家族 (Kazoku) means family.

di Jawn Dorian
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Let it snow. ***
Capitolo 2: *** Mommy. ***
Capitolo 3: *** You'll be fine with us. ***
Capitolo 4: *** Lady. ***
Capitolo 5: *** Stick and stones. ***
Capitolo 6: *** Why is the strawberry milk gone? ***
Capitolo 7: *** When you cry ***



Capitolo 1
*** Let it snow. ***


 家族 (Kazoku) means family.



 



 
 

Let it snow.



 

 

 
“Aaah, adoro la neve…”

Shinpachi sorseggiò il tè con una certa serenità. Piùttosto giustificata, considerando la consapevolezza di Kagura fuori a giocare nella neve (o più precisamente a rotolarcisi sopra) assieme a Sadaharu.
Aveva già calcolato tutto: tutte le reali possibili fonti di distruzione iperattive erano ad un raggio di distanza accettabile, nulla poteva causare danni. Ma per sicurezza fra un sorso e l’altro dava sempre un’occhiata furtiva a Gintoki, che però era pigramente steso sul divano in dolce compagnia del suo Jump, e non accennava a volersi muovere neppure per andare in bagno.
“Aaaah, adoro la neve…” ripetè l’apprendista samurai, dopo aver fatto un altro lungo sorso di tè.
A Shin la neve piaceva. Si ricordava che quando era piccolo e nevicava suo padre lo prendeva sulle spalle e sua sorella costruiva un enorme pupazzo di neve e giocavano insieme. Insomma, gli procurava ricordi piacevoli e dolci come la bevanda che stava sorseggiando.
“Ehi, Shinpachi. Vai a chiamare quei due mostriciattoli, o si ammaleranno tutti e due.”
Il ragazzino si alzò, un po’ tediato dal fatto di aver ricevuto un ordine manco fosse uno schiavetto, ma intenerito dalle premure semipaterne di Gin celate dietro i suoi soliti modi bruschi.
Aprì la finestra e si affacciò al balcone con naturalezza, finchè non gli balzò in mente di non essere in una situazione facile come credeva.
Aveva dimenticato un dettaglio sostanziale: i capricci di Kagura.
Altro che premure, quel dannato di un Gintoki mandava sempre lui ad affrontare i compiti più ingrati.
 

“Ancora presto per rientrare! Io per niente stanca! E Sadaharu ancora voglia di giocare!”
“Ti ho già detto” ripetè Shin sospirando con aria affranta “che rischi di ammalarti, Kagura…”
“Io no delicatina come te, occhialetto verginella!”
Quello era troppo.  “TACI, MOSTRICIATTOLO ROSA!” urlò il giovane samurai sull’orlo di un declino mentale.
“Adesso basta, Kagura! Entra dentro o ti prenderai un raffreddor-“
Non riuscì a finire la frase.
L’ultima cosa che vide fu il bianco candido della sua adorata neve, poi più nulla.
 

 
“Hai davvero esagerato, mocciosa. Adesso chi ci preparerà la cena?”
“Io ho solo tirato a occhialetto innocua palla di neve.”
“Peccato che la tua ‘innocua palla di neve’ fosse grande quanto Sadaharu, piccola ritardata!”
“Non ho fatto apposta!”
“Dovevi stare più attenta, lo sai che Shinpachi è delicato!”
L’oggetto della questione se ne stava appollaiato sul divano avvolto in una coperta, con un termometro in bocca, una borsa dell’acqua calda sulle gambe e un raffreddore da far spavento.
Non aggiunse nulla alla conversazione, bastò un violento starnuto ad esprimere tutto il suo disappunto.
“Scusa, Shinpachi…” mugolò Kagura, pentita.
Shin tossì due volte, prima di dare un unico segno di vita: “Aaaah, io odio la neve…”
 
Proprio mentre disse quella frase, fuori si mise a nevicare nuovamente.









ANGOLO DI DICCHAN

Scrivo questi capitoli senza senso così, per far sapere al mondo che sì, per me sono la cosa più adorabile del mondo. SI VOGLIONO BENE, SI'! *impazzita*
Chiedo perdono, forse è un po' OOC, ma sono impedita. 
Spero di caricare i prossimi capitoli al più presto che saranno più lunghi e spero anche più divertenti di questo.
Il genere varia un po' da capitolo a capitolo così come forse il rating, ma solo leggermente, non temete: non passo dagli unicorni alle risse sanguinose.
Spero qualcuno abbia la buona volontà di seguirmi in questa idea aberrante.
Al prossimo capitolo, e grazie a chi ha letto!

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Capitolo 2
*** Mommy. ***


 家族 (Kazoku) means family.




 
 
 
Mommy.



 
 
 
 
“Non è veeeero…non può essere, ditemi di no.”
Shinpachi si passò una mano su tutta la faccia.
“Sì, quella fuori è una bufera di neve. Sì, tutte le strade sono bloccate. No, non puoi tornare al dojo. E sì, sei costretto a dormire qui. Bentornato nella realtà. E ora vieni, ti prendo un futon” borbottò pigramente Gintoki, dall’oltre tomba più remoto della sua pigrizia.
Ma nonostante ciò, si alzò comunque per fare strada a Shinpachi.
“Scusa il disturbo, Gin…”
“Non c’è problema. Se domani prepari la colazione siamo pari.”
“Approfittatore” berciò il ragazzino, un po’ irritato per il solito sfruttamento che doveva subire, ma propenso ad accettare l’offerta.

