La Rosa della Tempesta

di Amy Tennant
(/viewuser.php?uid=280193)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vento rosso alla fine del mondo ***
Capitolo 2: *** La canzone di chi non muore ***
Capitolo 3: *** La donna dei Tempi impossibili ***
Capitolo 4: *** Un fuoco freddo ***
Capitolo 5: *** Colei che piange per Lui ***
Capitolo 6: *** Mai più senza di Lei ***
Capitolo 7: *** Parte di Lui ***
Capitolo 8: *** La donna più importante dell'universo ***
Capitolo 9: *** Io sono il Dottore ***
Capitolo 10: *** Le diverse ombre in ogni cuore ***
Capitolo 11: *** Dei perduti amori ***
Capitolo 12: *** Il Male ***
Capitolo 13: *** I Se ***
Capitolo 14: *** La Memoria ***
Capitolo 15: *** I nomi dimenticati ***
Capitolo 16: *** Il fine ultimo di una vita I ***



Capitolo 1
*** Vento rosso alla fine del mondo ***


Il suono si confuse con quello del vento che ululava e parve solo un cupo lamento tra gli altri. Non lo era.
Era tornato. Tornato forse per l’ultima volta in quel luogo.
La porta blu si aprì sulla collina e lui uscì, investito da una folata che scompigliò i suoi capelli scuri e ribelli alzando il lungo soprabito che indossava come fosse un’ala. Nera.
Rispetto all’ultima volta sarebbe parso più alto, più sottile. Sembrava terribile, quando invece lì era stato infinitamente dolce, con lei.
Lì le aveva giurato d’amarla.
Aveva pianto, lei. Ma di gioia. Ora lui era sprofondato in un abisso di sofferenza senza lacrime.
I suoi grandi occhi, spalancati in un dolore profondo e lui stregato, in quel tramonto.
Il cielo si scuriva ma come non potesse del tutto.
La luce sembrava quella di una lampada antica su un muro annerito da un incendio passato.
Splendeva quasi dolcemente nel riflesso dell’acqua ma era fiammeggiante nel cielo arancione e cobalto insieme.
Il mare a precipizio davanti.
L’angelo nero aprì le mani con sforzo, come non volesse. Non voleva lasciarla.
Non l’aveva fatto, non l’avrebbe mai fatto. Era lei ad averlo lasciato solo.
Dolorosamente l'uomo fece scivolare tra le dita sottili la polvere grigia che volteggiò nel vento rosso che sapeva di fumo.  
Forse non fu, ma lui la vide brillare, sospesa nel suo ultimo volo. Non era diretta sulle stelle, dove l’aveva portata e tra le quali avevano danzato, lui e lei. Non era diretta da nessuna parte. Quel che lei era non esisteva più.
-          Addio, Rose…  – le sussurrò incredulo guardando il cielo di pietra sbriciolarsi in cenere.
Bruciava la città e le fiamme si allungavano tra le lune di quel mondo che stava morendo in un orrendo tramonto riflesso nelle sue iridi di specchio. Aveva scelto la fine di un mondo per seppellirla nel vento.
Ma era il mondo di Barcellona, dove l’aveva sposata.
L’ultimo signore del Tempo le aveva chiesto la vita su quella collina e le aveva consegnato la propria.
Sentì uno dei suoi cuori fermarsi e chiuse gli occhi sperando qualcosa che non poteva accadere. Il dolore lo stava spegnendo.
Non sarebbe morto però.
Non subito e non a quel modo.
Stava impazzendo, ogni musica finendo nel buio che gli si era aperto dentro.
Un buco nero che avrebbe divorato ogni cosa.
Perché se lei non poteva tornare da lui non doveva esistere il Tempo. Nessun futuro per nessuno.
Nessun mondo, se non poteva riportarla indietro.
La tomba di Rose sarebbe stata il Tempo stesso. E la morte il dono da accogliere con un sorriso. Lo stesso che stava rivolgendo a quella fine.
Il terribile sorriso della tempesta che quasi di colpo fece tacere il vento.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** La canzone di chi non muore ***


 
Erano in una nebulosa di polvere rosa e lo spazio scintillava, pur essendo immersa ogni stella nel buio più profondo. Il riverbero delle stelle le faceva pensare alla musica.
Sapeva che era dovuto a quel ricordo.
L'accordo del Tempo. Una volta Lui glielo aveva fatto sentire al di là di un silenzio apparentemente assoluto. La volta in cui erano stati più vicini, forse. L’aveva presa dolcemente per mano e aveva spalancato le porte sullo spazio. Incredibilmente.
-          Ascolta… li senti?
-          Sembrano sottili echi… - gli aveva detto ma guardando Lui e non al di fuori. Sentiva più forte di qualunque altra cosa, il battito del proprio cuore. Lui le aveva sorriso e quando sorrideva lei si incantava.
-          Quando ero giovane le stelle che vibravano erano le mie sirene – le aveva detto – ho rubato questa nave per poter toccare tutti i cieli che immaginavo.
-          E poi…?
-          E poi non sono più bastati. Quando quel che vuoi toccare ha ogni cielo possibile dentro i suoi occhi scuri – il suo cuore aveva di nuovo avuto una fitta dolorosa. Perché anche se lei non c’era Lui restava di quella donna.
Aveva viaggiato con Lui subito dopo che l’aveva persa, chiusa in un altro mondo.
Ma non era stato per sempre.
Non quella volta e a distanza di tempo si era chiesta se avesse accettato la sua lontananza sapendo in qualche modo che non era definitiva.
Ma Lei era morta, ormai. E non esisteva felice da nessun’altra parte.
Ora quel che stava guardando al di fuori delle vetrate era bellissimo ma infinitamente triste. In fondo, come era Lui allora.
Inutile da amare, nella sua indifferente delicatezza; quella avuta anche verso di lei.
Chissà cosa fissavano i suoi occhi centenari.
Il tempo si stava sgretolando e molti mondi erano crollati sulle ceneri del loro inizio collassando del tutto nel nulla. Lunghe crepe nello spazio si aprivano e inghiottivano il futuro e il presente. Ogni luogo esisteva in modi e tempi insopportabili e poi, scompariva.  
Ormai si sapeva cosa stava accadendo.
L’universo ferito si stava contraendo sanguinando il nulla.
Molte le canzoni su di Lui che erano apparse nei passati di tutti i tempi e di ogni mondo. Il suo dolore continuava a generare paura e pietà insieme, nonostante portasse distruzione.
Una di queste poesie era più bella delle altre e parlava di Lui attraverso di lei. La donna che continuava a cercare ovunque e che non riusciva a trovare.
La Rosa della Tempesta.
Chiamavano così la sposa del signore del Tempo e la memoria di quella donna era ormai perduta nell’odio per chi l’aveva amata.
In tutto l’universo avevano iniziato a sradicare e annientare quel fiore perché aveva assunto il significato della morte e del dolore più profondo. Ormai una rosa era qualcosa di raro.
In molte lingue il nome di quel fiore aveva lo stesso significato della parola “fine”. Il suo profumo l’avevano dimenticato quasi tutti.
Ma si diceva che da qualche parte Lui avesse piantato un rosa quasi immortale, blu brillante e profondissimo, il colore del lutto in tutto l’universo rimasto. La storia diceva che l’aveva nascosta in un luogo e in un tempo estremo perché nessuno potesse toccarla.
Ma restava davvero in Lui qualcosa che gli aveva fatto creare un fiore?
Sarebbe stata una speranza ma quella era solo una leggenda, una delle tante su di Lui.
La realtà era un dio freddissimo che aveva distrutto l’uomo che era diventato e che sbriciolava il Tempo con indifferenza per cercare di sciogliere un nodo fisso: la morte crudele della sua compagna.
Forse davvero, come diceva qualche poesia, Lui era troppo vecchio ormai per sopportare altra sofferenza. Perché aveva fatto cadere mondi, distrutto il proprio per salvarne un altro. Aveva illuminato il Tempo fino a quando Lei non si era spenta.
Ed allora era diventato il buio.
Martha Jones non riusciva mai a non piangere quando ripensava a Lui.
Perché invece lei era tra i pochi che poteva ricordare limpidamente quanto bello e dolce potesse essere lo sguardo del signore del Tempo. Lei lo aveva visto sorridere e ridere.
In uno dei passati che stavano rischiando di non esistere più.
 
 
La navicella attraccò nell’hangar della grande nave della flotta e il gruppo in attesa aspettò che i passeggeri uscissero. Due militari sostenevano un uomo con una certa difficoltà. Il comandante si avvicinò e dopo un cenno di saluto ai due, rivolse lo sguardo a colui che tenevano a braccio.
-          Eccolo finalmente  – mormorò. Dopo la distruzione completa della sua squadra, di lui si erano perse le tracce. Trovarlo era stata un’impresa. Sperava che almeno ne valesse la pena – dove lo avete raggiunto?
-          Era una stazione spaziale attorno a Kastal I. Uno dei nostri informatori lo ha incontrato per caso. Sembra che fosse interessato soprattutto a restare ubriaco per la maggior parte del suo tempo – il comandante sapeva. Bruttissima storia. Un altro uomo sofferente.
-          Anche se non sembra, viste le condizioni, vi assicuro che il capitano è un uomo di valore  – disse abbassando lo sguardo un breve momento - gli avete dovuto sparare?
-          E’ stato possibile portarlo qui solo da morto.
-          Immagino non ci fosse alternativa – il comandante guardò uno dei soldati – avete notizie del Dottore? – notò come sempre quella scintilla di paura che avevano tutti negli occhi quando lo si nominava.
-          No, nessuna. Sembra sparito.
-          Ma tutto sta continuando a cambiare – disse quasi fra sé. Fece cenno ai due di distendere l’uomo sulla barella. Quando fu lì, il comandante si chinò su di lui perplesso.
I suoi vestiti erano bruciati da almeno quattro colpi d’arma differenti. Si rivolse verso i due che lo avevano scortato sulla nave ed essi compresero il senso della sua domanda silenziosa.
-          Signore… abbiamo dovuto ucciderlo varie volte anche quando era a bordo  – il comandante annuì silenziosamente.
-          Beh, ora portatelo in infermeria e quando sarà perfettamente sveglio, conducetelo dall’Ammiraglio. Gli altri ospiti sono già arrivati.
Mentre la squadra medica si allontanava con l’uomo, il comandante pensò che a bordo della nave avevano già molti degli inquietanti paradossi frutto della furia del signore del Tempo. Ora si era anche aggiunto quello creato dall’incoscienza della sua compagna: l’immortale Jack Harkness.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** La donna dei Tempi impossibili ***


L’ammiraglio Keyala aveva indetto la riunione nell’enorme sala tattica. Nonostante ormai fosse nato e cresciuto in quella situazione paradossale, perché ormai la percezione di “assurdo” stava diventando evidente a tutti, non era riuscito a fare l’abitudine al pensiero di essere in guerra con quell’essere terribile. Non si era neanche abituato al fatto che in ogni tempo di ogni mondo, dovessero fare quella cosa ripugnante. Si chiese, per l’ennesima volta, se davvero i sogni che faceva sulla sua vita di insegnante di letteratura giapponese all’università, non fossero la realtà che gli era stata strappata. Era un combattente, uno stratega. Eppure sentiva di non essere al posto giusto. Da sempre.
Come tutti.
Quelle ferite alla realtà erano profonde, assurde. Ciascuno di loro si svegliava sempre più cosciente di essere un paradosso, uno sbaglio. Sempre più cosciente che mancava qualcosa ma si iniziava a dimenticare esattamente “cosa”. In quella sala, poteva osservare il prodotto della follia dolorosa del signore del Tempo. Era inutile negarlo perché sarebbe stato poco sincero e irrispettoso verso il coraggio che si facevano affrontando la situazione ma il Dottore faceva la peggiore paura concepibile.
Per questo quella situazione era ancora più disturbante. Si consolò perché guardando in faccia chi era lì, ed anche loro ebbe l’impressione che tutti stessero pensando la medesima cosa, guardandosi profondamente turbati. Era un buon inizio in una pessima situazione. Pur sempre qualcosa.
Quando si aprirono le porte, tutti rivolsero l’attenzione a chi stava entrando.
Il capitano Harkness era scortato, ammanettato, e tenuto fermo da due guardie. L’ammiraglio scosse il capo con un certo disappunto ma sapeva che sarebbe stato così. Per lo meno all’inizio.
Jack Harckness era l’unico sopravvissuto del tempo di un mondo spazzato via dal signore del Tempo. Aveva perso la sua squadra, aveva perso il Torchwood. Si era contrapposto a Lui con poca convinzione, vista la loro passata amicizia e proprio per questo tenuto all’oscuro degli ordini da eseguire.
Quando aveva preso coscienza della cosa era stato troppo tardi, non aveva potuto impedire ciò che altri componenti della sua squadra erano stati chiamati a fare.  Aveva così assistito alla reazione rabbiosa dell’angelo nero che aveva fermato tutti gli orologi tornando indietro sulla linea temporale di chi lo aveva affrontato, per fare esattamente quel che era stato fatto a colei era andato a riprendere.
Uccideva. Uccideva tutto. Distruggeva il mondo dove lei non poteva esistere.
Come fosse inutile.
Ma Jack era immortale e un paradosso. Un paradosso talmente insopportabile che di fatto era l’unico esistente e altrove  non era mai nato.
Per questo si era salvato, si sarebbe sempre salvato. Ma alla fine di quel mondo si era ritrovato prigioniero di una dimensione inesistente, nel vuoto. Ed era riuscito a passare in un’altra realtà solo dopo che una vicina si era squarciata per lo stesso terribile motivo.
Il capitano però si era arreso. Dopo chissà quanto tempo rimasto in una vita sospesa…
Voleva solo dimenticare di non poter morire.
E glielo leggeva negli occhi.
-          Bene, ora che ci siamo tutti… possiamo iniziare – disse l’ammiraglio e i presenti presero tutti posto, chi restando in piedi chi sedendosi al lungo tavolo – immagino che la situazione sia… difficile da sopportare e quindi iniziamo a dire che visti gli strappi temporali e la distruzione delle realtà… possiamo certamente discutere di passato e futuro senza questo costituisca un danno particolare. I tempi stanno cambiando in continuazione e il Tempo sta morendo.
-          Sta morendo anche Lui – chiunque l’avesse detto aveva usato un tono triste, stridente nel contesto. Jack si voltò verso la voce che conosceva e la vide: Martha Jones. Era rimasta la stessa dall’ultima volta. Ma non era la stessa Martha che aveva conosciuto. Abbassò lo sguardo stringendo le labbra in una smorfia sofferta.
-          Per chiunque non la conoscesse… vi presento la Dottoressa Martha Jones, ufficiale medico superiore della Unit in servizio preso l’ammiraglia della flotta Terrestre.
Visto il tempo nel quale si trovavano, la Martha che conosceva doveva essere morta da secoli. Jack trovò strano che ne esistesse una versione futura, anche in un altro universo. Ma tanto ormai i tempi erano confusi. Da quando era cosciente suo malgrado, Jack non faceva altro che pensare al Dottore, a come aveva visto i suoi occhi l’ultima volta che l’aveva visto.
Ciò che cercava di fare era terribile e stava annientando i tempi. Ma quel che subiva Lui era atroce. Jack non l’avrebbe permesso. Per questo era stato tenuto all’oscuro, fino alla fine.
Bisognava trovarla prima di Lui. Sapeva questo.
Non il seguito.
-          Quindi, dottoressa Jones è vero quel che si dice…? – Martha fu ferita dall’ansia positiva nella domanda ma proveniva da altrove, rispetto al suo tempo. Erano profughi di mondi paralleli, tutti insieme. Comprendersi sarebbe stato difficile, già lo si sapeva.
-          Sì, è vero. Ma lo è dall’inizio. Il Dottore ha contratto e mutato il morbo che ha distrutto Kares e tutti i mondi vicini – nella sala ci fu un certo mormorio – ora siamo tutti vaccinati e non è più una malattia mortale ma… lo resta per chi ha due cuori. Quindi non solo per i signori del Tempo. Sono però certa che stia lavorando ad una cura. E la troverà…  - aggiunse piano Martha
-          Se è malato aspettiamo che muoia allora!
-          Ma certo, che idea brillante! – qualcuno aveva risposto sarcasticamente - ora è più debole, forse. Rigenerato tornerebbe sano! Fantastico… davvero fantastico ! - ancora una volta Jack ebbe l’impressione di aver già sentito quella voce d’uomo. Cercò con lo sguardo qualcuno che conoscesse. Ne trovò molti. Ma nessuno lo aveva mai incontrato davvero.
Quando tra loro vide dei membri della sua squadra, sentì una stretta all’animo che gli fece fisicamente male, più di quello che provava ormai a morire a ripetizione.
Ianto, lì. Era troppo, anche per lui.
Inghiottì una saliva amara come il veleno mentre ricacciava le lacrime negli occhi.
-          Voglio qualcosa da bere – disse forte ad un tratto – questa situazione, da sobrio, è insopportabile!
-          Lo è per tutti, capitano Harkness.
-          In questa stanza ci sono presenti, passati… futuri. Ma non degli stessi mondi, non tutti, e tra qualche ora qualcuno tra noi potrebbe sparire improvvisamente e nessuno se lo ricorderebbe. Semplicemente perché mai esistito – disse l’ammiraglio.
-          È un abominio! – un mormorio d’assenso si diffuse per la sala. La paura era percepibile. Era innaturale stare lì e ne erano tutti profondamente disturbati.
-          A tutto questo tuttavia possiamo porre rimedio. Uccidendolo – Martha chinò il capo e chiuse gli occhi un lungo momento.
-          Questo non riporterà i tempi perduti in vita e così i mondi che ha spazzato via – Jack lo disse sarcasticamente. Gli sembrava tutto ridicolo e inutile. Anche stare lì immobile a sentirli. Vide che Martha Jones l’aveva guardato e per come l’aveva fatto improvvisamente ebbe uno strano dubbio. Ma era impossibile…
-          Jack, non sei stato portato qui a caso. Noi abbiamo bisogno della collaborazione di tutti ma ci sono alcune persone che in questo frangente hanno… un ruolo eccezionale. E tu sei uno di questi. Noi lo sapevamo. Qualcuno ci ha avvertito dal futuro, qualcuno che sapeva cosa sarebbe successo.
L'aveva chiamato per nome. Jack la fissò con una domanda negli occhi ma lei ignorò il suo sguardo.
-          Futuro, dice? Ma di quale linea temporale?
-          Quella della quale abbiamo un presente, un passato e un futuro ancora coerenti tra loro.
-          Ne esiste ancora una in queste condizioni? – erano tutti confusi, evidentemente. L’ammiraglio guardò Martha la quale rispose con un cenno di assenso.
-          Ci sono universi più vicini di altri. Non abbiamo più una linea completa ma due linee attigue. Compatibili. Due universi quasi uguali – disse l’ammiraglio.
-          Io vengo dal passato di uno di questi – disse e Jack la fissò con ancora quel dubbio negli occhi così tutti coloro che erano presenti nella sala - la Unit mi ha inviato nel Futuro dopo aver ricevuto un messaggio anonimo inviato dal passato.
-          E come è possibile?
-          Probabilmente chi l’ha inviato ha ritenuto che la dimensione passata fosse la più sicura per trasmettere un messaggio ad un presente parallelo.  A quanto pare in un certo momento, prima che tutto questo accadesse, l’universo è stato pieno di crepe.
-          Crepe?
-          Sì, ma per qualcosa che è stata già corretta e non ha più importanza – un’altra voce. Martha aggrottò la fronte perplessa. Lei e l’ammiraglio iniziarono a cercare con lo sguardo la persona che aveva parlato.
-          In ogni caso chi ha pensato una cosa simile aveva ragione. Il messaggio è arrivato con le indicazioni per consentirmi un balzo temporale relativamente sicuro – continuò Martha ancora perplessa. Qualcuno sapeva la causa delle crepe? Era impossibile.
-          Viste le condizioni dello spazio del tempo poteva finire ovunque… - disse uno dei presenti e Martha accennò ad un amaro sorriso.
-          Ho già fatto cose folli e valeva la pena rischiare.
-          E quindi il messaggio anonimo parlava di questo disastro? – Martha annuì.
-          Sì. Il messaggio era rivolto personalmente a me.
-          Beh, a questo punto posso anche dire che il messaggio l’ho inviato io – un uomo in giacca di pelle nera avanzò tra gli altri e Jack lo guardò con gli occhi sgranati.
-          Tu? – urlò stupito. L’uomo lo guardò perplesso.
-          Mi conosci…?
-          Certo che ti conosco…! Tu sei… il Dottore! – a quel nome tutti si alzarono e l’uomo con gli occhi chiari si ritrovò puntato addosso di tutto. Più di qualcuno sembrava tremare. Il tizio con la giacca di pelle alzò le mani e scosse il capo con espressione quasi più annoiata che preoccupata. Martha Jones avanzò tra tutti e gli andò di fronte guardandolo fisso.
-          Chi sei? – gli chiese aggressivamente. Lui rispose inclinando il capo perplesso.
-          Sono…il Dottore.
-          Il dottore chi?
-          Domanda che continuano a fare molto spesso – mormorò seccato. Fece un lungo sospiro – sono chi ti hai inviato il messaggio, anche se… non ti conosco e non so chi tu sia.
-          E come puoi avermi mandato un messaggio se non mi conosci?
-          Perché prima che potessi vedere ogni cosa farsi a pezzi, incluso il mio Tardis, ho ricevuto io un messaggio. Per te.
-          Quindi non sei stato tu a scriverlo?
-          Ma certo che no! – sbottò lui – ed ero impegnato in altro, ero… in guerra, signorina! Una guerra catastrofica, distruttiva… una guerra orribile ma non quanto quello che sta accadendo. Immagino che adesso nulla abbia la stessa importanza  – Martha lo fissava impietrita.
Aveva nominato il Tardis. E la guerra di cui Lui le aveva parlato. Abbassò l’arma che rivolgeva anche lei verso quell’uomo e lo guardò smarrita. Era Lui. In una rigenerazione precedente, qualcuno che non aveva incontrato. E che proveniva da qualcosa di diverso di una semplice linea temporale attigua, come avevano creduto. Lui le aveva spiegato che i Signori del Tempo erano tali ovunque. Aveva davanti agli occhi ilsuo passato. Forse l’unico incancellabile fin quando Lui restava in vita.
-          Fermi, mette giù le armi! – gridò – quest’uomo è il Dottore ed è una versione passata di chi stiamo combattendo. Non ha idea di quel che sta succedendo.
-          Diciamo che ho la stessa che avete voi – mormorò sarcastico abbassando le braccia. Attorno tutti continuavano a guardarlo terrorizzati. Ma l’espressione più tranquilla di Martha Jones fece rilassare  la maggior parte dei presenti. Non tutti però abbassarono le armi.
-          Costui è Lui nel passato? Quel mostro?
-          Allora uccidiamolo e smetterà di esistere!
-          Purtroppo non funziona così…
-          Grazie del purtroppo – aggiunse l’uomo ironicamente – e comunque è vero. Siamo in un paradosso temporale e ormai non funzionerebbe – aggiunse alle parole un terribile sorriso e più di qualcuno ebbe un brivido di paura.
-          Ha ragione – confermò l’Ammiraglio – di fatto, in questo momento… siamo tutti solo… presenti. E quindi anche… anche il Dottore.
-          Hai detto che il Tardis è stato distrutto?
-          No. Non è stato distrutto. Il Tardis odia i paradossi temporali e… semplicemente è morto – d’istinto Martha mise una mano sul braccio dell’uomo e lo guardò con triste comprensione. Gli occhi di lui infatti si erano fatti più lucidi ma un solo istante.
Erano gelidi, fermissimi. Colui che aveva davanti combatteva da chissà quanto tempo.
-          Come ha fatto a giungere qui? – chiese uno del gruppo.
-          Come ha fatto ad essere ammesso a questa riunione? – l’ammiraglio lo guardava stupito e inquietato.
-          Scommetto che hai usato quella tua ridicola carta psichica – borbottò Jack. Il Dottore del passato lo guardò.
-          Io e te ci conosciamo sicuramente.
-          Siamo addirittura amici, caro il mio Dottore! – l’uomo dagli occhi chiari lo fissò stranito e leggermente perplesso.
-          Amici? Eppure più ti guardo più mi fai venire i brividi…!
-          Me lo dici sempre – l’uomo fece spallucce come importasse davvero poco.
-          In ogni caso lui ha ragione. Abbiamo usato due carte psichiche e la qualifica di fisici temporali – Martha lo fissò interrogativamente.
-          Due…?
-          Sì, due. Ho scritto io il messaggio per te – la voce giovane e calma aveva zittito tutti. Si voltarono verso il tavolo. Era l’unico rimasto seduto.
Un ragazzo dai capelli lunghi vestito in modo ricercato ma originale. Aveva già notato il cravattino e le bretelle quando era entrato. Le era parso un tipo davvero strano.
Martha lo guardò negli occhi. Vecchi su quel viso, troppo vecchi. La sua espressione forse tradiva un’infinita stanchezza e una dolcezza di fondo che nascondeva prudentemente ma che era evidente per chiunque l’avesse conosciuto meglio. Proprio per questo Martha comprese che lo conosceva, perché la vedeva. E sebbene il colore delle iridi fosse più chiaro e lui più giovane e totalmente diverso, lo riconobbe.
-          Dottore…! - disse in un sussurro e gli occhi le diventarono lucidi.
-          Ciao, Martha Jones – le rispose accennando un breve sorriso e abbassando lo sguardo quasi timidamente.  Martha si fece largo tra tutti e lui si alzò in piedi. Senza esitazioni lei lo abbracciò forte poggiando il capo sulla sua spalla e stringendolo forte a sé.
Attorno un silenzio irreale. Si lasciarono, Martha si asciugò le lacrime ma vicino a lui cercò la sua mano e il Dottore la strinse, come tempo prima. Ma solo per un attimo.
Stringeva meno delicatamente, sembrava diverso. Lo era.
-          Signori…  – disse il ragazzo puntando il centro della stanza e mettendosi in mezzo a loro – io sono il Dottore. Il Dottore del Futuro, di un futuro diverso da questo e dove quello che accade non c’è stato.
-          In che senso?
-          Quando sono stato… insomma, quando sono stato Lui …  - ebbe un attimo di indecisione come per allontanare un pensiero sgradevole – non sono diventano un mostro. Ad ogni modo mentre risolvevo il problema delle crepe, perché è stato davvero un grosso problema e molto complicato… ho… visto cosa succedeva. Non del tutto ma ho capito che aveva a che fare con me e quindi ho inviato un messaggio ad un mio passato parallelo perché arrivasse… a te, Martha. Nel presente della mia decima rigenerazione impazzita – tutti lo guardarono perplessi. Aveva un tono spavaldo, risoluto. Persino leggero, visto il contesto.
Martha riconosceva il suo Dottore ma era differente. Ed ogni momento le sembrava fosse sempre più chiaro questo prima di ogni altra cosa.
-          Decima, eh? – il Dottore del passato fece una smorfia disgustata – devo stare attento a non farmi ammazzare presto.
-          Lasciamo stare. Essere Lui … è stato difficile  – disse il Dottore del futuro.
-          Dottore… tu, del futuro! Se hai scritto il messaggio vuol dire che hai chiesto che io fossi portato qui! Mi conosci? – chiese Jack con una certa ansia. Lo vide sorridere.
-          Sì, ho chiesto io di te e quindi Martha ti ha fatto… convocare. Tu hai incrociato la mia linea temporale in una realtà e quindi sì. Ti conosco, ti ricordo. E… mi fai venire meno brividi dell’ultima volta, Jack Harkness.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Un fuoco freddo ***


Il Tardis tremava e si lamentava. Si lamentava di dolore. Quel che stava succedendo faceva soffrire molto quella creatura che viveva di tutti i tempi contemporaneamente e il Dottore sentiva la sua sofferenza addosso, come un'eco nel vuoto. Era un pianto. Un pianto che era anche il suo.
Sembrava che persino il Tardis stesso comprendesse perché Lui l’avesse trasformato in una macchina paradosso. Non poteva fare altro per lui? Avrebbe allora distrutto la sua anima.
Si stava sacrificando, stava cercando di aiutarlo. Lo sentiva.
Era pur sempre il suo signore del Tempo. Anche se malato e disperato. Un signore oscuro.
Lei lo sapeva. Perché ormai stavano insieme da centinaia di anni. E sembrava risoluta a sopportare l’insopportabile, pur di restare con Lui.
La luce nella nave era poca, rossastra. Le stanze erano state archiviate, dimenticate. Era molto più piccola, al momento. C’era freddo ma sentiva sempre freddo, da quando aveva quella cosa addosso. Non importava. Non soffriva il freddo, come lo soffriva lei.
Quando Rose era lì, tutto doveva essere più luminoso e tiepido perché…
Semplicemente perché purtroppo lei era umana.
Umana, calda, dolce. La sua Rose.
Mortale.
Trattenne il respiro. I suoi occhi bruciavano, gli facevano male. Ma non quanto sentire il sangue di Rose Tyler inzuppare i suoi vestiti. Ancora una volta. L’ennesima.
Era lì. Ventidue anni.
L’aveva trovata e trovato il momento in cui poteva incrociare quel mondo in cui lei viveva e non erano stati insieme.
Era arrivato, uscito dal Tardis per cercarla e l’aveva vista per la strada.
Succedeva sempre perché doveva succedere. La incontrava subito.
Rose Tyler. Stavolta con i libri dell’università sottobraccio.
E per l’ennesima volta quando si erano guardati, apparentemente sconosciuti, lei si era fermata e gli aveva sorriso. Un momento che faceva dimenticare il dolore e tutto, quello in cui si specchiava di nuovo nei suoi occhi. Un momento sempre più breve.
Non aveva fatto in tempo a dirle una sola parola.
Qualcuno le aveva sparato. Davanti ai suoi occhi.
Le urla della gente attorno, Lui che neanche si curava di capire chi fosse stato e correva da lei, la sosteneva, la prendeva in braccio. La portava via con sé.
La colpivano sempre con armi del futuro caricate con proiettili che si aprivano dentro il suo corpo dilaniandola completamente. La facevano soffrire molto perché non moriva mai subito, ma troppo presto perché potesse tentare di salvarla. L’unica cosa che poteva fare era darle qualcosa per il dolore. Purtroppo quasi sempre restava un po’ cosciente e aveva il tempo di chiedergli “perché”. Poi lo lasciava sempre solo a chiederselo in un sussurro perenne, stretto a lei disperatamente.
Sembrava l’eternità ripetuta. Il loro “per sempre”.
Il dolore per Lui non diminuiva, aumentava. Come in una collana di perle nere sempre più lunga, così ogni singola volta che succedeva.
Rose non chiedeva mai dove fosse.
Neanche di qualcuno, di sua madre, di Mickey.
Quando si incontravano Rose sembrava ricordare chi fosse. Sembrava poter tornare da Lui per come era. Ma non vi riusciva.
Le stava vicino, sul letto della camera che era stata la loro insieme e stavolta pensò che forse era la più penosa. Perché era sveglia, perché aveva cercato la sua mano chiudendo le sue dita nelle sue e perché lo guardava fisso. Neanche gli aveva chiesto chi fosse, come lo sapesse.
Forse quella droga rendeva tutto simile ad un sogno.
Forse il dolore in sospeso le creava uno stato di quiete irreale. Ma questa volta tremava e non era ancora accaduto. Si distese accanto a lei e Rose lo guardò fisso, perfettamente cosciente.
Lui la prese del tutto tra le braccia avvolgendola nel suo soprabito e stringendola. Ormai Lui non piangeva più mentre succedeva.
Sapeva che aveva freddo. Era sempre troppo freddo.
-          Va meglio…? - le sussurrò dolcemente. Gli occhi di Rose erano abissi, quelli nei quali aveva perso tutti i suoi sogni. E prima vi trovava notturni oceani immaginari.
-          I miei libri… - forse era confusa. Stava morendo e pensava ai libri.
-          Stai tranquilla, sono qui, non preoccuparti.
-          Anche il libro di poesie di Emily Dickinson? – lui annuì accarezzandola – ti… piace la poesia?
-          Qualcosa. Tu studi letteratura?
-          Sì… a volte lo trovo tra le parole - lo guardò – io… ho un amico assente… - Lui tirò il fiato. Perché sapeva il verso ma lei non intendeva quello, lo sentiva.
-          Ed io… Avevo una stella in cielo
Una "Pleiade" era il suo nome
E mentre non ero attento,
Se ne andò…

Esitò un momento davanti al suo sguardo dolce ma continuò. Per lei.
-          E malgrado i cieli siano affollati…
E la notte intera un luccichio
Non me ne importa.
Da quando nessuna di loro è mia –
Rose l’accarezzò come avesse capito.
-          La conoscevi…
-          La conosco – le disse in un sussurro guardandola.
-          Resti qui con me? – gli chiese.
-          Io non ti lascerò mai.
-          Allora… posso dormire un po’… - lui annuì con gli occhi lucidi ma abbracciandola più forte. Lei gli sorrise. Un istante brevissimo. L’ultimo.
-          Dormi, Rose – le sussurrò accarezzandola mentre la vedeva spegnersi.
E già di nuovo la notte era dentro di lei lasciando Lui da solo sulla sua soglia.
Le baciò piano la fronte e si strinse a lei, quella volta come l'ultima prima e come sarebbe stato ancora perché lo sentiva.
Pianse.
Amaramente, per molto tempo.
Poi avrebbe distrutto quell’inutile mondo dove lei non c’era più. 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Colei che piange per Lui ***


