It takes me higher

di Breed 107
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 7: *** capitolo settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo nono ***
Capitolo 10: *** Decimo ***
Capitolo 11: *** Capitolo undicesimo ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodicesimo ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredicesimo ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


It takes me higher

Di Breed 107

Prologo

La donna strinse la bambina al petto, mentre le lacrime le annebbiavano la vista. La piccola tra le sue braccia piangeva sommessamente mentre le altre due bambine, anch'esse molto piccole, si tenevano nascoste dietro di lei tenacemente aggrappate alle sue vesti, angosciate.

Il soldato sorrise divertito da quell’immagine così straziante ed avanzò ancora di un passo. “Le ho già detto che non voglio ucciderla, sua grazia” l’ironia era palese nelle sue ultime parole.

Dov’è mio marito? Cosa gli avete fatto?!

“Il nostro signore gli sta parlando adesso. Avanti, le ho già detto che non posso ucciderla, venga con me” lei esitava, spaventata non solo dalla spada sfoderata da quell’uomo, ma anche dai suoni che invadevano il castello, rumori di una battaglia ancora nel pieno. “Mi è stato ordinato di portarla via, ma delle bambine non mi è stato detto nulla, non contano nulla. Tre inutili femmine…”

La regina sgranò gli occhi, stringendo ancor di più la bambina più piccola a sé. “No! Ti seguirò, ma non fare del male alle mie figlie!” lo implorò, sgranando i begli occhi castani. L’altro sorrise glaciale e si scostò in modo che la regina Ami potesse uscire dalla camera dove l’aveva scovata e quando tremante lei si incamminò verso la sala del trono, la seguì, la spada sempre sguainata come monito a non commettere sciocchezze.

Il sovrano di Nerima, intanto, era a cospetto dell’uomo che tramando nell’ombra per garantirsi la sua fiducia, lo aveva tradito e stava usurpandogli il regno. Lo fissava con disgusto, mentre questi, seduto sul trono che aveva appena conquistato e circondato da alcuni dei suoi soldati, rideva beato. “Ah Soun, a vederlo si sarebbe detto un trono molto più comodo di quanto sia in realtà! Lo migliorerò… proprio come farò con il resto del regno!”

“L’unica cosa in cui riuscirai sarà di far decadere un regno florido, Kuno. Cosa intendi fare di me e la mia famiglia?”

“Mmm, vediamo… la soluzione più comoda sarebbe eliminarvi – l’uomo si adagiò completamente contro lo schienale ligneo del trono – anche per dare un bell’ammonimento a quei pochi sciocchi che ti resteranno fedeli. Ma se l’idea non ti piace, puoi sempre darmi qualche consiglio, sono sempre aperto ad ogni suggerimento.

Soun strinse le labbra, come aveva fatto a fidarsi di quell’uomo? Ora gli appariva com’era in verità: un folle, spietato, ambizioso traditore… e pensare che lo aveva voluto lui a corte! Con astuti raggiri e false lusinghe, quell’essere abietto si era conquistato i favori del suo esercito e lo aveva convinto a rivoltarsi, mettendosi alla sua guida e nominandosi signore di Nerima, uno dei regni più floridi dell’Assaar, la terra tra i mari.

“Uccidimi pure, ma risparmia mia moglie e le mie figlie. Lasciale libere.”

“No, no, non farò affatto così – l’ex consigliere scosse la testa, poi il suo sguardo si illuminò come quello di un fanciullo – Libere hai detto? Oh, che bella idea! Sì, davvero, Soun, mi hai dato un’idea meravigliosa!” si alzò dal trono con slancio ed infervorato cominciò a passeggiare avanti e dietro, sotto lo sguardo ansioso dell’uomo che attendeva di scoprire il destino proprio e della sua famiglia. “Vedi, ciò che più ti ha rammaricato negli ultimi tempi è stata la mancanza di figli maschi, non è vero? Un bel bimbo da nominare tuo erede… E convengo che questo è stato davvero un problema per un sovrano, ma io lo risolverò! Ascolta la mia meravigliosa idea: farò di tua moglie e di due delle tue bambine delle schiave e l’altra bambina la crescerò qui a corte, perché un domani sposi mio figlio Tatewaki. Non è un’idea meravigliosa?!” Kuno lo guardò con occhi da folle e Soun comprese che l’uomo dinanzi a lui era davvero un pazzo.

Non parlò, temeva che se si fosse opposto, quel maledetto avrebbe potuto uccidere le bambine o Ami. Almeno così sarebbero sopravvissute, anche se in schiavitù. Abbassò lo sguardo, in segno di resa. Detestava il doversi sottomettere a quell’uomo, ma il bene delle sue figlie e di sua moglie veniva su tutto, orgoglio e dignità compresi.

“Bene, vedo che apprezzi! In effetti sono stato molto generoso a escogitare una simile soluzione. Oh, però forse dovrei spiegarti per bene come intendo dividervi…”

Soun lo guardò allarmato “Dividerci?”

“Certo, non crederai che vi lasci insieme? Sciocco.… -  si lasciò sfuggire una risatina genuinamente divertita – Spedirò ognuno di voi in un luogo diverso, ai quattro angoli del continente o anche più lontano, chi lo sa… Nessuno oltre me saprà la destinazione finale, nessuno di voi saprà che fine ha fatto il resto della vostra bella famigliola. Le tue figlie cresceranno come schiave, senza l’amore e la protezione dei loro genitori, compresa ovviamente la piccola che resterà qui. Lei sarà anche una specie di garanzia per me: se tu provassi solo a ripresentarti ai confini di Nerima, beh la sua vita varrebbe meno di niente… e lo stesso per le altre: darò ordine di ucciderle in men che non si dica. Ora apprezzi ancor di più la mia idea, vero? E’ geniale!”

Perché tanto odio? Ti ho accolto come un fratello in casa mia! Ti ho dato onori, fortuna e un posto accanto a me! Perché mi odi tanto?!

Il volto di Kuno si indurì, il sorriso folle di poco prima disparve per lasciar posto ad un’espressione terribile. La sua pelle innaturalmente abbronzata parve divenire quasi cinerea ed i suoi occhi piccoli e scuri sfavillarono di rancore. “Mi chiedi perché ti odio? Dici di avermi dato tutto, ma non consideri ciò che mi hai tolto! Ami era destinata a me! La tua bella moglie era destinata per nascita a me! E tu e le tue sciocche idee romantiche me l’avete portata via… Bene, ora non la rivoglio più, ma tutto ciò che ti appartiene sarà mio, alla mia mercè. Sai Soun, è vero quel che dicono: la vendetta va gustata a freddo. Per tutti questi anni ho atteso questo momento sublime, la tua caduta!”

“Sei pazzo…”

“Credi? Può darsi, ma non temere, ben presto sarai sottoposto a tali e tanti orrori che la pazzia diverrà per te l’unico modo per rifuggirvi. La tua destinazione saranno le miniere del Golath… Mmm, sì, credo proprio che ti manderò lì. Ma prima che tu parta, sarò costretto a privarti della lingua, mio caro. Non voglio che tu ti metta a raccontare in giro chi sei… o meglio, chi eri. Guardie! Portatelo nelle segrete e preparatelo per la partenza! Vedrai Soun, dopo un paio di mesi in quelle terribili miniere, mi maledirai per la mia generosità: preferirai la morte. La desidererai!”

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Capitolo primo

Akane strinse i pugni e abbassò lo sguardo, per far fronte all’umiliazione che provava; la morte sarebbe stata una via d’uscita onorevole, ma Akane non poteva morire, non ancora.

“Stammi vicina, piccina mia e ricorda sempre quello che ti ho detto dal primo momento: tu sei una principessa, accada quel che accada. Un sussurro appena udibile si levò dal suo fianco dalla vecchia che le sorrise fieramente, la dignità palese nei suoi piccoli occhi scuri.

La ragazza annuì, riuscendo persino a trovare il coraggio di sorriderle “Spero solo che stavolta non ci dividano, Obaba…”

La vecchia annuì e fiduciosa prese le sue mani tra le proprie, più piccole e raggrinzite, facendo tintinnare le catene che le imprigionavano i polsi “Vedrai figliola, niente ci dividerà. Sono stata la tua nutrice ed insegnante in tutti questi ultimi anni, non lascerò che ci separino.

“Lo so… Obaba, sei la sola persona al mondo di cui mi fidi, l’unica.

Ed è giusto così. Mai fidarsi, Akane, mai! Ricorda che fu la fiducia del re tuo padre a permettere a quell’uomo abietto di impadronirsi del tuo regno e del vostro futuro! Non fidarti mai di nessuno, per nessun motivo!”

La ragazza annuì, era più che convinta delle parole della vecchia Obaba e non tanto perché non passasse giorno che lei non le ripetesse questo monito, ma perché conosceva bene la vicende che l’avevano condannata alla schiavitù, all’oblio, alla solitudine.

Il re Kuno aveva mantenuto i suoi propositi, separando la famiglia nei quattro angoli più disparati dell’Assaar, tranne per sua sorella maggiore, la secondogenita, scelta per diventare la sposa dell’erede al trono, Tatewaki. Più grande di lei di un solo anno, la bambina era cresciuta ignorando la verità, convinta fin dalla tenera età di essere stata scelta tra il popolo per diventare un giorno regina. Aveva solo due anni e mezzo il giorno che era stata strappata dalle braccia di sua madre e probabilmente non aveva alcun ricordo di quei momenti terribili, così come ignorava completamente di avere ancora due sorelle e dei genitori.

Anche Akane sarebbe stata destinata all’oblio se il destino non le avesse affiancato la vecchia Obaba: istitutrice presso il regno dove la piccola era stata destinata, la vecchia schiava l’aveva cresciuta come una figlia e le aveva raccontato la verità sulle sue origini e sul triste destino della dinastia Tendo.

I primi anni erano stati quasi felici per la piccola Akane, destinata a fare da compagna di giochi alla giovane principessa del regno, la quale trattava la piccola come una sorella; provava sempre una fitta di nostalgia rammentando il giorno in cui aveva dovuto lasciare la bambina, sua coetanea e con dolore ricordava le sue lacrime e le ultime parole dette. “Vedrai Akane, un giorno ti ritroverò e sarai ancora la mia compagna di giochi!”

“Lo spero tanto, principessa Ukyo…”

Così erano cominciati i suoi pellegrinaggi di regno in regno, da palazzo in palazzo, dove aveva subito angherie ed umiliazioni di ogni specie; l’unica consolazione di quella triste vita era la presenza costante di Obaba al suo fianco ed i suoi preziosi insegnamenti. La vecchia amazzone era un’espertissima combattente, abile quanto e più di un uomo e l’aveva addestrata e allenata con scrupolo. “Un giorno combatterai per il tuo regno Akane, per questo ti preparo, a questo ogni nostro sforzo deve essere destinato. Sarai tu quella che sconfiggerà quel tiranno usurpatore” le ripeteva quando, piegata dalla sofferenza e dal dolore fisico per quegli allenamenti, la ragazza veniva assalita dallo sconforto e subito quelle parole avevano il potere di accenderle il fuoco dentro, il fuoco dell’odio e della vendetta. Il responsabile avrebbe pagato… Non sapeva ancora come, ma credeva ad Obaba. Era l’unica cosa in cui credeva.

Il carro sobbalzò, facendo sbattere gli schiavi stipatevi uno contro l’altro. Erano diretti al mercato di schiavi di Augusta, capitale del regno omonimo, uno dei più floridi del continente. Qui, due giorni dopo, si sarebbero recati da ogni parte dell’Assaar per acquistare schiavi sia sovrani che signori. Akane era stata venduta molte volte, l’ultima ad un ricco signore che l’aveva destinata alla compagnia della sua viziatissima figlia, ma quell’ultima residenza era durata pochissimo: gelosa per la bellezza della sua schiava, di gran lunga superiore alla propria, la giovane rampolla l’aveva prima destinata alle cucine, poi alle stalle ed infine aveva implorato il padre perché se ne liberasse. E così ora tutto cominciava da capo, si disse Akane, sospirando.

“Credete che manchi ancora molto? Fuori sta albeggiando…” a quelle parole di uno degli schiavi anziani, tutti volsero gli occhi verso il cielo, visibile dal retro del carro, lasciato aperto.

“Non mancherà molto, saremo lì tra un’ora circa e dopodomani saremo venduti. Sono stato altre due volte ad Augusta e stavolta spero solo che non mi comprino per mandarmi alle miniere di Golath. Mi piacerebbe tanto occuparmi delle cucine di qualche ricca famiglia.

“Per poterti rimpinzare, eh?" risero tutti a quelle parole scherzose di un altro degli schiavi.

“Chissà cosa ci aspetta? Io non ero mai stata venduta prima d’ora” commentò una giovane, seduta accanto a Obaba. Il grazioso visino era cosparso di efelidi e i lunghi capelli castani erano raccolti in una fluente treccia.

Una delle schiave più anziane rise amaramente “Che sciocca! A cosa credi che sarai destinata? Sei giovane e graziosa, diventerai il trastullo di qualche giovane nobile! E’ a quello che sono destinate le giovani come te…” il silenzio calò nel carro e tutti gli sguardi si posero sulle uniche due giovani, Akane e la ragazza con la treccia che si morse le labbra.

Anche Obaba temeva che fosse quello il destino della sua giovane protetta; era così bella che già in passato aveva dovuto difendersi dalle avances dei suoi padroni. Uno l’aveva quasi uccisa, frustandola a sangue; portava ancora qualche traccia sulla schiena a ricordo di quel giorno infausto.

La vecchia si volse verso la ragazza e sospirò; sapeva che piuttosto di farsi solo sfiorare da un uomo, la ragazza si sarebbe fatta uccidere. Sperò che non fosse quello il suo destino, ma erano speranze vane: era giovane, bella, orgogliosa quel tanto da stuzzicare la voglia di conquista di qualche viziato ricco signore…

Il sole sbucò improvviso dietro di loro, inondando il carro di una fievole luce dorata. Akane lo guardò, e senza quasi rendersene conto, pregò quell’astro, pregò che il suo destino non fosse già scritto.

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Il principe Ranma sorrise, guardandosi in giro. Nessuno sembrava far caso a lui e ai suoi due compagni. Bene, la loro fuga procedeva per il meglio.

Avevano lasciato il castello per recarsi a caccia, ma invece di recarsi nelle immense tenute del re, i tre giovani avevano presto lasciato il resto del gruppo e contravvenendo agli ordini del sovrano Genma si erano recati in città. Al principe era vietato recarvisi, almeno fino a quando non avrebbe compiuto la maggiore età, ma il suo carattere ribelle lo portava spesso a disubbidire agli ordini paterni. Era curioso di osservare la città, in fondo quella era la sua città, si diceva, mentre vestito con semplici abiti si aggirava con i suoi compagni tra i banchi affollati del mercato.

“Taro, perché sei voluto venire qui? Ci siamo stati anche una settimana fa…” il ragazzo, compagno di armi e amico del principe oltre che capitano delle guardie di palazzo, sorrise a quella domanda.

“Stamani sono arrivati gli schiavi” spiegò, ma lo sguardo interrogativo dell’altro indicava che non aveva ancora compreso; sospirò, scuotendo la testa. “Ryoga spiegaglielo tu a questo sciocco…” ma lo sguardo confuso dell’altro suo compagno, oltre che cugino del principe, era persino più sconcertato.

Siete proprio degli idioti… Allora, domani è il compleanno del re, no? – i due annuirono all’unisono – E il giorno del suo compleanno, gli schiavi vengono portati al suo cospetto perché vengano acquistati durante il banchetto in suo onore, vero?” ancora cenni d’assenso “Ora, mi sono detto perché scegliere a scatola chiusa?” lo sguardo degli altri due continuava a restare vacuo. Scoraggiato Taro allargò le braccia “Ma siete davvero degli stupidi! Andiamo a dare un’occhiata e se c’è qualcuno che ci interessa, domani potremo prenderlo! Avete capito ora?” urlò spazientito, i grandi occhi verdi spalancati. Quei due erano proprio irrecuperabili!

Il principe abbassò lo sguardo a disagio “Non mi piace questa storia… Non mi piace il pensiero che delle persone si possano comprare come se fossero delle cose.”

“Già, anche a me – Ryoga annuì – zia Nodoka, ce lo ripete sempre… La prima cosa che farà Ranma una volta diventato sovrano sarà abolire la schiavitù.”

Taro scosse la testa “Se, se, belle parole, ma nel frattempo la schiavitù c’è, perciò se proprio dobbiamo sottostarvi, facciamolo con un po’ di furbizia. Magari tra questi ci sarà qualche bell’esemplare.

Ranma fece una smorfia, carezzando la testa del suo cavallo nero “Uhm, ne dubito. E’ difficile trovare qualche buon combattente tra gli schiavi, di solito sono riservati all’esercito.

Ryoga annuì "Già, sono anni che non capita a corte uno capace di tenerci testa nelle arti marziali…” commentò, poi lui e suo cugino sospirarono delusi: non gli restava che allenarsi tra loro, visto che non c’era davvero nessuno altrettanto abile.

Taro era sempre più basito: perché aveva amici così stupidi? E pensare che uno dei due sarebbe stato il futuro re! “Ma che cavolo dite?! Chi stava parlando di combattenti?! Io parlavo di donne, ragazze, femmine!” lo sguardo stupito dei due fu impagabile. Quello sciocco di Ryoga arrossì perfino: che smidollati!

“Donne? E che ce ne facciamo delle donne? Sono deboli…”

Tu sei senza speranze, Ranma. Che credi di doverci fare con una donna?! Ne fai la tua amante, no? Possibile che debba dirti tutto io? Hai 16 anni ormai, non sei un moccioso! Uff, ma perché perdo il mio tempo con due come voi? Andiamo, o arriveremo tardi!” Taro si avviò trascinando il suo cavallo baio per le briglie, mentre dopo i primi istanti di sbigottimento, i due lo seguirono, borbottando tra loro che quel ragazzo era proprio un pervertito…

Akane si massaggiò i polsi finalmente liberi dalle catene che aveva portato per tutto il viaggio; il suo venditore li aveva liberati per evitare che l’indomani si presentassero a corte con i segni ai polsi: ciò avrebbe danneggiato la merce e non poteva permetterselo, soprattutto perché sarebbero stati al cospetto del sovrano.

Erano stati sistemati in uno dei serragli appena fuori città e nonostante fossero liberi dalle catene fuggire era impensabile, non solo per i numerosi soldati che si aggiravano tra i vari carri, ma anche per le alte mura che circondavano il serraglio, sulle quali coppie di guardie si davano regolarmente il cambio. Akane si guardò in giro, valutando ogni possibilità di fuga; liberarsi delle guardie non sarebbe stato un problema per lei ed Obaba, ma il vero ostacolo era un altro. Non era mai stata in quel posto prima e non lo conosceva per nulla: se fossero scappate, lei e la vecchia istitutrice avrebbero dovuto vagare in quei luoghi sconosciuti inseguite da molti uomini, di certo avvantaggiati dalla conoscenza del territorio. Una fuga così era inutile oltre che pericolosa, le avrebbero catturate e punite. No, per ora la fuga era da escludere, ma appena possibile, sarebbe scappata.

Seduta davanti al fuoco, Obaba osservava la sua protetta, sempre più preoccupata: anche vestita con quella semplice tunica scura, rimaneva troppo bella. La scrutò con timore: i capelli lunghi fino alla schiena erano lucidi e scuri come la notte; i suoi occhi grandi e vividi erano luminosi come stelle, per tacere del suo viso… Era bella, troppo bella. E nonostante avesse vissuto fin da bambina come schiava, aveva una dignità regale ed una fierezza che affascinavano tutti coloro che non ne venivano intimiditi. Era davvero un guaio, si disse. Aveva infatti già notato gli sguardi che i vari soldati di guardia al serraglio le lanciavano…

“E’ un problema…” sospirò, meditabonda, mentre la giovane ignara continuava a guardarsi in giro, curiosa.

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Ranma sbuffò a disagio. Erano arrivati in quel serraglio da poco e mentre Taro sembrava divertirsi, lui e Ryoga erano notevolmente in imbarazzo. Non gli piaceva il pensiero che le persone che stava guardando l’indomani sarebbero state vendute come oggetti, proprio nel suo palazzo per giunta.

Coperto dal cappuccio del suo mantello per evitare di essere riconosciuto, si domandava perché si fosse lasciato convincere da Taro a recarsi in quel posto…Perché in fondo sei curioso…’ gli rispose una vocina interiore che lo stizzì parecchio, ma che proprio non poteva smentire.

Alcune guardie li avevano fermati all’entrata del serragli, ma Taro si era fatto riconoscere e i due ossequiosi li avevano fatti passare, pur chiedendosi perché il capitano delle guardie reali fosse in quel posto con quei due strani tipi incappucciati.

“Senti, io non vedo nulla di interessante, perché non ce ne andiamo?” provò Ryoga, a disagio almeno quanto suo cugino, ma Taro scosse la testa.

“Siamo appena arrivati. Avanti, non fate i guastafeste, guardatevi intorno… e prendi nota per domani Ryoga!” sconsolato Ranma scosse il capo: era assurdo che un principe come lui dovesse sottostare a quel tipo, solo perché era un suo amico… e poi lui non avrebbe nemmeno potuto comprarlo uno schiavo, che ci faceva lì!?

“Ehi, bella! Me lo dici quanto costi?”

Akane guardò appena il soldato che le si era avvicinato e sdegnata tornò a fissare il fuoco “Mmm, che smorfiosa… Probabilmente crede di costare troppo per uno come te, eh?” disse il compagno del primo soldato, sgomitandolo leggermente.

“No, è solo timida. Allora, bella, come ti chiami?”

Obaba scosse la testa: guai in arrivo. “Lasciatela stare…”

“Fatti gli affari tuoi, vecchia mummia! Mi domando che ti vendano a fare, chi vuoi che ti compri? Sei così vecchia che al massimo possono farci del cibo per le bestie con una come te.”

Obaba sospirò, notando il luccichio negli occhi della ragazza sedutale accanto “Io lo dicevo per te, giovanotto. Pazienza…” mormorò, tornando a dedicarsi alla zuppe di erbe che aveva sul fuoco.

Akane si alzò e si mise di fronte al soldato “Chiedile scusa” gli intimò, la voce ferma e lo sguardo determinato.

“Allora ce l’hai la lingua, bellezza…”

“Ti ho detto di chiederle scusa” ripeté la ragazza, ma lui rise sguaiatamente e le afferrò il mento con una mano.

Se non che mi fai, schiava? Però, che pelle morbida hai… Mi piacerebbe provare la merce…” fu l’ultima cosa che disse prima che un pugno lo colpisse sotto al mento, spedendolo a gambe all’aria.

“Ehi… brutta sgualdrina!” il compagno del soldato ormai incosciente le si avventò contro sguainando un piccolo pugnale, ma fu atterrato con eguale semplicità con un pugno assestato in pieno petto, che lo mandò a terra e gli mozzò il fiato per alcuni istanti: quella maledetta era forte, oltre che veloce!

La rissa scoppiò improvvisa, alcuni soldati che avevano assistito alla scena si lanciarono contro la ragazza che però sembrava capace di tener testa ad ognuno di loro senza eccessivo sforzo. Obaba, tranquilla, continuava a condire la sua zuppa “Akane, figliola, sbrigati, tra poco sarà pronto da mangiare!” le urlò, mentre una decina di soldati si avventavano su di lei.

“Ehi, laggiù sta succedendo qualcosa, andiamo a vedere!” Taro infatti aveva notato molte persone accalcarsi in un punto e da ciò che udiva non aveva dubbi: qualcuno stava battendosi. Ryoga e Ranma lo seguirono veloci e spintonando la folla che ormai si era radunata ed infilandosi tra le molte persone che assistevano, riuscirono a mettersi in prima fila. E ciò che videro li stupì: una ragazza sola stava suonandole di santa ragione a uomini grossi il doppio di lei… e senza sforzo apparente!

Poco distante dai tre ragazzi, un uomo piccolo e tarchiato piagnucolava, torcendosi le mani disperato “Così me la sciupate! E’ il mio pezzo migliore!” urlava, ma nessuno dei soldati sembrava dargli ascolto.

Stupefatto, Ranma osservava le movenze della ragazza: era incredibilmente veloce e se lui stesso non fosse stato un abile combattente probabilmente molte non le avrebbe nemmeno notate! Come poteva essere tanto forte una donna così esile e giovane?

Ryoga al suo fianco lo guardò, altrettanto stupito “Riconosci la sua tecnica, cugino?” Ranma annuì, sempre più perplesso: come poteva una schiava conoscere le arti marziali indiscriminate?

Taro sorrise, incrociando le braccia al petto “Uhm, interessante… Quegli idioti hanno deciso di attaccarla tutti insieme.”

Ma è ingiusto! Sono almeno una decina contro una sola! Ranma dobbiamo fermarli!” il cugino annuì, ma proprio mentre stavano per intervenire il loro amico li fermò e con un gesto secco del mento gli indicò la ragazza, o meglio ciò che la ragazza stava per fare.

Muovendosi con passi rapidi, lei stava spostandosi e nessuno dei soldati sembrava capace di raggiungerla “Guardate, sta formando una spirale…” osservò Ryoga, notando quello che gli altri due avevano già visto.

Quando la spirale che lei stava compiendo si richiuse e Akane fu giunta all’ultimo passo, i vari soldati furiosi per la figura a cui erano stati costretti da quella ragazzina le si avventarono contro; lei sferrò un unico pugno, rivolto verso l’alto e fu allora che accadde.

Un tornado violentissimo si levò improvviso sul campo di battaglia e prima che tutti se ne rendessero conto, i soldati vi erano stati imprigionati e scaraventati lontano; finirono per disperdersi nei vari angoli del serraglio, privi di sensi. Il silenzio discese sul serraglio e tutti gli sguardi si volsero sulla ragazza, che non sembrava nemmeno troppo provata per quell’incredibile colpo che aveva lasciato tutti sbigottiti. Dopo un ultimo sguardo per controllare che nessun altro volesse aggredirla diede le spalle al pubblico silenzioso e lentamente fece per avvicinarsi alla sua compagna di viaggio.

Non meno sorpreso degli altri, Ranma restò a guardarla. Attonito, sentì appena le parole di Taro, l’unico forse a non sembrare eccessivamente stupito. “Una tecnica delle Amazzoni… Non mi pare che la ragazza sia una delle donne di polso” commentò il capitano.

Aveva riconosciuto il colpo del Drago nascente fin dai primi passi, egli stesso era nato nelle terre delle Amazzoni, ma la bella ragazza non aveva le fattezze somatiche delle donne dei villaggi a sud, fattezze che invece poteva scorgere nella vecchia seduta davanti al fuoco. Doveva essere lei la sua maestra.

“Taro, tu conosci quella tecnica così potente?” gli chiese Ryoga, ma il ragazzo scosse la testa.

“No, non sono mica un’amazzone. Sono tecniche che vengono tramandate da madre in figlia, da donna a donna. Non troveresti nessuna amazzone disposta ad insegnarla ad un uomo.” Ranma, che non aveva ascoltato per nulla il suo amico, strinse un pugno: era una tecnica straordinaria, incredibile. Doveva impararla, doveva farla sua!

Fu uno strano presentimento a farlo voltare; aveva infatti avvertito un pericolo incombente… Si volse e notò subito l’uomo che poco dietro di loro, nascosto tra la folla che stava disperdendosi, stava armando il proprio arco. Era un soldato, non uno di quelli sconfitti dalla ragazza e le sue intenzioni erano più che chiare. Visto che nessuno poteva vincerla con la forza, aveva pensato di usare una freccia.

Ranma agì senza riflettere come suo solito e, stupiti, i suoi amici lo videro spiccare una corsa velocissima verso la ragazza e prima che capissero che intenzioni avesse, lo videro spingerla a terra, proprio prima che una freccia sbucata dalle loro spalle la sfiorasse.

Taro sfoderò subito la sua spada e senza perder tempo rincorse il soldato, datosi alla fuga dopo che il suo colpo era andato a vuoto. Intanto Ranma ritto davanti alla ragazza stava porgendole una mano per aiutarla a rialzarsi. Akane lo guardò colma di ira e rifiutò il suo aiuto; scattò in piedi e prendendolo di sorpresa, lo colpì in viso con una violenza tale da mandarlo al tappeto.

“Bastardo!” gli urlò poi contro, rimettendosi subito in posa difensiva. Ranma si massaggiò il volto, quella lo aveva colpito violentemente, nemmeno Ryoga gli faceva così male quando combattevano insieme!

“Che ti piglia?! Ti ho salvato la vita!” le urlò di rimando, guardandola in viso.

Anche lei lo osservò, ora che il cappuccio gli si era abbassato poteva infatti vedergli il volto scoperto “Chi te l’ha chiesto? L’avevo vista quella dannata freccia!”

“Ti avrebbe passato da parte a parte, stupida! Che razza di strega!”

Ryoga intanto gli si era avvicinato “Tutto bene cugino?” gli chiese e lui si rialzò, continuando a linciare la ragazza con lo sguardo.

“Quella stupida a momenti mi staccava la faccia! Avrei dovuto lasciarti colpire!”

“Così impari a impicciarti!”

Obaba sorrise e scuotendo la testa, si pose dinanzi alla sua protetta “Scusala, la mia Akane non ha un carattere docile. Ti sono molto grata per averla salvata, ragazzo.

Ma Obaba…” Akane provò a protestare indignata, ma la donna la zittì con un gesto deciso della mano.

Ranma sbuffò e scosse la testa “Non importa… dovresti insegnarle un po’ d’educazione.

Ryoga intanto aveva notato i molti sguardi che quel battibecco aveva attirato su di loro, ma soprattutto quelli che stavano posandosi su suo cugino; probabilmente più di uno fra i soldati avrebbe potuto riconoscerlo presto o tardi. “Ehm, sarà meglio che tu rimetta il cappuccio, cugino… E’ arrivato il momento di andarcene.

Ranma annuì e seguì il consiglio del ragazzo, poi dopo un’ultima occhiata a quella ragazza impossibile, si allontanò seguito a ruota da Ryoga; dovevano trovare Taro e ritornare immediatamente a palazzo, prima che qualcuno notasse la loro assenza.

Akane li guardò andar via e stizzita incrociò le braccia al petto “Che razza di impiccione!”

“Mmm… quel ragazzo non è uno qualsiasi.”

Se intendi nel senso che è odioso, altrochè!”

“Tu non l’hai visto arrivarti alle spalle, vero Akane?” ora che ci pensava…

“No, non l’ho avvertito…” ammise di malavoglia.

“Già. Veloce, deciso e silenzioso. E ti ha davvero salvato la vita.”

“Avrei evitato la freccia!”

“Forse, comunque resta il fatto che ti abbia buttato a terra nel momento giusto. Ora mangiamo, però… Akane, ho notato che il tuo colpo del Drago Nascente non era potente nemmeno la metà del solito” la ammonì dolcemente, lei le sorrise imbarazzata.

“Ecco, non ero molto concentrata… E nemmeno tanto fredda, quelli mi hanno fatto proprio arrabbiare!”

“Sì, l’ho capito. Su, ora mangiamo.”

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Ranma abbassò il capo, mentre il padre continuava a sbraitare contro lui e Ryoga, chiamandoli incoscienti e ragazzacci. Ma non stava nemmeno ascoltandolo. Non gli importava che la loro fuga fosse stata scoperta, né quali sarebbero state le conseguenze di quella bravata: ormai aveva un unico pensiero fisso. Davanti agli occhi la scena di quella ragazza che sferrava quell’attacco tanto potente si ripeteva di continuo.

Non riusciva a pensare ad altro, se non a come impadronirsi di quella tecnica. Voleva farla sua più di ogni altra cosa al mondo, perché nulla aveva per lui più importanza delle arti marziali. Le amava con tutto se stesso, e il pensiero di una nuova tecnica da imparare era talmente elettrizzante da far passare il resto in secondo piano, persino le sfuriate di suo padre.

“Almeno si può sapere cosa ti sei fatto alla faccia?! Sembra che tu abbia sbattuto contro un muro!” Genma era davvero irritato, suo figlio gli disubbidiva di continuo, che razza di principe e che re sarebbe stato!

Notando il silenzio di Ranma a quella domanda, Ryoga lo sgomitò, riportandolo alla realtà; aveva infatti intuito che la mente del ragazzo era altrove. “Cosa…?”

“Non mi ascolti nemmeno, figlio degenere! Cosa devo fare per raddrizzare questa tua natura ribelle? Mandarti alle miniere di Golath?!

La dolce regina Nodoka sorrise e con delicatezza sfiorò la mano del marito, stretta intorno al bracciolo del suo trono, nel tentativo di calmare l’ira dell’uomo. “Caro, non ti fa bene arrabbiarti così. Ranma, rispondi a tuo padre, cosa hai fatto al volto?”

Il ragazzo si sfiorò la guancia arrossata e prima di rispondere serrò le mascelle con uno scatto nervoso “Ho sbattuto contro un albero” mentì, abbassando di nuovo lo sguardo. Ryoga lo guardò con la coda dell’occhio, comprensivo: nemmeno a lui avrebbe fatto piacere confessare di essere stato malmenato da una femmina, una schiava per di più!

“Ritirati nelle tue stanze, non vi uscirai fino a domani e non ti sarà servito né il pranzo né la cena… Almeno spero che imparerai qualcosa.” Ranma s’inchinò e senza protestare per quella punizione del padre, si allontanò. Ryoga s’inchinò a sua volta e fece per seguire il cugino, ma aveva fatto pochi passi quando fu richiamato dal re. Alzò gli occhi al cielo, sospirando: sarebbe stato troppo bello cavarsela con una semplice ramanzina!

Si voltò e attese la sua punizione. “Anche tu resterai confinato nelle tue stanze. Con Ranma vi vedrete solo per allenarvi. Ora va’… e non ricomparirmi davanti almeno fino a domani, nipote.

“Sì, maestà…”

Non gli era andata male, pensò sollevato: in realtà lui e Ranma non si allenavano più tanto insieme. Non avevano più molto da imparare e poi, anche se gli spiaceva ammetterlo, il cugino riusciva sempre a batterlo…

--- --- ---

Ranma sospirò e accomodò meglio il capo sulle mani intrecciate; era sdraiato sul suo ampio letto e il suo sguardo grigio-blu vagava per la camera immersa nel buio di quella notte calda. Seduto a terra, ai piedi del letto, Ryoga osservava da una piccola finestra posta al lato della stanza, la luna che splendida si levava nel cielo.

Naturalmente aveva disubbidito all’ordine di restarsene rinchiuso nella sua stanza e appena era stato sicuro che tutti dormissero, era sgattaiolato via, raggiungendo il cugino. Come aveva supposto, Ranma era ancora sveglio e lo stava aspettando.

“Non fai che ripensarci, vero?” gli chiese, abbandonando il capo sul bordo del letto, fissando ora il soffitto alto completamente immerso nella penombra.

“Già… Sai, credo di aver capito come funziona quella tecnica.

“Davvero?”

“Sì, almeno la parte iniziale, la spirale… era una spirale perfetta… Se solo potessi vederla ancora! Sono certo che la imparerei.”

Ryoga sospirò e distrattamente si carezzò il mento “Rassegnati cugino, non la rivedrai mai più. Certo che era proprio bella.”

“Già, una tecnica bellissima” asserì Ranma desolato.

Il cugino si volse a guardarlo, perplesso: forse Taro aveva ragione dopotutto… “Io parlavo della ragazza.

Che? Bella quella? Scherzi?! Che gusti che hai! Io l’ho guardata appena, ma mi è bastato!”

“Sarà, ma a me è sembrata molto bella… Aveva dei gran begli occhi, soprattutto. Erano scuri, vero?”

“Sì, castani.”

E meno male che l’hai guardata appena…” Ranma avvampò e si sdraiò su un fianco borbottando di lasciarlo in pace. Ryoga si strinse nelle spalle “Uhm, sarà meglio che vada a dormire ora, domani ci saranno i festeggiamenti per il compleanno di tuo padre…”

Infatti. Buonanotte cugino.”

“Buonanotte a te…”

Quando restò solo, il principe si mise seduto. Era agitato e un’idea gli andava maturando in testa… Non gli piaceva, ma non c’erano altri modi. “Io imparerò quella tecnica, a tutti i costi!” sussurrò, determinato più che mai.

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Salve a tutti! Allora, prima di tutto devo chiarire una cosa: non sono l'autrice di questa fic appena iniziata. O meglio, non lo sono del tutto. Facendola breve, qualche giorno fa mentre ero in compagnia della mia Simoncika (nomignolo che ho affibbiato alla mia dolcissima nipotina decenne) e ci stavamo gustando l'ultima puntata di Inuyasha per la quinta volta (le registro tutte), commentando le diversità rispetto al manga (è follemente innamorata di Sesshomaru ^_^; ), quando lei comincia a raccontarmi questa storia che ha immaginato su una schiava che in realtà è una principessa e di questo principe che la conosce, ma non sa che è una principessa come lui  e le mie rotelline hanno cominciato a girare vorticosamente… E così ecco come è nata questa fic.  Da una sua idea, in pratica. Certo, io l’ho raffinata per così dire, aggiungendo una storia all'idea iniziale, ma vi assicuro che il plot primario è tutta farina del suo sacco… così come quasi tutti i nomi dei personaggi e delle varie città che ho preferito farmi suggerire da lei, vista la mia scarsa fantasia per queste cose. Al principio lei aveva immaginato i protagonisti come Kagome ed Inuyasha, ma poi man mano che ragionavo sulla storia e sui vari fatti che in questa avrei voluto far accadere, io ci vedevo sempre più Akane e Ranma, la mia magnifica ossessione >_^. Così ho buttato giù un paio di capitoli; l'ho fatto di getto e per puro svago, per questo credo che troverete lo stile di scrittura molto meno curato rispetto ad altre mie storie e magari questa stessa fic non sarà un granché, ma vi assicuro che io mi sono divertita molto a cominciarla. Certo, non ho la più pallida idea di dove prendere il tempo per portarla avanti, ma questa è un'altra storia… per ora ringrazio tutti quelli che vorranno leggerla. Io e Simoncika vi siamo davvero molto grate U_U

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


It takes me higher

Di Breed 107

 

Capitolo secondo

Obaba batté le palpebre, stupita dallo sfarzo del palazzo reale. Lei e gli altri schiavi vi erano stati condotti al calar della sera sistemati su alcuni carri scoperti ed ora erano in attesa di essere presentati davanti al re e alla corte intera, riuniti nella sala delle udienze.

Nella sua lunga vita aveva visto raramente un tale sfoggio di ricchezza e lusso: ovunque i suoi occhi si posassero era un susseguirsi di tessuti preziosi, monili in oro, drappeggi ricchi e mobilio in legnami tra i più pregiati. Lampade ed incensieri illuminavano ogni angolo della reggia, spargendo fragranze delicate per i vasti ambienti dove anche i pavimenti, opera di esperti intarsiatori, erano un mirabile visione per gli occhi.

La vecchia Amazzone era colpita, evidentemente quello che si raccontava in giro era vero, e cioè che Augusta era la capitale di uno dei regni più floridi dell’Assaar. La ricchezza di Re Genma era narrata ovunque e grazie ad  essa, e alla preparazione del suo esercito, egli non temeva rivali né conquiste.

Fautore di quella potenza era stato il nonno e mentore dell’attuale re, il saggio Happosai… beh, a dire il vero in giro si diceva che il vecchio fosse un satiro, assatanato a tal punto da aver abdicato per poter viaggiare in lungo e largo alla ricerca di belle donne e… della loro biancheria. In ogni modo, soprattutto grazie all’opera della regina Nodoka, prima e più saggia consigliera del re, il regno aveva continuato a fiorire.

Molti però nutrivano seri dubbi sulla durata di tanto splendore. Tanti infatti disperavano che il giovane principe avesse le qualità per continuare sulla strada tracciata dai suoi predecessori; egli veniva descritto come un giovane avventato, capriccioso, interessato più alle arti marziali che al suo regno, per di più orgoglioso e dalla peggiore testa calda che ci fosse in circolazione. 

Akane era poco interessata allo sfarzo che la circondava. Con sguardo truce osservava l’abito che le avevano dato da indossare…

Definirlo abito era un eufemismo, pensò furiosa: era semi-nuda! Il corpetto stretto e corto le copriva appena i seni ed i pantaloni in vezzoso tulle erano praticamente inesistenti… Tra i capelli le erano stati applicati fiordalisi e perle dello stesso colore e, a completare l’insieme un leggero velo intessuto con dell’argento fine le copriva il volto. Se non avesse avuto le catene a bloccarle le mani se lo sarebbe strappato per la rabbia, ma, visti anche gli incidenti della mattina precedente, il suo venditore aveva pensato di legarla per bene, imprigionandole mani e caviglie con pesanti catene che quasi le impedivano di camminare.

Nella sala in cui attendevano arrivavano suoni festosi e risa gioiose, segno che i festeggiamenti erano in pieno svolgimento; un via vai di camerieri e inservienti attraversava i vari corridoi, non degnando gli schiavi di uno sguardo: persino loro si sentivano superiori a quelle misere creature.

La giovane dai capelli castani sospirò tristemente. Lei sarebbe stata la prima ad essere esposta, mentre Akane, che costituiva il pezzo forte dell’asta umana, avrebbe costituito il gran finale. Il loro padrone già si fregava le mani pensando ai guadagni favolosi che quelle due potevano fruttargli. “Mi raccomando tu – con tono severo si piazzò davanti ad Akane – ricorda che se mi combini qualcuno dei tuoi scherzi, non venderò la vecchia a quest’asta! Se ci tieni a restarle attaccata, sii docile… al resto penserò io: sei così bella che non sarà difficile piazzarti! E’ un peccato che il re non acquisti personalmente delle schiave, altrimenti tu potresti essere un degno oggettino per lui. Akane strinse le labbra, reprimendo la voglia di mandarlo a quel paese, ma teneva troppo che Obaba restasse con lei, tanto da mandar giù ogni umiliazione. Abbassò gli occhi in segno di resa e l’omino ridacchiò, lieto di quella vittoria.

Sta’ tranquilla, figliola, non ci separeranno. Io non ho né la bellezza, né la gioventù, ma le mie doti di curatrice sono appetibili quanto le tue, qualcuno che mi acquisti ci sarà” la rassicurò con dolcezza la sua tutrice appena il loro carceriere si fu allontanato. Akane le sorrise, ma non nutriva solo il timore di esser separata da lei, ma anche il suo destino: non avrebbe mai sopportato di finire come trastullo per qualche uomo odioso. Il solo pensiero di cosa le sarebbe accaduto le stringeva il petto quasi facendole del male.

 Aveva ormai maturato una decisone di cui non aveva messo a parte nemmeno Obaba, perché sapeva che la donna gliel’avrebbe impedito. Se fosse stata solo sfiorata, si sarebbe uccisa. Nemmeno il pensiero della vendetta poteva rimuoverla da tale convincimento.

“Non pensarci. Non essere stupita figliola, non ti ho letto nella mente, anche se molti credono che noi Amazzoni ne siamo capaci, ma ti conosco da sempre… Tu sopravvivrai a tutte le prove.

“Obaba…” sussurrò prima che uno strattone alla catene la facesse quasi cadere; il loro carceriere era tornato e stava conducendole verso la sala.

“Avanti, muovetevi! Ora tocca a noi e ricordate, provate solo a giocarmi qualche brutto scherzo e ne andrà di mezzo la vostra vita!”

--- --- ---

Ryoga si agitò sulla sedia: Ranma aveva qualcosa in mente, ne era certo.

Da quando il banchetto era cominciato, il ragazzo seduto accanto alla madre era rimasto in silenzio, dedicandosi appena al cibo che gli veniva messo davanti… e questo non era certo un buon segno, perché Ranma non sdegnava mai il cibo a meno che, per l’appunto, qualcosa non gli frullasse per il cervello. Inoltre la sua calma era così sospetta che anche sua madre ogni tanto lo fissava con timore.

‘Che cavolo vorrà fare?’ si chiese Ryoga a disagio: raramente le trovate di Ranma non facevano infuriare il re e farlo arrabbiare proprio il giorno del suo compleanno, davanti alla corte e a numerosi ospiti da altri regni, era davvero un brutto affare. Se almeno si fosse confidato con lui, avrebbe saputo cosa aspettarsi!

“Non mi piace, non mi piace per niente…”

Sedutogli accanto, Taro sorseggiò il vino naturalmente ottimo e sorrise beffardo “Tuo cugino è strano. Non dirmi che sta ancora pensando a quella storia di ieri.”

“Ci puoi giurare… Taro, quelli della famiglia reale non possono acquistare schiavi per sé, vero?”

“Mmm, no. Certo potrebbero, ma tutti lo sanno come la regina la pensa su queste cose. Da quando il re è Genma, mai schiavo è stato acquistato da lui o da qualcuno della sua famiglia. Di solito gli schiavi migliori vengono offerti come dono… agli ospiti” con un ampio gesto della mano il ragazzo indicò il resto della comitiva riunita intorno a grande tavolo a semicerchio, a cui sedevano almeno cento tra invitati e cortigiani. Ryoga annuì e per nulla tranquillizzato, incrociò le braccia al petto.

All’improvviso una voce si levò nel fragore della sala, una voce forte e limpida al tempo stessa. Il gran ciambellano, colui che sostituiva il re nelle cerimonie, si fece largo dal fondo della sala e chiedendo a gran voce che fosse fatto silenzio, riuscì a zittire la folla curiosa; sapevano cosa sarebbe successo da lì e poco, ma erano tutti comunque in trepida attesa.

“Signori, signore… Altezze reali – il rubicondo ciambellano s’inchinò nella sua non elevata statura a cospetto di Genma e Nodoka – mio principe” altro inchino a uso di Ranma che quasi non lo degnò di uno sguardo. “È giunto il momento tanto atteso. Davanti ai vostri occhi sfileranno i migliori schiavi dell’Assaar, pronti a diventare vostri fedeli servitori… o qualunque altra cosa decidiate di farne – una risatina aleggiò tra gli invitati – mai come stasera vedrete delle vere rarità: uomini forti, ragazze dalla bellezza intatta e persino una discendente del leggendario popolo delle Amazzoni, di cui conserva fierezza e conoscenze.”

Un applauso seguì quelle parole, mentre Ryoga scambiò un’occhiata di intesa con Taro. Soddisfatto di tanta attenzione, il ciambellano allargò le braccia “Ora vi saranno mostrati, uno alla volta e il loro padrone vi descriverà doti e virtù di ognuno… e naturalmente il prezzo di base – altra risatina – e se qualcuno di questi dovrebbe sembrarvi troppo caro, beh, miei cari signori, rammentate che essi sono il meglio del meglio. Bene, appena il mio signore mi darà il segnale, li condurrò dinanzi ai vostri occhi affinché giudichiate voi stessi il loro incommensurabile valore.

Genma si volse verso sua moglie e le sorrise con impaccio “Cara…” Nodoka, il cui volto era rigido per lo sdegno, si alzò come ormai ogni anno in quella stessa occasione e si inchinò leggermente dinanzi al marito, pronta a lasciare la sala con suo figlio. Non poteva impedire che un simile abominio si perpetuasse in casa sua, ma non voleva assistervi con i propri occhi, perciò ogni anno si allontanava e quello era il segno che l’asta poteva cominciare. Ma quell’anno qualcosa cambiò.

Ranma non imitò sua madre, restò seduto dov’era, lo sguardo puntato davanti a sé. Nodoka lo guardò stupita “Figliolo…”

“Questa volta resterò.

Ma…”

Il ragazzo evitò di guardare la donna a cui sapeva di dare un dispiacere, ma non poteva fare altrimenti. Non c’era altro modo. “Resterò qui” ribadì, il tono asciutto di chi non avrebbe cambiato idea.

Nodoka serrò i pugni e dopo alcuni istanti di indecisione tornò a sedersi “Allora resterò anch’io…” sussurrò, la delusione chiarissima nelle sue parole. Era sicura che ci fosse un motivo per il comportamento del figlio e solo restando ed assistendo a quello scempio lo avrebbe scoperto.

Non meno stupito della moglie, Genma restò sorpreso per alcuni istanti, poi riprendendosi, fece un cenno al ciambellano perché desse inizio all’asta. “Oh, quale onore che ci fa sua grazia assistendo allo spettacolo!” ogni parola fu per Nodoka una pugnalata che accrebbe il senso di colpa di Ranma fin quasi a farlo desistere dai suoi propositi, ma appena la prima schiava fu portava nella sala, essi ritornarono più fermi di prima.

La giovane sommariamente vestita camminava a fatica e, solo quando fu giunta al centro della sala dove era visibile a tutti, fu liberata dalla catene dal suo carceriere che le stava accanto e che, con voce quasi troppo acuta, si rivolse all'eccitato auditorio. “Signori e signore, Altezze reali, ammirate questa giovane fanciulla delle terre del Nord! Nata tra i boschi selvaggi di Amarat, rappresenta la bellezza dolce e delicata delle albe limpide e chiare delle sue terre! Bella come poche, docile e delicata, cresciuta come una perla rara. E’ la prima volta che viene venduta, ella è intatta, la sua bellezza è seconda solo alla sua servilità! Vi prego, ammiratela!” con un gesto rapido, le strappò la delicata veste che la ricopriva, mostrando il suo lieve incarnato alla curiosa morbosità degli ospiti, da cui si levò più di un assenso. Vergognosa, la ragazza tentava di coprirsi con le mani i seni lasciati così ignobilmente scoperti e a capo chinò tentava di trattenere il pianto che le colmava gli occhi chiari.

Nodoka abbassò lo sguardo, stringendo convulsamente i pugni in grembo; Ranma la sentì tremare di sdegno e trovò a malapena il coraggio di guardarla con la coda dell’occhio ‘Perdonami madre…’ pensò, abbassando anche il proprio di sguardo.

Ryoga sospirò e scosse la testa “Poverina, trema per la vergogna…” al suo fianco Taro osservava la ragazza, l’espressione seria e indecifrabile.

“Il prezzo per questa ragazza è di 10.000 danari – l’omino la prese per un braccio e la fece fare un passo avanti, come per volerla mostrare meglio – chi di lor signori vuole offrirmi di più?”

“15.000!” una voce si levò alla destra del grande tavolo, era stato il generale di un paese vicino, alleato di Augusta.

“25.000!” un’altra offerta dalla parte opposta suscitò molto scalpore, perché era davvero una cifra notevole per una schiava, fosse anche bella come quella.

“25.000… E’ la vostra ultima offerta?” in realtà il venditore sapeva di non poter ricavare di più da quella ragazza, anzi, era davvero una somma che superava le sue più rosee aspettative. “Allora, se non ci sono altre…”

50.000” Ryoga si voltò esterrefatto verso Taro che tranquillamente aveva fatto quell’offerta incredibile ed ora come se nulla fosse sorseggiava il suo vino.

Un vocio stupito si levò tra gli invitati, mentre il venditore sprizzava gioia da tutti i pori “Aggiudicata al signore dalla divisa nera!" esultò, indicando con una mano ingioiellata Taro che, sempre con la sua imperturbabile flemma, stava alzandosi dal suo posto.

“Ma che ti salta in mente?! E’ la cifra che guadagni in un anno quasi!” Ryoga lo trattenne per un braccio, ma lui gli sorrise con la sua solita aria scanzonata.

“Vorrà dire che per un anno mi offrirai il pranzo…” gli disse e piegando il proprio mantello sul braccio, si allontanò sotto lo sguardo stupito degli invitati.

Lasciò la sala da un’uscita laterale, giungendo in una piccola stanza che fungeva da anticamera rispetto alla sala delle udienze. Era una stanza piccola, ma non per questo meno lussuosa del resto del palazzo, anche lì infatti si poteva scorgere l’opera di abili artisti ed artigiani, soprattutto nel fine intarsio del legno e nella delicatezza dei dipinti sui pannelli che rappresentavano scene di caccia e dragoni tumultuosi. Fu qui che il giovane capitano delle guardie di Palazzo fu presto raggiunto da un tirapiedi del venditore. Trascinava la ragazza per le catene che le erano state imposte nuovamente, urlandole di sbrigarsi, ma lei procedeva in maniera impacciata non solo a causa del peso, ma anche per il tentativo di coprirsi il seno ancora scoperto.

“Ecco a lei, mio signore” l’uomo, un brutto ceffo di mezz’età dallo sguardo vacuo, la testa avvolta in un turbante di seta verde che aveva conosciuto tempi migliori, porse le catene a Taro che però non le prese.

“Liberala prima” gli ordinò con voce di chi è abituato a farsi ubbidire, poi gli lanciò un sacchetto di velluto in cui c’erano i soldi. L’uomo contò velocemente il denaro, poi lo ringraziò con un inchino e ritornò nella sala principale dove il suo capo stava ora vendendo un ragazzo molto robusto. “Come ti chiami?”

La ragazza sussultò quasi nel sentire quella voce così sicura “Io… io sono Ame, mio signore…”

“Io mi chiamo Taro… Ecco, copriti” le lanciò il proprio mantello e attese che lei lo indossasse, poi senza dire altro si allontanò. La ragazza stupita sulle prime restò a guardarlo, infine gli corse dietro, tenendosi ben stretto il mantello addosso. “Sai cucinare Ame?”

“Sì, mio signore!”

“Bene…”

--- --- ---

Intanto nella sala principale l’asta continuava ed il fermento tra il pubblico aumentava man mano che gli schiavi venivano venduti; tutti sapevano che la fine delle vendite si avvicinava e che il pezzo forte presto sarebbe stato mostrato e la curiosità era molto alta: già si sussurrava di una giovane di fiera bellezza .

“Ora miei signori, vi presenterò una vera rarità: una mitica amazzone! Ella non è più giovane, ma nei suoi lunghi anni di vita ha appreso molte arti, tra cui quelle mediche e magiche del suo fiero popolo! Acquistandola vi garantirete non solo i suoi servigi, ma anche la certezza di una vita lunga e sana… Ecco a voi Obaba, o con il suo nome amazzone, Kou- lone.”

La vecchia Obaba avanzò dignitosa nella sala ammutolita per lo stupore: una schiava amazzone era davvero considerata una rarità, visto che il popolo delle donne di polso era noto per l’arte nel combattere e nella fierezza della loro indipendenza. La vecchia Obaba arrivò accanto all’imbonitore muovendosi con agilità, come se le stesse catene che avevano reso difficili i movimenti di schiavi più giovani non le dessero il minimo impaccio. I suoi occhi piccoli e severi si mossero per la sala, fissando i vari presenti con superficialità.

“Vecchia, quanti anni hai? Cento?! Mi sa che vuoi imbrogliarci, razza di furfante! Quella se campa un altro giorno è un miracolo!” un ricco mercante volle prenderla in giro, ridendo poi sguaiatamente per quella spiritosaggine.

“Non si lasci ingannare dalle apparenze…” provò il venditore, impacciato.

“Ho più di cento anni, signore – fu la stessa Obaba a prendere la parola – e godo di un ottima salute. Noi amazzoni siamo longeve e posso affermare di essere ad un terzo della mia vita, signore.”

“Cosa?! Non vorrai farmi credere che camperai fino a 300 anni?! Che sciocchezza!”

La donna si strinse tra le spalle, poi sorrise “Mi tenga queste, gentilmente…” disse al suo venditore prima di mettergli tra le mani le catene di cui si era incredibilmente liberata, poi prima che questi si riprendesse dallo stupore, inspirò profondamente e congiunse la mani dinanzi a sé. “Tecnica dello sdoppiamento” sussurrò e lì centinaia di occhi stupefatti la videro sdoppiarsi e moltiplicarsi fino a quando almeno sei Obaba circondarono il venditore, rimasto a bocca aperta.

Ranma scattò in piedi e, approfittando dello clamore generale, si avvicinò a Ryoga, anche lui rimasto a bocca aperta. “Ryoga, fa’ in modo che quella donna non lasci il palazzo!”

“Ma cosa…”

“E’ lei la chiave di tutto, capisci? Non permettere che venga portata lontano da qui! Ti risarcirò io. Intesi?” il ragazzo annuì, troppo attonito per obiettare. Possibile che fosse quello che aveva in mente il cugino fin da principio? Comprare quella schiava tramite lui?

Obaba intanto aveva messo fine alla sua esibizione. Appena tornata unica si rimise accanto al suo venditore e, togliendogli le catene dalle mani, le indossò nuovamente nemmeno si trattasse di braccialetti!

Le offerte cominciarono a fioccare tumultuosamente, persino ospiti che fino a quel momento erano stati impettiti e composti cominciarono a gridare per farsi udire. In effetti a Ryoga non spettava un compito facile: quando riuscì a prendere la parola, l’offerta di aggirava già sui 100.000 danari. Lanciò un’occhiata a suo cugino, che con un cenno impercettibile del capo lo rassicurò nuovamente. “Raddoppio l’offerta! 200.000!” affermò, alzandosi in piedi.

Obaba lo guardò a lungo, poi sorrise e levò una mano, di nuovo magicamente libera dalle catene e subito il silenzio cadde nella sala. “Signori, vorrei avvertirvi prima che andiate avanti con le vostre offerte, che il popolo delle Amazzoni non conosce solo potenti riti magici e tecniche incredibili quanto questa a cui avete assistito. Il mio gentile venditore da esperto commerciante qual è ha taciuto del fatto che abbiamo l’abitudine di… ecco, affrettare la vita di chi non rispettiamo. E’ un vezzo sciocco, ma vorrei avvertire lor signori che se il mio futuro padrone non dovesse riscuotere il mio rispetto, questa potrebbe essere l’ultima festa a cui prende parte…" il silenzio si fece ancora più compatto, tutti ora fissavano la vecchia con timore, convinti della veridicità delle sue parole.

Il primo a parlare fu il sovrano in persona, che si alzò dal suo seggio “Vuoi farmi capire che sarai tu a sceglierti il padrone?”

Obaba si inchinò leggermente “Oh, no, mio buon signore. Io ho voluto solo informarvi correttamente affinché non si dica che il mio sia stato un acquisto disonesto.”

“Uhm, così mi tenti molto… Se solo sapessi di non arrecare dolore alla mia amata, proverei io stesso ad acquistarti, sei una vecchia incredibile!”

“Oh, ma a questo c’è rimedio. Potrei sempre, come dire?, restare in famiglia. Il giovanotto che ha fatto l’ultima offerta, se non erro è suo nipote, vero?”

Genma annuì “Sì, infatti. E’ il figlio del mio unico fratello… Bene, allora così è deciso, non credo che qualcuno voglia mettere alla prova le tue capacità, vero? – si guardò intorno e non fu sorpreso dal fatto che nessuno osasse ribattere – Ryoga, la vecchia Amazzone è ora al tuo servizio.”

Il ragazzo tornò a scambiare un’occhiata con Ranma, poi come avevano fatto tutti gli altri, lasciò la sala per ricevere la sua schiava.

La donna gli sorrise vedendolo e parve scrutarlo a lungo mentre il tirapiedi del suo ex- padrone la liberava delle catene che, capricciosamente, aveva rimesso solo per farlo impazzire con le chiavi che proprio non volevano saperne di riaprirle. “Giovane padrone, come umile schiava forse le sembrerò avventata, ma posso chiederle di assistere alla prossima vendita? Mi appello al suo buon cuore…”

Ryoga era già notevolmente in imbarazzo per l’aver dovuto acquistare un essere umano, ma sentirsi implorare così da una donna anziana e certamente straordinaria come quella era davvero umiliante per il proprio amor proprio. “Sì, non ci sono problemi, vi rientreremo appena sarai stata liberata.”

“Deve darle il suo sigillo, signore…” chiaramente urtato per il boicottaggio di cui era stato fatto oggetto da quella megera e le sue catene, l’uomo bofonchiò quelle parole, indicandogli il bracciale che ad inizio banchetto tutti gli invitati avevano trovato dinanzi a loro e che avevano indossato. Ogni bracciale era stato appositamente creato per quella sera e riportava il marchio familiare del suo possessore e le sue iniziali, incise su un semplice anello d’oro che in più spire si avvolgeva sul polso. Ryoga porse il suo bracciale ad Obaba con sempre maggior imbarazzo, ma lei lo indossò con un sorriso caloroso, infilandolo fin sopra all’avambraccio.

“Sarà un buon padrone, lei ha un cuore sincero, lo sento.”

“Io lo spero… Andiamo, così potrai vedere chi acquisterà la tua amica.”

--- --- ---

Akane avanzò nel silenzio sceso nuovamente nella sala dopo che il banditore l’aveva annunciata come la vera attrazione della serata. A capo chino raggiunse il suo venditore e gli si fermò accanto, cercando di ignorare quel silenzio così compatto intorno a lei, un silenzio così morboso e carico di ripugnante curiosità da darle i brividi. Non sapeva quale fosse stato il destino di Obaba e sperava sinceramente che non fosse stata acquistata da qualche straniero di passaggio a palazzo. Cosa ne sarebbe stato di lei, in quel caso?

“Signori, è soprattutto a voi che mi rivolgo… non dovrò spendere molte parole per descrivere questa fanciulla, bella tra le belle, perché state vedendola con i vostri occhi, ma lasciate che vi dica solo che il fuoco che le brucia dentro è secondo solo alla sua incomparabile beltà. Ella è forte, ma aggraziata, tenace, ma mansueta col suo padrone a cui spetterà il piacevole compito di domare il suo spirito ancora indomito, nonostante la vita l’abbia vista nascere schiava… Ecco, ammirate!” la liberò del velo che le ricopriva il volto e con forza le alzò il viso per il mento, affinché tutti potessero vederla meglio. Un brusio di levò, entusiasti commenti si udirono, lodi per la bellezza selvatica della ragazza, addolcita però da fattezze lievi e delicate come la più fine delle porcellane… E il suo corpo? Non era forse quello di una giovane nel fiore degli anni e nel pieno dello splendore? Le sue gambe, lunghe e nervose, non erano degne di quelle di una divinità? E la sua vita stretta, i suoi seni prosperosi e l’incarnato incantevole? Era davvero una bellezza degna di un re!

Come d’abitudine, il pezzo forte dell’asta non veniva contrattato, il sovrano infatti lo acquistava pagando una cifra solitamente esorbitante, per poi donarlo all’ospite di maggior riguardo. Era una prassi antica come la schiavitù stessa e tutti quella sera non facevano che ripetersi quanto fosse fortunato il generale Kean della vicina Gea. Egli infatti era l’ospite di riguardo di quel banchetto, colui che quella sera rappresentava il sovrano stesso del potente regno alleato di Augusta presso la corte di Genma. Non vi erano dubbi che la bella schiava fosse destinata a lui, si dissero tutti tra l’invidia degli uomini e la malizia delle donne. Il generale era noto per il modo tutt’altro cavalleresco con cui trattava le sue schiave e le sue donne in genere. L’uomo in questione sorrideva già pregustandosi il dono che il re gli avrebbe certamente offerto; lisciandosi i bei baffi screziati osservava la schiava ed i particolare i suoi occhi vividi di sdegno. Eh, sì… Non gli capitava un simile esemplare da anni, una donna che possedesse ancora tanto spirito e fuoco.

Genma preferì non voltarsi verso la moglie, sapeva esattamente cosa avrebbe visto nei begli occhi di Nodoka; egli stesso provava della pena per quella ragazza destinata ad un uomo che non stimava nemmeno lui granché e la cui fama di essere privo di cuore non era certo una fola di pettegole. Deglutì e si schiarì la voce, nel silenzio ancora compatto dei suoi invitati.

“Ti offro 500.000 danari” il silenzio era stato infranto. Da suo figlio.

Ranma, ora in piedi accanto alla madre, aveva interrotto il suo lungo silenzio… per comprare una schiava?!

Se Genma ne fu sorpreso, Nodoka semplicemente ne fu sconvolta: con occhi sbarrati fissò il ragazzo che apparentemente calmo teneva lo sguardo puntato sul venditore. “Ranma!” lui fece finta di non sentirla, di non sentire lo sdegno e la sorpresa angosciata nella sua voce.

Il venditore era stato colto di sorpresa al pari di tutti gli altri da quel cambio di programma imprevisto. Era la prima volta che accadeva una cosa simile, non solo un membro della famiglia reale non aveva mai acquistato uno schiavo per sé, ma mai nessuno aveva osato chiedere per sé uno schiavo destinato ad essere donato. Il generale Kean non riuscì a trattenere un’esclamazione di sorpresa, notando chi avesse fatto quell’offerta astronomica: dubitava che quel giovane stolto volesse semplicemente sostituirsi al padre.

“Io…” il venditore non sapeva più cosa fare e confuso osservò il re, attendendosi da lui la soluzione a quel pasticcio. Intanto non ben consapevole di quello che stava succedendo, Akane deglutì: aveva riconosciuto nel giovane alzatosi nel silenzio lo stesso che aveva preso a pugni il giorno prima. Chi era quel tipo?

“Figlio, io non credo che tu ti renda conto che questa ragazza…”

Figlio?! Quello sarebbe… è il principe?!’ Akane sgranò gli occhi, ma li riabbassò immediatamente. Aveva preso a pugni il futuro re di Augusta!

“E’ una schiava, no? Io voglio comprarla.”

“Ma lei è l’ultima della sera, tu non conosci la prassi, visto che è la prima volta che partecipi a un’asta! Non puoi offrire nulla…”

Ranma guardò il padre con sufficienza “Non è scritto da nessuna parte che io non possa partecipare all’asta, così come non è legge scritta che sia ceduta in dono. Se qualcuno crede può provare a portarmela via, ma io la voglio per me” così dicendo lanciò un’occhiata malevola al generale, sedutogli poco distante e quando questi si levò nella sua notevole statura, non ne fu affatto intimidito. Restò a fissarlo, sfidandolo con lo sguardo… e Ranma non era tipo da tirarsi indietro in una sfida, soprattutto con un essere odioso come quello!

“Maestà, il principe ha ragione: non esiste alcuna legge scritta che limiti l’asta. In questo caso, io rilancio l’offerta… 600.000 danari.”

Ranma serrò la mascella con uno scatto, come sempre quando era nervoso, ma non abbassò lo sguardo. “700.000” ribatté, mentre il silenzio di poco prima era un semplice ricordo. Un vero e proprio vociare si era levato nella sala, tutti commentavano scioccati ora per l’insolenza di quel giovane, ora per la gioia di vedere il generale combattuto ad armi pari almeno per una volta.

“Se ne offrissi 800.000…”

“Ne offrirei almeno 900.000.”

Livido di rabbia il Generale batté un pugno sul tavolo, poi reprimendo a stento la propria furia, si esibì in un sorriso degno di un grande attore e s’inchinò leggermente “Mi arrendo davanti all’irruenza della gioventù, mio principe.”

Ranma ricambiò l’inchino “Lieto di aver battuto un tale e valido avversario. Ci saranno altri doni per lei, Generale Kean.”

“Non ne dubito, anche se il dono più grande è quello di considerarmi un amico della sua reale famiglia.”

Genma imprecò nel suo intimo, perché quell’ennesimo colpo di testa di Ranma gli sarebbe costato caro e non solo economicamente! Intanto quel giovane sconsiderato che aveva la sciagura di avere per figlio stava già lasciando la sala, dopo aver preso il bracciale che non aveva indossato. Lo guardò allontanarsi, mentre l’allibito venditore si schiariva la voce “Bene, la schiava è venduta al principe Ranma per 700.000 danari” in fondo non poteva dolersene: era una cifra esorbitante! Da sola superava quasi quella di tutti gli altri messi insieme!

--- --- ---

Trascinata fuori in malo modo, nel vocio ancora eccitato degli invitati, Akane si sentiva confusa. Non aveva paura, non ancora almeno e mentre veniva portata fuori dalla sala aveva intravisto anche Obaba, quindi la sua maestra le era rimasta comunque vicina, ciò la rincuorava alquanto. Era certa che fosse andata così, perché la vecchia le aveva sorriso e le aveva fatto un cenno incoraggiante col capo, però…

Il pensiero che fosse stato quello a comprarla non la faceva sentire affatto sollevata! Certo, da quanto aveva potuto capire, era stata destinata a quell’altro contendente, quel pennellone dalla faccia truce e dagli occhi altrettanto cattivi e qualcosa le diceva che non avrebbe avuto un felice avvenire se il suo destino si fosse effettivamente compiuto in quel senso, ma da quello che aveva sentito in giro anche l’erede di Augusta era famigerato per i suoi colpi di testa ed il suo carattere difficile.

Doveva esser vero: l’aveva appena visto sfidare impunemente tradizione e nome per lei. Già, si chiese mentre veniva portata al suo cospetto, perché aveva fatto una cosa simile? Per… per poterla fare sua? Sperò di no! Aveva detto che la voleva per sé, però… Che volesse vendicarsi del pugno del giorno prima? Da un tipo viziato e prepotente come dicevano essere lui, si poteva quasi aspettarselo. Anzi, quasi lei ci sperò: era abituata alla cattiveria, ma non avrebbe sopportato di essere toccata in quel senso. Anche se si trattava di un giovane dall’aspetto tutto sommato gradevole… beh, ammise con se stessa vedendolo di nuovo, in verità era più che gradevole.

“Toglile quelle catene” l’uomo ubbidì e dopo averla liberata da quel fardello s’inchinò al cospetto del giovane che osservava la ragazza da capo a piedi, facendola sentire ancora più in imbarazzo. Come le sarebbe piaciuto prenderlo a pugni… di nuovo!

“Mio signore, non sarà scontento della sua scelta…”

“Avrai domani tutti i tuoi soldi, ritorna qui nel pomeriggio e ti sarà dato quanto pattuito.”

“Sì, mio signore. Non dimentichi il sigillo, signore.”

Ranma osservò il bracciale che aveva ancora tra le mani e sospirando lo porse ad Akane. “Mettilo” lei lo prese e, senza rivolgergli la minima attenzione, lo indossò. Il bracciale le si fermò all’altezza del bicipite e ancora sdegnata, lei lo sfiorò appena per poi riabbassare gli occhi a terra. “Seguimi.”

--- --- ---

La ragazza seguiva il principe per i lussuosi corridoi del palazzo senza alzare lo sguardo dal pavimento; non si guardava attorno, né tanto meno guardava lui. Non le importava del palazzo, non le importava di lui.

Ogni tanto incontravano qualche servitore che dopo essersi inchinato rispettosamente davanti al principe, fissava la ragazza che lo seguiva di qualche passo con stupore e lei odiava quegli sguardi. Di solito non veniva fissata in quel modo, essendo una schiava le persone tendevano ad ignorarla, considerandola quasi come una parte dell’arredamento… Le poche volte che era stata fissata, si trattava di uomini con pensieri per lo meno indecenti o donne invidiose, per questo preferiva essere ignorata.

‘Ma immagino che essendo ora la schiava del principe, sarò al centro dell’attenzione…’ alzò lievemente gli occhi verso il ragazzo che apparentemente tranquillo la precedeva, rispondendo con un cenno del capo ai saluti che riceveva. In realtà Ranma non era per nulla tranquillo.

Non aveva la minima idea di come comportarsi con quella rancorosa ragazza che lo seguiva. Non aveva mai avuto schiavi, quella schiava in particolare poi era una ragazza! Una ragazza…

Come avrebbe dovuto comportarsi con lei? Doveva essere severo o no? Poteva tentare di essere amichevole… Non che gli importasse granché, l’unica cosa importante era farsi insegnare quella portentosa tecnica, poi… Già, poi che ne avrebbe fatto? Poteva donarla al generale, così da risanare i rapporti che il suo gesto aveva quella sera sicuramente rovinato…

Quel pensiero lo infastidì: piuttosto che darla a quell'arrogante, odioso bastardo avrebbe lasciato Akane a Ranko. Si morse le labbra, indignato. Parlava di quella ragazza come un oggetto, sua madre non ne sarebbe certo stata fiera. Sua madre…. Avrebbe dovuto spiegarle il perché di quel colpo di testa, probabilmente lei non avrebbe compreso comunque, però voleva raccontarle la verità.

Finalmente giunsero agli appartamenti del principe. Akane osservò le due guardie sistemate ai lati della grande porta davanti alla quale si erano fermati. I due si inchinarono dinanzi al principe e dopo che questi li ebbe congedati si allontanarono, osservando curiosi la bella ragazza dallo sguardo severo. Chi era quella? E che ci faceva con il principe?

Sbuffando per il fastidio, Akane osservò le due grandi ante che costituivano l’imponente porta delle camere reali, erano in legno pregiato con incisioni molto elaborate che rappresentavano scene di caccia per lo più, ma al centro dei due pannelli lei scorse anche l’immagine di un animale mitico, un drago che avvolto in mirabili spire s’innalzava verso il cielo, le fauci spalancate. L’imponenza di quell’animale la strappò per un attimo ai suoi pensieri e lo osservò, curiosa.

Ranma notò quello sguardo e sorrise “Il drago è il simbolo del nostro casato” spiegò soddisfatto, nemmeno quella fine incisione fosse opera sua. Akane lo guardò appena e si strinse nelle spalle, manifestando così il suo inesistente interesse per quella ‘notizia’. Ranma fece una smorfia, sempre più convinto di avere a che fare con una ragazzina scorbutica.

Con gesti stizziti spalancò le immani porte ed entrò nella camera immersa nella penombra. Akane lo seguì per qualche passo, fermandosi poi appena oltre la soglia; stavolta non poté evitarsi di osservare curiosa quella che era la stanza di un principe. Non era mai stata al servizio di un simile titolato, ma immaginava che la stanza di un erede al trono sarebbe stata uno sfoggio di ricchezza e lusso, non meno di quanto il resto del palazzo almeno. Beh, si era sbagliata.

Stupita osservò la semplicità della camera, arredata con pochi oggetti e senza alcuno sfoggio di ricchezza. Oltre al letto in legno, ad una cassapanca, un bacile e altri pochi oggetti, la camera era spoglia e semplice. I pochi oggetti, come le lampade ad olio e l’incensiere, erano di fine fattura e molto pregiati, ma Akane ricordava camere certo più ricche… persino lei aveva avuto stanze più lussuose!

La camera aveva una sola finestra e un grande balcone, una orientata a ovest l’altro a est, entrambi schermati da sottili coltri di color blu cobalto e le pareti erano ricoperte da pannelli in legno piuttosto scuro, anch’essi incisi con scene di caccia. Il pavimento era anch’esso ricoperto in legno, e non vi era traccia di tappeti, cosa alquanto strana.

Ranma si avvicinò ad una delle lampade ad olio e l’accese, rischiarando ulteriormente l’ambiente, poi sospirò e si voltò verso di lei, l’aria decisa. “Potresti chiudere le porte?” lei eseguì, ma poi non si mosse dal suo posto appena oltre la soglia e con aria altrettanto decisa, lo fissò con vera e propria antipatia. Non era certo un tipo che dissimulava le sue emozioni, si disse ironicamente Ranma, lieto tra l’altro di quell’ultimo aspetto. Se fosse stato un tipo svenevole e… appiccicoso, non avrebbe retto. Ora però la cosa più importante era mettere in chiaro le cose.

Incrociò le braccia al petto e sospirò “Bene… Prima di tutto voglio rassicurarti” Akane lo guardò in attesa “Non… non ti ho comprato per… per…”

‘E’ arrossito?!’ Akane inarcò un sopracciglio perplessa, notando in effetti il colorito improvvisamente acceso del suo nuovo padrone.

Finalmente lui parve ingoiare il rospo che aveva in gola e sbottò tutto in un fiato “Non ti ho voluto per fare del sesso con te!”

Se non fosse stato per l’ondata di sollievo che l’aveva pervasa, Akane si sarebbe messa a ridere: il ragazzo era paonazzo ed era visibilmente in preda ad un imbarazzo notevole. Il che era perlomeno strano, se non ridicolo. Lo guardò con maggiore attenzione, non gli credeva del tutto, ma se ciò che diceva era vero allora perché cavolo l’aveva comprata, sfidando l’ira di suo padre? Che volesse davvero vendicarsi?

“Però c’è qualcosa che devi fare per me – Akane assottigliò gli occhi, sospettosa, ma continuò a restare in silenzio – Del resto chi vuoi che abbia così cattivo gusto da farci quello con un maschiaccio come te…”

Quell’ultimo commento irritò la ragazza tanto da farle abbandonare il suo mutismo. “Credi di essere tanto affascinante tu, forse?” sbottò furiosa, stringendo i pugni come per trattenersi dal prenderlo a schiaffi.

“Ehi, non dovresti parlarmi con più rispetto?” lei si morse le labbra e tornò a fissare il pavimento, reprimendo ancora di più la propria rabbia. Ranma le si avvicinò “Che caratterino! Hai davvero una linguaccia irriverente… Eppure il venditore aveva detto che eri domata.” Non sapeva nemmeno lui perché, ma prenderla in giro era davvero un piacere inaspettato. Soprattutto perché quella ragazza indisponente sembrava non farsi problemi nel rispondergli a tono!