 
Quella notte, Shinpachi fece uno strano sogno. Sognò una donna.
Una donna qualunque. Non era il suo idolo Otsu, non era la sua compagna di avventure Kagura, e nemmeno sua sorella Otae.
Non era nessuna delle donne che conosceva. Anche se effettivamente, sì, gli ricordava sua sorella. Solo un po’.
Era una donna bellissima, e nel sogno gli sorrideva. Non faceva niente di più. Si girò a sorridergli. 
E non sapeva perché, ma per un momento, in quella donna vide sé stesso.

 
Il mattino dopo, com’era prevedibile, Shinpachi si svegliò per primo. Andò in cucina in punta di piedi, riuscendo a non svegliare nemmeno Sadaharu.
E si mise a cucinare.
Certe volte, cioè, quasi tutte, si sentiva ridicolo ad improvvisarsi casalinga.
Ormai sapeva pulire, preparare il tè, fare la spesa, accudire un animale, e cucinare.
Insomma, Shinpachi era la moglie perfetta, e se ne vergognava da morire.
Non poteva sapere che quelle sue doti offrivano una certa soddisfazione…
 

 
Kagura trandugiò la zuppa come se non avesse mangiato da una settimana e la finì in pochi minuti, si pulì le labbra con la manica, e ne chiese ancora. E fu così per qualcosa come otto volte.
Gintoki, che la mattina non aveva mai dimostrato particolare entusiasmo per qualcosa, sembrò particolarmente attratto dalla zuppa e divorò gli onigiri con una velocità inaudita. Solo quando furono finiti lamentò: “La zuppa era un po’ insipida…”
“Se non ti piaceva, potevi non mangiarla” ribattè stizzito Shin. 
“Non ho detto che non mi è piaciuta…”
Sentita quella frase, il volto del ragazzo si illuminò.
“Shinpachi, rimani anche domani a cucinare colazione?” chiese Kagura, super speranzosa.
Shinpachi fece un sorriso, intenerito. A quanto pareva, la sua cucina era piaciuta ai suoi sconsiderati colleghi. Non seppe perché, ma provò un notevole senso di soddisfazione.
“Mmmmh…” fece, con finta aria pensierosa “…anche domani, eh? Vedremo…”

 
 
Quando Gintoki si svegliò il giorno seguente, fu sorpreso di sentire le narici piene di un profumino parecchio invitante, che lo spinse ad alzarsi quasi subito.
Uscito dalla camera, trovò Kagura già seduta al tavolo, trepidante.
Fuori dalla cucina sbucò Shinpachi con la una scodella di riso in una mano e la salsa di soia nell’altra che posizionò accuratamente sulla tavola già apparecchiata.
“ ‘Ngiorno, Gin!” esclamò raggiante Kagura, che si era già messa una buona parte della scodella di riso in bocca.
“Buongiorno, Gintoki! Stavolta ho cercato di rendere la zuppa più saporita” lo salutò Shinpachi, posando la pentola con la zuppa in questione.
Gin non disse nulla. Si grattò la nuca contemplando il soffitto. 
Solo dopo essersi seduto con lentezza, chiese: “Ma hai intenzione di fare la colazione tutte le mattine, tu?”
“Se non ti fa piacere, puoi cacciarmi via…”
“Non ho detto che non mi fa piacere…” così dicendo, si riempì il piatto di zuppa, e prese a mangiarla con gusto.
 
Shinpachi si chiese se la donna che aveva sognato fosse sua madre. 
Non ne era sicuro. Non se la ricordava.
Non si ricordava come fosse avere una mamma, e scommetteva che nemmeno i suoi compagni di lavoro avevano un ricordo vivido.
Non sapeva come cucinasse davvero una madre…come sgridasse, come consolasse, come abbracciasse. 
Non sapeva come facesse una mamma.
Ma sapeva che per Kagura e Gintoki, ecco, poteva diventarlo.






ANGOLO DI DICCHAN

Eh. Eh. Eh.
Vedete? Dal delirio, al diabete. Cambia genere.
Non riesco a fermarmi, ne sto sfornando una dopo l’altra…MI DIVERTO!
Mi scuso di nuovo per il probabile OOC, anch’io ho fatto un semisforzo per renderli teneri a questa maniera.
Oh, se recensite non vi mangio!
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 3
*** You'll be fine with us. ***


家族 (Kazoku) means family.




You'll be fine with us.



 

