Cronache di Anime e Sangue

di margotj
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01. Anime e Sangue ***
Capitolo 2: *** 02.Alba in LA ***
Capitolo 3: *** 03.L'Uccisore ***
Capitolo 4: *** 04.Oltre al Destino ***
Capitolo 5: *** 05. Per le nostre strade (crossover Highlander) ***
Capitolo 6: *** 06. Nel Nulla ***
Capitolo 7: *** 07. Segreti Recuperati ***
Capitolo 8: *** 08. Tempo, Ricordi e brindisi ***
Capitolo 9: *** 09. Cuori in Soffitta ***
Capitolo 10: *** 10.Basterà ***
Capitolo 11: *** 11.The Gift ***
Capitolo 12: *** 12.Lontano dal baratro ***
Capitolo 13: *** 13. Fuochi Entropia ***
Capitolo 14: *** 14. Senza un perchè ***
Capitolo 15: *** 15. Tra Ragione e Cuore ***
Capitolo 16: *** 16. Legami di Sangue ***
Capitolo 17: *** 17. conversazioni ***
Capitolo 18: *** 18. Supposizioni ***
Capitolo 19: *** 19. Per Strada (crossover Highlander) ***
Capitolo 20: *** Atto I - Eternità ***
Capitolo 21: *** Atto II - Bad Day (1) ***
Capitolo 22: *** Atto II - Bad Day (2) ***
Capitolo 23: *** Atto III - Tempo Presente ***



Capitolo 1
*** 01. Anime e Sangue ***


La saga, di circa 1300 pagine è completa e conclusa. qui posterò i capitoli poco alla volta ma l'opera è tutta disponibile sul mio sito personale all'indirizzo http://margotj.altervista.org


Anime e Sangue

 

I personaggi delle serie "Angel" e "Buffy, the vampire slayer", appartengono a Joss Whedon, la WB, ME e la Fox, l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

 

"Sei sicura?" chiese Angel, infilandosi precipitosamente il maglione.

Willow aveva fatto irruzione nel suo ufficio da qualche minuto, con l'aria stravolta di chi ha forsennatamente percorso miglia in piena notte.

Un altro cenno d'assenso ed Angel finì di vestirsi, interrotta rapidamente la sua meditazione, senza domandarsi cosa lo rendesse così agitato.

L'idea di correre a Sunnydale? Oppure il fatto che non correva per Buffy?

Sfrecciò a fianco di Willow e montò in macchina. Tardò un istante, per accertarsi di averla a fianco e mise in moto. Cordelia gli tagliò la strada, ma Angel si limitò a spalancare una portiera, intimandole di salire, una volta finito il testacoda.

Cordelia scavalcò Willow, ancora aggrappata al cruscotto, sommergendola di chiacchiere prima ancora di sentire la sgommata con cui il suo principale imboccò la via.

"Allora, che ci fai qui?"-Cordy sgranò gli occhi- "Oddio, ma dove ho messo quel pacchetto che avevo in mano? Angel, ma si può sapere che sta succedendo?"

"Spike." - fu la breve risposta.

"Spike? E noi corriamo così per Spike? Ed io ho perso il mio nuovo acquisto per Spike? Non sarà mica cominciata l'Apocalisse già di nuovo, io ho un'audizione giovedì."

"No, niente Apocalisse, non per noi." - ribatté Angel, assorto più nei suoi pensieri che nella guida della macchina.

Spike.

Ed un nuovo guaio.. Solo lui poteva capire.

Solo lui. Soltanto Angel.

Willow spiegò a Cordelia l'accaduto e più andava avanti, più Cordy sgranava gli occhi, per sorpresa ed incomprensione.

Era una cosa grossa… ma perché correre così? Angel, perché non rallenti? Ormai è fatta. Adesso c'è un vampiro malvagio in meno sulla faccia della terra.

Perché fai così?

Era già innocuo da tempo, con quel chip piantato nella testa. Adesso è solo una cosa più sicura ancora…

Più sicura, come spiegare…

Angel sterzò e fermò, davanti a quel che restava del vecchio liceo. Saltò giù dalla macchina e corse, corse come un pazzo fino in biblioteca, un locale annerito, ma di nuovo agibile, da quando Xander lo aveva promosso rifugio segreto.

Un rifugio… segreto e sicuro… sopra la bocca dell'inferno.

Giles doveva averlo sentito correre per quei corridoi. Quando Angel varcò la porta se lo trovò di fronte, con una balestra. Dietro di lui, Xander.

Angel li fissò entrambi.

"Dov'è?"- chiese.

"In ronda." -gli rispose prontamente Xander, senza sospettare per un attimo che non stesse chiedendo di Buffy- " Voleva cercare i superstiti."

"Non Buffy. Spike. Dov'è Spike."

Giles lo fissò, lo passò da parte a parte con i suoi occhi azzurro-grigi.

"Nella gabbia." -fece un cenno, verso la struttura metallica, ancora solida, che un tempo era stata, in base ai momenti, una trappola o un arsenale.

Alcune casse erano state accatastate all'interno, quasi non si temesse che potessero diventare pericolose, dentro la prigione di un vampiro. Brandelli di stoffa pendevano dalle reti della struttura, ma Angel non aveva bisogno di luce o buona visuale.

"Non ero ancora certo della mia supposizione, ti ho fatto chiamare per questo." - gli disse Giles, deponendo la balestra e arrivandogli a fianco- "Ho preferito metterlo lì dentro così non sarà pericoloso per nessuno.Neanche per se stesso."

Angel si aggrappò alla rete e fissò il pavimento sconnesso. In mezzo alle casse ed alla polvere, stava una giacca di pelle.

E dentro la giacca, l'ombra di un vampiro.

Lunghe mani ossute sporgevano dalle maniche.

Spike.

Raggomitolato.

Con le braccia attorno alle ginocchia.

Con la testa illuminata da un raggio di luna.

Scalzo. Piedi bluastri e venati.

Immobile.

Non ancora polvere, eppure già morto da tanto tempo.

Angel lo fissò ancora, muto.

Improvvisi flash lo colpirono, il ricordo di una morsa micidiale lo prese in pieno petto.

"All'inizio ho pensato si trattasse di non so quale reazione a quel chip, oppure…" - continuò Giles, pulendo gli occhiali nel fazzoletto.

"No, Giles, non ti sei sbagliato." - Angel non riusciva a staccare gli occhi da quel fagotto, senza rendersi conto di Buffy apparsa dal nulla alle sue spalle- "Ora è come me. Quello è il dolore di avere un'anima."

Andò fuori, all'aria aperta, desiderando di avere pieni polmoni per respirare a fondo, come se il bisogno d'aria che non aveva fosse una fastidiosa mancanza. Alzò lo sguardo verso le stelle, le poche che la luna non oscurava con il suo eccessivo candore.

 

Si sorprese a pensare ad Oz, finito chissà dove, spontaneamente rinchiuso sotto la luna piena. Come Spike, in una gabbia che isolava dal mondo.

Spike…

Spike già sapeva cosa gli stava succedendo. Sapeva perché, ma non sapeva come reagire. E gli altri?cosa pensavano di quello che vedevano?

Quello che sapevano dovevano averlo imparato da lui, da Angel e dalle sue frasi spezzate. E dalle cose che non aveva mai ammesso.

Il profumo di Buffy lo inebriava. Il suo insinuarsi sotto il suo braccio ed il sussurrato "tutto bene?" lo riscossero dai suoi pensieri.

Si scambiarono un'occhiata, cercarono di condensare in quel breve sguardo tutto ciò che avrebbero voluto dirsi.

Poi Buffy, con un leggero sospiro di rammarico, si allontanò e rientrò nel edificio.

Angel gettò ancora uno sguardo ormai distratto all'oscurità e la seguì.

 

"Perché non mi racconti da principio?" -le chiese, una volta rientrato in biblioteca. Poi, vedendo la banda riunita attorno all'immancabile tavolo così stranamente sgombro di libri, aggiunse- "Per il momento non posso fare nulla. Prima parliamo."

Buffy prese la parola.

"Suppongo sia stata normale routine. Ho scoperto dov'era un covo di vampiri. Spike non li frequenta più da parecchio. Ma lì ho beccato Harmony e lei mi ha nominato Spike, gemendo su come le avevo sciupato i capelli."

"Come la capisco." - sospirò Cordy nel fissarsi le doppie punte.

"Ha vaneggiato come suo solito su qualcosa che non ho capito bene, ma che nemmeno lei sembrava avere molto chiaro… qualcosa su una zingara, una maledizione o altro…"

"Già sentita questa storia"- specificò Xander.

"…all'inizio ho pensato che parlasse di te. Mi ha detto qualcosa sul fatto che un vampiro con i rimorsi è buono solo per giocarci nel tempo libero. Poi ha aggiunto qualche apprezzamento su com'era Spike quando lo ha conosciuto e poi ha ribattuto il concetto."

"Quale concetto?" - chiese Willow.

"Che lei non frequenta i rammolliti ed i perdenti. Ed io le ho assestato un cazzotto."

"e brava Buffy." - si congratulò Xander e prese la parola- " quindi siamo andati a cercare Spike, ma la cripta dove abita era vuota e da parecchio, almeno una settimana. C'erano tracce di lotta e così, come nostro solito, ci siamo preoccupati anche per chi non se lo merita. E… "- la sua espressione cambiò leggermente nel soffermarsi su quel lembo di pelle nera- "Per una volta abbiamo fatto bene."

"Così sono tornata a spupazzarmi quei quattro inetti e la decina di rinforzi giunta nel frattempo. Lo tenevano in una gabbia, o in qualcosa del genere. E l'abbiamo portato qui, fine della storia."

"Da una gabbia ad un'altra." - mormorò Angel, spostandosi, abbandonando il tavolo su cui si era appoggiato durante il racconto. Le parole di Willow erano state pressappoco le stesse, ragionò, nel congiungere le mani come in preghiera, di fronte alle labbra. Si riavvicinò alla rete metallica e sbirciò appena all'interno, come se temesse, come se sapesse che quell'occhiata sarebbe stata straziante senza essere fruttuosa.

"Non sappiamo niente, sul perché di tutto questo." - costatò.

Tutto questo… un'anima, tornata dal nulla per portare un corpo all'inferno, come se quel minuscolo meccanismo in un angolo del cervello non fosse stato altro che un triste e minuscolo presagio.

Tutto questo…

Come spiegare…

"A quanto pare, no. " - gli rispose Giles- " Non sappiamo nient'altro. Chi, o cosa abbia fatto questo, perché Spike… troppe domande e nessuna risposta."

"Ma adesso che facciamo? " - chiese Willow.

"Angel, hai una risposta a questa domanda?" - esortò Buffy, quando il quesito cadde nel silenzio.

Angel si voltò, li abbracciò tutti con una sola occhiata.

"Sono io la risposta a questa domanda."

E mai, come in quell'istante, desiderò una battuta di Doyle e quella sua leggera mano appoggiata su una spalla.

"Ehi, uomo…"

 

le ore si trascinarono lente, trascorrendo appena, in attesa di un'alba che non arrivava. Angel trascorreva i suoi minuti in piedi, appoggiato alla grata. Dapprima Spike era rimasto immobile, poi, come se avesse attinto un barlume di energia da chissà dove, iniziò a dare qualche accenno di movimento.

Muoveva appena le dita, tra piccoli mucchi di polvere. Aveva disteso le gambe, serbando strette al petto soltanto le braccia. Gli occhi erano chiusi? Angel, per quanto girasse intorno alla gabbia, non riusciva a vederli..

Spike non si nutriva da parecchio tempo. Il suo aspetto scheletrito ne era un inequivocabile vessillo, come le vene che spiccavano come un luminescente ragnatela su ogni lembo visibile di pelle.

Angel camminava in cerchio, oppure sostava, con le mani appoggiate alla rete. Gli altri, seduti, quasi in rispettoso silenzio, di lui vedevano soltanto la schiena, una schiena larga, apparentemente solida.

E dietro quella schiena, un continuo agitarsi di pensieri, riflessioni più tormentate di quelle da cui Willow l'aveva strappato.

Angel aveva il tormento.

Il tormento dell'impotenza.

E Cordelia non capiva. Spike era la croce di Angel da sempre; come due antagonisti, i due vertici virili di un triangolo amoroso. Il loro legame? Come una piramide, Angelus, il sire, ed i suoi pupilli, Spike e Drusilla..

Drusilla… la ragazza tanto pia e devota da essere portata alla pazzia, prima di poterla possedere. Un amore tanto grande quanto distruttivo. Qualcosa che ancora adesso, Angel sentiva sorgere dal profondo dell'animo. Un sentimento, un piatto su cui soppesare la repulsione e l'attrazione.

Ma Spike? Cosa? Perché?

Dapprima non le era sembrato un argomento interessante. Spike era uno sbaglio del passato, uno sbaglio che aveva portato nelle loro vite un nemico acerrimo.

Willow, inconsapevolmente, seguiva la stessa linea di pensiero. Perché un essere spietato come Angelus aveva scelto quello strafottente biondo? A Willow, Spike non spiaceva. Nei lunghi mesi della forzata astinenza, Spike era stato con lei addirittura gentile; una volta aveva pure ammesso di avere un debole per lei e per un suo buffo vestito lilla.

Spike seminava cattiverie con la lingua biforcuta, poi, ad un tratto, uno stralcio di sensibilità.

Aveva il dono innato di capire lo stato d'animo delle persone. Non si lasciava prendere in giro dalle zoppicanti spiegazioni o dalle motivazioni apparentemente inattaccabili.

Spike era fatto così… una mente raffinata quasi quanto le sue perversioni.

Buffy era stata poco tempo a fissare quella schiena diritta… le era grottescamente sembrata la metafora del loro rapporto, una strada in salita, così pendente da dover essere scalata a forza, con sofferenza.

Con il passare delle ore, Giles l'aveva fermamente invitata ad andarsene a dormire e Buffy, sperando che a sua madre non venisse un infarto, optò per una breve sortita nel letto di casa sua, evitando le cinque miglia verso il campus del college.

Alle prime luci del giorno, Cordelia s'addormentò, appoggiata al tavolo, con un po' di fuliggine sul suo nasetto impertinente.

Xander, con una vecchia abitudine, le aveva posato una coperta sulle spalle; poi si era occupato di coprire gli scarsi spiragli delle finestre con le tende a brandelli. Ma non riusciva a distogliere i suoi pensieri da quello che restava di Spike, il più odioso coinquilino che avesse mai sperimentato.

Eppure, come Willow, riusciva a provare una certa simpatia per quel vampiro che aveva cercato di impalarsi nello scantinato, dopo essersi ristretto i vestiti con un bucato sbagliato.

Lo apprezzava, anche se non era un buon amico, anche se era un cinico, un maligno ed un emerito approfittatore. Ma per quanto fosse tutto questo, e per giunta un elemento che gli aveva più volte provocato lividi e contusioni, in quei mesi di sofferta convivenza e lotta gomito a gomito, aveva sviluppato un certo cameratismo.

Ed anche se poi non era molto profondo come slancio, il senso di giustizia non faceva che ripetergli che, al di là dei torti che Spike distribuiva come caramelle, non meritava un trattamento come quello ricevuto dai suoi simili.

L'aveva liberato lui stesso, tirato fuori di peso da quella gabbia… di peso, che parola grossa, per un corpo di circa trenta chili complessivi.

Un essere che, con le poche forze che aveva gli si era aggrappato addosso. Cadendo in avanti, da quella specie di trappola dove l'avevano rinchiuso, per il puro e semplice piacere di seviziarlo.

Come? Bruciature di sigarette, cibandosi sotto il suo sguardo di ragazze che né lui né la cacciatrice avrebbero potuto salvare?

Male parole?

Croci?

Cos'altro?

Aveva subito qualcosa per cui non avesse già sofferto nei mesi passati?

Difficile a dirsi.

Soprattutto se Spike non poteva o voleva parlarne.

Lentamente, quasi senza accorgersene, Xander s'avvicinò ad Angel. Non lo aveva mai considerato altro che un rivale. Anche con lui c'era stata una forma di cameratismo, ma in quel frangente, non poteva che dimostrargli fiducia.

Io sono la risposta, aveva dichiarato.

E Xander voleva sapere.

Per caso, nell'attimo in cui si avvicinò, Spike emise un gemito. La sua schiena s'inarcò, le braccia si spalancarono, con gli occhi rivolti verso un soffitto che non poteva vedere..

I suoi pensieri erano informi come il gemito che gli scivolava tra le labbra.. Angel conosceva quella sensazione, si era illuso per lungo tempo di poterla dimenticare. Un secolo di lacrime che non avevano mai colmato quel deserto di disperazione che Angelus aveva portato in giro per l'Europa..

Spike aveva fatto altrettanto. Aveva ucciso più di chiunque altro, quasi quanto il suo sire. Ma il suo sire aveva commesso il fatale errore di invaghirsi di una zingara figlia di magia…

E Spike? Chi poteva desiderare questo supplizio per un vampiro già menomato dalla tecnologia?

Un urlo si fece largo tra i suoi pensieri. Un urlo strozzato da un dolore che non voleva essere espresso. Per Angel era troppo? - si chiese Giles, quando Angel abbandonò la sua postazione e rientrò in quello che un tempo era stato l'ufficio del bibliotecario.

Inspiegabilmente, ancora una volta, Xander lo seguì.

Angel si era seduto sul divano, su quel che restava del divano. Avevano sentito chiaramente un certo tramestio, come se avesse cercato qualcosa nel ben fornito arsenale di fortuna.

Angel sedeva, con un pugnale tra le mani.

"Che intendi fare?"

"Tu che faresti?" - gli rispose il vampiro, alzando il suo sguardo tormentato verso il ragazzo- "Dimmi cosa è meglio"

"Non ti seguo."

"Un vampiro è un essere malvagio per natura. Un essere da uccidere. Ma un vampiro con l'animo può conoscere solo sofferenza, se le regole non sono cambiate… e non mi sembra che sia così, a quanto ne so."

"Dimmi, Xander, cosa è meglio? Lo privo dell'anima e lo uccido? Oppure lo uccido e gli risparmio la sofferenza di avere un'anima?"

Angel era Angel. Esasperato all'idea di dover ancora spiegare qualcosa che Xander non poteva capire del tutto. Eppure, per una volta, Xander lo guardava dritto in faccia ed Angel gli esponeva un dissidio, accantonando il misterioso e tormentato mutismo. "Risparmieresti un'agonia ad un amico?"

Era passato molto tempo, da quando Angel gli aveva posto questa domanda, indebolito da un veleno che lo stava uccidendo.

Come aveva risposto quella volta Xander? Con cocciutaggine.

E come allora, fissandolo, come allora, rispose: "No, non ti lascerò morire." - in un soffio, come se fosse veramente dipeso da lui. Xander non era la cacciatrice, il suo sangue non poteva sanare un vampiro morente ma, per un attimo, seduto a quel capezzale, il ragazzo aveva reagito con tenacia, con quella filosofia di vita del non tutto è perduto.

Ma ora…

Angel non era capace di accantonare le esitazioni. Portava nel cuore quello stesso ricordo che la caparbia risposta di Xander aveva fatto riemergere. La sua mente era volata nella stessa direzione del tuo interlocutore.

Ma era come se il giorno e la notte dialogassero tra loro. E Spike con i suoi gemiti, non era altro che la colonna sonora di quell'incomprensione.

"Angel." - riprese Xander- "Cosa stai cercando di dirmi? Che vuoi risparmiare questa sofferenza a Spike? Che sei pronto ad ucciderlo con le tue mani, solo perché ha un'anima? Suvvia, è un vampiro che non morde, come te. Tu sei sopravvissuto… vuoi il diritto d'esclusiva?"

Angel gli avrebbe risposto volentieri con un pugno.

"Pensi a lui, non è vero?"- aggiunse il ragazzo, andandogli sempre più vicino. Con sua sorpresa, Angel lesse il rispetto in quegli occhi scuri- "Tu saresti disposto a vivere con il rimorso di quest'uccisione purchè Spike non subisca il tormento delle proprie?"

Ormai rigirava il pugnale tra le mani, dapprima in silenzio, poi, con il desiderio di rispondere.

"Tu lo condanneresti ad una lunga agonia? Solo per la paura di perdere un amico? Ne ho persi molti, nel tempo. E so che il peggio non è ancora arrivato."

"Ma tu sei sopravvissuto. Non ti sei ucciso. E sei tornato dall'inferno più di una volta. Dimmi, non ne è valsa la pena? E per quanto riguarda il peggio… beh, tu eri solo. Ed indietro non si torna. Ma Spike ha te. E me."

Non disse più nulla. Quel breve elenco, quell'ammissione di partecipazione aveva aperto uno spiraglio sul suo ruolo nella faccenda. Ci stava dentro fino al collo. Poco ma sicuro.

"Xander." - Angel lo chiamò. Poi tacque.

"Dimmi."