“Sono gli animali selvaggi che si domano… mio signore!” affermò lei, pronunciando quelle ultime parole con la stessa ruvidezza che se l’avesse offeso.

Il principe sorrise sempre più divertito, poi allargò le braccia “Lasciamo perdere, per il momento ti perdono… - Akane gli schioccò un’occhiata furibonda per quell’ultima parola – ora torniamo a quello che farai per me. Voglio che tu mi dica come eseguire quella portentosa tecnica che ti ho visto mettere in pratica al serraglio ieri.”

Akane fu tanto sorpresa da quella richiesta da dimenticare persino la rabbia. Sgranò gli occhi e fissò il ragazzo che la osservava in impaziente attesa “Cosa?! E’ per questo che…”

“Certo! Per quale altro motivo avrei comprato una come te? Allora, come si…”

“Tu… lei vuole che le insegni la tecnica del Dragone nascente?”

“Già, voglio impararla… E’ una tecnica straordinaria! Non avevo mai visto nulla di simile prima d’ora!”

Akane era sempre più stupita; gli occhi del principe sembravano ardere ora, pieni di smania. Lui le si era avvicinato ancora di più e teneva quei grandi occhi puntati dritti sulla sua faccia. “Ma è impossibile…”

“Cosa? Cosa è impossibile?”

“Lei non può imparare, non è…”

“Non credi che sia capace?! Guarda che sono il migliore combattente di Augusta! Sono un vero e proprio maestro!”

“Non è questo, non solo almeno. Io non posso insegnarle nulla.”

“Ma perché?”

Lei sbuffò e distolse lo sguardo “Perché è una tecnica delle Amazzoni e io non posso infrangere il patto che lega le donne di polso. Le Amazzoni non insegnano le loro tecniche se non ad altri membri della tribù, pena il disonore… E poi lei è un uomo.”

Ranma inarcò un sopracciglio, perplesso “Che cavolo significa questo? Che c’entra che sono un uomo?”

Akane scosse la testa, sconcertata dall’ignoranza di quel tipo “Le Amazzoni insegnano solo alle donne! Non troverà mai un’amazzone disposta a insegnare una tale tecnica ad un uomo! E’ vietato dal codice d’onore delle donne di polso.”

“Questo è assurdo! E poi tu non mi sembri un’amazzone, eppure conosci la tecnica.”

“Obaba mi ha adottato come sua figlioccia, non sono un’amazzone di sangue, ma faccio parte della tribù comunque… e rispetterò le volontà delle Amazzoni, non insegnerò la tecnica a nessuno.”

Ranma si sentì beffato. Aveva offeso sua madre, oltraggiato suo padre, si era inimicato un potente alleato, speso una fortuna, piegato il suo orgoglio per chiedere a quella di insegnargli quella tecnica e lei con un’alzata di spalle rifiutava! Era il colmo!

“Senti un po’, a me non frega nulla di questo codice da strapazzo! Devi insegnarmi quella tecnica, devi!” la prese per un braccio per costringerla a guardarlo, ma lei si divincolò e lo fissò con vero e proprio odio.

“Non lo farò mai. Può pure uccidermi, ma non lo farò.”

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


It takes me higher

Di Breed 107

Capitolo terzo

 

“Cosa?!” gli occhi grigio blu della ragazzina si spalancarono, mentre lei si metteva a sedere nel grande letto.

La sua cameriera annuì e le sedette di fronte “Sì, sua grazia. A palazzo non si parla d’altro! Io stessa ho visto il giovane principe suo fratello avviarsi verso le proprie stanze con quella ragazza!”

La principessa sprofondò di nuovo sui morbidi cuscini alle sue spalle e guardò il baldacchino del proprio letto “Ranma ha comprato una schiava… E’ incredibile! Mia madre ne sarà addolorata… ma perché avrà fatto una cosa del genere?”

L’anziana cameriera sorrise dell’ingenuità della giovane “Beh, sua grazia, la ragazza mi è parsa particolarmente bella. Forse il principe ne sarà rimasto affascinato, come tutti gli altri uomini presenti al banchetto.

Ranko si morse le labbra e sbuffò “Oh, come vorrei esserci stata anch’io! E invece come al solito sono dovuta restarmene qui! Mi perdo sempre il meglio! Maya…”

“Sì, sua grazia?”

“Credi davvero che Ranma abbia comprato quella ragazza per farla dormire con lui?” Maya batté le palpebre, confusa; nonostante fosse al servizio di quella ragazzina praticamente da quando quella piccola peste era nata, ancora non riusciva ad abituarsi alla sua sconcertante mancanza di tatto.

“Beh, sua grazia, io non…” cominciò a borbottare imbarazzata, ma la ragazza non la stava nemmeno ad ascoltare. Si era girata su un fianco e con fare assorto stava giocherellando con una ciocca dei suoi lunghi capelli rossi, ereditati chissà da quale antenato.

“Non credevo che a Ranma interessassero le ragazze. Lui e Ryoga sono così presi dalle arti marziali che pare non esista null’altro…”

“Anche suo cugino, il signor Ryoga, ha acquistato una schiava.

“Cosa?!” Ranko tornò a fissare la sua cameriera.

“Già e non una schiava qualsiasi! Niente meno che un’amazzone!”

Gli occhi della ragazza parvero risplendere di gioia “Davvero? Un’amazzone?!

“Già. E’ una donna piuttosto strana, sapete? E’ anziana, ma sembra saperne una più del diavolo! Proprio al banchetto ha dato mostra di una delle tecniche più incredibili a cui io abbia mai assistito: pensi sua grazia che l’ho vista sdoppiarsi con questi occhi! Una cosa davvero incredibile! E nonostante avesse catene pesantissime alle braccia, non faceva che sfilarle di continuo!”

“Non vedo l’ora di conoscerla! Una vera amazzone in questo palazzo! E’ un sogno che si avvera, Maya!” la vecchia cameriera annuì, conoscendo i motivi per cui la bella principessa fosse così felice.

Erano anni ormai il cui unico desiderio di quella giovane irruente era quello di diventare un'amazzone. Certo non di sangue, ma sapeva che un'abile combattente come lei non avrebbe avuto molte difficoltà a farsi accettare tra le donne di quel popolo. Ciò che le aveva impedito fino a quel momento di esaudire tale desiderio era l’opposizione dei suoi genitori a farle lasciare il palazzo per recarsi nelle remote terre delle Amazzoni.

L’amore per le arti marziali che pure pervadeva la giovane, non era però l’unico motivo… L’aveva vista praticamente crescere, diventare donna (o quasi) e sapeva che dietro tanta smania di diventare una delle donne di polso c’era anche dell’altro, un motivo tenuto segreto, ma che la vecchia cameriera aveva intuito da tempo.

Sospirò, sapendo che il resto delle novità che aveva da raccontare non avrebbero riempito più di gioia la principessa, proprio a causa di tale segreto. “Anche il capitano Taro – al sentire nominare il ragazzo, Ranko si era fatta particolarmente attenta – ha acquistato una schiava.

“Cosa?!” ripeté per la terza volta la ragazza, stavolta però nei suoi occhi c’era qualcos’altro oltre alla sorpresa.

Maya annuì “Sì. Il nostro capitano ha acquistato una schiava delle terre di Amarat.”

“Uhm… davvero? – Ranko si sdraiò di nuovo dando le spalle alla cameriera, forse a volerle nascondere il proprio viso – una… vecchia schiava, come quella di Ryoga?”

“Ecco, in verità…” Maya esitò, stirando delle inesistenti pieghe sulla propria veste con gesti nervosi. Non avrebbe voluto dare un simile dolore alla sua principessa, ma prima o poi la notizia le sarebbe comunque giunta, quindi se proprio doveva scoprirlo, meglio saperlo da una voce amica. “E’ una giovane. Molto timida, mi è sembrato…”

Ed è… bella?”

“Beh, non saprei, io…”

“Maya…”

“Sì, sua grazia, è molto bella. Anche se non bella quanto sua grazia!”

Ranko la guardò con la coda dell’occhio, poi le sorrise con dolcezza “Non occorre che tu mi blandisca, Maya… E poi non me ne importa granché di quello che fa quello scemo.

“Sì, sua grazia.”

“Non lo facevo tanto disperato da doversi comprare una donna. Del resto è tanto repellente che nessuna lo vorrebbe, quello lì!” sbuffò la ragazza, coprendosi con le lenzuola fin sopra il capo.

La cameriera capì che era il momento di lasciarla sola; si allontanò dal letto e dopo aver spento la lampada che rischiarava la camera, si avviò verso la porta “Buonanotte sua grazia, dorma bene.

Non le arrivò nessuna risposta, ma Maya non ne fu sorpresa. Con un sorriso mesto lasciò la stanza e dopo che le porte furono chiuse, Ranko abbassò le lenzuola.

Le era dispiaciuto non aver risposto al saluto della sua cameriera, ma se l’avesse fatto l’altra avrebbe sentito il tremito della sua voce, tremito dovuto alle lacrime che stavano serrandole la gola e riempiendole i grandi occhi grigio blu, così simili a quelli di suo fratello maggiore.

“Idiota…” mormorò, mentre la prima lacrima le correva lungo una guancia.

--- --- ---

Taro starnutì un paio di volte, mentre sdraiato sul letto osservava il soffitto della sua camera. Accanto a lui, rannicchiata su un fianco, i chiari capelli sciolti sul cuscino, Ame dormiva tranquilla. Il ragazzo la guardò accertandosi di non averla svegliata, poi tornò a guardare verso l'alto. ‘Chissà chi mi sta nominando…’ pensò divertito, poi sospirò.

Non era pentito di aver preso con sé quella ragazza. Non era il tipo da piangere sul latte versato, né da avere molti rimorsi, anche perché raramente sbagliava. Poteva forse sembrare un tantino immodesto dirselo da solo, ma si conosceva abbastanza: era un tipo risoluto, deciso, determinato e niente affatto stupido. Sbagliava raramente e se accadeva, dimenticava presto. Non era da lui quindi commettere simili colpi di testa… Ora come ora, infatti, non sapeva nemmeno perché avesse comprato quella ragazza. E questo era strano.

Certo non per il suo bel faccino: se c’era qualcosa che non gli mancavano erano le donne. Era corteggiato, persino infastidito da molte, troppe donne e non aveva certo bisogno di acquistarne una. E poi quella Ame era sì bella, ma non era il suo tipo. E allora perché? Un motivo lo sospettava…

Suo padre era amaratiano. Aveva conosciuto sua madre in un viaggio attraverso le terre Amazzoni ed incantato dalla sua bellezza e forza, le aveva chiesto di sposarlo, ma la famiglia di lei lo aveva rifiutato poiché un’amazzone puro sangue poteva unirsi in matrimonio solo con un appartenente alla propria stirpe. Il giovane abitante dei boschi non si era arreso ed aveva sfidato il padre della ragazza, come le leggi comandavano; ne era uscito mezzo morto, ma vincitore, sposando così la sua amata.

I primi anni erano stati felici per loro, ma il valoroso ragazzo non era mai riuscito a sconfiggere del tutto la diffidenza del villaggio, non entrandovene a far parte praticamente mai, poi quando Taro aveva appena tre anni era morto, colpito durante una battaglia. Non lo ricordava affatto e di lui sapeva solo ciò che sua madre gli aveva raccontato; lei gli aveva inoltre sempre raccomandato di andare fiero di quell'uomo tanto coraggioso. Per il piccolo la vita era stata comunque davvero dura… Era stato offeso, picchiato, beffeggiato per quel sangue amaratiano che scorreva nelle sue vene, ma più veniva offeso, più ne andava orgoglioso, proprio come la sua genitrice gli aveva detto.

Aveva dieci anni quando all'indomani della morte della madre era scappato dal villaggio e si era messo in cammino verso Amarat; era stato un viaggio arduo per un bambino così piccolo, tanto che una volta aveva rischiato di essere ucciso da un orso mentre attraversava una foresta. L’aveva salvato uno strano vecchietto sorprendentemente forte, che aveva atterrato l’animale con un solo dito; lo strano individuo lo aveva poi preso con sé e portato ad Augusta, di cui aveva detto essere il sovrano. Da allora Taro non aveva mai lasciato il palazzo di Augusta ed era entrato a far parte dell’esercito, diventando in breve il capitano della guarnigione reale.

Da quando era lì aveva quasi dimenticato l’urgenza di conoscere le proprie radici, poiché a palazzo non era né un amaratiano né un amazzone, ma semplicemente Taro, il capitano Taro, l’amico di Ranma e Ryoga. Null’altro.

Fino a quella sera. Vedere un'amaratiana così vilipesa gli aveva rammentato le umiliazioni che egli stesso aveva patito da fanciullo per quella parte del suo sangue e non aveva resistito. Doveva essere quello il vero motivo si disse, rimuginando su quanto ciò in realtà lo facesse sentire uno stupido sentimentale…  Sbuffò e si rigirò nel letto, dando le spalle a quella ragazzina che ora serena gli dormiva accanto.

--- --- ---

Ranma sospirò. Era seduto sul proprio letto, mentre la ragazza era ancora in piedi dinanzi alla porta, immobile e silenziosa. Il principe aveva provato ad insistere, ma lei si era richiusa a riccio e non aveva più proferito verbo, scegliendo il silenzio assoluto. Questo aveva spento le proteste del giovane, ma non aveva calmato il suo malumore.

“Ci deve essere un modo, un mezzo per scavalcare la legge delle Amazzoni. Io devo imparare quella tecnica…” la guardò, ma lei restò naturalmente zitta. Se fosse esistito un simile mezzo, da lei non lo avrebbe saputo.

Stanco e demoralizzato, Ranma decise di lasciar perdere per il momento “Sarà meglio andare a letto ora, domani ne riparleremo” disse in un sussurro. Akane pensò di sfuggita che fosse un vero testone, ma ora era qualcos’altro a preoccuparla.

Si guardò in giro, cercando qualcosa che non vedeva, fino a quando i suoi occhi non si posarono su una porticina in legno posta su un lato della camera. Ranma seguì il suo sguardo “Quella è la sala del bagno. Il palazzo di Augusta sorge su una fonte termale sotterranea e quasi ogni camera ha una sala con dell’acqua calda. Naturalmente se vuoi puoi usarla, anche se penso che le schiave ne abbiano una per loro conto. Almeno credo…” ma non era esattamente al bagno che Akane stava pensando.

Dov’è il mio letto?” chiese, tornando a guardare il ragazzo.

“Il tuo… non hai un tuo letto.”

Cosa?!”

Ranma si strinse nelle spalle “Non era previsto che prendessi una schiava.

Ma allora dovrò dormire con le altre schiave, no?”

Lui scosse la testa e sorrise ironico “Lo so che ti sembrerà assurdo, ma tu sei la mia schiava, sei la schiava personale del principe… E poi tutti credono che ti abbia voluto per… per… - ecco che il rossore tornava a sfumargli le guance, ma lei stavolta non lo notò – Insomma, sembrerebbe strano se non ti facessi dormire qui” con un gesto vago della mano indicò il letto alle sue spalle.

Akane sbarrò gli occhi e s’appiattì contro la porta alle sue spalle “Io non dormirò nel suo stesso letto! E’ escluso!”

“Ehi, guarda che non fa piacere nemmeno a me dividere il letto con una simile piaga, ma se non vuoi dormire a terra, allora dovrai accontentarti e comunque sta’ tranquilla: non ti sfiorerò nemmeno con un dito. Non ho il gusto dell’orrido io!”

Come rassicurazione non era certo molto gentile, ma Akane non si lasciò convincere: il solo pensiero di dividere il letto con quel… quel… tipo, le faceva ribollire il sangue dalla rabbia. “Piuttosto che dormire con lei, resto qui!”

“Senti, a me non importa nulla, fa’ quello che ti pare! Dormi a terra, sul terrazzo, in bagno, dove cavolo vuoi! Io me ne vado a letto, arrangiati!” sbottò il ragazzo stufo e lasciandola dov’era si avviò verso la sala del bagno. Quando ne uscì un bel po’ di tempo dopo, Akane era seduta a terra, ancora poggiata alla porta, le gambe raccolte contro il petto e le braccia poggiate in grembo: evidentemente aveva deciso sul serio di non muoversi da lì. ‘Che testarda!’ pensò Ranma infilandosi sotto le lenzuola e dandole le spalle.

--- --- ---

Quando Akane si svegliò, la prima cosa che avvertì fu una sensazione di calore avvolgente. Il che era strano perché rammentava di aver provato molto freddo quella notte, rannicchiata contro la porta della camera. Si mosse lentamente, emergendo sempre più dal torpore del sonno e finalmente riaprì gli occhi. Osservò il soffitto su di lei e batté le palpebre, ancora confusa. Poi si rese conto di non essere più seduta a terra, e per di più di essere coperta. Era su un letto, il letto del principe, perché quella era la sua camera. Quindi lei ora si trovava sul suo letto…

Scattò a sedere e la prima cosa che fece fu gettare le coperte a terra; era vestita, constatò con sollievo. Infatti indossava quella sottospecie di abito della sera prima. Non era una gran garanzia, ma poi pensò che per quanto si fosse addormentata profondamente, se quello smidollato avesse provato a… beh a farle qualcosa, se ne sarebbe resa conto. Sospirò e sprofondò di nuovo sul letto, godendone per cinque secondi l’estrema comodità. Poi un altro pensiero la fece sussultare, facendola scattare di nuovo. ‘Lui dov’è?!’ si chiese guardandosi intorno, ma del principe non c’era traccia; nemmeno dalla sala da bagno arrivava alcun suono. Non c’era…

‘Ma che ora sarà? E che cavolo ci faccio qui? Stavo seduta lì in terra e devo essermi addormentata. Come ci sono finita in questo… affare?' la risposta alla prima domanda non le fu difficile da trovare, guardando al di fuori del balcone. L’alba doveva essere trascorsa da un pezzo, perché il sole era ben alto in cielo, probabilmente dovevano essere le nove passate.

Scivolò giù dal letto e sfregandosi le braccia, uscì fuori al piccolo balcone dove vide per la prima volta lo splendido cortile che si stagliava proprio al di sotto: era davvero molto bello, con aiuole fiorite e panche in pietra, una grande fontana al centro e possenti colonne che lo circondavano per sorreggere il porticato che vi si avvolgeva armonicamente intorno. Osservò per poco però quello splendore, distratta dalla vista di due ragazzi che combattevano.

Uno di loro era certamente il suo padrone, il principe, mentre l’altro le sembrava di averlo visto al serraglio… Aveva chiamato il principe cugino, se non rammentava male. Li osservò nonostante tutto curiosa da quel combattimento, che pur essendo chiaramente un allenamento, era molto serrato. E doveva ammettere che entrambi i ragazzi erano due combattenti notevoli, soprattutto il principe: era spaventosamente veloce.

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Ryoga evitò a stento un pugno di Ranma saltando all’indietro, ma il cugino gli fu subito addosso, veloce come sempre. Riuscì a bloccare un altro suo pugno afferrandogli il braccio con una mano, vedendolo arrivare per sua fortuna proprio all’ultimo momento. “Ehi, sta’ calmo! Se mi colpivi, mi avresti spaccato la faccia!” gli disse, scostandolo poi in malo modo. “Credevo ci stessimo solo allenando!” gli rammentò, riprendendo fiato.

Ranma annuì e si asciugò il sudore che gli imperlava la fronte con un braccio “Sì, è vero, scusami… sono di cattivo umore.

Ryoga sbuffò e si avvicinò al cugino, scrutandolo. “Ora me lo spieghi perché hai voluto che quelle due venissero qui? Quando tre ore fa mi hai tirato giù dal letto, non mi hai voluto dire nulla! Ora che ti sei sfogato, che ne dici di dirmi che ti è passato per la testa?”

“Già, Ranma, dillo pure a me. E’ vero che hai comprato quella schiava così focosa?” la voce di Taro fece voltare i due ragazzi, mentre arrivando da uno dei molti ingressi che affacciavano sul cortile interno, il capitano si avvicinò loro.

Ranma si strinse nelle spalle “Sì, è vero, ma anche tu ti sei dato alle pazze spese…”

“Vero, ma tu non sei il tipo da dare un simile dolore a tua madre per un bel paio d’occhi… Dimmi che non hai voluto prendere quella ragazza per farti insegnare la tecnica del Drago, Ranma” il capitano lo guardava quasi divertito, irritando ancor di più il ragazzo.

“E se invece fosse così?!

Taro scoppiò a ridere, stavolta più apertamente “Oh, andiamo! Perché non mi hai detto di questa brillante idea, eh? Ti avrei messo in guardia. Scommetto che la tua bella non ha voluto saperne, vero?” il silenzio di Ranma fu una risposta sufficiente. “Non te la insegnerà mai.”

“Mai dire mai. Piuttosto, tu sei un amazzone, conosci il loro codice e saprai se c’è un modo per scavalcare la legge che proibisce di insegnare agli uomini.

“Ti faccio notare che io sono un uomo e che ho vissuto tra le amazzoni abbastanza poco, perciò… Comunque puoi sempre chiedere alla vecchia che ha acquistato Ryoga, il quale lasciamelo dire, ha avuto più occhio di te. Da quello che ho sentito è in gamba.”

Ryoga annuì “Sì, è incredibilmente abile. Ora è con le altre schiave, ma credo che potrebbe raggiungerci.”

Taro sorrise “E la tua bella, Ranma, lei non ti raggiungerà?” dicendo quello, alzò lo sguardo fino al balcone della camera del principe, imitato dagli altri due. Ranma osservò Akane e quando lei si rese conto di essere stata scoperta si voltò indignata e dopo aver dato loro le spalle, ritornò all’interno, mostrando uno sdegno ancora più grande della notte prima.

“Quella non è la mia bella! E’ arrogante, irriverente, acida, un maschiaccio… ed è anche inutile! Se penso a…”

“Come sarebbe a dire inutile? – Taro inarcò un sopracciglio ed incrociò le braccia al petto – Vuoi dire che stanotte tu non hai…”

“Ma come ti viene in mente?!” il colore del viso del principe si avvicinava paurosamente alla sfumatura carminio della camicia che stava indossando; ad occhi sgranati osservò l’amico stringersi nelle spalle e poi sedersi sul bordo della fontana.

“Beh, non ha dormito con le altre schiave, perciò credevo…”

Ranma sbuffò e allargò le braccia “Nessuno deve sapere il vero motivo per cui l’ho presa con me, se mio padre sapesse di questa storia, non ci penserebbe a mandarla dal generale Kean!”

“Probabile, ma a te che importa? In fondo non ti è utile, no?”

“Non è ancora detto! E poi quel tipo mi è talmente odioso che mi terrei quella ragazza solo per fargli dispetto!”

Ryoga scosse il capo “Che idiota! Così vuoi tenertela in camera affinché tutti pensino che sia la tua amante e non l’allontanino, ma hai pensato a quanto potrà durare questa storia? Fino a quando potrai tenertela?”

“Non lo so, non ci ho pensato… e per ora non voglio pensarci! Vedremo, ora quel che conta è imparare quella tecnica.

“Sei davvero ossessionato! Di’ la verità, la ragazza ti piace, eh?” lui fece una smorfia eloquente ed evitò di rispondere, poi pensò di ripagare quell’arrogante di capitano con la sua stessa moneta.

“Tu piuttosto: la schiava che hai comprato ha dormito con le altre?”

Taro scosse il capo, per nulla turbato “No, stavo per mandarla nelle camere della servitù, ma si è addormentata dopo pochi minuti.

“Vuoi dire che… che ci hai dormito insieme?”

“Beh, Ryoga, c’è un solo letto nella mia camera, proprio come in quella di Ranma…”

“Già, ma quella mezza pazza ha preferito dormire a terra! Temeva che ci provassi… che stupida!”

Ryoga alzò gli occhi al cielo, mentre Taro rideva di nuovo "Poverina, deve essersi fatta davvero una pessima idea di te! Evidentemente non ha ancora capito che sei il peggior imbranato delle terre conosciute.”

“Quella sarebbe capace di raffreddare qualunque ardore! E’ l’essere più acido e irritante che abbia mai avuto la sventura di incontrare!”

Taro stava per rispondergli, ma fu interrotto dall’arrivo di Ranko, la sorella minore di Ranma. La ragazza era sbucata da uno degli ingressi e stava guardandosi in giro per localizzare il gruppetto di ragazzi; quando li ebbe scorti, si avvicinò con aria decisa. I tre la guardarono in silenzio, preoccupati: quando Ranko aveva quell’espressione, voleva dire che stava macchinando qualcosa. E questo di solito significava guai.

La ragazza finalmente giunse dinanzi ai tre e dopo un’occhiataccia risentita riservata a suo fratello e a Taro, puntò i grandi occhi su Ryoga “Devo parlare con te, cugino” asserì.

Il ragazzo inarcò un sopracciglio “Buongiorno Ranko. Sembra importante…”

Lei incrociò le braccia al petto “Te ne parlerò in privato – squadrò gli altri due – non voglio che certa gente possa interromperci.”

Ranma fece una smorfia “Capirai… Cosa può volere una bamboccia come te?”

Taro inarcò un sopracciglio e annuì col capo “Scommettiamo che so di cosa vuole parlare con Ryoga? Vediamo… ha a che fare con il fatto che lui è il padrone di una schiava amazzone?”

Ranko serrò indignata le labbra, ma non obiettò nulla. Suo fratello sospirò ed esasperato, allargò le braccia “Ancora con questa storia! Ranko, nostro padre è stato chiaro: tu non diventerai mai una amazzone!”

“Come se tu avessi mai dato ascolto a nostro padre! Sei tu il primo a non dargli retta! Ti sei persino comprato una schiava, disubbidendo al volere di nostra madre, capirai! Allora Ryoga, devo trascinarti a forza per poterti parlare da sola?!” era proprio arrabbiata, valutò il ragazzo notando non solo la sua voce dura, ma anche quel brillio negli occhi: era proprio la sorella di Ranma, non c’erano dubbi. Quando quei due si mettevano in testa qualcosa, non c’era verso per farli desistere.

“D’accordo, ti ascolterò Ranko.”

Lei sorrise trionfante e si allontanò, seguita dal cugino e scortata dallo sguardo degli altri due. “Forse portare quelle due qui a palazzo non è stata un’idea brillante. Mio padre vorrà la mia testa… Ora che ci si mette anche Ranko, poi!”

Taro si strinse nelle spalle “Non mi preoccuperei troppo per quella ragazzina, Ranma. E’ una bambina, cosa vuoi che possa fare? Invece tuo padre mi preoccupa di più. Non l’hai ancora visto?”

Il ragazzo scosse il capo, amareggiato “No, ma prima o poi dovrò farlo. E dovrò anche parlare con mia madre.”

“Anche a lei terrai nascosto il vero motivo per cui hai preso quella ragazza?”

“Non lo so… anche se a lei non importerà granché il motivo, Taro.”

“Già…”

--- --- ---

Akane era appena rientrata in camera, quando le porte si erano spalancate. Due donne, una giovane e un’altra più anziana, erano entrate facendola quasi sobbalzare dalla sorpresa.

La più giovane le aveva sorriso e si era inchinata, presentandosi. “Io sono Sayuri, sono una delle cameriere addette al tuo servizio.

“Al mio… servizio?” aveva chiesto confusa Akane, mentre la più anziana le si era avvicinata.

“Ed io sono Maya, cameriera personale della principessa Ranko, ma sono qui per aiutarti.

Ma io non ho bisogno, sono una schiava e…”

La donna più grande le aveva sorriso con indulgenza e aveva annuito “Sì, ma non sei una schiava qualsiasi, piccola mia. Sei la concubina del principe e come tale verrai trattata.”

Akane aveva spalancato gli occhi, avvampando furiosamente “Io una concubina?!

Sayuri aveva ridacchiato e senza perdere tempo aveva afferrato la ragazza per una mano e l’aveva trascinata verso la sala da bagno “Sei molto fortunata, Akane… Posso chiamarti Akane, vero? Dicevo, sei fortunata, perché il nostro principe non si era mai dimostrato interessato a nessuna ragazza prima di te. E non è che gli manchino le corteggiatrici! Qui a palazzo ogni giovane donna farebbe carte false per una sua attenzione!” troppo confusa per reagire, Akane si era lasciata trascinare senza sapere come ribattere.

Maya aveva annuito energicamente “Proprio così! Il tuo arrivo ha suscitato grande sorpresa a palazzo. E’ la prima volta che un membro di questa famiglia reale acquista uno schiavo. La regina Nodoka è sempre stata contro la schiavitù e che il suo amato figliolo abbia infranto questa usanza è stato motivo di sorpresa…”

Ma io… non…”

“Ora che ti guardo bene, capisco il perché. Sei proprio molto bella Akane” Sayuri le lasciò finalmente la mano. Si trovavano nella sala che Akane poteva vedere per la prima volta.

Era molto bella, decorata con mosaici ritraenti scene bucoliche e sul soffitto, avvolto in spirali possenti, un drago sembrava volare nel cielo cobalto. Il suo corpo era fatto di tessere color rubino, con scaglie dorate che lo rendevano luminoso e bellissimo, tanto che rapita da quella visione, Akane non rispose subito al complimento della giovane cameriera.

Maya intanto aveva aperto una sorta di rubinetto e dell’acqua aveva cominciato a scorrere nella vasca enorme, rotonda e piastrellata con piccoli mattoncini azzurri; a quella vista, Akane non poté reprimere un’esclamazione di sorpresa: non aveva mai visto nulla del genere. Dell’acqua calda che giungeva direttamente nella vasca! Era incredibile!

Maya rise, notando la faccia stupita della giovane “Scommetto che non hai visto qualcosa di simile, vero? Il palazzo di Augusta è l’unico delle terre continentali a godere di una tale fortuna; tutto merito di un’idea della regina, per sfruttare le fonti calde che scorrono sotto il palazzo” le spiegò, mentre senza nemmeno avvisarla aveva cominciato a spogliarla.

Akane aveva battuto le palpebre, ancora confusa, ma poi si era ritratta arrossendo “Posso fare da sola, grazie!” la cameriera aveva annuito, poi le aveva mostrato dei teli messi accanto alla vasca.

Appena avrai finito, asciugati con quelli. Troverai degli abiti nella camera da letto quando avrai finito. Allora io e Sayuri ti lasciamo sola, se preferisci.”

“Sì, grazie… Maya… io… non sono la concubina del principe… io…”

“Non importa, sei comunque la sua schiava. Di solito il principe si allena per tutta la mattina, perciò fino al suo ritorno credo tu possa prendertela comoda. Fa’ un bel bagno e poi mangia qualcosa, Sayuri ti porterà la colazione che troverai con gli abiti. Qualche preferenza?”

Lei aveva prima scosso la testa, poi aveva fermato le due che stavano per uscire “Ecco, potrei avere degli abiti più comodi? Meno… meno così” aveva infine indicato quelli che indossava e le due avevano sorriso.

“Certo, piccola. Se hai bisogno di qualcosa, tira quella corda che vedi accanto ai teli e Sayuri arriverà subito. A più tardi.” Le due si erano inchinate e avevano lasciato Akane sola, confusa più che mai.

Ora immersa nella vasca, si sentiva ancora più confusa. Sapeva il vero motivo per cui il principe l’aveva comprata, ma ora che ne sarebbe stato di lei? Non gli avrebbe insegnato la tecnica, questo era poco ma sicuro, perciò…

Sospirò e guardò il bracciale che aveva tolto per immergersi nell’acqua profumata di essenze “Che ne farà di me?”

Non le importava granché, in verità; l’unica cosa che le premesse era restare con Obaba… Certo, se quell’idiota avesse tentato di farla diventare davvero la sua concubina gli avrebbe spaccato il muso! Altrochè! Non gli piaceva per nulla; aveva infatti capito che tipo fosse: arrogante, superbo, vanitoso e viziato come solo un principe poteva essere. Era stata a servizio di persone ricche fin dalla tenera età e ne aveva incontrati parecchi di tipi così, fatta eccezione per Ucchan, ma era la prima volta che veniva acquistata da un ragazzo giovane… Sospirò di nuovo e guardò il drago sul soffitto: nonostante non fosse stata trattata male, si sentiva infelice, terribilmente infelice.

--- --- ---

Ryoga sbuffò, scuotendo la testa per la centesima volta “Ma perché no? Ti ho solo chiesto di prestarmi la tua schiava!”

“Ranko, è una persona, non è un oggetto che si presta!”

La principessa si morse le labbra e abbassò lo sguardo sui propri sandali “Sì, hai ragione, scusa…”

“Ma perché vuoi così tanto diventare un’amazzone? In fondo cosa cambia? Sei comunque la migliore combattente donna che ci sia, puoi quasi tenere testa a tuo fratello e a me… Cosa ti servirà mai acquisire le tecniche amazzoni?”

Perché voglio essere ancora più brava! Non riesci a capirlo, cugino? – lo guardò dritto negli occhi, risoluta – Non riesci a comprendermi, proprio tu? Non sei tu quello che cerca sempre di migliorarsi, senza sosta per apprendere nuove tecniche? Dovresti comprendermi meglio di qualsiasi altro!”

Ryoga le sorrise con calore, in fondo voleva molto bene a quella ragazzina “Ma io ho uno scopo preciso e cioè di battere quel caprone di tuo fratello. Fino ad ora non ci sono mai riuscito, per questo devo insistere… Tu non hai un motivo tanto importante.

Lei sospirò e volse altrove lo sguardo “Invece ce l’ho…” mormorò con un fil di voce, tanto che Ryoga non la udì.

Con affetto, il ragazzo le carezzò il capo scompigliandole i capelli rossi “Senti, cugina, io non posso prestarti Obaba, come dici tu, perché non la considero mia. È come se fosse un’ospite qui, un’ospite di riguardo anzi. Io non posso ordinarle di insegnarti un bel niente, ma nulla ti vieta di parlarle, così come nulla vieterà tuo fratello dal fare lo stesso. In fondo è lui che mi ha chiesto di prenderla con me.

Ranko lo guardò stupita “Cosa? E perché?”

“Credo per i tuoi stessi motivi…” spiegò vago Ryoga e fu sorpreso quando la ragazza scoppiò a ridere.

Ma è impossibile! Quel citrullo non lo sa che le Amazzoni non insegnano agli uomini?! Persino i bambini lo sanno!”

“Lui no evidentemente. Anche Taro gliel’la detto.”

“Quell’idiota… E’ vero che… che la sua schiava è bella?" chiese titubante, ma Ryoga non notò quell’imbarazzo o per lo meno non lo interpretò come tale.

“Beh sì, è molto bella. E’ una amaritiana.”

“Uhm… ed è vero che ha speso praticamente quasi tutto ciò che aveva per prenderla?”

“Vedo che le voci corrono… sì, l’ha fatto. Non me lo sarei mai aspettato da uno come lui, è sempre circondato da donne, non pensavo arrivasse a…”

Ranko fece una smorfia di disappunto “Circondato da donne, quel rospo?! Ma andiamo! Credimi, io sono una donna, quindi lo so: solo comprando una schiava quello ha la speranza di dividere il letto con una femmina!”

Il cugino arrossì e fece per ribattere, ma una voce caustica lo precedette “Io ci andrei piano nel definirti già donna, bamboccia… Ryoga hai finito? – Taro era arrivato alle loro spalle silenzioso come un gatto – Abbiamo cose più serie di cui occuparci.”

Ranko sbuffò e lo fissò con antipatia "Guarda che il mese prossimo compirò quindici anni, zuccone! Sono una donna, praticamente!”

Il ragazzo tirò su un angolo della belle labbra in un sorriso ironico e del tutto irriverente “Sì, sì, ripetilo che magari qualcuno che ci crede lo trovi, mocciosa. Ryoga, andiamo.”

“Sì, arrivo. A più tardi Ranko.”

“Ciao, bamboccia” la salutò infine il capitano, allontanandosi con l’altro ragazzo e lasciando la principessa sola e furente.

“Idiota… Non sono una bamboccia – mormorò la ragazza tra i denti, poi il suo sguardo divenne triste – quando te ne accorgerai?” domandò in un sussurro, prima di avviarsi mogiamente verso le sue stanze.

Quasi di corsa, per il timore di incrociare uno dei suoi genitori, Ranma fece ritorno verso la propria camera. Di solito non sarebbe rientrato così presto, lasciando praticamente l’allenamento mattutino a metà, ma Taro e Ryoga erano dovuti andar via per fare da scorta ad uno degli ospiti che avevano lasciato il palazzo e non aveva molta voglia di allenarsi da solo.

‘Farò un bagno, poi cercherò quell'amazzone. Lei saprà come fare, ne sono certo’ pensò entrando nella sua stanza. Stupito, vide degli abiti sistemati sul letto e del cibo sulla cassapanca, mentre della ragazza non c’era traccia. Che fosse uscita? Un suono proveniente dal bagno gli fece capire che invece lei era ancora lì. Certo che se l’era presa comoda!

Sbuffò e sedette sul letto, indeciso sul da farsi. Fino a quando quella peste non lasciava il bagno non poteva certo usarlo lui… Chissà poi perché non aveva raggiunto le altre schiave, era convinto che lo avrebbe fatto appena sveglia pur di fuggire da quella stanza!

Si sdraiò sul letto, poggiandosi ai gomiti e lasciò vagare lo sguardo per la stanza perso nei suoi pensieri, rivolti a sua madre soprattutto, a ciò che le avrebbe dovuto dire, sperando che la spiegazione del suo gesto alleviasse il dolore che le aveva certamente provocato. E poi pensò anche a suo padre: doveva essere furioso con lui. Non che gli importasse, così come non gli importava nulla di aver offeso quel generale odioso. In fondo sapeva come trattare con suo padre, di solito bastava ignorarlo.

Distratto dai suoi stessi pensieri, Ranma avvertì appena il rumore della porta del bagno che si apriva e sbadatamente guardò in quella direzione, più per istinto che per altro. Intanto, sospirando per la vera e propria sensazione di beatitudine che stava provando per quel meraviglioso bagno caldo, Akane lasciò la sala sorridendo lieta perché ogni traccia di stanchezza e tensione era sparita.

Avvolta in un grande telo bianco richiuse la porta alle sue spalle e con una mano scostò alcune ciocche bagnate che le si erano attaccate al volto; fece solo qualche passo prima di pietrificarsi per la sorpresa. Sgranò gli occhi e li puntò sul ragazzo che, semi-sdraiato sul letto, stava comodamente guardandola. Confusa per quella presenza inaspettata restò immobile, fissando il ragazzo che a sua volta la fissò in silenzio per alcuni istanti.

L’espressione di Ranma, distratta sulle prime, mutò e ben presto imbarazzo e sorpresa furono visibili sul suo viso; batté le palpebre un paio di volte e nonostante qualcosa dentro gli urlasse di non farlo, non poté evitarsi di guardare la ragazza da capo a piedi… Era ancora completamente bagnata, i capelli le erano attaccati al viso e alle spalle lasciate scoperte dal telo che teneva avvolto attorno al corpo, ma anche il telo doveva essere parecchio bagnato perché oltre ad essere attaccato a lei come una seconda pelle, era così trasparente da non coprire nulla… o molto poco comunque. Oltre al bracciale e a quel telo lei non indossava null’altro, persino i piedi erano nudi.

Ranma la osservò ancora per qualche istante, l’espressione confusa, poi parve ridestarsi e scattò a sedere, volgendo altrove gli occhi, mentre le guance si accendevano furiosamente. Fu quella vista a ridestare Akane che, lanciando un urlo, si nascose dietro il paravento in legno laccato posto proprio accanto alla porta. Anche le sue guance stavano ardendo per lo sdegno e la vergogna: quel maniaco l’aveva guardata!

Imprecando tra i denti, Akane si strinse di più il telo addosso, sperando che esso fosse meno trasparente di quanto le sembrasse in quel momento. Ranma intanto si era alzato dal letto e confuso si guardava intorno, indeciso sul da farsi. “Io credevo… ecco… Non dovevi essere qui e…”

“Non è una buona scusa per guardarmi!” sbottò lei, la voce vibrante per la rabbia.

“Mi sei apparsa davanti all’improvviso! Che dovevo fare?! E poi si può sapere che ci fai qui?! Dovresti essere con le altre donne!”

Lei si affacciò dal paravento, sporgendo solo il viso infiammato “Non è una mia scelta! Sono venute due donne e mi hanno detto che dovevo usare questo bagno! Pare che sia un onore riservato alla schiava del principe” asserì ironicamente, notando appena che anche il volto del principe era arrossato quanto il proprio.

Lui sospirò e nervoso si passò una mano tra i capelli “Sì, ho capito, ora però rivestiti, non puoi mica restare in quello stato…”

La schiava fece una smorfia “E come cavolo faccio? I miei abiti sono sul letto! Non ci penso nemmeno a vestirmi davanti a lei Signore, le ho già offerto uno spettacolo, Signore. Ogni volta che lo chiamava in quel modo, Ranma aveva la sensazione che quella parola avesse per lei la valenza della peggiore delle offese, forse per lo sdegno e il tono caustico con cui lo chiamava.

“Spettacolo? Credi che ti abbia guardata di proposito?! Se avessi saputo che saresti uscita mezza nuda da là dentro, sta’ certa che non avrei nemmeno messo piede qui! E poi capirai, credi di essere un così bello spettacolo?”

Lei strinse le labbra, livida: se solo non fosse stata praticamente nuda! Padrone o meno lo avrebbe preso a ceffoni! Che odioso!

Il ragazzo sbuffò e con gesti nervosi raccolse gli abiti ancora sistemati sul letto e fece per avvicinarla, ma Akane lo fissò con rabbia “Faccia ancora un passo e le stacco un braccio!” gli intimò, infischiandosene delle conseguenze.

Ranma la guardò allibito: non aveva mai avuto schiave, ma era certo che di norma non era quello il linguaggio con cui ci si rivolgeva al proprio padrone. “Volevo solo darti i tuoi abiti, stupida! Dovresti calmarti, perché ti assicuro che non m’interessa affatto guardarti, razza di maschiaccio!” le urlò contro, lanciandole poi gli abiti oltre il paravento. “Ora vedi di sbrigarti a toglierti di lì, devo fare anch’io un bagno!”

Mormorando tra sé e sé alcune offese non proprio adatte ad una ragazza, Akane si asciugò alla meno peggio e indossò l’elegante tunica color rosso cupo, bordata con una fascia dorata. Era semplice, ma molto bella valutò la ragazza, dimenticando la rabbia per alcuni istanti mentre la lucida seta grezza le scivolava sulla pelle; aveva uno scollo rotondo e maniche a tre quarti, ugualmente bordate con una striscia sottile dello stesso colore dell’oro. Insieme alla tunica vi era una fascia da mettere in vita, di un verde cupo. Akane la strinse con energia e sospirò: quegli abiti erano certo più confortevoli di quelli che aveva la sera prima!

Si affacciò e dopo aver constatato che il principe era dinanzi al balcone dove lei stessa si era affacciata prima, uscì dal suo riparo e avanzò verso il letto. Ranma si volse a guardarla, notando stupito come quel vestito così semplice le donasse molto; distolse però lo sguardo velocemente, temendo che quella sgraziata ragazzina ricominciasse a sbraitare. Come se l’avesse guardata di proposito poi! Non era questa gran bellezza…

Akane sedette sul letto e indossò i piccoli sandali in cuoio; stava legando i sottili lacci intorno alle caviglie, quando Ranma le si avvicinò e lei istintivamente si mise in piedi e si allontanò di qualche passo, mettendosi chiaramente sulle difensive.

“Ehi, non voglio farti nulla…” lei abbassò lo sguardo, ma la sua aria truce non sparì “Se avessi voluto farti del male, l’avrei già fatto. Ne ho avuto la possibilità, dopotutto.” In effetti…

Akane rammentò il suo risveglio, ma questo invece di rassicurarla la impensierì ancor di più “Perché… perché mi ha messo sul letto, Signore?”

Dal momento che non lo usavo io, ho pensato che potevi farlo tu e comunque sta’ tranquilla: ci hai dormito da sola. Io sono andato via subito dopo avertici sdraiata.

Akane strinse le labbra “Capisco” mormorò poi, congiungendo le mani in grembo.

Ranma sbuffò e, infastidito da quel suo atteggiamento così diffidente, la guardò corrucciato, le braccia conserte al petto. “Tu sai cosa voglio da te, la tecnica, solo questo, non voglio null’altro. E fino a quando non l’avrò imparata, dovrai essere la mia schiava, ma non ci tengo a toccarti, credimi. Perché doveva sempre offenderla? Akane sentiva che era alquanto stupido irritarsi per quelle parole, in fondo l’importante era che lui le stesse alla larga… ma perché doveva essere così villano?!

“Lei è uno strano principe… Signore” commentò, fulminandolo con lo sguardo.

“Chi? Io?! Sei tu quella strana! Ma lasciamo perdere, non ho voglia di discutere. Vado a fare un bagno e… ehi, non è che ti ritrovo lì dentro, no?” indicò la sala da bagno da dove lei era uscita da poco.

“Che cosa?! E perché diavolo dovrei seguirla?!

“Beh, sei la mia schiava… Magari ti era venuto in mente che dovessi che so, lavarmi la schiena o altre sciocchezze simili… Non è questo che fanno gli schiavi?”

La pazienza di Akane era quasi giunta al limite: se solo avesse potuto, lo avrebbe spedito in orbita a calci! Serrò le mani a pugno e lo fissò con vero e proprio furore. “IO NON FARO’ NULLA DEL GENERE! TE LO PUOI PURE SCORDARE!” urlò, completamente dimentica di rivolgersi a lui con rispetto. Lo sdegno era tale che la faceva tremare e Ranma fu certo che la sua aurea combattiva fosse al massimo, poteva infatti vederla, circondarla con un alone rosso cupo. Ne fu stupito: quella ragazza doveva essere una vera artista marziale per possedere una tale aurea, così visibile e percepibile… e doveva essere furiosa!

“Meglio così, mi sentirò meglio. Senti, mangia pure se vuoi, ho visto che hanno portato del cibo, poi va dalle altre donne. Però – Akane lo guardò, tentando di riacquistare la calma – tra due ore voglio che tu e la tua maestra siate giù nel cortile. Capito?”

“Sì, Signore” di nuovo quella parola, tagliente come una lama, carica di risentimento. Ranma la guardò per alcuni istanti, assorto; nonostante l’istantanea antipatia che avevano reciprocamente provato, quella ragazza lo incuriosiva. C’era qualcosa in lei, quel cipiglio battagliero e arrogante, quel suo essere così lontanamente assimilabile con una schiava…

Irritata da quello sguardo curioso, Akane inarcò un sopracciglio e lo fissò, infastidita. “Mi chiedevo… ecco – Ranma incrociò le braccia al petto – sei nata schiava?”

“Sono schiava da quando posso rammentare, Signore” era la verità, dopotutto. Non poteva dirgli tutto sulla sua nascita, naturalmente…

“Non hai il carattere di chi ha vissuto da schiava per tutta la vita.

“Il carattere è l’unica cosa che ci rimane, l’unica cosa che gente come lei non potrà acquistare, Signore” più che con odio, quelle parole furono pronunciate con orgoglio, ma anche con infinita tristezza. E la stessa tristezza Ranma poté vederla negli occhi di quella altezzosa ragazza e lo colpì; per la prima volta, il principe si chiese che vita poteva aver condotto quella ragazza fino a quel momento.

“Senti, non occorre che tu finisca ogni frase chiamandomi signore.

“Preferirebbe che la chiamassi Padrone?”

L’ironia di lei lo irritò, in fondo stava cercando di essere gentile! “Che strega! Senti, fa’ come ti pare, a me non interessa!” con passo svelto si avvicinò al paravento, ma prima di entrare nella sala da bagno, si volse a guardarla “Non credere che io sia orgoglioso di quello che ho fatto. Non ho mai avuto schiavi, né ne ho mai voluti… Prendendoti con me ho dato un dolore alla persona che più amo e stimo al mondo e ogni volta che poso gli occhi su di te, penso al dispiacere che le ho dato, perciò averti qui mi da lo stesso fastidio che ne hai tu nell’esserci costretta.”

Akane abbassò lo sguardo e scosse lievemente il capo “E’ stata comunque una sua scelta. Un privilegio che io non ho mai conosciuto.

“Sì, questo è vero, ma ora puoi scegliere: quel che fatto è fatto, ma rendere meno infernale questa nostra convivenza forzata dipende da entrambi. Sta anche a te decidere” lei non parve molto convinta di quelle parole, ma nel guardarlo nuovamente Ranma lesse nei suoi occhi l’ombra del dubbio… ed era già qualcosa. “Posso chiamarti Akane?” lei annuì e lui le sorrise con gentilezza “Ti si addice…”

Akane non si mosse anche quando il ragazzo sparì oltre la porta. Era confusa: sapeva che lui avrebbe usato ogni mezzo per convincerla ad insegnargli la tecnica, compreso il fingersi amichevole. Non ci sarebbe cascata, non avrebbe mai potuto fidarsi di lui, come di nessun altro.

Sospirando, si avvicinò alla cassapanca dove Maya e Sayuri avevano sistemato una quantità imbarazzante di cibo e sedendo sul letto, cominciò a mangiare; non aveva toccato cibo dal pomeriggio precedente ed ora la fame si faceva sentire, così decise di non pensare a nulla per il momento e di fare ciò che il principe le aveva detto, cioè mangiare e poi raggiungere le altre: non vedeva l’ora di ritrovare Obaba.

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Capitolo 4
*** capitolo quarto ***


It takes me higher

di Breed 107

 

Capitolo quarto

Non aveva che assaggiato un po’ di pane quando la porta si spalancò di nuovo all’improvviso e Akane si ritrovò in piedi senza nemmeno rendersene conto, tenendo nelle mani ancora il soffice e fragrante pane che stava mangiando. Una ragazzina entrò nella camera con fare sicuro, seguita a pochi passi da una delle due donne di prima, quella più anziana; fece pochi passi verso di lei, poi con un cenno del capo, ordinò all’altra di andarsene. Maya guardò fuggevolmente Akane, poi s’inchinò e ritornò sui suoi passi richiudendosi la porta alle spalle.

Akane non sapeva chi fosse quella ragazza più giovane di lei di un qualche anno, ma aveva un mezzo sospetto: doveva trattarsi della principessa di cui le aveva accennato prima la cameriera. Si inchinò al suo cospetto, ma lei non parve farci troppo caso. Sempre muovendosi con sicurezza le andò vicino e senza dire una sola parola la osservò da capo a piedi, con una tale irriverenza nell’espressione impertinente del viso che Akane capì di non essersi sbagliata: quella mocciosa doveva essere la sorella del principe!

“Sei davvero carina come dicono” sbottò, poi smettendo di osservarla e sedendosi sul letto.

“Grazie… Sua Altezza.”

“Posso prendere una mela? – indicò uno dei frutti sistemati su un vassoio e quando Akane inconsciamente si ritrovò ad annuire, ne afferrò uno – Mio fratello?”

“Sta facendo il bagno. Vuole parlare con…”

“No, no, non sono venuta per quel citrullo. Come ti chiami, scusa?”

“Akane, sua grazia.”

“Senti, ti spiace se ti do del tu? In fondo siamo quasi coetanee… a proposito, quanti anni hai?”

“Diciassette a mesi, sua grazia.” Akane era perplessa: che voleva quella ragazzina? Era chiaro che fosse lì per lei, ma non riusciva a capirne il perché… semplice curiosità?

Ranko diede un morso alla mela e sorrise, il suo sguardo s’illuminò rendendola così graziosa che Akane si sentì, se pur involontariamente, quasi conquistata: sfacciata o meno aveva qualcosa di irresistibilmente simpatico.

“Io t’invidio moltissimo.”

“Cosa?!” quella poi! Che poteva mai invidiarle?! Era una principessa!

“Sì, lo so, sembra assurdo, ma io t’invidio almeno un paio di cose: la tua maestra e il fatto che fai parte delle Amazzoni…”

“Io… io non sono del popolo delle donne di polso, sua grazia.

“Ma mio fratello ha chiesto a mio cugino di prendere con sé la tua maestra e lei è una Amazzone…”

Akane batté le palpebre: non sapeva che fosse per volere del principe Ranma che Obaba fosse rimasta a corte con lei. Beh, però a pensarci era logico: in fondo se voleva assicurarsi la tecnica del Dragone doveva aver pensato che avere Obaba a corte fosse di certo un vantaggio. Ma…ma allora perché non l’ha presa per sé invece di prendere me?’

“Sei comunque un’allieva di un’amazzone, quindi se pur non di sangue lo sei di fatto, no?”

“Sì, si può dire così, sua grazia.”

“Mi chiamo Ranko, puoi chiamarmi così se ti va.

“Ecco, non… non credo sia opportuno.”

La ragazza si strinse nelle spalle e prese un’altra mela, poi parve accorgersi di qualcosa “Oh, ma tu stavi mangiando! Continua pure, non fare caso a me, è quello che tanto fanno tutti, mi ignorano sempre.”

“Io… grazie… Però, se mi è permesso dirlo, stento a credere che qualcuno possa ignorare un persona come lei, sua grazia.”

Ranko sorrise e si strinse nelle spalle “Invece è vero. Per mio fratello sono una piaga, per mio padre una preoccupazione continua. L’unico che mi tratta con un po’ di rispetto è mio cugino Ryoga. Lui è davvero odorabile, sai? E’ così gentile… E’ lui che ha preso la tua maestra con sé, per volere di Ranma. Si può dire che sia stata più fortunata di te: mio fratello è insopportabile” e facendo una smorfia, morse ancora la mela mentre Akane riprese a mangiare, sempre più perplessa.

Non aveva mai trattato con molti principi, ma era sicura che quella famiglia avesse un che di poco regale, almeno a giudicare dai giovani rampolli del casato. Ranma aveva sì alcuni aspetti dei vari ricchi che aveva incontrato, ma per certi versi… per certi versi lo si poteva definire un ragazzo semplice, fissato con le arti marziali forse. E poi i suoi alloggi erano fin troppo sobri per un simile titolato.

“Mio fratello ha provato a toccarti?” Akane cominciò a tossire, la domanda della ragazzina le aveva mandato quasi di traverso il boccone di pane che stava mangiando. Ranko invece la guardò con la massima tranquillità, per niente imbarazzata.

“No! Certo che no!” sbottò senza nemmeno pensarci, poi però le rivennero in mente le parole del ragazzo sul fatto che tutti avrebbero dovuto crederla sua… insomma la sua amante. Si chiese se quella menzogna fosse destinata anche alla giovane principessa. “Ecco, non… non credo di poter parlare con lei… di certe cose.

“Non sono una mocciosa, anche se qualcuno lo pensa. – i grandi occhi blu si incupirono come se un'ombra fuggevole li attraversasse – Ma conoscendo mio fratello, non credo che lo abbia fatto: non ne sarebbe capace. E non solo perché è molto timido per certe cose, ma perché dopotutto è un bravo ragazzo, non farebbe del male ad una ragazza come prenderla senza il suo volere. Akane ricambiò il sorriso dolce della principessa e continuò a mangiare, più tranquilla.

Quella ragazza le piaceva, tutto sommato: non le sarebbe dispiaciuto diventare la sua cameriera. Anzi, forse dopo che tutto l’imbroglio sulla tecnica del Dragone si fosse risolto in un modo o nell’altro, poteva esserle destinata, se aveva fortuna… e se si comportava docilmente. Questa prospettiva non le piaceva granché, ma se voleva restare in quel palazzo, dove di certo avrebbero tenuto Obaba visto la mania del principe per le arti marziali, allora lei doveva essere più malleabile e dimostrarsi più educata, tanto per cominciare proprio con lui. Che ne avrebbe fatto altrimenti di lei, dal momento che non aveva intenzione di insegnargli alcunché?

Mentre finiva il suo pasto, rispose con molta gentilezza alle numerose domande della principessa, soprattutto sul popolo delle Amazzoni, argomento sul quale la ragazzina sembrava avere una curiosità inesauribile. “E’ vero che gli uomini delle Amazzoni possono sposare solo altre amazzoni?”

Akane annuì “Di solito è così. Ciò non vale per le donne, che possono sposare chiunque si dimostri abbastanza forte da riuscire a sconfiggerle in un duello. Penso per far sì che il sangue guerriero si rigeneri di generazione in generazione.

“Uhm, quindi un’amazzone non può sposare chi vuole, ma solo chi riesca a sconfiggerla.”

“Se viene sfidata da un estraneo al suo popolo e questi risulti vincitore, la legge vuole che lo sposi, anche se non lo ama. Se è però abbastanza fortunata, potrà accettare liberamente la proposta di uno del villaggio, se non è stata mai sfidata da nessun altro; in pratica deve sperare che l’uomo che ama chieda la sua mano prima di essere battuta da un altro… o deve vincere il duello, il che non è così raro, tutto sommato.” Ranko annuì perplessa, anche se quelle risposte sembravano aver confermato cose che già sapeva.

“Sua grazia mi sembra molto interessata alle usanze delle Amazzoni. Forse aspira a far parte del popolo delle donne di polso?”

Ranko si strinse nelle spalle “Mi piacerebbe immensamente Akane, ma mio padre non lo permetterebbe mai. Io sono una brava combattente, sai? Mi sono allenata fin fa bambina con i migliori insegnanti e anche se non sono paragonabile a mio fratello, riesco egregiamente a tenere testa a chiunque altro! Amo le arti marziali e sarebbe meraviglioso per me apprendere le tecniche delle Amazzoni, ma mio padre non vuole nemmeno sentirne parlare, per lui la mia vita è già segnata. Ha già deciso chi sposerò! Ma forse simili preoccupazioni sembreranno sciocche ad una schiava, vero?” Akane scosse il capo, sinceramente vicina a quella ragazzina e a ciò che provava. In fondo entrambe anelavano ciò che non potevano avere, se pur da posizioni opposte: la libertà.

La porta del bagno si aprì in quel momento e, i capelli umidi e non legati nell'usuale codino, Ranma rientrò nella stanza. Stupito osservò la sorella comodamente seduta sul letto “Ranko, che ci fai qui?”

“Facevo conoscenza con Akane. Ero curiosa di conoscerla, in tutto il palazzo non si fa che parlare di lei e di quanto tu sia stato audace nel portarla via al Generale Kean.”

Il ragazzo fece una smorfia e si strinse nelle spalle “Forse non otterrò il mio scopo, ma almeno quel borioso non l’avuta vinta. Se tu credi che io sia detestabile, non immagino come considereresti quell’uomo” disse rivolto ad Akane, che però restò impassibile. Scosse la testa, per nulla stupito dell’atteggiamento freddo di lei. “Vado nelle stanze di mia madre, tu sei libera di girare per il palazzo come più desideri, rammenta solo quello che ti ho chiesto prima: desidero vedere la tua maestra e te nel cortile tra un paio di ore.”

“Sì, Signore.”

Ranma inarcò un sopracciglio: forse si sbagliava, ma il tono della sua voce sembrava meno sprezzante… soprattutto nel chiamarlo signore!

Dopo averla guardata ancora per qualche istante, si avvicinò all’unico specchio della stanza e cominciò a risistemarsi i capelli, intrecciandoli nel solito codino. Akane lo guardò titubante, poi trattenendo a stento un sospiro triste, gli andò accanto. “Posso fare io, Signore?”

Ranma stavolta la guardò palesemente sorpreso: da dove veniva tanta gentilezza? ‘Forse è la presenza di Ranko.’ Le diede la piccola stringa e, leggermente imbarazzato, si voltò.

Akane gli si mise alle spalle e gli prese i capelli tra le mani, erano ancora umidi e caldi per il recente bagno e fu stupita di quanto fossero morbidi “Mi scusi Signore, ma dovrebbe sedersi, è troppo alto per me. In effetti lei gli arrivava malapena alle spalle.

 “Sì, certo…” Sempre più imbarazzato, il principe sedette sul letto e lasciò che lei gli intrecciasse i capelli. Avvertire le sue dita tra i capelli lo innervosiva, soprattutto per la presenza di sua sorella che stava guardandolo con un’aria maliziosa che non gli piaceva affatto. “Beh che vuoi ora? Non hai nulla da fare?”

“No, nulla. Credo che resterò ancora con Akane… E poi, lo sai fratellino, io potrei esserti utile.

“Tu? E come? Di solito mi ritrovo in un mare di guai a causa tua.

“Quando mai hai avuto guai a causa mia?!

Ranma inarcò un sopracciglio “Mmm, vediamo… Sempre! Ogni volta che combini qualcosa, nostro padre incolpa me per non aver badato alla sua piccolina.

Lei fece una smorfia e alzò gli occhi al cielo “Quanto la fai lunga! D’accordo, qualche volta hai avuto qualche problemino a causa mia, ma sei o no il mio fratellone adorato?” lo guardò battendo civettuola le ciglia.

Akane represse un sorriso divertito, aveva davvero visto giusto: la principessa era una vera forza della natura. “Ho finito, Signore” disse poi, richiudendo il codino.

“Oh, bene… Allora, sorellina, come ti renderesti utile?”

Il sorriso di Ranko si ampliò e guardò Akane “Credi che a me potresti insegnare la tecnica che so essere il motivo per cui mio fratello ti ha preso con sé?”

Ranma spalancò gli occhi e guardò la sua schiava “Ma certo! Perché non ci ho pensato?! Ranko è molto in gamba, sono certo che non avrà problemi ad imparare la tecnica del Dragone! E non essendo un’amazzone, potrà insegnarla a sua volta a chi vuole!”

Akane era confusa “Beh, teoricamente potrei, però…” non finì nemmeno la frase che Ranma scattò in piedi, felice.

“Perfetto! Ranko, sembrerà assurdo sentirmelo dire, ma sei straordinaria! Che idea fantastica!”

“Naturale, essendo una mia idea.”

“Ecco, io ne dovrei comunque parlare con la mia maestra. Il fatto che sua grazia sia una donna risolve la questione solo in parte, comunque non è un’amazzone.”

Ma presto lo diventerò! Anzi, lo diventerò sicuramente!”

“Già, ma a quel punto…”

Ranma sospirò allargando le braccia desolato “A quel punto non potrai più insegnarla a me… Sembrava una buona soluzione, troppo buona per essere attuabile. Ora vado, voglio parlare con nostra madre” e senza aggiungere altro uscì dalla stanza, l’aria visibilmente afflitta.

Ranko scosse il capo, sospirando “Poverino, un po’ mi fa pena. Sei sicura che non ci sia un modo per venirne fuori?”

“Credo che solo la mia maestra Obaba possa rispondere in merito, sua grazia.

L’altra ragazza annuì, poi sorrise divertita “Se quel citrullo di mio fratello imparasse la tecnica grazie a me, mi sarebbe debitore a vita! Sarebbe davvero magnifico!”

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Nodoka fece segno al figlio di avvicinarsi. Era entrato nelle sue stanze senza farsi annunciare, ma la donna non era stata sorpresa di vederlo, né fu sorpresa dalla sua aria afflitta.

Quando Ranma le fu distante solo qualche passo, la regina si alzò dal suo seggio e lo guardò negli occhi con severità “Mi hai dato un gran dispiacere, figlio.

Lui annuì e abbassò lo sguardo: si era aspettato quelle parole, ma sentirsele dire gli fece comunque molto male. “Sì, madre, ne sono consapevole… e ne sono molto rammaricato.

“Ma il rammarico ed il dispiacere non ti hanno impedito di commettere comunque un’azione tanto detestabile.”

“C’è un motivo, madre.”

Lei assottigliò gli occhi ed inclinò leggermente il capo “Un motivo che giustifica il fatto che tu abbia acquistato un altro essere umano? E’ un così valido motivo, figlio?” nonostante il tono della donna fosse misurato come sempre, Ranma si sentiva turbato più che se lei gli avesse urlato contro con rabbia, anzi, quasi lo avrebbe preferito.

Nodoka sospirò e gli poggiò una mano sulle spalle “Ranma, ormai il danno è fatto, non puoi tornare indietro, ma spero che almeno tu tenga un comportamento decoroso e che mai, ti ripeto, mai, tu offenda quella ragazza in qualsiasi modo.

“Madre, il motivo per cui…”

La porta si spalancò in quel momento, interrompendo il ragazzo che si volse a guardare suo padre. Era visibilmente infuriato, ma non si fece intimidire, anzi ricambiò l’occhiata malevola dell'uomo e si inchinò a malapena in segno di saluto.

Genma gli andò incontro e gli si pose dinanzi, puntandogli contro un dito minacciosamente “Tu, razza d’irresponsabile!”

“Buon giorno padre, lieto di vederla in salute.

“Non scherzare, figlio! Cosa pensavi di fare, eh?! Mettermi così in cattiva luce con quell’uomo terribile! Tu non ti rendi conto di chi hai offeso!”

Ranma serrò i pugni, ora anche lui profondamente irritato “Il grande e potente re di Augusta teme un generale noto per le sue nefandezze e per la sua mancanza di rettitudine? Quell’uomo non era nemmeno degno di entrare a corte!”

“Non sta a te giudicare le nostre alleanze, razza di scriteriato! Quel generale è il braccio destro dell’unico regno con cui non abbiamo solide alleanze, se si esclude il regno di Nerima.

Ranma si strinse nelle spalle con un fare indifferente che sapeva avrebbe fatto arrabbiare ancor di più suo padre “L’insoddisfazione del generale Kean non è affar mio, anzi esserne la causa è un piacere” ribatté convinto.

Genma scosse il capo e si rivolse a sua moglie, restata in disparte durante quello scambio di parole infuocate “Tuo figlio è un irresponsabile! Creare una simile discrepanza, in un momento tanto delicato, poi! E per cosa? Un bel paio di occhi!”

“Non è…” Ranma stava per dire che non erano certo gli occhi di Akane che lo avevano spinto a prenderla con sé, ma si fermò: se suo padre avesse conosciuto il vero motivo, non ci avrebbe pensato su un paio di volte prima di spedire la ragazza dritta, dritta da quell’uomo. Sospirò, maledicendo il fatto di non aver potuto spiegare prima la verità a sua madre, ma doveva mentire. “Lei ora è mia.”

Ma Ranma, io non capisco! Ci sono decine di ragazze, solo qui a corte addirittura, che sarebbero state ben liete di… di dividere il loro letto con te senza che tu ne acquistassi una!” Nodoka lanciò un’occhiataccia a suo marito per la sua mancanza di tatto, ma in effetti non poteva dargli torto. Il re sospirò, ora più calmo “Avresti potuto avere chiunque volessi e hai sempre rifiutato, perché ora ti sei così incaponito?”

“Lei è speciale.” In effetti quante ragazze potevano conoscere una tecnica tanto impressionante?

“Ragazzo, se credi che io non capisca, ti sbagli – il re guardò sua moglie a disagio – E’ bellissima ed ha… un non so che, ma tenerla con te non farà che creare problemi e darà dolore a tua madre. Non è tardi, posso ancora far si che il generale Kean la accetti con sé e…”

“Akane non andrà via. Hai capito, vecchio? Non la darò a nessuno, meno che mai a quel bastardo! Non provarci nemmeno a mandarla via!”

Genma serrò le mascelle con uno scatto nervoso e si erse in tutta la sua stazza, fremendo di rabbia “Sei ancora in punizione per essere uscito senza permesso, torna immediatamente nelle tue stanze!”

“Ho il permesso di allenarmi?”

“No, certo che no! Resterai chiuso in quella camera per quanto già stabilito e del resto se il tuo acquisto ti è tanto caro, non troverai sgradevole il passar tanto tempo con lei!”

Lo avrebbe preso a pugni talmente volentieri che Ranma si trattenne a stento, solo per non dar ulteriori dispiaceri a sua madre; serrò pugni e labbra e chinandosi rigidamente dinanzi al suo re, salutò i suoi genitori e a passo veloce si avviò verso la sua camera. Naturalmente non aveva alcuna intenzione di ubbidire a suo padre.

Nodoka lo guardò allontanarsi ed uscire dalle stanze reali con il cuore in apprensione, era la prima volta che non riusciva a comprendere suo figlio.

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Akane entrò nella sala dove le avevano detto trovarsi la sua maestra nello stesso istante in cui Ranma si congedava in rabbioso silenzio dai suoi genitori. Aveva mangiato velocemente e scortata dalla principessa, aveva fatto la sua prima, vera visita al palazzo. Si sentiva molto più tranquilla rispetto alla notte precedente: accarezzava già l’idea di diventare la schiava di Ranko. Le piaceva molto e la sua vivacità ed allegria aveva finito con il contagiare anche lei. Quando entrò nella grande sala, sul suo viso infatti aleggiava un sorriso sincero e tranquillo.

Obaba non era sola, intorno a lei c’erano molte donne, molte delle quali davvero giovani. Erano alcune delle cameriere e delle dame di compagnia delle varie cortigiane, libere dai propri impegni e che, spinte dalla curiosità, avevano attorniato la vecchia amazzone e stavano letteralmente tempestandola di domande.

Quando Akane fece la sua comparsa, nella sala scese un silenzio compatto, dovuto non solo alla curiosità di vedersi palesare l’oggetto di molte di quelle stesse domande, ma anche naturalmente per la presenza della giovane principessa. Le donne dopo il primo momento di sorpresa scattarono in piedi e si inchinarono dinanzi alla giovane che però ignorò completamente i loro saluti. A passo svelto, precedette Akane e si avvicinò ad Obaba, che s’inchinò leggermente al suo cospetto.

“Immagino che lei sia la giovane principessa Ranko, cugina del mio nuovo padrone.

“Infatti… e lei è un’appartenente del popolo Amazzone, la cui venuta ha destato in me molta curiosità e gioia.

Stupita, Akane notò come la vivacità della ragazzina fosse sparita per far spazio a quell’aria ossequiosa. Ranko era visibilmente emozionata per aver finalmente conosciuto un’amazzone, così emozionata da sentirsi timida come non lo era stata prima di allora. Obaba le sorrise compiacente e le fece segno di sederle accanto in un prezioso divanetto, uno dei tanti che arredavano quella sala adibito proprio ad intrattenere le numerose donne al servizio nel palazzo.

“Akane, siedi anche tu accanto a me. Tutte queste persone mi hanno posto numerose domande, alla maggior parte delle quali solo tu potresti dar risposta, riguardando il tuo nuovo padrone.”

Akane si morse le labbra e sedette accanto alla sua istitutrice “Io non ho molto da dire…” Sentiva i numerosi sguardi delle altre su di sé e questo naturalmente le impediva di raccontare ad Obaba come stavano le cose. Alzò appena lo sguardo sui visi delusi che la circondavano, desumendo che se non si erano levate proteste per la sua riservatezza ciò era dovuto certamente alla presenza della principessa.

Osservando le varie donne raccoltasi intorno, Akane notò, un po’ più defilata anche la sua compagna di viaggio, la giovane e graziosa schiava amaratiana che era stata venduta la sera prima. “Oh, ci sei anche tu!” le disse, facendola arrossire.

“Sì” fu la sua imbarazzata risposta.

Una delle altre donne, una cameriera piuttosto anziana e meno in soggezione per la presenza di Ranko, sorrise all’indirizzo della timida schiava “La piccola Ame è stata fortunata. Il nostro affascinante capitano delle guardie l’ha acquistata suscitando enorme scalpore, certo non quanto ne ha suscitato il nostro amato principe” i suoi occhietti piccoli e furbi si posarono su Akane “Senza contare che per averti ha dovuto strapparti al generale Kean.

Akane avvampò, sia per imbarazzo che per rabbia: non tanto nelle parole, ma nel tono di quella donna aveva udito una nota di malizia che l’aveva infastidita, soprattutto perché non poteva mettersi a gridare la realtà e cioè che il principe non l’aveva comprata per il suo piacere personale!

“Non posso parlare per Ame, di cui scopro solo ora il nome, ma per quanto mi riguarda posso solo dire che finora il principe non mi ha trattato male” affermò, suscitando uno stuolo di commenti e risatine; evidentemente la presenza di Ranko non era più un deterrente sufficiente alla loro voglia di spettegolare. Ranko del resto non aveva prestato che un distratto orecchio a quelle ultime chiacchiere, i suoi occhi erano infatti fissi sulla giovane amaratiana e con stizza magistralmente celata, dovette ammettere che era bella, molto più di quanto si fosse aspettata dalle chiacchiere di Maya.

Obaba zittì tutto quel pigolare con un gesto della mano, sorridendo poi alla sua pupilla “Akane, converrai che questa sistemazione qui a palazzo offre dei vantaggi notevoli. I nostri nuovi padroni, da quel che ho sentito fino ad ora, sono giovani apprezzati e rispettati per le loro doti.”

Ranko sbottò, dimenticando completamente la grazia regale di poco prima “Che cosa?! Ma per favore! L’unica fortunata è stata lei ad essere diventata la schiava di Ryoga! Doti… tsé! Mio fratello è più testardo di un mulo! E’ superficiale, indifferente, arrogante come pochi, insofferente alla disciplina e Taro…- i suoi occhi si posarono sulla ragazza amaratiana, che le stava quasi di fronte – farebbe disperare un santo: è l’essere più irritante del regno! In realtà sei stata davvero sfortunata a diventare la schiava di quello sciocco!”

Con tutto il rispetto sua grazia, ma l’unico aspetto di sé che il padrone ha avuto la benevolenza di mostrarmi è stata la sua bontà d’animo e il rispetto… assoluto.”

Le parole accorate di Ame suscitarono una curiosità tale che persino Akane fu messa da parte. Le altre donne, una decina in tutto, si accalcarono intorno a lei, chiedendole cosa intendesse con rispetto e quando più volte la giovane sembrò non comprendere le loro domande, una di loro pensò bene di rivolgergliene una più diretta. “Hai dormito con lui nel suo letto o no?” le chiese senza preambolo alcuno.

Ame batté le palpebre, sventagliando le lunga ciglia chiare e arrossì “Beh, sì… io ed il mio padrone abbiamo diviso il suo letto, non essendocene altri nella sua camera, ma non mi ha sfiorato con un sol dito!”

“Sì, come no! Andiamo, ragazzina, con chi credi di parlare? Dobbiamo davvero credere che un giovane con la reputazione ed il fascino del capitano ti abbia acquistato a un prezzo tanto alto per farti semplicemente riposare nel suo letto?!” era di nuovo a parlare la donna più anziana del gruppo e sotto il suo sguardo Ame non poté fare altro che abbassare il suo, in cui cominciarono a brillare le prime lacrime.

“E’ la verità. Il padrone mi ha permesso di dormire con lui, ma non mi ha toccato” rispose con un soffio di voce che però non placò per nulla le altre.

Ranko all’improvviso si alzò in piedi, visibilmente infastidita dallo strepitare di tutte quelle oche, come le chiamò, ordinando poi loro di andar via ad eccezione di Obaba, Akane ed Ame. Akane gliene fu grata: sapeva che dopo la ragazza in lacrime, quel trattamento sarebbe stato riservato a lei… e di certo non avrebbe reagito piangendo, ma si sarebbe infuriata. 

Con un brusio, le donne lasciarono la sala che per alcuni istanti cadde nel silenzio, rotto solo dal suono delle lacrime malamente trattenute della schiava. Akane tentò di consolarla, poggiandole una mano su una spalla “Su, su… non piangere Ame.

“Io… mi spiace…”

Ranko la osservò con aria severa, poi sospirò “Smettila, a Taro non farebbe piacere vederti in lacrime, odia i piagnistei quello” disse seccamente e, con sommo stupore di Akane, Ame smise di piangere sul serio, asciugandosi gli occhi con le piccole mani.

Obaba sorrise compiaciuta alla giovane principessa “Lei sua grazia ha un modo di fare non molto principesco, ma che certo incontra il mio favore.

“Lo spero proprio! Nella vita non ho sognato altro che conoscere un’amazzone come te per diventare a mia volta una di voi! Ora il sogno si è realizzato!”

Obaba aggrottò le sopracciglia sottili e scrutò il volto della giovane per alcuni istanti “Posso domandarle il perché, sua grazia?”

“Come perché?! Cos’altro può desiderare una ragazza che ama le arti marziali? Io sono un’ottima combattente, credimi! Sarò un’allieva diligente, non te ne pentirai!”

“Non ne dubito, sua grazia, ma le vorrei rammentare che essere un’amazzone non comporta solo lo studio delle arti marziali. Essere un’amazzone implica anche regole di vita a volte ardue da accettare, che non possono essere discusse né ignorate per una donna.