 
Aveva sentito molte volte dire ‘Non aprire quella porta’.
Ma non gli era mai sembrato così convincente da indurlo a non farlo lui stesso, nonostante ogni mattina ci fosse una sorpresa stravagante all’Agenzia Tuttofare.
Quella mattina, quando avvicinò la mano alla porta scorrevole pronto ad entrare con un sonoro ‘Buongiorno’ che svegliasse i due sfaticati, sentì un brivido lungo la schiena, e la sua coscienza sussurrargli quella frase: ‘Non aprire quella porta’.
I suoi nervi. I suoi nervi fiutavano l’imminente stress che stavano per sopportare.  Le sue narici sentivano odore di disastri (a cui ovviamente lui avrebbe dovuto porre rimedio).
Tutti lo credevano poco incline al pericolo o ai combattimenti, ma in realtà Shinpachi combatteva tutti i giorni contro lo sporco, la muffa, i piatti rotti, il guinzaglio di Sadaharu, i capricci di Kagura, il Jump di Gintoki e le uova di sua sorella Otae.
Aveva oltretutto un sesto senso, un sensazione che si attivava quando avvertiva l’imminente arrivo di un guaio. Era un presentimento assolutamente inestinguibile. Shin era assolutamente convinto che fosse il suo lato di samurai, ma si sbagliava.
Non sapeva che quel suo dono era comunemente chiamato ‘istinto materno’.
Si fece finalmente coraggio, e spalancò la porta dell’Agenzia, con un’ansia inspiegabile ma in qualche modo giustificata.
“Gin? Kagura?”
Li chiamò, tentando di mantenere un contegno serio, ma in realtà era visibilmente agitato.
Non ottenendo risposta, si avventurò per il corridoio con una certa cautela.
“Gintoki?” ripetè, alzando un po’ la voce.
Sbirciò nell’armadio, ma Kagura non era lì a dormire.
La televisione era accesa su un servizio di Ana Ketsuno che parlava delle ultime mode e tendenze in fatto di scarpe secondo gli Amanto.
Spense l’apparecchio, infastidito da quel brusio e si rimise alla ricerca dei suoi colleghi.
Si diresse lentamente in cucina.
Quando aprì la porta, un grido lacerò l’aria.

“COSA DIAVOLO E’ SUCCESSO QUI?!”

Di fronte a Shinpachi si stagliò uno scenario post apocalittico.
La cucina era stata devastata.
Per un attimo pensò ad un ladro di viveri, ma il latte alla fragola versato sul tavolo e i sukombu sparsi sul pavimento resero chiari i colpevoli di quell’orribile misfatto.
Piatti rotti, uova spappolate sul muro, panna ovunque, chili di cacao versati erroneamente sulla credenza.
Lo shock fu tale che Shin si ritrovò seduto per terra.
“Non è possibile…” gridò sull’orlo dell’esasperazione più totale “…quei deficienti, quei cretini! Sono vergognosi, sono senza creanza!”
Si alzò di scatto, mosso dall’impulso di dover ripulire tutto al più presto (ma sapeva che l’avrebbero fatto fare a lui comunque).
Si mise a riordinare tutto più veloce che poteva, strepitando mugolii iracondi privi di senso e concludendo con: “Io prima o poi me ne vado! Prima o poi mi licenzio e li mollo! Perché mi trattano così?! Non starò mai bene qui! Non starò bene con loro!”

Si placò.

Una mano l’afferrò con la delicatezza di un maciste.
Provò a liberarsi dalla stretta, ma si ritrovò inevitabilmente con la nuca appoggiata al petto del suo capo Gintoki, e contro ogni sua aspettativa il braccio del samurai intorno al suo collo non lo stringeva con violenza, ma con una certa delicatezza, anzi, forse con affetto.
“Piantala di frignare come una casalinga disperata” borbottò l’uomo con la solita aria apatica “abbiamo solo provato a farla, ma non ci è uscita affatto bene. Quindi siamo corsi a comprarla.”
“Ma di che…stai parlando?” mormorò Shinpachi senza girarsi e con lo sguardo perso sul devastamento di fronte a sé.
Da dietro la schiena di Gin spuntò allora Kagura, raggiante.
 “Parla di torta! Gin fatto gran casino col frullatore! Noi alla fine comprata!” e mostrò tutta contenta l’acquisto: una torta al cioccolato, ricoperta di panna.
Shinpachi si girò. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma Gin gli fiondò sotto il naso una spada di legno, molto simile alla sua, ma nuova ed infiocchettata.
“Ma cosa…?” sussurrò incredulo il ragazzino.
“Insomma, ci vuole un genio per arrivarci? Sono i tuoi regali, no?”
“Ah, ma…”
“Buon compleanno, Shinpachi”.
Lo mormorarono all’unisono e in maniera così affettuosa che Shin non riuscì proprio a reagire.
“E’ lacrima quella che hai in faccia, quattr’occhi?” domandò provocatoria Kagura, ridacchiando.
“No, no, ma che dici…mi è solo andato qualcosa nell’occhio!” protestò di rimando l'interrogato.
“Non piangere, ora! Taglio torta per tutti!”
Mentre la bambina si mise ad armeggiare con dei coltelli sporchi, Gintoki avvicinò Shinpachi con un segno del capo. Quando il suo allievo si fu cautamente mosso, gli calcò la mano sulla testa a mò di carezza, scompigliandogli i capelli con un gesto vigoroso.
“Piantala di frignare senza sapere quello che dici. Tu starai sempre bene con noi. Perché noi abbiamo bisogno di te.”
 
 
Ci vollero dieci minuti buoni prima che Shinpachi riuscisse finalmente a smettere di piangere. Ma Kagura non lo prese in giro nemmeno un po’, si limitò ad abbracciarlo forte, senza dire una parola.

 




ANGOLO DI DICCHAN

Un po’ OOC.
Non so, forse un po’ tanto.
Scusate la troppa tenerezza, vi assicuro che non lo faccio apposta.
Non c’è problema, tanto non mi fila nessuno! ~

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Capitolo 4
*** Lady. ***


家族 (Kazoku) means family.





Lady.