"Qui non si tratta del sangue che non potrà più bere. Non temo il suo futuro. Ma conosco il suo passato. L'hai visto? Io lo ridussi così, in un vicolo a Londra. Era così, rannicchiato nello stesso modo in cui l'ho trovato stasera, quando gli ho fatto bere il mio sangue per salvarlo dalla vita. Ma adesso… io non sono più quello di allora. Gli ho portato via qualcosa allora… è passato troppo tempo perché il riaverlo indietro non lo faccia soffrire."

"Tu hai paura che impazzisca. Come Drusilla. Non vuoi più macchiarti di questo misfatto. Sei una strada senza uscita, hai ragione." - fece una pausa, lasciando che il sorrisetto appena accennato lasciasse il posto alla serietà- "Ma sai cosa ti dico? che oggi, non so chi o non so perché, ha restituito a Spike qualcosa che tu gli avevi impunemente sottratto. E tu, portandoglielo via, di nuovo e questa volta definitivamente, ti macchieresti di un delitto come allora." - poi, non tanto convinto del ragionamento- "Afferrato il concetto?"

Angel lo fissò, senza rispondere. Poi, l'attenzione di entrambi fu assorbita da qualcosa.

Qualcuno.

Spike.

In piedi.

Con le mani serrate alle reti della gabbie.

Willow lo fissava paralizzata, senza il coraggio d'avanzare di pochi metri. Quegli stessi metri che, ancora una volta, Angel superò con slancio, con il coltello stretto tra le mani.

Angel pose le mani sui palmi aperti di Spike. Vicini, separati da una rete, uno nello sguardo dell'altro. Come non mai. Come erano stati forse una volta nella vita, quando qualcosa era scattato nel cuore che Angelus non pensava d'avere. Il vampiro, irretito dallo sguardo di un poeta squattrinato e morente. Un poeta con l'anima ben nascosta negli occhi. Anima trapelata fuggevolmente a galla, nell'attimo in cui la morte era divenuta consapevolezza.

E quando si era risvegliato, con il sangue sulle labbra, Angelus, in quello sguardo, non aveva più letto nulla che non fosse sete. Potere. Vendetta. Amore.

Lo sguardo. Talvolta è come perdersi nei meandri delle tenebre. Poi, ad un tratto, qualcosa emerge. Ma bisogna essere rapidi a vederla.

Ed Angel la vide. Vide quella singola emozione, rivide qualcosa che conosceva. Spike portava il se stesso di un tempo, la sua anima sventolava come una bandiera. Ma là, a fianco di quel vessillo, stava il dolore di Angel. Il dolore che dona soltanto la sensibilità appena restituita, che porta con sé la consapevolezza

Spike vedeva la stessa cosa? Era divenuti sul serio l'uno lo specchio dell'altro?

Spike. Null'altro che un animale che scivolava a terra in preda ad un dolore selvaggio e violento. Forse insostenibile.

L'avrebbe annientato nel fisico o nell'animo?

Willow si sorprese ad implorare mentalmente un aiuto per quel corpo intrappolato in un'anima. Qualcuno doveva far qualcosa. Cosa sarebbe stato peggio? "Perdere nuovamente l'anima dopo averla ritrovata? Oppure accettarla come solitaria compagna per un'eternità?" - era una frase di Doyle? - Angel protese tutto il suo essere alla ricerca di un soprannaturale soccorso del suo irlandese dagli occhi trasparenti.

"Doyle?" - le labbra di Cordelia si mossero appena in un sussurro.

Ma i pensieri di Angel erano già di nuovo persi nello sguardo di un animale in trappola che, traendo forza dal nulla, si gettava contro le sbarre materiali della sua prigione.

Poi, ancora un istante di immobilità, uno di fronte all'altro.

Di nuovo quello sguardo.

Angel si sentì pervadere dal gelo. Come se si fosse specchiato. Perché là, in quelle profondità, aveva visto di nuovo la morte diventare consapevolezza.

"Fammi entrare"

"Cosa?" - Giles, stranamente sordo a quel dissidio interiore, sembrò reticente.

"Ho detto che voglio entrare." - l'impotenza, divenuta rabbia, gli faceva scandire seccamente le parole.

Willow gli spalancò la porta senza fare commenti, senza esitazioni che portassero ad ulteriori discussioni. Xander avrebbe voluto strappargli di mano il coltello. Poi un impulso lo fermò.

Afferrò per un braccio Angel e, quando questi si voltò, disse:

"Ehi, ricordati di scegliere."

Angel annuì e s'infilò tra le casse, verso il suo simile.

Verso uno spettro che un tempo era stato un vampiro, che un tempo era stato un uomo.

Spike aveva sempre avuto un volto pieno di ossa. Ma mai, come ora, quelle ossa sporgevano, miseramente coperte da un'epidermide quasi trasparente, resa tale dal dolore che sembrava esplodergli nel cervello.

Spike voleva morire. Angel era lì per impedirglielo. Era quella la risposta che aveva cercato tutta la sera, nel tormentarsi per il suo dolore.

Era una chance che gli veniva offerta. Era la guida, lo scoglio a cui aggrapparsi nella tempesta del rimorso..

Spike era pronto per la lotta.

Angel era pronto per la lotta.

Ed entrambi scattarono l'uno verso l'altro. Si picchiarono, con la disperazione che avevano in corpo.

Erano stati amici, padre e figlio, nemici, alleati ed infine di nuovo nemici.

Non sarebbero mai potuti essere degli estranei.

Ed ora, quel palpitare della loro anima in fondo al dolore, li rendeva fratelli.

Fratelli.

Fratelli di sangue.

Un ultimo attacco.

Erano di nuovo faccia a faccia. Come prima, ma non vi era più una rete metallica a separarli.

La rete stava alle spalle di Spike.

Angel lo aveva afferrato per i polsi, le loro mani si stringevano, palmo contro palmo.

Angel troneggiava su di lui, schiacciandolo con la sua forza e la sua mole.

I vestiti cadevano larghi e vuoti sul corpo di Spike, un corpo percorso di tremiti e spasmi che le sue smorfie di dolore non mascheravano..

In un attimo, un altro flash..

Angel sbatté le palpebre.

Fratelli di sangue.

Afferrò il coltello, ed il cuore di Xander fece un balzo in gola.

Le mani…

Palmo contro palmo…

Angel impugnò lo stiletto con la sinistra; poi, allentando la prese della destra, inserì la lama tra le due mani.

E la sfilò, come estrarla da un fodero.

Un fodero di carne.

E lo scagliò lontano.

Lontano da entrambi.

Spike, lo vide sfuocarsi, poi, essere inghiottito dalle tenebre.

La gola gli si strinse in un rantolo.

Immagini fulminee gli balenavano a piena velocità nel cervello. Immagini di una vita non sua, di un dolore che già sentiva in petto.

Un dolore della stessa matrice, oltre i confini del tempo.

Le visioni ruotavano sempre più veloci.

Lo facevano impazzire.

Urlò forte, ma qualcuno gli premette una mano sulla bocca.

Una mano che sapeva di sangue.

Sangue potente, sangue senza vita.

La luce che sentiva dentro si espandeva anche fuori.

Ma Spike non poteva saperlo.

Non poteva conoscere le facce annichilite che li osservavano, mentre l'intelaiatura metallica diveniva un vortice di energia pura.

Energia che lentamente sfumava, con lo scorrere sempre più esile del loro sangue.

Il sangue che si mischiava di nuovo.

Con la morte a tenerli entrambi tra le braccia.. come una donna, il vertice del loro triangolo amoroso.

Come Drusilla. Spike la rivide, con i suoi occhi, con gli occhi non suoi,

E Darla.

E Doyle.

E Buffy.

Erano immagini, immoti fotogrammi espressioni rapide e mai più tornate, volti morti e sepolti riemergevano come ombre dall'ombra.

Fino a formarsi in una sola.

Una singola visione.

Angel, sorgente dalle tenebre.

Reale, di fronte a lui.

La forza che lo intrappolava.

L'energia che sosteneva.

La prima parola articolata, dopo lungo tempo.

"Liam" - rantolò, con occhi pieni di stupore, lontani dalla pazzia.

Liam.

Liam.

Un nome che non conosceva.

Un nome che gli era sempre stato negato.

Il nome del passato perduto.

Liam.

Angel,

Le forti braccia dove scivolare, ora, una volta sciolta la presa.

Braccia che lo stringevano, un maglione color della notte in cui seppellire il proprio volto e le proprie lacrime..

Un collo da stringere con braccia deboli.

Restarono così, sotto lo sguardo soddisfatto di Xander, l'aggrottato di Giles, quello commosso di Willow.

Restarono abbracciati, uno a sorreggere l'altro. Senza motivo per muoversi o separarsi. Uniti i loro corpi, le labbra di Angel sepolte tra i capelli di Spike. E gli occhi di Spike, che già si chiudevano nella melodia di un sonno silenzioso.

Spike riposava, dormiva nel calore che poteva donargli solo un'anima racchiusa in un corpo freddo. Dormiva sul giaciglio della sicurezza.

Restarono così immobili, sotto il loro sguardo vigile.

Angel, le lunghe gambe incrociate e Spike dormiente tra le braccia, leggermente contorto, indisturbato.

Il sonno di Spike, nel cerchio dell'affetto.

E gli spettatori silenziosi, quasi disposti in cerchio intorno a loro

E la cacciatrice lontana, a sognare un abbraccio di quel genere..

E Cordelia che ancora dormiva appoggiata al tavolo.

E Doyle seduto a terra.

Ed Angel, con la testa sulla sua spalla invisibile, stretto tra le braccia di un pazzo spirito irlandese.

Uno spirito dagli occhi trasparenti persi sul riposo di una ragazza con la fuliggine sul naso.

 

 

II

Buffy infilò le dita nella grata e sbirciò dentro.

E lo chiamò.

Angel si riscosse per girarsi a fissarla. Era bella, con gli occhi pieni di preoccupazione, una bambolina con lo sguardo profondo, che si mordicchiava un labbro, indecisa sulle parole da dire.

E lui le sorrise, per incoraggiarla.

"Ehi, vieni dentro."

Era contento di vederla, di poterla guardare, mentre si muoveva per venirgli accanto.

E quando gli fu vicino e si chinò, Angel accarezzò le ciocche di capelli che le cadevano sugli occhi.

E lei si sedette a terra e gli regalò ancora un sorriso, timido, appena imbarazzato.

"Non riuscirai a staccartelo di dosso tanto presto" - disse, indicandolo con lo sguardo.

"Temo che tu abbia ragione."

Stava ancora seduto a terra, con le gambe incrociate, in mezzo alla polvere ed alla confusione. E Spike addormentato tra le braccia.

Xander li guardava. Si era addormentato, e quando si era svegliato li aveva ancora trovati così. Fissava la schiena di Angel, ampia e solida, guardava la testa bionda di Spike, che sbucava appena al di sopra della spalla su cui riposava.

"Come sta?"

"Come uno non convinto che l'immortalità sia un regalo." - replicò tristemente Angel.

"Ma ce la farà?"

"Non lo lascerò morire, se è quello che pensi." - Angel buttò uno sguardo a Giles e disse- "Adesso basta con le gabbie. Portiamolo a casa mia, qui, a Sunnydale."

E così era stato. Angel aveva sollevato il suo fagotto ed erano usciti. Buffy era stata mandata a cercare, senza tanti complimenti, sangue umano in ospedale. E Cordelia era andata con lei, prendendo in prestito la macchina di Angel.

Willow e Giles erano rimasti a cercare chissà quale informazione in un libro.

L'aria era tiepida, piena di stelle. Xander ed Angel avevano tagliato per il cimitero, accelerando il passo.

Le poche ore che restavano della notte erano passate così, camminando e preparandosi. Buffy aveva portato il materiale richiesto e se ne era andata in ronda per scaricare i nervi. Senza una parola. Era come se facesse di tutto per evitare Angel, per non parlargli. Si sforzava di non soffrire. Ed uccideva, con una punta di rammarico, all'idea che non ci fosse più Spike a tormentarla, tra un massacro e l'altro.

"Con la vecchiaia si diventa abitudinari." - spiegò al vampiro punk, mentre questo finiva in polvere- "Era liberatorio farci a pugni.."

Angel, aiutato da Willow, aveva attaccato una trasfusione a Spike. Non aveva neanche provato a nutrirlo canonicamente, gli aveva piantato l'ago nel collo senza indecisioni, senza soffermarsi a cercare una vena pulsante.

"Accidenti, sai bene dove sono." - aveva sdrammatizzato Willow, nell'ammirare tale maestria.

Ed Angel le aveva lanciato un'occhiata grondante di sarcasmo.

Cordelia era ripartita al mattino, presa dalle sue audizioni, lasciando lo stanco gruppo al suo destino. Willow era crollata, alla fine, si era addormentata sul divano, appoggiata a Xander, a metà di una pigra conversazione.

Giles era tornato al suo negozio, visto che Anya si trovava ancora fuori città, insieme a Tara. E Buffy l'aveva seguito.

Restavano solo Spike ed Angel. Spike dormiva di traverso nel letto di Angel. Il corpo sprofondava appena nel materasso, le testa girata da un lato e la flebo ancora inserita.

L'ennesima flebo.

Con infinita pazienza, Angel aspettava, ne sfilava una per avviarne un'altra. Non si preoccupava nemmeno del livido che ormai copriva buona parte collo, che spariva per poi riformarsi rapidamente.

Era il sintomo dell'instabilità fisica di Spike. In situazioni normali non si sarebbe neanche formato, Angel gli avrebbe scalfito la pelle appena senza lasciargli segni. Era sintomatico della scarsa quantità di sangue che aveva in corpo, risultato di un probabile e sadico dissanguamento che gli avevano inflitto i suoi simili, prima che Angel, per salvarlo, non fosse stato costretto a provocargliene uno ulteriore.

Di cui non si pentiva affatto.

Aveva approfittato dei tempi morti per avvicinare una poltrona in cui lasciarsi andare, allungando le gambe fino a posare i piedi sul letto.

Si sedeva lì, appoggiando la guancia alla mano, e fissava Spike. Domandandosi il perché della sua attenzione, la sua sollecitudine nei confronti di un'antagonista tanto ottuso da essere antipatico.

L'antagonista per eccellenza. Erano riusciti a litigare per tutto, potere, sesso, amore, soldi, sangue e donne.

Accidenti, erano persino arrivati ad un pelo dal contendersi la cacciatrice. Eppure Angel era corso da Spike come Spike si era affidato ad Angel. Con lo stesso slancio incontrollato. Di cui non pensava di esser capace.

E così la sua mente tornava indietro nel tempo tanto quanto i suoi ragionamenti giravano in tondo. E non capiva. Spike aveva fatto parte della sua vita quando non era altro che caccia spietata. Era stato Angelus a sceglierlo come compagno idoneo alla sua non-vita, per avere qualcuno da odiare, su cui prevalere in fascino ed ironia, da sbeffeggiare, quando corteggiare le sue donne iniziava a venirgli a noia.

Ma sì, l'aveva vampirizzato perché era stata Drusilla a implorarlo. Le piaceva, le sembrava un giocattolo, così imbranato e tenero nel decantare le sue poesie.

E Spike era stato un predatore inimitabile ed inaspettato. Uccisore di cacciatrici. Cacciatrici come Buffy. La stessa Buffy di cui si era innamorato, girando le spalle a Drusilla.

Era questo che li univa? L'abbandono di Drusilla e l'amore per Buffy? Angel non aveva problemi a scartare quell'ipotesi.

E visto che Spike era tutt'altro che loquace, il tempo per pensare non gli sarebbe certo mancato.

Lentamente alle elucubrazioni si sostituirono altri pensieri, e la sua mente sfuggì, verso Buffy e la freddezza che non avrebbe mai voluto riservarle. Pensare a certi aspetti del loro rapporto gli pesava come una spossatezza eccessiva, una coperta troppo calda.

Si sporse, sfilò ancora l'ago dal collo del vampiro e ne inserì un altro. Spike gemette, movendosi, ma Angel gli bloccò la testa senza tanta indecisione e finì il lavoro.

"Spiacente, amico mio" - sussurrò- "sono a buon punto, vado fino in fondo."

Andare fino in fondo… di colpo quest'evenienza lo colse. Avrebbe portato Spike a Los Angeles. Doveva tenerlo d'occhio, parlargli e scoprire se, nelle Alte Sfere, qualcuno stesse già manipolando il suo futuro.

"E saprò fare tutto questo al di là delle tue opinioni?" - gli chiese, posandogli una mano sulla fronte. Spike si mosse ancora, inquieto, stringendo le palpebre, come per scacciare un'immagine fastidiosa. Poi si rilassò, scivolando un po' da un lato. Angel rimase seduto su quel letto ancora un interminabile istante, poi raccolse i resti delle flebo, per accatastarli sul tavolo.

Nella stanza a fianco si trovò davanti Willow. Si era appena svegliata, con i capelli confusi e la camicetta sgualcita.

Un leggero rossore le coloriva le guance e ad Angel non servì molto per capire che si era sentita una superflua spettatrice.

"Ebbene sì, ho avuto un attimo di affettuosa debolezza nei suoi confronti." - la incoraggiò, sorridendo- "Capita anche a me, ogni tanto."

"Scusa" - balbettò ugualmente la ragazza- "Non volevo."

Non sembrava più lo scricciolo che era stata al liceo. I capelli corti, la figura meno spigolosa e quella luce negli occhi la rendevano deliziosa. Angel sorrise, nel pensare come Xander si fosse, tutto sommato, perso qualcosa.

"Non ti preoccupare. Non mi vergogno."

"Sul serio?"

"Dovrei?"

"Secondo me, no, ma Spike…"

"Spike non se ne è neanche accorto. Era più per me che per lui." - replicò tranquillo- " Ma hai ragione, mi tormenterebbe a non finire."

"Non penso di dirglielo, cioè, non ho motivo di farlo…"

"Lo so."

"Angel?"

"Dimmi."

"Perché Spike?"

Adesso la conversazione meritava di essere seguita. Angel accantonò i suoi pensieri, buttando un'occhiata inquieta all'altra stanza, intravedendo appena il fondo del letto.

Desiderava solo tornare a sprofondare nella sua poltrona, a fissare il suo magro tormento.

"Vieni di là" - sospirò- " Ho una trasfusione da controllare."

"Ancora?"

" L'ultima."

Willow lo seguì, in punta di piedi, cercando di adattarsi al suo passo disumano. Fluttuò quasi fino alla poltrona, ricordando a malapena di essersi rannicchiata allo stesso modo, una notte, con Oz al suo fianco.

In silenzio, osservando un altro vampiro indifeso.

Anche Angel sembrò ricordare, nel rivolgerle un timido e riconoscente sorriso. Poi disse: "Perché Spike? Cosa vuoi sapere."

"Non so. Perché lo hai scelto. È così diverso da te."

"Pensi che si debba essere simili per andare d'accordo?"

"No, ma tu e lui avete sempre litigato. Da quando ci conosciamo non hai fatto che lamentarti di lui…"

"Se prendi un'abitudine…"

"Come dire che era tutta una messinscena?"

"Non proprio. Solo che, in tanti anni di litigate, forse, ho finito con l'essere abituato ad averlo tra i piedi." - sospirò pigramente Angel, in piedi, non troppo lontano- " Che fosse un nemico, o un coinquilino rompiscatole, è sempre stato uno della mia vita."

"Uno della tua vita… è una ben strana definizione."

"La migliore che si possa trovare."

 

Parlarono ancora, frasi pigramente sussurrate. Willow non impiegò molto ad addormentarsi di nuovo, così come si era svegliata, senza farsi notare. Xander si accorse appena, di come fosse tornata ad insinuarsi sotto il suo braccio, nel lasciare la comoda poltrona nuovamente ad Angel.

Ancora i piedi sul letto, un pugno su cui appoggiare una testa piena di pensieri, lo sguardo fisso.

Il sole non avrebbe impiegato molto a sorgere, le pesanti tende in velluto già chiudevano la porta della stanza. Ma Angel non poteva riposare, nello scivolare tra una considerazione e l'altra.

"Ehi, Doyle… " - pensò- " ma l'avresti mai detto? Dopo Faith, Spike. A quanto pare sono il custode di tutti gli sbandati di questa terra. Umani e un po' meno.

Sarò all'altezza? È un osso duro, lo sai. Non si è mai lasciato imbrogliare.ma come farò a tenere testa alla sua sensibilità, quella sua incredibile attitudine a leggere dentro la gente?

Non voglio che mi legga dentro… anche se stasera gli ho permesso di farlo."

Spike dormiva, con la mano leggermente aperta, vicino al viso. Angel l'aveva fasciata, bloccando il flusso del sangue. Ricordava ancora l'attimo in cui gli era sembrato inarrestabile.

Ora, accostandosi al bordo del letto per sciogliere le bende improvvisate, Angel non potè che buttare un'occhiata alla sua mano. Al taglio perfettamente richiuso. Solo una leggera linea più chiara si intravedeva ancora ed Angel si ritrovò a sperare che non svanisse tanto presto.

