Il mondo che non c'è

di Saradream
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


IL MONDO CHE NON C’E’

 

 

CAPITOLO I

 

 

 PARTE PRIMA

Jules osservava il mondo avvicendarsi al di fuori del vetro della finestra della sua stanza. Il tempo,  grigio e ventoso, non sembrava promettere nulla di buono e forse, se fosse stato un giorno come tutti gli altri, anche quelli che correvano là fuori sarebbero rimasti rintanati in casa davanti alle loro telepareti, o sotto le radiocoperte, a rintontirsi come al  solito.

Ma nessuno avrebbe mai potuto pensare che il 16 raggiodoro fosse un giorno come tutti gli altri.

Il 16 raggiodoro infatti era l’avvenimento più importante dell’anno, una festività interplanetaria, un momento di gioia e di festa che ogni 365 giorni rallegrava il mondo intero, la ricorrenza di un fatto importantissimo che aveva cambiato in meglio la vita sulla terra.

 

Certo era buffo che nessuno più ricordasse questo fatto, dal momento che era così importante, ma del resto i più anziani ricordavano che i loro nonni dicevano che nemmeno i nonni dei loro nonni ricordavano il perché si festeggiasse il 16 raggiodoro, tuttavia, pensava la gente, se ogni anno la televisione, i fotogiornali e le radio insistevano tanto sull’importanza di questa festa, sicuramente una qualche importanza doveva averla.

Perché non festeggiare il miglioramento della vita degli uomini?E’ vero che nessuno sapeva con precisione come vivessero gli uomini prima della vita come la conoscevano loro, ma se la loro esistenza era  serena e priva di qualunque privazione questo significava che prima non poteva certamente essere migliore.

in effetti a nessuno serviva un valido motivo per festeggiare il 16 raggiodoro, lo si festeggiava e basta.

 

Il vento non accennava a placarsi e questo sembrava irritare tremendamente le signore del quartiere che, radunatesi con le loro impeccabili acconciature e con torte dai mille colori tra le mani sulla via principale, fissavano i nuvoloni neri con aria sdegnata, forse chiedendosi come osasse la natura ostacolare i loro organizzatissimi e perfetti preparativi.

 

Jules sospirò pesantemente distogliendo lo sguardo dalla finestra.

Era probabilmente l'unico ragazzo in tutta la contea a trovare ridicolo festeggiare senza un valido motivo, ed era probabilmente anche l'unico ragazzo che non avrebbe avuto niente da fare per tutta la giornata.

La cosa in realtà non dispiaceva affatto a Jules, anzi era contento di potersi immergere totalmente nel suo mondo, dimenticando tutto il resto.

Jules, a differenza dei suoi coetanei, non aveva alcun ruolo o compito particolare, non partecipava alle gare di atletica, non faceva parte del comitato dei festeggiamenti, non aveva preso parte ai ferventi preparativi che animavano la scuola da mesi.

Jules era un ragazzo strano.

 

Lo si notava subito, certo non era un crimine essere di corporatura esile e avere i capelli scuri, tuttavia agli abitanti della contea era qualcosa che appariva perlomeno insolito.

I ragazzi della scuola erano quasi tutti biondi, e sicuramente allegri e solari, Jules invece era pensieroso e serio, rideva poco, perché  non trovava divertente quello che la maggiorparte dei suoi coetanei considerava tale.

 

Anche i suoi passatempi erano alquanto atipici: a Jules non piaceva lo sport, compativa quella autocompiaciuta ed esagerata esibizione della propria abilità in vista di prestigio sociale, non aveva il benché minimo spirito di squadra e non comprendeva perché dovesse averne.

Non amava nemmeno guardare la televisione, né ascoltare la musica, nè vagare per i CDS, I centri divertimento speciale, dove i suoi coetanei passavano la maggior parte del loro tempo.

A dire il vero una volta sola era stato in un CDS, quando la scuola ne aveva scelto uno come meta della gita annuale.

Ricordava come in un incubo la stanza in cui delle perfette casalinghe vestite di rosa da cima a fondo insegnavano alle ragazze come cucinare cibi dall’aspetto allegro e colorato, i negozi sfavillanti, le sale cinema che proiettavano ogni giorno gli stessi film d’amore, i giochi in gruppo, i canti dell’amicizia, i concorsi di bellezza e le discoteche che intontivano i suoi compagni con la realtà virtuale e il magico drink della felicità.

Dovette fingere un attacco di appendicite per poter essere rispedito a casa dopo soli tre giorni.

 A Jules non piaceva dunque niente di niente, certo, a parte i libri.