 
Quando Gintoki si svegliò rimase fermo immobile a fissare il soffitto.
Non riusciva a ricordarsi cosa aveva appena sognato. Si sforzò per un paio di minuti, poi finalmente gli ritornò alla mente che nel suo sogno c’era un enorme gelato con un biscotto. Forse al cioccolato, o forse ai frutti di bosco. E latte alle fragole. Tanto latte alle fragole.
Quel pensiero gli fece venire fame, e finalmente si alzò con lentezza.
Fatto qualche passo verso la porta, riacquistate le facoltà motorie, la capacità di intendere e di volere e riacceso il cervello si fece una domanda: perché Shinpachi non l’aveva svegliato?
Ipotizzò di essersi alzato presto, ma la supposizione fu immediatamente ridotta in briciole da un urlo agghiacciante, evidentemente di Kagura.
“Cosa diavolo…?”
Gin corse fuori dalla stanza, e trovò Shinpachi abbracciato alla porta del bagno, che gridava suppliche o rassicuramenti, ottenendo solo grida disperate sempre peggiori.
La prima cosa a cui pensò fu un forte attacco di diarrea, ma fu costretto a ricredersi non appena Shin gli corse in contro quasi saltandogli addosso in preda al panico.
“Gintoki! Meno male che ti sei svegliato!” esclamò esausto “tieni!” gli mise dei soldi in mano.
Ok, che diavolo stava succedendo? Che doveva farci con quelli? Doveva comprarsi la colazione, vero? Sperò che fosse proprio così.
“Cosa…Shinpachi, ma cosa dovrei…”
Il ragazzino lo fissò visibilmente innervosito.
"Gin, corri, vai in farmacia a prenderli!"
"A prendere cosa? Perchè stai sbraitando così? Perchè Kagura è chiusa in bagno?"
"NON HAI ANCORA CAPITO UN TUBO?! Corri a prenderli"
"MA A PRENDERE COSA, AMEBA CON GLI OCCHIALI!"
"MA GLI ASSORBENTI, RAZZA DI IMBECILLE!"
Calò il gelo. L’unica cosa udibile furono le grida di Kagura.
“Vuoi dire che quella mocciosa…”

“Voglio dire, che adesso non puoi più chiamarla mocciosa.”

Gintoki si volatilizzò. Sfondò la porta per uscire senza nemmeno vestirsi e corse a perdifiato, ma alla cieca.
“FARMACIA FARMACI FARMACIA” era l’unica cosa che riusciva a gridare.
Rovesciò carretti, urtò vecchiette, calciò gatti che attraversavano la strada, investì bambini che giocavano a campana.
Farmacia. Ora. Subito.
 


 
“Kagura, ti prego, stai calma, va tutto bene!”
“PER NIENTE! TU NON SAI!”
Shinpachi si morse il labbro.
Pensandoci, la madre di Kagura era morta tempo prima, e certamente nessuno le aveva spiegato che le femminucce ad una certa età cominciano ad avere il ciclo. Kagura non era certo una ragazzina che si faceva impressionare dalla vista del sangue, ma in quel caso…
Lui era un ragazzo, e per quanto riusciva a ricordare sua sorella era riuscita ad affrontare il problema come se non esistesse.
“Kagura, ti prego, stai calma. Succede a tutte le donne!”
“Cambiato idea! Non voglio essere donna! Voglio restare sempre poppante!” strepitò la piccola Yato dando dei calci alla porta.  
“Ascoltami…succede solo per poco, ok? Solo una volta al mese…”
“VAI VIA! Fa male la pancia, non lo sopporto!” rincarò lei, con gli occhi pieni di lacrime.
Shin si accasciò a terra, passandosi una mano sulla faccia, esasperato.
Non sapeva come fare. Avrebbe voluto aiutarla ma era un maschio. In casa purtroppo non c’era nessuno per darle conforto.

“Vedo che c’è una tragedia in corso, eh?”

Il ragazzo alzò lo sguardo. Una figura di donna coronata di luce, come un angelo, gli stava davanti. Porse la mano in avanti.
Un'apparizione. Finalmente, finalmente la luce, LA SALVEZZA!

Poi si sistemò gli occhiali.

“OTOSE?”
“Levati  di mezzo, ragazzino. Qui la situazione è più grave di quel che sembra…” la donna si scrocchiò le mani. Shinpachi sgusciò via spaventato, facendole spazio.
Non disse nulla, si limitò ad aprire la porta del bagno, quasi sfondando la serratura, e se la chiuse alle spalle.
All’inizio si sentirono dei rumori aberranti, come di lotta fra un uomo e una bestia feroce, poi un pianto, poi dei colpi, qualche lamento, e infine il silenzio tombale.
Intanto Gintoki rientrò in casa trafelato.
“Li ho trovati!” urlò trionfante porgendo il pacchetto a Shinpachi che aprì solo leggermente la porta del bagno per buttarceli dentro, come quando si deve dare la carne ad un giaguaro.
 
 

Otose uscì dieci minuti dopo, con la non-più-mocciosa sotto braccio, che non piangeva ma era imbronciata come non mai.
“Kagura, come ti senti?” si informò subito Shinpachi.
“Io…molta voglia di cioccolato, non so perché” rispose lei, tirando su col naso.
Gintoki sorrise: “Bene, andiamo tutti a prenderci un gelato, allora?”
Finalmente il visetto di Kagura si illuminò.
 