Il palmo di Spike era ancora sfregiato.

Una ferita mal rimarginata, infiammata che non nascondeva la carne, rosso vivo. Angel sfiorò i lembi irregolari con un dito, ne percepì il calore e la cedevolezza.

Spike si mosse, stringendo appena le dita, non riuscendo a serrarle perfettamente.

Un singhiozzo gli sfuggì dalle labbra, una reazione al dolore, come se quel lieve contatto gli provocasse un incubo da cui non sfuggire.

Obbedendo ancora una volta al suo istinto, Angel unì il suo palmo a quello di Spike, accostando la ferita richiusa a quella pulsante.

Spike si mosse ancora, poi smise, distendendo appena i lineamenti.

"E' una specie di girotondo. Vero? Ma ho paura del potere che potrebbe avere su di me." - la voce mentale di Angel risuonava spossata, nella sua testa- " Cosa accadrà se non avrò le risposte? Come farò…"

Le mani si staccarono. In silenzio, una avvolse l'altra, stringendo appena, posandola delicatamente sul lenzuolo.

"Come vedi, Doyle, ancora ho domande a cui nessuno risponde. E vorrei che tu non avessi fatto così bene il tuo dovere nei miei confronti.

Sarò un custode per lui come tu sei stato per me?"

 

Giorno.

La casa vuota.

Silenzio.

Doveva essersi addormentato. La poltrona gli era sembrata accogliente e sicura. Qualcuno gli aveva posato indosso una coperta.

Buffy?

Come sarebbe stato bello.

Ma Buffy non c'era, come tutti gli altri. Restava un qualche appunto del signor Giles, abbandonato sul comodino, qualche cuscino spiegazzato su cui avevano riposato i suoi amici.

Ad uno ad uno dovevano essere tornati tutti a casa. Ognuno nel suo letto.

Oppure a godersi una giornata calda e piena di luce.

Il cellulare suonò all'improvviso ed Angel incespicò, nel cercarlo.

Cordelia.

Un fiume di parole.

Da strangolare. Angel mugolò umanamente e rispose alle domande per monosillabi. Poi riattaccando, risprofondò nel suo nido di cuoio profumato. Il posto ideale per passare l'eternità.

I cupi quesiti della sera prima erano svaniti. Angel si era svegliato con la mente pratica in pieno fermento. Cosa fare. Cosa dirgli.

Semplicemente.

 

Spike lo fissava.

Con occhi grigio-blu.

Cercò di tirarsi su, appena, quanto bastava a puntellarsi con un gomito. Ricadde appena, nel posare la testa sul cuscino, deglutendo e sbattendo le palpebre per la sorpresa.

Il suo corpo non rispondeva. Il suo bel corpo immortale non aveva un muscolo che fosse immune dalle punture degli spilli.

Spilli.

Angel lo aveva sdraiato su un letto di aghi?

Lo sentiva vicino.

Ma non aveva voce per chiederglielo.

Anche pensare gli sembrava difficile.

Ma talvolta la memoria vola più veloce del pensiero. Lentamente le percezioni di Spike filtrarono nei ricordi, nel passato, con una nuova dolorosa consapevolezza.

I suoi muscoli si contrassero spasmodicamente ed Angel fu subito più vicino, inginocchiato, a lato del letto, la mano insinuata tra i suoi capelli, un'altra, a premergli sul petto.

Se avesse aperto gli occhi l'avrebbe visto.

Se non fosse stato per il dolore di tutto il suo essere si sarebbe accorto di avere le convulsioni.

Lentamente la pressione diminuì. Riusciva a respirare, come se la mente, fluttuando, avesse abbandonato le allucinazioni, scivolando nuovamente nel suo corpo.

Spalancò la bocca, gli occhi, ansimò e strinse il lenzuolo tra i pugni, irrigidendosi.

Boccheggiando guardò Angel, con muto stupore.

E nel cogliere un barlume di ragione, Angel parlò.

E Spike, chiudendo gli occhi, ascoltò.

Perché quello era il primo capitolo della sua vita.

 

 

III

Aveva parlato per ore.

Spike aveva mantenuto lo sguardo fisso, fino a far dubitare Angel che la sua mente fosse ancora stabile.

Immoto, con la testa girata, perfettamente immobile, le braccia lungo i fianchi.

Angel, così poco loquace gli aveva parlato per quello che sembrava un tempo infinito, a voce bassa non badando a come in casa fossero rimasti solo loro due.

Non sapeva di aver iniziato finché non era riuscito a sentire il suono della propria voce, le parole dapprima concitate, necessarie per attirare l'attenzione di Spike lontano dai rimorsi inconsci.

Aveva parlato, sintetizzato l'emozione di una vita e più ancora, di un'anima e di una vita senza di lei e con le sue conseguenze.

A poco a poco le parole avevano assunto un andamento regolare, un fluire lento e composto, come se nella vita tutto potesse scorrere in modo semplice e lineare al di sopra di ogni violenza ed ogni consapevolezza.

Ma Spike non aveva fatto che fissarlo, senza un battito di ciglia, fino allo sfinimento. La mano gli faceva male da impazzire, ma Spike stentava a ricordare. Immagini e sentimenti si frammentavano e si ricomponevano confusamente, stordendolo e tormentandolo con dolore sordo.

Quando angel finalmente tacque, sembrò che il mondo delle parole si spegnesse con lui, scegliendo un silenzio unico e rispettoso.

Pieno di risposte non date.

Era veramente il primo giorno della sua nuova vita. All'improvviso quella lentezza innaturale sembrò soffocarlo. Angel si protese, pronto ad una nuova convulsione. Ma Spike stava soltanto armeggiando con le fasciature della mano. Maldestramente impigliava le unghie nelle bende, con strattoni violenti e inutili.

Si applicava con la tenacia di sempre, lo sguardo teso e le labbra strette. Si agitava, cercando di mettersi seduto. Ma le forze non c'erano. Ricadde di schiena con un ultimo gemito strozzato.

Ed una mano si pose sulla sua. Nel silenzio. I loro occhi si incontrarono. Per istinto.

Angel si concentrò sulle bende e quando Spike mosse le dita sussurrò appena: "Piano, piano."

Spike lo guardava fisso. Gli occhi grandi sul viso sparuto e la mano tra quelle del suo sire. Angel. Come aveva fatto a non accorgersene… angel era inginocchiato vicino al suo letto, perché, da quando.

Per un attimo gli sembrò strano non aver desiderato soltanto quella presenza, dall'attimo in cui la nuova consapevolezza era sorta. Eppure vederlo lì, così vicino, sembrava innaturale. Nella sua mente i ricordi si sovrapponevano, decennio dopo decennio. Quando mai erano stato così vicini… picchiandosi….forse…

A poco a poco distese le dita e si lasciò sfuggire un sospiro. Angel rallentò i suoi gesti ed alzò lo sguardo per un istante, prima di tornare a concentrarsi.

Le bende erano ormai scivolate sulle coperte, ma Angel teneva ancora la mano di Spike tra le sue. Non era certo che la sensibilità fosse già tornata e, istintivamente, l'adagiò sulle coperte, come se fosse una cosa inanimata.

Spike era debole, ma non al punto di non riuscire a sollevare un braccio. Gli costava fatica, ma lo fece ugualmente.

E fissò la ferita, anche se la vista si sfuocava, ne percorse i bordi con un dito, rabbrividendo per il contatto.

Adesso ricordava, in un baluginio di immagini.

Fissò Angel ed egli, quasi esitando, protese la sua. Spike l'afferrò con la mano sana, per affiancarle, per notare ogni evidenza.

Una destra ed una sinistra, una già sana e l'altra ancora ferita.

Si completavano a vicenda come gli opposti.

Avrebbe voluto parlare, ma non disse nulla, deglutì e tese la mano verso Angel. Tremava, come una foglia ed implorava con lo sguardo. Angel si alzò e, per un attimo, la mente di Spike si pervase di terrore. Non voleva vederlo andar via.

Non voleva. Ma non sapeva come dirlo.

Le parole morivano in gola, ma non aveva a che fare con un dolore fisico preciso. Morivano perchè erano inutili…

Morivano perché non erano giuste.

Morivano perché niente avrebbe fermato Angel se voleva andar via.

Sempre che fosse veramente lì.

Angel si alzò. E si sedette sul bordo del letto. Adesso lo sovrastava e la sua ombra proteggeva Spike, nascondendogli la visuale, limitando il suo mondo reale.

Non smise di tendere la sua mano, lo guardò fisso e poi sbattè le palpebre, per ricacciare indietro le lacrime. Gli sorrise appena, quando Angel finalmente l'afferrò, senza stringerla.

Le loro ferite erano quasi a contatto. Era ciò che volevano entrambi.

Era ciò che non potevano dire a nessuno.

Nemmeno a loro stessi.

Nemmeno adesso.

Angel fasciò nuovamente la ferita, stringendo meno.

Pensava a quel sorriso, apparso e sparito in un battito di ciglia.

Quando alzò lo sguardo, pronto a ricambiare, la mano tra le mani, Spike, ai suoi occhi, non sembrò altro che un profilo perfetto, sprofondato in un sonno senza sogni.

Non si trattava di morire. Spike non aveva paura di non svegliarsi. La sua paura era nell'attimo del risveglio, quel brevissimo secondo in cui si sentiva solo un vampiro assonnato. Non ancora consapevole.

Un attimo e nulla più.

Sapeva che non sarebbe morto. Lo sapevano entrambi. Anche se ancora non si parlavano.

Angel c'era, ma, dopo quel primo fiume di parole, la casa era entrata in un silenzio anomalo e inspiegabile. Un silenzio che, a poco a poco, tutti avevano iniziato ad evitare. Solo Giles, talvolta si avventurava fin nell'ingresso, per scambiare due parole e portare copie e copie di manoscritti, di modo che Angel avesse qualcosa da leggere, per capire e distrarsi.

Nel silenzio.

Ogni tanto squillava il telefono e Cordelia lo subissava di domande. Poi era nuovamente il silenzio.

Ma tutto questo a Spike non importava. Perché in quel galleggiare incosciente, l'unico appiglio era Angel.

Angel, che era già sveglio quando si svegliava. Ed era ancora sveglio quando gli occhi iniziavano a chiudersi.

Con gli stessi gesti, da più di tre giorni, posava il contenitore plastico pieno di sangue sul comodino, lo aiutava mettersi seduto e lo fissava, senza dargli mai l'impressione di violare la sua dignità con un gesto di troppo.

Ogni suo aiuto era perfettamente dosato.

Ed i loro occhi, come le loro parole, restavano nel vuoto. Ogni comunicazione era abbandonata. Vivevano in un mondo ai margini del reale. Un mondo fatto di ricordi e riflessioni. Ma soprattutto di incubi.

Incubi tali da svegliarsi di colpo, cedendo al terrore. E come risultato, ormai, Spike conosceva ogni centimetro del petto di Angel. Centinaia erano le volte che si era di colpo destato, in un attimo fuggevole, scattando, alzandosi , cercando di urlare e sbarrando gli occhi senza vedere nulla.

E colpendo violentemente la faccia, strofinando la pelle sul maglione di lana scura.

Nel primo attimo di lucidità sapeva già di essergli volato addosso. Angel si trovava sempre e comunque sulla sua traiettoria, si materializzava ai piedi del letto giusto in tempo per fermarlo.

Afferrava al volo quel disperato, prima che arrivasse alla luce del giardino, prima che scappasse, portando con sé i dolori che avrebbe voluto perdere.

E l'impatto era sempre violento. Era una reazione per istinto che si ripeteva, affinandosi sempre di più. Angel sentiva le costole scricchiolare, come se stessero per rompersi da un momento all'altro. Ed anche fosse successo? Si sarebbero risanate in breve tempo con qualche lieve fastidio.

Ma se si fossero rotte quelle di Spike? Allora sarebbe stata un'altra storia.

Le braccia di Angel scattavano a frenare quella violenza e quel dibattersi, tutto il suo essere si piegava a stringerlo in un'inevitabile e pericolosa morsa. Tutto si riduceva ad un frammento di consapevolezza per entrambi, prima o dopo quel violento abbraccio.

Per Spike si trattava di un attimo dopo la fuga dall'incubo. Nell'impatto contro quei muscoli tesi, quel corpo solido e freddo.

Spalancava gli occhi e seppelliva il viso nella lana, investito da una valanga di impressioni sbagliate.

L'impressione di soffocare senza respirare.

La sensazione di calore delle braccia gelide di Angel.

Era come sbattere contro un muro per poi esserne inglobati: gli occhi aperti ed il calore, le mani aperte per afferrarsi alla stoffa. Ai capelli. A Angel.

Per capirne l'essenza e perdersi nel suo tormento privo di rabbia.

Ed era come svuotarsi di ogni reazione.

Persino Angel lo sapeva. Di colpo quel biondo fascio di nervi si rilassava e scivolava inspiegabilmente.

Ed Angel si ritrovava a stringerlo, per poi riadagiarlo nel letto dal quale era fuggito.

Era come se ogni dolore si emanasse da Spike ed Angel non fosse altro che l'antidoto per ogni male, in ogni minuto di lotta, prima dell'inevitabile tregua.

Una costante.

Un costante stupore di Angel, nel rimboccargli le coperte, il non capire di cosa si nutrisse la rabbia di Spike, nel dissolversi.

Angel si tormentava. Sapeva cosa guidava i suoi gesti, quali fossero le sue paure, le sue preoccupazioni. Ma non riusciva a penetrare la mente di Spike. Non aveva tratto, da quei contatti, la stessa sottilissima conoscenza.

E la fiducia. Spike nutriva fiducia nei suoi confronti.

Senza che Angel avesse trovato un modo per inculcargliela. Senza che ci fosse qualcosa nel loro passato che poteva averli condotti ad essere così vicini.

C'era l'anima.

Era l'anima? L'anima di Spike riconosceva come affine quella di Angel? Era possibile.

Ma Angel, tornando indietro con la mente, non ricordava altro che il tormento e la solitudine. Il sopravvivere inconsapevole, ma soprattutto il senso di estraneità, come se quell'anima appena riavuta dovesse combattere con degli istinti incontrollabili e cruenti, finendo con il lacerarsi ancora, in un bagno di disperazione.

Rabbrividiva, Angel, ricordando quel tormento. Sapeva come quello di Spike nascesse dalle stesse radici, con le stesse motivazioni.

Ma era il loro rapporto a sconvolgerlo. Spike reagiva appellandosi a lui come ad un entità rassicurante. Cosa percepiva?

Doyle forse avrebbe saputo rispondere.

Ma non era un pensiero consolante.

Probabilmente avrebbe sorriso, lo avrebbe stuzzicato, gli avrebbe fatto notare che non era una cosa drammatica se Spike gli voleva un pochino di bene.

Un pochino di bene…

Fosse quello? Un affetto che, fino a quando erano stati un sanguinario quartetto, non era mai venuto fuori?

Rivali.

Rivali, mai amici.

Alleati.

Uno della mia vita…

L'aveva definito così, senza pensare. Possibile che anche Spike lo vedesse in quel modo?

Mistero.

 

Un mistero con gli occhi chiari.

Aperti, spalancati sul mondo.

Immobili e limpidi.

Su di un volto senza parole.

Spike sopportava la sua anima, ma la riduceva al silenzio.

Era il rimorso che non poteva sopportare. Non l'impotenza.

Il chip… quello sì che era una cosa drammatica! Sapersi cattivi ed impossibilitati a tutto. Sapersi sbeffeggiati dai propri simili.

Ma senza la consapevolezza del proprio passato.

Avere il rimpianto, ma non il rimorso.

E di colpo ritrovarsi, senza un'eccessiva lucidità, con il rimorso del rimpianto.

 

Alla fine era crollato.

Era stato in piedi tre giorni e poi, sedendosi sulla poltrona in un attimo di quiete apparente, si era addormentato. A nulla erano valse le sue preoccupazioni, il suo desiderio di essere onnipresente, di arrivare a capire, aiutare.

Angel dormiva, sdraiato in poltrona, con i piedi nudi sul letto, una mano a sostegno della faccia. Sembrava così normale.

Un braccio disteso, verso il letto.

Buffy non osava entrare. Sostava sulla porta della stanza, appena nascosta da una tenda di velluto polveroso.

Osservava, temendo che il suo respiro concitato potesse svegliarli.

Ma solo uno di loro dormiva.

Spike stava sdraiato sul fianco, ma non riusciva a vederlo in volto, immerso nella penombra, lontano dal cono di luce che la lampada proiettava. Eppure sapeva che era sveglio, tante volte si era lasciata sorprendere dalla sua apparente quiete,là, nella frescura della cripta, sdraiato sul catafalco, le gambe penzoloni e le braccia dietro la testa.

Buffy lo osservò muoversi, allungare lentamente il braccio, fino a sfiorare la mano di Angel. Poteva percepire lo sforzo che gli costava quel tendersi, il reprimere i gemiti per non svegliarlo.

Spike voleva qualcosa che non poteva chiedere. Voleva qualcosa che non sapeva di poter chiedere. Capricciosamente si tendeva verso ciò che gli stava a cuore.

Ma, in fondo, non aveva mai smesso di farlo. E Buffy, più di molti altri, sapeva quanto Spike fosse un osso duro.

E non potè nascondere un sorriso, se non dietro una mano, quando, nel sonno, istintivamente, le dita di Angel si chiusero su quelle di Spike.

Restò a contemplarli fino a quando le prime luci dell'alba non fecero capolino, nel grande salone alle sue spalle, fino a quando non vide anche il secondo vampiro rilassarsi in un sonno prezioso, protetto da quel leggero tocco rubato.

Poi si girò ed uscì, chiudendo la porta alle sue spalle perché il mondo non entrasse tanto presto a disturbarli.

 

Non appena la serratura scattò, una coppia di occhi scuri molto profondi brillò nel buio. Con un accenno di sorriso, per la piccola prova di fiducia che stringeva tra le mani e per quel piccolo cigolio. Un segno d'amore, prezioso come una lacrima scivolata in una tenda di velluto polveroso.

 

Xander era passato. Ad Angel era bastato il leggero tramestio dietro la porta per capire che,anche quella sera, non avrebbe bussato.

Attese di saperlo lontano, rispettoso del suo orgoglio, poi, aperta la porta, aveva raccolto il sacchetto marrone, posato sul gradino.

Uno ogni sera.

Lui e Xander non avevano più scambiato una parola, dalla sera in cui, inaspettatamente, si era rivelato ben più dell'astioso rivale in amore. La sera in cui, fianco a fianco, avevano attraversato il cimitero, parlando appena.

Sembrava passata un'eternità… ma quanto, alfine? Un settimana, dieci giorni?

Angel posò il sacchetto sul tavolo. Al suo interno, due contenitori plastici dal contenuto sanguigno ed un libro ed un quaderno rilegato in pelle.

Angel lo girò, per leggerne il titolo, aggrottando la fronte e l'autore. Edgar Lee master…

Non un manoscritto, nemmeno un vecchio testo di Giles. Xander gli aveva portato della poesia. Ed un quaderno rilegato in pelle, con una W stampigliata, in un angolo.

W… come William.

La stessa W che una mano dalla calligrafia sottile e decisa aveva scritto nell'interno del libro. La stessa mano delle brevi annotazioni a lato delle poesie.

Edgar Lee Master ed un quaderno rilegato che Angel non osava aprire.

Ad un tratto gli sembrò una svolta. Frugò in un cassetto, a caccia di una matita.

Poi afferrò il tutto, libro, quaderno ed uno dei contenitori. Poi, con un ripensamento, tornò a prendere il secondo contenitore.

 

Spike stava seduto sul letto, la schiena alla parete e lo sguardo rivolto alla penombra del giardino. La finestra aperta e le tende appena smosse gli permettevano di spingere lo sguardo lontano, oltre il muro, verso l'immaginazione.

Non si girò, fino a quando Angel, in piedi, vicino al letto, non gli porse qualcosa.

Nel momento stesso in cui ebbe in mano quel libro e quel quaderno, alzò uno sguardo stupito verso di lui.

Angel accennò un sorriso, sedendosi sul letto.

"L'ha portato Xander. Ma non chiedermi dove l'abbia preso." - spiegò; poi aggiunse, porgendogli la matita - "Tieni. Buffy l'ha dimenticata. Penso possa servirti."

All'improvviso si sentì stupido. In fondo allo sguardo di Spike si era accesa una luce sardonica. Il grande Angel, castigatore dei malvagi, vampiro senza macchia, gli porgeva una matita, come se fosse una reliquia.

Un attimo fuggevole, prima che Spike abbassasse nuovamente lo sguardo, alle cose appoggiate sulle coperte.

"William"

Gli era sfuggito dalle labbra. Angel ne fu sorpreso, al pari di Spike.

