Tempi passati

di Aout
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ricordi felici davanti agli ulivi ***
Capitolo 2: *** Come una marea ***
Capitolo 3: *** L'oblio, tra miti e leggende ***
Capitolo 4: *** Come una rosa rossa ***
Capitolo 5: *** Sovrumana ***



Capitolo 1
*** Ricordi felici davanti agli ulivi ***


Ricordi felici davanti agli ulivi

 
 

Didyme era piccola come uno scoiattolo, le diceva sempre suo fratello, e lei, proprio come uno scoiattolo, si arrampicava veloce sugli alberi del bosco dietro alla loro casa, anche quando sua madre irata le urlava di scendere, anche quando ormai era calata la sera e faceva davvero freddo.
A Didyme piacevano gli alberi, quelli di ulivo soprattutto, la loro corteccia era così contorta che non ci metteva niente a salire, su, fino in cima, fino a vedere sopra i primi tetti della città, e allora riusciva quasi a scorgere il tempio, alto sulla sua collinetta, ergersi chiaro contro i raggi del primo sole del mattino.
Didyme adorava le olive, così grandi e succose, soprattutto quelle sugli ultimi rami. Ne prendeva più che poteva in quelle mani piccole, e ne assaggiava anche qualcuna, sempre ungendosi tutta.
Ne portava anche un po’ ad Aro, quando la sera tornava dalla città. Lui che era l’unico che riusciva a convincerla a scendere a terra per la cena, lui che le sorrideva affabile, le accarezzava i capelli scuri e la ringraziava per quel regalo, quasi gli avesse dato degli smeraldi.
Didyme amava molto le storie del fratello, quelle sugli alberi soprattutto; incantata lo sentiva parlare di Dafne che, inseguita da Apollo, divenne alloro, o di Atena che, per vincere Cecrope allo zio Poseidone, creò il primo ulivo.
Gli anni passavano e lei rimaneva sempre lì, con quello sguardo colmo di stupore e meraviglia, ad ascoltarlo. E non importava che il fratello ormai fosse un mercante affermato, né che lei fosse in procinto di sposarsi, un po’ di tempo per quelle sacre storie lo trovavano sempre.
Erano in quella radura circondata dagli alberi scuri anche quella sera. Lei, seduta sui rami più in alto, e il fratello a terra, appoggiato al tronco. Le lunghe dita sottili che spuntavano appena dalla manica del suo mantello scuro, rilucevano come perle nella luce lunare.
Era appena tornato, Aro, da quel lunghissimo viaggio, quando ormai si stavano dissolvendo le ultime speranza di rivederlo. Appena l’aveva visto, giusto il giorno prima, spuntare proprio da quella stessa radura, era subito corsa ad abbracciarlo, felice com’era di non averlo perso per sempre.
E non le sarebbe importato di quegli occhi, così rossi come non ne aveva mai visti, e nemmeno della pelle bianca come il marmo del tempio, ma quando lui l’aveva allontanata da sé, con quel gesto così veloce, così freddo, per la prima volta dopo tantissimo tempo il suo sorriso si era per un attimo spento.
Ed ora, alla flebile luce delle stelle, Didyme si chiedeva cosa poteva essergli successo che l’avesse cambiato così profondamente.
- Vieni, scendi sorella. – disse, con quella voce bellissima, ma che non era più quella delle loro storie.
Con un balzo lei scese, le mancava tanto quel gesto semplice che non ci pensò nemmeno un secondo. Appena al suo fianco gli porse le olive appena raccolte che teneva strette nella mano.
- Hai pensato a quello che ti ho detto?
Oh, quello.
Gliene aveva parlato appena qualche ora prima, chiuso nel buio della stanza padronale della casa. Quel cambiamento, quella possibilità di essere diversa, di essere migliore. Gliene aveva parlato a lungo, ma a Didyme di quelle storie non importava molto, non aveva dato peso alle sue parole, perché le bastava avere di nuovo il fratello al suo fianco, semplicemente godere ancora una volta della sua compagnia.
Con le sopracciglia appena corrucciate, ripeté il gesto di prima, forse perché anche lui riuscisse a ricordare quei tempi lontani.
Ma Aro, irritato dall’assenza di una risposta o forse spinto da qualcos’altro, scagliò via dalla sua mano le olive verdi, con un semplice movimento del polso.
In un attimo le fu vicino, il suo fiato freddo sulla guancia.
- Durerà poco, te lo prometto.
Le olive, ormai perse, se ne stavano lì, a terra, nascoste dal buio della notte. Eppure a Didyme sembrava ancora di vederle, sembrava quasi fossero ancora nel palmo della sua mano.
- Hai un odore così dolce.
Ma loro non c’erano più.
 
