*_Once Upon Another Time_*

di StarFighter
(/viewuser.php?uid=120959)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nightmares & red roses ***
Capitolo 2: *** CHOICES ***
Capitolo 3: *** Hard To Say Goodby ***
Capitolo 4: *** Silent as a grave... ***
Capitolo 5: *** Here without you ... ***
Capitolo 6: *** Lies and betrayals ***
Capitolo 7: *** Finally you! ***
Capitolo 8: *** That damn cold night...beneath a moonless sky ***
Capitolo 9: *** You choose to turn the page and I make choices too... ***



Capitolo 1
*** Nightmares & red roses ***


Salve a te che stai leggendo queste poche righe d’introduzione! Allora per cominciare grazie di aver cliccato sulla mia storia;se l’hai fatto sai già cosa aspettarti, ma se non è così, fuggi via, perché se non hai visto LND c’è uno spoiler grande quanto il mondo ad attenderti! XD
Allora brevemente: questa è una ff su quello che ,secondo la mia mente malata, succede tra la fine del Phantom of the opera e l’inizio di Love never dies. La storia sarà incentrata su Christine e sui suoi dubbi amletici, ma ciò non toglie che poteri aggiungere qualche parte in cui sono i pensieri di Erik a farla da padrone. Il tutto dovrebbe concludersi nel giro di massimo 5 capitoli, compreso il prologo, per la fine del mese.
Questo è quanto … piccola premessa: è la prima long fic che scrivo, quindi non aspettarti granchè e sii clemente! *-*
PS: mi farebbe piacere se a fine lettura lasciassi un piccola,miserrima recensione … o anche un commento e sono ben accette anche le critiche costruttive XD
Okay, allora buona lettura… ;)

Prologo: Nightmares and Red Roses

Le campane della piccola chiesetta di campagna, appena fuori Parigi,che Christine e Raoul avevano scelto per celebrare le loro nozze,suonavano a festa. L’aveva scelta Christine, insistendo che il matrimonio si celebrasse in un luogo lontano dalla città e con pochi intimi, perché negli ultimi mesi i loro nomi erano passati sulle bocche di mezza Francia. L’aveva scelta perché le ricordava la chiesa di Perros, dove mamma Valerius insisteva per portarla ogni domenica mattina di buon ora…le ricordava tanto la sua fanciullezza. Non che fosse passata da molto in effetti: aveva appena vent’anni! Ma la spensieratezza e la gioia che l’avevano caratterizzata da bambina, ora non le appartenevano più. Aveva fatto un viaggio andata e ritorno per l’inferno e questo aveva spazzato via la sua innocenza e ,senza ombra di dubbio, aveva stravolto il suo spirito ingenuo.
 I ricordi e le immagini degli eventi di qualche mese prima non l’abbandonavano mai, erano ormai suoi fedeli compagni in una vita grigia,che si era spenta con l’incendio dell’operà Garnier . L’enorme teatro era stato divorato dalle fiamme, che non avevano risparmiato niente e nessuno. Ma già da un po’ di tempo erano cominciati i lavori di ricostruzione: non era cosa degna di una città come Parigi, essere priva di un teatro dell’opera!
Le mancava quel posto, ma da quell’infausto giorno non c’aveva più messo piede, anche perché Raoul glielo aveva impedito: temeva che sarebbe scomparsa di nuovo nei meandri del grande teatro. Ma nonostante lei lo avesse supplicato e gli avesse ripetuto mille volte che non c’era nulla da temere poiché, stando a quello che titolavano i giornali, il famigerato fantasma dell’opera era morto, lui non aveva voluto sentir ragioni. In effetti lei stessa non credeva a quello che diceva, ma pur di ritornare in quella che era stata la sua casa per lungo tempo, avrebbe fatto carte false. Eppure c’era stato un tempo in cui non avrebbe voluto altro se non fuggire da quel luogo; ma ora i ricordi le riempivano la mente.
 Quel posto era il paradiso dei cinque sensi,nessuno di questi veniva deluso. Se chiudeva gli occhi riusciva ancora a vedere i mille colori dei costumi di scena,le sfumature dei fondali,l’andirivieni di costumisti e truccatori, il rosso della platea e l’oro dei palchi. Se invece ascoltava meglio riusciva a sentire le risatine delle ballerine, lo scricchiolio delle assi del palcoscenico,il fruscio degli spartiti, il chiacchiericcio che si alzava dalla buca dell’orchestra, i richiami del maestro Reyeur, le bizze della Carlotta e le conseguenti preghiere degli impresari e sopra ogni cosa la musica che regnava sovrana. Ricordava anche la sensazione del tulle e della crinolina che sfregavano sulla pelle,il sapore forte del liquore che le ballerine più anziane le avevano fatto assaggiare una volta e il dolce gusto dei macaron che rubavano dal camerino della diva; l’odore del gas delle mille lampade che illuminavano ogni angolo buio di quel tempio della musica, lo scintillio dell’immenso lampadario … l’odore acre del fumo, il rosso vivido delle fiamme che avvolgevano ogni cosa, l’umido dei sotterranei che le entrava nelle ossa e lo squittire degli abitanti di quel labirinto. Ma un suono sopra tutti le sarebbe rimasto impresso a fuoco nella mente: l’urlo disumano del suo maestro. “VA VIA!”- le aveva urlato-“Fuggi e dimentica questo angelo all’inferno”. Lei era fuggita via, sorretta da Raoul, ma non aveva potuto dimenticarlo, ansi l’angelo della musica continuava ad albergare in ogni suo pensiero.
Ecco la chiesa era così vicina che riusciva a sentire il brusio degli invitati stipati nelle panche,in attesa di vederla. La carrozza si fermò e lei scese, aiutata dal valletto, con il suo vestito bianco, il velo di pizzo e i guanti che le facevano sudare le mani. All’entrata, ad aspettarla per condurla all’altare, c’era l’unica persona della sua vecchia vita che le era rimasta: Madame Giry,con il suo solito abito scuro e la treccia stretta in una crocchia elegante. Era stata la prima ed unica persona a cui aveva pensato per quel compito. Le porse il braccio e si avviarono verso l’entrata: la chiesa era deliziosamente decorata con fiori bianchi di centinaia di specie. Al suo ingresso gli occhi di un centinaio di persone si voltarono verso di lei, e a quel punto tutta l’emozione e l’imbarazzo trattenuti fino a quel momento, fecero capolino sulle sue guance arrossate. Cercò di non badare molto agli ospiti che Raoul aveva insistito per invitare, ma si concentrò proprio su di lui che raggiante l’aspettava in fondo alla navata. Quanto aveva aspettato quel momento? Quante volte aveva sognato ad occhi aperti come sarebbe stato quel giorno e con chi l’avrebbe condiviso! Tutto era perfetto,fin nel più piccolo dettaglio. Eppure c’era qualcosa che disturbava quella perfetta armonia di colori ed emozioni … aveva come un peso all’altezza dello stomaco, come quando si ha l’impressione che stia per accadere qualcosa di  spiacevole, ma non si può fare nulla per fermare le cose,si deve solo attendere che gli eventi si evolvano da soli e stare  a guardare cosa succederà.
Provò ad analizzare quel sentimento: non era paura, perché ne avrebbe dovuta avere; non era tristezza, nessuno più di lei era felice in quel momento; no era panico e nemmeno ansia… era…era senso di colpa! Si,si, non c’erano dubbi, era proprio quella bestia nera del senso di colpa! Non se lo ricordava più tanto lontana era l’ultima volta che l’aveva provato: era successo quando aveva all’incirca otto anni e aveva accidentalmente fatto cadere il portaritratti con l’immagine della mamma e quando suo padre si era arrabbiato, lei aveva incolpato  Cherì , il gatto che le aveva regalato mamma Valerius. Per colpa sua il povero animaletto era rimasto due notti fuori casa, ed era stato in quell’occasione che aveva avvertito quella strana sensazione, che il padre aveva chiamato senso di colpa.
Si, però perché provare quella cosa proprio nel momento che una donna aspetta tutta la vita? Si guardò intorno in cerca di una risposta, ma l’unica cosa che riuscì a pensare fu … LUI! Come poteva fare questo; come poteva costruire la sua felicità sull’infelicità di qualcun altro, e quel qualcun altro era stato come una famiglia per lei, e lei l’aveva condannato alla solitudine più nera, abbandonandolo nel suo inferno personale.  Ecco cos’era quel buco che le si era aperto nel petto … dopo tutto quello che le aveva fatto, continuava a mancarle. In un momento così solenne non riusciva a far altro se non pensare a quell’uomo, a colui che l’aveva scottata con la fiamma della sua violenta passione, l’ombra che l’aveva amata fino a morire: Erik.
Ecco che madame Giry le lascia la mano e l’affida a Raoul, che tremante d’eccitazione fa segno al parroco canuto di cominciare. Il vecchio parla d’amore, fedeltà, spirito di sacrificio ma ad un tratto le sue labbra non emettono più suono,ma continuano nella loro corsa. Christine si volta per vedere se qualcuno se n’è accorto, ma tutti i presenti sono presi dall’orazione,che evidentemente solo lei non riesce a sentire. Poi una richiamo spezza il silenzio che le tappa le orecchie: la chiama, una voce suadente, e il suo nome rimbomba negli angoli più remoti di quel luogo sacro. Sembra quasi una preghiera sussurrata a fior di labbra… -Christine, Christine, oh mia Christine!-ripete la voce di tenebra. Lei si gira ,alla ricerca della fonte di quel tormento. Nessuno vede il suo turbamento, nessuno si è accorto del suo esitare: tutti,chi più chi meno,pendono dalle labbra dell’officiante. Sta per cedere alla tentazione di urlare quando un piccolissimo, quanto insignificante particolare le salta agli occhi: tra i mazzi di fiori bianchi spicca scarlatta come un rubino, una rosa rosso sangue.
Poi non un suono né un colore. Tutto è nero. Ad accoglierla con le sue fredde braccia c’è solo la notte, pronta a consolare il malessere causato da un nuovo incubo …


L’angolino di Farah: spero tanto che questo primo capitolo sia piaciuto a qualcuno, o che almeno vi abbia incuriosito. Se così non fosse potete anche dirmi che scrivere non è cosa che fa per me! Comunque grazie per essere arrivati fino alla fine di questo piccolo esperimento ;) Ci si legge al prossimo capitolo… XD

