L’ultimo
desiderio
Di Breed 107
Capitolo terzo.
L’unico suono che seguì quella semplice frase fu
un’esclamazione strozzata di Akane, un’esclamazione di sorpresa e addolorato stupore; la donna si portò una mano sulla bocca, quasi volesse rimangiarsi quel singulto, ma Ryoga non sembrò farci caso. Ranma invece
era rimasto in silenzio, gli occhi sgranati, la tazza a metà strada tra il tavolo
e le labbra.
Doveva dire qualcosa, doveva! Non poteva restare in silenzio, doveva trovare le parole per
confortarlo. ‘Avanti, idiota, digli qualcosa! Avanti!’
gridava la sua mente, ma non riusciva a pensare a nulla, assolutamente a nulla. Fu proprio Ryoga ad interrompere il silenzio.
“E’ successo tre anni fa, un incidente d’auto. Allora vivevamo
ancora a Yokohama.”
“Ryoga, è…” Akane non riusciva a trovare una parola adatta:
terribile? Sì, certo, ma era più di questo. Lo guardò, guardò quel sorriso
pieno di contrizione come se quello che lo facesse soffrire più di tutto fosse
il dover raccontare a loro gli eventi, come se la cosa
peggiore fosse proprio dare un dolore a degli amici appena ritrovati.
Devastante, ecco
la parola adatta, ma non la disse, la tenne per sé mentre le lacrime che prima non aveva pianto le illuminarono di nuovo gli occhi.
“Lo so, Akane.”
“Come… come ti senti ora?” domanda sciocca, ma Ranma voleva
saperlo sul serio.
Lui si strinse nelle spalle, esitando. “Io… beh, i primi tempi ero furioso. Già, sembravo un folle, poi ho
pensato che arrabbiarmi non sarebbe servito a
ridarmela e la rabbia non avrebbe potuto aiutare i miei figli.” Non aveva
davvero risposto alla domanda di Ranma, ma sperava che lui s’accontentasse di
quelle parole scarne per il momento.
In realtà Ryoga non avrebbe saputo descrivere all’amico come si
sentisse… Era una domanda troppo vaga: cosa dirgli,
che c’erano giorni in cui si sentiva così debole da non riuscire a lasciare il
proprio letto? O altri in cui segretamente desiderava
che qualcosa, qualsiasi cosa,
alleviasse il dolore, spazzandolo via dal mondo perché non aveva il coraggio di
fare anche questo ai suoi bambini? No, Ranma non avrebbe voluto sentirlo.
Akane deglutì, quella parte la conosceva
fin troppo bene. Lei era un’orfana, sapeva cosa significasse “Poveri ragazzi…” Ryoga annuì e nervosamente
giocherellò con il bordo della tazza: ora veniva il peggio.
“Loro erano in auto con lei.”
“Cosa?!” sbottarono all’unisono i due
Saotome.
“Sì, erano con lei. Per fortuna ne sono usciti incolumi, o
quasi… Ryo si ferì abbastanza seriamente, Ryoko invece fisicamente non si fece nulla, ma da allora lei non ha più parlato. Non ha più pronunciato una parola da allora.”
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Il suono della campanella interruppe il professore di storia,
ma il brav’uomo non parve prendersela troppo.
Raccolse il registro e dopo aver salutato gli studenti con un cenno del capo
lasciò l’aula, chiedendosi tra sé e sé cosa avrebbe potuto mangiare. Era infatti ora di pranzo e sperava che non ci fosse la
solita ressa alla mensa.
Ryoko tornò a sedersi e si volse verso Ryo, seduto qualche fila dietro di lei. Era lieta che le avessero
permesso di stare nella stessa classe; per quanto adorasse suo padre, nessuno
sembrava capirla quanto suo fratello: con lui il proprio silenzio non pesava affatto.
Ryo non l’aveva mai spinta a parlare,
non le aveva mai dato consigli né ordini, si era solo sforzato di capirla
sempre più, di interpretare i suoi desideri solo guardandola negli occhi.
“E’ una bella giornata, che dici se mangiamo fuori?” ancora una
volta lui sembrava averle letto dentro. Non voleva
restare in quell’aula dove sentiva gli sguardi curiosi degli altri seguirla e
scrutarla in ogni movimento. Annuì e prese il suo pranzo; stavano per lasciare
l’aula, quando un’imprecazione li fece voltare stupiti.
“Accidentaccio!” Hotaru fissava interdetta il suo obento,
l’aria afflitta. Non si era nemmeno resa conto di aver praticamente
urlato; sbuffò e richiuse il cestino con aria sempre più mogia.
Che disastro! Avrebbe dovuto
aspettarselo, come aveva fatto a non pensarci? Era logico che sua madre le
avrebbe cucinato qualcosa di speciale per il suo primo giorno di scuola. Già, qualcosa di
speciale, d’elaborato, di ricercato… e di completamente disgustoso. Era bastata
un’occhiata al suo pranzo per capire quanto fosse immangiabile, per tacere dell’odore!
Sbuffò e frugò nella sua cartella alla vana ricerca di qualche
spicciolo, ma come si era aspettata non aveva l’ombra di uno yen… Guardò i suoi
compagni già impegnati a mangiare allegramente i loro cestini e lasciò perdere l’idea di chiedere loro un prestito. Già,
però poteva chiederlo a qualcun altro, ad Arashi ad esempio; lui non avrebbe
mai permesso che la sorella patisse la fame, no?
Si alzò e correndo via veloce lasciò l’aula, sperando che suo
fratello fosse ancora nell’edificio e che non avesse deciso di mangiare fuori.
Lesta come una saetta attraversò il corridoio, superando gli altri studenti che
la guardarono stupiti. Ryo era tra questi “Però, è
veloce…” commentò vedendola sparire in fondo al corridoio.
Arashi intanto aveva appena fatto la stessa scoperta della
sorella riguardo al pranzo amorevolmente preparato da Akane e la sua reazione fu identica a quella di Hotaru “Accidentaccio!” sbottò osservando il riso ridotto in immonde pallottole e le verdure in salamoia
dall’odore nefasto. Scuotendo la testa richiuse il cestino e lo ripose sotto al banco.
“Problemi?” Suzume lo stava guardando curiosa.
“Mamma ha cucinato qualcosa di speciale” bastò dirle questo
perché lei capisse, infatti annuì comprensiva.
“Non ti resta che sperare che la mensa non sia troppo
affollata.”
“Non ho un soldo, ho speso tutto ieri… Che stupido, dovevo
pensarci!”
Suzume inarcò un sopracciglio, poi gli
sorrise, ma il modo in cui lo fece non piacque affatto al ragazzo che
sospettoso attese “Posso farti un prestito.”
“Ci avrei scommesso… Che vuoi in cambio? Oltre agli interessi
salatissimi, ovvio, che ti ripulisca di nuovo la soffitta? Devo rastrellare le
foglie dal tuo immenso giardino? Mettermi in posa per delle foto in modo che tu
non debba più farmele di nascosto come al solito?”
Lei scosse il capo e sedette morbidamente sul banco del cugino,
guardandolo con affabilità e Arashi capì di essere nei guai. “Nulla di faticoso
o pensante, cugino. Ecco, c’è una mia amica che…”
“No, non se ne parla, scordatelo! Preferisco restare digiuno
piuttosto che farmi incastrare da te in un altro appuntamento al buio! L’altra
volta è stato un vero tormento!”
Lei batté le palpebre “Ma perché? Yukari
è una ragazza così carina… ed è una delle ragazze più ricche di Nerima, non
vedo perché tu ti lamenti così tanto. Inoltre non mi
pare che tu abbia una fidanzata… al
momento.”
“Due ore a parlare di scarpe e borse! Due ore! Il peggior
pomeriggio della mia vita!” Arashi ignorò volutamente le ultime parole della
ragazza. Non voleva parlare di Minami, meno che mai
con quel concentrato di malizia.
“Uhm, come vuoi, io volevo solo essere
gentile. Beh, vado a mangiare con le mie amiche, vorrei augurarti buon
appetito, ma… Ci si vede!” lo salutò con un gesto
mellifluo della mano e lasciò l’aula, raggiungendo un gruppetto di ragazze- seguaci che stavano aspettandola.
Arashi sbuffò e pensò che se proprio doveva
digiunare, era meglio farlo all’aperto, magari avrebbe potuto chiedere un
prestito a qualcun altro, qualcuno meno esoso di sua cugina. Così, sconsolato
ed imbronciato, si avviò fuori dall’aula.
Era quasi giunto alla fine del corridoio, quando una saetta
bruna l’oltrepassò per poi fermarsi qualche passo più
in là “Arashi!”
Bastò che i due fratelli si guardassero per capire di essere
nella stessa barca. “Stavi andando alla mensa?” chiese lei speranzosa, andandogli vicino.
“Magari, ma non ho soldi. Non dirmi
che volevi farti offrire il pranzo da me… – l’aria afflitta di lei fu una
conferma adeguata – Che roba! Mi raccomando, non dire nulla alla mamma, ci
resterebbe troppo male.”
“Sì, sì, però che facciamo? Io ho fame!”
“Se uscissimo da scuola? Il ristorante
di zia Ukyo non è lontano.”
“E se ci scoprono? Non mi va di essere
punita il primo giorno di scuola… se invece chiedessi
a Suzume?”
Arashi scosse la testa “Te lo sconsiglio, a me ha proposto un
appuntamento al buio.”
“Alle solite… Uffa! Non mi resta che
chiedere alle mie amiche. Andiamo, ora saranno giù in cortile.”
“D’accordo, mi dovrò accontentare di un panino, poi all’uscita
potremmo andare all’Ucchan.” Hotaru annuì e mogiamente
i due si avviarono verso l’uscita, parlottando della loro sfortuna.
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“Sei sicura di non voler venire con me?” Ryoko annuì “Non ci
metterò molto, ma non mi piace il pensiero di lasciarti qui da sola.”
Erano seduti sotto ad uno degli alberi del cortile che circondavano il campo da calcio della scuola; gli era parso uno dei posti più tranquilli del liceo e Ryo l’aveva scelto sia per quel
motivo, sia perché vicino al luogo dove gli avevano detto trovarsi il preside.
La ragazza scosse la testa e con fare sicuro gli fece segno di allontanarsi con la mano e lui parve
arrendersi “D’accordo, vado a parlare con quel mezzo svitato. Non ci metterò
molto, tu non muoverti da qui… a meno che qualcuno non
venga a infastidirti: in quel caso vieni a cercarmi subito, capito?”
Lei annuì nuovamente e dopo aver alzato gli occhi al cielo
fingendo insofferenza sorrise, divertita dalla sua espressione buffa. “Che
impertinente… Allora vado.”
Ryo si avviò, ogni dieci passi però si
volgeva indietro a guardarla, preoccupato. Se avesse potuto non
si sarebbe allontanato, ma il preside aveva mandato a chiamarlo, chissà cosa
voleva? Da quello che aveva sentito dire in giro, non c’era mai da aspettarsi
nulla di buono da quel tipo; anche suo padre gli aveva ripetuto proprio quella
mattina che era completamente suonato. Sbuffò e con le mani in tasca si avviò verso
l’ufficio, sperando di sbrigarsi in fretta anche per poter mangiare con calma.
Ryoko lo guardò allontanarsi e quando il ragazzo sparì
all’orizzonte, sospirò. Si sentiva persa senza suo fratello, ma a volte il
senso di colpa la soffocava.
Se non fosse stato per lei,
la vita di Ryo sarebbe stata migliore o almeno lei così pensava. Non era giusto
che gli facesse da balia, gli era costantemente accanto preoccupato affinché
nulla le accadesse ed intanto non aveva più una sua vita. Non aveva amici tanto
per dirne una, non che ne avesse cercati… Dopo la
morte della mamma, Ryo era diventato chiuso e se non era con lei preferiva
starsene da solo in camera.
Le arti marziali erano l’unica eccezione, anche se Ryoko
sospettava che Ryo continuasse a praticarle per non dare un dispiacere al loro
padre, per dargli qualcosa a cui aggrapparsi.
Era ironico per un certo verso: suo padre avrebbe voluto che le
arti marziali fossero lo stesso per suo figlio; sperava che dessero al ragazzo
uno stimolo per venire fuori dal suo isolamento.
Quante speranze suo padre nutriva ancora? E quanto ancora sperava che lei
riuscisse una volta per tutte a superare l’orrore che
aveva visto?
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“Ryoko era seduta alle spalle della madre
quando accadde. Il TIR che li precedeva sbandò e la parte posteriore si
ribaltò, Akari dovette provare ad evitarlo, ma il terreno era
troppo bagnato e l’auto slittò proprio contro il cassettone rovesciato.”
Akane strinse le mani che teneva in grembo. Ryoga, sedutole di fronte, sembrava
calmo mentre raccontava dell’incidente; la sua voce
era tranquilla, così come la sua espressione, mai suoi occhi erano così vuoti
da stringerle il petto!
Sussultò percettibilmente quando un
ricordo improvviso le si affacciò nella mente, un ricordo di tanti, tanti anni
prima. Il giorno in cui lei aveva scoperto l’identità di P-chan… Si morse le
labbra, sconcertata dall’assurda coincidenza: Akari era stata uccisa nelle
tragiche circostanze a cui era riuscita a sfuggire quel pomeriggio. Il destino
poteva essere davvero così beffardamente crudele?
“Quello che uccise Akari fu lo schianto, ma non ebbe la fortuna
di spegnersi subito… Insomma, fu una morte straziante. Il dottore non ha potuto
rassicurarmi sul fatto che sia spirata subito e senza soffrire. Ryo le era
seduto accanto e per certi versi è stato il più
fortunato: il dolore per le ferite gli ha fatto perdere i sensi al momento
dell’urto, non si è accorto di nulla fino al risveglio in ospedale. Si è
ritrovato con un braccio rotto, una commozione celebrale ed un assortimento
vario di ferite di diversa entità, per fortuna tutte guaribili; Ryoko invece ha
battuto la testa contro il poggiatesta, ma si è fatta solo un bernoccolo e
lievi escoriazioni, quando sono arrivati i soccorsi lei era seduta sul
marciapiede. Non ha mai detto quello che… che ha visto” Ryoga sorseggiò il tè, ormai al limite delle forze: non sapeva per
quanto avrebbe resistito a recitare quel controllo di se stesso.