Ranko annuì “Lo so, ne sono più che consapevole, ma questo non è affatto un motivo per tirarmi indietro…”

La vecchia amazzone continuò a fissarla alcuni istanti, poi un sorriso dolcissimo le ravvivò il grinzoso viso “Lei è simile alla mia Akane, sua maestà: stessa determinazione, stessa ostinazione. Mi dia tempo per pensarci su, la prego.”

“D’accordo, aspetterò la tua decisione" le assicurò con rammarico la ragazza, cercando di nascondere la delusione. Probabilmente aveva sperato che Obaba la accettasse immediatamente quale allieva.

“La ringrazio. Ora, Akane, visto che siamo tra orecchie amiche, raccontami pure cosa ti ha chiesto il principe.

“Vuole che gli insegni la tecnica del Dragone, è per questo che mi ha acquistato.

“Lo immaginavo… Quando ho visto con quanta determinazione ti ha voluto, rischiando persino un incidente diplomatico e conoscendo la vera e propria passione che il giovane principe ha per le arti marziali, ho capito che non erano le tue grazie ad interessargli, per il momento, almeno.”

“Obaba, ti prego! Non è il caso di scherzare!” Akane si alzò in piedi, nervosa “Non gli insegnerò mai nulla, lo sai bene. E non solo perché è un uomo… se non fossi vincolata dal patto delle Amazzoni non gli direi ugualmente nulla su quella tecnica!”

Ma lui è il tuo padrone…” azzardò Ame, meritandosi per quella frase un’occhiata rovente.

“Proprio per questo!”

“Ranma sa essere molto testardo credimi – Ranko sorrise, pensando a quanto la cocciutaggine fosse in realtà un tratto distintivo di famiglia – e non sarà soddisfatto fino a quando non avrà ciò che desidera.”

Anch’io so essere testarda, sua grazia.”

Obaba sospirò “Dovrò parlare di persona con questo giovane… Sono molto curiosa.

“Mi ha chiesto di portarti da lui tra un’ora, allora potrai vederlo e dirgli una volta per tutte che da me non otterrà nulla, mai!”

“Posso partecipare anch’io all’incontro? Sarà divertente di certo!”

“Su questo ha ragione, sua grazia – Obaba sorrise e uno strano brillio le illuminò i piccoli occhietti saggi – Ho il sospetto che ne vedremo delle belle.”

--- --- ---

Quando Ranma raggiunse il cortile, Akane e Obaba erano già lì. Con loro c’erano anche sua sorella Ranko e quella ragazza che Taro aveva preso con sé. A queste ultime due il giovane principe dedicò un’occhiata superficiale, dedicando la sua attenzione all'amazzone che vedendolo arrivare gli s’inchinò dinanzi con rispetto.

“Altezza…”

“Non occorre che ti inchini… Il tuo nome è Obaba?”

La vecchia scosse il capo, sorridendo “No, maestà, in realtà mi chiamo Kou-lon, Obaba è il nome con cui vengo chiamata da Akane sin da quando era una bambina. Ma se lo preferisce, può chiamarmi anche lei così.

Ranma annuì, soddisfatto di constatare la compiacenza con cui la vecchia amazzone lo trattava. Le fece segno di sedersi su una delle panche che circondavano il cortile e le sedette accanto “Akane ti ha detto…”

“Sì, maestà, mi ha spiegato. Lei è davvero intenzionato ad imparare la tecnica del Dragone?” il ragazzo annuì con fervore, il modo così tranquillo di parlare della donna riaccendeva in lui la speranza.

In piedi accanto alla sua maestra, Akane aggrottò le sopracciglia: perché Obaba non lo scoraggiava subito? Non poteva insegnargli la tecnica, era impensabile, non avrebbe certo infranto il codice delle donne di polso per lui, poi! Un ragazzo viziato e…

“D’accordo.”

“Cosa?!” Akane e Ranko sbottarono all’unisono, entrambe stupite, ma era di certo la prima quella più perplessa.

Ma Obaba…”

“Posso chiedere a voi tutte il favore di lasciarci soli per pochi minuti? Vorrei conferire con il principe in privato” la donna si volse verso le tre ragazze e sorrise loro con gentilezza, i suoi occhietti erano divertiti quando si posarono sulla sua giovane protetta. “Per favore, Akane…” le disse e fu lieta di vederla annuire.

Seppur a malincuore, Akane e Ranko lasciarono i due soli, seguite da Ame che personalmente non aveva idea di quello che stesse accadendo. Sedettero poco distante dai due e curiose restarono ad osservarli conversare, anche se non riuscirono a comprendere una sola parola. “Secondo te perché ha accettato così facilmente?” chiese la principessa ad Akane che scosse il capo.

“Non lo so, sua grazia. Forse esiste un modo per aggirare il codice, non so… sono sorpresa anch’io.

“Forse la venerabile Obaba ha preso in simpatia il giovane principe” commentò l’amaritiana, sedendo accanto alle altre due che si guardarono entrambe poco convinte di quell’affermazione.

--- --- ---

Anche Ranma era stato sorpreso dalla risposta dell'amazzone. Da ciò che quella scorbutica di Akane gli aveva detto, ma anche per quello dettogli da Taro e Ranko, si era convinto che sarebbe stata un’impresa titanica dissuadere la vecchia maestra ad insegnargli la tecnica. Era naturalmente euforico, ma controllò la propria gioia: aveva la brutta sensazione che dietro tanta arrendevolezza fosse celato un trucco di qualche genere.

Dicono che lei sia un combattente eccezionale, maestà” Ranma annuì, senza falsa modestia, dote che non aveva mai avuto. “Lei ama le arti marziali?”

“Sì, è logico, le amo sopra ogni cosa.”

La vecchia annuì comprensiva e parve riflettere su qualcosa, poi sorridente tornò a guardarlo “Accetterebbe di battersi con la mia Akane?”

Ranma spalancò gli occhi “Cosa?! Io non mi batto con le donne!”

Anche se questo sarebbe l’unico modo per conoscere il segreto della tecnica?”

“Non capisco, devo battere un’amazzone per farmi rivelare i suoi segreti?”

“In un certo senso… lei non conosce molto del mio popolo, vero?” i suoi occhietti furbi si posarono sul giovane che scosse la testa, imbarazzato dalla propria ignoranza. Taro gli aveva parlato molte volte di quel popolo di straordinari combattenti, ma lui aveva prestato sempre un orecchio superficiale ai suoi racconti: non era un brillante ascoltatore…

“Se riuscirà a sconfiggere Akane, le insegnerò la tecnica.

Perché lei? Se è da lei, venerata maestra, che dovrò apprendere la tecnica, perché devo scontrarmi con quella piaga?”

Obaba rise di gusto per l’appellativo non proprio lusinghiero che lui aveva affibbiato alla ragazza “Per quanto abile maestà, lei non avrebbe alcuna possibilità di sconfiggere una come me, ho troppa esperienza… Non faccia quell’espressione contrariata, non volevo offenderla.”

“Sì, ma non c’è altro modo? Combattere contro una donna è poco onorevole.

Anche se la donna in questione è una combattente di valore? Ho addestrato io stessa la piccola Akane e sono certa delle sue doti.

Ranma sospirò, ancora poco convinto. Per lui non era una scelta facile come si sarebbe potuto credere: combattere con quella testona avrebbe significato mettere da parte i propri principi e già per acquistarla ne aveva calpestati a sufficienza… Ma se non accettava le condizioni di Obaba, il dolore inflitto a sua madre sarebbe stato vano. “Devo sconfiggerla?”

Obaba annuì, poi comprese le perplessità del ragazzo e gli sorrise con calore “Non le sto chiedendo di batterla sonoramente, basterà dimostrare che le è superiore, tutto qui.”

“Davvero? Solo questo? Oh, ma allora è facile! D’accordo, ci sto! Batterò quella rompiscatole e tu m’insegnerai la tecnica!” Obaba scoppiò a ridere, divertita dal tono convinto del ragazzo che preso dall'euforia aveva dimenticato i sospetti di poco prima sulla buona disposizione di Obaba nei propri confronti.

Ranma scattò in piedi e con un sorriso trionfante richiamò la sua schiava. Ancora perplessa Akane si avvicinò ai due e osservò la sua maestra: sembrava soddisfatta. Che aveva in mente?

Cosa…”

“Sfidami.”

“Eh?!” Akane sbarrò gli occhi per quella richiesta del suo padrone.

Lui annuì, incrociando le braccia al petto “Obaba dice che devo battermi con te, però non mi sentirei a mio agio nello sfidare una donna, fosse pure un maschiaccio irritante come te, quindi, sfidami.”

Dire che fosse stupita è poco. Doveva battersi con il suo padrone? Non che il pensiero la disturbasse, avrebbe potuto dargli finalmente la lezione che si meritava, quell'arrogante superbo, ma… Ma perché Obaba aveva posto una simile condizione? Che lei sapesse, nel codice non era previsto che in caso di sconfitta un'amazzone fosse costretta a rilevare le sue tecniche segrete, anzi! Perplessa si volse verso Obaba, mentre Ranko e Ame si univano a loro.

Ma Obaba…”

“Non avrai paura di perdere, vero?” Ranma la stuzzicò, conscio che solo in quel modo avrebbe spinto quella testarda a sfidarlo.

Cosa?! Io perdere con uno come te?! Mai!”

“Allora non tirarla per le lunghe e sfidami.

Obaba annuì, compiaciuta poi fissò la sua pupilla “Non vorrai tirarti indietro, cara?”

“Certo che no! Il problema è un altro: sono una schiava, la sua schiava – fissò Ranma con occhi ardenti d’ira – come posso alzare un sol dito contro il mio padrone? Potrebbero condannarmi a morte per questo!”

Ranko scosse il capo “Non c’è pericolo, Akane, noi manterremo il segreto. Certo, se lo uccidessi, ci sarebbero dei problemi…”

Ranma fece una smorfia “Figurati, non riuscirà nemmeno a sfiorarmi” disse con sicumera. Fu la goccia che fece traboccare il vaso colmo d’ira di Akane.

“La sfido, padrone” la sua voce risuonò tesa e carica di astio, così come il suo sguardo pareva ardere di sdegno. Ranma annuì soddisfatto: avere quella tecnica sarebbe stato più facile del previsto.

--- --- ---

Ranma osservò la sua sfidante. Non poteva evitarselo, ma il pensiero di scontrarsi con quella ragazzina irritante lo divertiva più che disturbarlo.

La sala dove doveva avvenire l'epico scontro era silenziosa; a bordo del tatami Akane stava sistemandosi alla ben meglio l’abito, mentre Obaba le era accanto, il suo sguardo vivido si spostava dalla ragazza al giovane principe che, già pronto, era in attesa della sua sfidante. Ranko ed Ame costituivano l’esiguo pubblico di quella sfida; la giovane principessa aveva giurato solennemente che non una parola su quell'incontro sarebbe uscita dalle sue labbra, soprattutto con suo padre. Non osava pensare a quello che sarebbe successo se si fosse saputo che la schiava del principe lo aveva sfidato in duello! Non credeva che Akane potesse battere Ranma e questo le spiaceva, tutto sommato.

Suo fratello era davvero imbattibile, soprattutto quando, come in quel caso, all’esito del duello era legato qualcosa a cui teneva. Osservò il volto concentrato della ragazza e percepì la sua rabbia. Chissà perché la vecchia amazzone aveva posto quella condizione? Lei doveva sospettare che Akane non avrebbe avuto alcuna speranza, perché quindi condannarla ad una sconfitta?

Dopo un’ultima occhiata perplessa alla sua istitutrice, Akane salì sul tatami, raggiungendo il principe. Lo fissò non dissimulando il fastidio per lui e per quella situazione; non temeva di essere battuta, aveva battuto uomini grossi anche il doppio di lui senza alcuno sforzo, ma la decisione di Obaba la sconcertava. Sospettava, a ragione, che la sua maestra le nascondesse qualcosa.

“Sei pronta?” le chiese Ranma, facendo sparire il sorrisetto irriverente che aveva sfoggiato fino a quel momento e assumendo un’espressione più seria, anche se la ragazza dubitava molto la tenesse davvero in considerazione e quello, si disse, sarebbe stato un vantaggio per lei. Essere sottostimata da un simile arrogante pallone gonfiato era indubbiamente un vantaggio.

“Sì.”

“Non vuoi cambiarti? Con quella veste potresti trovarti in impaccio e…”

“Non si preoccupi” lo interruppe stizzita e si mise in posizione, aveva alzato l’orlo della tunica fino alle ginocchia in modo che la tunica non le impedisse di muoversi.  Non era certo l’abbigliamento più adatto ad un combattimento, ma non si sarebbe fatta fermare da quello.

“Oh, lo dicevo solo perché dopo non lo usassi come pretesto.

Akane partì all’attacco ancor prima che lui finisse la frase. Gli corse incontro e provò a colpirlo con un calcio, che naturalmente lui schivò: non credeva affatto di impensierirlo con una simile tecnica, voleva solo saggiare la velocità del suo avversario. ‘E’ veloce, molto più veloce di quanto mi aspettassi’ pensò, preparandosi a colpirlo ancora.

Provò ancora numerosi attacchi, tutti infruttuosi, mentre il ragazzo si limitava a non farsi colpire: intuiva che Akane stava studiandolo e da quel poco che poteva capire, sembrava che stesse dosando le sue forze. ‘Forse per non mostrarmi il suo potenziale. Dev’essere dotata di una forza fuori dal comune per una ragazza, peccato pecchi in velocità… già, peccato per lei.’

Akane provò un affondo più serio, con un doppio pugno ed un calcio all’indietro, una sequenza eseguita con velocità maggiore rispetto a quanto mostrato sino a quel momento, anche se non abbastanza per impensierire Ranma che con un’agile capriola all’indietro seppe evitare i suoi colpi. ‘Che rabbia! Quel maledetto sta giocando al gatto con il topo!

“Perché non mi attacca?! Che razza d’incontro sarebbe questo?” gli urlò contro esasperata.

Ranma si strinse nelle spalle “Non mi va. Avanti, fatti sotto o sei già stanca?”

Akane non sapeva cosa fosse più umiliante: il non poterlo colpire o subire le sue prese in giro!

Con un urlo carico di frustrazione, si scagliò contro il suo avversario per l’ennesima volta, decisa a provare una finta. Caricò un pugno mirando al viso e, soddisfatta, lo vide spostarsi proprio nella direzione in cui lei aveva previsto. Con tutta la velocità che poteva permettersi, alzò l’altra mano stretta a pugno e provò a colpirlo nuovamente, ma proprio quando credeva d’esserci riuscita avvertì la presa forte e salda della sua mano intorno al proprio polso.

Nonostante avesse caricato quel colpo con tutta la propria forza, lui non sembrava aver compiuto alcuno sforzo per bloccarla, non era riuscita nemmeno a levargli dal volto quell’insopportabile sorriso arrogante…

“Non male, ma così non otterrai nulla – con la stessa facilità le bloccò l’altra mano, afferrandole il polso allo stesso modo – che ne dici di provare con la tecnica a questo punto? Se ora la usi ti lascio andare, tanto di questo passo la tua maestra finirà per insegnarmela lo stesso. Akane provò a divincolarsi, sempre più irritata: quell’odioso stava praticamente dicendole che non aveva alcuna possibilità di sconfiggerlo!

Per quanto provasse a liberarsi, le mani di Ranma continuavano a serrarle i polsi con fermezza. “Mi lasci!” gli urlò contro esasperata: magari avesse potuto usare la tecnica, ma era talmente arrabbiata e frustrata che non le sarebbe stato possibile.

Ranma allentò la presa leggermente, continuando però a trattenerla “Smettila di agitarti, o ti farai male. Allora, ammetti la sconfitta?”

“No, mai!”

Provò a calciarlo e anche se non lo colpì, riuscì però a far sì che le lasciasse i polsi; Ranma infatti indietreggiò di qualche passo, per nulla preoccupato, anzi il sorriso di prima sembrava ancora più ampio. “Che testa calda! Vuol dire che sarò costretto a batterti.”

Akane gli si lanciò contro di nuovo, soddisfatta per il fatto che lui non accennasse a muoversi, segno che aveva deciso effettivamente di contrattaccare per una volta. Bene, se si fosse avvicinato abbastanza per provare a colpirla, lei avrebbe avuto qualche possibilità!

Tese il braccio, decisa a provare nuovamente con una serie di colpi veloci, ma non aveva portato a fondo nemmeno il primo di questi che Ranma praticamente le sparì dinanzi. Con un agile e velocissimo salto, che lei intravide appena, Ranma le balzò alle spalle, per di più usando il suo capo come appoggio: sentì infatti appena il tocco delle sue dita tra i capelli, un tocco leggero e quasi impalpabile.

Era impossibile… come poteva saltare così agilmente senza quasi alcuno slancio?!  Akane sgranò gli occhi, esitando per lo stupore alcuni secondi che in effetti le costarono la sconfitta. Ripresasi dallo shock, provò a rivoltarsi per affrontarlo nuovamente, ma prima che potesse farlo, sentì la mano di lui afferrarle il collo e trascinarla all’indietro, fino a quando, più attonita che mai, si ritrovò con le spalle pressate contro il suo petto. L’altra mano di lui le circondò la vita, per impedirle ogni movimento.

“A questo punto credo che tu debba arrenderti…” la sua voce le arrivò in un soffio lieve all’orecchio e istintivamente Akane deglutì: la bocca le si era inaridita di colpo.

Provò a muoversi, ma la presa attorno al suo collo si serrò percettibilmente pur senza farle alcun male. “Se questo fosse un vero combattimento saresti già priva di sensi… o morta.” Di nuovo la sua voce, tranquilla e ferma, priva persino di quel tono arrogante che gli aveva sentito fino a qualche momento prima. Non che questo la facesse sentire meglio: sapeva di aver perso, il principe aveva ragione. E per di più aveva perso in maniera eclatante, vista la facilità che il suo avversario aveva sfoggiato nell’umiliarla.

Ranma la sentì tremare sotto le sue mani e, in fondo, molto in fondo, si sentì quasi in colpa. La ragazza che fino a pochi istanti prima era stata animata da uno spirito combattivo notevole, ora se ne stava immota contro di lui, eccettuato quel lieve tremore dettato, ne era certo, dallo sdegno. Non la conosceva molto, e nemmeno ci teneva a conoscerla a dire il vero, ma aveva compreso quanto orgogliosa fosse ed una simile sconfitta doveva amareggiarla non poco.

Gli spiaceva non aver partecipato per nulla a quel combattimento, atteggiamento che lui per prima riconosceva come poco onorevole, ma non avrebbe mai potuto colpire una ragazza, fosse pure una piaga come quella. Del resto Obaba gli aveva chiesto di sconfiggerla, non di colpirla… e lui l’aveva sconfitta, questo era fuori di dubbio. “Ti arrendi?” le chiese, cercando di infondere nella propria voce quanta più gentilezza potesse.

Akane non gli rispose, si limitò ad annuire con un cenno del capo e quando la lasciò infine andare, restò ferma dov’era… solo le sue mani abbandonate lungo i fianchi tremavano ancora lievemente.

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Capitolo 5
*** Capitolo quinto ***


It takes me higher

Di Breed 107

 

Capitolo quinto


Sconfitta.

Raramente Akane si era sentita tanto sconfitta, nonostante la sua vita fosse stata colma di umiliazioni fin dalla più tenera età. Era stata battuta, per di più solennemente e senza alcuno sforzo apparente, da colui a cui era stata venduta, il suo padrone.

Era tanto lo scoramento che quasi non avvertiva la rabbia che pure stava permeandola e la faceva vibrare sommessamente.

“Ehi… tutto bene?” Akane si voltò verso il principe e lo fissò, il proprio viso inespressivo nonostante il tumulto di emozioni che stava provando; lui era tranquillo, non c’era né soddisfazione né superbia nel suo sguardo che privo dell’aria arrogante con cui l’aveva affrontata, sembrava quasi esser gentile.

Lo detestò con tutte le sue forze proprio per quell’aria conciliante che gli atteggiava il volto: l’aveva sconfitta con una facilità troppo disarmante, non poteva sopportare il suo atteggiamento garbato. Avrebbe trovato meno insultante se lui si fosse fatto beffe di lei… quella cordialità aveva il sapore amaro della pietà per Akane che non gli rispose.

I suoi occhi foschi per lo sdegno abbandonarono il ragazzo per posarsi sulla sua maestra, rimasta immobile al di fuori del tatami. L’aveva capito, aveva capito cosa Obaba l’aveva indotta a fare, eppure non ci credeva, non poteva crederci!

La vecchia amazzone le sorrise con gentilezza e aiutandosi con il nodoso bastone da cui non si separava mai, saltò verso i due giovani. “E’ stato un combattimento interessante, principe Ranma… istruttivo, potrei dire.”

Quelle parole strinsero il cuore di Akane che, sgranando gli occhi, fissò la donna con sgomento “Obaba…”

“Non devi essere troppo amareggiata, ragazza mia, una sconfitta in un combattimento onorevole è un buon pretesto per migliorare.”

Se l’avesse presa a calci, Akane ne sarebbe stata meno stupefatta. “Onorevole?! Come… come può essere tutto ciò onorevole?! – la voce le vibrava per la rabbia che ora si, stava prendendo il sopravvento – Lui non ha fatto altro che evitarmi! Non ha combattuto per nulla, come puoi dire che ciò sia onorevole? Proprio tu!”

Obaba sorrise, stendendo le rughe del suo volto raggrinzito ed assumendo un’espressione che mal celava la tenerezza per la sua pupilla “Avrei trovato molto più disonorevole se il principe ti avesse colpito. Sei pur sempre una ragazza, pur se una ragazza molto forte. Ora, sua altezza, potrò insegnarle la tecnica del Dragone senza remore.”

Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, perplesso… Era contento naturalmente di averla spuntata e per di più facilmente, ma aveva la strana sensazione che quella vecchia lo avesse messo alla prova. Non aveva voluto soltanto assodare le sue capacità di combattente e stranamente aveva superato la prova senza neppure sapere come! Beh, poco male.

Sorrise soddisfatto e sfoderando la solita superbia, incrociò le braccia al petto “Bene, cominciamo subito?”

Akane lo fulminò brevemente con un’occhiataccia e strinse le labbra fino a farle diventare esangui, poi tornò a dedicarsi alla sua maestra “Non lo farò” disse con fermezza, mentre Obaba le sorrideva innocentemente.

“Che significa? Dev’essere lei ad insegnarmi la tecnica?” chiese Ranma confuso.

“Credo che Akane alluda a qualcos’altro che, in quanto perdente della vostra piccola sfida, è obbligata a fare dal codice delle Amazzoni.”

“Oh… cioè? Che deve fare, prostrarsi ai miei piedi o qualcosa del genere?” quell’uscita gli fece meritare un’ulteriore occhiata inceneritrice da parte della sua schiava, la quale visibilmente faceva sempre più fatica a trattenere la rabbia.

Ranko si morse le labbra, per nulla stupita dall’ignoranza di suo fratello riguardo al codice delle donne di polso… e poteva anche capire cosa provasse Akane. Sarebbe stato proprio divertente osservare la reazione di Ranma nello scoprire la simpatica legge amazzone… Ebbe la tentazione di raccontargli tutto, ma preferì aspettare.

Obaba scosse il capo, sembrava la calma fatta persona “No, sua altezza, nulla del genere. Akane, tu sai che in quanto amazzone sei tenuta al rispetto della legge.”

“Ma io non voglio! Non potrei mai… mai! Perché mi hai fatto questo, Obaba?” le domandò infine, dando voce a quella dolorosa questione: si sentiva come se la sua maestra l’avesse ingannata… tradita. E per cosa? Per chi?!

Lo sconforto che questi pensieri portarono la ridussero sull’orlo delle lacrime che solo con uno sforzo titanico riuscì a trattenere, anche se sia la vecchia amazzone che Ranma si resero conto del suo stato.

“Sapevi a cosa andavi incontro accettando questa sfida. Hai perso e non voglio credere che la fiducia in te sia stata così cieca da non farti considerare, nemmeno per un istante, la possibilità di essere battuta.”

Nonostante il tono tranquillo con cui queste parole furono pronunciate, esse risuonarono talmente risolute e severe da far sobbalzare quasi la ragazza umiliata. Era vero, non aveva affatto considerato di essere sconfitta dal principe nel momento in cui lo aveva sfidato. Spinta dalla rabbia aveva sottovalutato il suo avversario, avvezza com’era ad essere di solito molto più forte di qualsiasi uomo avesse avuto l’ardire di sfidarla.

Obaba aveva ragione: era stata sconfitta dalla propria arroganza, ancor prima che da Ranma. Questo non rendeva più accettabile la sconfitta, anzi…

“Posso… posso ritirarmi, per il momento… Signore?” domandò con voce flebile: non avrebbe resistito ancora per molto sotto lo sguardo della sua istitutrice.

Ranma annuì perplesso, voleva evitarle l’umiliazione di piangere in pubblico. Non era molto fiero del modo in cui aveva combattuto, ma di certo sarebbe stato peggio colpirla e farle del male. “Sì, ritirati pure, credo che… ecco, tu sia libera di andare ovunque tu voglia,”

‘Ora che non le servo più…’ aggiunse mentalmente Akane con amarezza; gli si inchinò leggermente dinanzi in segno di saluto e lentamente si allontanò dal tatami. Non voleva mettersi a correre dando così l’impressione di fuggire, ma quei pochi passi che la portarono all’esterno del dojo, scortata dallo sguardo e dal silenzio di tutti loro, furono tra i più lunghi che avesse mai compiuto.

Appena giunta all’esterno fu inondata dalla luce abbagliante del sole e solo in quel momento, sicura di essere al riparo da altri occhi, lasciò che le lacrime le scivolassero lungo il viso. Poi aumentando la velocità, ritornò verso il palazzo dirigendosi istintivamente verso la camera del principe.

 

--- --- ---

 

Dopo che Akane ebbe lasciato la sala, ci furono lunghi istanti di silenzio, imbarazzato per alcuni, mesto per altri. Fu Ranma, del quale non si poteva dire che la pazienza fosse tra le sue virtù, ad interromperlo rivolgendosi alla vecchia maestra “Bene, Obaba… cominciamo subito?”

“Non vedo perché indugiare, signore” gli occhi del ragazzo brillarono letteralmente di gioia, poi però parve riflettere su qualcosa.

“Forse sarebbe meglio spostarci in un luogo più appropriato, dove non fare danni” aveva visto il putiferio causato al serraglio da Akane e quella stanza così piccola non avrebbe retto all’impatto di una tecnica tanto devastante.

Obaba ridacchiò e scosse la testa “Se sua altezza crede di poter far danni già dai primi tentativi, mi dispiace avvertirla che resterà alquanto deluso – di fronte all’espressione confusa del ragazzo il volto dell'amazzone si tirò in un sorriso ancora più ampio – la tecnica del Dragone va imparata a gradi: ci sono segreti da apprendere prima di poter sferrare un colpo così potente e i primi passi lei potrà certo acquisirli in uno spazio limitato quanto questo. Per i danni dovrà aspettare quindi.”

“Oh… va bene” in realtà il ragazzo fu deluso dalla prospettiva di un lungo allenamento, ma l’entusiasmo non tardò ad animarlo di nuovo “Questo è un altro motivo per cominciare subito… certo, appena Ranko e l’altra ragazza se ne saranno andate.”

“Cosa?!” indignata e null'affatto intenzionata ad andarsene, la ragazzina saltò sul tatami, fronteggiando il fratello “Io non vado da nessuna parte! E’ assurdo: dovrei essere io ad imparare la tecnica e non un idiota che non conosce nemmeno le leggi più elementari del popolo Amazzone!” sbottò, i pugni chiusi e gli occhi che sembravano lanciar dardi per l’indignazione, ma l’espressione di Ranma sembrava certo più annoiata che intimorita da quello sfogo.

“Se spariamo tutti e due dalla circolazione desteremmo troppi sospetti. Se venissero a cercarti, scoprirebbero anche me, perciò…”

“Bugiardo, dici così solo perché non mi vuoi tra i piedi!”

“Uhm, sì, è vero, lo ammetto perciò sloggia.”

“Non ci penso proprio… – un sorriso malizioso le alzò gli angoli delle labbra – del resto se me ne andassi in giro ad annoiarmi chissà cosa potrebbe mai scapparmi di bocca…”

Ranma perse la sua aria sicura e linciò la sua adorata sorellina con la peggiore delle occhiatacce. “Non oserai! Hai promesso!” le ricordò imperioso, ma a lei la sua aria truce non parve far effetto.

“Ho promesso di non raccontare nulla a nostro padre, ma non si è parlato della mamma o di qualsiasi altra persona qui a corte, mi pare. Posso restare, vero maestra? Non sono ancora una sua protetta, ma le giuro che non rivelerò alcun segreto amazzone! La prego…” con occhi supplichevoli, Ranko si rivolse alla vecchia Amazzone che annuì bonaria.

“Non ho nulla in contrario, sua altezza… anzi, più avanti nel corso dell’allenamento il suo aiuto sarà essenziale. Vede, principe, per poterle insegnare al meglio la tecnica del Dragone ho bisogno del supporto di altre persone e credo che sua sorella sia l’ideale” a Ranma non restò che stringersi nelle spalle, mentre Ranko esultò trionfante.

Così fu solo Ame ad essere allontanata dalla sala, dopo che il principe l’ebbe costretta a giurare nuovamente di non far parola a nessuno di ciò che aveva visto e sentito, giuramento che per volere di Ranma fu molto particolareggiato onde evitare ricatti come quello che sua sorella aveva provato ad imporgli.

Le ultime parole che la schiava udì chiudendosi le pesanti ante alle spalle furono quelle di Obaba “Bene, sua altezza, ha presente cos’è una spirale, vero?”

 

--- --- ---

 

Non sapeva da quanto se ne stesse lì, adagiata contro la porta… la luce esterna era cambiata notevolmente da quando, sconvolta ed in lacrime, Akane vi si era lasciata scivolare contro nella tarda mattinata ed ora le prime ombre della sera stavano già allungandosi.

Il pianto era cessato da tempo ormai. Rannicchiata contro quell’immensa porta intarsiata la ragazza si domandava cosa ne sarebbe stato di lei, pur senza provare vero interesse per il proprio futuro: un singolare stato di apatia si era impadronito di lei appena l’ultima lacrima le aveva attraversato il viso per infrangersi sulle sue braccia conserte. Le gambe fino a quel momento strette contro il petto si erano gradualmente stese e le mani ora giacevano abbandonate sul grembo…

Non avvertiva fame, né stanchezza dovuta allo stare nella stessa posizione per tanto tempo. Una voce remota nella sua testa le sussurrava di muoversi, di andarsene da quella stanza dove lui, presto o tardi avrebbe fatto ritorno… ma dove andare? Con le altre schiave forse, con il pericolo di essere allontanata da palazzo?

Non si illudeva infatti che in quel caso la lasciassero lì; sicuramente l’avrebbero consegnata a quel generale a cui era stata destinata in principio, quell’uomo a cui il principe l’aveva strappata. Certo, avrebbero pensato tutti che il ragazzo si fosse già annoiato del suo trastullo dopo appena una notte e l’avrebbero mandata via, per riparare alla frattura diplomatica che quello stolto aveva creato con la sua sconsideratezza. Ma lei doveva restare lì, con Obaba.

Provava disagio nel pensare alla sua maestra… o meglio, lo aveva provato. L’unica cosa che ora provava era un sordo dolore all’animo, un dolore ovattato quasi mentre il corpo, dolcemente spossato dal pianto, non le restituiva alcuno stimolo. Era… assente, spenta.

Nemmeno lei avrebbe mai creduto che una sconfitta potesse avere un simile effetto su se stessa e su quell’ardore che tutti riconoscevano in lei. Persino la rabbia, che sapeva appartenerle e in cui si ritrovava quasi con agio, adesso non la supportava.

A ridurla così non era stato però l’esito della sfida, non solo per lo meno, ma soprattutto le conseguenze che quella sconfitta aveva…

Ora era indissolubilmente legata a Ranma per volere del codice: legata a chi non aveva esitato un istante ad acquistarla per contentare il capriccio di un momento, dando così chiaro esempio di quanto stimasse la vita altrui

Questi erano stati i tristi pensieri in cui si era crogiolata in quelle ore e che l’avevano sfibrata, riducendola appunto a quello stato quasi letargico in cui le prime ombre della sera la stavano scoprendo; stato però destinato a scuotersi da lì a qualche istante.

L’anta della porta, quella contro cui non era poggiata, si aprì con un vero e proprio tonfo che la fece sobbalzare e senza quasi accorgersene, Akane si ritrovò in piedi, così completamente addossata al pannello di legno alle sue spalle da avvertire quasi le intarsiature che componevano la coda del drago che decorava la porta, aderirle alla pelle.

Un ragazzo era entrato di corsa, per poi fermarsi dopo qualche passo; pur essendo immerso dalla penombra circostante Akane capì che non si trattava del suo padrone, bensì di suo cugino, colui che aveva preso con sé Obaba.

Ryoga si guardò intorno e lasciò andare un sospiro rassegnato: c’era ricascato. Senza Taro o Ranma, trovare la strada per il salone era davvero un’impresa ardua per lui… Si grattò la testa sconsolato e dopo un ennesimo sospirò, si voltò per andarsene e a quel punto la vide.

In un primo istante pensò addirittura che si trattasse di un fantasma, di un’apparizione quasi e il cuore cominciò a battergli all’impazzata, poi man mano che i suoi occhi si abituarono al buio della camera riconobbe in quella visione pallida, dai grandi occhi spalancati e i capelli scarmigliati, la ragazza che Ranma aveva così insistentemente voluto, la sua schiava.

Si poggiò una mano sul petto e tirò un sospirò di sollievo: non era un tipo timoroso, ma vedersela comparire così… “Sei tu… per un attimo ho creduto…”

Akane batté le palpebre, confusa “Io non… non sapevo dove altro andare” balbettò incoerentemente, infatti il ragazzo la fissò curioso, un sopracciglio inarcato.

“Vuoi dire che questa non è la stanza di Ranma?'” si guardò intorno stupito, che strano, avrebbe proprio detto di trovarsi nella stanza di suo cugino. Non sapeva che nel palazzo ci fossero due stanze uguali.

“No… questa è la stanza del principe, non ha sbagliato… Io…”

Ryoga batté le palpebre in parte sollevato, il suo disorientamento non era ancora arrivato a non fargli riconoscere un posto da un altro! “Allora perché dici che non avevi altro posto dove andare? E’ qui che devi stare, no?”

Lei annuì e finalmente si separò dalla porta alla quale era praticamente attaccata.

Restarono in silenzio alcuni istanti poi Akane si schiarì la voce “Lei… lei cercava il principe?” gli chiese e fu sorpresa quando lui ridacchiò e chiaramente imbarazzato tornò a grattarsi la nuca.

“No, in verità cercavo il salone. Il mio senso dell’orientamento non è proprio il massimo, soprattutto quando sono nervoso io… ecco tendo a perdermi eh eh eh” la sua risata risuonò chiaramente forzata.

Akane aggrottò le sopracciglia, perplessa “Tende a… perdersi?” domandò e lui annuì.

“Sì, in effetti… ma di solito riesco a trovare la mia stanza in tempo per la notte, quindi non è troppo brutto, ecco. Mmm, perché te ne stai al buio?”

“Io non mi ero accorta che fosse così tardi, Signore… Provvedo subito.”

Muovendosi a scatti quasi a causa del doloroso formicolio che ora le torturava le gambe, Akane si avvicinò alle varie lampade che riempivano la stanza e le accese una ad una, fino a quando una bella luce dorata la illuminò a pieno.

Si trovava accanto al letto quando tornò a voltarsi verso il ragazzo imbarazzato e per la prima volta poté osservarlo da vicino. Altezza e corporatura erano del tutto simili a quelli del principe, ma le somiglianze finivano lì: il principe Ranma aveva occhi molto particolari e belli di quel colore tanto insolito, un grigio blu che rammentava il più tempestoso dei cieli e che sembrava possedere mille sfumature a secondo dei suoi stati d’animo mentre i capelli erano scuri e lucidi come la china. Lo sguardo di suo cugino invece era caldo e quasi rasserenante grazie a quella sfumatura castana che si stemperava nel verde cupo ed i folti capelli, tra cui spiccava una vivace bandana gialla, erano ugualmente neri come quelli di Ranma, ma di una diversa tonalità, più chiara.

Nel vederlo sorridere poi Akane scorse due canini piuttosto sporgenti che però gli davano un’aria nient'affatto minacciosa, anzi c’era qualcosa di… come dire? tenero quasi nel suo sorriso fanguto.

“Ora sarà meglio che vada, se non mi imbatto in Taro, dovrò girare a lungo se voglio trovare la sala e cenare, dal momento che Ranma non c’è non posso certo chiedere a lui… già… allora io vado! E’ stato un piacere! Sì, se ricordo bene, devo percorrere il corridoio e poi voltare a destra… o era sinistra?” mormorando tra sé il ragazzo si avviò verso il balcone e salutandola energicamente con una mano, uscì fuori.

Tre secondi dopo Akane lo vide rientrare, le guance rosse e l’aria ancora più imbarazzata di prima “Ehm, ho sbagliato ancora! Eh eh... non era la porta, che naturalmente è da tutt’altra parte… da quella vero?” e senza aggiungere altro, e evitando accuratamente di voltarsi verso Akane, si diresse a passo spedito… verso il bagno.

Allibita, Akane lo vide passare oltre il paravento ed entrare nella piccola sala da bagno ancora immersa nel buio. A giudicare dai rumori che seguirono, il distratto cugino del principe dovette incontrare parecchi ostacoli tra cui una fragorosa caduta nella vasca seguita da un numero imprecisato di imprecazioni, prima di uscirne sempre più rosso e sempre più mortificato.

Stavolta non provò neppure a ridere e mogiamente le si avvicinò “Non è che mi indicheresti l’uscita?” le domandò in un filo di voce.

Akane non riusciva a staccare gli occhi da lui, troppo stupita persino per parlare e per rispondergli puntò il dito verso la porta che, ancora aperta, si trovava proprio dinanzi a loro. Ryoga sospirò, annuì e dopo un’occhiata colma di gratitudine, si avviò… ancora una volta nella direzione sbagliata.

Era appena giunto davanti alla finestra ed era pronto a montare su una piccola cassapanca che si trovava ai piedi di questa, quando un suono lo interruppe. Un suono stupendo ed inaspettato: il suono di una risata.

Stupito si volse verso Akane e la osservò, rapito. A capo chino La ragazza si teneva la pancia con entrambe le braccia e le spalle vibravano sussultando; il riso sulle prime risuonò strozzato per il tentativo vano di trattenerlo, ma poi, quando la ragazza alzò per un attimo lo sguardo verso di lui e notò la sua espressione a metà tra lo stupito e l’imbambolato, non resistette più: scoppiò a ridere apertamente, in una risata fragorosa e squillante.

Nonostante tentasse in tutti i modi di nascondere quell’inaspettata ilarità, niente sembrava poter contenere quel riso che la scuoteva tutta, irresistibilmente.

Ryoga non aveva mai visto niente di più bello in vita sua. Osservarla in quel momento gli faceva batter forte il cuore… Dava l’idea di non essere abituata a farlo e infatti tentava di nascondere quella risata irriguardosa timorosa forse di offenderlo coprendosi il volto infiammato con le mani, ma più presumibilmente per poco esercizio: non stentava a credere che nella vita di una schiava ci fossero poche occasioni di ridere. Ed era un peccato pensò, sentendosi avvampare, stavolta non per la vergogna…

Già, un gran peccato, si disse guardandone il volto finalmente colorito, gli occhi animati…

Un groppo parve formarglisi in gola e Ryoga dovette faticare per poterlo mandare giù e respirare con normalità. Sarebbe rimasto a guardarla per ore si disse stupefatto, provando per la prima volta una vera e propria fitta di invidia per Ranma, invidia che nemmeno l’evidente superiorità del principe nelle arti marziali era riuscita a suscitare in lui fino a quel momento, ma che ora per il riso di una donna…

 

--- --- ---

 

“Posso sapere anch’io cosa c’è di divertente?” una voce improvvisa strappò il ragazzo dalle sue fantasticherie, costringendolo a volgersi verso la porta dove con la solita aria spavalda, Ranma se ne stava bellamente poggiato, addossato all’anta aperta. Teneva le braccia incrociate sul petto e sul volto c’era un’espressione di curiosa ironia.

Anche Akane, che aveva smesso immediatamente di ridere, si voltò a guardarlo e dopo essersi morsa il labbro inferiore, abbassò il capo evitando di guardare il suo padrone cosicché toccò a Ryoga rispondergli. “Credo di aver appena fatto la figura di idiota davanti a lei.”

“Io…mi spiace, non volevo mancarle di rispetto Signore…”

Ranma assottigliò gli occhi puntati sulla ragazza stranamente intimidita: forse si sbagliava, ma non aveva percepito il solito disprezzo nel suo modo di chiamarlo signore, spregio che invece a lui non era mai stato risparmiato da quella piaga. E poi… perché cavolo quello stupido di Ryoga aveva la faccia tanto rossa?

“Cercavi me cugino?” gli chiese sbrigativo, infastidito persino.

“No, a dire il vero no, cercavo il salone e… sai…”

“Ti sei perso, capito. Dov’è Taro?”

“Ci siamo lasciati giù nell’atrio, penso volesse cercare la sua schiava. Ora però sarà meglio andare se voglio cenare… tu non vieni Ranma?”

“Sono ancora in punizione, ricordi? Non posso lasciare la mia camera.”

“Ah, per questo vi fai ritorno solo adesso – commentò ironico Ryoga che poi si rivolse alla ragazza – Ti ringrazio per avermi indicato la via… ora credo di poterla raggiungere l’uscio senza problemi… Akane, vero?”

“Sì Signore.”

 Un sopracciglio di Ranma si inarcò con un guizzo: stavolta ne era certo! Non solo lei non si era rivolta a suo cugino con disdegno, ma c’era addirittura gentilezza nel suo tono! Non sapeva perché, ma non gli piacque, affatto.

Finalmente quell’imbranato di Ryoga (contro cui si scoprì stranamente animoso) riuscì ad imboccare la porta e fu con sollievo che Ranma poté chiudergliela alle spalle. “Che orientamento del cavolo… Hai fame?”

Akane quasi sobbalzò per quella domanda improvvisa e scosse la testa, ma proprio in quel momento il suo stomaco reclamò sonoramente, facendola vergognare a morte. Imprecò tra i denti e volse lo sguardo a terra puntandolo sui suoi sandali, mentre Ranma sospirava.

“Bugiarda… comunque ho dato ordine di servire la cena qui anche per te, ce la porteranno tra poco. Vado a farmi un bagno nel frattempo, sono stanco morto e ricoperto di polvere” si lamentò lui dando un’occhiata ai suoi abiti che effettivamente avevano conosciuto tempi migliori.

Non potendo evitare la curiosità, Akane lo osservò con attenzione, chiedendosi a che punto fosse nell'apprendimento della tecnica del Dragone. Lei aveva impiegato quasi una settimana solo per imparare uno degli aspetti essenziali della sua esecuzione, che le aveva dato particolari problemi a causa del suo carattere non proprio… docile. Chissà quanto ci avrebbe impiegato uno come lui, la cui testa calda era notoria anche oltre i confini del suo regno.

Ranma intanto, ignaro dello sguardo curioso di lei, si stiracchiò e si avviò verso il bagno per poi fermarsi dopo qualche passo. “Dopo dobbiamo parlare… di quel bacio” le disse in fretta rivolgendole le spalle.

Il cuore di Akane perse un battito: lo aveva scoperto! Con occhi sgranati lo vide sparire nella saletta del bagno, senza che si fosse voltato a guardarla. Se lo avesse fatto di certo si sarebbe stupita di quanto fosse arrossito.

 

 

--- --- ---

 

Ma quanto ci metteva?! Seduta sul letto, Akane attendeva che Ranma lasciasse finalmente il bagno in cui si era rinchiuso quasi un’ora prima… e non era certo la fame a farla desiderare ardentemente che lui la raggiungesse al più presto.

Due valletti avevano portato vari vassoi ricolmi di ogni ben di Dio, depositandoli poi sul basso tavolino dove evidentemente il principe consumava i suoi pasti quando era confinato nella sua camera; a giudicare dalla disinvoltura con cui i due uomini avevano approntato il necessario per quella cena, punizioni di quel genere non dovevano essere una novità…

Non era quello comunque a darle la smania, anche se il suo stomaco aveva brontolato ancora una volta alla visione del cibo e al suo profumino invitante; quello che lei aspettava di sentire era così importante da farle persino dimenticare la fame e la stanchezza che le ore passate a sfibrarsi contro quella maledetta porta le avevano procurato. Attendeva di sapere quale sarebbe stato il suo immediato futuro.

Se Ranma aveva saputo del bacio questo voleva dire che Obaba gli aveva spiegato cosa era destinato ad una amazzone sconfitta da un uomo. L’incognita su quali fossero le sue intenzioni le opprimeva tanto l’animo da farle diventare l’attesa addirittura frenetica.

Strinse le mani tra loro nel tentativo di tenerle ferme e, come nell,ultima ora, i suoi occhi non si separavano un istante dalla porta del bagno da cui lui sarebbe uscito. ‘Sì, ma quando?! Non si sarà addormentato nella vasca? Accidenti a lui! Maledetto sia tu, il tuo bracciale ed anch’io che ti sfidato! Maledetto, maledetto, maledetto…’

La porta si aprì al suo decimo maledetto, più o meno, zittendole addirittura i pensieri.

In realtà Ranma era pronto da un pezzo; rivestito di tutto punto, si era aggirato nella piccola sala passeggiando avanti e indietro nervosamente, sbuffando per l’aria ancora afosa per i vapori del bagno.

Più volte si era avvicinato alla maniglia della porta, ben deciso ad uscire da lì e mettere in chiaro le cose… Ma poi il ricordo delle parole di Ranko tornava ad assillarlo e la sua determinazione scivolava via come sabbia al vento.

In che cavolo di pasticcio s’era cacciato! Lui voleva solo imparare una tecnica, per la miseria! Ed ora si ritrovava a dividere la sua camera da letto con una ragazzina rancorosa, soggetto alle prese in giro di sua sorella minore…

E non osava pensare a quanto si sarebbe divertito Taro nello scoprire le novità! Quel maledetto! Perché non lo aveva messo in guardia su una simile eventualità? Di certo per potersi divertire alle sue spalle, con quell’altro citrullo di Ryoga… e poi che cavolo c’era di tanto divertente nel fatto che quello stupido non sapesse riconoscersi il davanti dal didietro? Niente di niente! Ed invece quella brutta peste lì s’era messa a ridere nemmeno fosse la cosa più buffa del mondo!

Certo che… per quel poco che aveva visto, beh… non era poi così brutta mentre rideva. Ranma aveva scrollato il capo, come a volersi liberare fisicamente di quei pensieri ed esasperato aveva battuto la testa un paio di volte contro la superficie piastrellata, dandosi silenziosamente dello scemo ad ogni colpo.

Basta, si era detto infine: non era un comportamento da uomo starsene rinchiuso in un bagno a dare testate al muro e a rimuginare sul sorriso di un maschiaccio irriverente! Per cui, coraggio, doveva uscire da lì e chiarire con quella…

Aveva inspirato a fondo per farsi animo, nemmeno che fuori da quell’uscio ci fosse stato ad aspettarlo un mostro spaventoso invece di una ragazza, forse l’avrebbe preferito.

Nel vederlo infine fuoriuscire da quella dannata stanza, Akane scattò in piedi… le sembrò non aver fatto altro che scattare come una molla quel giorno! Il viso del suo padrone era serio, un po’ arrossato sulla fronte, probabilmente per il calore del bagno…

Gli occhi di lui indugiarono alcuni istanti per la camera per poi soffermasi prima sul piccolo tavolo addobbato e finalmente su di lei. “Siediti” le ordinò indicandole proprio il desco e lei vi si avvicinò, per poi crollare letteralmente a sedere su uno dei grandi cuscini che i valletti avevano portato per fare da comodi sedili.

Il nervosismo la faceva muovere a scatti, ma anche il principe non sembrò così disinvolto quando le sedette davanti. “Serviti pure, io farò da me.”

Akane aggrottò le sopracciglia, chiedendosi cosa gli avesse fatto supporre che volesse servirlo in qualsiasi modo, ma pensò che aveva altro di cui discutere. “Riguardo a… a quello che ha detto prima…”

Ranma la guardò velocemente, poi cominciò a mordicchiare un boccone di pane: aveva saltato il pranzo per allenarsi ed era affamato, ma sapeva che non si sarebbe goduto la cena se non avesse chiarito tutto. “Ranko mi ha detto del codice… In una pausa dell’allenamento lei mi ha spiegato alcune cose” cominciò a dire, tentando di controllare la voce.

 

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Sbuffando, Ranma si era accasciato a terra e brontolando si era accarezzato la testa dove ne era certo, prima o poi, sarebbero sbucati almeno un paio di bernoccoli. La vecchia Obaba nel giro di pochi minuti aveva totalmente dimenticato la gentilezza e la simpatia che gli aveva dimostrato fino a quando non avevano iniziato ad allenarsi, per trasformarsi nella più tremenda delle insegnanti. Una vera metamorfosi: avrebbe dato del filo da torcere persino a quel vecchiaccio maledetto di suo nonno Happosai quando ad intransigenza!

Gli aveva spiegato il primo dei passi fondamentali per apprendere la tecnica del Dragone, cosa che tra l’altro lui aveva intuito fin dal primo momento quando aveva visto Akane eseguirla, e cioè l’esecuzione di una spirale perfetta che a suo dire aveva un duplice scopo: tenere lontani i nemici e convogliare energia.

Quando aveva chiesto ragguagli su questo punto, lei lo aveva amabilmente picchiato con il bastone, dicendogli che quello sarebbe venuto in seguito e ordinandogli di imparare soprattutto la pazienza…

Comunque, malumori a parte, Ranma aveva cominciato ad imparare come eseguire la spirale, ma anche se la cosa sembrava facile a parole, nei fatti era risultata più complicata del previsto, soprattutto con una come quella vecchia pazza che gli teneva il fiato sul collo ad ogni passo… mentre il suo bastone non si separava mai troppo presto e troppo malvolentieri dalla sua testa!

Dopo ore passate a cercare di imitare il tracciato perfetto segnato da Obaba con un pezzo di carbone dei bracieri, che servivano ad illuminare la sala nel pomeriggio, la vecchia megera aveva infine concesso al suo affannato allievo di riposare per alcuni minuti. Era stato a quel punto che Ranko gli si era avvicinata, uno strano brillio ad illuminarle lo sguardo così simile al proprio.

“Tieni – gli aveva offerto una coppa colma di acqua da cui aveva bevuto avidamente – ho pensato avessi sete.”

Lui aveva annuito e le aveva sorriso grato “Infatti… non credo che la vecchiaccia mi avrebbe fatto allontanare anche per un sorso.”

“Un po’ di rispetto! Che fine ha fatto il venerabile Obaba di prima?”

“Tzè, quella si è trasformata in un mastino – Ranma aveva lanciato un’occhiata verso l’anziana donna che stava ricalcando la spirale segnata in precedenza e che per sua fortuna sembrava non sentirlo – Quasi mi pento di aver dato inizio a questa storia.”

Ranko aveva ridacchiato e gli si era seduta accanto “E ancora non sai il meglio! Non avrei voluto raccontartelo ancora, ma forse è meglio che sia io a dirtelo, piuttosto che un estraneo… tra parenti certe notizie non dovrebbero restare segrete troppo a lungo.”

Il tono fintamente serio con cui lei aveva parlato non era affatto piaciuto a Ranma “Che vuoi dire? Su avanti! Prima che quella ricominci a menar bastonate!”

“D’accordo, se insisti. Tu sai cosa succede ad un’amazzone nel momento in cui viene sconfitta?”

“Uhm, da quel che ho visto, deve insegnare le sue tecniche al vincitore e…” era stato zittito dalla ragazza che aveva scosso la testa.

“Sbagliato! La decisione della venerabile Obaba non ha nulla a che fare con questo e poi nel caso, avrebbe dovuto esser Akane ad insegnarti no? In effetti questa decisione ha stupito anche me, non pensavo desse uno strappo alle regole del codice per te e…”

Ranma l’aveva sgomitata “Insomma, vuoi andare avanti o no? Non ho tutta la giornata per sentirti! Allora, che succede ad un’amazzone sconfitta in una sfida di arti marziali?”

“Le possibilità sono due: se la vincitrice è una donna, la perdente dovrà darle il cosiddetto Bacio della Morte, un bacio su una guancia con cui sigillare il proprio giuramento di vendetta. Praticamente da quel momento la perdente non troverà pace e requie finché non avrà ucciso la sua rivale, fosse pure costretta a seguirla ovunque” spiegò con incredibile leggerezza, nemmeno stesse raccontando la cosa più ovvia del mondo.

Ranma aveva deglutito nervoso, provava una spiacevole sensazione. Se Akane gli avesse dato quel Bacio della Morte, avrebbe dormito sogni poco tranquilli…

Ranko gli aveva sorriso, intuendo i suoi pensieri “Ma non temere, questo non è il tuo caso, dal momento che sei un uomo. Quando lo sfidante è un uomo, la perdente dovrà dargli un bacio e diventare sua moglie. Obbligatoriamente. Ah, te l’ho detto che il bacio in questo secondo caso viene dato sulle labbra?"

I minuti successivi erano stati alquanto caotici, con lui che correva da un lato all'altro del tatami urlando che quella storia era assurda, Obaba che lo inseguiva ordinandogli di smetterla di fare lo stupido e Ranko che rideva come una matta, stupidamente deliziata per la situazione in cui si era cacciato con le proprie mani.

 

--- --- ---

 

"Infine ho chiesto ad Obaba e lei mi ha confermato questa stupida legge" per quel commento si beccò un'occhiata rovente da parte di Akane, ma la ignorò. "Era questo a cui alludevi, vero? Quando hai detto che non l'avresti mai fatto…"

"Come potrei?! E non soltanto perché lei mi è odioso – fu Ranma stavolta a guardarla male – ma è il mio padrone! Lei già mi possiede ed odio questa condizione, come potrei legare la mia vita alla sua?!" sbottò, dando voce alla rabbia che provava nuovamente.

Ranma parve riflettere su qualcosa, poi diede un altro morso al pane con cui aveva giocherellato mentre le raccontava quando successo nella sala del tatami "Quindi… vuol dire che non lo farai?" le domandò con semplicità.

Akane sbuffò scuotendo la testa esasperata "Non capisce! La mia volontà non è rilevante. lei mi ha sconfitto ed è un uomo… io devo farlo, anche se non voglio" disse poi, la voce ridotta infine ad un sussurro. Abbassò gli occhi sul piatto ancora pieno che aveva davanti e non fu sorpresa di sentirli brucianti di lacrime trattenute.

Ranma la osservò di sottecchi per alcuni istanti poi si strinse nelle spalle "A me sembra assurdo. Nessuno dei due vuole una cosa del genere, no? Allora è stupido persino parlarne."

"Le ho già detto che la mia volontà è del tutto irrilevante."

"Anche la volontà del tuo padrone?"

Qualcosa nel suo tono di voce la zittì e la spinse a guardarlo con attenzione; sembrava sereno e incredibilmente lo era realmente. Persino il nervosismo che chiaramente lo animava fino a pochi attimi prima era sparito e sul suo bel viso aleggiava un'espressione tranquilla.

"Tu sai cosa sei, Akane?"

"Come? Non… non capisco" che razza di domanda era quella?

"Te lo dico io cosa sei: sei un'amazzone, certo, ma non di sangue – con un gesto della mano mise a tacere ogni sua protesta sul nascere – e sei una ragazza… certo, sei anche un maschiaccio impenitente con poca grazia e dal carattere impossibile, ma sei soprattutto la mia schiava" se non fosse stata tanto sbalordita Akane gli sarebbe saltata letteralmente al collo per strozzarlo, infischiandosene delle conseguenze. "Perciò, prima di tutto mi devi obbedienza… Già non ho il tuo rispetto, mi aspetto almeno che tu mi obbedisca. E perciò se io ti ordino di andare contro il Codice delle donne di polso, non c'è Obaba che tenga: tu andrai contro il codice. Semplice."

Akane batté le palpebre, confusa: stava dandole una via di fuga? Certo, a dirla tutta il principe era effettivamente il suo padrone ed in teoria il suo volere avrebbe dovuto essere per lei superiore a tutto, ma… ma era tale la disistima per lui che il solo pensiero di accettare il suo volere, andando per di più contro i dettami del codice, la infastidiva…

Però in effetti nemmeno Obaba avrebbe potuto imporle di disobbedire al suo padrone. Possibile che fosse così facile? Si era angustiata per ore ed ora le pareva impossibile che la soluzione fosse così… banale.

Senza quasi pensarci, raccolse un chicco d'uva e lo mangiò, la fronte ancora aggrottata. "Un ordine eh?"

"Sì, in pratica io ti ordino di non baciarmi. In effetti il solo pensiero mi toglie quasi lìappetito…"

"Crede che la prospettiva di baciarla mi riempia di gaudio, Padrone? Stavo meditando il suicidio come alternativa…"

Ranma sorrise e con disinvoltura poggiò il volto ad una mano "Davvero? Prima mi sei sembrata particolarmente allegra per un'aspirante suicida."

Ricordando l'episodio Akane avvampò e cercò di dissimulare l'imbarazzo coprendosi dietro ad una coppa di sidro di mele, ma lo sguardo ironico di lui non sembrava volerla lasciare. "Non ridevo di suo cugino" asserì, cominciando a mangiare.

"Oh certo che ridevi di lui! Probabilmente avrà provato ad uscire dalla finestra o dal balcone, lo fa sempre!"

Akane dovette mordersi l'interno della guancia per proibirsi di ridere, ma non riuscì ad impedire che le sue labbra si piegassero in un sorriso che le distese i tratti ancora contratti del volto.

"Lo sai Akane, quando sorridi… sei più carina."

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Capitolo 6
*** Capitolo sesto ***


It takes me higher

Di Breed 107

 

 

Capitolo sesto.

Fu la luce a svegliarlo. Un raggio di sole, filtrando dalle cortine mal accostate gli colpì in pieno il viso, ridestandolo. Aprì appena gli occhi e brontolando per la luce che lo aveva accecato momentaneamente, Ranma diede le spalle a quel dispettoso sprazzo luminoso, pronto a ributtarsi nel dolce sopore a cui era stato ingiustamente strappato.

Voltandosi, i suoi occhi ancora semi aperti caddero sulla figura addormentata poco discosta dal letto e, dimenticando i suoi propositi di riaddormentarsi subito, prese ad osservarla. Ora che quella furia travestita da donna dormiva, poteva anche permettersi il lusso di guardarla, senza temere di incorrere nelle sue ire… Che ragazza strana, pensò osservandola dormire.

Non aveva vissuto a lungo, quell’anno avrebbe infatti compiuto appena il suo diciassettesimo anno di vita, ma di donne ne aveva conosciute abbastanza; la corte ne era piena, a partire dalle molte dame di compagnia di sua madre, alle mogli dei vari funzionari, alle loro cameriere, la servitù. Persino sua sorella poteva considerarsi una donna, pensandoci bene… e tranne che in quest’ultimo caso, Ranma era stato sempre cosciente di una cosa: erano affascinate da lui. Fin dalla più tenera età aveva convissuto con questo fatto, senza attribuirgli grande importanza, d’altronde. L’ammirazione che suscitava nell’altro sesso non lo sconvolgeva, come capitava invece a quel tonto di suo cugino, spaventosamente timido, né lo infastidiva, come nel caso di Taro… semplicemente lo ignorava dal momento che le donne non gli interessavano, non ancora perlomeno.

Quello che suo padre gli aveva detto solo il giorno prima era vero e lui lo sapeva, qualunque donna a corte sarebbe stata più che felice di ricevere le sue attenzioni… qualunque donna tranne quella stranissima creatura rannicchiata ai piedi del suo letto in quel momento.

Un sorriso increspò le labbra del principe al ricordo della sera prima. Quando le aveva detto in un motto di sincerità di trovarla carina, la reazione della sua schiava non era stata certo quella che avrebbe avuto qualsiasi altra ragazza a cui avesse rivolto un simile apprezzamento. No, Akane lo aveva guardato a bocca aperta, si era persino lasciata cadere il grappolo d’uva che aveva tra le mani e dopo alcuni istanti passati a fissarlo con in faccia una stupidissima aria sorpresa, aveva distolto il viso e mormorato un poco udibile, ma indignato ‘Tsè’, come se invece di farle un complimento, l’avesse offesa. Quel tanto era bastato a convincerlo di non ripetere più lo stesso errore: mai più complimentarsi con il maschiaccio, si era ripromesso ricominciando a mangiare di gusto. Non sarebbe stato difficile mantenere quel proposito, la ragazza era graziosa in alcuni frangenti, ma il più delle volte l’aria accigliata del suo viso non gli ispirava certo frasi garbate come quella che gli era sfuggita, quasi contro il proprio volere.

Dopo un po’, forse tranquillizzata dal fatto che non ci fosse un seguito a quell’esternazione, Akane aveva ripreso a mangiare, lanciandogli di tanto in tanto delle occhiatine curiose… e Ranma sapeva bene cosa mai si stesse chiedendo in quella testa dura: cosa gli avesse insegnato Obaba in quel lungo, lunghissimo giorno di allenamenti.

Non tanto per soddisfare la sua curiosità, quanto per interrompere quel silenzio che cominciava a pesargli, Ranma aveva cominciato a parlarle con fare disinvolto della spirale, dei complimenti fattegli dalla maestra amazzone, esagerandoli il giusto, e di come avesse trovato semplice questa prima parte della tecnica di cui si era impadronito con una velocità impressionante persino per uno abile quanto lui. Non che mirasse ad impressionarla, per carità! La ragazza aveva già avuto in prima persona un assaggio della sua incredibile bravura, solo che trovava divertente il suo sguardo accigliato nel sentirgli descrivere l’allenamento con toni tanto lusinghieri. E sì, era proprio uno spasso guardarla inarcare il sopracciglio per indicare la propria perplessità o vederle fare di tanto in tanto delle smorfie incredule.

Ad un certo punto lei aveva scosso il capo “Scommetto che la venerabile Obaba deve aver usato il suo bastone più di una volta” aveva commentato saccente.

Dolorosamente vero, la sua testa lo poteva testimoniare, ma nonostante questo Ranma aveva avuto la faccia tosta di stringersi nelle spalle con noncuranza. “Sì, in un paio di occasioni. Mi chiedo quante bastonate abbia dato a te, la sua testardissima pupilla.”

“Nemmeno una – aveva risposto lei, visibilmente compiaciuta – almeno non per la prima parte della tecnica.

“Beh è logico no? Sei sempre una ragazza.”

“Le ricordo, Signore, che il popolo Amazzone non prevede alcun favoritismo per le donne quando si parla di arti marziali, anzi, la durezza con cui un’amazzone viene preparata non è lontanamente paragonabile a nessun altro addestramento nelle terre conosciute.”

Ma davvero? Ranma non aveva potuto evitarsi una risatina. “Come si vede che non hai conosciuto mio nonno! I suoi allenamenti non erano solo duri, ma semplicemente atroci… e il più delle volte privi di senso” aveva poi aggiunto con una punta di amarezza. Non voleva pensare a cosa aveva scatenato in lui uno di questi allenamenti, quello dal quale non aveva imparato altro che a temere i felini… al solo ricordo la pelle gli si accapponava!

“Il Re Happosai l’ha allenata personalmente, Signore?” aveva chiesto lei e Ranma l’aveva guardata stupito: per la prima volta, nella sua voce non aveva sentito alcuna nota di spregio, ma solo un genuino interesse, non gentile forse, ma pur sempre meno ostile del solito. Presumibilmente era l’amore per le arti marziali ad infonderle tanta curiosità, un amore tale da farle superare il disprezzo per la sua persona, anche se solo per quel frangente.

E così Ranma aveva preso a raccontare, a parlarle non solo di suo nonno e dei suoi metodi poco ortodossi, ma anche delle sue manie, tra cui il rubare la biancheria non era che la più plateale, ma certo non la più stramba.

Ora, a distanza di ore, steso nel proprio letto ed impegnato a guardarla, il principe doveva ammettere che la sera prima passata a parlare con quella strana ragazza immune al suo fascino era stata una delle più divertenti della sua vita… Non sapeva cosa l’avesse divertito di più, se le domande di lei sul suo addestramento, se le sue espressioni stupite alle proprie risposte o le battutine acide che avevano intervallato il tutto. Forse era stato un po’ per tutti questi motivi, fatto stava che non aveva avvertito affatto la mancanza della cena in famiglia giù nel grande salone.

Il sorriso gli si allargò, ricordando tra le varie cose i buffi tentativi di lei di tener a bada la rabbia, ogni qualvolta l’aveva chiamata maschiaccio, per esempio… Ranma sospettava a ragione che molte delle offese che le rivolgeva non avessero altro fine che vederla arrabbiarsi e combattere poi con fatica la voglia di picchiarlo. Chi immaginava che avere a che fare con una ragazza fosse così divertente?

Ormai il sonno era completamente scivolato via e a giudicare dall’intensità della luce, l’orario era abbastanza tardo affinché si alzasse per fare colazione, ma soprattutto per riprendere l’allenamento con Obaba. Da quel poco che aveva estorto ad Akane, quel giorno sarebbe cominciata la parte più intensa e difficile nel suo percorso per impadronirsi della tecnica. Mentre si chiedeva cosa mai lo aspettasse, Ranma si alzò e stiracchiandosi beatamente si recò verso la sala da bagno, stando ben attento a non inciampare nella bella addormentata, immersa in un sonno alquanto profondo. Quando infatti il giovane principe uscì dalla piccola saletta circa mezz’ora dopo, lei era ancora placidamente addormentata, non aveva nemmeno accennato a cambiare posizione.

Con passo silenzioso le andò vicino e piegandosi sulle ginocchia riprese a fissarla, stavolta da un punto di vista molto più ravvicinato. Chissà dove spariva la sua aggressività quando era nel mondo dei sogni… era così tranquilla in quel momento, così serena, come se non avesse alcun pensiero al mondo. Era forse la sua situazione di schiava ad angustiarla tanto da far sparire quella serenità una volta desta?

Il volto privo della solita espressione corrucciata era rilassato… Era stesa su un fianco, rannicchiata in posizione fetale ed una mano appena chiusa a pugno era poggiata con levità accanto al viso, mentre l’altra giaceva sul suo seno. I capelli lunghi e scurissimi erano sparpagliati sul cuscino, come a formare un’aureola d’inchiostro che esaltava il niveo incarnato. Aveva ciglia molto lunghe, si sorprese Ranma, notando l’ombra che queste gettavano sulle gote appena sfumate di rosa, mentre le sopracciglia erano sottili. Non era poi così spiacevole a guardarsi si disse stupito il ragazzo, grattandosi distrattamente una guancia.

Non aveva tempo per gingillarsi, si ricordò sospirando e mettendoci tutta l’attenzione possibile, le pose una mano su un fianco e una sotto l’incavo delle ginocchia poi, facendo leva sulle gambe, si sollevò prendendola tra le braccia. Nonostante il giaciglio di quell’ultima notte fosse stato certo più confortevole di quello precedente, lo infastidiva saperla a terra pur se adagiata tra comodi guanciali… soprattutto con il suo letto libero, non poteva lasciare che restasse lì!

Così, muovendosi con cautela, si avvicinò al letto sperando con tutte le forze che lei non scegliesse proprio quel momento per svegliarsi. Akane non diede però segno di volersi destare, ma mugugnando incomprensibilmente, si mosse nel suo abbraccio, adagiandosi contro di lui e posando il capo sul suo petto. Improvvisamente la temperatura della camera parve diventare più elevata per il povero Ranma, paralizzato dall’imbarazzo. Eppure il mattino prima non gli era stato difficile fare lo stesso, si disse avvertendo la gola inaridirsi di colpo.

Batté confuso le palpebre un paio di volte, poi lentamente abbassò lo sguardo fino a posarlo sul volto addormentato della sua schiava. E sì, non era proprio sgradevole a guardarsi, si ripeté meravigliato; senza nemmeno rendersene conto la presa intorno a quel corpo esile divenne più stretta e Akane si mosse di nuovo, corrucciando le sopracciglia. Allarmato, Ranma decise che doveva sbrigarsi, se avesse aperto gli occhi in quel momento non…

Aveva appena poggiato un ginocchio sul letto e stava per adagiarvi la ragazza quando le porte della sua camera si aprirono con un vero e proprio tonfo che lo fecero sobbalzare: voltò la testa di scatto verso l’uscio, il codino volteggiò nell’aria per poi posarsi su una spalla, proprio appena sopra il capo di Akane. Con il cuore in gola osservò il colpevole di un’entrata così poco discreta e non fu troppo sorpreso di scorgere sua sorella. La peste rideva compiaciuta… e non ci voleva un genio a capire cosa la rallegrasse, dato che i suoi occhi furbi erano puntati su Akane. Ma non era quello il peggio: come se il fatto che Ranko l’avesse trovato in quella posizione non fosse di per sé abbastanza imbarazzante, poco più indietro Ranma scorse sua madre.

La regina Nodoka non rideva apertamente quanto sua figlia minore, ma nei suoi occhi c’era una luce divertita che mandò a fuoco il volto del suo primogenito. Ecco, pensò il ragazzo impietrito dalla sorpresa, ora non ci mancava altro che quella decidesse di svegliarsi proprio…

Quando Akane aprì gli occhi, in un primo momento pensò di star sognando, o meglio di avere un incubo: il principe la teneva tra le braccia e la guardava allarmato quasi, gli occhi sgranati e il viso arrossato fin sulle orecchie. Restò a guardarlo a sua volta, l’espressione incerta di chi non sa se dolersi o meno della situazione: in fondo era un sogno, no? Che senso aveva agitarsi per un sogno, si disse la ragazza raddrizzando appena il capo e continuando a guardare il ragazzo negli occhi. Però, erano davvero molto belli… Lo aveva pensato già, ma non credeva di poterne ricordare la screziatura tanto particolare persino in sogno!

“Ehm… forse avresti dovuto bussare come ti avevo detto Ranko.

Ranko? Era anche lei in quel sogno? Oh, sì eccola lì davanti alla porta con… se non ricordava male quella era la Regina, com’è che si chiamava? Non lo rammentava al momento. Però, era il sogno più affollato che ricordasse, c’erano persino un paio di cameriere alle spalle della Regina, entrambe facevano fatica a trattenere un sorriso malizioso… Un momento: come sogno non era un po’ troppo particolareggiato? E troppo… realistico?

Finalmente sveglia, Akane sbarrò gli occhi e quel gesto fu come un segnale per Ranma che la lasciò andare di colpo, facendola così cadere sul letto ancora disfatto. “Ehi!” protestò spontaneamente la ragazza per quel trattamento poco gentile, prima di ricordarsi la situazione imbarazzante in cui si trovava.

Faticando un po’ riacquistare l’equilibrio a causa del torpore che ancora le imprigionava il corpo, Akane scattò in piedi, affiancando Ranma, tenacemente in silenzio.

“Disturbiamo?” domandò con finta noncuranza Ranko, beccandosi per quello l’ennesima occhiata inceneritrice da parte di suo fratello che riuscì anche a sbloccare la lingua.

“Tu sempre! Possibile che alla tua età tu non abbia imparato l’educazione?”

“Oh, come la fai lunga, fratellone… del resto tu e Akane siete vestiti, quindi…”

“Ranko, non essere… beh, qualunque cosa tu sia, non esserlo, non è carino mettere in imbarazzo tuo fratello.” La Regina avanzò di qualche passo, fino ad affiancare sua figlia e finalmente anche sul suo viso parve farsi strada un sorriso dolce e certo intenerito che fece arrossire anche Akane. Era una donna tanto bella!

Se anche non l’avesse vista al banchetto la sera in cui era stata acquistata, Akane non avrebbe faticato a riconoscere in lei la madre dei due principi: era sorprendentemente rassomigliante a Ranko e anche Ranma le somigliava molto più che a suo padre, il Re.

Ranma aggrottò le sopracciglia: incidente a parte, era stupito di vedere sua madre nelle sue stanze. “Perché sei qui madre?” le domandò, tentando di ignorare ogni altra persona che avesse intorno.

“Mi chiedevo come mai tardassi tanto, il sole è alto già da molto. E poi ero curiosa di conoscere la tua… ospite – Nodoka sottolineò quasi quella parola, mentre i suoi occhi scuri si posavano proprio su Akane – così Ranko mi ha convinto a venir qui.”

Ma davvero? Che premura, grazie sorellina.”

“Non ringraziarmi… piuttosto, non avevi qualcosa da fare stamani? Al dojo?”

Ranma imprecò a denti stretti: un giorno o l’altro sua sorella si sarebbe trovata nei guai. Guai che le avrebbero impedito di sedersi per una settimana pensò, ricordando con piacere le sculacciate a cui suo padre spesso la sottoponeva fino a qualche anno prima. “Sì, in effetti è vero, devo incontrarmi con Ryoga” mentì prontamente “Anzi, se volete scusarmi, devo prima andare a far colazione” si inchinò al cospetto di sua madre, poi fece per uscire, ma si fermo dopo appena qualche passo. “Akane, tu… ecco, fa’ quel che ti pare.”

Darle degli ordini lo imbarazzava da morire soprattutto per la presenza di sua madre, ma prima che la donna potesse solo guardarlo era già scappato via, i suoi passi infatti risuonarono veloci per il lungo corridoio.

Quindi ora Akane era sola, sola davanti alla regina Nodoka.

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“Avrai fame vero?” fu la prima domanda che la sovrana le pose, il tono sempre cordiale.

Akane annuì con il capo, lottando contro il proprio impaccio: che fosse stata scoperta in quella… situazione la faceva vergognare da morire, nonostante sapesse di non aver alcuna colpa. Perché quell’imbecille non l’aveva lasciata dov’era?! Era stato proprio lui a sistemarle i cuscini in modo che potesse usarli come giaciglio per la notte, dopo che si era rifiutata ancora di dividerne il letto. Per di più aveva dormito molto comodamente e con una profondità che non ricordava da tempo, ma quello stupido doveva fare di testa sua, come sempre! Ed ora era scappato lasciandolo in balia di quella donna gentile, che era andata fin lì per conoscerla!

Nodoka si volse verso le donne alle sue spalle, tra cui Akane riconobbe Sayuri “Portatele la colazione e degli abiti di ricambio – ordinò con voce sicura, poi si volse verso la silenziosa ragazza – mi farebbe piacere parlarti più tardi. Magari nel pomeriggio potresti raggiungermi nel giardino dove di solito mi attardo dopo il pranzo. Akane annuì ancora, sentendosi improvvisamente serrare il fiato in petto: voleva vederla da sola? Perché mai?

“Bene, allora ti aspetterò. Ranko, credo che adesso raggiungerò tuo padre nella sale delle udienze, tu resti qui?” la Regina si rivolse alla vivace ragazzina che si era già avvicinata ad Akane.

“Sì madre. Vorrei approfondire la conoscenza con Akane… naturalmente se la mia presenza non è richiesta” aggiunse poi con tono umile e fintamente partecipe: chiunque avrebbe capito che non si sarebbe mossa da lì nemmeno se le fosse stato ordinato.

Nodoka inarcò un sopracciglio sottile, poi scosse il capo “No, credo che sia io che tuo padre possiamo accogliere le ambasciate senza il tuo aiuto, cara. Ci rivedremo per il pranzo… a più tardi, Akane.

“Sì, maestà.” Finalmente aveva ritrovato la voce, si disse la ragazza inchinandosi, non potendo però evitare di sentirsi sollevata quando la donna più anziana lasciò la camera seguita dalle due cameriere. Sospirò infatti e per quello si guadagnò un'occhiata comprensiva di Ranko.

“Non devi essere così agitata sai? Mia madre è una persona estremamente gentile, tutto al contrario di mio fratello!” la rassicurò; le sorrise grata, ma in un certo senso Akane preferiva aver a che fare con la sgarbatezza del principe piuttosto che con la cordialità della Regina.

Non era mai stata trattata con eccessivo garbo, tranne una breve parentesi da bambina e proprio non sapeva comportarsi quando qualcuno che si supponeva esserle superiore, la trattava invece con cortesia. Persino la condiscendenza di quella ragazzina le dava dei problemi, seppur le facesse piacere passare del tempo con lei: cullava ancora la speranza di poter un giorno diventare la sua schiava personale.