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** CHOICES ***


Capitolo 2 : Choises


Christine si svegliò madida di sudore e con il fiatone, come se avesse corso fino ad un attimo prima. Si mise a sedere sull’enorme letto, nell’oscurità della camera che le era stata gentilmente concessa dalla famiglia di Raoul e si portò una mano all’altezza del cuore: sembrava un cavallo lanciato al galoppo,tanto batteva forte,che sarebbe potuto saltarle via dal petto in qualsiasi momento. Prese fiato,si liberò delle coperte leggere del letto e scese a piedi scalzi sul freddo pavimento di marmo:quella sensazione di gelo che le si irradiava dalla punta dei piedi e che si stava spargendo per tutto il corpo, le fece recuperare un po’ della lucidità che aveva perso a causa di quel sogno. Allungò una mano verso la poltrona dove prima di addormentarsi aveva poggiato la leggera vestaglia di seta,la indossò e si avvicinò alla portafinestra della camera;scostò le tende e contemplò la notte che avvolgeva ogni cosa : il giardino della residenza De Chagny era immobile,non una foglia si muoveva e anche la fontana era muta. In cielo la luna regnava sovrana ed illuminava con la sua tenue luce il paesaggio circostante.
La tenuta De Chagny sorgeva immensa, immersa nella campagna parigina: era un’enorme villa,di un bianco quasi accecante,circondata da ettari di giardini, in cui crescevano decine di centinaia di specie di fiori ed alberi diversi. Per Christine passeggiare in quel paradiso di colori e profumi, significava perdere il conto del tempo per almeno un paio d’ore. Da quando viveva lì non c’era stato più un attimo di tempo per rimanere da sola con i suoi pensieri: dal momento in cui apriva gli occhi, a due minuti prima di addormentarsi era sempre circondata da decine di persone; inoltre era marcata stretta da madame De Chagny, la madre di Raoul,che non la abbandonava un secondo: le diceva cosa fare, quando e come farlo, cosa doveva indossare, come doveva rivolgersi agli inservienti o agli ospiti della tenuta,le aveva ordinato di non aprire bocca durante i ricevimenti che dava quasi ogni settimana e sopra ogni altra cosa le aveva impedito di cantare.
Christine si era prontamente accorta di non piacere affatto alla padrona di casa, ma questo non le impediva di essere cortese, gentile e carina con lei, nonostante questa fosse una vera e propria tiranna. Faceva buon viso a cattivo gioco, per il suo bene, ma soprattutto per non dispiacere Raoul.
A volte però la presenza della donna diventava così insopportabile ed opprimente che Christine doveva letteralmente scappare, e aveva trovato un comodo rifugio nell’immenso parco che circondava la villa. Lì rimaneva ad ascoltare il silenzio e se non c’era nessuno nei paragi canticchiava a bocca chiusa le arie che aveva sentito infinite volte all’operà populaire . Era il suo momento privato, che non avrebbe condiviso con nessuno,nemmeno con Raoul, perché durante quelle passeggiate ricominciava a sentire il flusso ordinato dei suoi pensieri.
Ma quella notte, affacciata al balcone della sua stanza, i suoi pensieri non le sembravano tanto ordinati, ma le apparivano come un miscuglio di paure infondate e speranze deluse. Quel sogno l’aveva scossa fin nel profondo della sua tenera anima e non le aveva lasciato dubbi: provava qualcosa di più che affetto per il suo mentore e dopo tutto quel tempo temeva ancora il suo giudizio. Rabbrividì all’idea di averlo abbandonato nel buio di quei sotterranei, a compiangere ancora una volta la sua solitudine e ad alimentare l’odio verso se stesso ed il suo aspetto. Solo ora se ne rendeva conto: aveva sbagliato in tutto quello che aveva fatto fino a quel momento; non avrebbe dovuto abbandonarlo, non avrebbe dovuto accettare la proposta di matrimonio di Raoul e non avrebbe dovuto assolutamente permettere che qualcuno le proibisse di fare la cosa che più le riusciva meglio.
In quel preciso istante prese una decisione che non sapeva le avrebbe cambiato la vita: sarebbe andata a cercarlo,sapeva che non poteva essere morto;  nonostante tutto uno come lui era troppo attaccato alla vita per lasciarsi morire così senza motivo. Avrebbe chiesto informazioni a madame Giry,che era stata l’unica persona a parte lei ad aver avuto contatti con lui; e se si fosse dimostrata riluttante a parlare, le avrebbe estorto quello che voleva sapere con le cattive maniere (non che fosse avvezza ad usarle). Ma doveva sbrigarsi, le rimaneva poco tempo prima del matrimonio, esattamente dieci giorni.
La decisione ormai era presa e niente e nessuno avrebbe potuto farle cambiare idea. Le sembrava che il peso che le opprimeva il petto stesse già diminuendo. Un lieve sospiro abbandonò le sue labbra e poi pronunciò quel nome che poche volte aveva osato pronunciare : “Erik…”-qualcuno le rispose- “Christine…”-un brivido le percorse la schiena e piano si voltò verso la fonte di quella voce. C’era troppo buio,non riusciva a vedere nulla, se non la sagoma del letto e i profili dei mobili. Forse s’era solo impressionata,forse non c’era nessuno lì con lei ,forse aveva solo immaginato che qualcuno la chiamasse. Poi di nuovo: “Christine!” Non poté evitare di emettere un piccolo squittio di puro terrore. “Christine sono io, Raoul. Posso entrare?”-tirò un sospiro di sollievo e si diede mentalmente della stupida. Però perché Raoul era sveglio a quell’ora tarda?! Si avvicinò alla porta e fece girare la chiave per aprire.
-“Raoul che ci fai sveglio nel cuore della notte?”                                                                                                         
-“Non riuscivo a chiudere occhio e poi ti ho sentita: ti lamentavi e parlavi con qualcuno, ma non sono riuscito a capire cosa dicevi. Sai non è che stessi ascoltando di proposito, ma qui le pareti sono molto sottili quindi …”- era visibilmente imbarazzato e spostava il peso del  corpo da un piede all’altro.
-“Oh, non preoccuparti era solo un brutto sogno, ora sto bene, puoi tornare a letto. Grazie per esserti preso il disturbo di venire a controllare e non preoccuparti, so che non stavi origliando.” Così dicendo Christine si alzò sulle punte dei piedi e gli stampò un casto bacio all’angolo delle labbra.
-“ Prego, cosa da nulla sai; infondo fra poco più di una settimana sarai mia moglie, quindi dovrò prendermi cura di te, sto solo facendo pratica!”
-“Già …”cercò di sembrare il più lieta possibile e accennò un sorriso. Ma se nelle settimane precedenti era stata eccitata fino all’inverosimile per quelle nozze, ora che si avvicinavano non riusciva a far altro che chiedersi se fossero la cosa giusta da fare. Rimase in silenzio senza aggiungere altro,in evidente imbarazzo. Raoul le sorrise di rimando e credendo che fosse imbarazzata per quella situazione disdicevole ( due ragazzi non ancora sposati non sarebbero dovuti rimanere da soli, di notte, in camera insieme!) la tolse dall’impaccio.
-“Sogni d’oro dolce Lottie!” e così dicendo si allontanò verso la sua stanza,che era adiacente a quella di Christine.
-“Buonanotte Raoul …”- chiuse la porta e tirò un lungo sospiro di sollievo, ma non avrebbe saputo dire per quale motivo.
Ormai era fuori questione rimettersi a letto, non sarebbe riuscita a riaddormentarsi. Le venne da sorridere: ormai era l’alba e lei e Raoul s’erano augurati la buonanotte!
Scelse di prepararsi per la giornata che le si profilava davanti: sarebbe dovuta andare in una delle più costose boutique parigine per l’ultima prova dell’abito,con la contessa De Cagny.
Ecco l’occasione giusta per mettere in pratica il suo piano: avrebbe pregato la sua accompagnatrice di fare visita a madame Giry, lei non si sarebbe neppure sognata di mettere piede nei sobborghi di Parigi, e lei sarebbe stata libera di parlare con la sua vecchia tutrice. Si sarebbe andata così … almeno sperava.
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
La colazione venne servita come ogni mattina nella sala da pranzo,al pian terreno: latte,frutta e marmellate di vari gusti da spalmare sul pane caldo. In altre occasioni Christine avrebbe fatto un ricco pasto mattutino, ma quel giorno avrebbe messo in pratica il suo piano e l’ansia e l’agitazione le avevano chiuso lo stomaco; riuscì a malapena a mandar giù una fetta di pane e burro. La contessa la fissava insistentemente dall’altro lato del lungo tavolo imbandito: da quando era scesa nella sala non le aveva tolto un attimo gli occhi di dosso. Christine sussultò quando la padrona di casa osservò: “Mia cara, mi sembri strana quest’oggi. Ti senti bene? Sei un po’ pallida …”-“Grazie per la premura,madame. Sto bene, sono solo emozionata per le nozze imminenti.” -accampò una scusa banalissima, che però nel suo caso poteva valere. Si,era emozionata, ma per tutt’altra ragione. Di li a qualche giorno avrebbe, con un pizzico di fortuna, rivisto il suo maestro. Christine trattenne un sorriso: immaginò la faccia della donna se le avesse risposto che stava pensando al ‘mostro sfigurato’ da cui l’aveva salvata il figlio.
La donna sembrò soddisfatta della risposta e dopo aver bevuto un ultimo sorso di latte chiamò a gran voce il maggiordomo : “Bastian! Bastian!”
Il non più giovane Bastian arrivò trafelato dalle cucine e dopo un piccolo inchino,aspettò con pazienza che la contessa desse i suoi ordini: “ Va a dire allo stalliere di preparare la carrozza. Fra mezz’ora io e madamoiselle Daee ci recheremo a Parigi per delle commissioni.”-“Come desidera madame.”- Bastian girò sui tacchi e corse nelle stalle.
“Christine, mia cara, vi aspetto nell’atrio tra mezz’ora. Non tardate, sapete quanto odio attendere …”le lanciò un’occhiata in tralice e lasciò la sala da pranzo.
Nello stesso istante in cui madame De Chagny usciva dalla stanza, vi entrava Raoul. Salutò la fidanzata con un dolce sorriso ed un bacio sulla guancia  : “ Allora dolce Lottie , come hai dormito stanotte?” la domanda era ovviamente retorica, ma Christine stette al gioco : “ Sicuramente molto meglio di voi vicomte!” e gli rivolse un sorriso sincero.
 In cuor suo Christine sapeva d’amare anche Raoul, ma era un amore infantile, ancora acerbo: era stato fin da piccolo il suo fidanzatino, quando poi s’erano persi, lei non aveva fatto altro che sognare ad occhi aperti il giorno in cui l’avrebbe rivisto e si sarebbero sposati. Ma quando si erano ritrovati la sua situazione era un po’ più delicata di quanto se la sarebbe immaginata: era letteralmente in trappola,il suo angelo della musica l’aveva imbrogliata  e lei era caduta letteralmente nel tranello del figlio del diavolo. Egli l’aveva ammaliata con la sua oscura presenza,le aveva offerto fama e successo,le aveva  messo a sua disposizione tutte le sue conoscenze ed in cambio aveva chiesto solo la sua fedele devozione. Come avrebbe potuto rifiutare una simile offerta la piccola ed ingenua Christine? Infatti alla fine aveva accettato ,aveva promesso al maestro di essergli fedele ed era diventata  la sua devota pupilla. Ma tutto questo era successo prima di ritrovare il caro Raoul e lei non aveva fatto i conti con un fattore molto importante: l’amore. Nei primi tempi era solo un po’ distratta durante le lezioni private che l’allora angelo della musica le concedeva; poi però cominciò a saltarle per passeggiare con Raoul, per passare un po’ di tempo insieme e questo non piacque affatto al suo mentore, che non si fece sentire per lungo tempo. Quando, dopo quel lungo periodo di silenzio, la sua voce la chiamò nella cappella, Christine si sentì rinascere e provò sollievo nel constatare che il suo adorato maestro non era più in collera con lei … ma questa sensazione durò solo il tempo di un battito di ciglia: l’angelo si mostrò per quello che era in realtà, un demonio. Le urlò contro tutto il suo disappunto e la sua delusione, le disse che senza il suo aiuto lei sarebbe stata ancora una ballerina tra tante nelle file del balletto dell’operà, che l’aveva tradito e che non si sarebbe più fatto sentire. Christine era terrorizzata dall’idea di non poter più udire la sua voce e di perdere quell’ultimo legame che aveva con il defunto padre. Lo aveva supplicato di perdonarla per il suo comportamento indecoroso, per la sua distrazione e per il suo tradimento. Aveva addirittura chiesto un castigo, che però non era arrivato; al posto di una punizione, l’angelo le aveva ordinato di dover recuperare tutte le ore di lezione perdute. La giovane soprano fu lieta di acconsentire a quella ragionevole richiesta, ma quando l’angelo palesò la sua presenza e si dimostrò essere il famigerato fantasma dell’opera, Christine non pensò più che quella proposta fosse ragionevole. Il fantasma le chiedeva di passare,in totale serenità e senza alcun timore, due settimane della sua vita nel suo rifugio nei sotterranei dell’opera. Christine aveva esitato,poi come sotto effetto di una potente malia s’era consegnata autonomamente nelle mani del suo maestro, riponendo in lui una fiducia che nessuno mai prima di lei gli aveva accordato. Consenziente si era consegnata a quella che presto si era rivelata essere una prigionia a tutti gli effetti.  Per due lunghe settimane era stata occultata dal mondo, ed era stata trattenuta con terribili minacce, in quella che essa stessa definiva una gabbia dorata : in effetti s’era sentiva proprio come un usignolo in gabbia.
In quelle due settimane aveva imparato a conoscerlo, non che parlasse molto, ma tramite piccoli gesti e premurose attenzione nei suoi confronti, Christine s’era resa conto che dietro le minacce, dietro i suoi rimproveri, dietro quella maschera che si ostinava a portare, si nascondeva un uomo solo, bisognoso di affetto, ma che, nonostante ne fosse sprovvisto , ne sapeva anche donare. In quel lasso di tempo aveva iniziato a provare affetto per quell’essere che si nascondeva nell’ombra ed in seguito quel sentimento era cresciuto ed era diventato qualcosa di più forte e coinvolgente,qualcosa che le bruciava nello stomaco ogni volta che lui la guardava, ogni volta che lui pronunciava il suo nome … l’affetto s’era tramutato in attrazione. Christine era ingenua ed era così giovane e inesperta che non sapeva dare un nome a quella strana sensazione che la divorava. Solo alla fine, quando quell’unico bacio che gli aveva dato aveva sigillato il loro addio, aveva capito di amarlo. Ma nonostante questo, Christine, dovendo scegliere tra una vita nell’oscurità e una vita alla luce del sole con tutti gli agi che un matrimonio con un nobile poteva darle, aveva scelto la strada più semplice e scontata. E per questo si malediva ogni giorno. Se solo avesse …
-“Piccola Lottie va tutto bene? Sei stranamente taciturna stamane … di solito scambiamo almeno una decina di parole al mattino. Oggi invece ne hai dette solo quattro!” scherzò il visconte.
-“Oh è un nonnulla. Sono solo stanca, d'altronde l’incubo di questa notte mi ha spossata. Inoltre sono emozionata per le nozze … ma ci pensi? Fra meno di due settimane saremo marito e moglie. Sembra passato una vita da quella volta sulla spiaggia di Perros, quando recuperasti coraggiosamente la mia sciarpa rossa dai flutti dell’oceano! E ora staremo insieme per sempre …” l’entusiasmo si smorzò a quest’ultima affermazione, ma Raoul non sembrò accorgersene. 
-“Mia cara, ora devo proprio andare . Ti auguro buona giornata.”-fece per alzarsi però-“Ah Lottie tutto quello che ti chiedo di fare è di non dare ascolto a quello che dice mia madre; lei è troppo legata all’etichetta e a tutto il resto …” -fece un gesto eloquente con la mano- “mi rendo conto che per te sia difficile abituarti al mondo dell’elite parigina, ma non disperare, io sarò sempre al tuo fianco a sostenerti.”e le prese la mano e la baciò delicatamente.
Il sorriso che si aprì sul volto di Christine fu uno dei più sinceri e genuini degli ultimi tempi;Raoul la spiazzava sempre con certi discorsi, la colpiva nel profondo e la lasciva senza parole, sicché l’unica cosa che riuscì a dire fu semplicemente: “Grazie …”
Raoul la liberò dalla dolce morsa delle sue mani, si alzò e dopo una piccola riverenza uscì dalla sala da pranzo.
 L’amore che provava per lui era quello che avrebbe potuto provare per un fratello e non sapeva se questo, dopo il matrimonio, sarebbe cresciuto fino a diventare l’amore sincero ed incondizionato che una moglie prova per un marito .  E con questo peso sul cuore Christine lasciò a sua volta la stanza.
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Dopo che Raoul se n’era andato, Christine era salita in camera sua per recuperare alcune cose che le servivano per l’uscita che si apprestava a fare con Madame De Chagny.  Come la padrona di casa aveva avvertito, la giovane non si fece attendere, anzi anticipò la donna.
La prova dell’abito durò più del previsto e questo scocciò molto la contessa, ma soprattutto stancò Christine che fu costretta a rimanere in piedi di fronte ad uno specchio per almeno tre ore. Alla fine quando uscirono dalla prestigiosa boutique, la giovane espresse il suo desiderio di far visita alla sua vecchia tutrice e come si aspettava, la donna mostrò tutto il suo disappunto, concedendole la visita ma affermando che non l’avrebbe accompagnata : “ Cara io ho altre commissioni da sbrigare, per cui ti accompagnerò e poi fra due ore il cocchiere tornerà a prenderti.”
La lasciò proprio sull’uscio dell’abitazione di madame Giry e poi la carrozza riparti al galoppo tra le stradine della suburra parigina.
Christine bussò piano alla porta, pregando che vi fosse qualcuno. Le sue preghiere non furono vane , poiché dopo nemmeno un minuto la donna, che le aveva fatto da madre dopo che il suo adorato padre era morto, aprì la porta. Sul volto di madame Giry passarono in un secondo diverse emozioni : felicità, sorpresa, rabbia, rimorso,delusione e molte altre.
-“Ch…Christine cosa ci fai qui?!”-
-“Madame credevo mi avreste accolta con più calore … a quanto pare mi sbagliavo.”-disse la giovane abbassando il capo.
-“Oh no non fraintendermi mia cara. Sono felicissima che tu sia venuta qui a bussare alla mia porta, che tu non ti sia dimenticata di me … è solo che non mi aspettavo una tua visita, mi hai solo colta impreparata!” le fece un sorriso e la invitò ad entrare.
Mentre la donna la faceva strada nella piccola casa , Christine prese coraggio e disse : “Madame dobbiamo parlare!”
Madame Giry sobbalzò, come colta in flagrante : “Di cosa mia cara?” temeva la risposta che le avrebbe dato la giovane soprano, ma sapeva che quel giorno sarebbe arrivato.
Christine fu lapidaria,laconica, un solo nome uscì dalle sue labbra : “Erik…”




Angolino di Farah: vedo con dispiacere che a nessuno è piaciuta la mia ff! vabbè io non demordo e posto un nuovo capitolo. Spero che almeno questo, anche se misero ed inconcludente possa interessare a qualcuno. Come al solito vi invito a lasciare una piccola recensione. Mi scuso per gli eventuali errori, ma non ho avuto tempo di rileggere. A buon rendere quindi, ci si becca al prossimo capitolo XD
PS: so che i dialoghi fanno un po’ pena e sono abbastanza scarsi, pardon! È solo che ho poca fantasia … XP 
  

