A CHANGE IN A FLASH INSTANT

di ELY215
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


"Ashley,alzati,sono le sette!" era un lunedì mattina di metà settembre e mia madre urlava nel tentativo di svegliarmi.
Di malavoglia mi alzai e presi dal mio armadio una minigonna di jeans,una maglietta a mezze maniche, delle ballerine e mi infilai nel bagno.
Mi guardai allo specchio, i miei capelli erano decisamente troppo arruffati quindi decisi di raccoglierli in una coda alta.
"Oh finalmente sei scesa!Vuoi arrivare in ritardo il primo giorno di scuola?"
"Ciao cuginetta!" disse una voce dietro di me che non avrei potuto confondere con altre,mi voltai e vidi quel ragazzo con cui ero cresciuta, con cui avevo passato molte estati in Italia, la mia mente si riempì di immagini: il mare, le tavolate con i parenti, le merende preparate dalla nonna e i due cugini inseparabili che ne combinavano di tutti i colori.
“Pensavo che tu avessi il volo per Roma!”
“Ho deciso di passare questo semestre nella tua scuola! Sorpresa!”
I suoi occhi azzurri sorrisero insieme alla sua bocca e non potei fare a meno di sorridere a mia volta.
Così, dopo aver salutato mia mamma salimmo sulla sua BMW e ci avviammo verso la scuola.
Il sole splendeva nel cielo e l’aria ancora tiepida che entrava dal finestrino aperto mi accarezzava la pelle.
Il “piede pesante” di mio cugino ci fece arrivare in breve tempo a scuola, dove mi aspettava la mia migliore amica Veronica nonchè la ragazza che aveva rubato il cuore a mio cugino.
Si erano piaciuti dal primo momento, l’avevo capito dai loro sguardi, ma non si erano mai dichiarati, pur avendo avuto molte occasioni.
Appena scesi dalla macchina la mia amica ci venne incontro
“Ehi Ash, visto che bella sorpresa?”
“Tu lo sapevi?”
“Ovvio!” mi fece l’occhiolino, forse qualcosa stava per accadere tra loro e avevo bisogno di ottere più informazioni quindi, dopo aver indirizzato mio cugino verso la sua aula, presi Veronica da parte e la costrinsi a raccontarmi tutto.
Era una cosa programmata dall’inizio dell’estate, lei aveva avuto la brillante idea di far rimanere Luca per un semestre e ovviamente lui non aveva avuto obiezioni. La giornata procedeva sempre meglio, ero soddisfatta.
Un semestre intero passato insieme avrebbe potuto cambiare molte cose tra loro, quelle cose che non erano cambiate durante l’estate.
Non era il primo anno che Luca passava da noi, ma è stato l’anno in cui noi tre avevamo passato i momenti migliori, tre buoni amici, anche se spesso mi sentivo di troppo e probabilmente era quello il motivo che impediva alle due persone a cui più volevo bene di creare un vero rapporto tra di loro, un rapporto di cui io non dovevo far parte. Entrambi però, non capivano che per me sarebbe stata una gran cosa vederli insieme e felici.
Terminate le lezioni, io, Luca e Veronica decidemmo di andare a vedere un film a casa mia dato che sarebbe stata libera per tutta la sera e i due giorni seguenti, i miei genitori erano in viaggio per lavoro all’estero, cosa che succedeva spesso e che adoravo, quando loro non c’erano la mia migliore amica soggiornava da me per non farmi stare a casa da sola.
Appena arrivati nel salone, mio cugino accese il televisore e il lettore dvd e Veronica iniziò a cercare un film che potesse piacere a tutti.
“Vado a preparare i pop corn!” esclamai e mi diressi in cucina,dove poco dopo mi raggiunse la mia amica
“Ti dispiace se vediamo il film un altro giorno?”
“Chè è successo?” Sussurai
“Mi ha baciata!”
Rimasi a bocca aperta, era successo finalmente quello che entrambi aspettavano da molto tempo
“Vai pure! Però stasera esigo una chiamata!” le diedi un bacio sulla guancia e la guardai mentre usciva.
Ero rimasta sola. Io, dei pop corn e un mancato film. Accesi la tv e iniziai a fare zapping, ovviamente non c’era nulla di interessante quindi decisi di mettere un po’ di buona musica in sottofondo e mangiare il contenuto della mia ciotola.
Stravaccata sul divano finii per addormentarmi.
Venni svegliata da dei rumori, non feci in tempo ad alzarmi che due braccia mi avevano già bloccata, una presa forte, soffocante. Una mano sulla bocca.
“Zitta!”