Per l’ennesima volta era stato in un sogno sospeso nei rintocchi del Tardis, quei cupi rintocchi che scuotevano tutto come sinistre voci di pericolo in un mare di nebbia e che erano simili ad un pianto.
Tremava tutto, vibrava. Un rintocco era stato più forte, più profondo. Lo aveva come attraversato. Aveva spalancato gli occhi cercando di restare in piedi. Non vi era riuscito.
Era crollato su un fianco come fosse stato colpito e il suo gemito era stato sull’ultimo rintocco della nave. La luce si era fatta più calda. C’era stato un irreale silenzio.
Come tutte le altre volte aveva avuto gli occhi aperti ma il suo sguardo si era perduto altrove, ben oltre la luce rossastra della stanza.
Giaceva sul metallo eppure le sue dita erano state sfiorate dalla brezza e sentiva sul dorso delle mani i fili d’erba e la terra bagnata, odorare intensamente come dopo la pioggia. Era un luogo perduto, quello dove tornava quando soffriva troppo. Era nuovamente Gallifrey.
Aveva sentito addosso la brina sottile, gelida. Aveva sentito sulle labbra il sapore salmastro di una sera tremante e il vento scuotere le foglie color rame degli alberi, ancora accese nell’ultimo riflesso prima dell’ombra. Era quello, forse, che Rose qualche volta scorgeva nei suoi occhi quando gli diceva che vedeva la luce di un dolce e antico autunno, in Lui.
Eppure nessun ricordo poteva splendere come il riflesso di una primavera improvvisa. Era lei che giovane si specchiava in Lui, troppo vecchio.
Quando era davvero un ragazzo, il signore del Tempo si stendeva sui prati a pensare  e si sentiva in pace mentre la sua mente ambiva orizzonti diversi da quelli che conosceva. Non gli pesava essere solo. All’epoca era completo.
Ma la lunga vita e ciò che era accaduto, avevano modellato la sua anima rendendola diversa dall’inizio e più sottile. Talmente sottile e bisognosa di sostegno da farlo sentire spesso smarrito. Il tempo non poteva abbatterlo ma lo aveva reso più fragile.
E dolorosamente affilato, sempre più affilato, come quelle righe di roccia durissime, scosse dal vento.
Chiunque avrebbe avuto paura di Lui, guardandolo dentro; ma non un umano.
Gli umani che stava distruggendo in ogni tempo, lo avevano accolto tra loro quando era stato esiliato, quando era rimasto da solo. Era sempre stato amato più di quanto avesse chiesto.
Ma dopo la perdita definitiva del suo mondo, aveva incontrato una ragazza e trovato un’amica diversa dagli altri. Una donna che era stata una compagna in un senso nuovo.
E per qualche mistero, o un miracolo, per la prima volta era stato Lui stesso …
Umano. Fino alla soglia più estrema della sua diversa natura, quella che non lo faceva morire come colui aveva vissuto. Ma Lui ormai non viveva più; sopravviveva a sé stesso.
Nonostante tutto.
Era rimasto immobile in quel tempo in sospeso, con solo un battito a sostenere un respiro esitante, gelido.
E poi Rose.
In un sussurro vicino che aveva scosso il suo corpo tanto da convincere, per l’ennesima volta, il cuore fermo a riprendere a battere. Era l’istante in cui avrebbe preferito arrendersi ma non succedeva, perché quel corpo desiderava troppo e non si arrendeva. Ancora una volta i suoi occhi avevano perso il cielo stellato, ed era sparita la voce di Rose. Si era svegliato, freddissimo, dallo strano sogno di chi non dormiva.
Era nel Tardis.
Diventavano momenti sempre più lunghi quelli nei quali uno dei suoi cuori smetteva di battere e lui crollava a terra. Forse il tempo si stava sciogliendo, diluendo. Forse stava cambiando anche nelle sue ossa.
Se però non moriva era perché lei, da qualche parte, viveva ancora.
E questo fece scuotere il suo corpo; perché la rabbia ormai lo sosteneva. Una rabbia infinita, mescolata alla speranza disperata e più confusa che potesse concepire in quello stato.
Non riusciva più a trovare i confini tra l’una e l’altra cosa. Come tra Lei e Lui, quando erano insieme.
E se la gioia, l’amore e il piacere erano per lui Rose, ora Lui prendeva quel che poteva dalla sua assenza: l’angoscia, l’odio e il dolore. Ma niente faceva abbastanza male, purtroppo.
Allungò una mano tremante verso la consolle e faticosamente si alzò in piedi con un lungo sospiro, poi si specchiò nel riflesso metallico dei comandi.
Aveva bisogno di un solo momento.
Solo un momento e avrebbe ripreso dove aveva lasciato.
C’era vicino. Aveva trovato come impedire che un essere con due cuori morisse di quella malattia. Ma i due cuori del signore del Tempo erano un caso a parte, ancora una volta.
Era più forte, l’aveva mutato. Ma quella cosa lo stava uccidendo, lentamente.
E non poteva morire.  Avrebbe voluto ma non poteva perché non voleva cambiare, non voleva rigenerarsi in un altro. Quel corpo era la metà di quello di Rose.
L’aveva toccata, l’avrebbe ricordata anche se avesse perso la sua memoria. E forse per lo stesso motivo Lei lo sentiva ogni volta.
Ma l’avrebbe riconosciuto per molto?
Lui aveva perso il sorriso, aveva perso ogni dolcezza, aveva smarrito quella scintilla che lei intenerita chiamava sempre “stranezza”. Era l’ombra di quell’uomo.
Non era più, un uomo.
Per quanto l’avrebbe riconosciuto guardandolo dentro?
Avrebbe avuto anche lei, paura di Lui?
Ormai i suoi occhi scuri sembravano di neve nera. Calmi, come irreale notte.
Ma il signore del Tempo aveva dentro un muro d’acqua immobile, alto più del cielo.
Il suo viso gentile, il suo sembrare giovane. Un orribile inganno.
Era un muro immenso che camminava lentamente e che crollava sui mondi piano, come pioggia di cenere bianchissima, sfilacciando il tempo, tagliando ogni nodo…
Ridendo mentre piangeva. In silenzio.
C’era troppo silenzio nel Tardis, nella sua casa. Lei moriva dove facevano l’amore e Lui continuava a cercarla, continuava a provare. Perché la voleva e non poteva farne a meno.
Gli mancava il suo corpo, gli mancava l’amore fisico, gli mancava come mai era stato prima di lei e questo lo rendeva furioso. Perché la cercava di istinto e proprio quel corpo che non voleva cambiare ne era ossessionato. E la rabbia cresceva, il dolore diventava insopportabile e poteva essere superato solo da quello immediatamente percepibile. Per questo era giunto a prendere a pugni le pareti del Tardis fino a tagliarsi, scagliarsi contro le cose fino a farsi male. I corridoi della nave riecheggiavano delle sue grida nei momenti peggiori, quando tormentato da sé stesso e da un dolore cieco,  avrebbe fatto a pezzi quel suo corpo mortale perché tacesse, smettesse di chiamarla, così incompleto...
Era anche quella malattia, che l’aveva reso così eccitabile. Era anche quella che lo faceva bruciare e gli faceva perdere la testa. Ma non del tutto e lo sapeva.  
Rose lo aveva mutato. Aveva reso un essere freddo una creatura capace di passione. Ma forse non era quella la natura di un signore del tempo, non doveva essere così fragile e dipendere dal suo corpo e dal corpo di un altro. Rose lo aveva voluto, lo aveva preso, era stata uno con Lui. Lo aveva lasciato spezzato in due e si era portata via la parte migliore.
Si struggeva, si sentiva dilaniare al pensiero che la natura umana le fosse costata la vita. Non aveva mai pensato a come sarebbe stato per lei, essere come Lui; ma desiderato ardentemente diventare come lei.
A capo chino come molte altre volte ormai, quel tristissimo oscuro signore continuò ad aspettare invano che Rose gli facesse una carezza. Desiderava immensamente che lo toccasse ancora, che potesse aprire le sue labbra sigillate e fredde in un bacio profondo; era in attesa di lei, che le sue mani lo svegliassero da quel torpore freddo, apparentemente, come tante altre volte, come persino l’ultima.
Strani i suoi sensi, come incantati al suo pensiero.
Sentiva ancora l’odore, l’odore pungente che gli avvolgeva l’animo in un abbraccio tagliente, prima che i suoi occhi si chiudessero alla realtà ogni volta che per un po’ uno dei suoi cuori cedeva.
Le rose. Le rose erano belle anche quando morivano nei roghi dei mondi che lo odiavano, in fumi di nuvole bianche come pagine perdute, non scritte. Come tutti i tempi finiti.
Nessuna donna portava più il suo nome. Ed era giusto e sbagliato insieme perché, sebbene ripetuta altrove come una parola, era l’unica parola che poteva fermarlo.
Ormai Lui odiava il tempo, odiava l’universo in cui lei non viveva. Persino ogni suo respiro era più odioso del precedente; ed ogni cosa era distrutta dalla precedente in un circolo vizioso che era diventato quello del suo sangue.
Ma non poteva rassegnarsi al rimpianto di un uomo, lui non lo era. Era l’ultimo signore del Tempo, un signore del tempo che avrebbe dominato e vinto il destino perché niente poteva imporgli un dolore infinito. Lui era un dio.
… solo Rose conosceva il suo segreto.
Doveva finire il suo lavoro, cercare di trovare la cura. Intanto stava per arrivare il momento di provare nuovamente ad incontrarla.
E stavolta avrebbe fatto una cosa diversa, una cosa inaspettata.
Sarebbe stato due volte sulla stessa linea temporale di Rose.
Una cosa più estrema, un tentativo ancora più disperato. Inclinò il capo socchiudendo gli occhi un breve attimo, quasi per radunare delle forze che sentiva sfumare, poi mise la mano su una leva della consolle e la spinse giù. Le coordinate temporali erano stabilite, il varco stava per aprirsi.
Il Tardis emise un sordo rintocco, un gemito di dolore lunghissimo, mentre l’angelo nero pensava alla sua Rose. Ma nel terribile paradosso cui l’aveva costretta, Lei non piangeva per i mondi distrutti e il tempo ferito.
Ma solo per Lui.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Mai più senza di Lei ***


Jack Harkness fissava entrambi gli uomini che aveva davanti.
Il primo lo conosceva e ricordava benissimo. Sarcastico, indisponente e malinconico. Non avrebbe voluto averlo contro neanche per dieci minuti perché lui era un combattente terribile, e lo si sentiva d’istinto. Era però l’uomo che viaggiava con quella ragazzina bionda; che ne era preoccupato ed anche molto geloso; anche se non l’avrebbe mai ammesso.
Un uomo strano.
Ma non quanto l’altro.
La rigenerazione futura era apparentemente più giovane, a prima vista sembrava un ragazzino. Eppure si percepiva come molto più vecchio dell’altro e lo si vedeva.
Sembrava più freddo ed era la cosa che forse lo turbava di più. Turbava anche Martha, lo si vedeva chiaramente, che li guardava entrambi tacendo.
Il controllo del Dottore futuro sulle emozioni, su quello che lo circondava, sembrava più profondo delle rigenerazioni che Jack aveva conosciuto.  Non aveva ancora compreso se fosse solo apparenza. In fondo poteva essere cambiato così tanto?
Il giovane Dottore lasciava perplessi tutti persino la sua versione passata.
Si muoveva come dondolando, perso dai suoi pensieri per la stanza ormai molto grande per i pochi rimasti per quella riunione a parte. A capo chino, la mano tra i capelli e gli occhi semichiusi, come cercasse di escludere gli altri da quel che stava pensando, continuava a ragionare su una questione inquietante ma continuando a sembrare apparentemente tranquillo. Era proprio del Dottore, questo. Solo un essere assurdo poteva concepire di venire in aiuto del futuro trascinandosi in forza un suo passato per neutralizzare una sua versione presente.
Iniziava a non sentirsi più il paradosso peggiore.
Jack si toccò i polsi segnati dalle manette.
E ripensò alle mani ferite di Rose Tyler, lacerate da quella corda alla quale era rimasta incredibilmente sospesa durante i bombardamenti su Londra. Non avrebbe voluto farlo ma era stata un’associazione istintiva, forse dovuta anche alla presenza del primo Dottore che aveva conosciuto.
Ripensò a Rose Tyler che aveva ballato con lui.
Ancora una volta, pensando a lei, rivide come davanti a sé il Dottore che alla fine aveva conosciuto meglio, quello che la sua versione futura aveva definito come “rigenerazione difficile”.
Lo avrebbe definito diversamente. Era più allegro, più simpatico del precedente.
Aveva un temperamento più passionale. E sebbene sembrasse spesso agitato, si muovesse troppo velocemente e fosse egli stesso difficile da seguire quando decideva di fare qualcosa …  gli piaceva davvero molto.
Lo aveva incontrato proprio con Martha, la prima volta. Parlato di Rose e capito quanto gli mancasse. Lo aveva ammesso. Ma erano divisi per sempre, così gli disse con infinita tristezza. Eppure in lui aveva percepito un’irrazionale speranza, continuare a sostenerlo. E quando, nonostante le ragioni dell’universo, lei era tornata da lui, Jack aveva compreso pienamente che qualunque cosa provasse la versione precedente del Dottore nei confronti di Rose era nulla, rispetto a ciò che quell’uomo nuovo sentiva per quella ragazza.
Assistere alla loro riunione era stato commovente.
Si era sempre chiesto che sarebbe successo non fosse giunto in tempo proprio in quel momento in cui entrambi sembravano accecati dall’essersi rivisti. Aveva sparato al Dalek proprio mentre si correvano incontro, neanche si erano accorti di ciò che sarebbe potuto succedere se non dopo.
Si erano ritrovati su quella strada bagnata, in mezzo alle carcasse d’auto, in mezzo al disastro, come se non esistesse niente di così brutto attorno o altro.
Avevano corso insieme dopo tanto tempo. E quando si erano raggiunti …
… l’esitazione. L’esitazione di un attimo, appena prima quello toccarsi.
Rose l’aveva fatto per prima, con ansia. E lui preso la sua mano portandola al suo viso ma un istante, quello prima di abbracciarla e sollevarla di peso. E lui e Donna, nonostante la situazione fosse la meno opportuna, erano rimasti a guardarli mentre entrambi ridevano, anche se sembrava stessero piangendo. Quando l’aveva lasciata non aveva sentito che cosa avesse detto lui a lei ma poteva immaginarlo. Dopo quelle parole Rose l’aveva attirato a sé risoluta e lui l’aveva stretta quasi disperatamente.
Era stato il bacio più bello che avesse visto, un bacio desiderato e rimasto in sospeso per troppo tempo. Scambiato nel momento peggiore possibile.
Se non fosse arrivato in tempo probabilmente uno dei due sarebbe stato ucciso da quel Dalek. Probabilmente.
Era un pensiero che lo faceva andare fiero, l’essere stato in un certo modo custode di quell’istante di felicità assoluta. In tanti anni, Jack non aveva mai conosciuto l’amore se non una volta. E perso tragicamente, proprio come il Dottore aveva perso Rose.
Il pensiero di Rose Tyler uccisa a sangue freddo davanti ai suoi occhi lo faceva sentire male. Ed era incredibile, nonostante tutto.
Non lo odiava.
Aveva distrutto il suo mondo ma non lo odiava.
Forse perché quel mondo perduto per lui non aveva più senso. E un po’ comprendeva la furia di quell’essere tanto simile, per certi aspetti, ad un dio.
Un umanissimo fremito d’impazienza invece, sembrava scuotere il Dottore del passato. Il suo nervosismo e la sua eccitazione erano addirittura inquietanti davanti alla calma apparente della sua rigenerazione futura.
-          Potremmo cercare di chiarire un po’ la faccenda?  – disse impaziente sollevando gli occhi chiarissimi al soffitto  – io detesto restare con le mani in mano. Non è da me!
-          Ah, potrebbe diventarlo – obiettò la sua versione futura guardandolo con un sorrisetto.
-          Che intendi dire?
-          Che rigenerazione che viene, usanza che trovi – tutti i presenti guardarono il Dottore del futuro molto perplessi – ok, va bene. Avevo sempre desiderato dirlo ma lo farò mai più – mormorò il giovane aggiustandosi il cravattino come nel tentativo di darsi un po’ di contegno.
-          Sei terribilmente strano – disse il Dottore del passato e puntò i suoi occhi gelidi in quelli caldi del suo sé futuro – ma… abbiamo avuto di peggio.
-          Ma non peggio di una rigenerazione impazzita.
-          Già – concluse amaramente il Dottore del passato.
Il Dottore giovane lo guardò appena un attimo.
Jack pensò che questa rigenerazione non guardava fisso per molto tempo, diversamente da chi lo aveva preceduto. Era un uomo complesso da capire.
Perché non voleva farsi comprendere.
Martha invece era trasparente. Anche troppo.
Dalla prima volta che l’aveva vista aveva compreso quanto fosse legata al Dottore. Più che legata. Si vedeva da come lo guardava che ne era innamorata perdutamente. Martha era una donna bella e straordinaria e qualunque uomo avrebbe ricambiato il suo amore, la sua infinita dedizione.
Per lui, per un anno intero, aveva viaggiato per il mondo e rischiato la vita.
Una volta Lui glielo aveva raccontato. Di quanto fosse stata eroica Martha Jones. Pensò che se anche il futuro Dottore aveva chiamato lei, doveva essere stata tale in tutti i mondi in cui lui e lei si erano incontrati.
… ma ancora non aveva compreso da quale passato provenisse.
-          È davvero giunto il momento di mettere un po’ d’ordine – disse il giovane Dottore con espressione pensierosa  – solo che… non so quanto la definizione di ordine sia calzante, vista la situazione.
-          Ci accontenteremo – disse Jack e il Dottore con gli occhi chiari lo guardò perplesso. Lo squadrava sospettoso da quando erano rimasti solo loro in quella stanza. Certo la persona più inquieta sembrava l’ammiraglio. E così i responsabili della sicurezza – se nessuno ha niente in contrario vorrei fare la prima domanda: da quali mondi e passati proveniamo?
Martha lo guardò un attimo e poi rivolse gli occhi al giovane Dottore del futuro. Degli occhi che cercavano di vedere in lui, l’altro che aveva conosciuto.
-          Beh, come ha detto prima Martha, proveniamo da linee attigue, praticamente identiche. Salvo che per particolari apparentemente di poca importanza. Particolari fondamentali. Se cioè confrontassimo le nostre storie, quelle che ci vedono avere momenti in comune, troveremmo stessi luoghi, stesse situazioni ma… piccole differenze. In altre linee temporali le differenze possono essere enormi.
-          Dottore, io faccio parte di una linea temporale comune a qualcuno di voi?
-          Sì, Jack. Alla mia – disse Martha – so che l’avevi capito. Te l’ho letto negli occhi, prima – Jack scosse il capo.
-          Se tu sei della mia… - mormorò – il tuo mondo è stato distrutto da Lui…  – lei annuì tristemente – tutti coloro che tu amavi, la tua famiglia, ogni cosa è stata…spazzata via dalla sua furia.
-          Non è mai esistito nulla. Neanche provo dolore, purtroppo – aggiunse in un sussurro. Non lo provava per quello. Lo provava per Lui.
-          E come è possibile?
-          Semplicemente perché è stata sfilata dalla sua linea temporale e quindi è diventata concretamente presente qui ed ora, nel futuro. Ma parte del suo passato si è come dissolto, disgregato. Non quello che però ha a che fare con Lui – il Dottore del Futuro guardò Martha. Ma solo un attimo.
-          E come mai? – chiese l’ammiraglio.
-          Semplicemente perché la mia esistenza nello spazio e nel tempo è un po’ più… complessa, articolata. Jack… tu, ad esempio… teoricamente sei esistito come gli altri fin quando non è successo… ecco, sai cosa. Poi… sei stato decisamente troppo. Insopportabile.
-          Grazie!
-          Ah, lo sai che intendo! E comunque ora puoi esistere in un luogo soltanto: quello in cui il Dottore ha distrutto il primo mondo. Sei rimasto incastrato in una dimensione e basta. E ci sono nodi nel tempo ma tu… ! Tu sei una vera e propria matassa! – il Dottore del passato guardò Jack prima perplesso e poi sorrise. Quel sorriso inquietante che ricordava bene e che spesso non coinvolgeva gli occhi. Anche quella era apparenza.
-          Ragazzo, tu mi sconvolgi ma potresti piacermi! – disse a Jack.
-          Ah, grazie! – rispose – anche per… il ragazzo…  - aggiunse con un sorriso accennato.
-          Potrei comunque sapere che cosa è ti è successo? – gli chiese e poi rivolse lo sguardo freddo al sé stesso ironicamente più vecchio. Il Dottore del futuro abbassò gli occhi per primo.
-          È… stata lei.
-          Lei chi?
-          … Rose Tyler – mormorò e finalmente Jack sentì nella sua voce una certa esitazione. E la sentì anche Martha. Le fece male per l’ennesima volta nonostante tanto tempo – l’avevi allontanata, l’avevi rispedita sulla Terra con il Tardis perché… perché stavi per morire, stava per finire tutto nel peggiore dei modi, forse. Lei invece… ti amava – il Dottore con gli occhi chiari si era irrigidito e il giovane gli aveva sorriso con comprensione, come se l’aspettasse.
-          Lei e io…?
-          No. Lo hai capito allora, ne sei stato sicuro in quel momento quando è tornata da te – Jack vide gli occhi gelidi del Dottore tradire una forte emozione. Un’emozione strana in quel contesto. Lui aveva detto di non avere conosciuto ancora Rose Tyler, nel suo universo.
-          Com’è tornata indietro? – chiese in un sussurro.
-          Ha aperto gli occhi del Tardis, Dottore.
-          Co… cooosa? – fu allora che Jack non poté trattenere un sorriso istintivo piegando il capo. In quel momento era stato identico al Dottore che aveva conosciuto. Per un momento; a chi non c’era più. E il sorriso diventò una smorfia di dolore. Martha vide e comprese ogni cosa, continuando a tacere. Il confronto tra due versioni dello stesso uomo e di un uomo per il quale aveva provato dei sentimenti molto forti, era per lei straniante.
-          Stupida ragazza, stupida! – ringhiò il Dottore passato – è stata folle, è stata…
-          È stata fantastica, le hai detto questo – un breve sorriso del Dottore futuro tradì quanto quelle parole gli fossero appartenute – e comunque, con il potere del vortice del tempo … ha deciso di ridare la vita a chi era morto. Lui – indicò Jack – ma essendo umana…
-          Non ha controllato il potere e lo ha reso immortale – il Dottore passato completò la frase e lo guardò sinceramente colpito – ecco perché mi fai venire i brividi, certo.
-          Donna non comune, Rose Tyler – aggiunse il giovane Dottore. Ed era strano vedere il Dottore del passato turbato, persino spiazzato. Restò in silenzio per un lungo momento. 
-          Rose Tyler…  - ripeté l’altro Dottore – è però lei che ha fatto di me un distruttore di mondi?
-          No, non posso crederlo – disse il giovane Dottore con voce sospesa – in ogni caso tu non fai parte di questa linea. Lui è ineliminabile dalla mia vita e dalla tua ma… siamo legati a lui in modo complesso. E diverso, io e te.
-          In che senso?
-          Significa… che io sono stato una versione diversa di Lui. La mia decima rigenerazione non diventerà quella che sta annientando l’universo e…  Tu… Lei, non l’hai neanche mai vista.
-          Non è neanche detto che l’avrebbe incontrata – aggiunse Jack. Il Dottore futuro scosse il capo.
-          In teoria hai ragione ma in pratica… è successo qualcosa che ha reso questo incontro ineliminabile e addirittura necessario, alla mia vita. Qualcosa che è avvenuto qui e ha fatto Lui. Questo folle. Qualcosa che non potrà mai essere cambiato, diversamente da altro. E lo sento.
-          Il tuo tono lugubre non promette niente di buono – disse il Dottore passato. L’espressione della sua versione futura era stata indecifrabile.
-          Signori… la realtà dei fatti è complessa e devo dire che più se ne parla più la cosa finisce per turbarmi – le parole dell’ammiraglio erano condivisibili. Tutti si sentivano confusi, lo era anche il Dottore solo che forse non lo avrebbe mai ammesso; non del tutto – cerchiamo di chiarire almeno… chi siamo ora. Io non ho ancora compreso, Dottore, la questione delle realtà vicine…
-          Dei futuri attigui e del presente stabile intende – precisò il Dottore futuro.
-          Sì, come vuole lei ma… Dal suo punto di vista quindi ora siamo in un futuro… di una linea temporale attigua?
-          No, siamo in una linea temporale stabile ed è diverso.
-          Stabile! Siamo sottoposti ad una continua sollecitazione. Si aprono varchi, cambiano storie, mondi interi si lamentano e poi muoiono. Anche parlare di stabilità sembra un paradosso – l’ammiraglio scosse il capo.
-          La colpa è di quel pazzo che sta annientando l’universo – mormorò risentito il Dottore del passato.
-          Certo, la colpa è di quel pazzo – ripeté il giovane Dottore – ma… vorrei sapere cosa è successo, cosa lo ha fatto diventare in questo modo. Deve esserci una spiegazione.
-          Dottore, io lo so in parte – disse Martha.
-          Ed in parte anch’io, purtroppo – aggiunse Jack che poi si rivolse direttamente all’ammiraglio – signore, perché non dice al Dottore che cosa è successo? Dall’inizio, non solo l’ultima parte del racconto.
-          Lei sa meglio di altri cosa è successo, capitano – la voce dell’ammiraglio tradiva tensione. Entrambe le versioni del Dottore ebbero la medesima espressione dubbiosa negli occhi ma quelli chiari del Dottore passato tradirono gli effetti di un’eventuale considerazione poco pacifica.
-          Spiegatemi tutto – il giovane Dottore si sedette nuovamente al tavolo intrecciando le dita delle mani. La versione passata invece restava come inchiodata al posto che aveva preso all’inizio.
-          Prima che possiate direi altro io avrei una richiesta – disse il Dottore passato. Lo guardarono tutti interrogativamente – probabilmente qui sono l’unico a non aver mai visto né Lui né… Rose Tyler. Vorrei capire di chi stiamo parlando, se non vi spiace.
-          Niente di più facile. Anche se avrei preferito non farlo – mormorò l’ammiraglio che premette dei pulsanti su dei comandi sul tavolo.
Dal centro della stanza scese un grande cilindro trasparente. All’interno iniziarono a correre delle scintille di polvere luminose che lentamente si composero in due corpi. Due corpi che assunsero le fattezze di chi era stato nominato.
Un uomo giovane e una ragazza. Jack notò come più di qualche incaricato della sicurezza aveva tradito nervosismo, alla loro vista. L’ammiraglio stesso cercava di non guardare Lui.
Tutti i presenti videro che il Dottore del passato visibilmente turbato davanti a loro. Jack invece notò che la rigenerazione più recente aveva posato lo sguardo altrove, come non fosse interessato a quel che già conosceva. Ma ormai stava capendo che era un modo per non emozionarsi troppo.
La vista di sé stesso prima, insieme alla donna che aveva amato, non potevano essergli indifferenti. Ma poi si chiese se anche nell’altro futuro il Dottore avesse provato per lei le stesse cose.
Quando il giovane chiuse gli occhi un momento, ne ebbe la certezza.
Come capì quel che pensava Martha, gli occhi incollati a quelli dell’immagine di lui.
Il Dottore del passato però sembrava sempre più sconvolto. Aveva guardato lui ma ogni tua attenzione era stata da subito concentrata sull’immagine di Rose.
-          Perché… lei mi fa questo effetto? – sussurrò.
-          Cosa senti…?
-          Di… conoscerla. E non l’avevo mai vista.
-          Lo immaginavo… è proprio come dicevo – disse il Dottore del futuro. Jack e Martha si guardarono perplessi – lui ha fatto qualcosa per legarla a sé… a sé per sempre. E qualunque cosa succeda, qualunque cosa si possa fare per questo universo… questo non cambierà mai più.
-          Rose Tyler…  – l’uomo con gli occhi chiari la guardava stupito.
-          Dottore… a questo punto mi chiedo se noi non sappiamo più di te – disse Jack. Guardandolo negli occhi da vicino e più profondamente, Jack capì che davvero, ma fino ad un certo punto, era lo stesso uomo che aveva conosciuto in due precedenti vite.
-          Jack…
-          Dottore…
-          Dottore, tu e Rose siete marito e moglie – lo disse Martha. Lo disse in un fiato. Aveva voluto dirlo lei, dirlo lei ad ogni costo. Jack la guardò e Martha abbassò gli occhi. Anche davanti al turbamento del Dottore giovane che forse avrebbe voluto parlare, dire qualcosa. Ma le parole si erano fermate sulla soglia delle sue labbra. Scosse il capo invece e poi si coprì gli occhi con una mano.
-          Oh… certo sì…! Dovevo pensarci!  Dovevo capirlo prima, stupido vecchio Dottore! – disse amaramente lisciando il ciuffo lungo dei capelli – ecco spiegato tutto, ogni cosa.  Non moglie in senso umano…! Le ha dato il suo segreto, lei sapeva ! - fece un lungo sospiro ma guardò l’immagine della ragazza, per un momento. Parve farsi infinitamente triste.
L’altro Dottore sembrava aver preso la notizia in modo diverso. Immobile guardava Rose Tyler come se l’immagine di quella ragazza avesse potuto rispondere alla domanda che le faceva silenziosamente.
-          Ditemi come è morta – disse in un sussurro. E rivolse lo sguardo all’altra immagine lì presente, quella che incuteva paura a tutti e lo si vedeva da come era guardato fisso, come se avesse potuto davvero diventare quel che sembrava, diventare vero. Diventare ciò che temevano i mondi.
Il Dottore pensò che era davvero un’ironia terribile essere diventato letale con quel nome. E con quell’aspetto più giovane, più svagato. Un uomo che sembrava ben diverso da un guerriero o un mostro.
-          Lui… si è ammalato – disse Martha – non sappiamo esattamente come ma si è contaminato ed è parso subito grave, incurabile. Sembrava non ce la facesse ed invece si è ripreso. Ma non come pensava ed infatti… sta morendo.
-          Sì, lo avete detto prima.
-          Lei, che gli era rimasta accanto in quel momento … si è contagiata.
-          Ma non era disponibile il vaccino?
-          Sì ma non per quella forma – Martha abbassò lo sguardo – non posso dirne molto al riguardo, queste malattie procedono diversamente da quelle umanamente conosciute. Io so solo che lui ha mutato la malattia, lei l’ha contratta e…
-          Povera ragazza – sussurrò il Dottore del passato e Martha capì che le sue parole sarebbe state altre. Altre davvero, se i suoi occhi erano parsi cambiare colore. Anche se tragico fu per lei bello rivedere in lui il riflesso della tenerezza di chi aveva conosciuto.
-          Se però il Dottore va per i mondi a cercarla, a prescindere da quel che fa… sparge quella peste che si porta dietro! – disse Jack preoccupato.
-          L’ha neutralizzata invece. Non è contagioso. Non per chiunque non sia della sua specie, almeno. Il vaccino… sappiamo che l’ha ideato lui. L’ultima cosa che abbia fatto per il genere umano e non solo – Martha lo guardò tristemente – e nonostante tutto avrebbe salvato anche Rose se… - esitò. Esitò perché era quello il motivo di tutto.
E lui, loro, non sapevano nulla.
Martha abbassò lo sguardo e tacque. Entrambi la guardavano fisso, in entrambi ormai riconosceva gli occhi che aveva lui.
Era troppo. Le veniva da piangere.
Quello non fu lei a dirlo.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Parte di Lui ***


 
 
Rose poggiò il capo sul suo petto e lui le baciò i capelli accarezzandola dolcemente. A volte gli sembrava molto piccola. E si stupiva di ripensare a lei come faceva prima di cambiare, come faceva quando i suoi occhi erano diversi. Ma a volte lei sembrava quasi cercare rifugio e protezione da lui e questo gli faceva una tenerezza infinita. Come in quel momento.
-          Cosa c’è? – le chiese. Lei lo aveva abbracciato improvvisamente e lui aveva smesso di armeggiare sulla console del Tardis per stringerla. Rose sorrise, continuando ad ascoltare il battito dei suoi cuori –  sei… strana – la scostò un po’ da sé per guardarla con espressione serena ma curiosa – Rose…?
-          Pensavo…
-          Interessante! – sorrise scherzoso e lei alzò il mento con aria sdegnata – e cosa pensavi?
-          Che tu mi hai reso simile a te – sussurrò lei.
-          Ah bene! Ti sto “perfezionando”, allora…! – Rose gli diede un colpetto su una spalla con espressione offesa e poi lo accarezzò sul viso e lui pensò che era bellissima in quel momento, particolarmente bella. Lo erano i suoi occhi – Rose… - lei si sollevò sulle punte e gli sfiorò le labbra scherzosamente.
-          Adesso io sono come te – gli disse con tono sicuro. Lui la guardò stupito e dubbioso. Lei rise della sua espressione. Gli prese una mano e la portò al suo petto e poi la fece scivolare sul suo ventre. Lui la accarezzò e la guardò più serio. Rose sorrise, un sorriso che non avrebbe mai più dimenticato – sono come un signore del Tempo: io ho due cuori, come te – gli sussurrò e lui spalancò gli occhi schiudendo le labbra e le rivolse uno sguardo smarrito, turbato. I suoi occhi si fecero subito più lucidi e lo erano anche quelli di Rose guardandolo.
-          Co… cosa…? – mormorò esitante – tu…?
-          Oh sì… - disse Rose e lo vide e sentì tremare davanti a sé e poi sorriderle, sorriderle mentre le lacrime scendevano dai suoi occhi.
-          Io… tu… - lei annuì sorridendo – ma…allora è… possibile…!
-          Sì, lo è! – disse Rose allegramente – avremo un figlio…! O figlia … cosa preferiresti?
-          Qualcuno che ti somigli – le disse con un velo di voce.
Lei sapeva perché fosse sconvolto, così tanto sebbene fosse felice insieme. Sapeva che era accaduto, che cosa aveva perso. Glielo aveva raccontato.
-          Tu… sarai padre ed io… avrò un altro bambino capriccioso da tenere a bada, oltre te – lui rise – e…sarà meraviglioso – gli sussurrò. La accarezzò piano, in un silenzio dorato come la luce che li avvolgeva. Poi lo vide assottigliare lo sguardo e sorridere. Aveva assunto una strana espressione, divertita e curiosa insieme.
-          Può anche darsi che quel che hai detto prima non sia esatto… - mormorò. Rose lo guardò sorpresa.
-          Io sono sicura di… - lui scosse il capo sorridendo.
-          No, no… può darsi che tu in questo momento sia decisamente in vantaggio su di me e che… tu abbia ben tre cuori, Rose Tyler – lei portò le mani alla bocca e iniziò a ridere e così lui stringendola a sé.
 Chiuse gli occhi. Forse sapendo che esisteva, sarebbe riuscito a percepire qualcosa dentro di Rose.
Cercò in lei e la trovò, per la prima volta. Nella mente, come una scintilla. La loro.
E sorrise felice. Perché sentiva chiaramente quanto già somigliasse a Rose.
 
Il signore del tempo stava piangendo.
Il dolore era in un silenzio diverso da quello che restava in sospeso su quei momenti fra lui e Rose. Era il nulla. Taceva ma Lei lo sentiva urlare, urlare come altre volte, come troppe altre volte. Percepiva ogni tempo, ogni cosa, come rivoltata, deviata, sbagliata e Lui sovrastare tutto come non sarebbe dovuto essere. Lo ascoltava ripetersi che la morte sarebbe stata un sollievo a quel punto ed era la sua tentazione. Forse l’avrebbe raggiunta, forse era quello il modo giusto per tornare da lei. Forse non c’era modo e morire era solo addormentarsi nel buio.
E poi ancora quella terribile forza d’animo che teneva in piedi un essere provato fino allo stremo ma non abbastanza, non ancora. Un accanimento umano in Lui, qualcosa che sembrava aver preso proprio da Rose. Terrificante, in un signore del Tempo.
Il Tardis decise ancora una volta di non seguire il piano stabilito. Lui aveva bisogno di fermarsi in un posto.
Prima di ogni cosa lo avrebbe portato da colei che unica poteva ancora abbracciarlo, lei che non aveva paura di Lui perché qualcosa li legava insieme, qualcosa che era importante e misterioso. Incompleto, forse. Ma la cosa più forte che lo trattenesse alla vita.
Lei, per lui unica; come il mondo in cui lui l’aveva portata.
 
