosse stato facile. Nessun soldato, a quanto pareva, si sarebbe mai aspettato di essere pugnalato da un’odalisca. I suoi occhi erano fissi sul viso del principe Shalim che l’aspettava all’altro capo con le braccia incrociate e un sorriso di scherno stampato in faccia. Compresse l’elsa tra le dita con più forza, reprimendo la rabbia. Avrebbe riso ancora per poco, pensò. I suoi piedi si arrestarono quando raggiunse il portico e il suo sguardo non vacillò neppure per un istante rimanendo fisso sul viso divertito dell’uomo.
-A cosa devo la tua visita Maria?- chiese Shalim senza scomporsi.
-Sono qui per ucciderti.-
I suoi occhi scintillarono a quelle parole e scoppiò in una fragorosa risata –Hai fatto irruzione nel palazzo con la stessa inutile teatralità degli Assassini e adesso parli anche come una di loro. Sei soltanto una traditrice senza ideali e, credimi, sarò molto felice di porre fine alla tua vita.-
Maria sollevò la spada puntandogliela contro e gli rivolse uno sguardo infuocato. –Io credevo nella causa. Ma ora so qual è il vostro vero obiettivo, il controllo al solo scopo di acquisire il potere e la ricchezza. Non è per questo che combattevo, non è per questo che combatteva Roberto.-
–Cosa credi di sapere tu!?- rispose l’uomo con la sua stessa intensità -Roberto ha sempre perseguito il nostro stesso fine. Non ci può essere ordine se c’è libertà. La libertà di opinione genera il caos e il popolo ha bisogno di un capo che gli indichi la strada. Questo scopo si può ottenere solo con la forza e accettando delle perdite.-
-E chi sarebbe questo capo?- sputò Maria con un sorrisino di scherno –Forse Bouchart? Se è così preferisco il caos.-
Il buonumore abbandonò di colpo Shalim –Non osare! Non sei mai stata altro che la sgualdrina di Di Sable! Non hai esitato a passare dalla parte degli Assassini dopo la sua morte e pretendi anche di farmi credere di avere degli ideali?- esclamò sguainando la spada -Dopotutto, solo un folle come Roberto avrebbe potuto concedere ad una donna di entrare a far parte del nostro Ordine! E’ stato un bene che sia morto, dovresti ringraziare il tuo Assassino.-
A quelle parole, Maria vide rosso e si gettò contro di lui con un gesto impetuoso e avventato –Sappi che qui non si tratta più di ideali, tra me e te ormai è una questione personale.- sibilò tra i denti mentre le lame delle spade stridevano l’una contro l’altra.
Il principe sogghignò spingendo sulla spada con il peso del corpo e la donna barcollò per un istante prima di fare un passo indietro e riacquistare prontamente l’equilibrio. Il combattimento andò avanti in una danza di fendenti ben assestati e pronte schivate per un tempo che le sembrò interminabile e lasciò i contendenti un po’ provati ma senza un graffio. Si fermarono e si guardarono negli occhi dandosi tacitamente il tempo di riprendere fiato. Poi, successe tutto in un attimo. Shalim sollevò la pesante spada e l’abbatté in direzione del collo della donna, ma lei si abbassò rapida sulle ginocchia e, in una frazione di secondo, lo colpì ad una gamba. L’uomo non riuscì a reprimere un gemito e portò la mano a coprire il taglio. Fu in quell’istante che si sentì strattonare da dietro e perse la presa sulla spada. Un pugnale si materializzò all’altezza del suo fianco destro mentre qualcuno le teneva le mani strette dietro la schiena.
-Tutto bene fratello?- chiese l’uomo che l’aveva immobilizzata rivolto a Shalim. La sua voce la sorprese e ancor di più il viso che riuscì a scorgere con la coda dell’occhio. Ebbe, per un secondo, la sensazione di vedere doppio, poi capì.
-Sto bene Shahar.- rispose il principe mentre si sollevava in piedi. Il cuoio marrone del suo stivale si era macchiato di sangue, ma la ferita non sembrava aver scalfito la sua arroganza. Shalim fece un passo avanti  senza dare segno di avvertire il minimo dolore ma prima che potesse aggiungere altro il suo sguardo fu attratto verso la soglia del portico. Si voltò di scatto e sul suo viso si dipinse un sorriso sadico.
-Bene, bene, non potevi scegliere momento migliore Assassino.- sentenziò calmo.