Sulla via del ritorno Gintoki, gustandosi il suo gelato, si chiese come avesse fatto a non accorgersi di quanto Kagura e Shinpachi crescevano in fretta. Era ormai molto tempo che loro tre stavano insieme, eppure a Gin sembrava fosse passato pochissimo da quando aveva incontrato Shinpachi in quel bar e da quando aveva investito accidentalmente Kagura.
Quanto crescevano in fretta. Mentre lui ora poteva solo invecchiare...
“Kagura, ma che combini?! Non puoi dare il gelato a Sadaharu, gli farà male!”
“Zitto, occhialetto! Ora io signorina e so quello che faccio!”
L’argenteo sospirò. Come non detto, non sarebbero mai cresciuti.
Andò a fare da semipacere fra i due prima che esplodesse il finimondo: “Insomma, basta con questo casino, mi farete passare l’appetito!”
E così dicendo, divorò una buona parte di gelato.
 
Ok, no. La verità era che nemmeno lui sarebbe mai cresciuto.



ANGOLO DI DICCHAN

GENTE CHE MI SEGUE! YU-UH! ♫
Benvenuti nell'era di Fluff ingiustificato e Virgole arrrrrrrrrandom. 
Well, grazie delle poche recensioni, vi amo, sì. *inserire cuori qui*
Non so che dire. Questo capitolo lo odio.
Non scherzo. Mi fa proprio schifo. 
Non fa ridere, non fa piangere, non fa...non fa niente, gente, niente.
Vabbè, mi volete bene lo stesso, vero? VERO?

 

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Capitolo 5
*** Stick and stones. ***


家族 (Kazoku) means family.




Stick and stones.

 



“MA CHE DIAVOLO TI E’ SUCCESSO?!”
Shinpachi urlava in media qualcosa come una cinquantina di volte al giorno. Ma non era colpa sua, dannazione, se lavorava in una gabbia di matti. 
Era sicuro che i vicini avessero sentito quel suo grido tremendo, ma non potè fare a meno di gridare come un forsennato quando Kagura si presentò in casa piena di lividi e ferite e lo salutò come se nulla fosse.
“Piantala di fare esaurito. Io giocato con nano da giardino sadico”
“Nano sadico…sarebbe Okita?”  chiese il ragazzo, non riuscendo a non allarmarsi “e a che diavolo di gioco avete giocato per ridurti così?”
Kagura ghignò compiaciuta.
“Oh, se vedi com’è ridotto lui…” si mise un dito nel naso, soddisfatta “noi giocato a tirarci sassi e bastoncini”
“Wow, bel gioco!” sbraitò ironico Shin, trascinando la malandata sul divano per poi tirare fuori cerotti e disinfettante.
Si chinò sul volto della piccola Yato, cercando di medicarla delicatamente e come meglio poteva, e nonostante il disinfettante bruciasse sulle ferite, lei non emise un verso, né un suono, né si mosse di un millimetro.
Solo quando ebbe concluso l’operazione , l’ebbe incerottata per bene e fece per andarsene, si sentì tirare per la manica.
Si girò a guardare.
La bambina piangeva disperata.
“AH! Ti ho fatto male?!” chiese Shinpachi sorpreso “Okita ti ha colpito davvero così forte?!”
Kagura fece segno di no.
“Ma allora perché piangi?”
Domandò, tentando di calmarsi, e assunse l’aria più rassicurante che poteva, sedendole vicino.
Allora lei alzò piano la testa. Mostrò il viso arrossato, le lacrime traboccanti e il moccio al naso come una vera bimba indifesa quale non era.
“Sadico scemo ha detto che sono brutta e nessuno mi sposerà mai…” singhiozzò.
Shinpachi schioccò la lingua, e rimase amareggiato perfino lui da quelle parole, non sapendo bene come porre rimedio.
Che frase crudele da dire a una ragazza…non c’era da stupirsi se perfino Kagura ne era rimasta ferita, anche se aveva cercato di nasconderlo. Okita era davvero un sadico.
“Ma no, sicuramente…” cominciò, sistemandosi gli occhiali “…ti fa i dispetti perché gli piaci, ecco!”
“Sì, come no...” mugolò la ragazzina “quel scemo mi odia…e nessuno mi sposerà mai!” concluse, con una tragicità infondata, che aveva un qualcosa di comico.
Shinpachi lo riconobbe, il dolore di Kagura. Un dolore diverso dai lividi e dalle ferite.
Il dolore delle parole.
‘Bastoni e sassi possono romperti le ossa, ma le parole non ti faranno mai male’, gli diceva sempre sua sorella da piccolo.

Strano come fosse una grande bugia.
Strano come le parole ferissero Kagura e la facessero piangere, mentre bastoni e sassi non l’avevano minimamente turbata.
Strano, strano davvero, come a lui fosse sempre successo lo stesso.