“Quando la vidi in ospedale mi chiese
solo se Ryo fosse sopravvissuto e credo che siano state le sue ultime parole
prima di richiudersi nel suo silenzio assoluto. I dottori lo definiscono
mutismo elettivo(*) e non è poi così
raro in caso di forti choc, anche se non è frequente all'età di Ryoko… e
anche il suo perdurare non è usuale, però sembrerà assurdo, ma oltre questo lei
è una ragazzina normale, timida forse, ma lo è sempre stata e nella sua
anormalità conduce una vita tutto sommato regolare.
Quello che invece mi preoccupa è proprio Ryo ed è per
lui soprattutto che sono tornato a Nerima” alzò lo sguardo verso Ranma, ancora
sconvolto per il racconto dell’amico.
Era uno sguardo che non gli aveva mai visto, implorante, di chi
chiedeva aiuto. E Ranma si ritrovò ad annuire senza nemmeno sapere cosa volesse chiedergli, ma non importava. Qualsiasi cosa, avrebbe fatto davvero qualsiasi cosa per il figlio di Ryoga se lui riteneva potesse farlo.
“Lui pratica le arti marziali, è bravo, anche più bravo di
quanto lo sia mai stato io. Tanto per cominciare è
incredibilmente veloce, scommetto che imparerebbe la tua tecnica delle castagne
se volesse. Ed è questo il punto: ha perso ogni interesse per le arti marziali,
da quando ha avuto l’incidente lui ha smesso di
amarle. Ci si dedica per pura abitudine, per farmi piacere… Apparentemente si
allena con zelo ed è molto migliorato in questi ultimi tempi, si è rafforzato
fisicamente, ma quando ci alleniamo insieme non scorgo in lui più alcuna
traccia della passione di un tempo, anzi ho il sospetto che cominci a odiare le
arti marziali che prima erano la sua unica ragione di vita. Ora non gli
interessa che prendersi cura di Ryoko, solo questo conta per lui.”
“Ma forse è una reazione momentanea…”
provò Akane, ma il dubbio era palese nella sua voce.
Ryoga si strinse nelle spalle “Non lo so, può darsi” anche lui
non sembrava molto convinto di quanto appena detto.
“Vuoi che lo alleni io?” Ranma pensava di aver compreso: non
sapeva perché, ma Ryoga credeva che solo lui potesse restituire al ragazzo
l’amore per le arti.
Ryoga lo guardò per alcuni istanti, l’espressione tirata e
seria, poi un bellissimo sorriso gli distese i tratti del viso “Sai Ranma,
quando mi battevo con te c’era qualcosa che t’invidiavo più di tutte, non la
velocità o la tua capacità di saper sempre sfruttare le debolezze del tuo
rivale pur combattendo lealmente. – Ranma era esterrefatto, era la prima volta
che Ryoga gli faceva dei complimenti così diretti – Io invidiavo il tuo spirito
combattivo così positivo. Non era distruttivo come il
mio. No, tu eri arrogante, sicuro di te e dannatamente pieno di forza
combattiva, bastava guardarti negli occhi per capire che per te le arti marziali erano tutto. Io voglio che quello stesso
sguardo ritorni di nuovo negli occhi di Ryo.”
Akane guardò fuggevolmente il marito, poi tornò a fissare
preoccupata l’amico “Ma come credi che… Insomma, se
non ci riesci tu che sei suo padre…”
“Proprio perché sono suo padre non posso fare nulla. Lui
continua ad allenarsi per darmi qualcosa a cui sostenermi, che mi aiuti a… ad
andare avanti, ma sono sicuro che dentro di sé non
abbia perso tutta la passione. Vedi, se fosse solo una
pura questione d’amore per le arti marziali lascerei perdere: sarà strano
sentirvelo dire, ma ho capito che nella vita c’è qualcosa in più oltre a
praticarle, ma lui ormai si è talmente chiuso che… che nulla lo tocca, nulla lo
anima. E’ peggio del mio animo depresso per lo Shishi
Hokodan, almeno avrebbe ancora qualcosa dentro. Ecco, credevo che magari
facendogli frequentare il dojo, allenandosi con te o tuo figlio… E’ un
tentativo che devo provare.”
Ranma strinse le mani che teneva
poggiate sul tavolo richiudendole a pugno. “Va bene Ryoga, lo farò: allenerò
tuo figlio” disse con voce determinata e l’amico non poté far altro che
sorridergli con gratitudine e sollevato, sospirò come se si fosse tolto un
macigno dal petto.
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Ryoko assaggiò il riso e sorrise: era perfetto! Suo fratello era un gran cuoco per fortuna, almeno non pativano la fame! Lei era una frana, la sua cucina era quasi venefica,
però stranamente ogni qualvolta provava a cucinare qualcosa, suo padre le
sorrideva quasi con aria nostalgica e dopo aver assaggiato il primo boccone, ed
essersi ripreso dallo svenimento causato dal disgusto, le diceva puntualmente
la stessa cosa. “Tu non sai quanto questo mi rammenti la mia gioventù!”
Proprio non capiva come poteva un piatto dal sapore orripilante
rammentargli la giovinezza. Era un mistero che forse ora avrebbe trovato
risposta visto che si trovavano in un luogo dove suo
padre aveva vissuto proprio da giovane. Era lì che aveva conosciuto sua madre.
Prima dell’incidente le aveva raccontato sommariamente del loro incontro, ma poi… poi era sceso il silenzio, in ogni senso nel suo caso.
“Scusa, ti spiace se ci sediamo con te?” la voce le giunse alle
spalle così all’improvviso da farla sobbalzare; si volse verso la ragazza che
aveva parlato e la guardò, incerta. L’altra sorrise inclinando leggermente la testa di lato, i begli occhi scuri che sorridevano
con lei. “Sono in classe con te, mi chiamo Hotaru Saotome” il cognome non le
era nuovo, dove poteva averlo sentito?
Comunque, la
ragazza, che stava qualche passo davanti ad altre due ugualmente sorridenti,
era ancora in attesa di una risposta. Ryoko scostò il proprio cestino e fece
loro segno di sedersi: non sapeva perché, ma si fidava di quel sorriso e di quegli occhi.
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Ryo inarcò un sopracciglio, incredulo. “Cosa?” chiese sperando
di aver capito male.
Sfoderando un sorriso accecante, quell’uomo assurdo serrò le
dita attorno alle due paia di forbici che teneva in mano, facendole scattare
minacciose “Hai problemi di udito, pupil?
Oh, che disdetta, poverino!” piagnucolò, prima di avventarsi sul ragazzo.
Ryo non si fece sorprendere e scattò agilmente di lato, senza
perdere d’occhio il preside “Io ci sento benissimo!” disse, mentre l’uomo
tornava a precipitarsi verso di lui, con quella specie di palma che gli
spuntava dal centro del capo che ondeggiava vistosamente,
altro esemplare del campionario di stranezze di quell’essere.
“E allora, sonny,
mi hai capito: devo tagliarti la frangia! E’ troppo lunga! Too long!” urlò l’invasato, facendo scattare nuovamente le
forbici.
Ryo non era abituato a protestare con gli adulti, ma non ci
teneva che quel pazzo si avvicinasse ai suoi capelli! Era pure più folle di
quanto gli avessero detto… ed anche dannatamente agile
per essere un vecchio pallone gonfiato!
Lo scansò nuovamente una seconda volta, ma quello con un gesto
rapido puntò una delle forbici dritta alla sua testa;
il ragazzo allora agì di istinto e prima che le lame si facessero ancora
pericolosamente vicine, bloccò il polso del preside con una mano e lo colpì al
petto con un calcio tanto ben assestato da fargli fare un vero e proprio volo
all’indietro.
La fragile porta dell’ufficio (assurdo quanto il suo occupante,
a parere di Ryo) non resse all’impatto e non frenò il volo dell’uomo che rovinò
lungo e disteso nel piazzale che circondava l’edificio immenso. Beh doveva
essere per forza immenso, si era detto Ryo entrando,
visto che doveva contenere una piscina ed una spiaggia finta…
Arashi batté le palpebre e curioso si avvicinò al corpo che
aveva visto letteralmente volare fuori dalla palazzina
del preside, o del manicomio come veniva dai più chiamata. Si piegò un tantino
poggiando le mani alle ginocchia e, sopracciglio inarcato, osservò il preside
privo di sensi.
Tra le mani teneva ancora le sue famigerate forbici, gli
occhiali scuri ora gli stavano di sghimbescio sul naso ed aveva la bocca aperta
in un sorriso ebete e pietrificato, ma quello che più attirò l'attenzione del
giovane Saotome fu l’impronta piazzata proprio al centro del petto del preside
e che gli imbrattava vistosamente una di quelle
orripilanti e kitsch camicie hawaiane. ‘E’ stato steso
con un solo colpo?’ si domandò stupito, notando l’assenza di altri segni di
lotta e subito la curiosità cominciò a montare in lui.
Alzò gli occhi verso il ragazzo che con espressione corrucciata
stava uscendo dalla presidenza. Non lo conosceva, quindi non era
di Nerima: se uno capace di stendere quell’esaltato con un solo calcio
fosse stato del posto, lui l’avrebbe conosciuto di certo.
Lo osservò con attenzione, notando che era alto quasi quanto
lui e che probabilmente si trattava di uno studente del primo anno.
“Non volevo, mi è saltato addosso all’improvviso ed ho reagito
d’impulso” spiegò lo sconosciuto, più disturbato che dispiaciuto.
“Lo hai steso davvero tu?” gli domandò Arashi e quando questi
annuì, si rimise dritto e gli sorrise compiaciuto. “Ti
sei appena conquistato il benvolere della Furinkan!”
Ryo era sempre più stupito: lanciò un’altra occhiata al preside
sempre svenuto e sospirò “Mi sono messo nei guai il primo giorno di scuola, mio
padre mi ucciderà” borbottò, pungolando il fianco dell’uomo esanime con la
punta del piede, sperando che si riprendesse.
“Nei guai per aver steso il preside? Tranquillo, io sono
costretto a farlo quasi tutti i giorni, non ti caccerà certo per questo.”
Quella cosa voleva capirla: aveva preso a calci il preside e
non l’avrebbe pagata?! Scrutò il ragazzo più grande,
perplesso “Come, scusa?”
“E’ tutto a posto. Vedi, questo tizio non è per nulla un uomo
normale, è completamente squilibrato ed ha un codice di regolamento assurdo.
Rende la vita un inferno ai suoi studenti, ma poi non li allontana mai
dall’istituto, altrimenti chi torturerebbe? Però sarà meglio se ce ne andiamo, prima che rinvenga o ci toccherà stenderlo di
nuovo.”
Ryo si avviò seguendo lo strano ragazzo; ogni tanto lanciava
occhiate alla figura immota e sempre più sconcertato, notò come nessuno degli
studenti che passava di lì sembrasse preoccupato o per lo meno stupito di vedere quella sagoma in terra. Anzi,
qualcuno arrivò a passargli sopra, nemmeno facesse parte della normale
pavimentazione del cortile…
“Io mi chiamo Arashi Saotome, del terzo anno. Tu sei nuovo di
qui, vero?” Ryo annuì e lanciò un’ultima occhiata alle
sue spalle, poi scosse la testa e decise di non pensarci più.
“Sono al primo anno, sono arrivato a
Nerima due giorni fa. Senti, il preside mi ha detto
che devo tagliarmi i capelli a zero. Diceva sul serio?”
“Ci avrei giurato! Ci prova con tutti, è una sua mania, non
darci peso… Tu pratichi le arti marziali, vero?” gli
chiese di punto in bianco e Ryo lo guardò stupito.
“E se fosse? – Arashi inarcò un
sopracciglio, perplesso dal suo tono improvvisamente restio e lui sospirò – Un
po’…” ammise poi vago.
“Il preside non è tipo da farsi stendere da un principiante e
con un sol calcio” commentò Saotome, scrutandolo con curiosità.
“Tu le pratichi?”
“Abbastanza… beh, tutta la vita credo
sia abbastanza, no? Sono bravo, anche se non come mio padre. Lui è davvero
imbattibile… per chiunque” asserì Arashi convinto, un
sorriso quasi mesto accompagnava quella considerazione. Già, nessuno era
all’altezza di Ranma Saotome, nemmeno lui. Ryo comunque
non parve particolarmente impressionato dalle sue parole.
“Buon per lui. Scusa, devo andare da mia sorella” lo salutò di colpo con un cenno della mano e si allontanò.
Arashi era davvero perplesso: quel tipo non aveva fatto una
piega. Come poteva restare tanto impassibile? Se qualcuno gli avesse detto le
stesse cose, come praticante di arti marziali si
sarebbe come minimo incuriosito.
Lo rincorse e lo affiancò, per nulla intenzionato a lasciarlo
andare senza aver soddisfatto la propria di curiosità “Ehi, ti andrebbe di farmi vedere qualche tecnica delle tue? Che
stile preferisci?”
Ryo lo guardò con la coda dell’occhio “Chi ti ha detto che le arti marziali mi piacciono?” domandò
freddamente, sperando che questo smontasse l’insistenza del senpai(**). Non
aveva fatto i conti con la leggendaria testardaggine dei Saotome.
“Allora perché le pratichi?”
“Perché dovrei dirtelo? Non credo t’interessi.”
Arashi sospirò e gli sorrise dispiaciuto
“Sì, scusa, sono stato indiscreto. Il fatto è che non riesco a credere che uno
che pratichi le arti marziali non provi nulla per esse, mi è quasi
inconcepibile, ma forse sono io ad avere una visione distorta delle cose.”
“Dovrei presentarti a mio padre, vi capireste
a meraviglia. Scusa, ma non hai altro da fare che venirmi dietro?” gli chiese,
stavolta leggermente irritato, ma l’altro scosse la
testa.
“Non ti sto venendo dietro, è solo il caso… Facciamo la stessa
strada.”
“Vai anche tu da mia sorella?” gli domandò ironico Ryo
indicandogli l’albero dove sapeva esserci Ryoko ad aspettarlo.
“No, vado dalla mia” gli rispose pronto l’altro indicando nella
stessa direzione. Stupito Ryo si volse e vide che in effetti
Ryoko non era più sola.
--- --- ---
Hotaru guardò il suo panino e sospirò, gli occhi lucidi “Ahimé!
Che magro pranzo…”
Midori inarcò un sopracciglio “E’ inutile
farla tanto lunga, non attacca Hotaru. Ti abbiamo prestato i soldi per il
panino, non divideremo con te il nostro cibo.”
Lei sbuffò, l’espressione afflitta e indifesa di prima
completamente sparita “Uffa! Che belle amiche… Ehi!