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Hard To Say Goodby ***


Capitolo 3:  Hard to say Goodbye

Mentre la donna la faceva strada nella piccola casa , Christine prese coraggio e disse : “Madame dobbiamo parlare!”
Madame Giry sobbalzò, come colta in flagrante : “Di cosa mia cara?” temeva la risposta che le avrebbe dato la giovane soprano, ma sapeva che quel giorno sarebbe arrivato.
Christine fu lapidaria,laconica, un solo nome uscì dalle sue labbra : “Erik…”
Madame la fissò con occhi sbarrati, con il cuore che le batteva a mille, come una preda messa all’angolo dal cacciatore. La determinazione di Christine la spaventava e non le faceva presagire nulla di buono. Non rispose e cercò un modo per liquidarla, ma la giovane la fissava intensamente in attesa di una sua replica.
-“ Non c’è nulla da dire … il povero Erik è morto come ben sai. Il suo necrologio è apparso sul Figaro’ non più di due mesi fa; tutta Parigi  sa che il Fantasma dell’opera è passato a miglior vita! Mi meraviglio che tu venga qui a chiedermi sue notizie, pensavo che …” cominciò a dire la donna, che si torturava le mani nervosamente.
-“Madame …”-la interruppe bruscamente Christine –“sono cresciuta oramai, non credo più alle vostre bugie! So per certo che lui non è morto, ma che è ancora tra noi e calpesta la terra dei vivi! Ditemi dove si trova!”-prese fiato, forse aveva alzato troppo la voce, perché madame Giry era diventata bianca come un cencio.
La donna abbassò il capo e poi con un riso cinico rispose : “Perché?”- sussurrò, poi alzò la voce colta da uno spasmo d’isteria : “Perché continui a cercarlo? È comico e allo stesso tempo egoistico da parte tua ,mia cara: l’hai abbandonato di fretta e furia,l’hai tacciato dei più terribili misfatti,l’hai condannato all’inferno più buio ed ora vuoi sapere da me dove si trova, forse per cercarlo, per chiedere il suo perdono?! Non ha sofferto abbastanza a causa tua? Quanto ancora dovrà patire per i tuoi capricci?”
Christine ammutolì, non aveva mai pensato alla sofferenza che gli aveva arrecato con la sua fuga, ma egoisticamente aveva sempre rimuginato sempre e solo sul suo di dolore. Quelle parole dure gridate con così tanta rabbia, ridussero il suo cuore, già incrinato, in mille pezzi.
Madame continuò con toni più pacati : “Lascialo andare … perché ti ostini a volerlo rivedere! Digli addio una volta per tutte, sarà più facile per te e vivrai felice, sapendo che gli hai dato l’opportunità di disintossicarsi dal tuo costante pensiero …”
-“ Io… Io non riesco a lasciarlo andare, è più forte di me. Quando sono fuggita via non pensavo sarebbe finita così, con me che lo cerco e lui che si finge morto e si da alla macchia. Non riesco a non pensarci,è come avere una ferita che si rimargina e poi si riapre in un infinito ciclo sadico. Tutto in me grida che lo rivoglio nella mia vita! Ho provato a soffocare tutto questo, come si fa con la cenere ed il fuoco, ma ho sortito l’effetto contrario, il fuoco s’è ravvivato invece di spegnersi. E brucia, brucia ogni qualvolta penso a lui e a quello che sarebbe potuto accadere se non l’avessi lasciato!”- si fermò, aveva esaurito tutto il fiato che aveva in corpo.  Aveva guardato madame Giry negli occhi e le aveva aperto il suo cuore e la sua mente, aveva fatto straripare il flusso dei suoi pensieri e li aveva riversati in quel discorso accorato. Si rese conto che forse potevano sembrare quasi ridicole certe affermazioni, dette da una ragazza di vent’anni che non aveva mai conosciuto l’amore, quello vero, ne tantomeno la passione che infiamma le membra di un uomo e una donna. Così abbassò il capo e con voce flebile aggiunse : “ Mi piacerebbe trovare un modo per cancellare tutto quello che è stato, per cancellare la sua presenza ossessiva dalla mia mente, ma è troppo difficile, anzi è impossibile. Non è così facile come sembra per me dirgli addio …”.
Madame Giry la fissò per alcuni secondi senza sapere cosa dire, poi si addolcì e indossò il sorriso materno che le si addiceva di più. Poggiò la sua vecchia mano su quelle lisce e giovani di Christine, che fino a quel momento le aveva strette in grembo e le aveva torturate fino a farle arrossare : “So che è difficile ma dovresti provarci, se non per il suo bene, almeno fallo per te stessa. Ti autodistruggerai se non smetterai di pensarci. Provaci …”
Christine si fece rossa in viso e sfilò furiosamente le mani dalla calda e rassicurante presa della donna : “ Ma vi ascoltate quando parlate? Volete dar pace alla mia anima ma non vi accorgete che volete solo porre rimedio a ciò che avete fatto … Si, è colpa vostra se adesso mi trovo in queste condizioni; se a suo tempo mi aveste tenuta lontana dall’angelo della musica ora non sarei qui a chiedervi convulsamente sue notizie. E’ tardi ormai per trovare una panacea a questo male, a questa intossicazione.”-si alzò di scatto dalla sedia dove s’era accomodata all’inizio di quella discussione e sovrastò con la sua statura la donna ancora seduta, che ormai non sapeva più come dissuadere la giovane dalla sua ricerca. Madame rimase immobile aspettandosi il peggio.
-“Vi conviene dirmi dove si trova, altrimenti …”-“Altrimenti cosa Christine?! Ti recherai alla gendarmeria e chiederai aiuto a loro? Io sono l’unica persona con cui puoi parlare di Erik, tutti gli altri ti crederebbero pazza!”
-“ Tanto meglio, così quando mi toglierò la vita gettandomi nella Senna, tutti crederanno che fossi pazza, ma l’unica che saprà la verità sarete voi. Il rimorso vi tormenterà finché vivrete!”- la fissò per un istante : “Certo questo accadrà solo se lascerete senza risposta la mia richiesta.” Restò in attesa di una reazione da parte della sua vecchia tutrice.
-“ Non oseresti tanto, sei giovane, impulsiva e impavida, ma non stupida fino a tal punto … almeno spero!”
-“Lo farò se non acconsentirete alle mie richieste!”urlò esasperata, con le lacrime che premevano per uscire. Un groppo le serrò la gola, era sull’orlo di precipizio, non vedeva via d’uscita da quella situazione : se madame non avesse parlato, se non le avesse indicato il luogo in cui si nascondeva il suo adorato maestro, l’avrebbe perso per sempre.
Madame Giry sospirò rassegnata, capendo il terribile sconforto che attanagliava l’animo della sua giovane figlioccia : “ Dopo che sei fuggita dall’operà , Erik era distrutto e anche lui per la verità voleva porre fine alla sua miserevole vita. Venne a dirmi addio ed io lo persuasi a lasciar perdere il suo folle intento. Dopo un’accesa discussione circa i pro e i contro di una vita senza di te, senza la tua voce a fargli compagnia, accantonò l’idea di togliersi la vita. Ma indubbiamente qualcosa dentro di lui s’era spezzato: non era più l’uomo subdolo e furbo che avevo imparato a conoscere, non era più l’oscura presenza che terrorizzava il teatro. Il signore delle botole, il figlio del diavolo, il fantasma dell’opera era morto  lasciando spazio ad un uomo fiaccato nel corpo e nello spirito. I suoi occhi, un tempo due tizzoni ardenti, erano spenti, lontani, persi nel vuoto. Mi disse che avrebbe vissuto nell’attesa perenne del tuo ritorno.” Sospirò ripensando alla pena che aveva mosso in lei la vista di quell’uomo diabolico messo al tappeto da una giovinetta inesperta.
-“Disse che sarebbe andato via dalla dimora sul lago, perché ogni cosa lì gli ricordava i momenti passati con te … mi informò di aver trovato un luogo poco fuori Parigi, dove passare il resto della sua misera vita. Se non vado errato disse che si trattava di una vecchia casetta di campagna abbandonata o del capanno di un guardiacaccia. Il vecchio Erik però non era definitivamente andato, perché spiegò la sua scelta con il fatto che lì affianco ci fosse un cespuglio di rose rosse. Questo è tutto quello che so. Da quella volta non l’ho più rivisto e francamente non credo che lo troverai nel luogo che ti ho indicato.”
-“Le campagne che circondano Parigi sono immense, si estendono per decine di chilometri! Deve darmi qualche altro indizio; non posso errare per campi alla ricerca di un cespuglio di rose! Quale direzione devo prendere, quanto tempo impiegherò a cercarlo, è vicino a qualche provincia …”
Madame Giry la interruppe nel bel mezzo di quella lista di domande : “è sulla strada per Villemomble*, non puoi sbagliarti, il paesino è piccolo e la sua dimora è dimessa e in cattive condizioni. Lo troverai di sicuro.”
In quel momento, il silenzio che era calato tra le due donne, venne interrotto da un lieve bussare alla porta. Madame si alzò per andare ad aprire; Christine non le tolse un attimo gli occhi di dosso e si rese conto che l’accesa discussione che avevano appena avuto, aveva fiaccato la sua vecchia tutrice, che si mantenne per alcuni secondi allo stipite della porta. Dopo nemmeno un minuto che era scomparsa dalla sua vista, la donna tornò rinvigorita : “è la tua carrozza. Devi andare!”
Christine si affrettò verso la porta e si fermò sulla soglia : “So che vi ho arrecato solo disturbo con la mia visita, ma grazie infinite lo stesso.”e fece una piccola riverenza. Madame Giry la fermò per una mano, prima che potesse uscire dalla piccola casa,e l’attirò in un abbraccio materno che commosse la giovane. Poi l’allontanò da se quel poco che le permetteva di guardarla bene negli occhi,e la tenne per le spalle : “Mi raccomando presta attenzione lungo la strada. Il cammino che hai scelto non è certo facile da percorrere, ma è ricco di insidie e turbamenti. Ricordati che io ci sarò sempre per te, finché il buon Dio mi darà la forza.”disse con tono grave, poi l’accompagnò alla carrozza e restò lì a fissare la vettura mentre girava l’angolo. Poi mentre rientrava in casa, sperò con tutta se stessa di aver fatto la cosa giusta.


Farah’s corner : allooora ecco qui un nuovo capitolo! Per la verità questo è un piccolo ma fondamentale capitolo di transizione … Grazie a MARUSK ed _aris_ che, grazie alle loro recensioni, mi hanno dato l’energia e l’ispirazione  per scriverlo! Cmq chissà se Christine troverà Erik dove le ha indicato madame Giry ….mah! Il prossimo capitolo arriverà entro il fine settimana o chissà, se gli impegni universitari me lo consentiranno anche prima,e ci saranno rivelazioni e colpi di scena quindi vi invito a seguire! Ci si vede al prossimo capitolo XOXO
PS: mi rendo conto che forse qui Christine ha un carattere diverso rispetto al libro e al film, ma l’ho inteso come un cambiamento dovuto a quello che ha vissuto, quindi una crescita e una maturazione.
*Villemomble è un piccolo comune alla periferia di Parigi, e dista circa 10-15 km. Non ha un significato particolare, ma l’ho scelto semplicemente perché mi piaceva il nome e poi su google maps, quando ho chiesto le indicazioni stradali, mi partiva da rue de Rivoli (strada adiacente all’operà), quindi mi è sembrato un segno e da qui questa scelta! So che non ve ne può fregare di meno, ma io lo scrivo lo stesso XD

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Silent as a grave... ***


Capitolo 4: Silent as a grave …
La carrozza con il blasone della famiglia De Chagny viaggiava spedita per le strade parigine, affollate di persone indaffarate. Christine,cullata dall’andamento della vettura, pensava alle ultime parole che madame le aveva detto: “Mi raccomando presta attenzione lungo la strada. Il cammino che hai scelto non è certo facile da percorrere, ma è ricco di insidie e turbamenti.”- Sapeva che la sua vecchia tutrice non si riferiva alla strada per Villemomble, ma che, sepolto sotto quella semplice raccomandazione, si nascondeva un avvertimento in piena regola. Madame la stava mettendo in guardia su Erik, su quello che avrebbe potuto fare nel momento in cui se la fosse ritrovata davanti e sui rischi che correva se la famiglia di Raoul avesse scoperto questa sua visita. Christine aveva imparato tempo addietro come interpretare le frasi sibilline della vecchia insegnante del balletto.
Scostò le tendine dal finestrino e sobbalzò quando si rese conto che la carrozza stava passando su place de l’operà: guardò quell’imponente edificio,sulla cui cima, brillava al sole primaverile la statua d’oro di Apollo con la lira. I ricordi cominciarono a riaffiorare prepotentemente, nonostante li avesse chiusi in un cassetto della sua mente. Lacrime salate le scivolarono come perle lungo le guance; chiuse di scatto la tendina e si abbandonò ad un pianto liberatorio,contro il sedile della carrozza. Come poteva vivere con un tale peso sul cuore, come poteva andare avanti a nascondere un tale segreto … doveva assolutamente parlarne con qualcuno, ma con chi? Si rese improvvisamente conto di essere sola. Nessuno poteva recare conforto al suo cuore …né Raoul,né madame Giry,né Meg,né tantomeno Madame De Chagny …
 L’unica persona che poteva guarirla da quel male che la distruggeva dentro, era lui, Erik. Ma era anche l’unica persona che in quel momento, da quanto le aveva detto madame Giry, non voleva vederla … non c’era via di scampo da quell’impasse!
L’unica cosa che forse poteva calmarle i nervi in quel momento era una visita alla tomba dell’adorato padre. Aprì il piccolo oblò che stava alle spalle del cocchiere : “Maurice facciamo una deviazione, mi porti al cimitero monumentale di Perè-Lachaise!”
-“Madamoiselle ho il preciso ordine di riportarla alla residenza senza nessuna sosta o deviazione; ordini della contessa!” rispose perentorio il cocchiere attempato,girandosi per intimidire la giovane con lo sguardo.
-“Maurice, la prego, ne ho bisogno … infondo vado solo a far visita alle spoglie di mio padre. Parlerò personalmente con la contessa e le dirò che voi siete stato ligio al dovere e che mi avete impedito di andare, ma che io ho insistito! Non si preoccupi non farò nulla per compromettere il suo lavoro …” e accompagnò queste parole con un sorriso che avrebbe fatto sciogliere il più gelido dei cuori. Il cocchiere la guardò e sorrise, infondo Christine gli era simpatica : “A madame potremmo sempre dire d’aver trovato un ingorgo di carrozze!”e le fece l’occhiolino.
Christine sorrise di rimando : “Grazie mille!” richiuse l’oblò e si riaccomodò sul sedile.
La carrozza procedette a rilento per almeno un altro quarto d’ora, poi accelerò l’andatura e Christine seppe di essere quasi arrivata. Infatti la vettura correva libera, senza ostacoli, lungo il viale d’accesso dell’immenso cimitero.
Dopo poco Maurice arrestò la corsa dei cavalli, che nitrirono contrariati, e venne ad aprire la porta.
-“Maurice tornerò fra breve, non si preoccupi.”
-“ Faccia con calma madamoiselle, io sarò qui ad aspettarla, intanto farò riposare i cavalli.”

Christine voltò le spalle al cocchiere e si avviò all’interno; c’era un ricordo legato a quel luogo che la disturbava: l’ultima volta che era stata lì due degli uomini più importanti della sua vita s’erano quasi uccisi a vicenda. Cercò disperatamente di scacciarlo, ma rimase lì dinanzi ai suoi occhi del nord. Vedeva lo svolgersi di quei funesti eventi, come fossero in corso. Tornare lì era come rivivere quella fredda mattina di dicembre in cui era andata sulla tomba del padre per sbrogliare la matassa confusa dei suoi dubbi ed invece ,alla fine aveva solo ingarbugliato di più la sua già delicata situazione. Era come un deja-vu!
Quel posto incuteva un timore reverenziale : le tombe scure e silenziose si ergevano verso il cielo, come a cercare il paradiso; i fiori erano l’unica chiazza di colore in quel mare di bianco e nero.
Si rammaricò di non aver nessun omaggio floreale da posare sulla sepoltura paterna, ma rimediò quando passò affianco ad un cespuglio di margherite selvatiche: ne raccolse un piccolo mazzetto e lo legò con un nastrino blu che aveva al polso. Sarebbero bastate per quella volta.
I piccoli sentieri tra le sepolture la portarono a destinazione. Si avvicinò con rispetto al mausoleo dedicato al violinista scandinavo, sul quale frontone campeggiava a chiare lettere il cognome DAEE’.
Ricordi lontani le esplosero nella mente: il giorno del funerale del padre,fu uno dei più terribili della sua giovane vita; il cielo era cupo e sembrava volesse piangere la prematura scomparsa di un così virtuoso musicista;al suo fianco c’erano solo mamma Valerius e madame Giry, nessun altro piangeva la morte di Gustave Daee’. Il padre non aveva molti amici e quei pochi che aveva avuto, s’erano volatilizzati non appena lui era finito sul lastrico. Il signor Daee’ era un uomo orgoglioso e non avrebbe mai elemosinato nulla, quindi s’era rimboccato le maniche e aveva fatto quel che poteva per crescere la sua unica figlia in maniera quantomeno decorosa. Viveva alla giornata, di lavori saltuari e quei pochi franchi che riusciva a racimolare erano destinati unicamente alla sua piccola Lottie. Il giorno della sua morte non c’erano nemmeno i soldi per i funerali, ma mamma Valerius, borghese abbiente che aveva preso a cuore la sorte di Gustave e Christine, volle dare degna sepoltura a quel pover uomo e gli comprò una piccola cappella nel cimitero più grande e famoso di Parigi. Christine non le sarebbe mai stata abbastanza grata per quel gesto.
La giovane si inginocchiò sugli scalini del piccolo mausoleo e cominciò a pregare per l’anima paterna.
-“Padre, cosa devo fare?”-chiese alla muta tomba-“Devo seguire ciò che mi suggerisce la società, ed avere una vita felice al fianco del caro Raoul, o devo ascoltare il mio cuore ed inoltrarmi in territori sconosciuti, dai quali non so se farò ritorno?” ovviamente tutto rimase silenzioso ed immutato, non un rumore turbava la quiete immortale di quel luogo.
-“Padre sono sola; anche madame Giry non mi è più di alcun aiuto … ” abbassò il capo e trattenne le lacrime, che ultimamente facevano troppo spesso comparsa nei suoi occhi. Il padre non avrebbe approvato questa sua condotta;le aveva insegnato ad essere forte e in quel momento lei si sentiva tutt’altro che forte: si sentiva come una bimba smarrita, alla ricerca di un caldo abbraccio in cui infilarsi per farsi consolare.
-“Vorrei che tu e la mamma foste qui con me, a consigliarmi e a confortarmi …mi manchi…” in quel momento si sentì proprio una stupida: cosa poteva risolvere quel discorso, anzi soliloquio, con la tomba del padre?
-“Nulla …”fu la risposta che si diede, rispondendo ad alta voce ai suoi pensieri. Ormai era una donna, non aveva bisogno che qualcuno la consigliasse o che la incoraggiasse, era abbastanza matura da ponderare e fare le sue scelte.
Si alzò e salì i tre scalini di marmo nero che portavano al piccolo cancello del mausoleo. Depositò il piccolo mazzolino di margherite nell’inferriata e si fece il segno della croce. –“Håll nära mig till ditt hjärta”-‘tienimi vicina al tuo cuore’ salutò il padre con una delle poche cose che sapeva dire in svedese,era il loro saluto speciale. Se il padre avesse potuto risponderle le avrebbe detto ‘Alltid’:sempre. Si voltò per tornare da Maurice. Stava per scendere quei pochi gradini, quando qualcosa la bloccò e le tolse il fiato: nell’esatto punto in cui s’era inginocchiata per pregare, una rosa rossa,listata di nero, giaceva abbandonata. Si precipitò a prenderla e si guardò intorno: un’ombra nera scivolò furtiva lontano. Christine cercò di seguirla, ma l’ombra era già scomparsa.
-“Erik”- urlò, nella speranza che la sentisse; sapeva che era ancora lì da qualche parte, nascosto, da buon fantasma qual era, dietro qualche sepolcro. –“Verrò a cercarti, ovunque tu ti nasconda…”aggiunse poi, sussurrando. S’incamminò, convinta ancor di più della strada che aveva deciso di percorrere.
Corse verso l’uscita, verso Maurice, verso quella carrozza che l’avrebbe portata tra le braccia premurose di Raoul … braccia che purtroppo non erano quelle da cui voleva essere stretta.