 
 
 
 
 
Note: Ho scritto questa one-shot (doveva essere una flashfic, ma ho sforato, che volete farci) tutta d’un fiato.
Aro e Didyme sono personaggi interessanti, io li vedo un po’ l’uno l’opposto dell’altra, lui freddo e calcolatore, lei una ragazzina spensierata. Non so esattamente perché… come non so da dove mi sia uscita l’idea degli ulivi, né il fatto che Aro sia un mercante (immagino che c'entri con le sue “collezioni”)…
Comunque, questa è ufficialmente la prima volta che descrivo una fanfiction tutta incentrata sui Volturi, sono molto in dubbio, perciò, se vi andasse di farmi sapere cosa ne pensate, non potrebbe che farmi piacere.
Ma grazie anche se soltanto avete letto e apprezzato.
Alla prossima,
Aout ;)

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Capitolo 2
*** Come una marea ***


Come una marea

 
 
Sono come tende, i rami di quegli ulivi. Come quelle che, davanti alle finestre, nascondono allo sguardo assonnato l’abbagliante luce del giorno.
E, proprio come puoi sentire il canto dei passeri attraverso una finestra chiusa, magari puoi riuscire, se stai fermo lì, davanti a quei rami, se non ti muovi e fai silenzio, addirittura a percepire quell’eco lontana di giochi e risate. Se rimani in ascolto, se presti davvero attenzione, potresti perfino udire i frammenti delle vecchie storie passate.
 
Stai attento però, non fare l’errore di scostare le tende, perché se lo facessi davvero, se davvero osassi spostare quei rami, ti accorgeresti che tutto ciò ormai non esiste più, che la radura è stata travolta dalla marea del progresso, che perfino gli ulivi stanno per avvizzire.
 
Ma Didyme, lei è sempre stata curiosa.
Come quando, con quel suo nuovo pallido corpo, pensava di poter andare finalmente a far visita alle Nereidi sul fondo del mare, come aveva sempre desiderato, e allora si è tuffata e non è tornata per giorni, mandando tutti nel panico.
Oppure quando ha voluto scoprire se le labbra di Marcus, del colore delle ciliegie, ne avessero veramente il sapore, se riuscissero davvero riportarglielo alla mente, e allora ha deciso di baciarlo e lui, inaspettatamente, ha risposto.
Così Didyme ha deciso di scostarle, quelle tende.
 
E allora ha scoperto come il potere fosse diventato l’unica cosa importante, quanto lo sguardo di suo fratello si fosse tramutato in null’altro che un freddo pezzo di ghiaccio.
A quel punto, quando Didyme ha visto che di spazio per lei e per le sue risate in quella radura non ce n’era più, ha deciso che era il momento di andarsene.
 
 
 
 
 
 
 
 
Note:  capitolo stranissimo, lo so.
Sono partita da un’introduzione che avevo scritto per questa storia (che era molto più “poetica” (?) di come è adesso) e ho sviluppato l’idea.
Non so, mi sembra che a qualcuno di voi il primo capitolo sia piaciuto, spero che questo non vi deluda, non troppo almeno…
Comunque, “marea del progresso” è una mezza citazione di Verga (“mezza” perché la sua era la “fiumana del progresso”, capite ora quanto debiliti la scuola? XD) mentre le Nereidi sono divinità d’acqua (le sirene non mi andavano bene dato che per la mitologia antica sono dei mostri spietati e carnivori e nessuno vorrebbe volontariamente andare a fargli visita XD).
Io sono qui se volete farmi sapere cosa ne pensate ;)
Alla prossima,
Aout ;)