Hibiki, il tuo obento è favoloso!” Hotaru era
stupefatta, oltre che affamata. Non aveva mai visto un obento preparato con
tanta cura! “E’ così… ordinato… Te
l’ha preparato tua madre?” chiese osservando i piccoli onigiri(***),
le piccole frittatine tutte
uguali disposte in bell’ordine e le verdure sistemate
accanto a delle rondelle di pesce dai colori per lo meno affascinanti, un vero
capolavoro!
La ragazza scosse la testa “No? Allora sei stata tu?” tornò a chiederle la piccola dei Saotome; l’altra scosse la testa di nuovo, sorridendo al solo pensiero: figurarsi se era capace di
cucinare un simile pranzo!
Hotaru incrociò le braccia al petto, per
nulla demoralizzata dal silenzio e parve riflettere su qualcosa, poi
ebbe un’idea. Afferrò la borsa del cestino della sua amica Hitomi
senza molta grazia e frugò tra i vari oggetti provocando un grugnito di
disapprovazione da parte di quest’ultima, fino a trovare quello che cercava.
Soddisfatta porse alla ragazza stupita un blocco per appunti ed
una penna “Hitomi scrive poesie ogni tanto e porta
sempre il necessario con sé” spiegò allegra.
“E’ vero, non ci avevo pensato!
Hibiki, se vuoi puoi scriverci quanto vuoi, te lo do volentieri” acconsentì la legittima proprietaria sfoderando il suo
sorriso più convincente.
Ryoko guardò perplessa il piccolo blocco; una parte di sé non
voleva comunicare con quelle ragazze, ma… ma ripensava a ciò che Hotaru le
aveva detto appena sedutale accanto.
“Scusa se ti disturbiamo, ma ho
pensato che visto che sei nuova della città non avrai nessuna amica con cui pranzare.
Forse ti sembriamo un po’ impiccione, ma non è bello mangiare da sola… Beh, io
non ce l’ho un vero e proprio pranzo, ma ho un povero,
semi-vuoto, misero panino” un’occhiataccia delle altre due l’aveva convinta a finirla con quell’argomento
con cui aveva cercato di impietosirle affinché dividessero con lei il loro di
pranzo. “Ma se lo mangiassi da sola sembrerebbe ancora
più povero, semi-vuoto e…”
“Hotaru la stai annoiando.Se la
finisci dopo ti do un po’ del mio dolce, ok?” si era arresa Midori scuotendo la
testa e facendo penzolare la lunga coda castana che le pendeva tra le scapole.
Hotaru aveva sfoderato un sorriso meraviglioso e le aveva fatto l’occhiolino, facendola ridere. Con gli estranei non lo faceva spesso, invece quella ragazza l’aveva fatta ridere con tanta
naturalità…
Non era stata la pietà a far avvicinare la compagna di classe;
non sapeva perché ne fosse certa, ma sapeva che era così: Hotaru Saotome
l’avrebbe cercata anche se lei avesse parlato, per il
motivo per cui l’aveva avvicinata adesso, perché credeva fosse triste starsene
da soli.
Ryoko non aveva alcun problema con la solitudine, in generale,
ma riusciva a comprendere che non per tutti fosse lo stesso. Probabilmente per
la vivace Hotaru non era così.
Prese il blocco e con scrittura chiara e ordinata rispose alla
domanda fattale prima “E’ stato tuo fratello a prepararti il pranzo?! – la giovane Saotome sembrava stupita – Davvero? Mio
fratello non lo farebbe per nulla al mondo, l’idiota… Come sei fortunata!”
“Chi sarebbe l’idiota, scusa?” le ragazze si voltarono verso la
voce che improvvisa era risuonata alle loro spalle; Arashi squadrò la sorella e
lei gli cacciò la lingua, mentre Midori ed Hitomi
arrossirono contemporaneamente.
Arashi Saotome era uno dei ragazzi più popolari e corteggiati
della scuola, alla pari con Kuno e anche se erano le migliori amiche di sua
sorella, non avevano molte occasioni di imbattersi in lui. Era davvero un guaio
che al momento non fosse interessato a trovarsi una
fidanzata… “E’ troppo impegnato con le arti marziali per pensarci” aveva
spiegato loro soddisfatta Hotaru, appoggiando evidentemente in pieno questa
scelta. Certo, circolavano altre voci in giro, pettegolezzi per
cui le arti marziali non avessero nulla a che fare con la decisione del
ragazzo di non trovarsi una fidanzata, per lo meno non quanto una graziosa
ragazza di nome Minami. Minami Kuno, per la precisione. Unica figlia di Kodachi
Kuno e unico amore di Arashi Saotome a detta dei
soliti bene informati.
Quel giorno comunque Arashi Saotome
non era solo. Le due si scambiarono un’occhiata d’intesa, entrambe avevano
riconosciuto il ragazzo con lui: era quello della lavanderia che avevano incrociato il giorno prima!
“Sei l’unico fratello che ho, quindi… Cosa
voleva il preside?”
Arashi si strinse nelle spalle “Non lo so,
prima che ci parlassi lui l’ha steso. – fece un cenno con il capo al ragazzo al
suo fianco – Dove hai preso quel panino?” domandò poi
con finta noncuranza.
Hotaru eclissò immediatamente il sandwich dietro la schiena e
alzò lo sguardo alla chioma dell’albero “Panino? Quale
panino?” domandò, facendo la gnorri.
“Quello che stai nascondendo. Non
eravamo d’accordo che avremmo diviso tutto quello che saremmo
riusciti a trovare? Su, dammi la metà che mi spetta.”
“No! E' già così piccolo, semi-vuoto e misero e…”
Fu il suono di una risata a zittirla. Una risata strozzata e malamente trattenuta.
Ryo guardò sua sorella e di certo fu il più sorpreso di tutti:
Ryoko stava ridendo! Non uno di quei sorrisi che concedeva agli estranei, no,
Ryoko stava ridendo di cuore, come quando a casa rideva perché suo padre per
sbaglio entrava nel ripostiglio invece che nel salotto!
Teneva il volto nascosto tra le mani come se si vergognasse di
farsi vedere in quello stato, ma era chiaro che stesse ridendo e poi pur non
emettendo alcun suono, la sua risata era comunque
fragorosa, emotivamente rumorosa.
Contagiata da quello scoppio di riso tanto silenzioso ma
travolgente, Hotaru cominciò a ridere a sua volta. Le due andarono avanti per
un pezzo come se fossero incapaci di smettere, sotto lo sguardo allibito degli
altri.
“Tu hai capito che c’è da ridere?” domandò Arashi a Ryo, che
scosse la testa. Non l’immaginava proprio.
--- --- ---
Akane sorrise, finalmente rasserenata. Cambiare discorso dopo
le tragiche rivelazioni di Ryoga non fu facile e poi
c’erano tante cose che avrebbe voluto chiedergli, ma si trattenne comprendendo
che avrebbe dovuto dimostrargli il proprio affetto in un altro modo; così
quando lui le aveva chiesto dei suoi figli, aveva asciugato le lacrime che
ancora le illuminavano gli occhi e aveva sospirato tentando di scacciare la
tristezza.
“Il maggiore mi somiglia, in un certo senso. Vero Ranma?”
“Sì, però per fortuna la sua abilità di combattente proviene dal
lato paterno… ohi!” comparso chissà da dove, un mini-martelletto si era
materializzato tra le mani di Akane che, dopo aver punito le parole del marito con un
colpetto, pallido ricordo di quelle che erano state le gloriose martellate
della sua adolescenza, lo fece sparire nella tasca del grembiule e continuò a
rispondere alla domanda dell’amico.
“E’ un ragazzo tranquillo, pacato e
molto maturo, sono molto fiera di lui. Mette molto impegno in quel che fa,
compreso lo studio.”
“Uhm, scommetto che questo non l’ha preso dal lato
paterno” commentò Ryoga sorridendo sardonico all’indirizzo di Ranma, che
finse indifferenza.
“Infatti! Per fortuna per quanto
riguarda lo studio anche la più piccola sembra aver preso da me, anche se devo
ammettere che Hotaru è una specie di Ranma versione femminile… Cioè, non nel senso di come quando lui si bagna con l’acqua fredda… No, lei è più femminile, è una donna del resto, già!” Akane si morse le
labbra, stava cominciando ad incartarsi con le sue stesse parole “E’ una
ragazza vivace ed intelligente, una vera forza della natura a volte… è volitiva
quanto suo padre e spesso non si rende conto di metterci troppo slancio nelle
cose, però ha un gran cuore. Ed è la cocca del padre: riesce a rigirarsi Ranma
con un dito.”
“Non è vero!”
“Certo che è vero! Hotaru riesce sempre a spuntarla con te!”
Ryoga poggiò il mento ad una mano “Proprio il tipo che vorrei
diventasse amica della mia Ryoko.”
“Perché no? Sarebbe magnifico! E poi saranno compagni di scuola, no? Li hai iscritti al
Furinkan, vero?”
“Sì, Akane. Avevo qualche dubbio per Ryoko con quel preside, ma
poi ho pensato che Ryo non avrebbe permesso a nessuno di farle del male. Almeno
per quest’anno il Furinkan sarà la loro scuola.”
“Per quest’anno? Ci hai detto di aver comprato una casa a Nerima
e credevo volessi stabilirti qui definitivamente”
Ranma lo guardò perplesso.
“Non lo so, se le cose miglioreranno per i miei figli potrei decidere di restare. Mi sono dato un anno di tempo per provare a dare un po’ di serenità a quei ragazzi e se non ci riuscirò
nemmeno qui con il vostro aiuto, dovrò provare qualche altra soluzione.”
“Noi cercheremo di aiutarti il più possibile, Ryoga” asserì
Akane, guardandolo negli occhi e lui arrossì imbarazzato, suo malgrado.
Non poteva dimenticare che lei era stata il
suo primo amore, nonostante quello che ora provava per lei fosse un altro tipo
d’affetto…
Desiderava ardentemente riallacciare
l’antica amicizia, lo voleva con tutte le forze. Forse perché ne aveva bisogno o forse perché per lui era naturale desiderarlo,
ora come ora. E non voleva solo riallacciare
l’amicizia con Akane, ma anche con Ranma. Ora che la loro rivalità gli sembrava
una cosa totalmente positiva e non più aggravata dai
sentimenti che aveva provato per la ragazza, sentiva che la sua amicizia con
lui poteva dargli solo dei benefici.
“Perché non resti a pranzo qui, Ryoga?
Non preoccuparti, Akane non cucinerà del maiale, così non ti sentirai a
disagio.”
Ryoga lo fulminò con lo sguardo e rimangiò quanto appena
pensato: Ranma Saotome era il solito idiota! Però…
Però forse quella battuta era proprio quel
che ci voleva. Dopo aver raccontato loro la sua storia un po’ temeva che i
due avrebbero cambiato il loro atteggiamento nei suoi confronti. Molti lo
facevano, chi sapeva cominciava a trattarlo con una deferenza ed una
delicatezza snervante, nemmeno potesse andare in pezzi
al minimo scossone. Invece con Ranma questo rischio non lo correva e gliene era
grato.
Pensò di dirlo ad Akane che stava martellando di nuovo il suo educatissimo e sensibile maritino, ma decise che poteva
pure godersi la scena per quella volta, anzi, a dirla tutta non si sarebbe mai
stancato di assistere ad un tale spettacolo!
--- --- ---
Dopo molte insistenze e parecchie reiterate accuse d’egoismo, Hotaru si arrese e divise il suo misero panino con il fratello, sedutole
accanto. Sbuffando gli porse la parte più grande e cominciò a mangiare
mogiamente la sua.
Ryo intanto si era seduto accanto alla sorella, ancora stupito
per la scena di prima. La guardò con la coda dell’occhio. Ryoko sembrava il
ritratto della serenità, mangiava con calma osservando le altre ragazze, o
meglio osservava quella sedutale vicino, evidentemente
era incuriosita da lei, si disse Ryo osservandola velocemente: aveva una faccia
conosciuta. Ora che ci pensava… chi erano quelle
ragazze?
“Ehm, Hotaru, tu sei l’unica che sembra conoscere tutti, non
dovresti fare le presentazioni?” le guance in fiamme, Midori implorò con lo sguardo la sua
amica, che come il solito non si preoccupava di farle conoscere quel ragazzo fantastico!
“Uhm? Loro sono in classe con me, si
chiamano Ryo e Ryoko Hibiki. Loro due invece sono le mie migliori
amiche, Harada Midori e TanakaHitomi… lui è il mio ingordo fratello, Arashi.”
Ryo era sempre più perplesso “Davvero sei in
classe con noi?” le domandò guardandola con maggiore attenzione.
“Come?! Sono seduta al banco accanto al tuo! Mi chiamo Hotaru,
Hotaru Saotome! Eppure non sono un tipo che passa inosservato,
di solito!” l’altro si strinse le spalle, completamente disinteressato; si poggiò
all’albero ed aprì il proprio cestino.
‘Mi sento un po’ osservato…’
alzò lo sguardo dal proprio obento e stupito notò che effettivamente tutti gli
sguardi, tranne quello dell’altro ragazzo, erano puntati su di lui, o meglio
sul proprio cibo.
“Che… che c’è?”
Hotaru sospirò, un’occhiata languida ed insieme invidiosa al
pranzo accurato del suo compagno di classe “Ryoko mi ha
detto che sei stato tu a prepararle il pranzo. Devi essere
molto bravo, ha un aspetto squisito!”
Quella ragazza non aveva ritegno, pensò fuggevolmente Ryo a
disagio, ma quello che attirò la sua attenzione fu altro. “Ryoko te l’ha detto?”
“Non proprio…” Ryoko gli mostrò il blocco per gli appunti. “E’
stata una mia idea!” gli fece sapere Hotaru, chiaramente soddisfatta di sé. Ryo
tornò ad osservarla per alcuni istanti: c’era qualcosa di travolgente in quella tipa. Qualcosa di talmente
irruente che lo disorientava. Soprattutto lo disorientava
il fatto che Ryoko fosse chiaramente incuriosita da tutta quella
vitalità.
Ryoko scrisse qualcosa sul suo notes e lo porse a Hotaru che
curiosa lo lesse; i suoi occhi s’ingrandirono per la sorpresa e la felicità,
mentre la curiosità torturava gli altri “Cosa?! Sul
serio?!” le chiese stupita.