Maria vide gli occhi di Altair spostarsi da lei a Shalim e lesse nel suo viso l’indecisione.
-Forse, in fin dei conti, servirai a qualcosa.- aggiunse Shalim gettandole una rapida occhiata di sufficienza. –Consegnami la Mela Assassino e magari lascerò vivere questa inutile traditrice.- continuò.
La donna sentì la rabbia e l’umiliazione invaderla e provò a divincolarsi.
-Stà ferma se non vuoi che ti ammazzi.- le sussurrò all’orecchio Shahar mentre la punta dell’arma lacerava in superficie la sua pelle.
Ignorò la fitta di dolore e riportò gli occhi su Altair. Riusciva solo a leggere una tormentata indecisione sul suo volto. Ripensò alla sera prima. L’aveva lasciato lì, con un bacio a metà e una mezza promessa. Sì, forse era solo scappata per l’ennesima volta. Era troppo importante per lei riuscire a fare pace con il suo passato, con la sua vita degli ultimi anni, non era ancora disposta a rinunciare ai suoi piani, non era disposta a rinunciare alla sua idea di libertà per…sposarsi. Quella parola le era sempre sembrata oscura e terribile, eppure, in quel preciso istante, quella stessa prospettiva si presentò in modo diverso ai suoi occhi, le sembrò meno terrificante e quasi auspicabile e, in completa follia, desiderò tornare indietro e dare una risposta diversa. Fu con questo rimpianto che prese la sua decisone.
Guardò Shalim e sorrise con aria di sfida, poi, senza lasciargli il tempo di capire, diede uno strattone. Nello stupore generale Shahar lasciò la presa e Maria cadde sulle ginocchia portando le mani intorno al manico del pugnale imbrattato di sangue che le spuntava dall’addome. Intorno a lei si fece silenzio e le sembrò di essere rimasta sola, come se l’ambiente si fosse svuotato e tutti fossero spariti. Si adagiò su un fianco avvicinando le ginocchia al petto nell’attimo in cui quella calma apparente veniva spezzata dai rumori di un rabbioso duello. I suoi occhi stanchi percepivano a sprazzi le immagini che si proiettavano a pochi passi da lei. Vide Altair scagliarsi contro i due gemelli, poi un vorticare di lame e schizzi di sangue. Non riusciva neppure a capire chi stesse avendo la meglio e chiuse gli occhi celando dentro di sè la propria speranza.
-No!- sentì gridare ad un tratto la voce di Shalim –Me la pagherai Assassino!-
Pensò che Shahar fosse morto, ma Altair non rispose. L’avrebbe confortata un po’ sentire la sua voce, forse. Tutto ciò che seguì fu uno sferragliare di armi, poi di nuovo il silenzio.
Ebbe un sussulto quando si sentì toccare la spalla. Sbattè un paio di volte le palpebre e si sentì sollevata quando mise a fuoco il viso Altair, chinato accanto a lei. La sua tunica era schizzata di sangue e il suo viso teso. Aveva preso a fissare la ferita con occhi terrorizzati e le sembrò che non avesse il coraggio di dire una parola.
Si sollevò a sedere a fatica, con un gemito involontario.
-L’archivio è sotto il palazzo.- gli disse con un filo di voce –E’ lì che troverai Bouchart.-
-Bouchart?- disse l’Assassino come se sentisse quel nome per la prima volta alzando lo sguardo e scuotendo la testa con decisione –No, non posso lasciarti qui. Bisogna curare quella ferita subito o morirai.- e, con queste parole, fece per aiutarla ad alzarsi.
Maria gli strinse il polso bloccandolo –Se non vai adesso, lui fuggirà. Hai solo questa possibilità.-
-No, è fuori discussione, non posso.-
-Me la caverò, sono già sopravvissuta a ferite del genere.-continuò la donna facendo appello a tutte le forze che le erano rimaste e sforzandosi di non cedere al dolore e allo sfinimento, poi gli si avvicinò con cautela e gli avvolse un braccio intorno al collo, per posargli un bacio sulle labbra –Devi andare.- aggiunse subito dopo con la voce rotta.
Lesse nei suoi occhi che anche lui sapeva di non poter sprecare quell’occasione e sperò di averlo finalmente convinto.
Altair si alzò in piedi senza dire una parola e, gettatole un ultimo sguardo disperato e colpevole, scomparve verso l’interno dell’edificio.
Maria crollò sulla schiena. Sentiva le palpebre pesanti e, prima che potesse rendersene conto, fu avvolta dalle tenebre.
 