Così, tra una chiacchiera di Ranko, immensamente entusiasta di aver potuto prender parte all’allenamento di suo fratello e ancor più deliziata alla prospettiva di essere utile ad Obaba come quest’ultima le aveva promesso, e la colazione che le era stata servita proprio come ordinato, Akane passò l’ora successiva in relativa allegria, fino a dimenticare gradualmente l’appuntamento che aveva quella sera. Quando uscì dalla sala da bagno, rivestita con un abito color cobalto, solo uno era il pensiero che le occupava la mente: voleva assistere all’allenamento, ad ogni costo.

Quel giorno sarebbe iniziata la fase più delicata e nonostante le fanfaronate del suo padrone, Akane dubitava che potesse apprendere velocemente il vero segreto della tecnica del Dragone. Anche se… anche se, seppure a malincuore, si era resa conto perfettamente che il principe era abile abbastanza per apprendere quella ed altre tecniche e se n’era accorta nel modo più spiacevole, perdendo in maniera smaccata. Reprimendo una smorfia infastidita, Akane accettò immediatamente quando Ranko le propose di recarsi al dojo.

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Ryoga si carezzò il mento con fare assorto, poi scosse il capo con desolazione. “Non ci riuscirà mai” asserì con tono altrettanto sconsolato.

“Nel modo più assoluto” confermò Taro con più distacco.

I due ragazzi, ritti al lato del tatami, stavano osservando Ranma e la vecchia Obaba, già posti dinanzi alla spirale che l’amazzone aveva segnato a terra il giorno prima. L’anziana maestra aveva appena spiegato a Ranma in cosa consistesse il secondo e decisivo passo nell’apprendimento della Tecnica del Dragone. Da ciò il loro scetticismo.

Ranma non si prese nemmeno il disturbo di ribeccare, ignorò i commenti dei due e pensieroso osservò il volto serio e segnato dagli anni della donna davanti a sé, issata sul suo bastone eppure incredibilmente in equilibrio. “Il Cuore di ghiaccio?” ripeté incerto e lei annuì greve.

“Sì, sua grazia. Il segreto della tecnica del Dragone è il Cuore di ghiaccio. Il combattente che si appresta a compiere la spirale deve, ineluttabilmente, svuotare il proprio cuore da ogni spirito guerriero. Non deve provare alcun sentimento, alcuna emozione che alteri il suo stato di quiete e di autocontrollo: né vergogna, né rabbia, né desiderio di rivalsa… Solo una totale e incontrovertibile freddezza. Badi bene, è essenziale che lei padroneggi tale stato spirituale, o le sarà impossibile continuare con il suo addestramento.

Non sembrava una cosa tanto difficile, si disse Ranma aggrottando le sopracciglia; lui aveva un ferreo controllo delle emozioni, altrochè! Solo… solo a che serviva la presenza di altre persone? Che ruolo avevano, ad esempio, quei due imbecilli del malaugurio appostati alle sue spalle, pronti a scommettere sul suo fallimento? Obaba era stata molto lieta della loro presenza, anzi, pensò Ranma con una punta di inquietudine, non vedeva l’ora che sua sorella Ranko si unisse al gruppetto. Questo gli piaceva poco, molto poco.

Stava appunto per chiedere spiegazioni alla vecchia Obaba, quando la sunnominata Ranko arrivò di corsa nel dojo, subito seguita da Akane.

Quando i loro sguardi s’incrociarono, Ranma non poté impedire alle proprie guance di arrossarsi: il ricordo di esser stato sorpreso a stingerla era ancora troppo fresco. Anche lei però doveva tenerlo bene a mente perché distolse immediatamente il viso, finendo per notare gli altri due ragazzi.

Se Ranma era arrossito nel vederla, Ryoga andò completamente in fiamme. Viso e collo diventarono così scarlatti che persino a qualche metro di distanza il ragazzo con il codino se ne rese conto, così come notò il sorriso ampio e un po’ timido che gli dipinse sulla faccia dell’altro.

Riconoscendolo, Akane ricambiò spontaneamente il sorriso, soprattutto per il ricordo del disastroso senso dell’orientamento di lui che tanto l’aveva divertita la sera prima. “Signore…” mormorò chinando leggermente il capo in segno di saluto.

Ranma non poteva giurarci, ma era quasi certo che del fumo stesse fuoriuscendo dalle orecchie incandescenti di suo cugino e scosse il capo, compatendo per un attimo quel pusillanime. Anche Taro dovette rendersi conto dello stato del suo amico, perché lo fisso curioso per alcuni istanti, poi tornò a dedicarsi alla giovane schiava che solo ora poteva osservare da vicino; dal suo sguardo imperturbabile fu impossibile capire cosa ne pensasse.

Akane si chinò anche di fronte a lui, anche se meno fervore, poi finalmente si decise a rivolgersi alla sua maestra. “Obaba, posso assistere all’allenamento?” le domandò con il suo tono più gentile e la sua istitutrice le fece segno di avvicinarsi.

“Non ho nulla in contrario, anzi, il tuo contributo potrebbe rivelarsi prezioso in seguito, almeno quanto quello della giovane principessa oggi.

Questa frase rammentò a Ranma i suoi timori “A questo proposito, vorrei tanto capire che c’entra Ranko con il Cuore di Ghiaccio” aveva proprio un brutto presentimento ed lo sguardo d'intesa che le due amazzoni si scambiarono lo accentuò decisamente. Anche Ranko, nel frattempo dopo un’occhiata superficiale a Ryoga e Taro, li aveva raggiunti sul tatami.

“Sua grazia, ricorda che le dicevo a proposito della freddezza? – Ranma annuì – Se il suo spirito sarà abbastanza forte da non lasciarsi coinvolgere dal peggiore degli attacchi, allora avrà raggiunto il Cuore di Ghiaccio.

“Attacchi? Ranko è bravina, ma da qui ad attaccarmi.

Obaba ridacchiò “E chi ha parlato di attacchi fisici? No, sua grazia: la principessa ed i suoi amici qui la conoscono abbastanza bene da portarle degli attacchi di tipo… emotivo. Degli attacchi vergognosi.”

Ecco, lo sapeva: la cosa non gli piaceva per nulla!

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Minuto dopo minuto Ranma si pentiva sempre più di aver dato il via a tutta quella storia. Con il respiro affannoso, il capo reclinato contro il petto e le gambe piegate dalla fatica, il giovane cercava dentro di sé la motivazione per andare avanti.

Il dolore, la fatica, la delusione poteva comprenderli, combatterli… ma quello! Era la peggior cosa che avesse subito: il peggior attacco di cui fosse stato vittima. Per di più non era ancora riuscito ad ottenere risultati apprezzabili, nonostante i molti sforzi per controllarsi!

“Ranma quando era piccolo faceva sempre la pipì a letto e poi diceva a tutti che ero stato io!” un colpo basso di Ryoga…

“Una volta rubò dei biscotti a suo nonno Happosai e per punizione fu costretto a girare nudo per la corte… meno male che aveva solo quattro anni” un attacco spietato di Taro…

Stringendo i denti, Ranma tentò di ignorare le loro parole, concentrandosi solo sulla spirale, la spirale, la maledetta spirale. Obaba continuava ad attaccarlo armata del suo famigerato bastone, mentre gli altri, inaspettatamente divertiti dal suo supplizio continuavano a vomitare le loro ingiurie. Ma stavolta non si sarebbe fatto imbrogliare, no, non si sarebbe arrabbiato, né avrebbe provato a prender a calci Ryoga o Taro come prima… peccato solo che la bastonata della vecchia megera gliel’avesse impedito! Oh sì, che si divertissero pure quegli sciocchi, a lui non importava, il suo cuore non ne era minimamente intaccato, era calmo e flemmatico, di ghiaccio, appunto…

“Stamani Ranma stava portandosi Akane a letto” l’affondo peggiore, dal sangue del suo sangue per giunta!

Buttando all’aria la faticosa concentrazione che bene o male aveva conquistato in quei minuti, Ranma dimenticò di schivare i colpi e si avventò contro la sua innocente sorellina. “Non è vero! Bugiarda! Non ho fatto nulla di si- ahi!” implacabile era arrivata la punizione divina sotto forma di randellata.

“Il Cuore di ghiaccio, stolto ragazzino, il Cuore di ghiaccio! Guarda i tuoi passi!” gracchiò la vecchia indicandogli le impronte che, grazie alla cenere che gli aveva fatto calpestare prima, ora erano ben visibili. Sconsolato e pesto, Ranma notò come nemmeno una tra le ultime aveva seguito il tracciato della spirale.

“Niente di quello che ti viene detto deve toccarti” gli ricordò imperiosa l’Amazzone, Ranma sospirò poi si volse verso la ragazzina dagli inconfondibili capelli rossi.

“Hai mentito” brontolò, carezzandosi il capo.

In tutta risposta la sorellina sventagliò le ciglia con fare ingenuo “Lo chiediamo ad Akane?” no, una sculacciata non era sufficiente per quella vipera!

“Non è questo che importa ora, bugie o verità, quel che conta è che tu mantenga il sangue freddo, bamboccio. Per l’ultima volta, ci riuscirai?”

Gli occhi cupi e colmi di determinazione del giovane affrontarono quelli severi di Obaba. “Ci riuscirò” affermò, senza distoglierli.

Ai piedi del tatami, Akane lo guardò ed una strana sensazione la pervase: gli credeva. Assurdamente e senza alcun motivo, ma gli credeva, ci sarebbe riuscito. Stavolta non era il ricordo della propria sconfitta a convincerla, ma qualcosa nei suoi occhi. Il fuoco della determinazione pareva animarli.

--- --- ---

Ed incredibilmente Ranma vi riuscì sul serio.

Dopo ore passate a ignorare insulti e attacchi vergognosi di varia portata, finalmente riuscì non solo a compiere una spirale perfetta rifuggendo ai colpi di Obaba, ma anche il suo animo restò imperturbato. Nemmeno la più ignominiosa delle offese riuscì ad incrinare lo scudo di freddezza dietro il quale aveva trovato riparo. Con sforzo titanico, riuscì ad imbrigliare il suo carattere focoso e a dominarlo.

Certo, non fu facile, né poco faticoso; ma quando, stanco e ancora più pesto di prima, si gettò a terra, con il petto che si abbassava e alzava affannosamente per lo sforzo di riacquistare un respiro regolare, la vecchia maestra poteva dirsi soddisfatta.

Con un sorriso di nuovo dolce, gli andò vicino e lo aiutò a mettersi seduto “Bravo… è stato proprio bravo, sua grazia.”

Ranma capì, per il suo tornare a chiamarlo usando il titolo, che l’allenamento era finito e sorrise, nascondendo a malapena il compiacimento. Persino la principessa che fino a poco prima era stata la sua aguzzina più sadica, ora saltellava battendo felice le mani, rallegrandosi per la bravura del suo fratellone.

Anche Ryoga si congratulò con lui, scusandosi anche per le cose dette; solo Taro non fece apprezzamenti e con la solita aria distaccata lo guardò per poi commentare salace “Probabilmente ci sei riuscito solo perché la vecchia ti ha rintronato con le sue carezze.

A ribattere non fu però il ragazzo sfiancato, ma proprio sua sorella che indignata, affrontò il capitano delle guardie reali con fiero cipiglio, mani sui fianchi e sguardo fiammeggiante. “Dici così solo perché se fosse toccato a te imparare questa tecnica ci avresti impiegato pochissimo, visto che il tuo cuore è già un pezzo di ghiaccio!”

Per nulla piccato, lui scrollò le spalle e si allontanò, affermando di aver altro da fare che beccarsi con una mocciosa. Solo quando fu uscito dalla sala, Taro si concesse un sorrisetto divertito, tutto sommato era impressionato dalla tenacità di Ranma… e anche dalla sua testa dura! Un altro al posto suo sarebbe morto con tutte quelle mazzate! Erano volte come quelle che ringraziava di non essere più un amazzone…

Nonostante la durezza dei colpi inferti, il ragazzo non impiegò molto a riprendersi, né a ritrovare il suo solito atteggiamento impaziente. Era certo che una volta superato quello strazio, nulla poteva sembrargli peggio. Così, dopo essersi abbeverato con avidità, non perse tempo e domandò alla sua nuova maestra quale fosse l’ultimo passo per acquisire la tecnica tanto agognata, ma a smorzare il suo entusiasmo anche Obaba non ci mise molto. “Il terzo passo non è certo più facile del secondo, sua grazia. E comunque non può affrontarlo nelle condizioni in cui è ora. Si riposi e domani finalmente saprà.”

“Ma… ancora?! Me lo sono meritato! Insomma, ho imparato questo Cuore di ghiaccio in una mattinata, perché devo aspettare domani?! Di certo entro stasera saprò padroneggiare la tua tecnica del Dragone! Avanti, Obaba!” la implorò, ma lei non si fece impietosire nemmeno dal suo sguardo più abbattuto e, irremovibile, gli ordinò in pratica di andar via.

“L’ora di pranzo è passata da un pezzo, a causa sua siamo tutti affamati e stanchi e di certo anche lei lo sarà. Sì, era vero, ma Ranma avrebbe saltato volentieri un pasto pur di potersi allenare… il che era tutto un dire!

Deluso, lasciò vagare lo sguardo per il dojo e quasi per caso inciampò in Akane: non ci aveva pensato! Forse non poteva allenarsi, ma lei avrebbe potuto spiegargli in cosa consisteva il prossimo ostacolo, così da potersi preparare!

Non gli sarebbe spiaciuto infatti sapere prima di quello che l’aveva atteso quella mattina… Akane non distolse il suo sguardo come prima, anzi, i suoi occhi lo fissarono con un’intensità tale che Ranma pregò di non essere arrossito ancora.

“A proposito Ranko, perché hai detto quella cosa, prima? Sul fatto che… ecco, Ranma e… e Akane… ecco” ci mancava pure che quello scemo di Ryoga tirasse fuori quella storia!

Ma prima che potesse obiettare, la linguaccia di sua sorella aveva colpito ancora “Perché è vero, l’ho visto con i miei occhi. Ranma stava portando Akane a letto.”

Ryoga strabuzzò gli occhi, pervaso da un forte tremore “Co- co- co…”

“Smettila di fare la gallina! E tu, razza d’impicciona che non sei altro! Non la stavo portando a letto, capito?! Non ho certi gusti orridi io!” sbraitò l’erede al trono, colorito tendente al paonazzo e completamente ripresosi dalla fatica, almeno a giudicare da come era scattato in piedi.

“Allora che ci facevi con lei in braccio sul tuo letto?” continuò imperterrita Ranko, ignorando lo sguardo minaccioso con cui lui sperava di zittirla.

“Volevo solo toglierla dal pavimento visto che quella stupida si ostina a dormirci!”

“Oh, ma allora ti sta a cuore la sua salute” cinguettò l’altra.

“Piccola peste bugiarda! Lo sai benissimo che non la toccherei nemmeno con un dito quella piaga! E’ solo che… che… che non potevo lasciarla lì, ostruiva il passaggio!” la risata irriverente che ricevette in risposta fu segno di quanto sul serio fu presa la sua spiegazione.

“Non occorre che si giustifichi, sua grazia. Akane del resto è destinata a diventare sua moglie, per il codice delle donne Amazzoni.

Il silenzio più assoluto cadde nella sala e tutti, Akane compresa, si volsero verso la placida vecchietta che sfoderava l’aria più serena che le avessero mai visto.

“Ehi, aspetta… ecco, a questo proposito, io ho… ecco, ho deciso che Akane non dovrà sottostare al codice – Ranma inciampò sulle parole, ma poi parve prender coraggio – Lei è la mia schiava ed io le ho ordinato di non sottostare a nessun altra regola che non fosse la mia!”

Obaba inarcò un sopracciglio “Oh, questo vuol dire che la mia protetta non l’ha baciata? Peccato…”

“Obaba!”

Co- coco…”

E tu dacci un taglio cretino!”

--- --- ---

Akane attraversò il giardino con il cuore in gola. Dopo le scioccanti, per lei almeno, parole di Obaba ed il trambusto che era seguito al battibecco tra Ranma e Ranko, una volta ritornata la calma (e aver scosso il cugino del principe da uno strano ed immotivato, sempre per lei, stato catatonico), il ricordo di quanto dettole dalla regina era tornato, più angosciante di prima.

Aveva pranzato da sola e dopo aver chiesto a Ranma di potersi allontanare per qualche ora, permesso che lui le aveva concesso fin troppo lietamente, si era incamminata verso il piccolo giardino sull’ala est, dove Sayuri le aveva detto trovarsi di solito sua maestà a quell’ora del giorno.

Mentre attraversava i molti corridoi che la separavano da quell’incontro, la giovane non prestò particolare attenzione a quello che la circondava, degnò solo di una superficiale occhiata l’intenso via vai che sembrava pervadere quella corte a qualsiasi ora. Era un miracolo, si disse fuggevole, che nessuno avesse scoperto degli intensi allenamenti del principe o che fosse venuto a cercarlo per così tante ore.

La taciturna ragazza era a sua volta oggetto di sguardi, certo non superficiali quanto i suoi: molti occhi, più o meno curiosi, si posavano su di lei, soprattutto da parte della servitù. Molti di quegli sguardi erano semplicemente curiosi, ma Akane si accorse con sorpresa che alcuni di questi erano addirittura ostili. Soprattutto le ragazze più giovani sembravano fissarla con antipatia, per poi ignorarla: che fosse a causa di Ranma? Tsé, quelle oche! Avrebbe fatto a cambio con loro in qualsiasi momento, si disse, sistemandosi meglio il bracciale sul bicipite, simbolo della sua condizione.

Quando giunse al più piccolo dei vari giardini che adornavano la bella corte di Augusta, Akane capì subito perché Sayuri l’avesse definito come il preferito di sua maestà.

Era di una bellezza quasi ultra terrena, pensò superando un piccolo arco che da uno dei cortili laterali dava l’accesso a quel piccolo gioiello. Piante e fiori di ogni specie e fragranza riempivano quel fazzoletto di terra, poco più grande di una serra, senza però renderlo caotico; anzi, vi era una cura profonda nella disposizione delle aiuole, racchiuse tutte intorno ad un piccolo bersò candido, aggredito dall’edera più brillante che Akane avesse mai visto. Il verde intenso dei suoi tralci sembrava intensificarsi contro la superficie chiara a cui erano stretti in un amoroso abbraccio; macchie di colore ugualmente intenso di levavano a piccoli gruppetti, rendendo quel piccolo giardino una vera e propria tavolozza. Alcune panche in pietra finemente lavorata completavano lo scarno ed essenziale arredamento di quel posto magnifico. Inebriata dai profumi e dalla vista di tante meraviglie, Akane sentì il cuore farsi più leggero, mentre con passo sempre più fermo si avvicinava ai piedi della breve scalinata del bersò dove, sola, la Regina la attendeva.

Era davvero bella. Di una bellezza placida e rasserenante, matura seppur la donna fosse sicuramente ancora nei suoi anni giovanili. I capelli, lucenti e di un caldo castano, erano raccolti sul collo e chiusi da un elegante fermaglio di lapislazzuli azzurri. Anche l’abito, composto da una tunica chiara coperta da una veste più scura, riportava le sfumature delle pietre, mentre nei delicati  ricami floreali sulle larghe maniche e sull’ampio collo della veste prevaleva l’argento.

Un sorriso dolce e che Akane non poteva definire in nessun altro modo che materno la accolse quando, giunta dinanzi a lei, si inchinò con profondo rispetto, che spontaneamente sentiva nascere in lei di fronte a quella donna dal volto sereno.

“Ti piace qui?”

“Oh, sì maestà… la ringrazio di avermi chiesto di raggiungerla in un posto tanto bello!” le rispose con sincerità, ritornando dritta.

“Sentiti libera di venirci ogni qualvolta tu lo voglia… Oh, scusa! Che indelicatezza da parte mia usare una simile espressione!”

La giovane schiava agitò il capo “Non deve assolutamente scusarsi, sua maestà… La… la schiavitù è l’unica vita che io abbia conosciuto, non è ormai una condizione che mi pesa” sperò che una simile menzogna risuonasse credibile. Un po’ del disagio che l’aveva dominata fino a poco prima tornò ad adombrarle lo sguardo che tenne cautamente basso.

“Posso porti subito la domanda che mi ha spinto a chiederti di venir qui?”

P-prego, sua maestà.”

Con un gesto aggraziato della mano, Nodoka le indicò una delle panchine più vicine, accanto all’aiuola traboccante di viole del pensiero di varie sfumature dove la condusse prima di prender posto; titubante Akane le sedette accanto e restò in attesa.

“Peccherò ancora d’indelicatezza, scusami in anticipo per questo Akane, ma vorrei porti delle domande su mio figlio.”

Sorpresa, la schiava alzò di scatto il viso “Sul… sul principe?”

“Sì: come si è comportato con te in questi giorni?”

“Ecco… lui… è gentile.”

“Gentile? Il mio Ranma? Oh, non occorre che tu menta ancora Akane… Ranma non è propriamente un tipo gentile, se pur in lui non possa dirsi assente bontà e generosità d’animo, ma temo che l’esser cresciuto con il precedente sovrano e con quello attuale, ahimé, non abbia aiutato al suo… rapportarsi con gli altri, soprattutto con le giovani donne carine come te” ridacchiò divertita e intrecciò le mani candide sulle ginocchia.  “Ti ha in qualche modo mancato di rispetto?”

Akane sentì il sangue abbandonarle il viso e il cuore bloccarsi per un momento che le parve interminabile: la Regina le stava forse chiedendo se… “No, no! Lui… lui è stato... riguardoso con me! Non mi ha sfiorato con un sol dito! Davvero!” insisté, sentendosi quasi attraversare da quello sguardo pacato che si raddolcì ancor di più.

“Ne sono lieta… o forse non dovrei essere così contenta, dopotutto: sai, vado molto fiera della virilità di mio figlio. Il mio sogno è che diventi un uomo tra gli uomini – improvvisamente la sua voce aveva assunto una sfumatura sognante – per questo ho tante volte lasciato che fossero degli uomini a curarsi della sua educazione… Ora, però se mi dici che lui non ha nemmeno provato a toccarti, forse dovrei temere, non credi?”

Era uno scherzo?

Akane batté più volte le palpebre, come se volesse accertarsi di esser sveglia: era davvero impegnata in una discussione sulla virilità del suo principe?! Con sua madre, poi, santo cielo! Spalancò la bocca, pur essendo incapace di emetter alcun suono ed i suoi occhi, ora che li teneva belli spalancati sembravano esser ancora più grandi.

Nodoka la fissò per alcuni istanti, studiando la sua espressione stupita, poi quasi soprapensiero si morse il labbro inferiore. “Sai, Akane, somigli tanto ad una persona che ho conosciuto tempo fa… tantissimo tempo fa” sussurrò, mentre la fronte le si corrugava per lo sforzo di ricordare, o per fronteggiare ricordi improvvisamente tristi, sensazione rafforzata anche dal tono di voce greve. “Una persona che ormai è morta… povera dolce Ami.”

Stavolta il cuore di Akane si fermò sul serio, per poi accelerare impazzito: Ami… sua madre?! Possibile che… no, non poteva essere si disse, imponendosi di star calma e facendo appello proprio alla tecnica che tanto faticosamente Ranma aveva appreso. Era una coincidenza, non poteva…

“Aveva i tuoi stessi occhi ed il suo modo di guardarmi quando dicevo qualcosa di assurdo era proprio come quello che avevi tu poco fa. Povera Ami… così piena di vita e così innamorata del suo Soun… Oh, scusa cara, sto qui a parlarti di cose tanto tristi! Sei impallidita…”

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Capitolo 7
*** capitolo settimo ***


It takes me higher

di Breed 107

 

 

Capitolo settimo.

Akane corse per i corridoi in preda alla più forte emozione che avesse mai provato. Disperatamente cercava l’unica persona con cui potesse parlare di quanto accaduto, l’unica che conoscesse il motivo per cui le innocenti frasi della sovrana l’avessero sconvolta tanto, Obaba.

Sperando fortemente di trovarla là, si diresse verso la sala dove usavano riunirsi le donne libere dai propri servizi, tentando di rammentarsi dell’intricato percorso che aveva fatto il giorno prima in compagnia di Ranko. Intanto le parole della donna le risuonavano ancora in testa.

Aveva rassicurato di star bene con un filo di voce, nonostante il pallore che le aveva sbiancato il volto e seppur non del tutto convinta, Nodoka aveva annuito tranquillizzata.

“Maestà, questa donna, questa Ami… viveva qui a corte?”

“Oh, no! Ami era nata e cresciuta nel regno di Nerima. La conobbi quando la mia famiglia si recò in quel posto sventurato… Non sono di origine nobile, sai, e mio padre si recò in quelle terre per poter incontrare un maestro dell’arte della spada, di cui egli stesso poteva definirsi un artista. A quel tempo Ami era fidanzata con il figlio di questo esperto – il volto della regina si era come rannuvolato al ricordo di quei giorni infelici – ma lei non ne era affatto lieta: non amava quel ragazzo, anzi lo disprezzava con tutto l’animo… La sua fortuna, ma anche la sua più grande sventura, fu che il giovane erede al trono si innamorò di lei, strappandola a quell’infausto matrimonio e la rese sposa e madre felice. Ma si sa, la troppa fortuna suscita l’invidia delle divinità… la felicità della mia povera amica non durò molto… Oh, non dovrei raccontare storie simili! Certamente non incontrano il tuo interesse! Ritornando a mio figlio…”

Con molto sforzo e patema, Akane aveva continuato a rispondere alle varie domande che la regina aveva continuato a porle su Ranma, ma la morsa che le aveva stretto il petto era diventata quasi dolorosa quando aveva potuto finalmente lasciare il giardino, congedandosi da lei con la promessa di tornare a trovarla anche nei giorni successivi.

Ed ora mille frenetici pensieri le agitavano l’animo mentre cercava la sua maestra.

Come una furia entrò nella sala che aveva finalmente trovato ed il sollievo quasi la ridusse sull’orlo delle lacrime quando tra le varie dame e cameriere riunite a parlottare tra loro, scorse la figura piccola e apparentemente fragile dell’amazzone.

Ignorando le molte donne che si volsero nella sua direzione, le corse incontro, inginocchiarsi poi ai suoi piedi “Obaba…”

“Piccola, cosa c’è? Hai un’espressione…”

“Devo parlarti, Obaba, da sola! Ti prego!” la implorò. L’anziana la scrutò con maggiore attenzione, notando anche l’eccessivo pallore del volto della sua pupilla ed il tremore che sembrava agitare le sue membra. Senza aggiungere altro, si arrampicò agilmente sul suo bastone e usandolo come un’asta si allontanò da quella stanza con occhi ed orecchie indiscrete.

Quando finalmente si fermò, Akane si ritrovò nel grande cortile interno del palazzo, accanto alla fontana dove poco tempo prima aveva visto allenarsi Ranma con suo cugino Ryoga.

Obaba sedette sul bordo della fontana e le fece segno di fare altrettanto “Allora, piccina, cosa ti è accaduto?”

“Obaba, la Regina ha chiesto di vedermi stamani e… e quando l’ho incontrata mi ha detto di aver conosciuto mia madre!”

La notizia, che avrebbe dovuto secondo Akane sconvolgere anche l'amazzone sembrò invece non turbarla affatto, la sua unica reazione fu leggero aggrottarsi di sopracciglia “Ti ha riconosciuto?”

“No… mi ha detto solo che le ricordavo una persona, una sua amica… mia madre… Perché la cosa sembra non stupirti?” le domandò con voce incerta.

Obaba sospirò e levò i grandi occhi verso il cielo, che ormai le ombre della sera stavano oscurando “Non è poi così strano, non credi, piccola mia? Tua madre era una regina, per di più di un regno potente e florido, è normale che altri sovrani l’abbiano conosciuta e ti ho detto numerose volte che tu le somigli moltissimo, doveva capitare prima o poi nel nostro peregrinare da una corte all’altra di imbatterci in qualcuno che l’avesse conosciuta.”

“Sì, è vero, ma… ma la Regina Nodoka ha conosciuto mia madre prima che diventasse sovrana! Mi ha raccontato di come ella fosse destinata a sposare un altro uomo e…”

Stavolta le sue parole sembrarono sortire effetto sulla sua compagna. Obaba infatti si volse a guardarla di slancio, l’espressione contratta e nervosa “La Regina ti ha parlato di Kuno?!” le domandò stupita e quando la sua giovane amica batté le palpebre in preda alla confusione, imprecò a bassa voce per essersi lasciata sfuggire quel maledetto nome che nessuna delle due pronunciava mai.

“Kuno? Mia madre era la promessa sposa di… di quell’uomo?! E’… è per questo che… Perché non me l’hai mai detto?!” le lacrime che fino a quel momento aveva combattuto con efficacia le inondarono gli occhi, velandole lo sguardo sconvolto e ferito. “Perché?” domandò ancora flebile.

Obaba sospirò e scosse leggermente il capo canuto “Non è importante.”

“Non è importante?! Come non è importante?! Quell’uomo ha distrutto la mia famiglia, mi ha reso una schiava! Tutto questo per vendicarsi! E tu dici che non è importante?”

“Akane – nonostante l’evidente cordoglio per la sua amata protetta, la voce della donna risuonò severa – sapere il perché non ti servirà ad ottenere la tua rivalsa. Il tuo fine resta lo stesso, eliminare il tiranno che tanto male ha causato a te, ma anche alle migliaia di persone che vivono sotto il suo folle giogo. Solo questo devi tenere a mente, solo questo deve spronarti, il desiderio di giustizia! La cieca vendetta che ha mosso l’avidità di quell’uomo indegno non deve diventare il tuo sprone o fallirai!”

Il silenzio del cortile deserto divenne improvvisamente palpabile per Akane. Razionalmente sapeva che Obaba non sbagliava: ciò che le aveva detto la Regina Nodoka non cambiava nulla. Ma come spiegare alla sua maestra cosa era significato per il suo animo sentir parlare di sua madre e della sua infelicità da altre labbra che non fossero le sue? Le era impossibile spiegare il dolore provato per aver colto il vero e proprio sconforto nelle parole di quella donna nel parlarle di una persona cara ad entrambe. E poi… era un altro il pensiero che la angosciava e a cui aveva paura di dar voce, ma non poteva tacere, non con quel peso sull’anima.

“Lei crede che sia morta, Obaba, e se… se fosse vero? Se fossero morti tutti? Cosa servirebbe liberarmi di quell’uomo?”

Una lacrima scivolò lungo la guancia per infrangersi sulle sue mani tremanti, una singola lacrima luminosa che rattrappì il cuore della vecchia amazzone. Con amore e gentilezza le carezzò la guancia umida, asciugando la scia che quella stilla luminescente aveva lasciato; la sua mano piccola e forte le sfiorò appena il volto eppure in quel contatto minimo, Akane avvertì tutta l'empatia della maestra, tutto il partecipare alla propria sofferenza e se pur di misura si sentì sollevata.

Riuscì a sconfiggere il pianto e più rasserenata, le sorrise incerta “Davvero mi somigliava tanto?” domandò, in cerca di una conferma che le mondasse lo spirito dalla rassegnazione.

“Certo, ti somigliava tantissimo. Gli stessi occhi, lo stesso piglio agguerrito.”

“Anche la sovrana mi ha detto le stesse cose…”

“A proposito, di cosa altro hai parlato con la madre del principe?” la nota divertita nella voce di Obaba ridiede un po’ di colore al volto pallido della giovane schiava che sorrise imbarazzata.

“Tu non ci crederai mai! Non ci credo nemmeno io, pur se ho dovuto rispondere a certe domande! Lei… ecco, è una donna stupenda, dolcissima, ma ho come l’impressione che sia un po’… fissata con certe cose.”

“Certe cose? Non dirmi che è una patita dell’arti marziali come i suoi due figlioli!”

“No, no! Lei mi ha chiesto… se suo figlio mi abbia mai toccato! Mi sono sentita morire… e la cosa più assurda è che, una volta saputo che lui non ha allungato un sol dito su di me, dopo un primo momento in cui ne è stata lieta, se n’è poi preoccupata. Teme che suo figlio non sia abbastanza… virile.”

Quell’ultima parola le uscì a fatica dalle labbra e fu accolto dal silenzio stupido della donna sedutale accanto. Silenzio interrotto dal suono gracchiante di una risata irrefrenabile che inondò il cortile, seguita a breve da un’altra, più cristallina e giovane.

--- --- ---

Fu il suono di quella risata che avrebbe riconosciuto tra mille pur avendola sentita una sola volta, a guidare i passi di Ryoga. Perso nel suo continuo girovagare alla ricerca della sua camera, aveva sentito quel suono celestiale e seguendolo come il canto delle sirene, ne fu irresistibilmente attratto. Per fortuna l’udito funzionava meglio del suo senso dell’orientamento!

Quando giunse nel cortile, individuò subito le due donne sedute sul bordo della fontana e sperando di non interromper quella dolce melodia, si avvicinò. Obaba rideva con il viso rivolto verso l’alto, una mano stretta sul ventre sussultante, mentre Akane, nascondendosi il viso tra le mani come sempre, era piegata in avanti dalla forza irresistibile del riso. Meravigliosa…

Ryoga aveva il sospetto di star innamorandosi di quella ragazza; di certo amava già la sua risata ed il suo sorriso. Il pensiero che contro la sua volontà per di più, fosse costretta a condividere la camera con uno come Ranma, lo atterriva; quando Ranko aveva insinuato durante l’allenamento di suo fratello, che lui l’avesse… insomma, che le avesse fatto l’impronunciabile, lo aveva sconvolto. A mente fredda si era reso conto però che le parole di quella sfacciata travestita da graziosa ragazzina non potevano essere vere, era impossibile! Akane era troppo pura e suo cugino troppo idiota…

“Obaba…” richiamò la sua schiava, per poi pentirsene immediatamente, poiché così facendo diede fine anche alla meravigliosa visione del riso di Akane, la quale nel vederlo così vicino si alzò per inchinarsi a mo’ di saluto.

Padron Ryoga! Mi cercava?” domandò l’amazzone asciugandosi gli occhi con la manica della sua veste verde intenso.

“No, ho sentito qualcuno ridere e mi sono incuriosito” spiegò, impossibilitato a staccare gli occhi dal viso della ragazza.

“Io e Akane ripensavamo all’allenamento del Principe… certo che ne ha di segreti vergognosi quel ragazzo.”

Akane si morse il labbro per frenare un’altra risata: nonostante non fossero la verità, le parole di Obaba erano più che vere! Alcune delle frasi urlategli contro quel mattino avevano del ridicolo…

“E’ sempre stato un tipo vivace” ammise Ryoga, scoprendo i graziosi canini in un sorriso sincero.

“Stava cercando la sua camera?” chiese a quel punto la sua schiava, rimontando sul bastone nodoso: anche se era da poco a corte, non ci aveva messo molto a scoprire il piccolo problema del padrone. Povero ragazzo, eppure in lui vedeva tante potenzialità: aveva un mezzo pensierino di insegnargli, appena finito con il principe, una tecnica molto adatta alla sua struttura fisica forte e coriacea…

“No, no, facevo quattro passi in attesa della cena – mentì clamorosamente – anzi se vi va di unirvi a me…” propose speranzoso, fissando intensamente Akane.

“Le mie vecchie ossa hanno bisogno di riposo dopo la fatica di stamani, ma forse Akane può accompagnarla, così conoscerà meglio il palazzo” la ragazza fece per aprire la bocca e ritirarsi a sua volta, ma lo sguardo della sua istitutrice era fin troppo chiaro.

“Certo, l’accompagnerò con piacere, Signore.”

Grata, Obaba le si avvicinò discretamente “Non lasciarlo uscire dal palazzo o potrebbe impiegare giorni per tornare” le sussurrò velocemente.

Fu così che Akane fu nominata dalla anziana precettrice come una sorta di guida; evidentemente Ranma non era l’unico ad averne incontrato le simpatie, valutò la schiava. Dal canto suo Ryoga era tanto felice da non aver fatto caso alla frase velocemente sussurrata da Obaba e a stento le rivolse il saluto quando, saltellando sul bastone a dispetto delle presunte ossa stanche, lasciò il cortile.

Soli… il cuore gli esplose di gioia al pensiero: solo con Akane!

“Ti… ti piacerebbe vedere una cosa?”

“Una cosa? Certo, Signore.”

“Eh eh… bene, allora andiamo! Non ci resta che trovare la torre est!” affermò fiducioso, mettendosi in cammino… direzione ovest, naturalmente.

Akane sospirò: sarebbe stata davvero un’impresa tenerlo nei confini del palazzo!

--- --- ---

Dopo quella che ad Akane parve un’eternità e soprattutto grazie alla guida di quest’ultima, riuscirono a trovare la torre est, quella che Ryoga le aveva spiegato essere la più alta delle due che arricchivano la già superba architettura del palazzo.

Mentre si arrampicavano su per la stretta scala a chiocciola che li avrebbe portati alla sommità, solerte le raccontò che era stata usata come piccionaia da Re Happosai. Lo scaltro, e pervertito nell’opinione di Akane, sovrano aveva in passato addestrato personalmente numerose specie di volatili, soprattutto falchi che erano diventati abilissimi predatori. Qualcosa diceva alla giovane che oggetto di predazione di quelle povere bestie non fosse della semplice cacciagione, ma della biancheria. Ricordava bene le mirabolanti avventure di quel vecchio maniaco raccontatele da Ranma… e lo sguardo imbarazzato e sfuggente di Ryoga non faceva che confermare i suoi sospetti.

Dopo una scalinata assurdamente lunga, proprio mentre stava domandandosi perché cavolo si ritrovava in un simile posto, finalmente giunsero davanti ad una porticina malandata, così piccola che i due dovettero quasi accovacciarsi per entrarvi. “Nonno Happosai non era molto altro…” spiegò imbarazzato il ragazzo, porgendole la mano per aiutarla a rimettersi dritta una volta superato l’uscio, poi con un gesto plateale le indicò il vero motivo per cui l’aveva condotta fin lassù.

Dalle ampie finestre che si aprivano sulle mura della torre, Akane poté ammirare uno dei paesaggi più superbi che avesse mai visto: grazie alla pianta circolare dalla piccola stanza ormai sgombra, e proprio grazie alle grandi aperture ad arco, si poteva godere di una visione totale di Augusta al tramonto.

La città, stretta intorno alla sua corte, si stendeva ai loro piedi e la luce particolare del sole, che spariva dietro i monti all’orizzonte, le donava un’atmosfera rarefatta e quasi irreale. La lunga striscia del fiume che attraversava l’abitato, dividendolo in due parti quasi uguali riluceva sinuosa nella luce morente, mentre un bosco che si estendeva quasi a perdita d’occhio costeggiava le mura orientali. La sua macchia brumosa ricordò all’affascinata ragazza un manto di velluto. Miriadi di piccole luci andavano accendendosi nelle case della vivace città e le persone, che Akane per le loro dimensioni e per il loro affaccendarsi per le vie minuscole associò a delle laboriose formiche, rendevano quel quadro più vivo che mai.

Si avvicinò ad una delle aperture e percorse con lo sguardo quella mirabile veduta, cercando di scorgerne ogni angolo ed anfratto, così rapita che per un momento dimenticò di non esser sola lassù. Rammentò il ragazzo che aveva voluto mostrarle tanta bellezza quando lui la affiancò. “Ti piace? Io vengo qui spesso… o almeno ci provo, eh eh…”

“E’ meraviglioso! Non immaginavo che la città fosse così grande! E quel bosco? Sembra immenso!”

Lieto del suo entusiasmo, Ryoga ne osservò rapito il profilo “Sì, è abbastanza vasto. Una piccola parte è riservata alla corte, ma per il resto è a completa disposizione del popolo… Io e Ranma da bambini ci sfidavamo in assurde prove di coraggio tra quegli alberi, tipo a chi vi resisteva di più all’avanzare della notte. Che punizione ricevemmo quella volta!”

“E chi vinse?” chiese lei curiosa.

“Ranma naturalmente, lui vince sempre” fu la risposta un po’ amareggiata che ricevette, ma poi un sorriso divertito gli distese i tratti del volto. “Zio Genma si infuriò tantissimo quando quello stupido tornò il mattino seguente! Lo rinchiuse nel dojo dove permise a mio nonno Happosai di allenarlo per una settimana, vietandogli di vedere qualsiasi altra persona: nessuno sa cosa sia mai accaduto durante quella settimana, Ranma non ha mai voluto raccontarlo, ma conoscendo quel vecchio pazzo non deve essere stato affatto piacevole.”

Non dissero molto altro, Akane troppo intenta ad ammirare il panorama, Ryoga che ammirava lei. Ne era certo ora, non nutriva più alcun sospetto: non era la sola risata che amava di lei.

--- --- ---

Ranma sbuffò almeno per la decima volta e si affacciò irritato al balcone della sua camera almeno per la quinta volta. Dove diavolo era finita quella ragazza?! Era sparita da ore e nessuno sembrava sapere dove fosse andata a cacciarsi!

Non poteva aspettarla ancora a lungo: suo padre l’aveva fatto chiamare già due volte ed era a corto di scuse. Brontolando, il giovane rientrò nella stanza, cominciando a misurarla a grandi falcate. Non era essenziale che lei fosse lì al momento, anzi, non lo era per nulla pensandoci, però gli sarebbe piaciuto parlarle, chiederle di quel terzo ed ultimo, sperava, momento che lo separava dall’eseguire una perfetta tecnica del Dragone. Era per quello che voleva vederla, non per altro, certo… E poi si poteva sapere che cavolo aveva da fare una come lei?! Era la sua schiava, no? Non poteva andarsene in giro come e quanto le piaceva così, senza dire nulla! Meschinamente rimosse il fatto che fosse stato proprio lui a concederle di andarsene in giro e di fare quel che le pareva.

Stufo anche di percorrere quella angusta camera, decise che sarebbe andata a cercarla, al diavolo la cena: poteva sempre dar ordine di far portare il cibo in camera, proprio come la sera precedente, in modo da poter agevolmente interrogare Akane sulla tecnica. Sì, poteva fare così!

Aveva già cercato nei dormitori della servitù, nel dojo e in una decina di altre sale, tra cui quella che sua sorella chiamava la camera del pettegolezzo, dove il suo ingresso aveva creato scalpore tra le decine di donne riunite lì. Aveva scartato solo la sala principale e le camere personali di Ranko, visto che sua sorella al contrario di lui doveva star cenando in quel momento. Sempre più irritato decise di provare in cortile… sperava solo che quella peste non avesse deciso di visitare la città!

Quando giunse in cortile Akane non c’era, ma poggiato contro una colonna scorse Taro; dal suo modo di tenere le braccia incrociate e dall’aria annoiata intuì che il capitano stava aspettando qualcuno. “Taro! – lo richiamò, andandogli contro – Che fai qui? Non dovresti essere a cena?”

L’altro ragazzo si strinse nelle spalle, la sua espressione tediata imperterrita “Ti potrei fare la stessa domanda. Comunque cerco Ryoga.”

Ranma annuì, per nulla meravigliato “Perso come sempre eh? In questi ultimi giorni il suo orientamento sta peggiorando… ieri me lo sono trovato in camera. Senti, ma lo cerchi standotene fermo?”

“E’ più probabile che nel suo vagabondare mi trovi lui, piuttosto che c’inciampi tentando di scovarlo.” Effettivamente… “E tu, chi cerchi?”

“Nessuno! Facevo quattro passi.”

“Quattro passi invece di mangiare? Tu?”

Gli sarebbe piaciuto togliergli quell’espressione saputa dalla faccia! A volte Ranma aveva l’impressione che gli occhi del suo amico vedessero molto più di quanto apparisse: sapevano scorgere nell’animo delle persone, soprattutto smascherare le bugie. Era irritante… “La tua bella non è in camera?”

Ecco, appunto! Forse era vero che il popolo amazzone possedeva doti divinatorie… Arrabbiarsi con un tipo apatico come lui comunque non avrebbe fatto che confermare le sue supposizioni, perciò Ranma si limitò a scrollare le spalle indifferente.

“Non lo so, non ho guardato con attenzione.” Sapeva di non avergliela data a bere, ma per fortuna il capitano non volle approfondire e si limitò a scuotere il capo. “Sarà meglio che vada ora, mio padre si domanderà che fine abbia fatto” meglio filarsela, approfittando di una simile fortuna, ma non aveva fatto che un passo quando qualcuno sbucò da una delle entrate laterali.

“Sembra che la mia ricerca sia finita… e anche la tua, Ranma” fu il commento di Taro che non si scostò nemmeno dal suo comodo appoggio, commento che comunque il principe non udì.

Ancora?! Ma allora era un vizio! Sembrava che ultimamente non riuscisse a trovare il cugino se non attaccato alla sua schiava! I due ragazzi, parlottando animatamente non si accorsero della loro presenza fino a quando Ryoga, con un sorriso stampato sulla faccia, non li vide e li salutò con la mano… l’idiota. Ranma lo guardò appena, più interessato ad Akane al momento: la giovane aveva un’aria tranquilla, quasi… quasi come l’aveva vista quel mattino, quando ancora addormentata l’aveva presa tra le braccia. Già, la stessa serenità solo che ora era ben sveglia, altrochè!

Qualcosa, non volle chiedersi cosa precisamente, lo infastidiva in quel volto rilassato; lo stizziva, turbandolo profondamente. Non doveva mostrarsi seccato, non poteva! Per lei poi!

Respirò a fondo e per la prima volta fece ricorso al Cuore di Ghiaccio da poco appreso per mascherare le proprie emozioni. Sentì i tratti del viso distendersi e anche le spalle, che si erano contratte nervosamente, si rilassarono… forse aveva funzionato. Forse…

Taro lo squadrò con la coda dell’occhio e tornò a scrollare il capo “Però – mormorò in modo che solo lui potesse sentirlo – l’hai imparata proprio bene la tecnica della vecchia.”

Non ebbe occasione di ricacciargli in gola quella frase, visto che Ryoga ed Akane li avevano raggiunti. “Salve Taro, cugino! Cercavate me?” era allegro lui… quel sorriso beota non si era mosso di un millimetro.

“Sì, cugino, stavamo cercando te. La cena è pronta e temevamo potessi lasciare Augusta” quel commento che in altre occasioni lo avrebbe fatto infuriare il ragazzo, invece non ne scalfì per nulla il buon umore.

“Avevo una buona guida. Non è incredibile che sia stata lei a guidare me? E’ qui solo da pochi giorni!”

“Già, sarebbe incredibile per chiunque sappia da che parte ha il sedere.”

“Ryoga, sto morendo di fame! Su, saluta la tua amica e andiamo.” Forse lui non se n’era reso conto, ma qualcosa nel tono di Ranma aveva messo in guardia Taro: la freddezza con cui aveva detto quella cattiveria non aveva nulla a che fare con il Cuore di Ghiaccio. Senza perder tempo, afferrò l’amico per il collo della casacca e senza complimenti lo trascinò via, non prima che l’inconsapevole Ryoga salutasse la ragazza, ringraziandola per avergli fatto compagnia.

Divertita da quella strana scena, Akane li guardò allontanarsi con un sorriso. Ranma non aveva sbagliato nel giudicarla serena: l’aver parlato con Obaba prima e la visita su alla torre le avevano rinfrancato l’animo. La visione di qualcosa di tanto bello da sembrare perfetto le aveva come ridato energia, fiducia in un mondo che poteva serbare non solo simili bellezze, ma anche persone di cuore come Ryoga.

Il capitano delle guardie reali, quel tipo altero che la faceva sentire terribilmente a disagio, l’aveva definita come un’amica… e lei in fondo al cuore un po’ sperava che lo stesso Ryoga la considerasse davvero tale. Era una persona buona e generosa che, per volere del destino, l’aveva aiutata più di quanto sapesse a superare momenti cupi, fosse con lo scarso orientamento o con il mostrarle un bel panorama.

“Sei stata con lui tutto questo tempo?” Ranma stava ancora guardandola, sperando intensamente che il suo tono le suonasse più casuale di quanto sembrava a lui.

“Intende dire da quando le ho chiesto di poter lasciare la camera dopo pranzo, signore? No, ho incontrato il signore suo cugino solo un paio di ore fa. Prima sono stata nel piccolo giardino nell’ala ovest, su invito di sua madre.”

“Mia madre? Che voleva?” chiese, per un attimo allarmato e fu sorpreso quando lei scoppiò a ridere.

“La sovrana mi ha fatto alcune domande sul suo comportamento, Signore.”

Conosceva troppo bene sua madre per non intuire a cosa si riferisse la ragazza, soprattutto se la cosa la divertiva tanto. Era evidente che quel giorno la sua vergogna non avesse fine!

Scosse il capo, rassegnato e poi sospirò “Non voglio sapere nulla in merito… Piuttosto, sarà meglio tornarcene in camera: devo ancora dare disposizioni per la cena.”

“Non cena con i suoi genitori, Signore?”

“Ehm, no, sono ancora in punizione.” Una piccola innocente bugia che lei non avrebbe scoperto, che male c’era?

S’incamminarono silenziosi verso l’interno del palazzo, camminando affiancati, poi Ranma si schiarì la voce “Ryoga ti ha mostrato il palazzo?”

“No, Signore, solo la torre est. C’è una vista molto bella… Non avevo idea che questa città fosse così grande, così come non sapevo che un fiume la attraversasse e poi…” Akane si fermò di colpo, come rendendosi conto solo in quel momento dell’entusiasmo che la animava. Arrossì e chinò il capo, arrabbiata per essersi lasciata andare così tanto soprattutto con lui, il suo padrone.

Si era ripromessa di essere il più ostile possibile, di fargli scontare con il proprio rancore il fatto di averla acquistata… ed ora si metteva a favoleggiare sulla città che lui avrebbe un giorno governato! Altro che storie, era lei quella che avrebbe avuto bisogno di un ripasso sul Cuore di Ghiaccio!

“Sono contento che Augusta ti sia piaciuta, magari appena sarò più libero dagli allenamenti porterò te e Obaba a visitarla, più da vicino.”

“Non si scomodi, Signore, non sono interessata.”

Ranma sorrise tra sé e sé: eccola che tornava alla carica con quel signore tanto acido. Pazienza, se quella testarda voleva continuare a fare la difficile, non sapeva che farci… e poi, così poteva divertirsi di più a prenderla in giro.

“Scommetto che hai dovuto portarcelo per mano fin lassù…” Akane non ribatté, c’era andato troppo vicino per smentire. “Quel testone si perde già normalmente, ma quando è nervoso diventa pure peggio! Ti ha fatto girare in lungo e largo, eh?”

“Il signor Ryoga non era affatto nervoso, anzi.”

Ranma fece una smorfia per nulla convinto “Credimi, era più che nervoso. Il fatto che ci fossi tu con lui, poi…”

“Sta insinuando che rendo nervose le persone, Signore?”

“A parte questo, penso proprio che nel suo caso tu lo innervosisca più di quanto faccia con gli altri.”

“Io non innervosisco nessuno!”

“Con quella faccia truce?”

“Io non ho la faccia truce per scelta: è tutta colpa sua, Signore!”

“Se, se, dai pure la colpa a me, maschiaccio.”

“Ma come… io con lei non ci parlo più!”

“Me lo prometti? Posso sperarci davvero?”

“Se la infastidisce tanto il suono della mia voce, allora parlerò ancora più forte, Signore!”

“Passi alle minacce ora?”

Così, beccandosi a vicenda ed attirando l’attenzione di chiunque avesse la buona sorte di vederli, i due tornarono verso le stanze del principe…

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Capitolo 8
*** Capitolo ottavo ***


It takes me higher

Di Breed 107

 

Capitolo ottavo.

“Lui cosa?!

Il valletto deglutì nervoso ed il suo inchino si fece sensibilmente più profondo. “Il… il principe suo figlio manda a… a dire che resterà nella sua camera anche… anche questa sera” ripeté balbettando leggermente, gli occhi fissi ai suoi piedi e le orecchie tese. Sobbalzò, come chiunque a quella tavola del resto, quando un poderoso pugno del Re si abbatté sul suddetto tavolo, provocando tintinnii e rovesciando coppe piene di sidro. Lo sapeva, si disse il pover’uomo chinando il capo tanto che il mento quasi gli si conficcò in petto, lo sapeva che quella sera avrebbe fatto meglio a restarsene nelle cucine!

“Come osa?! Gli hai riferito che il mio è un ordine?!” domandò imperioso Genma al valletto prostrato che annuì vigorosamente.

“Sì, sì, sua grazia! Ho riportato parola per parola ciò che sua grazia mi ha ordinato di riferire!” il poverino sudava ed era visibilmente preoccupato, forse temeva che il suo sovrano potesse sfogare su lui la rabbia per quel figlio disubbidiente.

La regina ne ebbe pena e decise di abbreviare le sue sofferenze “Può ritirarsi e dare ordini affinché la cena venga finalmente servita” gli disse con tutta la gentilezza di cui era capace e l’omino si allontanò velocemente, non prima però di averle rivolto un’occhiata colma di gratitudine.

Genma intanto pareva più rabbuiato che mai: a labbra strette fissava il piatto vuoto abbandonato davanti a lui ed ogni suo tratto testimoniava una profonda animosità nei confronti del suo primogenito. Gli altri commensali e familiari non osarono interrompere quel silenzio compatto in cui si era richiuso, più che altro preoccupati che un’ulteriore esplosione di ira avrebbe mandato a monte la cena a cui tutti anelavano.

Non era la prima volta che Ranma sfidava l’autorità paterna e c’era da star certi che non sarebbe stata l’ultima, per questo nessuno parve dar molto peso all’aria pensosa del re, nemmeno sua moglie. Ma l’ira del re era molto diversa dal solito, molto più profonda e carica di preoccupazione. In cuor suo non faceva che ripensare al generale Kean ed allo sgarbo cui era stato oggetto, sgarro per cui ora suo figlio disertava la cena. Era sicuro che fosse per quella maledetta ragazzetta che quello scellerato non si era presentato a suo cospetto da ben due giorni. Era intollerabile! Odiava esser disubbidito, ma più di tutto odiava esser messo alla berlina dalla sua stessa famiglia: i suoi figli non facevano che sfidarlo, in un modo o nell’altro.

“Adesso basta…” mormorò, stringendo le mani a pugno, risoluto più che mai. Nodoka, sedutagli accanto lo guardò, preoccupata per la prima volta: forse non era la solita arrabbiatura, forse stavolta Ranma era davvero andato oltre.

L’unico a rendersi conto subito della strana atmosfera scesa improvvisamente nell’immensa sala da pranzo, la stessa che pochi giorni prima aveva visto tenersi il fastoso banchetto per il compleanno regale, fu Taro nonostante fosse il più distante da Genma. Del resto Ryoga era ancora perso nelle sue meravigliose fantasticherie, a giudicare dalla sua espressione estasiata, mentre Ranko sembrava esser impegnata anch’essa in pensieri più o meno gioiosi. Sul viso della ragazza, seduta proprio di fronte al capitano, aleggiava un accenno di sorriso che nemmeno l’urlo paterno aveva spazzato via. Probabile che la piccola peste stesse pregustando già il piacere di diventare un’allieva della vecchia dal bastone facile. Quella stupida…

Per Taro in verità tanta determinazione a farsi del male era incomprensibile: perché una ragazza che si poteva affermare, senza ombra di smentita, possedesse tutto ciò che si potesse desiderare, aveva come unica aspirazione far diventare la propria vita un inferno? Lui conosceva le ferree regole, sociali e non, delle Amazzoni; vi aveva vissuto in mezzo anche troppo per i suoi gusti e proprio non ci si raccapezzava che qualcuno potesse farle proprie per scelta. No, quella ragazzina aveva dei seri problemi.

Non era Ranko a preoccuparlo ora però, piuttosto quel caprone del fratello: scegliendo di restare in camera con la sua schiava, Ranma non solo aveva urtato il suo già facilmente suscettibile genitore, ma aveva fatto un ulteriore passo verso quella che Taro prevedeva sarebbe stata la sua rovina. I sintomi c’erano già tutti, primo la gelosia che il ragazzo aveva mostrato nei confronti di Ryoga… E probabilmente quell’idiota con il codino nemmeno se ne rendeva conto!

Una famiglia d’incoscienti, ecco cos’era, si disse dedicando un altro sguardo alla principessa che ignara di ciò, canterellava un allegro motivetto a labbra chiuse, dondolando leggermente il capo a mo’ di accompagnamento.

--- --- ---

Intanto nella stanza del principe, l’atmosfera non poteva certo definirsi tranquilla…

“Avanti, che senso ha tacere ora? Perché non mi parli dell’ultimo passo per…”

“Mi spiace, ma non posso, gliel’ho già detto, Signore… almeno dieci volte – Akane sbuffò, certo che sapeva essere davvero insistente quel tipo – ma non le svelerò nulla.”

Ma è una cosa insensata! Che differenza credi che faccia, adesso? Domani mattina sarà Obaba a spiegarmelo, credi che cambi qualcosa?”

Il ragazzo non poteva capacitarsi di quanto Akane fosse testarda: aveva provato in tutti modi, persino con la gentilezza, ma la linguaccia pungente di quella, solitamente svelta nell’affibbiargli epiteti poco garbati, rimaneva tenacemente serrata nello svelargli ciò che gli interessava. Quando lei scosse ancora una volta il capo, sbuffò ed allontanò stizzito il piatto quasi vuoto.

Non sapeva cosa lo irritasse di più, se non venire a sapere ciò che gli premeva o l’atteggiamento ostile di quella. Eppure non l’aveva mai trattata male! Anzi, Ranma era pronto a scommettere che l’attuale stato di quella peste avrebbe rappresentato motivo d’invidia da parte di ogni schiavo sulla faccia della terra!

Incrociò le braccia al petto e decise di provare l’ultimo attacco, sperando con tutte le forze di poterla ingannare. “Mi costringi allora a fare ciò che non avrei mai voluto fare” asserì, abbassando grevemente il capo, sperando così di darsi maggior contegno.

Akane inarcò un sopracciglio e, ponendosi istintivamente sulle difensive, smise di consumare il suo pasto, lasciandolo in pratica intonso: a furia di respingere le sue richieste, aveva avuto appena il tempo di assaggiare qualcosa. “Signore, nemmeno la minaccia di procurarmi del male fisico servirà a smuovermi dalle mie decisioni” lo informò, con altrettanta serietà. Ranma batté le palpebre, stupito, ma anche lievemente offeso: male fisico?! Per chi l’aveva preso?!

“Non parlavo certo di questo, stupida!” urlò, mandando alle ortiche l’aria compunta di pochi istanti primi “Volevo solo dire che te lo ordino! Io ti ordino, t’impongo quale mia schiava di parlare! Ecco… non volevo arrivare a questo, ma mi ci hai costretto!”

Akane era perplessa: non riusciva a capire quale fosse la differenza di quell’ordine con quelli che le aveva dato in precedenza per ottenere risposta, ordini che lei aveva disatteso, proprio come avrebbe fatto ora. Fece per aprir bocca e rispondergli per le rime, ma lui la precedette “Sai, non ha senso che sia tu a decidere a quali disposizioni obbedire e quali no, non funziona così la cosa. Insomma – a questo punto la voce del ragazzo si fece più melliflua, quasi ironica – potrei ritirare l’altro ordine che ti ho dato, l’unico a cui ti sei degnata di obbedire da quando sei in questo palazzo.”

Ricattatore da strapazzo, ecco cos’era quel ragazzo! Indignata, Akane strinse i pugni raccolti in grembo e lo fissò fremente di rabbia: sapeva benissimo a cosa stava alludendo il bieco ricattatore.

A fatica represse la stizza e decise di bluffare “Non capisco a cosa il Signore faccia riferimento – asserì, sforzandosi di apparire tranquilla – e se il Signore vuole alludere al suo ordine riguardo al mio disubbidire al Codice, vorrei rammentare al Signore che egli era altresì soddisfatto di tale soluzione, volendo evitare quanto me che io adempissi a quanto prescrittomi dal Codice Amazzone… O devo forse supporre che ora, chissà per quale mutato evento, al mio Signore appaia più allettante l’idea che io lo baci?”

Ranma deglutì nervoso, il suo piccolo inganno non aveva funzionato, quella aveva mangiato subito la foglia. Era logico che non desiderava esser baciato da lei! Soprattutto a causa di una stupida regola… non che senza regolamenti astrusi avrebbe voluto sbaciucchiarsi con la peste! Per carità!

Guardarla gongolare per quell’effimera vittoria era talmente irritante per il ragazzo da spingerlo a provocarla a sua volta, se quella stupida cocciuta pensava di poterlo prender per il naso, ah, si sbagliava! Il viso di Ranma si raddolcì e mentre con finta indifferenza si adagiava contro il piccolo tavolino, le sorrise con fare fascinoso: fu lieto di vederla irrigidirsi. Bene…

“Beh, se è solo per un bacio potrei anche sopravvivere, no? Chissà, l’esperienza potrebbe essere anche… sorprendente. In fondo, come ho detto prima, non vedo perché debba esserci differenza tra un ordine ed un altro: accettato il primo, devi fare altrettanto con gli altri. Ma se questo è difficile per te, allora mi aspetto che tu disattenda anche il primo. Decidi: o mi ubbidisci ora raccontandomi cosa mi aspetta domani o, secondo il Codice Amazzone, mi baci. Personalmente preferirei la prima soluzione, ma pazienza, so essere ragionevole quando occorre.”

Il nodo alla gola di Akane era diventato talmente grosso da impedirle quasi di respirare. Stava mentendo, doveva star mentendo! Voleva imbrogliarla, facendo leva sulla sua stessa avversione! Lo fissò con attenzione, sperando di intuire le sue reali intenzioni, ma sul volto rilassato del principe non poteva scorgere che tranquillità e anche un leggero divertimento, dovuto probabilmente alla convinzione di averla messa con le spalle al muro. A questo punto però non gli avrebbe detto nulla nemmeno le fosse costata la vita, per puro puntiglio. Il padrone voleva giocare sporco? Bene, l’avrebbe accontentato.

Sospirò con fare decisamente teatrale e assunse un’espressione assorta  “In effetti la decisione è alquanto difficile. Baciarla o venir meno ai miei principi… eh sì, davvero arduo… O meglio, lo sarebbe se io non sapessi benissimo che baciarmi è l’ultima cosa che vuole! Perciò, sua grazia, io non le dirò nulla, un beneamato cavolo per cui se proprio ha voglia di baciarmi, mi sa che deve approfittare di questa opportunità perché l’avverto, in seguito potrebbe costarle la vita il solo sfiorarmi. Ritiri pure il suo primo ordine, non ho nulla da obiettare… anzi, se ciò la può facilitare chiuderò gli occhi, lasciando a lei l’iniziativa di baciarmi, ma sono pronta a giurare che tale coraggio le difetta, Signore” e così dicendo serrò gli occhi, ponendosi in calma attesa, sicura che quel pusillanime non avrebbe mai avuto l’ardire di baciarla. Figurarsi!

Non solo la detestava, ma da quel poco che aveva notato, dai suoi rossori e dalle velate allusioni di sua madre aveva compreso che per quanto si fingesse spavaldo, l’erede al trono di Augusta era in realtà alquanto timido nei confronti del sesso femminile. Così, certa del proprio successo, Akane aveva chiuso gli occhi in attesa di un bacio che era convinta non sarebbe mai arrivato.

Per quanto tranquilla fosse la schiava, lo stesso non poteva dirsi del suo padrone: il tono superbo e sicuro di sé con cui aveva provato ad ingannarla era solo un ricordo, svanito nell’istante in cui lei aveva abbassato le palpebre. Non solo il suo piccolo inganno non aveva avuto successo, ma adesso era lui in chiaro svantaggio: se si rifiutava di baciarla, com’era logico, gliela dava vinta, mentre se lo faceva lei comunque avrebbe tenuto la bocca chiusa… nervosamente Ranma fece vagare lo sguardo allarmato per tutta la camera, quasi sperando in una soluzione appostata in chissà quale angolo. Osservò anche la porta con bramosia, desiderando che qualcuno, chiunque, scegliesse quel momento tra tutti per interromperlo. Persino l’arrivo di sua sorella sarebbe stato benedetto!

Fissò la porta con intensità per alcuni lunghi istanti, evitando persino di battere le palpebre e solo quando gli occhi cominciarono a lacrimargli, capì che nessuno sarebbe entrato.

Si grattò la nuca in preda all’ansia e con stizza tornò a guardare la ragazza sedutagli di fronte. Appena qualche spanna li divideva valutò, gli sarebbe bastato allungarsi di poco per poterla toccare, per poterla effettivamente baciare. Pochi centimetri…

Com’è che aveva detto con quella boccaccia? ‘Sono pronta a giurare che tale coraggio le difetta, Signore’sì, aveva detto proprio così. Tsè, lui era coraggioso, più che coraggioso: un vero incosciente! Lo sapevano tutti a corte, suo padre non faceva che ripeterglielo e sua madre non finiva di preoccuparsene! L’aveva preso per un codardo?

D’accordo, poteva passar sopra al fatto che tenesse per sé i segreti della tecnica, ma che gli desse bellamente del vile era troppo. Risoluto, anche se con una certa macchinosità nei movimenti, Ranma appoggiò entrambe le mani al piccolo tavolino, l’unico ostacolo che lo divideva da lei e in un unico gesto fluido, si protese verso la sua schiava deciso a baciarla.

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Akane intanto nei lunghi minuti che accompagnarono il furioso arrovellarsi del suo padrone, era più che serena, placida attendeva l’inevitabile risoluzione in cui lui si sarebbe arreso, probabilmente affibbiandole una profusione di nomignoli cattivi e assicurando che non avrebbe baciato un maschiaccio tale nemmeno fosse stata l’unica donna al mondo. Era incredibile quanto fosse prevedibile quel ragazzo, si disse trattenendo un sorrisino irriverente. Già, prevedibilmente stupido…

Il prolungarsi dell’attesa non faceva che confermare le sue aspettative; l’unica cosa di cui poteva lamentarsi erano i crampi che cominciava ad avvertire alle gambe, costrette in quella posizione semi-inginocchiata da troppo. Certo che se ne prendeva di tempo per arrendersi! Ma anche questo era prevedibile, conoscendone la testardaggine e…

Un rumore improvviso le fece tendere i muscoli della schiena, il rumore delle stoviglie che tintinnavano sul tavolo, come se qualcuno vi si fosse appoggiato. Tesa, Akane si domandò se per caso il principe avesse intenzione di scappare, abbandonando la stanza di corsa. Non era da escludere, anzi, probabilmente ora era già volato alla pesante porta in legno. Non ne aveva sentito i passi, ma per esperienza sapeva quanto silenzioso potesse essere quel tizio, silenzioso come un gatto e…

Fu il calore di Ranma a dirle che si era sbagliata. Il calore del suo corpo improvvisamente vicino, calore che lei già conosceva avendolo avvertito durante il loro breve combattimento. Solo che allora lo aveva percepito alle spalle, mentre ora era il suo viso ad esserne permeato; un calore che in alto momento avrebbe definito persino piacevole, che forse avrebbe addirittura anelato, ma che in quel momento, in quella circostanza le raggelò il sangue nelle vene. Poi giunse l’odore, quell’odore dolce e al tempo stesso maschile che più volte aveva sentito, soprattutto risvegliandosi nel suo letto, l’odore dei suoi capelli lucidi, degli oli del bagno…

Stupefatta, Akane spalancò gli occhi ritrovandosi immediatamente tuffata nel mare delle sue iridi. Lui le era vicino, incredibilmente vicino, tanto che il suo alito tiepido le solleticò le labbra, procurandole un indesiderato brivido alla schiena. Se avesse avuto la forza di spostare appena la sua attenzione, Akane avrebbe notato anche il rossore delle sue gote, la tensione visibile nella linea delle spalle e dal lieve tremore delle braccia, le sue labbra appena schiuse, ma gli occhi della ragazza erano come calamitati dai suoi, avvinti in uno sguardo sgomento e stupito che rispecchiava perfettamente quello di lui. Ranma era rimasto a sua volta come paralizzato a pochi centimetri dal viso di Akane, a pochi centimetri dalla sua bocca ed ora era rimasto lì a fissarla, combattuto sul da farsi.

Ciò che lo sconvolgeva, a parte il fatto di avere due bellissimi occhi castani puntati nei propri, era che al momento, Ranma non rammentava nemmeno il perché si trovasse in quell’assurda situazione. Sapeva solo, con intimo sgomento, che se lei non avesse aperto gli occhi l’avrebbe baciata… anzi, il fatto che non si fosse ancora ritratto significava che poteva ancora farlo, che voleva farlo. Era assurdo, inconcepibile, intollerabile per alcuni versi, ma Ranma, ora che le era così vicino da avvertirne tepore e profumo, voleva davvero baciarla, saggiare le sue labbra e scoprire se davvero erano così morbide come apparivano. Non poteva farlo, lo sapeva benissimo, la mente non faceva che urlarglielo… però nonostante queste urla silenziose non si mosse di un millimetro, domandandosi in un angolino della sua testa inascoltata perché lei se ne restasse altrettanto immobile. Era forse spaventata?

Quell’eventualità lo scosse; aggrottò le sopracciglia e smise di fissarla ottusamente per osservarla sul serio. Sì, era sorpresa, stupita probabilmente dal suo comportamento tanto intrepido e certamente inatteso (persino lui faticava a credere di esser giunto a tanto!), ma anche, e questo gli diede una stretta penosa al petto, spaventata. Possibile che lo ritenesse capace di farle del male? 

Dispiacere a parte, non poteva però restarsene lì in eterno, né ritirasi in buon ordine come se nulla fosse, le sue accuse di codardia bruciavano ancora. Così decise, con rinnovata risolutezza: chiuse gli occhi e si protrasse verso di lei fino a sfiorarla con le labbra.

Akane strizzò i propri di occhi vedendolo avvicinarsi e strinse ancor di più le mani, tanto da conficcarsi dolorosamente le unghie nei palmi, ma ne ignorò la fitta, sopraffatta dallo sbigottimento: la stava per baciare! Stava per baciarla sul serio! Doveva impedirlo! Non poteva assolutamente far sì che il proprio destino venisse legato irrimediabilmente a quello del suo padrone! Doveva…

Le labbra di Ranma si posarono lievemente accanto alle sue, sfiorandole la guancia con un tocco gentile e frettoloso. Un casto, castissimo, lieve bacio, che le riscaldò la gota. Tutto qui… Tutto… qui?! Come sarebbe?!

Akane spalancò gli occhi sempre più stupefatta, fissando il principe che con tutta la calma possibile ed inimmaginabile in un simile momento, tornò a sedersi e per giunta, a mangiare… così, come se nulla fosse! Batté le palpebre, osservandolo a bocca aperta. Tutto si era ridotto ad un bacio su una guancia?! Era… assurdo! Che volesse prenderla in giro? Tutto quel blaterare, quello sprecarsi di sguardi intensi per un bacetto innocente?

Era troppo stupita persino per rendersi conto del vero e proprio disappunto dei propri pensieri, del rammarico che finse di non provare. Non era rimpianto, no, assolutamente: come poteva rammaricarsi di non esser stata baciata da quel brutto farabutto? Ma perché non l’aveva baciata poi? Quando mai avrebbe avuto l’opportunità di baciare una come lei! Si riteneva tanto superiore da poter snobbare una simile opportunità?

Scioccamente innervosita per una simile eventualità, Akane abbassò gli occhi un solo istante, sufficiente ad ordinarsi di non fare domande, ma non resistette così, prima che potesse impedirselo le sue labbra si mossero come dotate di autonoma volontà. “Perché non mi ha baciato?” si sentì domandare in un filo di voce tirato.

Ranma alzò gli occhi dal piatto solo un momento, per poi tornare a mangiare con il solito appetito “L’ho fatto, mi pare.

Cosa?! Ma… quello non era un bacio!”

“Tecnicamente lo era.”

Tecnicamente? Che diavolo significa tecnicamente?” perché s’infervorasse tanto era un mistero anche per lei stessa.

Arrossì violentemente quando il principe prese a guardarla con aria sorpresa, rossore che aumentò a dismisura quando lui le domandò incerto “Sembra quasi che ti spiaccia… Volevi essere baciata sul serio?”

COSA?! Certo che no! – la ragazza batté i pugni sul tavolo stizzita, ma non meno rossa in volto – Che sciocchezza!”

“Allora non scaldarti tanto… Il mio primo ordine vale ancora, sta’ tranquilla, non sei costretta a sposarmi.

“Lo so, ma insomma… io… Devo proprio sembrarle un mostro se ha rifiutato di baciarmi, nonostante le avessi detto che non avrei reagito…”

Era quello quindi si disse Ranma, osservandola ancora una volta con attenzione: aveva ferito il suo orgoglio. Le donne!

Se l’avesse baciata, presumibilmente l’avrebbe ritenuto un bastardo della peggior specie, ma non avendolo fatto, non ne usciva certo meglio ai suoi occhi… Taro aveva dannatamente ragione quando asseriva che capire le donne era impossibile.

“Tu non sei un mostro, ma io lo sarei stato se ti avessi baciato contro la tua volontà. Non sono ancora arrivato ad una simile bassezza, nemmeno per amore delle arti marziali… Avanti – le indicò il piatto che le stava davanti con un gesto quasi stanco – finisci di mangiare, non hai quasi toccato cibo.

Nel cuore di Akane due sentimenti contrastanti stavano intrattenendo una battaglia titanica: da un lato si sentiva oltraggiata, inspiegabilmente offesa per il contegno del suo padrone, ma d’altra parte quello stesso contegno la toccò profondamente. Confusa e combattuta, abbassò nuovamente lo sguardo e nervosa, pizzicò il bordo del piatto in lacca che le stava davanti; non le era sfuggito il senso delle sue parole, la gentilezza insita in quella frase… il rispetto, osò pensare, che le aveva mostrato rifiutandosi di baciarla sapendo di offenderla con tale gesto, che pure lei gli aveva concesso. Alzò un secondo gli occhi, rubando per un istante un’immagine del ragazzo visibilmente abbattuto e si morse le labbra. Aveva preso una decisione che mai avrebbe creduto di prendere…

“Il terzo passo della tecnica non ha molto a che fare con lei, Signore. – pur non vedendolo, sapeva che lui ora stava fissandola stupito – Non dovrà tenere alcun comportamento particolare, se non eseguire perfettamente la spirale e mantenere il Cuore di Ghiaccio, al resto penseranno… altri. Come spiegazione non era granché, Ranma sapeva però che da lei non avrebbe ottenuto una parola in più; già non si capacitava del perché si fosse decisa a parlargliene. Le sorrise grato, sorriso a cui lei rispose distogliendo lo sguardo e ricominciando finalmente a mangiare.

Le donne… erano davvero incomprensibili.

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Molto lontano dalla piccola camera austera di Ranma, molto lontano dallo stesso palazzo e dal regno di Augusta, in un’altra stanza molto più fastosa di quella del principe, un altro pasto veniva consumato in perfetta solitudine. Una giovane e bella ragazza sedeva di fronte ad una gran tavola, imbandita con ogni ben di Dio, spiluccando annoiata parte di quella gran mole di cibo che avrebbe potuto sfamare un’intera compagnia dell’esercito.

La bella ragazza era irritata da tanto spreco; tutto quel cibo, che non avrebbe potuto consumare neppure se avesse avuto il doppio della fame che aveva, sarebbe stato infine destinato ai maiali, mentre magari proprio fuori delle mura di quel palazzo lussuoso centinaia di persone pativano per la fame e la miseria. Non che questo la disturbasse eccessivamente, era lo sperpero a farla arrabbiare, si disse allontanando poi definitivamente il piatto da sé con una smorfia imbronciata.

Se avessero chiesto a Nabiki se considerasse felice la sua esistenza, probabilmente avrebbe risposto di sì e che d’altronde non conosceva altra vita all’infuori del palazzo dei Kuno; sin da quando aveva ricordo quelle mura, quelle stanze ricche ed ostentatamente lussuose avevano costituito tutto il suo mondo e ciò che accadeva al di fuori di esso le giungeva come un’eco lontana, che provocava in lei solo indifferenza. In fondo, cosa poteva desiderare in più? Aveva ricchezze in abbondanza ed ogni suo capriccio veniva puntualmente soddisfatto… Certo, a volte, proprio come quella sera solitaria, si domandava a che pro possedere tanto oro e tanti gioielli se non poteva sfoggiarli al di fuori di quel palazzo… ma non sempre, il più delle volte la bella Nabiki si accontentava di godere del bagliore delle sbarre dorate della sua prigione. 