Per un attimo gli sembrò di chiamare se stesso, di voler tornare indietro nel passato a cercare i doni perduti, gli affetti, le cose in cui credeva, prima dei massacri, prima del dolore.

Era troppo tardi per fermarsi.

"io… scusa, forse non avrei dovuto chiamarti così. A volte il proprio nome sveglia troppi ricordi. Il mio mi fa pensare all'alcool, alle bastonate che mi prendevo da mio padre. Ma anche a come lo pronunciava mia sorella. Lo faceva sembrare il nome di una persone degna d'affetto. A volte mi manca, il mio nome.

Io forse non so cosa sto dicendo.

Ma so cosa vorrei dire. Vorrei che tu mi parlassi."

Fece una pausa.

E Spike si volse nuovamente alla finestra.

"Parlami, Spike." - fece una pausa, domandandosi cosa gli sarebbe uscito dalle labbra, se, per una volta, avesse buttato al vento tutti i segreti - "Parlami."

L'avrebbe implorato.

Avrebbe dato l'anima.

Già. Avrebbe dato l'anima.

"William."

Angel alzò la testa di scatto.

Lo sguardo di Spike era pieno di tormento. Ma la sua voce era ferma e salda, come Angel la ricordava.

"William. Preferisco William. Lo pronunci bene, per essere un irlandese."

Angel gli sorrise.

"Hai fame?" - gli chiese. Erano in imbarazzo, entrambi. Era la prima volta che avevano un dialogo. Era stato tutto così semplice, sentirsi vicini, negli attimi di semicoscienza. Adesso cominciava il vero gioco.

Adesso.

Spike scosse il capo.

"Io… vorrei alzarmi."

"Certo." -annuì Angel, alzandosi, per fargli spazio - "Ce la fai?"

Non gli avrebbe mai imposto un aiuto che non voleva. Si sarebbe lasciato osservare, con occhi curiosi, nel porgergli una mano che era libero di non afferrare.

Spike restava sempre Spike. Era testardo, deciso a ritrovare se stesso.

Molto più reattivo a quel cambiamento, di quanto non fosse stato Angel.

Le torture, l'incognita dell'accaduto, il dolore, la malattia.

Niente poteva veramente piegarlo.

Una nuova consapevolezza, con il tempo, poteva solo renderlo più forte.

Era quello che Spike cercava per reagire. Una forza interiore.

 

Angel lasciò ricadere la mano, quando lo vide intento a puntellarsi sulla sponda del letto, a far forza sulle braccia per tirarsi in piedi.

E quando fu dritto, su gambe barcollanti, Angel fece un passo indietro per farlo passare. Era emaciato e pallido. Le sue amate magliette attillate, che Xander coscienziosamente posava accanto ai contenitori, gli stavano larghe, non sottolineando più quel torace sottile e muscoloso che era un po' il suo orgoglio.

Spike aveva piedi lunghi e sottili e mani da pianista che, agli occhi di Angel, erano troppo scarne.

Le bruciature di sigaretta, i colpi subiti ed i segni di alcune violenze, ancora trasparivano sulla pelle venata di azzurro.

Spike stava in piedi per miracolo. E per testardaggine.

Cautamente girò intorno al letto. Andava verso la finestra, quella finestra che a lungo aveva osservato, in silenzio, formulando domande.

Silenzio.

Era cessato così. Ad un tratto si era interrotto. Per un nome, un singolo, sciocco, stupido nome.

Ma Angel aveva ragione. Un nome può essere una risposta a molte domande.

William, il mortale che amava la poesia e la bellezza, si sarebbe affacciato, a respirare l'aria nebbiosa di Londra. Ad aspirare profumi portati da lontano, per non perdere mai di vista la vastità del mondo.

William avrebbe risposto così ai suoi tormenti. Camminando, in un giardino.

Angel lo seguiva a debita distanza ma, quando lo vide fermarsi, all'ombra delle pareti coperte d'edera, restò rispettosamente sulla soglia, ad attendere.

Stettero così per qualche interminabile minuto.

La frescura e l'umidità gli sferzavano il volto, le palpebre abbassate, la mente assorta. I ricordi tornavano a galla,aggrediti dal dolore, in agguato. E Spike, con la sensibilità di William, si sorprese a chiedersi come aveva potuto sperare di non essere consapevole.

Come se mai un dubbio avesse sfiorato la sua mente, come se non ci fosse già stato uno stupido giocattolo meccanico a cercare di condurlo per quella via. Per la via della conoscenza di noi stessi.

Avrebbe voluto respirare quella pace.

Ma non riusciva.

Lentamente si girò, per rientrare in casa. Aveva un libro, un quaderno rilegato in pelle, una matita.

William li avrebbe apprezzati. Ed anche Spike.

Ma le forze gli mancarono.

All'improvviso si sentì pericolosamente sull'orlo di un abisso. Barcollò, cercando di resistere e poi, arresosi, attese l'impatto col pavimento.

Due braccia forti lo cinsero,si tesero per trattenerlo in piedi e poi infine sollevarlo, come se non pesasse nulla.

Era quello il tepore della pace. Spike ne fu colpito, scosso.

Si rannicchiò, per istinto, aggrappandosi, ricambiando la presa, con le braccia strette attorno al collo, il viso seppellito su quella spalla solida. Lo fece consapevolmente, perché voleva farlo, fregandosene delle conseguenze, sperando in una reazione che non fosse rifiuto.

I ricordi lo colpirono, violenti, ricordi dei giorni di dolore che non sapeva di poter avere.

I suoi ricordi erano Angel. Angel e la sua forza, il suo silenzio. Angel che lo tratteneva, Angel che gli teneva una mano tra i capelli quando piangeva nel sonno.

Angel, semplicemente, con le sue contraddizioni.

Angel,che non gli avrebbe mai permesso di cadere.

Si aggrappò, sapendo di non dover più cercare, arrendendosi alla semplicità del gesto, al calore che tanto gli era mancato.

Si arrese all'amicizia.

Angel lo tenne stretto. Così, come se non fosse strano restare al centro di una stanza, con un vampiro singhiozzante tra le braccia, rannicchiato, poco più di un cucciolo spaventato.

Senza far nulla per calmare quel fiume in piena che sembrava investirli entrambi.

Irrimediabilmente.

La finzione era finita, prima ancora di cominciare.

Spike era alla stremo. Non aveva saputo ricominciare ad essere se stesso.

Aveva una strada lunga e faticosa da percorrere, per ritrovarsi, per accettarsi. E per la prima volta, in vita sua, non era certo di riuscire a percorrerla da solo.

 

 

IV

Avevano lasciato Sunnydale, una notte.

Di comune accordo, avevano deciso di informare brevemente Giles della loro partenza e scaricare a lui la difficoltà di spiegare agli altri.

Era sembrata la cosa più ovvia ad entrambi. Anche se Spike non era ancora in forze, Angel non aveva trovato motivo per negargli una passeggiata, attraverso il cimitero, come se vagassero senza una meta.

Avevano iniziato a camminare, uno di fianco all'altro, quasi senza parlare.

La loro partenza era già fissata, per la sera successiva. Ed Angel supponeva di sapere, dove stessero andando.

Si erano trovati, ad un tratto, innanzi alla cripta. E si erano scambiati un'occhiata.

"Non sei obbligato ad entrare, William."

"Hai presente il quaderno che mi ha portato Xander? Proviene da lì dentro. C'è buona parte della mia vita, lì. Dentro. E voglio portarla via da qui."

Aveva salito quel paio di scalini, impegnando tutte le sue forze. Non voleva di nuovo cedere alla debolezza fisica che tanto lo irritava.

Non aveva ancora un aspetto molto sano. Si trattava di piccoli particolari, evidenti solo agli occhi di Angel. Il tremito leggero delle sue mani, quello sbattere le palpebre, quando la vista appena gli si offuscava…

Lo seguì e, quando furono vicino la porta, gli posò una mano sulla spalla e lo invitò ad aspettare. Poi si allungò, per spalancare la porta che si aprì, cigolando sui cardini.

All'interno regnava ancora la desolazione.

Frammenti di mobili e oggetti rotti coprivano il pavimento.

Erano segni di lotta.

Spike camminava in mezzo ai cocci. La sua televisione, rovesciata a terra, tazzoni di ceramica gialli e quant'altro.

Oggetti che gli accendevano sul volto un sorriso ironico. Tutto era distrutto… forse, proprio tra quei giornali strappati e gettati a terra, Xander aveva scoperto quei due fascicoli preziosi, scampati al massacro.

Spike avanzò verso il fondo della cripta, per appoggiarsi ad una lastra di pietra.

Angel vide i suoi dorsali tendersi sotto la maglietta e si avvicinò. Gli fece segno di spostarsi e, con una spinta decisa, fece scivolare la pietra lungo la parete.

Ed entrò. Spike attraversò la seconda stanza e si diresse verso la scala a chiocciola.

Al piano inferiore la situazione non appariva migliore.

Anzi…

Spike si diresse verso la parete di fondo, una nicchia umida e poco illuminata.

Attaccate alla parete spiccavano alcune lunghe catene. Lo sguardo di Spike rivelava molto, sul conto di quegli oggetti arrugginiti. Le aveva usate e poi qualcuno le aveva usate su di lui.

Angel ebbe un flash.

Lo vide, nitido e semplice. Bloccato contro quel muro, ringhiante. Vide la catena che gli bloccava il collo, incidendogli la pelle ed i bracciali. Qualcuno li aveva martellati, fino a schiacciarli, nel dubbio che il prigioniero potesse sfilare le mani diventate troppo sottili.

Sotto i bracciali ammaccati e contorti le mani si stringevano a pugno. La sinistra appariva rotta. Spike, vestito e rabbioso alzava uno sguardo feroce verso un frustino che calava spietatamente sul suo viso.

 

Sbattè le palpebre e fu di nuovo nel presente.

Ancora non si spiegava come i ricordi di Spike potessero trovarsi nella sua testa. Ma non era una di quelle cose che poteva raccontare facilmente ad un Osservatore.

"Angel… quello che dovrebbe sentirsi male sono io…"

Se ne era accorto. Senza girarsi, restando con le mani appoggiate all'arco.

"Cosa hai visto?"

"Qualcosa che, in teoria, non avrei dovuto vedere."

Spike si girò, appoggiandosi alla parete, nello stesso punto del ricordo. Aveva un'espressione dura, simile a quella con cui aveva scrutato il mondo per più di un secolo.

"Mi hai visto qui. Legato." - con un dito abbassò il collo della maglietta, per mostrare un segno violaceo che Angel già conosceva - "La catena passava in questo punto. E non era piacevole. Ed il mio polso sinistro…"

"Era rotto."

"Già. Era rotto." - Spike abbassò lo sguardo e si fissò la punta degli anfibi.

"Come ti spieghi questa comunione dei ricordi?"

"Sei tu lo studioso… Liam."

Angel lo fissò. Spike aveva prelevato quell'informazione direttamente dalla sua mente, nel primo contatto che avevano avuto. Quando il loro sangue si era nuovamente mischiato.

Si sorprese a fissarsi la mano. La ferita che si era provocato era rimarginata ma, come avviene talvolta per i morsi di vampiro, era rimasta la cicatrice.

Girò il palmo verso Spike, in silenzio.

"Lo penso anch'io. È stato il sangue?"

"La prima volta non è successo…"

"Già, la prima volta no…" - la mente di Spike corse fuggevole all'umido vicolo londinese - "E se fosse stata…l'anima?"

"Mi sembra un'idea interessante…."

"Angel…" - Spike alzò un sopracciglio - "Stai parlando come Giles."

Gli sorrise, tollerante. Poi ridivenne serio.

"Spike, è possibile che sia l'anima. Io ho percepito la tua, quando sono arrivato a Sunnydale e penso che tu riesca a sentire la mia, anche se inconsciamente."

"Già. E sai quantificare, per sbaglio, il numero di ricordi che ci siamo, per così dire, passati?"

"No. Ma spero con tutto cuore che siano pochi." - Angel si fermò un attimo a pensare - "Spike, può anche darsi che non siano ricordi."

"E cosa sono? Cioccolatini?"

"No. Forse si tratta di telepatia."

Un'idea interessante.

Era possibile. Forse non si trattava di informazione passate in un certo istante, bensì di immagini confuse che si trasmettevano inconsapevolmente.

"Stavi pensando anche tu alla tua prigionia?"

"Può darsi…."

Non sembrava aver voglia di parlarne; era disposto a rinunciare alla comprensione di quel mistero, pur di non dover richiamare alla mente gli avvenimenti.

"Sì, ci stavo pensando…ma non voglio pensarci più."

Si allontanò dall'angolo. L'umidità gli aveva provocato una sgradevole sensazione di oppressione, facendo balenare nell'ombra volti e ricordi tutt'altro che piacevoli.

Stava imparando a controllarsi. Interrompeva a forza quel flusso di sensazioni sgradevoli, chiudendosi in un ostinato silenzio, fissando lo sguardo ad un punto lontano, come se la risposta che andava cercando potesse investirlo come un treno.

Non voleva essere impreparato. Allenava la sua mente ad accettare la verità, a conviverci.

E sperava di tutto cuore che molte cose, racchiuse nella sua testa, non fossero uscite, per impiantarsi in quella di Angel.

 

Raccolse da terra alcuni oggetti e cercò una scatola in cui metterli. Per lo più si trattava di libri, cassette, cd. Era rimasto poco da salvare: alcuni abiti, i pochi che non erano ancora stati recuperati e lasciati sulla porta di Angel, qualche fotografia ed un paio di braccialetti.

Pure lo smalto nero era andato perso, lanciato con violenza contro una delle pareti. Un orribile macchia densa e lucida, come un grosso ragno.

Angel cercava di riunire i pezzi di quell'intricato puzzle. Un vampiro con l'anima, ridotto a vittima della sua coscienza rediviva, imprigionato dai suoi simili.

Da dove era venuta l'anima? Quando?

Spike non sapeva dirlo. Era successo.

Non ricordava e nemmeno le informazioni di Harmony, per altro evidentemente sbagliate, erano servite a far riemergere i ricordi.

Harmony aveva parlato di una zingara, ma nessuno aveva confermato queste sue invenzioni. Nessuno dei vari vampiri interrogati e nebulizzati da Buffy in un eccesso di zelo.

I pochi, resi loquaci dal paletto, avevano ammesso di essersi divertiti parecchio con Spike, sia alla cripta che al loro covo. Le poche domande che Angel aveva trovato il tempo di rivolgere a questi tizi, nel giardino di casa sua, erano rimaste senza risposta. Nessuno sapeva niente, se non che i rinnegati adesso erano due.

Che anche William il sanguinario era perduto.

Su una cosa non c'erano dubbi. L'anima di Spike era permanente. Niente, amore o dolore che fosse, avrebbe potuto eliminarla.

E non c'era bisogno di sperimentare, in questo campo. L'impressione di Angel era legge, tale era la foga con cui veniva difesa.

Finirono di raccogliere i pochi oggetti integri.

Sostarono appena innanzi al simulacro di Buffy. Spike aveva raccolto molte fotografie, oggetti e appunti su quella che sembrava una lunga e appassionante lite amorosa. Ma anche questo grande amore, sembrava svanito.

Spike aveva voluto Buffy per una questione di possesso, per prevalere sul suo sire. Ed una volta che erano cadute queste motivazioni, era scivolato via anche quel sentimento eterno, sostituito da un'amicizia resa intensa dai rimpianti. Non le aveva portate via con sé. Aveva scelto alcune foto e le aveva offerte ad Angel. E questi, con un lampo di tristezza in fondo agli occhi, le aveva infilate in tasca, lisciandole con le dita.

Per sé Spike aveva serbato alcuni disegni e qualche lettera. Ma di Dawn.

"Sono affezionato a Briciola." - aveva spiegato, con una punta di imbarazzo.

Povero Spike… abituato ad essere cattivo. Abituato a negare ogni forma affettiva che non implicasse sesso e passione.

Angel capiva l'affetto di Spike nei confronti della piccola. Per molti aspetti il carattere di Dawn era affine a quello di Spike, quello che iniziava a riemergere. Probabilmente anche Dawn in persona non trovava strano l'andare così d'accordo con quel biondo narcisista.

Ma Spike… Spike probabilmente dava colpa al chip.

E adesso avrebbe dato la colpa alla sua anima.

 

Erano usciti in silenzio, sprangando la porta.

Avevano infilato le scatole in macchina e, sempre in silenzio,si erano diretti verso casa.

Spike aveva soppesato le chiavi, indeciso sul da farsi. Poi Angel era salito dal lato del passeggero, togliendogli ogni dubbio.

"Guida piano…"

"Hai paura di farti male?"

"No, Spike. Ma ho sonno e vorrei non avere adrenalina da smaltire, quando scenderò dalla macchina."

 

Aveva guidato piano. Sbuffando, ma lo aveva fatto, senza discutere. Angel lo osservava, con una punta di divertimento. Lentamente, per una forma di difesa, stava riemergendo lo Spike di sempre, quello sarcastico ed irriverente.

Quello che Angel avrebbe accolto con grande sollievo.

Mai avrebbe voluto veder Spike languire nei sensi di colpa, mai vederlo diventare cupo e silenzioso. Finora la reazione di Spike era stata più simile ad una reazione allergica a livello metafisico che una vera e propria presa di coscienza.

"Cosa stai pensando?"

"Niente William, niente di particolare."

Di colpo la macchina si fermò bruscamente. Angel si riscosse dai suoi pensieri.

"Stai bene?" - chiese.

"No, ho un infarto." - Spike gli diede un'occhiata loquace ed aggiunse - "Guarda là." Là era la porta di casa di Angel. E sul gradino…

Dawn. "Ormai mi ha visto." - sussurrò rassegnato. Poi aggiunse - "Angel…"

"Entro dal giardino. Ci vediamo dopo…ah, William. Non ti strapazzare."

Spike lo osservò allontanarsi. Angel camminava tranquillo, confondendosi con le ombre. Angel aveva un brutto difetto: sembrava nato per rivoluzionare e sconvolgere la vita a Spike.

Ma con una gran discrezione, per essere un irlandese.

 

Dawn sedeva sul gradino, con il mento appoggiato alle ginocchia ossute. I capelli le scivolavano quasi fino ai lacci delle scarpe,rannicchiata in quella posizione.

Aveva visto la macchina. Ed Angel che scendeva.

Poi, Spike aveva spento il motore e si era avviato verso di lei.

Dapprima era rimasta ferma. Voleva capire cosa lo rendeva differente, quale particolare le poteva permettere di accorgersi di quel cambiamento così grande.

Ai suoi occhi Spike era solo troppo magro.

Camminava sciolto ma lentamente, come se dovesse essere certo di dove metteva i piedi. Non c'era baldanza nel suo muoversi.

Camminava perché doveva arrivare fino a lei.

Di colpo saltò in piedi e corse verso di lui. Aveva paura a saltargli al collo, paura di fargli male. Ma Spike aprì le braccia senza esitazioni e la strinse, sorridendo di quel nasino freddo che si strofinava sui suoi pettorali.

"Ciao Briciola."

"Oh Spike, ero così preoccupata. Non volevano dirmi nulla, ho fatto una gran fatica a convincere Willow a raccontarmi cosa ti era successo." - singhiozzò - "Credevo ti fosse successo qualcosa di brutto…"

Spike rimase interdetto. Le carezzava i capelli, lasciando che sfogasse la sua preoccupazione e riflettendo. Dal punto di vista di Dawn, la tortura che aveva subito, era poca cosa rispetto alla sua anima appena conquistata.

Non era sbagliato…

In effetti la mente di Spike era stata assorbita dal ritorno dell'anima, tanto quanto il corpo era rimasto leso dalle ripetute violenze.

La sua mente era fuggita lontana e ci era voluta tutta la forza di Angel per riportarla indietro.

"Come vedi, Briciola, questo vampiro è una roccia."

"Spike… senti male all'anima?"

"Cosa?" - rispose lui, aggrottando la fronte.

"Hai lo sguardo triste, tu non hai mai lo sguardo triste. Puoi essere arrabbiato o ferito, ma non ti ho mai visto così…"

"E' stato un periodo faticoso. Vieni in casa, se prendi un raffreddore tua sorella mi farà rimpiangere… non so cosa, ma so che sarò molto doloroso."

"Ed Angel?"

"Se cercherà di mangiarti gli farò notare che sei ossuta e troppo dolce."

La fece ridere, cercò di distrarla con battute e solletico. Ma quella domanda sembrava sempre in agguato.

"Ti prego Spike, rispondimi. Ti fa male l'anima?"

"Sì Briciola, l'anima mi fa male, mi ha fatto male e mi farà male anche in seguito. Perché me lo chiedi?"

"Una volta Angel e Buffy stavano in soggiorno a casa. La mamma era andata a dormire e loro parlavano. Poi anche Buffy si è addormentata ed io sono scesa a prendere un bicchiere di latte.