 

Nella contea non era raro trovare libri, talvolta se ne vendevano anche nei palazzi del dei divertimenti, ogni tanto persino a scuola qualche professore all’antica ne faceva usare qualcuno, certo di quelli con poche e semplici scritte che si illuminano leggendo, niente di complesso.

 

I libri che leggeva Jules però erano diversi, innanzitutto erano lunghi, complicati, a volte anche tristi o noiosi, ma poi erano fitti di parole, parole stampate sulla carta, che non si illuminavano.

Per leggerne uno potevano volerci giorni interi, e nessuno capiva come Jules potesse trovarli interessanti, come potesse leggerli in ogni momento libero, standosene in un angolo senza rivolgere la parola a nessuno, come se non gli importasse di nient’altro.

Jules, com’è facile intuire, non aveva amici, non che non avesse provato a farsene, ma, dopo qualche minuto di chiacchiera con qualunque ragazzo del vicinato, si ricordava del perché i libri erano meglio delle persone, e così ritornava nel suo mondo senza troppi rimpianti.

 

Jules viveva in una casetta a schiera, era solo ma non era orfano, i suoi genitori li aveva visti per l’ultima volta quando era molto piccolo, erano partiti per un lungo viaggio e forse un giorno sarebbero tornati a prenderlo per portarlo con loro, questo era tutto quello che sapeva

L’unica persona con la quale Jules aveva un vero e proprio rapporto era lo zio Cervantes, che in realtà suo zio non era, ma che aveva avuto il compito di vegliare sul quel  ragazzo che ormai considerava quasi un figlio.

 

Anche Cervantes era un “diverso”, si vestiva in modo strano, leggeva molto, e viaggiava,  ma sapeva mascherare bene la sua diversità, aveva saputo inserirsi nella contea, farsi anche qualche conoscente, se non proprio degli amici, e forse l’attaccamento nei confronti di Jules era dovuto ad un latente senso di colpa per la condizione del ragazzo.

 

Era colpa di Cervantes se Jules era così diverso e così solo.

L’incontro di Jules con i libri avvenne quando Jules era ancora piccolo, ma fu un incontro casuale, che lo zio non vide di buon occhio, conoscendone i rischi.

Nella casa di Cervantes esisteva infatti una biblioteca enorme e ricchissima, nella quale a Jules non era permesso l’accesso, ma ovviamente per un bambino ogni divieto è una sfida, e così, Jules aveva tentado in ogni modo di accedere alla stanza proibita.

Infine, approfittando di un viaggio dello zio, Jules entrò nella biblioteca, facendosi letteralmente risucchiare dal fascino di quel nuovo mondo da scoprire.

Jules rimase chiuso nella biblioteca fino al ritorno dello zio, che lo trovò seduto per terra, con le gambe incrociate, totalmente immerso nella lettura di un volume enorme  e con il pavimento cosparso da pile di libri.

Cervantes sospirò pesantemente ma non si arrabbiò, egli infatti sapeva che sarebbe arrivato quel momento, non avrebbe potuto rimandarlo per sempre, ma era ormai chiaro che il destino di quel bambino era ormai segnato.

La sua indole riflessiva e sveglia non avrebbe certo potuto trarre giovamento dalla conoscenza nascosta nei libri, almeno non in un mondo dove la peggiore malattia che si possa contrarre è l’intelligenza.

“Jules” si limitò a dire con solennità quel giorno “Ormai non è più possibile tornare indietro, lo so bene, ma come tuo tutore mi sento in dovere di avvisarti e metterti in guardia.”

Jules sollevò interessato la testa dal libro in cui era immerso per prestare attenzione alle parole dello zio.

“La coscienza aumenta la sofferenza, ricordatelo sempre, e poi decidi come meglio credi”

Jules non capì subito le parole dello zio, ma non ci volle molto prima che la loro veridicità si mostrasse in tutta la sua forza.

 

Ma Jules scelse come gli sembrava più opportuno, e tutto sommato la sua vita scorreva tranquilla, noiosa, solitaria e forse un po’ opprimente, ma tranquilla.

 

Jules scrollò le spalle, mentre il tempo continuava a sfidare il 16 raggiodoro, afferrò il primo dei libri che erano accumulati sulla pila accanto al letto, vi ci saltò sopra e rigirandosi tra le coperte si sistemò comodamente per riprendere la lettura che aveva interrotto la sera prima, e si immerse in un mondo che era immensamente più interessante di quello che si trovava al di là della finestra.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Capitolo II

 

Era mezzogiorno passato quando Jules  giunse all’ultima pagina del libro, e venne assalito da una dolce malinconia, ogni volta che doveva separarsi dai personaggi e dai mondi che aveva imparato ad amare sentiva come se una parte di sé se ne andasse, lasciando un bel ricordo e un vuoto incolmabile.