La ragazza annuì convinta e Hotaru l’abbracciò di slancio “Tu sei
un angelo disceso dal cielo!” esclamò, al culmine dalla gioia
mentre Ryo assisteva esterrefatto a quella scena incredibile: Ryoko
odiava essere toccata dagli estranei, eppure quando quella mezza svitata
l’aveva stretta non aveva battuto ciglio, anzi parve non farci nemmeno troppo
caso, impegnata com'era a sorriderle.
“Si può sapere che succede?” chiese turbato.
“Tua sorella vuole farmi un prestito per poter comprare
qualcosa in mensa, tu sì che sei una vera amica! – lanciò un’occhiataccia torva
all'indirizzo delle altre due ragazze – Un vero angelo! Naturalmente ti
restituirò fino all’ultimo yen, sia chiaro!”
Ryoko annuì e dopo aver frugato in una delle tasche, porse alla
ragazza commossa alcune monete “Sono troppe!” lei scosse il capo e con un cenno
indicò Arashi, che in tutto quel tempo era rimasto in silenzio ad osservare la
scena, invidiando la sorella e la sua fortuna sfacciata.
Il ragazzo batté le palpebre, stupito e guardò la ragazza
sorridente “Sono anche per me?” le chiese e lei annuì,
poi dopo aver depositato il denaro tra le mani di Hotaru, tornò tranquillamente
a mangiare. “Non posso accettare, però ti ringrazio.” Arashi chinò leggermente
il capo in segno di riconoscenza: era stupito per il gesto di quella ragazza
sconosciuta.
“Così la offendi, zuccone! Avanti, il grande Arashi Saotome non si degraderà accettando l’aiuto di una compagna di scuola.”
“Tu sei davvero senza vergogna, quando si parla di mangiare sei
peggio di nostro nonno! Non ti è passato per la mente che la tua amica ti ha
dato tutto il denaro che aveva con sé? Non possiamo prenderlo tutto! – Arashi
sospirò cercando di calmarsi, sua sorella era capace di fargli perdere proprio
le staffe – Ti ringrazio ancora, ma non posso accettare.”
Hotaru sussultò quasi a quelle parole, poi visibilmente
mortificata restituì la maggior parte del denaro “E’
vero, scusa, non posso accettare che…”
“Non è un problema Saotome, ho con me il mio di denaro, in caso
servisse – Ryo alzò lo sguardo verso l’altro ragazzo e gli fece un cenno
incoraggiante con il capo – prendetelo pure.”
“Dici sul serio?”
“Certo… Arashi, vero? E comunque sarà
meglio che vi sbrighiate, la mensa non resterà aperta ancora a lungo.”
--- --- ---
Come primo giorno di scuola non era poi andata così male. Anzi,
si disse sorridendo Arashi Saotome, era andata molto meglio di quanto si fosse aspettato.
Per prima cosa, visto il gentile
intervento di Ryo Hibiki, il preside era stato distratto e per ciò non lo aveva importunato come al solito. Seconda cosa, Kuno non lo aveva degnato delle
solite attenzioni che gli erano state riservate gli anni precedenti, quali
battutine acide e occhiate malevole.
Il motivo per cui avesse deciso di non
degnarlo di un solo sguardo gli era ignoto, ma ad Arashi importava comunque
poco il perché: sperava solo continuasse così. Aveva già a che fare con un paio
di Kuno nella sua vita, e ciò gli bastava!
Terzo, ma non ultimo, aveva trovato degli amici.
Era contento di aver conosciuto Ryo e sua sorella. Lui sembrava
un po’ riservato, ma quello non era un problema, anzi, e poi erano due persone
gentili. Il gesto che avevano compiuto prestando a lui e a quella faccia tosta di sua sorella i soldi per il pranzo lo aveva molto
colpito: in fondo erano degli estranei, non erano tenuti a comportarsi in
maniera tanto cortese.
Lanciò uno sguardo al piccolo gruppetto che lo seguiva a poca
distanza. Hotaru stava spiegando a Ryoko qualcosa su Nerima e lei la ascoltava
con attenzione, mentre qualche passo più indietro Ryo le seguiva
immerso nei propri pensieri.
“Dovete tornare subito a casa?” chiese rivolto proprio a
quest’ultimo che si strinse nelle spalle.
“Perché?”
Arashi nascose a stento un sorriso: chissà perché quell’Hibiki
rispondeva spesso alle domande con altre domande.
“Pensavo di sdebitarmi per il vostro prestito offrendovi la
migliore okonomiyaki della città. Allora, vi va?” gli propose
ancora entusiasta, l’altro inarcò un sopracciglio.
“Con che soldi, scusa?” ecco, l’aveva fatto di nuovo, una
domanda in risposta ad un'altra. Un tipo decisamente sfuggente…
“Nel posto dove voglio portarvi io e Hotaru godiamo di un certo
credito, per così dire.”
Ryo scambiò un’occhiata con sua sorella; in realtà non ne aveva molta voglia, gli sarebbe anzi piaciuto tornarsene a casa, ma Ryoko aveva un’espressione così felice che si ritrovò ad annuire
senza nemmeno pensarci. “Bene! Allora si va all’Ucchan!” urlò
Hotaru prendendo l’altra a braccetto e trascinandola letteralmente via.
Arashi gli sorrise, in chiaro
imbarazzo per il comportamento di sua sorella e stringendosi nelle spalle,
s'incamminò dietro le due. Ryo sospirò, inquieto.
Saotome era un tipo a posto, ma
quell’altra squinternata… Quella non gli piaceva: aveva un modo di fare che lo
stizziva e pure intuiva che era proprio quell’aspetto ad aver tanto colpito
Ryoko. Gettò la cartella su una spalla e, pensieroso,
seguì il resto del gruppo.
--- --- ---
A giudicare dalle lodi sperticate, soprattutto di Hotaru, Ryo
si era aspettato un locale certamente diverso da quello davanti al quale si fermarono. Era un posto modesto, carino ma nemmeno troppo grande.
“Vedrete, le okonomiyaki che mangerete qui sono
davvero insuperabili! Su, entriamo…” guidati dall’usuale energia della
ragazzina, i quattro entrarono nell’Ucchan.
Era affollato all’inverosimile, ma quello non sembrò stupire i due Saotome che senza perder tempo si
avventurarono tra la folla di studenti seduti ai tavoli e al bancone, alcuni
mangiavano addirittura in piedi. Dopo un attimo d’incertezza, Ryoko li seguì e
Ryo si accodò, chiedendosi dove avrebbero potuto mai
sedersi in quella bolgia; fu stupito quando seguendo gli altri due si ritrovò
in un’altra sala del locale, una stanza evidentemente adibita ad uso personale.
Era una piccola sala da pranzo molto sobria, con un tavolo
basso in stile giapponese e dalla disinvoltura degli altri due ragazzi, Ryo
comprese che quel posto era loro familiare.
“Allora aspettate qui, forse ci vorrà un po’ vista la folla, ma
ne sarà valsa la pena” li rassicurò Arashi, uscendo nuovamente.
Hotaru intanto si era seduta al tavolo e fece
segno loro di fare lo stesso “Non fate quelle facce, io ed Arashi(****) qui
siamo di casa. La proprietaria del locale è una nostra zia
o una specie, per lo meno.”
Ryoko e Ryo si scambiarono un’occhiata, poi sedettero anche
loro al piccolo tavolo guardandosi intorno. Tranne il tavolo per l’appunto e
qualche mobiletto basso, la stanza era vuota; alle
pareti alcuni quadri rappresentanti scene floreali rendevano l’ambiente più
vivace. Il chiacchiericcio della sala adiacente superava la protezione offerta
dalle sottili pareti, ma la porta chiusa riusciva a smorzare la confusione
affinché non fosse fastidiosa.
“Questa è la stanza che nostra zia ci ha messo a disposizione per quando il locale è pieno come adesso. Lei vive al piano superiore, anche se è più il tempo che passa al dojo che qui, quando non
lavora.”
Ryo inarcò un sopracciglio “Dojo?”
Hotaru annuì e poggiò il mento alle mani incrociate “La mia
famiglia ha un dojo di arti marziali indiscriminate.
Mio padre è un vero maestro, il migliore!” aggiunse
poi con chiaro orgoglio. Ryo pensò che quella non era
la prima volta che sentiva una frase simile, quel giorno…
Ryoko guardò suo fratello con la coda dell’occhio sperando in
qualche suo commento, ma lui restò in silenzio: evidentemente non aveva
intenzione di far sapere alla loro compagna d’essere anche lui un praticante di arti marziali. Come a leggerle nel pensiero, Hotaru
osservò il ragazzo di fronte a lei con aria seria. “Arashi dice
che hai steso il preside. Come hai fatto?”
“Non lo so.Voleva tagliarmi i capelli” disse
a mo’ di giustificazione.
“Ci prova con tutti, è una vecchia abitudine che conserva fin da quando i miei frequentavano il Furinkan. Come mai vi siete trasferiti a Nerima?”
“Non ti stanchi mai di fare domande?” sbottò lui infastidito,
fingendo di ignorare l’occhiata di disapprovazione della
sorella.
Hotaru però non parve offendersi per il tono ruvido e si limitò
a stringersi nelle spalle “Tentavo di fare amicizia, sei un vero musone,
Hibiki.”
“E tu una chiacchierona irritante, Saotome.”
“Meglio chiacchierona che musona!” precisò lei, più divertita
che arrabbiata da quell’acceso scambio di battute.
Sbuffando Ryo capì che continuare a rimbeccarsi come bambini
delle elementari sarebbe servito solo a fare il gioco
di quella indisponente. “Senti, dov’è il bagno?” non ne aveva
bisogno, ma voleva uscire da lì e scappare dal battibecco.
Lei gli indicò la sala da dove erano entrati “Devi tornare di
là e girare sulla destra dell’entrata.”
--- --- ---
Ukyo sospirò scostandosi una ciocca di capelli dal viso:
l’aiutante per cui aveva messo un’inserzione era
davvero necessario.
Ora che le scuole erano ricominciate, l’Ucchan sarebbe stato
sempre affollato come quel giorno e lei da sola certamente non poteva farcela.
Yuri inoltre avrebbe presto cominciato anche lei la scuola; alzò lo sguardo
verso la piccola che serviva le okonomiyaki ai vari tavoli e sorrise: per sua
figlia lavorare era ancora un gioco. Le piaceva stare tra la gente ed era
portata per tutto ciò che aveva a che fare con la cucina… un’eredità paterna,
evidentemente.
“Ciao zia.”
Ukyo si voltò sorridendo verso l’allegra voce “Arashi, sapevo
che saresti venuto! Una special?”
Lui annuì e dopo essersi fatto spazio tra i clienti, si poggiò
al bancone “Fanne quattro per favore, ci sono due persone con Hotaru di là, due
nostri amici.”
“Li conosco?”
“Non credo, si sono appena trasferiti a Nerima.”
“Oh, allora devo darmi particolarmente da fare, ci tengo a fare bella figura! Ve li porto appena pronte.”
“Grazie zia. Stasera verrai al dojo?”
Lei sospirò e si strinse nelle spalle, prima di rigirare con la
solita maestria l’impasto che le sfrigolava davanti “Vorrei restare qui in
verità, dopo una giornata come questa che si prospetta essere impegnatissima dovrei solo
chiudere e buttarmi sul letto, ma non credo che Yuri mi lascerà scelta – alzò
gli occhi al cielo, assumendo una finta espressione corrucciata – perciò credo
proprio che verrò a bere il disgustoso tè di tua madre.”
Arashi sorrise divertito e stava per ribattere, quando qualcuno
gli si gettò contro afferrandogli la vita in una morsa stretta “Ah! Ti sono
arrivata alle spalle senza che te ne accorgessi! Sei
un pappamolle, Arashi!”
“Mi arrendo Yuri, hai vinto tu!”
La bambina lo affiancò ridendo soddisfatta, poi
però lo guardò, il dubbio nei suoi grandi occhi chiari, del tutto simili
a quelli della madre “Di’ la verità, ti eri accorto di me, vero?” il ragazzo
mentì, scuotendo il capo e lei ritornò a ridere “Artista marziale dei miei
stivali! Hotaru non c’è?”
<“E’ nella saletta con due amici.”
“Vado a salutarla!”
“Prima però porta queste al tavolo tre,
per favore…- Ukyo sospirò porgendo un paio di piatti alla figlia – uff! Quasi,
quasi chiudo prima! Non è che… ecco, ci mancava anche il telefono!” alcuni
squilli sfacciati riuscirono infatti a superare il
chiacchiericcio dei clienti e sempre sbuffando Ukyo lasciò momentaneamente il
suo posto dietro la piastra per andare a rispondere all’apparecchio proprio
accanto all’entrata.
“Pronto? Sì, sono io… per l’inserzione? Uhm sì, domani mattina
le va bene? Se arriva qui intorno alle 10 posso
dedicarle il tempo necessario ad un colloquio. Sì, certo, a domani allora!”
attaccò e sorrise: era la sesta telefonata da quando
aveva messo l’annuncio, c’erano buone speranze di trovare un’assistente che
fosse in gamba.
Soddisfatta, si voltò per ritornare a lavoro, quando la porta
del bagno si aprì ed un ragazzo ne uscì; curiosa lei l’osservò, notando
l’uniforme del Furinkan e poi lo guardò in viso.
Ryo richiuse la porta alle sue spalle e alzò lo sguardo verso
la donna dinanzi a lui; lo stava fissando e a giudicare dalla sua espressione,
sembrava stupita di vederlo. Aggrottò le sopracciglia e istintivamente si diede
una veloce occhiata cercando di capire perché lo guardasse ad occhi spalancati:
che avesse qualcosa di strano?
“Hibiki!” prima che potersi stupirsi, lei gli saltò
letteralmente al collo, stringendolo con una forza quasi inaspettata per una
donna tanto esile. Confuso, il ragazzo restò immobile arrossendo per gli
sguardi curiosi che da tutta la sala si erano ora appuntati su di loro. Tra
questi il più curioso era senz’altro Arashi.
“Ehm, mi scusi” provò, mentre la sconosciuta si separava da lui
per guardarlo con maggiore attenzione “Io non la conosco…” le disse, sempre più
imbarazzato.
Lei batté le palpebre e come se capisse solo in quel momento
cosa avesse fatto, si allontanò definitivamente da lui con uno scatto e
s’inchinò in segno di scuse “Perdonami! Il fatto è che
sei identico ad una persona che… Scusami! Che sciocca,
come ho potuto scambiarti per lui?! Ormai è una
persona adulta e… e chissà in che parte del mondo si sarà
perso ora!”