Si adagiò contro l’alto schienale della sedia e lasciò vagare i grandi occhi per la camera illuminata a giorno da centinaia di candele… Era buffo, ma spesso la ragazza aveva l’impressione che tutto quel lustro servisse invece ad occultare più che a mostrare. Sapeva più per istinto che per certezza che il suo futuro suocero, il grande Reggente, aveva più di un misfatto da celare, eppure il suo palazzo era un vero e proprio tripudio di luci: ogni angolo, ogni anfratto ne era sommerso, come a voler smentire con tanta luminosità il buio del suo animo. O forse il Reggente Kuno aveva troppa paura delle ombre per potersene lasciar circondare. Chissà cosa poteva appostarsi nel buio, in attesa di un suo passo falso.

Al contrario di Tatewaki, il suo fidanzato e figlio del Reggente, Nabiki non considerava paranoiche le bizzarrie del padre convinto che ovunque si celassero tresche e tradimenti ai suoi danni. Il fatto che ogni notte cambiasse camera da letto non era per Nabiki motivo di ilarità, come per lo sciocco fidanzato che si trovava, ma semplicemente una conferma ai suoi sospetti: il Reggente aveva paura che qualcuno potesse fargli scontare i suoi peccati. Beh, seppur ciò corrispondesse al vero, la cosa non la toccava minimamente: detestava talmente quell’uomo che il pensiero della sua morte non le arrecava il minimo fastidio. A dirla sinceramente, Nabiki odiava quasi tutta la famiglia Kuno, con cui era pur cresciuta e che, quindi, poteva considerare come propria… Soprattutto la giovane e folle figlia minore del Reggente, Kodachi, incontrava il suo odio più profondo, per altro ampiamente ricambiato. Sapeva di suscitare la gelosia di quella pazza, ma il pensiero la divertiva più che intimorirla.

Certo, era pericoloso porsi contro Kodachi Kuno, la sua follia era nota così come la sua abilità nelle arti marziali particolari che praticava, arti che Nabiki non conosceva affatto, ma tale carenza non la poneva in svantaggio contro la sua acerrima nemica: era lei a possedere le armi migliori, quali una mente svelta, fredda e non ottenebrata dalla pazzia… Oltre che la consapevolezza di un paio di informazioni che se rese pubbliche, avrebbero reso la vita della giovane Kuno un vero inferno. Un sorriso freddo curvò le labbra di Nabiki ed assaporando quel senso di vittoria che le dava la sua supremazia sull’altra, dimenticò quasi l’umore uggioso di quella sera.

Giocherellò con una ciocca dei lunghi capelli castani, arricciandola attorno alle affusolate dita della mano, sottili e delicate come il suo corpo agile e minuto, ma non per questo fragile. Nabiki era conscia della propria bellezza, così com’era consapevole del brivido d’inquietudine che un suo sorriso poteva provocare; era semplicemente deliziata dal timore che poteva suscitare in chiunque, persino nel Reggente davanti al quale tutti tremavano per la paura. Quasi nessuno poteva dirsi immune alla freddezza che i suoi occhi potevano ostentare, una freddezza stridente con la calda tonalità delle sue iridi, castane come i lunghi capelli lisci che le sfioravano le anche sottili. Quasi nessuno…

Un raro sorriso sincero tornò a piegarle le labbra fini al pensiero dell’unico che pareva non avere alcuna soggezione di lei: il suo amato fidanzato. Il rapporto tra lei e Tatewaki avrebbe potuto apparire alquanto… bizzarro agli occhi di un estraneo; pur non amandosi affatto, anzi mostrando un disprezzo reciproco costituito da frasi acide che si rivolgevano senza sosta, Nabiki sapeva di non detestare il ragazzo.

Come odiare un simile soggetto? Era l’essere più vacuo che conoscesse, preso dalle sue passioni con un fervore quasi commovente, vale a dire lo studio dell’arte della spada e le belle ragazze. Tatewaki aveva un vero e proprio debole per tutte le fanciulle anche appena graziose che aveva l’occasione di incrociare con l’unica, clamorosa, eccezione della sua legittima fidanzata. Nabiki si chiedeva se il fatto di esser cresciuti insieme li avesse resi così simili ad una coppia di fratelli da salvarla dalle focose profferte amorose del ragazzo… Ciononostante era consapevole che un domani, nemmeno troppo lontano, loro due avrebbero finito con lo sposarsi ed in ciò non ci vedeva nulla di strano: tale era il suo destino e francamente non poteva dolersene.

Se essere la futura sovrana del regno di Nerima era ciò che la vita le aveva riservato, Nabiki lo accettava con filosofia, c’era di peggio… La mancanza d’amore in un simile matrimonio non era argomento che potesse angustiarla: mentre il suo fidanzato ne andava alla ricerca smodatamente, innamorandosi di chiunque incontrasse il suo fascinoso sguardo, lei vi rifuggiva, etichettandolo come una perdita di tempo e di energie. Non era fatta per l’amore anche perché nella sua vita privilegiata, non poteva esser certa di averlo mai incrociato.

Non era mai stata davvero amata, si diceva senza troppo dispiacere… certo i Kuno non ne avevano mai provato per lei! E nemmeno la sua famiglia d’origine doveva averne provato, dal momento che dopo averla consegnata al Reggente non aveva più voluto saperne di lei. Già… doveva però ammettere che questo pensiero riusciva talvolta a penetrare il muro di freddezza dietro il quale si era riparata, provocandole una fitta all’animo, ma era questione di attimi prima di tornar totalmente padrona di sé e anche quella volta non fu un’eccezione.

Un rumore di passi la richiamò dai quei pensieri anche più velocemente del solito, strappandola alle sue oziose elucubrazioni. Nella stanza, illuminato più che mai, era entrato proprio l’oggetto di alcuni di queste meditazioni.

Indossando i suoi abiti più sobri che alternava alla sua amata armatura di spadaccino, Tatewaki avanzò fino a raggiungere la tavola. Osservò senza sorpresa i seggi vuoti, poi ne occupò uno, sistemato alla sinistra della ragazza. “Ti hanno lasciata di nuovo sola” asserì, per pura constatazione e lei annuì.

“Per fortuna sì… Tua sorella stasera era più insopportabile del solito.

Un guizzo nervoso sulla mascella serrata del giovane fu l’unico segno d'irritazione che egli mostrò per quell’affermazione, ma poi i suoi occhi grigi si riempirono di divertimento. “E mio padre? In quale stanza si è nascosto stasera per sfuggire ai suoi presunti aguzzini?” domandò afferrando una mela e mordendola.

“Non saprei, spero per il suo stomaco che i camerieri lo scoprano o finirà con il digiunare anche questa volta. Allora, com’è questa tua ultima conquista? Deliziosa come pensavi?”

Una smorfia di disappunto contorse per alcuni istanti il volto affascinante del giovane, che si strinse nelle spalle “Affatto” con la mano libera scostò il ciuffo ribelle di capelli castani che ostinatamente tornò a ricadergli sulla fronte. “La sua insulsaggine mi era in un primo tempo sfuggita… Mi aspettavo più cultura e fascino nella figlia di un ambasciatore. Pazienza, sarò più fortunato la prossima volta… Nabiki, so di avertelo detto altre volte, ma credo che anche tu dovresti concederti qualche avventura: non vorrei che arrivassi al matrimonio completamente all’oscuro delle arti amatorie che mi aspetto tu possegga. Naturalmente non voglio che tu ti spinga troppo in là… ecco, sarebbe davvero appropriato che tu accettassi la corte di qualche bravo giovine che ti tolga di dosso parte della tua glaciale altezzosità. Sarebbe un prezioso regalo anche per me, proprio in prospettiva matrimoniale. La ragazza non si scompose affatto, sapeva che in parte c’era del vero in quell’assurda asserzione, ma era altrettanto conscia che una simile eventualità avrebbe scatenato anche la gelosia di quello stolto, come tutte le volte in cui qualcuno si era mostrato interessato a lei e alle sue grazie. Non per amore, ma Tatewaki aveva un temperamento possessivo nei confronti di tutto ciò che considerava proprio, lei compresa.

Inarcò un sopracciglio e inclinò il capo, fingendosi sorpresa “Ma come mio amato? Credevo che l’alterigia fosse uno dei pregi che apprezzassi di più in me.

“Non lo nego, soprattutto quando noto l’effetto che ha su quell’idiota di mio padre e su mia sorella. In quei frangenti provo per te un sentimento molto simile all’amore, mia diletta” le carezzò un braccio con sensualità e rise dello sguardo apatico che ricambiò quel gesto. “Rimani sempre così fredda Nabiki, è senz’altro così che ti preferisco.

“Lieta di darti piacere, Tatewaki… anche perché questo è l’unico tipo di piacere che riceverai da me per il momento” asserì maliziosa lei, non cogliendolo però di sorpresa.

“Eh già, so che per il resto dovrò attendere il nostro matrimonio… Cercherò di resistere, magari dedicandomi a ragazze di principi meno ferrei della mia ritrosa fidanzata. La sua mano risalì lungo il braccio nudo di Nabiki per fermarsi sul suo collo dove si soffermò come per saggiarne calore e levigatezza, i suoi occhi brillavano quasi divertiti dall’eterna schermaglia che da anni portava avanti con quella strana creatura, che a volte detestava visceralmente, ma che altre, come in quel momento, adorava tanto da desiderare di approntare al più presto i preparativi delle nozze.

Le carezzò la pelle della guancia con il pollice, sfiorandole la bocca esile ed il mento piccolo e perfettamente rotondo per nulla stupito dello sguardo infastidito di lei, anzi stuzzicato dal quel fastidio palese, plasmò la propria mano grande e forte contro la sua nuca sottile e la trascinò verso di sé per baciarla avidamente. Nabiki non ricambiò il bacio, né si ritrasse: non era la prima volta che lui la baciava e se pur ciò non accadeva spesso, il gesto in sé non la sconvolgeva affatto. Tutto sommato non era spiacevole avvertire quel tocco morbido contro le proprie labbra, anche se questo non l’aveva mai spinta a ricambiarlo… in alcuni momenti si chiedeva come sarebbe stato farlo, ma per il momento poteva vivere benissimo nell’ignoranza.

“La mia bellissima e altezzosa Nabiki – Tatewaki la trattenne ancora qualche istante contro di sé prima di lasciarla – Non pare anche a te che il giorno dei nostri sponsali sia crudelmente lontano?”

“A me pare fin troppo vicino. Due anni sono troppo pochi per accettare l’idea di diventare la tua devota moglie.”

“Mmm, due anni solo? Oh, allora dovrò intensificare le mie arti di conquista: mi resta così poco tempo per godere delle grazie delle altre donne ed esserti infedele.

“Sì, in due anni qualcuna che si lasci abbindolare potresti anche trovarla. Certo, trovare una ragazza che sia cieca e stupida, oltre che totalmente priva d’orgoglio e amor proprio non deve essere facile, ma chissà, potresti riuscirci…”

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Ancora più distante da quella sala da pranzo di Nerima, distante dal palazzo usurpato dal Reggente Kuno, un’altra ragazza più grande di Nabiki era ugualmente alle prese con la propria cena.

Il palazzo dei Kuonji non era né lussuoso quanto quello di Augusta, né illuminato e sfavillante quanto quello di Nerima, ma la dignità della corte era certo superiore a quest’ultimo. Il sovrano che vi risiedeva, re di un regno piccolo, ma prospero, era un uomo mite e generoso, amato dal popolo e dalla famiglia, soprattutto dalla più giovane delle sue figlie. E proprio al servizio di quest’ultima era stata destinata Kasumi.

Dopo lunghi e difficili anni passati da una corte ad un’altra, da un palazzo all’altro, la ragazza che presto avrebbe compiuto 19 anni era sicura di aver trovato in quel luogo una dimora felice. La giovane principessa era gentile con lei, così come il resto della corte e ben presto aveva quasi dimenticato la sua condizione di schiava e con vero e proprio orgoglio sapeva di potersi definire la dama di compagnia più devota e affezionata che si potesse desiderare.

Nonostante la dura vita conosciuta fino a due anni prima, quando era infine giunta nel regno dei Kuonji, Kasumi non aveva perduto la candida bellezza che più volte era stata cagione di dolore per lei, a causa di padroni bramosi di possedere tanta beltà. Il suo incarnato lieve e rosato, i grandi occhi tranquilli e colmi di dolcezza, l’affabilità dei suoi modi avevano conquistato ben presto le persone che ora rendevano la sua vita felice. Nessuno poteva in realtà sospettare quanto quel sorriso pacato costasse e quanta sofferenza aveva portato il suo spirito a piegarsi, sfiorando a volte l’apatia più totale… ma quei tempi erano lontani e il sentimento che ora albergava nel suo cuore, in quella sera, era sola e pura contentezza.

Seduta al tavolo con l’intera servitù, la ragazza mangiava con la solita calma, mentre i suoi occhi si spostavano da una cameriera all’altra partecipando appena alla rumorosa chiacchierata che esse imbastivano, ma godendone intimamente della vivacità. Ogni sera i pettegolezzi di corte venivano passati di bocca in bocca, ingigantiti dalle chiacchiere, confermati e smentiti nel giro di pochi minuti e tutto ciò in un fervore davvero divertente per la quieta Kasumi.

“Davvero un giovane affascinante … Così compito e capace! Io stessa l’ho visto guarire un soldato appena con il tocco di una mano! Un prodigio!” sbottò una poderosa cameriera, agitando il suo corpo da matrona e annuendo energicamente con il capo.

“A dirla così sembrerebbe un mago, Yuka – obiettò un’altra cameriera, più esile della prima, ma ugualmente briosa nel suo modo di esprimersi – e non un grande curatore.”

“Un mago, un mago! Dici proprio bene tu, è certamente un mago!”

“Sciocchezze! Il dottor Tofu non è un mago. E’ un bravo dottore, anche se così giovane mi domando quanto veramente capace possa essere…” dubitò un uomo, uno dei più anziani, adibito alla cura personale del Re e per questo convinto che le proprie opinioni prevalessero su quelle del resto della semplice sguatteraggine, come definiva il resto della comitiva non senza un tocco di superbia.

La matrona sbuffò, apostrofando come ridicolo un simile dubbio: che il dottor Tofu fosse un luminare nonostante la verde età era fatto acclarato. “A meno che non ci siano in giro un paio di bei occhi scuri, allora le divinità salvino le nostre povere ossa!” squittì una vecchietta con fare malizioso, mentre i suoi occhietti piccoli e furbi si posarono sulla sua compagna più silenziosa, così come il resto degli sguardi della lunga e chiassosa tavolata che divenne improvvisamente silenziosa.

La proprietaria dei suddetti occhi scuri batté le palpebre, chiedendosi del perché avessero preso tutti a fissarla e perché sorridessero tutti in quel modo… “A me il dottor Tofu fa tanto ridere” asserì, convinta che attendessero una sua opinione sul medico giunto a corte da pochi mesi.

Molte risate e commenti sulla sua ingenuità seguirono quell’esclamazione che, detta da chiunque altro, avrebbe potuto risuonare addirittura offensiva… Ma nessuna delle parole che lasciavano la bocca della giovane dama di compagnia era meno insultante e più sincera di quelle appena pronunciate: Kasumi trovava realmente divertente il dottore e le sue strane abitudini, i suoi modi bizzarri e gentili. Ogni volta che lo incontrava o che aveva l’opportunità di scambiare qualche parola con lui, l’amabile dottor Tofu non mancava mai di strapparle un sorriso. E sì, poteva davvero dirsi contenta la giovane Kasumi in quella sera in cui, ignare una dell’altra, le sue sorelle minori avevano ricevuto un bacio… o quasi.

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Capitolo 9
*** Capitolo nono ***


It takes me higher

di Breed 107

 

Capitolo nono.

Akane si poggiò alla balaustra in pietra e sollevando il capo verso il cielo che andava rischiarandosi, osservò il volo delle rondini che sfrecciavano come ebbre di libertà. Seguì le loro imprevedibili parabole aeree con meraviglia, ma anche con una punta d’amarezza.

Sorrise con ironia pensando a quanto patetica fosse nel provare invidia per quegli animali. Che cosa banale dopotutto, essere gelosa di creature simbolo della libertà stessa…

Scosse il capo e sorridendo senza allegria, si fregò le mani contro le braccia lasciate scoperte dalla veste bianca che usava come camicia da notte. Era di lino, confortevole al tatto, ma certo non offriva granché riparo dal rigore di quell’alba primaverile. Il sole non era ancora alto, nonostante le ombre della notte fossero sparite e l’aria era alquanto frizzante. Nonostante questo però era piacevole starsene lì, sul quel balcone, a non far altro che osservare delle rondini impazzite svolazzare senza apparente meta; ed anche il cortile sotto di lei era pieno di vita nonostante l’ora acerba: paggi scorrazzanti, camerieri impegnati già nelle loro mansioni, schiavi che si affaccendavano prima del risveglio dei loro padroni. Non immaginava che quel posto fosse così attivo fin dall’alba, forse perché quella era la prima volta, dal suo arrivo, che si svegliava tanto presto. Il sorriso, pur fasullo, che le adornava il volto svanì, al pensiero dei suoi precedenti risvegli… soprattutto quello imbarazzante del giorno prima, quando si era ritrovata tra le braccia del suo padrone, con un pubblico per giunta. Ah, sentiva il viso ardere al sol pensiero! E pensare che non era l’unico ricordo a farla arrossire quello, anzi.

Si morse le labbra e, quasi a fatica, si separò dalla balaustra, per quanto piacevole non poteva restarsene là fuori in eterno. Doveva rientrare e magari prepararsi per quello che sarebbe stato un giorno impegnativo. Il giorno in cui il principe Ranma avrebbe finalmente appreso la tanto agognata tecnica. Pur se scocciava ammetterlo, il ragazzo era stato davvero in gamba e, come predetto, aveva imparato i precedenti passi d’avvicinamento al pieno apprendimento del Dragone ad una velocità impressionante… Era davvero un ottimo combattente, si disse rientrando lievemente in camera. E oggi, infine, tutto sarebbe finito. Forse anche la sua permanenza in quel luogo, anzi, era probabile, visto che il padrone non vedeva l’ora di liberarsi di lei.

Scivolando quasi sulla liscia superficie del pavimento, Akane si accostò al letto e per alcuni istanti restò a fissare la persona che lo occupava. Già, quasi sicuramente quella era l’ultima mattina che si risvegliava lì… Non che fosse un male, per nulla! Non aspettava altro che essere assegnata al servizio di Ranko, o della Regina… insomma, di chiunque non fosse lui, quell’arrogante, superbo, tracotante che… che quando dormiva aveva un’aria assolutamente mite, quasi innocente, davvero sorprendente. Curiosa, Akane aggirò il letto e, con passetti incerti e cauti, si approssimò al lato dove Ranma dormiva. Quando fu certa che non stesse per svegliarsi, si chinò verso di lui per poterlo osservare meglio, non immaginando nemmeno lontanamente di ricalcare quanto già fatto da lui il giorno prima.

Sembrava così ignaro di tutto, pensò sorpresa la ragazza, inclinando il capo di lato in modo d’avere una migliore visuale del volto rilassato di Ranma; dormiva supino, un braccio abbandonato lungo un fianco e l’altro nascosto sotto il cuscino, probabilmente a sorreggergli il capo. Il codino quasi del tutto disfatto era placidamente adagiato sul suo collo, come una collana d’ebano particolarmente lucida. Un piede sbucava fuori dal marasma di coperte che lo avvolgevano fino alla vita, penzolando nel vuoto; il suo petto, fasciato in una casacca di seta chiara, si sollevava ritmicamente, accompagnando il suo respiro tranquillo… Akane lo osservò appena, per poi concentrarsi sul volto addormentato che, senza che se ne rendesse conto, le strappò un sorriso quasi intenerito; ebbe la tentazione di scostargli le ciocche disordinate che gli si arruffavano sulla fronte e che ricoprivano i suoi occhi chiusi, orlati da ciglia quasi troppo lunghe per un ragazzo, ma per fortuna represse quell’istinto inspiegabile. Ammirò il naso dritto, simile a quello della regina e il bel colorito che gli sfumava le guance. E poi le labbra, appena schiuse… Akane aggrottò le sopracciglia e perplessa, sollevò lentamente una mano fino a sfiorarsi il volto, proprio lì dove lui la sera prima… Era la sua fantasia o quel punto le sembrava più sensibile del resto? Probabilmente era solo folle suggestione, ma con una punta di panico Akane pensò di avvertire ancora il tocco delle sue labbra, così vicino alle proprie… Che stupida! E poi, detta così, sembrava che quel bacio le fosse piaciuto e che, per assurdo, fosse stato in qualche modo importante per lei. Che immane sciocchezza!

Era stato un semplice, irrilevante bacio, ecco… Dato per puntiglio, per giunta, quindi nulla per cui sentirsi turbata. Affatto… non c’entrava nulla quell’insignificante tocco con il fatto che non fosse riuscita a dormire… Certo, lui era stato inaspettatamente riguardoso nei suoi confronti, ma forse era lei a sbagliarsi, scambiando l’avversione con il rispetto. Il suo padrone non la sopportava, non l’aveva baciata proprio per questa repulsione, e non per altro. Non doveva illudersi sul suo conto e poi… e poi non aveva dedicato la propria esistenza all’odio per il proprio padrone, per colui che osava possedere il suo futuro? A cosa aggrapparsi, se non a questo astio dal momento che il suo passato e presente le erano stati portati via? Fino a quando avrebbe avuto la rabbia a cui far affidamento, sapeva di poter resistere a tutte le angherie che costellavano la sua esistenza.

A volte aveva quasi desiderato non sapere nulla delle proprie origini, del misfatto che l’aveva resa schiava ed orfana probabilmente, perché almeno in quel caso avrebbe potuto dir addio al risentimento che costantemente la spingeva avanti, ma che altrettanto tenace la sfiniva. Ma era un desiderio vano e superficiale: era grata di aver incontrato Obaba lungo la sua strada, grata che, raccontandole la verità, la vecchia amazzone le avesse dato un motivo per vivere… In fondo era molto più di quanto potessero avere persone considerate più fortunate di lei: un senso alla propria esistenza, fosse pure la vendetta e la voglia di riscatto.

Troppo persa in quelle considerazioni, Akane non si accorse d’essersi ulteriormente avvicinata a Ranma; una ciocca dei suoi lunghi capelli scivolò lungo la spalla della ragazza e prima che potesse evitarlo, sfiorò il viso del principe e l’impercettibile tocco bastò se non a svegliare lui, a ridestare il suo sesto senso da artista marziale.

Quello che faceva di Ranma un ottimo combattente non era solo la sua voglia infinita di primeggiare ed apprendere nuove formidabili tecniche; era proprio il suo istinto che, perennemente allerta, lo aveva più volte salvato da incresciosi agguati.

Suo nonno, era risaputo, aveva metodi discutibili e deprecabili, che spesso celava dietro l’etichetta buonista di insegnamenti. Con la scusa di comportasi così per il fine supremo di renderlo il migliore, Happosai aveva più e più volte teso dei veri e propri agguati al suo nipote prediletto, molti dei quali avevano avuto come scenario proprio la camera da letto del ragazzo. Per anni Ranma aveva dormito col classico occhio aperto, fino a quando non aveva sviluppato una sorta d’istinto protettivo che funzionava alla grande, soprattutto quando dormiva. Negli ultimi tempi della permanenza del vecchio re, il ragazzo era stato capace non solo di fronteggiare gli attacchi mattutini del vegliardo, ma persino di risolverli a proprio favore: non era infatti scena inusuale a quei tempi osservare il piccolo sovrano volar via dalla finestra del nipote, a qualsiasi orario. E tutto questo senza che Ranma si svegliasse del tutto… Così, quel mattino, nonostante fossero passati anni dall’ultimo assalto di Happosai, il sesto senso del principe entrò in azione.

Prima che Akane potesse capire cosa stesse succedendo, Ranma scattò e con un vero e proprio balzo, si avventò su di lei; alla ragazza non restò che lanciare un urlo di sorpresa, urlo comunque smorzato dal peso del padrone quando i due precipitarono a terra. Per fortuna di Akane, la loro caduta fu attenuata dai cuscini sui quali dormiva, o l’impatto certamente sarebbe stato notevole; così, stupefatta, si ritrovò a terra, pressata dal corpo del ragazzo che non aveva ancora aperto gli occhi, segno che non fosse del tutto cosciente.

In preda al panico, provò a scrollarselo di dosso, ma fu bloccata dalla presa solida di Ranma che le catturò entrambi i polsi nelle proprie mani, impedendole ogni movimento. Era dannatamente forte, pensò angosciata la povera schiava, che comunque continuò ad agitarsi, spaventata dalla situazione: quel ragazzo avrebbe potuto davvero farle di tutto! Per quanto si sforzasse, infatti, non riusciva a liberarsi dalla sua stretta ed era praticamente costretta a terra.

Intanto Ranma si svegliava; emergendo dal sonno avvertiva chiaramente il nemico che aveva provato ad attaccarlo agitarsi sotto di lui, nel vano tentativo di sfuggirgli. Però, si disse, mentre i suoi occhi si snebbiavano e la sua visuale diveniva più nitida, il nemico era alquanto morbido… e curvilineo, poteva difatti intuirlo essendogli steso sopra… Curvilineo?

Finalmente gli occhi del principe di spalancarono e, ora perfettamente sveglio, si ritrovò faccia a faccia con un’Akane furiosa. La ragazza infatti lo osservava con vera e propria volontà omicida, gli occhi le ardevano di sdegno e la bocca era tanto contratta da esser esangue… Che diavolo ci faceva Akane lì sotto?!

Batté le palpebre un paio di volte, tanto per accertarsi di non star sognando, poi aggrottò le sopracciglia. “Che stai facendo?” le domandò, senza per alto accennare a lasciarla o a scostarsi da lei.

La schiava sgranò gli occhi furenti e stizzita, provò nuovamente a scrollarlo via “Che diavolo sta facendo lei, piuttosto! Razza di maniaco depravato!”

“Eh? Cosa…” senza pensarci (e continuando a non muoversi!) Ranma la osservò con più attenzione, scrutando non solo il volto che pareva andar in fiamme, ma anche lo scollo della camicia bianca che lei indossava e che, probabilmente in seguito alla caduta, era diventato sensibilmente più ampio. Dallo strappo che ora c’era proprio sul petto, il ragazzo vide più di quanto avesse intenzione e, un po’ da tonto, capì perché gli fosse parso tanto morbido il corpo su cui si era ritrovato.

Il pensiero comunque bastò a farlo rinsavire e con un altro scatto agile, si allontanò da lei di corsa, tanto che nell’indietreggiare urtò col capo contro il lato del letto, ma non se ne rese conto, troppo impegnato a fissare la ragazza che quasi sbuffando per l’ira, stava mettendosi seduta.

“E’ tutta colpa tua! – le urlò contro, rendendosi conto del biasimo del suo sguardo – Che diamine ci facevi accanto al mio letto?!

“Colpa mia?! Mi è saltato addosso all’improvviso, razza di pervertito! Prima la storia del bagno, ora questo! Non ha alcun ritegno!” lo ribeccò lei, puntandogli addosso un indice accusatorio. Il principe alzò gli occhi al cielo, in verità non era affatto sorpreso delle sue accuse: quella ragazza tendeva un pochino ad esser paranoica per certi argomenti.

“Se avessi vissuto con mio nonno la metà del tempo che vi ho vissuto io, allora capiresti… Non volevo saltarti addosso! Cioè, è quello che ho effettivamente fatto, ma non perché lo volessi, l’ho fatto senza pensarci!” provò a spiegarle con quanta tranquillità potesse in un simile frangente, ma dallo sguardo torvo che ricevette, capì che nessuna spiegazione sarebbe servita a convincere quella testa dura. Era davvero increscioso: da quando quella era lì, le situazioni imbarazzanti si ripetevano una dopo l’altra! In un angolino remoto della sua testa, Ranma si chiese se tutti quelli che vivevano con una ragazza andassero incontro a simili inconvenienti.

Si grattò nervosamente un sopracciglio, poi sbuffando in maniera plateale cominciò ad alzarsi; a giudicare dalla luce era giorno da poco e tra le molte cose che lo attendevano per quella giornata, litigare con la sua schiava per le sue fissazioni non era contemplato.

Vedendolo muoversi, Akane arretrò istintivamente, portandosi le braccia al petto dove aveva scoperto con scoramento il nuovo taglio della veste; lo fissò con maggiore biasimo e, Ranma ne era certo, se avesse provato ad avvicinarla, padrone o meno, nulla lo avrebbe risparmiato dall’esser colpito da un oggetto… il tavolino, per esempio, che lei stava adocchiando proprio in quel momento.

“Senti, ma non è che la vera maniaca tra noi due sei tu? – si mise dritto e con noncuranza incrociò le mani dietro alla nuca – Sempre a pensare a quali sconcezze possa mai farti… insomma, sei tu a fantasticarci troppo mi sa, dal momento che a me non passerebbe mai e poi mai per la testa di sfiorarti.” La sua previsione si rilevò errata: Akane non gli scagliò contro il tavolino, ma per sua fortuna optò per il primo oggetto capitatele a tiro, cioè un cuscino.

La forza del lancio fu tale in ogni modo da farlo ricadere all’indietro sul letto e quando, stupefatto, tornò a guardare verso il pavimento, della ragazza non c’era traccia: fece appena in tempo a vederla dirigersi verso la sala da bagno, biascicando alcune parole non proprio adatte ad una fanciulla bene educata, tra le quali a Ranma parve di udire un nitido ‘idiota’…

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L’uomo aggrottò le sopracciglia, non riuscendo a celare lo stupore che quanto appena dettogli aveva suscitato in lui.

“Segreto, Altezza?” domandò, mentre i suoi occhi grigi vagavano dal plico stretto nella propria mano, al volto del suo sovrano che pareva esser scolpito nella pietra, tale era la durezza dei suoi lineamenti. La luce mattutina che filtrava da una delle tante finestre che punteggiavano la sala accentuava la rigidità dei tratti del Re, che annuì con un cenno del capo.

“Esatto. Questa missione resterà un segreto: nessuno, ripeto, nessuno dovrà venirne a conoscenza, nemmeno il tuo capitano.

L’uomo strinse le labbra e annuì a sua volta, conscio della gravità della situazione. Non gli era mai stato impartito un simile ordine… Tacere al capitano Taro di una tale incombenza era davvero inspiegabile, ma il soldato fu abbastanza saggio da tener per sé la propria incredulità.

Stimava il capitano delle guardie reali e lo reputava un giovane in gamba, nonostante l’età tanto acerba che in un primo tempo gli aveva fatto dubitare delle sue capacità; si era ricreduto fino al punto di considerarsi fortunato ad essere un suo sottoposto e lo avrebbe seguito in ogni frangente, ma… ma il Re era stato chiaro e a lui non restava che ubbidire e sentirsi perfino orgoglioso per quella che, a tutti gli effetti, doveva considerarsi una missione delicata e fondamentale.

Genma osservò l’uomo perplesso dinanzi a sé, ma sapeva di potersi fidare; lo aveva scelto proprio per la sua fama d’individuo affidabile e discreto, lo stesso Taro gliel’aveva più volte raccomandato…

“Partirai questa mattina stessa. Giustificherò io la tua assenza alla guarnigione, di questo non devi assolutamente preoccuparti. L’unica cosa che conta è che il plico sia recapitato in fretta, così come pretenderai che ti sia data una risposta in tempi ragionevolmente brevi… naturalmente userai tutta la diplomazia possibile affinché il destinatario del messaggio sia solerte nell’affidarti la sua risposta, non voglio che pensi che sia l’urgenza o la disperazione a guidare i miei passi.”

L’uomo annuì ancora una volta. Nonostante le parole del Re, aveva compreso invece quanta premura ci fosse dietro quel plico misterioso che ora giaceva nelle sue mani. Lo osservò con attenzione, chiedendosi cosa mai vi fosse vergato di tanto importante. Il timore che contenesse notizie gravose per il futuro del regno di Augusta gli ottenebrò lo sguardo per alcuni istanti: in città si sussurrava di disordini ad est, a Nerima, regno considerato nemico da quando l’usurpatore ne aveva conquistato la reggenza… e poi, dopo quanto accaduto la sera del banchetto, con il colpo di testa del principe Ranma… Il generale Kean certo non era partito con animo ben disposto nei confronti della famiglia reale e questo non deponeva a favore dei rapporti diplomatici con il regno di Gea.

“Non temere, non sarai latore di notizie nefaste, anzi, se la risposta che riceverai sarà quella che mi aspetto, allora avrai reso al tuo regno il più grande dei servigi. Il Re pareva avergli letto sul viso le preoccupazioni che la segretezza del suo compito aveva suscitato in lui.

Rinfrancato da tale rassicurazione, il soldato annuì per l’ultima volta, poi s’inchinò a cospetto di Genma, pronto a congedarsi. “Partirò immediatamente, Altezza.”

“Bene. Rammenta: non rivelare a nessuno la tua destinazione, a nessuno. Ora va’… e che il tuo viaggio sia foriero di buoni auspici.”

Quando il soldato ebbe lasciato la stanza, Genma poté lasciar andare il sospiro che aveva tenacemente trattenuto. Non aveva voluto svelare a quell’uomo quanta tensione lo attanagliasse nel momento in cui gli aveva consegnato il messaggio. Lo aveva scritto quello stesso mattino, quando da poco la luce dell’alba aveva inondato benevola la sala dove si trovava in quel momento.

Data la riservatezza dell’intera vicenda, Genma aveva fatto convocare il soldato in una delle sue stanze private: la sala delle Udienze, con il continuo viavai di paggi, camerieri, dame di compagnia, era un luogo troppo affollato ed indiscreto per una tale faccenda. E per il momento Genma voleva che il tutto non arrivasse all’orecchio né di suo figlio, né di sua moglie.

Il pensiero di Nodoka dipinse per la prima volta un’ombra di rimorso sul volto severo del Re che, con un ennesimo sospiro, si scostò dallo scrittoio davanti al quale aveva passato le prime ore del mattino, per dirigersi ad una delle grandi finestre che punteggiavano la stanza assolata. Non vi era necessità di informarla di quanto compiuto, si disse il pensieroso sovrano, mentre i suoi occhi distratti erravano per il cortile deserto, soffermandosi appena sulle aiuole ordinate e la fontana gorgogliante; non vi era alcun motivo di metterla a conoscenza delle sue scelte che, del resto, erano più che motivate dal suo ruolo: Nodoka non avrebbe interferito in alcun modo con una decisione presa per il bene del regno. Non aveva senso metterla al corrente di tutto, già… Le labbra di Genma si strinsero ancor di più, una sottile linea illividita che rese più teso il suo volto: erano solo scuse quelle che si raccontava e lo sapeva fin troppo bene.

Sua moglie era la miglior consigliera che avesse, anzi, il suo giudizio si era sempre rivelato prezioso ed oculato e tacerle di quanto appena fatto dava a Genma la sensazione di aver agito alle sue spalle. Forse perché temeva che, stavolta, non avrebbe appoggiato il suo agire.

Era una donna saggia, anche se a volte poteva dar l’impressione di esser svagata, distratta forse da alcune sue piccole manie… Un brivido involontario percorse la schiena del sovrano al pensiero fuggevole della katana che da anni ormai faceva bella mostra di sé nella loro camera da letto. Quella lama letale era per Nodoka l’unica eredità familiare di cui andasse veramente fiera e alla quale dedicava amorevoli cure, quasi si trattasse di un altro figlio. Aggrottandosi se possibile ancor di più, Re Genma rammentò come la bella donna avesse avuto l’abitudine nei primi anni del loro matrimonio di aggirarsi perennemente con la preziosa spada tra le mani. Per lui la visione di quella bellissima, ma terribile arma era motivo di tensione: la sua giovane sposa aveva delle idee alquanto… singolari e radicate sul concetto di virilità e quella spada, pur se raramente sfoderata, sembrava rammentargliele ogni qualvolta i suoi occhi vi si posavano.

Non poteva negare di aver tirato un bel sospiro di sollievo, quando da un giorno all’altro Nodoka si era presentata senza la katana al seguito! Sollievo non solo per se stesso, ma anche per il piccolo Ranma, all’epoca un mocciosetto di appena tre anni che trotterellava ignaro per la corte…

Bei tempi quelli: un figlio sano a cui affidare il trono un domani ed una graziosa femminuccia in fasce, da mandare in sposa a qualche alleato al fine di rinsaldare vincoli di amicizia e garantirsi così pace e prosperità.

Gli occhi di Genma si offuscarono al ricordo di quei giorni lieti, in cui il suo unico pensiero era costituito dal vecchio Happosai e le sue stramberie. Chissà cosa avrebbe detto il vecchio di quanto stava accadendo ora nel suo palazzo, con un erede al trono ribelle ed insofferente alla disciplina ed una principessa più interessata alle arti marziali che al suo futuro da sposa. Un ennesimo sospiro lasciò le labbra del Re che, sconsolato, scosse il capo: probabilmente Happosai avrebbe trovato divertente il tutto!

Non si era mai curato del suo Regno e anzi, se suo figlio era ciò che era, gran parte della colpa ricadeva proprio sul vecchiaccio. Aveva sbagliato ad affidargli l’educazione di Ranma nei suoi primi anni di vita, ma ora era tardi per recriminare: non poteva rimediare agli sbagli del passato, però poteva evitare di compierne degli altri. Aver permesso a quella schiava di restare a corte era l’ultimo, si disse con nuovo cipiglio. In un motto di fierezza, Genma raddrizzò le spalle e serrò la mascella in un’espressione severa, scacciando definitivamente le ombre del dubbio e del rimorso dal suo animo.

Restò immobile per alcuni istanti, poi, con una ritrovata vitalità, si mosse verso l’uscita delle proprie stanze; la colazione lo aspettava e Ranma avrebbe fatto meglio a presentarsi al suo cospetto, o sarebbero stati guai.

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Ranma sbuffò platealmente e, brontolando di padri idioti e ritardatari, appoggiò il viso ad una mano.

Il vecchio era in ritardo e questo non solo significava che fino al suo arrivo la colazione non sarebbe stata servita, ma che anche l’allenamento con Obaba doveva aspettare… Proprio quel giorno, in cui finalmente si sarebbe impadronito della tecnica portentosa per cui aveva tanto patito.

Tra le sofferenze da imputare alla sua smania di conoscenza, Ranma annoverava non solo le bastonate ricevute dalla non tenerissima amazzone e le continue occhiate di disapprovazione di sua madre, ma anche la convivenza con quella terribile ragazza. Anche il piccolo incidente di quel mattino ricadeva nell’elenco dei patemi che aveva affrontato e che finalmente quel giorno avrebbero avuto una retribuzione. Non voleva poi neanche pensare al bacio che era stato costretto a darle.

Il ragazzo si grattò distrattamente una guancia, mentre il ricordo della sera prima gli tornava alla memoria con rinnovato vigore; nonostante cercasse a più riprese di allontanarlo non poteva che riviverlo, ogni qualvolta con sentimenti diversi. Fastidio ed imbarazzo per lo più, ma anche meraviglia e curiosità. Già…

Nonostante il solo pensiero gli annodasse lo stomaco, Ranma si chiedeva come sarebbe stato se avesse proseguito con il suo intento iniziale e avesse infine baciato Akane sulle labbra… Se non avesse letto negli occhi di lei lo sgomento e la paura che gli avevano provocato una fitta inspiegabile al cuore, l’avrebbe baciata sul serio? E cosa sarebbe accaduto poi?

Aveva la mezza idea di chiedere ad Obaba, o a sua sorella, cosa significasse in concreto per un’amazzone legare la propria esistenza a quella di un uomo mediante il sigillo di un bacio. Forse Akane sarebbe diventata più docile ed ossequiosa se l’avesse baciata sulle labbra, tanto da non rischiare più d’esser colpito da chissà quali oggetti: era stato fortunato quella mattina, la prossima volta avrebbe potuto trattarsi di qualcosa di più duro di un cuscino… Un briciolo di rimorso per l’occasione mancata fece capolino tra i sentimenti confusi di Ranma, che però non ebbe il tempo e l’opportunità di interrogarsi in merito.

Prima infatti che questi pensieri divenissero troppo palesi nel suo animo, e prima fortunosamente che il rossore si diffondesse sul suo volto annoiato, la voce argentina di Ranko lo riportò alla realtà.

Perché quell’espressione contrariata, fratellino?”

Il ragazzo volse lo sguardo verso quella peste travestita da sorella minore e l’osservò con attenzione. Il brillio nello sguardo ed il sorriso spavaldo volevano dire una sola cosa per lui: guai. Decise perciò di giocare d’astuzia e non offrire a sua sorella nessun pretesto per far scattare la linguaccia per cui era famosa. “Sono affamato” rispose semplicemente, volgendo poi gli occhi altrove.

Ma la principessa non si fece scoraggiare dalla scarsa oratoria del fratello; si adagiò meglio contro lo schienale del suo seggio ed inclinò il capo fulvo di lato, in una posa fintamente innocente. “Temevo che fossi deluso dalla compagnia e che io e Ryoga non fossimo all’altezza delle tue aspettative, visto con chi ultimamente preferisci condividere i tuoi pasti” asserì, aggiungendo persino una nota greve alla sua voce, mentre i suoi occhi continuavano a brillare per il divertimento.

Ranma si morse l’interno di una guancia per impedirsi di risponderle a tono. Perché quella piccola serpe sembrava trovare tanto godimento nel prenderlo in giro? Era sempre stato l’oggetto preferito dei suoi lazzi e delle sue frecciatine, ma da quando Akane era entrata nella loro vita, Ranko sembrava aver trovato nuovo slancio in questa fastidiosa abitudine. Ringraziando per lo meno il fatto che i loro genitori non fossero lì per sentirla, Ranma s’impose nuovamente di ignorarla e dedicò la sua attenzione ad un’altra persona che, al momento, brillava per la sua assenza. “Dov’è Taro?” chiese, osservando il seggio vuoto di solito occupato dall’amico.

Ryoga parve ridestarsi dalle fantasticherie che lo avevano reso silenzioso fino a quel momento (sulle quali Ranma aveva qualche sospetto circa il soggetto che le animava…) e sorrise. “Credo che sia con quella ragazza, Ame. Ieri mi ha detto che le avrebbe mostrato il palazzo prima di colazione.”

Il principe inarcò un sopracciglio "Non è da lui comportarsi tanto gentilmente…” osservò, stupito; anche suo cugino ne convenne, stringendosi poi nelle spalle.

“Forse non è solo gentilezza… Lui non l’ammetterebbe mai, ma sono convinto che provi compassione per lei. Sono pronto a scommettere che il fatto che sia un’amaritiana sia il motivo principale per cui l’abbia acquistata” asserì poi.

“Non lo facevo tanto sentimentale – scherzò Ranma incrociando le braccia al petto – Però credo che saresti stato tu il più adatto a farle da guida, cugino. Chi meglio di te può affermare di conoscere questo palazzo in ogni anfratto? Con tutte le volte che lo giri in lungo e largo…”

“Ah, ah, spiritoso…”

“E’ la verità! E poi credevo che portare ragazze a spasso ti piacesse… Avresti potuto mostrare anche alla schiava di Taro com’è la vista dalla torre.

Ryoga batté le palpebre, disorientato da quelle parole. Lo osservò, notando come il sorriso che pur gli curvava le labbra non gli sfiorava minimamente lo sguardo che, anzi, in contrasto, sembrava esser freddo, quasi… ostile. Che Ranma fosse contrariato per quanto accaduto il giorno prima? Per il fatto di aver condotto Akane lassù… Lo conosceva abbastanza per riconoscere i sintomi del suo fastidio, ma proprio non riusciva a capire cosa lo irritasse tanto.

“Sei geloso per caso?” gli domandò più per metterlo alla prova che per altro; suo cugino era così orgoglioso che non lo avrebbe mai ammesso seppure ciò fosse corrisposto al vero e la smorfia che accompagnò la sua risposta non fu affatto inaspettata.

“Figuriamoci, se ti piace tanto startene con certe arpie, accomodati pure! Puoi pure portartela a spasso tutto il giorno per quel che m’importa!”

“Davvero? Dici sul serio Ranma? – Ryoga assottigliò i chiari occhi, non s’era fatto ingannare da tanto ostentato disinteresse – E allora perché quando tutta questa storia della tecnica sarà conclusa, non dai a me Akane?”

Il principe sussultò, talmente stupito da quella richiesta da ignorarne il tono ironico e provocatorio. Sentì la gola contrarsi al solo pensiero. Confuso, si chiese come mai una simile eventualità lo irritasse tanto, perché, inutile nasconderselo, ciò che provava era stizza. Batté le palpebre un paio di volte e, incapace di trovare una risposta adeguata, tacque: non si fidava della propria voce in quel momento e sapeva che se avesse parlato, sia Ryoga che Ranko avrebbero intuito la sua collera.

Ryoga, nel frattempo, lesse comunque sul viso dell’altro ragazzo il turbamento che aveva scientemente provocato e ne fu soddisfatto. Tra lui e Ranma, nonostante il legame d’amicizia e parentela che li univa, vi era sempre competizione ed ogni piccola vittoria sul solito trionfante parente aveva un sapore speciale, prezioso quasi. E poi, una volta localizzato un presunto punto debole di Ranma, questo andava colpito più volte… non era forse questo lo scopo delle arti marziali indiscriminate?

“Già da stasera potresti liberarti di lei. A me Akane non ha dato affatto l’idea di un’arpia e devo dirti che in mia compagnia l’ho vista molto più serena di come è con te.”  Fu un colpo basso quello. Soprattutto perché spiacevolmente corrispondente alla verità: lo stesso erede aveva notato come la sua riottosa schiava avesse recuperato sorriso e gentilezza ogni qualvolta l’aveva vista in compagnia dell’eterno disperso.

Un nervo parve guizzargli sotto la pelle tesa della mascella e i suoi occhi s’incupirono ancor di più, fissandosi furiosi in quelli di suo cugino che istintivamente s’irrigidì… Forse lo aveva provocato troppo, si disse, preparandosi alla reazione che certo ci sarebbe stata. Ranko, intanto, li osservava, spostando lo sguardo vivace da uno all’altro; la curiosità stava divorandola, ma ebbe il buon senso di non fare domande: non era consigliabile stuzzicare troppo il fratello in un simile frangente, non quando i suoi occhi sembravano voler fulminare il povero Ryoga sul posto!

“No.”

Solo quello. Un monosillabo pronunciato con voce fredda e terribile. Ranma non diede spiegazioni, evidentemente non riteneva di doverne. Lasciare che Akane diventasse la schiava di Ryoga? Sul suo cadavere forse. Non volle sapere il perché di una simile determinazione, non si domandò se fosse vera gelosia o solo desiderio di non darla vinta a Ryoga… o timore, chissà, che lei potesse preferirlo. La visione di quel sorriso, di quell’unico sorriso che era riuscito a strapparle qualche sera prima, tornò a tormentarlo. No, non l’avrebbe lasciata a nessuno, nessuno. Meno che mai a lui. 

Ryoga sospirò e scosse il capo “Sei come un bambino viziato, Ranma. Non la vuoi, ma detesti il pensiero che ti possa esser portata via. Akane non è un gioco, è una persona con dei sentimenti e…”

Se la pensi davvero così, allora perché mi hai chiesto di cedertela come se fosse un oggetto? E’ da ipocriti.” Ranko deglutì ora più nervosa, a quel punto ogni sembianza di scherno era sparita ed entrambi i ragazzi erano dannatamente seri. Se fosse scoppiata una lite in un momento simile

Fu con sollievo che la giovane principessa accolse il rumore di passi alle sue spalle, segno dell’arrivo di qualcuno. Ed infatti i due sovrani stavano facendo il loro ingresso nella sala; subito l’attenzione di suo padre fu attirata da Ranma e, a giudicare dalla sua espressione, l’uomo sembrò piacevolmente sorpreso di vedere il figlio regolarmente seduto.

“Bene. Sono lieto di vederti, ragazzo!” dichiarò avvicinandolo, un sorriso soddisfatto sulle labbra ed una sorta di baldanza nella voce che gli fece meritare un’occhiataccia risentita da parte del già irritato principe.

“Se tenevi così tanto a vedermi, potevi pure farti vivo prima. Sto morendo di fame” fu la sua acida replica e, mentre sia Ryoga che Ranko in segno di rispetto si erano alzati, lui era rimasto immobile, le braccia ancora incrociate al petto. Il sovrano parve esser troppo contento di averlo lì a suo cospetto che ne ignorò il comportamento poco regale e prese posto, mentre la sua sposa si accomodava all’altro capo del tavolo di fronte a lui.

Finalmente la colazione poté esser servita, ma nonostante avesse dichiarato tanto sgarbatamente di esser affamato, Ranma mangiò con insolita parsimonia quanto portatogli.

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Obaba poggiò la ciotola ormai vuota dinanzi a lei ed osservò la ragazza sedutale accanto. Akane stava conversando allegramente con una delle cameriere, Sayuri se ricordava bene il nome e sul suo viso aleggiava un gran sorriso. La vecchia amazzone assottigliò i grandi occhi, occhi esperti e che difficilmente si lasciavano ingannare: nonostante l’apparente allegria, la sua discepola era tesa. Nervosa, più che altro. Lo riconosceva subito, quel nervosismo strisciante che la ragazza tentava di tener nascosto, ma che alcuni gesti tradivano platealmente, o almeno a lei, che la conosceva meglio di chiunque altro, apparivano palesi. Come il sistemarsi continuo di una ciocca di capelli dietro all’orecchio, gesto inutile visto che i capelli erano perfettamente a posto. E quel suo stesso sorriso, tanto caloroso in apparenza, non era affatto sentito… cortese, sì, ma non sincero. Quando Akane sorrideva sul serio, era tutt’altra cosa, tutt’altra luce. E poi quando Sayuri non la guardava, quello stesso sorriso era come se si affievolisse pur non sparendo del tutto.

Bene, qualcosa quindi l’impensieriva… Obaba sollevò un angolo della bocca, tutto sommato divertita dagli affanni della ragazza. Beata gioventù! Con tanta energia a disposizione, anche le emozioni parevano essere ingestibili, gigantesche. Senza la pacatezza della maturità ogni azione, ogni gesto, ogni preoccupazione anche, assumeva una valenza capitale… E in una giovane ragazza dal temperamento di Akane poi, niente poteva dirsi tranquillo: quella piccola era irruente in tutto, anche nei suoi timori.

La saggia maestra scosse leggermente il capo, sgridando leziosamente se stessa per l’inevitabile invidia che provava ogni qualvolta le si parava dinanzi un simile sfoggio di giovinezza, che tanto le ricordava i suoi anni verdi. Avrebbe volentieri fatto a cambio in qualsiasi momento, un solo focoso tumulto giovanile per decenni della sua saggezza… Forse per questo amava ancora tanto addestrare giovani come Akane, chissà… Ma era un’inutile perdita di tempo smarrirsi in tali pensieri, quindi risoluta, tornò a dedicasi alla giovane accanto.

“Sono lieta che tu oggi abbia fatto colazione con noi, Akane. E’ la prima volta da quando siamo in questo palazzo” le disse vivace e chissà perché, la ragazza avvertì le guance riscaldarsi un po’ a quel commento del tutto innocente.

“Sì, in effetti. Credo che da oggi accadrà più spesso, anzi, sono certa che dividerò con voi ogni mio pasto e la cosa mi rende felice” asserì con entusiasmo.

Molti sguardi curiosi si posarono su lei e Sayuri fu la prima a dar voce alla domanda che tutte le altre donne stavano ponendosi. “Vuoi dire che non resterai più in compagnia del principe?”

Era una domanda priva di malizia… beh, per lo meno ovvia ed Akane avrebbe dovuto aspettarsela invece l’imbarazzo, unito al ricordo perenne di quanto accaduto quel mattino la mandò in agitazione. E quando Akane si agitava, la rabbia la faceva da padrona.

“In compagnia di quel villano superficiale?! Mai più! Non dividerò nulla con lui, niente di niente!” sbottò, posando la ciotola con tale forza sulla lunga tavolata che quasi ne rovesciò il contenuto.

Sayuri, e con lei molte altre, batté le palpebre, confusa da un tale sfogo. “Ma condividi ancora la sua camera, no?”

Ancora un’altra domanda logica… Akane non ce la faceva più, quello stillicidio di domande ovvie stava facendo perderle la pazienza e non voleva che la gentile cameriera ne pagasse le conseguenze, le era simpatica, nonostante la sua curiosità potesse essere irritante.

“Questa situazione potrebbe non durare… anzi, scommetto che a breve, cesserà del tutto.” Già, in fondo quel giorno il principe Ranma avrebbe ottenuto ciò che desiderava, quindi si sarebbe finalmente sbarazzato di lei. Era quasi certa che non l’avrebbe allontanata dal palazzo pur di non darla vinta a colui che avrebbe dovuta averla sin dal principio, quindi poteva ritenersi soddisfatta. Sarebbe rimasta a palazzo, ma non più costretta a vivere con lui, non più costretta a dormire nella sua camera, a vederlo dormire, a sentirlo affibbiargli nomignoli cattivi per prenderla in giro, non più costretta a subire i suoi comportamenti da maniaco… non più costretta a sentirsi definire carina per un semplice sorriso. Perfetto. Tutto sarebbe stato perfetto.

Akane si morse le labbra per trattenere un sospiro che, ne era sconsolatamente consapevole, non sarebbe stato di sollievo.

Obaba pensò che il tormento potesse concludersi lì, aveva infatti notato come gli sguardi si fossero accesi a quelle parole e come molte donne avevano completamente messo da parte il cibo, pronte a tuffarsi sulla giovane con domande che, ne era certa, sarebbero diventate sempre più imbarazzanti.

“Se hai finito, credo che potremmo avviarci, Akane.”

“Sì, Obaba…” si alzò dal suo posto e dopo un veloce saluto a Sayuri, lasciò con la sua maestra la grande sala delle cucine dove per abitudine le cameriere e le altre schiave consumavano i loro pasti. Subito un brusio sommesso si levò alle loro spalle, ma entrambe decisero d’ignorarlo… pettegolezzi, tsé.

“Non preoccuparti, Akane. Presto la smetteranno: appena si saranno assuefatte alla tua presenza e la loro curiosità sarà soddisfatta, non ti porranno più domande.

“Lo spero, anche se temo che la curiosità di quelle donne sia insaziabile. Non capisco cosa interessi loro sapere con chi mangio o meno!”

L’amazzone ridacchiò, mentre con la solita agilità montava sul bastone con cui prediligeva spostarsi. “Non vorrei disilluderti, bambina, ma credo che il loro interesse sia dovuto più che altro al tuo padrone. Molte di quelle ragazze, e persino qualcuna che da lustri non può più definirsi tale, vorrebbero essere al tuo posto…”

Il broncio di Akane a quelle parole fu impagabile e strappò un’ulteriore risata alla maestra. “Glielo darei volentieri tale onore… Uff, parlando d’altro, credi che il principe ce la farà ad apprendere la tecnica entro oggi?”

“Uhm, le capacità non gli mancano, anzi, credo che sia praticamente ad un passo dal dominare il Drago. Vedremo… di certo posso solo dirti che, per me, sarà divertente vederlo in azione.”

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Quando giunsero nel grande chiostro, il sole splendeva fulgido tanto da accecare Akane. Si portò istintivamente una mano al viso, parando gli occhi che ben presto si adattarono alla luce sfavillante di quel giorno. Non faticò a scorgere il suo padrone nella vastità del cortile: era completamente vestito di nero, dai pantaloni che morbidamente gli ricadevano sulle lunghe e nervose gambe, alla casacca senza maniche che aderiva perfettamente al suo torso, fasciandolo quasi in un lucido abbraccio di seta. Il suo codino scuro si distingueva appena, poggiato su una delle spalle.

Quell’abito tanto cupo in un contesto tanto luminoso attirò immediatamente l’attenzione di Akane, che senza poterselo impedire restò a fissarlo. La rigidità della sua postura, le spalle dritte rivolte alla fontana, la mascella quasi contratta che rendeva il suo profilo incredibilmente definito… Era in visibile attesa, ogni muscolo teso al fine di celare la propria impazienza. La ragazza provò a volgere altrove lo sguardo, magari posandolo sulla principessa che sorridente stava salutandole con un cenno della mano, o sul signor Ryoga, scattato improvvisamente in piedi, ma più provava a distogliere lo sguardo più questo, testardamente, tornava a puntarsi su di lui e quando anche Ranma parve rendersi conto del loro arrivo, volgendosi nella sua direzione, i loro occhi non poterono fare altro che incontrarsi. Ed Akane rabbrividì.

C’era qualcosa di ferino in quegli occhi blu, qualcosa che per un istante le serrò il respiro. Lo sguardo penetrante di lui parve scrutarle fin dentro l’animo, facendola sentire vulnerabile, esposta a quelle iridi imperscrutabili. A fatica, e con rabbia, distolse i propri e si affrettò a raggiungere Obaba che l’aveva sopravanzata.

Ancora scossa per l’inspiegabile sensazione provata a causa di Ranma, Akane recuperò un sorriso e ricambiò il saluto allegro della principessa. “Buongiorno sua grazia… signor Ryoga – s’inchinò dinanzi ai due con rispetto, poi molto più rigidamente chinò il capo e puntò gli occhi al suolo – Padrone…”

Il ragazzo non si curò nemmeno di risponderle e sbrigativamente si avvicinò alla maestra amazzone. “Finalmente! Ve la siete presa comoda voi due!” proruppe affibbiando alla donna un’occhiata frustrata che naturalmente lei ignorò.

“Buongiorno anche a lei, principe” gli disse ironica e Ranma ebbe almeno la decenza di arrossire imbarazzato.

“Sì… buongiorno.”

“Allora, come si sente, sua grazia? Pronto?” gli domandò Obaba e lui annuì deciso.

“Sono impaziente di cominciare!”

“Non avevo dubbi in merito, però mi domandavo una cosa… Rammenta quel che dicemmo qualche giorno fa, circa il provocar danni?”

Ranma annuì, consapevole di cosa l'anziana maestra volesse dire. “Sì, lo ricordo. E’ arrivato il momento di farne… e non nel dojo” con il capo fece un cenno verso la sala dove si erano allenati fino al giorno prima.

“Occorre quindi recarci in un luogo più ampio e dove, possibilmente, non arrecheremo disturbo a nessuno” confermò l’amazzone.

“Un intero bosco ti pare un luogo abbastanza ampio e solitario, maestra?” tutti si volsero verso Ryoga che pareva aver recuperato l’uso della parola.

“Ci avevo pensato anch’io, nella parte destinata alla corte, nel bosco, vi è uno spiazzo abbastanza grande. Solitamente viene usato come punto di ritrovo per le partite di caccia di nostro padre, ma per oggi non ne sono previste” spiegò Ranko e Ranma annuì.

“Sì, è effettivamente il luogo migliore, ma resta comunque da stabilire come faremo a lasciare il palazzo inosservati.”

La principessa fece una smorfia sarcastica, incrociando le braccia al prosperoso seno. Anche lei indossava abiti pratici, molto simili a quelli di suo fratello, ma diversi nel colore: neri quelli del ragazzo, di un rilucente turchese i suoi. “Come se ti fossi mai posto un simile problema…”

“Io no, ma credo, anzi, sono certo che purtroppo tu voglia unirti a noi e la tua assenza risulterebbe ben più strana, soprattutto per nostra madre” le rammentò pungente il principe: sperava ancora di liberarsi di quella mocciosa, pur sapendo che era impossibile. Il sorriso smagliante che lei gli rivolse confermò l’amara certezza.

“Oh, non temere, ho già predisposto tutto con Maya: se qualcuno dovesse cercarmi, dirà che sono impegnata nei miei studi e che non desidero essere disturbata. Vedrai, nostra madre tiene così tanto a che impari l’etichetta che non vorrà interrompere i miei sforzi per l’apprendimento.”

Ryoga sospirò, alzando gli occhi al cielo. “Tu che ti applichi zelante nello studio dell’etichetta? Giusto la zia potrebbe crederci nella sua ingenuità!” commentò poco convinto, ma lei parve pienamente soddisfatta della propria menzogna.

“Già me la immagino, tutta compiaciuta esternare a Maya la sua felicità perché sua figlia si comporta da perfetta fanciulla!”

“Tu non sai cosa sia la vergogna, cugina… gongolare in quel modo per aver mentito alla propria madre, nemmeno Ranma arriverebbe a tanto!”

“Bando alle ciance!” sbottò il sunnominato erede al trono “Abbiamo già perso troppo tempo. Usciremo divisi, tutti insieme daremmo troppo nell’occhio: tu – indicò Akane – verrai con me, sei la mia schiava e non troveranno nulla di strano che ti conduca a spasso per il palazzo.” Ranko in cuor suo pensò che chiunque conoscesse suo fratello avrebbe trovato invece molto strana una simile cortesia, ma non osò proferir parola.

“Ranko, tu verrai con la maestra Obaba e tu, Ryoga, devi cercare Taro e quando l’avrai trovato… o meglio, quando ci avrai sbattuto contro – un grugnito infastidito fu il fugace commento a questa frase da parte del povero ragazzo – ti farai portare allo spiazzo: non tentare di venirci da solo, non possiamo aspettarti per tutto il giorno!”

“Idiota… comunque a quest’ora sarà tornato dalla sua visita, probabilmente starà assegnando le mansioni alla guarnigione reale. Lo cercherò nel cortile esterno, stamani dovevano essere stabiliti i nuovi turni di guardia nelle garitte all’entrata principale.

“Ottimo, muoviamoci allora… Ehi, Ryoga… il portone principale è dall’altra parte…”

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Il rumore dei loro passi era appena udibile; camminavano lentamente, attraversando i lunghi corridoi dove frenetica invece continuava la vita di corte. Akane era sorpresa di come, per quanto avesse già girovagato per quel palazzo in varie occasioni, scoprisse nuove sale e cortili di varie dimensioni che si susseguivano quasi in una successione ininterrotta, tant’è che ad un certo punto pensò che il principe avesse cominciato a girare in circolo… Quanto grande poteva essere quel palazzo! La stima per il povero Ryoga accrebbe molto in lei in quei lunghi minuti di silenzioso peregrinare: perdersi là dentro non era poi così difficile. Certo, il ragazzo vi viveva fin dalla nascita, però…

Ranma camminava appena qualche passo dinanzi a lei, ogni tanto rispondeva con un semplice cenno del capo ai numerosi inchini che riceveva da parte dei tanti camerieri. Akane notò che questi erano fin troppo indaffarati per prestarle più di un’occhiata distratta, un vero sollievo dopo gli sguardi indiscreti delle donne di servizio a colazione; non aveva mai vissuto in un posto così grande ed affollato, così quel via vai indaffarato la incuriosiva, nonostante la tensione che ancora la pervadeva. Il mattino doveva essere il momento più critico della giornata, valutò la ragazza, quando l’ennesimo paggio le sfrecciò accanto, naturalmente dopo aver salutato con rispetto il principe.

Man mano che proseguivano però il numero di persone che incrociavano diminuì sensibilmente, fino a quando giunsero ad un lungo corridoio buio e deserto che, partendo da un cortile ampio e a pianta circolare, doveva condurre all’esterno; alla fine di esso, infatti, Akane intravide la luce del giorno rischiararne le tenebre, anche se non del tutto. Sempre in religioso silenzio, seguì Ranma quando questi lo imboccò senza esitazione.

Stavolta il suono dei loro passi, urtando contro le alte pareti del corridoio, echeggiò nitido. Akane guardava fisso dinanzi a sé, attirata dalla luce esterna: non amava troppo i luoghi bui e chiusi, forse perché, amaramente, le davano l’idea di una brutta metafora della propria condizione. O forse, chissà, per qualche brutto ricordo relegato nell’inconscio. Senza quasi accorgersene, anelante ad avvertire nuovamente la carezza tiepida del sole sul viso, accelerò il cammino fino a ritrovarsi gomito a gomito con il suo padrone.

Ranma si volse a guardarla e, stupito, notò la sua espressione accigliata, tesa; non che fosse strano vederla così, ma più che arrabbiata, la ragazza gli parve timorosa, intimidita quasi. “Hai paura del buio?” le domandò a bruciapelo, lei lo guardò per qualche istante prima di scuotere il capo.

“No.”

“Sicura?”

“Certo che sono sicura! Non sono una mocciosa… signore.”

Ranma sorrise. Era inspiegabile, ma bastava appena un accenno per farla arrabbiare… e per far ritrovare a lui il buonumore. Lei stimolava proprio il suo istinto guerriero, evidentemente, sfidandolo di continuo con la sua linguaccia e le sue occhiate roventi.  “Non devi vergognartene, sai? Non c’è nulla di male ad avere paura del buio” insisté, prevedendo, o meglio, pregustando già la sua reazione stizzita che non si fece attendere.

“Il mio signore forse soffre di qualche disturbo che gli impedisce di sentire correttamente quanto gli viene detto? Il buio non mi spaventa!” sbottò piantandosi sul posto e stringendo i pugni.

“D’accordo, non occorre andare in escandescenze… Se non è il buio, allora cosa ti fa paura?”

Akane aggrottò le sopracciglia, fissandolo. Non riusciva bene a scorgerne le fattezze, visto che lui dava le spalle all’unica fonte di luce, laggiù in fondo al corridoio, ma era quasi certa che non stesse ridendo. Anzi, a giudicare dal suo tono, sembrava sinceramente curioso e, tanto per cambiare, non intenzionato a prendersi gioco di lei. Disorientata, Akane abbassò lo sguardo sui piedi che non poteva vedersi e si strinse nelle spalle. “Non lo so…” mormorò poi.

“Non è possibile che tu non lo sappia! Avanti, cos’è? I ragni? I topi? Gli insetti o… i fantasmi?” a quell’ultima ipotesi, la ragazza inarcò un sopracciglio.

“I fantasmi non esistono, signore” affermò con sicurezza.

“Allora cosa?”

"Non capisco perché le interessi saperlo… cos’è, cerca un nuovo metodo per torturarmi? Che so, se le dicessi che mi fanno paura le rane, me ne farebbe trovare una sul cuscino ogni notte?” Ranma batté le palpebre, sconcertato. Non aveva mai conosciuto una persona più prevenuta di quella testona! “E comunque non c’è nulla che mi fa paura…” continuò lei, stringendosi nelle spalle.

“Tutti hanno paura di qualcosa…”

Anche lei, Signore?”

Ranma assottigliò gli occhi, che andavano man mano adattandosi alla penombra. L’aveva sentita, oh sì, eccome se l’aveva sentita quella piccola, subdola nota maliziosa nella sua voce… Quella finta innocenza nella domanda… voleva prenderlo in giro, la furbastra. “Io sono l’eccezione che conferma la regola. Non ho paura, di niente e di nessuno!” mentì chiaramente, ma a che scopo rivelare la propria avversione per i gatti quando lei era stata tanto restia a confidargli la propria?

“Allora, Signore, evidentemente le eccezioni alla regola sono ben due, contando anche me” e così, con quella frase lapidaria, lo superò per rimettersi in cammino e a lui non restò che seguirla. 

A sorvegliare il portone vi erano solo due guardie essendo quella uscita la meno frequentata del palazzo e, infatti, quando i due ragazzi vi si approssimarono, i soldati parvero stupiti di ritrovarsi a cospetto del principe, prima di scattare diligentemente sull’attenti.

“Sua altezza!” salutarono in coro, stringendo la lancia che portavano con loro al petto, spiccio Ranma agitò la mano.

“Riposo… Se qualcuno dovesse venire a cercarmi, nessuno di voi mi ha visto, d’accordo? Non voglio essere disturbato.” A giudicare dall’occhiata che i due si scambiarono, non fu difficile capire quale fosse, a loro parere, il motivo di una simile richiesta…

Akane avvampò quasi quando, simultaneamente, i due militari la guardarono e, sempre all’unisono, sul loro volto glabro andò disegnandosi un sorrisetto che lei etichettò da perfetti pervertiti. Sentì le mani pruderle, avrebbe voluto prenderli a pugni e gridar loro di non immaginare quello che, con evidente diletto, stavano fantasticando, ma prima che potesse farlo, Ranma parlò nuovamente. “Andiamo Akane” le disse rimettendosi in cammino e privandola dell’occasione di spiegare come stavano le cose a quei maniaci sogghignanti.

“Ora crederanno chissà che!” sbuffò, camminando veloce e a testa bassa, mentre le guance le si coloravano per lo sdegno.

E allora? Non dimenticare che più in giro si pensa che io mi diverta con te, più la tua presenza nella mia camera sarà spiegabile.

“E questo che significa?! Solo perché sono la sua schiava, non significa che io e lei… che noi, ecco… insomma… – incespicò con imbarazzo sulle parole, poi sospirando allargò le braccia – Dov’è questo cavolo di spiazzo?” chiese arrendendosi.

“Ad appena un miglio da qui, in quella direzione” le indicò un punto imprecisato verso est, ma la ragazza non vide alto che alberi ed alberi a perdita d’occhio. 

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Dopo aver camminato per quello che le era sembrata un’eternità, finalmente i due giovani giunsero alla sospirata radura, una macchia brulla tra una vegetazione altrimenti fitta e lussureggiante.

Dopo essersi addentrati nelle prime file d’alberi, Akane era passata dall’ammirazione per quello spettacolo della natura, all’esasperazione: quel bosco sembrava infinito ed era impervio quasi quanto una giungla! E pensare che il giorno prima le era parso così bello, visto da lontano…

Gli alberi erano talvolta così vicini da sembrare un’unica parete legnosa e le loro radici sembravano spostarsi di proposito per farla inciampare, quasi comparissero all’improvviso tra i suoi piedi. Le chiome folte impedivano al sole di filtrare libero e l’aria si era fatta improvvisamente pesante, carica di umidità; sotto lo strato di foglie che copriva quasi interamente il suolo, sembrava strisciare ogni sorta di piccoli animali ed Akane non aveva voluto farsi troppe domande sulla loro natura: come aveva detto, non aveva paura degli insetti, ma questo non significava che amasse sentirseli passeggiare sotto i piedi. Frotte di insetti volanti, a completare il quadro, sembravano trovarla di loro interesse e più di una volta aveva dovuto scacciarne qualcuno di più intraprendente che, ostinato, aveva cercato di infilarsi in uno degli orifizi che le ornavano il volto… E poi parlavano delle bellezze della natura incontaminata! Quel posto era un inferno!

Con rabbia notò invece come il suo padrone pareva ritrovarcisi a perfezione: schivava agilmente le radici, ignorava gli animali e, cosa ancora più irritante, questi sembravano ignorare lui! Con passo sicuro avanzava nella fitta vegetazione nemmeno si trovasse in camera sua…

Lo spiazzo era piuttosto ampio e la giovane dovette convenire sul fatto che fosse semplicemente perfetto per allenarsi. La spianata era circolare ed il terreno duro e solido, per nulla polveroso; alcune rocce costituivano l’unica asperità.

Attesero pochi minuti, Akane seduta proprio su una di quelle rocce e Ranma che a grandi falcate sembrava voler misurare il pianoro, quando spuntando silenziosamente dal bosco alle loro spalle, giunsero Obaba e la principessa. A nessuno sembrò strano il ritardo di Ryoga, anzi, soprappensiero, Ranma si chiese se avesse già trovato Taro, pur dubitandone fortemente; anche la vecchia amazzone trovò il posto più che adatto al loro scopo e sorridendo lo rassicurò che lì avrebbe potuto scatenare tutti i Draghi nascenti che desiderava. “Sempre che ne sia in grado…” aggiunse maliziosa, meritandosi un’occhiata in tralice dal giovane.

“Altrochè se ne sarò capace… Obaba, alla fine di questa giornata lei sarà costretta ad ammettere che io sono stato il suo allievo migliore!” asserì tracotante.

Pfui…” fu il commento silenzioso, ma non troppo, di Akane.

Mentre aspettiamo quei due idioti, perché non mi spiega quello che mi aspetta?”

“Farò di meglio, altezza, le spiegherò il segreto del Drago, la sua anima – lo sguardo di Ranma parve illuminarsi a quella prospettiva – Vede, gli elementi essenziali affinché lei possa scatenare una simile potenza sono già nelle sue mani. Lei ha già tutto quello che le serve.”

La piccola donna si sedette comodamente su una delle rocce e dopo aver frugato in una delle ampie maniche del suo abito verde, ne tirò fuori una pipa sottile e semplice che cominciò a fumare con evidente gusto. “Il segreto della tecnica non è la forza del combattente, principe… anche se essa è capace di scatenarne molta, potente ed inarrestabile. Il segreto non sta nel braccio, ma nella mente. Il Cuore di ghiaccio, che lei ha faticosamente appreso, quello è il vero segreto.

Ranma distrattamente si carezzò il capo, dove poteva sentire sotto le dita alcuni ricordini lasciati dal bastone della vecchia: sì, lo aveva appreso proprio con fatica e dolore…

“Non deve far altro che metter insieme i pezzi e il gioco è fatto. Il Cuore di ghiaccio fa sì che il suo spirito si mantenga freddo, immune allo spirito combattivo che invece alberga nell’animo del suo sfidante e più esso è esacerbato, più il Drago sarà potente. Il freddo e il caldo, la calma e l’irruenza, la lucidità e la furia combattiva… lati della stessa medaglia che si attraggono in un abbraccio indissolubile, capace di spazzare via intere città, se l’energia in ballo è quella giusta.

“Non credo di aver capito granché…” ammise a quel punto il ragazzo, quasi perso in quelle spiegazioni così astratte.

“Si è mai chiesto perché proprio la spirale?” domandò la vecchia, sbuffando fuori una piccola nuvoletta di fumo dall’odore pungente.

“Per riuscire a tenere a distanza i miei avversari, desumo” rispose pronto.

Anche, ma non è per quello che la spirale ha un tale andamento, dall’esterno all’interno… - con la punta del bastone, Obaba tracciò una piccola voluta sul terreno – essa ha uno scopo ben preciso, altezza: attira…”

“Eh? Attira? Cosa?”

“Lo spirito combattivo, la violenza, il furore… Il Cuore di ghiaccio crea una sorta di vuoto all’interno della spirale, un vuoto energetico che va riempito, colmato in qualche modo.

“Ed esso viene colmato dall’energia combattiva degli avversari?” domandò Ranko affascinata, osservando il piccolo tracciato.

“Sì, esattamente sua grazia. La spirale attira lo spirito combattivo ed il suo senso rotatorio lo fa avvolgere su se stesso, creando il portentoso vortice che lei, principe Ranma, ha visto scatenarsi al serraglio.

Il ragazzo rifletté su quelle parole, rammentando anche quanto Akane gli aveva detto la sera prima… forse aveva intuito cosa volessero dire quelle parole fino a quel momento incomprensibili. La riuscita della tecnica era effettivamente nelle mani degli altri, o meglio, nella loro foga combattiva.

“Io attiverò il Drago nascente effettuando la spirale e mantenendo inalterato il mio stato spirituale, fino a quando il mio avversario non resterà prigioniero della sua stessa energia combattiva… è questo ciò che devo fare quindi? Attirare gli altri in trappola?”

“Beh, se vuole metterla così…”

Ma come s’innesta il tutto? Come posso far sì che la forza del Drago si sprigioni, una volta giunto alla fine della spirale, al suo culmine? Cosa dovrei…”

“Questo lo scoprirà dopo, appena i suoi amici si saranno presentati. Il loro apporto è essenziale.”

Ranma allargò le braccia, sconsolato. “Di nuovo?! E cosa dovrebbero fare stavolta? Ricordarmi quante volte ho fatto la pipì a letto da bambino, magari?”

Il ventre della saggia amazzone vibrò per la risata fragorosa che la scosse. “Oh no, niente del genere! Niente più attacchi vergognosi per lei, stia tranquillo, maestà! Stavolta si tratterà di attacchi veri e propri… In fondo è una bella mattina per un combattimento, non trova?”

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La spiegazione di quello che avrebbero dovuto fare Ryoga e Taro fu incredibilmente rapida e semplice. Senza perder tempo in preamboli, l’anziana guerriera si parò loro dinanzi, appena questi ebbero superato l’ultima linea alberata.

“Dovrete scagliarvi contro il principe, senza alcun riguardo” ordinò con voce ferma ed intransigente. Il capitano della guarnigione reale si strinse nelle spalle e senza chiedere ulteriori chiarimenti, cominciò a liberarsi del mantello, mentre Ryoga fu alquanto perplesso.

“Dobbiamo lottare con Ranma? Soltanto questo?” chiese stupito.

“Sì padrone, solo questo. Sua grazia non vi opporrà alcuna resistenza, anzi, non accennerà nemmeno a difendersi… Faccio affidamento su voi, mi raccomando!”

Quella poi! Attaccare Ranma, in due, mentre lui non si difendeva? Troppo bello per esser vero, magari quello era il giorno che l’avrebbe visto trionfatore, pensò Ryoga sulle prime, ma mentre si avvicinava alla sua vittima, cominciò a sentirsi turbato.