 Farah’s corner: comincio con il dire che questo capitolo è nato sotto la stella della non-ispirazione. Infatti fa abbastanza pena, e non aggiunge niente di che alla trama. Sinceramente non mi piace nemmeno tanto Christine, che si piange addosso; insomma sono insoddisfatta… Cmq spero lo stesso che leggiate e che alla fine non mi maledirete per questo capitolo, che si è fatto tanto aspettare ma che non è riuscito come volevo. Pardon! Alla prossima volta ;)
Ps: credo che il prossimo capitolo sarà pov erik :D

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Here without you ... ***


Capitolo 5 : Here without you

-Pov  Erik-

Cinque mesi. Cinque mesi erano passati da quando l’aveva vista l’ultima volta. Beh, da quando l’aveva vista realmente, perché lui la vedeva ogni notte nei suoi sogni, o meglio incubi. Svegliarsi ogni giorno era come morire ripetutamente: sognava di stringerla tra le braccia, di baciare le sue labbra morbide,di averla al suo fianco, finalmente solo sua, di nessun altro… nessun damerino sbarbatello tra i piedi,nessuna madame Giry contrariata; solo lui e la sua musa. Ma al risveglio, lo scoprire che era tutto frutto, per l’ennesima volta, della sua immaginazione, lo uccideva. Era come ricevere infinite stilettate al suo già martoriato cuore. Lo starle vicino l’aveva reso debole, in tutti i sensi. Non aveva sue notizie da mesi:le ultime voci che erano giunte fin nel buio del suo nascondiglio, la volevano felicemente fidanzata con il rampollo De Chagny e prossima alle nozze. Tutto ciò voleva solo dire che lei l’aveva dimenticato, nonostante avesse promesso di non farlo. Le aveva offerto il suo cuore, diviso in quattro parti e lei l’aveva preso e l’aveva usato finché le era piaciuto, poi l’aveva buttato via. Ma nonostante tutto non serbava rancore nei suoi confronti , era solo seccato di quella situazione: prima dell’arrivo di Christine all’opera, la sua vita, seppur vissuta nei meandri della società parigina, era trascorsa al riparo dagli sguardi della gente , tra un’azione turpe ed un’altra … non s’era mai preoccupato delle sue azioni. Ma da quando la piccola Daee era entrata nella sua vita s’era sentito quasi in dovere di rendere conto della sua condotta a lei e ai suoi occhi limpidi come i cieli della Persia, che lo imploravano di non commettere più atrocità. Ricordava ancora come l’aveva guardato dopo la morte “accidentale” di Joseph Bouquet : il suo sguardo tradiva terrore nei suoi confronti, ma anche pena per la sua anima, che sicuramente, dopo essere uscita da quella orrenda prigione che continuava a chiamare corpo, avrebbe bruciato all’inferno per l’eternità.

Il pensiero costante di Christine lo aveva spinto ad allontanarsi dal suo regno,almeno finché non si fossero calmate le acque: sulla sua testa pendeva ancora una taglia di mille franchi. Poi però l’annuncio della sua morte era apparso sul giornale più letto di Parigi, e i suoi problemi erano finiti: nessuno lo aveva più cercato. Aveva però, deciso comunque di andarsene. Tutto all’operà le ricordava lei, la sua voce, i momenti passati insieme a deliziarsi con la dolce musica, che lui scriveva solo per lei. Ma tutti gli sforzi che aveva fatto per disintossicarsi da lei, dalla sua costante presenza,non erano serviti a nulla. L’aveva estirpata dal suo cuore, come si fa con un’erbaccia, ma quella aveva rimesso radici dopo poco tempo. Non avrebbe mai trovato un rimedio a quel male d’amore:purtroppo Christine era entrata nel suo cuore e non se ne sarebbe più andata.

Per distrarsi, aveva tentato di scrivere una nuova opera, ma ogni giorno ricominciava daccapo, poiché alla sera, prima di addormentarsi sfinito da qualche parte, distruggeva,in preda alla follia, ogni spartito.

Purtroppo, Orfeo aveva perso la sua amata Euridice. Lui, da sempre al servizio della musica,non riusciva più a comporre niente di decente, o che quantomeno si avvicinasse alle sue opere precedenti. L’ispirazione era andata via la notte dell’incendio,insieme a Christine.

Ora viveva nascosto dal resto dell’umanità a Villemomble, in una vecchia cascina abbandonata. Nessuno aveva notato il suo insediamento in quella casa, nessuno se n’era accorto: era arrivato lì di notte, con il favore delle tenebre. Viveva in quel buco già da diversi mesi, ma non si sarebbe mai abituato a tutto quello: l’agio e il comfort della casa sul lago gli mancavano. Ora che non c’era nemmeno più madame Giry a procurargli di che vivere, s’era dovuto ingegnare. Appena scendeva la sera, piazzava delle piccole trappole tutt’intorno  alla casa e al mattino recuperava quelle poche bestiole che, sfortunatamente per loro ,capitavano nei suoi tranelli. Infondo era sempre stato bravo con i nodi e i lacci.

Quello stesso giorno, andando alla sua solita visita alla tomba di Gustave Daee, l’aveva vista e il suo povero cuore aveva perso un battito: bellissima ed eterea come sempre, ma con un’infinita tristezza negli occhi. L’aveva osservata per diversi minuti, in cui lei aveva parlato con il padre, forse,ma la distanza che li separava non gli aveva permesso di ascoltare quello che diceva. Dalla sua faccia stravolta, però, aveva capito che doveva essere qualcosa di grave: sperò per quello sciocco damerino che non fosse colpa sua,altrimenti, l’avrebbe raggiunto ovunque e glie’avrebbe fatta pagare per ogni lacrima che la sua pupilla aveva versato. Quando Christine s’era alzata per avvicinarsi all’entrata del mausoleo, lui, fulmineo come un’ombra aveva depositato la rosa ,che aveva raccolto dal roseto vicino alla cascina, dove lei s’era inginocchiata. Poi,sempre silenzioso come un fantasma, aveva voltato le spalle al suo eterno amore  e con l’anima stretta in una morsa letale era tornato sui suoi passi.

Ma all’improvviso, un grido aveva squarciato il perenne velo di silenzio che aleggiava su quel luogo solenne. Il suo nome era risuonato  nella quiete eterna del cimitero, tra le lapidi grigie. S’era fermato, con il cuore che gli batteva nel petto come un forsennato, indeciso sul da farsi: tornare indietro o continuare per la sua strada?

Meglio per entrambi se non si fossero visti mai più, quindi aveva continuato a camminare verso l’uscita anteriore del cimitero. Se n’era pentito subito.

Ma ora era lì, fermo ad osservare la lettera che madame Giry gli aveva fatto recapitare. L’aveva letta e riletta, per farsi entrare nella mente quelle parole, che per lui in quel momento non avevano senso: “Christine sta tornando da te! Sa dove sei,verrà a cercarti. A te la scelta…”

Come? Christine, la sua adorata musa, il suo angelo, tornava da lui, dopo averlo abbandonato?!? Non poteva essere, e poi perché? Sicuramente voleva il suo perdono, voleva mettersi l’anima in pace prima di convolare a nozze con il visconte … forse voleva anche la sua benedizione! Poi se ne sarebbe andata di nuovo e l’avrebbe abbandonato come un tempo; ma non sapeva se quella volta sarebbe riuscito a sopportare tutto quello che aveva passato negli ultimi mesi. Questa volta sarebbe morto sicuramente … e poi lei lo cercava, ma lui non sapeva se voleva vederla. Forse questa volta sarebbe stato lui a ferirla, non si sarebbe fatto trovare!

Rimuginare sulle cose non era mai stato nel suo stile; forse a volte aveva meditato vendetta, ma soffermarsi troppo sul da farsi non era da lui … di solito agiva d’istinto! I suoi pensieri erano veloci e chiari, quanto il laccio del suo punjab era fulmineo e letale.

Così su due piedi decise di dover abbandonare la cascina di Villemomble, madame gli aveva detto che Christine sapeva, quindi sarebbe venuta a cercarlo proprio lì. Lui intanto sarebbe tornato nel suo regno a prova di intrusi. Forse lì non l’avrebbe cercato, ma anche se fosse tornata nel luogo dove tutto era cominciato, avrebbe trovato solo distruzione e ciò l’avrebbe dissuasa dall’avventurarsi nella dimora sul lago. Sperava che le cose andassero così …

Racimolò le poche cose che aveva portato con sé, indossò la mezza maschera, sua compagna di vita, e poi sedette allo scrittoi e intingendo la penna nel calamaio scrisse poche righe a madame: << Il fantasma dell’opéra è tornato…>> la Giry avrebbe capito.

Lasciò ,con il favore della notte,Villemomble per tornare nel cuore della civiltà, dopo mesi di isolamento. Parigi, crogiuolo di tutti i vizi e le perversioni, lo credeva morto, ma non sapeva che, infervorato da quella lettera, lo spietato figlio del diavolo stava tornando!

 

 

Angolino di Farah: allora che dire… nulla! Nonostante sia breve questo capitolo mi piace e spero piaccia anche a voi. Come vedete Erik, mon amour, sta tornando all’attacco, beh per la verità si sta andando a nascondere per l’ennesima volta, ma non conosce bene Christine, se crede che si farà fermare da qualche specchio rotto e vecchi mobili bruciati! Cmq siamo vicini all’epilogo che, ispirazione permettendo, arriverà entro settimana! Buona lettura e spero che tu, caro lettore, lasci una piccola recensione! ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Lies and betrayals ***


Capitolo 6: Lies and betrayals

-3 giorni al matrimonio

Christine, dopo una settimana di preparativi per la sua “visita fuori Parigi”, era pronta per andare. Aveva detto a madame De Chagny che andava di nuovo da madame Giry , e questa coma la volta precedente non aveva nemmeno accennato ad andare con lei. Poi aveva convinto Maurice, dietro lauto compenso, ad accompagnarla a Villemomlbe: il cocchiere s’era incuriosito e le aveva chiesto spiegazioni.

-“Madamoiselle cosa ha da fare a Villemomle di così importante,da non potere aspettare dopo le nozze?”- di solito non si impicciava dei fatti dei padroni, ma quella volta volle fare un’eccezione, si preoccupava per la giovane Daee.

-“Vado a trovare un amico di mio padre, voglio informarlo delle mie nozze. Gli farà sicuramente piacere sapermi accasata con un nobile!”- Christine aveva preparato una scusa, così se Maurice avesse chiesto spiegazioni, non avrebbe temporeggiato a rispondere e quindi non avrebbe insospettito il cocchiere.

Erano le dieci precise, quando la carrozza varcò i cancelli della tenuta De Chagny, diretta verso la provincia parigina.

Affacciata al finestrino della carrozza, la giovane soprano vedeva scorrere davanti ai suoi occhi la campagna che si estendeva per decine di chilometri in ogni direzione: i fiori coloravano di mille sfumature i campi, le rondini tracciavano infinite spirali nel cielo terso, i cani delle fattorie vicine latravano in amore. Il sole illuminava quella giornata primaverile, così importante per Christine, e le accarezzava la pelle diafana, facendola arrossare un po’. Respirò a pieni polmoni quell’aria pura, carica di profumi e promesse.

Maurice fischiettava come al solito, qualche ballata che aveva ascoltato qua e là nelle taverne che frequentava assiduamente. Tutto quel sole, quella vita, le fecero venir voglia di cantare : “We never said our love was evergreen,or as unchanging as the sea, but if you can still remember … stop and think of me!”- poche battute, di quell’aria che l’aveva consacrata alla fama. Maurice taceva e anche la campagna tutt’attorno era muta: tutto s’era fermato quando la prima nota era uscita dalle sue labbra.

-“ Madamoiselle lei è un angelo…”- Maurice era rimasto folgorato dalla voce soave della giovane, d’altronde non avendo mai goduto di una serata all’opera, era la prima volta che ascoltava qualcosa del genere.

-“Grazie Maurice, lei non è il primo a dirmelo …”- Christine ricordava quando il suo mentore l’aveva chiamata “mio angelo”. Quei tempi le sembrarono così lontani, quasi appartenenti ad un’altra vita. Ma fra poco l’avrebbe rincontrato: sentiva che il suo cuore saltava dalla gioia.

-“Secondo lei si può morire di gioia, Maurice?”- quella domanda esistenziale le era uscita dalla bocca senza pensare.

Il cocchiere non rispose, pensando ad una risposta da dare alla ragazza. Poi scoraggiato rispose : “ Non ne ho idea madamoiselle, ma so di un tizio che è morto quando la moglie gli ha detto di aspettare un figlio, quindi credo che si possa morire per la troppa felicità!”

Christine rise a quella risposta, Maurice le regalava quei pochi momenti di spensieratezza che le mancavano tanto. Oramai il vecchio cocchiere era quasi diventato l’alter ego di madame Giry.

Il resto del viaggio continuò così, tra una domanda ed un indovinello: Maurice la faceva ridere, le raccontava storielle e le poneva qualche enigma, non sempre semplice,da risolvere.

Verso mezzogiorno, quando il sole era allo zenit, il cocchiere disse: “Madamoiselle siamo quasi arrivati a Villemomble, dove la devo portare?”

-“Maurice non dobbiamo entrare nel paese, ma appena vede una cascina malandata, con un roseto nei pressi, mi avvisi. È lì che dobbiamo fermarci!”

-“Allora credo che siamo arrivati, lì guardi…”- Maurice indicò alla ragazza un punto alla loro sinistra: un enorme cespuglio carico di rose, era accostato al muro ovest di una vecchia cascina. Le rose rosse spiccavano sul bianco della pietra della casa.

-“Credo  sia proprio questo il posto. Maurice può fermarsi anche qui, proseguirò a piedi!”

-“Madamoiselle, ma posso  accompagnarla fino alla porta se vuole…”- il cocchiere non riusciva a capire, perché fermarsi cento metri prima della meta?

-“No! Trovi un posto all’ombra per i cavalli e si risposi. Farò più in fretta possibile.”- si sbrigò a dire.

-“Come vuole madamoiselle.”- Maurice non protestò più e fece accostare i cavalli lungo il ciglio della strada che conduceva a Villemomble.