Ogni volta che un libro finiva, Jules era costretto a tornare alla realtà, ad un mondo che non gli apparteneva.

Jules si alzò pigramente dal letto, indeciso sul da farsi, poi sospirando si vestì in fretta e uscì di casa, per smaltire la tristezza e per cercare una qualche ragione di allegria che non provenisse da un libro.

Il cielo era sempre più nero ma nessuno sembrava intenzionato a mostrare di essersene accorto, così, mentre Jules errava senza meta per le strade del quartiere, la banda suonava, le majorettes ballavano, la gente rideva, i carri colorati sfilavano e tutti sembravano perfettamente felici.

-Sono felici perché non guardano il cielo- pensò mestamente Jules, continuando a vagare per allontanarsi da tutta quella allegria fuori luogo.

 

Jules avrebbe voluto essere come tutti gli altri, avrebbe tanto voluto riuscire a non guardare mai il cielo, a ridere al passaggio di una banda, a non amare i libri, a essere semplicemente felice, ma non ci riusciva.

Sentiva che quelle strade e quelle persone non gli appartenevano, a volte gli passavano accanto come se fossero fantasmi, come se non esistessero, e probabilmente per loro era lui a non esistere.

 

A volte si chideva il perché fosse diverso, ma soprattutto si chiedeva se davvero era lui ad essere sbagliato o se invece era il resto del mondo ad esserlo.

Cercava di trovare un senso alla sua situazione, ma gli sembrava impossibile.

Più provava a integrarsi con quel mondo e più gli sembrava finto, irreale, patinato.

 

I personaggi dei suoi libri non erano così, erano vitali, pieni di spirito, a volte allegri, a volte sofferenti, magari anche crudeli e pericolosi, ma erano vivi, più vivi dei volti sorridenti che continuavano a scorrergli davanti.

La vita dei libri era diversa, nel mondo della letteratura esistevano la poesia e gli ideali, nel mondo vero niente gli sembrava poetico o ideale.

 

La vita vera, pensava Jules, doveva essere qualcosa di totalmente opposto a quello a cui era abituato, doveva essere colma di tutte le sfumature, di tutti i sentimenti, di tutte le esperienze e di tutti i pensieri.

Doveva essere ricca di amicizie e discussioni, di risate e di confronti e di viaggi.

Ma forse quello che lui pensava fosse la vera vita, era solo il suo sogno, e allora per lui non ci sarebbe stata speranza di sfuggire a quella vita falsa e irreale.

 

Jules si era ormai allontanato dal quartiere e dal confine della città, fino ad arrivare in riva ad un fiumiciattolo di campagna, si sedette e contemplò il nero del cielo rallegrandosi quando delle lievi gocce di pioggia cominciarono a cadere dall’alto, si distese e lasciò che la pioggia lo bagnasse.

La natura era il più diretto contatto con la vita vera, lo faceva sentire bene, a volte gli sarebbe piaciuto dissolversi nell’aria e diventare una nuvola, o un albero, per poter essere felice.

 

Si stava quasi per addormentare, disteso nell’erba con un raro sorriso sulle labbra, quando qualcuno lo scosse lievemente.

 

“Ehi”-chiamò una voce- “ehi, svegliati, ti senti male?Perchè sei disteso per terra?”

Jules grugnì  e aprì gli occhi irritato.

Si levò a sedere e fissò con aria truce un ragazzo con un ombrello in mano, più o meno della sua età, con i capelli biondi e gli occhi scuri, un aria tranquilla e uno sguardo stupito.

 

“Ti sei sentito male per caso? Cosa ci fai qui per terra?” chiese ancora il ragazzo biondo.

“Me ne sto disteso nell’erba, a dire il vero lo trovo molto rilassante e vorrei continuare se non ti dispiace” sbottò seccamente Jules.

“Ah”replicò l’altro “Ma…forse non ti sei accorto che sta piovendo” tentò ancora

“Me ne sono accorto”

“Ah, capisco” mormorò il biondo con il tono di chi non capisce proprio.

 

“Forse dovresti rientrare…voglio dire lo sai con la pioggia non esce nessuno, anche la televisione ha fatto sapere che è meglio continuare i festeggiamenti in casa, per le strade non si vede anima viva” riprese

 

“E perché tu sei qui allora?” tagliò corto Jules stendendosi nuovamente sull’erba.

“Ah, eh infatti stavo tornando a casa che è proprio vicino al fiume” rispose lui imbarazzato indicando una casetta dipinta di rosa che si trovava poco distante.