Il terrore si impossessò di me, cercavo di liberarmi da quella morsa senza però riuscirci. Iniziai a tremare a chiedermi chi ci potesse essere alle mie spalle e le sue intenzioni quali fossero cosi che i peggiori pensieri attraversarono la mia mente. L’uomo improvvisamente gridò “Abbiamo un problema!”
Ci fu un attimo di silenzio e poi un suono di passi che veloci si avvicinavano. Il mio cuore stava esplodendo, le lacrime iniziarono a scendere lungo le mie guance fino ad arrivare alla mano che la persona dietro di me mi teneva sulla bocca.
All’improvviso, un uomo incappucciato mi apparve davanti
“Ma non era uscita di casa?” disse, rimasi sorpresa dalla sua voce che sembrava essere giovane
“Non so, hai trovato quello di cui abbiamo bisogno?”
“No, ho cercato ovunque!”
“Beh, adesso abbiamo lei!”
“Ma…”
“Niente ma!” poi si rivolse a me “Muoviti!” e mi trascinò nel giardino dove era parcheggiato il furgone del nostro giardiniere, aprì il portellone e vidi Frank, il nostro giardiniere steso sul retro con del sangue sulla fronte, ebbi un sussulto. L’uomo col cappuccio lo tirò giù dal furgone e lo mise seduto, appoggiato al muro esterno della casa. Il tizio alle mie spalle allora, puntandomi un coltello sulla schiena, mi fece salire sul retro del mezzo e ordinò all’altro
“Tu stai dietro con lei, io sto davanti! Tieni questi!” e gli porse il coltello e una torcia che lui subito accese. Lui salì e il portellone venne chiuso alle sue spalle.
La torcia era l’unica fonte di luce. L’uomo mi fece sedere e si posizionò dietro di me. Mi accarezzò i capelli, d’istinto cercai di allontanarmi, ma lui mi cinse la vita e mi riportò nella posizione iniziale. Nuove lacrime iniziarono a inumidire il mio viso
“Tranquilla, non ti succederà nulla!” mi sussurrò all’improvviso
“Frank è morto?” gli chiesi tutto d’un fiato, e nell’attesa della sua risposta trattenni il respiro
“Il giardiniere? Starà bene!” lasciai uscire tutta l’aria accumulata e ripresi a respirare regolarmente
“Come mai eri in casa? Ti abbiamo vista uscire con il ragazzo!” aggiunse
“Non ero io”
“E chi era?”
“Un’amica” Più volte avevano scambiato Veronica per me, avevamo i lineamenti e la corporatura molto simili, ma non avevo mai pensato di trovarmi in una situazione del genere grazie a questa somiglianza.
“Sei Ashley, giusto?” annuii
“Voltati!” appoggiando le mani sulle pareti del furgone mi voltai piano, e, nel mentre vidi nella penombra un rastrello che subito,senza pensarci troppo, afferrai e puntai contro il ragazzo
“Cosa diavolo stai facendo?”
“Lasciami andare!” la mia voce apparve stridula e il mio respiro si fece più irregolare
“Non posso, mi dispiace!”
Una curva improvvisa mi fece cadere all’indietro e il mio rapitore colse l’occasione per disarmarmi. Ero sdraiata e lui si trovava a cavalcioni sopra di me e con le mani mi bloccava i polsi.
“Tutto bene là dietro?” chiese l’individuo che stava seduto davanti
“Sì, non ti preoccupare!” gridò voltandosi verso la finestrella oscurata che dava sulla cabina del guidatore, poi tornò a me
“Non farlo mai più!” sussurrò “Non voglio farti del male!”
“E allora perché mi fai questo?”
Non rispose, mi tirò su e mi mise a sedere poi fece lo stesso e si posizionò davanti a me.
“Ti prometto che non ti succederà nulla!”
“Come potrei crederti, hai una maschera per nascondere la tua identità e un coltello tra le mani!”
“Poco fa ho avuto l’occasione di ucciderti e non l’ho fatto!”
“Probabilmente perché hai bisogno di me!”
All’improvviso fece un gesto che non mi sarei mai aspettata, si sfilò il passamontagna lasciando scoperto il suo viso.
I suoi occhi color ghiaccio, i suoi capelli biondo cenere leggermente scompigliati, i suoi zigomi, la sua bocca perfetta mi lasciarono a bocca aperta.
“Ora ti fidi?”
Non risposi.
“Io mi chiamo David e non ho intenzione di farti del male! Credimi!”
L’intensità del suo sguardo mi obbligò a guardare altrove.
“Dove mi portate?”
“Non posso dirtelo!”
In quel momento il furgone si fermò e un brivido attraversò tutto il mio corpo.