***
 
Martha guardava il Dottore del passato seduto vicino ad una vetrata della sala mensa. Immobile, con lo sguardo fisso sulle stelle. Le faceva una pena infinita e la faceva anche a Jack.
Era rimasto stupito dall’atteggiamento del Dottore futuro.
Quando gli avevano detto perché Rose Tyler era morta, il Dottore aveva reagito in due modi molto diversi ed era stato quello il momento in cui si era per lui chiarito fino a che punto potessero essere la stessa persona.
Qualcosa si perdeva, qualcosa cambiava, qualcosa si guadagnava.
Restava la memoria di chi era stato prima, a volte i sentimenti. Ma proprio questi mutavano intensità, colore, modo di farsi sentire. La rigenerazione era la morte del precedente uomo, questo ormai era chiaro. Ma non quella della sofferenza provata da chi era stato.
-          Rose Tyler era incinta – le parole dell’ammiraglio avevano sconvolto il Dottore del passato che si era rivolto istintivamente verso la sua immagine. Era parso limpidamente a tutti che i suoi occhi fossero diventati più lucidi. I suoi lineamenti, irrigiditi nello sforzo per non tradire fino in fondo i suoi sentimenti. Alle stesse parole, il Dottore del futuro aveva stretto le dita delle sue mani e poggiato piano la fronte su di esse. Era rimasto in silenzio per un po’.
-          Beh, questo spiega molte cose – aveva alla fine detto con tono gentile, sereno. Quasi distaccato -  il bambino era in parte signore del tempo ma... forse ancora debole, forse in parte umano… tentando di difendersi dalla malattia l’ha… aggredita…
-          Esattamente non lo sappiamo. Voi signori del tempo siete un mistero… - Martha lo aveva aggiunto dolorosamente ma il Dottore futuro non l’aveva guardata.
-          Quindi è possibile concepire… - lo aveva detto quasi si fosse trattato di una riflessione scientifica. Martha però aveva compreso il senso delle sue parole. Il Dottore che conosceva ne era stato stupito, visto che esseri umani e signori del Tempo erano potenzialmente difficili da tenere insieme, in molti sensi. Una volta le aveva detto che pensare ad un signore del tempo in parte umano sarebbe stato una follia.Un paradosso estremo.
Ma davvero le parole del Dottore del futuro erano distaccate come sembravano. In realtà a Martha fu evidente che il dolore di quell’uomo, più vecchio, aveva perso le lacrime e sembrava quasi rassegnato.
-          Rose morì per la sua ostinazione. Volle fare di tutto per salvare suo figlio.
-          E lui…? Lui non tentò di riportarla alla ragione? – il tono del Dottore del passato era parso angosciato, persino  d’accusa verso quel sé stesso folle che avversava d’istinto.
-          Fece di tutto ma non sentì ragioni. Lui era molto debole, decise di tornare sulla Terra per un po’ con lei che intanto sembrava essersi ripresa ma improvvisamente …  
-          Sciocca ragazzina, perché …? - aveva sussurrato il Dottore del passato abbassando lo sguardo ma poggiando una mano sulla gabbia trasparente del sembiante artificiale di lei. Una mano che quasi parve volerla accarezzare ma che subito staccò da lì per poi stringere al corpo, a testa bassa.
Martha era l’unica, con Jack, che sembrava riuscire a provare ancora pietà per il dolore immenso che aveva fatto impazzire il signore del Tempo. E quello che si era sommato aveva fatto di lui un mostro.
Gli avevano dovuto raccontare perché aveva iniziato a rovinare l’universo.
Di come avesse concepito l’idea di raggiungere Rose in altri mondi, ed a questo punto il Dottore del Futuro era rimasto colpito dai tremendi risvolti che ciò potesse avere, minimamente stimati da un sé stesso folle. Il Dottore con gli occhi chiari invece aveva continuato ad ascoltare in silenzio. Di come fosse impazzito dal dolore, di come avesse concepito l’idea assurda di ricominciare da capo con lei. A quel punto, per impedire il disastro, erano stati inviati nel tempo molti membri dell’agenzia del Tempo e del Torchwood, attraverso ogni dimensione, per raggiungere Rose Tyler e in caso il Dottore fosse riuscito a trovarla, ucciderla.
Il Dottore aveva distrutto la Terra di tutti gli universi in cui era successo e gli altri pianeti avevano iniziato a tremare, perché per passare da una parte all’altra, per spezzare i confini tra un universo e l’altro, lui intanto viaggiava, si fermava. Appariva, come visione infernale, in tutti i tempi.
Era così iniziata la moria delle rose. E quando Lui si accorgeva che le distruggevano per paura, dava loro quel che temevano perché quello scempio non fosse stato inutile. Lo faceva quasi con la leggerezza di un bambino crudele. E intanto sembrava non sentire più nulla.
Intere pagine di storie, su di lui. Da ogni parte. Il Dottore del futuro aveva scorso velocemente ogni notizia disponibile  mentre gli veniva raccontato delle ultime volte che era successo. Analizzava ogni dato a sua disposizione freddamente.
Il Dottore del passato invece aveva taciuto tutto il tempo e ad un tratto lasciato la sala riunioni prima degli altri. Lo strano giovane vecchio che sarebbe stato, aveva fermato gentilmente gli uomini della sicurezza suggerendo loro di non mettersi tra quel Dottore e una porta. Non in quel momento.
Gli avevano dato ascolto senza molte discussioni.
-          Lui sente questa storia diversamente da me. Sebbene non gli appartenga. Perché è lo stesso uomo che lei ha conosciuto e la sente vicina come non sentiva nessuno da ormai tanto tempo.
-          E tu, Dottore? – Jack glielo aveva chiesto e lui risposto con un breve sorriso – io ho già vissuto la mia storia, come Lui e con lei. Per me è diverso – ma forse non lo era quanto diceva.
Quel Dottore mentiva spesso. Lo sentiva d’istinto.
Lo sentiva anche Martha. E così mentre il Dottore futuro continuava la sua analisi e ricerca personale su tutto quello che riguardava la vicenda, loro si erano presi un attimo di tregua. Anche per parlare.
Parlare di quel che era stato, di quel che avevano diviso. Era stato pur sempre un mondo che non esisteva più. Eppure lì, qualunque cosa avessero pensato di ricordare era svanita.
Il Dottore passato aveva colpito la loro attenzione.
-          Credo che per lui sia davvero molto difficile, forse più che per tutti noi – disse Martha guardandolo malinconicamente. Jack abbassò lo sguardo, il piatto davanti intatto.
-          Sono certo di sapere che cosa stia pensando lì, in silenzio – lei annuì.
-          Sì… credo di saperlo anch’io.
-          Ed avete sicuramente ragione – si voltarono entrambi verso la voce calma del Dottore del futuro. I suoi occhi erano lucidi e in quel momento forse, tradivano maggiormente quel che aveva in animo. Certamente doveva averlo colpito, scoprire di essere diventato una leggenda terribile. Ammetteva il senso di colpa e lo smarrimento per qualcosa che non aveva fatto.
Si sedette vicino ad entrambi e incredibilmente, prendendo davanti a loro il vassoio del cibo che non avevano quasi toccato, iniziò a mangiare. Lentamente, pensieroso. Ma senza rivolgere un altro sguardo  al sé stesso futuro. Jack e Martha si scambiarono un’occhiata.
-          Hai… scoperto qualcosa? – chiese Jack un po’ esitante.
-          Beh… Su Kaledos sono bravi con i simpgrammi estici e le rime su di me sono molto piacevoli, nel suono. La fila di maledizioni che mi rivolgono è così musicale che quasi sembrano lodi – disse incurvando ironicamente le labbra in quello che non era esattamente un sorriso – pensavo invece, paradossalmente, a quanto il dolore e la paura generino bellezza, in voi umani.
-          Bellezza? – Martha lo guardò stupito. Lui annuì.
-          Siete meravigliosi. Lui sta annientando l’universo in cui siete sparsi, ha distrutto la Terra chissà quante volte e… quel che esprimete per Lui, più di qualunque altra specie… è comprensione. Pietà. Paura, dolore, odio… sì, ovviamente ma… la sua storia, nelle vostre opere è una triste follia d’amore e Lui… poeticamente terribile – abbassò lo sguardo e sorrise. Tristissimo. E allora parve loro similissimo all’altro sé passato, chiuso in un silenzio doloroso e solitario.
Lo era anche il suo, sebbene avesse trovato un’altra forma.
Martha lo circondò teneramente con un braccio e poggiò il capo su una sua spalla. Lui sorrise, riconoscente. Jack pensò che ammetteva tutto il bisogno di essere amato che l’altro sé aveva espresso con tanta passione per Rose Tyler.
-          Dottore… io non sapevo cosa facessero a Rose. Quando fui inviato con la mia squadra in quell’altro mondo pensavo che si dovesse impedirgli di… - abbassò lo sguardo, lucido – ti prego di credermi, Dottore.
-          Lui ha ucciso chi era importante per te e tu mi chiedi di crederti?
-          Ad un certo punto anche il dolore è mutato in altro, forse peggiore ma ... ormai non importa. Non ricordo neanche quanto sono rimasto in sospeso, in tutti i sensi; anche quando riuscii ad uscire dal vuoto – il Dottore del futuro scosse il capo.
-          Non merita il tuo perdono, Jack – disse durissimo – e questo a prescindere da ciò che sia successo.
-          No, ti sbagli – insistette Jack – io l’ho compreso. Lui in quel momento ha perso il senno!
-          Non doveva succedere, non può succedere… non a me! – sussurrò tagliente e scostò il piatto davanti guardandolo fisso.
-          Infatti è successo a Lui e non a te.
-          Sono pur sempre io – disse amaramente il giovane. E ci fu un attimo di silenzio. Di comprensione reciproca. Ne avevano bisogno tutti.
-          Non penso che rivedrò mai qualcosa di più terribile dei suoi occhi. Almeno lo spero – disse ad un tratto il capitano.
-          E te lo auguro anch’io, Jack… ma tu avrai una lunghissima vita. Certo, se tutto questo alla fine non crollerà miseramente sbriciolandosi tra le sue dita – il Dottore fece un lungo sospiro e Martha lo lasciò piano, continuando a guardarlo. Perché così vicino, in quel momento, davvero le sembrava Lui. Come era, prima di impazzire. E questo la confondeva. Lui lo sapeva, per questo aveva sentito quel distacco strano, tra loro. Era rispetto, verso di lei e dei suoi sentimenti non freddezza – come ha potuto… distruggere il mondo dove aveva trovato rifugio, amici… lei?
-          Qualcosa di strano stava accadendo anche prima… certo, ce ne siamo resi conto con il senno di poi – lo guardò stupito.
-          Spiegati meglio, Jack.
-          Vedi… Sarah Jane, purtroppo… era venuta a mancare, improvvisamente. Così la madre di Rose e… Mickey scomparve nel nulla. Lo cercammo ovunque e con ogni mezzo. Lo fece anche lui. Non lo ritrovammo mai. Sembrava che attorno a loro, si stesse formando un vuoto. Lui lo sentiva ed anche Rose … e ciò nonostante tornavano spesso sulla Terra perché mancava ad entrambi.
-          Era la sua casa, in fondo – aggiunse il Dottore. Lo era davvero. L’ultima rimasta.
-          Io credo che se ci fosse stato più rispetto per il suo dolore… - accennò Jack. Il Dottore lo guardò stupito.
-          Che intendi dire?
-          E’ stato a causa del… Silenzio – il Dottore del futuro scattò come una molla. Visibilmente impallidito.
-          Cosa…? – sussurrò con voce tremolante – il… Silenzio? – Jack annuì.
-          Sì, è una sorta di setta religiosa con molti adepti, ormai.
-          Sembra siano comandati da una donna, una donna terribile – Martha fece un’espressione disgustata.
-          Sì, davvero ripugnante – aggiunse il Dottore.
-          Non direi – disse Jack indeciso. Ma tacque vedendo i loro sguardi.
-          I seguaci del Silenzio sono uniti nell’odio per il Dottore – disse Martha.
-          E potrei pure capirlo…
-          Ma esistevano prima che tutto questo succedesse! Sono molto numerosi, potenti. Sono anche qui perché… seguono il Dottore per i mondi e i tempi. Il loro scopo è ufficialmente sconfiggere la paura, Lui. Ma qualcuno sostiene che i loro scopi sarebbero altri.
-          Vogliono il DNA del signore del Tempo, lo so – li spiazzò entrambi. Allora sapeva.
-          Succede anche nella tua linea temporale?
-          Sì ma in un senso … diverso… - il tono fu strano e ancora una volta il Dottore abbassò lo sguardo da quello di Jack e lui comprese che la storia era molto più complessa ma forse non li riguardava in quel momento – ditemi, qui cosa hanno fatto…?
-          Quando Rose è morta… l’hanno presa.
-          Come?
-          Non è morta sul Tardis. Erano… con qualcuno sulla Terra, quando è successo.
-          E quando è successo lui era in condizioni molto difficili, non è riuscito a reagire del tutto. Credo volessero rapirla…
-          Perché lei era incinta e volevano il bambino – disse il Dottore.
Un’altra donna, un altro figlio. Decisamente più interessante per i loro scopi. Lo videro cadere in un pensiero profondo, rivolto probabilmente a ricordi di avvenimenti che non conoscevano e molto diversi. Martha si chiese se però il fatto che Rose aspettasse un figlio da Lui potesse per fare una differenza nel valutare il fatto in sé. Non sembrava.
-          E quindi lui…? – chiese loro di continuare.
-          Lui è andato a prenderla.
-          Da solo?
-          No, non da solo.
-          Allora a questo punto… credo di capire con chi fosse quando Rose è morta – Jack annuì.
-          Con il suo aiuto è riuscito a riprenderla e… poi sai la storia.
-          Io sono partita dalla linea temporale prima che tutto questo accadesse – disse Martha – li… avevo lasciati felici, insieme – lo aggiunse con una sincera tristezza per quel che si era perduto e il Dottore, ancora una volta, fu riconoscente a Martha e alla sua forza d’animo.
-          Martha, io non sapevo esattamente cosa avrei trovato qui ma solo che stava accadendo un disastro e per colpa mia. Mi dispiace, mi dispiace davvero…  – lei lo fermò con un gesto della mano.
-          Io sono qui per aiutarti. Ma…Dottore, io vorrei dire che… sto studiando la malattia, quella che ha ucciso Rose e che tormenta Lui e credo che il suo comportamento sia stato anche influenzato da questa.
-          Soffre molto? – le chiese. Martha abbassò lo sguardo.
-          Sì, soffre molto – disse Jack – credo che siano state una somma di cose che lo abbiano… - il sorriso del Dottore del futuro gelò entrambi, un sorriso amaro.
-          Voi lo giustificate. E’ incredibile… ! Dopo tutto questo… è incredibile davvero - rivolse lo sguardo in fondo alla sala, sul sé stesso passato – lui… è travolto da eventi non ancora accaduti e da quel che sente e attorno ecco la confusione peggiore che potessi immaginare! Siete… spaesati, disorganizzati. In mezzo a voi anche i terroristi religiosi, come davvero fosse un dio da distruggere! – alzò lo sguardo  e fece un lungo respiro scuotendo il capo – è impressionante, lo ammetto. Impressionante davvero. Un rompicapo. Ed io sono l’unico che riesca a mantenere un minimo di controllo, in questa faccenda – quasi rise ma quel che ebbe per tutto fu un sorriso terribile.
-          Dottore, noi…
-          No, Jack, no. Credo… che ci sia solo un modo per cercare di rimettere le cose a posto e non so fino a che punto. Sono d’accordo con l’ammiraglio: bisogna ucciderlo.
-          Come puoi pensare di uccidere te stesso? – disse Martha con gli occhi lucidi.
-          Perché è la cosa giusta da fare e tutto questo è uno sbaglio enorme! – disse esasperato e ad alta voce. Più di qualcuno si voltò a guardarli e dal fondo anche il Dottore del passato rivolse gli occhi verso di loro – certo uccidere cento volte una ragazza è stato più facile che provare ad uccidere Lui! Ma… ora ha contro me ed io sono terribile almeno quanto Lui e … più vecchio. Rose Tyler deve smettere di morire al posto suo… Lui deve essere fermato e lo fermerò! – il tono era stato calmo ma deciso e l’istinto da combattente di Jack gli aveva fatto avere un brivido.
Perché in fondo sapeva che il Dottore era la creatura più pericolosa dell’universo e forse colui che aveva davanti, apparentemente più freddo, sarebbe stato potenzialmente capace di una ferocia più controllata e razionale dell’altro sé, divorato invece da una passione umanamente distruttiva.
Quel Dottore era molto meno umano. Poteva essere la loro salvezza.
-          Jack – disse il Dottore futuro – ho bisogno che tu mi dica una cosa – Jack annuì – hai per caso avuto in custodia… una mano? – Martha lo guardò sconvolta e anche Jack. La domanda era assurda, incoerente con il resto.
-          Una … mano?
-          Ma cosa dici, Dottore?
-          Sì, sì – disse nervosamente parandogliela davanti – una mano. Una sua mano, però.
-          Assolutamente no! – disse Jack perplesso.
-          Ok…  - mormorò il Dottore. Poi li guardò entrambi – ora la domanda più importante dell’universo. E non sto scherzando – lo fissarono con ansia – dov’è… Donna Noble?

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** La donna più importante dell'universo ***


 
Il Tardis atterrò da solo e lo fece piano, nonostante tutto. Il suo signore era accasciato sulla consolle, non doveva cadere a terra di nuovo, non doveva farsi ancora più male di come se ne fosse fatto.
Era quel che poteva fare, visto che non poteva toccarlo o parlargli ma solo ascoltarlo.
E lui le parlava. Quando delirava parlava a Lei chiedendole di Rose, le parlava chiedendole di rispondergli sapendo che non lo avrebbe fatto. E sopportava i suoi pugni, le sue mani feroci contro se stesso e la furia incontrollabile nell’eccitazione malata. Poteva solo avvolgerlo nella penombra e tenerlo come tra le braccia, sperando si calmasse anche se accadeva solo perché era stanco. Nessuno sapeva che il mostro delle leggende accarezzava le sue pareti, dopo averci sbattuto contro. Non le faceva alcun male ma le chiedeva perdono come non lo chiedeva all’universo che stava uccidendo o all’ultimo mondo perduto; ma forse si scusava con Lei perché era scusarsi con tutto il tempo.
Per i corridoi, quando restava a terra e piangeva, sempre poggiava una mano su di Lei per cercare conforto, per cercarla. Ma si trovavano, sfiorandosi appena, solo in momenti strani e spesso nella sua incoscienza.
Lui non poteva sapere quanto Lei sentisse in Lui la mancanza di Rose.
E l’altra mancanza, quella per l’altra donna che lui amava.
Dicevano che non avesse nulla di speciale a prima vista. Non era eccezionale in nessun senso e l’aveva detto anche Lui. E poi compreso che aveva torto.
Perché qualcosa aveva sentito, e la vita del signore del Tempo era legata alla sua da un mistero estremo. Era qualcosa che non comprendevano, che non si spiegava; ma lei era parte di lui in altro modo rispetto a Rose.
Destinata a qualcosa che era necessario accadesse. Almeno una volta da qualche parte.
Ma ciò che era, ciò che sarebbe stato e quel che era necessario che fosse, così come tutte le parole non ancora dette, risuonavano confuse dentro i tempi mescolati dalla follia del Dottore e il Tardis poteva solo tacere su ogni cosa.
Soprattutto su quel che non esisteva.
 
Quando il lieve sussulto lo scosse dal suo torpore doloroso, il Dottore rivolse gli occhi al monitor e capì dove si trovava. Non dove doveva essere ma accennò ad un lieve, amarissimo sorriso e fece una carezza alla leva dei comandi, scorrendo la mano su tutta la consolle, continuando a sostenersi ad essa.
-          Grazie, ragazza… - le sussurrò con quello che dentro gli restava della dolcezza e la tenerezza. Lei non rispose, se non scaldando un po’ la luce perché si svegliasse ancora un po’ da ciò che somigliava poco al sonno e molto alla morte.
Con un lungo respiro, si rimise dritto sentendo ogni muscolo dolere tragicamente e tutto essere difficile. Ma nessuno lo avrebbe piegato, anche se quelle mani sottili erano più sottili e così lui stesso; anche se era ridotto così male da non avere il coraggio di guardarsi per non pensare a come l’avrebbe visto Rose la prossima volta.
Lei che lo aveva amato due volte in due uomini diversi, ne avrebbe forse incontrato un terzo. Il più terribile.
 
Quando uscì vide che Lei lo aveva portato direttamente oltre i muri alti e i cancelli spalancati alle doverose visite dei sopravvissuti alla morte. C’era odore di terra umida, come sempre in quel luogo.
Il cielo splendeva chiaro, era primavera in quel momento e forse il sole era caldo ma Lui non lo sentiva. La brezza soffiava sulle sue mani e bruciava. Non riusciva a curare le ferite perché il suo male lo faceva guarire lentamente. Poiché non poteva curarlo, Lei l’aveva portato lì perché Lui in quel luogo soffriva di meno ed apriva gli occhi, invece di chiuderli troppo a lungo.
Ed era vero. Era sospeso, quasi perso nel riverbero dei riflessi acquosi dei vetri smerigliati dal tempo che lo circondavano, dall’odore di fiori secchi e freschi insieme. Le sentiva, sopra ogni altro, le rose. Tante rose. E farfalle bianche dalle ali arrotondate, un po’ ovunque mentre tra i rami di alcuni alberi vi era già l’ombra della prossima fioritura.
Era quello il luogo, nonostante tutto, nel quale poteva accorgersi che esisteva ancora la bellezza. E che lo combatteva resistendo perché Lui, che distruggeva ogni cosa, le era nemico, anche se non avrebbe mai voluto.
Sapeva dove andare, conosceva la strada nel dedalo di sentieri tra prati, torrette merlate di cappelle che sembravano piccoli castelli in rovina e alberi maestosi, vivi prima che i campi diventassero cimitero.
Passò davanti a colonne grigie mangiate dal tempo, a lapidi bianche lucidate dalle piogge di decenni e a molti angeli piangenti, che davvero sembravano coprirsi il viso più per la paura di Lui che altro. Solo a loro infatti aveva rivolto uno sguardo profondissimo e pensieroso, ma consapevole che lì fossero solo pietre.
Incrociò gente disperata e rassegnata, vide qualche sorriso triste.
Tutti lo guardarono perché era bello e dolente.
Una donna anziana si chiese quale dolore sentisse perché ne sembrava stordito. Con pena guardò quegli occhi stanchi e malati, che la sfiorarono appena in uno sguardo veloce. Pensò che probabilmente era un giovane marito che aveva perso la moglie. Ma in lui, perché era quel che le era successo, percepì misteriosamente la sofferenza di chi aveva perso anche un figlio. Davanti alla tomba del suo, morto molto tempo prima ormai, la donna pregò per quell’uomo distrutto dal dolore e per coloro che aveva perduto, inconsapevole che si sbagliava solo su una cosa: Lui non era giovane.
L’angelo nero non l’avrebbe mai saputo ma per lui vi fu più di qualche pensiero che aveva avuto ancora pietà.
 
Giunse dove doveva e vide che lei era lì. Doveva essere lì, perché altrimenti il Tardis non l’avrebbe portato dove ad attenderlo c’era solo la tomba di una donna che non era mai stata tale.
E i suoi occhi si rivolsero alla lapide semplicissima. Accarezzò quel nome: Rose Tyler.
Poi la guardò.
Il tempo era passato in modo diverso per loro e quella donna sarebbe potuta sembrare sua madre. I suoi capelli erano ancora rossi, qualche filo bianco sulle tempie e la pelle chiara segnata da sottili increspature. In fondo il trascorrere degli anni con lei era stato gentile. Per lui non sarebbe stato importante e spesso aveva detto a Rose che l’avrebbe amata anche da vecchissima. Lui lo era.
Ma ciò che significava invecchiare per un umano era diverso. Sfiorivano per poi appassire, per poi lasciarlo solo. I suoi occhi oscuri la guardarono con quella terribile angoscia sul fondo, un’angoscia che vide riflessa in lei per altri motivi; lei che aveva sempre gli stessi occhi.
Donna lo fissava trattenendo a stento il pianto.
Perché non lo vedeva da tempo, perché non sapeva da quanto, visto che lui viaggiava e non conosceva i momenti che nella spirale temporale avrebbero permesso il loro incontrarsi. Ogni volta poteva essere l’ultima. Ogni volta era più tardi. Il pianto però non era solo per quello.
Lui, davanti a lei. Non sembrava più vecchio ma era infinitamente sofferente. Così solo.  
Gli venne incontro e con esitazione tese una mano verso di lui, come avesse paura di toccarlo. Lui comprese e abbassò lo sguardo restando immobile ma quello di Donna non era timore nei suoi confronti, solo assurda paura di potergli fare male. Lo capì quando gli accarezzò il viso dolcemente con un sorriso tristissimo.
Donna pensò che non lo aveva mai visto con la barba. I capelli impossibili erano sempre gli stessi invece e glieli scostò dalla fronte come avrebbe fatto con un bambino. Lui socchiuse gli occhi perché da tanto tempo nessuno lo toccava e lei era gentile, calda. Lei era l’unica persona che potesse ricordare chi fosse davvero, prima di ogni cosa.
-          Ciao, uomo dello spazio – gli disse mentre una lacrima scendeva sulle sue guance. Lui si sforzò di sorriderle e un po’ vi riuscì.
-          Sei sempre molto carina, Donna Noble – le sussurrò dolcemente. E per un attimo parve lo stesso. Un attimo solo.
-          Sei sempre il solito… ormai so di essere una vecchia signora!
-          Sei una ragazzina, ai miei occhi – disse in un sussurro. Donna abbassò lo sguardo anche per come la guardava. Era sincero, lo sapeva. Ma lei avrebbe voluto incontrarlo prima. Ora aveva più di sessant’anni.
-          Lei ti ha portato da me, non è vero?
-          Sì… avevo bisogno di te. Purtroppo… ho poco tempo.
-          So anche questo.
-          Come lo sai?
-          Non lo so. Io ti sento – Lui fece un altro lieve sorriso - e ho sentito che dovevo venire qui, oggi – gli disse fissando i suoi terribili occhi scuri come non lo fossero. Lui le prese la mano e la strinse nella sua. Chiunque avrebbe rabbrividito ma non lei. Lei vedeva davanti a sé un ragazzo. Un ragazzo sofferente. Donna sentì come fossero ancora più sottili le sue dita e lui pallidissimo e freddo – non l’hai ancora trovata, non è vero…?  - mormorò affranta.
-          Né la cura né Rose – le rispose. Donna pensò che anche la sua voce le era mancata.
Come vedere i mondi, viaggiare insieme, come sentirli ridere; Rose e il Dottore.
Ancora una volta vide i suoi occhi posarsi sul nome. La donna che non c’era mai stata. Non lì.
-          Viene sempre qualcuno per lei? – le chiese l’ennesima volta. Donna annuì.
-          Io vengo sempre – lui abbassò lo sguardo – poi… i suoi genitori e suo fratello...
-          …Tony?
-          Sì, come nel mondo della tua Rose …  – lo vide chiudere gli occhi un momento come per soffocare qualcosa. Dolore fisico o voglia di piangere per lei. Forse entrambi, ancora una volta.
-          Mi chiedo… qui, come sarebbe stata – la lasciò e si inginocchiò davanti alla tomba della bambina. Nove anni – l’ho incontrata molte volte, Donna – lei abbassò il capo. Sapeva che cosa voleva dire. Per questo era distrutto.
-          E lei… ?
-          Lei era sempre la stessa, sebbene non lo fosse stata la sua vita fino a quel momento. Sempre la meravigliosa ragazza dal sorriso abbagliante …
-          L’hai sposata è tua moglie e ormai lo sarà in tutti i mondi.
-          Lei sa la risposta alla domanda. Non è un’altra Rose è Rose. Per questo la cerco – la guardò. Guardò Donna con occhi fermi ma non freddi, non c’era freddezza per lei. Anche tra le macerie dell’uomo che aveva tentato di essere. La sua mano accarezzò la pietra liscia della tomba – non potrò resistere per molto… non riesco a vederla morire sempre … - lo disse in un sussurro sofferto. Lo aveva ammesso.
-          Non posso chiederti di arrenderti e di rigenerarti. Non so neanche come tu faccia ad essere ancora vivo…
-          Se mi rigenero… io morirò, Donna – l’uomo che era. Perduto per sempre. Ma non era già perduto?
-          Ma potresti salvarti cambiando
-          Non voglio.
-          Lo so.
-          Sono ancora io perché cerco Lei – disse stanco.
-          E non ti fermerai… sarai tu, fino alla fine  – il tono di Donna era rassegnato. Consapevole che tutto stava precipitando nel nulla ma che sarebbe stato molto oltre la fine della propria vita. Il tempo la riguardava in modo diverso.
-          Lei è mia, Donna. I miei sensi, quel che resta di me… tutto dice che lei è mia…  – il tono di voce fu lugubre e bruciante insieme. Troppo passionale, troppo estremo.
Forse per questo, per molto tempo, avevano cercato di non toccarsi. Perché Rose e il Dottore insieme bruciavano ogni cosa. E lui non era un uomo.
-          Vorrei che trovassi la pace…  – disse abbassando lo sguardo.
-          Io voglio trovare Rose – si era alzato in piedi e allora aveva visto i occhi suoi scuri brillare. Di quella luce che restava in fondo al buio che ormai sembrava lui stesso.
Molte volte si era trovata a chiedersi come sarebbe stato il Dottore senza Rose e si era risposta che lei c’era stata perché fosse più umano. Ma che lo fosse diventato voleva anche dire tutto ciò che stava accadendo ed era terribile.
In tanti anni Donna aveva avuto modo di pensare a ciò che era successo, di vivere la sua vita, quella che aveva avuto in quel luogo dove lui l’aveva lasciata dopo aver distrutto il loro mondo. Era stato ricominciare altrove nel migliore dei modi ma con il cuore a pezzi e da sola. Il Silenzio aveva tolto tutto anche a lei e c’era più nulla, purtroppo. Tolto a lei come prima a Rose.
A Rose e al Dottore non era rimasto nulla sulla Terra se non la Terra stessa.  
La casa di Donna, la sua famiglia, era diventata la loro.
Morta Rose, distrutto tutto… restavano Lui e lei.
Con Lui, aveva rischiato di morire, per aiutarlo a riprenderla. Rose era morta ma Lui la rivoleva, la doveva piangere, la doveva seppellire e doveva impedire che facessero di ciò che restava di suo figlio, qualcosa di mostruoso per i loro scopi.
Fino ad allora Donna e il Dottore avevano viaggiato insieme. Quella volta avevano combattuto. E le aveva fatto meno paura che vederlo piangere, distrutto dal dolore, su di Rose. E vedere i suoi cari uccisi a sangue freddo da quegli assassini. Per questo Donna aveva ucciso. Senza rimorso.
Non dopo quello che le avevano fatto.
E avevano fatto a Lui e Rose.
Era stato il momento in cui la pietà per l’universo, per chiunque, sembrava stesse per morire anche in lei. L’aveva sentita velarsi. E così Lui. Donna però andava salvata. Non poteva perdere la sua anima e diventare come Lui.
Così il Dottore l’aveva nascosta a quei tempi, portata via.
Lei avrebbe voluto restargli vicino, avrebbe voluto continuare a stare con Lui come fino a quel momento, nonostante tutto. Ma Lui non aveva voluto continuare a rovinarle la vita. Le aveva detto così.
E così l’aveva portata lì. Anche perché era il primo posto dove l’aveva trovata, la sua Rose.
Ma era una bambina morta anni prima in una disgrazia.
Gli era parso un segno.
Era uno strano presente parallelo, paradossalmente era un mondo più pacifico e forse più bello. Ma non c’era Rose. Neanche Donna era mai nata.
-          Un simile posto merita qualcosa di bello, qualcosa di importante. Te, Donna Noble. Tu sarai fantastica…
Era stato un arrivederci ma negli occhi di lui, un profondo addio. A quello che era stato prima, a quello che le chiedeva di tenere nel suo cuore.
Sebbene ci fosse sempre stato un qualcosa che l’aveva spinta ad amarlo per come poteva, per come era possibile… una parte di lei era innamorata di Lui, ma in modo eccezionale. Non era qualcosa di doloroso perché non aveva a che fare con la passione o con qualcosa di fisico. Non era mai stata gelosa di Rose perché non era quello l’amore che provava per il Dottore. Era un misterioso senso di appartenenza intimo, indissolubile. Tra loro era stato sempre bello e sereno, anche quando litigavano. Ma non era solo sua amica e lo sapevano entrambi. In quello strano modo, anche lui amava lei.
Se Rose non fosse tornata, sarebbero rimasti loro due, il Dottore e Donna nel Tardis. Insieme ma a loro modo. Mai amanti, mai solo amici. Insieme in quel modo speciale.
Ma Rose Tyler sarebbe stata sempre presente tra loro, vicino a Lui; la teneva per mano anche se non c’era, lei lo sentiva. Rose era il riflesso rimasto nei suoi occhi.
Ed era anche lì in quel momento, con loro. Dentro di lui.
In ogni mondo, sarebbe stato così. Fino alla fine di tutto.
D’istinto Donna gli si avvicinò ancora. Di fronte a lui, mise entrambe le mani sul suo petto per accarezzarlo ancora una volta e ascoltare quello strano battito che le ricordava chi fosse.
Molte volte, quando lo vedeva soffrire in silenzio perché l’aveva perduta, si avvicinava a lui e lo consolava accarezzandolo. Le era fratello, amico; a volte persino figlio, quando doveva frenarlo.
In quel momento lo sembrava, in quel tempo davvero lei aveva l’aspetto di una donna che avrebbe potuto essere la madre che gli mancava. L’ultimo amore che gli restava.
Sentì ancora una volta quei cuori dentro di Lui ma molto più deboli, strani. Vibravano più che battere forte come tamburi. Era tutto sottile, in lui. Tranne l’ombra dentro.
Lui mise le mani gelide su quelle di Donna e la guardò un lunghissimo momento.
Un momento strano, sospeso. Senza altre parole.
-          Questo è un addio, Dottore? – gli chiese con occhi lucidi.
-          Non lo so – le rispose ma era un “sì”. Forse sapeva di non poter tornare in tempo nel suo tempo. Forse lo sentiva. E anche lei sentiva che sarebbe stata l’ultima volta che lo vedeva – custodirai ciò che ti ho affidato?
-          Sempre – gli sussurrò – e già sta per aprirsi in molti giardini è… Strana.
-          Strana come Rose – ripeté – una ogni novecento anni – le accarezzò le dita – e come te, unica nell’universo – le lasciò la mani e delicatamente le prese il viso. Si chinò su di lei e la baciò dolcemente sulle labbra.
Un bacio lungo, l’unico che mai le avesse dato. Un bacio d’addio.
-          Non mi dimenticare mai – le sussurrò lasciandola e lei scosse il capo piangendo. Lui le fece ancora una carezza poi abbassando lo sguardo da lei, con gli occhi lucidi, si voltò e iniziò ad allontanarsi.
Donna vide andare via per sempre il suo passato, la sua vita altrove, ogni cosa che per lei avesse mai contato; Lui.
E insieme il dubbio di un futuro che avrebbe dovuto esserci e non c’era stato.
Tutto era troppo triste. Come la sua rosa, ancora chiusa.
Come quel suo bacio. 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Io sono il Dottore ***


 
Martha era sempre più turbata dalla situazione, nonostante cercasse in ogni modo di tenere il controllo. Pensò che probabilmente sarebbe stato sbagliato o strano non sentirsi come lei. O come Jack. Ma Jack era davvero stupefacente, immortalità a parte.
L’aver ritrovato il Dottore sembrava averlo in qualche modo stabilizzato, anche se il suo tormento era peggiore di quello di tutti gli altri. Diversamente da come era stato per lei, Jack aveva mantenuto memoria emotiva di quel che aveva perduto. E proprio per questo il perdono da parte sua aveva colpito ancora di più il Dottore del futuro. Si comprendeva umanamente come volesse stordirsi, non pensarci.
Ma il Dottore lì, in quel momento, aveva come riacceso in Jack la speranza per qualcosa che lei non riusciva ad afferrare, forse perché esistente ormai solo in quel presente precario e confuso.
Troppo umana e solo umana.
-          Sai, Martha… per una strana coincidenza… ho ritrovato una persona per me molto importante – le aveva detto Jack con tristezza infinita.
-          Un’altra versione, suppongo.
-          Già. Non posso e non voglio avvicinarmi troppo a quell’uomo. Mi farebbe solo male. Perché è… lui ma non è chi ho conosciuto.
-          Vorrei che il Dottore avesse pensato qualcosa del genere a proposito di Rose…  – aveva mormorato Martha e Jack annuito.
-          Nel loro caso è diverso. Dopo quello che Lui ha fatto per non perderla …
-          Sì… lo so. Lei è sempre Lei e non un’altra  – e Martha purtroppo sapeva bene che non era l’unica cosa immutabile creata dal Dottore.
Lo amava ancora.
Pensava di averlo non dimenticato ma per lo meno messo da parte; si era fatta una ragione, aveva accettato lui e Rose insieme. Aveva capito. Ma dopo la fine del suo mondo, dopo aver perso ogni cosa e ogni cosa il valore che aveva nella sua vita, solo un pensiero sovrastava tutto: quello del Dottore.
Non riusciva a comprendere se ciò fosse legato completamente a quella rigenerazione che aveva conosciuto o al fatto che fosse lui.
La presenza di chi l’aveva conosciuta altrove la confortava e turbava. Il Dottore del futuro sembrava più misterioso, ancora più indecifrabile. Eppure lo conosceva. Ma per un umano il corpo era evidentemente importante. Lui non le faceva la stessa impressione. Anche fisicamente.
Comprendeva meglio l’estraneo.
Il Dottore che guardava tutto con aria più sconvolta, che si era evidentemente piegato davanti a qualcosa che ancora non avrebbe dovuto riguardarlo ma che era tale perché Lui lo aveva voluto e quindi sarebbe stato quello per sempre in ogni luogo e tempo. Si chiese cosa significasse Rose Tyler per entrambi i signori del Tempo.
Rose Tyler, la moglie del Dottore.
Il trillo del comunicatore spezzò i suoi pensieri su di Lui, ancora una volta. Martha lo prese e rispose.
-          Dottoressa Jones, la sua presenza è richiesta dall’ammiraglio – disse la voce con tono concitato.
-          Stavo per recarmi in laboratorio…
-          Dottoressa… sono giunti sulla nave i rappresentati del Silenzio  - Martha ebbe un lungo brivido. Inutile mentire a sé stessa. Li odiava. Per quello che avevano fatto. Li considerava responsabili della follia del suo Dottore ma in fondo sapeva anche come non fosse del tutto vero. Lui l’avrebbe cercata lo stesso, lo sentiva.
-          Come mai sono giunti qui adesso? – chiese.
-          Hanno… notizie del Dottore – Martha ebbe un lieve tremito.
-          E… loro?
-          Sono già qui.
-          Bene. Allora… raggiungo la sala tattica – Martha si chiese turbata come avrebbero reagito entrambe le persone, quella che era e colui che sarebbe stato, davanti a coloro che continuavano ad uccidere la donna che Lui amava disperatamente e cercava di raggiungere oltre il tempo.
E ancora una volta il pensiero andò al signore del Tempo che conosceva lei. Alla prima volta che si erano incontrati all’ospedale. E a quel bacio che non sarebbe dovuto contare assolutamente nulla e che Lui le aveva dato solo perché, inseguiti dagli alieni, era necessario lasciarle una traccia sulle labbra perché cercassero lui tra quella gente. Una traccia l’aveva lasciata nel suo cuore invece.
Un doloroso solco. E a giudicare da come la guardava il giovane Dottore del Futuro, questo non doveva essere stato diverso anche nel suo universo.
Martha ebbe un attimo di indecisione ma affrettò il passo lasciando che il suo sguardo si raffreddasse. Ormai fingeva una distanza da tutto che non c’era e non ci sarebbe mai stata. Anche dal pensiero di ucciderlo. 
 