Ryo la guardò confuso “Lei conosce mio
padre? Ryoga Hibiki…”
“Tu… tu sei suo figlio?! Ma… Gli somigli in maniera impressionante! E'… ma allora vuol dire che P-chan è tornato a Nerima!”
Come faceva quella donna a conoscere il più grande segreto di suo padre?!
“Scusami ancora per prima, ma non vedo tuo padre da una vita! Che bello! Era ora che lui ed Akari tornassero
a casa!”
Ora Ryo era veramente confuso: da quando Nerima era… casa? E poi
perché se quella donna era una vecchia amica di famiglia non sapeva nulla di
quanto era accaduto?
Intanto Arashi non resistendo alla curiosità si era avvicinato “Conosci Ryo, zia? E’ uno degli amici che ti
dicevo.”
La donna lo guardò stupita “Certo che lo conosco!
Lui è il figlio di Hibiki… Arashi, possibile che tu non sappia di cosa sto
parlando?!”
“Veramente no…”
“E nemmeno io” aggiunse Ryo,
scatenando un’inspiegabile risata nella cuoca. I due ragazzi si guardarono
incerti, mentre Arashi si stringeva nelle spalle.
Se pur a fatica, Ukyo represse la propria ilarità e
asciugandosi gli occhi invitò i ragazzi a tornare nella sala dove li avrebbe serviti “Ed insieme alle okonomiyaki vi racconterò
anche una storia che v’interesserà senz’altro!”
--- --- ---
Qualche minuto dopo, Ukyo entrò nella sala dove i ragazzi la
stavano aspettando, tra le mani un vassoio con le quattro okonomiyaki fumanti.
Il suo sorriso già radioso si allargò guardandoli.
“Eccomi! Ero così sorpresa che ne ho
bruciate un paio!”
“Zia, Arashi dice che conosci i loro
genitori, com’è possibile?”
Ukyo depositò il vassoio sul piccolo tavolo e vi sedette,
mettendosi accanto a Hotaru e proprio di fronte ai due gemelli.
“In verità conosco anche voi, ma l’ultima volta che vi ho visto
eravate dei bambini! Un adorabile maschietto – i suoi
occhi si poggiarono su Ryo – ed una graziosa femminuccia. Sono anni che non
vedo i vostri genitori, o per lo meno non li vedo insieme, di solito venivano a trovarci separatamente in modo che uno dei due
restasse sempre con voi. Siete diventati così grandi!” guardò
Ryoko che arrossì, abbassando lo sguardo.
“Ci vuoi spiegare meglio?” la incitò Arashi, mentre Hotaru
dimenticandosi momentaneamente della curiosità si era lanciata sulla propria
okonomiyaki.
“Beh, loro due sono i figli di Ryoga Hibiki, il più grande rivale di vostro padre Ranma.”
“Cosa?!”
“Già. Tra loro esisteva una rivalità molto accesa e non
facevano che battersi di continuo!”
“Naturalmente era papà a vincere, vero?” asserì convinta la più
piccola dei Saotome, beccandosi un’occhiataccia da Ryo, occhiataccia
che ricambiò in pieno.
“Sì, però Ryoga era uno dei pochi che potesse
dargli filo da torcere, tra gli umani, naturalmente…”
Arashi e Hotaru non conoscevano molto delle incredibili
battaglie che il loro padre aveva sostenuto contro personaggi mitici: Ranma non
ne parlava molto volentieri, soprattutto di uno. Era stata Akane a raccontargli
a grosse linee la lotta contro Sa-fulan in Cina, facendo comprendere che quell’episodio
rappresentava per entrambi un ricordo poco piacevole
ed anche Ukyo non amava parlarne, adducendo il pretesto di non poterlo fare
perché non presente a quegli incredibili avvenimenti.
“Ryoga venne qui a Nerima molto prima
che ci arrivassi io, naturalmente per trovare il suo nemico… e da allora fino
al suo matrimonio quasi si può dire che il dojo dei Tendo sia diventata casa
sua. Beh, anche questa okonomiyakeria gli ha fatto da
casa per un po’, a dire il vero!” Ukyo sorrise e poggiò il viso ad entrambe le
mani incrociate “Nonostante i suoi rapporti con Ranma non fossero in apparenza
così amichevoli credo che lui sia il miglior amico che Ryoga abbia mai avuto.
In più di un’occasione hanno anche lottato insieme, uno al fianco dell’altro.
Quando ogni motivo di rivalità scomparve, Ryoga non restò a lungo qui, però per
quasi tutti questi anni lui e i vostri genitori sono rimasti in contatto.”
“Anche la mamma?” chiese Hotaru, che
aveva già spazzolato la sua okonomiyaki, divorandola con gusto e con una velocità
poco consona ad una ragazza ben educata, ma che tanto, tanto rammentava suo padre…
“Soprattutto vostra madre. Lei e Ryoga erano
molto amici, lui era il suo confidente, in un certo senso… Avete presente tutti
quei souvenir che Akane conserva accanto all’altare votivo di vostra nonna? Sono tutti doni di Ryoga, era un gran viaggiatore!”
“Un gran disperso, direi… E’ strano, nostro padre ci ha detto
di avere degli amici qui a Nerima, ma non ci ha mai parlato di questo Ranma
Saotome.”
“Nemmeno papà, perché zia? Se sono così amici…”
“Beh, il fatto, Arashi, è che in verità tu hai già sentito
parlare di Ryoga, solo che non lo hai sentito chiamare con questo nome.”
“Eh? Che significa?”
“Ecco, il nome P-chan ti è familiare?” Arashi annuì, mentre Ryo
e Ryoko si scambiarono un’occhiata perplessa “Beh, Ryoga è P-chan. Colpa di Jusenkyo.”
“Cosa?! Anche lui come papà…?”
Ukyo annuì ed il suo sorriso divenne più dolce “Ricordo
perfettamente il giorno in cui scoprì la sua maledizione… del resto come
dimenticarlo? Alcune cose dette quel giorno mi fecero molto male…” Non era stato proprio quel giorno che Ryoga le aveva anche detto dell’amore di Ranma per Akane, costringendola a guardare in faccia alla realtà?
Hotaru parve riflettere su qualcosa poi
spalancò gli occhi “Ma certo! La foto!” sbottò, come se avesse appena
ricordato qualcosa d’importante.
“Che hai da urlare così all’improvviso, ora?” le chiese Arashi
che come tutti gli altri era sobbalzato nel sentirla
gridare.
“La foto della mamma! Quella che ha accanto al letto! L’ho vista migliaia di volte e… e tra i ragazzi ce n’è uno che ti somiglia moltissimo! – puntò l’indice verso Ryo – Ha una bandana gialla… E’ suo padre, vero zia, è lui?”
“Sì, infatti. C'era anche Ryoga sull’isola delle illusioni dove
fu fatta quella foto. Per mia fortuna che c’era! Se
non ci avesse pensato lui a liberarmi con lo shishi hokodan…” la donna fece una
smorfia ironica “Con vostro padre completamente assorto dalla ricerca di Akane, forse ora sarei ancora lì, sposata ad una specie
di scimmione!”(****)
Ryoko osservò ancora una volta suo fratello. Era
confuso proprio come lei, ma qualcosa nelle ultime parole della donna lo aveva
colpito più del resto: lo shishi hokodan.
Suo padre gli aveva parlato di quella tecnica e, prima della
morte della mamma, gli aveva detto che prima o poi
gliel’avrebbe insegnata, ma dopo l’incidente si era rifiutato persino di
mostrargliela, non dando alcuna spiegazione per quell’ingiustificato cambio di
idea. Ryo aveva insistito appena, ma poi il disinteresse aveva cominciato ad
impadronirsi di lui e…
“E’ davvero una gioia riavere Ryoga ed Akari qui a Nerima! Sarà
bello rivederli dopo tanto, però prima darò a Ryoga una di quelle lezioni che
non dimenticherà! In tutti questi ultimi anni non si è fatto sentire per
nulla!” sbottò irritata la donna, ma il suo sguardo tornò a riempirsi di mestizia mentre si posava di nuovo sui due ragazzi
“Guardandovi mi accorgo di quanto tempo è passato… e tu ragazza mia sei davvero
una gran bellezza, proprio come tua madre.”
Ryoko sorrise appena e chinò il capo in segno di ringraziamento
“Dovreste aver compiuto 16 anni da poco, vero?”
“Ryoko non parla zia” spiegò Hotaru con semplicità, sorridendo
poi con gentilezza all’indirizzo della timida ragazzina.
Ukyo batté le palpebre, poi annuì e sorrise “Ryo e Ryoko: Ryoga
non ha certo fatto uno sforzo di fantasia per i vostri nomi!” Fu chiaro a tutti
loro del suo sforzo per non sembrare troppo colpita da quanto Hotaru le aveva appena detto. Un riguardo di cui soprattutto Ryo le fu grato, perché non se la sentiva di rispondere a domande che avrebbero richiesto
risposte dolorose anche per quella donna.
Completamente ripresasi dalla sorpresa, la cuoca si rialzò
sospirando “Ora devo proprio andare o perderò tutti i
clienti! E’ stata una vera gioia conoscervi ragazzi, sul serio e spero di
incontrare presto anche i vostri genitori, anzi, se mi dite dove abitate,
stasera potrei…”
Non aveva nemmeno finito quella frase che Ryo si alzò di scatto
“Ora dobbiamo andare Ryoko, nostro padre ci aspetta.
La ringrazio ancora per le sue okonomiyaki, signora, ma è
tardi” disse in fretta, raccogliendo la sua cartella a sguardo basso;
Ryoko lo affiancò e il suo sorriso triste fu l’ultima cosa che videro prima
che, senza dargli tempo di provare a fermarli, lasciassero il locale.
Ukyo stupita batté le palpebre, il vassoio stretto tra le mani
“Ho detto qualcosa di strano?” domandò, confusa da quella vera e propria fuga.
Arashi si strinse nelle spalle, mentre Hotaru sorrideva
contenta “Non hanno nemmeno toccato le tue okonomiyaki, zia Ukyo, è un peccato
buttarle via.”
“Tu sei davvero senza vergogna!” l’accusò suo fratello,
ma lei lo guardò con sguardo innocente.
“Sarebbe un vero spreco buttarle via solo perché quel ragazzo
ha qualche problema di socializzazione… Tu la tua la
mangi?”
--- --- ---
“Siamo a casa!” la voce allegra di Hotaru ruppe il silenzio di
casa Saotome; Akane andò loro incontro, accogliendoli nel piccolo ingresso.
“Ben tornati! Allora com’è andato il
primo giorno di scuola?” domandò sorridendo con dolcezza.
<“Benissimo!”
“E tu Arashi, che mi dici?”
“Mmm, tutto bene: non ho avuto
nemmeno problemi con il preside oggi” sapeva in fondo che era quello che
realmente le interessava sapere.
“Davvero? Strano… Meglio così! Ora venite, devo presentarvi una
persona, è in giardino con vostro padre.”
I due ragazzi si guardarono curiosi, seguendola poi
attraversarono la casa silenziosa e tranquilla per raggiungere il giardino,
dove videro il loro padre accovacciato su una delle rocce del piccolo stagno;
in piedi accanto a lui c’era un uomo che volgeva loro le ampie spalle.
“Sono arrivati!” urlò Akane, richiamando i due che si volsero
nella loro direzione. Hotaru ed Arashi si guardarono stupiti: quell’uomo non
poteva essere altri che…
“Il signor Hibiki!” dissero all’unisono, scoppiando poi a
ridere per l’espressione sorpresa di Akane.
“Ma come…”
“Così avete conosciuto i miei ragazzi, ne sono contento.”
I tre adulti ed i due ragazzi si erano seduti attorno al
tavolo, dove Arashi aveva spiegato come avessero riconosciuto Ryoga.
“Suo figlio le somiglia moltissimo, zia Ukyo
aveva ragione!”
“Siete stati all’Ucchan?”
“Sì, mamma – Hotaru annuì energicamente –
avevamouna tale fame che… ahi! Che ti salta in testa?!
Mi hai fatto male!”
Arashi sospirò scuotendo il capo: sua sorella era senza
speranze! Le aveva dato un pizzico nel vano tentativo di farla tacere, ma era
troppo tardi, Akane infatti li guardava perplessa.
“Fame? Ma se vi ho preparato un pranzo
speciale, lo avete mangiato vero?” li guardò sospettosa e non parve
accontentarsi del fatto che annuissero energicamente; in loro soccorso
intervenne Ranma.
“Avete portato i figli di Ryoga da Ukyo allora, bene. Lei
cos’ha detto?”
“La sua prima reazione è stata strana: ha abbracciato Ryo
chiamandolo Hibiki!” spiegò Arashi, suscitando le risa degli altri.
“Tuo figlio deve proprio somigliarti tanto se Ukyo lo ha
scambiato per te, Ryoga!”
“Lui è un po’ più alto di quanto fossi
io alla sua età.”
“La somiglianza è davvero tanta – Hotaru osservò l’uomo
sedutole dinanzi – però suo figlio mi è sembrato più muson… ahi! La vuoi smettere? E’ la seconda volta che mi
dai un pizzico!” Arashi scosse il capo e nascose il
viso dietro una mano: perché gli era toccata una simile sciagura?
Ryoga sorrise riconoscendo in quei
ragazzi, soprattutto nella femmina, l'impronta di Ranma. “Non
preoccuparti, è tutto a posto. Ryo è un ragazzo introverso, lo so benissimo.”
“Sì, però Ryoko è stupenda! Ed è stata
tanto gentile, mi ha prestato i soldi per la mensa, eppure ci conoscevamo
appena!” stavolta Arashi non fece in tempo a fermare la boccaccia di Hotaru e
con la coda dell’occhio osservò la reazione di sua madre, che come previsto li
stava guardando dubbiosa.
“La mensa? Perché sei stata in mensa?
Hai detto di aver mangiato il mio pranzo…”
La ragazzina strabuzzò gli occhi riconoscendo il proprio
sbaglio e tentò un mezzo sorriso “Infatti, ma avevo così fame! Davvero
tantissima!”
Ranma represse a stento una risata, mentre sua moglie annuiva
“Bene, allora vuol dire che domani vi preparerò una
razione doppia del mio pranzo speciale.”