David , che nel frattempo si era rimesso il passamontagna, si avvicinò a me e mi mise una fascia sugli occhi
“Che stai facendo?”
“Shh!”
Il portellone venne aperto, una sensazione di freddo invase il mio corpo, ma subito fui trascinata in un altro luogo, più caldo, dove mi venne tolta la benda dagli occhi. Era una stanza senza finestre,spoglia, con un letto, una scrivania e una valigia sul pavimento.
“Stai qui!”
La porta venne chiusa alle mie spalle e rimasi sola.
Subito iniziai a cercare qualcosa con cui potermi difendere, sebbene le parole di David mi avessero un minimo tranquillizzata, volevo sentirmi più sicura. Guardai sotto il letto, aprii tutti i cassetti della scrivania e la valigia ma non trovai altro che pennarelli in una e vestiti nell’altra.
Allora mi sedetti in un angolo della stanza, per terra, esattamente dalla parte opposta alla porta e rimasi raggomitolata per un tempo che mi sembrava interminabile e, più tempo avevo a disposizione per pensare, più la paura si impadroniva di me, fino a divorare totalmente quel senso di semisicurezza che mi aveva trasmesso David. Infine la porta si spalancò, era David.
“Cosa ci fai seduta lì per terra? C’è il letto!”
“Voglio stare qua!”
“Come vuoi… siamo rimasti soli, gli altri sono andati via!”
“Quindi mi lascerai tornare a casa?”
“No, non posso!”
“Allora perché me lo fai credere? Ti prendi gioco di me?”
Mi venne incontro e mi tirò su di peso, poi mi costrinse a guardarlo
“No, tu tornerai a casa!” il suo sguardo era penetrante, i muscoli del suo volto tesi
“Ora vado!” si voltò
“Non lasciarmi da sola!” lo afferrai per un braccio “Ti prego!”
“Va bene, vieni con me!” mi guidò verso una stanza, era un bagno
“Sciacquati la faccia!” mi avvicinai al lavandino e mi guardai allo specchio, l’immagine riflessa era totalmente diversa da quella che avevo visto la mattina,i miei occhi erano gonfi e arrossati e avevo tutto il viso sporco di mascara, quindi aprii il rubinetto e mi tolsi tutte le tracce del pianto, o quasi.
David era rimasto tutto il tempo a guardare il pavimento e alzò gli occhi solo quando arrivai davanti a lui.
“Vuoi un po’ d’acqua?” mi chiese ma a quel punto avevo bisogno di sapere il perché della mia presenza in quel luogo a me sconosciuto
“Voglio delle risposte!”
“Ti prendo una bottiglietta!” disse facendo finta di nulla
“Non voglio nessuna bottiglietta, voglio sapere perché sono qui e cosa avete intenzione di fare con me!”
Rimase spiazzato dal mio comportamento
“Non ci siamo capiti, il fatto che io sia gentile con te non vuol dire che tu possa alzare i toni con me!” mi urlò contro
Feci un passo indietro, nuovamente terrorizzata.
Mi afferrò per un braccio e mi riportò nella stanza dove mi trovavo prima, spingendomi con irruenza sul letto,tanto che pensai al peggio, poi sparì dalla mia vista. Al suo ritorno, David aveva in mano una bottiglietta d’acqua che mi porse, la presi e iniziai a bere, un sorso alla volta quasi gustandola.
Si sedette sul letto accanto a me. Se fosse stato necessario sarei stata pronta a fare un balzo per scendere dal letto, ma lui non si mosse e pian piano la stanchezza si fece sentire finchè non mi addormentai.
 Al mio risveglio, David era sdraiato accanto a me e mi guardava.
Subito scattai e mi alzai in piedi, lui mi imitò, ma al contrario di me lo fece con molta calma.
“Hai fame?”
Annuii
“Un croissant e un caffè vanno bene?”
“Sì!” David tirò fuori dalla tasca un cellulare e ordinò la colazione, dopodiché si rivolse a me
“Più tardi torneranno gli altri!”
Vedendo il mio sguardo terrorizzato mi si avvicinò e mi accarezzò la guancia, alzai gli occhi verso il suo viso e quasi supplicando gli chiesi cosa avessero intenzione di fare con me
“Penso vogliano chiedere un riscatto alla tua famiglia, una volta avuto quello che vogliono ti lasceranno andare!”
In quel momento un campanello suonò
“Aspettami qui, adesso arrivo!”
Quando tornò da me aveva in mano due sacchetti e due bicchieroni da caffè fumanti.
Mi porse uno dei due sacchetti  e iniziammo a mangiare. Avevo una fame da lupi e finii il mio croissant velocemente poi presi il mio caffè bollente e iniziai a sorseggiarlo.