Il giovane Dottore sembrava stranamente inquieto e ciò glielo fece sembrare più umano.
Aveva parlato con loro di una serie di avvenimenti che distinguevano la sua linea temporale dalla loro e ancora le frullava in testa quell’assurdità della mano perduta durante un tentativo di invasione aliena avvenuto mentre si riprendeva dalla rigenerazione. Quella mano perduta sembrava avere avuto molta importanza nella storia della sua decima vita. E così Donna Noble.
Che Donna fosse stata ancora più importante per Lui, in altri mondi, non meravigliò Martha; affatto. Donna e Lui erano affini in modo misterioso e lo avevano sempre percepito tutti. Anche Rose.
La questione del Silenzio però lo stava preoccupando oltremodo e lo si vedeva chiaramente.
Si tormentava le mani, la giacca, gettava lo sguardo ovunque in modo veloce, come si aspettasse il peggio da un momento all’altro. Il Dottore del passato invece notò che sembrava solo … triste.
Entrata, vide che Jack non c’era.  Si avvicinò d’istinto al Dottore passato, seduto un po’ a parte e che subito aveva rivolto lo sguardo su di lei, diversamente dal suo alter ego futuro.
-          Pensavo fossimo tutti presenti – gli disse più piano.
-          Se ti riferisci al tuo amico immortale penso che sarà qui a momenti – disse con tono sarcastico tenendo le braccia conserte poi la guardò più intensamente e Martha d’istinto sorrise agli occhi bellissimi che in quella generazione aveva il Dottore. Lui se ne stupì ma ricambiò appena il sorriso, perplesso.
-          Scusami, mi sembra di conoscerti… - disse Martha sottilmente imbarazzata.
-          Tu mi conosci. Io non conosco te. Ma… mi piaci molto – e questa volta le sorrise del tutto. Martha pensò che era diverso da quello del Dottore che conosceva lei.  
Ma i modi diretti erano quelli. E anche a lei piaceva. Decisamente.
-          Mi sembra… molto nervoso – disse guardando il Dottore futuro. Il Dottore passato scosse il capo.
-          Io direi anche qualcosa di più. Penso che il Silenzio abbia o abbia avuto un ruolo importante nella sua storia. Il problema è che in questo momento non è quella che conta, non è quella reale. E’ una delle tante che potrebbero esistere o non potranno più essere.
-          Già…
-          E tutto dipende dal riuscire ad uccidere quel pazzo che poi… sono io  – aggiunse seccato. Martha abbassò lo sguardo.
Lui. L’uomo che le aveva detto di essere un alieno con un sorriso. Quello che aveva tentato di rianimare quando sembrava morto, ricordando quasi troppo tardi che avesse due cuori. Era quello che l’aveva portata da William Shakespeare, con cui aveva trascorso la notte in una lercia locanda del passato senza che purtroppo pensasse neanche per un momento di toccarla.
Martha non si capacitava emotivamente di ciò che era un fatto: era diventato l’angelo nero che rompeva i cieli dei mondi fissandoli con occhi spaventosamente indifferenti al dolore che causava.
Quelli che alla luce delle candele di quella stanza nel passato, le erano parsi i più belli che avesse mai visto.
-          Davvero vedi Lui  solo così…?
-          Ha distrutto tutto per una donna. Solo… per una…donna. Umana  – mormorò quasi tra sé il Dottore passato. Martha lo guardò un po’ stupita dalla precisazione.
-          Lo dici come fosse un aggravante… - lui le rivolse un’occhiata ambigua e Martha lo guardò perplessa. Ad un tratto la sua attenzione venne catturata dal gruppo di persone scortate dentro la sala. Jack entrò con altri e vista Martha andò verso da lei. Il Dottore del passato lo salutò con un cenno, continuando a tenere le braccia conserte e lo sguardo puntato davanti, come fosse un’arma carica.
Il Dottore del futuro, davanti agli altri, guardava il gruppo di persone incappucciate che erano entrate e Martha capì che era rimasto stupito da quel che vedeva, come si aspettasse altro. Certo nessuno poteva sapere come nell’altro universo, il Silenzio avesse altre forme. Il Dottore non vide neanche una creatura capace di farsi dimenticare l’istante dopo. Si guardò impaziente le mani alla ricerca di segni. Si era preparato a farli. Ma nulla. Non li vedeva perché lì non c’erano.
Non in quel momento, non in quella stanza.
Davanti però qualcosa che l’aveva reso perplesso.  E il Dottore del passato lo percepì limpidamente. Si alzò in piedi, scostò Martha e Jack e venne verso di lui. Quando la donna davanti a loro abbassò il cappuccio il Dottore futuro la guardò e fece uno strano sorriso, indefinibile, mentre gli occhi gelati della rigenerazione passata si incollavano a quelli della bella signora dai capelli ricci e biondi che li guardava con un sorriso strano.
Il Dottore futuro abbassò lo sguardo quando lei gli rivolse un’occhiata interessata d’istinto.
-          Bene, bene, bene…  - mormorò a bassa voce – e quindi c’è anche questo, qui… di nuovo…! Dovrò chiederti come è successo, questa volta. E’ interessante come tu debba essere… per forza in un certo modo.
-          Stiamo già parlando di paradossi? – disse la donna rivolgendosi al giovane e fissandolo perplessa. Perché aveva l’impressione di conoscerlo?
-          Temo che nel tuo caso lo sarebbe un mondo dove hai avuto un’infanzia normale – lei lo guardò un po’ sorpresa ma cercando di non rendere evidente il proprio turbamento verso quell’uomo.
-          Siamo qui per parlare di me? Non penso.
-          No. Sarebbe interessante ma… no – concluse il Dottore giovane stringendo le dita di una mano e poi toccando il cravattino. La donna bionda comprese d’istinto che era a disagio e lo trovò stranamente divertente.
-          Datti una calmata, tesoro – gli disse con un tono che lasciò tutti perplessi. Martha e Jack si guardarono un momento spiazzati.
-          Tesoro? Mi piace – disse il giovane Dottore con un sorrisetto – ma immagino non ci sia tempo per i convenevoli dobbiamo… parlare di qualcun altro.
-          Chi dobbiamo ringraziare per tutto questo. L’essere più spietato, terribile, insensibile e mostruoso che abbia mai avuto vita – disse lei con disprezzo.
-          Ah, ma davvero…? – mormorò il giovane e mise le mani dietro la schiena guardandola fisso negli occhi. Fu allora che lei si irrigidì e poi lo fissò profondamente per un lungo momento. La videro cambiare espressione e così il giovane Dottore annuire con un sorriso alle parole che lei non aveva detto. La donna poi rivolse lo sguardo all’altro uomo davanti a lei. Quello che l’aveva trafitta con occhi freddissimi, impossibile da ignorare.
-          Non è possibile…! - mormorò e poi fece un sorriso. Un sorriso tra lo stupito e l’inquietato – credevamo che Lui fosse l’ultimo… !
-          Lo è – disse con un sorriso tirato il giovane Dottore – siamo… la stessa persona –  la donna era come sbiancata – tutti e tre. Io… sono il Dottore.
-          E anche io, sono il Dottore – disse l’uomo dagli occhi chiari incrociando di nuovo le braccia al petto.
Per un momento quel tempo impossibile parve fermarsi. Jack pensò che un attimo simile l’aveva provato cadendo nel vuoto tra un mondo e l’altro ma lì sembrava ancora più irreale, se possibile.
-          Tempi diversi… certo – disse ad un tratto la donna assottigliando lo sguardo e sempre rivolgendosi principalmente al Dottore futuro – io sono la dottoressa Melanie Williams e… – il Dottore del futuro chinò il capo e iniziò a ridere. La donna si irrigidì di colpo e lo guardò come fosse un folle e così tutti. Incluso l’altro Dottore che gli rivolse un’occhiata spiazzata.
-          Oh, scusate…  – disse il ragazzo agitando una mano e ridendo ancora – dipende dalla situazione parallela…
-          E cioè?
-          Nella mia dimensione noi ci conosciamo, ci conosciamo molto molto bene – mormorò. La vide sorridere come per nulla meravigliata. Jack vide Martha impallidire e artigliare il suo braccio con una presa disperata. Lui fissò la donna ancora più spiazzato.
-          Tu e lei vi conoscete…! Ma non mi dire…  – mormorò il Dottore passato e il giovane lo guardò scuotendo il capo.
-          Credimi, non puoi immaginare quel che ti racconterò…
-          Non mi piacerà neanche questo.
-          No… probabilmente no – concluse il Dottore futuro inclinando il capo e sorridendo alla donna bionda che lo fissava come offesa – non prenderla male. Sono i problemi di un signore del Tempo…
-          Ah, immagino…!
-          No, non puoi – mormorò. Lei spalancò lo sguardo.
-          Ancora non hai detto cosa sta suscitando la tua ilarità, Dottore…
-          Il tuo nome. In realtà… ti ho conosciuta con due nomi ma… altri.
-          Strano…
-          No, in realtà i nomi sono la cosa che varia di più, sono frutto di circostanze casuali… ma… pensavo al suo significato.
-          E cioè? – accigliò la fronte e il Dottore passato lo guardò con un’espressione stranamente simile a quella di lei.
-          Melanie…  - disse con un sorriso - non significa per caso “dolcezza”?
 
**
 
La giornata era grigia. I muri scarabocchiati tra gli spazi aperti e incolti tra un palazzone e l’altro erano l’unica nota di colore tra pozzanghere intorbidite dal fango, quello che aveva addosso. Come sempre. Rose pensò che tornando a casa in quello stato, sua madre avrebbe gridato moltissimo.
Jackie Tyler non riusciva a capacitarsi di avere una figlia così disordinata, sfacciata e imprudente. Spesso Mickey la accompagnava da lei sporca, piena di lividi e con i capelli infangati. Rose finiva sempre per ultima di girare in bici tra quelle strade, di arrampicarsi sulle giostre ormai in malora per colpa dei vandali, i giochi che erano stati messi tra quelle case per dare uno spazio ai bambini e che erano finiti spesso per diventare rottami arrugginiti dal tempo e dall’incuria. Jackie non era entusiasta dell’imprudenza di Rose e le diceva sempre di fare attenzione alla gente che circolava per il quartiere perché non erano tutte persone perbene. Rose però non aveva paura di nulla. Come in quel momento di farsi scoprire mentre scarabocchiava un muro più grigio degli altri con quei suoi strani labirinti circolari, quella sorta di vortice che ripeteva all’infinito.
Quei disegni sembravano quietarla da sempre e Jackie aveva pulito per molto tempo la parete del letto di Rose dai segni di matite e gessetti colorati che già piccolissima tracciava su ogni superficie. Scarabocchi, pensava. Ma Rose non aveva mai smesso di tracciare quelle figure e allora, semplicemente, Jackie aveva smesso di cancellarle. Come di badare al fatto che dormisse abbastanza.
Da sempre Rose passava ore a guardare il cielo di notte. Un cielo annullato dalle luci attorno. Ma quando un blackout nel quartiere aveva messo le case al buio per ore, Rose eccitatissima per la cosa era uscita dall’appartamento nonostante le urla di Jackie, e aveva trascorso quel tempo sulla terrazza del palazzo al buio. Chiaramente Mickey, che abitava ad un passo, era subito andato con lei. Le era sempre accanto. E quella volta, tremante di freddo, l’aveva supplicata per tutto il tempo di tornare a casa perché era tardi e aveva un po’ di paura a restare là sopra al buio con lei.
A Rose però importava solo delle stelle e non di altro. Cercava qualcosa. Spesso aveva l’impressione di sentirlo tra quelle luci lontane, come una voce. Una voce a cui, nei sogni, spesso tendeva la mano, sebbene venisse dal buio. 
Quella notte era stata molto più forte. Si era svegliata e l’aveva cercata accanto. Non c’era. Non era lì ma era rimasta nella sua testa per tutte quelle ore.
Rose, completato il disegno, mise i gessetti in tasca e iniziò a passeggiare.
Il sogno non lo capiva mai del tutto ma la confortava. Anche quello strano suono che spesso la svegliava ma non per la paura. Era qualcosa di bello, di strano. Ma non era bello come quella voce.
Nessuno aveva quella voce.
C’era un po’ di vento e minacciava di piovere. Jackie era a lavoro, di turno al locale dove lavorava come cameriera. Lei era sola, la vicina le avrebbe dato un’occhiata. Mickey avrebbe trascorso la domenica dai cugini anche se, per l’ennesima volta, le aveva chiesto di andare con lui, visto che era sola. Ma Rose non ne aveva voglia.
Voleva restare. Sola con quel pensiero.
Quel suono…
Rose sollevò lo sguardo al cielo grigiastro. Quel suono...
Sgranò gli occhi. Lo sentiva davvero, non lo stava pensando. Era lì? Era possibile?
Forse si sbagliava ma non poteva saperlo. Era forte, vicino.
Eccitata, Rose si voltò in giro cercando la direzione, non la capiva. Poi si convinse a raggiungere uno dei vicoli più appartati tra gli androni dei palazzi. Non pensò a quello che Jackie le diceva sempre delle strade senza uscita e dei ragazzi in giro per il quartiere.
A undici anni, Rose si sentiva abbastanza in gamba per correre via, qualora se la fosse vista brutta come sua madre temeva. Lei correva molto veloce, lo dicevano tutti. Ma spesso inciampava.
Mise il piede in fallo e cadde faccia in giù. Si sbucciò profondamente le ginocchia sull’asfalto e così le mani, messe avanti d’istinto. Lo sbuffo di fango le colpì direttamente la faccia con una strisciata ma Rose non ci badò e si mise subito in piedi. Doveva correre o avrebbe perso il suono.
Forse lo aveva già perso.
Rose arrivata in una strada più chiusa si voltò da ogni parte ma non sentiva altro che il vento sibilare tra ringhiere e mattoni, e sfogliare le cartacce in giro.
Con uno sbuffo di stanchezza per la corsa e profondamente delusa, abbassò lo sguardo sulle pozzanghere, ancora una volta. E fu allora che vide riflessa la figura che alzò gli occhi per guardare.
Un uomo molto alto, vestito di scuro.
Procedeva con passo un po’ indeciso, vicino al muro. Quando vide che vi aveva messo una mano sopra, come per sorreggersi, Rose non pensò che a vedere come stesse.
Il contrario di quel che le diceva sempre di fare Jackie.
Gli si avvicinò. Poteva essere un ubriaco, uno di quelli che circolava per il quartiere e che trovavano in giro buttati da qualche parte. Quelli facevano paura ma puzzavano sempre molto. Da dov’era avrebbe dovuto sentire l’odore di alcool o peggio, come le altre volte. Quello che invece sentiva era diverso…
Le sembrava la riva del mare.
Quell’odore del mare agitato. E insieme qualcosa di strano, familiare, qualcosa di terribilmente bello. Non avrebbe potuto definire diversamente l’impressione e quando lui sollevò lo sguardo su di lei, lei lo fissò stupita.
Dai suoi occhi. E vide anche come guardandola fossero divenuti più lucidi.
Le parve di vedere il buio e poi accendersi le stelle, come quella volta sul tetto del palazzo quando si erano spente tutte le luci attorno e dopo un momento, quasi pauroso, erano apparse quelle del cielo.
-          Stai male? – chiese indecisa. L’uomo si era messo dritto e tolto la mano dal muro. La sovrastava, era altissimo. Lei lo guardava stupita e lui ad un tratto sorrise.
E quando sorrise Rose pensò che fosse bellissimo. E le faceva un po’ paura.
Era pallido, sembrava stare male davvero. Lo guardò preoccupata. Perché stava così male, perché…
lui?
Continuava a fissarlo come impietrita. Lui allora le si avvicinò un po’ e poi, inaspettatamente, si inginocchiò davanti a lei.
-          Ciao, Rose Tyler – le disse e Rose, di colpo, riconobbe la voce. Spalancò gli occhi nei suoi e senza neanche pensarci, tese la mano verso di lui. Lui la prese delicatamente nella propria stringendola. Rose fece una piccola smorfia di dolore perché la sbucciatura sul palmo le bruciava. Lui le accarezzò la mano e la guardò pensieroso, poi rivolse lo sguardo alle sue ginocchia ferite – ti sei fatta male…
-          Stavo correndo e sono caduta  – lui sorrise di nuovo e Rose notò che la mano con la quale si stringeva il soprabito scuro era come tagliata. Lui capì.
-          Beh… Sono caduto anch’io – le disse e le toccò piano il ginocchio che sanguinava di più. Rose fece una smorfia – è proprio una bella sbucciatura ma ti fa male se lo muovi…? – lei lo piegò e poi scosse il capo. Lo fissò incuriosita.
-          Tu sei… un dottore? – l’uomo strinse appena più forte la mano nella sua.
-          Sì. Io sono il Dottore, Rose.
-          Il Dottore di chi?
-          Il tuo – le rispose con un sorriso e una dolcezza infinita. Rose lo strinse e sorrise.  
-          Il Dottore! Per questo sai il mio nome…! - lui annuì.
Rose pensò che fosse davvero…
… la parola che le venne in mente fu fantastico. Non la usava molto, non la usava mai; ma guardandolo pensò che lui era esattamente quello.
Se c’era una persona che non poteva sopportare era il medico dal quale la portava sua madre. Quell’inverno c’era andata già troppe volte per le tonsille perennemente infiammate vista l’abitudine di stare sempre fuori con qualunque tempo.
Lui era il suo dottore allora?
Era giovane e con degli stranissimi capelli, come impazziti. Erano belli. Aveva l’aria molto dolce. Infinitamente dolce e gentile.
Qualcosa le diceva che lo fosse davvero. Qualcosa nei suoi profondi occhi che però le facevano anche un po’ paura. Ma stava passando, per come la guardava.
-          Dimmi la verità, sei proprio caduta dentro una pozzanghera, eh? – le sorrise ancora e la accarezzò sui capelli. Solitamente Rose lo odiava. Invece quella carezza la fece diventare subito un po’ triste. Non sapeva come mai – già mi aspetto cosa ti dirà tua madre quando ti vedrà tornare così  - aggiunse lui con un mezzo sorriso.
-          La conosci?
-          Sì…
-          Lei mi sgriderà e poi inizierà a lamentarsi dicendo che mi resterà una cicatrice sulla gamba …
-          È probabile – mormorò guardandole il ginocchio - ma non brutta. Direi… che potresti avere sul ginocchio un segno che… somiglierà ad una costellazione – Rose gli sorrise e lui di nuovo a lei – ti piacciono le stelle, Rose?
-          Oh, sì!
-          Ti piacerebbe, un giorno… rivederle? – perché non aveva detto vederle ?
-          Mi mancano – gli rispose Rose e quelle parole le vennero fuori spontaneamente. Lui abbassò lo sguardo un attimo, uno sguardo che sembrava fosse di confine con il pianto.
-          Ti manca qualcos’altro?...
-          Sogno sempre qualcuno che non vedo e che mi chiama. Ma io corro e non lo trovo mai – lui trattenne un singhiozzo che era anche di dolore. Rose lo capì e spontaneamente e fu lei a fargli una carezza. Fu allora che lui lasciò la sua mano, prese il suo viso tra le mani e la guardò profondamente negli occhi, dentro. Le sue mani erano fredde, le sue mani sulle tempie. Lei si irrigidì per un momento.
-          Non avere paura… - le sussurrò -  prima di andare devo darti una cosa, Rose – il tono era rassicurante ma Rose non aveva paura. Non era quello che sentiva. Solo il suo cuore correre velocissimo perché quella era la voce del sogno e ne era sempre più sicura – ora…pensa alla cosa più bella che ti viene in mente, pensala e chiudi gli occhi – Rose lo guardò indecisa – stai tranquilla, non ti lascerò da sola – le ripeté. Rose allora chiuse gli occhi e fece quel che lui le aveva chiesto. Pensò alla cosa più  bella.
Ma quel che le venne in mente non fu, come avrebbe creduto, il mare. Non fu neanche il cielo stellato. Non fu il suono che sentiva nei suoi sogni e che la cullava come uno strano respiro.
Pensò a Lui. Che aveva sorriso. E lo fece d’istinto.
Lui lo percepì e vide, dentro di lei. Poggiò la sua fronte a quella della bambina e chiuse gli occhi anche lui. Rose allora si sentì per un breve istante in un luogo che non conosceva, oltre un orizzonte di un colore strano, oltre ogni cielo che avrebbe immaginato. Ma si sentiva presa per mano e non ebbe paura anche se ogni cosa sembrava enorme, immensa, sterminata come lo spalancarsi del tutto sul nulla di prima.
Vide altri cieli, campi sterminati, alberi altissimi, animali fantastici galleggiare come nuotando in aria tra le nubi. Si sentì felice, si sentì euforica e poi di colpo triste.
Sentì, il vento…
e l’acqua scorrere, lei dentro toccarla e toccarla dentro. Rose la sentì fredda ma così bella tra le mani, bellissima, come un velo d’argento.
E poi un sussurro…
Le parole di quella voce, chiare come mai…
…Impara a difenderti. Impara a combattere, Rose Tyler…
Cosa voleva dire?
Vide i cerchi che disegnava da sempre, ruotare, comporsi in un ordine diverso, come in un complicato meccanismo di orologio che divenne limpidissimo, perfetto ai suoi occhi e iniziò a funzionare come scandisse un tempo diverso, con un altro ritmo. Tutto le girò attorno e sentì dentro la testa delle parole che non capiva mescolate a della musica e quattro colpi ritmici, quattro colpi ripetuti più volte ma piano, sotto il soffio, il suono che conosceva ed era da sempre nei suoi sogni.
Ogni cosa parve chiarirsi, cambiare e poi fermarsi dentro di lei per come doveva essere e alla fine di tutto una pace infinita giungere, come il riposo. La neve bianca…
…o era cenere che cadeva dal cielo…?
E le stelle.
L’ultima cosa che vide fu una ragazza bionda che la guardò, un breve istante.
Lui emise un profondo respiro e la piccola Rose sussurrò dolcemente una parola. Una parola, un momento; e tutto attorno parve cercare di ascoltarla ma la sentì solo lui.
La sentì e le lacrime dagli occhi chiusi, bagnarono il suo viso.
Anche Rose piangeva. Ma non era triste, non aveva male.
Aprì gli occhi nei suoi, un momento. Lui la lasciò piano e si alzò in piedi davanti a lei.
E fu allora che Rose ebbe paura che stesse per andare via per sempre e lo afferrò per la mano con forza. Lui emise un respiro affaticato ma cercò di sembrarle più forte e sereno di quanto non fosse.
Aveva paura anche lui.
Sapeva che forse era l’ultima volta che la vedeva con quegli occhi, l’ultima volta per lui. Se anche avesse cercato di tornare da lei in un altro mondo, non sarebbe più stato l’uomo che l’amava ma un altro. E l’avrebbe amata ancora, lo sapeva. Ma sarebbe stato diverso.
Sentiva addosso la morte, l’ombra della speranza era quell’ultimo tentativo con la cura.
Poi avrebbe chiuso gli occhi.
Aveva deciso di non rigenerarsi e di morire una volta per tutte. Nulla aveva senso e non voleva andarsene, non voleva cambiare. In fondo non meritava di salvarsi in altro modo, non dopo tutto quello che aveva fatto. Guardò la piccola Rose davanti a sé stringerlo disperatamente, ma non quanto faceva lui ogni istante della sua vita da quando l’aveva perduta e lei era l’ombra tra le sue dita e dentro il suo cuore.
Lei lo ricordava da sempre. Lei sapeva. Lei era sua in ogni mondo possibile.
Ma tornare sulla sua linea temporale due volte, confondere la sua traccia quell’unica volta che sarebbe stato possibile, vista la straordinaria occasione di quella coincidenza…
Era stato rischioso. Se non fosse tornato da lei l’avrebbe condannata per sempre alla sua mancanza. Lo sapeva. Ora, dopo averle ripetuto ciò che sapeva, Rose era più cosciente di quel qualcosa che aveva dentro. Lo avrebbe cercato, non solo riconosciuto.
Era come se le avesse chiesto ancora una volta di correre. Ma da Lui.
-          Ora devo andare, Rose – le sussurrò con un velo di voce.
-          Dove? – protestò lei.
-          Devo andare da mia moglie – le disse e Rose sentì dentro un battito strano, una sorta di scintilla. Lui le lasciò la mano e le sorrise ancora una volta.
-          Tornerai presto? – lui annuì con gli occhi lucidi.
-          Tornerò, Rose Tyler. Ma adesso corri… a casa – nell’animo di Rose la calma assoluta. Non sentiva più neanche male alle ginocchia o bruciare le sbucciature. Stava invece per cominciare a piovere e le prime gocce le bagnarono la maglietta come di schizzi.
Sarebbe tornato.
Stava tornando.
Gli sorrise e lui a lei. Si allontanò allora, stranamente felice e un po’ triste insieme, guardandolo ancora due volte mentre rifaceva la via a ritroso. Appena svoltò l’angolo, iniziò a piovere.
Il signore del Tempo si addossò sfinito al muro cui prima si era sorretto e chiuse gli occhi. Doveva trovare la forza di raggiungere il Tardis e l’aveva. Solo non in quell’istante.
Voleva restare lì con lei ancora un po’. Nel suo mondo, con lei ad un passo.
Con quella bambina dai capelli chiari e le iridi scure.  
Si chiese se gli occhi del figlio che non avevano avuto sarebbero stati come quelli di Rose. Sarebbe stato bello. Sarebbe stato bello non avesse nulla di lui invece.
Perché quel che era l’aveva uccisa.
I signori del Tempo uccidevano ogni cosa.
Avevano due cuori ma in fondo… aveva spesso pensato che non ne avessero affatto.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Le diverse ombre in ogni cuore ***


Rose porse il tè al signore al bancone e poi si diresse verso il fondo della saletta della caffetteria. Si tolse il grembiule e si mise di fronte al ragazzo che la guardò tristemente. Rose si morse il labbro inferiore abbassando lo sguardo. Attorno rumore di tazze e bicchieri, mezza mattina inoltrata di una giornata così grigia da sembrare già sera. Qualcuno iniziava a pensare ad un rapido pranzo per poi tornare a lavoro. Il silenzio tra Rose e il ragazzo venne spezzato da entrambi nello stesso momento. Un accenno di parola, una sopra l’altra. Si sorrisero, facendo un gesto simile. Succedeva spesso. Si conoscevano da una vita.
-          Rose…  fai parlare me, è meglio – disse piano il ragazzo.
-          Eppure sono io che devo farti le mie scuse, Mickey. E’… tutta colpa mia – lui abbassò lo sguardo. Rose continuava a segnare con le dita nervosi cerchi su quel tavolo, quei continui cerchi complicatissimi che poi cancellava quasi con paura. Mickey strinse le labbra e cercò di poggiare la mano su quella di Rose ma lei si ritrasse – Mickey… - mormorò quasi con tono che voleva scusarsi.
-          Rose… davvero, non può continuare così – disse amaramente – ma non per me, non solo. Lo sai che non te lo dico perché io… - esitò – credi che io non sia tuo amico?
-          Tu sei il mio migliore amico, Mickey – Rose lo guardò con gli occhi lucidi.
-          Allora dammi ascolto: devi parlarne con qualcuno. Devi farti curare… - una scintilla brillò negli occhi scuri di Rose. Di nuovo. L’aveva detto un’altra volta.
-          Io non sono malata! – sussurrò con tono tagliente  – io sono perfettamente sana – Mickey scosse il capo.
-          Ah, davvero? Davvero, Rose?... vediamo un po’, come definire il tuo essere sana? – strinse una mano a pugno, quella sul tavolo che aveva fatto per stringerla – è sano non riuscire a lasciarsi andare? Non dico con chiunque ma nemmeno con me…!
-          Ci abbiamo provato… non funziona.
-          Funziona benissimo, Rose! Stiamo… bene…
-          Ti ho spiegato cosa succede, Mickey. Io… ti voglio bene ma… - si interruppe. Mickey aveva uno sguardo terribilmente affranto.
-          Rose… tu non riesci ad amare, non riesci – lei si morse ancora le labbra nervosamente - sei una ragazza che combatte, combatte furiosamente! In palestra lo dicono tutti: Rose è una furia. Rose… è una furia come avesse paura di perdere…!
-          Io devo avere paura! Loro sono ovunque…
-          Loro chi, Rose!
-          Mickey… li sento, li intravedo tra la gente, mi fissano ovunque. So che mi tengono d’occhio che aspettano qualcosa. Io lo so. Non chiedermi come ma… lo so! – Mickey la guardava con pena. Il delirio di persecuzione di Rose era iniziato da quando aveva compiuto diciannove anni ma già da molto prima si preparava ad affrontare un nemico. Anche quello, inesistente.
Rose, che nonostante il fisico minuto era in grado di atterrarlo con un gesto, avesse voluto. Tutti avevano finito per avere paura di lei, sebbene nessuno come lui sapesse quanto fosse dolce e sensibile. Una ragazza spaventata.
Determinata ad affrontare qualcosa di terribile che non esisteva e che era, come per alcuni bambini, la paura del buio. Ma Rose aveva ventisei anni.
Mickey emise un sospiro amarissimo.
-          Sei paranoica! Pensi di essere seguita, spiata. Pensi che qualcuno voglia il tuo male e invece…  - la guardò tristemente – non ti accorgi di chi ti vuole bene davvero. Ti perdi la vita, Rose! Quella vera  – gli occhi di lei si erano fatti più lucidi. Mickey odiava quello sguardo, farla soffrire. Ma Rose non poteva continuare a negarsi un’esistenza normale a causa di quella fantasia di bambina. E ancora si chiese cosa fosse successo, quel pomeriggio. Chi fosse la persona che Rose aveva incontrato e di cui gli aveva parlato solo dopo anni. Ammesso che costui fosse mai esistito – pensi ancora al tuo dottore, vero? – Rose sgranò gli occhi ma solo un momento.
Non passava un attimo senza che ripensasse a lui. Così reale, così vicino. Anche se non c’era se non nei suoi sogni. E solo davanti alla riva del mare, quando aveva modo di andarci come per fuggire lontano da tutto il resto, le pareva di poter quasi sfiorare il suo spettro.
La ragione le diceva di rinunciare, che forse si era trattato di una fantasia, di un ricordo cambiato dal tempo in qualcosa che non era e non esisteva.
Ma il cuore, e non altro, le imponeva di aspettare. E fare come le aveva detto: difendersi.
Nei suoi sogni lui era cambiato.
Era stato lo strano amico che per mano l’aveva portata in tanti assurdi posti. Posti così reali che sembravano veri e non sogni, come altri che faceva. Avevano giocato insieme, riso.
Poi però tutto era diventato… differente. E lei si era innamorata del suo amico immaginario. Perché era quello, era amore. Una cosa impressionante, dolorosissima. Come la sua assenza.
Nei sogni lui restava distante da lei. La teneva per mano, la abbracciava quando sentiva quella tristezza terribile salirle dall’animo anche quando era lì. Mai le loro labbra si erano sfiorate, solo le loro mani, le sue dita fredde su di lei con delicatezza; le ricordava sulle sue tempie, le ricordava...
Mai aveva potuto accarezzarlo più profondamente. Mai neanche lì, dove esisteva.
Lui la vegliava come fosse uno strano angelo custode.
In attesa di ritornare da lei.
Lo sentiva, lo sentiva chiaramente. 
Ma era umana e aveva disperato.
E un giorno, ascoltando quella canzone, aveva pianto amaramente tutte le sue lacrime come davanti ad una fine.
“Sembra che io sia stata trattenuta in una specie di stato di sogno…
…Basta sognare come una ragazza troppo innamorata…
… nel mondo sbagliato…”
Blinding.
Accecante davvero, come il risveglio certe volte.
Aveva provato quindi a rinunciare a Lui, a lasciarsi amare e amare un altro.
Ma non funzionava.  Non vi era attrazione, non vi era passione. E cosa fosse lei lo sapeva perché era qualcosa di bruciante mentre continuava a guardare le stelle ogni notte, mentre continuava a desiderare qualcuno di cui sapeva, sentiva, di conoscere ogni cosa fino in fondo.  
Non era qualcosa che aveva a che fare solo con l’anima, con qualcosa di sottile ed etereo ma indistinto. Era qualcosa che le scuoteva i sensi.
Era un tormento, una mancanza terribile e continua, come ripetere quel gesto sapendo che era chiamarlo.
Ed era ciò che sentiva dentro di sé per quell’uomo che non esisteva…
…forse…
che aveva impedito al suo corpo di amare Mickey. E prima ancora chiunque altro.
Aveva cercato la normalità. Era sempre stato il silenzio, con tutti. L’angoscia, dopo. Il rimpianto.
Era terribile cercare di placare quelle fiamme con qualcosa che invece le spegneva del tutto.
E il sentimento di un ragazzo che pure, nonostante tutto, accettava ogni cosa tacendo dolorosamente e con pazienza, non le era bastato. Non era fare l’amore; era sbagliato, era… nulla. La sua pelle urlava il silenzio, così i suoi sensi, il suo cuore stesso che non accelerava ma rallentava, ad ogni bacio, ad ogni carezza, ad ogni notte con Mickey. Non poteva continuare a mentirgli e mentire a sé stessa.
Non poteva essere solo quello, l’amore.
Non lo era. Lo sapeva.
-          Sai che anche fosse esistito, anche fosse… ora sarebbe decisamente troppo vecchio per te? – Rose non lo considerava possibile ma doveva essere così. Ma poteva qualcuno che la trovava nei sogni e al di là di tutto, essere ed esistere come chiunque altro?  – mi hai anche detto che ti ha parlato di sua moglie…!
-          No, mi ha solo detto che andava da sua moglie – e nella sua mente le parole che non aveva detto: tornava da sua moglie.
…tornava da lei?
Lo aveva promesso.
-          E’ folle… tutto questo è folle… - Rose non sapeva che rispondergli se non il fatto che sapeva benissimo di non essere pazza. Che non fosse solo l’immaginazione malata di una ragazza…
... chiusa in un altro mondo…?
-          Mickey…
-          Tu davvero non provi niente per me, Rose? – le chiese per l’ennesima volta, gli occhi rassegnati ma ancora quella speranza impossibile da cancellare, a causa di ciò che provava. Rose lo guardò addolorata. Perché non era vero che non provava nulla per lui. Ma non era quello che lui desiderava.
-          Non possiamo stare insieme, Mickey – concluse Rose.
-          Perché ami lui?  - chiese rabbioso – perché tu pensi di amare… qualcuno che non esiste, che non c’è e non ci sarà mai? – sbatté la mano sul tavolo e più di qualcuno, accanto, rivolse lo sguardo su di loro. Rose abbassò gli occhi e scosse il capo – Rose, ti prego… ti stai rovinando la vita, devi parlare con qualcuno… devi assolutamente risolvere questa storia e per il tuo bene. Solo… per il tuo.
-          Io devo difendermi, Mickey. Devo…aspettare e difendermi – disse Rose facendosi forza di tenere un tono fermo. Senza neanche rendersene conto, rovesciò di proposito un po’ di zucchero sul tavolo e con le dita iniziò a fare dei cerchi, dei cerchi complessi, degli ingranaggi. Mickey pensò che era tragico come quel gesto tradisse tutta la follia di quella ragazza che nonostante tutto continuava ad amare. La ragazza che aveva stretto a sé, che aveva amato con tutto il cuore. Ma lei non era con lui quando accadeva ma altrove. Con un altro.
Era terribile.
Per l’ennesima volta maledì quell’uomo, se esisteva, e il fatto che quel giorno fosse passato di lì. Quei suoni inesistenti che diceva di sentire, i sussurri dentro le stelle, quella stranezza che la rendeva speciale ai suoi occhi, si era da allora trasformata in altro. In una continua ricerca di qualcosa, di qualcuno…
Che purtroppo non sarebbe mai stato lui.
Mickey guardò il complesso disegno di Rose e lei, quasi impaurita, lo cancellò subito con un gesto.
-          È una parola..? – chiese ancora una volta, sapendo che non gli avrebbe risposto. Rose abbassò lo sguardo un lunghissimo momento. Come si aspettava, tacque. Scuotendo il capo Mickey si alzò in piedi – Rose, vengo a prenderti quando stacchi così facciamo insieme un po’ di spesa per tua madre, ok? – lei annuì. Mickey, sempre premuroso e presente. Sempre lì.
-          Grazie… - mormorò con un filo voce. Lui annuì con tristezza e le fece una carezza sui capelli, un gesto che sarebbe voluto essere tenero ma che a Rose non piaceva, non era mai piaciuto.
Solo una volta. E fu doloroso pensare che il breve sorriso non fu alla gentilezza di Mickey ma a qualcuno che, per l’ennesima volta, aveva sentito vicinissimo a sé.
Mickey uscì dalla caffetteria e Rose si alzò per riprendere a lavorare, dopo la breve pausa.
Fuori il tempo era terribile, il cielo plumbeo.
Notò stranamente che la cicatrice sul suo ginocchio bruciava. Bruciava moltissimo e non succedeva da anni, ormai. Strano.
Il cielo diceva che stava arrivando la tempesta.
 