Christine scese senza aspettare che il vecchio cocchiere le aprisse lo sportello. Fissò lo sguardo sulla vecchia casa abbandonata e un brivido le percorse la schiena. Era così vicina alla sua meta che  non riusciva a crederci, era stato fin troppo facile trovarlo.

Si voltò verso Maurice e gli sorrise, come per dire “va tutto bene, torno tra poco”. Il cocchiere le restituì il sorriso e poi diresse la carrozza non molto lontano dalla cascina, all’ombra di una vecchia quercia nodosa.

Intanto Christine seguendo la strada era arrivata davanti alla porta: accostò l’orecchio al legno consunto dal tempo e dalle intemperie. Nessun rumore proveniva dall’interno, ma questo non la scoraggiò. Erik era sempre stato bravo ad occultare la sua presenza. Bussò, ma non appena le nocche toccarono la porta, quella si aprì come animata. Brutto segno. Entrò all’interno, con passo incerto e timoroso, non sapendo cosa aspettarsi.

Non un rumore spezzava la tranquillità della campagna. La casa era apparentemente vuota, nessuno viveva lì: la stanza al pian terreno era spoglia, ad eccezione di un vecchio tavolo traballante e di un divanetto rosso, che le ricordava l’arredamento della stanza della musica, della dimora sul lago. Tremò all’idea di aver fatto tanta strada per nulla. Attraversò a grandi passi la stanza e salì le scale che portavano al piano superiore. Niente nemmeno sopra, solo un letto sfatto e brandelli di spartiti sparsi ovunque. Almeno quello era il segno del suo passaggio in quella casa. Ridiscese le scale e si avviò verso la porta, scoraggiata da quella scoperta. Un particolare colpì la sua attenzione: abbandonata sul tavolo c’era una lettera. La prese e appena cominciò a leggere le mani cominciarono a tremarle … non era la scrittura elegante e curata di Erik, ma quella incerta di madame Giry.

Caro Erik,

spero tanto che questa mia lettera ti trovi bene ed in salute. Quello che sto per dirti potrebbe turbarti, ma sappi che non è mia intensione turbare la tua vita e il tuo cuore. Conoscendoti e sapendo che le sorprese non ti sono gradite ti annuncio una cosa:Christine sta tornando da te! Sa dove sei, verrà a cercarti. A te la scelta …

                                                                        Tua serva, Therese Giry”

 

Quando finì di leggere quelle poche ma significative righe, Christine accartocciò tra le mani tremanti la lettera. Un grido di frustrazione le uscì dalle labbra, mentre una lacrima solitaria le scivolava verso il mento.

-“Maledetta, maledetta … siate maledetta Madame!”- poi uscì sbattendo la porta.

Evidentemente Erik aveva fatto la sua scelta: sapendo che lei sarebbe arrivata da un giorno all’altro, aveva preferito andarsene che attendere il suo arrivo. Chiaramente non voleva vederla! Ma quello che le faceva più male era che la sua fidata madame Giry, l’aveva tradita!

Nel suo cuore, per la prima volta si fece strada un nuovo sentimento: l’odio.  A grandi passi, si avviò verso Maurice che stava riposando all’ombra e accarezzava distrattamente il manto di uno dei cavalli.

-“Maurice, la prego mi riporti a casa!”- stremata, con le guance in fiamme e  gli occhi lucidi era salita nella carrozza.

-“Madamoiselle, tutto bene? State male?”- si premurò di chiedere il cocchiere.

-“No, voglio solo tornare a casa!”- mugugnò  la ragazza.

Maurice salì in cassetta e partì alla volta di Parigi.

Christine aveva ripetuto che voleva tornare a casa, si ma dove? La sua casa non era villa De Chagny … la sua casa era l’operà, dove tutta quella storia aveva avuto inizio.

Un idea le balenò nella mente: se conosceva bene Erik quanto credeva, doveva essere tornato per forza lì, nel suo regno, dove poteva avere la situazione sotto controllo. Ora che la gendarmeria non lo cercava più, perché non tornare nella propria casa?

Ed era proprio lì che Christine sarebbe andata, non appena si fosse calmata: al teatro dell’Opera.

 

 

Angolino di Farah: che dire, oggi mi sentivo ispirata, sarà la primavera! Comunque qst capitolo è breve come il precedente, ma è importante per quello che verrà dopo. Christine è furiosa e medita vendetta contro quella volpe di madame Giry, che non sa proprio farsi i fatti suoi ! Spero tanto che anche questo capitolino vi piaccia XD a la prochaine fois ;)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Finally you! ***


Capitolo 7: Finally you!

 

Quando era tornata a villa De Chagny, aveva salutato brevemente la madre di Raoul e poi accusando un malore s’era rinchiusa in camera sua. Raoul appena tornato da Parigi, era subito corso da lei, preoccupato. Aveva bussato alla porta, ma Christine non l’aveva lasciato entrare.

-“Lottie che ti succede? Cosa c’è che non va?”- era appoggiato allo stipite della porta e tendeva bene l’orecchio per sentire cosa succedeva nella camera.

-“Raoul non è niente, ho avuto solo un piccolo capogiro, adesso voglio solo riposare. Parleremo più tardi!”- Christine seduta alla specchiera fissava contemporaneamente il suo riflesso e quello della porta. Conoscendo Raoul, sapeva che non l’avrebbe forzata per farlo entrare.

Un sospiro rassegnato arrivò dalla porta: “Come vuoi Christine, ti faccio portare la cena in camera!”

La ragazza sentì distintamente i passi di Raoul che si dirigevano alle scale. Non le era piaciuto il tono con cui l’aveva chiamata ‘Christine’: che sospettasse qualcosa? No, era impossibile! Lei non aveva mai fatto trapelare nulla, s’era sempre dimostrata una fidanzata premurosa e devota. E poi Raoul era sempre fuori per lavoro e commissioni, non poteva conoscere tutti i suoi spostamenti, anche perché l’unico a conoscere le destinazioni delle sue uscite, era Maurice, al quale aveva chiesto il massimo riserbo. Forse era solo suggestione, o erano i sensi di colpa a farla stare all’erta!

Si guardò allo specchio e quella che vide non fu più la ragazzina timida che si acconciava i fiocchi nei capelli, no, quella che vedeva ora,era una donna matura ormai, stremata dagli eventi e consumata dalla paura e dalla passione, per un uomo che non voleva più sapere nulla di lei.

Nonostante fosse solo pomeriggio, si tolse i vestiti castigati che aveva usato per quella giornata e indossò la più comoda veste da camera, quella che usava per dormire. Risedette al boudoir e cominciò a spettinarsi i lunghi capelli: il vento che aveva preso durante la corsa in carrozza le aveva scompigliato tutta l’acconciatura; con mani esperte e con una spazzola districò tutti i nodi. In quel momento avrebbe voluto saper risolvere altrettanto facilmente i nodi delle sue questioni in sospeso!

Più tardi, quando fuori il sole era ormai alla fine della sua corsa giornaliera, le venne portata la cena in camera. La cameriera, non aveva due anni in più di lei. Certo non conduceva una vita agiata come la sua, ma in quel momento Christine la invidiò: non aveva certo i problemi che aveva lei,non doveva combattere con i fantasmi del suo passato, non doveva seguire la rigida etichetta … Le sarebbe piaciuto essere al posto di quella ragazza in quel momento.

Quando la giovane cameriera si chiuse la porta alle spalle, Christine si avvicinò al tavolino dove era stato poggiato il vassoio con la cena: vellutata di verdure miste, spezzatino d’agnello alle prugne e una ciotola d’uva, il tutto accompagnato da un calice di vino rosso. La cena era molto invitante, ma lo stomaco della giovane soprano era ben lungi dal voler accogliere quelle prelibatezze. Non mangiò nulla, ma piluccò pensierosa un po’ d’uva, finché il resto delle pietanze non si freddò.

 Distrutta e spossata da tutte le emozioni provate in quella giornata, si distese sul letto e nel giro di qualche minuto, si abbandonò ad un sonno agitato.

-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.

-2 giorni alle nozze

Christine venne svegliata dal chiacchiericcio dei domestici nel cortile e l’andirivieni delle cameriere nei corridoi: parlottavano animatamente del matrimonio imminente, degli invitati e della fortuna sfacciata di Christine, presto accasata con uno dei rampolli più contesi di tutta Parigi.

La giovane rimase immobile sul grande letto, a fissare il soffitto affrescato con scene bucoliche: tutte quelle chiacchiere la innervosivano, da come la descriveva mezza servitù, lei era una poco di buono,arrampicatrice sociale , che sposava il buon visconte solo per interesse. Avrebbe voluto urlare a quella gente di smetterla di parlare di lei, di cambiare argomento; ma non sarebbe servito a nulla,quel matrimonio aveva reso euforici tutti, persino i domestici!

Si alzò dal letto, si preparò alla toeletta, si vestì svogliatamente e condusse l’intera giornata come una marionetta: Raoul la chiamava da una parte e madame De Chagny la trascinava dall’altra, e lei si faceva condurre senza fiatare.

Quando quella sera, dopo una cena alquanto silenziosa animata solo dai convenevoli di rito, si ritirò nella sua stanza, non poté fare a meno di sospirare. Ancora un giorno e quella storia sarebbe finita.

Poi come la sera precedente si abbandonò ad un sonno non certo ristoratore,popolato di angeli, fantasmi e occasioni bruciate.

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-

-Il giorno prima delle nozze -

Proprio come se il Sole l’avesse richiamata dal suo sonno, Christine si svegliò alle prime luci dell’alba. Quella notte, mentre si girava e rigirava tra le lenzuola, aveva sognato il di mettere in pratica il suo piano: l’aveva sognato, aveva sognato di rincontrarlo, di parlargli, di stringerlo a sé, di cantare ancora la sua splendida musica.

Non c’erano scusanti, s’era lasciata andare agli eventi e aveva sprecato solo tempo: quel giorno stesso avrebbe messo in pratica i suoi intenti! In quel momento non le importava del matrimonio, di Raoul, di madame De Chagny, né tantomeno di quello che pensava di lei la servitù. Tutto passava in secondo piano!

C’era solo un piccolo quanto fondamentale problema da risolvere : come sarebbe arrivata all’opéra Garnier? Chiedere a Maurice era fuori discussione, avrebbe destato troppi sospetti. Doveva trovare il modo di arrivarci da sola, si ma come!? Non poteva di certo prendere la carrozza e vagare per Parigi! L’unica alternativa era raggiungere il teatro con il solo mezzo che aveva a disposizione: un cavallo.

L’unica volta in cui era andata a cavallo, era stato quando Erik l’aveva condotta per la prima volta nei sotterranei dell’opera. Non era sicura di saper governare una tale fiera ed orgogliosa bestia. Non era tempo di farsi prendere dal panico, era tempo di agire! Sgattaiolò nella camera di Raoul e frugò nei cassetti alla ricerca di un paio di pantaloni: di certo non avrebbe potuto cavalcare con la gonna. Ritornò nella sua camera e li nascose sul fondo dell’armadio, pieno di vestiti sfarzosi e ingombranti. Stonavano quasi tra tutto quel tulle e quella seta!

Essendo il giorno prima delle nozze, le avevano lasciato la giornata libera da qualsiasi impegno, in modo che riposasse.

 Scese nelle scuderie della villa per osservare e assorbire quante più nozioni possibili sul conto dei cavalli. Maurice e il figlio Martin si stavano occupando l’uno dei finimenti e l’altro del foraggio. Martin era un giovinetto di appena tredici anni con i capelli biondo cenere e gli occhi scuri, che in pratica la venerava: ogni volta che la incontrava si prostrava in mille riverenze e le faceva sempre dei complimenti così dolci ed innocenti, che Christine l’aveva preso in simpatia.

-“Madamoiselle cosa vi porta nelle stalle? Non è certo luogo adatto a lei!”- Maurice aveva finito con i finimenti e si era avvicinato, incuriosito da quell’incursione inaspettata.

-“Oggi ho la giornata libera,ma non avendo nulla da fare, sto semplicemente passeggiando. Il mio vagare  mi ha portata qui! Mi piacciono molto i cavalli.”- mentì spudoratamente, in effetti quegli animali la intimorivano, ma Maurice fece finta di crederci.

-“ Come vuole madamoiselle, ma non si avvicini troppo. Oggi sono un po’ irrequieti, colpa del tempo che sta cambiando …sentono arrivare la tempesta!”-spiegò il cocchiere.

‘Bene’pensò Christine tra sé ‘ci mancava solo che fossero nervosi’.

Martin intanto aveva finito di foraggiare le bestie agitate e si stava lavando le mani in un piccolo catino ricolmo d’acqua. A Christine venne un’idea: aveva notato che ai cavalli, quando stavano nelle stalle, venivano tolte tutte le imbrigliature; sapeva che era cosa alquanto impossibile cavalcare senza briglie né morso, e lei non sapeva nemmeno da dove cominciare per preparare un cavallo ad un uscita! Qui entrava in gioco Martin. Avrebbe usato tutto l’ascendente che aveva sul ragazzino per farsi aiutare in quell’impresa. Lo raggiunse e gli fece qualche domanda sui cavalli, sul suo lavoro nelle stalle e della sua vita alla villa. Il ragazzino dapprima impacciatissimo, s’era sciolto quando aveva visto l’interesse genuino che brillava negli occhi della giovane soprano.

-“Martin ho da chiederti un favore…”- disse Christine, quando si rese conto d’aver messo a proprio agio il piccolo stalliere.

-“Madamoiselle sono al suo servizio. Se mi sarà possibile l’aiuterò!”- accompagnò quelle parole con una piccola riverenza.

-“Ho bisogno che questa sera tu mi selli un cavallo, il più veloce che hai. Dovrà essere pronto per una lunga cavalcata. Non chiedermi perché, tanto non te lo dirò, ma devi assolutamente giurarmi di non farne parola alcuna con nessuno, nemmeno con tuo padre. Dovrai essere silenzioso e non dovrai farti scoprire: in caso venissi scoperto non dovrai fare il mio nome. Ne va del buon nome dei De Chagny. Me lo prometti?posso fidarmi di te?”- aveva assunto un tono di voce più duro e serio, e aveva assunto un atteggiamento cospiratorio. Non era da lei, non era brava a fare la parte della cattiva.

-“Madamoiselle, farò come mi chiede. Può fidarsi di me!”- Martin pendeva dalle sue labbra.

-“Bene allora. Appena tutte le luci della villa saranno spente, verrò qui a prendere il mio cavallo.”- gli diede un piccolo buffetto sulla guancia e poi lasciò le stalle, sotto l’occhio sempre più curioso di Maurice.

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-

Il resto della giornata passò tranquillamente, senza che nulla turbasse la sua quiete. Alla sera, venne servita la cena e conversò amabilmente con i commensali, come non le capitava di fare da molto tempo. Augurò la buonanotte alla contessa e poi salì in camera sua, scortata sottobraccio da Raoul.

-“Sogni d’oro dolce Lottie. Ti aspetto domani sull’altare …Finalmente insieme per sempre, nulla più potrà separarci!”- calcò la voce su quelle ultime parole, prima di baciarla gentilmente a fior di labbra.

Christine chiuse la porta e subito venne pervasa da una scarica di adrenalina: era arrivato il momento. Erano le dieci, prima che tutti gli abitanti della tenuta andassero a dormire e che tutte le luci si spegnessero, sarebbe passata un’altra ora. Spense le tre lampade ad olio che illuminavano la camera e cominciò a prepararsi alla sola luce del camino, che, nonostante fosse piena primavera, era stato acceso perché quella sera  l’aria era più fredda.

Indossò delle calze pesanti, poi i pantaloni che aveva preso ‘in prestito’ da Raoul, sopra mise una camicia bianca con delle rouche sul collo e uno scalda cuore di lana azzurra. Infine indossò le uniche scarpe basse che potessero andar bene per quell’occasione e si coprì con il mantello blu scuro che aveva usato la notte in cui era scappata dal teatro.

Alle undici precise, stava scendendo le scale che portavano agli alloggi della servitù. Da lì uscì nel cortile sul retro, sul quale si affacciavano le stalle. Una piccola luce soffusa proveniva da uno dei box, Christine si avvicinò e trovò Martin intento a fasciare gli zoccoli del cavallo dal manto scuro, con  degli stracci.