“Non ti fai più problemi eh!” sorrise.
Aveva un sorriso bellissimo,di quelli che ti lasciano a bocca aperta, lui era bellissimo.
La situazione in cui mi trovavo era assurda, mi ritrovavo ad ammirare uno dei miei rapitori seduta sopra un letto, in una stanza, in chissà quale luogo.
“Posso chiederti una cosa?” mi disse all’improvviso
“Ah, adesso ho la facoltà di scegliere cosa fare?” gli risposi acida
David rimase in silenzio, sembrava ferito, ma in fin dei conti avevo avuto tutti i diritti per rispondere in malo modo. Non riuscivo a capire i suoi comportamenti, la sua gentilezza nei miei confronti da una parte mi confortava, dall’altra mi preoccupava; mille quesiti si formulavano nella mia testa ogni qualvolta notavo un suo gesto di cortesia.
“Posso fartela io una domanda?” dissi
“Non ora, se devi andare in bagno ti accompagno poi starai qui per un po’ da sola!”
I suoi cambi repentini d’umore mi facevano saltare i nervi.
“Cosa fai? Mi metti in punizione perché ti ho risposto male?” sbottai
Lui si alzò in piedi velocemente e afferandomi un braccio mi fece fare altrettanto
“Pensi che sia un gioco? Pensi di essere in vacanza con le tue amiche? Non hai capito proprio nulla, Ashley!”
“Lasciami!” gli gridai allontanandolo da me con uno spintone, lui allora mi squadrò da testa a piedi, sprezzante, poi si voltò e uscì chiudendosi la porta alle spalle. Sentii girare la chiave nella toppa.
Allora iniziai a tirare pugni  alla porta urlando, piangendo e supplicando David di lasciarmi uscire, fino a che non sentii delle voci nell’altra stanza, ero quasi sicura di aver riconosciuto quella dell’uomo che per primo mi aveva immobilizzata in casa mia, ripensando a quel momento il terrore si impossessò nuovamente di me, mi allontanai dall’uscio e mi accucciai sul pavimento, in attesa, perché sapevo che sarebbero venuti da me.
Non aspettai molto, la porta si spalancò ed entrarono due uomini incappucciati, alla loro vista iniziai a tremare. Mi ordinarono di alzarmi e mi trascinarono in una stanza che ancora non avevo visto, all’interno di questa c’era una sedia, nient’altro. Mi obbligarono a sedermi e mi legarono le mani dietro la schiena con una corda, a quel punto avevo iniziato a temere seriamente per la mia vita e a dubitare di quel che mi aveva detto David e che non sarei tornata a casa e non avrei mai più rivisto la mia famiglia e i miei amici. Le lacrime scesero a fiotti mentre pensavo al fatto che non avrei mai visto la mia migliore amica e mio cugino stare insieme come una vera coppia.
Uno degli uomini mi sciolse la coda, che era rimasta quasi intatta e mi scompigliò  i capelli, poi mi mise un pezzo di scotch sulla bocca, nel frattempo l’altro tirò fuori dalla tasca dei pantaloni una macchina fotografica.
Iniziò a scattarmi delle foto e quando ebbe finito uscì, seguito dall’altro uomo.
Rimasi lì, legata a quella sedia per delle ore. Ore interminabili, ore in cui mi chiesi che fine avesse fatto David e che fine avrei fatto io. 

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Capitolo 2
*** 2 ***


Per i giorni seguenti rimasi in quella stanza, su quella sedia. Venivo slegata solamente quando mi veniva portato qualcosa da mangiare, a intervalli regolari e quando venivo portata in bagno. Le uniche persone che vedevo  erano uomini vestiti di nero con un passamontagna sulla testa. Tutti uguali. Nessuna parola, nessun segno distintivo e nessun gesto gentile. Nulla.
E di David nessuna traccia. Ero sola, la paura iniziale aveva lasciato spazio alla disperazione.
Non riuscivo a capire il senso di tutto quello che mi stava accadendo.  Non riuscivo a capire i diversi tipi di trattamento subiti in quei giorni di prigionia. Prima, i modi di fare quasi protettivi di un ragazzo bellissimo, poi la brutalità degli “uomini neri”. Gli uomini neri, la loro visione mi ricordava tanto le storielle che mia madre mi raccontava per farmi mangiare le verdure o per farmi andare a letto quando ero piccola
“Mangia le verdure o verrà l’uomo nero a prenderti mentre dormi!” diceva.
E l’uomo nero era arrivato, a distanza di anni, ma era arrivato e faceva molta più paura di quel che poteva immaginare la mente di una bambina.