**
Il giovane Dottore del futuro entrò nella sala tattica, praticamente nella penombra. Lui era lì. Rimasto dopo tutto. Dopo quella surreale riunione, dopo aver ascoltato quello che avevano da dire sul signore del Tempo impazzito. C’era troppo da dire, da chiarire.
Aveva compreso subito come l’odio della donna che in quel presente si chiamava Melanie Williams era più personale e meno indotto, di quanto non fosse nella sua linea temporale. Lei non era stata condizionata ad odiarlo; o almeno, non nello stesso modo. Le intenzioni del Silenzio erano manifeste: uccidere il signore del Tempo. Ucciderlo perché assassino dei mondi e del tempo.
Condivideva l’idea, era la cosa più giusta da fare. Ma non per la sua morte, non per quello. C’era un modo, un unico modo di rimettere a posto ogni cosa o almeno provarci. Ma non avrebbero potuto mai farlo con lui in vita. Glielo avrebbe impedito.
Ma quella soluzione non era quella cercata dal Silenzio, neanche nel luogo dove si trovava. C’era sotto qualcosa, qualcosa di differente. Melanie era uno strumento.
-          Voi signori del Tempo assumete sempre fattezze attraenti per manipolare gli altri? – gli aveva sorriso, come al solito. A quel modo che gli piaceva e lo preoccupava insieme.
-          No… la rigenerazione è un processo rischioso. Una.. lotteria  – le aveva risposto guardandola fisso negli occhi chiari che lei aveva assottigliato maliziosamente. Non aveva potuto fare a meno di arrossire. Con lei era così.
-          Lotteria… Sei fortunato al gioco allora – aveva mormorato squadrando anche l’uomo che era stato in passato – e in amore, come te la cavi?
-          Perché non me lo dici tu…? – non aveva alluso a quello che c’era tra lui e la donna che era lei altrove, complicato e straordinario in vari sensi. Ma il pensiero era andato subito alla causa di tutto il disastro in cui si trovavano. E la schermaglia tra loro si era conclusa amaramente.
Perché ogni cosa che stava accadendo dipendeva dal fatto che Lui avesse amato.
La dottoressa Williams aveva lasciato il suo posto e poi si era diretta verso il quadro comandi e ancora una volta, attivato il dispositivo aveva fatto apparire l’immagine del tremendo signore del Tempo, del presente impossibile che vivevano. Lo aveva guardato stranamente.
Il Dottore aveva capito che provava verso di Lui, come era accaduto nell’altra linea temporale con la sua generazione invece, quel misto di attrazione e odio che era stato evidente quando l’aveva avvelenato. E poi salvato a costo delle proprie vite.
-          Sei bello e terribile, tesoro – aveva sussurrato all’immagine ma poi guardato sia lui che l’altro Dottore. In un certo senso, quelle parole valevano per Lui in ogni tempo  – so dove trovarlo…- aveva detto staccando lo sguardo da quell’immagine - ha sfruttato una coincidenza temporale e stavolta ha fatto qualcosa di nuovo … - aveva dunque spiegato l’ultima follia del signore del Tempo malato. Un doppio nodo in due punti della stessa linea temporale. Quella di Rose Tyler in quel mondo. Forse nessuno come il Dottore poteva comprendere esattamente cosa volesse dire, ma era qualcosa di possibile solo visto lo stato terribile del tempo e dello spazio.
Contro ogni cosa ma affascinante.
-          Geniale… - aveva commentato il giovane Dottore con ammirazione. Perché lo era. Ma l’altro Dottore aveva ancora taciuto.
-          Geniale… Sì… lo è – lei lo aveva detto quasi dolcemente -ma non sottovalutare me…
-          Credimi, non lo faccio mai – aveva detto inclinando lo sguardo verso di lei. Che non era “lei” ma così simile…
-          Bene. Perché, sappiatelo: Quando lo troverò lo uccideròe voglio che soffra molto mentre muore… - aggiunse con un tono che non le aveva mai sentito nella voce.
-          Sempre ammesso che non arrivi prima io – e tutti avevano guardato il Dottore passato, che aveva pronunciato quelle parole con voce ferma e occhi terribili.
Chiunque fosse lì, aveva rabbrividito. A ragione. La sua ira era tremenda come dicevano ed era una delle cose che non era mai cambiata di lui.
Ma in quell’uomo sofferente vi era anche quel qualcosa che nessuno, tranne lui, poteva capire.
Il Dottore futuro sapeva che sarebbe stato difficile per la sua generazione passata ma non fino a quel punto. Il fatto che il signore del Tempo avesse sposato Rose Tyler aveva sconvolto ogni cosa per sempre. In ogni caso.
In quel presente, in quella situazione, tutti affrontavano qualche paradosso personale rispetto alla propria vita precedente; qualcuno ripensava a dolorose perdite. Valeva per lui più che per chiunque altro.
Non riusciva a non pensare ad Amy e Rory, a cosa dovesse essere successo perché la figlia fosse ancora una volta nel Silenzio, sebbene con un altro ruolo rispetto alla sua linea temporale; avrebbe voluto chiedere alla Melody di quel momento, la donna dal nome diverso, perché odiasse il Dottore così intensamente e con tanta consapevolezza personale. Lui doveva averle fatto qualcosa di terribile.
Si sentiva male per questo. Molto male.
Riusciva a dominare quel dolore perché sapeva che nessuno di coloro che lo circondava era chi aveva conosciuto davvero. Lo sentiva chiaramente, sebbene tutto si sfumasse per lo stato precario dell’universo.  
Tutti erano altri tranne…
Jack, lo stesso ovunque. Martha, sfilata dal suo tempo perché l’aiutasse muovendosi nell’unico senso che avrebbe potuto, nel suo futuro. E poi…
Un’ultima persona. Sé stesso.
LUI. L’uomo che aveva perso tutto.
 
Non aveva cercato di trovarlo ma era naturale che si incontrassero negli stessi posti. Erano pur sempre, entrambi, il Dottore. Per lo stesso motivo, neanche la sua rigenerazione passata si meravigliò di vederlo lì.
-          Non potevi essere in un altro posto, visto che non dormi…  – disse il Dottore venendo verso di lui che lo fissava con iridi del colore della brina.
-          Tu invece hai tenuto sveglio qualcuno fino ad adesso? Sei di ritorno da qualche intima chiacchierata con la dottoressa Williams? – il tono ironicamente disturbato dalla cosa lo avrebbe fatto sorridere se gli occhi gelidi del Dottore passato non fossero stati così sofferenti. Quella generazione era complessa, con un carattere molto chiuso e tormentato. Non diverso dal suo come pensava. Non diverso da quello di colui che dovevano uccidere  – io… ho difficoltà ad accettare tutto questo. Più di te e sappiamo entrambi perché.
-          Sì…  – mormorò il giovane e rivolse gli occhi all’immagine che aveva di fronte – tu ti chiedi come sia stato… con lei. E ti chiedi anche… chi sia Lui.
-          Mi chiedo chi sia io, Dottore – aggiunse piano.
Lui. Quella generazione aveva avuto grandi occhi penetranti, che sembrano fissarti anche da altrove.
Il Dottore futuro non lo avrebbe mai ammesso ma lo inquietava nel profondo.
Certo per altri motivi rispetto a chiunque altro nell’universo ma quel viso, quegli occhi… quel corpo che aveva davanti, smuovevano in lui ricordi di sensazioni che aveva cercato di allontanare per sempre dalla propria vita. Il ricordo dell’innamoramento, dello smarrimento dei sensi. Il ricordo dell’effetto che gli faceva lei…
L’aver sofferto, sofferto tantissimo, come in nessun altra vita. Fisicamente ed emotivamente logorato, distrutto. E non ultimo il brivido lunghissimo del suo non volere morire e morire, da solo. Da solo.
E dimenticato dall’altra donna che amava profondamente e che era diventata… come lui.
Eppure la sua morte era stata la sua vita.
Non fosse morto, lui non sarebbe esistito.
Ma guardarlo, in quegli occhi scuri e profondi che aveva, sia pure nell’immagine simulata, lo smarriva.
Il suo sé stesso lo comprese d’istinto.
-          Non sei freddo come dicono – disse il Dottore passato.
-          Può darsi…  – mormorò il giovane Dottore – ad ogni modo so… che è difficile per te…
-          Più di quanto credi. Perché non capisco… !  - a stento represse un gemito di rabbia impotente - non capire non mi succede spesso ma questa volta – spalancò gli occhi sui suoi – è la fiera dell’assurdo all’ennesima potenza! E’ oltre l’inconcepibile in tutti i sensi ed al centro… IO. Causa di tutto, rimedio di tutto. Probabilmente un disastro.
-          Probabilmente – il Dottore futuro accennò ad un lieve sorriso abbassando gli occhi.
-          Ma stavolta non è divertente! 
Era furioso. Stava calmo a stento. Ne aveva ogni motivo. Anche di rivolgersi con tanto rancore verso il simulacro di quell’uomo che ancora non era e che fissava qualcosa oltre di loro, qualcosa di lontanissimo. E nonostante tutto era lì. Dentro entrambi. E lo sentivano.
-          Doveva lasciarla, Dottore! – protestò ma voltandosi verso l’immagine – doveva… andare oltre!... perché non lo hai fatto? Era solo una donna, una donna come molte altre! Tu sei andato avanti, a quanto sembra! – disse con tono amaro.
-          Se ti riferisci a quel che succederà con la donna che io ho conosciuto con altri nomi… è qualcosa di diverso…
-          Sei andato avanti. Poteva farlo anche lui – chiuse gli occhi stringendo forte i pugni al corpo – poteva…!
-          Ci ha provato. Ma non è successa quella cosa necessaria all’universo perché Lui non diventasse la sua fine – disse con tono tranquillo il Dottore del futuro avvicinandosi alla sua passata rigenerazione. Guardò anche lui, di nuovo, il sé stesso che era stato – Dottore… nella mia linea temporale Lui ha potuto rinunciare a lei perché… l’universo ha staccato questo corpo e tutto quel che siamo in un uomo a parte. Un umano – il Dottore passato ebbe un vero e proprio scatto, represso a stento; poi lo fissò stupito e forse inorridito insieme. Il Dottore futuro abbassò lo sguardo con un lieve sorriso e poi gli mise per un momento la mano su una spalla – Lei ha avuto Lui. Ma… Lui non ha potuto avere lei. Si è però rassegnato sapendo che in un altro mondo, in un’altra vita… sarebbero stati insieme. E lo sono! Rose Tyler e il Dottore. Come doveva essere – aggiunse più piano.
-          E dopo questo, dopo tutto questo…?
-          Poco dopo è morto – disse lasciandolo e il tono che aveva avuto, sebbene neutro in apparenza, fece comprendere istintivamente alla rigenerazione passata, che Lui doveva aver sofferto molto. E tutto quel che era stato, pesava sull’animo di chi aveva accanto.
-          Qualunque sia il mio futuro è di sofferenza. Il suo qui, il suo nel tuo universo…
-          È sempre stato così. Tutti ci lasciano, io resto solo…
-          Ma inizia a diventare insopportabile. Non è vero, Dottore? – la rigenerazione futura lo guardò fisso un lungo momento. E non c’era bisogno di dire altro. Perché il dolore pesava ed era in quegli occhi più vecchi dei suoi e che erano i suoi, dopo molto altro dolore.
-          A volte penso che un signore del Tempo viva troppo… - disse il giovane Dottore abbassando lo sguardo e poi rivolgendolo verso l’immagine della Decima vita che aveva avuto – lo ha detto… Lui.
-          Lo penso spesso – il Dottore del passato lo sussurrò quasi tra sé – è una vita troppo lunga…
-          Ma una vita avventurosa, splendida… intrigante, come l’hai sempre voluta! E lui – esitò ma poi sorrise - Lui è stato… speciale. Sentiva le cose molto intensamente, tutto lo eccitava, ha scoperto la profondità di altri sentimenti e quanto potessero essere intensi…! Ricordi terribili ma altri… altri che mi mantengono in vita! – e per un momento sembrò che la passione di cui parlava, qualunque essa fosse, non si fosse spenta in quell’uomo nuovo ma solo nascosta, cambiato forma. Fu solo un attimo però, perché quel folle vecchio ragazzo si rivolse a lui nuovamente calmo, all’apparenza – ora…dimmi, Dottore… Davvero vorresti perderti tutto questo? – gli occhi della rigenerazione passata erano trasparenti in quel momento. Come acqua. Sapeva cosa pensava. Lo aveva pensato anche lui, più volte.
Arrendersi. Il pensiero di arrendersi era continuo, in lui. Non veniva dal nulla ma da tanta stanchezza e troppa sofferenza. Anche per i due cuori di un signore del Tempo.
-          Mi aspetta… la sofferenza o la fine.
-          La fine in ogni caso – disse piano il giovane Dottore – ma sappi che alla fine, nonostante tutto…Lui… non voleva morire. Ha pianto, mentre succedeva – sorrise appena al sé stesso passato – tu invece hai addirittura sorriso. Perché c’era lei, con te! E Lui è stato così per lei. Per …  - esitò e poi non lo disse. Non c’era bisogno di dirlo.
Si scambiarono un’altra occhiata che fu di totale comprensione. Perché fra loro erano più simili di quanto non lo fossero rispetto all’angelo nero di quel presente impossibile.
-          Dottore… non lo dirai, vero? – disse ad un tratto il Dottore del passato.
-          No. Non è necessario che sappiano.
-          Hai mentito. E ho mentito anch’io.
-          Il Dottore mente – accennò ad un sorriso il giovane Dottore – ma… sapevo che lo avresti capito, nonostante i tempi confusi e il paradosso complesso – gli occhi chiari del Dottore passato diventarono più scuri e lucidi.
-          La stessa materia non può occupare lo stesso spazio…  in linea di massima…
-          Il Tardis ha il nostro stesso problema ma può esistere… solo in due versioni diverse, nel medesimo tempo. Il tuo Tardis…
-          È il suo Tardis. Il Tardis che ora è una macchina paradosso, a quanto pare… - emise un lungo sospiro -  e così io sono… il passato del mondo di Jack, del mondo di Martha e del suo mondo. Era logico. Tu hai potuto inviare il messaggio solo attraverso una crepa e da questa, avanti nel tempo per mezzo del passato…
-          E proprio perché dal futuro altrove, sono potuto venire a prenderti – disse il giovane Dottore. Lui annuì.
-          Tutto questo…  - abbassò lo sguardo un momento - mi fa così male perché succederà a me e perché Lui è me, proprio Lui, proprio colui che vediamo e che distruggerà tutto…! Io… mi guardo e lo vedo dentro di me. Lo sento, dentro di me.
-          Anche io. Lui è me. Ma…Ricorda che tu non hai a che fare con tutto questo e il futuro può essere riscritto. Soprattutto se è come non sarebbe dovuto essere.
-          Non accadrà niente di questo, non lo permetterò mai! – disse con occhi fiammeggianti il Dottore passato e dopo un’ultima occhiata all’immagine dell’angelo nero che sarebbe stato, lasciò la stanza a capo chino.
Tremava di rabbia, lo aveva visto.  
Il Dottore futuro però sapeva che quell’uomo era così turbato perché stava succedendo. Incredibilmente ma stava accadendo di nuovo. Non poteva impedirlo.
Si stava innamorando di lei, senza volerlo. Proprio come la prima volta. Ma stavolta, senza neanche conoscere la sua voce, senza neanche sapere perché.
Lei era ineliminabile dalla sua vita, ormai. Era nelle sue ossa, in tutte quelle che avrebbe avuto; era nella sua anima. Per sempre.
Il giovane Dottore fece un lungo sospiro davanti a sé stesso e con il cacciavite sonico alterò a distanza i comandi del dispositivo di aggregazione particellare. Le sembianza di chi era stato si persero come in una tempesta di scintille di sabbia dorata che iniziarono ad ordinarsi diversamente.
Un istante dopo…
…era Lei, che aveva davanti.
Il Dottore pensò che era diversa, per lui. Ancora diversa. Ma sempre Lei.
Poggiò la mano nervosa sul cilindro trasparente che conteneva il suo simulacro. Lo accarezzò, come avrebbe voluto fare con lei e lo fece senza pensarci, a capo chino. Poi finalmente rivolse i suoi occhi verso quelli dell’immagine della ragazza, come fossero stati davvero i suoi. Ed erano lucidi, anche se non avrebbe voluto. Le sue labbra si piegarono in un sorriso tristissimo.
-          Ciao, Rose Tyler – disse in un sussurro e ancora una volta abbassò lo sguardo quasi timidamente.
Chissà se l’avrebbe riconosciuto, ancora una volta. Lui era un altro uomo.
Chissà se…
Nessuno vide una silenziosa lacrima scendere lungo il suo viso.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Dei perduti amori ***


La dottoressa Williams continuava a pensare al giovane Dottore. Faceva paura a tutti, anche se attorno sembravano sforzarsi di non pensarci. Eppure era sempre… LUI.
Lui, del futuro. E c’era anche un altro Dottore che proveniva dal passato.
Era incredibile che loro non fossero lì per cercare di ostacolarli ma aiutarli, almeno così sostenevano, ma bisognava ancora capire in che senso.
Ignoravano del tutto la storia. Lo aveva compreso dagli occhi verdi del giovane vecchio venuto a parlarle in privato. Non si erano detti molto in realtà ma Lui era andato da lei per non toccarla e lei lo aveva ricevuto per poterlo avere più vicino.
Era terrorizzante sentire come fosse e non fosse Lui.
-          Che strano modo di esistere, Dottore – gli aveva sussurrato con un sorriso mentre, con le spalle poggiate alla parete del suo alloggio, Lui la guardava in tutti i riflessi sugli oggetti di quella stanza. E lo faceva come per doversi difendere, con l’istinto del combattente. Ma lo faceva anche solo per non doverla fissare troppo negli occhi.
-          Sei diversa da come ti conosco ma sei proprio TU…
-          IO sono solo io. E tu invece? – lui era almeno tre persone diverse allo stesso tempo. E chi aveva davanti, incredibilmente, aveva un sorriso timido e indeciso. Persino dolce.
Quello dell’angelo Nero invece era bello e terrorizzante insieme.
Uno dei suoi primi ricordi. Non poteva essere lo stesso essere che tra le fiamme e con le fiamme negli occhi, gridava fuori di sé che ogni cosa stava per…
… cadere…
Ricordava invece a stento la fuga, lei presa in braccio da qualcuno e portata via prima che quel terribile essere spalancasse il cielo sopra il mondo e lo facesse divorare dal niente.
Non poteva essere LUI.
-          Non devi fidarti delle apparenze, io sono stato lui – le aveva risposto comprendendo ogni parola che non gli aveva detto nel suo dubbioso fissarlo, cercando l’altro.
-          E sei così, ora? Lui, se morisse… diventerebbe… te?
-          No. Non me. Come tu non sei la donna che conosco io… - però le si era avvicinato e appena l’aveva toccata. E lei avuto un brivido e sorriso come se la cosa fosse naturale.
-          Facciamo strani giochetti insieme, io e te…?
-          A volte. Ma il nostro destino è incontrarci nel momento sbagliato.
-          E questo non fa eccezione – aveva concluso lei e lui annuito appena socchiudendo gli occhi.
Il Dottore davanti a lei. Nei suoi occhi profondi come abissi, ogni cosa che temeva ma ferma, immobile. Rimasta tale. Evidentemente nell’altro universo, cui quel Dottore apparteneva, lui non era mai diventato quel mostro che si diceva potesse essere, ben prima che impazzisse.
Quel Dottore non aveva fatto altrettanta paura.
Eppure la memoria di quanto potesse essere terribile era stata tramandata, come veleno. Attraverso le crepe che vedeva nelle cose da quando era bambina sua madre. Lei aveva predetto che il Dottore avrebbe distrutto ogni cosa. E intanto quelle terribili canzoni iniziavano a riecheggiare nell’universo.
Era terrificante e misterioso. Senza senso.
Amelia Pond però lo sentiva. Qualcosa doveva avere ereditato anche lei, di quella sua strana memoria per eventi mai avvenuti o per il futuro, perché Melanie, la prima volta che l’aveva visto, aveva compreso che era legata a Lui. Da un destino ostile, dalla fine. Di più non sapeva.
Il Dottore però andava distrutto al più presto. Avevano così iniziato a cercare di isolarlo dagli uomini tra i quali si era confuso. Una guerra preventiva, avrebbe detto qualcuno. Allora perché risuonavano quegli echi dagli squarci? La paura di Lui cresceva perché davvero veniva percepito come un profondo oceano poco prima di alzarsi in tempesta e non importava che fosse apparentemente calmo. Era ostile, lo sarebbe stato.
E quando aveva sposato quella donna, si era impossessato di tutti il timore che il signore del Tempo potesse addirittura…
… Avere un figlio.
Eppure, un essere generato da Lui poteva essere la soluzione;  poteva essere lo strumento di vendetta dell’intero universo, come sentito da sua madre: il suo sangue l’avrebbe distrutto, ripeteva.
Ma in che senso?  Gli echi nelle pareti e nei cieli erano diventati sempre più confusi.
Tutti avevano paura del Dottore. Da sempre. Dal sempre era tale e non lo era insieme, a causa sua.
L’ultimo signore del tempo. L’ultimo dei peggiori.
Come poteva, quella donna maledetta, avere accettato di unirsi a Lui?
Un’umana. Una ragazza umana si era messa tra Lui e tutto l’Universo. Per proteggerlo. E c’era riuscita.
Rose Tyler quando si era accorta di essere senza speranza, per salvare la vita del signore del Tempo, aveva preso qualcosa che aveva letteralmente distrutto del tutto il suo corpo e quello del figlio. Doveva aver sofferto molto, fisicamente. Quando l’avevano presa era morta e non avevano potuto far nulla con lei perché le sue cellule non erano più replicabili e così anche altro. Ma anche fossero riusciti ad ottenere qualcosa dai suoi resti, la furia cieca di quel mostro e della terribile donna dai capelli rossi che gli somigliava, avrebbe annientato  ogni cosa. E tutti.
A quella donna umana era stato fatto un torto, lo riconosceva; ma faceva parte dei danni collaterali. E chiunque fosse legato al Dottore non meritava alcun riguardo.
L’angelo nero andava spento nell’oscurità dei cieli più bui, dopo la scomparsa di tanti mondi e realtà.
Ormai sembravano essere tutti d’accordo in quel presente impossibile che vivevano.
Tutti tranne due persone che aveva notato subito in mezzo al gruppo: L’uomo alto e bello e la ragazza molto emotiva che era al suo fianco. Dallo scatto che aveva visto quando il Dottore aveva detto di conoscere lei, nel suo futuro, aveva subito pensato che la cosa non fosse a lei nota e per qualche motivo, sgradita. Si chiese quindi se il Dottore del futuro avesse in lei la sua nuova compagna. Umana, naturalmente.
Guardando gli occhi verdi del Dottore però si era sentita di scartare quell’ipotesi d’istinto. Per quanto fosse cambiato, se lui era davvero la stessa persona che stava distruggendo ogni cosa per amore di una donna…
… non amava quella ragazza. Perché guardava troppo lei ed in un certo modo.
La cosa avrebbe dovuto inquietarla, visto l’odio profondo che provava verso di Lui. Misteriosamente invece le piaceva. Come ogni cosa pericolosa.  Come Lui.
Le era sempre piaciuto. Poteva addirittura ammetterlo perché lo odiava sopra ogni cosa. Ma non solo.
Aveva pensato a come ucciderlo e farlo soffrire maggiormente.
Non bastava un colpo d’arma. Ucciderlo mentre cambiava. No. Quello che ci voleva per lui era quel veleno.
Loro sapevano come fare, come impedire che si rigenerasse in un altro, come rendere la sua, una morte più lenta… dolorosissima. Doveva morire con gli occhi fissi nei suoi. Spalancati sulla fine, come lo erano stati quelli dei suoi genitori su quel mondo annientato senza pietà.
Ma nelle sue fantasie la sua vendetta si mescolava con altro ed era eccitante e terribile al tempo stesso. Perché si sentiva sempre più strana, sempre più incline a provare verso di Lui, altro.
Perché non riusciva a smettere di pensare a Lui?
E perché in quella generazione futura era così…
attraente? Sembravano due poli opposti destinati ad avvicinarsi ed era convinta che questo lo sentisse anche Lui.
Sì, forse in quella generazione il Dottore era meno bello di come fosse prima, ma stranamente più vicino a qualcosa che Melanie si era dimenticata di avere da tempo, qualcosa che pensava fosse andato in pezzi con il suo mondo. Ritrovarlo in quel momento, a quel modo e quasi a tradimento, la turbava. Non era qualcosa che proveniva solo dai sensi, lo sapeva. E averlo incontrato e avendone avuta coscienza in modo tanto immediato e istintivo la faceva vacillare come non avrebbe mai ammesso.
Non dal proposito di uccidere LUI ma da quello di distruggere del tutto l’Essere che sarebbe anche stato.
Pensava questo, guardando le stelle dal suo alloggio la dottoressa Melanie Williams. Apparentemente calma come uno stagno immobile in una giornata senza vento.
 
**
 
Il Dottore andò nel laboratorio e trovò Martha già a lavoro. Ne fu sorpreso perché era più che mai evidente che non avesse dormito in numero di ore che riteneva sufficiente per un essere umano, mediamente. Martha poi aveva un buon sonno, lo ricordava bene. Ma anche il suo restare sempre vigile.
Da quando l’aveva vista non faceva altro che pensare a ciò che erano stati insieme. Martha era forse la compagna a cui aveva chiesto di più, chiesto ogni cosa. E Martha gli aveva dato tutto, anche il cuore. Le aveva fatto male in modo diverso da altre e ancora una volta, le aveva chiesto la vita e lei… detto sì.
Appena lo vide gli sorrise, appena. Ma gli occhi lucidissimi di lei sorridevano anche di più, in modo diverso. E insieme triste. Infinitamente triste. Ricambiò il sorriso e le si avvicinò dondolando con le mani in tasca e già tormentando nervosamente il suo cravattino. Martha lo notò e rise.
-          Dottore… che eleganza…! Il cravattino e le bretelle… !
-          Beh, non sono bellissimi?
-          Oh, davvero notevoli!  – disse prendendolo in giro – le bretelle soprattutto. Le avevo notate quando ti ho visto la prima volta e non sapevo fossi tu. Per un istante, nonostante la situazione… ho avuto l’impulso di ridere – il Dottore inclinò lo sguardo verso di lei con un leggero sorriso.
-          Lo vedi che sono forti per questo? – lei rise di nuovo - Martha Jones, non è bello ridere così dei vezzi di un povero vecchio… !
-          Pensare a te in questi termini mi sembra davvero riduttivo.
-          Eppure proprio tu hai visto e sai – e nonostante ogni cosa, pensò Martha, quella volta aveva solo sperato fosse ancora vivo.
Ed era stato così bello quando era risorto dalle sue ceneri come una fenice splendente…
Il pensiero la fece rabbuiare di colpo e il Dottore comprese il perché.
-          Siamo… prigionieri di un tempo impossibile… - disse piano Martha.
-          Improbabile più che impossibile, forse – lei scosse il capo.
-          Un tempo che però mi riporta alla memoria il mio passato e te, prima di ogni altra cosa – in realtà, lo aveva detto, le restava solo Lui come ricordo emotivamente reale. E il ricordo stava diventando qualcosa di diverso. Martha però si sforzò di fargli l’ennesimo sorriso. In fondo non aveva ancora avuto modo di chiederglielo. Di chiedergli dell’altra sé altrove, nella sua linea temporale -  Dottore… spesso mi chiedo se tra di noi sia andata nello stesso modo ogni volta…
-          Intendi dire se io e te…? – la guardò confuso e balbettante. Martha lo fissò perplessa. Poi comprese e si mise una mano davanti alla bocca ridendo e lui la fissò perplesso. Aveva un’espressione comica, in quel momento. Nonostante tutto. Il Dottore del futuro capì e si diede un colpetto alla tesa alzando gli occhi – Oh… sì…certo…! Tu intendevi… ah, che stupido che sono…!  - Martha ricambiò il suo sorriso.
-          Io mi chiedevo delle differenze tra le nostre linee temporali.
-          Ehm sì… già – mormorò scompigliandosi i capelli con un gesto a lei familiare. Martha cercò di ignorarlo – in realtà è come ti ho detto: le differenze sono poche. Piccoli particolari.
-          Ma fondamentali, come per quel fatto della… mano – aggiunse un po’ perplessa e sottilmente inorridita, forse.
Il Dottore pensò che era esattamente come la prima volta che l’aveva saputo e ne sorrise.
-          Quello ha cambiato ogni cosa – mormorò il Dottore futuro e iniziò a mettere le mani su contenitori, fiale e campioni, apparentemente a caso e con una mancanza di delicatezza preoccupante. Poi la guardò – da quel che vedo… tu stai simulando il suo stato fisico attuale  – Martha annuì – ma non è solo questo, non è vero? – gli occhi profondi del signore del tempo futuro furono nei suoi e per un istante lunghissimo Martha lo rivide, lo rivide davanti a sé come era ed ebbe un brivido – Martha…
-          Dottore io…
-          So cosa stai facendo. Lo sospettavo, è da te. E… - prese in mano una fiala – questo me ne dà la conferma – Martha abbassò lo sguardo come fosse stata colpevole di qualcosa e forse lo era, vista la situazione. Ma lui continuava ad essere stupito da lei e comprendeva ogni momento di più perché avesse chiesto proprio  a Lei, di aiutarlo - davvero pensi che sia il caso di provare a salvarlo, dopo tutto questo? Davvero pensi che sia possibile e soprattutto che Lui… lo meriti…? – le chiese con dolcezza.
-          Stai soffrendo moltissimo ed io non lo sopporto… devo aiutarti, devo!  – lo disse senza pensarci.
E in un istante.
Il Dottore non la guardò sorpreso. Lo sentiva, lo sapeva. I suoi occhi verdi si fecero più lucidi e caldi, guardandola. Martha cercò di non fissarlo perché ancora una volta era Lui, lo sentiva. E non lo era insieme. Ma vedeva che lui comprendeva, ricordava ogni cosa. Doveva essere andata in modo molto simile tra loro.
-          Martha Jones… difensore dell’Umanità e … del Dottore – aggiunse lui in un sussurro con un triste sorriso – e stavolta sarà difficile perché devi scegliere, devi scegliere tutto il resto e non Lui. Non… me.
-          Come avrebbe dovuto fare anche Rose Tyler – aggiunse Martha con un velo di voce malferma. Era complicato, tra loro. Era sempre stato complicato – Dottore… tu non sai cosa ha fatto Rose, per… Lui. Ancora non ti è stato detto – lo vide irrigidirsi. Appena un po’ ma era stato percepibile per lei che lo conosceva.
Il Dottore futuro aveva cercato di assumere un’espressione più incuriosita che turbata ma più gli stava vicino, più comprendeva come interpretare quel Dottore così chiuso, apparentemente.
Se era lui, se il corso del tempo era stato simile come diceva… allora qualunque cosa su di lei lo colpiva facendogli male. Era però giusto che sapesse, capisse fino in fondo.
-          Mi hanno detto che quando si ammalarono, Rose si preoccupò più di lui che di sé stessa – lo vide abbassare gli occhi un momento  - temeva quel che sarebbe potuto accadere se le persone che stavano facendo loro il vuoto attorno, avessero deciso di prendere suo figlio.
-          Rose è sempre stata molto intuitiva. Aveva capito – disse piano e Martha annuì.
-          Allora si procurò qualcosa di letale, letale in modo assurdo, Dottore. Qualcosa che deve averla fatta soffrire non oso pensare quanto! – il Dottore del futuro aveva ascoltato quelle parole con gli occhi sempre meno fermi, aveva abbassato lo sguardo aggrottando la fronte e portato al collo la mano, nervosamente tremante. Martha lo guardò con pena ma doveva sapere – quando comprese che stava morendo …  quando vide che invece Lui sembrava riprendersi ma non del tutto, non bene… Rose prese un farmaco. Non sappiamo come se lo sia procurato ma… accelerò la morte, la sua e del figlio. Ma rese entrambi…
-          …inutilizzabili per gli scopi del Silenzio…  – mormorò il Dottore con filo di voce e finalmente Martha vide che il lungo sospiro che aveva fatto nascondeva malamente delle lacrime. Allora lo riconobbe del tutto.
-           Oh, Dottore… io non volevo…!
-          Rose Tyler… - disse il Dottore del futuro – umana… così… umana…  - guardò Martha – come lo sei tu…
-          Dottore…
-          Nonostante il dolore, nonostante tutto… Si è macchiato del crimine peggiore che possa compiere chiunque. Ha ucciso, ha reso ogni cosa qualcosa che non doveva essere. Per questo, se non per altro… Io non posso salvarlo, Martha – disse il Dottore del futuro – non posso e non lo farei. Sarebbe stato certo meglio morisse. Definitivamente – aggiunse in un sussurro strano indefinibile.
-          Ma loro? Loro lo hanno distrutto, lo hanno fatto impazzire da dolore…!
-          Ma lui non è umano, non è come voi…
-          Lo è più di quanto non creda – lo fissò decisa ma il Dottore vide Martha sul punto di piangere e quindi alzare lo sguardo perché le lacrime non scivolassero dai suoi occhi. Le rivolse un sorriso tristissimo perché stava facendo la stessa cosa.
Gli occhi del Dottore però si posarono su un oggetto, un oggetto che pensava di non trovare, non ritrovare lì. Lo guardò sorpreso.
-          Lo ricordo… questo quaderno è … ?
-          Una delle pochissime cose che ho portato via con me – disse Martha – e una delle più care – era ironico.
In fondo quel che c’era tra quei fogli era per un’altra donna ma lei lo aveva conservato. Prese il vecchio quaderno e i fogli ingialliti e piegati, come fossero davvero di secoli prima e poi glielo porse. Il Dottore lo prese quasi indeciso.
Aprì il quaderno bruno, le rilegature scricchiolarono. E vide la sua scrittura, quella che aveva prima, vicino a quella di William Shakespeare. Riconobbe quel foglio che pensava perduto altrove.
Lesse:
 
Sonetto - appunti
 
Se ho vagato,
come ogni viaggiatore alla fine torno a casa,
giusto in tempo, dal tempo non cambiato,
 
Perché nulla è per me l’intero universo
Tranne te, mia Rosa: nell’universo sei tu il mio tutto.
 