I due giovani si guardarono allarmati, poi
Hotaru si rivolse a sua madre, le mani giunte in un chiaro segno di preghiera
“No, ti prego mamma! Perdonami, ho detto una bugia! Il
fatto è che il tuo pranzo era schif…”
“Troppo speciale! – il ragazzo stavolta la interruppe in tempo,
prima che peggiorasse la situazione – Ecco, non l’abbiamo mangiato, ma se
preparerai qualcosa di semplice come solo tu sai cucinare andrà
benissimo!”
Ryoga assisteva divertito alla scena, ma qualcosa in quella
serenità familiare gli opprimeva il petto. Non era invidia vera e propria, ma
rimpianto per quello che aveva avuto e che ora non sarebbe più tornato. Con la
morte di Akari non aveva perso solo la sua compagna,
ma anche quella serenità che ora vedeva nella famiglia di Ranma ed Akane.
Doveva andarsene, prima di non riuscire più a sopportarlo.
Mentre Akane borbottava qualcosa sulla
mancanza di buon gusto che i suoi figli avevano ereditato dal padre, Ryoga si
alzò e sorridendo pensò di congedarsi. “Non puoi restare ancora
un po’? Potresti fermarti per cena, così rivedresti sicuramente anche Ukyo.”
“Ti ringrazio Akane, ma devo tornare. Non ho la più pallida
idea di come rientrare a casa! Probabilmente c’impiegherò delle ore e non
voglio che i ragazzi si preoccupino… e poi non voglio lasciarli soli.”
“Ma non sono soli, sua moglie è con
loro, no? Come ha detto zia Ucchan?… Ah, sì, Akari! E’ così che si chiama,
vero?”
Il silenzio che calò nella stanza fece capire a Hotaru di aver
parlato troppo anche questa volta, anche se proprio non capiva cosa avesse
detto di strano o inopportuno; nemmeno Arashi lo aveva compreso, visto che non
si era precipitato a pizzicarla come il solito.
Akane si morse le labbra e scambiò un’occhiata imbarazzata con
Ranma, chiedendogli tacitamente di dire qualcosa pur di sbloccare quella
situazione così difficile, ma fu Ryoga a parlare per primo, interrompendo quel
silenzio così compatto “Io sono vedovo, Ryo non ve l’ha detto?”
“No… Mi spiace, sono mortificata,
signor Hibiki, io non…”
“Non preoccuparti Hotaru, non c’è nulla di cui scusarsi. Ora
però devo proprio scappare o non farò in tempo.”
“Posso accompagnarla io! Ryo ha accennato al fatto che… che il
suo senso dell’orientamento non è il massimo – Arashi cercò di essere il più
diplomatico possibile – così, se non le spiace… e poi è tornato qui dopo tanto
tempo, è logico che non ricordi bene le strade.”
Ryoga batté le palpebre incredulo, poi
si volse verso Ranma “Non ti assomiglia per niente.”
“Che vuoi dire con questo?”
“Che non ha preso nulla da te, per sua
fortuna!”
“Madavvero? Vuoi insinuare che io non
so essere gentile, P-chan?”
“Gentile e Ranma Saotome non possono stare nella
stessa frase!”
Ranma scattò in piedi, fronteggiando il suo amico “Ma se
ti ho aiutato un sacco di volte!”
“Aiutato?! Io ho aiutato te più di quante volte ti piaccia ammettere, Saotome! E quelle poche volte che hai mosso un dito per qualcuno non hai fatto che farlo
pesare, vantandoti come tuo solito!”
“Evidentemente hai la memoria corta del porcellino che sei,
razza d’ingrato!”
La focosa discussione continuò sotto gli occhi stupiti dei due
ragazzi e quelli divertiti di Akane “Non
preoccupatevi, è il loro modo di volersi bene, credo, però ora sarà meglio
farli smettere prima che comincino a combattere.”
“Ah è vero! Signor Hibiki, scusi se la… ehm, interrompo,
ma è vero che lei è un combattente come mio padre?”
“Scherzi?! Lui è una schiappa, non è certo a me che si può
paragonare!”
“Il solito modesto! Devi ammettere che in un paio di occasioni ti ho sconfitto!”
“Ma non erano sfide ufficiali e una di
quelle volte il merito era tutto di quel disgustoso e ridicolo scarabocchio!”
“Però ti ho fatto volare con un solo dito o te l'hai dimenticato, Saotome?”
Hotaru incrociò le braccia al petto, osservando i due adulti
discutere “Comincio a capire cosa intendesse dire
zia Ukyo riguardo alla loro amicizia particolare…”
Centinaia di insulti e accuse dopo,
finalmente Ryoga lasciò il dojo gentilmente scortato da Arashi.
--- --- ---
Ryoko guardò l’orologio della cucina nuova e poi i suoi grandi
occhi si puntarono sul fratello. Era arrabbiato per qualcosa. Da quando avevano
lasciato il ristorante, non aveva detto una parola; non che questo la
deprimesse, in fondo aveva scelto lei per prima il silenzio… e poi Ryo non era
mai stato un gran chiacchierone. Però qualcosa stava
angustiandolo, era ovvio.
Prese il block-notes e in fretta vi scrisse qualcosa porgendolo
poi al ragazzo sedutole di fronte. Lui lesse la chiara scrittura e dopo averla guardata per alcuni istanti scosse il capo “No, non
sono dispiaciuto per aver conosciuto quei due ragazzi, almeno non Arashi. Scusami, non ho detto una parola da… Ryoko – la fissò negli occhi, chinandosi più verso di lei – a te non ha dato fastidio sentire quella
donna parlare dei nostri genitori?”
Lei aggrottò le fini sopracciglia e scosse il capo.
“Era così felice! Sentirla parlare di un passato che non
conosci davvero non ti ha dato fastidio?” la ragazza abbassò
lo sguardo riprendendosi il suo blocco. Parve esitare qualche
istante poi scrisse in fretta, evitando di guardare nella sua direzione.
Quando gli
porse nuovamente il notes, ritornò a guardarlo. Ryo lesse ciò che lei aveva
scritto e per un istante ebbe voglia di andarsene da quella cucina nuova
fiammante immersa nella penombra pomeridiana così tranquilla, così assurdamente
quieta.
“Sì, forse è vero. – mormorò poi con voce debole – Non volevo
essere io a dire a quella donna di nostra madre, anche se prima
o poi lo scoprirà comunque… Se è davvero così amica di nostro padre che
sia lui a spiegarle tutto, a raccontarle tutto! Perché non le ha detto nulla? Poteva scriverle, così come poteva
parlare a noi della vita che ha vissuto qui! Non mi aveva mai detto di questo
Saotome, della sua rivalità con lui ed ora ecco che ci porta qui, nella città
dove ha vissuto da ragazzo, dove ha incontrato nostra
madre! Poteva anche dircelo, avvertirci che qualcuno avrebbe potuto farmi
domande, mi sarei preparato… e…” stava urlando quando
si bloccò, il fiato mozzo in gola.
Come sempre, ogni volta che parlava con Ryoko da solo, il cuore
pareva schiudersi e le parole prima contratte sembravano sciogliersi e fluire
via della sua bocca senza controllo, senza ordine e mettendo
a nudo i suoi timori, i suoi sentimenti. Era come se il silenzio di sua
sorella lo proteggesse, come se gli assicurasse che ogni sua parola sarebbe
stata serbata con cura.
Poteva parlare in modo sconclusionato, lasciando correre le
parole, lasciandole libere di seguire i pensieri che
gli si affastellavano caotici nella testa, ma che una volta detti a lei
sembravano poter trovare una loro logica. Parlare con Ryoko rendeva sensati i
suoi controsensi…
Alzò lo sguardo verso la ragazza e lei gli
sorrise con garbo, ottenendo dopo alcuni penosi attimi un sorriso simile
in risposta “Sto dicendo delle cavolate. Ah, quella signora deve aver pensato
che Ryoga Hibiki ha messo al mondo un figlio screanzato! – si passò una mano
tra i folti capelli e sospirò, il petto più leggero – Dovrei
scusarmi con lei per essere scappato ed averti trascinato via in quel modo. E poi quelle okonomiyaki avevano un aspetto così buono, scommetto che ci siamo persi un ottimo pasto, gratis per giunta!”
--- --- ---
Ryoga osservò il canale che scorreva placido in quel tardo
pomeriggio e con un sorriso ripensò alle volte che c'era
cascato dentro. Sospirò, distogliendo lo sguardo da quei ricordi e posandolo
sul ragazzo che gli camminava accanto.
Davvero non somigliava molto a Ranma. O
forse era la sua espressione tranquilla a dargli quella sensazione. “Tuo padre
mi ha detto che pratichi le arti marziali” disse
interrompendo il silenzio, loro compagno da quando avevano lasciato il dojo.
Arashi annuì, sorridendo “Sì, e da quest’anno comincerò ad insegnarle, nulla di serio,
solo un paio di classi di bambini, tanto per cominciare. Non sono
all’altezza di mio padre, naturalmente” Ryoga ebbe l’impressione che il sorriso
radioso del ragazzo si fosse affievolito. Da come l’aveva
detta, sembrava abituato a ripetere quella frase. Era… triste? Arrabbiato?
“E chi lo è?” mormorò quasi a se
stesso. Chi meglio di lui sapeva cosa volesse dire non essere all’altezza di
Ranma Saotome? Un motto di sincero affetto, di simpatia spontanea lo animò nei
confronti di quel giovane. “Non è detto che sarà così per sempre, no? Potrai
superarlo un giorno, se lo vuoi” lo rassicurò,
ottenendo in cambio un sorriso sincero e quasi accecante. Gli occhi di Arashi si animarono a quella considerazione e fu in essi
con un po’ di nostalgia che Ryoga riconobbe finalmente il suo antico rivale.
“Anche Ryo le pratica, vero? Quando gliel’ho chiesto mi ha risposto vagamente, ma dal
modo in cui ha steso il preside non…”
“Ryo ha fatto cosa?!” Ryoga era
davvero sbalordito: suo figlio non era né un attaccabrighe, né uno che si metteva
nei guai, il primo giorno di scuola poi!
Arashi sorrise divertito “Quel vecchio pazzo voleva tagliargli
i capelli a forza, è una fissazione… Non si preoccupi,
signor Hibiki, avere a che fare con quell’uomo non è una novità e sono ancora
al Furinkan, Ryo non avrà problemi per questo. Lo ha steso con un solo colpo!
Avrei tanto voluto vederlo!”
“Uhm, se tutto va bene, forse avrai davvero occasione di
vederlo: ho chiesto a tuo padre di allenarlo.”
“Davvero? Bene! Però… – Arashi aggrottò le sopracciglia – Ryo
ha detto che le arti marziali non gli interessano.”
“Ha detto così?” Ryoga sorrise per nulla sorpreso, ma il suo
era un sorriso privo di divertimento, colmo di tristezza. “Proprio per questo
ho chiesto a tuo padre di allenarlo, spero che lui riesca a riaccendere in mio
figlio l'amore per le arti marziali. Fino a qualche anno fa, Ryo la pensava
proprio come te: nulla era più importante, nulla l’appassionava di più e vorrei
che tornasse a pensarla così.”
“Papà riuscirà a fargli tornare l’entusiasmo, vedrà signor
Hibiki, ne sono certo.”
“Lo spero sul serio… Nerima non è cambiata granché, a quanto pare” Ryoga preferì cambiare discorso, non voleva fare capire a quel ragazzo tanto giovane quanto disperata fosse la propria
situazione.
Non voleva che quel ragazzo tanto entusiasta comprendesse che
per lui ormai Ranma costituiva l’ultima speranza. E
così, parlando della tranquilla cittadina i due si avviarono verso quella che
da pochi giorni era casa Hibiki.
--- --- ---
Suzume pose delicatamente la spazzola sulla toletta e alzò gli
occhi verso la propria immagine. Si osservò alcuni istanti, prima che la voce
profonda di sua madre la spingesse a volgere altrove lo sguardo “Ho saputo che
il figlio di Kuno Tatewaki è di nuovo in classe con
te.”
La ragazza annuì, voltandosi verso l’elegante donna alle sue
spalle “Infatti.” Non c’era da stupirsi che l’avesse
scoperto: lei scopriva sempre tutto.
Nabiki sorrise e con grazia quasi felina sedette sul letto
della figlia “Che fortunata coincidenza! Così potrai divertirti ancora un po’
alle sue spalle.”
Suzume alzò gli angoli delle labbra in un sorriso non molto
convinto, poi si strinse nelle spalle “Non ne sarei tanto sicura, mamma.”
Nabiki Nogata inarcò una delle sottili sopracciglia “Cosa significa?”
“Ecco, non credo che lui sia ancora interessato a me come
allora. Oggi mi ha ignorato.”
“E’ solo tattica… Fino ad un anno fa era perdutamente
innamorato di te, non può aver dimenticato così presto, è impossibile.”
Suzume si strinse nelle spalle e tornò a specchiarsi; non era
ugualmente certa quanto sua madre sul perdurare dei sentimenti del giovane
Kuno, anzi, nutriva seri dubbi sul fatto che lui potesse provare alcunché nei suoi confronti, se non odio. Di sicuro non
amore, non dopo quello che era accaduto.
I suoi occhi spalancati, i suoi occhi chiari colmi di amaro stupore… Il vento gli accarezzava i capelli chiari così insoliti e portava via il suono della propria risata, crudele e
sprezzante.
Quando avrebbe
dimenticato, si domandò Suzume leggermente oppressa, ma fu un’emozione
passeggera. Ora sua madre le era accanto, dritta alle sue spalle e le carezzava
il capo; sul suo viso c’era un bellissimo sorriso, colmo di tanto orgoglio che
sentì il cuore stringersi per la gioia. “La mia bellissima principessa… Quello
stupido ragazzo non si libererà mai della vergogna e con lui quel borioso di
suo padre.”
Suzume deglutì, mentre guardava gli occhi della madre così
belli da ricordarle quelli di una gatta e li scorgeva
così pieni di un sentimento indefinibile, si sentiva quasi… persa. “Mamma…” la
richiamò, con voce vibrante di una paura quasi palpabile, ancorché sconosciuta.
“Sì?”
“No, niente… sai che anche Arashi è in classe con me? E’ la
prima volta.”
“E’ una fortuna, se quello stupido ragazzo provasse a farti
qualcosa, tuo cugino non ci penserebbe due volte a
dargli una lezione. Non poteva andare meglio, Suzume. Ora però preparati per la
cena, stasera abbiamo ospiti.”
“Oh, mamma, ancora? E’ la sesta volta…”
s’interruppe, notando l’espressione stupita di sua madre e sorrise,
recuperando la solita aria sicura e spavalda. “Dovrò essere semplicemente
elegante o mozzafiato?”