“Kagura” riprovò, mosso da tenerezza “non è vero che non ti sposerai mai…tu sei molto carina” aggiunse, sicuro di quello che diceva.
“Davvero? Tu sicuro o dici per consolare?”
“Sono sicurissimo” continuò annuendo “solo perché sei diversa non vuol dire che sei brutta. Hai dei bellissimi occhi che hanno il colore del cielo.”
“Sul serio loro belli?” domandò Kagura, indicandosi gli occhi ormai quasi privi di lacrime.
“Certo che sono belli!” sorrise Shin, e le accarezzò la testa affettuosamente, senza neppure rendersene conto.
Le lacrime svanirono dal volto della piccola, che si alzò raggiante, illuminata da quella nuova scoperta.
Sgambettò eccitata fino a Sadaharu “Vedi, Sadaharu? Io occhi belli! Colore del cielo!” esclamò contenta, ignorando il musetto del cucciolo che la scrutava interrogativo.
Fece il suo ingresso in casa Gintoki, che vista la scena assurda fece una smorfia e si buttò sul divano di fianco a Shinpachi.
“Che sta combinando? E dove si è ferita così?”
“Pare che lei e Okita si siano tirati sassi e bastoni…”
“Oh” fece il samurai, senza la minima reazione.
“E pare” continuò Shinpachi “che Okita le abbia detto che è brutta e non si sposerà mai…”
L’argenteo si stava grattando la pancia, ma si fermò.
“Quel moccioso sadico ha solo da provarci di nuovo, e gli farò vedere cosa vuol dire far soffrire veramente qualcuno.”

 
Nonostante quella frase fosse stata proclamata con la solita apatia tipica di Gintoki, Shinpachi non potè fare a meno di sorridere, fissando Kagura accoccolata a Sadaharu, che diventava davvero ogni giorno più carina.





ANGOLO DI DICCHAN

Questa non so come mi sia uscita. Penso sia quella che mi è venuta meglio.
O forse no. Forse questa è veramente troppo OOC e devo andare a seppelirmi viva.
Carissimi, questa era l'ultima """""""""""perla""""""""""" che avevo pronta, purtroppo...per sfornarne altre ci vorrà un po' di tempo, spero abbiate un po' di pazienza.
Grazie per le recensioni, siete troppo buoni con me!

Dormo poggiata su un tavolino , non sono un criceto, nè un canarino. ♫
...Ho il cervello più piccolo.
 

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Capitolo 6
*** Why is the strawberry milk gone? ***


家族(Kazoku) means family.





Why is the strawberry milk gone?






Era arrivato al lavoro felice e tranquillo, quella mattina.
Certo, era una cosa piùttosto insolita. Per cui tentiamo di spiegare il perchè.
Shinpachi, quella mattina, era arrivato al lavoro felice e tranquillo per un semplice motivo: da quando si era alzato poche ore prima, la giornata aveva preso una piega estremamente normale, come non gli succedeva da secoli.
Si era svegliato, il sole era alto nel cielo, gli uccellini cinguettavano, le uova di sua sorella erano venute quasi mangiabili, era riuscito a prendere qualcosina in più per la spesa, risparmiando tutta via a sufficienza per poter comprare il nuovo CD di Otsu "Tua madre non è latte di soia, è latte di vacca" ,di prossima uscita. 
Arrivando alla Yoruzuya, non gli era successo niente di strano: non incontrò nessun membro della Shinsengumi impazzito, nessun inseguimento, nessuna esplosione anomala, nessun interrogatorio, nessun bazooka, nessuna katana puntata in faccia, nessun amanto con strane intenzioni. 
Niente di niente.
Ecco perchè, Shinpachi era arrivato al lavoro felice e tranquillo, quella mattina.

Per cui, potrete di certo immaginare il suo stato d'animo una volta capito che -tanto per cambiare- Gintoki aveva un problema.
Lo scenario che gli si parò davanti abbattè il suo buon umore, come fa un bastardo col primo amore di una ragazzina innocente: Gintoki in posizione fetale in un angolino, bava alla bocca, nervo sul collo pulsante, occhi gonfi di lacrime e...in mutande, senza pantaloni.
"Oh, magnifico" sbuffò il ragazzino, abbattuto (ma non sorpreso).
"Kagura, che diavolo è successo, questa volta?"
"Oh, io non so. Stamattina si è svegliato presto, corso fuori, poi quando tornato era in queste concessioni."
"Condizioni, Kagura...condizioni."
Sospirando, Shin si accovacciò di fianco a Gintoki.
"Gin, tanto per cominciare, ti rimetteresti i pantaloni?"
"Agonia" questa fu la risposta del samurai "dolore, sofferenza...agonia."
"Cosa cavolo stai blaterando?"
"Ieri, sai...morivo dalla voglia di latte alla fragola..."
"Sì?"
"Ma il super mercato dove lo prendevo di solito...era chiuso..."
"Mh-mh?"
"Allora sono andato a dormire, sapendo che stamattina l'avrei bevuto. Oh, sì, avrei posato le labbra su quella squisitezza...
Allora stammattina mi sono svegliato presto, sono andato al supermercato presto..."
"E sei tornato in brutte concessioni!" lo interruppe Kagura bruscamente.
Gintoki voltò lo sguardo, resettando ogni cosa.
"Agonia...dolore, sofferenza...agonia" ripartì, come un disco rotto.
"Ma, Gin..."
"Ieri, sai...morivo dalla voglia di latte alla fragola..."
"Ma questo me l'hai già..."
"Ma il super mercato dove lo prendevo di solito...era chiuso..."
"Oh santo..."
"Allora sono andato a dormire, sapendo che stamattina l'avrei bevuto. Oh, sì, avrei posato le labbra su quella squisitezza...
Allora stammattina mi sono svegliato prest-"
"E poi tu tornato e tolto pantaloni!" lo interruppe nuovamente la piccola Yato. Shinpachi si girò, lentamente. Sperò con tutto il cuore che il samurai non ricominciasse con la nenia.
"Agonia...dolore, sofferenza...agonia" 
"Non ci credo..." a Shin venne quasi da piangere.
"Ieri, sai...morivo dalla voglia di latte alla fragola..."
"Gin, guarda che..."
"Ma il super mercato dove lo prendevo di solito...era chiuso..."
"Gin..."
"Allora sono andato a dormire, sapendo che stamattina l'avrei bevuto. Oh, sì, avrei posato le labbra su quella squisitezza...
Allora stammattina mi sono svegliat-"
"E dopo ti sei messo lì per terr-"
"KAGURA, PER L'AMOR DEL CIELO, LASCIALO FINIRE!"