Una sera però, uno degli uomini col passamontagna entrò nella stanza, subito i suoi due occhi azzurro ghiaccio attirarono la mia attenzione,era David. Mi slegò, poi, dopo avermi tolto lo scotch dalla bocca, con delicatezza, prese i miei polsi tra le mani e alzò lo sguardo verso di me, i suoi occhi dentro ai miei.
“Mi dispiace!” sussurrò.
Delle lacrime silenziose rigarono il mio viso
“Non avrei voluto lasciarti qui, sola con loro! Adesso ci sarò io, e per un po’ di giorni loro non saranno qui!”
Non avevo forza, né voglia di parlargli. Ero in uno stato di trance.
Lui mi prese in braccio di peso e, facendo attenzione a non farmi sbattere contro le pareti, mi portò nella camera dove ero stata la prima sera, poi mi poggiò delicatamente sul letto.
Chiusi gli occhi.
Mi svegliai il mattino seguente, David era seduto su una sedia e mi guardava.
“Hai tremato tutta la notte! Ho cercato di coprirti come potevo!”
Solo in quel momento feci caso al giubbotto di pelle che avevo addosso.
“Ti ho ordinato un cappuccino e una briosche, nel caso avessi fame!”
Rimasi rannicchiata sul letto, senza emettere un fiato.
David mi si avvicinò e mi tese la mano.
“Vieni, ti accompagno in bagno”
Mi alzai piano, mi sentivo debole e vulnerabile.
Varcai la porta del bagno e arrivai davanti allo specchio, ero ridotta uno straccio, il mio viso era scavato e delle grandi occhiaie mi contornavano gli occhi gonfi.
Mi sciacquai la faccia con dell’acqua tiepida, mi toccai i polsi, facevano male.
Erano comparsi dei segni di abrasione, li passai sotto l’acqua tiepida provando un minimo piacere.
Quando ebbi finito, David mi fece mangiare e pian piano recuperai le forze.
“Va meglio?”
Annuii.
“Ce la fai a parlare?”
“Sì!” sussurrai
“Mi dispiace, credimi!”
“Perché provi compassione per me?” dissi alzando leggermente il tono di voce
Lui abbassò lo sguardo, poi tornò a me
“Perché non posso vedere una persona ridotta così!”
“Perché allora continui ad aiutarli?
“Perché devo..”
“Ti prego, lasciami tornare a casa!”
“Non posso!” i suoi occhi celesti sembravano chiedere pietà
Rimasi in silenzio, David si avvicinò a me e mi baciò la fronte. Le sue labbra soffici sulla pelle mi fecero rabbrividire e quella vicinanza così improvvisa, che da un lato mi faceva paura e dall’altro mi rassicurava, portò il mio cuore ad accelerare il battito.
“Sei così bella, Ashley!” disse piano “Avrei tanto voluto conoscerti in una situazione diversa da questa!” aggiunse poi, scostandosi da me
Quelle parole mi lasciarono stupefatta, rimasi nuovamente in silenzio.
“Ti va di parlarmi un po’ di te?”
“Cosa vuoi sapere?”
“Dimmi quel che vuoi che io sappia di te!”
“E se io non volessi farti sapere nulla di me?”
“La scelta è tua, io volevo solo fare due chiacchiere!”
Non gli diedi una risposta, ma quando lo vidi alzarsi e dirigersi verso l’altra stanza parlai, gli raccontai dei miei genitori, di Anne e Anthony Mikaelson, di lei che era avvocato penalista e di lui, il proprietario di una grande azienda.
Lui tornò accanto a me
“Ma questo probabilmente già lo sai…” dissi infine cercando il suo sguardo
I suoi occhi color ghiaccio dissero molto anche se dalla sua bocca non uscì un fiato.
Notai che il nostro era un gioco del silenzio e che entrambi avevamo il potere di lasciare senza parole l’altro. Lui, aveva il potere reale del gioco e avrebbe potuto interromperlo in ogni momento lasciandomi tornare a casa o facendomi del male e io, non potevo far altro che calcare sul senso di colpa che intravedevo in lui, cercando di aprirmi un varco nella sua anima.
“Volete i loro soldi?” continuai
“Non posso parlartene Ashley!”
“Avete già chiesto il riscatto?” avevo intenzione di insistere fino ad ottenere una risposta
“Non posso!”
“Per favore David, sono rimasta da sola in questo buco per giorni, senza nessuna speranza di rivedere la mia famiglia e i miei amici! Ho bisogno di sapere! Non dirò agli altri uomini quello che mi dirai, rimarrà un segreto tra me e te!”