Aveva voglia di sconfiggere Ranma, era logico, ma… ma non così. Sotto lo sguardo attento di Akane, per giunta! Comportarsi in maniera così opportunista e scorretta non era da lui: si era sempre vantato di essere un combattente onorevole. Sapeva che se la vecchia Obaba gli aveva impartito tali istruzioni doveva essere per un motivo, ma nonostante questo l’idea non gli piaceva eccessivamente, anzi, per nulla. E non era l’unico a trovare da ridire. Ranko infatti non sembrò affatto contenta quando, con altrettanta perentorietà, l’amazzone la escluse dal combattimento; la ragazzina protestò vivacemente, ma né le sue minacce né tanto meno le sue suppliche ammorbidirono la precettrice.

Ma perché? L’assicuro che sono perfettamente in grado di…”

Un cenno netto della mano raggrinzita zittì quell’ultima protesta. “Non metto in dubbio la sua capacità, altezza, ma le assicuro che in questo particolare caso lei non può essermi utile. Sono certa che il suo pregiato fratello non vorrà mai provare un simile attacco nei suoi confronti, principessa, e il timore che possa accaderle qualcosa intaccherebbe irrimediabilmente il Cuore di Ghiaccio” lanciò un’occhiata al giovane che annuì.

“Per quanto tu sia brava, potresti davvero farti del male… e chi lo sentirebbe poi nostro padre! Per una volta dammi ascolto: stanne fuori. Di fronte a tanta risolutezza alla ragazza non restò che arrendersi; Ranma comunque non aveva finito. “Anche tu” asserì rivolto ad Akane che, stupita, provò a ribattere, ma anche lei fu messa a tacere da Obaba.

“Credo che a sua grazia sia bastato infrangere i suoi principi una volta. Il padrone e il Capitano saranno più che sufficienti mia cara, senza che sia costretto a battersi con una donna, di nuovo.”

Rassegnata Akane annuì, non dopo aver dedicato al suo padrone un’occhiata rovente; quel ragazzo aveva principi alquanto volubili secondo il suo modesto parere, visto come li aveva rigirati più volte a proprio vantaggio. Risentita, ma compiendo uno sforzo immane per non darlo a vedere, si fece da parte e, sedendo su una delle rocce più discoste, si apprestò ad assistere allo spettacolo.

I tre combattenti si disposero gli uni di fronte all’altro, pronti a cominciare al segnale dell’amazzone che dopo averli osservati un’ultima volta, li mise in guardia.

“Non mi aspetto di vedere un Drago nascente al primo tentativo, anzi, desumo che più di uno ne occorrerà affinché esso possa palesarsi questa stessa mattina, ma mi aspetto grande impegno da voi tre, signori. Principe, lei rammenti che oltre al suo spirito, anche il suo corpo dovrà esser immune ad ogni emozione. Un corpo di ghiaccio che faccia da paio al Cuore di ghiaccio… lo rammenti sempre e una volta giunto al culmine della spirale, le rivelerò l'ultimo fondamentale segreto – Ranma annuì con un cenno del capo, mentre raccoglieva tutta la propria concentrazione – E per quanto riguarda voi, non abbiate remore nell’attaccare il vostro amico, nessuna esitazione” li osservò a turno, soffermandosi su Ryoga che distolse subito lo sguardo. “Bene… Cominciate!”

Così accadde. Accadde proprio quello che la saggia Obaba in realtà si era aspettata, vale a dire nulla di nulla. I combattenti scattarono quasi all’unisono, ma fu subito palese che tranne una grande confusione, niente sarebbe nato da quello scontro. Non avevano compiuto che pochi passi che, sospirando, la maestra li aveva fermati.

“Dov’è finito il vostro spirito combattivo?” domandò loro, osservandoli severamente “E lei, ragazzino, fa’ un gran parlare, ma il suo Cuore di ghiaccio dov’è? Posso ancora avvertire la sua aura!” Ranma sbuffò, ma annuì non potendo negare l’evidenza “Ricominciamo!”

Per quante volte provassero, per quanto impegno potessero metterci, il risultato era sempre lo stesso: nulla di fatto. Grazie alla spirale, Ranma poteva egregiamente tenerli a bada, anche se Taro lo impensieriva particolarmente; sembrava l’unico a non farsi problemi ed ogni suo colpo mirava a fargli male, molto male. Man mano che i minuti passavano ed i tentativi si susseguivano senza successo, la frustrazione aumentò nel giovane ed anche la minima parvenza di freddezza sparì in lui.

Obaba scosse il capo, nonostante avesse previsto quell’evolversi dei fatti, non si era però aspettata tanto, e cioè che la prodigiosa e centenaria tecnica del Dragone, capace di spazzare via intere schiere di nemici, si trasformasse in una zuffa caotica e, in fin dei conti, totalmente inutile. Provò a richiamare i vari combattenti all’ordine, ma la confusione della loro lotta era così clamorosa che non la udirono. Rassegnata, inspirò a fondo e rafforzò la presa ossuta sul bastone, evidentemente non c’era altro modo.

Puntuale come sempre, il bastone calò violento su quelle testacce dure, risparmiando Taro perché, a detta della vecchia guerriera, era l’unico a comportarsi adeguatamente. “Voi invece dovreste vergognarvi di farvi chiamare combattenti!” Ranma e Ryoga si scambiarono un'occhiata perplessa, massaggiandosi il capo offeso. “Si può sapere a cosa state pensando?! Non siamo qui per dilettarci! Da lei sua grazia mi sarei aspettata più impegno, ma anche lei, padron Ryoga… perché esita tanto? So che è un ottimo combattente eppure si sta trattenendo, perché mai?”

Il ragazzo arrossì e ad occhi bassi incassò quasi il capo tra le spalle borbottando delle scuse a metà voce. “Se lui non si difende io non riesco a… a fargli del male. Mi da l’idea di… di combattere contro un inerme…” confessò con un pizzico di vergogna. Il pugno di Ranma che lo spedì, dolorosamente, dall’altra parte dello spiazzo non servì del tutto a fargli capire quanto sbagliata fosse la propria percezione.

Obaba scosse il capo con frustrata pazienza e allargò le braccia mentre il suo padrone si metteva seduto “Ah, ragazzo mio, questi sentimenti in un altro momento le avrebbero fatto onore, ma ora… Senza la sua volontà combattiva, la spirale assume più l’aspetto di una danza che di una tecnica micidiale.”

“Mi spiace Obaba, ma è più forte di me: non riesco a combattere senza uno scopo… e a condizioni tanto indecorose per di più!” niente e nessuno lo avrebbe costretto a comportarsi da vigliacco di fronte ad Akane, mai e poi mai. Poteva quasi avvertire lo sguardo della ragazza puntato su di lui e per quanto suo cugino avrebbe detto o fatto, sarebbe rimasto insensibile ad ogni offesa, pur di conservare l’idea che credeva la ragazza amata avesse di lui.

Si rialzò e, con quanta dignità potesse, si pose dinanzi ad un Ranma stranamente calmo, eppure avrebbe dovuto esser furioso…Oppure sta macchinando qualcosa’ pensò Taro, osservando la scena alquanto divertito. Aveva ragione.

“Vuoi uno scopo per combattermi allora… tutto qui? E’ solo questo che ti serve, cugino, un pretesto per volermi sconfiggere?” lo sguardo dell’erede al trono in quel momento non prometteva nulla di buono al povero Ryoga che non rispose, fermo sulla propria decisione. “Allora facciamo così… - un sorriso sfacciato distese i tratti di Ranma – ricordi di cosa abbiamo parlato stamani, a colazione, vero? La vuoi ancora?”

Gli occhi di Ryoga si dilatarono per lo stupore: possibile che… che stesse parlando di Akane? Nervosamente l’eterno disperso lanciò un’occhiata alla ragazza ancora seduta al suo posto, una leggera patina di sudore gli imperlò la fronte, mentre la gola gli s’inaridì; non voleva farsi ingannare da Ranma, lo conosceva, sapeva quanto abile fosse a sfruttare le debolezze altrui e, in effetti, la giovane dagli occhi profondi era al momento il suo più grande punto debole…

“Sii serio, Ranma! Non è da te scherzare su certe cose!” ma l’altro ragazzo non era mai stato tanto serio.

Con la solita spavalderia incrociò le braccia al petto e lo fissò dritto in viso. “Combatti con me e se riuscirai a sconfiggermi, Akane diventerà la tua schiava.

Nel silenzio attonito che seguì l’incredibile dichiarazione, non solo Obaba si rese conto di come d’improvviso l’aura del proprio padrone avesse cominciato a divampare incontrollata. Desiderio, voglia di rivalsa e bramosia colmavano il giovane, persino i suoi occhi sembravano ardere.

“Manterrai la parola?” domandò cupo, mentre sembrava che ogni muscolo del suo corpo s’irrigidisse pregustando la battaglia; Ranma annuì altrettanto greve e bastò quel piccolo cenno a dar il via alla nuova sfida, Ryoga infatti scattò fulmineo prima ancora che Obaba avesse il tempo di dir nulla, se mai avesse potuto dir nulla per fermare quella follia.

Amareggiata osservò il proprio padrone scagliarsi contro l’altro ragazzo che, ne era certa, avrebbe pagato cara la propria avventatezza: per quanto abile, il principe non conosceva ancora tutto della tecnica, non poteva affatto padroneggiarla… Sfidare in quel modo il cugino, provocandolo affinché il suo spirito battagliero ardesse incontrollato era da folli!

Con occhi attenti osservò la lotta dei due, valutando come apparisse diversa dalle pantomime precedenti: per quanto Ranma fosse più veloce dell’altro, non potendo contrattaccare, si limitava solo a difendersi, ma lo sforzo per rimanere impassibile lo lasciava alquanto scoperto, facile preda del suo rivale che, come accecato, continuava imperterrito ad attaccarlo, ignaro di essere stato inghiottito dalla spirale che il principe ad ogni modo stava tracciando.

Un pugno violento colpì pesantemente il principe al volto, quasi gettandolo a terra e fu solo grazie alla propria velocità che riuscì ad evitare d’esser colpito più duramente. Dritta accanto ad Akane, Ranko osservava il combattimento con ansia; le piccole mani erano strette l’una all’altra e ad ogni singolo, rabbioso, colpo che si abbatteva su suo fratello sussultava. Avrebbe voluto chiedere ad Obaba di interrompere quella sfida insensata, ma temeva che Ranma non gliel’avrebbe mai perdonato, ora che tutto andava come previsto: l’animo combattivo di Ryoga, combinandosi con il suo Cuore di Ghiaccio stava effettivamente attivando il Dragone; un’energia palpabile infatti permeava ora lo spiazzo, dilatandosi nell’aria come cerchi sull’acqua. Nonostante la paura, la giovane principessa non poté evitarsi d’ammirare quel prodigioso evento…

Quando un altro pugno colpì il fratello al ventre stavolta, facendogli contorcere il volto per il dolore, non resistette e angosciata urlò il suo nome. Fece per avvicinarsi ai due duellanti, ma una presa solida alla spalla la bloccò. Non si era accorta nemmeno che il capitano delle guardie le si fosse avvicinato.

“Potresti essere coinvolta dal vortice” le disse con voce incolore, gli occhi fissi sugli altri due ragazzi.

Ma… Ranma non sa ancora come attivare il Dragone! Quando arriverà al culmine della spirale lui non saprà cosa fare! Dobbiamo fermarlo o Ryoga gli farà del male!”

“Non si preoccupi principessa, il padrone sta comportandosi egregiamente. Akane, che fino a quel momento era rimasta in silenzio, le sorrise con dolcezza; per quanto apparisse sicura di quanto appena dettole, Ranko non se ne sentì affatto risollevata. Ranma stava prendendole, e tante per giunta, come poteva affermare con tanta sicurezza…

Un urlo improvviso strappò la principessa a quelle considerazioni e di slancio tornò a voltarsi verso suo fratello… giusto in tempo per assistere, per la prima volta in vita sua, alla nascita di un perfetto, potentissimo, Dragone. Il corpo di Ryoga parve quasi esser senza peso quando fu sollevato in aria da una forza invisibile, forza che con uguale semplicità sembrò giocare con lui, facendolo mulinare vorticosamente in una sorta di turbine ad un tal punto veloce che quasi era impossibile distinguere il povero ragazzo che, sotto lo sguardo sempre più stupefatto di Ranko, fu scagliato via con feroce violenza. Attonita, lo vide impattare rovinosamente al suolo sollevando nubi di polvere, mentre decine di metri distante, al centro di un vero e proprio cratere, Ranma piegato sulle gambe per la fatica, teneva il braccio destro ancora rivolto al cielo. Ce l’aveva fatta, proprio come aveva previsto Akane… Certo, era ridotto in condizioni pietose, ricoperto di ferite e con gli abiti a brandelli, ma ce l’aveva fatta. Era davvero un testone…

Sorridendo e scuotendo la testa, la principessa pensò fosse il caso di occuparsi di Ryoga che, era facile prevederlo, non doveva essere in condizioni migliori, anzi, da quando era caduto a terra, non si era ancora mosso probabilmente doveva aver perso i sensi, o almeno, Ranko lo sperò: esser coinvolti in quel vortice per poi esser scagliati via non doveva esser piacevole. Così, seguendo Taro, si diresse verso la figura immota del suo distratto cugino. Akane, invece, si alzò dal suo posto e dopo essersi liberata dalla polvere con calma quasi inspiegabile, si avvicinò alla sua maestra che, ancora incredula, stava complimentandosi con il principe, a fatica venuto fuori dalla voragine che lui stesso aveva creato.

“E’ davvero stupefacente sua grazia! Ha eseguito il colpo finale alla perfezione, nonostante non le avessi detto ancora nulla in merito!” raramente la giovane schiava aveva visto la vecchia Obaba tanto entusiasta; doveva convenirne, il padrone aveva superato anche le proprie aspettative. Durante il combattimento, nonostante l’apparente difficoltà, Akane aveva notato come non avesse mai perso la concentrazione e come, seppur fatto bersaglio di colpi tremendi, non avesse smesso nemmeno per un attimo di tracciare la spirale, attirando l’altro fino a quando, alla fine, aveva agito d’impulso e aveva vinto. Aveva vinto…

Il cuore le batteva così forte contro il petto da farle quasi male, quando con occhi lucidi per un’emozione sconosciuta, lo guardò rimettersi in piedi; tremava visibilmente e a giudicare dalla sua espressione, le ferite dovevano fargli molto male, soprattutto il colpo allo stomaco doveva dolergli, quando vi poggiò le mani infatti non trattenne un gemito sofferente.

“Mi sento come se fossi stato investito da una mandria di bufali selvatici…” commentò con il fiato corto, tenendo gli occhi serrati.

Padron Ryoga non c’è andato leggero. Per un attimo ho dubitato di lei, sua grazia, ma mi ha smentito nel miglior modo possibile. Come ha fatto a capire che solo un pugno montante inferto con un moto rotatorio, avrebbe creato il vortice?”

Ranma riaprì gli occhi e, sospirando, si strinse nelle spalle. “Istinto, credo. Non ci ho pensato…”

Un sorriso a metà tra il tenero ed il rassegnato distese il viso dell’amazzone che scosse la testa. “Ah, lei è davvero avventato… Capace, ma avventato. Sa che poteva non funzionare? Avrebbe perso…” senza esitazione il ragazzo spostò gli occhi vividi su Akane e la fissò con una tale intensità che la ragazza non poté evitarsi di arrossire.

“Non sarebbe mai capitato. Non l’avrei mai permesso.”

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Capitolo 10
*** Decimo ***


It takes me higher

di Breed 107

 

Capitolo decimo.

Era il momento del giorno che preferiva. Quando il sole non era ancora sorto eppure la luce dominava il cielo, quello spazio apparentemente infinito tra il sonno ed il risveglio del mondo… quando tutto era pace e il tempo era suo, completamente e totalmente suo.

Seduta a terra, la schiena poggiata alla sponda laterale del letto del suo padrone, Akane assaporava quei minuti con animo placato. Indossava ancora la leggera veste da notte; i piedi erano scalzi, incrociati sotto di lei a saggiare la concretezza del pavimento a ricordarle d’essere ancora lì, sulla terra, nonostante la luce che la circondava sembrava esser perfetta per la sua concezione di paradiso.

I capelli le ricadevano sulle spalle, abbandonati come un lucente manto e ribelli per non esser stati ancora addomesticati dalla spazzola; la loro lucentezza sembrava voler gareggiare con quell’impareggiabile luce, mentre il colore cupo risaltava ferocemente sulla pelle candida.

Il momento stava per finire; aveva imparato a riconoscere i segni di quando quell’attimo purissimo stava per sfumare e trasformarsi in una giornata uguale alle altre, a quelle che l’avevano preceduta e probabilmente a quelle che l’avrebbero seguita, chissà fino a quando…

Gli occhi color caramello tentavano vanamente di catturare le amate sfumature indefinite della luce per trattenerle, per godere ancora del senso di pace che le rimandavano, ma ormai la luminosità già cambiava, rinvigoriva indorandosi per i raggi del sole che avevano ormai superato la barriera dello stretto orizzonte costituito dalle mura del palazzo. Il giorno a gran voce reclamava il suo tempo ed Akane sapeva che fin troppo presto avrebbe dovuto lasciare quel giaciglio momentaneo poiché anche la vita avrebbe reclamato la sua attenzione con i suoi ritmi cadenzati, le sue abitudini, i suoi piccoli gesti che avevano avuto il tempo di trasformarsi in riti.

Quell’ultimo pensiero, fugace come la bellezza dell’alba, la portò ad aggrottare le ciglia… Riti? Possibile che la sua vita tra quelle mura fosse già diventata abitudine? Era assurdo… Viveva lì da così poco, così poco…

Due mesi, giorno più o giorno meno…

Due mesi che erano stati caratterizzati dalla vita più normale che avesse mai condotto e che anche quel giorno, c’era da aspettarselo, avrebbe presentato il solito copione: presto il suo padrone si sarebbe svegliato, avrebbero fatto colazione insieme, parlando il meno possibile di tecniche di combattimento, di insegnamenti marziali e chissà, forse di qualche altra cosa, se lui fosse stato di buon umore… e se lo fosse stata anche lei. Non lo sapeva ancora, non aveva ancora piena coscienza di quale sarebbe stato il risultato di quelle elucubrazioni…

Dopo colazione avrebbe raggiunto la principessa per allenarsi con lei, o forse per studiare l’etichetta se la regina Nodoka la sera prima si fosse lamentata dell’educazione della ragazza… E poi via, in un susseguirsi di gesti, parole, inchini… insomma, la vita… Avrebbe lottato quel giorno come sempre, chiacchierato con Sayuri ed Obaba, o avrebbe accompagnato la Regina nella sua passeggiata pomeridiana per il piccolo giardino dalle aiuole magnifiche…

Un lieve tremito percorse le labbra di Akane a quel pensiero: quello era il momento peggiore della giornata. E non perché la sovrana non fosse adorabile, anzi, proprio la sua dolcezza così innocente ed ingenua la terrorizzava più di tutto… A volte quell’atmosfera di materna amabilità la riduceva sull’orlo delle lacrime, al pensiero di ciò che avrebbe potuto essere e non era: quando Nodoka le parlava con grazia e trasporto, come non chiedersi se anche la propria madre le avrebbe trasmesso quel senso di pace profonda? Forse anche sua madre avrebbe amato passeggiare con lei e raccontarle del significato dei fiori, oppure avrebbe ridacchiato ai pettegolezzi di corte di cui magari sarebbe stata una famelica ascoltatrice pur abiurando, a parole, tale civettuola abitudine?

Mille domande assalivano Akane e mille pensieri le si affollavano in testa quando si trovava con la madre del principe, tanto che doleva ammetterlo, ritrovarsi la sera a cena sola con lui era quasi un sollievo.

Di solito litigavano, cioè… lui la stuzzicava divertendosi un mondo a vederla irritarsi e lottare contro la voglia di malmenarlo, storcendo appena il naso al sentirsi chiamare signore con la solita ironia.

Non sempre il ragazzo restava con lei per cenare, spesso doveva raggiungere i suoi per non suscitare l’ira del padre, ma faceva sempre in modo di rientrare presto nelle sue stanze, così da poter ancora scambiare qualche chiacchiera con lei. Akane aveva da tempo ormai la sensazione che come la propria, anche la vita del principe a volte gli andasse stretta e forse litigare con lei era come ritrovarsi in un posto più ampio dove allargare le braccia e respirare più profondamente. Strano ragazzo, quel principe…

Due mesi… due mesi da quando nello spiazzo nel bosco il principe aveva imparato la tecnica del Dragone in un modo che lei ancora definiva fortunoso… due mesi da quando era stata impunemente usata come posta in palio in una sfida tra parenti. Eppure Akane non era offesa al ricordo, non lo era stata nemmeno allora… In verità era accaduto così in fretta da non averle dato il tempo d’arrabbiarsi per bene.

Quel giorno per la prima volta Akane aveva però provato un’emozione nuova. Un sentimento sconvolgente ed innaturale, almeno per lei. Quando il suo padrone l’aveva guardata negli occhi da vincitore e con voce sicura aveva affermato che non avrebbe permesso a se stesso una sconfitta, Akane aveva come scoperto la posizione del proprio cuore. Non sapeva come altro trasformare in parole quel sentimento invero indescrivibile che aveva provato.

Proprio il cuore le aveva battuto come un forsennato sotto lo sguardo ceruleo di lui, si era stretto al suono di quelle parole altisonanti e forse un tantino teatrali… beh, anche più di un tantino, ma lui era fatto così. Esagerato in ogni aspetto del suo essere, nell’arroganza, nella sicurezza in sé, nell’orgoglio che quel giorno l’aveva spinto a vincere una sfida per il gusto di non perderla.

Akane non si faceva illusioni: il principe mal avrebbe sopportato l’umiliazione di perdere contro Ryoga, il cugino perennemente sconfitto, colui che era destinato ad esser battuto ogni giorno che le divinità inviavano in terra almeno nella concezione dell’erede al trono. Lei non c’entrava nulla, anzi, più e più volte il ragazzo si era lamentato nei giorni successivi di non aver colto l’occasione per liberarsi della sua personale piaga, di questa schiava sgraziata e null’affatto femminile. Quante volte le aveva ripetuto che avrebbe fatto meglio a perdere? Ne aveva perso il conto…

Ed Akane era ancora lì, dopo tutto quel tempo, a chiedersi perché fosse sollevata al pensiero che avesse vinto.

Ryoga sarebbe stato un padrone gentile, certo più gentile di quell’arrogante; l’avrebbe trattata con maggior riguardo e di certo non l’avrebbe apostrofata con epiteti che la facevano infuriare. Se fosse stata la schiava di Ryoga a quel punto forse sarebbe stata già liberata… Eppure nonostante tutto ciò, Akane era lieta che le cose quel giorno non fossero cambiate. Forse che dentro di lei si nascondesse una natura masochista?

Sorrise al pensiero, inclinando il capo e spostando lo sguardo al soffitto dove lo fece vagare. Già, forse lo era davvero… o forse la verità era che per quanto detestabile potesse essere il principe, solo con lui poteva permettersi di esser se stessa, seppur brevemente: quando litigavano Akane era veramente se stessa, quasi più di quanto lo fosse con Obaba. Forse anche per lei le loro liti erano come uno spazio ampio dove agitare le braccia…

Inspirò a fondo, notando che l’aria andava rapidamente riscaldandosi, l’estate era nel suo pieno rigoglio. Se stessa… Chi fosse nel profondo del proprio cuore Akane ancora non lo sapeva con certezza, poteva giusto intuirlo.

Lo sgraziato maschiaccio dal temperamento violento che faceva scattare la lingua per offendere, e nemmeno tanto velatamente, il proprio padrone… Per ora era quella la veste in cui si ritrovava più a proprio agio, per quanto assurdo fosse. O per lo meno era la veste che la vita in quel posto stava cucendole addosso, ma sarebbe stato insultante per se stessa limitarsi a questo.

Era qualcosa in più, qualcuno di più, lei! Era come quella luce, ricca di più sfumature di quante se ne vedessero! E di certo…

Buuu!”

L’urlo spaventato di Akane lacerò la quiete del mattino. Terrorizzata e con i pensieri ormai in disordine, la giovane scattò in piedi, cozzando violentemente contro qualcosa di duro… che a sua volta gridò, un Ahi!di dolore.

Ormai ritta sulle gambe tremanti, la schiava si volse verso il letto, le mani per istinto poggiate sulla sommità del capo dove la fitta per l’urto andava dilatandosi in onde dolenti. Attraverso gli occhi velati di lacrime, osservò il proprio padrone tenersi il mento, mentre era ancora sdraiato sul letto, sul viso un’espressione non meno sofferta di quella che doveva aver anche lei.

Ranma imprecò più volte, massaggiandosi il punto dove la testaccia dura lo aveva beccato; la fulminò con lo sguardo, pronto ad aggredirla verbalmente per aver reagito da bimbetta impaurita ad uno scherzo innocente, ma osservando la sua espressione sofferente, si placò. “Ci spaventiamo per un nonnulla, eh?” borbottò, mettendosi seduto e continuando ad accarezzarsi il mento.

Cosa?! Ma… ma… mi ha terrorizzato! Ero soprappensiero e lei…”

Tsé, artista marziale dei miei stivali! Ti ho potuta osservare per un pezzo prima di urlare, se fossi stato un nemico a quest’ora saresti morta!”

Lui era il suo unico nemico adesso! Razza d’imbecille! Averle rovinato così impunemente l’unico momento della giornata tutto suo era imperdonabile, senza contare il dolore alla testa dove certo sarebbe spuntato un bernoccolo eccellente, tutto a causa di quella trovata balorda!

E poi… non dovevano essere pensieri molto allegri, i tuoi, a giudicare dall’espressione della faccia…” mormorò Ranma dandole le spalle.

Akane restò interdetta a tali parole, confusa sulle reali intenzioni di quel ragazzo che sempre più sfuggiva ad ogni sua capacità di analisi. Che l’avesse spaventata per distrarla da quelli che riteneva fossero pensieri angosciosi?

Non era la prima volta che scopriva in lui un aspetto gentile, sovente nascosto dietro atteggiamenti irritanti. Da quando dividevano la camera, si era più volte chiesta se anche lui, quell’essere indefinito, possedesse più sfumature di quante ne mostrasse per timidezza.

Ora la stava guardando con la coda dell’occhio, in attesa di una reazione… Il sospetto che dietro quello scherzo idiota ci fosse la volontà di arrecarle un beneficio si rafforzò in lei che sorrise, non potendoselo impedire. “Sto bene… davvero” gli disse, lasciando scivolare la mani lungo il corpo. Il sorriso divenne più dolce quando Ranma si volse a guardarla dritto in faccia, un po’ perplesso. Probabilmente aveva compreso che dietro quelle parole vi fosse la risposta alla domanda implicita che voleva porle.

Era vero che l’aveva osservata.

Si era svegliato prima di quanto previsto e non vedendola coricata sui soliti cuscini, l’aveva cercata con lo sguardo; sapeva che si svegliava molto prima di lui ogni mattino, ma si era sempre chiesto che facesse mentre aspettava che anche lui si destasse…

Era stato un po’ sorpreso di vederla lì, poggiata alla fiancata del proprio letto. Probabilmente le piaceva guardare il cielo e da quel punto poteva farlo agevolmente… Di soppiatto le si era avvicinato, sporgendo appena il capo oltre il soffice materasso, ma la cautela con cui s’era mosso era stata inutile: era troppo distratta… Ne aveva osservato il bel profilo serio, fin troppo serio, anzi; teneva le sopracciglia aggrottate e le labbra appena schiuse erano state attraversate da un lieve tremito, mentre il resto del suo corpo sembrava pietrificato.

Era infelice? Triste? A cosa pensava? A chi?…

A Ranma non piaceva ammetterlo, ma una risposta affermativa alle prime domande aveva il potere di turbarlo, e molto. Preferiva di gran lunga vederla in preda alla rabbia, preferiva osservare i suoi grandi occhi accendersi per le fiamme dell’ira piuttosto che languire, velati dalla tristezza. E così aveva deciso di riportarla, a modo suo, in quella stanza. Di riportarla da lui…

Aveva agito d’istinto come sempre e alla fine c’era riuscito… certo, ne aveva guadagnato una gran botta, ma forse ne era valsa la pena se ora lei gli sorrideva. Era tanto carina quando sorrideva, quando sorrideva a lui…

L’imbarazzo che subito sovvenne per quel pensiero lo fece arrossire di colpo e, allarmato, scattò in piedi ridandole le spalle. “Io invece mi sento come se avessi appena urtato contro un muro! Hai la testa più dura di quel cretino di Ryoga!” l’apostrofò, facendo quello in cui privilegiava subito dopo le arti marziali: rovinare ogni bel momento che si creava tra loro. Era davvero un maestro in questo!

Spinto dal panico e dall’impaccio, riusciva sempre a trovare le parole per farla infuriare, anche se bisognava ammettere che il carattere non proprio docile di Akane gli facilitava il compito. Anche quella volta naturalmente fu così: il bel sorriso svanì per far posto ad una smorfia irritata e la voce perse la dolcezza che per poco l’aveva ammorbidita.

“La prossima volta che mi spaventerà allora la colpirò con qualche altra parte del corpo, come un pugno… sono certa lo troverà più morbido ed adatto alla sua regale faccia, padrone!”

Ranma sparì oltre la porta del bagno ridacchiando tra sé e sé.

--- --- ---

Quando ne uscì, l’umore di Akane non era molto migliorato; ritta davanti al piccolo tavolino dove consumavano gran parte dei loro pasti, praticamente lo linciò con lo sguardo più cattivo del suo repertorio di occhiatacce, ma vi era così avvezzo ormai da non farci più caso.

“Oggi farò colazione qui – le comunicò mentre finiva di allacciare il colletto della blusa completamente bianca che aveva scelto quella mattina – puoi usare il bagno mentre do gli ordini necessari.”

Akane si limitò ad annuire con il capo; sapeva che quello significava restare lì con lui. Era come un ordine, sebbene lui non l’avesse mai concretizzato a parole, ma ogni qualvolta decideva di non voler dividere i pasti con la sua famiglia, soprattutto a causa del padre, la diretta conseguenza era che lei restasse lì invece di unirsi alle altre schiave. Non gliel’aveva mai ordinato, per l’appunto, né chiesto come favore personale e d’altro canto non l’aveva mai allontanata… Akane pensò che anche quello fosse un rito ormai consolidato nella propria esistenza.

Stava per raggiungere la piccola sala da bagno, quando all’improvviso una saetta dai capelli ramati attraversò le pesanti porte della stanza aperte di colpo, richiamando a gran voce il nome del ragazzo. Ranma né Akane furono sorpresi da quell’ingresso alquanto irruente della principessa: erano ormai assuefatti alle sue entrate trionfali, come le definiva ironicamente suo fratello. Quel giorno però vi era qualcosa di diverso nella ragazzina che attirò subito l’attenzione degli altri due: sembrava sconvolta ed agitata. Indossava ancora la camicia da notte e quel particolare unito al fatto che i suoi capelli fossero alquanto scompigliati dava l’impressione che dovesse essersi precipitata lì appena uscita dal letto.

“Ranko, che succede?” chiese Ranma sinceramente preoccupato: non era uno spettacolo solito vederla in tali condizioni. Quando lei lo guardò, si rese conto che era sul punto di piangere.

“Nostro padre è un mostro!” urlò la ragazza per tutta risposta, il viso arrossato e i pugni stretti tremanti. Le lacrime che tratteneva a stento erano quindi di rabbia, pensò Ranma tutto sommato sollevato. In fin dei conti le liti con il sovrano non erano una sua esclusiva prerogativa e nonostante la piccola Ranko fosse la prediletta dei genitori, il suo carattere impossibile sovente si scontrava con quello rigido del capo famiglia.

Sospirando, il ragazzo si precipitò a chiudere l’uscio, non volendo offrire altro spettacolo ai vari occhi curiosi che affollavano il corridoio… pensò a quanto già ne doveva aver offerto sua sorella correndo da lui in camicia e a piedi nudi.

Che ha detto? Ti ha impedito di nuovo di allenarti con Akane?” le chiese con voce annoiata, ritornando poi a guardarla. Di solito era quello il motivo principale delle furiose litigate tra padre e figlia, entrambi s’intestardivano sulle proprie posizioni cocciutamente, anche se di solito Ranko riusciva a disobbedire a Genma senza molti problemi.

La ragazza scosse il capo e di colpo perse tutta l’animosità che l’aveva spinta fin là; si avvicinò al letto ancora in disordine e vi si lasciò cadere, come priva di forze. Si morse il labbro inferiore, mentre gli occhi vagavano incerti, probabilmente cercando le parole giuste per spiegare quanto accaduto. La videro sospirare, più calma, ma notevolmente più rattristata. “Il mio fidanzato è morto…” mormorò infine, poggiando entrambe le mani sulle ginocchia.

Akane spalancò gli occhi e solerte le si avvicinò, pronta a darle conforto “Oh, sua grazia… mi spiace, deve essere un gran dolore per lei!”

Ranko corrugò le sopracciglia fin quasi ad unirle, osservando l’altra ragazza con stupore, poi tornò a scuotere il capo. “Non lo conoscevo nemmeno… Tutto quel che so di lui è che era un principe di non so dove – spiegò – L’ho visto solo in ritratto…”

Akane batté le palpebre, confusa. Con tutta evidenza per la principessa, la cattiva sorte del futuro marito non era esattamente causa di sofferenza. Lanciò un’occhiata a Ranma che non sembrava stupito “Cosa ha detto nostro padre?”

Che vuoi che abbia detto? E’ venuto nelle mie stanze per darmi la notizia che il sole non era ancora sorto e poi, come se nulla fosse, mi ha detto di non preoccuparmi, di aver già pensato a come risolvere la situazione. Non più tardi di oggi pomeriggio una sua missiva partirà per il regno di Riujenzawa, pare che il futuro erede al trono non abbia ancora una fidanzata e vista le condizioni di salute di suo nonno, l’attuale sovrano, vi sia una certa urgenza affinché si sposi… Ci pensi, fratello? Il mio fidanzato non è stato ancora sepolto, che nostro padre me ne ha già trovato un altro, naturalmente senza chiedere il mio parere!”

Ranma osservò il viso indignato di sua sorella, dispiaciuto per lei, ma affatto sorpreso. Nemmeno lei avrebbe dovuto esserlo: fin da bambini ad entrambi era stato detto e ripetuto quale fosse il loro compito, vale a dire il bene e la sopravvivenza del casato. Sposare uno sconosciuto faceva parte di questo compito… ma né lui, né Ranko avevano accettato simili imposizioni passivamente.

Il principe spostò lo sguardo su Akane, ora seduta accanto all’altra ragazza… Lei non era stata forse la sua più grande ribellione, fino a quel momento? Non passava giorno in cui suo padre non gli ordinasse di disfarsene, di lasciarla a chi era stata destinata in principio, ma Ranma non aveva intenzione di cedere su di lei, il vecchio poteva minacciare e urlare quanto voleva...

La situazione di sua sorella era però molto più complessa: se il re era bene o male disposto a tollerare che suo figlio dividesse la propria camera con una schiava, non poteva certo permettere che Ranko gli disubbidisse su una questione così vitale come un matrimonio di stato. Erano in gioco alleanze importanti e l’amicizia di altri regni era vitale per Solaris, soprattutto in un periodo così contrastato: Nerima era ancora un possibile nemico, nonostante non fosse più il regno florido e potente di un tempo. L’arroganza e la brama di potere del suo Reggente erano una minaccia troppo incombente per ignorarla e la corsa ad alleanze sempre più solide valeva ogni sacrificio, persino il consegnare la propria amatissima figlia in sposa a degli estranei.

“Non ha un briciolo di cuore! Non può impormi chi sposare, non è giusto! Nonno Happosai non l’ha fatto con lui, non gli ha ordinato di sposare nostra madre ed il regno è sopravvissuto!” protestò Ranko, riacquistando parte della rabbia di prima.

“A nostro nonno non importava granché del futuro del nostro regno…” commentò saggio Ranma, beccandosi per quello un’occhiata furiosa della sorella.

“Gli dai ragione?! TU?!” domandò esterrefatta: si era recata lì proprio perché credeva che suo fratello l’avrebbe appoggiata, come ogni qualvolta c’era da opporsi a Genma.

“Non ho detto questo, calma, però non capisco perché tu sia tanto arrabbiata. Cosa cambia a questo punto? Anche il precedente fidanzato ti era estraneo…”

Akane non avrebbe mai voluto prenderlo a calci come in quel momento! Possibile che non comprendesse i sentimenti della ragazzina? Era talmente evidente che il cuore di Ranko appartenesse già a qualcuno! Che il suo stesso fratello non se ne fosse reso conto? Probabilmente no, insensibile com’era…

Ad Akane quel sentimento era parso evidente fin quasi da subito. L’atteggiamento ostile di Ranko non era che una cortina, un tentativo goffo di mascherare il proprio amore per timidezza, forse, ma più presumibilmente per paura di esser rifiutata. L’altero capitano delle guardie reali continuava ostinatamente a considerarla una mocciosetta e a trattarla di conseguenza, Akane poteva solo immaginare quanto doloroso fosse un simile atteggiamento per la ragazza!

Se Taro fosse consapevole o meno d’esser l’oggetto delle attenzioni della sua principessa, Akane lo ignorava. Quell’uomo era criptico in maniera irritante, era impossibile comprendere a pieno cosa pensasse… ogni qualvolta il suo sguardo freddo ed imperturbabile si posava su di lei, istintivamente si sentiva irrigidire per il disagio: sembrava che quelle due iridi ti attraversassero ogni volta, scrutandoti e leggendo la tua anima.

Cosa cambia?! Tutto cambia! Potrei finire in sposa a questo tipo prima ancora che l’anno finisca, ecco cosa cambia! – Ranko si alzò di scatto dal letto per fronteggiare suo fratello – Se il re di Riujenzawa è davvero malato, il suo successore dovrà esser pronto a prendere il suo posto e questo vuol dire che dovrà sposarsi presto! Ed io non potrò mai realizzare il mio sogno! Mai!”

“Non diventeresti un’amazzone nemmeno se non ti sposassi… e lo sai. E’ venuto il momento che tu la smetta di illuderti.”

Ma la maestra Obaba mi sta allenando e…”

“La maestra Obaba non ti ha accettato come sua allieva, pur allenandoti. Non può e non vuole fare di te un’amazzone, più volte ha cercato di fartelo capire e sarebbe ora che lo accettassi.”

Akane abbassò lo sguardo nel sentire quelle parole dure di Ranma… dure, ma vere. Era chiaro che la maestra non avrebbe fatto della principessa un’amazzone, nonostante lei avesse mostrato talento e predisposizione per le arti marziali più di ogni altra donna avesse mai incontrato prima.

Le motivazioni che erano dietro al sogno della giovane avevano fatto propendere Obaba per la scelta di non accettarla come allieva; Ranko voleva essere un’amazzone per amore, ma proprio questo sentimento sarebbe stato il primo prezzo da pagare per la sua vita da guerriera.

“Stai dicendo che devo rassegnarmi? E’ questo che vuoi dirmi fratello?” la voce tremante di Ranko, resa insicura dalle lacrime, strappò la schiava a quei pensieri.

La ragazza era ancora dinanzi a Ranma, a capo chino. La lotta contro il pianto ora era così evidente che Akane si sentì il cuore stringere per lo sconforto ed anche il principe dovette provare lo stesso a giudicare dalla sua espressione. Con un affetto che quasi mai manifestava per la sua pestifera sorellina, le carezzò il capo fulvo e le parlò con quanta dolcezza potesse.

“Tu non sai cos’è la rassegnazione Ranko… Sei molto più testarda di me o di nostro padre, il che è tutto un dire! Non sai ancora se il principe di Riujenzawa acconsentirà a questo matrimonio, chi può dirlo? Magari le voci sul tuo carattere impossibile sono giunte fin là e quel poveretto ci penserà due volte prima di prenderti come moglie, se ci tiene alla tranquillità del suo piccolo regno…”

“Non devi mica farmi dei complimenti solo perché sto piangendo…” borbottò lei, anche se un piccolo sorriso si fece largo sul broncio del viso.

“Le ho detto di essere testarda e di avere un carattere impossibile, a te pare che le abbia fatto dei complimenti, Akane? Avanti, smettila di tirare su con il naso e vatti a rendere presentabile, o a nostra madre verrà un colpo vedendoti a tavola in questo stato così poco femminile.

Stavolta Ranko rise apertamente e asciugò gli occhi umidi con un braccio, con un gesto che parve molto tenero ed infantile agli occhi del fratello “Lo immagino… Tu cosa fai fratello? Resti qui a fare colazione?”

Ranma annuì “Sì, avevo già deciso di stare alla larga da nostro padre ed ora poi ne sono ancora più convinto, visto che grazie a te sarà d’umore ancora più insopportabile.”

Se è questo che ti preoccupa, allora sta’ tranquillo. Il nostro sommo sovrano è rinchiuso nel suo studio a redigere la convincente missiva con la quale mi concederà in sposa e pare ne avrà per un bel pezzo, quindi la sua amabile presenza a colazione ci sarà risparmiata” spiegò la ragazza alternando alcune smorfie significative alle proprie ironiche parole.

“Oh, davvero? – rapidi gli occhi blu si posarono su Akane, soffermandosi su di lei per un lungo istante – Non importa, farò comunque colazione qui… Non si sa mai che finisse prima del previsto, non ci tengo a che si sfoghi su di me!”

“Mmm, sul serio? O piuttosto non vuoi lasciare Akane? Proprio oggi poi che è il vostro anniversario…”

“Che cosa?!” esclamarono all’unisono il principe e la schiava, così sorpresi da non aver nemmeno il tempo di arrossire.

Ranko li guardò a turno, stupita a sua volta. “Ma come, non lo ricordate? Sono due mesi esatti oggi che Akane è qui a palazzo! In questi casi si dice comunque anniversario o si dovrebbe usare l’espressione mesiversario? Mmm, non mi pare suoni molto bene…”

Ad Akane non importava granché quale fosse la formula più adatta e corretta ad esprimere il concetto. Sapeva benissimo da quanto tempo si trovava lì, proprio quella mattina ci aveva riflettuto prima che l’idiota del suo padrone la spaventasse a morte, solo che fino a quando Ranko non lo aveva sottolineato, il tutto le era parso, come dire… meno ufficiale. E poi il fatto che la ragazza suggerisse sotto sotto una qualsiasi sorta di festeggiamento privato tra loro due era imbarazzante da morire!

“Due mesi? Accidenti… mi sembra che tu stia qui dentro da molto più tempo: ho come l’impressione di sopportarti da una vita!”

Per fortuna la gentilezza del padrone sapeva sempre venirle in soccorso nei momenti più imbarazzanti…

Quando Ranko lasciò la stanza, l’eco delle loro voci accese la scortò per un pezzo: entrambi facevano a gara a chi fosse sembrata più lunga e causa di sofferenza quella convivenza.

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Genma si grattò il capo liscio e lucido nella luce del sole ormai sorto. Guardò la lettera che aveva appena finito di scrivere e ne fu soddisfatto.

Sorridendo tra sé e sé, ripensò ad un’altra lettera scritta poco meno di due mesi prima. Sperava che anche in questo caso la risposta sarebbe stata altrettanto positiva.

Il messaggero allora era tornato a palazzo dopo soli dieci giorni, era stato davvero rapido e a giudicare dai toni entusiastici della risposta, anche molto accorto. Contento, il Re aveva chiesto a Taro di ricompensare il soldato così capace, pur non spiegandogli il perché; per fortuna il capitano non era un uomo da molte parole e non aveva fatto domande.

Era andato tutto incredibilmente bene! Nessuno aveva scoperto nulla, nemmeno Nodoka…

Genma si guardò in giro, scrutando il suo studio in ogni angolo per accertarsi di esser solo, poi con cautela lasciò lo scrittoio e si avvicinò al camino alle sue spalle, naturalmente spento in quella stagione afosa. Un ultimo sguardo circospetto alle spalle e poi, con rapidità, infilò la mano su per la grande cappa e ne frugò a tentoni la superficie, fino a trovare il mattone smosso che cercava. Lo scostò e con destrezza estrasse il plico nascosto dietro.

Quando lo ebbe tra le mani, lo soppesò un istante, con un sorriso ancor più beato, lo srotolò e lo lesse per l’ennesima volta e, come tutte le volte precedenti, il solo mormorare quelle parole vergate con una grafia ordinata e semplice lo colmò di soddisfazione.

Era incredibile che il destino dei suoi figlioli si dipanasse attraverso due semplici lettere! Quella che aveva appena scritto avrebbe garantito un matrimonio vantaggioso per quella scapestrata di Ranko, mentre quella che ora giaceva tra le sue mani stabiliva il futuro di Ranma.

Sposato all’unica figlia del Re del regno di Kuonji, unica figlia quindi unica erede…

Che potenza avrebbero formato una volta uniti i due regni! A quel punto anche l’alleanza con il regno di Gea messa tanto a repentaglio dal colpo di testa di suo figlio diventava inutile… Che il Reggente di Nerima continuasse pure a minacciarlo, con l’appoggio ormai garantito di Kuonji e con quello imminente di Riujenzawa, la cosa non aveva la ben che minima rilevanza.

Rilesse ancora la lettera del sovrano di Kuonji, nella quale si garantiva la più ampia compiacenza per il matrimonio dei due eredi. Anzi, il sovrano rassicurava che la piccola Ukyo era letteralmente impaziente di convolare a nozze con il virtuoso e certo valoroso giovane Saotome, parole testuali…

Che quest’ultima parte corrispondesse al vero o meno, a Genma non importava: l’approvazione da parte dei giovani promessi non contava in un simile frangente. Che la principessa Ukyo fosse consenziente o che piantasse i piedi e protestasse come Ranko davvero non era affare che lo riguardasse, ciò che contava era il consenso entusiasta del padre della giovane.

Con il sorriso ormai diventato un ghigno, Genma ripose l’amata lettera nel suo nascondiglio e tornò a sedersi allo scrittoio, canticchiando un motivetto allegro tra sé e sé e domandandosi se nella sua proposta di matrimonio dovesse anche scrivere di quanto la sua dolce figliola fosse impaziente di sposare il giovane principe di Riujenzawa, magari prima che giungesse l’inverno…

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“No, no, no! Ragazzo, dov’è la tua concentrazione?!

Le urla di Obaba riempivano l’aria afosa di quel pomeriggio; la maestra era insoddisfatta e il suo bastone roteava minaccioso, preoccupando non poco Ryoga a cui tale insoddisfazione era da imputare.

Da quasi quattro giorni la donna tentava inutilmente di insegnargli una prodigiosa tecnica, anch’essa frutto della millenaria esperienza del suo popolo e che ella aveva ritenuto particolarmente adatta alla struttura fisica del padrone. Già dal duello con il principe infatti la minuscola vecchietta aveva scoperto quanto resistente potesse essere il ragazzo e dopo un lungo periodo di allenamento durante il quale Ryoga aveva rafforzato ulteriormente il suo già poderoso fisico, l’amazzone aveva ritenuto giunto il momento per progredire ed insegnargli la misteriosa tecnica dell’esplosione.

Misteriosa almeno fino a quando quattro giorni prima, sbalordendo tutti i presenti, aveva mostrato loro in cosa consistesse tale prodigio: con il semplice tocco di un dito, l’anziana istitutrice aveva mandato in briciole un masso enorme, senza sforzo apparente per giunta.

Ryoga si era entusiasmato enormemente ed aveva giurato di impegnarsi al massimo per far proprio l’insegnamento di Obaba; persino Ranma ne era stato impressionato e, con un pizzico di invidia, aveva chiesto di poter anche lui imparare. La richiesta era stata gentilmente, ma fermamente rifiutata, con grande soddisfazione di Ryoga.

La rivalità tra i due cugini era notevolmente aumentata nel corso degli ultimi due mesi; la sempre più evidente infatuazione del povero eterno disperso per Akane era diventata motivo di celia continua da parte di Ranma, che sembrava non annoiarsi mai nello stuzzicare l’irritabile cugino, così come quest’ultimo non pareva mai esaurire i motivi per scontrarsi con l’altro. Non c’era avvenimento che lo riguardasse per il quale Ryoga non incolpasse il principe, spesso con fondatezza, ma altre volte risultava chiaro a tutti come i suoi fossero solo semplici pretesti per manifestare la propria gelosia, sentimento che l’arrivo di Akane aveva involontariamente rinvigorito.

L’unica a non essersi resa conto del proprio ruolo in quella sorta di faida familiare era proprio la giovane schiava, la quale da parte sua provava sempre maggior comprensione per Ryoga; conosceva bene infatti quanto irritante potesse essere la tracotanza del proprio padrone e ciò la rendeva istintivamente solidale con il suo sfortunato parente. Sempre più spesso era consueto incontrare i due a parlottare tra loro, a scambiarsi opinioni sui rispettivi allenamenti; Akane aveva persino consigliato più volte il ragazzo su come comportarsi con alcuni esercizi impostigli da Obaba e se questo da un lato colmava il cuore del poveretto di speranza e rinnovato amore, da un lato non faceva che accrescere i motivi di contrasto con Ranma.

Il suddetto principe sogghignò, lanciando solo un’occhiata rapida al cugino inginocchiato nella polvere; l’invidia provata fino a qualche giorno prima per non esser messo a parte della tecnica dell’esplosione era svanita appena aveva scoperto il metodo d’insegnamento… in confronto imparare la tecnica del Dragone era stata una passeggiata!

Per i quattro giorni precedenti e fino a pochi istanti prima, lo sfortunato Ryoga era stato letteralmente legato come un salame e calato giù da un ramo dei tanti alberi che costeggiavano lo spiazzo dove ormai si allenavamo quotidianamente. L’unica sua parte lasciata libera di muoversi era un dito della mano destra e lo stesso dito costituiva l’unica difesa contro il nemico… un masso enorme che la portentosa vecchia aveva ugualmente sospeso a robuste corde e che con forza instancabile scagliava contro il suo riottoso allievo.

Ranma scosse il capo, provando un minimo di pietà per l’altro ragazzo e tornò ad allenarsi con Ranko: come contentino per averli esclusi dalla tecnica dell’esplosione, la maestra amazzone aveva promesso ai due fratelli di insegnar loro un’altra incredibile mossa; non si era dilungata molto in spiegazioni, specificando solo che per metterla in pratica occorreva molta velocità. Così ora i due si allenavano insieme, sfidandosi a chi fosse il più rapido e a Ranma doleva ammettere che sua sorella gli era in pratica alla pari, se non superiore in quel particolare aspetto.

Ryoga scrollò il capo tentando di rischiarare la vista, offuscata dopo l’ennesimo colpo. Non sapeva quante volte avesse già sbattuto contro quell’odioso masso, aveva smesso di contarle, ma sapeva che con quell’ultimo colpo doveva aver superato il centinaio… Era frustrato ed arrabbiato con se stesso, ma anche con la donna che gli sbraitava contro e che chissà come adesso stava concedendogli un attimo di tregua. Con un colpo netto del suo maledetto bastone aveva tranciato la corda che lo teneva sospeso per aria e l’aveva fatto atterrare con un tonfo, dandogli così l’occasione di riprender fiato.

Odiava quell’allenamento, così come detestava dimostrarsi più lento di Ranma… nonostante sia Obaba che Akane gli avessero detto che paragonare le due tecniche era impossibile, lui non poteva evitare di sentirsi inferiore a lui. Ci stava mettendo troppo, maledizione! Eppure faceva tutto quello che la vecchiaccia gli ordinava!

Con sguardo furente levò il capo impolverato verso l’amazzone e quando l’immagine smise di sdoppiarsi dinanzi agli occhi stanchi, la affrontò senza troppi riguardi. “Io sono concentrato!”

Lo era sul serio! Nella sua testa malconcia non vi era spazio che per la tecnica! La voglia di rivalsa contro Ranma era tale da non permettergli di pensare ad altro… o quasi. C’era il pensiero costante ed onnipresente di Akane, ma quello serviva a fargli coraggio, a dargli la forza di continuare nonostante le tremende botte. Non poteva essere quello il motivo per cui non riusciva, impossibile…

Obaba gli stava dicendo qualcosa di rimando, ma lo sguardo del ragazzo era altrove, qualche metro distante da quella fila d’alberi, diretto oltre Ranma e Ranko che continuavano a lottare tra loro, poggiato lì dove rifuggiva ogni qualvolta potesse, su Akane seduta su una delle rocce che costellavano lo spiazzo.

Gli occhi della ragazza erano stranamente sfuggenti quel giorno e Ryoga poté quasi leggervi dentro una grande tristezza… Cosa aveva? Di sicuro Ranma le aveva fatto qualcosa! Il pensiero che quel maledetto dividesse ancora la stessa camera della sua amata gli incendiò l’anima: dannato! Di certo quel porco aveva attentato alla virtù della povera schiava! Per questo lei sembrava così distante quel giorno, così abbattuta, così…

Sbonk!

Ryoga si ritrovò a terra, la testa più dolorante di prima. Pensò che forse il masso gli fosse caduto addosso, ma quando rivolse insù lo sguardo nuovamente annebbiato, un paio di Obaba lo guardavano in cagnesco brandendo l’odiato randello. Non era stato dunque il masso a colpirlo…

“Razza di sciocco! Non mi ascolti nemmeno quando ti parlo, come osi affermare di esser concentrato!” l’orribile arma calò di nuovo e stavolta, per sua fortuna, Ryoga svenne, cadendo bocconi sul terreno.

Sospirando, la vecchia istitutrice si avviò verso Akane che l’accolse con un sorriso mesto e con un otre d’acqua che accettò grata. Urlare contro quel caprone le faceva seccare la gola.

Con uno sbuffo sedette accanto alla ragazza più giovane e mentre beveva con calma, ne osservò il profilo; Ryoga non era l’unico ad essersi accorto dello stato della giovane, anzi, gli occhi esperti di Obaba avevano compreso che non era il principe la causa del malumore, o per lo meno non lo era nel modo in cui aveva creduto il ragazzo appena svenuto.

“Non dovresti esser così dura con lui, Obaba… Il signor Ryoga si sta impegnando seriamente.

“La testa di quel marmocchio è altrove, mia cara. Spero che quando riprenderà i sensi sarà più deciso o perderemo ancora altro tempo” sospirò, dedicando uno sguardo rassegnato al corpo esanime al quale stavano avvicinandosi gli altri due ragazzi, poi tornò a guardare la giovane accanto a sé. “Cosa ti rende tanto ansiosa?” le domandò poi diretta, con voce calma e tranquilla.

Akane si morse le labbra, non provò nemmeno a negare e, dopo un momento d’esitazione, si volse verso la sua maestra e la guardò dritto negli occhi. “Sto perdendo tempo, Obaba…”

“Non capisco, cosa significa?”

Che sto perdendo del tempo prezioso in questo posto! – alzò la voce presa dalla rabbia, poi compì uno sforzo per non urlare e richiamare l'attenzione degli altri – Io sono pronta Obaba, lo sai… non dovrei stare qui a… a guardare gli altri allenarsi, ma dovrei compiere il mio destino, il tempo è giunto!”

Obaba annuì mesta col capo, poi le sue spalle si sollevarono in un sospiro. Il volto segnato dagli anni era come scolpito dalla luce intensa di quel pomeriggio, ogni ruga era come un trofeo alla propria sapienza; le piccole mani invece sembravano voler sfuggire alla pacatezza della vecchiaia e con smania giovanile giocherellavano nervose con il bordo mal cucito dell’otre, unico segno tangibile della tensione che la savia amazzone in quel momento stava provando.

“La tua inesperienza è tale da offuscarti la vista, almeno quanto i miei colpi annebbiano la vista del giovane padrone… Tu non sei pronta, Akane.

“Come puoi saperlo? Come puoi saperlo sul serio?! Obaba io qui… impazzisco! Non voglio più restare in questo posto chiedendomi cosa è successo alla mia famiglia! Ogni minuto, ogni ora che passa il dubbio mi tormenta… Devo scappare, come avevamo progettato fin dal principio…”

Obaba non le rispose subito, ma quando lo fece il tono della sua voce fu aspro ed inclemente; le mani, vivaci fino a quel momento, si fermarono in pugni nervosi “Scappare ora significa consegnarti alla morte e non ti ho allevato affinché tu muoia. Non ti ho istruito per esser così debole e fragile… oltre che bugiarda.

Akane sgranò gli occhi, a tal punto colpita dalle parole della donna da sentirsi stordita. Stupefatta la osservò, gli occhi che si colmavano di pianto senza che potesse evitarlo… Si sentiva tradita, per la prima volta nella vita non aveva l’appoggio di Obaba, anzi, l’ostilità delle sue parole era troppo palese per ignorarla. Deglutì, cercando con molta fatica di ritrovare il fiato serrato dalle lacrime che ormai le stringevano la gola.

“Hai cambiato idea, Obaba? Questo posto ti ha talmente rammollito da non volerlo lasciare! Il fatto che tutti si prostrino ai tuoi piedi riverendoti come una maestra, ti ha fatto dimenticare la promessa che mi hai fatto anni fa?!

“E’ questa dunque tutta la fiducia che riponi in me, Akane. Dici che questo posto mi ha rammollito, ma forse la parola che volevi dire è un’altra: rinvigorito… sì, è vero, esser qui è motivo di gioia per me… non lo nego, io. Puoi tu affermare lo stesso?”

Obaba non ottenne la risposta alla domanda che le aveva posto. Troppo sconvolta e furiosa, Akane si allontanò di corsa, da lei, da quelle parole dolorose, ma soprattutto dai dubbi che esse volevano sollevare nel suo animo inquieto.

Corse a perdifiato tra gli alberi, perdendosi tra essi ed ignorando il richiamo allarmato di Ranko, così come ignorò dove stesse recandosi. In verità non le importava, non quanto allontanarsi il più possibile da Obaba, nel futile tentativo in realtà di fuggire da se stessa. Per quanto corresse infatti le domande dell’amazzone le rimbombavano in testa e, con ancora più accanimento, le risposte facevano lo stesso…

Non si accorse quasi di esser afferrata per un braccio e solo quando fu trascinata contro un albero si avvide di Ranma. La presa sulle braccia era forte, ma non fu per quello che Akane non tentò di divincolarsi e sfuggire; anzi, appena le sue spalle aderirono alla ruvida corteccia, le energie la lasciarono e, completamente sfibrata, abbassò il capo per scoppiare a piangere… Quante volte ancora doveva farlo, accidenti? Quante volte ancora avrebbe pianto?! Era già la seconda volta da quando era giunta in quel posto maledetto…

Ranma osservò la ragazza chinare il capo ed abbandonarsi al pianto con un sentimento molto simile al panico. Che diavolo stava accadendo? Non aveva compreso molto, ma a quanto pareva la lite che la propria schiava aveva avuto con Obaba doveva esser stata terribile quanto breve.

Si era appena avvicinato a Ryoga per accertarsi che stesse bene, più per interessamento di Ranko a dire il vero, quando la voce concitata di Akane gli era giunta all'orecchio; si era voltato verso le due donne sedute troppo distanti per poter comprendere cosa mai dicessero e quando aveva poi deciso di lasciar perdere Ryoga e avvicinarsi a loro, la ragazza si era allontanata come una furia, in lacrime. Sua sorella aveva provato a chiamarla, ma era stata ignorata… Non volendo subire la stessa sorte, lui aveva preferito correrle dietro, ma ora che l’aveva raggiunta e la teneva contro quell’albero, non sapeva più che fare…

Che fosse una giornata non facile per lei, l’aveva capito fin dal mattino, quel suo sguardo volto al cielo era stato inquietante… e le cose poi sembravano esser peggiorate con l’arrivo di Ranko: il battibecco che avevano avuto era stato solo una pallida imitazione di quello che accadeva solitamente e poi si era trasformata in una creatura silenziosa e pensierosa, proprio come quando l’aveva spaventata.

Solo che farle buuu adesso sembrava alquanto inidoneo…

La sentiva tremare sotto le sue mani, la pelle delle braccia era gelida e il pianto così forte da renderle quasi difficile respirare. Non poteva continuare così, si disse allarmato il ragazzo, non avrebbe retto… e anche lui non avrebbe resistito molto a vederla in tali misere condizioni.

“Smettila… avanti, smetti di piangere…” le disse tentando di infondere convinzione nel proprio tono, ma Akane scosse il capo in un cenno di diniego e provò ad allontanarlo debolmente, non riuscendovi. “Allora dimmi cosa ti fa stare così! Ho già consolato una ragazza piangente oggi e ho finito le idee, per cui fammi capire cosa diavolo fare!”

“Mi… mi lasci andare…”

“Oh, lo farei, eccome, ma ti faccio notare che hai sbagliato completamente direzione: di questo passo finirai per addentrarti ancor di più nel bosco e sappi che non è un posto piacevole… Inoltre data la dimestichezza che hai in posti come questi, finiresti con il farti male o peggio nel giro di pochissimo!”

“Mi lasci andare!” replicò di nuovo lei come se non lo avesse sentito, stavolta infondendo maggior forza nella richiesta.

“No! Non posso!” sbottò Ranma, scotendola per le braccia che ancora le teneva. Ed era vero: non poteva. Semplicemente non poteva lasciarla andare…

Akane alzò il viso e lo guardò, le sopracciglia aggrottate sugli occhi ancora colmi di lacrime, alcune delle quali le rigavano le guance pallide. Ranma sospirò e scuotendo il capo la lasciò, certo che comunque ora non avrebbe più provato a scappare, ed infatti lei restò immobile contro l’albero a guardarlo.

Perché mi ha tenuto con sé?”

La voce era così flebile che quasi non la sentì. Ranma non sapeva se la domanda avesse a che fare con lo stato d’animo angosciato della ragazza, ma capì quanto importante fosse per lei poiché aveva smesso di piangere. “Perché non mi ha allontanato dopo aver imparato la tecnica del Dragone?”

“Lo sai perché… Se non ti tengo con me, mio padre ti manderà via.

“Io non le servo, Obaba è l’unica persona che…”

“E’ questo che ti sconvolge, allora? L’essere la mia schiava ti fa così ribrezzo da ridurti in questo stato? Non scuotere la testa, rispondimi!”

Non poteva crederci, non voleva crederci! In tutto quel tempo che l’aveva avuta accanto a sé si era così abituato alla sua presenza, così assuefatto da non pensare a come Akane vivesse quella convivenza forzata. Non si era mai chiesto se lei fosse felice, se lo fosse davvero, perché stupidamente si era illuso che lo fosse a suo fianco… Era una pia illusione, un pensiero egoistico e superficiale, una convinzione che aveva voluto far propria per non dover affrontare seriamente l’aspetto cruciale di quella storia, vale a dire il momento della separazione.

“Fino a quando mi terrà con sé?” gli domandò ancora con animosità, segno della disperata esigenza di sapere.

Solo che Ranma non aveva risposte da darle… o forse l’unica risposta spontanea che aveva era così sconvolgente da non poterla proferire. “Ti terrò con me per… - Akane lo vide esitare, poi distogliere lo sguardo ed allontanarsi da lei di qualche passo – per tutto il tempo necessario. Quando mio padre non insisterà più nel mandarti via, ti allontanerò da me… e allora potrai stare con le altre donne di corte, o con Ranko… Fino a quel momento dovrai farti forza e sopportare la mia presenza, come io sopporto la tua…”

Sopportare la sua presenza? Akane avrebbe voluto gridare di rabbia, ma si limitò a guardarlo, a guardare il suo volto farsi più affilato e più severo. Ora che lo guardava così, che scopriva quanto doloroso fosse perdersi nel suo sguardo oltraggiato, la ragazza finalmente comprese le parole dell’anziana istitutrice: era davvero una bugiarda!

Il vero motivo per cui voleva fuggire poco o nulla aveva a che fare con la missione che si era prefissata fin da bambina. No, il motivo era in quegli occhi blu di cui non reggeva lo sguardo, nel fatto che presto avrebbe scoperto di non odiarli affatto… cosa ne sarebbe stato di lei allora, quando avrebbe capito di non poter fare a meno di tutti loro… di lui?

Si scostò dall’appoggio momentaneo costituito dall’albero e dopo un ultimo sguardo sofferente al proprio padrone, con lentezza ritornò sui propri passi, diretta di nuovo allo spiazzo dove avrebbe chiesto perdono ad Obaba per il proprio comportamento… e poi avrebbe atteso. Non aveva più voglia di sfinirsi con domande e contando i giorni che diventavano mesi, chiedendosi quando sarebbe durata la loro convivenza… non importava, perché comunque, in un modo o nell’altro, era destinata a finire.

Ranma la guardò allontanarsi. Il cuore gli balzava impazzito nel petto, non si era mai sentito così confuso…

Ti terrò con me per… per tutto il tempo necessario… questo le aveva detto, ma non era ciò che avrebbe voluto dire davvero, non erano quelle le parole che gli erano spontaneamente sorte dal cuore e che quasi a fatica aveva taciuto. Con sgomento, il giovane principe si era reso conto che “per sempre” era ciò che avrebbe voluto dirle.

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Capitolo 11
*** Capitolo undicesimo ***


It takes me higher

di Breed 107

 

 

 

Capitolo undicesimo.

 

“Si sta risvegliando!”

La voce allegra di Ranko fu la prima che Ryoga riconobbe riemergendo dall’oblio. Poi arrivò il dolore lancinante alla testa, una fitta violenta che gli fece stringere gli occhi mugugnando.

Cosa lo aveva colpito? Ranma? No… no, era stato il bastone della vecchia… Stava allenandosi con lei, con scarsi risultati. Maledetta tecnica… e maledetta Obaba! Ryoga era intimamente convinto che l’amazzone avesse usato con lui maggior forza nel colpirlo con la sua arma preferita di quanta ne avesse mai impiegata con suo cugino… Era ovvio che la maestra aveva una predilezione per lui, tutti lo preferivano, tutti lo ritenevano migliore, il più forte, il più…

Aprì gli occhi, spinto dalla frustrazione e fu proprio l’immagine dell’odiato Ranma che gli comparve dinanzi. Appoggiato allo stesso albero dove era stato legato il masso per il suo allenamento, lo guardava con in viso quell’espressione così tipica in lui, un misto d’indifferenza e sbruffoneria che Ryoga proprio non sopportava.

La posa rilassata, con le braccia incrociate al petto a testimoniare la noia del momento, e persino il broncio che sfoggiava sembravano volerlo offendere… Probabilmente Ranma considerava tutto il suo allenamento una colossale perdita di tempo, che proficuamente poteva invece esser usato per allenare lui, per renderlo ancora più forte, ancora più imbattibile. Che odioso!

Spinto più dalla rabbia che da altro, Ryoga provò a mettersi seduto, ma la vertigine alla testa gli rese alquanto arduo sollevare il capo dalla polvere nella quale il colpo l’aveva atterrato… c’era andata proprio pesante Obaba…

Una presa forte, ma delicata al tempo stesso all’altezza delle spalle, lo fece voltare sorpreso. Sorpresa che aumentò a dismisura quando si ritrovò a guardare il volto di Akane. Lo stava aiutando a mettersi seduto! Era un po’ umiliante a ben vedere, ma la gioia per il suo intervento fu tale da spazzare via ogni altro sentimento negativo, compreso il rancore verso il cugino, anzi, in quel momento Ranma era lontanissimo dai pensieri di Ryoga che, rosso in viso come non mai, mormorò il nome della sua amata, ancora stupito… Forse era ancora svenuto e quello era un sogno: Akane che lo aiutava, il calore delle sue mani sulle spalle e la dolcezza del sorriso… Poi il sogno parlò.

“Come si sente, signor Ryoga?”

Allora era vera! Il ragazzo scattò a sedere, ignorando il capogiro e la fitta al capo e batté le palpebre, il volto ormai completamente in fiamme.

“Sto bene! Io… sto bene, davvero!” le rispose con enfasi. Akane annuì e gli lasciò le spalle, poggiando le mani in grembo… Ryoga avvertì con sofferenza il distacco, la perdita di quel calore gentile e, imbarazzato, abbassò lo sguardo.

Tutta l’umiliazione per il proprio stato gli cadde addosso di colpo: era svenuto di nuovo dinanzi a lei. Si era mostrato debole e poco concentrato… Doveva proprio considerarlo un incapace, senza contare le innumerevoli sconfitte da parte di Ranma a cui la ragazza aveva assistito in quei due mesi…

Mortificato, guardò con la coda dell’occhio l’oggetto dei propri sogni e, strabiliato si rese conto di qualcosa che prima gli era sfuggito: gli occhi di Akane erano rossi di pianto!

Aveva pianto e molto! Le lacrime erano scomparse, ma non c’erano dubbi che un pianto furioso li avesse resi lucidi e arrossati come adesso li vedeva… Aveva pianto, ma perché? Per… per lui?

Impossibile! Akane non poteva certo aver pianto per lui! Assolutamente!

Per quanto si ripetesse che la cosa fosse impossibile, Ryoga non poté impedire al suo cuore di pensarla diversamente. Forse Akane aveva pianto per la preoccupazione, per lo sconforto di vederlo privo di sensi, o forse perché dispiaciuta per lui per il trattamento riservatogli da Obaba… sì, forse era proprio così che era andata, Akane aveva pianto perché teneva a lui! Non c’era altra spiegazione, d’altronde, a quelle lacrime: prima di svenire lei gli era parsa normale, forse turbata, ma non certo sull’orlo di una crisi di disperazione.

Una nuova determinazione inondò l’animo del ragazzo. Non poteva assolutamente permettere che la fiducia da lei nutrita andasse tradita: non si sarebbe mai più perdonato una sola singola lacrima di Akane a causa sua! Gli piacevano tanto i suoi sorrisi, tanto radiosi e belli da far quasi male, non voleva assolutamente saperla infelice per la propria inettitudine; nonostante il fatto che tenesse tanto a lui lo lusingasse non poco, saperla in qualsiasi modo triste per la propria incapacità era un’onta peggiore che le abituali sconfitte subite dal cugino.

“Obaba! Riprendiamo subito gli allenamenti!” urlò, rivolgendosi alla maestra ancora seduta sulla roccia. Doveva imparare la tecnica ad ogni costo! Il fallimento non doveva essere un’opzione valida, non con l’appoggio di Akane che ora era certo di avere.

Il ragazzo si alzò di slancio, ignorando il consiglio di Ranko di muoversi con cautela e spinto da questa nuova risolutezza, si avvicinò alla donna anziana: il dolore era sparito e con esso anche il senso di vertigine. Si sentiva come nuovo, come se avesse potuto affrontare il mondo intero!

“Sono pronto, adesso” disse giunto accanto alla sua schiava. Obaba lo osservò con attenzione ed un sorriso compiaciuto le stese i tratti raggrinziti.

“Sì, adesso lo è davvero, padrone…”

Un minuto dopo, Ryoga penzolava ancora al ramo del solito albero e, proprio come prima, continuava ad essere colpito con violenza dal blocco di roccia. Sembrava non esser cambiato nulla, ma osservando il volto malconcio, nessuno dei presenti poteva negarne la concentrazione; non un lamento lasciava le labbra del ragazzo ogni qualvolta veniva colpito, né una singola protesta nei confronti della maestra amazzone che aveva messo da parte dolcezza e comprensione per indossare di nuovo i panni della terribile istitutrice.

Ranko si morse il labbro, facendo una smorfia all’ennesimo colpo preso in pieno dal cugino. Per il momento aveva dimenticato i suoi allenamenti con Ranma e con Akane assisteva al supplizio di Ryoga da una certa distanza.

“Pensi che ce la farà?” domandò alla giovane al suo fianco, un po’ preoccupata: se pure Ryoga avesse imparato, come sarebbe uscito da un simile allenamento?

“Penso di sì… I suoi ultimi colpi sono diventati più efficaci” in effetti, ora il ragazzo riusciva a perforare la dura superficie del macigno, mentre prima non era riuscito nemmeno a scalfirlo.

“Speriamo… Akane, cosa è successo prima? Con Obaba…”

La schiava abbassò lo sguardo e per alcuni istanti restò in silenzio, poi inspirò e sorridente si volse verso la principessa “A volte le incomprensioni capitano anche tra chi si conosce da una vita. Ho accusato la maestra di un crimine di cui in realtà sono io la prima ad essermi macchiata.

Ranko non comprese assolutamente a cosa stesse alludendo l’altra, ma non chiese ulteriori spiegazioni: oltre a peccare d’indiscrezione, sapeva che Akane non le avrebbe risposto.

Era quasi doloroso per lei capire che ci sarebbe stato sempre qualcosa ad impedire loro di esser amiche, amiche vere e la condizione di schiava della ragazza era solo il più superficiale di questi impedimenti. Le doleva sapere, più che altro intuire, che la ragazza non si sarebbe mai aperta con lei… forse persino ad Obaba Akane celava qualcosa del suo animo, ma nonostante ciò fosse ovvio e per un certo verso naturale, Ranko non riusciva ad accettarlo del tutto. Non lo accettava perché sapeva che quel qualcosa che serbava era per Akane motivo di sofferenza.

Si volse a guardare suo fratello, qualche metro distante da loro. Era tornato ad allenarsi ed ora stava eseguendo uno dei kata insegnategli da nonno Happosai, alla ricerca della concentrazione perduta: anche lui era turbato, proprio come Akane.

Doveva esser accaduto qualcosa nel bosco, tra loro due. L’aveva visto correre veloce alle calcagna di una piangente Akane, poi dopo pochi minuti lei era tornata a capo chino, senza più lacrime, ma con l’espressione più affranta che si potesse immaginare; suo fratello era arrivato poco dopo e nonostante gli sforzi per sembrare tranquillo, a Ranko non era sfuggita la sua inquietudine. Quanto le sarebbe piaciuto sapere cosa si erano detti!

“Ranko, smetti di gingillarti! Avanti, abbiamo cose più serie da fare…” la voce del principe risuonò stizzita e lei non poté far altro che stringersi nelle spalle e raggiungerlo, lasciando la sola Akane a fare da pubblico ai tentativi sempre più validi di Ryoga.

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Il Reggente Kuno aggrottò le sopracciglia e solo questo gesto tradì il suo turbamento, ma fu un istante brevissimo, prima che un sorriso radioso, e completamente falso, gli alleggerisse i lineamenti normalmente contratti del volto scavato.

“Lo accoglierò con piacere… Fatelo entrare” ordinò al valletto che, dopo un lieve inchino, sparì oltre le grandi porte che delimitavano l’ampia sala del trono.

Non si sentiva tranquillo, il Reggente di Nerima. Quella visita era inaspettata e lui era uomo solito evitare le sorprese; probabilmente la sua stessa sopravvivenza era dovuta al fatto che evitasse di esser colto alla sprovvista.

Segnato da anni di potere usurpato e tensioni, non era più quello che aveva conquistato il regno armi alla mano: la giovinezza era ormai svanita dal viso perennemente abbronzato, così come il suo animo era gravemente provato. Non dai sensi di colpa, ma dal rimpianto… Man mano che i giorni passavano ed il malumore si diffondeva nel regno, il Reggente Kuno rimpiangeva sempre più di aver lasciato in vita così tanti testimoni…

Persino colui che ora si apprestava ad entrare nella lussuosa e luminosa sala era un testimone scomodo, ma a differenza di altri, Kuno poteva ancora contare sulla sua fedeltà. La fiducia che nutriva in lui non era però basata su un sentimento labile quanto la lealtà… In realtà l’uomo che tra poco chi gli si sarebbe presentato dinanzi era legato al Reggente di Nerima da motivi più solidi di uno stupido ideale: egli era stato suo complice, anzi, era stato il fautore materiale del rovesciamento della casata dei Tendo e ancora oggi, a distanza di tanti anni, continuava nel suo compito di vegliare affinché il Reggente restasse dov’era, in cambio naturalmente di molto denaro e della sicurezza di non esser smascherato.

Finalmente le porte si aprirono e, solo, un uomo alto e dai lineamenti marcati appena nascosti da una corta barba entrò nella sala. Il mantello gli svolazzava alle spalle, il passo svelto di chi è sicuro di sé e l’aria tranquilla. Gli occhi grigi parevano scintillare sotto il fiero cipiglio dell’uomo, occhi cupi e vividi poggiati sulla spenta figura di Kuno che si alzò per andargli incontro. Indossava eleganti abiti da viaggio, tra i quali risaltava una magnifica spada, segno dell’altro rango del possessore, il generale Kean, comandante in capo delle forze armate del regno di Gea.

“Amico mio! Quale inaspettato piacere!” lo salutò il Reggente, tendendogli una mano che l’altro strinse appena tra le sue.