Nabiki rise e dopo averle depositato
un leggero bacio sul capo, si avviò verso la porta “Non esagerare, sono solo
amici di tuo padre di passaggio in città. Ti aspetto tra un’ora giù nella sala”
e dopo un ultimo sguardo, la seconda delle sorelle Tendo
lasciò la grande e bellissima camera di sua figlia. Suzume sospirò e dopo aver
scosso la testa, si avvicinò al suo fornitissimo
armadio per scegliere tra i numerosi abiti cosa indossare.
La sera intanto scendeva placida su Nerima.
--- --- ---
“Cosa?!” il rumore di un piatto che
andava in frantumi fece da eco a quella esclamazione stupefatta. Akane abbassò
lo sguardo, incapace di guardare negli occhi l’amica a cui suo marito aveva
appena detto della morte di Akari.
Quando Ukyo e Yuri erano arrivate al dojo
come quasi ogni sera, la donna era sembrata poco meno che euforica. Ancora
prima di entrare in casa aveva chiesto ad Akane se per caso i due dispersi,
come scherzosamente definiva Ryoga ed Akari, fossero
lì e quando lei aveva scosso la testa, Ukyo non aveva potuto reprimere
un’espressione delusa. “Credevo che quel prosciutto in miniatura si
precipitasse qui!” aveva borbottato seguendo poi la padrona di casa in cucina.
Lì aveva trovato anche Ranma.
Per un istante aveva pensato che ci fosse qualcosa di strano
nel comportamento dei due amici: si scambiavano occhiate veloci e soprattutto
Ranma sembrava esser sulle spine.
“In verità… Ecco, Ryoga è già passato di qui, è andato via un
paio di ore fa” aveva detto poi Akane.
“Davvero? Potevano pure fermarsi un altro po’, avevo preparato
le okonomiyaki speciali che piacciono tanto ad Akari nella speranza di vederla
già da stasera” aveva mostrato loro il piatto che aveva con sé.
Akane aveva abbassato gli occhi di colpo, incapace di sostenere
il suo sguardo. Un fosco presentimento a quel punto aveva serrato quasi il
respiro ad Ukyo, che si era rivolta a Ranma “Cosa… cosa c’è? Non avrete
discusso ancora con Ryoga vero?” le sembrava improbabile, ma la reazione di Akane non era quella che ci si aspetta da chi rivede un amico dopo tanti anni!
Ranma aveva scosso la testa “No, niente affatto. Ryoga è venuto
qui, gli abbiamo chiesto di restare, ma… ecco, doveva
andare. Non voleva lasciare i ragazzi da soli a casa.”
“Da soli? Ranma, non
tirarla per le lunghe, dimmi che diavolo succede e
perché avete queste facce da funerale!” aveva sbottato lei stizzita. E Ranma gliel’aveva detto. Senza preamboli, proprio come
Ryoga aveva fatto con loro quel pomeriggio.
“Akari è morta.”
Solo quello…
In principio Ukyo aveva quasi fatto fatica a recepire
quella notizia semplicemente assurda, poi la realizzazione l’aveva colpita.
“Cosa?!” aveva urlato, senza rendersene conto. Il
piatto le era caduto di mano, ma anche a quello non aveva fatto
caso.
Akane rialzò gli occhi lucidi di pianto su di
lei, ora non c’era più motivo di nasconderle le lacrime “Ukyo…”
“Aspetta, non… non è vero! Insomma,
lei come…” completamente sconvolta, Ukyo farfugliava incoerentemente
sopraffatta dalle emozioni che quella notizia aveva portato con sé. Impiegò
alcuni istanti per porre una domanda logica “Quando è
successo?” chiese con un filo di voce.
“Tre anni fa, per un incidente d’auto” le rispose Ranma,
anticipando anche quella che sarebbe stata la sua domanda successiva. Ukyo si
sfiorò la fronte, avvertendo il gelo della propria pelle e tremante richiuse
gli occhi per alcuni istanti, per non essere sopraffatta dal dolore improvviso
che stava provando.
Ecco perché il ragazzo aveva reagito in quel modo, quel pomeriggio!
“Dove vive ora Ryoga?” Ranma si strinse nelle
spalle, non capiva il perché di quella domanda in quel momento.
“Non lo so, Arashi lo ha riportato a casa per esser certo che…”
non aveva nemmeno finito di parlare che l’amica era corsa fuori
dalla cucina; fece per seguirla, ma Akane lo fermò trattenendolo per un
braccio.
“No, lasciala andare” gli disse con calma, pregandolo con gli
occhi.
“Arashi!” Impegnato in una avvincente
partita a shoji con la piccola Yuri che stava
letteralmente stracciandolo, il ragazzo sobbalzò nel sentire la voce furiosa
della zia irrompere improvvisamente
nella sala. La donna, dritta ora dinanzi a lui, sembrava essere furiosa per
qualcosa ed inconsciamente si chiese cosa avesse fatto per farla
irritare tanto.
“S-sì?”
“Dov’è?”
Perplesso, lanciò un’occhiata a sua sorella sdraiata a terra
poco distante da loro che, interrompendo la lettura di un manga in cui era impegnata, lo guardava perplessa a sua volta.
“Dov’è cosa?”
“Il maledetto P-chan! Dove lo hai portato?”
“Vuoi dire il signor Hibiki?”
“Sì! Sì! Lui! Dove vive?”
“Beh, non è stato facile ritrovare la sua, il suo orientamento è…”
“Dove. Diavolo. Vive. Il. Maledetto. Hibiki?” Ukyo scandì ogni
parola quasi con tono minaccioso.
“E’ a Oizumi,
a nord della stazione di Ozumigakuen. Dopo aver
attraversato il fiume devi
voltare alla terza a sinistra dopo il tempio buddista. All’angolo c’è la
bottega di un barbiere. La casa ha due piani, di color giallo ed è circondata da un giardino abbastanza grande”(******) disse in tutta fretta. Arashi sapeva che non era saggio
far arrabbiare le donne, soprattutto quelle come Ukyo Kuonji.
Soddisfatta per la risposta, Ukyo uscì di
corsa e dopo poco i tre ragazzi attoniti sentirono il tonfo del portone che
veniva sbattuto violentemente.
--- --- ---
Il campanello sembrava essere impazzito. Ryoko scambiò
un’occhiata preoccupata con suo fratello, intento a preparare la cena. Chiunque
fosse a suonare, sembrava avere il diavolo alle
calcagna, a giudicare dalla vera e propria furia che stava mettendoci.
Infastidito, il ragazzo si avviò verso la
porta deciso a ricordare l’educazione allo scocciatore magari a suon di
calci, ma il proposito fu presto messo da parte appena, una volta spalancata la
porta, scoprì l’identità del rompiscatole.
La donna che Arashi e Hotaru Saotome gli avevano
presentato quel pomeriggio come loro zia era davanti alla sua porta, ansante
come per una lunga corsa e lo sguardo più inferocito che avesse mai visto.
Troppo stupito per dire qualcosa, Ryo si limitò a guardarla, mentre questa
riprendeva fiato.
Stupita quanto lui, Ryoko lo affiancò, però parve riprendersi
prima del fratello dalla sorpresa e sorridendo gentilmente fece segno alla
scarmigliata donna di entrare in casa. Ukyo entrò e mentre il respiro tornava
normale si guardò intorno, come se cercasse qualcosa… o qualcuno. “Dov’è Hibiki?” domandò, la voce appena tremula per il
fiatone.
Ryo inarcò un sopracciglio: era impossibile che quella donna
avesse fatto una corsa per una semplice visita di cortesia, con quell’aria
infuriata, poi! “E’ di sopra, sta facendo un bagno e… ehi!” appena saputo ciò
che le interessava, Ukyo prese le scale e senza esitazioni salì al piano superiore, tallonata dal ragazzo e qualche passo
più indietro da Ryoko altrettanto certa che non si trattasse di una visita
cordiale. La signora Kuonji era visibilmente alterata, furibonda a dirla tutta.
A grandi passi Ukyo si avvicinò a quello che intuì essere il
bagno ed ignorando le proteste di Ryo, ne spalancò la porta.
Ryoga si voltò verso l’uscio che veniva
spalancato e stupito osservò la donna che si ritrovò improvvisamente dinanzi;
il primo incoerente pensiero fu di puro sollievo: quella sconosciuta aveva
fatto la sua entrata proprio il momento dopo che lui aveva infilato i
pantaloni! Due secondi prima e lo avrebbe trovato in
mutande!
Non aveva riconosciuto subito la donna dall’aria truce, poi ne osservò i grandi occhi chiari, i lunghi capelli portati
sciolti sulle spalle, anche se non erano più lunghi come quando era una
ragazzina di sedici anni dalla battuta pronta. Il suo bel viso… era cambiata,
ma era ancora la fidanzata carina di Ranma. Quella era Ukyo!
Appena l’ebbe riconosciuta, le sue labbra si curvarono
spontaneamente in un caldo sorriso “Ucchan…” bisbigliò stupito, poi provò ad
avvicinarla, ma lei stese un braccio dinanzi a sé e aprì la mano per bloccarlo.
“Hibiki – la sua voce vibrava come se stesse faticando a
trattenere la rabbia, ma non solo… - perché?” chiese con durezza. Confuso,
Ryoga batté le palpebre, non aveva infatti
compreso a cosa alludesse con quella
domanda; sentì lo sguardo sconcertato di suo figlio su di sé, il ragazzo
infatti era ritto accanto ad Ukyo e probabilmente si stava chiedendo cosa
dovesse fare.
La guardò negli occhi, i suoi occhi
così particolari e vide le lacrime, ciò che le aveva fatto vibrare la voce
prima oltre alla rabbia; scorse anche lo sforzo che stava compiendo per non
lasciarsi sopraffare… e finalmente comprese. Capì perché lei era lì, tanto arrabbiata.
“Perdonami” sussurrò, guardandola dritto in quegli occhi
sofferenti, mentre nel suo animo il senso di colpa andava ingigantendosi.
Ukyo gli andò vicino e senza esitare lo colpì al viso. Un
sonoro e brutale schiaffo, tanto violento da farlo vacillare, lui però restò in
piedi e tornò a guardare la vecchia amica che aveva ora perso la sua battaglia
contro le lacrime. “Perché ho dovuto saperlo da Ranma?!
Perché… tre anni! Tre anni, accidenti a te, Hibiki!”
gli urlò contro, cercando di asciugare alcune lacrime con il dorso della mano.
Ryo raggelò, ora capiva anche lui il
motivo di tanta collera. Quella donna era furiosa con suo padre per non averle
fatto sapere prima della morte della moglie. Abbassò lo sguardo, ricordando che
poco prima anche lui aveva provato un senso di frustrazione per lo stesso
motivo.
“Io avrei dovuto, lo so, ma non ne ho avuto la forza” confessò
Ryoga candidamente. Del resto era sempre stato così: con Ukyo non aveva mai
celato nulla.
A lei aveva sempre confidato ciò che anche ad Akari, ai
delicati inizi del loro rapporto, aveva nascosto per orgoglio. Non aveva forse
confidato ad Ukyo il suo amore per Akane, cosa che non aveva avuto il coraggio
di fare con la diretta interessata? E non era stata proprio Ukyo quella a cui
aveva raccontato le proprie amarezze quando aveva
rinunciato al suo amore per la stessa Akane, quando cioè aveva capito quanto
quest’ultima e Ranma fossero innamorati?
Era stata poi sempre lei a scuoterlo. Che fossero
pugni o parole, Ucchan lo aveva sempre scosso… Con un mezzo sorriso triste
rammentò che fu per merito di un altro dei suoi schiaffi che aveva deciso di
sposare Akari.
Ukyo notò quel sorriso colmo di mestizia e scosse il capo,
combattuta sul da farsi. Chiuse gli occhi sulle lacrime che non ricordava di
aver versato ormai da anni e li coprì con una mano. Avrebbe voluto continuare a
picchiarlo per sfogare la propria frustrazione, il proprio
risentimento per non aver potuto dire addio alla sua amica, ma d’altra parte sapeva
che per quanto dolore lei provasse, esso non era nemmeno lontanamente
paragonabile a quello che Ryoga e i suoi figli dovevano ancora provare.
Sospirò e tornò a guardare l’amico dinanzi a sé, soffermandosi
solo in quel momento ad osservare l’uomo che era diventato “Rivestiti. – gli
ordinò con voce asciutta riferendosi alla camicia che lui teneva ancora aperta
sul petto – Certi spettacoli non sono degni di una signora.”
Ryoga le sorrise “Nemmeno certi schiaffi.”
Lei provò a sorridere, ma non ci riuscì: sembrò esitare,
torturandosi le mani, poi scosse il capo. “Razza di…” non finì l’insulto, ma
proprio come aveva fatto con Ryo quel pomeriggio gli andò incontro e
l’abbracciò con tutta la forza che aveva, scoppiando a piangere a dirotto e non
provando nemmeno più a trattenere quel pianto disperato che aveva nel cuore.
Ryo sentì la gola serrarsi nel sentire quella donna piangere
così dolorosamente e per istinto quasi si volse verso Ryoko. La ragazza però
gli sembrò serena; osservava i due adulti da oltre la sua spalla ed il volto era tranquillo, quasi sorridente… Ryo non comprese subito il perché di quella quiete, poi però tornando a guardare i due adulti, capì: Ryoko
era lieta per suo padre. Per la seconda volta in tutta la loro vita, i due
ragazzi lo videro piangere.
Non era certo un pianto dirotto e straziante come quello di Ukyo, ma alcune lacrime stavano rigando il volto dell’uomo stretto nella vera e propria morsa di quelle braccia. Più volte Ryoko
gli aveva detto a modo suo di temere che suo padre serbasse troppo la
sofferenza dentro di sé, preoccupato forse di non farla pesare troppo su loro
due, mentre lei era certa che se solo si fosse lasciato andare, probabilmente ne avrebbe provato un enorme sollievo.
--- --- ---
Ukyo sospirò. Sentiva ancora le palpebre pesanti e brucianti
per il pianto convulso di prima. Accidenti, da quanto non piangeva in quel
modo? Da anni, sicuramente, forse da quando Tetzuya aveva
lasciato Nerima. Al pensiero dell’uomo che aveva amato anni prima, la
donna si scosse.