Angel non era sul divano, vicino a Buffy. Stava seduto in poltrona e la fissava, con le mani congiunte, come le tieni tu. Aveva lo sguardo triste ed io non avrei voluto che mi vedesse."

"Ma lui ti ha visto." - replicò sottovoce Spike. Stavano seduti sul divano, mentre Angel leggeva, sdraiato sul letto nell'altra stanza- "Lo fa sempre anche con me. Sono secoli che cerco di coglierlo di sorpresa."

"Hai ragione. Sembra che abbia gli occhi anche dietro la testa." - Dawn annuì convinta- "Solo che, quella sera, non voleva cogliermi sul fatto mentre sbirciavo.

Mi ha chiamato e quando mi sono avvicinata non mi ha rimproverato. Mi ha chiesto perché non riuscivo a dormire e mi ha detto che, quando da giovane non dormiva, gli piaceva disegnare."

Incredibile. Angel parlava del suo passato con l'unica bambina della banda.

"Io sapevo che Angel disegnava. Me lo aveva detto Buffy. Ed abbiamo parlato un po' di quello, dei miei colori preferiti. Ma lui aveva lo sguardo triste, come avevi tu stasera. E quando gli ho chiesto perché il suo sorriso era diverso da quello degli altri,mi ha risposto che, in certi momenti, l'anima gli premeva sul respiro, come se fosse pesante." -Dawn si tormentava una ciocca di capelli - "e che non poteva farci niente, quando sentiva male doveva aspettare che passasse."

Spike non sapeva cosa rispondere. Non sapeva se il suo male all'anima fosse come quello di Angel. Ma, soprattutto, non riusciva a non domandarsi se Buffy fosse capace di capire il dissidio di Angel con la stessa profondità di una bambina che non riesce a dormire.

"Spike…"

"Briciola?"

"Sei arrabbiato?"

"No, piccola, non lo sono. O forse sì. La verità è che non so molto bene come comportarmi."

"Allora comportati come sempre. Andavi forte, anche prima."

"Certo. Andavo forte. Ma la vera domanda è se vado forte ancora adesso…." - Spike ne dubitava.

Agli occhi di Dawn sembrava più giovane. Troppo magro ed un po' più insicuro.

"certo che vai forte." - lo rassicurò- "Adesso hai l'anima. Puoi ricominciare a pensare cose belle della gente. Ed io posso dirti che… che ti voglio bene, senza il rischio di essere morsicata."

Era un concetto semplice. E Spike si sorprese a ridere. Appoggiò la guancia alla mano e rimase a fissarla, di sbieco, continuando a ridacchiare.

Dawn non era più seduta. Stava in ginocchio, tutta concentrata a fissarlo. Era contenta. Aveva detto una cosa sincera e fatto una battuta con la stessa frase.

Spike avrebbe voluto abbracciarla. Ma non lo fece. Sarebbe stato uno stravolgimento dell'equilibrio che si era creato tra loro.

Le rivolse ancora un'occhiata affettuosa.

"Spike, tu andrai via con Angel, vero?"

"Già"- Spike non aveva voglia di mentirle -" Vado a Los Angeles, almeno per un po'. Fino a quando non ci daremo sui nervi."

"Allora mi sa che non tornerai tanto presto."

"Mi ci vuole del tempo. Devo capire molte cose."

Spike partiva. Spike non ci sarebbe stato, nella cripta, se lei fosse andata a cercarlo. Spike non ci sarebbe stato per picchiarsi con Buffy e discutere con Xander.

Dawn sarebbe cresciuta senza di lui.

"Non essere triste, Briciola. Puoi sempre scrivermi, oppure telefonarmi…"

"Hai un telefono?"

"Angel ce l'ha. E ti assicuro che me lo farà usare. Facciamo così: ti scriverò io per primo. Il tuo indirizzo lo so. E tu potrai decidere se rispondermi."

"Io ti risponderò di sicuro." - rispose, alzandosi e lisciando la gonna corta. Sembrava più grande, con quel faccino triste - "Allora, ci salutiamo adesso."

"Non mi piace che tu vada in giro per cimiteri a quest'ora. Ti accompagno."

"No. Vorrei mi accompagnasse Angel."

Spike aggrottò la fronte e la fissò di nuovo. Per un attimo il suo orgoglio ne fu risentito. Non si sentiva abbastanza difesa?

"Spike, io, preferisco che tu non mi accompagni."

Un lacrimone lo fece subito sentire in colpa.

"Oh Briciola. È stato un attimo di perplessità, non mi sono offeso!"

"Lo so. Ma io penso che potrei piangere per il fatto che te ne vai, mentre vado a casa. E non voglio che tu mi veda."

"D'accordo." - pro,mise lui abbracciandola - "Questo lo capisco. Non bisogna essere deboli in pubblico. Ma tu sai che con me non hai problemi…"

"Lo so. Ma questa volta mi sembra giusto così. a te non piacciono le smancerie…hai un brutto carattere, Spike."

"Vero. Sono cattivo e crudele. Non scordarlo mai."

"Certo. Cattivo e crudele." - ripetè Dawn, tirando su con il naso.

"Vado chiamare Angel."

Angel non fece commenti. Stava seduto sul suo letto, in mezzo alla confusione di Spike. Come Spike aveva intuito, Angel stava leggendo.

Non fece commenti, davanti a quella richiesta. Chiuse il libro e si alzò, raccogliendo la giacca con una mano. Fece un sorriso a Dawn e le aprì rispettosamente la porta.

Spike e Dawn non avevano più bisogno di salutarsi. Lei si girò appena, ricambiando con un cenno della mano, il sorriso di Spike.

Sul letto, appoggiato sulle coperte, restava il libro che Angel aveva posato.

Il libro che stava leggendo Spike.

Il libro di poesia di Lee Master. Chissà perché Spike si sorprese a ridere, per quei gusti letterari del suo Sire.

Ridere.

Ridere fino alle lacrime.

 

Dawn avrebbe preferito andare a casa da sola.

Ma aveva un compito da compiere.

"Angel…"

Angel si voltò a guardarla, rallentando il passo. Non disse nulla, aspettando che trovasse le parole che andava cercando.

"Sta bene adesso Spike?"

"Sta bene."

"E' troppo magro."

"Lo so."

"Dovrebbe mangiare di più. Angel…"- disse Dawn, fermandosi- "Mi prometti che starai attento che mangi? E' davvero troppo magro."

"Sì Dawn. Io mi occuperò di lui."

Dawn annuì, sollevata. Angel capiva. Angel capiva sempre.

"Gli piace suonare la chitarra, ma la sua è andata rotta…"

"Lo so." - Angel sapeva i gusti di Spike. Lo conosceva da più di un secolo. E se anche, alfine, erano cambiati entrambi, nulla di ciò che aveva apprezzato sembrava essere andato perso.

"E poi la cucina cinese. Anche se niente regge il confronto con il sangue e…" - Dawn si interruppe, imbarazzata. Di colpo le sembrò una situazione insostenibile. Al buio, di notte, in un posta sperduto a parlare con un vampiro che non aveva voluto essere suo cognato; a parlare di un vampiro con un chip in testa ed anche un'anima con cui lei chiacchierava e mangiava dolciumi.

Angel sentiva l'imbarazzo crescere.

"Dawn… io mi occuperò di Spike. Non hai bisogno di sentirtelo ripetere un'altra volta. Ma sarà un bene che tu ti mantenga in contatto, se ti fa piacere. Io tendo ad essere noioso, a volte."

Dawn annuì, poco convinta. Avrebbe voluto essere all'altezza di una conversazione seria ed invece…

Ripresero a camminare, dapprima in silenzio.

"sai, Dawn, i ragazzi ti sottovalutano. Sei matura per la tua età."

"Sul serio?" - il suo cuore ebbe un balzo.

"Sul serio. Sei sensibile. Forse sei troppo impulsiva, ma questo è un difetto che hanno i coraggiosi. E sei generosa. Spike è fortunato ad avere un'amica come te."

"Ed io sono fortunata ad avere lui."

"Già." - Angel si fermò, in fondo al vialetto, davanti alla veranda di casa Summers - "Sai tenere un segreto, Dawn?"

Dawn gli rivolse un cenno, con un lampo serio nello sguardo.

"Siamo in due, ad essere fortunati."

 

Erano pronti.

Meticolosamente, Angel aveva chiuso le porte e le finestre.

La casa appariva desolante e vuota. I segni del loro passaggio erano stati accuratamente cancellati.

Angel voleva pensare di non essere mai tornato, a Sunnydale. Spike, di non esserci mai venuto.

Avevano raccolto i pochi oggetti che ancora restavano e si erano avviati verso la macchina.

In silenzio, uno di fianco all'altro.

"Angel." - l'aveva chiamato Spike, fermandosi.

Era rimasto in silenzio e, per un attimo, mille evenienze si erano affacciate alla mente di Angel. Possibilità ed emozioni contrastanti.

"Ti va di guidare? Io… non me la sento…" - Spike l'aveva fissato, fermo, con le mani in tasca. Poi, ad un cenno di Angel, gli aveva offerto le chiavi.

Ed Angel, in cambio, gli aveva porto un pacchetto di sigarette ed un accendino. Li aveva in tasca.

Gli occhi di Spike si erano dilatati per la sorpresa. Non ci aveva più pensato, da settimane.

La marca era esatta e l'accendino era… semplicemente era.

Argenteo e sottile, non uno Zippo tipicamente americano. Era un accendino francese. Elegante. Dove l'avesse recuperato Angel era un mistero.

E, soprattutto, era mistero quando avesse trovato il tempo di farlo incidere.

Spike passò un dito sull'elegantissima W che spiccava su uno dei lati. Discreta, ma presente.

"Grazie." - disse, in un soffio.

"Prego."

Restò ancora un attimo a fissare quel regalo inaspettato. Poi si riscosse.

"Andiamo." - replicò, con il tono petulante di sempre, passandogli a fianco- "Questo posto ci rende melensi."

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Capitolo 2
*** 02.Alba in LA ***


Alba in LA

 

I personaggi delle serie "Angel" e "Buffy, the vampire slayer", appartengono a Joss Whedon, la WB, ME e la Fox, l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

 

Buffy li guardò, mentre la macchina si allontanava. Li guardò con un dolore nel cuore.

Andavano via, entrambi.

L'irriverente ed il rispettoso.

Il sacro ed il profano.

I due volti dell'amore.

Quella notte divorarono chilometri. Lo stereo della macchina andava,buttava in faccia musica, musica e ancora musica. Guardavano fisso di fronte a loro, ognuno immerso nei suoi pensieri, impugnando il volante, oppure fumando una sigaretta.

Spike non parlava. In un certo senso, subiva il torpore della sera prima, la sensazione di spossatezza che aveva combattuto ad oltranza.

Fumava, concentrandosi, per non crollare di nuovo per debolezza.

"Non andrai lontano…" - Angel non distolse lo sguardo dalla strada.

"Come scusa?"

"Ho detto che non andrai lontano. Mi riferisco al tuo usare la rabbia per stare in piedi. Crollerai."

"Angel… ho due cose da dirti."

"Allora dille."

"Punto primo: finiscila di entrare nella mia mente."

"Non sono entrato nella tua mente. Sei teso, non mi ci vuole nessun particolare potere per accorgermene. Chiamala questione di pelle. Ci conosciamo da troppo. Anche tu sai se sono di cattivo umore, se lo sono."

"Lo sei sempre."

"D'accordo Spike."

"Punto secondo: non ho bisogno la balia. Se anche faccio una cazzata, non sei obbligato a farmela notare."

"Non ti faccio da balia. Ma anche in questo caso, ho parlato nel tuo interesse. Se poi pensi di avere piacere ad impiegare il doppio del tempo a riprenderti perché hai forzato i tempi, fai pure."

"Angel…"

"Dimmi Spike."

"Punto terzo…"

"Credevo che i punti fossero due." - constatò, sorridendo, senza voltarsi.

"Lo erano. Punto terzo: non usare il tono accondiscendente. Ho un'anima, non sono idiota."

"Va bene, Spike. Altro?"

"sì Angel. C'è dell'altro. Perché lo fai?

"Fare che cosa?"

"Perché ti occupi di me…"

Quanta fatica gli era costata quella frase? Un'enormità,probabilmente. Soprattutto tenendo presente che Spike stava cercando il suo equilibrio nel suo vecchio carattere. E quale sarebbe stata una risposta soddisfacente?

"Non è la prima volta che mi occupo di te…" - rispose Angel, lentamente, brancolando in cerca di un buon motivo che si potesse dire - "Anche prima…"

"Prima?"

"Prima del ritorno della mia anima. Anche allora eravamo una famiglia…"

"Siamo una famiglia, adesso?"

"Non lo so ancora Spike…"

"Io penso di sì…"

"Sul serio?" - adesso valeva la pena gettargli un'occhiata, per capire quanto credesse in quelle parole.

"Il tuo atteggiamento lo farebbe pensare. Ma non è la risposta alla mia domanda. Perché ti occupi di me?" - ripeterla era stato meno faticoso di quanto pensasse.

"William…"

"Dimmi, Angel."

"Ti va di offrirmi una sigaretta?"

Questa era una novità. Angel allungò una mano per accettare la sigaretta e se la lasciò accendere.

Adesso stava pensando. Reggeva con la stessa mano sigaretta e volante, massaggiandosi la fronte con l'altra, il gomito appoggiato al finestrino.

Sembrava che quei gesti meccanici lo aiutassero a chiarire le idee, il ritmato cambiare mano per portare la sigaretta alla bocca.

"Willow mi ha fatto pressappoco la stessa domanda, la notte in cui sono tornato a Sunnydale."

"E tu cos'hai risposto?"

"La prima cosa che mi è venuta in mente: che eri uno della mia vita. E non potevo fare a meno di farlo."

"Uno della tua vita…"

"Già. Non era un concetto legato al senso di famiglia. Volevo farlo e basta. Willow mi ha cercato a Los Angeles ed io ho preso la macchina e sono venuto a vedere come stavi."

"E se non si fosse trattato dell'anima? Cioè, se fosse stato un caso differente?"

"Non lo sapremo mai."

 

Il discorso si interruppe. Ognuno aveva una sigaretta su cui concentrarsi.

"Spike… se tu fossi stato al mio posto, cosa avresti fatto?"

"Cosa?"

"Mettiti nei miei panni. Che cosa avresti fatto?"

Era una domanda che non si era posto. Era una domanda a cui non sapeva rispondere. Non gli sembrava adeguato dichiarare che se ne sarebbe fregato. Risposta che non si distaccava troppo dalla realtà dei fatti. Angel aveva riavuto l'anima e nessuno l'aveva soccorso.

Vero che si era trattato di una reazione da vampiro comune, un assassino con pochi buoni sentimenti.

Eppure, inconsciamente, allora, aveva risentito della perdita di quella figura con cui contendersi il predominio nel gruppo.

Costretto a rinunciare alla rivalità ed alla contesa…

Già avviato verso l'inevitabile sfasciarsi della loro famiglia, quando infine anche Darla era andata per la sua strada…

Angel aveva ragione. Ci si sarebbe potuti stupire del contrario. Uno della mia vita.

Era una definizione perfetta, abbracciava quella vasta gamma di sentimenti negativi che, discutibili ma presenti, li avevano legati sin dal principio.

Ma non rispondeva alla domanda.

Ed Angel stava aspettando.

"Mi spiace Angel. Non lo sapremo mai."

Aveva sorriso di quella risposta che azzerava la complicata riflessione di Spike. Ma non aveva poi molta importanza. Angel aveva imparato ad aspettare. Aveva imparato a riflettere e capire, con il tempo.

"Del resto, William, non sono certo di saperti veramente rispondere. Può darsi che all'inizio sia stata una reazione istintiva, oppure di incredulità. " - Angel buttò il mozzicone acceso nella notte - " All'inizio non ero certo che avresti accettato il mio aiuto. Ma volevo fare un tentativo."

"Sicchè, se io avessi rifiutato il tuo aiuto, mi avresti lasciato in pace."

"Temo di no." - ammise Angel, dopo un attimo di indecisione - " In quel caso il problema non sarebbe stato come aiutarti, ma come farti capire che volevo aiutarti."

"Può anche darsi che io non abbia bisogno d'aiuto…"

"Forse. Ma ciò non toglie che io ritenga una buona soluzione che tu venga a Los Angeles per qualche tempo." - Angel rallentò, poi aggiunse distrattamente - " Puoi vederla anche in questo modo: mi sono sentito il più adatto ad impicciarmi degli affari tuoi ed ho intenzione farlo."

Era una fine poco nobile per quella conversazione così seria.

Ma Spike non sentì quell'ultima frase come un affronto. In effetti, non si poteva negare la competenza di Angel sui casi di vampiri con l'anima. Dopotutto, da più di un secolo, sperimentava sulla sua pelle i pro ed i contro. Naturale era stata la richiesta di Giles ed ovvia la risposta di Angel.

Ovvia…

Non proprio ovvia.

Non si era limitato ad esporre la sua opinione in merito. Li aveva estromessi, assumendosi un incarico che non gli competeva.

E non solo.

Si era creata una sintonia. Come se entrambi traessero un certo beneficio dal confrontarsi. E dal restare in silenzio.

Spike non era mai stato tanto zitto.

Angel, in cuor suo, riviveva l'invadenza sarcastica dei loro primi anni di convivenza, le provocazioni e il tormento che gli creava coscientemente.

Inequivocabile desiderio di polverizzargli le ossa e disfargli i lineamenti.

Eppure gli era mancato. Angelus non aveva mai conosciuto un sentimento del genere, più adatto a Liam. Il vuoto di una famiglia perduta…

Ci era voluto Angel, per rendersi conto della forza del loro legame. Un legame pronto a rinsaldarsi alla prima occasione.

Angel fu colto alla sprovvista da quella verità. Spike non aveva saputo rispondere a quella domanda breve quanto complessa. Non gli era tornata alla mente l'occasione in cui si era trovato di fronte ad una scelta di quel tipo.

Non si era ricordato di come l'aveva accolto, ricreando quel gioco ostile di sempre, nel momento in cui Angel, perdendo l'anima, era tornato ad essere Angelus.

Non ricordava quell'episodio relativamente recente?

Spike l'aveva nuovamente accettato. Aveva accettato di dividere nuovamente Drusilla.

"Ma infine mi sono alleato con la Cacciatrice." - obbiettò Spike.

Angel frenò bruscamente.

"Come hai detto, scusa?"

"In quel caso, ti ho accettato ma poi ti ho tradito." - puntualizzò il vampiro biondo - "A meno che tu non abbia intenzione di tradirmi, non mi sembra un paragone che regge."

"Spike, non è questo il punto! Io non ho aperto bocca."

"Figurati!"

"Te lo posso assicurare! Spike, hai letto nella mia mente." - quell'aspetto della loro sintonia iniziava a divenire scomodo - "D'accordo, ricominciamo. Che cosa mi avresti sentito dire?"

Spike aggrottò la fronte. S'impose di ricordare ogni particolare.

"Stavo pensando ai fatti miei quando tu mi hai fatto notare che non mi ero ricordato di quando hai fatto l'amore con Buffy e ti sei ritrovato di nuovo senz'anima. No, non ne sono certo. Non si è trattato solo di parole. Mi è tornato alla mente quel caso, ma c'erano anche le tue riflessioni…"

Ma bene… non solo era successo di nuovo, ma questa volta non si riusciva neppure a scindere il ricordo dal pensiero. Del resto, Angel stava, in effetti, richiamando certe scene alla mente…

"Possiamo quindi definirla telepatia e chiudere il discorso sui ricordi mischiati? Potremmo, visto che ci siamo, concentrarci anche su come ridurla!"

"Allora non è il caso che ti dica che anche questa volta non ho parlato…"

Spike lo fissò, sbalordito. Angel aveva spento il motore e rifletteva, cercando di scorgere un frammento di mondo dai vetri dipinti di nero.

"Sigaretta?"

"Sì grazie, William."

Chi li avesse visti non avrebbe potuto far altro che sorridere. Stavano seduti in macchina, su una strada deserta. Fumando una sigaretta, perfettamente immersi nei loro ragionamenti. La radio proseguiva a cantare e Spike aveva posato un piede sul cruscotto.

Preferivano non fissarsi e forzavano le loro menti perché andassero nella direzione dovuta, senza captare nulla che non fosse farina del loro sacco.

Alfine Angel, con un sospiro di puro dubbio, rimise in moto il motore.

"Allora?" - chiese Spike.

"Allora non mi sembra il caso di finire arrostiti solo perché ci parliamo con il pensiero. Posso pensare e guidare."

"Puoi pensare agli affari tuoi!"

"Mi spiace contraddirti William, ma sei tu quello che ha letto i fatti miei due volte di fila."

"Allora se ti da' fastidio, fa qualcosa! A me darebbe sui nervi uno che legge nella mia mente."