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Capitolo 3
*** L'oblio, tra miti e leggende ***


L’oblio, tra miti e leggende

 

Persa nell’oblio, Didyme si chiese se il fuoco degli Achei, quello che era riuscito a distruggere e disgregare le secolari mura di Troia, fosse stato tanto caldo quanto quello che sentiva lambirle il corpo.
Se Prometeo, che sottostò così a lungo alla punizione infertagli dagli dei, soffrisse quanto lei, quando l’aquila cominciò a straziarlo.
E quell’arsura… che Tantalo sentisse ardere la sua gola così, quando tentava di afferrare i frutti succosi che gli crescevano attorno, che perennemente lo rifuggivano?
Fiamme, dolore e sete. Questo sentiva Didyme.
Che fosse la fine, quella?
Ma, in tal caso, come aveva mai potuto Aro farle una cosa del genere?
 

105 parole

 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note (doverosamente e dolorosamente più lunghe del capitolo, non siete costretti a leggerle):  Siccome mi sono accorta di aver fatto una one-shot e una flashfic, ho deciso che questa sarebbe stata una drabble. Immagino che l’ordine serva a costringermi a scrivere (sono di un’indolenza epica, sapete…).
Passiamo alle spiegazioni:
- Prometeo --> rubò il fuoco agli dei per donarlo agli uomini, per questo, come punizione, fu legato ad una roccia e destinato a farsi mangiare il fegato da un aquila per l’eternità (sì, i miti sono tutti particolarmente allegri…).
- Tantalo --> rubò alla mensa degli dei e per questo, agli inferi, è destinato ad essere circondato da frutti succosi che perennemente gli sfuggono quando cerca di prenderli.
Ok, spero che così il capitolo abbia per voi più senso… dalla prossima volta si torna ad una narrazione normale (sì, non disperate XD)…
Mah… non so cosa aspettarmi dai vostri commenti…
Alla prossima,
Aout
P.S. Si parla della trasformazione di Didyme qui, non della morte, si capiva vero? Ho la tendenza a lasciar vagare le idee per la mia testa e a non spiegarle come si deve…

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Capitolo 4
*** Come una rosa rossa ***