 
 
Riaprì gli occhi ancora frastornata e portò una mano alla testa dolorante mentre si guardava attorno circospetta. Era adagiata su un tappeto rosso ricamato d’oro, con la schiena appoggiata ad un mucchio di morbidi cuscini. Provò a tirarsi su e subito sentì i punti tirare all’altezza dell’addome. Abbassò lo sguardo. Indossava un paio di pantaloni neri a sbuffo e una camicia di seta bianca. Ne sollevò un lembo e scoprì la fasciatura macchiata di sangue in corrispondenza del fianco destro. Il ricordo di quello che era successo, che le appariva come perso in un sogno confuso, cominciò a riaffiorarle alla mente.
-Si è svegliata!- sentì esclamare una voce femminile.
Si voltò in direzione della ragazza che era comparsa sull’uscio e, in un lampo, le fu chiaro dove si trovasse, o meglio, dove i suoi abiti da odalisca l’avessero condotta. La cortigiana si avvicinò a lei e si inginocchiò sul tappeto.
-Come ti chiami?- le chiese.
-Maria.- rispose con la voce ancora impastata.
-Poverina, cosa ti è successo?- disse la ragazza posandole benevolmente una mano sulla spalla -Io sono Inaam. Io e le altre ti abbiamo trovata ferita al castello e ti abbiamo portata con noi. Hai dormito per una settimana, di tanto in tanto riaprivi gli occhi, ma ti limitavi a farfugliare qualche parola senza senso prima di sprofondare di nuovo nel sonno.- aggiunse leggendo la confusione sul suo viso.
 Come se dai suoi occhi si fosse sollevato un velo, Maria rivide il pugnale conficcato nel suo fianco e ricordò il buio che l’aveva avvolta subito dopo.
Una piccola folla di ragazze si era addensata sull’uscio. Tutte la guardavano incuriosite e parlottavano tra loro.
-Era vestita come una di noi, ma io non l’avevo mai vista.- sentì dire da una.
-Chiediamole chi è. Dopotutto ci deve una spiegazione.- fece eco un’altra.
-Oh insomma, lasciate che riprenda fiato! Sono convinta che ci spiegherà a tempo debito.- esclamò Inaam rivolta al piccolo corteo.
Maria rimase in silenzio, mentre la nebbia nella sua testa si diradava gradatamente -Vi ringrazio di tutto.- disse riacquistando pian piano la voce –Ma non posso spiegarvi nulla.-  continuò tirandosi in piedi a fatica.
Mosse qualche passo incerto e si fece strada ancora barcollante ma decisa fino alle scale e poi alla porta d’ingresso mentre una marea di occhi colorati si puntavano ancora più curiosi su di lei.
-Aspetta! Dove vai? Non sei ancora guarita del  tutto.- protestò inutilmente Imaan.
Forse avrebbe dovuto mostrare più gratitudine verso coloro che le avevano salvato la vita, pensò quando l’aria umida della notte la investì, ma la sua mente non era mai stata più lontana dai convenevoli come in quel momento. Pian piano tornò padrona di un certo equilibrio. Sapeva bene dove andare e, nonostante il dolore e la spossatezza, un piccolo e ingenuo sorriso le si dipinse sulle labbra.
Era arrivata quasi nei pressi della dimora quando vide Altair che le veniva incontro con il cappuccio calato sul viso. Al vederla sgranò gli occhi e si bloccò.
Senza sapere perché, Maria si voltò e prese a correre, come in un assurdo gioco infantile. Il dolore le sembrava, d’un tratto, sparito e raggiunse in poco tempo la scala che portava ai camminamenti sulle alte mura della città sentendo dietro di sé i passi di Altair. In un batter d’occhio, aveva raggiunto la torre ad est, aprì la porta e si fiondò all’interno.
L’Assassino comparve sulla soglia e la guardò con l’aria di chi vede un fantasma, poi le si avvicinò e, senza aspettare neppure un attimo, la baciò.
-Pensavo che fossi morta.- le disse in un sussurro al termine di quel lungo bacio –E per colpa mia.-
-Non sarebbe stata colpa tua.-
Lui scosse la testa –Scusami. Non avrei mai dovuto lasciarti lì. Non riuscirò mai a perdonarmelo.-
-Non ha più importanza.Piuttosto ho qualcosa da dirti.-
-Cosa?- chiese esaminando la sua espressione.
Maria tirò un sospiro -Io ti amo e…la mia risposta è sì.-
 