-“Cosa stai facendo Martin?”- chiese allarmata.

-“Madamoiselle, credo d’aver capito che questa uscita deve essere tenuta segreta, quindi mi premuro di non farla scoprire. Il suono degli zoccoli sul selciato, sveglierebbe tutta la villa. In questo modo attutirete il rumore.”- Martin le sorrise, per farle capire che nonostante tutto non avrebbe fatto parola con nessuno di tutto quello.

-“Grazie, Martin. Sei più sveglio di quanto credessi!”- detto questo gli scoccò un bacio sulla guancia paffuta ancora da bambino.

Martin poi, l’aiutò ad issarsi sul dorso del cavallo e l’accompagnò al cancello secondario della villa. Durante il breve percorso, rendendosi conto che la giovane era alquanto inesperta ed impreparata, le spiegò brevemente come governare il cavallo.

Dopo le ultime raccomandazioni, Martin le indicò la strada da percorrere per Parigi e scoccò una pacca all’animale, che partì al galoppo, con una spaventata Christine sul dorso.

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-

Christine aveva fatto un breve calcolo mentale, sarebbe dovuta arrivare a Parigi in mezz’ora, un’ora al massimo. Poi avrebbe impiegato un po’ di tempo per trovare la strada per l’opéra.

Mentre cavalcava spedita verso la città, si rese conto che la campagna scura e silenziosa era spaventosa. La luna in cielo, era coperta da grosse nuvole scure che preannunciavano la tempesta di cui aveva parlato Maurice. Sperò solo che non cominciasse a piovere, altrimenti il cavallo l’avrebbe disarcionata.

I suoi calcoli non erano errati: arrivò nel centro di Parigi, quando il grande orologio del palazzo di giustizia scoccava la mezzanotte.

A dispetto di quanto credeva, riuscì subito a trovare la strada per il teatro e in men che non si dica si ritrovò in rue de Scribe, dove sapeva esserci un’entrata per la dimora sul lago.

Scese con difficoltà dal cavallo e si sgranchì le gambe indolenzite dalla lunga cavalcata. Quando la notte dell’incendio era fuggita, era uscita proprio da una delle grate che davano su rue de Scribe. Non ricordava quale fosse e così cominciò a scuoterle una per una, fino a trovarne una che si mosse sui cardini come una piccola porta.

Senza esitare scese nell’oscurità di quel passaggio e proseguì a tentoni, tenendo le mani attaccate alle pareti del tunnel. Faceva piccoli passi, timorosa di trovare una delle tante trappole piazzate da Erik per tenere lontani i ficcanaso. Fortunatamente per lei, i tranelli dovevano essere già scattati in precedenza, quindi il suo cammino non venne intralciato da nessun ostacolo.

In poco tempo era arrivata sulle sponde del lago sotterraneo,dove stranamente aveva trovato la barca che Erik utilizzava per spostarsi da una parte all’altra. Tentò di raggiungere la piccola imbarcazione, immergendosi fino alla vita nell’acqua: benedisse mentalmente i pantaloni leggeri che aveva indossato; con la sottana e la gonna sarebbe andata a fondo!

L’acqua era fredda e scura, alla stregua di una palude, come c’era da immaginarsi d’altronde:non un caldo raggio di sole penetrava laggiù.

Una volta raggiunta la barca, si issò goffamente a bordo e trovato i remi sul fondo, li raccolse e riportando alla mente i movimenti del suo maestro, cominciò, seppur in modo scoordinato,a remare. Ogni remata le costava un’immensa fatica, i muscoli delle braccia le dolevano e le bruciavano per lo sforzo, dopotutto il suo corpo non era abituato. Sorrise fra sé: quella era solo un’altra prova da superare per raggiungere la tanto agognata meta … per raggiungere lui!

Dopo, non sapeva nemmeno lei quanto tempo fosse passato, raggiunse la sponda della dimora sul lago: un silenzio inquietante s’era impadronito di quel posto, che di solito risuonava dei più meravigliosi virtuosismi musicali. Di lui, come doveva aspettarsi,nemmeno l’ombra. Dove prima regnava sovrana la musica, ora tiranneggiava un indicibile caos: gli specchi che circondavano le pareti semicircolari della casa, erano stati distrutti in centinaia di pezzi: l’immagine distorta di Christine si rifletteva dovunque, dando a quel posto già tetro, un’atmosfera inquietante. Intere risme di spartiti erano sparse per terra, alcuni bruciati, altri insozzati dall’acqua del lago, altri ancora strappati in piccoli pezzettini e sparpagliati a mo di semina; i minuziosi modellini del teatro e delle invenzioni di Erik, erano stati gettati nell’acqua bassa della riva, e a causa del tempo trascorso lì,avevano perso quasi del tutto il colore. Tale scempio della genialità del suo maestro, le fecero salire le lacrime agli occhi: quanto crudele e bestiale può essere l’animo umano!?

Scese dalla barca e arrancò fino alla riva: da vicino quello spettacolo era ancora più tremendo.

Dopo aver fatto una decina di passi in quello sfacelo, fu quasi tentata di tornare indietro: come avrebbe potuto Erik vivere in un tale stato di abbandono e degrado? Forse non era lì come aveva sperato fin dall’inizio, forse era andato via da Villemomble per raggiungere un altro luogo, lontano da lei e dai ricordi del passato; forse addirittura non era più in Francia!

In preda allo sconforto più totale cominciò a vagare, come un cane in gabbia, nel resto della casa: entrò nella stanza della musica, dove le si parò di fronte lo stesso spettacolo della stanza precedente; poi varcò la soglia della stanza Luigi Filippo e rimase con occhi sgranati a fissare, quella che per due settimane era stata la sua camera da letto: le lenzuola pregiate erano state strappate a forza dal grande letto a baldacchino, le tende che lo incorniciavano erano solo un vago ricordo, ora giacevano a brandelli sul pavimento. I cassetti erano stati divelti dalla struttura del grande comò che occupava una delle pareti, ed ora gli abiti che aveva indossato un tempo, giacevano in terra.

Indietreggiò con le lacrime agli occhi, spaventata  da tanta efferatezza . Andò a sbattere contro qualcosa, si voltò per uscire, ma colui che le si parò innanzi la inchiodò con lo sguardo: i suoi occhi, che divampavano come braci nella notte, la trafissero.

Solo una persona le sarebbe potuta arrivare alle spalle, muovendosi così silenziosamente da non farsi sentire: LUI.

Finalmente era riuscita a trovarlo, ma la gioia per quel momento venne smorzata dalla tono di voce brusco con cui si rivolse a lei : “Cosa ci fai TU qui?”

 

Angolino di Farah: sinceramente non ho nulla da dire su qst capitolo… forse che è un po’ troppo lungo, che non è il finale che avevo promesso, che sto allungando il brodo ecc. ma non potevo saltare alcuni particolari! Il prossimo capitolo sarà quello che tutti aspettano, compresa io:That night beneath a moonless sky! Cmq spero vi piaccia e che dopo la lettura lasciate una minirecensione! Quindi buona lettura fedeli lettori ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** That damn cold night...beneath a moonless sky ***


Capitolo 8:That damn cold night… beneath a moonless sky!

N.d.A: questo capitolo è dedicato a due persone: alla grande Aris, mon ami, che ha seguito la storia fino a questo punto, che mi ha incoraggiata, che mi ha aperto gli occhi su molte cose,che ha sopportato i miei scleri quotidiani,che mi ha consigliato su film e musica e che mi ha fatto scoprire il mondo di Harry ti presento Sally XD grazie ma cher… ;)
La seconda persona a cui è dedicato questo capitolo, è qualcuno a cui tengo molto e  a cui purtroppo ho fatto molto male,senza volerlo. So che non leggerà mai questa dedica, ma vorrei trovare il coraggio di dirgli che credo ancora nella nostra amicizia.
Okay dopo il momento di riflessione/ dedica, ringrazio tutti quelli che anche se non hanno recensito, hanno seguito la storia come lettori silenziosi. Buona lettura! Spero vi piaccia.

-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-


Se gli sguardi avessero potuto uccidere, Christine sarebbe morta. Erik la guardava come avrebbe guardato un qualsiasi altro intruso, che si fosse avventurato nel suo regno: si sentì fortunata a non avere ancora un cappio attorno al collo!
Le era spuntato alle spalle, silenzioso come un’ombra e letale come la morte.
Il suo sguardo, saldamente puntato negli occhi della giovane soprano, tradiva una miriade di emozioni:sorpresa, sospetto, rabbia…e qualcosa di più profondo ed ancestrale dell’ira. Qualcosa che Christine non riusciva ad identificare.
-“Cosa ci fai qui?”- le pose di nuovo la stessa domanda. La ragazza trasalì: non si aspettava certo di essere accolta a braccia aperte, dopo che l’aveva abbandonato, ma non si sarebbe nemmeno aspettata tanta freddezza da parte sua. Era costernata da tanta rabbia!
-“Io..io…”- non riusciva ad articolare una frase di senso compiuto; se prima la sua mente era piena di domande, di dubbi, di mille cose da dire, ora era vuota,svuotata da quegli occhi indagatori.
-“Allora? Cos’è,Christine, hai perso la tua bellissima voce?”- interruppe quel legame di sguardi,che si era venuto a creare nel silenzio dell’attesa. Le voltò le spalle e si diresse nella camera della musica.
Christine rimase immobile per alcuni minuti, indecisa sul da farsi: cosa le stava succedendo? Fino a qualche ora prima era stata l’essenza stessa del coraggio e della spavalderia, ed ora che se lo ritrovava davanti, non riusciva a spiccicare parola!
Lo seguì e lo trovò intento a raccogliere quei pochi spartiti rimasti integri. Gli si inginocchiò accanto e fece per raccogliere un foglio pentagrammato, fitto di note, ma venne bloccata improvvisamente dal suo maestro.
-“Non toccare…non sei più degna della mia musica!”- le parole erano uscite accompagnate da un sibilo ferino. Non l’aveva guardata, l’aveva solo fermata e aveva continuato a fissare in terra.Impassibile. Poi le aveva lasciato il braccio.

Il cuore di Christine aveva perso un battito, quelle parole l’avevano spezzata irreparabilmente. Come poteva dire una cosa del genere? La sua musica era fatta su misura per lei, nessun altro l’avrebbe mai potuta cantare. Solo lei era capace di scendere in quel girone infernale che erano le sue composizioni, e poi riuscirne indenne. 
                                                                                                                                  Un sospiro rassegnato la fece voltare: “Devi andartene, non sei più la benvenuta qui…”- Erik si era alzato. Non le aveva dato nemmeno il tempo di replicare, che l’aveva presa per un braccio e l’aveva trascinata bruscamente fuori dalla stanza della musica, verso la sponda del lago.
-“Prendi la barca e tornatene da dove sei venuta!”- adesso le aveva urlato contro, non era riuscito a trattenersi.
Il cuore gli martellava in petto,aveva il fiato corto e i lineamenti del volto erano alterati dalla collera. Sapeva di non essere un bello spettacolo in quelle condizioni, e sperò che la ragazza,impaurita, se ne andasse. Purtroppo per lui, non accadde.

La lasciò lì, senza degnarla di uno sguardo, e poi si diresse verso il grande organo, unico oggetto miracolosamente scampato all’ira della folla, la notte del Don Juan.

Christine, con i piedi nell’acque bassa della riva,era paralizzata.
La osservò di sottecchi: era fradicia dal busto in giù, i pantaloni e la leggera camicia che indossava, lasciavano intravedere le sue forme, più di quanto non avessero mai fatto le ampie gonne che indossava di solito; i capelli disfatti, somigliavano ad un pagliericcio umido e tremava. Ma nonostante tutto era bella oltre ogni dire, avrebbe quasi potuto paragonarla ad una visione: le guance imporporate, le labbra rosse e piene, il petto che si alzava ed abbassava al ritmo del suo respiro, gli occhi luminosi. Non era mai stata tanto incantevole.
Scosse la testa, come a voler cacciar via un pensiero indesiderato. Non doveva lasciarsi ammaliare dalla sua antica musa … doveva disprezzarla, non desiderarla!

-“Sei ancora qui!? Dimmi ,Christine, quale parte della frase,va via non sei più la benvenuta, non hai capito!”- si era seduto allo strumento e sfiorava i tasti d’osso bianco, come se stesse sfiorando la guancia di una persona amata. Non una nota usciva, ma la musica suonava nella sua testa. Si rese stranamente conto, che il rancore che provava nei confronti della giovane che aveva davanti, si stava tramutando in note, pause e accordi . L’arrivo di Christine aveva portato una ventata di nuova ispirazione.  Nonostante tutto , la sua presenza aveva un influsso positivo su di lui e sulla sua musica.

La giovane non poteva credere a quello che stava accadendo: aveva rischiato di farsi scoprire dai De Chagny, aveva circuito un ragazzino, aveva vagato per le campagne parigine per trovarlo, aveva minacciato di gettarsi nella Senna se non avesse avuto sue notizie ed ora, ora che se lo ritrovava davanti,i suoi piani s’erano sciolti come neve al sole!
No, non si sarebbe fatta cacciar via così facilmente: avrebbe prima dovuto ascoltare tutto quello che aveva da dirgli, poi avrebbe potuto anche ucciderla!

Gli si stava avvicinando, silenziosa come il cacciatore che si avvicina alla preda, ma Erik la prese alla sprovvista: “Non avvicinarti Christine, ti avverto, altrimenti non risponderò delle mie azioni!”- aveva puntato di nuovo il suo sguardo sulla sua figura esile.
-“Devo temerti,Erik?”- stavolta non s’era lasciata intimidire dal suo sguardo ammaliatore, ma la rabbia per quelle parole, le aveva fatto sputare fuori quella frase con tono velenoso.
-“No, fin quando non ti avvicinerai a me. Ma se resti qui un altro po’, potresti pentirti di non essertene andata … potresti scoprire una parte di me che, ne sono sicuro, non ti piacerebbe affatto.”- una scintilla di malizia si accese nei suoi occhi,già luminosi come fuochi nella notte.
-“Non oseresti…”- Christine tremò al solo pensiero.
–“Tu dici?A te la scelta!”- le propose con tono di sfida.
-“Già… scelta! La stessa che ti ha proposto madame Giry, non è vero?”- Christine non era mai stata tanto sfrontata in vita sua, ma in quel momento si rese conto che le parole potevano colpire più di una qualsiasi arma.
Infatti alle orecchie di Erik quelle stesse parole giunsero taglienti, più affilate di una lama. Come poteva sapere della lettera di madame Giry? Maledetta fretta, l’aveva dimenticata nella cascina di Villemomble… certamente Christine l’aveva letta!
Ignorò bellamente  la domanda-“Non si fruga tra le cose degli altri…non te l’ha insegnato nessuno?”- il tono da paternale non gli si addiceva,ma d’altronde con i bambini come si deve trattare…
-“Sono spiacente ma sei in errore; era lì,abbandonata sul tavolo e l’ho letta… mi hai lasciato tu un indizio per trovarti.”- la ragazza gli rivolse un sorriso sornione.
-“Mmm,touchè.”-continuava a non guardarla, come se fosse invisibile, come uno dei tanti fantasmi del suo passato con cui conversava di solito. La solitudine può giocare brutti scherzi.