“Ma poi ti ho visto qui e ho pensato che dovevi star male per startene qui sotto la pioggia, e magari avevi bisogno di aiuto”

 

Jules si sentì leggermente in colpa per il suo tono scortese, così si rilassò e abbozzò un sorriso.

 

“No, sto benissimo, solo mi piace la pioggia.” Disse semplicemente.

“Ti piace la pioggia…che strano non ho mai conosciuto nessuno a cui piaccia la pioggia…” disse con un espressione pensierosa.

“Anche a te piace?”chiese speranzoso Jules illuminandosi in volto.

Il biondo si morse il labbro inferiore e poi disse “beh…a dire il  vero no.”

Sembrava quasi dispiaciuto.

Jules sospirò senza scomporsi “Peccato” e chiuse di nuovo gli occhi, sperando che il biondo se ne andasse.

 

“Ma, cioè, io… è solo che la pioggia rende tristi le persone”

Jules si rassegnò e riaprì gli occhi.

 

“ Non me” spiegò tranquillo.

 

Un lampo squarciò il cielo, seguito poco dopo dallo scoppio del tuono.

Jules vide il biondo trasalire e rabbrividire e sorrise.

 

“Hai paura?”

Il biondo scosse la testa con poca convinzione.

“E’ solo che…i temporali mi innervosiscono…e non sono mai stato fuori con la pioggia”

“Beh allora corri a casa!”

il ragazzo non si mosse ma si guardò indietro sospettoso.

 

“Ma non ti fa bene restare qui sotto la pioggia, potresti…ammalarti, magari potresti venire a casa mia fino a quando non smette” propose speranzoso.

 

Jules cerco di nascondere la risata che gli affiorò sulle labbra al malcelato tentativo del biondo di nascondere la sua angoscia.

Quel ragazzo era un po’ timido, ma non era antipatico, aveva qualcosa di piacevole nella sua ingenuità.

Si alzò lentamente e il biondo lo imitò titubante.

 

“Bene…andiamo allora…”Jules si interruppe accorgendosi di non sapere nemmeno il nome dell’altro.

“Arthur” rispose immediatamente il biondo.

“Ti chiami come un poeta!”esclamò Jules

Arthur sembrò rifletterci per qualche istante e poi sorrise, probabilmente era un complimento, pensò.

 

I due si incamminarono sotto la pioggia, in silenzio, ognuno seguendo i propri pensieri.

Entrando in casa rimasero senza saper bene come comportarsi per qualche minuto, poi Arthur invitò Jules a sedersi, e Jules pensò che forse Arthur non era proprio come tutti gli altri, anche se non era nemmeno troppo diverso.

 

“Vuoi che accenda la teleparete?”chiese Arthur cortesemente, anche se forse voleva riempire un silenzio che non sapeva in che altro modo oltrepassare.

“Io non la accendo mai, non mi piace” rispose Jules

“Tu sei un tipo strano sai!” mormorò Arthur

“In un certo senso anche tu”ribattè Jules

“Oh, lo so”rispose Arthur “voglio dire, è che non esco spesso da casa mia, non riesco a farmi amici molto facilmente”

Jules annuì, credeva che la timidezza fosse qualcosa che ormai esisteva solo nei libri, non nel mondo vero.

“Nemmeno io”confessò Jules.

“Ti piace leggere Arthur?”

“Non saprei, non credo di aver mai letto un libro vero, vivo con mio padre e lui non pensa che sia un bene leggere,io non vado nemmeno a scuola.”

Jules non si sorprese e capì perché non avesse lo avesse mai visto prima.

Continuarono a conversare di tutto e di niente, non avevano assolutamente nulla in comune, a parte il fatto di non avere amici, ma non ci fecero caso e il temporale lasciò posto ad un semplice cielo grigio più in fretta di quel che avrebbero pensato.

 Arthur non capiva Jules e il suo strano modo di fare, ma sembrava trovarlo molto simpatico.

Jules sapeva che Arthur non lo capiva, ma lo trovava molto gentile.

 

Jules e Arthur si separarono, ma si sentivano alleggeriti dalla speranza di aver trovato un amico finalmente.

 

Il 16 raggiodoro stava volgendo al termine e Jules intuì che qualcosa stava cambiando, ed era vero, anche se forse non modo che lui si aspettava.

Jules e Arthur si vedevano spesso, dopo la scuola, nel tempo libero.

Jules provava a iniziare Arthur al mondo dei libri e della poesia, mentre Arthur godeva semplicemente della presenza dell’amico.

Jules era felice di poter parlare con qualcuno, e che questo qualcuno fosse Arthur, ma era frustrato dal constatare l’incolmabile impossibilità di comprensione profonda che esisteva tra loro due.

 

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