 
-          Parte della seconda quartina… e gli ultimi due versi – sorrise Martha – e da allora questo sonetto è stato sempre così – lui accennò ad un lieve sorriso - Shakespeare lo aveva in sospeso, un appunto a parte. Tu avevi l’ispirazione per finirlo. Evidentemente non era un punto fisso.
-          Evidentemente no… - accennò il Dottore. Martha lo fissò profondamente.
-          Poco prima di partire gli chiesi il foglio e lui mi regalò questo quaderno. L’ho fatto nell’altro universo? – il Dottore abbassò lo sguardo.
-          Penso che Lui non sappia, che hai tu questi fogli. Ma io sapevo di quel quaderno, te lo vidi qualche volta in mano. Pensavo ad una dedica speciale del vecchio Will…
-          Ed io invece accarezzavo i fogli dove avevi scritto tu… - pensò Martha ma non glielo disse, mentre lo guardava con gli occhi lucidi – Dottore… anche nel tuo universo hai scritto questo … per lei? – lui la guardò un attimo poi rivolse lo sguardo altrove.
-          Il centonovesimo sonetto di William Shakespeare è questo – disse il Dottore con tono neutro e chiuse piano il quaderno porgendoglielo nuovamente. Martha notò come l’aveva toccato.
Era forse in quello che il Dottore era maggiormente cambiato. Sembrava più sfuggente, meno delicato. Sembrava meno incline a sfiorare le cose, le manipolava in modo apparentemente maldestro. E però pensò che forse era una strana tattica del suo nuovo esistere, sembrare addirittura così... indifeso. Lo sembrava.
Più vecchio e più bambino insieme. Le fece tenerezza.
Ma quella domanda, quella che si era fatta dolorosamente da quando l’aveva visto con quella donna, le restava incastrata nell’animo e doveva saperlo. O almeno chiederglielo. Si fece forza.
-          Dimmi, Dottore…  - esito un momento - la donna… da dottoressa Williams chi è per te…? - si guardarono e lei arrossì. Lui abbassò lo sguardo indeciso.
-          È… lei è… una persona che conosco e di cui mi fido totalmente – Martha ne fu stupita.
-          È quindi assurdo che lei qui sia…!
-          No, no. Non lo è ma…  dovrei spiegarti una storia lunga e complicata… magari lo farò – aggiunse piano.
Martha fu subito certa che non l’avrebbe fatto. Lo conosceva abbastanza da saperlo. E il suo atteggiamento confermava i suoi sospetti.
Quella donna era per lui qualcosa di più di una compagna di viaggio. Il dolore la colpì nuovamente ma più piano.
-          E… Rose… ? – altrove l’aveva potuta dimenticare allora – Dottore, lei… ? – lui distolse lo sguardo. Ebbe il dubbio che anche altrove fosse morta e si irrigidì  – lei…non sarà…?
-          No, lei è viva! Ma non è più con me – disse con tono deciso e la fissò un lunghissimo momento. Poi le fece una debole carezza su una spalla e con un sorriso triste rivolse lo sguardo altrove.
A quello per cui era venuto lì, prima che la trovasse.
Voleva conoscere quella malattia, il male che lo aveva sconvolto ed aveva ucciso Rose Tyler. Voleva capire di più. Ma non era interesse scientifico era qualcosa di diverso.
Nonostante il suo silenzio Martha sentì un’ammissione senza parole. Perché non bastavano, probabilmente. E quegli occhi che conosceva, quegli occhi così vecchi, nascondevano troppo ed erano profondi come precipizi.
Poteva un signore del Tempo con lo sguardo più cupo e buio di quello dell’angelo Nero, sconfiggere colui che dicevano la tempesta perenne? Probabilmente solo lui nell’universo che restava; e nonostante tutto. Anche a costo di un dolore che nascondeva. Molti dolori ma quello dentro.
Martha comprese che anche se così diverso, ancora una volta, avrebbe potuto innamorarsi di lui. Ma
forse non quanto, anche non volendo, continuava ad amare il distruttore dei mondi.
Il suo unico, ultimo, ricordo.
Lei l’avrebbe salvato. Lo aveva deciso. Lo avrebbe salvato ancora una volta.
E il Dottore del futuro, che pure le aveva chiesto di non farlo, forse l’aveva chiamata lì per questo.  

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Il Male ***


Si guardò riflesso e pensò che forse era l’ultima volta. Si guardò e ripensò a come era e come sembrava in quel momento e al dolore, alle grida, alle sue stesse grida fino a poco prima. Rabbia infinita, senza rimedio, senza pace. I suoi occhi erano del colore della pece.
Eppure in quel momento, come poche altre volte ormai, sarebbe potuto sembrare addirittura umano.
Stava morendo e non c’era niente da fare. Era disperato.
Il suo ultimo esperimento non era riuscito. Aveva aspettato, sperato ma non era riuscito. Non era la cura, non ancora. Qualcosa non tornava ma non aveva il tempo di comprendere di cosa si trattasse. Era vicino, vicinissimo ma lontano abbastanza da fallire. Lo stesso con Rose e il suo pensiero lo colpì dentro come la sofferenza che scuoteva le sue ossa e lo tormentava in modo acuto e costante ormai.
Aveva osato l’inosabile per tenerla più vicino a sé e ad ogni costo. L'aveva invece legata alla sua fine. La rabbia per questo aveva superato persino il dolore fisico quando, fuori di sé, aveva fatto a pezzi quasi tutto quello che aveva messo da parte in mesi di studi per l’esperimento che si era rivelato inutile. Era stato sicuro di riuscire, praticamente certo o almeno aveva sperato con le forze che gli restavano. Di tanta tracotanza ne avrebbe fatte le spese proprio Rose.
Ormai lei lo cercava, spezzata dalla sua mancanza; e non l’avrebbe mai trovato. Il suo ricordo incompiuto l’avrebbe resa una creatura folle per sempre.
Ciò che fisicamente lo tormentava divenne atroce in quel momento di rimorso estremo.
Ma il pensiero di altri mondi e altro inutile dolore non lo sfiorò.
Il suono cupo di campane del Tardis lo scosse ma con sforzo restava dritto davanti alla fine quando ogni cosa si era piegata per sempre.
-          Sei stata fantastica – sussurrò dolorosamente al Tardis, con gli occhi lucidi – ma questo purtroppo è il mio ultimo viaggio e varcate quelle porte io non tornerò più da te, non ne avrò la forza e…. mi dispiace, per tutto quello che ti ho fatto… mi dispiace…  – una fitta al petto lo colpì all’improvviso e si chinò tremante su di Lei che parve sentire le sue parole e rispondere con un lamento doloroso. Lui sorrise di amarezza infinita, gli occhi folli e oscuri spalancati sulla propria resa, appena prima di riuscire a piangere.  
Guardò le sue mani sulla console ma ancora non brillavano le scintille che preannunciavano il suo dover cambiare. Aveva un po’ di tempo ma non sarebbe bastato.
Appena un attimo per dire “addio” a Rose e morire dopo averla vista ancora un’ultima volta.
Spezzando il suo cuore come aveva fatto con ogni altra cosa, per arrivare da lei. Inutilmente.
 
 
**
 
L’ammiraglio Keyala sentì davanti alla porta del suo studio un certo trambusto e istintivamente prese l’arma nel cassetto della scrivania. La porta si aprì e una guardia accompagnò dentro il Dottore del futuro. Nonostante ostentasse una certa calma apparente, i suoi occhi lo fecero rabbrividire.
Quell’uomo, e l’altro silenzioso combattente che come tale l’ammiraglio comprendeva più di istinto, restava sempre colui che terrorizzava l’universo e non lo dimenticava. Non lo dimenticava nessuno.
Era una cosa certa, una delle poche che faceva parte del presente impossibile che vivevano.
-          Cosa sta succedendo? – chiese animatamente, alzandosi in piedi.
-          Devo parlarle urgente – disse con voce calma il Dottore. L’ammiraglio guardò il soldato, visibilmente agitato.
-          Mi dispiace signore, avevo detto che era impegnato ma…
-          Non si preoccupi. Prego… ci lasci soli – l’ammiraglio congedò la guardia e fece cenno al Dottore di sedersi davanti a lui. Gli occhi verdi del Dottore si posarono sull’arma, poggiata ancora sulla scrivania. L’ammiraglio comprese e tornando a sedersi, la prese e la rimise nel cassetto – sono tempi difficili, cerchi di comprendere – disse guardandolo.
-          Comprendo che anche la mia presenza qui, sia difficile. Per tutti. Ma sto cercando di aiutarvi.
-          E lo apprezziamo. Anche se è quasi difficile credervi, visto ciò che è successo e sta succedendo.
-          Me ne rendo conto ma… perché io possa davvero cercare di fare qualcosa è necessario che io sappia tutto e sappia esattamente cosa è stato fatto – nelle parole del giovane Dottore un accento strano, cupo. L’ammiraglio non si concentrò sul suo sguardo ma sul senso di ciò che aveva detto.
-          Si riferisce a qualcosa in particolare, suppongo.
-          Ah, decisamente sì – annuì con le labbra strette – decisamente! Sono di ritorno dal laboratorio dove ho parlato con la dottoressa Jones – Keyala annuì – lei sta studiando la malattia.
-          Ormai vi è la cura…
-          Messa a punto dal Dottore – disse quasi distrattamente. Keyala tacque.
-          Sì, ma… nonostante ormai sia un pericolo per pochi lei si ostina a voler comprendere di più al proposito.
-          Martha è eccezionale per questo: vuole capire ogni cosa razionalmente ma comprende… al di là della ragione.
-          Immagino l’abbia voluta qui per questo.
-          Sì. Anche per questo – mormorò quasi tra sé –  ad ogni modo le sue riflessioni mi hanno portato a prendere atto di una cosa molto importante e quel che ho scoperto mi dà da pensare ed ora… ho un sospetto e voglio una risposta.
-          Una risposta da me?
-          Sì ammiraglio, devo saperlo proprio da lei e voglio che sappia che capirò se lei mente – l’ammiraglio poggiò le mani sulla scrivania stendendole, era molto nervoso. Il Dottore lo guardò intensamente  – ammiraglio, lei sa che la malattia che ha infettato il Dottore di questo presente è artificiale? – Keyala gli rivolse uno sguardo turbato. Fu una reazione immediata e istintiva, molto strana per un uomo abituato a combattere ma per il Dottore fu evidente che non vi fosse altro da chiedere a tal proposito. Non a lui. Abbassò lo sguardo.
-          Lei è sicuro di quel che…?
-          Ne sono certo, ammiraglio – concluse il Dottore – una malattia studiata per infettare un signore del Tempo.
-          Ma i mondi distrutti… Kares e…!
-          Giocare con queste cose ha spesso questi effetti imprevisti – disse quasi freddamente il giovane e l’ammiraglio dovette sforzarsi per non far trapelare la tensione. Intuì che si aspettava quella risposta nonostante tutto e che forse aveva già compreso più di quanto non gli dicesse.
-          A questo punto lei… sa chi potrebbe essere stato, non è vero? E immagino che soprattutto volesse che sapessi anche io questo, se per caso non ne ero prima informato  – il Dottore abbassò lo sguardo piegando le labbra in un triste sorriso che gli parve inquietante.
-          Temo di avere capito cosa è successo. Se così fosse… cambia molto.
-          Vuol dire che potrebbe decidere di non aiutarci? – il giovane lo fissò un lungo momento.
-          No, io voglio farlo e devo farlo. Ma… - con un lungo sospiro si alzò in piedi, entrambe le mani a lisciare nervosamente la sua giacca – ma ho compreso delle ragioni che Lui potrebbe avere – l’ammiraglio si irrigidì.
-          E quali sarebbero? – chiese con voce metallica. Il Dottore sorrise ancora di tanto disprezzo ed odio verso di Lui ma era molto umano. Questo come la compassione, nonostante tutto. Le facce della stessa medaglia.
-          Questa malattia rende incoscienti. Si vive in una sorta di dolorosissimo incubo senza speranza. La persona che la contrae è tormentata da dolori continui, allucinazioni, perdita di controllo emotivo…
-          Sappiamo come si presente ma…
-          Ma per me, qualcosa del genere sarebbe prima che letale nei miei confronti… letale per il resto dell’universo, ammiraglio – disse il Dottore con tono grave e sospeso. Keyala si sforzò
-          Lui quindi…?
-          Non è consapevole di tutto quel che sta facendo – disse il Dottore -  agisce d’istinto e l’istinto lo porta verso di lei a qualunque costo – per un momento chiuse gli occhi. L’ammiraglio lo guardò teso e pensieroso insieme.
-          Quindi il Dottore… non è in sé.
-          Non quanto speravo – il giovane assunse un’espressione preoccupata ma appena un istante. Poi incredibilmente sorrise, con tristezza infinita – sembra che per l’ennesima volta io debba fare qualcosa che non avrei voluto fare…
-          A cosa si riferisce?
-          Affrontare me stesso del tutto e in tutto. E non avere pietà… di me – aggiunse più piano. Fece un altro sospiro che parve di rassegnazione e poi rivolse all’ammiraglio un breve sguardo. Con appena un cenno di saluto, il giovane Dottore uscì dalla stanza lasciandovi un uomo profondamente turbato. Era uno di quei momenti in cui l’ammiraglio sentiva stridere il presente con ciò che l’istinto gli diceva essere la cosa giusta.
Sognava di insegnare letteratura, era certo che non sarebbe stato lì, che non era la persona adatta ad essere lì in quel momento. Probabilmente non lo era neanche il Dottore.
Se il signore del Tempo era impazzito per colpa di qualcuno allora qualcosa cambiava. Tragicamente.
Ma non ciò che dovevano fare e quell’uomo impossibile lo aveva compreso.  O almeno sembrava lo avesse fatto.
 
**
 
Teneva gli occhi chiusi poggiati alle mani intrecciate davanti a sé. Sentiva tutto, ogni cosa. Ogni persona in quella stanza. Aveva cercato il silenzio, era stato solo nell’alloggio che gli avevano assegnato e forse percorso tutti i corridoi della stazione spaziale in cui si trovavano ma a lui non piaceva, stare da solo. Preferiva quindi restare tra le persone. Uno come tanti, apparentemente; che restava solo lo stesso ma dentro. Le stanze vuote del suo animo risuonavano di insopportabili voci che non voleva più ascoltare. Diverse da quelle di quel momento, estranee invece.
Tutti coloro che erano là, nella stanza di passaggio dove era già stato a rifugiarsi nel suo nascondersi tra gli altri, non avevano condiviso con lui nulla. Non erano niente, per lui; non in particolare.
Eppure , crudelmente, poteva sentirli uno ad uno, e distinguerli chiaramente nell’apparente confusione.
I sensi di un signore del Tempo che stava combattendo da troppo erano acuti. Dolorosamente. E sebbene fosse così stanco di difendersi, ma anche di affrontare la guerra e ciò che significava, l'istinto non smetteva di tenerlo teso verso chiunque altro.
Seguiva i gesti di chi aveva attorno senza guardare nessuno, sapeva la direzione di ogni mano che muoveva l’aria attorno, il senso dei passi tra le voci. Avrebbe potuto ascoltare gocciolare ogni singola parte di ciò che veniva versato nei bicchieri che tintinnavano di note alterate, sui sussurri timorosi sul suo nome. Sentiva la paura, la comprendeva. Con un lieve sorriso si disse che in fondo avevano ogni ragione. Lui era il Dottore. Il terribile signore buio che terrorizzava l’universo da sempre.
Non erano in molti coloro che sapevano della sua identità ma il peso di coloro che lo controllavano era evidente. Ed anche il fatto che lui stesso finisse per ascoltare le parole su colui che sarebbe stato, come se lo riguardassero direttamente nel presente. Era uno strazio.
Come il pensiero di Rose Tyler. La rivedeva, senza averla mai vista. Ripensava a lei continuamente.
E angosciato si guardava riflesso, come temesse di cambiare di colpo e senza dover morire. Dopo tutto era un momento che non era tale e non doveva esistere. Era la fine del Tempo. Era la vera fine di tutto. Forse.
Improvvisamente sentì che qualcuno gli era venuto vicino e sollevò il capo sciogliendo le mani. Come fosse la cosa più normale del mondo, il capitano Jack Harkness si era seduto vicino a lui con una bottiglia davanti e tranquillamente aveva iniziato a bere. Lo guardò quasi infastidito all’apparenza anche se in fondo non lo era.
-          Sempre solitario come ricordavo – gli disse con un sorriso spingendogli davanti un secondo bicchiere. Il Dottore lo guardò perplesso.
-          Alcool…?
-          Suppongo di sì – bevve un sorso – sì… e non del migliore ma…
-          Io non bevo.
-          Ah, giusto – il capitano fece un mezzo sorriso – non ti piace o… ti fa uno strano effetto? – gli occhi di ghiaccio del Dottore passato squadrarono l’uomo accanto a lui.
-          Preferisco bere altro – disse seccamente. Lo scrutò.
La sensazione sgradevole la sentiva, vicino a quell’uomo che non poteva morire. Ma non era fastidiosa come la prima volta. Probabilmente era anche dovuto al momento particolare nel quale si trovavano.
-          Dottore, se continui a guardarmi a quel modo, finirò col chiederti un appuntamento! – disse Jack facendogli un veloce occhiolino.
-          Ed io che credevo che fossimo usciti già insieme, da come parlavi di me… ! – mormorò con un breve sorriso il Dottore. Jack sorrise di nuovo.
-          Non ho avuto chance. Quando ti ho incontrato eri già impegnato e seriamente  – abbassò lo sguardo e i suoi occhi diventarono tristi. Rose Tyler. Jack annuì al suo pensiero, sebbene non fosse stato espresso da una sola parola ma da uno sguardo – non penso che allora ve ne rendeste pienamente conto ma… stavate già insieme – lo vide irrigidirsi e rise – andiamo, Dottore! Non sei cambiato affatto!  – aggiunse più piano finendo il primo bicchiere e versandosene un altro.
-          Tutto quello di cui parli non è accaduto e forse non sarebbe mai accaduto – disse il Dottore – io non so chi lei sia.
-          Ma in fondo lo sai – Jack fece un lungo sospiro –  voi due… intendo dire il Dottore e Rose… - scosse il capo – voi dovevate stare insieme. Era qualcosa di evidente, di ineliminabile di…
-          Io sono un signore del Tempo e lei era umana. Non potevamo stare insieme.
-          Siete stati, insieme.
-          Non dovevamo.
-          Se non voi due, chi avrebbe dovuto… ?
-          Chiunque altro ma non noi – disse esasperato.
-          Voi eravate fatti l’uno per l’altro. Quando vi siete sposati io… - la mano del Dottore si strinse troppo sul bicchiere che aveva preso distrattamente senza riempirlo ed esso si ruppe con un suono sinistro. Lo lasciò lentamente, il palmo appena tagliato sui cocci spessi di un luccicante vetro dai riflessi azzurrini. Gli occhi chiari del Dottore tradivano chiaramente la tensione ma nessun interesse per il sangue che gocciolava sul bancone. Jack abbassò o sguardo e poi gli porse un tovagliolo che aveva accanto. Il Dottore lo prese indifferente e vi avvolse la mano.
-          Non… parlarmi di lei. Non lo fare – mormorò. Jack lo fissò con comprensione, nonostante tutto. Guardò il tovagliolo già inzuppato di sangue. Come sarebbe stato per chiunque altro. In quel momento non era molto diverso da un umano.
-          Guarisci… velocemente? – chiese con un mezzo sorriso.
-          Abbastanza – mormorò il Dottore con un sospiro tagliente, senza guardarlo – certamente non faccio i tuoi giochetti con la morte. Tu mi superi, immensamente.
-          Però invecchio – disse Jack – e tu invece sembri ringiovanire.
-          È solo apparenza. Io sono terribilmente vecchio – il capitano lo fissò scuotendo il capo come per un pensiero tra sé.
-          Come ti dissi quella volta che ti incontrai, la seconda, proprio con Martha… l’altro uomo che sarai è decisamente più allegro e socievole di te.
-          Oh, dici davvero? – il tono fu ironico, gli occhi per nulla. Jack comprese pienamente il senso di quello sguardo tagliente.
-          In effetti... Avrei visto più te, come distruttore dei Mondi.
-          Io lo sono – mormorò il Dottore - siamo la stessa persona.
-          Sì… decisamente sì. Anche se vederti cambiare faccia non è stato facile, mi ero appena abituato alla tua…  – il Dottore lo guardò inclinando il capo con un gesto che Jack riconobbe come tipico di chi conosceva meglio. Era decisamente la stessa persona. E più gli era vicino, più lo sentiva.
Lo era più lui di quanto non fosse il Dottore apparentemente più giovane eppure più vecchio. Era molto strano. Ma era il Dottore e quindi tutto ciò che lo riguardava era tale. Improbabile, come minimo.
-          Sei… un tipo davvero strano, Jack Harkness…
-          Stavo pensando la stessa cosa di te, Dottore. Può essere l’inizio di una relazione interessante. Ti sei deciso a chiedermi un appuntamento? – sorrise beffardo e anche il Dottore fece un mezzo sorriso e poi lo fissò dritto negli occhi. E in quella confusione parve quasi farsi silenzio.
-          Raccontami di quando ci siamo conosciuti – disse ad un tratto. Jack lo guardò perplesso.
-          Mi avevi detto di non parlarti di…
-          Dimmi solo dove e come. Non dirmi di lei.
-          Non dirti di Rose… è impossibile.
-          Allora dovrò tenermi la curiosità – il Dottore chiuse gli occhi stringendo la mano ferita nel tovagliolo. Jack lo guardò triste e scostando il suo bicchiere mise una mano su quella del Dottore e la strinse. Lui gli rivolse uno sguardo tormentato e dolente ma insieme riconoscente di quel gesto. Fu evidente, anche in quegli occhi così freddi.
-          Non sarebbe dovuto succedere – gli disse convinto - la tua rigenerazione futura ne è convinta, dovresti esserlo anche tu.
-          Parla l’uomo rimasto intrappolato nel vuoto dopo la fine del suo mondo – le labbra del Dottore si curvarono in un mezzo sorriso incredulo  – un uomo che a quanto pare non fa altro che cercare di stordirsi per non pensare…
-          Credimi, l’ho fatto. Ma rivedendoti ho pensato che non avesse alcun senso. Il mio dolore è come quello di tutti gli altri.
-          Sei rimasto intrappolato nel nulla, né vivo né morto…!
-          E parte della mia vita si è perduta nei tempi che non esistono e non ci dovevano essere, come per chiunque altro. Chiunque altro tranne… TE.
-          L’artefice di tutto questo.
-          Sì… ma anche colui che vuole porvi rimedio – disse con decisione. Il Dottore lo fissava stupito.
-          Parli da uomo più saggio di quanto non sembri.
-          Parla solo un tuo amico, quello che ti ha visto impazzire per il dolore – Jack lo aveva detto con voce fermissima ma non i suoi occhi. Il ricordo di quello che aveva passato doveva essere devastante, ammesso fosse qualcosa del genere e non poteva saperlo nessuno; tuttavia non era per quello che il suo sguardo era parso tremolante come una fiamma sul vento.
Il Dottore comprese che ancora una volta un umano, sebbene così strano, gli stava manifestando una vicinanza che nessuno aveva mai avuto con lui. E questo lo trovò commovente e desolante insieme.
-          Voi… umani… - sussurrò scuotendo il capo.
-          Lo so, ci ami – disse Jack abbassando lo sguardo con un sorriso quasi beffardo per poi lasciare la mano del Dottore e guardare il tovagliolo – pensi di rimediare da solo…? Altrimenti potrebbe pensarci un’amica comune, a metterti a posto…
-          Ci penserò io in pochi istanti.
-          Userai quel tuo solito aggeggio …?
-          Può darsi… o forse no – il Dottore gli rivolse un’occhiata e un mezzo sorriso. Jack annuì e fece per alzarsi in piedi quando si sentì improvvisamente prendere per una manica del cappotto. Si voltò sorpreso e vide Martha Jones.  La guardò stupito.
Il suo sguardo lucido e preoccupato gli fece intuire che la cosa era importante. Con un cenno, Jack indicò il Dottore e Martha impallidì.
Il Dottore l’aveva già vista e notato ogni cosa ma restava al suo posto.
-          Dottore… - lo salutò con un sorriso forzato.
-          Ciao, Martha – rispose con tono neutro e distolse lo sguardo da lei. Martha fece quasi un sospiro di sollievo e indicò a Jack di allontanarsi da lì. Stupito, il capitano si fece quasi trascinare più lontano, davanti alla porta della grande sala.
-          Martha… cosa…?
-          Jack, devi assolutamente aiutarmi, devi!
-          Calmati… sei… agitata – Martha scosse il capo guardandolo con occhi supplicanti.
-          Non posso calmarmi è… importante ed è… qualcosa per il Dottore…!
-          Allora credo che potremmo… - lei lo afferrò tirandolo con forza verso di sé.
-          No… ! E’ per il nostro Dottore, Jack!  – il capitano assunse subito un’aria più seria. Rivolse istintivamente lo sguardo all’uomo che aveva lasciato qualche metro in là e poi guardò Martha, evidentemente agitatissima.
-          Dimmi tutto – lei annuì e lui la circondò con un braccio quasi come per proteggerla istintivamente ed insieme uscirono dalla porta della sala.
Il Dottore fece un lungo sospiro guardando la sua mano tagliata.
Ogni cosa, ogni parola. Ogni sussurro, ogni pensiero.
Forse non era esattamente così ma in quel momento sembrava che lo fosse.
Martha si era avvicinata a loro ma era così distratta dalla presenza di Jack da non aver notato lui. Tremava per la tensione, l’aveva visto. E visto benissimo, nella tasca della sua giacca, sporgere un oggetto di forma allungata, qualcosa di simile ad una fiala. Una fiala da laboratorio.
I suoi occhi si spalancarono di colpo e così le sue labbra.
No. Non poteva essere possibile.
-          Martha…  - sussurrò incredulo con un filo voce.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** I Se ***


Si aggirava nervosamente per i corridoi della stazione spaziale. Doveva trovare il modo di lasciare quel luogo perché diversamente sarebbe stato impossibile cercare di raggiungerlo. Aveva detto a Martha che avrebbe fatto di tutto ma non sapeva da cosa iniziare. Il tempo stringeva.
-          È giunto ad un punto ormai che dubito sia in grado di riconoscere qualcuno. È vicinissimo a rigenerarsi, deve farlo… sta morendo. Gli organi del suo corpo sono troppo danneggiati, il dolore è così forte che perde conoscenza per lunghi periodi …
-          È orrendo…
-          È peggio di quanto tu possa immaginare, Jack – in realtà era morto molte volte e in modi anche terribili, ma lo sguardo di Martha lo convinse d’istinto che forse oltre un certo limite un corpo umano non poteva arrivare. Forse un signore del Tempo andava al di là anche nella sofferenza - oh, no… speriamo che non sia troppo tardi! – la voce di Martha rimbombava nella sua testa.
Raggiungerlo. Ma dove, come? Lei contava su di lui, lui non sapeva che fare.
Avevano individuato il tempo e il luogo. Lo avevano fatto la dottoressa Williams e gli altri rappresentanti del Silenzio ma il problema del quando era tutto. E quella deviazione di cui avevano parlato, quel tornare due volte sulla linea temporale di Rose Tyler, aveva confuso i loro piani. Non si muovevano perché non sapevano esattamente come fare a trovarli insieme. Spazientito e rabbioso, diede un colpo alla paratia del corridoio lungo il quale stava camminando. Si fermò guardandosi attorno. Nessuno.
Fissò il suo vortex, del tutto inutile.
I dispositivi per il trasporto temporale erano inibiti da un sistema di schermature, attive sostanzialmente contro la possibilità di attentati ma che impedivano a chiunque fosse all’interno di lasciare la struttura di sua iniziativa. Non sapendolo si era inizialmente chiesto come mai gli avessero restituito il suo dispositivo, visto che inizialmente temevano la sua fuga e lui non voleva recarsi lì. Ora sapeva che fino a quando si trovavano in quel luogo, erano tutti sotto controllo e in trappola.
Sentiva su di sé molta attenzione ma coloro che facevano parte del Silenzio erano concentrati maggiormente su altro.
Li riconosceva, in giro per le sale, spiare i movimenti di entrambi i Dottori. Fissare inquietamente il nemico di sempre, in altri due uomini che non si aspettavano di incontrare lì e per quel motivo.
Jack sorrise pensando che il Dottore del passato sarebbe stato davvero impressionante da avere davanti in uno scontro. Il Dottore futuro invece, sembrava essere meno pericoloso. Ma se riportava alla memoria la persona che aveva conosciuto, quello che Martha aveva definito il “loro” Dottore, prendeva atto del fatto che quell’uomo gentile e così tenero con la sua compagna, refrattario a prendere in mano un arma anche per difendersi, si fosse trasformato nella Tempesta che aveva distrutto tempi e mondi con indifferenza.
Indifferente incoscienza a quanto gli aveva detto Martha.
Lo avevano sperato entrambi, in qualche modo; ed infatti si erano compresi al proposito senza parole ma con uno sguardo, che Lui non fosse del tutto in sé, che non fosse stato solo il dolore a farlo impazzire anche se il dolore era stato insopportabile.
Ma poteva davvero un signore del Tempo, concepire una simile follia se non sprofondato in un orribile incubo e con i sensi e la ragione confusi da un male che lo stava uccidendo? Sebbene Lui amasse Rose con passione, avrebbe mai potuto pensare che distruggere ogni mondo in suo nome, facendola maledire per sempre,  fosse la cosa giusta da fare?
Ma in fondo un signore del Tempo era un mistero. Non era un uomo.
Neanche se ad un uomo, proprio quel Dottore, era stato alla fine così affine suo malgrado.
Salvarlo quindi. Meritava di essere salvato anche se il Dottore stesso non ne capiva il motivo.
Anche se il Dottore del futuro aveva voluto lì, in quel tempo impossibile, Martha e lui.
Jack si era chiesto fino a quel momento per quale motivo fosse stato cercato da lui. In realtà non sembrava esserci, a parte il riferimento ad un immortale che avrebbe potuto oggettivamente far comodo in uno scontro diretto con lui. Scontro però che non ci sarebbe mai stato.
Non avrebbe combattuto con il Dottore. Non avrebbe avuto chance contro di lui ma non avrebbe mai neanche tentato di affrontarlo per ucciderlo o fare in modo che qualcuno lo facesse.
Ma allora perché era lì? Se l’era chiesto per ore ed ore, che erano sempre più strane e schiacciate in un tempo troppo impreciso. Se l’era chiesto fino a quando Martha non gli aveva dato quella cosa.
Non però il Dottore. Il Dottore non gli aveva ancora chiesto nulla. La cosa lo turbava.
Non poteva essere casuale, non lo era mai anche quando lo sembrava.
E così Jack non si meravigliò d’istinto quando vide davanti a sé il Dottore del futuro, esattamente procedere in direzione opposta alla sua. Lo guardò e si fermò davanti a lui.
Jack sentì nuovamente quando gli occhi di quel signore del Tempo fossero profondi e impossibili da fissare troppo a lungo senza perdersi in domande su quell’uomo che tale non era, domande che non avrebbero mai avuto risposta.
-          Dottore! – disse con tono allegro e sfoderando un sorriso che però gli venne un po’ tirato, per forza di cose. Tirato e falso, troppo smaccatamente falso.
Il giovane che Lui sembrava, rispose infatti con un’espressione vagamente divertita.  Ironia.
Sì, la scintilla in quegli occhi verdi era quello, ne fu certo. Lo guardò spontaneamente smarrito.
Lo vide tirare fuori dalla tasca il suo cacciavite sonico e iniziare a giocherellarci.
-          Jack… - rispose con un sorriso breve sulle sue labbra ma più persistente nello sguardo.
I suoi gesti erano assolutamente meno aggraziati di quelli della generazione che aveva conosciuto, sembrava persino strano quel suo camminare a brevi passi, quasi oscillando. Era alto come l’uomo che conosceva meglio eppure diversamente da lui non sembrava imponente, non stava in piedi davanti a tutti con fierezza regale. Neanche somigliava al primo Dottore che aveva incontrato, che pareva sempre sul punto di dover affrontare un nemico e quindi ti trafiggeva con lo sguardo.
Questo strano Dottore era spesso ripiegato su di sé, anche fisicamente. Curiosamente guardava dal basso verso l’alto, come fosse un adulto con davanti un bambino; il Dottore che conosceva invece, aveva uno sguardo che andava in senso opposto e che apparentemente lo rendeva più inquietante. Sembrava sovrastarti, dominarti.
Jack comprese.  Altri secoli di vita avevano spostato la soglia della sua  pazienza non in avanti ma indietro: quel Dottore giovane era come i vecchi che vedono trascorrere le proprie ore con l’ansia che non bastino e risparmiava le forze o almeno sembrava che lo facesse.
Ma se l’impressione che fosse cambiato del tutto a volte era fortissima, era altrettanto evidente come altri gesti fossero rimasti abbastanza simili, come quel suo maneggiare il suo cacciavite con noncuranza e distrazione apparente. Simile anche quel sorriso indecifrabile che a volte aggiungeva allo sguardo puntato verso chi lo guardava.
Jack portò istintivamente la mano al cappotto e sentì la fiala che Martha gli aveva affidato. Gli occhi del Dottore seguirono il suo gesto e Jack quasi spazientito alzò lo sguardo.
-          Andiamo! E’ palese, Dottore… non ci siamo incontrati per caso, non è vero? – lo fissò più seriamente.
-          Ti stavo cercando – precisò.
-          Ah… e quindi… tu…?
-          Penso di sapere che intendi fare – Jack cercò di non sembrare troppo sorpreso. Annuì alle sue parole distogliendo lo sguardo da lui.
-          E sai il motivo? – il Dottore gli si avvicinò e lo fissò dritto negli occhi.
-          Io lo ignoro del tutto – rispose. Jack lo fissò stupito. Non si sarebbe aspettato quelle parole e quel tono.
-          Quindi sai che intendo fare ma non ne sai il motivo…?  – inverosimile. Lo vide sorridere ancora. Si chiese se in quella generazione leggesse nel pensiero. Un lungo momento di silenzio tra loro ma non tacevano quegli occhi così profondi.
-          Deve esserci un motivo? Non penso. Non credo che tu ne abbia bisogno – Jack lo fissò sempre più sorpreso – in realtà, sospettavo che tu avessi queste intenzioni e volevo farti sapere che… Penso di essermi sbagliato su di te – il Dottore pronunciò quelle parole e Jack lo fissò spiazzato.
Il capitano lo vide farsi serio, terribilmente. E ancora più inquietante nella sua calma assoluta.
-          Detesto ammetterlo, lo detesto davvero ma… sto invecchiando – mormorò scuotendo il capo – mi sono sbagliato davvero. Martha potrà aiutarci in qualche modo ma… TU… - il Dottore sorrise - penso che tu qui non avessi nessun motivo di essere presente…  
Continuava a guardarlo girandogli quasi attorno ormai, mentre quelle parole avevano fatto irrigidire Jack.
Gli stava dicendo che lì era inutile? Il Dottore gli stava dicendo questo?
Sembrava di sì, sembrava percepibile in lui una certa delusione. La ostentava persino, perché fosse più evidente. Jack se ne sentì profondamente ferito.
-          Davvero pensi che io qui non abbia senso?
-          Lo pensi anche tu. Ed ovviamente è per questo che intendi lasciare questo posto, suppongo – aggiunse il Dottore mentre il cacciavite che aveva in mano si aprì con uno scatto. Jack guardò lo strumento, diverso da quello che conosceva. Ancora più confuso lo vide puntarlo verso il suo vortex e poi esaminare il risultato con una scrollata di spalle ed esibita indifferenza.
-          Cosa stai facendo…?
-          Ti metto in condizioni di andartene. Immagino che tu voglia scappare da qualche parte ad ubriacarti per dimenticare la fine prossima dei tempi – Jack sbarrò gli occhi chiari e gli rivolse uno sguardo dolorosamente offeso.
-          Come puoi dire una cosa del genere dopo… ? - il Dottore futuro gli fece un inquietante sorriso. Jack tremò di fronte allo sguardo del signore del Tempo. Il buio. L’oscurità profonda e totale.
Per un istante rivide gli occhi folli del Dottore che conosceva, in preda alla furia più distruttiva che avrebbe mai potuto immaginare. Tremò. A stento riuscì a soffocare quella paura istintiva che aveva avuto verso di lui ed ora, di nuovo.
-          Vattene da qui, Jack Harkness… - disse con voce decisa il Dottore – vai via – fece un gesto della mano, quasi leggero, in direzione della sua testa.  Jack accigliò lo sguardo e seguì la direzione delle sue dita. Vide sul soffitto brillare una lucina rossa, per un attimo; poi rivolse lo sguardo verso il Dottore e lo sguardo era decisamente più tagliente di prima.
-          Quindi per te sono un codardo.
-          Non voglio dire cosa penso che tu sia diventato ora. Non sei neanche l’ombra della persona che conoscevo e che avrei voluto qui. Mi sono sbagliato. Sei… un altro, in altri tempi – gli occhi di Jack si fecero improvvisamente metallici. Il Dottore futuro sorrise ancora.
-          Hai ragione. A questo punto… la mia presenza qui non ha senso – lo sguardo di entrambi si incrociò un ultimo attimo che fu breve ma a Jack parve lunghissimo.  Il capitano portò la mano al proprio dispositivo vortex che lampeggiava. Non era quello che avrebbe dovuto fare ma non importava. Doveva andarsene, provare ad andarsene – Addio, Dottore – disse con un tono severissimo. Il Dottore non rispose se non annuendo.
Jack provò allora ad attivare il vortex e scomparve in un lampo di luce lasciando il Dottore davanti al vuoto, immobile. Lentamente ripose il cacciavite nella tasca della sua giacca, abbassando il capo e continuando a percorrere il corridoio nel quale aveva incontrato il capitano con lo stesso strano passo che lo rendeva diverso dagli altri uomini che era stato.
 