La giovane era spazientita: lo osservò per alcuni minuti, che sembrarono infiniti, continuare a percorrere avanti e indietro i tasti dell’organo, senza che da esso uscisse alcun suono. Poi cominciò con la sua filippica: “So d’aver sbagliato,mi pento ogni giorno che passa, delle mie scelte… credo dovremmo chiarire e …”
-“Non c’è nulla da chiarire mia cara,hai fatto le tue scelte ed ora è troppo tardi per cambiare idea. Và, hai la mia benedizione,vivi la tua vuota vita da viscontessa e sii felice!”- disprezzo e astio trapelavano dalla sua voce.
-“Cosa?la tua benedizione?  Credi davvero che io sia venuta fin qui per questo?”- era proprio sorpresa. Dopo tutto quello che c’era stato, credeva sul serio che lei fosse così insensibile  –“Non sono così meschina!”-
-“Meschina? Credimi, definirti tale è un eufemismo…”- un sorriso perfido gli increspò le labbra –“sei una piccola formichina in balia del vento, mia Christine, inerte di fronte alle convenzioni della società. Non puoi niente, non sta a te decidere, loro hanno già scelto per te.”-
-“Non mi aspettavo certo che mi avresti accolta a braccia aperte, ma tanta scortesia,addirittura paragonarmi ad una formica, non è da te … a quanto pare hai scordato le buone maniere!”- nessuna risposta,nemmeno uno sguardo.
-“deve essere passato troppo tempo. Il ricordo che avevo di te era quello di un gentiluomo,ma la mia mente doveva essere annebbiata, per pensarlo:infondo non sei stato mai niente più che un assassino, sadico e vendicatore!”-continuò imperterrita.
Erik non si scompose più di tanto, infondo nella sua miserevole vita era stato apostrofato anche più aspramente: però, non poteva certo dire che le parole uscite dalle labbra di Christine non l’avessero colpito. Lo stava apertamente provocando,ed era proprio curioso di sapere dove volesse andare a parare quella sciocca ragazzina!

La giovane gli si avvicinò con studiata lentezza, e parandosi alle sue spalle fece qualcosa di rischioso e ardito allo stesso tempo: fece scorrere le dita sulla sua schiena, curvata sull’organo,lentamente e con malcelata malizia; ma neanche questo sembrò scomporlo poi molto: Christine si accorse solo, di un breve tremito delle mani sospese a mezz’aria sui tasti dello strumento.

Poi l’ira la divorò. Gli pose le mani sulle spalle e si abbassò all’altezza del suo orecchio. Come se gli stesse rivelando un segreto, gli sussurrò, con voce lieve,parole colme di rancore: “Ricordi quel giorno a Pere- Lachaise, quando Raoul stava per porre fine alla tua penosa vita? Io lo fermai, convinta che in fondo al tuo cuore ci fosse qualcosa di più che l’odio. Quanto mi sbagliavo … avrei dovuto lasciare il suo braccio, avrei dovuto lasciare che ti trapassasse da parte a parte. Avremmo sofferto entrambi di meno ed io…”-Christine venne interrotta dal suono distorto dell’organo. Erik si alzò e la prese per le spalle.
-“Insomma Christine,cosa vuoi da me? Cosa sei tornata a fare qui? Non mi hai arrecato già abbastanza dispiacere? Sei venuta qui per  infierire ancora una volta, per darmi il colpo di grazia?Non potevi semplicemente lasciarmi in pace,condurre la tua vita e abbandonare i ricordi alle spalle!”- ruggì di frustrazione.
Prima che l’eco di quelle parole si spegnesse, Christine si liberò da quella morsa in cui l’aveva costretta : “è così difficile da capire? Sono tornata per te … ”-con un tono di voce più basso, confessò davanti a lui, quello che non aveva ammesso nemmeno a se stessa.
Una risata, cinica e roca, abbandonò la gola del suo maestro: quel suono aveva qualcosa di sinistro ma allo stesso tempo affascinante per Christine:non l’aveva mai sentito ridere, ma l’unica volta che un sorriso s’era aperto sul suo volto, aveva appena consumato uno dei tanti omicidi di cui si era macchiato.
-“Per me ?!… e cosa ,mia dolce Christine, ti ha spinta a tornare da me, dal tuo maestro, abbandonato così sollecitamente? Cosa ti mancava … questo posto, il teatro, l’emozione di sentirti la dea del canto, lo scrosciare degli applausi …”-le si stava avvicinando piano, a piccoli passi.
-“TU! Mi mancavi tu …”- calde lacrime di umiliazione cominciarono a bagnare gli occhi della giovane soprano. La voce s’era alzata di un’ottava, segno che la rabbia per quella situazione l’aveva divorata completamente.
-“Cosa ti mancava…”-con una lunga falcata la raggiunse, le si parò davanti e la immobilizzò per un polso -“QUESTO!”- con l’altra mano si strappò via la mezza maschera bianca, l’unica cosa che nascondeva le sue terribili fattezze. Christine aveva lo sguardo inchiodato sulla parte di volto deturpata dalla natura.

Quando, la prima volta che ingenuamente gli aveva tolto la maschera ed aveva posato gli occhi su quello che a suo tempo le era sembrato un aborto di natura, ne era rimasta sconvolta, disgustata.
Lui l’aveva pregata di riuscire a scorgere l’uomo che si nascondeva dietro il ‘mostro’ , un mostro che anelava alla bellezza. Non c’era riuscita, erano dovuti passare mesi, prima che riuscisse a guardarlo senza ripensare a quello che si nascondeva dietro quel pezzo di porcellana bianca.
Poi un giorno, come se non fosse mai successo nulla, le si era rivelato per quello che effettivamente era: solo un uomo, rifiutato dal genere umano, umiliato dalla natura, allontanato dalla vita.

Ora,per lei, non c’era nulla più che il suo viso: non vedeva più la deformità,né la carne martoriata e piagata. Vedeva solo il volto dell’uomo che amava.
-“Smettila! smettila di nasconderti dietro questa maschera, il tuo volto non mi provoca più nessun orrore …”- strappò via il proprio polso dalla stretta soffocante della mano di Erik.
I loro sguardi s’incatenarono: stelle infuocate nei cieli azzurri del nord. Nessuno dei due si muoveva  e l’unico rumore che spezzava il silenzio, calato dopo quell’affermazione, era il respiro accelerato di Christine. Erik invece non batteva ciglio,ma il suo cuore aveva perso un battito, quando la giovane gli aveva ripetuto le parole di quella fatidica notte.

-“Sette anni fa,”-cominciò piano la ragazza, con voce tremante-“ entrai per la prima volta in questo teatro. Ero distrutta, a dir poco, avevo perso l’unica persona importante della mia vita: mio padre si era spento tra le mie braccia,lasciandomi sola a questo mondo.”- mandò giù quel nodo di nostalgia che le si era formato in gola, che le impediva quasi di parlare. Sospirò.
-“Mi disse che non sarei rimasta da sola, perché,una volta in cielo, mi avrebbe mandato un angelo …”-gli prese la mano, guantata di nero, e la strinse tra le sua piccole mani bianche. Rimase per un istante a fissare quell’intreccio di colori così contrastanti,poi puntò i suoi occhi luminosi in quelli dell’uomo -“… l’angelo della musica. E’strano come le sue parole si siano avverate.”-
La mano libera cominciò a salire lieve verso il viso di Erik. Lui non la fermò, ma fissò quella mano come se fosse ardente, temendone il contatto.
-“Ti prego…”-la voce uscì strozzata-“non farlo!”-mai in vita sua aveva pregato qualcuno, anzi, erano sempre stati gli altri a pregar lui di risparmiarli dalla sua folle bramosia di sangue. Ma Christine restò sorda a quella richiesta:la sua mano si fermò proprio sulla parte del volto, sempre coperta dalla maschera.
Il palmo della mano della giovane era piacevolmente fresco e liscio, contro la carne calda e ruvida del suo volto. Era un tocco a lungo desiderato, come la pioggia nel deserto: inaspettata e rinfrescante.
Non si sarebbe mai aspettato, di poter desiderare così tanto la vicinanza di un altro essere umano: aveva sempre fatto a meno di tutti, rifuggendo anche il più semplice sguardo di pietà. Ma ora, ora che la donna che non aveva mai smesso di amare era lì,viva e bella di fronte ai suoi occhi, stretta a lui, non desiderava altro che stringersi a lei e non lasciarla andare mai più.
Chiuse gli occhi,desiderando che quel momento non finisse mai; inclinò il capo verso quella carezza così dolce, e una piccola lacrima scintillante sfuggì al suo autocontrollo. In quell’istante sarebbe anche potuto morire
Poi accadde quello che aveva sognato centinaia di volte, quello che non si sarebbe più aspettato potesse accadere.
Le labbra di Christine si posarono delicate sulle sue, e quell’unione lo riportò alla realtà. Aprì gli occhi e il cuore gli balzò in gola: era tutto vero, non stava sognando,come aveva pensato fino a quel momento. Christine era calda e viva tra le sue braccia: gli occhi chiusi, le ciglia folte e lunghe che le accarezzavano le guance arrossate,due piccole lacrime agli angoli degli occhi,come due gemme preziose. Come poteva fare una cosa del genere ad una creatura tanto celestiale?
La allontanò da sé quel poco che bastava per guardarla negli occhi. Lei, sorpresa, lo fissò con uno sguardo interrogativo.
-“N-non posso…”-abbassò gli occhi,incapace di reggere la vista della ragazza.
-“Cosa? Ti stai prendendo gioco di me?!”- era davvero sorpresa, non riusciva a credere alle proprie orecchie –“qualche mese fa saresti stato pronto a seppellirmi viva qui,lontana dalla luce del Sole,lontana dal mondo,con solo la tua musica a farmi da compagnia. Ed ora, ora che sono io a voler rimanere qui con te ,tu non puoi farlo!?”-
-“Ma alla fine ti ho lasciata andare. Non potevo tenerti qui con me: un bocciolo di rosa ha bisogno di luce ed amore per crescere; io t’avrei fatta appassire prima di sbocciare, nutrendoti di tenebre e follia!”- con il dorso della mano le accarezzò una guancia bianca e liscia: “non puoi rimanere qui, non posso farti questo…”
-“Ma questa volta sono io a voler restare!”- lo scosse per le spalle,come a volergli far tornare il senno : “non posso tornare lassù, capisci, il buio della tua anima ha infettato anche il mio cuore, non posso tornare alla luce …ho bisogno dell’oscurità, ho bisogno ….di TE!”-
-“Ma …”-venne subito zittito.  
-“Niente più ma,né ripensamenti … non rimpiangerò le mie scelte!”-
-“E il visconte?”-chiese con fare interrogativo.
-“Non ho mai amato Raoul, come egli spera che sarà dopo il matrimonio. Me ne sono accorta solo ora: pensavo che stando vicina a lui, avrei recuperato un po’ della gioia e della spensieratezza delle nostre estati a Perros, in compagnia della musica di mio padre. Ma mi sbagliavo, stavo inseguendo i ricordi di un passato che non potrà mai tornare! Il mio posto non è a villa De Chagny, non lo è mai stato e mai lo sarà. La mia casa è sempre stata questo teatro e voglio che continui ad esserlo!”-
-“NO!”- un secco diniego che fece tremare Christine.
Ma la giovane non si fece intimorire e con voce calma e controllata gli disse: “Ora Erik, ti metterò io davanti ad una scelta: di’ che non m’ami e io me ne andrò, sconfitta ma con il cuore leggero; nel caso contrario rimarrò per sempre con te, ed il passato sarà solo un brutto ricordo da cancellare…”-
-“Oh Christine … io non ti amo e non ti ho mai amata; eri solo un’ossessione passeggera!”- le voltò le spalle, per non lasciarle vedere il dolore, che provava nel dirle quelle cose.
Un grido di frustrazione lasciò la bocca della giovane soprano, che lo strattonò fino a farlo voltare verso di se : “Bugiardo! Tu menti! Dimmelo di nuovo, ma questa volta guardandomi negli occhi…”- lo aveva spiazzato, glielo si leggeva in faccia.
Come era possibile che lui, il figlio del diavolo, si facesse trattare così da una appena donna, che si trovasse impreparato di fronte a tanta determinazione.
-“io… ti amo, ma è meglio che tu te ne vada! Credimi, lasciarti andare  per l’ennesima volta sarà fatale per me, ma mai quanto lo sarebbe per te se ti permettessi di rimanere qui.”- l’aveva fissata dritta negli occhi, sbarrati per la troppa emozione , e le aveva aperto il suo cuore.

Infervorata da quella confessione, la giovane si impossessò di nuovo delle sue labbra, e se il bacio precedente era stato qualcosa di dolce e lieve, come un soffio su una ferita, ora quel bacio era qualcosa di struggente, qualcosa che divampava come un incendio in una foresta. In quel contatto, c’erano nascosti tutti i sentimenti soffocati fino a quel momento da entrambi: dolore, tristezza, amore, gioia, ma soprattutto desiderio l’uno dell’altra.
Erik non la allontanò da sé, non ne aveva la forza, e nemmeno voglia: si chiese, perché,dopo tanto soffrire, non avrebbe dovuto accettare un barlume di felicità. E quello spiraglio di luce nelle tenebre della sua esistenza, glielo stava offrendo proprio Christine.

Ricambiò il bacio con veemenza, con tanta foga da far vacillare Christine, che si aggrappò a lui come se fosse l’unico elemento fermo in quel momento, in quel mondo che le vorticava attorno. Lui la strinse a sé, conscio solo della ragazza tra le braccia e delle sue labbra ardenti che non abbandonavano le sue: tutto il resto attorno scivolò nell’oblio dell’ indifferenza: il mondo sarebbe anche potuto finire in quel preciso instante, e loro non se ne sarebbero accorti.
Nessuno dei due osava interrompere quel legame. Fu solo la mancanza d’aria, a costringerli a doversi separare. Ma quello scambio di sentimenti, non terminò con il bacio: infatti, i loro sguardi intrecciati, dicevano e dichiaravano molto più di cento discorsi accorati.

Christine ripensò alla domanda che aveva posto a Maurice qualche giorno prima: si può morire di felicità?
Il vecchio cocchiere non aveva saputo rispondere, ma ora la risposta era chiara alla giovane. Sì, si può morire per la troppa gioia:lei stessa sarebbe morta se non ci fosse stato Erik a sorreggerla.

Il tempo di prendere fiato, che Christine gli rubò un altro bacio, come a conferma della scelta che avevano fatto entrambi.
Ma, prima che quel bacio si inoltrasse in territori più oscuri ed immorali, Erik la fermò.
-“Sei sicura della tua scelta?”- non era certo, che Christine avesse capito a cosa si riferiva.
-“Si, non me ne pentirò mai…”-gli disse con voce carezzevole.
-“Ma tu…”- non sapeva come dirglielo.
A differenza di quello che pensava Erik, Christine non era una piccola ingenua che viveva nel mondo delle favole, conosceva quello che stava per accadere, ma per pudore non ne aveva mai fatto parola con nessuno.
Per un lungo momento restò ferma, come davanti ad un precipizio, indecisa se saltare e sentire la libertà che si impossessava di lei, o fare un passo indietro. La sua scelta l’aveva già fatta, doveva solo andare fino in fondo.
-“Sono già tua, ma fa che ora lo sia per davvero... Insegnami”- lo sussurrò convinta, con voce ricca di segrete promesse.
Per Erik fu come ricevere una scarica elettrica:i sensi gli si annebbiarono per alcuni secondi, e poi , quando fu sicuro di aver capito bene, travolto dalla potenza dei propri  sentimenti, la attrasse a se con impetuosità e la baciò.
Poi colto da un’improvvisa frenesia,la condusse per mano nella stanza Luigi Filippo e lei, da brava allieva, si lasciò guidare docilmente.

Quella notte sarebbe appartenuta solo a loro e a nessun altro.
Niente e nessuno avrebbe potuto rovinare quel momento così magico: si mossero insieme, in perfetta armonia, come se già si conoscessero a memoria; il dolore lasciò lentamente  il posto ad un calore crescente che si impadronì di entrambi e gli tolse il respiro.

Il dolore, i dubbi, i loro sospiri, e tutti i pensieri del mondo, scivolarono via dal corpo di Christine  e la giovane sentì che al mondo non vi era nulla, tranne lei ed Erik, e il desiderio e il fuoco che li consumava.
E mentre Parigi dormiva coperta da una coltre di nuvole, l’unico testimone di quell’unione, fu un cielo senza Luna.