"D'accordo con te. Mi da' fastidio. Sono molto geloso di quello che penso." - Angel aveva riportato la sua attenzione sulla strada - "Va bene. Ricominciamo dal principio. Sono arrivato a Sunnydale, sono venuto in biblioteca da Giles e, quando ti sono arrivato a pochi metri di distanza, ho percepito la tua anima."

"Percepito in che senso?"

"E' stata una visione di insieme. Espressione, stato di prostrazione… ma indubbiamente c'era qualcos'altro che non ho visto ma sentito…"

"Probabile… io in quanto vampiro riuscivo a percepire la tua presenza, ma non la tua anima. Sapevo che eri a Sunnydale, la prima volta che sono arrivato con Dru, ma quando ci siamo incontrati non mi sono reso conto dell'anima…"

"Va bene. Quindi essere vampiri ci permette di percepire una specie di disturbo, se siamo vicini. Rileviamo un messaggio ma non sempre lo decodifichiamo. E questo spiega come possiamo prenderci di sprovvista."

"Ed aggiungiamo che tu, in media, decodifichi meglio di me…"

"Grazie dal complimento…"

"Angel… punto quarto: non fare umorismo. Ti riesce male." - Spike si concentrò e riprese dal punto dove si era interrotto Angel - "Quando tu sei arrivato a Sunnydale, questa volta, non me ne sono accorto."

"Non me ne stupisco. Eri del tutto incosciente. Non ero certo che la tua mente reggesse al colpo." - Angel omise intenzionalmente il suo dissidio sul lasciarlo vivere o ucciderlo. Raccontarglielo li avrebbe messi entrambi nella condizione di dover dare ragione a Xander Harris -"Quando ho deciso di intervenire eri, a mio giudizio, fuori di testa. Ci siamo picchiati e tu avevi un'energia che fisicamente non potevi avere. Combattevo solo con la tua parte demoniaca. Per cui non dovevo prevalere per forza. Dovevo piegare la tua tenacia e la tua violenza."

"Ed allora…"

"Ed allora ho usato il dolore fisico. Per come ti avevano ridotto, non si sarebbe trattato di un dolore temporaneo, ma di uno duraturo. Non si sarebbe rimarginato in fretta. Però, in tutto questo, c'era un margine di rischio."

" Sarebbe?"

"La tua mente, Spike. Io dovevo essere certo di riportarla dentro il corpo, di doverla rendere di nuovo consapevole. E dovevo essere certo che il mio demone non prevalesse, combattendo."

"Questo mi sfugge."

"Tu eri ostile, William. Non si trattava di fare a pugni. Te l'ho detto: io dovevo piegarti. Ti avessi sopraffatto con la forza, ti saresti limitato a crollare di nuovo, in un senso strettamente fisico. Invece quello che volevo io era una reazione psicologica. E per ottenere una reazione di questo tipo, dovevo far sentire al tuo demone il mio, come se ti parlassi in un linguaggio affine." - sembrò pensarci un attimo - "Tu ed io abbiamo sempre fatto a pugni per metterci d'accordo…"

"Vero. Mai più trovato uno al mio livello." - concordò Spike, con una punta di rammarico.

"Grazie. Tutto chiaro fino qui?

"Direi di sì…"

"Riprendiamo. Io ti blocco contro la parete della gabbia. Ho un pugnale. A questo punto ho bisogno che tu risponda ad un'altra sollecitazione. E mischio il tuo sangue con il mio."

"E questo ci porta ad un contatto mentale."

"Molto affine a quello che hai con la tua vittima, quando senti il cuore che accelera e ne percepisci il terrore. Solo che tu non hai provato il terrore. Anzi, è sembrata maggiormente un'interruzione delle tue paure."

Spike restò un attimo in silenzio. Poi annuì.

"Io non ricordo bene. Ma penso sia esatto. O quasi. Mi ricordo un sacco di sensazioni e visioni non mie. C'era di tutto, episodi che non potevo avere visto e poi, c'era quello…"

"Quello cosa?"

"L'anello. Quel tuo anello con il cuore e le mani…"

"Il Claddagh? Ne sei certo?"

"Eccome. Hai una spiegazione?"

"Assolutamente no."

"Ottimo. Allora andiamo avanti." - replicò rassegnato - "il nostro sangue si mischia di nuovo ed io vengo investito da una valanga di pensieri e ricordi non miei. Uno per tutti, il tuo nome. Non potevo saperlo e, dopo quell'approccio, mi è rimasto in testa."

"Va bene. Dopo, forse non puoi ricordarlo, sei crollato del tutto. Corpo e anima insieme. Soffrivi perché il corpo soffriva e percepivi la tua anima come un incubo e non più come l'unica parte di te ancora esistente."

"E'esatto. Anche per te è stato così?"

Era una domanda molto intima.

Angel fu tentato di chiudersi nel suo naturale silenzio, di non riportare a galla la sua disperazione. Di non fare nulla per…

"No, non è stato del tutto così. Io non sono stato ferito. Ho riavuto l'anima e sono stato abbandonato al mio destino. I sensi di colpa mi hanno schiacciato, non ho fatto altro che vagare e tormentarmi. Spiavo la gente per vedere cosa avevo strappato alle mie vittime il giorno in cui le avevo uccise. Gioie, dolori, colori, profumi. Gli stessi che mi inebriavano e mi facevano sentire potente da vampiro, adesso avevano di nuovo una connotazione umana. Non potevo fare a meno di vedere la bellezza umana nelle sue forme. Non mi sembravano più misere creature da dissanguare, erano pieni di forza e passione, grandi nella loro piccolezza mortale…" -Angel parlava senza porsi un freno - "Io non facevo altro che fissarli. Studiarli giorno e notte, immergendomi nella loro cultura del sovrannaturale e quant'altro ancora. Volevo sapere come ci vedessero, come percepissero ciò che non capivano e ciò che negavano. Poi qualcuno venne a cercarmi…"

Spike sperò con tutto cuore che non si interrompesse, che nulla potesse distrarlo. Voleva capire. Voleva capire come si potesse sopravvivere con un peso tale, con qualcosa che sembrava distruggerlo da dentro.

"Qualcuno venne a cercarmi, mentre vagavo, in America. Avevo vagato, vagato per più di ottant'anni alla ricerca di una comprensione che placasse il mio tormento. Eravamo pressappoco a metà degli anni novanta…Mi disse che potevo chiamarlo Cantastorie." - Angel sorrise, ricordando quegli occhi trasparenti e ridanciani - "E mi fece notare che ero un animale più nobile di un topo di fogna. Cercai di tirargli un pungo e lui mi stese."

"Questa scena avrei voluto vederla."

"Già… non me ne sono fatto ancora una ragione." - all'improvviso gli venne da ridere. Quell' essere serafico che ancora non aveva un ruolo nella sua vita, giunto da chissà dove e per quale motivo, gli era piaciuto sin dal principio.

"Chi era?"

"Era il mio angelo custode. Ma ancora non lo sapevo." - Angel tacque. Forse Spike aveva letto di nuovo nella sua mente. O forse no. Angel non si soffermò molto sul quell'evenienza. Di colpo gli sembrò di rivivere quell'anomala situazione.

E Spike non era certo di poterlo interrompere. E non ebbe tempo per restare indeciso. "Quel tizio, il Cantastorie, risvegliò in me un sano senso dell'io. Di colpo tutto quell'osservare che mi era sembrato basilare, divenne incompleto. Io volevo agire. Volevo muovermi in quel mondo che avevo cercato di distruggere in parte, quando ero soltanto un demone. Il cantastorie mi sorrise e mi tese una mano. Ed io l'accettai. Era il primo contatto da non so quanti anni. Ed era stato un contatto sincero di solidarietà. Non l'ho mai più scordato. Non c'era niente della passione e del possesso che mi avevano dato Darla, Drusilla o gli altri. Non c'era la sfida che provavo con te, oppure la sottomissione…"

Aveva mai sentito sottomissione, nel contatto con lui? - Spike non osò chiederlo.

"No, William. Sei sempre stato un mio pari." Angel si voltò a guardarlo - "ma non diciamo ad Angelus che te l'ho detto."

Spike gli sorrise, poi, rispettoso, gli chiese di andare avanti. Era successo di nuovo. Ma non aveva realmente importanza. Contava la risposta, non il modo in cui l'aveva ottenuta.

"Fatto sta che lo conoscevo da cinque minuti. Mi aveva già insultato, accoppato e aiutato. Mi disse di seguirlo e lo feci. Era una cosa molto biblica e lo sapevamo entrambi. Faceva citazioni e mi parlava di qualunque cosa; riuscivo a seguirlo a stento.

Faceva di tutto per farmi ridere. Ma io non ne avevo poi molta voglia. Ed allora mi sembrava addirittura di non essere più capace. Ma non desisteva. E voleva qualcosa da me."

"Cosa voleva?"

Allora era interessato. Era pericoloso avere un pensiero sarcastico, in quella loro particolare situazione. Ma Angel se lo concesse ugualmente, alzando un sopracciglio nel fissarlo. Spike pendeva dalle sue labbra. Una cosa mai vista.

" Voleva che sorvegliassi la Cacciatrice."

"Che cosa?" - gli occhi di Spike sembravano cadere dalle orbite.

"Si trattava di un caso particolare. Era una liceale. Mi spiegò che era troppo grande, ma che era la prescelta ed il Consiglio l'aveva dovuta accettare. Un Osservatore era già in viaggio dall'Inghilterra, per sostituire il precedente. Si trattava di Giles." - Angel face una pausa e poi riprese - "La ragazza aveva già iniziato a dare qualche grattacapo e presto si sarebbe trasferita sopra la Bocca dell'Inferno a fare il suo dovere."

"E tu dovevi accertarti che lo facesse?"

"Per quello c'era il suo Osservatore. Io dovevo accertarmi che avesse le informazioni giuste al momento giusto e che non l'ammazzassero tanto facilmente. Il fatto che lei avesse degli amici, in un certo senso, dal punto di vista pratico, mi ha risolto parte del lavoro. E mi ha permesso di allontanarmi quando ho deciso di farlo."

"Tu sei il custode di Buffy."

"E' vero. Lo sono ancora, per certi aspetti. Per altri, a quanto pare, sono già il custode di qualcun altro."

"Io non vado custodito."

"Non mi riferivo a te. Ma a Faith."

"E cosa centra Faith!" - un lampo di comprensione gli passò nello sguardo. E Spike boccheggiò - "Tu stai nascondendo la cacciatrice rinnegata?"

Sembrava stupito. Angel lo trovò divertente.

"E' un grosso segreto. Ma penso che saprai tenerlo per te."

Spike era assolutamente senza parole.

"se proprio non hai niente da dire" - lo punzecchiò il suo sire, con un certo compiacimento - "proseguirei…"

"Riprendi da dove hai interrotto. E non mi fregare. Perché accettasti?"

"Perché me ne innamorai. E perché non avevo niente da perdere. Mi veniva offerta l'occasione di riscattarmi. Solo in seguito capii che la Cacciatrice poteva essere in un certo senso superflua nella mia missione. Quando lasciai Sunnydale, dopo l'Ascensione, pensavo semplicemente di aver fallito. Troppe volte Buffy era stata in pericolo per colpa mia. Non si era trattato di difenderla." - Angel guidava tranquillo, indipendentemente dalle pesanti ammissioni che gli uscivano dalle labbra - "L'avevo quasi ammazzata, per salvarmi la vita. Deliberatamente, non avevo saputo controllare il mio demone. Avevamo corso un rischio enorme ed inutile."

Spike gli porse un'altra sigaretta, ma Angel rifiutò con un cenno.

"E così tornai a Los Angeles. Ed il cantastorie venne di nuovo a cercarmi. E mi tormentò, per farmi entrare in testa che non c'era stato fallimento, di andare avanti con la mia missione. E mi disse di piantarla di rimuginare al buio, di cercare di essere costruttivo."

"costruttivo… bel termine…"

"Già. Costruttivo. In duecentocinquanta anni nessuno mi aveva mai detto una cosa del genere. Ma questa volta non provai nemmeno a picchiarlo. Mi stava simpatico. E non mi ci volle molto a capire che, con quell'accento irlandese, si sarebbe permesso di dirmi qualunque cosa gli passasse per la testa."

 

La narrazione era finita. Si erano allontanati parecchio dal problema originale, ma solo ora, di colpo, se ne rendevano conto.

Spike stava zitto ed Angel parlava. Era il capovolgimento delle regole. Tutto stava ad abituarsi.

"Dopo che mi hai accoltellato sono crollato. E poi?" - riprese Spike, come se le loro confidenze stessero chiuse dentro una coppia di parentesi. Come se l'argomento potesse essere ripreso laddove si era interrotto.

Aveva chiaro in testa un singolo e rispettoso concetto. Angel sapeva. E bisognava fare di tutto perché Angel non si sentisse intrappolato dalle sue stesse parole.

"Tu cosa ricordi?

"Ben poco. Nulla. Incubi. Facce…"

"Hai delirato. Parecchio. E quando ti sei svegliato io non ho trovato niente di meglio che cominciare a parlare. Non so nemmeno cosa ho detto." - Angel represse una risata - "Parlavo per darti più informazioni possibili e tu non dicevi nulla. Poi sei ripiombato in una semi-incoscienza. Continuavi ad alzarti e cercare di scappare."

"Sul serio?"

"Oh sì, William. Ad un certo punto ho smesso di contare le costole che mi hai rotto e le volte in cui mi hai lussato una spalla. Sei andato avanti almeno tre giorni. Non mi hai lasciato dormire…"

"Ti aspetti delle scuse?"

"No. Ma volevi sapere…."

"Va' avanti."

Pure il crepitio dell'accendino sembrava seccato. Spike trovava imbarazzante non ricordarsi niente. Ma non poteva fare a meno di volerlo sapere. Anche se l'imbarazzo faceva presto a divenire irritazione.

"Poi è ricominciata la salita. Hai cominciato ad essere lucido per periodi più lunghi."

"E' vero." - annuì - "Non avevo molta voglia di esprimermi, ma mi ricordo. Poi ho ricominciato anche a parlare e siamo arrivati ai nostri giorni."

Concluse frettolosamente. Adesso ricordava bene cosa era successo, la sera che aveva deciso di riprendere la parola.

Preferiva non parlarne.

Non voleva proprio parlarne.

Questo era certo.

Ed Angel fece finta di niente.

"Benissimo." - aggiunse Spike - "Finito il riepilogo, quali sono le conclusioni?"

"Non siamo andati molto lontano. Sappiamo quando è cominciata la telepatia e sappiamo che ci è successo anche quando tu eri incosciente."

"Ah sì?"

"Credo. Io sapevo con una frazione di anticipo quando avrei dovuto bloccarti e rimetterti a letto. E tu smettevi all'istante di agitarti, nel momento stesso in cui ti stringevo."

"Per cui…"

"Per cui comunicavamo senza le parole. Non ti dibattevi. Ti rilassavi e di colpo scivolavi sui miei piedi. All'inizio non ci ho badato molto ma, in effetti, è…strano."

Spike sembrò pensarci un attimo.

"Ma vero. Questo me lo ricordo. Mi ricordo il gran desiderio di scappare dai miei incubi, il senso di non riuscire a svegliarmi. Era una sensazione intensa. Arrivavo sempre ad un passo dal credere che sarei crollato. E poi c'era qualcosa che mi distoglieva. Che riduceva tutto ad un livello controllabile. Era un po' come…"

"Sentirsi protetti?"

"Già." - Ammise Spike - " Sentirsi protetti."

Angel non rispose. Ma il suo profilo era dipinto di un sorriso appena accennato.

"Angel, non mi ci voleva chissà quale rivelazione, per sapere che eri tu. Chiunque stia male si sente protetto da uno che sta bene."

"Lo so. Ma è ugualmente piacevole sentirselo dire."

 

"Pensi sia una cosa temporanea?"

"Credo di sì. Capita soltanto quando abbassiamo la guardia. E tenendo presente che nella vita di tutti i giorni non siamo avvezzi a farlo, le occasioni di comunicare con il pensiero dovrebbero ridursi."

"e perché adesso stiamo abbassando la guardia? Qualche ricorrenza particolare?"

"Non siamo ancora abituati alla reciproca compagnia. Ci vorrà del tempo. E tu non sei ancora in ottima forma. Sei solo un po' più recettivo. Ma tornerai presto ad essere un mulo testardo, William, non ti preoccupare."

"Io non sono un mulo. Sono un tipo con le idee chiare."

"D'accordo Spike."

"Non sono un mulo."

"Ho capito."

"Non devi capirlo. Devi esserne convinto."

"Ne sono convinto."

"Non… Angel" - lo chiamò, cambiando improvvisamente idea - "Come mai Faith è con te?"

"Aveva bisogno di aiuto."

"Mi riferivo al fatto reale, non alla causa metafisica…"

"Faith ha avuto qualche difficoltà a farsi capire. Ha cercato di uccidermi e poi ci siamo trovati."

"E non vi lascerete più? Che cosa romantica."

"Attualmente non mi viene in mente un posto migliore dove mandarla a vivere. L'Hyperion è grande, può andare in giro e se vuole fare due chiacchiere deve solo scendere di un piano. La cosa più difficile è stato convincere Westley a non farle da Osservatore."

L'aveva detto in modo incurante. Ma si aspettava da un momento all'altro che Spike gli facesse fermare la macchina e tornasse a piedi a Sunnydale.

"Ma Whidam-Price non sa farsi gli affari suoi?"

"Allora sapevi che lavorava con me."

"Per un po' ho vissuto con Giles. Di qualcosa dovevamo pur parlare…" - replicò, come se questo spiegasse tutto. - "Poi dovrebbe esserci Cordelia Chase.."

"In effetti è esatto."

"E vivete tutti insieme di amore e d'accordo."

"Ognuno ha il suo spazio."

"Ed il Consiglio sa che hai Faith?"

"Non mi riguarda. Se verranno a reclamarla, dovranno veramente avere delle buone ragioni."

"Non per darti un dolore, ma non stai proteggendo un agnellino. Ha cercato di ammazzarti più di un paio di volte."

"Non ha mai cercato di dissanguarmi per guarire la sua ragazza da una pazzia congenita…" - replicò Angel, asciutto.

Spike lo fissò un istante, con un'infinita ammirazione nello sguardo. Poi scoppiò a ridere.

"Touchè." - replicò - "Pazzesco. Vado a vivere con il mio Sire, una Cacciatrice rinnegata, un Osservatore ed una reginetta di bellezza."

"E potresti anche trovarlo divertente."

Forse, Angel, forse, pensò, sistemandosi più comodo.

E non badò a cosa Angel potesse aver captato. Sorrise e guardò fisso, innanzi a sé, la strada.

 

 

II

Alba su Los Angeles.

Il cielo si arrossava appena, al di sopra delle loro teste. Angel percorreva l'ultimo isolato con calma. Ormai era a casa, non aveva motivo di affannarsi, sarebbe arrivato alla porta prima del sole.

Infilò la discesa dei garages, parcheggiò la macchina e spense il motore. Restò un attimo fermo, poi si girò a fissare Spike.

Quasi gli spiaceva doverlo svegliare. Spike dormiva, con la testa gettata indietro.

Appariva sereno.

Scese dalla macchina, silenziosamente e fece il giro, per aprirgli lo sportello.

Gli posò una mano sulla spalla per scuoterlo appena.

"William, sveglia." - sussurrò.

Spike gli rispose con un mormorio e si mosse.

"Sveglia, siamo arrivati."

Un altro mormorio, poi Spike, con aria pesta e seccata aprì gli occhi. Lo guardò trucido e si sporse per scendere.

Finendogli addosso.

Angel rise sommesso nel sostenerlo. Rise, mentre Spike cercava di riacquistare dignità ed equilibrio puntellandosi con il naso tra i suoi pettorali.

Gli passò un mano sotto il braccio nel sentirsi artigliare una scapola. E lo tirò in piedi. Lo mise dritto e, piegandosi appena sulle ginocchia per fissarlo, chiese:

"Resti in piedi se ti lascio?"

Un grugnito di risposta lo indusse a lasciargli le braccia.

Ed il risultato fu che dovette riprenderlo al volo.

Questa volta lo tenne saldamente per le spalle, fino a quando Spike non articolò un frase di senso compiuto.

"Smetti di ridere, per piacere."

" E tu smetti di finirmi addosso?"

"Ci provo…"

"Ok."

Angel allargò nuovamente le braccia, ma questa volta le gambe non gli cedettero. Rimase ben saldo dove si trovava, con l'aria di sfida che riservava a chi si dimostrava scettico sulle sue potenzialità.

Non era per niente sicuro di restare in piedi. Ma riteneva assolutamente superfluo ammetterlo.

"Non andrai lontano, se ti ostini sulla rabbia."

"L'hai già detto…"

"Non mi sembra però che tu mi abbia sentito."

"Ti ho sentito benissimo. Ma non ho intenzione di continuare a fare la mammoletta." Angel lo guardò un istante, poi gli girò le spalle.