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- Salve, Didyme.
Una bellissima vampira, vestita in porpora, era appena uscita dal portico antistante il giardino. I suoi lunghi capelli, così abilmente intrecciati dietro la nuca, ricordavano a Didyme il grano, quello che cresceva d’estate davanti alla loro Micene, sulla collina del tempio.
No, il motivo non può essere così futile. Aro non è futile.
- Salve a te, Sulpicia. Avvicinati, guarda le rose. Non le trovi bellissime?
Leggera come un soffio di vento se la ritrovò accanto, in piedi nella sua posa austera. Era sorprendente quanto riuscisse a frenarsi, Sulpicia, considerando quanto poco tempo prima c’era stata la trasformazione.
Fissò per un attimo il cespuglio di rose con i suoi grandi occhi cremisi, di quella lucentezza che era tipica dei neonati.
- Non saprei, sono solo rose. – disse poi, pacata e rispettosa.
L’educazione… c’è solo questo? No, non può essere.
Cos’è che non so di te, Sulpicia?
 - Avvicinati, dai, guardale meglio. – le disse ancora, incurante della loro vista perfetta.
Lei, ubbidiente, non si oppose.
- Davvero non so cosa dovrei vedere.
- Non le trovi simili a noi? Le rose, intendo. – le chiese, innocente.
Le fu restituito uno sguardo perplesso.
- Sono bellissime e rosse come il sangue, forse? – Marcus era sbucato dal portico e, con il suo grande sorriso aperto, le rivolgeva un’espressione curiosa e interrogativa.
Didyme si ritrovò a pensare che avrebbe tanto voluto baciarle, quelle labbra piegate all’insù, e, appena ebbe formulato il pensiero, già era lì, abbracciata al suo compagno.
Uno dei vantaggi di essere una vampira, quello.
Dal canto suo, Marcus, ormai abituato, non ci mise molto a restituirle il bacio.
- Sì, anche… – gli disse a pochi centimetri dal volto, non ancora pronta a lasciarlo.
- È un modo carino per dire che è la risposta sbagliata, amor mio?
Lei non rispose e riprese ad assaggiare quelle sue labbra del colore delle ciliegie mature, o delle rose, o del sangue. Irresistibili e inebrianti.
Sulpicia, intanto, si era chinata verso i fiori.
- Sono le spine… – constatò, sottovoce.
- Sì giusto, le spine! – rispose la voce squillante di Didyme, seguita a ruota dalla sua allegra risata che non ci mise molto a propagarsi, contagiando perfino la fredda Sulpicia.
Troppo fredda.
- Tesoro, davvero non ti capisco. – disse Marcus sorridente. Il più delle volte, faceva davvero fatica a seguire i collegamenti logici della compagna, ma si era piacevolmente abituato anche a quello.
- Non avevi torto, Marcus. Loro, guardale – disse indicando il cespuglio - sono bellissime, come dicevi tu. Ma, sai come si dice, no? Ogni rosa ha le sue spine. E noi, di spine, ne abbiamo molte, non credi?
- Molte… - le fece eco Sulpicia, con la stessa voce bassa e pacata.
- Ahah, mi sorprendi sempre, sai? Ma almeno siamo, sei, anche bellissima, come una rosa,  no? – disse Marcus, sempre con il suo solito, bellissimo sorriso. Dopodiché, fece per allontanarla dal suo abbraccio, – Ora, però, devo andare, temo. Tuo fratello sarebbe capace di venire qui e trascinarmi di peso. Meglio darsi una mossa.
L’espressione di Didyme s’incupì immediatamente – Non temere, amor mio, - disse accarezzandole dolcemente una guancia, - tornerò presto da te, prestissimo. – e poi, scivolò via.
Sulpicia era rimasta per tutto il tempo lì, immobile, con lo sguardo ancora fisso sul cespuglio di rose.
Perché mio fratello si è innamorato di te?
 - Qualcosa non va, Sulpicia?
L’espressione che le rivolse era serena, ma quegli occhi nascondevano qualcosa.
- No, certo, temo di avere sete, tutto qui. Scusami. – disse pacata, correndo subito via. Un battito di ciglia ed era già sparita oltre il portico.
Ma è veramente innamorato di te?
E tu, di lui?
Didyme si chinò a terra e recise una rosa, la più rossa che riuscì a trovare.
No, doveva smetterla di pensarci. Se loro erano felici, che cosa importava la sua, inopportuna opinione? Se loro erano felici… sì, si stava sbagliando. Doveva semplicemente scacciare quella sensazione fastidiosa che sentiva quando li vedeva insieme. Erano così diversi da lei e Marcus, da Caius e Athenodora…
Diverso non è male, Didyme.
In fondo, si disse mentre con le dita sottili polverizzava le spine sul lungo gambo della rosa, i vampiri non possono essere feriti, giusto?
 
Sì, ma mai sottovalutare le spine.

 
 
 
 
Note: Siamo nel periodo appena successivo a quando Aro ha trasformato la sua compagna, Sulpicia, per avere un sostegno in più nel clan (Meyer docet) e Didyme si chiede se veramente tra i due ci sia qualcosa oppure no (doceo io perchè di Didyme di sa poco o niente XD)
Boh, spero che questa cosa vi sia piaciuta, chiedo venia se la scena romantica non è il massimo, ma non descrivo spesso momenti del genere… e poi, ammettiamolo, di mio sono romantica più o meno come un sasso XD.
Comunque, spero vogliate dirmi cosa ne pensate, io attendo.
Alla prossima,
Aout ;)
P.S.Ogni rosa ha le sue spine. Questa è una frase, moooolto parafrasata, del depresso filosofo Schopenhauer, giusto per precisarlo. I vampiri sono come rose perché sono bellissimi, ma allo stesso tempo terribilmente pericolosi (questo non l’ha detto Schopenhauer, ovviamente XD).
Bello il banner? Ok, adesso vado sul serio…