NOTE
Eh si, melodramma allo stato puroXD la mia mente provata dallo studio riesce a produrre solo cose del genere-_-

Comunque, l’attesa è stata lunghissima, ma, in un modo o nell’altro, eccoci arrivati alla fine.
Spero che il finale vi sia piaciuto e ci rivediamo, mi auguro a breve, con l’epilogo.

Grazie a tutti voi che mi avete supportato e sopportato fino a qui.
Un bacio.
A presto;)

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Capitolo 17
*** Epilogo ***


Epilogo
 

Si era svegliata di soprassalto e il peso del sonno aveva del tutto abbandonato i suoi occhi mentre si rigirava nel letto nel vano tentativo di tornare a dormire.
Si alzò stringendosi nella lunga camicia di lino e raggiunse la finestra aperta. L’aria estiva calda e umida le si appiccicò sulla pelle mentre i suoi occhi scrutavano il vicoletto deserto illuminato solo dalla fioca luce lunare e un’angoscia inconsueta le attanagliava lo stomaco.
“Devo sposarmi, non andare in guerra.”
Continuava a ripeterselo, ma non bastava a renderla più tranquilla.
Pensò che forse, in tutta la vita, solo un’altra volta si era già sentita così, la notte in cui era fuggita dalla sua casa, quando aveva deciso di lasciare l’Inghilterra e imbarcarsi con l’esercito crociato.
Tirò un respiro profondo maledicendo quell’inquietudine e i suoi pensieri furono catturati dal ricordo del suo primo matrimonio. Ripensò a come ascoltava in silenzio i discorsi di sua madre sull’importanza del casato del suo futuro marito. Ad ogni sua timida obiezione, replicava che non avrebbe lasciato che un’antipatia da ragazzina inesperta le condizionasse la vita. E non erano tanto quelle parole a zittirla quanto lo sguardo gelido che le accompagnava. Aveva anche provato a cercare un’alleata nella sua anziana nutrice e dama di compagnia, ma in cambio non aveva ottenuto che una carezza e un sorriso di triste comprensione.
Ripensò al lungo periodo di preparativi, allora sua madre aveva deciso di mettere da parte del tutto la sua consueta alterigia mentre la conduceva con sé in carrozza per le strade fangose di Londra, come fosse un trofeo. Aveva passato più tempo con lei nei mesi che precedevano il matrimonio che in tutto il resto della sua vita.
Alla fine, si era ritrovata ad attraversare la navata di una chiesa gremita di occhi, tutti fissi su di lei, persa in un gigantesco abito dalla stoffa candida, conservando ancora una stupida e ingenua speranza, condensata in quella frase che le era stata ripetuta fino alla nausea,  “un giorno ti accorgerai di amare tuo marito e rimpiangerai questo tuo comportamento” . Scosse la testa per scacciare quell’immagine.

Il sole era già sorto ad illuminare la stanza e Maria, seduta sul letto con la schiena appoggiata ai cuscini, giocherellava nervosamente con una ciocca di capelli quando tre donne sconosciute entrarono con aria concitata. Le guardò per un attimo interdetta, poi si lasciò condurre fuori senza dire una parola.
Rimase assorta nel proprio silenzio mentre le facevano scivolare addosso una lunga e morbida veste bianca e prendevano ad armeggiare con i suoi capelli.