“Ashley, io…” gli presi la mano e lo guardai  dritto negli occhi ancora una volta
“David, ti prego!”
“Hanno già chiesto il riscatto..” disse
“Quanto tempo fa? Mio padre non ha ancora pagato?”
“Non sono i soldi che vogliono da tuo padre, Ashley..”
“E cosa allora?”
Lui ritirò la sua mano, lasciando le mie vuote
“Basta, non posso dirti di più!”
Decisi di non forzare David ulteriormente, aveva detto che sarebbe rimasto un po’ di giorni solo con me, avrei avuto altre occasioni per fare domande e inoltre, non volevo farlo infuriare, come già era successo, perché era l’unico da cui ricevevo un po’ di umanità ed era una necessità, per me, in quella situazione.

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Capitolo 3
*** 3 ***


Qualche mattino dopo, quando mi svegliai, David non era seduto sulla sedia dove solitamente alzandomi, lo trovavo intento a guardarmi. La porta della stanza era aperta. Mi alzai, e senza fare troppe ricerche, lo trovai sdraiato su un divano vecchio e rovinato. Mi avvicinai per assicurarmi che stesse dormendo, ascoltai il suo respiro regolare poi, mi guardai intorno, sul lato opposto della stanza c’era la porta in legno massiccio attraverso la quale sarei potuta uscire da quel posto freddo e umido e riottenere così la mia libertà. Mi avvicinai all’uscio, lanciando nel mentre occhiate furtive al divano per controllare che il ragazzo non si fosse svegliato.
Provai ad abbassare la maniglia lentamente e tirare la porta verso di me, ma era chiusa a chiave. Quando mi voltai David era dietro di me.
“Cosa cazzo stai facendo?” mi disse appoggiando le due mani sul muro e quindi bloccandomi
“Niente!” sussurrai cercando di non abbassare lo sguardo
“Questo ti sembra niente? Stavi cercando di scappare!” mi tuonò contro
“Cosa dovrei fare? Non è una mia volontà stare in questo posto!” risposi a tono, poi avvicinai il mio viso al suo, sempre guardandolo negli occhi e a bassa voce aggiunsi: “Non puoi pretendere che io non desideri la mia libertà, David!”
“Sto cercando di trattarti nel miglior modo possibile e..”
Lo interruppi: “Lo so!”
Mi prese il viso tra le mani
“Ti farò uscire di qui, Ashley, ma non ora! Fidati di me!”
“E quando?”
“Non lo so!” abbassò lo sguardo
“Io non ti capisco..” dissi cercando i suoi occhi nella stanza ancora buia.
Ma furono le sue labbra a trovare me, a trovare la mia bocca e poi la mia lingua.
Mi ritrovai incapace di reagire e passiva di fronte all’infinita dolcezza di quel bacio.
Quando David staccò le sue labbra dalle mie, rimasi aggrappata al suo corpo, senza proferir parola.
“Ashley..” disse indietreggiando
Sembrava essersi pentito del suo gesto.
Per il resto della giornata non mi parlò e mi lasciò nella solita stanza, senza avvicinarsi mai a me, rimasi tutto il tempo accucciata sul letto a odiare me stessa per aver permesso a quel ragazzo di baciarmi, o meglio, per avergli permesso di darmi degli spiragli di libertà, di provare un’emozione positiva anche trovandomi in gabbia.
Durante la notte David venne a chiamarmi, io ero sveglia, con la schiena appoggiata al muro e quando si rivolse a me dicendo “Vieni, i tuoi hanno pagato il riscatto, ti porto a casa” ebbi un tuffo al cuore.
“Mi prendi in giro?” dissi correndogli dietro e afferrandolo per il braccio
Lui neanche si voltò verso di me
“No.”
“Finiscila di trattarmi in questo modo!” gli urlai contro
“Tranquilla, tra poco non ti tratterò più in nessun modo e non mi vedrai mai più!”
“Mi hai baciata David, come puoi dire questo? Anche quella era una presa in giro vero? Tutto quello che dici e fai è una presa in giro!”
Gli tirai uno schiaffo, ma lui prontamente mi bloccò la mano e mi portò nella stessa posizione in cui quella mattina stessa ebbe modo di baciarmi, ma con violenza.
“Esegui gli ordini David, portami a casa!” gli dissi con tono spavaldo
“Adesso non ne ho voglia!”
“Ah, quindi hai la facoltà di prendere decisioni, adesso?”
“Può darsi!”
“Tu sei pazzo!”
“E tu sei talmente ingenua che ti sei lasciata baciare da me, questa mattina!”
“Ho fatto una cazzata, lo ammetto!”