“Non so quanto piacere tu possa ricevere dalla mia visita, Kuno, che però è certo non esser poi tanto inaspettata: scommetto che i tuoi uomini ti hanno avvertito del mio arrivo giorni fa, appena ho superato il confine di questo tuo bel regno” la voce dell’uomo era asciutta, leggermente colorita da un ironia fredda quanto lui.

Kuno sorrise e allargò le braccia “Per quanto tu possa aver ragione, Kean, la tua visita resta comunque inaspettata e senza ombra di dubbio motivo di piacere. Vuoi che ti faccia portare qualcosa da bere?” indicò uno dei due camerieri, rimasti poco discosti dal trono, ma il militare scosse il capo e con gesti veloci cominciò a liberarsi dai guanti scuri che gli proteggevano le mani.

“Vorrei subito arrivare al dunque, amico mio… appena saremo rimasti soli. Ho cose serie di cui discutere con te.” Kuno annuì e ordinò ai due uomini di uscire immediatamente dalla sala.

Sia l’usurpatore che il suo ospite restarono in silenzio per qualche istante dopo che i paggi si furono allontanati, poi il padrone del palazzo fece un cenno con il capo e guidò l’altro verso uno degli angoli più remoti dal salone del trono, accanto ad una delle finestre che permettevano a quel posto di essere illuminato dalla calda luce del sole.

Cosa è successo? Problemi con Soun?” domandò Kuno nella cui voce era sparita l’allegria di poco prima. Non poté evitarsi un sospiro di sollievo quando vide l’uomo scuotere il capo.

“No, lui è sempre nelle stesse condizioni: schiavo ed inerme. Certo, resiste più di quanto avessimo valutato, ma non è per lui che ho affrontato il lungo viaggio da Gea.”

“Il tuo Signore ti crea dei problemi forse? La nostra alleanza non è poi così solida come vorrei…”

“Il mio Signore, come lo definisci tu, è solo intimorito dalla potenza dei Saotome, ma non temere, ultimamente sono accaduti alcuni avvenimenti che hanno in un certo senso avallato l’amicizia tra i nostri regni.

Kuno allargò le braccia, lievemente spazientito. “Non sarai venuto fin qui per portarmi questa notizia? Potevi benissimo scrivermi ed evitare incontri sospetti!”

“La tua impazienza è seconda solo alla tua paranoia… Non sono venuto per aggiornarti su come procede il mio operato per favorire l’avvicinamento tra i nostri regni, ma gli avvenimenti di cui ti ho appena fatto cenno sono il motivo per cui ho cavalcato tanto a lungo e a rischio di esser smascherato…”

Il Reggente incrociò nervoso le mani dietro alla schiena e le strinse, cercando di scaricare così la tensione che quell’incontro gli stava procurando. Non voleva stizzire l’uomo che gli era davanti: il generale era pericoloso e facile alla rabbia. Inspirò e tornò a sorridergli “Hai ragione, se sei qui è senz’altro per un motivo importante… Ti ascolto, amico mio.

“Bene. – il generale parve compiaciuto di riscontrare ancora quanto ascendente avesse sul vecchio alleato, un folle che evidentemente aveva ancora soggezione di lui – Poco più di due mesi fa fui invitato alla corte dei Saotome per il compleanno del sovrano, probabilmente un altro dei suoi piani per allargare il giro delle sue alleanze. Quel furbastro pensò addirittura di invitarmi quale ospite d’onore…”

Kuno annuì, impaziente nonostante tutto: sperava che si arrivasse presto al cuore della questione, l’impazienza ricominciava a farlo fremere.

Il generale Kean si carezzò la barba, sollevando gli occhi al cielo come se stese gustandosi un ricordo particolarmente piacevole. “Ho molto apprezzato la mia permanenza in quella reggia che, come saprai, può gareggiare con questa per lusso e ricchezze, ma devo purtroppo dire che alla fine ho di certo avuto motivi per lamentarmi dell’ospitalità offertami. Non so se le tue spie te ne hanno mai informato, ma vi è l’usanza di tenere una particolare asta la sera del compleanno del Re, asta a cui partecipano tutti gli invitati…”

Un sospetto si fece largo nell’animo di Kuno che improvvisamente s’irrigidì. Sapeva dell’asta di schiavi che si teneva nella corte di Augusta, anzi, spesso aveva cercato di parteciparvi indirettamente attraverso ospiti prezzolati, giusto per controllare che tra i vari pezzi in vendita non vi fossero alcune sue vecchie conoscenze.

Quando aveva deciso che le due figlie di Soun sarebbero diventate schiave l’idea gli era sembrata semplicemente geniale. Le bambine erano troppo piccole per serbar ricordo dei tristi avvenimenti di cui erano state vittime e quella rimasta con lui costituiva un ottimo deterrente affinché il loro padre non nutrisse propositi vendicativi, che comunque data la sua detenzione nelle miniere del Golath, la sperduta regione del regno di Gea, erano alquanto improbabili. Ma le crepe di un simile piano si erano mostrate dopo poco.

Per quanto piccole, le figlie di Ami e Soun avrebbero potuto comunque ricordare e magari raccontare la loro storia, oppure avrebbero potuto incontrare qualcuno che ne fosse a conoscenza, qualche sopravvissuto alla vera e propria opera di epurazione che aveva messo in atto all’indomani del colpo di stato.

Imprecando contro la propria stupidità, Kuno aveva provato a rintracciarle e per anni aveva seguito il loro peregrinare in lungo e largo per le terre conosciute. Numerose spie erano state piazzate di volta in volta alle calcagna delle bambine, che nel frattempo crescevano senza dar segno di sapere la verità sulle proprie origini. Questo aveva in parte rassicurato l’usurpatore, almeno fino a quando aveva perso le tracce di una di loro, la minore. Era passato qualche mese da allora… e se il suo amico fosse lì proprio per dargli notizie della dispersa?

“Come ospite d’onore mi spettava un dono, che avrei certamente gradito, credimi. Una giovane e bella schiava, dagli occhi scuri ed i capelli d’ebano… Una schiava di circa 16 anni, incredibilmente somigliante alla donna che ti rifiutò tempo fa.

Il generale sorrise malignamente nel notare il pallore riuscire a sbiancare lo scuro viso dell’altro. Non era poi così stupido, evidentemente aveva capito ed il suo silenzio ne era la conferma. Voleva sapere di più e non voleva scontentarlo, nonostante il pensiero di tenerlo ancora sulle spine risultasse attraente. A dispetto della proclamata amicizia e dei servigi che continuava ad offrire al Reggente, il Generale non lo stimava affatto; lo riteneva un folle troppo guidato dall’istinto. 

Comprenderai la mia gioia, con quel dono il gentile sovrano Saotome metteva nelle mie mani la figlia del tuo nemico. Le tue ricerche sarebbero finite ed io avrei avuto l’opportunità di controllare la giovane…”

Avresti?”

“Sì, avrei… Il dono non mi è stato infine consegnato, come sarebbe stata prassi. Il principe d’Augusta, quello scapestrato moccioso arrogante, ha pensato bene di portamela via.”

Cosa?! Ma è impossibile! Nessun membro della famiglia reale…”

“Come a suo tempo fece notare quel ragazzo insolente, non v’è legge scritta che impedisca ai Saotome di acquistare uno schiavo per sé. Si tratta solo di una garbata usanza instaurata per non offendere la sensibilità della Regina Nodoka che, desumo, tu conosca.

“Certo che la conosco… suo padre fu allievo del mio e lei venne a Nerima anni fa, quando ancora Ami era la mia promessa sposa...” All’improvviso gli occhi dell’uomo si spalancarono colmi di sgomento: la figlia di Ami si trovava nello stesso palazzo in cui la migliore amica di quest’ultima era sovrana! Era terribile!

“La riconoscerà! Potrebbe riconoscerla! Maledizione… E’ ancora lì? Sai qualcosa?” chiese ansioso, afferrando l’altro per la casacca e scotendolo con foga.

Il generale si sottrasse con fastidio a quella presa e con malcelato disgusto per il comportamento poco dignitoso di Kuno, gli scoccò un’occhiata adirata. “E’ ancora lì. A quel che si mormora nel palazzo, il principe Ranma la tiene con sé nelle proprie stanze… evidentemente il moccioso non è interessato solo alle arti marziali come si diceva.

“Dobbiamo fare qualcosa! Non posso permettere che quella maledetta rimanga lì!”

“Pienamente d’accordo… e c’è un’altra cosa che mi preoccupa, forse anche di più della giovane principessa, per il momento. Quella sera stessa un’amazzone è stata acquistata da un nipote di Genma.

L’aria vacua che l’amico gli dedicò lo fece sospirare rabbioso: come avesse fatto un simile essere a mantenere il potere tanto a lungo, era davvero un mistero. “Non vedi motivo di preoccupazione in questo, vero Kuno? Ragiona! Un’esperta di arti marziali, con conoscenze infinite e abilità incredibili si piazza a corte di uno dei tuoi nemici, dove si trova casualmente anche una delle poche persone che potrebbero di diritto reclamare quel comodo legno dorato e tu non vi trovi nulla di allarmante! Ti facevo più scaltro, amico mio.”

“Sì, sì, hai ragione, Kean, ma ora come ora mi preoccupa più l’esistenza di quella ragazza… Anche se dubito che rammenti qualcosa, non voglio che resti con Nodoka Saotome troppo a lungo!”

“Già, anche se tutto fa pensare che la ragazza ignori chi sia, non è prudente lasciarla lì troppo a lungo. Per un po’ ho sperato che Genma facesse rinsavire il suo erede, spedendomi la fanciulla con tanto di scuse per il ritardo, ma ciò non è avvenuto… L’aspetto positivo di tutto questo è che dopo aver narrato al mio Sire di quale oltraggioso trattamento io sia stato oggetto ad Augusta, egli si sia definitivamente deciso a rompere ogni rapporto con i suoi sovrani.”

“Già, ma conoscendo Genma Saotome, sono convinto che quell’impiccione stia già smovendo mari e monti per accaparrarsi le amicizie dei regni non ancora dichiaratamente schierati… Magari offrendo i propri figli come merce di scambio!”

“Certo… e lasciami dire che la tua ultima mossa non è stata per nulla felice: uccidere il fidanzato di sua figlia non ha fatto che peggiorare la situazione, dal momento che quella volpe ha già trovato un valido sostituto, qualcuno che potrebbe rivelarsi persino più pericoloso del precedente.”

Kuno si massaggiò la fronte, soprafatto per un istante dalle mille incognite che avrebbe dovuto affrontare. Che fare? Che fare?

“Ogni passo, ogni decisione fatta in un senso, sembra comportare infinite conseguenze imponderabili! I miei oppositori si riuniscono sotto il vessillo di Saotome, chiedendo a gran voce che io venga allontanato, persino qui a palazzo alcuni vorrebbero consegnarmi in questo stesso momento! Rimpiangono Soun e tramano alle mie spalle, maledetti ingrati! Dopo tutto quel che ho fatto per loro!”

Kean non condivideva tanta stima per l’operato del Reggente: era fin troppo visibile a quali risultati avesse portato la guida di quello scellerato. Il regno versava in condizioni pietose ed il terrore che Kuno era stato capace di inculcare in ogni suddito, presto o tardi, avrebbe dato il via alla scintilla della ribellione che lui tanto temeva. Era per questo che anni prima si era allontanato da Nerima, non voleva che la caduta di quel folle lo coinvolgesse… al massimo poteva rallentarne l’avvento, giusto per trovarsi in salvo al momento della rovina.

“Ora non angustiarti troppo, quel che fatto è fatto, hai altro a cui pensare. La ragazza prima di tutto… Dobbiamo allontanarla dalla corte dei Saotome, lì è troppo protetta, almeno fino a quando divide il letto del principe.”

Ma non posso aspettare che se ne liberi! Ci potrebbero volere dei mesi, addirittura degli anni! No, la ragazza deve morire, il prima possibile! – sbottò Kuno agitato, preso dalla smania di riparare in fretta ai troppi sbagli del passato – Magari facendolo passare per un incidente, non m’importa quanto oro ci vorrà!”

Il generale assottigliò gli occhi e sorrise crudele “Fai bene a disinteressartene, Kuno… Se il prezzo non è un problema, ho chi fa per te.

“Davvero? E’ abile?”

“Spietatamente abile. Ho già usufruito dei suoi servigi, per così dire, per accelerare la mia scalata nell’esercito di Gea… la sua pericolosità è seconda solo al costo.   

“Ti ho già detto che non m’importa… Ci si può fidare, piuttosto? Quello che non mi serve sono altri testimoni.”

“Mi hai preso per un novellino, Kuno? Non temere, a lei importa solo sapere chi… I perché non le interessano.

“E’ una donna? Tu pensi che una donna possa infiltrarsi in un palazzo così ben protetto e compiere un atto tanto ardito?!” l’incredulità di Kuno non stupì l’altro, che la trovò divertente.

Rise, schernendo il nervoso uomo che lo fissò infastidito. “Sono proprio quelli che la sottovalutano come te ad essere le sue vittime predilette, mio caro… Ha persino una grande bellezza che gioca a suo favore, credimi: la principessa ha le ore contate.”

Kuno sospirò, non molto rassicurato, ma doveva ammettere che Kean non l’aveva mai deluso. Annuì con il capo, poi, cambiando completamente argomento tornò ad offrire del vino al suo ospite che stavolta accettò di buon grado.

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Nabiki aggrottò le sopracciglia ed osservò il riflesso del ragazzo, languidamente adagiato sul letto alle sue spalle. “Il Generale di Gea?” domandò a conferma di quanto appena sentito e lui annuì svogliatamente.

“Sì, proprio lui. L’ho visto da una delle mie finestre, giungere con alcuni uomini… Desumo che la sua sia comunque una visita breve.”

Nabiki ripose la spazzola sulla lucida superficie della toletta e si volse verso il fidanzato, perplessa. “Come fai a dirlo?” domandò e fu irritata dal sorriso di dileggio che ricevette come risposta.

“Nabiki cara, non penserai di essere l’unica a saper usare il cervello in questo posto, no? E’ ovvio che il nostro caro Kean non si intratterrà molto qui a corte, dal momento che non ha fatto riporre la sua cavalcatura nelle stalle… Quando ho riguardato di sotto, mentre venivo qui, ho visto il cavallo ancora al centro del cortile. Inoltre mio padre non mi ha parlato di questa visita, perciò credo che sia imprevista.”

Non poteva dargli torto, nemmeno a lei erano giunte notizie dell’arrivo di un ospite sì importante. Il generale era sempre accolto a palazzo alla stregua di un sovrano e un simile trattamento avrebbe avuto bisogno di preparativi che non erano affatto stati approntati. “Che vorrà?” mormorò tra sé e sé la ragazza, facendosi sfuggire dalle labbra quella domanda.

Cosa pensi che possa mai volere? Sarà venuto a riscuotere il suo compenso per l’alleanza con Gea… Mi meraviglia che tu non ci abbia pensato Nabiki, possibile che la paura per quell’uomo sia tale da non farti ragionare come tuo solito?” stavolta nella voce del giovane risuonò una sincera preoccupazione, unico motivo per cui lei non lo scacciò via di malo modo per tali insinuazioni. Purtroppo Tatewaki aveva ragione.

Nabiki aveva davvero paura di quell’uomo inquietante e, assurdamente, ne ignorava il motivo. Nelle poche occasioni in cui si era ritrovata a suo cospetto, egli non era stato mai altro che cortese, forse un po’ affettato nei modi, segno che la vita di corte aveva da tempo spazzato via i ruvidi modi da militare quale egli era, o meglio era stato.

Sapeva grazie ai pettegolezzi di palazzo che prima di divenire il soldato più influente e potente di Gea, il generale Kean aveva servito il precedente sovrano di Nerima, quel tiranno violento e spietato che il suo futuro suocero aveva spodestato proprio con l’aiuto di colui che ora era giunto inaspettatamente a corte. Nabiki sapeva anche che il legame di amicizia con il Reggente non si era interrotto, nonostante il militare ora servisse altri padroni… ‘O almeno è quello che vuole far credere…’

Dubitava infatti che quell’uomo servisse qualcun altro che non fosse se stesso.

Ma la meschinità e l’ambizione non erano certo aspetti che la intimorivano. Ne viveva immersa fin dall’infanzia, poteva anzi affermare di non aver conosciuto che tali aspetti della natura umana vivendo con la famiglia Kuno, quindi non era questo a spaventarla nel generale.

Fu un tocco delicato a strapparla a quei pensieri. Tatewaki le si era avvicinato e le aveva poggiato le mani sulle spalle lasciate scoperte dall’elegante veste; ne osservò il viso sorridente e sbuffò, riconoscendo quell'espressione. “Va’ via… non sono in vena per le tue smancerie.

Per nulla abbattuto da quel diniego, il ragazzo si chinò su di lei, continuando a carezzarla con gentilezza. “Andiamo, mia diletta… Vorrei poterti restituire il buon umore che l’arrivo di quell’uomo ha rovinato” le sussurrò all’orecchio, depositandole poi sul collo un bacio leggero come una carezza.

Nabiki tremò involontariamente per quel tocco leggero e socchiudendo gli occhi si adagiò contro di lui, inarcando di più il collo sottile affinché lui continuasse a baciarlo, come effettivamente si affrettò a fare. Le carezzò la gola con le labbra, mentre una delle mani abbandonò le spalle per scivolare giù lungo il braccio e depositarsi, quasi casualmente sul fianco di lei.

Il ragazzo sorrise tra sé e sé, raramente la sua riottosa fidanzata si era mostrata a tal punto arrendevole alle sue carezze… che avesse finalmente deciso di abbattere quell’insensata barriera che aveva creato tra loro? Dopotutto era la sua futura moglie, la sua bellissima futura sposa…

Dal fianco la mano scaltra risalì verso l’alto, ma prima che potesse giungere alla meta agognata, lo scollo generoso dell’abito della ragazza, qualcosa di freddo, mortalmente freddo si materializzò contro il suo addome.

Si separò da lei con uno scatto e vide il piccolo pugnale ancora stretto nel pugno di Nabiki; non avrebbe dovuto stupirsene più di tanto, a dire il vero… Sospirò e scosse la testa, ritornando a sedersi sul letto: pazienza, per ora doveva arretrare, ma prima o poi… Già, prima o poi proprio quella donna così recalcitrante avrebbe finito con il sottostare docilmente alle sue carezze.

“Che grazioso gingillo, cara… Piccolo e potenzialmente letale, proprio come te, mia adorata.”

“Farai bene a non dimenticarlo la prossima volta che ti vengono certi pensieri, caro… Il fatto che ogni tanto ti conceda un bacio non deve farti illudere” con un gesto aggraziato, il pugnale, una piccola lama sulla cui elsa erano incastonate tre pietre di color rosso, sparì tra le pieghe della veste e, come se nulla fosse accaduto, Nabiki tornò a pettinarsi, prestando un orecchio distratto alle chiacchiere del fidanzato.

In realtà era ancora turbata per la presenza del Generale Kean a palazzo: il suo istinto le diceva che doveva scoprire in qualche modo il motivo di quella visita inaspettata… Già, ma come?

“Tatewaki?”

“Sì?”

“Ricordi quando da bambini giocavamo a nasconderci da Kodachi?”

Il ragazzo inarcò un sopracciglio, perplesso per quella domanda improvvisa “Sì, lo rammento… Sceglievamo sempre un posto dove lei non potesse trovarci, così che per scovarci era costretta a girare in lungo e largo per la corte.”

“Già e tu ne approfittavi fin da allora per allungare le mani – il giovane Kuno ridacchiò al ricordo – che tu sappia, qualcuno altro oltre noi due ha mai saputo dei vari passaggi segreti che scoprimmo durante quei giochi?”

“Eh? No, credo di no… Ehi, che vuoi fare? Non mi piace l’espressione che hai… di solito significa guai, per me!”

“Oh, andiamo! Non ti va di rivivere uno di quei giochi della nostra felice infanzia?”

Kuno sospirò: no, non gli piaceva affatto quell’espressione.

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Kasumi ripose la veste sul letto e con gesti garbati, ne stese le pieghe con le mani, contenta del lavoro fatto: alla principessa sarebbe piaciuto molto.

Alzò lo sguardo, cercando la giovane nella camera appena immersa nella penombra della sera incombente e la trovò proprio dove l’aveva lasciata circa dieci minuti prima, quando si era allontanata per prepararle l’abito per la cena che ci sarebbe stata da lì a breve. Era ancora seduta accanto all’unica finestra della camera, il viso poggiato alle mani, gli occhi rivolti al cielo e il corpo ancora avvolto nei teli per asciugarsi dopo il bagno.

“Finirà per prendersi un raffreddore, principessa, se resta accanto a quella finestra” le disse preoccupata, avvicinandola. Ukyo si volse a guardarla, sorridente.

“Hai ragione Kasumi, ma sai, proprio non riesco a pensare ad altro… Credi che lo conoscerò presto?”

La cameriera annuì, sorridendo con ancora maggior calore: da quando quella mattina il Re aveva comunicato alla figlia minore del suo futuro matrimonio, la piccola Ukyo non aveva fatto che pensare al fidanzato ancora sconosciuto. Di lui non sapeva che il nome, il fatto che fosse l’erede al trono d’Augusta e che era conosciuto per la passione per le arti marziali.

In realtà Kasumi aveva sentito molto di più dai pettegolezzi di corte, ma aveva deciso con saggezza di tenerli per sé: non le pareva appropriato portare a conoscenza della giovane signora che il suo futuro sposo era conosciuto quasi ovunque per l’irruenza e l’avversione a qualsiasi tipo di disciplina.

Kasumi sperava fortemente che quei difetti, così gravi ai suoi occhi, fossero solo ingigantiti dalle linguacce di corte, lo sperava proprio tanto! Che vita avrebbe avuto altrimenti la sua graziosa padrona con un marito insofferente ad ogni autorità? Si mormorava che il ragazzo amasse sfidare apertamente persino il proprio padre, rifiutandosi di obbedirgli anche per le più semplici richieste.

Uno dei camerieri aveva anche addirittura avanzato l’ipotesi che con tutta probabilità il giovane Ranma non fosse stato messo a conoscenza del fidanzamento, perché altrimenti si sarebbe opposto solo per indispettire il genitore.

Kasumi aggrottò le sopracciglia al pensiero, ma osservando il volto della sua padrona si rassicurò: se pure tutto ciò fosse stato vero, quale uomo avrebbe resistito a tanta beltà? La principessa Ukyo agli occhi della sua cameriera personale incarnava ogni qualità e le virtù erano certo tali da far passare in secondo piano alcuni piccoli, piccoli difetti…

Ecco, Ukyo era bella e gentile, che importava se non era il classico prototipo della femminilità? Era dolce nei momenti giusti e abbastanza assennata, che importava se amava con tutte le forze, tanto da dar l’idea di esser ossessionata, alcune arti marziali a dir poco… bizzarre? Forse questo al principe sarebbe persino piaciuto.

No, si disse Kasumi, non c’erano motivi di preoccupazione: il matrimonio della ragazza sarebbe stato felice, oltre che mezzo per rinsaldare l’amicizia con un regno florido quale quello di Augusta.

“Sarà un bel ragazzo?” chiese ancora Ukyo, rivolta più a se stessa che a Kasumi.

Dicono che somigli alla madre, la Regina Nodoka. Comunque presto riceverà un suo ritratto, come da tradizione. Il suo adorato padre, il Re, ha già convocato il ritrattista di palazzo affinché ne faccia uno da inviare alla corte dei Saotome… Il principe resterà colpito dalla sua avvenenza, sua grazia!”

L’altra ragazza non parve particolarmente convinta e con un sospiro si alzò dallo sgabello. “Non ha importanza, dopotutto, anche se non dovesse essere bello. Mio padre è stato chiaro, siamo nati per sposarci e io sono convinta di dover seguire il mio destino… Sono contenta, Kasumi… e impaziente! Vorrei poterlo conoscere domani! E’ un segno del cielo che egli sia un amante delle arti marziali, sai? Un altro sposo forse mi avrebbe impedito di proseguire i miei studi nelle varie discipline di lotta che conduco… Sarebbe stato alquanto triste per me, ma giacché egli condividerà tale passione, non posso ritenermi che fortunata!”

“Ha ragione, sua grazia… Ora però, la prego, mi aiuti a rivestirla, se resta così prenderà sicuramente un malanno…”

Ukyo ridacchiò e le rivolse uno sguardo furbetto, incrociando le braccia al petto. “Oh, ma se ciò accadesse, non dimentichiamo che qui a corte vive un grandissimo ed espertissimo curatore! Il tuo caro dottor Tofu mi guarirebbe in men che non si dica! A proposito… hai visto il nostro bel dottore oggi?”

Ignorando completamente la malizia pur palese in quella domanda, Kasumi annuì, avvicinandosi al letto “Sì, sono stata nel suo laboratorio giù nei sotterranei, per ordine di suo padre… Credo fosse alle prese con una pozione alquanto difficile, o almeno la sua espressione mi è parsa alquanto allarmata quando il medicamento ha cambiato colore improvvisamente.”

“Questo spiega l'esplosione… Mmm, Kasumi, per l’amore che porti verso quell’uomo, ti scongiuro: non presentarti mai nel suo laboratorio senza essere annunciata!”

La cameriera guardò la sua padrona sbarrando i grandi occhi da cerbiatta, poi un leggero rossore le imporporò le gote e il grazioso naso. “Lei si diverte sempre a scherzare, sua grazia. Però farò come mi ha consigliato, mi farò annunciare… Il dottor Tofu è sempre così impegnato nei suoi studi, la mia presenza potrebbe essere motivo di distrazione.

Ukyo inarcò un sopracciglio, scettica “Distrazione? Far saltare in aria metà dei sotterranei, altro che se distrazione! Ebbene, sarà meglio che mi prepari per la cena o mio padre mi farà cercare dai suoi soldati. Quello è l’abito che hai cucito per me, Kasumi? E’ molto bello! Hai davvero le mani d’oro!”

“La ringrazio, sua grazia…”

--- --- ---

Sospirando per il sollievo, Akane lasciò la sala da bagno, seguita da un delizioso profumo d’oli. Non c’era sera in cui non ringraziasse le divinità per la bella idea avuta dalla regina di sfruttare le numerose sorgenti calde che giacevano sotto le fondamenta del palazzo. Un bel bagno caldo dopo una simile giornata era come rinascere.

Si era liberata della stanchezza e, in parte, anche del malumore che l’aveva angustiata tutto il giorno.

La lite con Obaba era stata breve, ma devastante per ciò che aveva svelato… Aveva chiesto scusa alla sua maestra, ma non aveva ancora avuto occasione di parlarle a fondo di quanto accaduto; sperava che quel momento non giungesse così presto, ad esser sinceri. Quando la donna l’avrebbe messa di nuovo di fronte alla parte più intima dei suoi pensieri, dei suoi sentimenti, non avrebbe più potuto ignorarli.

Si morse le labbra, avanzando nella camera immersa nel buio. Osservò ogni angolo, cercando di abituare presto gli occhi all’oscurità e stupita, si chiese dove fosse il suo padrone. Il piccolo tavolo era stato già preparato per la cena, e a giudicare dal numero di stoviglie preparate, si trattava di una cena per due. Allora lui dov’era?

Per tutto il giorno Akane aveva sperato che quella sera il principe si unisse al resto della famiglia reale, dopo l’intenso faccia a faccia nel bosco si chiedeva come avrebbe potuto guardarlo in viso di nuovo. Probabilmente anche lui aveva avuto simili pensieri, perché l’aveva accuratamente evitata e non solo lei…

Dopo l’intera mattinata passata nello spiazzo ad allenarsi, il ragazzo era sparito. Ranko, quando l’aveva vista nel pomeriggio mentre si recava dalla Regina per tenerle compagnia, le aveva detto stupita che suo fratello non si era presentato a pranzo e che nessuno sembrava sapere che fine avesse fatto. La ragazza sospettava che avesse lasciato il palazzo per andarsene a zonzo per la città, sospetto che anche il loro padre aveva e che l’aveva fatto infuriare oltremodo. Aveva sbraitato come un dannato, parole testuali della principessa, e aveva minacciato di metterlo in punizione per un intero mese. Ranko era certa che a Ranma non avrebbe fatto né caldo né freddo una punizione in più… però si era detta stupita per la sparizione, visto che né Ryoga, né Taro erano a conoscenza delle intenzioni del ragazzo.

Il padrone di Obaba era stato impegnato con gli allenamenti tutto il giorno e finalmente al calare del sole era riuscito a sbriciolare il suo primo masso. Nonostante sia Akane che Obaba ritenevano il colpo da attribuirsi più alla fortuna, la maestra si era dichiarata soddisfatta e aveva finalmente decretato la fine di quella incredibile, spossante giornata. Raramente Akane aveva visto qualcuno più felice del signor Ryoga: preso dall’euforia le aveva persino stretto le mani, ringraziandola. Lai non sapeva per cosa esser ringraziata, ma si era limitata a sorridergli e a fargli i suoi complimenti per l’impresa. A quel punto il ragazzo aveva cominciato a saltellare felice, agitando le braccia ed urlando come un forsennato. “Dice che sono stato bravo, che felicità, che gioia!”… Troppi colpi presi in pieno, evidentemente…

Tornata in camera, Akane l’aveva trovata vuota, nemmeno lì c’era traccia del principe. Lo aveva atteso per quasi un’ora, poi si era infine decisa a fare un bagno, il corpo quasi le doleva per la tensione che aveva accumulato e quando si era immersa nell’acqua tiepida, avrebbe voluto piangere ancora, ma per il sollievo! Aveva indugiato più del solito, non solo per gustare appieno la sensazione di benessere, ma perché sapeva di non esser pronta ad affrontare il padrone.

Forse si era preoccupata inutilmente, visto che di lui non c’era traccia, il confronto era quindi rinviato.

Si aggirò per la stanza sempre più buia, incerta sul da farsi. Avrebbe dovuto aspettarlo per cenare o no? Se aveva dato ordine di preparare anche per lui, allora la sua intenzione era quella di cenare lì, per cui avrebbe forse fatto meglio ad aspettarlo… Sì, ma dov’era, per l’amor del cielo?!

Akane sospirò e si avviò verso il balcone, chissà, forse da lì l’avrebbe visto, anche se dubitava che il ragazzo fosse in cortile, troppo a portata di sfuriata da parte del padre.

Non aveva fatto che qualche passo oltre la soglia del piccolo terrazzo quando si bloccò, stupita: seduto sulla ringhiera, le spalle alla camera e le gambe penzolanti nel vuoto, il principe osservava il cielo. Teneva il capo rivolto verso l’alto, infatti, e il codino scuro gli pendeva immobile al centro della schiena. Indossava ancora gli abiti che gli aveva visto al mattino.

La schiava batté le palpebre, per un istante ebbe la tentazione di rientrare, ma sapeva che lui l’aveva sentita. Incerta, allora avanzò ancora di un paio di passi, fermandosi poco dietro di lui, se avesse allungato un braccio avrebbe potuto sfiorarlo.

Era strano vederlo lì, mentre tutto il palazzo si era chiesto che fine avesse fatto. Possibile che fosse restato in camera tutto il tempo? Ne dubitava, il Re certo lo aveva fatto cercare lì prima che in ogni altro luogo.

Sembrava tranquillo, ora; la curva delle sue spalle non sembrava rigida come quel mattino e la sua posa sembrava trasmettere una rilassatezza che lei però non riuscì a far propria. Anzi, il fatto che se ne stesse lì, ad un passo dal cadere di sotto, la mise ancora più in ansia.

“Se vuoi puoi cominciare a cenare… io rientro tra qualche minuto.

La ragazza sobbalzò, non si era aspettata di sentirlo parlare. Batté ancora una volta le palpebre e scosse il capo, poi rammentò che lui non poteva vederla, visto che non si era ancora voltato verso di lei. “Non ho ancora fame, Signore.”

Ranma inclinò appena il capo per poterla osservare con la coda dell’occhio, poi si strinse nelle spalle e tornò a guardare il cielo. Che aveva di così interessante da guardarlo con tanta attenzione? Akane alzò gli occhi verso l’alto, non notando nulla di particolare: era il solito cielo serale, striato di nubi color porpora tra le quali ancora stentatamente le prime stelle cercavano di farsi vedere, facendo capolino con la loro luce ancora debole.

Avanzò ancora, arrivando a mettersi al suo fianco, per addossarsi alla ringhiera in pietra e dopo alcuni attimi di esitazione, si volse verso di lui, osservandogli il profilo regolare. “Signore, che ci fa qua fuori?”

“A te che sembra stia facendo, scusa?”

Lei aggrottò le sopracciglia, un po’ stizzita da quella risposta, o meglio da quella mancanza di risposta: se l’avesse saputo, non avrebbe dovuto chiederglielo, no? Era sempre il solito, amava farle sprecare fiato!

“A palazzo si chiedevano tutti dove fosse… Anche suo padre avrebbe tanto voluto saperlo.”

“Ci scommetto. Il vecchio si sarà arrabbiato, vero?”

Akane annuì “Sì, la principessa Ranko dice che è molto contrariato” gli confermò, osservando con nervosismo crescente che lui non sembrava affatto intenzionato a muoversi da lì. Lanciò un’occhiata al cortile che si stendeva qualche metro sotto di loro, anzi, a ben vedere erano un bel po’ di metri sotto di loro… Tornò a guardarlo, le sopracciglia di nuovo aggrottate.

“Non vuole rientrare, Signore?” domandò.

“Sto pensando” fu la sua laconica risposta, che evidentemente voleva dire che no, non voleva rientrare e togliersi da lì.

“Pensare? A cosa? A come sarebbe meglio spiaccicarsi al suolo, se di faccia o di spalle?” borbottò lei, lanciando un’altra occhiata allarmata al cortile, a quell’ora quasi completamente deserto.

Ranma si volse a guardarla, sulle prime stupito, poi qualcosa nella sua espressione dovette sembrargli divertente, perché cominciò a ridacchiare. “E’ incredibile! Davvero incredibile…”

Cosa, Signore?” domandò lei, ora palesemente innervosita. Le sarebbe piaciuto trascinarlo via da quella maledetta balaustra, magari usando il codino come presa.

Tu sei incredibile, tu che hai paura che possa cadere! In questi ultimi due mesi che guardavi quando mi allenavo, scusa? Potrei correrci bendato su questo parapetto!”

Era vero, doveva ammetterlo. Del resto gli aveva visto fare cose ben più incredibili che restarsene seduto ad un paio di metri dal suolo, però nonostante fosse ben cosciente della sua abilità ed agilità, Akane non riusciva a tranquillizzarsi. Si leccò le labbra e con finta disinvoltura si voltò, appoggiando le spalle alla ringhiera e rifiutandosi così di guardare giù. “Dicevo tanto per dire… A dire il vero, non sarebbero affari miei nemmeno se decidesse di buttarsi, anzi, se vuole qualcuno che la spinga, conti su di me, Signore.

Si udì di nuovo la sua risatina divertita, che scemò via per lasciar spazio ad un silenzio insolitamente compatto, come se tutta la reggia avesse deciso di zittirsi all’improvviso; solo alcuni insetti sembravano voler disubbidire a quella consegna e frinivano a più non posso tra le aiuole curate.  

“Mi è sempre piaciuto guardare il cielo. Se ho qualche pensiero me ne vado su, alla torre est, e passo delle ore a fissare le stelle. Non è una cosa molto virile, direbbe mia madre – un’altra risatina – ma non trovo che ci sia nulla di male… sono stato lì, questo pomeriggio.”

Akane abbassò gli occhi a terra, fissandoli sulla punta dei propri piedi scalzi “Non le ho chiesto dov’era, Signore…"

“Ah, no? Pazienza, ora lo sai. Io pensavo a… a varie cose…” forse era l’immodestia a farglielo credere, ma la ragazza ebbe la netta sensazione che tra quelle varie cose ci fosse anche lei. Inevitabilmente le guance le divennero più calde e ringraziò la penombra se lui non le vide diventare più vermiglie. Attorcigliò una lunga ciocca intorno ad un dito, restando a giocherellarci fino a quando lui non tornò a parlarle.

“Quell’idiota è riuscito a frantumare il masso?”

“Sì, alla fine il Signor Ryoga ha appreso la tecnica… Però, se devo essere sincera, forse parte della riuscita sta nel fatto che quel masso è stato colpito un numero incredibile di volte.”

“Già, con la testaccia dura che si ritrova, ci scommetto che sono state le sue capocciate a romperlo… Sono contento per lui, comunque” Akane sorrise, raramente aveva sentito frase meno sincera.

Lo vide muoversi e si volse a guardarlo: desiderò non averlo fatto! Quell’imbecille ora non era più seduto sulla ringhiera di pietra, ma vi si era accovacciato su! Piegato sulle ginocchia e curvato in avanti verso il vuoto, con le punte dei piedi che sporgevano quasi totalmente fuori.

La schiava imprecò tra i denti e si scostò di slancio dalla ringhiera, lo stomaco reso un groviglio dalla paura. Glielo faceva apposta, per caso?

“Non è il caso di rientrare e cenare, Signore?”

Ranma scosse il capo e si alzò, ergendosi in tutta la sua statura “Ancora un minuto…”

“S- sì… Non dovrebbe stare così in piedi, Signore…” balbettò lei, odiandosi per la preoccupazione che non poteva evitarsi e che non poteva evitare renderle la voce tremante.

“Sai che mi stai chiamando Signore con molta più gentilezza del solito, Akane? Hai davvero così tanta paura che cada di sotto?” pure in una situazione del genere si divertiva a prenderla in giro! Che diavolo, in fondo a lei che importava? Che si spiaccicasse pure, che cadesse pure, magari atterrando su quella faccia da schiaffi!

“No, l’unica mia paura è che se davvero lei cadesse finirebbe col non farsi troppo male! E poi è un tale pallone gonfiato che sono certa rimbalzerebbe… Signore!” il ritorno della nota acida, bene.

Ranma era soddisfatto, si volse a guardarla e sorrise, stavolta non un’ombra di malizia o di scherno gli atteggiò le labbra. Era un sorriso sincero, forse appena velato da una tristezza che lei non seppe interpretare. “Ecco. E’ così che dev’essere… è così che devi chiamarmi. Questa sei tu, che mi urli contro… non quella che piange disperata o che mi chiama con tono troppo gentile. Quell’Akane non mi piace. Non è la vera Akane…”

“Come… come fa a saperlo? Io… io stessa a volte mi domando…” si zittì di colpo quando lo vide spiccare un salto. Spaventata si coprì gli occhi con le mani e trattenne il respiro: quello stupido, stupido! Voleva davvero farle venire un colpo allora!

“Lo so perché quando mi urli contro ti brillano gli occhi. La voce le giunse in un soffio, così vicina da sentirla come una carezza sui capelli. Allontanò i palmi dagli occhi e lo vide, dritto davanti a lei, le mani in tasca e l’aria scanzonata sul viso. Rise quando la vide sospirare e fischiettando rientrò in camera, in apparenza contento come non mai.

Guardandolo, Akane desiderò quasi con violenza chiedergli se era vero, se aveva pensato anche a lei lassù alla torre, mentre guardava il cielo… Era anche lei tra le cose varie a cui aveva pensato?

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Capitolo 12
*** Capitolo dodicesimo ***


Il posto era esattamente come lo ricordava: una bettola appena visibile tra la fitta vegetazione che sembrava esser sul punto di risucchiarla da un momento all'altro.

Il terreno battuto appena dinanzi all'ingresso era crepato, nuvole di polvere si sollevavano ad ogni soffio di vento, vento che faceva frusciare rumorosamente le chiome degli alberi incombenti sulla stamberga a malapena illuminata dalla luna. Risa sgraziate di tanto in tanto si levavano rompendo il silenzio della notte, così come le fosche luci esterne spazzavano via il buio esterno, se pur a fatica.

Il Generale smontò da cavallo e i suoi freddi occhi osservarono ancora una volta quel postaccio; non amava recarvisi, ma non poteva fare altrimenti: non era missione da affidare ad altri, quella.

Diede un'affettuosa pacca alla sua cavalcatura, prima di legarla ad uno dei pali di legno scrostato che reggevano il patio della locanda. Salì i gradini che gemettero sotto il suo peso e si avvicinò ad una delle finestre per poter osservare l'interno; nonostante lo spesso strato di sudiciume che copriva i vetri, riuscì a scorgere le poche persone che avevano deciso di passare una serata all'Inferno Rosso, la peggior locanda di tutto il paese. Era famosa per la brutta gente che vi si recava, ma il Generale era più che convinto del fatto che nessuno dei clienti avrebbe potuto superare in sgradevolezza le tenutarie del locale.

Contò i clienti di quella sera con facilità, essendo circa una decina; pochi, ma particolarmente animosi: un paio di loro stavano giusto prendendosi a pugni, mentre gli altri li guardavano, tifando sguaiati per uno o per l'altro contendente e agitando a tal punto i boccali ricolmi di birra di pessima qualità da farne traboccare quasi l'intero contenuto.

L'interno del locale non era affatto meglio della facciata, anche lì sporcizia e squallore la facevano da padroni. Vi era un bancone in legno in cui i fori delle termiti erano visibili persino da quella distanza; botti di birra campeggiavano un po' ovunque, contendendo il poco spazio a tavoli traballanti, molti dei quali privi di scanni. Sul pavimento uno strato di paglia, resa grigia dal continuo calpestio, nascondeva a malapena il terreno battuto e celava ancor di meno la vera e propria spazzatura che i clienti vi gettavano, dal tabacco delle pipe, agli avanzi di cibo che più tardi avrebbero fatto da lauto banchetto per i molti topi che si aggiravano anche in quel momento tra le gambe dei suddetti astanti. Pesanti lampade ad olio illuminavano, poco e male, l'ambiente, infestandone l'aria con il loro odore rancido d'olio bruciato. Un camino spento in fondo era il momentaneo giaciglio di un ubriacone, per nulla infastidito del letto di cenere sul quale si ritrovava a dormire.

Ad una prima occhiata il Generale non vide l'oggetto del proprio interesse, poi, in un angolo scorse il motivo per cui aveva cavalcato al buio in quella contrada sperduta, lontana dalla capitale di Gea e dal suo confortevole palazzo. Una ragazzina dall'aspetto delicato assisteva allo scontro tra i due ubriachi con indifferenza, i grandi occhi neri parevano quasi opachi, colpiti dalla luce delle molte lampade; indossava una bella veste chiara, di un bianco così paradossale in tanto lerciume che la circondava che l'uomo si domandò come avesse potuto non scorgerla da subito. Inoltre la giovane era così bella da catturare subito lo sguardo, si disse sorridendo appena. Non era cambiata nemmeno lei dall'ultima volta che l'aveva vista: i lunghi capelli corvini, lustri e lisci, erano sempre raccolti in una semplice coda di cavallo alta che lasciava scoperto il collo sottile, candido quasi quanto la veste nella quale si nascondeva.

Il volto era come sempre struccato, come a voler lasciar visibile la pelle liscia e priva d'imperfezioni; meno visibile erano le mani, che il generale immaginò piccole ed aggraziate, anche se letali. In realtà non aveva mai visto le mani della ragazza, così come non ne aveva mai sentito la voce ed anche in quel caso non poteva che lavorare di fantasia. La osservò ancora per un istante, riflettendo su come le apparenze potessero ingannare: chi, guardandola come aveva appena fatto lui, avrebbe mai detto che quella graziosa e delicata fanciulla era una spietata assassina, di cui si era largamente servito in quegli ultimi anni?

Quando entrò nel locale la rissa era giunta al culmine ed entrambi i contendenti sembravano essere sul punto di crollare; nessuno prestò attenzione all'alto uomo bardato in un mantello nero che si avvicinò al bancone, subito dopo esser entrato, tutti troppo presi dallo scoprire chi dei due lottatori sarebbe stramazzato sul lurido pavimento. L'unica ad avvedersi immediatamente del nuovo arrivato fu la barista alla quale egli sussurrò poche parole.

Era una delle donne più brutte che si fossero mai viste. Piccola e raggrinzita, stava abbarbicata su un alto scranno che le permetteva di arrivare all'altezza del bancone. I capelli di un nero spento erano raccolti in una crocchia appena striata di bianco ed incorniciavano un volto coperto di rughe che, era facile intuire, non aveva conosciuto beltà neppure negli anni giovanili.

Aveva una bocca spropositatamente larga per i tratti sgraziati sui quali spiccavano occhi scuri e vividi, animati da una luce inquietante e sinistra. Folte sopracciglia nere ne rendevano ancora più minaccioso lo sguardo da arpia.

La vecchia annuì con un gesto rapido del capo a quanto dettole, poi scivolò senza alcun rumore dal suo alto seggio e sparì per qualche istante dalla vista del Generale, alquanto sollevato di ciò… Era impossibile abituarsi alla bruttezza di quella vecchia strega, si disse, sentendosi tra l'altro fortunato che ad accoglierlo fosse stata lei e non una delle sue figlie: quelle erano pure peggio.

Pochi istanti dopo, la donna tornò alla sua postazione e riprese l'attività da cui l'uomo l'aveva distolta, tornò ad asciugare con uno straccio, che di sicuro non aveva un incontro ravvicinato con l'acqua da secoli, un boccale che probabilmente non aveva mai nemmeno sfiorato l'acqua.

"Vada sul retro – gracidò sottovoce – io e mia figlia la raggiungeremo."

Il Generale lanciò un'occhiata alla ragazza ancora immobile nel suo angolo; dubitava che tra le due vi fosse davvero un legame di sangue: la natura non poteva esser stravagante a tal punto!

Senza dir altro, si strinse nel mantello ancor di più per nascondere la divisa militare che chiunque nella bettola avrebbe riconosciuto e uscì, proprio nel momento in cui uno dei due uomini coinvolti nella contesa piombava al suolo più morto che vivo, suscitando grida di giubilo o di delusione dagli altri scalmanati avventori.

--- --- --- ---

La stanza era accogliente, non lussuosa, ma lontana dallo squallore misero della locanda a cui faceva da retro. Non si sarebbe mai detto che un tale tugurio, sordido e maleodorante, celasse un sì bel posto.

Vi si accedeva da una porta angusta e malandata, ma appena risalita la stretta e cigolante scala su cui la porta affacciava, ci si ritrovava in una sala ampia, scarsamente decorata, ma questo non era certo un difetto agli occhi dell'altolocato soldato che si accomodò su una delle due uniche sedie, molto più rilassato di quando era giunto all'Inferno Rosso; l'altra era accostata ad un lucido tavolo ingombro solo di un lume d'ottima fattura. Altri lumi, posizionati nei angoli della sala, ne garantivano un'adeguata illuminazione.

Sul camino, minuscolo rispetto a quello ricolmo di cenere del piano sottostante, facevano bella mostra alcuni suppellettili e una panoplia, oggetto che il Generale non mancava mai di ammirare con occhio esperto: alcune delle armi esposte erano davvero pregiate… Altre dalle forme bizzarre e esotiche colpivano sempre la sua fantasia: chissà se la bella assassina ne aveva mai fatto uso?

L'unica finestra della sala era celata da una pesante tenda scura, il che aumentava il senso di discrezione dell'ambiente, proprio quello che la poco avvenente proprietaria voleva trasmettere ai radi ospiti di quel luogo, riservato a clienti poco interessati all'alcool e al pessimo cibo della locanda.

La porta alle spalle del Generale si aprì senza rumore e la suddetta proprietaria entrò, seguita a breve da due delle sue figlie. Oltre alla giovine di cui aveva ammirato le grazie prima, un'altra infatti chiudeva il piccolo corteo: con lei non si stentava a credere in un legame di sangue con la locandiera. La sua poca beltà era paragonabile solo all'imponenza della sua mole: il suo corpo quasi completamente tondo troneggiava nettamente su quello della sorella.

Anche il volto largo e caratterizzato da labbra spesse e protuberanti non mostrava alcun segno d'armonia e l'espressione arcigna in cui sembrava esser perennemente imbronciato non lo rendeva più attraente. Piccoli occhi furbi sembravano incastonati in quel faccione torvo, e il Generale non poté evitare di sentirsi a disagio quando questi si posarono su di lui con sguardo avido e calcolatore; evidentemente già pregustava il lauto compenso che la sottile arte della sorella avrebbe procurato loro.

Arte non era un'espressione azzardata, riteneva il soldato, soprattutto se riferita all'operato della ragazza che, appena entrata nella sala, era rimasta immobile accanto alla porta, lo sguardo basso ed opaco di prima. Già, quella esile fanciulla era una vera artista nel suo campo: niente spargimenti di sangue inutili, niente sofferenze eccessive per le sue vittime, a dimostrazione di un sangue freddo apprezzabile in simili circostanze, e soprattutto nessuna traccia. Abile e discreta… Kuno non avrebbe potuto capitare in mani migliori.

"E' da tanto che non veniva a trovarci, signore" la donna più anziana arrancò sulle corte gambe sino al tavolo e vi sedette, le paffute mani subito intrecciate sulla linda superficie lignea.

"Oramai godo di una posizione solida, certo anche grazie al vostro operato, signora Kotetsu."

Lei annuì comprensiva, un pallido sorriso rischiarò per un istante il volto severo, per poi sparire "Koume, porta del vino al nostro amico."

La ragazza grassa annuì e con rapidità persino insospettata si avvicinò ad una cassapanca poco discosta dal camino e, sollevatone l'apertura, raccolse dal suo interno una bottiglia in fine vetro cesellato e la depose sul tavolo, accompagnata da un paio di coppe. Il Generale accettò il vino vermiglio con piacere, sapeva che al contrario di quello offerto di sotto, questo era di qualità ottima; lo assaporò appena, imitato dalla proprietaria che non poté evitare un'esclamazione di piacere, dopo aver svuotato la propria coppa in un sol sorso.

"Bene, davvero ottimo! Koume, torna di sotto a dare una mano a tua sorella Koeda." I convenevoli erano finiti, ora avrebbero parlato di quello per cui era venuto.

Appena la porta si fu chiusa dietro le poderose spalle di Koume, il Generale ripose la coppa ancora piena e piantò lo sguardo color acciaio in quello attento della donna "Stavolta ciò che ho da chiedervi non è cosa da poco."

"Quando mai lo è stato, amico mio?" non amava molto sentirsi definire con tanta familiarità, ma i servigi di quella strega erano troppo preziosi per inimicarsela.

"Certo, ma stavolta ciò che richiedo è altamente rischioso… Quasi impossibile oserei dire se non conoscessi la maestria di sua figlia" la blandì, recuperando quel fare un po' artificiale che aveva appreso negli anni di corte. Kotetsu però non parve impressionata, né lusingata, anzi, l'occhiata che dedicò alla suddetta figlia fu alquanto carica di biasimo.

"Konatsu non è abile la metà di quanto è fortunata. Allora, chi è l'abitante di Gea che ha osato intralciare il cammino di un uomo come lei?"

"Non è un suddito del mio attuale padrone di cui dovrà occuparsi: al momento si trova in un altro regno, ad Augusta per la precisione."

"Oh, un suddito del re Saotome allora… Una trasferta simile vi costerà molto di più del solito" lo avvertì, le sopracciglia appena aggrottate.

"Il prezzo non è un problema."

Gli occhi della vecchia parvero rilucere ed un sorriso orribile tornò a deformarle ancor di più la faccia "Bene, questo appiana il più grosso dei problemi che potrebbero sorgere nella nostra contrattazione, amico mio. Allora, chi è l'uomo in questione?"

"E' una donna, una giovane ragazza. Una schiava."

"Una schiava? Sareste disposto a pagare una cifra esorbitante per una misera schiava?"

Kean si massaggiò la corta barbetta e sorrise "Non credo che la definirete più misera appena vi avrò detto chi è il padrone di questa schiava, Kotetsu… Egli è il motivo per cui questa missione è più ardua di altre. Si chiama Ranma, Ranma Saotome."

Un guizzo improvviso animò il volto sgualcito della donna che stupita inarcò una delle folte sopracciglia "Il principe? Voi vorreste uccidere la schiava del principe d'Augusta?" solo lo stupore poteva spiegare il perché avesse parlato tanto chiaramente di omicidio; era la prima volta che l'astuta Kotetsu si lasciava sfuggire una dichiarazione tanto compromettente, ma era anche la prima volta che le veniva richiesto un simile incarico.

Uccidere qualcuno alla corte dei Saotome già pareva impossibile: forse solo il palazzo dell'usurpatore di Nerima era meglio protetto e sorvegliato! Giungere a qualcuno tanto vicino alla famiglia reale era impensabile, o quasi, senza contare poi che il principe stesso era un valente combattente, un osso davvero duro.

La donna lanciò un'occhiata alla più giovane, rimasta chiusa nel suo impassibile silenzio e rifletté sulle reali possibilità che ella potesse compiere un tale incarico "Sarà difficile…" mormorò, torturandosi il mento sfuggente.

"Sua figlia è una delle combattenti più abili di Gea. E' stata lei, Kotetsu, a dirmi che di combattenti come lei ne nasca una ogni cento anni, se non di più."

"Certo, non per nulla è una kunoichi (*), la più forte che abbia calpestato questo mondo… Certo, la poverina non è particolarmente intelligente o attraente, ma per questo ci siamo io e le sue sorelle a compensare tali carenze."

Il Generale dovette impiegare tutto il proprio sangue freddo per restare impassibile di fronte ad una simile dichiarazione, ma evidentemente dovette riuscirvi perché l'altra non parve accorgersi di questo sforzo, o forse era troppo impegnata a valutare la vera e propria fortuna che stava per capitarle tra le corte ed avide dita per farvi caso "Il doppio rispetto al solito subito, prima che Konatsu parta. A missione compiuta, in caso di successo, ci corrisponderete una somma pari al triplo della solita tariffa. In caso d'insuccesso, il quadruplo: se Konatsu dovesse perire nel corso del… lavoro, ci rimetterei notevolmente e questa perdita andrebbe compensata."

"Avrete quanto pattuito, anzi, se il tutto sembrerà un incidente e nessun sospetto sarà destato, allora per voi ci sarà anche un piccolo extra. Quello che però conta è che la ragazza muoia: che soffra o meno, non è affar mio."

"Oh, la mia piccola non è una sanguinaria, come lei ben sa, caro amico… Qual è il nome della schiava?"

--- --- ---

"Akane! Presto, dell'acqua!"

Solerte come non mai, la giovane riversò l'intero contenuto del secchio che aveva retto fino a quel momento in attesa di quell'ordine di Obaba. L'unico a non sembrare soddisfatto di tanta solerzia fu il suo padrone, ritrovatosi completamente zuppo grazie a lei.

Alzò il capo minaccioso verso la schiava, vedendola a malapena attraverso la frangia bagnata che gli ricadeva con impertinenza sugli occhi "Ehi! Non dovevi mica farmi un bagno! Sarebbe bastato gettarmi l'acqua sulle mani, sciocca!" la apostrofò con rabbia, ma lei si limitò a scrollare le spalle, per nulla impressionata da quello sfogo. Sapeva che il motivo di tanto malumore non era in realtà dovuto al bagno non previsto, quanto dall'insuccesso nell'allenamento, insuccesso invece più che prevedibile almeno per lei e l'Amazzone. Solo Ranma poteva, accecato com'era da un'esacerbata autostima, illudersi di riuscirvi dopo pochi tentativi.

Obaba ridacchiò, la sottile pipa dondolò allegra tra le altrettanto affusolate dita ossute "Devo proprio farti i miei complimenti, ragazzino!"

Lui sbuffò e si rialzò dalla posizione accucciata in cui era rimasto per lunghi minuti "Mi prendi in giro, vecchia? Le tue maledette castagne sono ancora lì, di che ti complimenti?" borbottò antipatico, scostandosi le ciocche madide dal viso. Akane trovò molto magnanimo da parte della maestra non punire tanta insolenza verbale con una bastonata, ma evidentemente la donna era d'ottimo umore perché ridacchiò ancor più forte, prima di aspirare con evidente goduria dalla pipa.

"Guardati le mani, ragazzino indisponente" sogghignò, osservando poi le delicate volute di fumo innalzarsi verso il cielo terso.

Ranma aggrottò le sopracciglia e curioso si guardò le mani, domandandosi cosa dovesse mai vedere "Non c'è un bel niente" asserì, polemico. Stavolta l'anziana amazzone non rise, ma scosse il capo con rassegnazione.

"Appunto, ragazzino – il principe fece una smorfia: cominciava ad esser stufo d'esser chiamato così – non hai un bel niente… Nemmeno un'ustione o una ferita, eppure hai appena infilato le mani in uno scoppiettante fuoco. Credi a me, è un progresso."

Era vero, si disse stupito il ragazzo tornando a guardarsi le mani. Le sentiva calde, ma erano indubbiamente intatte… forse dopotutto non era tutta una perdita di tempo.

Ricordava di aver dubitato della sanità mentale della vecchia Kou- lon quando gli aveva spiegato in cosa consisteva la tecnica per cui aveva tanto allenato lui e sua sorella: diventare talmente veloci da poter strappare delle castagne dal fuoco? Era da folli! E anche quando la maestra gli aveva mostrato personalmente la portentosa tecnica, lui era rimasto alquanto scettico: forse per un'amazzone centenaria (ed incartapecorita aveva malignamente aggiunto) infilare una mano in una pira era cosa da poco, ma lui ci teneva a restare integro!

Dopo averlo giustamente punito con la solita randellata fulminea per averle dato dell'incartapecorita, Obaba gli aveva fatto presente che anche la tecnica esplosiva insegnata a Ryoga era sembrata impossibile, mentre ora il ragazzo ne era diventato così padrone da farne uno sfoggio persino irritante: il Re Genma continuava a domandarsi allibito perché d'improvviso molte mura del suo bellissimo palazzo sembravano esplodere da sole… Era forse lui inferiore a Ryoga? Era forse la sua determinazione minore di quella del cugino? Il pungolo della sfida aveva avuto successo: l'orgoglioso principe aveva smesso di protestare per impegnarsi nell'apprendere.

Ora, a distanza di quattro giorni, finalmente sembrava esservi stato un miglioramento. Fino a quel momento, infatti, aveva rischiato davvero di perdere le mani, ma a furia di provare e di rischiare, poteva almeno dirsi soddisfatto di non essersi procurato alcuna vescica.

Se le sue mani erano intatte, lo stesso però non poteva dirsi per gli abiti: macchie di fuliggine comparivano qua e là sulla casacca rossa che tanto amava, alcuni fori dovuti alle scintille costellavano il davanti della suddetta casacca la quale aveva anche perso mezza manica, divorata dalle fiamme; proprio a quell'ultimo incidente era dovuto il bagno da parte d'Akane.

Ranma riassettò quel poco di camicia che gli restava, cercando di eliminare quanta più acqua poteva e di sottecchi osservò la schiava. Non poteva giurarlo, ma c'era forse un sorrisetto troppo divertito sulle sue labbra?

"Che hai da ridere?" le domandò, di nuovo brusco. Probabilmente trovava buffo l'averlo dovuto annaffiare come una pianta troppo rinsecchita o forse, peggio, rideva del suo insuccesso.

Akane depose il secchio ai suoi piedi e scosse il capo "Nulla, Signore, non stavo certo ridendo del fatto che così conciato sembra uno straccione e che tra breve lei dovrà rientrare per presentarsi al cospetto della sua gentile genitrice. Non ridevo affatto al pensiero di quello che l'amata sovrana potrà dire sul suo abbigliamento." Piccola serpe velenosa!

"Se fossi in te andrei a cambiarmi, Ranma. La mamma trova poco virile la trascuratezza, lo sai." Anche Ranko ci si metteva, adesso! E solo perché lei era riuscita ad imparare la tecnica prima di lui, adesso ostentava quell'aria seccante da saputella!

Ranma non ci si raccapezzava: lui era molto più in gamba di quella mocciosa, perché diavolo lei aveva padroneggiato la tecnica così presto? Il pensiero lo faceva impazzire, soprattutto quando quella lingua lunga di Ranko se n'era andata in giro vantandosene con Ryoga e Taro, i quali da perfetti idioti quali erano non perdevano occasione di prenderlo in giro; soprattutto il capitano sembrava divertirsi al pensiero che per una volta la piccola di famiglia avesse superato l'infallibile fratello maggiore.

Nonostante non si sentisse alquanto ben disposto nei confronti delle due ragazze, Ranma dovette convenire che avevano ragione: non poteva presentarsi a sua madre in quello stato. Sarebbe stato capace di appioppargli uno di quegli stupidi istitutori che ogni tanto provava a mettergli alle calcagna, nella speranza che imparasse a comportarsi da vero uomo… Beh, per lo meno aveva smesso di aggirarsi con quella maledetta spada che da bambino lo aveva tante volte terrorizzato.

"D'accordo, per oggi finiamola qui, senza contare che si è fatta quasi ora di pranzo – lanciò uno sguardo al cielo visibile dallo spiazzo privo di alberi che ormai era diventato il loro abituale campo di addestramento – il sole è infatti molto alto in cielo" incrociò le braccia al petto, un sorriso cattivo si dipinse sul volto ora umido ed i suoi occhi tempestosi si fissarono sulla propria schiava: prima di andarsene poteva, anzi, doveva!, vendicarsi… Quella stava davvero divertendosi troppo alle sue spalle, mentre chissà perché quando si era trattato di Ryoga e del suo stupido allenamento con il masso, lei era stata fin troppo partecipe e pronta a precipitarsi in aiuto di quell'idiota.

"Prima di andare però gradirei poter osservare di nuovo la tecnica… No, non da te, Ranko – la fermò notando come la giovane avesse cominciato ad arrotolare le maniche della casacca scura che indossava, pronta a far sfoggio della propria bravura – in fondo sei una principiante. Akane, tu che te la ridevi tanto, che ne dici di farmi vedere quanto sei brava a raccogliere le castagne, eh?"

Fu con sommo compiacimento che Ranma vide sparire il sorrisetto divertito sul volto della ragazza, per esser sostituito da un'espressione corrucciata. Aveva visto giusto, allora: non ne era capace.

La guardava allenarsi da mesi ormai e alcune cose su di lei gli erano note: punto primo, Akane era incredibilmente forte; punto secondo, Akane non era altrettanto rapida. Era dannatamente irruente e nei momenti di rabbia poteva persino rappresentare un pericolo per lui, ma a tanta vigoria non corrispondeva un'adeguata velocità. Godendosi istante dopo istante, Ranma la osservò mordersi le labbra, presa alla sprovvista… era carina quando faceva così, si disse di sfuggita, sgridandosi poi immediatamente per una distrazione così futile.

"Paura di farti male le mani da fabbro che hai?" la canzonò, per nulla stupito di vederle accendersi lo sguardo d'ostilità.

"Certo che no!… Signore" aggiunse poi in ritardo, troppo arrabbiata per ricordare di aggiungere subito il dovuto titolo. Oh, adorava quando ci cascava in pieno! Era così prevedibile da fargli quasi tenerezza. Un momento: tenerezza? Ma che era, impazzito?!

"Akane, non cadere in tutte le provocazioni di questo scemo – Ranko la avvicinò, ponendole una mano su un braccio nel tentativo di placarla – lo fa solo per farti arrabbiare" e ci riusciva fin troppo bene, pensò la principessa notando quanto fosse ignorato il suo consiglio.

Akane stava infatti già slacciandosi i piccoli alamari che chiudevano i polsini della blusa cobalto che indossava, in perfetto accordo con i pantaloni della stessa tonalità, stretti e corti al polpaccio, ideali per allenarsi visto l'ampia libertà che garantivano ai movimenti del corpo. "Quante devo prendergliene, Signore?" domandò poi, la sfida negli occhi scuri.

"Lascia perdere figliola – stavolta fu Obaba ad intervenire, la voce pacata – il principe voleva solo stuzzicarti… Sa benissimo che non sei ancora abbastanza veloce." Se l'intento della maestra era quello di farla desistere, aveva scelto le parole sbagliate: oltre che arrabbiata, ora la giovane era anche offesa.

Si gettò i lunghi capelli dietro la schiena con un movimento fluido e senza dire una parola, s'inginocchiò davanti al fuoco ancora scoppiettante. Ne avvertì il calore sul viso e sperando di non apparire troppo tesa, osservò i piccoli frutti giacere sui ciocchi di legno ardenti: provò a concentrarsi, ricacciando indietro la paura.

Era vero, non era ancora riuscita in questa particolare tecnica, ma prima o poi l'avrebbe appresa… e poi pur di non darla vinta al suo padrone, avrebbe persino rischiato di cuocersi una mano!

Ranma intanto la osservò perplesso. Stava facendo sul serio? "Ehi…" la richiamò, ma la ragazza era così concentrata da non sentirlo. O forse lo stava volutamene ignorando.

"Ehi!" riprovò a voce più alta e quando lei continuò a non prestargli attenzione, le s'inginocchiò accanto "Ehi, smettila."

Akane lo guardò con la coda dell'occhio, poi inspirò a fondo per raccogliere il coraggio "Ti ho detto di…" prima che lui finisse la frase, aveva già sollevato una mano e con tutta la velocità che poteva, stava per gettarla tra le fiamme, lo sguardo determinato di chi non si sarebbe fermato dinanzi a nulla.

Fu una presa solida intorno alle dita a fermarla, invece. Con un movimento rapido la mano di Ranma le si era avvolta con forza intorno alla sua, bloccandola ed imprigionandola al tempo stesso; inconsciamente Akane provò a ritirarla, ma le dita del ragazzo si strinsero ancor di più intorno alle sue. Istupidita fissò dapprima lo sguardo su quella mano grande e più scura della propria, osservando come alcune dita fossero annerite per la cenere, poi sollevò gli occhi fino ad incontrare quelli di lui e ciò che vide non le piacque.

Era arrabbiato, o almeno così le sembrava a giudicare dalla profonda ruga che ora gli solcava la fronte aggrottata; nei suoi occhi, tempestosi come non mai, vi era quello che a lei parve disapprovazione, ma non solo… possibile che si fosse preoccupato? Per lei?

Akane tornò a mordersi le labbra, confusa: si stava sbagliando, non era possibile. Che senso avrebbe avuto istigarla, sfidarla, per poi preoccuparsi per lei?

Lo sguardo di Ranma fu catturato da quel gesto e senza volerlo si ritrovò a fissarle la bocca. Aveva avuto ragione prima, era davvero carina quando se la mordeva, per imbarazzo o perché in preda alla confusione; non aveva mai avuto occasione di osservarle le labbra così da vicino… erano più rosee di quanto sembrassero di solito e più pronunciate anche.

Ranko inarcò un sopracciglio e si volse verso la maestra Obaba la quale, dimenticata la pipa per il momento, faceva mostra di un vero e proprio ghigno che le andava da un orecchio all'altro; la scena era davvero degna di una ghignata, si disse la ragazzina: quei due sembravano essersi paralizzati, persi in un mondo interamente loro e tutto questo per una semplice presa ad una mano! Maliziosa, si domandò cosa sarebbe accaduto ai due imbranati in caso di un contatto più intimo…

 Ranma fu comunque il primo a ridestarsi da quella specie di sogno ad occhi aperti in cui erano precipitati e scrollò il capo, come a liberarsi fisicamente dei residui di quell'ipnosi "Razza di stupida, cosa vorresti fare?" le domandò senza troppa animosità e toccò a lei stavolta aggrottarsi.

"Mostrarle la tecnica, Signore" non era ovvio? L'aveva sfidata, dopotutto!

"A che pro, scusa? Per imparare come non farla, forse? Sei lenta come un elefante e con la stessa grazia, per giunta! E poi sei già brutta a vedersi così, figurarsi con un moncherino!"

Akane batté le palpebre: elefante? Brutta?! "E' stato lei a dirmi di mostrargliela ed ora mi ferma! Teme di esser messo in imbarazzo da un'altra ragazza, per caso? E poi lei non dovrebbe darsi tante arie, dal momento che non ci è riuscito!"

"Ma sono mille volte più veloce di te, ci riuscirò senz'altro prima che tu riesca solo a capire come fare!"

"Anch'io ci riuscirò! Ci riuscirò e allora lei dovrà rimangiarsi tutti i suoi insulti! Uno ad uno!" ormai litigavano naso contro naso, le loro parole accese dall'ira almeno quanto gli sguardi che stavano lanciandosi, non meno arroventati del falò che avevano dinanzi.

"Ehm, scusate…" Ranko si avvicinò loro e poggiò una mano sulla spalla di ognuno, attirando finalmente la loro attenzione; i loro sguardi incandescenti infatti si posarono su di lei, oltraggiati per quella interruzione.

"Che vuoi tu?" sbraitò l'erede al trono con lo stesso tono ruvido dedicato alla schiava.

"Sappiate che non siete molto credibili – scosse il capo dinanzi alle loro espressioni vacue – insomma, da quando in qua si sono visti due litigare tenendosi per mano?"

Due paia di palpebre batterono all'unisono, perplesse. Due paia d'occhi si fissarono sulle mani e scoprirono, con sgomento, che la giovane aveva ragione: erano ancora una stretta all'altra.

Ranma lasciò andare quella di Akane con tale velocità che si sarebbe potuto pensare che stesse ancora allenandosi per afferrare le castagne. Con il volto arrossato in zona guance, si alzò di scatto e sbuffò, tentando di mostrarsi più disinvolto di quanto in realtà fosse "Ho perso fin troppo tempo, nostra madre mi aspetta. Tu – guardò a fatica verso la schiava ancora inginocchiata – fa' quel che ti pare, ma non provarci nemmeno ad avvicinarti ad un fuoco, sia chiaro! E' un ordine" specificò, notando che lei stava per obbiettare.

"Sì… Signore."

Soddisfatto, e rincuorato tutto sommato, il ragazzo dichiarò ufficialmente finito quell'allenamento. Fu il primo ad allontanarsi verso il palazzo, seguito a distanza di qualche passo dalla sua schiava imbronciata. Ranko invece si trattenne qualche istante per aiutare la sempre più divertita Obaba, che ora sghignazzava palese, a spegnere il fuoco. "Quei due…" mormorò, riponendo la pipa nell'ampia manica della propria veste.

"Sa cosa penso, maestra?"

"Cosa, sua Grazia?"

Ranko lanciò uno sguardo agli altri ragazzi, ormai lontani "Se Ranma fosse sempre veloce a recuperare le castagne come lo è stato quando ha fermato la mano di Akane, avrebbe imparato la tecnica da un pezzo."

--- --- ---

Odioso. Odioso. Odioso. Odioso.

Se lo ripeteva ad ogni passo, mentre lo seguiva in quel groviglio di verde che tutti si sforzavano di chiamare bosco, ma che per lei restava un groviglio infernale, per l'appunto. Gli occhi puntati sulla schiena del principe, dove la camicia scarlatta aderiva come una seconda pelle a causa dell'acqua che gli aveva gettato addosso, Akane tentava di reprimere la rabbia e di non lanciargli qualche masso proprio al centro delle spalle… Però, aveva mai notato quanto fosse muscolosa quella schiena?

Oh, insomma! Non era questo il punto! Lei era arrabbiata con lui, furiosa, anzi, tanto per cambiare! La prendeva in giro, la umiliava per poi salvarla da una probabile menomazione verso la quale l'aveva spinta lui, con la sua cattiveria… Si rendeva conto di quanto ciò fosse incoerente?

Inciampò in una radice, imprecando tra i denti. Odiava quella foresta almeno quanto odiava il suo padrone. Perché lo odiava, oh se lo detestava! Deprecava la sua presunzione, la sua superbia, il suo modo pomposo di credersi al centro dell'universo. Arrogante, spocchioso, irritante e…

"Akane?"

Sussultò, timorosa per un istante di aver espresso quei pensieri ad alta voce, ma poi lo vide voltarsi, il viso tranquillo "Sì, Signore?"

Lo vide deglutire, come per prepararsi a qualcosa di serio e, di riflesso, lei s'irrigidì preoccupata "Se vuoi t'insegnerò io la tecnica… appena la avrò imparata, naturalmente."

Ecco, lo rifaceva. Perché ogni volta che lei era impegnata a pensare il peggio su di lui, se ne usciva con una gentilezza inattesa o una frase carina che la spiazzava e la faceva sentire in colpa? Era snervante! Così le toglieva anche il gusto di detestarlo fino in fondo.

"Lo farà Obaba, non occorre che si disturbi. E poi non è detto che lei la impari prima di me."

Ranma sorrise, null'affatto stupito da tanta sgarbatezza. Dopo tutto non era stato proprio lui a farle capire di preferirla così? "Le mani sono tue, fa' come ti pare, però se in tutti questi anni non sei riuscita ad imparare dalla vecchiaccia, cosa ti fa pensare di poterlo fare ora?"

"E a lei cosa fa pensare di riuscire dove la venerabile maestra ha fallito?" lo provocò, il tono ostile di chi non vuole ammettere la verità.

"E se facessimo un patto?" il principe si fermò, la grande entrata del palazzo ormai in vista. Lei fece altrettanto, piantandogli addosso per l'ennesima volta quello sguardo perplesso che più volte aveva visto.

"Un… patto?" domandò, cercando di nascondere la curiosità, senza riuscirvi.

"Sì, un patto. Se tu prometti di non provarci da sola, non solo ti do la mia parola che t'insegnerò la tecnica delle castagne, ma ti concederò anche una specie di premio, diciamo per il tuo impegno."

Ora era a tal punto curiosa che dimenticò persino la rabbia; la guardò spalancare la bocca, forse stupita, per poi richiuderla di scatto e assumere un'espressione pensierosa, come di chi sta valutando una proposta tutto sommato allettante "Che premio?" la sentì chiedere con un filo di voce. Un'altra ondata di tenerezza lo invase, controvoglia, quando lei afferrò una ciocca dei lunghissimi capelli per giocherellarci nervosa.

"Se accetti ti porterò fuori dalle mura di questo palazzo. Per un'intera giornata."

Akane aggrottò le sopracciglia, era chiaro che non si fosse aspettata una simile proposta. Forse per alcuni istanti ne fu delusa, ma quando tornò a parlare, sembrò interessata "Fuori da qui… come se fossi libera?"

Il cuore del principe si accartocciò a quella domanda. Quanto dolore ancora le dava esser una schiava, la sua schiava… "Devi meritartelo, però. Allora, ci stai? Un giorno di libertà in cambio della promessa di non allenarti da sola in questo caso."

"Perché?"
"Eh?" stavolta tocco a lui esser stupito "Che significa perché?"

"Perché dovrebbe stringere un simile patto con me? Cosa ci guadagna lei?"

Ranma si grattò un sopracciglio, pensieroso, poi si strinse nelle spalle con noncuranza "Di non ritrovarmi una schiava monca, tanto per dirne una. E poi non voglio che Obaba perda tempo con una come te, già ne ha sprecato in abbondanza con quell'idiota che non sa distinguere la destra dalla sinistra… Inoltre se insegnassi ad un incapace come te, dimostrerei di essere davvero il migliore, no? Persino migliore della megera amazzone!"

"Guardi che l'ho sentita" gracchiò improvvisa una voce tra gli alberi e il poveretto non poté far altro che stramazzare al suolo, colpito a tradimento da un bastone volante.

Akane gli andò vicino e si chinò su di lui, le mani poggiate alle ginocchia "D'accordo, accetto il patto."

--- --- ---

"Sei sicuro, nonno?" la voce del giovane uomo risuonò ansiosa, mentre ancora più ansioso il suo sguardo color antracite si posò sulla figura stesa sul letto.

Il vecchio era alquanto pallido ed il suo viso sembrava ancora più niveo per la lunga e candida barba che lo ricopriva in parte. Gli occhi erano chiusi per la stanchezza, quasi nascosti da cespugliose sopracciglia altrettanto canute; il respiro era flebile, seppur regolare. La malattia aveva minato il corpo un tempo robusto dell'uomo e la vecchiaia sembrava averlo fiaccato nell'animo, ancora di più del misterioso male "Sì, nipote mio. Dopo lunghe ricerche, finalmente ho scoperto ciò che da tanto anelavamo sapere… Non è stato facile, ma sono appagato per aver appurato la verità prima della mia morte."

Il giovane chinò il capo, addolorato da quell'atroce verità. Del resto come non sentirsi disperato quando l'unica persona che aveva al mondo stava per abbandonarlo?

Il vecchio tossì e allarmato il nipote si precipitò accanto a lui per sorreggerlo in quell'attacco violento, ma per fortuna fu breve e poco intenso, tanto che egli tornò a parlargli, la voce solo un po' più tremula di prima "Sai quello che devi fare, vero?" gli domandò, apprensivo. Ora i suoi occhi scuri erano ben aperti e fissi sull'unico nipote, lo guardavano con timore mal celato. Fu sollevato solo in parte quando il ragazzo annuì.