"Fai pure."

Fu il suo unico commento.

Non voleva che Spike lo vedesse preoccupato. La breve parentesi di Sunnydale era finita.

Sia lui che Spike avevano un ruolo, una maschera ed un compito.

Ed entrambi erano abbastanza grandi per decidere.

Ma ad Angel sarebbe piaciuto tirare un eloquente sospiro di rassegnazione.

Alle sue spalle Spike si stava puntellando al tetto della macchina, con l'aria incurante di chi fissa i propri bagagli.

Angel fece alcuni passi verso la porta. Poi, con un ripensamento, fece retromarcia e tornò indietro.

"D'accordo, facciamo come vuoi tu, ma a modo mio." - sussurrò al profilo di Spike - "Dietro quella porta stanno in agguato due ragazze molto poco socievoli nei tuoi confronti. Non penso che tu voglia finire disteso ai loro piedi e poi sommerso dalle loro moine e critiche per una settimana."

Aveva voglia di ringhiargli contro. Ma la testa gli girava troppo.

Ed era arrabbiato. E stufo. Esasperato dal suo corpo che rifiutava di ubbidirgli. Come il suo animo.

I suoi pregiudizi.

Ed i suoi sentimenti.

Ogni singola parte del suo essere lo stava boicottando.

"Cosa consigli di fare?" - replicò seccato.

"Penso di salvare la dignità ad un inglese con la testa dura come un mulo."

"Senti chi parla…"

"Dai, raddrizzati." - lo ammonì blandamente Angel, nel piazzargli una mano sul petto ed una sulla schiena.

Senza trovare resistenza. Spike si lasciò guidare docilmente, allineando le braccia ai fianchi.

Angel gli fece fare un passo indietro, per fare spazio.

"Chiudi gli occhi…"

Era semplice. Ma, di necessità, doveva essere anche una cosa molto breve. Prima che Cordelia spalancasse quella porta per ficcare il becco.

Angel gli parlava in un orecchio e, man mano che guidava i movimenti, Spike si ritrovava saldo sulle sue gambe.

Non stava facendo niente di particolare, eppure…

"D'accordo. Apri gli occhi." - Angel lo lasciò andare e lo vide distendersi piano.

Il problema non era uno dei peggiori. Spike si era mosso troppo in fretta per le sue energie. Ciò che gli mancava era l'equilibrio.

L'equilibrio delle parti.

E la reazione tanto positiva a quell'esercizio spirituale era diretta conseguenza di quel desiderio di sentirsi nuovamente in piena forma.

Spike era disposto ad imparare più di quanto non si fosse reso conto.

"Ascoltami bene." - riprese Angel, rapidamente - "Non arriverai da nessuna parte, se continui a ignorarti in questo modo. No, non voglio discutere, adesso. Ma tu ed io domani dobbiamo parlare. Penso di avere trovato una buona soluzione. E, prima che tu me lo chieda: no, non ho intenzione di tenerti sotto una campana. Cammina, forza."

"Quanto parli per essere uno taciturno." - sbuffò Spike sbattendo la portiera.

Angel si girò e lo precedette. Non c'era pericolo che Spike cadesse. L'orgoglio e quel piccolo trucco l'avrebbero tenuto in piedi quel quanto che bastava. Angel si era messo sulla spalla la sacca, di modo che il ragazzino potesse preparare la sua entrata. Ragazzino…

Per poco non ricominciò a ridere.

Posò la mano sulla maniglia e poi, aprendo, salutò.

"Ciao Cordelia."

Nell'ingresso dell'Hyperion, intenta a fare finta di niente, stava Cordelia Chase. Con un piumino della polvere in mano.

Sdraiata sui gradini della prima rampa, appoggiata sui gomiti e con un ginocchio piegato, provocante, stava Faith.

"Vedi, Cordelia. Te l'avevo detto che non potevi imbrogliarlo." - sorrise Faith, piegando appena il collo.

Cordelia dimenticò di salutare i due vampiri… due… ma certo erano due… come aveva fatto a convincersi che sarebbe tornato solo?

"Lo so benissimo che se ne sarebbe accorto! Ma non mi sembrava un buon motivo per non nasconderlo." - strillò, battendo un piede a terra.

"Ehm, accorto di cosa?" - l'ilarità di Angel stava crescendo. Le due ragazze stavano sciupando l'entrata di Spike…

"Che ti stavamo aspettando qui." - spiegò Faith - "Abbiamo chiamato la strega e ci ha detto che eri partito. Così ci siamo messe a fare finta di niente per non dare importanza al fatto che stavi tornando. Cordelia ha quel piumino in mano da almeno un paio d'ore."

"Già. Come mai ci avete messo così tanto?" - insistette Cordy.

"Non c'era motivo per affannarsi. Non vi stavate occupando di tutto voi?"

"Sì, certo. Non ti immagini nemmeno tutto quello che è successo nei primi giorni. E poi? Poi più nulla. Solo Whidam-Price con il raffreddore." - Faith lasciava intendere quanto fosse stata seccante quella pace - "E' di sopra, a letto e non fa che starnutire."

"Sopravvivrà, Angel, è inutile che accorri. Bhe? Pensate di restare ancora a lungo sulla porta?"

Cordelia non intendeva di certo perdere tempo. Avanzò bellicosa ed afferrò la sacca che Angel teneva ancora sulla spalla. Quanto bastava per sbirciare Spike, appoggiato allo stipite, con le mani in tasca.

Non aveva un bell'aspetto. Ma il suo sguardo era fermo e forte come sempre.

E ironico.

"Angel… la tua abitudine a vivere con le donne non muore mai." - constatò, con un leggero tono di sfida.

Faith lo fissò, con inequivocabile sguardo di disprezzo. Ma non disse nulla. Rimase dov'era, dondolando appena un piede. Angel si spostò dalla traiettoria delle loro occhiate, decidendo di ignorarli entrambi.

"E cosa è successo mentre non c'ero?" - domandò a Cordelia.

"Di tutto. Ma il mondo non è finito. Westley ti racconterà, quando gli tornerà la voce."

"Cosa ha combinato?"

"Ha fatto l'eroe. Tu non c'eri… lui era l'uomo di casa…"

"Capisco." - sospirò rassegnato, nello sfogliare alcune buste posate su un tavolo- "Ragazze, perché non vi sedete?"

Cosa pensava di fare, un proclama?

Spike rimase fermo dov'era. Gli piaceva stare appoggiato così, alla parete. Sapeva di essere molto efficace, anche se il suo fisico, al momento, non era dei migliori. Inoltre poteva fissarli tutti, da quell'angolo, abbracciando la visione dell'Hyperion sino all'ultimo piano.

Cordelia sedette sull'ultimo gradino, spostando con una spinta gli anfibi di Faith.

" Spike starà qui per un poco. Si prende l'appartamento di fronte al mio, al primo piano. Domande?"

"Tutto qui?" - Cordelia non sembrava per niente intimorita dalla brevità del messaggio - "non pensi che meritiamo qualche informazione in più? Sei sparito per una settimana e non dici nulla?"

"Cordelia, mi hai chiamato quasi tutte le sere…"

"Ma tu non mi hai detto nulla!"

"Nemmeno tu mi hai raccontato cosa stavate facendo."

"Era tutto sotto controllo!"

"Anche a Sunnydale era tutto sotto controllo." - concluse Angel - "Faith?"

"La sua anima è permanente o dovrò impalettarlo quando meno me lo aspetto?" - parlava di Spike come se non fosse presente.

"La mia opinione è che sia permanente. Anche se non so ancora da dove e come sia tornata."

Faith fece un cenno d'assenso. Per lei era abbastanza.

"Me ne vado a dormire." - commentò alzandosi - "Benvenuto."

Cordelia rimase contraddetta. Guardò le spalle di Faith che si incamminavano in direzione mansarda. Poi fissò Angel e Spike.

"Un bacio di benvenuto?" - la punzecchiò Spike.

Cordy lo fissò, con gli occhi sottili come due fessure. Poi si alzò spolverandosi la gonna con la mano.

"Buonanotte, Spike."

Angel gli lanciò un'occhiata eloquente.

"Che c'è? Stavo solo socializzando…" - replicò il colpevole, innocente.

L'appartamento di Angel, a sinistra della scala, era costituito da un grande salone semicircolare su cui si affacciavano le sue stanze, la camera da letto e lo studio.

Appartamento di Spike risultava essere speculare per posizione, ma i locali apparivano più squadrati e con una suddivisione più omogenea. Sopra la testa di entrambi si stendeva la vasta biblioteca di Westley e le sue stanze.

Cordelia dormiva sotto i suoi piedi, nell'ala est dell'albergo, al piano terra. Era una specie di isola felice a cui nessuno poteva accedere.

Spike si mosse a lungo, da una parete all'altra. Aveva una gran voglia di spostare mobili per scaricare la tensione. Buttare la sua roba in giro e creare una amena confusione. E con il baccano tirarli tutti giù dai loro letti.

Gli andava di essere criticato e disapprovato. Aveva voglia di sentirsi tanto cattivo.

Ed era stufo di quel martellare sordo delle sue tempie. Avrebbe voluto non sognare…

E fu l'ultimo pensiero coerente prima di piombare in un sonno profondo.

Rumore di passi. Angel non riusciva a dormire. Seduto in poltrona si godeva la casa, immersa nel silenzio del primo mattino. I suoni della città giungevano attutiti e lontani, attraverso le spesse pareti dell'albergo.

Rumore di passi sul pianerottolo.

Chiunque fosse, stava venendo in quella direzione.

Attese.

Sentì i passi fermarsi davanti alla sua porta. Poi più nulla.

Si allontanavano.

Chi era?

Non era Spike.

Ed una volta escluso Spike…

Angel si alzò e dischiuse l'uscio.

Poteva vedere un flebile filo di luce filtrare al di sopra della sua testa.

Salì le scale, evitando accuratamente le macchie luminose di sole che si riflettevano sui gradini di marmo.

Superò la porta di Westley e proseguì verso la mansarda.

Bussò rispettoso ed entrò. Non aspettò nemmeno di sentirsi invitare.

"Ciao." - disse incurante - "Non riuscivo a dormire. Ti vanno quattro chiacchiere?"

Faith indossava una sua maglietta. Era lunga, le arrivava fino a metà coscia, facendola sembrava piccola e minuta. Sedeva su un tavolo, nell'alcova della finestra e sbirciava fuori dalle tende.

Le stringeva con una mano, per evitare che i raggi filtrassero ancora.

Angel afferrò una sedia a lato della porta e si sedette al tavolo, posandoci i gomiti.

Ad un palmo dalle sue mani, stavano i piedi nudi di Faith.

"Tatuaggio?" - mormorò posando un dito su un complicato simbolo tribale disegnato sopra il malleolo.

"Ti piace?"

Faith si girò a guardarlo, speranzosa.

Ed Angel vide qualcos'altro.

Allungò la mano e l'afferrò per il mento.

"Ma tu guarda che roba…"

Sussurrò, costringendola a girarsi di profilo.

La guancia nascosta dai capelli era ancora tumefatta. C'erano due tagli, sullo zigomo. E l'irrecuperabile labbro spaccato. Una costante, sulla faccia di Faith.

"Come ti è successo?"

"Come al solito. Ero di ronda e sono caduta male."

"Costole?"

"Una sola. Ma non la sento quasi."

"Punti?"

"Solo tre. Qui." - rispose Faith, tirando su la manica per mostrare la spalla.

Tre, certo. Se non si contava l'estensione del livido ed i punti in cui la pelle non c'era proprio più.

Angel la guardò comprensivo. Poteva immaginare che sotto quella maglietta enorme ci fosse ben più di qualche escoriazione. Ma non disse niente.

"Dovrò proprio farmi raccontare da Cordelia cosa è successo." - sospirò.

Faith abbozzò un sorriso.

"Sarà uno sballo, credimi."

"Non ne dubito."

Faith appariva molto diversa, in quei momenti. Sommessa, senza difese.

Lei ed Angel dormivano poco e pensavano molto. Non avevano impiegato molto ad incontrarsi così, nel loro vagabondare insonne. All'inizio si erano limitati ad un cenno di riconoscimento. Poi avevano riunito le loro riflessioni.

Faith sembrava trarne un vantaggio. La sua naturale diffidenza veniva meno, durante quelle loro chiacchierate. Sbocciava, rivelandosi sensibile quanto sottile nelle sue considerazioni.

Faith, agli occhi di Angel, era una bambina trascurata. Una bambina bisognosa d'affetto, da sempre sgridata per i danni che faceva, mai protetta dal male che poteva farsi.

Faith era la perfetta realizzazione del suo animo protettivo. Faith era la vittima della sua sindrome da fratello maggiore.

"Che mi dici di Spike?" - Faith azzardò la domanda.

"E' un osso duro. E sta passando un brutto periodo."

"Sì,ma tu che c'entri. Da quanto mi avevi detto, aveva buoni rapporti con la Cacciatrice, per la storia del chip."

"Sì. Ma, nella vita di Buffy, un vampiro con l'anima è già abbastanza."

Faith rise, di quel prendersi in giro.

"Vedi, Faith." - spiegò, tornando serio - "Quando un vampiro sceglie un mortale e decide di trasformarlo, reagisce alla solitudine. Crea un legame di sangue, crea una famiglia. Una specie di famiglia. Si tratta di persone unite tra loro in modo molto intenso."

"Per questo non puoi uccidere Darla?"

"Già. Io l'ho già uccisa una volta, in questa vita. E non è stata una cosa piacevole." - non sembrava sorpreso da quella domanda - " Speravo di riuscire a salvarla, in questa occasione. Ed anche Drusilla ha agito con questo pensiero. Solo che per me la salvezza era nel farla restare umana, per Drusilla si trattava di vampirizzarla di nuovo."

Faith fece un cenno d'assenso. Non era difficile capire. Forse non poteva immaginare la profondità di quel legame, ma capiva.

"Quando la mia strada si è staccata da quella della mia famiglia, ho cercato di farmi una ragione del fatto che tra noi non ci fosse più nulla. Solo che non è così, e non ci posso far niente."

"Quindi, tu e Spike, siete una famiglia."

"Non del tutto. Ma William dice di sì."

"William?"

"William. Spike. È il suo nome."

"Non lo sapevo."

"Continua a non saperlo. Avere il permesso di chiamarlo William è molto difficile…" - Angel piegò la testa quanto bastava da appoggiare la guancia alla mano - "Sui libri è ancora segnato con questo nome. William il Sanguinario. Ma nessuno lo chiama mai così."

"Solo tu."

"Io posso."

"Chiaro. È così perché è così."

"Esatto. Ti eviterai delle discussioni."

"Non ha un gran aspetto."

"Lo so. E, quel che è peggio, è che lo sa anche lui. Ha perso troppo sangue quando lo hanno torturato. E l'anima gli pesa come un macigno."

"A vederlo non si direbbe." - Faith abbassò lo sguardo. In fondo, con un po' di spirito di autocritica, si rendeva perfettamente conto che, anche nel suo caso, molte cose non si vedevano a primo sguardo.

"Faith. Il mio legame con te è altrettanto forte." - sussurrò Angel, protraendosi a carezzarle la guancia martoriata - "Conosco Spike da molti anni ed ho intenzione di dedicargli parecchio tempo nei prossimi giorni. È importante. ma questo non limiterà mai la mia attenzione. Io ci sarò finchè tu lo vorrai."

Avrebbe voluto piangere. Angel aveva dato forma alle sue paure. Le aveva rese parole semplici e rassicuranti. Si costrinse a deglutire, ricacciare indietro le lacrime. "Lo so. Ma… grazie. Volevo sentirmelo dire."

"Non c'è di che. E non sei nemmeno obbligata ad andarci d'accordo."

"Già. Non credo sia una cosa facile. Ma mi impegnerò comunque."

"Ti impegnerai più di lui. Di questo sono certo."

"È davvero così testardo?"

"Faith, è un inglese. Tu conosci qualche inglese?"

Faith si fermò a pensare, poi, all'unisono sospirarono:

"Westley."

"E Giles. Non dimenticare Giles. Noi irlandesi sappiamo essere dei gran muli ma gli inglesi ci battono in oratoria. E petulanza, oserei dire." - scherzò Angel - "Spike non è da meno. Il tutto dosato con una certa sicurezza personale di stampo americano."

 

"Mi piacerebbe lottarci."

Faith non sapeva resistere a quella tentazione. Era una rinnegata, ma una Cacciatrice fino all'ultima cellula. E Spike era l'uccisore di due Cacciatrici. Una leggenda.

"Ne avrai l'occasione. Ma ti consiglio di non farlo adesso. Rimarresti delusa e lui diventerebbe furioso."

"Il che è una cosa da evitare."

"Fai mai qualcosa per rabbia, Faith? Spike al momento vive per rabbia. Non ha concentrazione e non ha resistenza."

"E non sarebbe contento, se sapesse cosa mi stai raccontando."

"Evitalo per un po', Faith. Non dargli occasione di venire con te di ronda. E se proprio non reggi alla provocazione, stendilo in fretta e senza troppi artifici."

"E questo non lo renderebbe furioso?"

"Certo. Ma anche sorpreso. Se tu gli mostri la tua bravura, per lui sarà irresistibile il desiderio di misurarsi. Inoltre, c'è la questione del chip. Per quel che mi riguarda, è disattivo. E da parecchio."

"Cosa te lo fa pensare?"

"Il suo demone. Ci siamo trovati parecchio vicini alla perdita del controllo, negli ultimi tempi. L'anima lo tormenta ma, se incosciente, il suo demone non conosce restrizioni, nel prendere il sopravvento."

"Vuoi dire che in questi mesi ha finto?"

"Può darsi." - Angel tacque. Si stava avventurando nel territorio delle confidenze. Con che diritto poteva parlare della vita di Spike? Non sapeva nulla di profondo sui mesi passati. Pettegolezzi, notizie…

Ma Spike non aveva detto nulla a riguardo.

Riguardo a Buffy.

Harmony.

Drusilla.

E non sembrava aver badato molto al chip, da quando si era ripreso.

"Ogni cosa a suo tempo." - concluse, alzando lo sguardo - "Spike è debole. Se combatte con te e, per qualche causa imprecisata, il suo demone si risveglia, non ha molte probabilità di riuscire a controllarlo. Non voglio che vi facciate del male giocando."

"Giocando?"

"Perdonami. Mentre vi mettete alla prova." - corresse, sarcastico.

"Così va meglio."

"Angel…"

"Dimmi, Faith."

"No, niente. Niente di importante." - Faith giocherellava con l'orlo della maglietta, pensierosa - "C'è qualcosa che posso fare, oltre a non rompergli nemmeno un osso?"

"Al momento, no. Ti assicuro, avrò già io le mie difficoltà a farmi ascoltare."

"Si fida di te?"

"Nel limite dell'accettabile." - rise Angel - "E' un vampiro, la fiducia non è tra le sue caratteristiche predominanti. Deve smantellare parte della sua esistenza, mentre si ostina a tutti i costi a non cambiarne neanche una virgola. Io sono uno che nella sua vita va e viene. Una volta sono un alleato ed una volta sono un nemico. Gli creo qualche confusione."

"Per me è più semplice." - proseguì - "Rispondere ad una chiamata di Giles era per me una cosa giusta. Aiutarlo a superare il trauma iniziale era di nuovo una cosa giusta. E perché no, in fondo, Spike mi mancava. Mi è mancato in tutti questi anni."

"Invece per lui..."

"Per lui io sono quel grandissimo stronzo di Angelus, il suo sire prepotente che lo pestava ogni volta che voleva avere ragione. E poi sono Angel, il vampiro rammollito che si innamora delle Cacciatrici e fa sventolare il mantello nella notte in difesa dei deboli e degli innocenti." - lo sguardo di Angel si stava adombrando, nell'avanzare dei ricordi - " Io non posso dirgli che avrei voluto salvare tutti loro, quando ho riavuto l'anima. Non posso spiegargli l'impossibilità. Per loro era una questione di onore e disprezzo. Per me si trattava di impotenza. Non potevo cambiare le cose."

"Ma adesso le cose sono cambiate da sole."

"E' vero. Adesso posso provare a spiegargli quello che ho capito in questi anni."

"E non hai dubbi sul fatto che capirà."

"Non devo cambiarlo. Devo solo fargli levare la maschera. Da quel punto di vista, siete tali e quali."

"Siamo come?" - il cuore di Faith batteva irregolare, Angel poteva sentirlo chiaramente. Batteva per la paura di sentirsi svelata, ancora una volta.

"Colpevoli sulla strada della redenzione?"

"No. Fragili, sotto una corazza spessa. Profondi e sensibili, intrappolati in un meccanismo che non riuscite a controllare. Incompresi. Desiderate solo aggrapparvi a qualcuno, qualcuno che, prima o poi, vi fraintende e vi delude. Negate la vostra necessità di essere capiti, per non soffrire ancora." - Angel avrebbe voluto fermarsi, ma non riusciva - "Temete di essere un peso e non potete accettare di essere veramente amati da qualcuno. E non vi date mai per vinti, nemmeno quando dovreste."