Dopo tre quarti d'ora, finalmente, si riuscì a raggiungere il nocciolo della questione.
"...Allora sono andato a dormire, sapendo che stamattina l'avrei bevuto. Oh, sì, avrei posato le labbra su quella squisitezza...
Allora stammattina mi sono svegliato presto, sono andato al supermercato presto...era finito, Shinpachi, era finito. E con finito intendo che non lo vendono più. Con 'non lo vendono più' intendo che non ne vedrò mai più neppure una goccia, mai più."
Shinpachi lo fissò però un paio di minuti durante il quale rimuginò seriamente sull'idea di licenziarsi in quel momento stesso e andare a lavorare in un qualsiasi altro posto. Un posto qualunque gli andava bene, anche un lurido fast food, anche una fabbrica di vasi da notte. In quel momento ogni luogo sarebbe stato migliore di quella dannata Agenzia Tuttofare. Se lui fosse stato un'altra persona, una persona senza i nervi saldi, una persona poco più violenta, quel posto avrebbe già preso fuoco da un pezzo, ne era sicuro.
Nel frattempo, Gintoki si era posato sull'altro fianco, mostrando il viso distrutto dalla sofferenza della terribile perdita.
"...Perchè il latte alla fragola se n'è andato?"
"Uno, perchè a volte succede che quando un prodotto in un supermercato non è molto richiesto, viene tolto dagli scaffali.
E due, non hai pensato nemmeno lontanamente che magari se non lo vendono più in quel supermercato, lo venderanno comunque in quello in fondo alla strada?"
"...ma perchè il latte alla fragola se n'è andato?"
Il ragazzino non rispose. Si passò una mano lungo tutta la faccia, chiedendosi ancora una volta cosa diavolo avesse fatto di male nella sua vita per meritare di avere a che fare con un simile deficiente, per poi alzarsi e raggiungere la cucina, dove aveva posato il sacchetto della spesa.
Vi frugò per un attimo, tornando poi con in mano una confezione di latte alla fragola. Da sei.
A Gin tornò un'improvvisa voglia di mettersi i pantaloni.
"Ma...come...?"
"Te l'ho detto: non lo vendono più solo nel supermercato qui vicino. In quello infondo alla strada invece ce n'è ancora in abbondanza."

Quando Shin vide l'argenteo piombargli addosso, pensò per un attimo che volesse abbracciarlo.
Invece Gin abbracciò il latte alla fragola, e -nonostante i ripetuti rimproveri dei suoi collaboratori- non dava alcun segno di voler smettere.




ANGOLO DI DICCHAN

Mio caro Jack Sparrow, anzi, Capitan Jack Sparrow, come può ben notare in questo capitolo c'è un dialogo che la cita parecchio...
Scherzi a parte, mia cugina di tredici anni fissata con Johnny Depp è partita la settimana scorsa e ho scoperto che già mi manca...questo è in suo onore.
Che dire, non so se ritenermi soddisfatta o no di questo capitolo...l'ho scritto parecchio di getto, presa dall'ispirazione che credevo sepolta in un angolo remoto del mio cervellino inesistente. Cominciavo a temere che nella mia scatola cranica ormai ci fossero solo cereali Nesquick...
Il punto in cui Gin comincia a ripetere le cose se interrotto, è ispirato ad un dialogo realmente avvenuto tra tre miei amici. Stavo letteralmente lacrimando dal ridere a quella scena, e mi e sembrato carino sfruttare questi quadretti della mia vita quotidiana. <3
Ringrazio infinitamente 
LaKraff44 che dal nulla mia ha recensito proprio quando pensavo che questa fic fosse stata dimenticata dal mondo.
Grazie mille, spero che con questo capitolo vada un po' meglio!

Insomma, sono di nuovo in pista...spero, deh. Alla prossima!


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Capitolo 7
*** When you cry ***


 家族 (Kazoku) means family.