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Capitolo 5
*** Sovrumana ***







Perché l’hai fatto? Pensò Marcus.
Con le mani in contatto, immobili come statue, erano in piedi davanti ad una delle finestre della loro casa ad Atene. Entrambi osservavano rapiti davanti a loro, ma le ragioni dovevano essere piuttosto differenti.
- Cosa intendi, fratello? – chiese Aro, con tono ingenuo.
Lo sguardo di Marcus, piuttosto scettico in verità, si rivolse immediatamente in avanti, verso la figura esile di una ragazza dai lunghi capelli scuri, che correva, danzava, nella radura verde davanti a loro.
- Ah… sai? Mi piacerebbe conoscere le tue considerazioni in merito.
Che sciocco, pensavo fossi tu, quello in grado di leggere nel pensiero.
- Oh Marcus, - disse Aro, sorridendo, - te ne prego, non ti burlare così della mia curiosità, ognuno ha i proprio difetti. Desidererei fossi tu ha spiegarti, se te ne compiaci.
Marcus, dopo aver lasciato volare il pensiero un attimo sulle circostanze che l’avevano fatto incontrare con quel “greculo saccente”,  perché sì, Aro sapeva leggere i pensieri magnificamente, rivolse la sua attenzione ai movimenti leggiadri della ragazza davanti a loro, su quell’agilità sovrumana e sui riflessi luminosi che i pochi raggi del sole di quel giorno riuscivano a suscitare sulla sua pelle pallida.
- Credevo fosse piuttosto ovvio.
Temo che, quando si ha a che fare con te, ci sia ben poco di ovvio.
Con la coda dell’occhio, colse un lampo di compiacimento, compiacimento?, nello sguardo dell’altro vampiro. - Cosa pensi, dunque?
Penso che ci deve essere sicuramente un buon motivo per spingerti a trasformare tua sorella in un demone mangia-uomini.
- Mi stai accusando, Marcus? – chiese Aro, ridendo.
Era solo una considerazione. In fondo, non è ciò che siamo?
- Sì, d’accordo, perdona la mia interruzione. Prego, continua.
Forse… forse desideravi donarle l’immortalità, per evitare un giorno di dovertene separare per sempre.
- È un buon motivo, sì. – constatò Aro, Marcus lo sapeva, ignorando deliberatamente quanto fosse stato poco propenso a dar credito a quella possibilità lui stesso, quando l’aveva pensata.
Intanto Didyme, che, incosciente di essere il soggetto dei loro discorsi, continuava a muoversi leggiadra per la radura, fece un salto verso l’alto andando a posarsi lieve su un ramo di un albero. Una risata cristallina si disperse allora per l’intera radura e, istintivamente, senza pensarci, lo stesso Marcus si trovò a sorridere.
L’hai detto tu stesso, la curiosità può essere un difetto…
Aro sorrise.
Immagino che, in parte, lei stessa possa averti spinto. Magari cercavi un talento… mi sbaglio?
- Oh, Marcus. - esalò Aro – Potrebbe essere, in fondo, non sarebbe “troppo ovvio”, giusto?
 
 
 
 
 
 
Note: E riuscì a stare nelle 500 parole!
Dunque dunque… innanzitutto mi scuso per questo terribile ritardo, ma la vita scolastica si sta facendo parecchio impegnativa e faccio fatica ad aggiornare spesso.
Non so, in effetti, se ancora a qualcuno interessi di questa raccolta, ma se mai voleste farmi sapere cosa ne pensate di questo dialogo (dialogo… sì, più o meno) io attendo ;)
Non so se il modo di Aro e Marcus di parlare possa o meno risultare sufficientemente realistico… suona un po’ aulico, lo so, ma si sta comunque parlando di una quasi-famiglia reale perciò… e poi, ammettiamolo, ho appena finito di leggere “Orgoglio e Pregiudizio” e mi sa che farò un po’ di fatica a eliminare questa parlata in tempi brevi ;)
Beh, alla prossima,
Aout ;)

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