-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
Angolino di Farah: inizio con il dire che questo capitolo è stato un parto plurigemellare…c’ho lavorato per più di un mese e sinceramente il risultato finale mi soddisfa. Ora mi sento completamente realizzata e posso rilassarmi. Questo capitolo mi ha tenuta sulle spine fino all’ultimo, perché fino ad un certo punto sapevo come dover raccontare quello che succedeva, ma arrivata alla fine sono andata nel panico: non ho mai scritto qualcosa di spinto e non volevo che fosse questo il caso. Infatti spero di aver fatto in modo che la situazione si capisca, ma che non scada nell’indecente! Volevo che l’ultima parte fosse qualcosa di intimo e dolce, qualcosa che non fosse volgare, ma che lasciasse un senso di appagatezza alla fine. Spero d’aver soddisfatto il vostro bisogno giornaliero di zucchero e derivati XD
Comunque questo è l’ultimo capitolo, ma credo che inserirò un epilogo, perché non mi piace finirla così ;) Un bacio a tutti voi lettori,ci si legge al prossimo capitolo!
Ps: l’espressione di Christine ‘insegnami…’ è ripresa dal libro della Kay che ho nominato nel precedente capitolo. Nel libro Christine dice: “Take me!” she whispered “Teach me…” sicuramente in inglese ha un impatto più forte, ma a me piaceva questa metafora dell’insegnante e dell’allieva e quindi… il ‘prendimi’ era troppo,come posso dire, eccessivo per i miei gusti quindi ho preferito non inserirlo! XD

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** You choose to turn the page and I make choices too... ***


You choose to turn the page and I make choices too…

Quando, nel bel mezzo della notte, il maggiordomo lo venne a svegliare, mentre riposava sotto una coltre di coperte e fumo di sigari, sobbalzò per la sorpresa: “Chi diavolo è a quest'ora?!"- biascicò con la bocca impastata, con lo strano accento che si portava dietro da un bel po' e che non era riuscito a far sparire nonostante vivesse a Parigi da più di dieci anni. 
-"è un uomo signore...dice che è importante. La aspetta nello studio."- disse con calma l'inserviente, che come il suo padrone non vedeva l'ora di tornare nel suo agognato letto.

 -"Non ha detto il suo nome? Insomma vengo svegliato nel cuore della notte...vorrei almeno sapere chi attenta al mio riposo!"- il daroga stava perdendo la pazienza, mentre si infilava la vestaglia e le pantofole.

-"è un uomo strano... Non ha voluto nemmeno darmi il soprabito. É coperto da capo a piedi da un mantello nero e..."- l'uomo venne interrotto.
-"non c'è bisogno che tu aggiunga altro... Anzi, torna a dormire. Me la caverò anche senza i tuoi servigi."- sbuffò e recuperando la pipa dal comò uscì dalla camera da letto seguito dal maggiordomo, che tornò di buona voglia a dormire.

-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
Erik si guardò attorno mentre aspettava con impazienza che il daroga lo ricevesse: lo studio in cui l'inserviente l'aveva fatto accomodare, era abbastanza grande con una grande finestra alle spalle del tavolo dov'era seduto e due grandi scaffali di legno scuro pieni di libri dalle coste variopinte e impolverate, che occupavano due lati della stanza. Lo stile parigino imperava, ma ad un occhio più attento, non potevano di certo sfuggire i particolari orientali: i tappeti persiani, le sciabole appese sul camino e un copricapo di foggia indi poggiato sul capo di un busto marmoreo.
Certo, il lusso di quella stanza o di quella casa, non potevano di certo essere paragonati alla magnificenza della corte dello scià, dove i pasti venivano consumati in piatti d'oro e si vestiva con seta e gemme preziose, ma in fin dei conti il daroga non se la passava tanto male.

Lo sentì aprire la porta e venire verso di lui: non gli piaceva che gli si arrivasse alle spalle, così si alzò in piedi e si voltò verso il suo ospite. 
-"Le cattive maniere sono dure a morire a quanto vedo... Chi ti ha insegnato a svegliare la gente nel bel mezzo della notte? Cosa c'è di tanto urgente da non poter attendere domattina?"- mise la pipa in bocca e premette il tabacco dentro, in attesa di una risposta ed infine si accomodò sulla sedia difronte a lui.

 -"Me ne sto andando. "- lasciò quella frase in sospeso, aspettando che Nadir la raccogliesse e ne capisse il significato.

-"Cosa vuol dire me ne sto andando? O meglio che significa?"-
-"Significa che metterò quanta più distanza possibile tra me e Parigi, tra me e l'Operá, tra me e Christine..."- l'ultima parte fu quasi un sussurro. 
-"Non avevi già chiuso con madamoiselle Daee?!"- chiese l'altro curioso. 
-"Credevo fosse così ma...c'è stata una svolta inattesa, non pensavo potesse finire così!"- la voce gli tremava e il daroga cominciò a preoccuparsi.
-"Così come?"- si mosse veloce sulla sedia, tenendosi ai braccioli si sporse verso Erik.

-“È  tornata da me stanotte. Ho cercato di mandarla via, ma lei mi ha supplicato di farla restare e alla fine ho ceduto... L'ho fatta mia."
-"Erik! Come hai potuto? Hai oltraggiato la virtù di quella povera ragazza!"- Erik rise fra se a quell'affermazione: povera ragazza? Ma se era stata lei a convincerlo a fare quello che avevano fatto!

-"Hai capito male. L'ha voluto lei!"- lo disse con calma, ma l'affermazione successiva del daroga lo seccò.

-"Non avresti dovuto permetterle di compiere un tale gesto..."
-"Sotto questa maschera si nasconde un uomo come tutti gli altri, Nadir, schiavo delle passioni e con l'orecchio affilato, pronto ad accogliere il richiamo della carne! Come pensi che avrei potuto tirarmi indietro dopo tutto quello che è successo, dopo tutto quello che ho passato per lei? Era lì, così bella e giovane davanti ai miei occhi, ed era consenziente, non l'ho trascinata io laggiù; mi sorrideva e non piangeva come l'ultima volta che l'ho vista! Nemmeno nei miei sogni più sfrenati ho immaginato quello che è successo poi..."- lasciò il discorso in sospeso, senza aggiungere altro: sapeva che, da uomo di mondo qual era, il daroga avrebbe capito. 

Infatti Nadir non disse nulla in proposito e si limitò a fissarlo, assorto, mentre aspirava dalla pipa. Preferiva di gran lunga i sigari, ma sapeva che l’odore dolciastro infastidiva oltre ogni dire Erik.

Dopo un paio di minuti di silenzio, scandito solo dalla pendola nel salotto dietro la porta, il daroga si affrettò a parlare: “Beh alla fine hai avuto quello che volevi... Lei ormai è tua."

-"No, ho avuto solo un assaggio del tormento infinito che mi sarà inflitto.”- rise cinico, sapendo che d’ora in avanti avrebbe sofferto ancora di più per la separazione; ma cosa poteva farci, l’aveva voluto lui, da perfetto masochista qual era.

-“Insomma non riesco a capire! Perché mai te ne stai andando? Lei vuole stare con te, non è quello che hai sempre voluto?”- chiese interrogativo il daroga, alzando un sopracciglio folto e nero.

-“Si, ma come avrei mai potuto tenerla con me nei sotterranei dell’opera? Che futuro avrebbe avuto al mio fianco? Non posso permettere che viva in quell’ambiente malsano, a contatto con i topi. Perirebbe in poco tempo e io mi ritroverei più sventurato e distrutto di come sono ora!”- il suo sembrava quasi un lamento di frustrazione.

-“Quindi? Cosa intendi fare?”-

-“Sono disposto a lasciarla andare, a lasciare che sposi il visconte: so che ama me, ma lo faccio solo per lei. Nadir, devo chiederti un favore. Questa è l’ultima volta che mi vedrai: con quest’ultima azione pagherai il tuo debito nei miei confronti!”-

-“Di cosa stai parlando?”-

-“Hai forse dimenticato di esser stato tu a condurre il visconte giù nel mio nascondiglio? Hai avuto salva la vita solo perché una volta fosti tu a salvare la mia…”- per un attimo il suo tono di voce s’incupì tornando quello di sempre.

- “D’accordo. Dimmi pure.” - Nadir non aveva scelta.

-“Chrisitne è ancora lì. Crede che al suo risveglio mi troverà ad attenderla per condurla ovunque io voglia, ma non sarà così. Devi dirle che me ne sono andato e che non tornerò mai più a rovinarle la vita. Riaccompagnala a casa, dai De Chagny, prima dell’alba: oggi si celebreranno le nozze e se quei nobili dovessero venire a conoscenza della sua fuga notturna, la getterebbero in mezzo alla strada, senza preoccuparsi più di tanto della sua sorte.”- prese fiato –“Fallo per me Nadir, poiché non ho la forza di farlo da solo.”- dicendo questo si alzò, avviandosi alla porta e Nadir lo seguì fin sull’uscio di casa.

-“Buona fortuna Erik.”- disse mentre il fantasma dell’opera si inoltrava nell’aria fresca della notte.

Erik si voltò a guardarlo e sorridendogli mestamente, scomparve nell’ombra.

Quella fu l’ultima volta che il daroga lo vide.

.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.

Un senso di beatitudine ed appagamento, cullavano Christine, che riposava nell’enorme letto della stanza Luigi Filippo. Nella sua mente si affollavano centinai di domande: come avrebbe dovuto comportarsi al suo risveglio? Cosa avrebbe dovuto dire? Erik sarebbe ancora stato d’accordo a farla rimanere?

Quei pensieri erano così insistenti che la costrinsero a svegliarsi, per renderli certezze. Nella stanza, regnava un inspiegabile silenzio e nemmeno dal resto della dimora sul lago provenivano suoni o rumori; una sola candela bruciava e spandeva la sua tenue luce sui contorni sfocati del mobilio. Provò a chiamarlo, ma nessuno rispose.

Si alzò preoccupata dal letto e avvolgendosi nelle lenzuola scure, prese la candela e cominciò ad ispezionare la dimora. Niente. Nessun segno. Stava per cadere preda dell’inevitabile sconforto, quando, tornando nella stanza Luigi Filippo, notò sul piccolo comodino dove era poggiata la candela, una busta da lettere bianca, con un sigillo di ceralacca rosso.

La prese: sul dorso c’era scritto il suo nome, vergato nella fluente ed elegante grafia di Erik.

Tremando, si accomodò sulla sponda del letto e alla luce della candela, l’aprì e cominciò a leggere.

Amata Christine, ti starai chiedendo dove sono e perché non sono al tuo fianco a dirti che andrà tutto bene. Beh la risposta è che non ce l’ho fatta, sono andato via. Non avrei potuto lasciare che tu sprecassi la tua giovane vita per me, con me. Ti lascio perché ti amo troppo e sapere che avrai una vita felice al fianco del visconte, alla luce del sole, mi rende allo stesso tempo felice e disperato. Vivrai più a lungo lontano da me e dalle tenebre che mi porto dietro, all’ombra della mia follia saresti perita in un battito di ciglia e io mi sarei ritrovato più sofferente di prima, sapendo che la tua infelicità era causa mia.

Ti starai anche chiedendo come ho potuto abbandonarti dopo quello che è successo e non posso fare a meno di pensare che crederai che io sia un bieco usurpatore, che si è approfittato impunemente di te. Sappi che quello che è avvenuto tra noi è stato dettato semplicemente dall’amore, non dalla lussuria o dalla passione, ma solamente dal profondo sentimento che nutro per te e che sempre nutrirò. Rimarrai sempre nei miei pensieri mio piccolo angelo, non dimenticherò mai la voce e il volto della donna che mi ha accompagnato verso la luce.

Spero tu comprenda il mio punto di vista e che non mi maledica per le mie azioni.

Addio Christine, abbi cura di te.

                                               Per sempre tuo, Erik.

 

Continuò a leggere e rileggere quella lettera per comprenderne il senso, finché le lacrime non le riempirono gli occhi e le offuscarono la vista. Il lamento di disperazione si trasformò lentamente in un pianto incontenibile: violenti spasmi la scuotevano e il respiro le usciva irregolare, con piccoli rantoli. Si accasciò sull’enorme letto meditando sul da fare, mentre brividi e convulsioni febbrili la sconquassavano come un vento tempestoso che si abbatte su un albero già mezzo sradicato. 

Si calmò solo molto dopo e alzandosi come un marionetta mossa da fili invisibili, si avviò verso il lago, decisa a farla finita con quella vita così dolorosa e complicata, che non le lasciava nemmeno il tempo di respirare che le si avventava contro.

A piedi nudi sulla terra battuta e polverosa dei sotterranei, si accostò all’acqua paludosa con occhi vacui, persi lontano, nei ricordi felici della sua infanzia: il padre la salutava dalla spiaggia di Perros e il vento trasportava la voce dolce della madre, che le cantava una dolce ninnananna.

Non si accorse nemmeno che un passo dietro l’altro era entrata fino al busto nel liquido scuro del lago: solo un altro passo, sarebbe sprofondata e non si sarebbe sottratta alla stretta letale della morte che le succhiava via l’aria dai polmoni.

-“Madaoiselle Daee!”- una voce la riscosse dai suoi pensieri fatali.

 

-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-

Dieci anni erano passati da quella maledetta notte buia e senza luna. Il daroga, Nadir, l’uomo che l’aveva fatta desistere dal togliersi la vita e che in seguito l’aveva riportata a villa De Chagny, le aveva confermato ulteriormente le decisioni di Erik e le aveva augurato ogni bene, sparendo nella bruma delle prime luci dell’alba. Da quel lontano giorno non aveva rivisto né lui né il suo maestro.

Alla fine aveva sposato Raoul, ignaro del suo tradimento, e la loro vita matrimoniale era trascorsa tranquilla, allietata dalla nascita di un figlio nove mesi precisi dopo il giorno delle nozze, instillando in Christine il dubbio sulla paternità del bambino. 

Gli ultimi due anni però, erano stati terribili: la famiglia De Chagny aveva perso gran parte del suo patrimonio e le attività familiari non fruttavano più quanto si sperava. Raoul era diventato sempre più dispotico e nervoso; la vecchia contessa De Cagny deperiva a vista d’occhio a causa di quella situazione e Gustave, il piccolo erede, viveva in quel luogo desolato, assorbendo il peggio dei familiari.

Un giorno, qualche mese prima, era giunta l’occasione per rimpolpare il conto che i De Cagny tenevano sotto chiave alla Banca Centrale: un imprenditore americano, aveva appena fatto costruire il nuovo teatro dell’opera di New York e voleva che Christine, insieme ad altre stelle della lirica mondiale, inaugurasse l’immensa sala con la sua voce.

Raoul aveva accettato per lei e poi aveva fatto pervenire un telegramma all’imprenditore, che da parte sua aveva inviato i biglietti per il viaggio transatlantico.

Mancava un giorno alla partenza: quella stessa sera avrebbero preso un treno alla Garde du Nord per raggiungere la costa atlantica e da lì avrebbero preso poi la nave che li avrebbe portati a New York.

Christine era intenta a sistemare i bagagli per il lungo viaggio e il piccolo Gustave, girava entusiasta in biblioteca alla ricerca di un libro da portare con se per passare il tempo, quando Raoul giunse trafelato a richiamarli: “Insomma Christine, sei pronta? La carrozza è pronta e non possiamo tardare più…Gustave!”- chiamò il bambino che, spaventato dalle reazioni paterne, accorse subito.

-“Sei pronto tesoro?”- gli chiese la madre amorevolmente.

-“Si, maman.”-

-“Allora possiamo andare. Va a salutare la nonna e poi scendi giù.” - il bambino obbedì celere ed uscì dalla stanza, mentre il maggiordomo entrava per raccogliere le valigie e portarle nella carrozza.

Raoul, dopo tanto tempo, prese sotto braccio la moglie e l’accompagnò giù per lo scalone centrale e poi alla carrozza. Gustave arrivò di corsa e saltò su, sotto lo sguardo severo del padre: “Non vedo l’ora di salpare!” - sorrise svelto alla madre e abbassò veloce lo sguardo quando il padre gli rivolse un’occhiata in tralice.

-“Si tesoro, anch’io.”- Christine sorrise al figlio e si voltò un’ultima volta a guardare la grande villa bianca alle sue spalle con la strana sensazione che non l’avrebbe più rivista.

 

                                                                              THE END

 

AngolinodiFarah: no comment su questo capitolo che arriva dopo tipo quattro mesi di silenzio stampa; avevo promesso che sarebbe finita entro febbraio 2013 ed invece me la sono trascinata dietro quasi un anno questa ff…comunque avevo detto che non l’avrei lasciata incompiuta e così è stato. Grazie a tutti quelli che hanno letto e recensito, anche quelli che ho perso per la strada, e a quelli che amo definire lettori silenziosi. Alla prossima storia! ;)

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1615828