Un lampo di luce e si ritrovò nel buio. Si guardò attorno cercando istintivamente qualcosa a cui sorreggersi e la trovò: viscida e appiccicosa. Non ebbe il tempo di chiedersi cosa fosse.
Il senso di disorientamento era terribile, peggio del solito. Il Dottore aveva regolato la frequenza del vortex per superare quella degli scudi protettivi e lui vi era passato attraverso con un grande rischio per la propria coesione molecolare. In effetti, rispetto a chiunque altro, Jack era avvantaggiato: nel suo caso non poteva mai trattarsi di qualcosa di troppo pericoloso.
Alla fine aveva fatto il suo gioco, in un paradosso del paradosso: Il Dottore lo aveva offeso, umiliato.
Lui; che con Martha aveva deciso di salvarlo. 
Jack pensò che alla fine si ingannava: non era esattamente la stessa persona; era cambiato troppo per capire un suo vecchio amico. Persino le sue azioni erano troppo eccentriche, anche per essere del Dottore. Ma per uno strano colpo di fortuna, il fatto che volesse letteralmente cacciarlo era stata la cosa migliore che potesse accadergli.
In effetti la tempistica era stata fin troppo…
Accigliò la fronte ad un pensiero assurdo ma non ebbe il tempo di chiedersi altro.
Di fronte a lui, nell’ombra, un’alta figura vestita di nero. I suoi grandi occhi erano precipizi dentro i quali ardeva una fiamma incredibilmente visibile. Brillavano di una luce sinistra che non c’era. Lui, pallidissimo e fiero lo fissava con espressione meravigliata, scossa.
Jack ebbe un brivido.
Era LUI.
Davanti a sé aveva colui che chiamavano la Tempesta, l’angelo Nero.
Non comprendeva dove si trovasse, la luce rossastra lo illuminava in viso e Jack pensò che era terribile davvero a vedersi. E pensò che era bellissimo.
Capì subito che quella strana creatura soffriva in modo umano, lo diceva persino quel respiro spezzato che sentiva, nonostante lo strano rumore di fondo di un luogo così diverso che aveva stentato a riconoscere come la plancia del Tardis. Lo era. La colonna luminosa, la console. Capì cosa aveva bagnato le sue mani: sangue. C’era sangue dappertutto.
-          Potrebbe perdere molto sangue, credo che ormai non riesca a respirare… - Martha glielo aveva detto. Vederlo era decisamente orribile.
-          Dottore, mio Dio…  - mormorò Jack con un filo di voce.
-          Jack… - la sua voce, incrinata dal dolore, debole. Ebbe un tremito quando gli si avvicinò. Notò che si sorreggeva alla console. Martha glielo aveva detto: sta morendo, soffre moltissimo potrebbe non riconoscerti.
Invece lo riconosceva. Vide i suoi occhi fermarsi sul vortex al suo polso.
-          È regolato sulla matrice del Tardis… - disse in un sussurro incredulo – nessuno sa…  - il Dottore schiuse le labbra e spalancò gli occhi oscuri nei suoi e Jack li vide diventare ancora più neri, terrificanti. La sua espressione mutò in peggio, come avesse riconosciuto in lui un nemico inaspettato.
Jack agì d’impulso allora, come qualunque altra volta.
Lo colpì all’improvviso, con tutta la forza che aveva. E il Dottore cadde a terra.
Il Tardis ebbe un sussulto che insieme gli parve un lamento.
Forse la sorpresa, forse la debolezza ma non aveva neanche tentato di reagire, per sua fortuna.
Non un gemito. Lo aveva emesso il Tardis per Lui e gli aveva messo i brividi, nonostante tutto il suo coraggio.
Il Capitano sapeva quanto la nave del Dottore lo detestasse ma se, come ripeteva sempre, era un essere consapevole e non una macchina, allora sperò che comprendesse le sue buone intenzioni.
Si chinò sul Dottore e gli poggiò una mano sul petto. Non sentiva quasi nulla, poi si avvicinò alle sue labbra. Il suo respiro era indeciso, stentato. Scosse il capo accarezzandogli il viso che ammetteva tutto il dolore che aveva provato, in ogni senso.
-          Mi dispiace, Dottore… ti farò molto male… - gli sussurrò estraendo la fiala dalla tasca del cappotto. Lo vide aprire gli occhi un istante ma comprese che non era cosciente. Fissava la luce rossa ed essa si specchiava in quelle iridi del colore del buio.
Jack guardò la fiala. Era già pronta in una sorta di siringa. Aprì la giacca del Dottore e la sua camicia. In uno dei due cuori. Doveva riuscire ad iniettargli quella sostanza direttamente lì e sperare non fosse troppo tardi. Poteva esserlo.
Non doveva esitare, non era da lui ma quegli occhi così tristi…
Impugnò la siringa e il lungo ago scattò dalla sicura.
Con un gesto deciso la spinse nel suo petto e con una mano si preparò a far forza su di lui per reprimere la sua reazione di dolore istintiva.
Ma il Dottore non ebbe alcuna reazione.
Jack iniettò tutto il contenuto e poi gettò da parte la fiala. Martha gli aveva detto che sarebbe stato molto doloroso, soprattutto appena dentro di lui. Si sbagliava.
Il suo sguardo fisso era rimasto indifferente. Il suo fiato si era però disteso in un sospiro strano.
Con orrore il capitano si rese conto che aveva smesso di respirare.
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** La Memoria ***


Jack prese tra le braccia Rose e prima di lasciarla le diede un lungo bacio sulla bocca. Rose rimase un po’ sorpresa dal gesto e il Dottore guardò Jack con un mezzo sorriso.
-          Rose, dai un bacio al Dottore da parte mia  - disse con tono suadente e poi gli rivolse uno sguardo scherzosamente malizioso – anzi…Dottore, posso baciarti adesso?
-          Magari dopo, Jack – sorrise.
-          Dici sempre così ma non succede mai! – lo rimproverò allegramente puntando l’indice verso di lui.
-          Prima o poi succederà – disse il Dottore e Rose rise di entrambi.
Jack scosse il capo con un sorriso e poi si avvicinò a Martha che, un po’ distante, guardava in direzione del Dottore e Rose.
Donna stava cercando di spiegare qualcosa gesticolando e poi avanzando con le mani sui fianchi mentre lui la fissava con la solita aria stupita e fintamente indispettita. Uno di fronte all’altro avevano finito per prendersi reciprocamente in giro imitandosi a vicenda.
Era quello il momento in cui tutti, anche Martha, riflettevano su quanto misteriosamente si somigliassero, il Dottore e Donna Noble. Ed anche il preciso istante nel quale un misterioso pensiero si faceva largo in più di qualcuno: cosa sarebbe stato se…
-          Tu pensa ad un umano, beh… più o meno… che sia come Lui ma che somigli anche a Lei… - disse Jack quasi tra sé – cosa potrebbe essere?
-          Oddio ! – Martha rise .
-          Eppure ci penso spesso… - osservò perplesso.
-          Ad un figlio… loro?
-          No… non proprio ma… Se fosse successo, se si fossero messi insieme ed avessero avuto un figlio? Micidiale … - disse Jack con tono sinistro.
-          Addirittura!
-          Se almeno fosse stato bello come il padre – disse Jack guardando il Dottore – è che temo che Donna avrebbe rovinato tutto… - Martha, che stava bevendo qualcosa, mise una mano davanti alla bocca come stesse per sputarla. Jack le rivolse un brillante sorriso.
-          Sei terribile!
-          Sì, lo so.
-          E comunque… non…  è detto che un signore del Tempo e un umano possano …
-          Direi proprio di sì, visto che è successo – sorrise guardando Rose e pensando che fosse davvero bellissima e così diversa dalla ragazzina che aveva conosciuto tanti anni prima. Era così felice.
 E persino gli occhi sempre un po’ tristi di quell’antico signore del Tempo erano così caldi e così brillanti, quando la guardavano. Ma proprio in quel momento Jack si accorse che Martha taceva, impietrita dalle sue parole. Un lieve tremito l’aveva scossa. L’aveva trattenuto a stento ma non era stato possibile mettere da parte quell’emozione, con tutto il resto.
-          Martha…tu… non lo sapevi…?
-          Io… No… - mormorò – direi di no… Ma sono molto felice per loro… - non riuscì neanche a mentire. Jack scosse il capo. Pessimo il modo in cui glielo aveva detto. Le mise una mano su una spalla, chinandosi verso di lei.
-          Io speravo che tu…
-          Che l’avessi superata? – disse lei con un amarissimo sorriso e i suoi occhi si voltarono verso il Dottore che sorrideva e guardava Rose come avrebbe sempre desiderato che guardasse lei – guardarlo, Jack. Come potrei? Io… ho viaggiato con Lui, gli sono stata vicina, amica. Ho sperato e disperato, per lui. Non riesco ad arrendermi, non lo faccio mai  - accennò ad un sorriso triste - non mi sono arresa con lui neanche quando, dopo la nostra prima avventura, sembrava essere morto…  – Jack scosse il capo con un sorriso – Lui è un incredibile uomo con due cuori…  – Martha fissò gli occhi chiari del capitano – un incredibile uomo con due cuori… che non si arrendono anche quando sembra che sia tutto finito…
 
-          Anche quando tutto sembra che sia finito tu non ti arrendi, MAI! – gli urlò con rabbia colpendolo forte sul petto per l’ennesima volta. Ma il Dottore restava immobile.  Jack non poteva accettare fosse finita a quel modo, di non aver fatto in tempo; di averlo… ucciso. Aveva quindi fatto come Martha, quella volta. Sperato che l’essere capace di sgretolare i mondi fosse così forte da opporsi ancora una volta alla morte. Continuò a soffiare aria nei suoi polmoni, a spingere sui suoi cuori con furia. Gli aveva chiesto di svegliarsi, disperato, sempre di più, fino ad urlare.
 Aveva sentito rompersi le sue ossa per i suoi colpi ma quando un rivolo di sangue aveva bagnato le sue labbra si era fermato. Arreso.
Lui non aveva emesso un lamento.
Jack scosse il capo con un sospiro e lo guardò con angoscia infinita e gli occhi umidi di pianto. Era finita. Si chinò su di lui, fissò ancora quegli occhi così belli e tristi, aperti nel vuoto e lo accarezzò, dopo averlo colpito così forte, come per chiedergli scusa. Prese quindi una sua mano tra le sue e la strinse forte.
Era ferita, tagliata. Tutto il suo corpo sembrava essere stato percosso, reduce da uno scontro fisico lunghissimo e logorante.
Dopo tanto dolore non ce l’aveva fatta.
E aveva scelto di non rigenerarsi. Gli aveva detto una volta che lo avrebbe fatto. Aveva deciso di farlo: di morire con Rose.  Ma forse l’aver avuto troppo poco tempo con lei, la perdita del figlio e quella malattia che l’aveva straziato fino a quel punto, gli avevano impedito di farlo subito. Sarebbe stato più giusto per tutto l’universo e persino per quell’uomo che aveva sofferto tanto. Inutilmente.
Come tutti.
Jack scosse il capo e gli sfuggì una lacrima, per ogni cosa, per quella fine.
Si era chiesto perché il Silenzio insistesse per volerlo morto. Cosa poteva cambiare, ormai. Era per odio? Per un certo senso di giustizia estrema? Per questo continuavano ad uccidere Rose Tyler in ogni mondo? Non sarebbe stato più giusto, migliore, fargli incontrare colei che amava e farlo fermare?
Non era comprensibile molto di ciò che accadeva. Forse era tutto legato a questioni che non sapeva e per questo così oscuro ma le rose bruciate in tutti i mondi, le canzoni, il dolore, i simulacri di quel dio solitario e annientato dal dolore della perdita, erano la traccia indelebile di quella rottura estrema del Tempo e di ogni sempre.
Persino Jack conosceva “La rosa della tempesta”, parole tristi, sinistre…
ma come aveva detto il Dottore del futuro, piene di comprensione profonda. Anche per colui stava distruggendo ogni cosa.
Jack sentì annientante la sensazione di inutilità. E stavolta per davvero. Il Dottore del futuro l’aveva mandato lì, da Lui, per salvarlo; ormai l’aveva capito. Ancora non gli era chiaro come sapesse del rimedio trovato da Martha ma ogni cosa doveva avere un senso più importante in chissà quale disegno del Dottore e non essere solo la speranza di una donna che non smetteva di amarlo, che non si era mai arresa.
-          Ma è stato troppo tardi – disse come avesse potuto sentirlo – perdonami…  - in quel momento l’angelo nero, colui che chiamavano la Tempesta sembrava solo un uomo. Un uomo che aveva sofferto molto. Consumato da un male che lo aveva dilaniato nel corpo e nell’anima, si era spento come l’ultimo fuoco rimasto dopo un incendio disastroso. Jack lo guardava e pensava che fosse impossibile, che non poteva essere, che non doveva essere così.
Quell’essere non era fatto per distruggere ma per salvare. Era per quel motivo che i signori del Tempo disprezzavano gli umani? Per paura di poter esistere come loro?
Certo lui li aveva molto amati. E poi distrutto ogni cosa, ogni mondo.  Per lei.
Solo per Rose Tyler, una ragazza nata e cresciuta nella periferia di Londra, una città a caso nel mondo. Un atomo, nell’universo. Ma una piccola fiamma poteva scatenare l’incendio ed era stata questo, per Lui: la luce, il fuoco. Che lo aveva scaldato. Che lo aveva bruciato dentro.
Jack sfiorò il viso del Dottore e chiuse i suoi occhi poi si chinò su di lui.
-          Dai un bacio a Rose da parte mia… - gli sussurrò e gli sfiorò dolcemente le labbra con le sue.
Poi lo guardò un lungo momento in quella penombra rossa. Dopo chissà quanto tempo stava piangendo. Non si chiese da quanto ciò non accadesse, non lo sapeva.
Certamente era stato prima di incontrare nuovamente il Dottore. Aveva creduto che dopo tutto quello che aveva visto e passato, fosse per lui impossibile piangere ancora. Si sbagliava.
Ricordò le parole del Dottore futuro: lui era umano. Gli umani non smettevano mai.
Di capire? Di sperare?
... di soffrire.
Tutto taceva in modo strano. Il Tardis sembrava sospeso in uno strano silenzio. Immaginò che anche Lei lo avesse sentito arrendersi, avesse sentito quell’ultimo respiro. Ad un tratto sentì la testa girare, vorticosamente e poggiò una mano sulla console per sorreggersi.
Un rumore sordo, dentro. Qualcosa di profondo, profondissimo.
… ROSE…
Jack spalancò lo sguardo sulla luce confusa.
Da dove veniva quella voce? Era…
-          Ma cosa…?  - urla confuse, urla di rabbia. Fu come se tutto gli stesse piombando addosso ed infatti si sentì schiacciare da una pressione interna fortissima. Il Tardis vibrava.
Sembrava che ogni cosa si stesse spezzando. Jack capì che qualunque cosa stesse sentendo era incastrata in un altro tempo. La sua voce. La voce del Dottore che gridava il nome di Rose in preda ad una sofferenza che sembrava una tortura. Lo ascoltò come da altrove, chiamarla centinaia di volte e nello sconforto, nella disperazione, nel pianto. Sentì la testa quasi scoppiare. E poi… tutto sfumare.  
Un sussurro.
Molto più vicino, gentile. Incoraggiante.
Dolce come chi cerca di svegliare qualcuno profondamente addormentato. Amorevole.
La risposta. La risposta di Rose, la voce di Rose.
…Dottore…
Le parole si mescolavano, si spezzavano.
Addii, parole d’amore, richieste d’aiuto.
… non lasciarmi…
Torna da me, devi tornare…!
Fu allora che il capitano sentì un lungo gemito di dolore. Un gemito che parve anche di paura e rabbia insieme.
Jack piegò il capo con una smorfia, tutto girava ancora ma si rimise dritto e guardò dietro di sé, dove giaceva il corpo del signore del Tempo. Spalancò lo sguardo.
-          Non è possibile…  - sussurrò incredulo e subito si chinò su di lui, ansioso. Il Dottore sembrava essersi svegliato dopo una corsa lunghissima, il respiro breve, veloce.  Soffriva molto – Dottore! – lo chiamò sollevandolo tra le braccia. Gli fece ancora male, lo capì dal tremito del suo corpo freddissimo, ancora più freddo di quanto era sempre stato. Gli occhi oscuri dell’angelo Nero furono nei suoi. E Jack capì che lo stava guardando, che diversamente da prima era cosciente.
Non c’era in lui quel buio gelido che lo aveva spaventato. Sembrava più quieto, persino il suo viso più dolce. Il Dottore sollevò a fatica un braccio e poggiò la mano tremante sulla spalla del capitano che gli sorrise.
-          Jack…  – sussurrò a fatica.
-          Sì, sono io.
-          Lo so… lo sento… - Jack rise tra le lacrime del suo tono quasi sarcastico.
-          Dottore, tu non immagini neanche come abbia fatto ad arrivare qui…
-          Invece sì. Penso di sì - sorrise appena.  Jack sgranò gli occhi vedendolo.  
Appena e tristemente; ma aveva sorriso e poi trattenuto a stento un gemito di dolore. Il dolore di cui parlava Martha. Quella cosa che gli aveva iniettato dentro stava facendo effetto infatti lo sentì scattare, i muscoli contratti e un altro lamento.
-          Sono qui per aiutarti…
-          Credevo fossi qui per seppellirmi – disse il Dottore in un sussurro.
-          Ti sembra il momento di citare “Il Signore degli Anelli”… ?
-          Ricordi ancora… quel libro? – mormorò con tristezza. Jack lo fissò annuendo e forzando uno dei suoi  soliti sorrisi ma con gli occhi ancora lucidi di pianto. Troppe cose da dire e spiegare ma non in quel momento.
Lo sollevò ancora un po’ e quindi lo prese in braccio. Era spaventosamente leggero, sottile. Lo sentì abbandonare il capo sulla sua spalla. Doveva essere svenuto di nuovo. Almeno sperava.
Si era svegliato dal nulla. Come accadeva a lui ogni volta che moriva. Ma il Dottore era tornato in modo diverso. Jack capì d’istinto che era successo quando  passò per i corridoi del Tardis.
Lo ricordava davvero diverso, più grande. Sembrava si fosse contratto, stesse persino nascondendo le sue dimensioni. Non comprendeva, non del tutto. Neanche il senso di quella voce lì, in quel momento.
-          Dev’essere stata Lei… per svegliarlo, per non farlo cedere… - il Tardis l’aveva richiamato usando la voce di Rose? Eppure, per un momento, gli era parso di poter sentire qualcosa di più. Una presenza fisica, umana. Aveva sentito…
Che cosa? Forse le crepe negli universi facevano risuonare la voce di Rose in quella che era diventata quasi una macchina paradosso. Il Tardis era l’unico luogo affacciato su un abisso di nulla che stava divorando tutto davanti all’indifferenza triste di quegli occhi che, pensando fosse finita, Jack aveva chiuso?
Il Dottore non si lamentava e questo lo preoccupava persino più del fatto che la navigazione fosse sospesa chissà come e per dove. Ma nulla era importante come cercare di salvarlo.
Era lì per quello.
Cercò una stanza in cui portarlo in quella luce fioca, e percorse i corridoi. Il suo corpo non trattenne un brivido istintivo. Lunghe strisce di sangue, solchi profondi sulle paratie. Guardò l’uomo che aveva tra le braccia.
Il Tardis non si riparava perché il Dottore non guariva? Se lo chiese davvero.
-           C’è stata una guerra qua dentro e …  hai combattuto –  pensò affranto.
Intanto vide davanti a sé, dove prima era certo si trovasse una parete cieca, una porta che si apriva. Jack comprese che era la stanza dove doveva portarlo.  Anche lì la luce era bassa ma più aranciata, più calda. Quando fu dentro si guardò attorno ed ebbe un brivido.
-          Mio Dio… – mormorò sconvolto.
Una camera da letto. Le lenzuola zuppe di sangue. Vestiti ovunque. Dovevano essere…
… i vestiti di Rose, non poteva essere altrimenti.
Mise il Dottore su quel giaciglio che sapeva di morte e nonostante tutto, tutto quello che aveva subito, tutto quello che aveva visto ed ogni cosa che lo aveva terrorizzato nella sua lunga vita, Jack pensò che quello che era in quella stanza fosse davvero la cosa più straziante che potesse aver avuto davanti.
Si chinò su di Lui, respirava appena e sentì che solo uno dei suoi cuori batteva e lentamente.
-          Non Puoi arrenderti adesso, Dottore…   - lo sentì tremare. Era ancora più freddo di come dovesse essere, lo aveva già notato. Era un gelo di morte anche quello, forse.  Jack prese le coperte in parte a terra e le mise su di Lui. Lo accarezzò sul capo quindi si sollevò e guardò ancora intorno, afflitto.
Si avvicinò a quelle cose. Accigliò la fronte mentre, con le dita sfiorava dei vestiti che erano intrisi di sangue fino ad essere rigidi. Prese in mano una giacca e vide che era trapassata da parte a parte. Poi gli occhi si posarono su una borsa strappata sempre da un colpo d’arma.  Vestiti diversi, tutti indossati da qualcuno che…
Vide uno zaino pieno di libri in uno stato simile. Aprì la prima pagina e scarabocchiato il nome di Rose Tyler. Quarto anno dei superiori. Accigliò la fronte. I libri scolastici di Rose. Cosa ci facevano nel TARDIS?
Accanto altri volumi, arricciati dall’acqua, come caduti in una pozzanghera e schizzati di bruno. Libri di poesia, libri universitari. Si guardò attorno angosciato, non capiva.  Ogni cosa in quella stanza sapeva di morte. Erano tutte cose… Poi comprese e sconvolto rivolse lo sguardo al Dottore che aveva aperto nuovamente gli occhi e lo fissava silenziosamente aggirarsi tra quegli oggetti.
-          Sono… cose di Rose – sussurrò con un velo di voce e sembrava prossimo al pianto – lei è morta qui. E’ morta qui…
-          Molte volte, non è vero? – ci fu un lungo momento di silenziosa comprensione reciproca. Jack prese in mano il libro di poesie che aveva davanti, una pagina era piegata. Non sarebbe stato “da Rose”, forse, leggere quei libri; ma non nel tempo che conosceva.
Una delle sue vite era stata diversa almeno in quel senso.
Vide il signore del Tempo afferrare qualcosa che cedeva scricchiolando e poi finalmente gridare.
Jack lasciò il libro di fretta e fece per andare da lui che però all’improvviso gli rivolse uno sguardo terrificante, affilato come una lama.
-          Non avvicinarti… - ringhiò evidentemente sofferente – cosa, cosa è quello che mi hai dato…?
-          Un rimedio. La cura alla tua malattia.
-          COME…! – Jack  sentì quel qualcosa che lui stringeva, spezzarsi.  Percepì chiaramente quel rumore, così simile a quello che avevano fatto le sue ossa ogni volta che si erano rotte; e così le costole del Dottore quando lo aveva colpito – dimmi, come è possibile che ci sia una cura?  Io non…
-          Martha l’ha trovata – il Dottore schiuse le labbra per la sorpresa – sì… è viva. C’è anche lei. La nostra Martha, quella del nostro tempo, Dottore…! Lei ha trovato la cura per te. E’ risoluta a salvarti anche se tutti vogliono che tu muoia…
-          Non può essere stata lei, Jack… - disse il Dottore tenendo la voce il più ferma possibile. Fece una smorfia di dolore. Doveva essere terribile, proprio come aveva detto Martha.
-          Lei…
-          La cura l’ha trovata chi ti ha inviato qui, Jack – disse in un soffio, gli occhi lucidi ma più umani in quel momento – solo una persona sa come trovare il Tardis con un manipolatore. Solo una persona poteva trovare una cura dove io ho fallito.
-          Dottore, tu… - e Lui sorrise ancora una volta, come se l’accenno ad altre parole non dette fosse stata la risposta completa. E lo era.
-          Sì... Il Dottore… io. Nel futuro. Una parte di me sperava accadesse. L’altra invece che tutto finisse e basta…
-          Speravi che accadesse…?
-          Che esistesse ancora. Perché voglio essere fermato  – sussurrò stringendo i denti – solo Lui può farlo ed io voglio essere fermato! – gridò. Jack lo fissò inorridito – esci, esci da questa stanza, fallo subito!
-          Io…
-          Fallo perché altrimenti ti ucciderò e visto che sei immortale lo farò continuamente e non so per quanto tempo…! – si sollevò a fatica dal letto ma Jack capì che era vero, che desiderava farlo ma Lui non voleva, farlo - Esci… - ripeté.
Morire era terribile, non voleva morire. Annuì quindi e aprendo la porta se la chiuse velocemente alle spalle ma vi rimase dietro, lasciandosi cadere di schiena contro di questa, la testa tra le mani per non vedere quelle tracce di furia che lo circondavano.
La luce era troppo rossa e c’era troppo freddo nel Tardis.
Quando Lui cominciò ad urlare Jack chiuse gli occhi con una smorfia di dolore.
Una furia disumana. Una sofferenza mostruosa.
Lo sentì piangere, per la prima volta. Piangere e chiamarla, disperato.
Non credeva in nulla, Jack Harkness. Nulla che fosse oltre. Ma se avesse creduto in qualcosa avrebbe cominciato a pregare. Per il Dottore.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** I nomi dimenticati ***


L’orizzonte era viola per la luce che filtrava dai fumi ed ogni cosa sembrava scricchiolare di paura, in mezzo a quel luogo dove i rami degli alberi secolari erano tanto bianchi da sembrare ossa consumate dal tempo. Inverno, terra gelida, compatta e durissima come per rispondere ai pugni. Gelido anche quel cielo di nuvole pesanti confuse con il fumo in foschi spettri di mostri, mostri terribili con fauci spalancate come sbadigli silenziosi nel nulla. Sembrava esserci troppo silenzio. Questo anche se si affannavano tutti, senza sosta, trascinando i cumuli di quelle piante spinose alle fiamme.
Ancora qualcuno che le coltivava. Sebbene fosse proibito e andassero distrutte ovunque. Erano così belle da fare male. Facevano il male peggiore: facevano morire i mondi.
La bambina guardò tutto con profonda pena.
Qualche fiore tardivo, gettato nel fuoco con odio, si accartocciava incredulo arrotolando infelice i petali strappati con violenza.
  • Mamma, cosa succede? – gemette afferrando un lembo del vestito della donna che, spaventata, gettava rabbiosamente nel fuoco delle radici resistenti come corde, ancora legate alla terra da cui le avevano strappate con furia – mamma…! – la chiamò più forte e la donna la fissò. Le labbra strette come una linea di pietra su una faccia sbiancata. Non disse nulla, come non ce la facesse.
Attorno notizie in frammenti.
Anche lei sapeva, dell’uomo che non era tale.
Dicevano avesse un bel viso. Dicevano fosse tremendo.
  • Lo hanno visto. Era LUI… ! – lo sentiva dire con voci tremanti. E poi altro, che non capiva. Anche in quel momento.
 
Ogni pensiero e ogni parola furono rotti da quel suono.
Gemiti di paura e urla.
 
Cosa fosse non si sapeva, era un respiro, un lamento metallico, un’eco di qualcosa.
Le storie ne parlavano in vari modi e tanti erano i nomi che aveva avuto. La bambina pensò che era sordo, strano, ma non così cupo. Era un suono che aveva superato il vento e con esso ogni voce e mormorio attorno.
E quindi la videro, sulle colline.
La porta blu, quella dell’inferno. Il luogo dal quale l’angelo nero si affacciava al mondo che stava per morire. Cercava quei fiori, distruggerli era il modo migliore per non farlo arrivare. Eppure era giunto lo stesso.
Le opposte lune parvero scintillare come falci appena la porta si aprì e lui uscì.
Un uomo vestito di nero, alto e sottile. La bambina dai capelli rossi lo guardò diversamente da tutti gli altri, alcuni iniziarono a gridare e scappare, molta confusione e nessuno aveva idea di quel che sarebbe accaduto. Avrebbe alzato il mare con le mani? Poteva farlo? Sembrava così fragile, ai suoi occhi!
Avrebbe bruciato ogni cosa? E come, con le fiamme che aveva dentro?
Avrebbe semplicemente fatto cadere le stelle dal cielo, questo dicevano.
Pure aveva notato che fossero sempre di meno.
Il suo fu un istinto feroce, come fosse dettato dalla memoria di qualcosa che non ricordava del tutto ma che conservava lo stesso dentro di sé. Vicino al cumulo davanti a cui era, prese qualcosa e quindi si arrampicò sulla collina dove lui restava in piedi, solo, lo sguardo fisso altrove.
Immobile come pietra, come un albero morto. E quando a fatica e sporca di terra fangosa gli fu vicina, lo vide chinare appena il capo e poi rivolgerle uno sguardo lucido e sofferto.
Non era il male assoluto ciò che vedeva in quell’uomo, pensò. Era malattia e un dolore estremo.
Allo specchio della propria stanza aveva fissato sé stessa per giorni e giorni, dopo il funerale di suo padre. Erano uguali i suoi occhi. Ed erano belli, più che terribili.
Barcollando si avvicinò ancora, la mano stretta a quel che aveva preso e faceva male. Davanti a lui gliela porse con mano tremante e lo vide irrigidirsi. Si spaventò ma una lacrima rigò il viso di quell’uomo, tutt’altro che indifferente.
L’angelo nero prese la rosa bianca dalle mani della ragazzina. Era sporca di sangue e l’orlo dei petali già sciupato. Stava appassendo era morta. Ebbe una fitta all’animo, per l’ennesima volta.
E così la furia sorse improvvisamente dal suo corpo che sentiva bruciare e dolere. Sentì ardere il suo sangue e la collera divampò nei suoi cuori al pensiero di quei roghi.
La odiavano così tanto?
La odiavano perché lui la cercava? Perché l’aveva amato?
Strinse forte il gambo spinoso di quel fiore senza più foglie e non sentì male, ma il suo sangue si mescolò a quello della ragazzina che continuava a fissarlo con gli occhi dorati come il fondo delle fiamme per le rose.
  • Come ti chiami…? – le sussurrò con voce ferma ma in cui lei percepì una strana debolezza.
  • Io… sono Amelia – rispose indecisa. La bambina vide una scintilla di fuoco negli occhi nerissimi dell’uomo davanti a lei ed ebbe finalmente paura, arretrando da lui che aveva spalancato il suo sguardo terribile perdendo ogni riflesso umano vi avesse prima visto.
Amelia. Capelli rossi e occhi dorati.
Ricordò quella ragazza davanti a lui, urlargli folle di paura, che dovevano fermarlo perché non sgretolasse l’universo, che dovevano annientarlo e costringerlo al silenzio perché tutto non finisse miseramente. Tutto perché lo dicevano le voci in una crepa, una crepa in un muro.
Le voci che urlavano il suo nome e raccontavano storie orribili.
Amelia Pond le sentiva fin da bambina ed aveva predetto in Lui la fine. Era per questo che l’avevano avvelenato. E così aveva ucciso suo figlio ed ogni altra speranza perché tutto ciò che gli restava era in Lei. Che se n’era andata sulla Terra, tra le sue braccia, nella casa di un’amica. Distrutta poco dopo perché LORO la volevano anche se morta. La volevano e approfittando della sua debolezza l’avevano avuta.
Donna lo aveva protetto ma perso tutto. Lo aveva difeso perché non morisse e in un primo momento si era disperato, per questo. Ma a lei, alla sua amica, non restava che lui.
Vendetta. Donna l’aveva invocata, chiesta a Lui come non avrebbe osato chiederla ad un dio. Vendetta.
Per entrambi, fino alla fine.
Il Dottore era morto in quel momento.
Era caduto. Si era alzato in piedi un Altro, che aveva iniziato ad esistere e resistere da quel momento.
Aveva quindi inseguito il Silenzio, con per mano Donna Noble a sostenerlo perché non guariva, peggiorava, e l’universo oscillava irrealmente davanti ai suoi occhi scuri e allucinati. Gli bruciava il sangue e il gelo calava insieme. Mutava dentro come non faceva fuori. Donna invece gli era diventata sorella. Simile nel senso peggiore, ormai. Insieme avevano distrutto ogni cosa si fosse frapposta tra loro e chi cercavano. Dopo secoli, quelle mani che non riuscivano a stringere un’arma senza tremare per l’orrore, avevano nuovamente ferito e distrutto, e Lui perso qualunque cosa di umano avesse mai avuto dentro ed anche il suo eterno rimorso. Non sentiva più nulla.
Il Dottore era morto sulla Terra, con sua moglie. Il Signore del Tempo invece era ancora vivo e provava piacere nell’uccidere, per la prima volta. Aveva riso, riso sarcasticamente al suo riflesso su ogni cosa in pezzi e quando aveva sentito l’impulso di urlare aveva riso più forte per coprire con la sua voce quella degli altri.
Urla orribili, suppliche. Ma a chi? Chi era Lui?
Solo le ceneri del Dottore, mescolate a quelle di Rose Tyler.
Ma tra quelle ultime fiamme, prima di portare via quel che restava di lei, aveva visto una bambina.
Un istante, fuoco sul fuoco e dentro il fuoco stesso. L’aveva sentita dentro, fortissima. Forte come non sarebbe potuta essere. Gli occhi di entrambi avevano brillato irrealmente guardandosi come da una distanza estrema che non esisteva e lì aveva percepito ancora una volta … l’Errore.
Lo sapeva, lo sentiva.
Tutto era sbagliato, tutto precipitava in un senso differente, tutto si era aggrovigliato in un nodo che diventava sempre più fitto e tutto perché mancava qualcosa.
Ma ormai non gli importava. Lui desiderava solo riavere Rose, solo Lei.
… Riprenderla.
Era allora che aveva capito come fare, che l’insana speranza si era riaccesa del tutto, oltre quella promessa che le aveva fatto alla fine.  
Che tutto andasse in rovina e tutto il Tempo!
Che tutto finisse miseramente come Amelia Pond aveva cercato di impedire.
Gli occhi bui del Signore del Tempo avevano brillato ed anche quella bambina, che per un istante vide già adulta, ma come fosse diventata una lama tagliente. Gli occhi chiari di lei che erano mutati e divenuti trasparenti come acqua ferma ed avevano riflesso, terribili, quelli che Lui aveva in quel momento.
Ed era così accaduto. La sua mano si era fermata. Per l’ultima volta.
Davanti ad una bambina.
Ed ora un’altra innocente tremava davanti a lui, senza neanche avere più la forza per scappare.
Sarebbe stata una bambina, quel figlio.
Una bambina; Rose e lui insieme.
Il fiore tra le mani gli parve tristissimo e il suo sguardo si addolcì nuovamente, di confine al pianto.
  • Hai… dei bellissimi capelli rossi, Amelia… - sussurrò gentile.
  • Come mio padre, li aveva lui – dal suo tono, capì. Una bambina senza padre, un uomo senza figlia.
Provò l’impulso di toccarla. Di accarezzarla, di consolarla. Di prenderla per mano, di portarla via persino. Tremò dentro, di nuovo, guardando un’altra bambina che però non lo odiava e non l’avrebbe mai odiato.
Ma le sue mani non erano più in grado di stringere qualcosa e toccarla senza distruggerla.
Il suo corpo soffriva, era la sua gabbia scricchiolante e lui una fiera ferita. Una fiera mostruosa.
Vedeva in quella bambina però, dopo molto tempo, riflesso altro. Un uomo. Un uomo sfinito.
E parlò come tale.
  • Amelia… – sussurrò e la sua voce parve quasi dolce in quel momento – tu devi andare e dire una cosa a chi ha acceso quei fuochi, due parole e basteranno per sempre. MAI PIU’, AMELIA – la bambina tremò. Lui aveva negli occhi un muro infinito, e una crepa dentro – Voi non dovete bruciare mai più le rose. Non sono maledette, sono solo… fiori. Bellissimi fiori… - aggiunse ma non si riferiva alle rose ma solo ad una. Colei che come ombra sentiva sulla sua pelle solo quando stava per morire. Appena il suo respiro si incrinava, sentiva dentro quello di Lei. Avrebbe voluto morire, in quell’istante. Insieme a lei. Che però sembrava volerlo ancora vivo.
… Rose…
Pensò. E chiuse gli occhi, come avesse potuto vederla e la sua vista fosse troppo dolorosa in quel momento. Amelia comprese che soffriva tanto. Troppo. Ma non poteva sapere. In fondo era la parte della storia che non conosceva nessuno, non davvero.
  • Io non voglio che le brucino – disse esitante e negli occhi scuri del Signore del Tempo si schiarirono per un breve momento  – e non sono la sola. Molti non vogliono che vengano distrutte.
  • Voglio che vivano. Ora sono in sua memoria, portano il suo nome. Molto tempo fa è stata lei, ad avere il loro – Lei. La donna di cui parlavano le storie.
  • Dicono che tu cerchi qualcuno che non trovi…
  • Nessuna che sia qui. Qui vi sono solo… fiori – ripeté Lui e la guardò come potesse toccarla dentro. Ma nei suoi occhi di nuovo spaventosa durezza, buio liquido, un precipizio che faceva tremare. La bambina ebbe paura e Lui irrealmente sorrise.
“Tutte le notti insieme” ecco come chiamavano quella creatura.
In quel momento comprese perché.
  •  Non toccate mai più le rose oppure io tornerò e non mi vedrete neanche perché sarà la notte più oscura, la tempesta senza rumore. E semplicemente sul tuo cielo… Non albeggerà mai più – la sua voce, calmissima, fu tremenda. Ogni parola la scosse. L’angelo Nero abbassò lo sguardo da lei quasi scostandosi, arretrando verso le porte semichiuse alle sue spalle – vai… - disse fermamente come fosse un ordine e la bambina lo fissò, le gambe le tremavano e lui ebbe un respiro doloroso, così le parve. E il dolore le fece paura. Amelia vinse a stento la tentazione si avvicinarsi a lui e indietreggiò indecisa, continuando a guardarlo poi qualcosa dentro di lei si spezzò. Fu il coraggio. Si voltò quindi verso dove erano i fuochi, dove molti restavano a guardare, impietriti, una bambina e l’angelo Nero insieme. Amelia corse quindi giù dalla collina fangosa, corse via da Lui più veloce che poteva, gli occhi pieni di lacrime per lo spavento e per il dolore. Non avrebbe detto che piangeva perché aveva sentito il dolore di quella creatura pesarle dentro, come un masso sul petto. Un altro segreto.
Come il suo amore per le rose.
L’angelo nero non la guardò andare via, gli occhi fissi su quella rosa sfatta. I fumi delle piante verdi li sentiva dentro e provava rabbia.
Per mantenere la sua promessa semplicemente voltò le spalle a quel cielo di quel mondo di cui non sapeva neanche il nome e si chiuse dietro le spalle quella porta, per tornare nel suo inferno.  
 