 



 
 

When you cry
 

 




Era un soleggiato pomeriggio domenicale, uno di quelli in cui hai dormito tutta la mattina e ti ritrovi rintronato il pomeriggio.
Uno di quelli noiosi, in cui il tempo non passa mai.
O almeno era così per Kagura, che dopo pranzo era uscita fuori non trovando nessuno con cui giocare.
Aveva gironzolato un po’, e aveva visto quel Madao di Hasegawa stravaccato sulla solita panchina.
Si era seduta vicino a lui, e finì per passare un pomeriggio all’insegna dei ricordi di un vecchio inutile, che però per lei avevano un non so che di esilarante, e in un certo senso li apprezzava, per cui rimase ad ascoltarli tutti.
Finchè fuori dal parco non notò i soliti ragazzini con cui condivideva lunghe ore di gioco e di risse (ma sopratutto di risse).
C'era un vero e proprio marasma di bambini che sembravano parecchio impegnati, tanto che nessuno di loro fece caso alla piccola Yato, che li raggiunse correndo.
"Che combinate?" chiese, osservandoli attenta.
Uno di loro si fece avanti, mostrando a Kagura un mazzo di fiori piùttosto modesto, ma comunque molto bello.
"Che belli! Tu vai a dichiararti raggazza che ti piace?"
"Ma no!" la interruppe l'altro con un risolino imbarazzato "E' la festa della mamma, Kagura. Raccogliamo i regali per le nostre mamme."
Sul volto della ragazzina proruppe un'espressione dispettosa, dovuta più all'invidia che ad altro.
"Ah, sì? Che festa stupida. Molto più divertente giocare a calcia il barattolo."
Un altro ragazzino intervenne: "Lasciala stare, Yasu. Lei non può capire, non ce l'ha la mamma!"
Continuò poi sprezzante: "Dice così solo perchè è invidiosa!"
Kagura, percependo l'ostilità, prese immediatamente la cosa come una sfida.
"E invece sì che ho mamma, stupido!"
"Ah sì, e com'è? Io non l'ho mai vista!"
La bambina si zittì, provò a biascicare qualcosa, ma fu tutto inutile.
"Lo vedi? Non ne sai niente di mamme, tu! La mamma ti fa da mangiare, si preoccupa per te, e ti consola quando piangi.”
Il pallido visetto di Kagura si illuminò tutto d’un colpo.
“Ma allora io ho mamma!”
Il bulletto però non ebbe pietà, e giratosi berciò: “Sì, come no. Non ti crede nessuno.”
Non insistette oltre.
Girò i tacchi e se ne andò lentamente, gonfiando le guance a mo’ di capriccio.
 
La sua mamma vera era durata decisamente poco nella sua vita, ed averne un ricordo limpido non era semplice per lei.
Eppure, qualcuno che le cucinava, che si preoccupava per lei e la consolava quando piangeva c’era.
 
Arrivò alla Yoruzuya quasi trascinandosi. Stanca del nulla, svuotata, con tanta voglia di piangere ma l’impossibilità di farlo.
“Bentornata, Kagura!”
Alzò appena lo sguardo, trovandosi di fronte Shinpachi con tanto di gembriulino da cucina sporco, degno della più disperata delle casalinghe.
Esplose a ridere.
“Tu proprio femminile, occhialetto!”
Come al solito le guance si Shin si arrossarono dalla rabbia “STO CUCINANDO ANCHE PER TE, INGRATA!”
Non rispose. Lasciò libero un sorrisetto soddisfatto.
Un attimo prima era così svuotata, ed ora si sentiva piena. Piena di quell’odore di cucinato, di quel calore, e di quelle risate suscitate da una simile visione.
“Che c’è per cena?”
“Zuppa e Onigiri.”
“Ancora? Cucini quasi sempre stessa cosa!”
“Non abbiamo soldi per permetterci altro.”
La mamma ti fa da mangiare.
“Sei stata al parco? Mi sono preoccupato, Sadaharu è rimasto qui! La prossima volta quando esci  lasciami un biglietto, almeno so dove sei!”
“Tu signorina ansiosa…così ti cadranno tutti i capelli.”
“Piantala di fare la maleducata! E io che mi preoccupo per te…”
La mamma si preoccupa per te.
“Mi piacerebbe sapere dove cavolo si è cacciato quel cretino di Gintoki! Oggi la vecchia Otose è arrivata per ben due volte a reclamare l’affitto. Se va avanti così ci faremo cacciare di casa. E ora che ci penso io non ho avuto nemmeno un centesimo del mio stipendio da quando-
Kagura? Che…che ti prende, perché piangi? Ehi, ehi…non…non fare così, dai, siediti! Ti porto un bicchiere d’acqua? Dai…adesso aspettiamo Gin e mangiamo tutti insieme e ci racconti, eh?”
La mamma ti consola quando piangi.
 
Kagura sapeva per certo che niente le avrebbe mai potuto ridare la sua vera mamma.
Ma sapeva anche di essere in gamba e di sapersi accontentare.
Per cui, perché non accontentarsi di quella mamma lì?
Smise di farsi domande.
Si fiondò tra le braccia di Shinpachi, lasciandosi stringere in modo un po’ goffo e imbarazzato, ma comunque degno di una mamma vera.
“Tu proprio femminile, occhialetto.”
 
 



ANGOLO DI DICCHAN
E allora dacci dacci dentro con la tenerezzaaa! ♫
E-ehm. Scusate. Ciuchino Rules.
Torniamo in noi.
Io penso che ormai chi mi segue abbia capito fin troppo bene che per me Shin è la mamma. Questo è il secondo capitolo che ci faccio su. Sto diventando ripetitiva, sopprimetemi.
Non temete, il prossimo capitolo sarà più cazzone.
Scusate la dose massiccia di fluff, ma ormai lo sapete come sono fatta, non posso vivere senza, è il sale della mia vita.
Spero che qualcuno l’abbia apprezzato, però.
Alla prossima! <3

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