“Sì, l’hai fatta!”
Il suono della vibrazione di un cellulare attirò la sua attenzione e di conseguenza la mia.
David mollò la presa e tirò fuori dalla tasca dei jeans il telefono
“Dimmi!” rispose alla chiamata e, dopo avermi fatto segno di fare silenzio, si allontanò da me intento ad ascoltare quello che gli veniva detto.
Io scrutavo con attenzione ogni suo movimento, ogni suo passo, ogni sua occhiata verso di me mentre la mia mente riassumeva la giornata appena passata.
Il comportamento che aveva avuto David quel giorno mi aveva sorpresa, il suo bacio delicato mi aveva fatto perdere la testa nonostante la situazione assurda che stavo vivendo e poi, lui mi aveva respinta,subito dopo, appena staccate le sue labbra dalle mie, e poi ancora, mi aveva detto che mi avrebbe riportata a casa. E speravo che almeno quella fosse la verità, speravo di non rivederlo mai più e di tornare alla mia solita vita con la mia famiglia e i miei amici.
David nel frattempo scomparve dalla mia vista per poi tornare con una felpa  con il cappuccio che mi lanciò appena finita la chiamata.
“Mettitela!”
Obbedii e me la infilai, era grigia ed enorme e profumava di lui.
Lui si avvicinò a me, mi guardò negli occhi e mi tirò il cappuccio sui capelli, poi prese delle chiavi dalla tasca dei suoi jeans e aprì la porta.
“Non fare cazzate!” disse facendomi cenno di procedere davanti a lui.
Aldilà della soglia c’era una stanza più fredda e quasi del tutto buia, da delle piccole finestre passava chiara, la luce della luna.
All’improvviso la luce si accese, di fronte a me un suv nero con i vetri oscurati, mi trovavo in quello che sembrava essere un garage
“Sali!”
Aprii la portiera posteriore che David mi aveva indicato
“Aspetta!”
Mi voltai verso di lui, aveva in mano delle manette. Lo guardai in silenzio mentre le richiudeva attorno ai miei polsi, e lui rimase ad osservarmi mentre salivo sul mezzo, sbattendo poi con forza la portiera.
David si mise alla guida e con un telecomando aprì la serranda che divideva quel posto dal resto del mondo.
“Ti sto dando la possibilità di viaggiare senza avere occhi o bocca coperti, cerca di fare la brava!”
“Mettimi quello che ti pare, non voglio dirti grazie per nulla!”
Nessuna risposta.
La macchina uscì in retromarcia e l’aperta campagna rischiarata dalla luce fioca della luna mi si presentò davanti in tutto il suo splendore.
Forse era davvero finita.

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Capitolo 4
*** 4 ***


Da quando ero tornata a casa tutte le persone che avevo intorno non facevano altro che chiedermi se stavo bene. E io stavo bene, ero tornata con estrema facilità a vivere la mia vita, a fare quello che facevo prima di essere rapita.
Non parlai a nessuno di David. Venni interrogata più volte dalla polizia, ma non feci il suo nome o la sua descrizione.
Volevo solo dimenticare quel volto: quei capelli biondi, quegli occhi azzurri e quelle labbra.
 
David mi aveva fatta scendere ad una fermata del pullman di periferia, era mattino presto e le strade erano ancora deserte e poco illuminate.
Mi aveva tolto le manette e se ne era andato. Senza dire una parola e senza voltarsi indietro. Ed io ero rimasta sul ciglio della strada, stretta nella sua felpa a guardare nella direzione in cui avevo visto scomparire il suv.
Dopo poco passò un’auto, cercai di attirare l’attenzione dell’automobilista che si fermò qualche metro avanti a me. Mi avvicinai velocemente, l’uomo era sulla sessantina, portava dei baffi e dei grandi occhiali da vista sul naso.
“Signorina cosa ci fa da queste parti a quest’ora?”
Decisi di non svelare la mia identità, non avevo voglia di dare spiegazioni, volevo solo tornare a casa, quindi dissi la prima cosa che mi era venuta in mente, sperando che se la bevesse.
“Mi si è fermata la macchina, ma sono rimasta senza telefono! Quindi ho deciso di prendere il pullman!”
“Vuole un passaggio? Mi sentirei in colpa a lasciarla in questo posto da sola!”
I miei pensieri volarono immediatamente a chi, senza sensi di colpa, l’aveva fatto poco prima, ma sorrisi e accettai.
“Salta su! Io sono Jim” disse porgendomi la mano
“Ashley!”
“Bene, dove ti porto Ashley?”
“Siamo lontani da Chicago? Ho perso un po’ l’orientamento!”