"Devo partire per il regno di Augusta e recarmi al palazzo dei Saotome."

Bene, pensò sollevato il vecchio, lasciandosi cadere sui cuscini del letto che non abbandonava più tanto spesso "Sì, ragazzo mio, proprio così. Sarà un viaggio lungo, ma sta' tranquillo, verrai accolto come un amico… La lettera di Genma Saotome non poteva esser più chiara, del resto."

Il nipote annuì ancora, lieto di scorgere un sorriso sul volto stanco dell'adorato… adorato… chi era? Ah, sì, dell'adorato nonno. Però, ora che ci pensava…

"Nonno?"

"Sì, caro?"

"Perché devo andare ad Augusta?"

Il vecchio richiuse gli occhi, mentre una lacrima solitaria gli solcava la guancia, meno pallida di prima "Oh, Shinnosuke…"

"Chi è Genma Saotome?"

"Oh, Shinnosuke…"

"E poi, cos'è che abbiamo scoperto?"

"Oh… Shinnosuke…"

Il ragazzo si grattò la fronte, chiedendosi perché quel vecchio se ne stesse a letto. Chissà, forse era malato, a guardarlo infatti non sembrava star troppo bene: una mano, poggiata sulle molte coperte che lo proteggevano dall'aria frizzante del pomeriggio, era chiusa a pugno e tremava violentemente. Ma poi, chi era quel vecchietto? Ah, già, era il nonno.

"Ehm… nonno? – stavolta il vecchio si limitò a guardarlo – Chi è questo Shinnosuke che continui a chiamare?"

La mano racchiusa a pugno si sollevò con una rapidità incredibile per una persona tanto anziana, per abbattersi sulla testa del giovane che stramazzò a terra gambe all'aria, preso alla sprovvista. Il nonno si era rizzato a sedere, improvvisamente sembrava essere in perfetta salute e la voce che fino a poco prima era risuonata flebile, tuonò cavernosa echeggiando nella stanza vuota.

"Idiota di un nipote! Sei tu Shinnosuke, razza di smemorato! Possibile che ti sia dimenticato tutto ciò che ti ho raccontato centinaia e centinaia di volte?! Ti sei dimenticato della tua fidanzata?"

Un mugugno si levò dal corpo ancora schiantato a terra, un lamento che giunse fino alle orecchie del povero nonno, l'attuale Re di Ryujenzawa e che egli purtroppo riuscì a comprendere. Il suo amatissimo nipote, e futuro sovrano del suo piccolo e boscoso regno, aveva appena chiesto chi fosse lui per poterlo malmenare in quel modo; disperato il re tornò a stendersi sul suo letto di morte… beh, a dire il vero, erano più di dieci anni che era steso in quel letto in attesa di una morte che sembrava alquanto riluttante a giungere, ma per quanto ciò fosse motivo di piacere per lui, prima o poi avrebbe fatto i conti con l'Oscura Signora.

Affrontare la bieca Falciatrice non lo spaventava, ma che destino avrebbe atteso i suoi sudditi una volta che al trono fosse salito Shinnosuke? Era un ragazzo dal cuore d'oro, un po' brusco con gli estranei forse, anche se non per colpa sua… Già, tutta colpa della sua memoria bislacca: uno che non riconosceva il proprio nonno, non era forse logico che fosse costantemente guardingo, convinto com'era di esser circondato da sconosciuti?

L'unica speranza che restava al giovane, e ai sudditi, era quella di una moglie giudiziosa e saggia, una donna che potesse guidarlo e magari ricordargli ogni tanto il suo nome. Già, trovargli moglie era davvero questione capitale a quel punto e la lettera di Saotome era giunta con un incredibile tempismo.

Che destino bizzarro, a pensarci bene: chi avrebbe mai detto che la risposta ad un sì grave problema come il futuro del regno di Ryugenzawa fosse nascosta in un passato creduto ormai svanito?

 

 

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(*) Kunoichi: donna ninja.

 

Carla's corner

Salve a tutti! Come sono andate le vacanze? Spero bene! Un altro capitolo di ITMH, capitolo che ho scritto in una sola notte dopo aver deciso che quello che stavo già buttando giù non mi convinceva affatto. Chiamiamola un'ispirazione improvvisa, va', però era davvero da tanto che non scrivevo tanto e così di getto… E' stato bello vedere le mie dita volare sulla tastiera del pc senza sosta, come ai bei tempi. Sciocchezze a parte, spero che il suddetto capitolo vi piaccia.

Passiamo ai soliti ringraziamenti, cominciando subito da Loony, la quale nella mail speditami per il sondaggio (vedere l'ultimo capitolo di AQdD postato), avanzava l'ipotesi che l'assassina potesse essere Konatsu. Brava! Come vedi hai indovinato, anche se ad essere sincere, non volevo creare nessuna atmosfera misteriosa su questo particolare…

Ringrazio inoltre la mitica Muttley : non una delle tue ipotesi sul futuro di questa fic si avvereranno, mia cara, ma non posso fare a meno di lodare la tua fantasia, alcune erano davvero fantastiche. No, per ora non ho alcuna intenzione di inserire la dolce Akari, ma mai dire mai. Anche a me farebbe piacere vederti, questa relazione a distanza mi sta uccidendo XD.

Ruka88: si stata velocissima a commentare la volta scorsa, un vero record! La situazione per ora non è peggiorata di molto, ma fosche nubi si stanno addensando sull'avvenire dei miei protagonisti. Poveri… Spero che la brutta situazione a cui facevi riferimento nel commento sia finita, nel caso non fosse così, non posso che sperare (immodestamente) che questo capitolo ti aiuti a distrarti almeno un po'. Grazie ancora per il commento.

TigerEyes: il tuo è stato il commento n° 100 per ITMH, mia cara. Ho già deciso come celebrare l'evento: userò il tuo nick name nella fic "L'Ultimo desiderio"; ho già deciso come inserirlo, eh eh eh, non vedo l'ora! Tornando a questa fic in particolare, ormai è chiaro che non sia Shan-po la fantomatica killer assoldata dal Generale che sì, è un vero infame. Inoltre c'è un motivo per cui Nabiki ha tanta paura di quest'uomo, un motivo legato alla sua infanzia, ma per ora non dico di più. Per quel che riguarda Kasumi, non credo che sia molto consapevole dei sentimenti di Tofu, né dei propri se è per questo. Insomma, è di Kasumi che stiamo parlando… L'avvicinamento tra Ranma ed Akane è "inevitabilmente" vicino, anche se mi divertirò a complicarglielo, se no che sfizio c'è? Ti ringrazio per i complimenti, ma ti ricordo che parti di questi ti spettano di diritto: da quando sei mia beta mi sento spronata a scrivere meglio anche questa fic che in realtà costituiva il mio piccolo spazio di libertà, ma forse lo è ancora dopotutto. Baci! 

Akane!!!: Grazie! La scena del balcone è una delle mie preferite. Ora sì che si è capito che è la misteriosa assassina, vero? >_^ In effetti Shan-po non farà parte di questa fic, me ne dispiace per i suoi tanti fans. Ciao e grazie ancora.

Simona: ho aggiornato il prima possibile, spero che il capitolo non abbia risentito dell'insolita celerità… Grazie tanto per il commento.

Fabichan: Grazie! Forse la colpa è mia se quasi tutti hanno pensato a Shan-po, ma non l'ho fatto volutamente… beh, quasi. Diciamo che dopo aver postato il capitolo scorso mi sono resa conto che inevitabilmente tutti avrebbero pensato a lei. Mi colma di piacere sapere che le scene tra Nabiki e Kuno incontrano il favore dei lettori: amo scrivere di loro, soprattutto amo scrivere di loro due insieme ^_^. C'è un'alchimia indubbia… Parlando di Ukyo, credo che sia per forza di cose diversa da quella del manga e dell'anime. E' una AU, le premesse sono diverse: è cresciuta come una principessa, conscia che il proprio dovere sia quello di sposarsi per il bene del suo regno. Essendo costretta a sposare uno sconosciuto, credo che il fatto di poter praticare le arti marziali costituisca un motivo di gioia. Ancora grazie per il commento, ci ribecchiamo sul forum.

Laila: Ah, questo Kean è proprio un cattivone! E pensa che il suo ruolo nel detronizzare Soun è anche più rilevante di quello che ho accennato finora… Grazie per l'apprezzamento, Nabiki e Kuno ringraziano sentitamente ^_^

Hatori: Sono contenta che ti piaccia, spero continuerai a leggere. Grazie!

YaYa: Grazie! In effetti per un bacetto ci sarà da aspettare ancora un po', temo. Per ora li ho fatti tenere per mano… un po' poco, mi sa, vero? Ho aggiornato relativamente presto rispetto ai miei canoni, spinta da un'ispirazione improvvisa, ma non fateci l'abitudine ^_^: Grazie ancora!

Earine: La scena tra Nabiki e Kuno ha spopolato ^_^ quei due rischiano di surclassare i veri protagonisti. Non so se si sia capito, ma io adoro Ryoga, lo adoro proprio, quindi figurati come mi possa sentire nel descriverlo così illuso e innamorato senza speranze… ah, che crudeltà! Grazie per il commento e le belle parole.

Ai 93: Grazie per il commento entusiasta. Non ti preoccupare, a volte capita anche a me di non trovare le parole ^_^

Kirachan: Ho postato il prima possibile. Grazie!

Saluto anche Minù per la bellissima mail: non ti preoccupare, continua pure commentarmi via mail. Non sono una che conta i commenti nei siti, per cui se preferisci così a me sta più che bene. Non so quando, ma penso sia inevitabile un confronto tra i due anche se non penso di ripetere una scena come quella del capitolo 14 di AQdD: lì c'era molto più in ballo di una "banale" gelosia per un amore non corrisposto. In questa fic, in particolare, non credo che forzerò molto i toni tra Ranma e Ryoga, saranno troppo presi dall'avvicendarsi di eventi più rilevanti… Grazie ancora e grazie per il consiglio, ho già letto il libro che mi consigli, ma se vorrai suggerirmene altri, sono sempre disponibile.

Bene, per ora è tutto, ci si rivede per l'ultimo capitolo di AQdD che forse posterò per fine mese o per gli inizi di ottobre. Vi ringrazio per l'attenzione ed il tempo che mi dedicate.

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Capitolo 13
*** Capitolo tredicesimo ***


It takes me higher

di Breed 107

 

 

Una preghiera prima di cominciare: per favore leggete anche il Carla’s corner alla fine del capitolo, è importante!

 

Capitolo tredicesimo.

Perché mi fai questo, Hikage?”

“Hikage non è il mio vero nome.”

Akane non ne fu sorpresa, questo confermava i suoi sospetti. Non era stata una follia improvvisa a spingere il ragazzo ad attaccarla. Si appoggiò ancor di più all’albero alle sue spalle e inspirò con difficoltà.

Non capiva perché le fosse arduo respirare, la ferita al braccio era superficiale e anche quella alla coscia era appena più profonda di un graffio, perché avvertiva tanta spossatezza? La vista stava annebbiandosi rapidamente, non era possibile, non aveva perso così tanto sangue da… a meno che…

Cosa mi hai fatto?” domandò rabbiosa, stringendo i pugni con tutta la forza che ancora le restava fino a lacerarsi la pelle con le unghie: aveva bisogno di quel dolore per restare lucida ed aspettare. Tempo, aveva bisogno di tempo, lui sarebbe arrivato… L’avrebbe salvata.

Hikage, o meglio, colui che fino a quel momento aveva chiamato Hikage la guardò, lo sguardo spento e tranquillo di sempre, anche se forse c’era dell’altro in quegli occhi. Della tristezza? Del rimorso? “Mi spiace, Akane, ma sarà doloroso. E lungo… impiegherai delle ore a morire. Mi dispiace” ripeté abbassando la spada. Sembrava considerare finito quel combattimento, eppure non si mosse, non provò nemmeno a scappare pur sapendo che presto sarebbe stato raggiunto. Già la foresta risuonava delle voci del principe e di Ryoga che richiamavano furiosamente la ragazza seduta tra le radici dell’albero dinanzi a lui.

“Avrei voluto regalarti una morte rapida e senza alcuna sofferenza, ma sei un’avversaria ostica. Il principe ti ha allenato bene.”

Cos’era quello, un contentino, un addio onorevole? Cosa si era aspettato, che si sarebbe arresa a lui e alla sua spada senza combattere? “Se non scappi ti prenderà” gli disse Akane, deglutendo a fatica. La gola le si stava serrando, rendendole sempre più difficile respirare e quasi impossibile parlare.

Quanto avrebbe voluto odiarlo! Le stava portando via la vita e con essa la possibilità di vendicarsi… Le stava portando via Ranma! Non l’avrebbe mai più visto, non avrebbe più parlato con lui… Non l’avrebbe mai più sentito chiamarla maschiaccio.

Perché?” domandò di nuovo, le lacrime che s’affollavano negli occhi ormai quasi ciechi. Distingueva a malapena la sagoma scura dinanzi a sé e quasi non si accorse che le si era avvicinata.

“E’ il mio lavoro” Akane sussultò avvertendo la sua voce tanto vicina e strizzò le palpebre nello sforzo di guardarlo in volto. Con un gesto deciso Hikage abbassò il cappuccio che gli copriva quasi interamente il capo, le s’inginocchiò accanto e l’osservò con quella che era chiaramente pena. Una mano guantata risalì fino al volto pallido della schiava e le sfiorò una guancia in una carezza gentile e delicata a cui lei non ebbe la forza di sottrarsi.

“Ti ho ucciso per il volere di un altro Akane. E’ questo quello che sono, un assassino. Non avrei voluto, mai… non te. Ma questo sono io” mormorò al suo orecchio con scoramento. Si chinò su di lei e la baciò, sfiorandole le labbra con la stessa dolcezza con cui ne aveva pronunciato il nome.

Akane avvertì il tocco leggero della sua bocca, pensò addirittura di avvertire il sapore salmastro di lacrime non versate. Serrò gli occhi, l’unica parte del corpo che ancora poteva controllare e unico modo per rifiutare quel gesto tanto gentile da colui che l’avrebbe uccisa. Quel bacio, il suo primo vero bacio, le bruciò quasi le labbra screpolate colmandola di dolore e rimpianto.

Una singola lacrima scivolò lungo la guancia ricoperta di polvere, lasciando una scia bollente sulla pelle fredda fino a fermarsi accanto alla bocca. Il ragazzo conosciuto come Hikage gliel’asciugò con le punte delle dita, con tatto e cautela, quasi temendo che un tocco più energico avrebbe potuto mandare in pezzi la sua avversaria. “Mi spiace – ripeté forse più a se stesso – non posso far altro per te che abbreviare le tue sofferenze.

Aspetta, avrebbe voluto gridargli, aspetta! Lui verrà, verrà a salvarmi! Aspetta… non posso morire, non ancora!

Akane chiuse gli occhi su nuove lacrime incandescenti e si morse il labbro, sperando che il lieve dolore procuratosi la scuotesse abbastanza da pregarlo di non farlo. Lui sarebbe arrivato, ne era certa! Sentiva la sua voce come un’eco lontana, ma ugualmente la udiva. Sembrava così preoccupato, doveva aspettarlo… aspetta…

Hikage osservò ancora il volto esangue della giovane avversaria e sospirò. Non era mai stato tanto difficile, ma forse quella sarebbe stata l’ultima volta. Sì, osò sperare, il principe e suo cugino erano vicini, l’avrebbero preso e lui si sarebbe fatto catturare perché quella doveva essere anche la sua fine. Si alzò deciso e rafforzò la presa intorno alla spada che stringeva con sapienza; aveva dato la morte ad Akane, ma poteva, doveva, liberarla dalla sofferenza che presto l’avrebbe avvinta.

Sollevò l’arma oltre il capo, la lama s’illuminò colpita da un raggio di sole morente e mandò un bagliore intenso che si infranse sul volto pallido della sua vittima. Hikage osservò ancora un volta il corpo abbandonato ai suoi piedi “Finirà   presto per entrambi” sussurrò con voce tremula, ma la sua mano non tremò calando il fendente.

 

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Com’era cominciato tutto questo? Quando l’inganno era stato perpetuato?

Akane ricordava bene il giorno in cui Hikage era giunto a corte, sotto le mentite spoglie di una fragile e triste cameriera. Anche lei aveva creduto a quella mascherata, come non credervi, del resto? Era un abile dissimulatore, ora ne aveva ulteriore conferma.

Sì, ricordava il giorno in cui lei e la dolce Hikage si erano conosciute…

 

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Genma aggrottò pensoso le sopracciglia: non aveva mai visto donna più brutta di quella. Era talmente distratto dal viso null’affatto attraente da esserne quasi affascinato, in un certo senso. Ascoltava a malapena la preghiera fremente che la vecchia stava supplicando accettasse, le sue parole accorate gli giungevano in un mormorio indistinto.

Sconcertato fissava quei lineamenti sgraziati e arcigni, sollevato comunque dalla consapevolezza che per quanto distratto egli fosse, sua moglie invece ascoltava attenta. Era una gran fortuna che Nodoka fosse tanto presa dal suo ruolo di sovrana: dare udienza ai propri sudditi era un compito faticoso e, francamente parlando, il più delle volte di una noia mortale.

In un regno florido come quello che la buona sorte gli aveva dato da governare, la maggior parte dei colloqui che era costretto a sorbirsi riguardavano liti tra vicini da redimere, proposte per la costruzione di nuovi edifici da adibire alle funzioni più disparate, concessioni di permessi per praticare questa o quella attività. O come nel caso di quella donnetta non proprio affascinante, richieste per lavorare a corte.

Il Re si mosse a disagio sul trono: la donnetta aveva appena finito di porgere la sua vibrante richiesta ed ora attendeva un responso che naturalmente egli non era in grado di darle, dal momento che aveva ascoltato solo metà di quanto avesse detto…

Si schiarì la voce sperando di darsi un tono e volse l’attenzione alla sua sposa che a sua volta lo stava guardando in attesa. “Cara, lascio a te la decisione confidando nel tuo innato buon senso” asserì con misura e teatrale pacatezza. Notò la moglie sorridere, segno che doveva averne smascherato la recita e il sovrano si mosse ancora a disagio sul seggio improvvisamente scomodo.

“Come desideri, caro marito. Signora, la ragazza per cui è qui a chiedere un lavoro è con lei?” domandò poi rivolta alla donna che annuì, la gioia visibile sul volto rugoso.

“Sì, augusta maestà! Hikage presto, fatti avanti affinché la nostra bella regina possa vederti!”

Una figura esile si separò dalla piccola folla radunata ai lati della grande sala delle Udienze e a capo chino avanzò quasi scivolando sul lucido marmo, fino a porsi di fronte ai due troni proprio accanto alla piccola donna. Genma batté le palpebre, esterrefatto: per sua fortuna la giovane non assomigliava alla genitrice. Per nulla.

‘Che bizzarria della natura è questa?’ si domandò, fissando la ragazza inchinarsi con rispetto. Era alta per quanto sua madre era piccola; bella per quanto brutta era l’altra, discreta per quanto l’altra appariva chiassosa e grossolana. Lunghi capelli neri lucenti le ricadevano in una fluente coda sulle spalle, risaltando esacerbatamene sulla candida veste che portava; veste dalle lunghe maniche nonostante il gran caldo di quell’estate inoltrata. Il volto struccato e privo d’ogni espressione appariva levigato e impreziosito da occhi molto scuri. Osservandoli, il sovrano di Augusta provò una sensazione indescrivibile, un disagio molto più accentuato di quello provato poco prima per l’esser stato colto a fantasticare.

Era lo sguardo più vuoto ed opaco che avesse mai incrociato: quelle perle nere altrimenti attraenti erano quasi spaventose nella loro mancanza di vitalità. Una profonda malinconia doveva esser causa di un simile sguardo spento, valutò l’uomo che scambiando un’ulteriore occhiata con la consorte capì di non esser il solo a pensarlo.

Nodoka batté le palpebre, sconcertata. Non era la prima volta che qualcuno veniva a mendicare un lavoro per sfuggire alla povertà, ma era certo la prima volta che si trovava di fronte ad una giovane così svuotata d’ogni emozione. Non era timidezza, né imbarazzo o vergogna. No, quella ragazza era spenta. Un involucro vuoto.

“Lei è la mia unica figliola, loro auguste Altezze. Siamo giunte in questa meravigliosa città da poco, spinte dal bisogno. Ho cercato lavoro per la mia Hikage e ovunque mi è stato detto che una ragazza dalle sue doti, quali discrezione e buona volontà è sempre ben accetta a palazzo. Vi assicuro, vostre Altezze, che il lavoro e la fatica non la spaventano!” la vecchia continuava a parlare, indicando di tanto in tanto la silenziosa giovane al suo fianco.

C’era qualcosa di lievemente inquietante in quella giovane silenziosa, immobile sotto lo sguardo della folla assiepata nella sala, così composta da non sembrare neppure viva. L’indifferenza con cui assisteva al colloquio che pure la riguardava in prima persona era totale.

“Hikage è il tuo nome, vero?” le domandò la sovrana spinta dal desiderio di scuoterla, in qualche modo. Si sarebbe quasi aspettata di vederla sussultare, ma la ragazza invece mantenne la propria impassibilità e sollevò il bel volto verso di lei, mostrando appieno la sconcertante vacuità del suo sguardo.

“Sì, sua altezza reale” rispose con voce ferma, stranamente profonda per una donna così esile.

“Credi che ti piacerebbe lavorare qui a palazzo, cara?” tornò a chiederle Nodoka, decisa a tirar fuori da quella imperturbabile ragazzina una qualsiasi emozione. L’immagine dello sguardo di Ranko così vivace e turbolento le apparve dinanzi in uno stridente contrasto con i pozzi neri della giovane che le stava a pochi passi.

“Sì, sua grazia. Sarebbe davvero un onore per me lavorare per una padrona tanto bella e cortese.

Nodoka sospirò, combattuta sul da farsi: non aveva alcun motivo per rifiutare una richiesta portata con tanto patimento dalla madre della giovane a suo cospetto, ma l’istinto le diceva di non voler quella ragazza a palazzo. Quel qualcosa in lei, quel qualcosa di così oscuro da ottenebrare lo sguardo di una ragazza nel periodo più florido dell’esistenza la inquietava. Ma non poteva lasciarsi condizionare da stupide sensazioni del momento: probabilmente la vita di quella giovane era stata penosa a tal punto da aver sopito ogni sua emozione. Magari a corte tra tanti altri giovani così impetuosi e che affrontavano la vita con caparbia spensieratezza avrebbe riacquistato quanto perso…

Conquistata da quel proposito, Nodoka scacciò definitivamente ogni dubbio e rivolse alla madre trepidante il più caloroso dei propri sorrisi “La vostra richiesta è accettata, signora. Da oggi Hikage lavorerà qui a palazzo.”

“Oh, grazie! Grazie, sua altezza! Non se ne pentirà! Lei così salva la mia adorata figliola da un destino crudele!” il volto sciupato della donna si contorse per il pianto dirotto che la scosse e i suoi inchini divennero più profondi. Non smise di ringraziare e di augurare ogni bene ai beneamati sovrani di Augusta nemmeno quando, richiamata da un cenno di Nodoka, Maya affiancò la figlia e le chiese con gentilezza di seguirla affinché potesse spiegarle i suoi doveri e mostrarle la camera dove avrebbe dormito.

L’eco dei ringraziamenti e delle benedizioni della vecchia si spense solo quando la sua figura piccola e curva fu sparita dietro una delle porte secondarie. Sparizione che fu accolta con un sospiro di sollievo da Genma: non sapeva cosa fosse peggio, se ritrovarsi a fissare la bruttezza agghiacciante di quella megera o la sconcertante insensibilità della figlia.

‘Se Ranko fosse docile la metà di quella tipa, organizzarle il matrimonio sarebbe stato uno scherzo…’ pensò, mentre già un altro suddito si avvicinava per porgere la sua richiesta.

 

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“D’accordo, per oggi finiamola qui.”

Akane chiuse gli occhi e intimamente ringraziò le divinità protettrici delle povere schiave afflitte. Non l’avrebbe mai ammesso a voce alta, ma era contenta che lo strazio fosse finito, seppure solo per quel giorno. Raramente nel corso della sua vita che pure era stata difficile e non priva di sofferenze, aveva provato un simile sollievo. Se solo avesse potuto restare lì ancora per un po’, solo un altro po’ di tempo, per riposare…

Con uno sforzo ammirevole riaprì gli occhi per ritrovarsi a fissare ciò che da ben tre giorni costituiva il suo compagno di allenamento: uno scoppiettante fuoco, la cui luce brillava quasi con malizia in quel mattino inoltrato di fine primavera.

Inspirò abbattuta, ma il sollievo provato poco istanti prima le aveva restituito un po’ delle energie dissipate e con un sospiro si alzò in piedi.

Era un disastro.

I capelli le ricadevano flosci sulle spalle completamente zuppi, così come bagnata era la casacca scura che indossava, o quel poco che ne restava, cioè… Brandelli di stoffa bruciacchiata le pendevano sulle braccia, lasciando intravedere la pelle annerita per il fumo e la cenere. Anche le mani erano completamente ricoperte di fuliggine che la secchiata d’acqua non aveva potuto ripulire.

Aggrottò le sopracciglia e si scrutò i palmi, scoprendo nuove vesciche tra le tracce di carbone; mosse un po’ le dita, tanto per esser certa di poterlo fare: poteva, ma non fu piacevole. Piccole staffilate di dolore le pungevano la pelle arrossata come punture di vespa.

Imprecò tra sé, pensando che stavolta un semplice impacco di semi di lino non sarebbe servito a farle passare il bruciore. Ma lo scempio non era limitato solo alla parte superiore del corpo.

Come constatò con amarezza, anche le gambe erano ricoperte da uno spesso strato di fango solo in parte rappreso e che in alcuni punti colava viscido a causa dell’ultimo bagno procuratole dal principe affinché non prendesse fuoco insieme alla stoffa della casacca. Le piccole scarpette in seta che indossava erano malconce come il resto, consumate dal terreno su cui era stata accovacciata per ore; ogni osso sembrava reclamare la sua parte di sofferenza proprio a causa della posizione cui era stata costretta. Anche le spalle erano indolenzite per la tensione, per tacere del braccio destro: ad ogni minimo movimento i muscoli urlavano il loro dissenso.

‘Ma chi me l’ha fatto fare?’ pensò in uno sfogo di amarezza che non le era consono. Non era mai arretrata davanti ai duri allenamenti d’Obaba, nemmeno per quelli più ardui e faticosi. Un po’ si vergognava di tanto scoramento, ma doveva ammettere che il suo attuale allenatore non aveva nulla da invidiare alla vecchia maestra amazzone in quanto a durezza, mentre la batteva, e alla lunga, per sgradevolezza.

Si allenava solo da tre giorni sotto la guida del giovane principe, eppure le sembravano secoli. Secoli d’offese, di accuse di incapacità e inviti, molto poco principeschi a dire il vero, a lasciar perdere. Akane doveva ringraziare il proprio orgoglio se non l’aveva fatto. Avrebbe preso quella castagna a costo della vita, per poi ficcargliela in gola.

Lo sguardo stanco si animò leggermente a quell’allettante prospettiva ed un piccolo sorriso sognante le arricciò le labbra screpolate per la sete, ma fu una beatitudine fugace. Fu proprio la voce inacidita di Ranma a riportarla all’amara realtà.

“Ehi, ti sei incantata maschiaccio?”

Akane non si prese nemmeno la briga di ribattere a quel nomignolo che ormai da tre giorni sembrava aver sostituito quello vero. Lo guardò sperando di irradiare abbastanza odio affinché lui lo percepisse “No, signore” rispose con freddezza.

Ranma assottigliò gli occhi, per nulla stupito dall’acredine che le aveva colorito la voce. Era ovvio che lo odiasse: non lo apprezzava prima, figurarsi ora dopo il trattamento a cui la stava sottoponendo! Non era volutamente crudele con lei, ma sapeva che se voleva rendere quella lumaca più veloce, l’unica era stuzzicare il suo orgoglio di combattente.

E poi trattarla male gli veniva quasi naturale. Comportandosi così aveva infine l’indubbio vantaggio di riuscire a tenere lontani alcuni pensieri allarmanti che di tanto in tanto gli si affacciavano alla mente. Pensieri assurdi, illogici e completamente folli… Come per esempio quello contro cui improvvisamente si ritrovò a combattere nel guardarla in quel momento.

Una striscia di fango mista a cenere le attraversava il volto, annerendole soprattutto la fronte ed il naso. Doveva essersela fatta spostando i capelli dal volto e lasciando lì quel baffo sbarazzino con le dita ricoperte di caligine. Era proprio una pasticciona, eppure quel segno, come dire?, lo inteneriva. Avrebbe voluto tanto allungare una mano e ripulire quella macchia, sfiorandole la pelle…

Incrociò le braccia al petto, come a volersi impedire fisicamente di soccombere ad un simile impulso scellerato “Continueremo domani, anche se penso che sarà fatica sprecata. Hai idea del tempo che mi stai facendo perdere per questa sciocchezza?”

Akane si morse l’interno della guancia per impedirsi di ricordargli che per apprendere quella stessa sciocchezza, lui aveva impiegato quasi una settimana. Ricacciò in gola lo sdegno e tenne a bada la voce per rispondergli con quanta più freddezza potesse “Il padrone è fin troppo generoso con me.”

Parole di zucchero, sguardo assassino. Ranma gongolò; se continuava a pungolarla in quel modo, avrebbe afferrato quelle maledette castagne in men che non si dica e quell’impertinente avrebbe dovuto ammettere che come allenatore superava anche la saggia Obaba. Sperava solo che non fosse troppo presto o il divertimento sarebbe durato poco.

Più volte si era chiesto come mai adorasse strapazzarla così; le risposte che si era dato non sempre gli erano piaciute… Perché amava guardare i suoi occhi incendiarsi. Perché il pensiero di esserle indifferente gli avrebbe fatto male. Perché quella era la vera Akane, quella che si arrabbiava, che lanciava cuscini e lo linciava con quei grandi, vividi occhi ambrati. E a lui soltanto lei si mostrata nella sua autenticità. A lui solo.

Nessun altro poteva dire altrettanto, nemmeno Obaba e meno che mai quell’idiota di Ryoga. Che continuasse a trattarla con riguardo rendendosi ridicolo, che importava se poi era a lui che Akane mostrava il suo vero aspetto? Non che questo lo sottraesse da occasionali sensazioni fastidiose, che qualcuno avrebbe potuto con superficialità definire gelosia. Geloso di Ryoga, lui? Perché, poi? Solo perché all’eterno disperso sembravano esser rivolti gli sguardi più gentili e garbati d’Akane ed un’imprecisata quantità di sorrisi? Inconcepibile.

Se avesse voluto avrebbe potuto farla sorridere quanto e più di quel disperato di Ryoga! Solo non voleva. L’aveva detto di preferire l’Akane scorbutica dopotutto, no?

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Per evitare che il caos di quei pensieri lo sommergesse del tutto colmandolo di una tensione che non aveva mai provato prima che lei giungesse a palazzo, Ranma si avvicinò al piccolo falò ancora acceso e con pochi, rapidissimi gesti raccolse le castagne ormai ridotte a piccoli gusci carbonizzati. Sorrise soddisfatto di sé e poi lasciò cadere i piccoli frutti in terra “E senza nemmeno dovermi slacciare i polsini” mormorò, a voce comunque abbastanza sostenuta perché lei sentisse.

Akane strinse i pugni, ignorando il dolore che ciò le provocò e livida di rabbia carezzò per alcuni istanti la folle idea di assestare un calcio nel borioso didietro del padrone ancora accovacciato, mandandolo dritto dritto tra le fiamme scoppiettanti. Avrebbe potuto farlo passare per un incidente…

Sobbalzò quando lui si rialzò di scatto “Va’ a palazzo a ripulirti, sei in condizioni pietose.”

‘Grazie a chi?’ avrebbe tanto voluto chiedergli, ma ad esser sincere sapeva d’esser ugualmente responsabile; aveva accettato di farsi allenare da lui, anzi, aveva accettato con gioia quasi, tentata dalla prospettiva di un’intera giornata di libertà. Ora le sembrava assurdo il solo aver creduto ad una simile idea: probabilmente quel sadico aguzzino l’avrebbe torturata a vita, troppo era lo spasso che farlo gli procurava.

Senza degnarlo di una parola Akane si avviò verso il bosco, così furiosa da dimenticare persino la presenza degli altri sul pianoro. Quel giorno Taro ed Ame si erano uniti al piccolo gruppetto formato da lei, Obaba ed il principe; purtroppo né Ranko, né il signor Ryoga si erano presentati, una impegnata con le estenuanti lezioni degli istitutori in vista dell’odiato matrimonio, l’altro disperso.

Con passo marziale Akane si addentrò nella fitta vegetazione e non diminuì l’andatura fino a quando si sentì richiamare; la schiava del capitano le fece cenno di aspettarla per poi raggiungerla sorridente. “Il principe mi ha detto di venirti dietro!” le spiegò appena le fu accanto, il sorriso imperturbabile.

Perché?”

“Oh, non l’ha detto, ma forse è preoccupato per te: ha detto al padrone che gli sembrava ti fossi ferita più degli altri giorni.

“Figurati se è per quello! Non gli importa nulla, potessi pure perderla la mano!” sbottò, lasciando venir fuori tutta la rabbia che aveva represso. Detestava urlare con Ame, ma c’erano volte in cui la dolcezza di quella ragazza ed il suo sorriso palesemente felice le davano ai nervi quasi quanto le sbruffonate del proprio padrone. Era così delicata! Sembrava fatta apposta per far risaltare la propria rozzezza, la propria rudezza.

Ame si strinse nelle spalle ed abbassò mortificata i chiari occhi ed Akane sentì il rimorso crescerle dentro. Sospirò e cercò di calmarsi, non era giusto scaricare le proprie frustrazioni sull’amica “Scusa se ho urlato. Sono un po’ stanca” si giustificò sapendo che c’era del vero in quelle parole e fu lieta quando l’altra tornò a sorriderle, la comprensione dipinta sul viso grazioso.

“Avrai anche fame! Il principe non ti ha dato nemmeno un attimo di tregua oggi, si vede che tiene molto che tu riesca – per quanto ingenua, Ame comprese che proseguire quel discorso avrebbe fatto urlare di nuovo l’amica e saggiamente decise di cambiare argomento –  Probabilmente siamo ancora in tempo per pranzare con le altre, sempre che tu non debba restare in camera.”

Akane scosse il capo; da quando aveva cominciato ad allenarla, il principe consumava i propri pasti con il resto della famiglia, lasciandola libera di dividere i suoi con le altre donne. Si era chiesta se dietro quella scelta ci fosse il desiderio di liberarsi di lei almeno per qualche ora, dato che trascorrevano insieme il resto della giornata… e della notte, a ben vedere.

“Andiamo, devo cambiarmi prima” borbottò, il malumore stranamente accresciuto. E doveva anche bendarsi le mani alla meno peggio, pensò con un sospiro rassegnato.

 

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C’era del fermento tra le donne quel giorno. Akane lo avvertì appena superata al soglia delle cucine e in cuor suo ne fu grata: qualsiasi cosa servisse a distrarre quelle pettegole era ben accetta! Cominciava ad essere un po’ a corto di scuse per le ferite con cui si presentava da giorni a tavola e se avesse dovuto ancora una volta rispondere a domande in merito, si sarebbe messa ad urlare.

Quando si accostò al tavolo pronta ad occupare il solito posto, capì subito a cosa fosse dovuta l’eccitazione che serpeggiava tra quelle quattro oche. Un viso nuovo era spuntato all’orizzonte, nuovo alimento per i loro chiacchiericci da cortile.

Una ragazza mai vista prima, infatti, sedeva dall’altro capo del tavolo, per nulla intimidita dal clamore che con tutta evidenza aveva suscitato. Con gesti calmi e misurati consumava il suo pasto rispondendo alle tante domande che le piovevano da ogni direzione, senza mai staccare gli occhi dalla sua ciotola. Akane le invidiò quasi la compostezza di fronte a tanta imbarazzante curiosità e continuò a fissare la nuova arrivata, non potendo evitarsi a sua volta un pizzico di quella stessa indiscrezione che tanto deprecava.

Era davvero bella, valutò osservandone l’incarnato pallido con un po’ di invidia: il trascorrere tanto tempo all’aperto aveva conferito alla propria pelle un colorito dorato che non le donava affatto. La sconosciuta aveva anche modi estremamente femminili, di certo il padrone non avrebbe mai potuto definirla maschiaccio tanto facilmente!

Sbuffando, Akane richiamò Sayuri, una delle poche che non sembrava esser ossessionata dal conoscere ogni retroscena della vita della ragazza pallida. “Oh, anche oggi sei dei nostri! Il tuo padrone si sta davvero stancando di te, allora!” sbottò l’amica andandole in contro, la voce venata d’ironia che strappò un sorriso poco convinto ad Akane che si limitò a stringersi nelle spalle.

“Magari. Credi che sia rimasto qualcosa da mangiare per me e Ame o le cuoche sono troppo impegnate a dar aria alla bocca?”

>La cameriera scosse la testa, divertita dalla mancanza di tatto della schiava del principe. Non doveva esser di buon umore, valutò sorridendole con sincera simpatia “Vi porto io qualcosa, non preoccuparti. Comunque è una nuova arrivata, una cameriera assunta stamani. Maya dice che forse l’assegnerà alla principessa, visto il suo modo aggraziato di muoversi  e la sua avvenenza potrebbe essere una dama di compagnia perfetta una volta che la giovane Ranko sarà principessa di Ryugenzawa.”

Ame lanciò un’occhiata alla ragazza nuova e aggrottò perplessa le fini sopracciglia “Non credo che alla principessa piacerà. Ha sempre detto di volere Akane come dama di compagnia, un giorno.

Sayuri ridacchiò “Questo sempre che il principe Ranma si decida a lasciarsi sfuggire una schiava dal temperamento tanto ardente! Vi porto subito da mangiare!” disse allontanandosi, non dimenticando di lanciare alla suddetta Akane un’occhiata maliziosa che la fece arrossire.

Il fremito che aveva distratto le altre donne di servizio durò meno di quanto la schiava del principe avesse sperato. Ben presto, smontate dalla mancanza di collaborazione da parte dell’ultima arrivata, molte di loro tornarono alle proprie faccende e quelle che invece erano libere da ogni incombenza tornarono a dedicarsi a ciò che non smetteva mai di procurar loro diletto, vale a dire l’interrogare la suddetta schiava dell’erede al trono.

Come Akane aveva temuto, non poche avevano notato sia le ferite che le vere e proprie sparizioni sue e del principe; più di una le aveva chiesto cosa facessero mai nel bosco per tutto quel tempo e anche quel giorno non le furono risparmiate domande in merito.

“Guardo il principe allenarsi, ve l’ho già detto” rispose con voce stanca all’ennesima questione sull’argomento e continuò a mangiare tentando di ignorare i commenti.

“Capisco che osservare un ragazzo tanto avvenente possa dare un certo appagamento, mia cara, ma vuoi farci davvero credere che lui ti porti con se solo per fargli da spettatrice?”

‘Se conoscessero la presunzione di quell’essere non se la porrebbero nemmeno questa domanda…’ si disse la schiava, pretendendo di esser diventata sorda di colpo. Quella era l’ultima volta che pranzava in quella sala senza Obaba, si ripromise sapendo che l’aura austera della maestra aveva effetto persino su delle simili sfrontate.

Lanciò un’occhiata all’altro capo della lunga tavola dove la nuova arrivata continuava il suo pasto in totale solitudine. C’era da invidiarla ancora una volta…

“E’ una strana – Sayuri le sedette accanto e fece un cenno verso la silenziosa ragazza – Non parla se non le si rivolge una domanda diretta e… e poi, non so, ha uno sguardo così triste da stringermi il petto.”

“Sì, è vero! L’ho notato anch’io! Deve averne passate di brutte, la piccola” commentò una delle più anziane delle comari, nel cui sguardo però non ardeva la compassione, quanto la smania si saperne di più delle peripezie della piccola.

Akane guardò un’ultima volta verso la nuova arrivata, prima di dedicarsi al proprio pasto: chissà se avrebbe mai avuto l’occasione di scambiare qualche chiacchiera con quella ragazza tanto silenziosa, si domandò.

L’occasione capitò anche prima del previsto.

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Faceva un male cane. Abbattuta, Akane fissò le proprie mani e sospirò. Non poteva far altro che aspettare, si disse frustrata. Non era il dolore a farle tanta rabbia, seppur lancinante. Rannicchiata in quel cantuccio buio, nascosta ad ogni sguardo, aspettava. Che la mano smettesse di sanguinare, che la tristezza passasse… che le lacrime che avvertiva in petto svanissero.

Si morse il labbro inferiore, arrabbiata con se stessa. Era davvero tanto debole da far sì che le sue parole la ferissero, ancora? Non era stato tenero, né gentile, ma questa non era una novità. Quante volte, si chiese sospirando ancora, quante volte le sue parole erano state infatti gentili? Avrebbe potuto numerarle sulle dita di una mano… A proposito di mano, il taglio sembrava non voler smettere di sanguinare e la sottile striscia di stoffa che vi aveva avvolto intorno, dopo averla ricavata dal lembo della sua martoriata veste, era già intrisa di sangue.

Le fini sopracciglia si flessero fino a raggiungersi quasi al centro della fronte corrugata. Sì, era vero, si disse osservando la macchia scura allargarsi sul tessuto, lui non aveva quasi mai avuto parole gentili per lei, ma quell’esplosione d’ira… e le sue parole! L’aveva cacciata via! Le aveva ordinato di non farsi vedere fino a quando non sarebbe guarita…

Con uno sbuffo irritato pensò che quel che era peggio era che in tutta quella penosa sfuriata, lui non l’avesse mai chiamata maschiaccio.

Già, stavolta non c’era stato spazio per l’ironia: il principe era davvero furioso con lei. Doveva considerarla una vera incapace a quel punto.

‘Come se m’importasse qualcosa…’ si disse appoggiando il capo alle ginocchia raggruppate contro il petto. Che le importava del resto se lui la odiava? Lei l’aveva odiato da sempre, quindi niente di più naturale che l’odio finisse con il diventare reciproco, già. E per il fatto che non riusciva a scordare quegli occhi colmi di furia, beh, non era importante nemmeno quello. Anzi, era un bene! Se preso dalla rabbia lui avesse smesso di allenarla, non sarebbe stata lei a fare il primo passo indietro…

‘Mi considera un’incapace.’

Che importanza aveva? Non aveva mai desiderato esser considerata qualcosa di diverso da lui, no?

“Tutto bene?”

Akane sobbalzò, spaventata per la voce che dal buio la sorprese. Sgranò gli occhi e sconcertata si ritrovò a fissare il volto grazioso della sconosciuta giunta a corte solo da qualche giorno.

Batté le palpebre, non potendo impedirsi di arrossire: che razza di combattente era se una semplice cameriera poteva coglierla così alla sprovvista?! Il principe aveva ragione a lamentarsi di lei!

La ragazza era come sempre vestita con un candido abito bianco, la cui nitidezza sembrava fatta apposta per farla risaltare nelle ombre della stanza deserta. Le stava ritta dinanzi, il volto sereno e l’espressione indifferente, o forse no, non era poi così impassibile. Una leggera curiosità le atteggiava il bel viso, chinato su di lei in paziente attesa che le rispondesse.

Akane si schiarì la gola per superare la sorpresa della vera e propria apparizione “Ehm, sì sto bene. Non ti ho sentito entrare” le disse, lanciando un’occhiata alla porta lasciata appena dischiusa poco più in là.

“Eri impegnata a guardarti le mani – le spiegò l’altra senza batter ciglio – Sei ferita.

Non era una domanda e Akane non poté negare. Si alzò, abbassando vergognosa il viso e scrollò le spalle “Non è nulla. Un taglio insignificante” borbottò, le gote infiammate per lo sdegno. Provò a nascondere la mano sanguinante dietro alla schiena, pur sapendo quanto a quel punto fosse inutile un gesto simile.

La sconosciuta non replicò subito, poi con decisione le afferrò il braccio e lo tirò a sé e prima che Akane potesse reagire, le prese la mano ferita tra le sue. Il primo istinto della schiava fu quello di ritrarsi, ma la presa era sorprendentemente salda, così come fermo apparve il suo sguardo a malapena visibile in quella penombra imperante. “Fa’ giudicare me” le disse, il tono sempre pacato.

Le scostò la benda improvvisata e non parve molto impressionata dal profondo taglio che segnava il palmo dell’altra. Incurante, le stese le dita e per un bizzarro istante Akane pensò che volesse leggerle il futuro, tanto era concentrato il suo sguardo, poi la vide annuire “Un’ustione. La pelle scottata è facile a tagliarsi. Devi ripulire il taglio e fasciarti con qualcosa di più consono.

“Lo so” asserì Akane, irritata. Non aveva bisogno di consigli, non da una perfetta sconosciuta per lo meno! Ritirò finalmente la mano e la rimise dietro alla schiena, allontanandola dallo sguardo critico della cameriera. “Cosa vuoi da me?” le domandò imbronciata.

L’altra non parve accorgersi del suo malumore. “Niente – rispose semplicemente – Ti ho visto ed ho pensato che avessi bisogno d’aiuto. Ora però ti lascio sola, anche se ti consiglierei di scegliere un altro luogo dove nasconderti, visto che questa stanza non è lontana dalle cucine. Detto questo, inchinò leggermente il capo in un breve cenno di saluto e ritornò verso la porta da cui era entrata.

Akane si sentì perfino peggio, se possibile. Stava diventando arrogante proprio come il suo padrone, forse? Gridare contro chi le prestava attenzione stava diventando quasi un'abitudine, si disse ripensando allo sfogo con Ame qualche giorno prima. In fondo quella ragazza aveva solo voluto darle una mano. Non era colpa sua se non poteva rifugiarsi nella camera che di solito divideva con il principe, così come non era colpa della diafana cameriera che lui le avesse praticamente urlato di sparire dalla sua vista.

“Ehi, scusa! – la richiamò quando l’altra era quasi uscita del tutto – Non dovevo reagire così! Perdonami!”

La ragazza si volse a guardarla e per la prima volta sul suo viso comparve una vera espressione: sembrò quasi stupita. Batté le palpebre un paio di volte, le labbra appena dischiuse, poi riprese il controllo di se stessa e la maschera cordiale ed impassibile di prima tornò al proprio posto.

“Chiedi ad una cuoca di darti dell'olio di chin-ssu-ts’ao.(*)” fu tutto quello che disse prima di sparire definitivamente. Confusa, Akane restò a fissare lo specchio della porta, vuoto.

Quando molto più tardi Akane ritornò nella camera del principe, la mano aveva smesso di sanguinare già da un po’, invece il ricordo della strana ragazza non l'abbandonava. Non ne poteva esser certa, ma le era parsa quasi stupita dalle sue scuse, come se non fosse avvezza ad esserne oggetto. Ora capiva perfettamente cosa avevano voluto dire le altre donne quel giorno in cucina, circa la tristezza che avvolgeva quella ragazza come un’aura. Così forte da serrare il petto.

Possibile, si chiese con allarmante ingenuità, che anche le persone libere potessero essere infelici fino al punto di irradiare la propria infelicità in maniera così… fisica? Il cugino del principe, il signor Ryoga, a volte sembrava emanare portentose onde depressive, così palpabili da essere oggetto di scherno da parte dell’erede al trono e del capitano Taro, ma era diverso: per quanto depresso potesse essere il ragazzo, la malinconia che seguiva quella giovane era così totale da sembrarle quasi connaturata. Come se l’infelicità le si fosse radicata dentro.

Rabbrividì al pensiero, provando un’immensa compassione per la giovane sventurata. Persino lei aveva pensieri gradevoli a cui aggrapparsi, persino la sua vita aveva luci che le scaldavano il cuore… E poi aveva uno scopo! Anzi, pensò la schiava spingendo la pesante anta della porta intarsiata della camera principesca, ne aveva più di uno a ben vedere.

La vendetta e la ricerca della sua famiglia erano primarie, ma anche riuscire ad afferrare quelle maledette castagne per sbatterle sull’arrogante grugno del principe stava assumendo un’importanza capitale a quel punto.

Sollevò gli occhi pensosi nella camera inondata dal sole pomeridiano e stupita si ritrovò proprio a faccia a faccia con il suddetto grugno regale. Regale e ancora arrabbiato, evidentemente. Gli occhi cobalto infatti la attraversarono con freddezza e la stessa postura del ragazzo indicava una rabbia a malapena trattenuta. Teneva le braccia incrociate al petto e le labbra strette in una pallida linea sottile. Le ampie spalle erano irrigidite, come dura appariva la linea della mascella serrata. Insomma, Akane ebbe l'impressione di trovarsi a cospetto dell’insofferenza personificata.

Sentendosi inspiegabilmente in colpa, la giovane schiava deglutì nervosa: che fosse irritato perché disubbidendo ad un suo ordine gli si era presentata dinanzi?

“Dove diavolo eri?” più che domandarglielo, Ranma le ringhiò contro.

“Eh?” fu la pronta risposta che ottenne.

“Ti ho cercato ovunque, persino nella stanza di Obaba! Dove ti eri nascosta?” tornò a chiederle, ancor più irritato dalla sua espressione stupita.

Ma lei mi ha detto…” cominciò flebilmente Akane, prima che lui sbuffando la interrompesse.

“Se, se, lasciamo perdere. Hai medicato la mano?” senza aspettare risposta, le si avvicinò per afferrarle il polso e sollevarle il braccio.

Era la seconda volta che le accadeva quel giorno, ma stavolta la ragazza non ebbe l’impressione che il principe volesse leggerle il futuro: a giudicare dal suo sguardo critico, si aspettava un ennesimo disastro. Fu lieta quindi di vederlo stupirsi quando scostata la benda pulita che le ricopriva il taglio, si accorse dell’ottimo lavoro fatto.

Cosa è che ti colora di rosso la pelle?”

“Olio di chin-ssu-ts’ao. E’ ottimo per le scottature, oltre che per la preparazione di liquori e se non sbaglio dovrebbe anche avere qualche potere magico.

Ranma inarcò un sopracciglio “Conosci il potere curativo delle erbe? Lo ignoravo… Bene, qualcosa sai anche tu, quindi.

Akane distolse imbarazzata lo sguardo. Era stata una delle cuoche più anziane a spiegarle alcune delle virtù della pianta che Hikage le aveva suggerito. Ed era stata sempre la simpatica cuoca a dirle il nome dell’ultima arrivata a palazzo. “Non credi che sia un nome molto adatto a lei, Akane?”(**) le aveva chiesto con un sorriso, prima di fasciarle la mano con una candida benda in lino.

“Quanto ci metterà a guarire?” le domandò brusco il padrone, anche se era visibilmente meno furioso di prima, anzi, forse si sbagliava, ma le sembrò persino sollevato. Parte della rigidezza della sua posa era svanita e, cosa strana, continuava a tenerle la mano tra le proprie con delicatezza.

“Occorreranno un paio di giorni affinché rimargini, qualcuno in più per riavere la completa mobilità della mano. Probabilmente guarirà del tutto in una decina di giorni” spiegò solerte lei, riportando le parole della cuoca. Non riusciva a staccare lo sguardo dalle loro mani unite e quel sollievo che aveva riconosciuto in lui adesso le allargava il cuore: non era più arrabbiato con lei!

“Spero che questo ti serva di lezione! – Ranma sospirò – Ti avevo detto di non riprovarci, non con la pelle così scottata! Devi ascoltarmi, la prossima volta potresti danneggiarti irrimediabilmente, è questo che vuoi? Andare in giro con un uncino al posto della mano? Certo, il tuo fascino forse se ne gioverebbe…”

Gli occhi di Akane saettarono all’insù, specchiandosi in quelli di lui. Un sorriso spontaneo le sollevò gli angoli della bocca: era tornato, il tono canzonatorio. Ed era bello sentirlo perché significava che non avrebbe smesso di allenarla. Non l’avrebbe più scacciata…

“Allora, prometti di non fare più di testa tua?”

Come sembrava ansiosa la sua voce! Possibile che si fosse impensierito per lei? Possibile che tenesse alla sua mano, perché in fondo era a lei che teneva?

Al sol pensiero, le sue guance esplosero e in risposta anche quelle di Ranma divennero vermiglie. Imbarazzato, lasciò andare finalmente la mano che quasi non s’era accorto di tenere ancora e si allontanò, bofonchiando che era tempo di prepararsi per la cena.

Quella sera, al contrario di quanto accadeva dall’inizio degli allenamenti, Ranma cenò nella sua camera.

 

--- --- ---

Da quel giorno Akane ebbe la sensazione di incappare in Hikage di continuo. La incrociava nei corridoi, nelle cucine e ovviamente nella camera di Ranko che a malapena sopportava la sua presenza, visto che come le era stato più volte precisato, la cameriera l’avrebbe seguita a Ryugenzawa; non che avesse qualcosa di personale contro di lei, ma la giovane principessa proprio non riusciva ad arrendersi all’idea dell’imminente matrimonio, infischiandosene delle rassicurazioni del padre sull’avvenenza e la gentilezza del futuro sposo. Ranko dubitava che suo padre ricordasse persino il nome del ragazzo…

Dal canto suo la cameriera compiva diligentemente ogni incombenza richiestale, del tutto indifferente alle proteste di Ranko e ai suoi continui rimbrotti. Si limitava ad ascoltare le lamentele della principessa con il suo sguardo pacato e indifferente, l’espressione impassibile di sempre. Alla fine, persino Ranko si arrese di fronte a tanta freddezza e quasi rassegnata, se pur non del tutto doma, cominciò a trattare la sua cameriera con maggiore riguardo e gentilezza.

Non che questo cambiamento parve essere recepito da Hikage che continuò il suo lavoro con il solito silenzioso zelo.

Libera dagli allenamenti affinché la mano potesse guarire del tutto, Akane si trovò con molto tempo a disposizione e molto poco da fare. Il principe Ranma aveva ripreso ad allenarsi con Obaba ed il signor Ryoga e così a lei non era rimasto altro che dividere le lunghe ore di noia con la principessa, sempre che lei fosse libera dai suoi soffocanti studi sull’etichetta e su Ryugenzawa: sembrava che conoscere ogni anfratto del suo futuro regno fosse un dovere irrinunciabile, a dar credito alla regina Nodoka.

Ma anche quando Akane non era in compagnia di Ranko e si aggirava per la reggia in cerca di qualcosa da fare, le capitava sempre più spesso di incontrare il volto solenne e serio di Hikage. All’inizio si limitava a salutarla con un cenno del capo, ricevendone uno identico in risposta, ma quando gli incontri cominciarono a diventare più frequenti, Akane decise che fosse arrivato il momento di scambiare qualche parola con lei. Non voleva ammetterlo, ma proprio come le pettegole in cucina, anche lei era molto curiosa sulla nuova arrivata.

Colse l’occasione di avvicinarla, quando, ad una settimana dal suo arrivo a palazzo, passeggiando in uno dei tanti cortili interni, la vide seduta su una delle panche di pietra che lo circondavano. Era strano vederla non occupata in una delle tante incombenze affidatele da Maya o dalla stessa Ranko; sembrava particolarmente assorta nell’osservare l’aiuola debordante di fiori, le sottili sopracciglia appena corrugate e le labbra strette in una linea sottile e severa. Chissà quali pensieri le si affollavano dietro quell’espressione accigliata.

“Salve” Akane le sorrise con calore, quando lei alzò il volto per guardarla. Non sembrò stupita nel trovarsela di fronte.

“Salve” ricambiò il saluto. Aveva davvero una voce profonda, pensò la schiava.

“Ti disturbo? Avevi un’espressione tanto assorta…”

Hikage si limitò a scuotere il capo poi, come se ci avesse pensato su solo in un secondo momento, le indicò la panca, invitandola a sederle accanto. Akane accettò, mentre il suo sorriso si affievoliva visibilmente.

C’era uno strano silenzio in quel cortile, o forse a lei sembrò particolarmente compatto per la presenza dell’altra ragazza. Si schiarì la voce, nel tentativo di dissipare quella atmosfera tesa. “Sei libera?” le domandò la prima cosa che le venne in mente, sperando che stavolta Hikage non rispondesse solo a gesti.

“La principessa è occupata con i suoi studi. Non c’è bisogno di me” spiegò semplicemente l’altra, con somma soddisfazione di Akane.

“Anch’io non ho molto da fare… Anzi, sono un po’ annoiata a dire il vero!”

Hikage la guardò per alcuni istanti, uno sguardo penetrante che fece sentire la schiava particolarmente esposta. Quasi si pentì di aver avvicinato la cameriera, ma fu questione di pochi istanti.

“Il principe sta allenandosi con suo cugino?”

“Già e a quanto pare non gli serve una spettatrice.”

“Vorresti stare con lui?”

Akane batté le palpebre, mentre un rossore violento le si diffuse sul viso. Confusa ed imbarazzata, scosse il capo con decisione “No, no! Assolutamente! Non c’è niente che vorrei di meno, anzi! Come hai… no! Non lo voglio!” sapeva di star straparlando, ma era più forte di lei. La completata mancanza di malizia in quella domanda la confondeva più delle allusioni delle donne a cui era quasi abituata. Inspirò profondamente, per riacquistare il controllo di sé e poi sorrise, gentile.

“In verità lo verrei, perché così potrei allenarmi… non per altri motivi, è ovvio” specificò poi in tutta fretta.

Hikage abbassò lo sguardo sulle mani congiunte di Akane, poi i suoi occhi cupi tornarono a fissarsi su di lei “Quella ferita… ha a che fare con i tuoi allenamenti?”

“In un certo senso. – Akane sollevò la mano ancora bendata e gliela mostrò – Ho seguito il tuo consiglio e sta guarendo molto rapidamente, ti ringrazio ancora… e ancora mi scuso per averti urlato contro, sono stata scortese.

La cameriera tornò ad aggrottare le sopracciglia sottili, come se toccasse a lei essere confusa adesso “Ti sei già scusata, perché lo fai di nuovo?” le domandò, chiaramente perplessa.

“Ecco… mi sono comportata davvero in maniera odiosa e allora… Sei a corte da pochi giorni e non conosci molte persone, ti sentirai un’estranea… ed urlarti contro non è certo il miglior modo per farti sentire a tuo agio.

Il silenzio calò di nuovo e stavolta Akane ebbe la netta sensazione di esser soppesata dalla taciturna ragazza che continuava a fissarla con lieve interesse. Poi, improvviso, un piccolo, timido sorriso distese le labbra della giovane e fu come vedere il sole filtrare tra le nubi.

Stupita Akane tornò a battere le palpebre, colpita da quella vera e propria visione; le venne in mente la frase che il principe le aveva rivolto tempo prima… Sei più carina quando sorridi… beh, era proprio quello che avrebbe voluto dire all’altra ragazza, ma così come era comparso, il sorriso scemò via fugace, lasciando però una dolce rilassatezza nei tratti della giovane che ora sembrava meno turbata di quando l’aveva avvicinata. “Sei una persona gentile” asserì con naturalezza, quasi ad esporre un’ovvietà, ed era proprio questo suo tono crudamente schietto ad imbarazzare Akane ancor di più.

“Io… non so se… ecco, gentile non è proprio la parola adatta a…” ecco, stava di nuovo parlando a sproposito!

“Ti alleni in qualche arte marziale particolare?” domandò poi di colpo l’altra, prendendola alla sprovvista.

“Uhm? Conosci le arti marziali?” quello poi!

“Un po’…” rispose vaga Hikage distogliendo un momento gli occhi, poi tornò a guardarla, genuinamente interessata “So che sei stata cresciuta da quell’amazzone giunta con te a corte. Deve averti insegnato molte tecniche interessanti del suo popolo. Sai combattere?”

“Beh, il principe non la pensa così – Akane tornò a guardarsi di sfuggita la mano, poi si strinse nelle spalle – ma non sono tanto incapace quanto lui dice… anche se purtroppo devo ammettere che con lui non avrei alcuna possibilità. E’ molto veloce, ed è forte, anche più di quel che sembra… ed è scaltro! Riesce a capire subito qual è il punto debole del suo avversario e poi lo usa contro di lui! Ma con questo non voglio dire che sia sleale! E’ solo… ecco, è furbo, ma ama le arti marziali. Credo che non ci sia niente che ami di più.

Ancora quello sguardo penetrante che parve attraversare la giovane schiava, scrutandone il volto con attenzione “Lo ami?”

Gli occhi di Akane stavolta si spalancarono tanto da farle quasi male. Il rossore stavolta non si limitò a infuocarle le guance, ma esplose violento sull’intero viso; sentì una morsa serrarle la bocca dello stomaco con tale violenza da impedirle di ribattere subito che no, certo che no! Lei odiava il principe, lo detestava! Come le poteva mai venire in mente una cosa simile?! Era assurdo!

Con orrore si accorse che preziosi secondi passarono prima che trovasse la forza di scuotere il capo con veemenza. Oh numi divini! Una smentita tanto flebile di certo sarebbe sembrata sospetta… Deglutì con forza, riconquistando il fiato sufficiente a rispondere “No. Lo odio. Sperò che risuonasse convincente alle orecchie dell’altra almeno quanto lo era alle proprie.

Batté le palpebre e quasi intimidita ritornò a fissare il volto serio di Hikage. Dalla sua espressione indecifrabile non riuscì a capire se le avesse creduto o meno. “Sei… sei sempre così brutalmente diretta?” le domandò con un briciolo di voce. Non era stata la domanda in sé a sconvolgerla, dopotutto allusioni su lei e Ranma erano frequenti, persino da parte di Obaba che più di una volta scherzosamente le ricordava come il ragazzo fosse in debito di un bacio prescritto dal Codice delle Amazzoni.

Quello che l’aveva sconcertata era la certezza pressoché assoluta che Hikage conoscesse già la risposta a quella domanda. Lei sapeva… forse lo sapeva anche meglio di se stessa.

Akane non era sciocca e già tempo aveva compreso che ciò provava per il suo padrone non poteva definirsi odio, ma capirlo ed ammetterlo non erano la stessa cosa e lei non era pronta ad affrontare la realtà dei fatti. Voleva ancora illudersi che non odiarlo non significasse di per sé amarlo. Poteva chiudere gli occhi e fingere di detestarlo e che magari, continuando a ripeterlo, ciò sarebbe diventata la realtà.

La domanda di Hikage e il suo sguardo tranquillo ed implacabile al tempo stesso l’avevano messa con le spalle al muro, perché, per quanto assurdo potesse essere, lei sapeva… Le era penetrata dentro, nonostante fosse un’estranea. Con un brivido terrorizzato, Akane si chiese se anche per tutti gli altri fosse così facile leggerle dentro, superare le sue barriere e capire quello che ancora lei tentava di nascondere, prima di tutto a sé.

“Non ti chiederò più nulla del genere fino a che non sarai pronta.

La schiava dell’erede al trono aggrottò le sopracciglia: che voleva mai dire una frase tanto enigmatica? Quella Hikage era davvero una persona particolare… Strana, ma proprio per questo interessante. Nonostante l’imbarazzo provato e il disagio, Akane sorrise, contenta ora d’averla avvicinata.

Dentro di lei prepotente nasceva il desiderio di penetrare quel mistero, quella stranezza.

“Hikage, ti va di essere mia amica?”

 

--- --- ---

 

Nessuno gliel’aveva mai chiesto.

E’ strano, il potere che avevano le parole era davvero strano. Sapevano ferire, e questo lo aveva imparato presto; nella sua vita, se pur breve, di parole feroci ce n’erano state tante, troppe fino a che aveva imparato ad ignorarle… o a credere ad esse. Alla fine fanno meno male, le offese, se non le consideri tali.

Ti dicono che sei orribile, ma soffri solo se pensi che non sia vero, perché se sei orribile davvero allora non ti stanno facendo del male, ti stanno solo dicendo la verità. Questo Konatsu, o Hikage come la conoscevano nel palazzo di Augusta, lo aveva imparato presto e la sofferenza per le parole cattive era diventata sempre più sopportabile, fino a quando non aveva più sentito dolore. E non solo quello.

Oramai non provava nulla. Ed era un bene, visto il suo compito. Uccidere e provare dolore non erano una buona accoppiata e lui dopotutto quello era, un assassino privo di sentimento. Privo di cuore: non solo di sentimenti buoni, ma d’ogni tipo di emozione. Freddo. Solo.

Ma le parole avevano anche un altro potere. Quello di coglierti alla sprovvista, di mostrarti una realtà che non si conosce fino a quando questa non si palesa. E questo era accaduto con Akane, quando lei gli aveva chiesto di diventare sua amica: le aveva mostrato che l’amicizia esisteva, anche se lui non la conosceva.

Era strano… e crudele, persino più crudele del non avere sentimenti. Perché ora Konatsu sapeva che l’amicizia esisteva, ma che non gli era permesso provarla… sentirla. Perché era tutta una finzione. Un bugiaLui era una finzione.

Akane aveva chiesto ad Hikage la cameriera di essere sua amica, non a Konatsu, non all’assassino pagato per ucciderla. Non l’aveva avvicinata per quello, non era il calore umano che lui cercava; doveva spiarla, seguire i suoi movimenti e scoprire le sue abitudini affinché potesse compiere il suo lavoro, ma non aveva previsto che lei offrisse amicizia al suo alter ego… Non che questo cambiasse i suoi piani. Avrebbe ucciso Akane, di certo. Occorreva solo aspettare il momento opportuno e poi l’avrebbe fatto, senza alcun rimpianto. Del resto come poteva provare un sentimento che non conosceva? Come l’amicizia che lei gli aveva offerto con tanto slancio.

Aveva annuito, perché sapeva che questo Akane si aspettava da lui, o meglio, da lei. E curioso l’aveva vista sorridere con calore e trasporto.

Era davvero strano il potere delle parole…

 

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Avrebbe tanto voluto dire che era stato un caso, un incidente. Gli sarebbe piaciuto affermare in tutta sincerità che quanto accaduto non fosse frutto di un desiderio inconscio. Ma Konatsu non poteva mentire, non sapeva mentire, persino a se stesso. Nonostante la sua intera vita in quegli ultimi tempi fosse tutta una simulazione, anzi, forse proprio per questo, almeno con se stesso era sincero fino allo spasimo perché altrimenti la finzione sarebbe diventata troppo allettante e gli avrebbe fatto perdere di vista la sua missione: essere Hikage era troppo bello per dimenticare che in realtà lui era un assassino, pagato per uccidere colei che sempre più spazio stava occupando nella sua vita.

Per un po’ aveva persino sospettato di essersi innamorato di Akane. Non era così e il sollievo provato solo in parte aveva alleviato il peso che sempre più greve stava formandosi in lui, in quel posto fino ad allora sconosciuto che altri definivano anima e che lui non aveva mai avuto la percezione di possedere, figurarsi dargli un nome.

No, non amava Akane, ma questo non avrebbe reso più facile l’ucciderla. E poi era accaduto. Lei l’aveva scoperto, parte della messinscena era stata smascherata per quello che poteva sembrare un caso, un incidente… ma Konatsu sapeva che nel profondo di sé, in quel luogo che altri chiamavano anima, aveva desiderato che ciò avvenisse, che lei scoprisse il fatto che in realtà era un uomo.

Non sapeva che Akane era incapace di nuotare, non l’avrebbe mai nemmeno sospettato. Sapeva tante altre cose di lei, cose che lei stessa gli aveva detto o che aveva intuito da solo: sapeva che Akane nascondeva qualcosa, qualcosa di talmente importante che avrebbe sconvolto la sua intera esistenza; sapeva anche che era gentile, nonostante i modi a volte bruschi. Sapeva anche che era innamorata, lei per davvero, del suo padrone e che si ostinava a negarlo. Per paura di non riuscire a reggere la sofferenza.

Il principe probabilmente non l’aveva ancora compreso, troppo confuso dai propri sentimenti sulla giovane schiava per prestare attenzione ad altro. Teneva a lei, questo era fin troppo ovvio, lo si leggeva nel suo sguardo tumultuoso quando si posava su lei, in quegli occhi che la cercavano ovunque quando non era al suo fianco. E più cattive erano le sue parole, più i suoi occhi diventavano ardenti e pieni di desiderio. Desiderare qualcosa che in teoria di appartiene ma che per timidezza non riesci nemmeno a sfiorare… non doveva esser facile per il principe provare emozioni tanto contrastanti.

Ma nonostante avesse appreso e compreso tante cose su Akane, Konatsu ignorava che non sapesse reggersi a galla. Così quando l’aveva vista andare giù, sparire sotto la superficie fredda e scura del lago, per alcuni attoniti istanti era rimasto immobile e guardare quel punto, stupito del fatto che non riaffiorasse. Solo quando le increspature sull’acqua erano sparite, segno che lei non stava più dibattendosi per risalire, si era domandato se per caso la ragazza non stesse affogando.

Si era tuffato nel piccolo lago prima ancora di rispondersi e dopo aver riempito i polmoni della prima aria autunnale, si era inoltrato tra la massa scura e minacciosa dell’acqua melmosa, ma per fortuna non molto profonda. Aveva arrancato alla cieca, fino a quando la sua mano aveva sfiorato qualcosa di soffice e lo aveva attirato a sé, scoprendo con sollievo che si trattava proprio del braccio di Akane. Lottando con la necessità d’aria, Konatsu aveva nuotato verso l’alto, o almeno aveva sperato fosse quella la superficie, seguendo un pallido chiarore.

Riemergendo dall’acqua gelida, aveva respirato a fondo, riempiendo i polmoni contratti e senza perder tempo per osservare la sua zavorra umana, si era diretto alla riva non lontana, accompagnato dalle grida terrorizzate delle altre donne; aveva avuto la fugace visione del volto di Ame sconvolto e rigato dalle lacrime, prima che parecchie mani lo afferrassero e lo trascinassero sul duro terreno. Ansimando, solo a quel punto si era deciso a voltarsi verso Akane e ne aveva notato il colorito pallido, quasi violaceo della pelle e delle labbra. Akane stava morendo…

Come un fulmine, la vecchia Obaba era avanzata dal muro di donne atterrite e un suo dito adunco si era poggiato al centro del petto immobile di Akane, il volto più corrugato del solito, ma, Konatsu l’aveva notato con un altro flotto di sollievo ad inondargli il cuore, non allarmato. E Akane aveva ripreso a respirare, rantolando all’inizio e tossendo via l’acqua che aveva ingoiato, infine aveva aperto gli occhi, lucidi e febbrili per il terrore provato.

Aveva guardato la sua maestra per prima, poi i due occhi color caramello avevano vagato tra i visi delle donne fino a fermarsi su quello di Konatsu e le sue labbra, ora meno pallide, si erano mosse senza emettere alcun suono. A Konatsu era parso di leggere un grazie su quelle labbra silenziose.

Pochi minuti dopo, avvolti in numerosi teli e lasciati soli dietro espresso ordine dell’amazzone, Akane aveva finalmente ritrovato la voce, non per ringraziarlo ancora, ma per domandargli se era un uomo. Konatsu l’aveva guardata, sconcertato e stupito, ma non aveva avuto il coraggio di mentirle. Aveva semplicemente annuito con il capo e aveva abbassato lo sguardo.

“Non so perché tu debba fingerti ciò che non sei, ma non temere, non lo dirò a nessuno” aveva mormorato la ragazza, le mani pallide strette attorno ai lembi dei teli che la avvolgevano nel tentativo di ridarle calore.

“Non vuoi sapere il perché?” le aveva chiesto, quasi desiderando che lo facesse, ma Akane aveva scosso il capo, alcune ciocche le si erano appiccicate al viso. Solo le gote erano accese, risaltando violentemente contro l’incarnato ancora niveo di chi è scampato alla morte.

“No. Non m’importa se sei un uomo in realtà, anzi, perdonami se ti ho costretto a dirmi la verità, ma per me non cambia nulla: sei un’amica… anzi, un amico… e sei colui a cui devo la vita.”

Konatsu aveva battuto le palpebre: solo in quel momento si era reso conto di aver salvato Akane.

Un dolore nuovo e mai provato gli aveva serrato il petto. Rimorso? Forse, non ne aveva mai provato prima. Ma cos’altro poteva dargli tanta sofferenza al pensiero di aver sì salvato la ragazza, solo per poi ucciderla con le proprie mani?

Quasi sarebbe stato meglio lasciarla morire così, lasciandola in un sonno eterno cullata dalle acque del piccolo lago non lontano dal palazzo reale… Ma Obaba non avrebbe permesso che ciò accadesse, si disse il ninja lanciando uno sguardo alla vecchia amazzone, impegnata a raccogliere piccoli ramoscelli per accendere un fuoco. Certo, la maestra avrebbe salvato Akane, perché non ci aveva pensato? Perché si era tuffato in acqua senza considerare che stringendo a sé l’amica, lei avrebbe potuto accorgersi del suo corpo maschile?

Il dubbio che avesse voluto esser scoperto lo tormentò non poco.

 

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Note:

(*)Chin-ssu-ts’ao: nome cinese dell’iperico, pianta conosciuta anche come Erba di San Giovanni. Il suo nome proviene dal latino hypericon, “sotto l’erica”. Varie le proprietà medicamentose che gli si attribuiscono fin dall’antichità: all’epoca delle Crociate, era ritenuto capace di guarire le ferite da spada; nel Settecento è ben noto agli spadaccini il balsamo del cavaliere di San Vittorio, a base di Iperico ed altre erbe, che si diceva guarisse qualsiasi ferita di lama. Tra le virtù dell’iperico si annoverano anche la cura dei morsi di serpenti, nonché l’epilessia. L’olio di Iperico, che viene chiamato “erba da fuoco”, viene ritenuto molto efficace nel caso di ustioni anche gravi. In cucina non è usato per particolari ricette, ma viene invece utilizzato come aromatizzante per liquori e innocuo colorante. Non sono riuscita a trovare il nome giapponese, popolare o meno, dell’iperico, per questo ho optato per quello cinese, anche perché ITMH non è ambientato in Giappone… in effetti si tratta di un mondo immaginario, per cui datemi per buona questa piccola licenza linguistica, please!(fonti varie, per lo più wikipedia.

(**) Hikage in giapponese significa “ombra”.

 

Carla’s corner

Salve gente! Lo so, sono letteralmente sparita dall’etere, nonostante avessi promesso di non farlo… sigh, che dire se non che, naturalmente, mi spiace tantissimo? Odio non mantenere le promesse e anche se qualche scusante ce l’ho, non voglio sottrarmi alle mie responsabilità, per cui se volete scagliarmi addosso pomodori e ortaggi vari, prego, accomodatevi pure.

In segno di buona volontà, ho pensato di postare non uno, ma ben quattro capitoli nuovi in una sola volta: il tanto atteso capitolo 13 di ITMH e i primi tre della nuova fiction, L’Ultimo desiderio (titolo che nel sondaggio proposto tempo fa a stravinto a mani basse). In realtà c’è un motivo valido per questa sbornia, per cui vi prego di non aspettarvi aggiornamenti così sostanziosi tanto spesso ^_^;. Il fatto è che avendo disdetto il mio fornitore ufficiale di internet, tra poco potrei restare senza linea per un po’, motivo per cui ho pensato di inviare tutto il materiale corretto in una sola volta, ma mi raccomando, centellinatelo con cura! Io proverò a non sparire più, ho anche rinnovato il mio abbonamento all’intenet-point che in un recente passato mi ha permesso di non esser tagliata fuori dal mondo virtuale in seguito a varie rotture tecnologiche. Per ora vi auguro buona lettura e vi chiedo ancora scusa.

Ah, dimenticavo: saluto tanto tanto la mia beta, la somma Cri aka Tiger eye, la dolcissima Mikki (hai ripreso il lavoro con i marmocchi?) e coloro che mi hanno commentato sul sito di manganet: vi assicuro che leggo con attenzione tutti i commenti postati, anche quelli per le mie fic più vecchie! Un saluto anche all’ultima arrivata, si fa per dire, cioè Flavia. Dedico questi capitoli a tutti voi che avete avuto la pazienza di aspettarmi e a tutti coloro che con gentilezza mi hanno chiesto che fine ho fatto. Grazie, infinitamente grazie.

Inoltre vorrei precisare che ho pubblicato questo 13° capitolo diITMH senza averlo sottoposto ancora al vaglio della mia fantastica beta. Ho alcuni dubbi in merito a qualcosa, quindi non è escluso che qualcosina potrebbe essere modificata in futuro, ma vi assicuro che non si tratta di cambiamenti che sconvolgeranno la trama, ma solo di scelte per così dire stilistiche. Ancora grazie per l'attenzione!

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