-Guardati.- le disse all’orecchio la donna più anziana in un inglese stentato mettendole tra le mani uno specchio ovale dalla cornice dorata.
Lo sollevò sforzandosi di mantenere la mano ferma e una donna sconosciuta, con i capelli raccolti ordinatamente in un velo leggero, dischiuse le labbra con aria sorpresa scrutandola dalla superficie riflettente.
Sorrise a mezza bocca in segno di ringraziamento mentre, in realtà, nel suo stomaco si apriva una voragine e, in un angolino della sua mente, prendeva corpo e diventava attraente l’idea di fuggire.

Si era già sposata una volta ma non aveva idea di cosa aspettarsi da un matrimonio arabo e scoprì con un certo sollievo che il suo ruolo non avrebbe richiesto molto impegno.
Entrò nel grande salone affollato accompagnata da un nugolo di donne, con gli occhi bassi e lo stesso spirito con il quale si preparava ad andare in battaglia. Poteva sentire tutto intorno a sé un vociare sommesso. Cipro era divenuta la roccaforte degli Assassini e quel matrimonio, celebrato a Limassol in segno di omaggio, non poteva che rappresentare un’attrattiva per la curiosità degli abitanti.
Fu quando portò gli occhi in quelli del suo futuro marito che tutto ciò che aveva intorno scomparve e quell’angoscia fastidiosa smise di stringerle lo stomaco. Vide le labbra di Altair piegarsi in un sorriso grato e sollevato mentre si stupiva al sentire la sua stessa voce che, flebile ma incredibilmente ferma, pronunciava un deciso “sì”.
 


Erano passati quattro anni e ancora, di tanto in tanto, la sua mente tornava a quella soleggiata mattina del 1193.
Aveva i gomiti appoggiati alla pietra bianca del balcone della sua camera e teneva lo sguardo fisso sul sentiero sdrucciolevole e ripido che conduceva al portone della fortezza di Masyaf quando una voce familiare la richiamò alla realtà. Si voltò ed entrò nella stanza.
-Darim!- esclamò piegandosi sulle ginocchia e tendendo le braccia a suo figlio.
Osservò il bambino che si stringeva a lei. Dalla prima volta che l’aveva tenuto in braccio le sembrava passata un’eternità. Aveva i suoi stessi occhi nocciola e, al di là della dolcezza tipica della sua età, rivelava il carattere taciturno e serio di suo padre.
Solo il fruscio della tenda aveva accompagnato l’ingresso di Altair. Maria sollevò lo sguardo al suo viso. Silenzioso come sempre, li contemplava assorto, con un’espressione indecifrabile.
Si alzò in piedi e lo raggiunse con un mezzo sorriso imbarazzato –Che c’è?- gli chiese.
 –Credo di non averti mai detto grazie.- rispose lui con naturalezza.
-Grazie?...E per cosa?-
-Per tutto questo.- disse indicando lei e Darim con un cenno del capo -Perchè hai scelto di condividere la tua vita con me.-
-Allora sono io che devo dirti grazie.- sussurrò Maria posandogli un bacio sulle labbra.
 






NOTE
-miele a volontàXD-

Mi ci è voluta una vita per scrivere questo breve (brevissimo) epilogo e vi chiedo scusa. Diciamo pure che i matrimoni non sono il mio forte, se poi ci aggiungiamo la totale assenza di ispirazione, il risultato è questo.
Ah, per quanto riguarda il matrimonio arabo, ne ho dato una versione personaleXD

Detto questo, siamo sul serio arrivati alla fine, perciò vi saluto e, soprattutto, vi ringrazio!

Grazie a tutti voi che avete recensito (vi adoro!).

Grazie mille a tutti quelli che preferiscono, ricordano, seguono, o anche cliccano per sbaglio sul link della storia facendo salire il contatore e mandandomi in brodo di giuggiole (?).

E, ultima ma non ultima, grazie a Lechatvert -grazie davvero per le spiegazioni e i consigli;)-.

Beh,
salute, pace e arrivederci miei cari!;)
 

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