“Io stavo andando giusto là! Non dista molto, non preoccuparti!”
“Bene!”
Durante il breve viaggio Jim mi raccontò della sua famiglia e del suo passato, osservai con piacere come l’uomo mentre parlava rivivesse ogni momento con un sorriso sulle labbra.
“Siamo arrivati Ashley!”
“Jim, grazie davvero! E’ stato un piacere conoscerti!” gli dissi con sincerità mentre chiudevo la portiera
“Piacere mio Ashley! Alla prossima!”
Mi ero fatta lasciare di fronte al palazzo dove aveva sede l’ufficio di mio padre e senza perdere tempo entrai. La segretaria appena mi vide esplose in un urlo
“Signorina Ashley! E’ davvero lei?”
“Sì Jennifer, sono io! Puoi dire a mio padre che sono qui, per favore?”
“Certamente! Nel frattempo, la prego, si sieda!” disse cedendomi la sua sedia.
Dopo poco, dall’ascensore uscirono Anne e Anthony Mikaelson, mia madre e mio padre, che mi vennero incontro con le braccia spalancate
“Ashley, tesoro mio! Sei qui!” singhiozzò mia madre
Scoppiai in un pianto liberatorio.
Mio padre mi fece subito portare all’ospedale nonostante gli avessi detto che non era necessario e che stavo bene.
All’ospedale accorsero subito Luca e Veronica, che erano stati avvertiti dai miei genitori.
Mio cugino entrò nella stanza in cui mi trovavo e si avvicinò al letto a testa bassa, dietro di lui c’era la mia migliore amica
“Mi dispiace Ash! E’ colpa nostra! Non dovevamo lasciarti da sola a casa!”
“Luca, stai zitto e abbracciami!” dissi sporgendomi verso di lui
“Vero, vieni anche tu!” dissi sorridendole, il suo viso si illuminò.
Ci abbracciammo e piangemmo insieme.
Finiti gli accertamenti, il dottore mi autorizzò finalmente ad andare a casa.
 
Mi rifugiai subito sotto la doccia, l’acqua calda mi scivolava sulla pelle e il bagnoschiuma dalle note speziate riconduceva la mia mente alla splendida Turchia, dove ero stata qualche anno prima. In realtà la mia mente cercava qualsiasi tipo di appiglio per evitare che i miei pensieri si dirigessero verso David.
Dopo la rimessa in sesto accolsi in casa due agenti della polizia
“Buongiorno signorina Mikaelson, come sta?” mi disse l’uomo in divisa
“Bene, grazie!”
“Perfetto, vorremmo farle alcune domande, se non le dispiace!”
E così iniziò il primo dei vari interrogatori a cui mi sottoposero, raccontai del mio rapimento, degli uomini col passamontagna, dei miei giorni di prigionia e del mio ritorno a casa dopo la liberazione, facendo attenzione a non nominare il mio bellissimo aguzzino.
“Quindi durante il tragitto del ritorno lei aveva un sacco in testa? Non è riuscita a capire dove si trovava o il mezzo che è stato usato per il trasporto?”
“No, mi dispiace. Non ho visto nulla!”
“E come è arrivata fino all’ufficio di suo padre?”
“Ho camminato per un po’ fino a che non ho incontrato un gentilissimo signore che mi ha offerto un passaggio!” dissi sorridendo
“Abbiamo bisogno di interrogare anche lui, conosce il suo nome?”
“Si chiama Jim, ma non so altro!”
“Va bene, per ora noi siamo a posto così! Se avremo ancora bisogno di lei la contatteremo!”
Dopo i primi giorni, ripresi ad andare a scuola, dove fui accolta con entusiasmo da compagni e professori. Luca e Veronica facevano in modo di non lasciarmi mai da sola, nonostante li avessi pregati di evitare questo comportamento.
La loro storia non era decollata, quando ero stata rapita invece di farsi forza l’un l’altro come avevo sperato, si erano allontanati perché si ritenevano gli unici colpevoli di quello che mi era capitato.
Quando avevo provato a chiedere spiegazioni ad uno o all’altra avevo ricevuto la stessa risposta: “Abbiamo capito che insieme non stiamo bene!”, ma i loro sguardi non mentivano, sapevo che prima o poi il sentimento che li lega sarebbe stato più forte di tutto e, superato questo periodo, sarebbe tornato tutto come prima.
 
 
 
 
Buongiorno a tutti! Volevo ringraziare tutte le persone che seguono e recensiscono questa storia! Sono davvero contenta che piaccia! Spero di riuscire a postare il nuovo capitolo al più presto! Un bacio!
Ely

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