Tolse il fazzoletto bagnato che Ryoga le aveva dato per tenerlo premuto sulle palpebre arrossate e guardò la famiglia Hibiki radunatele intorno. Ryoga le stava di fronte, seduto sul
bordo di una sedia; era protesto verso di lei e le sue ginocchia sfioravano le
proprie. Ryoko invece le stava seduta accanto, una tazza
fumante tra le mani. La ragazza le sorrise con
grazia e le porse il tè, che accettò grata.
Ryo era in piedi poco discosto da
loro, poggiato allo stipite della porta, le braccia incrociate e sul viso un’espressione
seria. Era incredibile quanto somigliasse a suo padre,
si disse ancora Ukyo sorseggiando la calda bevanda ambrata. Osservandolo bene
poteva notare delle differenze naturalmente, ma il giovane Hibiki era davvero
il ritratto di suo padre alla sua età, forse un po’
più alto… e poi, nei suoi lineamenti, c’era anche qualche tratto gentile che le
rammentò Akari.
Tornò a dedicare la sua attenzione all’uomo sedutole di fronte.
Era cambiato, com’era logico in tutti quegli anni, come probabilmente lo era
lei stessa, però meno di quanto si fosse aspettata.
Chissà, si chiese di sfuggita, se anche lei sembrava ai suoi occhi ancora
simile alla ragazzina di un tempo.
“Va meglio?” anche la sua voce era cambiata, era diventata più
profonda o forse era per la tristezza che aveva assunto quella sfumatura,
chissà.
“Sì, il tè è ottimo, grazie” ringraziò la ragazza credendone
l’artefice, ma lei scosse la testa ridendo imbarazzata.
“E’ Ryo il cuoco di casa – spiegò Ryoga lanciando un’occhiata
al ragazzo alle sue spalle – Ryoko… beh, Ryoko non è al
momento molto brava in cucina.”
“Diciamo che non sarebbe capace di
cucinare decentemente nemmeno se ne andasse di mezzo il bene dell’umanità”
scherzò Ryo, mentre sua sorella gli dedicava una linguaccia indispettita per
quella battuta.
Ukyo sorrise, poi fissò l’amico negli occhi “Scommetto però che
tuo padre apprezza molto la sua cucina” disse e Ryoga annuì.
“Già, bei ricordi…”
I due adulti si fecero pensosi per alcuni
istanti, poi inspiegabilmente cominciarono a ridere.
I ragazzi si guardarono confusi, stupiti da quel repentino
cambio d’umore. Ukyo si mordeva le labbra e la tazza vibrava pericolosamente
tra le sue mani scosse per il riso, mentre ugualmente ilare, Ryoga teneva il
capo basso e le sue spalle sussultavano. “Ricordi… quando… quando cucinò per
te, poco prima che lasciaste Nerima per andare alla fattoria?” chiese la donna.
“Altrochè! Credevo volesse avvelenarmi!”
“E tu, con quella faccia scioccata a dire: ‘Ma
Akane, credevo mi avessi perdonato!’ Ah, ah, ah, quante martellate vi beccaste
quel giorno tu e Ranma!”
“La colpa fu di Saotome come sempre,
mi aveva detto che aveva imparato a cucinare!” e giù a ridere, incapaci di
smettere. Sembrava che quel riso avesse lo stesso potere taumaturgico del
pianto di poco prima. Ukyo infatti sentì il proprio
animo risollevarsi, come se quelle risate spazzassero via la parte più
irrazionale e violenta del dolore che prima l’aveva completamente accecata. Non
che fosse pentita, non era donna da pentirsi anche delle scelte più impulsive.
Ryoga sospirò sollevato, appena l’eccesso di riso scemò e con
gli occhi lucidi la osservò “Certo che anche tu – si carezzò la guancia ancora
dolente – a momenti mi staccavi la faccia.”
“Ringrazia che non avevo con me la mia spatola, altrimenti non
te la saresti cavata così a buon mercato, P-chan.”
“Erano anni che non venivo malmenato
da una donna. L’ultima a farlo fosti tu…” assottigliò
gli occhi al ricordo.
“Davvero? Non stento a crederlo… Io – esitò. Il suo viso parve
incupirsi per alcuni istanti, poi però un caldo
sorriso spazzò via ogni nube – io ora devo andare. Ho mollato il dojo così di
fretta, Yuri si starà chiedendo che fine abbia fatto la sua sventata madre!”
Ryoga sospettò che Ukyo volesse dirgli dell’altro,
forse porgli delle domande su Akari e la presenza dei ragazzi doveva averla
fatta desistere. Ne fu lieto, ci sarebbe stato tempo per parlarle con più
calma, per spiegarle anche meglio perché non aveva avuto la forza per
riavvicinarsi a loro tutti dopo quello che era
successo.
La donna si alzò riconsegnando la tazza a Ryoko “Domani passa
al ristorante” era un vero e proprio ordine, si disse Hibiki divertito dal tono
autoritario tanto familiare “Porta anche loro: oggi non hanno potuto assaggiare
le mie okonomiyaki. E poi, senza il loro aiuto, non credo riusciresti a
trovarlo, mi hanno detto che il tuo senso
dell’orientamento è sempre lo stesso: un disastro.”
“D’accordo, agli ordini, signora, così potrò anche salutare
Konatsu.”
Ukyo batté le palpebre, stupita “Konatsu?!
Per Buddha, saranno quasi 5 anni che è andato via!
Ranma non te l’ha detto?”
“No, ma io credevo che… ecco – Ryoga si grattò la nuca, confuso
– che tu… e lui…” la donna scoppiò a ridere, quasi quel pensiero fosse troppo assurdo e ridicolo.
Ryoga incrociò le braccia, urtato da quella
risata irriverente “Non è il caso di ridere così!”
“Sì, sì, ora però devo andare, ne parleremo meglio domani! Vi
aspetterò, tutti e tre.”
--- --- ---
Akane ripose la spazzola sul ripiano lucido ed ordinato della
sua toletta; osservò gli oggetti ormai familiari che l’occupavano,
soffermandosi su ognuno di essi con un’aria
insolitamente greve. Quegli oggetti, piccoli ed insignificanti, quelle creme, i
piccoli ninnoli, la ceneriera, orgogliosa opera di suo figlio alla scuola materna
di cui ricopiava le paffutelle forme della piccola manina… gli orecchini, dono
di Ranma, il porta-pillole datole dalla signora
Nodoka… la sua vita era anche in quegli oggetti che lei sfiorava di tanto in
tanto con lo sguardo, senza mai vederli veramente perché abituata alla loro
presenza.
Alzò lo sguardo verso la propria immagine riflessa nello
specchio e non fu stupita di scorgere un’espressione triste; spostò una ciocca
che le carezzava una guancia e la fissò dietro un orecchio per poi osservare
meglio i propri occhi. Erano ancora tremendamente lucidi, segnati, proprio come
segnato era il suo animo.
“Akane…” quasi trasalì nel sentirsi chiamare, poi dopo un
ultimo sguardo al suo volto, si alzò dal comodo sgabello su cui era stata
seduta negli ultimi dieci, assorti minuti e spense la piccola abat-jour che
illuminava da sola la loro camera. Si avvicinò al letto e sedette al suo posto
senza scostare le lenzuola, le mani abbandonate in grembo.
“Tutto bene?” le chiese Ranma e lei scosse
la testa; no, non tutto andava bene. Lo sentì muoversi e inginocchiarsi alle
sue spalle, ma quando fece per voltarsi lui la strinse, spingendola contro il
proprio petto. La presa era tanto forte che quasi le fece male, ma non
protestò. Come poteva lamentarsi di essere tra le sue braccia?
Avvertì il suo respiro sul collo e non fu stupita di scoprirlo
leggermente accelerato. “Ranma…” lui la
strinse ancor di più, le sue dita forti quasi affondarono nella tenera pelle
delle sue spalle e Akane avvertì il petto di suo marito aderire completamente
alla propria schiena.
“Io non… non ce la farei senza di te.”
L’aveva vista pettinarsi con lentezza, lo sguardo lucido e
triste di chi prova compassione e mentre l’osservava,
una domanda atroce aveva cominciato a tormentarlo: se ci fosse stato lui al
posto di Ryoga, cosa avrebbe mai fatto? Senza Akane, come sarebbe mai
sopravvissuto?
Aveva rischiato di perderla anni prima sul monte Hooh, ma come
sarebbe stato perdere la donna che amava dopo aver creato una famiglia con lei?
Dopo aver vissuto tanto a lungo con i suoi sguardi, aver
imparato ogni suo gesto… dopo aver avuto il tempo di imprimere in testa e nel
cuore ogni centimetro della sua pelle, aver scoperto il piccolo neo
all’attaccatura dei capelli, il suo modo di inarcare un sopracciglio di fronte
ad una richiesta assurda, il suono della sua voce che chiamava i loro figli.
Dopo aver avuto il suo calore ogni notte accanto a sé, per così
tanto tempo… senza il suo sorriso che ancora lo sorprendeva per il fatto
che illuminava ogni suo giorno, anche quello più tetro e cupo…
Come avrebbe vissuto senza più tutto
questo?
Akane gli coprì una mano con una delle sue piccole e nivee al
confronto, lasciando una lieve carezza al suo passaggio. “Ti amo anch’io
Ranma…” Sussurrò, poi chiuse gli occhi e lasciò che le braccia
di lui la cullassero in quella notte che scivolava sui tetti di Nerima.
--- --- ---
Ryoga incrociò le braccia dietro alla nuca, rassegnato
all’insonnia. Non era abituato a quella casa, ma più di tutto non era abituato
a quel letto. Perché poi si ostinava a dormire ancora
in un letto matrimoniale, si chiese senza una vera volontà di rispondersi.
Si voltò verso il lato alla sua destra completamente intatto;
un paio di volte aveva provato a sistemarsi al centro del letto, per ingannare
se stesso e non avvertire più quel vuoto, ma dopo pochi agitati minuti aveva
avuto l’impellenza di spostarsi, di ritornare sul fianco sinistro. Akari
preferiva il destro, sceglieva sempre quello, quando per qualsiasi motivo
dormivano in un letto diverso dal loro alla fattoria.
Allungò il braccio e carezzò il cuscino accanto, chiedendosi se
ad Akari sarebbe piaciuta quella abitazione. Forse sì,
ma anche in caso contrario non si sarebbe lamentata, ne era
certo.
“Questa è casa perché tu riesci a tornarci” aveva detto una
volta, quando lui si era scusato per l’ennesimo smarrimento che
però era stato insolitamente lungo, quasi tre giorni.
Lei era la sua casa perché era da lei che tornava. Non aveva
avuto il coraggio di dirglielo allora, ma sperava con tutto se stesso che l’avesse compreso. Supponeva di sì: Akari pareva capirlo anche meglio di se stesso.
Sorrise e carezzò ancora distrattamente il cuscino, poi
sospirò, un dolore al cuore non affatto sconosciuto a
fargli compagnia. “Notte tesoro…” mormorò, infischiandosene se così poteva
sembrare patetico. C’erano ancora quei piccoli, forse insignificanti gesti che
compieva affinché la solitudine non gli stritolasse il cuore. Augurare la buona
notte al ricordo di lei, per esempio, o carezzare il
cuscino che avrebbe dovuto accogliere i suoi capelli morbidi… Piccoli riti che
lo aiutavano a non sentirsi perso ed irrimediabilmente solo, che importava se
erano patetici?
Si voltò sul fianco ed attese che il sonno finalmente
arrivasse.
You, You never said goodbye
Sometimes our tears blinded the love
We lost our dream along the way
But I never thought you’d trade your soul to the fates
Never though you’d leave me alone
Time through the rain has set me free
Sands of time will keep your memory
Love everlasting fades away
Alive within your beatless heart
(Dry your tears with love-- X-Japan)
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Note:
(*) mutismo elettivo: o più
propriamente detto, mutismo selettivo. E’ un disturbo ansioso infantile che
comincia a manifestarsi intorno ai 3 anni di età, per
poi conclamarsi e diventare evidente in età scolare. I bambini soggetti a tale
disturbo sono molto riservati, non comunicano con l’esterno tranne che in rare
eccezioni, parlando con uno dei genitori soltanto, ad esempio; non sono affetti
da alcun ritardo psicologico od intellettivo, ma non parlano e se lo fanno,
nella maggioranza dei casi, preferiscono bisbigliare (potete trovare maggiori informazioni sul MS in
rete. Chiedo scusa per la scarsità di informazioni, ma
non sono molto esperta e non vorrei dire cose errate su un argomento tanto
serio). Il mutismo di Ryoko, in questa fiction, è dovuto
ad una precisa scelta della ragazza, quindi forse è scorretto parlare di
mutismo elettivo nel suo caso, vista soprattutto la sua età non più infantile.
La sua è più che altro una reazione alla perdita della madre.
(**)senpai: è un compagno di scuola, un collega più grande.
(***) onigiri:
sono quelle specie di polpettine di riso, normalmente di forma triangolare. Il
ripieno può essere il più vario, dalla carne al pesce e sono ideali per un
pranzo veloce.
(****) io ed Arashi: Cri, hai
azzeccato in pieno il senso di questa frase! Era proprio quello che intendevo,
far risaltare l’egocentrismo di Hotaru, dopotutto è
figlia di Ranma, no? ; )
(*****) Nel film “La sposa
dell’isola delle illusioni” Ukyo viene catturata insieme alle altre ragazze e
portate sull’isola vagante del principe Toma che cerca una sposa. Ukyo viene destinata a diventare la sposa di uno dei soldati di
Toma, una sorta di scimmiotto antropomorfo che rammenta un po’ il Son Goku della leggenda di Saiyuki ^_^;. Sarà proprio Ryoga a liberarla dall’indesiderato spasimante…
(******) Oizumi
è una zona residenziale realmente esistente a Nerima e pare che sia proprio lì
che si trovi il dojo dei Tendo ^_^. Casa Hibiki si trova, per maggiore
esattezza, tra Nishi-oizumi e Higashi-oizumi
e nel posto da me descritto in realtà si trova una piccola guest-house. Se vi và, date un'occhiate e Google map.
Riguardo Nerima, essa è una vera e
propria cittadina, visto che nel 2000 la Dieta (il Parlamento Giapponese, in pratica) ha
modificato il suo status, cambiandolo da “quartiere speciale” a “città”, insieme
agli altri 22 quartieri speciali che circondano Tokyo e che ne formano una
sorta di periferia. Nonostante questo, Nerima continua ad essere definita come Nerima-ku, dove la particella ku sta
appunto per “quartiere”, più o meno.
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