**
Il Tardis si materializzò sulla spiaggia pietrosa, la marea si era ritirata lasciando lunghe pozze come specchi che sembravano strisce di cielo intero, a terra. Le porte si aprirono e il capitano Harkness andò avanti sostenendo il Dottore, pallidissimo e tremante. Con occhi preoccupati fissò il suo viso. Il suo respiro era più regolare ma riuscire a farlo mangiare era difficile. E quasi non parlava. Irreale, in lui.
Gli aveva però chiesto di inserire le coordinate per quel luogo. Il tempo era quello che poteva avere in quella Terra, i momenti per incontrarla. Non sapeva ancora tutto. Non era però dove l’avrebbe incontrata per cercare di portala via con sé. Perché lì allora?
Comprese, da come i suoi occhi furono sulla riva e le pietre e poi sul cielo, che quel posto era molto importante. Si sentì stringere sulle spalle, il Dottore tentava di tenersi più dritto. Lo sostenne in modo più deciso ma in silenzio. E silenziosamente Lui lo ringraziò.
  • Pessima giornata… - disse Jack.
  • Qui è sempre così. Almeno lo è ogni volta che vengo qui.
  • Ogni… volta? – il Dottore annuì.
  • È un posto… che ho trovato sempre identico, in ogni mondo che era questo. Sempre. Come… non fosse possibile per il tempo… cambiarlo.
  • Perché siamo qui? – chiese semplicemente Jack. Il Dottore accennò ad un amaro sorriso.
  • Perché lei per me, qui… ha pianto. Ed io ero lontanissimo ma ho pianto anch’io… - Jack comprese e si guardò attorno con una diversa consapevolezza del perché fossero lì. Era quella baia. La spiaggia. Quella di cui Rose aveva detto più di una volta e il cui ricordo li portava ogni volta a stringersi più forte, come increduli di non essere più separati da quel muro. Il muro. Lui ne aveva parlato, lo aveva definito in vari modi. Sembrava che dovesse finire tutto, dietro quel muro. Per sempre.
E non era stato.
Tutto stava finendo in un altro modo.
  • Rose non si è arresa e tu pensi sempre a questo, vero? – Jack pensò che fosse da lui. Del tutto. Per come lo conosceva. Il Dottore tacque. Si era già rassegnato a quella risposta silenziosa quando invece parlò. E il suo tono lo sorprese perché la voce terribile di cui parlavano tutti era invece stanca e non priva di tenerezza. Verso di Lei e solo Lei. Purtroppo.
  • Lei ha fatto qualcosa che nessun altro avrebbe potuto fare e solo perché voleva raggiungermi. Anche se non avrebbe potuto, anche se solo… umana… Lei è tornata da me. Ed io allora non ho potuto fare altro, non ho voluto e… gliel’ho promesso quando è morta. Le ho promesso che l’avrei salvata.
  • Non lei, però – gli occhi scuri del Dottore diventarono terribili.
  • LEI DEL TUTTO – disse con tono tagliente e lo lasciò, restando un momento in piedi da solo e poi addossandosi appena alle porte del Tardis. Stese la mano contro di esse e le accarezzò. Jack lo fissò con comprensione, mentre tratteneva il dolore fisico. Lo provava, ancora. Andava scemando ma c’era. Un istante e poi lo vide già più calmo, rivolgere il suo sguardo su di lui – tu non puoi capire – sussurrò il Dottore - è vero… ogni persona è ripetuta come tale in un mondo parallelo ed in fondo non è la stessa creatura anche se lo è insieme, hai ragione. Ma Rose…! Io l’ho sposata, Jack. Lei è mia! Io le ho dato il mio nome. E lei lo ricorda, lo ricorda in modo singolare perché dentro di lei vi è la traccia di ciò che è accaduto quando è stata…
  • La Dea di cui mi hai detto quella volta, vero? L’Umanissima Dea che mi ha reso immortale…  - ripeté più piano.
Rose era stata responsabile di ciò che era adesso. Ma non aveva mai visto questo come una sua colpa.
In fondo aveva avuto l’occasione di essere eccezionale. Lo fissò, il vento scompigliava i loro capelli e il viso del Dottore era affilato, altero. Giovane. Sembrava però molto più vecchio negli occhi e si chiese quanto tempo fosse passato. Quanto per davvero. Lo sentì sospirare e pensò che in quel momento, nonostante ogni altra cosa, sembrava umano.
  • Sento che mi trovo qui per l’ultima volta – disse e sorrise, stanco - sono qui per la seconda volta in questo mondo – Jack lo fissò stupito.
  • Credevo che…?
  • Qui l’ho già incontrata, lei era una bambina…
  • Dottore ma tu… !
  • Anche se stavo per morire io… dovevo provare! – chinò il capo per un momento. Rabbia, dolore. Impotenza davanti al suo destino. Tutto evidente, in quel momento – speravo di riuscire a stare con lei. Speravo di trovarla. E forse … avrei accettato di cambiare, con Rose. Nuovamente i suoi occhi, per primi. Nuovamente LEI. Saremmo stati nuovi entrambi, entrambi di nuovo insieme.
  • I tempi stanno crollando, Dottore.
  • Lo so – disse con fermezza e poi aggiunse un sorriso triste – ma scegliendo un luogo, un solo punto, nascondendo noi stessi ad ogni altro mondo, lei avrebbe vissuto tutta la sua vita con me. E poi la nostra tomba sarebbe stata il TARDIS. Le ho detto qualcosa che ha ricordato e ricorda, la mia traccia indelebile… Una traccia più forte di qualunque altra volta.
  • Parli come se l’avessi costretta ad amarti…
  • Costretta? No. Lei si innamora di me, sempre - sorrise con tristezza infinita – tutte le volte che l’ho incontrata ed era diversa, di età diverse… lei… - scosse il capo come cercando le parole adatte. Le trovò Jack.
  • Lei ti riconosce, vero? – il Dottore lo guardò e annuì.
  • Sì. Mi riconosce. Rose… lei è una viaggiatrice del tempo e questo l’ha cambiata per sempre ma soprattutto lei è mia moglie. Ricorda di esserlo, di essere mia. Lo sa.  Se ci incontrassimo un attimo, un solo momento, tra tutti… lei saprebbe che la sto cercando e desidererebbe essere trovata perché mi sta cercando anche lei. Non smetterò mai di cercarla.
  • Smetterai, Dottore. Questa è l’ultima volta.
  • Sì, lo è. Lo so. Riuscirò… a portarla via di qui.
  • E dove andrete? Lontano, come volevi? – il Dottore tacque di nuovo. Ma non avrebbe detto altro al proposito, era evidente. Jack sapeva che Lui ers perfettamente cosciente del fatto che in ogni caso non vi era più tempo per lui e Rose, il nulla se non un breve attimo insieme, prima del crollo di tutto.
E ad ogni cosa il mare sembrava tremare, indifferente. Seguì il respiro ancora ansioso del signore del Tempo, era stanco e si vedeva.
  • Dovresti riposare…
  • Sì… devo farlo ma voglio ancora qualche momento – sussurrò chiudendo gli occhi. Jack si chiese se era il suo modo di guardare Rose, ormai. Si chiese quante volte era stato davanti a quel mare e pensò che avrebbe tremato, alla risposta. Il Dottore aprì gli occhi - Jack…
  • Dimmi.
  • Quante… volte è accaduto?
  • Cosa? – gli occhi del Dottore furono su di lui, nei suoi occhi chiari. Comprese e abbassò lo sguardo. Allora ricordava. O forse era rimasto troppo sangue sulle pareti e non era solo il suo, sangue.
  • Non importa…
  • Quante?
  • Una – lo vide socchiudere gli occhi, un istante - ma è stata colpa mia, mi avevi avvertito – lo sentì sospirare piano e fissare il mare.
  • Mi dispiace… mi dispiace veramente… - sussurrò scandendo quelle parole come se non le pronunciasse da secoli e forse era così. Jack lo fissò, gli occhi umidi di salsedine, lucidi come quelli del signore del Tempo.
  • Dottore…
  • Jack, ora è il caso che tu mi parli di Lui.
  • Di… loro – lo vide sorridere appena.
  • Certo. Non è la prima volta che accade. Dimmi di loro...
  • Uno proviene dal futuro.
  • Non poteva essere diversamente, ha trovato la cura.
  • L’altro invece… è del tuo passato – il Dottore annuì. Logico – ma è forse qualcuno che non ti aspetti. E’… l’uomo che eri prima di chi sei adesso…  - lo vide rivolgergli uno sguardo strano, nei suoi occhi una scintilla indefinibile. Ebbe l’impressione che avesse pensato a qualcosa che lui non aveva considerato e dopo tutto, era quello che aveva fatto l’uomo che l’aveva spedito dove non sarebbe potuto andare. L’angelo Nero era la stessa persona di quel pazzo bugiardo che aveva conosciuto.
Era il Dottore.
E comprese che non gli avrebbe detto altro. Non subito.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Il fine ultimo di una vita I ***


Mi dispiace…
Rose piangeva. Con la testa tra le mani restava china su di sé, gettata letteralmente sulla sedia della sala d’aspetto dell’ospedale. Una sala dove ormai non aspettava più nessuno.
Non vi era riuscita subito e le era stato detto che era per lo shock. Ma il gelo che aveva congelato le sue emozioni, come ogni suo gesto, si era poi umanamente intiepidito e così aveva finalmente pianto. Non aveva senso farlo ma glielo doveva e lo doveva a sé stessa; perché lei era sua madre e l’amava. L’amava ed era tutto finito. Non restavano che quelle due inutili parole.
“Mi dispiace…”
 
… mi dispiace, veramente…
 
Rose singhiozzò mentre nella sua mente ascoltava quell’eco su tutto.
Sul pianto persino, su ogni cosa e quel momento. Più forte di tutto come tutto fosse… niente. Come sempre.
Anche mentre piangeva le sue dita continuavano a muoversi su ogni lembo scoperto della sua pelle, in quel continuo gesto sempre più veloce. Lo faceva graffiandosi persino, a fondo, fino al sangue. Strette le mani alle braccia, artigliava quel silenzio nascondendovi quel qualcosa.
E il suo tacere, i suoi singhiozzi, diventavano cerchi su cerchi e con dentro altri cerchi.
Una preghiera, una parola, una richiesta.
Il senso le restava distante, come sapesse e non sapesse insieme. Qualcosa. Che non doveva neanche pensare troppo forte. Che doveva cadere nel silenzio ma al cui pensiero le venivano i brividi.
Rivolse lo sguardo umido alle vetrate. Pioveva.
Ogni volta che pioveva, la cicatrice le faceva male. Ogni volta che ascoltava battere la pioggia ripensava a Lui. L’avrebbe riconosciuto. Non aveva dimenticato quel tocco, i suoi grandi occhi e neanche quel dolore che si trascinava. Perché…?
Perché doveva soffrire tanto, Lui?
Rose emise un sospiro su un singhiozzo. Lo pensava, c’era. Era lì con lei anche in quel momento ed era assurdo. Odiò profondamente che fosse così.
Ma non poteva smettere di desiderare che avvenisse l’impossibile.
“… dove sei?... dove sei…?”
La sua voce come da altrove. Era irreale e realissima insieme.
- Sei pazza, Rose Tyler – pensò rabbiosamente mentre continuava a piangere e le lacrime rigavano il suo viso come la pioggia i muri e i vetri – sei pazza davvero. Sono passati anni. Lui l’hai forse sognato e se pure è stato come lo ricordi oramai è passato tanto tempo e avrebbe l’aspetto di tuo padre…!
…Sono così vecchio, Rose Tyler…!
Tranne che quando sono con te.
Cosa voleva dire? Quando lo sognava glielo aveva detto. Per anni lo aveva sognato. Fin quando non aveva rinunciato a Lui per non avere niente e poi capire che non lo aveva fatto davvero. Ma come poter accettare quel tempo impossibile che vivano insieme? Che cos’era? Era una fantasia davvero troppo complicata per essere quella di una bambina . Troppo per essere “sua”. Era semplice, Rose. Lui no. Le parlava e a volte non capiva. Perché era difficile comprendere ogni cosa ma era così bella anche solo la sua voce. La sua voce così vicina…
- Anche adesso tu ascolti quella voce…  - soffocò un debole singhiozzo.
Ripensava e ricordava quel viso come l’avesse sempre davanti agli occhi.
Una fantasia deformata fino a diventare perversa. Questo le avevano detto. Qualcosa da curare ma che dentro sentiva senza possibilità di cambiamento perché non voleva rimediare. Amava la sua malattia, se Lui era quello.
Ma lei era malata. In quel momento, per la prima volta, pensò che fosse vero.
Vero come il fatto che sua madre non c’era più.
Era stata una cosa improvvisa, precipitata in pochi mesi. Non aveva poi sofferto quanto temevano i medici sebbene la sua vita molto più breve delle previsioni. Stava peggio da giorni, questo lo sapeva.
Ma non avrebbe certo pensato di trovarla in quello stato, riversa nel bagno, l’acqua aperta nel lavandino da chissà quanto tempo. L’aveva capito subito che era morta e da un pezzo.
- I morti hanno un colore diverso da quello che mostrano nei film – aveva pensato, china su di lei, impietrita.
Non avevano il pallore dei manichini di plastica.
La pelle diventava giallo grigiastra. La pelle si distendeva dopo tanta sofferenza.
… Sembri così giovane, mamma…
eri così giovane…!
Era rimasta assorta in quella fine neanche consapevole del tutto di quanto tempo avesse trascorso in quello stato e solo dopo, più rigida di com’era Jackie, era riuscita a chiamare l’ambulanza. Era finita ore prima e così era rimasta sola in quella sala dove non aveva mai davvero aspettato se non di riuscire ad alzarsi.
Era una sala sospesa nel tempo.
Cosa avrebbe potuto fare tornando indietro?  Niente. Andando avanti rispetto a quel momento? Neanche.
Perché vi pensava allora? A quello più che a sua madre.
Già le mancava.
Aveva sempre vissuto con lei e lei le era stata amica, sebbene non si capissero spesso e troppo diverse caratterialmente. Erano però simili in un senso che forse anni prima non avrebbe accettato, voluto. Ma una rosa era sempre una rosa. Sebbene avesse un altro nome. Non ricordava affatto chi l’avesse detto ma si intonava al suo pensiero.
Lei e sua madre erano proprio a quel modo. E rimaste sempre insieme nonostante tutto.
Rose asciugò malamente le lacrime guardando le dita sporche di mascara e lo smalto scheggiato che non aveva ancora tolto. Scoppiò a ridere in un singhiozzo pensando al fatto che si truccasse troppo, glielo diceva anche Mickey ma… Faceva come sua madre.
Le somigliava. Le somigliava tanto, in fondo.
Dal fondo del corridoio rumori, passi. Gente che si muoveva come niente fosse accaduto. In fondo chi era Jackie Tyler? Solo una cameriera.
Come lo era sua figlia.
Sua madre era una delle tante donne che vivevano in un triste appartamento in un palazzone di periferia, un luogo dove certo non sarebbe mai giunto nessuno a cercare qualcosa di speciale. E infatti Jackie non era speciale se non per chi l’amava, per le sue amiche, per sua figlia. Rose pensò che se fosse toccato a lei, di morire al suo posto, non avrebbero potuto dire o pensare qualcosa di diverso. Non era poi così male…
… ed era tragico insieme.
- Chi potrebbe mai rimpiangere tanto la mia morte? – pensò. Forse solo Mickey.
Ma non vi era nulla di insostituibile, raro, unico in Rose Tyler.
Era solo una ragazza come molte altre. Scomparsa lei… semplicemente ogni cosa sarebbe rimasta com’era. Non aveva combinato niente, cambiato nulla e nessuno. Sua madre, lo stesso.
Non aveva lasciato molte tracce di sé, Jackie Tyler. Solo Rose. E lei non avrebbe certo aperto le acque, lasciato crepe in cielo, spaccato la luna, conquistato mondi…
Strani pensieri. Come le potevano venire in mente?
Troppi brutti film e telefilm, quelli che aveva visto. Pochi libri e troppo altro. Si sentiva del tutto inadatta alla vita che faceva.
In fondo non aveva imparato a vivere davvero sull’unica terra che avrebbe mai toccato.
E quella terribile paura che combatteva anche con la furia fisica… la faceva sentire spesso alienata. Aliena.
Jackie le ripeteva sempre che si comportava come non fosse interessata a nulla. Non lo era davvero.
Solo una cosa restava sospesa dentro di lei.
Quegli occhi così belli. Così grandi. Quell’uomo così triste.
Un sogno di bambina. Un segno, quello sul suo ginocchio.
Un incubo, quello in cui si trovava. Sola.
Rose fu meccanicamente travolta da pensieri pratici che la sommersero spezzandole il fiato in parti ancora più piccole. L’affitto da pagare, le riparazioni per la perdita della cucina, i conti lasciati aperti in giro. Il funerale.
Non sapeva neanche da dove cominciare. Si scosse e con le mani tremanti mise la mano nel giubbotto, stringendosi la lunga sciarpa a righe attorno al collo come provasse freddo, sebbene fosse in un interno e il riscaldamento anche molto forte. Compose con il pollice il numero di telefono e rimase in attesa.
Mickey. Non restava che lui e non sapeva ancora niente.
Mickey. Rose aggrottò la fronte. Il telefono squillava ma non lo prendeva. Pensò che magari se n’era andato in un pub con il suo amico Charlie e vi era della confusione. Guardò l’orologio e pensò che era davvero troppo tardi e l’indomani sarebbe dovuto essere in officina presto, ogni volta che uscivano glielo diceva come facendole fretta. Mickey era molto preciso.
Uno strano rumore le fece alzare il capo e si guardò attorno. Sembrava ad un tratto che tutto quello che era attorno si fosse fermato, sospeso nel nulla. Non vi era più nessuno. Rose ebbe un fremito d’ansia. Il suo istinto le diceva che era troppo strano e persino quell’attimo…  aveva una curiosa…
La parola “qualità temporale” le tornò in mente di colpo. Cosa voleva dire? Qualunque cosa fosse, si trattava di qualcosa che le generava una pessima sensazione e di quelle Rose aveva imparato a fidarsi.
Era sempre in allerta, sempre pronta a…
… Correre…
La ragione cercò di frenare l'impulso che stava provando, quello di scappare. Si disse di ricordare dove fosse. Ma guardò la pelle graffiata del polso e vide che aveva la pelle d'oca. Brividi brevi come scosse sembravano volerla scuotere dall'indecisione. Doveva allontanarsi da lì. Se lo diceva mentre si dava della stupida da sola, ma quel qualcosa era più forte del pensiero razionale e scattò in piedi di riflesso. L’ansia diventò qualcosa di più forte.
Rose rivolse lo sguardo alla sua destra il corridoio, completamente deserto. Si girò a sinistra. Dei passi. Dei passi molto leggeri ma era evidente che qualcuno sarebbe sbucato dall’angolo in fondo. Rose ebbe un altro brivido e tirò il fiato. Guardò il telefono e premette ancora il pulsante di richiamata sul numero di Mickey.
- Rispondi… ! – sussurrò con angoscia e poi qualcosa la colpì quasi fisicamente facendole sgranare gli occhi per l’incredulità: sentiva vibrare qualcosa. Un telefono.
Meccanicamente premette il tasto rosso e il rumore cessò. Non poteva essere ma sentì che lo era.
Il telefono di Mickey.
Non ebbe esitazioni neanche a collegare le cose. Il telefono di Mickey era lì. Ma nell’ombra, la figura che ora vedeva davanti a sé… non era quella del suo amico.
Rosa sapeva benissimo che non sarebbe potuto essere lui. Non sapeva nulla di Jackie e che lei fosse lì. Ma non pensò ad una coincidenza.
Non fu la prima cosa che le venne in mente.
… ucciso…
Quella parole nella sua mente.
Si guardò attorno, il senso di panico cresceva e la figura avanzava. L’impressione che ogni cosa si fosse fermata davvero diventò assurda ma tangibile per i suoi sensi. Tutto si immobile ma non chi stava venendo verso di lei. E non era solo.
…Corri…!
La voce, la voce che aveva sempre nella testa parve gridare quell’ordine con una forza mai avuta prima, forse. Lei allora gli ubbidì. Perché le diceva da una vita di stare attenta e difendersi. Di scappare, di salvarsi, di avere una fiducia che troppo somigliava alla fede. Ma aveva ragione e lo percepì limpidamente in quel momento, mentre già correva verso l’uscita, verso la grande porta che la separava dalla rampa di scale che avrebbe dovuto percorre per trovarsi all’ingresso.  Non c’era nessuno. Tutto era vuoto e silenzioso come non se lei e chi la seguiva fossero rimasti gli ultimi sulla faccia della Terra.
Ad un tratto, proprio vicinissima a alla porta a vetri, vide delle ombre e si fermò quasi scivolando sul pavimento di linoleum verde. Si sostenne alla parete mentre la porta si apriva e le luci si affievolivano. Rose ebbe un tremito fortissimo e la certezza di essere in trappola. I suoi inseguitori l’avevano già raggiunta ed altri erano venuti a prenderla.
- Chi siete? Cosa volete? – gridò con voce stridula, gli occhi gonfi che saettavano da una parte all’altra del corridoio. Si spinse quasi contro la parete su cui prima aveva poggiato la mano.
Non ebbe risposta, non ne avrebbe avuta. Il respiro diventò quasi un gemito mentre li vedeva avvicinarsi ancora, con una lentezza che non capiva e le pareva solo un modo di godersi la sua paura, come l'aver preso il telefono di Mickey. Ebbe quasi voglia di chiudere gli occhi e pensò a sua madre. Pensò al fatto che non le era sopravvissuta che ore.
Poi pensò a Lui. Lo pensò ancora più intensamente e sorrise di riflesso prendendo atto che alla fine, dopo anni, sentiva di nuovo quello strano suono che l’aveva fatta correre verso di esso, che le aveva fatto incontrare quell’uomo che poi aveva sempre sognato. Sorrise incredibilmente ma la sua espressione mutò di colpo quando dal nulla vide materializzarsi…
… una cabina blu della polizia…?
Le si piegarono le gambe, tremavano troppo. Tutto accade in pochissimi istanti. Vide la porta della cabina aprirsi ed uscire dall’interno un uomo che Rose trovò nonostante il momento davvero fantastico; un tizio che assurdamente trovò il tempo di rivolgerle un sorriso abbagliante mentre si chinava su di lei, la avvolgeva in una stretta volgendo le spalle ai suoi inseguitori per poi letteralmente spingerla dentro la cabina sbucata dal nulla. Rose visse la scena a rallentatore. Sentì gli spari, sentì la stretta dell’uomo farsi più forte ma esitare e così il suo respiro; poi la forte spinta che l’aveva fatta cadere dentro.
Quando la porta si chiuse su altri colpi, lei era ancora in ginocchio per terra. Vi rimase qualche istante, immobile.
Alzò lentamente lo sguardo verso l’uomo che l’aveva presa di peso e portata dentro e si lasciò sfuggire un leggero gemito. Era impallidito di colpo e molto sofferente restava a guardarla, addossato alla porta. Rose fissò le sue mani, ancora stese davanti a sé per parare la caduta: erano insanguinate. Ebbe un fremito d’orrore.
- E’ sangue…  - sussurrò.
- Fortunatamente è tutto mio – disse scherzosamente l’uomo. Rose lo guardò incredula per il tono che aveva usato e lui le rispose quasi ridendo. Un istante prima di accasciarsi contro la porta appena chiusa.
- No…! – con un gesto veloce Rose gli fu subito vicino e si chinò sull’uomo con ansia. Incredibilmente lui le sorrise ancora. Poi i suoi occhi chiarissimi si chiusero lentamente e Rose lo sentì smettere di respirare. Lo strinse di riflesso, gli occhi lucidi fissi su di lui, disorientata e tremante.
Sentì cadere addosso a sé una terribile angoscia senza rimedio che le stava paralizzando le membra come fosse gelo nero. La disperazione che aveva fatto scattare i suoi muscoli si era sciolta in debolezza estrema. Caduta di tensione, pensò. Non solo. La morte l'aveva circondata in una stretta, quel giorno: sua madre, Mickey probabilmente, quell'uomo e Lei stessa. Destinata a morire. Non aveva neanche la forza di vedere dove fosse capitata. Era forse un incubo. L'uomo che giaceva nel suo sangue davanti a lei era però molto reale.
- Mi dispiace... - gli sussurrò con un velo di voce.
- Non temere, si riprenderà – Rose alzò appena il capo.
La voce. Rose non ebbe una reazione apparente. La bellissima voce di Lui aveva un tono tranquillo e un accento caldo che ben conosceva verso di lei. Il timbro forse un po’ più debole di quanto le era parso quando l'aveva sentita dentro ma, diversamente da prima, era come fosse presente. Come davvero vibrasse nell’aria e non solo nella sua mente.
- Ci si può riprendere dalla morte? - sussurrò come parlando a sé stessa.
- No. Ma lui può – Rose ebbe un cenno di un riso isterico mentre con una manica si asciugava dal viso delle lacrime che le erano sfuggite. Sentì persino un suo sospiro a quel gesto.
- Sto impazzendo. Ora sembri vero - sussurrò Rose con un singhiozzo, fissando ancora l’uomo che l’aveva salvata da non sapeva cosa ormai morto.
- Tu non sei pazza ed io sono vero – disse la voce con gentilezza.
- Sei solo un sogno invece. Sei con me, sempre con me. Ma sei solo un sogno...
- Non lo sono.
- Non puoi esistere. Non è mai stato reale, non è mai stato possibile.
- Per favore, guardami – Rose socchiuse gli occhi un istante quando la voce glielo chiese con una dolcezza disarmante che quasi le parve una carezza. La stretta sul corpo dell'uomo morto si allentò e Rose si alzò in piedi. Non poté far altro che girarsi senza sapere cosa avrebbe visto. Il fantasma di un uomo inesistente?
Un’ombra minacciosa? Un inganno e quindi il nulla?
I suoi occhi si sollevarono e lo vide.
Rose aveva sempre pensato che se mai fosse accaduto, avrebbe tremato tanto. Per l’emozione e anche per la paura comprensibile di fronte a qualcosa di impossibile. Non accadde. Smise invece di tremare e avere paura. Dimenticò ogni altra cosa in modo innaturale.
Rose lo guardò incredula. L’uomo che aveva visto da bambina era davanti a lei.
Non sembrava trascorso neanche un giorno da quel piovoso pomeriggio in cui si era sbucciata il ginocchio per correre curiosamente verso quel suono. Ed era proprio il suono che aveva sentito l’attimo prima che quella cabina blu apparisse nel corridoio. Lo stesso davvero, allora. Lo stesso davvero. LUI.
- TU…  - sussurrò avvicinandosi nella sua direzione quasi barcollando. La luce calda di quell’interno si rifletteva nei grandi occhi scurissimi che ricordava benissimo. Il suo viso così singolarmente bello, affilato e sofferente. Soffriva ancora, come ricordava, sebbene avesse la percezione istintiva che stesse meglio. Pensò che fosse bello come allora ma non lo guardò più come una bambina ma come la donna che era. Pensò che dentro sentiva come delle fiamme accendersi e le fiamme le aveva lui negli occhi, guardandola.
Ma il tempo era trascorso solo per lei?
Avrebbe voluto toccarlo ma le sue mani bagnate di sangue si chiusero come artigli e la sua immagine si confuse nella luce fioca che li circondava perché le lacrime erano troppe negli occhi. Parve sospirare sconfitta. Lui le rivolse uno sguardo comprensivo.
- Finalmente ti ho trovata…  - le disse con tristezza infinita.
E lei la sentì dentro, come fosse sua.
- Vorrei che fossi qui con me – singhiozzò Rose. Lui si staccò da quella strana colonna luminosa che brillava al centro della stanza e quindi andò lentamente verso di lei. Molto più sicuro di quanto ricordasse, altissimo, sottile come una lama.  Un breve momento e furono uno di fronte all’altro – non puoi essere qui ora, davvero… oggi…  - ripeté ancora Rose sentendo chiaramente la sua vicinanza e quel profumo strano che le aveva ricordato il mare. Il mare e una spiaggia lontanissima, quella dove passeggiavano spesso in sogno – mia… madre è morta…  - gli disse con una voce che sembrava sfuggirle appena dal pianto. Lui fece silenzio sulle sue parole.
Chinò lo sguardo da lei e mise la mano sinistra su quella destra di Rose, ancora stretta a pugno. Lei lo guardò, ascoltò il suo tocco delicato e quell’incertezza che tradiva ansia, emozione. Tremava e ciò le fece sentire un senso di tenerezza infinita verso di Lui. Di riflesso, la sua mano si aprì; e Lui la strinse nella sua lentamente, ma con un'improvvisa sicurezza.
Si guardarono negli occhi, sembravano respirare allo specchio, insieme.
- Rose Tyler…  - sussurrò dolcemente senza riuscire a dire quel che aveva incastrato in quei due cuori esitanti; non poteva neanche sorridere perché lei soffriva e soffriva anche lui.
E tutto era disastroso, distorto, terribile, perduto.
Lei lo percepiva senza comprenderne il senso ma era così forte ormai da doverle essere presente, sebbene umana. A lei come a chiunque altro nell’universo ma nel TARDIS la cosa era più evidente.
Il Dottore restò assorto in lei come potesse toccarla dentro ma ad un tratto si scosse e rivolse lo sguardo verso la porta e vide che Jack si era tirato su lentamente e restava a sedere guardandoli entrambi con occhi lucidi. Guardò Rose allora e le fece un leggero cenno di voltarsi.
Lei si girò e lo vide irrigidendosi per la sorpresa ma senza alcuna paura. Jack le rispose con un sorriso e uno scherzoso saluto militare in un gesto veloce, con due dita alla fronte.
- Sei vivo! – sorrise incredula Rose al suo salvatore.
- Inevitabile, a quanto pare. Capitano Jack Harkness, per servirti… Rose.
- Oh, Jack… ! Smettila… - sussurrò il Dottore a quelle parole. Rose lo guardò stranamente. Un dejà-vu. Fortissimo. Come il terribile giramento di testa che le rese impossibile continuare a stare in piedi come nulla fosse. Strinse più forte la mano del Dottore che rispose alla sua stretta e sentì un profondissimo senso di calore dentro sebbene la sua mano fosse freddissima. Un momento prima che ne avesse lei stessa percezione, Dottore lasciò la sua mano e la sostenne per le spalle evitando che cadesse.
Se lo aspettava. Una deformazione temporale di quel tipo era abbastanza straordinario che non l’avesse sconvolta prima. Jack si alzò rapidamente e corse da lei. Guardò il Dottore con scoperta apprensione.
- Cosa le succede?
- E’ in shock. Starà bene… - sussurrò mentre Rose chiudeva lentamente gli occhi come vinta dal sonno – purtroppo anche stavolta Jackie è stata uccisa e anche Mickey.
- Per fortuna siamo arrivati in tempo per lei.
- Non improvviso più sulla tempistica da molti anni, ormai… - disse con accento lugubre il Dottore. ANNI. Jack pensò che voleva dire “secoli” ma lo taceva. La malattia aveva rallentato l’invecchiamento di quel corpo eccezionale che l’aveva mantenuto in vita nonostante tutto ma quell’essere ormai… quanti anni aveva? – hanno creato una sospensione artificiale, una cosa che stanno usando sempre più spesso visto lo stato dell’universo. Tutto si sta disgregando…
- Dottore…
- A causa mia l’universo e il Tempo sono come maglie troppo tirate ed ogni cosa… si sta sfilacciando  - Jack percepì limpidamente la rabbia che gli conosceva come propria: quella verso sé stesso. Era ancora debole ma la sua coscienza sembrava stesse restituendogli la consapevolezza delle sue azioni.
Aveva fatto tutto per lei. Si era macchiato dei crimini peggiori anche davanti a sé stesso e solo per Rose.
Ma guardando i suoi occhi su di lei comprese che qualunque mostro fosse diventato l’angelo Nero, non esisteva più. Era stato incenerito dallo sguardo di quella ragazza. Al suo posto era tornato un uomo diverso. Lui era il Dottore. Di nuovo.
- Hai detto che il Silenzio era lì e sapeva dove io fossi  - disse ad un tratto e Jack annuì - e dopo averla uccisa in ogni mondo… stavolta la volevano viva, Jack. Cosa ti fa pensare? – Jack prese in braccio Rose.
Lui e il Dottore si scambiarono un lungo sguardo.   

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1583326