"Accidenti." - sussurrò Faith. Cercando disperatamente di nascondersi - "Tutto questo?"

"E più ancora. Non dovresti sottovalutarti." - poi aggiunse, scherzando - "E non dovresti sottovalutare il mio spirito di osservazione."

Faith aveva degli occhi enormi e luminosi. Le labbra le tremavano nel tendersi in un sorriso.

"E Spike sa che vai in giro a parlare così bene di lui?"

"Ma certo che no. Renderebbe tutto troppo complicato."

 

 

III

Un giorno. Era passato.

Un'altra notte era in arrivo.

Westley diede un altro colpo di tosse e cercò di sistemarsi meglio, nella sua poltrona, spostando ammassi di fazzoletti di carta dal pregiato ripiano della sua scrivania.

Si sentiva gonfio e pesto. Il naso continuava desolatamente a colare, in barba a tutti i medicinali che Cordelia gli aveva fatto ingurgitare.

Uno starnuto.

Uno starnuto.

Ed un altro ancora.

"Salute." - disse una voce alle sue spalle.

Westley bofonchiò un ringraziamento, prima di saltare in piedi, afferrando la prima croce che gli era capitata sotto mano. Inciampò e finì per terra.

Dove lo colse un altro starnuto, seguito dal più grande accesso di tosse mai immaginato.

Davanti a lui, con una faccia da paletto nel cuore, stava Spike. E dietro di lui, con le immancabili mani in tasca, Angel. Con una classica espressione di divertimento sul viso.

Westley spostò lo sguardo da uno all'altro, restando sdraiato sul tappeto. Inebetito.

Angel avanzò e gli tese una mano.

"Ciao Westley." - lo salutò, mettendolo in piedi. E finendo investito in una valanga di starnuti.

"Sgusa." - disse, tirando su con il naso.

"Ti scuso." - replicò Angel, rassegnato e divertito allo stesso tempo - "Westley, non so se conosci…"

Partire con il piede giusto sembrava un'ottima idea. Westley amava le buone maniere.

"Sì. Già avuto questo piacere." - disse, tendendo la mano.

Spike ebbe un attimo di esitazione. Era la prima volta che un Osservatore si mostrava così amichevole. Giles, per quanto un ospite perfetto, aveva sfrondato rapidamente tutti questi rituali, per incatenarlo alla vasca del bagno.

Non proprio un trattamento da Grand Hotel.

Westley non aveva per niente l'aspetto dell'Osservatore vigile e perspicace. Soprattutto adesso, con gli occhi pesti ed il naso spelato.

"Ci siamo già incontrati." - replicò Spike, facendo posto a Cordelia che avanzava dietro il peso di un enorme vassoio.

Sul vassoio, in bilico precario, stavano due tazzoni di the ed un paio di bicchieri pieni di…

Pieni di sangue.

Questa era una vera sorpresa.

Spike abbassò lo sguardo, giusto in tempo per ritrovarsene uno in mano. Cordelia, con un'abilità da funambolo distribuiva bevande ai presenti.

"Wes, l'aspirina. E copriti. E siediti."

"Bene." -Wes tornò alla sua scrivania, inforcando gli occhiali - "Bene…Spike, a quanto pare…"

"A quanto pare…" - ripeté Spike posando il bicchiere e incrociando le braccia. Non aveva molta intenzione di essere loquace sulla nuova condizione che si era creata. Angel, dal canto suo, stava seduto in poltrona; Cordy, terminate le sue incombenze da padrona di casa, si era seduta sul bracciolo e, parlando confidenzialmente sottovoce, gli mostrava alcuni incartamenti.

"Già…" - Wes annuì, comprensivo - "E c'è… qualcosa…che posso fare? Qualcosa che vuoi chiedermi? Sto facendo qualche ricerca, ho parlato con Giles…"

Angel alzò lo sguardo, per non perdersi la scena. Westley era partito per la sua strada, continuava a parlare, facendo di Spike un esperimento scientifico.

Spike, ascoltandolo, senza muoversi e senza sedersi, stava sorridendo. Un sorriso che gli metteva in vista tutti i denti.

"Westley!" - tuonò Cordelia - "lui ha solo un'anima. E se tu vuoi saperne qualcosa, chiedi ad Angel! Tu ci vivi, con l'unico caso che stai ricercando! E poi, si da' il caso che niente gli impedisca di morderti, se te lo meriti."

Cordelia Chase, in tutto il suo splendore, stava piantata davanti alla scrivania, con le mani sui fianchi.

Westley la fissò, lasciando che gli occhi divenissero sempre più tondi.

"Ma, il chip…"

"Ah, è così? il chip ti permette di fare il saccente? Guarda che se non la pianti, chip o no, ti morsico io personalmente."

Spike era tutta ammirazione. Superata la sorpresa di essere così difeso, la guardava con aperto interesse.

L'interesse che si ha per un matto da legare.

Cordelia lo difendeva… chissà cosa le passava per la testa.

Angel, dal suo angolo, si godeva la scena in perfetto silenzio. Trattavano Spike come se fosse assolutamente normale che se ne stesse tranquillo e con tanto di anima tra di loro.

Era la dimostrazione di come poco badassero alle regole in quell'albergo. Tutti assieme, demoni, rinnegate e vampiri.

La verità forse stava in quel denominatore comune che tutti loro si portavano dietro: un passato da dimenticare. Dolori, sbagli e violenza. Si buttavano tutto alle spalle, o almeno ci provavano; convivevano con le loro paure e tentavano di sentirsi meno soli, nella vita di tutti i giorni, condotta ai margini del reale.

Erano assolutamente incapaci di condannare. Perché ognuno di loro aveva avuto una seconda occasione.

Finita la sfuriata, Cordelia si rivolse a Spike.

"E tu, levati quel sorrisetto dal muso. Se Westley ha deciso di aiutarti lo ha fatto solo perché è un tipo gentile."

Una risata.

E tutti si girarono a fissarlo.

"Scusate, scusate." - disse Angel, coprendosi la bocca con la mano. Un colpo di tosse per ricomporsi - "Cordelia, stavi dicendo…"

L'occhiata di Spike grondava sarcasmo senza fine. Afferrò il suo bicchiere e si sedette nell'altra poltrona.

Aveva l'espressione seccata, piena di sentimenti contrastanti.

"Allora, Whidam-Price, spara. Che vuoi sapere." - sbuffò.

L'occhiata che lanciò ad Angel era eloquente.

Si stava comportando bene. Non attaccava briga e si dimostrava disponibile. Ci mancava solo che lo facessero lavorare all'uncinetto…

Westley si alzò e si risedette sul tavolino di fronte a Spike. Cordelia lo seguiva, con un pacco di fazzoletti di carta e la tazza di the.

"Spike, io voglio capire. Sarà anche un difetto, ma voglio capire. Vuoi provare con l'ipnosi? Potrebbe aiutarti a ricordare."

"No."

Come osava? Angel aveva risposto per lui. Questa sì che era una vera sorpresa.

Westley si girò e lo guardò, interrogativamente.

"Non penso che sia il caso, al momento. È una buona soluzione, ma non adesso."

"Già, ho un vero casino, in testa." - ringhiò Spike, nella sua direzione.

Eppure non voleva lasciarsi ipnotizzare, avrebbe detto di no, gli fosse stato dato il tempo.

Un'altra cosa da mettere in chiaro.

"Westley, su una cosa hai ragione." - proseguì Angel - "Sei un buon ricercatore. Andiamo per approssimazione, stila un elenco, tutte le possibilità documentate. Qualunque essere, reale o metafisico che possa restituire un'anima. Per il momento basterà."

Certo. Era una buona idea.

Ma Westley non demordeva.

"D'accordo, mi pare giusto. C'è qualche altra cosa che devo cercare. Ci sono stati problemi, reazioni inaspettate, qualcosa…"

La telepatia. Spike non fece in tempo a pensarlo che Angel aprì bocca.

"No. Assolutamente." - mentì Angel.

 

"Perché non gli hai detto dell'effetto collaterale?" - Spike entrò, chiudendosi la porta alle spalle. Angel stava in piedi alla finestra.

Era appena rientrato.

Dove fosse stato era mistero. Spike gli aveva urlato di comprargli sigarette, tornando a casa, e non gli era nemmeno passato per la testa di seguirlo.

Aveva preferito restare a farsi i fatti suoi, frugando negli scatoloni che si era ritrovato a lato della porta.

Nessuno aveva disturbando quel sonno che sembrava senza sogni. E Spike non aveva voglia di ricordare gli incubi dei ricordi che lo avevano assillato.

Gli era successo di nuovo. Sentire paura ,dolore e disperazione e non riuscire a svegliarsi.

Ma non aveva fatto nulla di strano, il che andava bene, per salvare la reputazione.

Aveva portato i suoi scatoloni fino al centro della stanza. Poi, inginocchiato davanti a quell'ammasso di cianfrusaglie, aveva cercato di mettere ordine nella sua vita.

Più ci provava più saliva il malumore.

Angel, con la sua discreta presenza, sembrava schiacciarlo e separarlo dal resto del mondo. Spike si ribellava con tutto il suo animo, tanto quanto finiva con il sentirsi sperso, non appena doveva arrangiarsi per gli affari suoi.

Un primo motivo per essere furiosi.

Spike non era mai dipeso da nessuno.

Anzi, la sua abitudine era occuparsi degli altri.

No, non nel senso umanitario. Ma la compagna della sua vita, Dru, aveva finito con il dipendere in tutto e per tutto da lui.

La lista, dopo Drusilla, si assottigliava tristemente. E si riduceva a Spike.

Spike dedito ad occuparsi di Spike.

E nessuno dedito ad impicciarsi degli affari di Spike.

Spike mangia e dorme e pensa quando Spike vuole.

Semplice. Come un serpente che si avvolge su se stesso e non va da nessuna parte.

 

"Allora!Perché non gli hai detto dell'effetto collaterale?" - insistette, arrivandogli a fianco.

"Volevi veramente che lo sapesse?"

Ma certo che no. Ma poteva essere un buon sistema per liberarsi di quel problema. Almeno di quello.

"Westley ne avrebbe fatto un caso. E la sua ricerca spesso implica la sperimentazione."

"E questo riporta al tuo impicciarsi perché non mi ipnotizzasse?"

"Volevi essere ipnotizzato?"

Ma certo che no. Da qualche tempo tutti vogliono entrare nella mia testa. Scienziati, vampiri e osservatori. Mai detto che mi piacesse.

"Ma non è questo il punto!" - Spike stava rapidamente perdendo le staffe - "Non mi importa se avrei risposto come te. Mi importava di rispondere. Ma tu no, l'eroe senza macchia e senza paura deve sempre impicciarsi dei fatti non suoi. Bhe, sai cosa ti dico, Angelus…"

Si bloccò. E vide Angel irrigidirsi. Fece un passo indietro, annichilito da ciò che avrebbe potuto dire e le tenebre lo avvolsero.

 

Non riusciva neanche ad alzare un braccio. Non sentiva male… non aveva proprio forza.

Non sentiva nulla, come se lo avessero anestetizzato.

Aprì gli occhi e la stanza gli sembrò piena di nebbia e macchie colorate. Sentiva voci sommesse.

Poi il rumore di una porta che veniva chiusa.

Spike armeggiò per mettersi seduto, sperando di tutto cuore che la stanza smettesse di girare.

Imprecò, nell'aggrapparsi ai cuscini. Non si sentiva così male dalla volta in cui Buffy gli aveva fatto cadere sulla testa tutti il coro ligneo della cappella di Sunnydale.

"Tieni."

Spike mise a fuoco un bicchiere, a pochi centimetri da suo naso. Lo prese e sperò che il tremito non fosse tale da rovesciarlo. Aveva fame.

Una fame da non crederci.

"La prossima volta che stai casa a trafficare con i tuoi giocattoli, ricordati di mangiare." - puntualizzò Angel, sedendosi sul bracciolo del divano. Si era tolto la giacca ed il suo maglione scuro a collo alto era una vasta macchia scura agli occhi di Spike.

Spike aprì bocca, pronto ad una battuta pungente. Poi si fermò. Qualcosa nella mente gli diceva che aveva già fatto uno sbaglio in quella conversazione interrotta. Ed uno sbaglio bello grosso.

"Angel…" - il solo pronunciare il nome gli accese una lampadina in testa.

Rimase a fissare l'interno del bicchiere, in assoluto silenzio. Non aveva fatto uno sbaglio. Aveva detto una cattiveria.

Un'enorme cattiveria.

"Scusami." - disse, passando una mano sugli occhi e sperando, una volta per tutte, di ricominciare a vederci bene - "Sono un emerito stronzo."

"Lo sei. Ma non importa." - Angel bevve un sorso dal suo bicchiere, lasciandolo magnanimamente in preda al rimorso - "Spero solo che tu non volessi veramente dirlo."

"No, mi è sfuggito." - Spike continuava a massaggiarsi la testa, come gli dovesse esplodere da un momento all'altro - "Non so come sia successo. Ero arrabbiato."

"Ed hai perso il controllo."

"E poi cos'è successo? Non penso che tu mi abbia steso…"

"Non ne ce ne è stato bisogno. Ti sei steso da solo. Sei andato giù come un sacco."

"Privandoti del piacere di tirarmi un pugno."

"Non posso picchiarti,Spike. In questo momento basta guardarti storto e sei già a terra."

L'orgoglio di Spike stava iniziando a prendere il sopravvento sulla contrizione.

"Non mi sembra il caso di esagerare. Non sono poi così mal messo."

"Ah."

Adesso lo vedeva. Angel sorrideva appena, vagamente divertito dalla più grossa sciocchezza che avesse sentito negli ultimi tempi. Ma nei suoi occhi brillava qualcosa di antico, una lucina che ben diceva quanto fosse lontana la sua mente, dalle loro parole e dai loro battibecchi.

Angel stava cercando se stesso. Riportava a galla vecchi atteggiamenti, cercava cosa avesse potuti indurre Spike a chiamarlo in quel modo, ad apostrofarlo con la rabbia dei tempi in cui ogni discussione finiva con una coltellata.

Era un gioco pericoloso.

Era la risultante non calcolata.

Uno Spike pieno di rancore, mal represso e contro se stesso. Ed Angel, incapace a non ricadere in atteggiamenti persi. Non poteva negarlo. Se non fosse svenuto gli avrebbe volentieri tirato un pugno. E sarebbe stato veramente come essere di nuovo Angelus impegnato con la sua famiglia.

Bisognava fermarsi, prima che la situazione degenerasse. Si erano già spinti troppo oltre.

"William." - Angel avanzò nel discorso dosando bene le parole - "Io non ho problemi a controllarmi. Ho anni di esercizio alle spalle. Ma tu non mi devi provocare. Io non sono Angelus. Faccio di tutto per non esserlo. Quello che è passato non si può cancellare. Ma non si deve nemmeno rivivere in continuazione."

Spike lo ascoltava in silenzio.

"Dobbiamo imparare a fidarci uno dell'altro. Io dovrò perdere l'abitudine a calcolarmi tuo superiore. Mi ci vorrà tempo." - proseguì - "E tu dovrai accantonare il rancore per questa nuova situazione. Perché non troverai nessuno disposto a rimettere le cose a posto come vorresti tu. Hai un'anima, dovrai tenertela."

Non c'era possibilità di replicare.

Nessuno gli avrebbe tolto l'anima ritenendola la cosa migliore da farsi. Nessuno avrebbe mai barattato lo Spike nuovo con quello vecchio. Spike poteva sgolarsi e rimpiangersi in eterno.

Ma la sua vita era perduta.

"Perché non provo il rimorso che hai provato tu? Non riesco veramente a concentrarmi sulla mia malvagità e vederla come una cosa cattiva. Non riesco a non rimpiangere la mia esistenza da vampiro."

"Sei ancora un vampiro. E penso che il chip ed il suo funzionamento abbiano attutito l'effetto traumatico che poteva avere su di te l'anima. Non è stato un cambiamento repentino, ma un passaggio graduale." - spiegò Angel pazientemente - " Credi sia possibile che abbia ragione?"

"Non ci avevo pensato." - ammise Spike, posando il bicchiere sulla fronte. Il vetro, liscio e solido sembrava dargli un certo conforto.

Le sue percezioni sembravano anestetizzate. Vedeva appena, tutto gli sembrava vagamente bidimensionale. Mai, nemmeno con una sbornia, era stato tanto prossimo all'inefficienza.

Non era la mente che non andava.

Era il suo corpo.

La mente non seguiva un filo logico, non sapeva da quanto avesse smesso di parlare. Era come se ogni sua impressione sbagliata galleggiasse in uno spasmo muscolare.

Angel si alzò e si sedette sul tavolino, di fronte a Spike. Ma il vampiro gli diede l'impressione di non esserne accorto.

Immobile, con gli occhi chiusi ed il bicchiere appoggiato sulla tempia.

Angel fissò un attimo l'espressione addolorata che gli scolpiva i lineamenti poi, con un gesto umano, gli posò una mano sulla fronte.

Un gesto spontaneo, di preoccupazione. Come se Spike potesse avere una brutta influenza, un raffreddore… qualcosa di semplice e lineare come una malattia da curarsi con l'aspirina.

Gli posò una mano sulla fronte, aspettandosi di sentirla scottare. Ma era una fonte fredda e imperlata di sudore. Spike stava peggio di quanto pensasse.

Quel contatto sembrò distrarlo dai suoi pensieri. Aprì gli occhi e lo fissò dritto in faccia.

Gli occhi di Spike erano una potenza. Erano la sua arma migliore. Se in combattimento ti distraevi a cercare di coglierne la complessità, eri morto.

Morto.

Come le due Cacciatrici.

E l'anima non aveva fatto altro che aggiungere un'altra sfumatura a quell'azzurro.

 

"Angel, mi sento malissimo."

"Lo so." - Angel sapeva di aver dato una risposta scontata. Ma era la pura e semplice verità: la percepiva in modo netto, al di là del contatto - "William. Stai crollando."

"Cosa?"

"Ti ricordi cosa ti ho detto ieri? Con la rabbia non andrai da nessuna parte. Andiamo, l'anima ti concede altre risorse a cui ricorrere. Non hai bisogno di farti violenza in questo modo. L'unico risultato che puoi ottenere è questo."

Si alzò e gli tese una mano.

"Mettiti in piedi." - gli disse, sfilandogli il bicchiere vuoto di mano.

"E' un parola…"

"Appunto. Le parole non ti entrano in testa. Passiamo ai fatti."

 

Angel fece il giro del divano e si chinò ad arrotolare il tappeto. Spike stava miracolosamente in piedi, puntellato allo schienale del divano. Angel gli aveva fatto sfilare il maglione e, a torso nudo, non si sentiva perfettamente a suo agio.

Tutti lo ripetevano di continuo, ma non ne era mai stato consapevole come adesso: troppo magro.

Troppo magro.

Non ci voleva il proprio riflesso in uno specchio per accorgersene. Spike fissò con sguardo desolato i suoi pettorali e scosse la testa.

"Non sono più il vampiro di una volta…"

"Questo già lo sapevamo…"

"Non fare spirito… guardami! Sono da sanatorio."

"Non credo che si chiamino più così da almeno un secolo."

"Intanto sembro un chiodo. Di nome e di fatto."

Almeno non aveva perso la sua vena di sarcasmo.

"Ti riprenderai…"

"Potrei fare a pugni con la tua Cacciatrice!" - Spike si accese di speranza. Quanto gli sarebbe piaciuto sentire i muscoli tendersi nella lotta, se avesse avuto la certezza di restare in piedi.

"Puoi provarci. Ma importunare Faith non mi sembra una buona idea." - replicò Angel neutro.

Spike lo squadrò ed un'idea gli si affacciò nella mente.

"Tu hai detto a Faith di non combattere con me? Le hai detto che non sono in forma e non sarebbe carino stendermi al tappeto!"

Angel alzò la testa, sorpreso. Qui la telepatia non c'entrava nulla. Questa era la capacità di Spike di capire troppe cose. Uno scherzo del destino che ancora lo prendeva di sprovvista. L'antagonista in amore lo conosceva come il migliore degli amici…

"Angel, rispondimi o non ci sarà debolezza che mi impedirà di tirarti un pugno."

"Spike…"

"Ti stai inventando una scusa."

"Ma se non ho nemmeno parlato."

"Stavi per cacciarmi una balla!"

"William!" - esclamò Angel esasperato - "Faith ha promesso di non impalettarti giusto perché potrebbe dispiacermi. Ma se vai a provocarla, mi toccherà raccoglierti con l'aspirapolvere!"

Era una scusa. Spike socchiuse gli occhi e lo fissò truce.

Conversazione terminata.

"Angel." - Spike scandiva bene le parole - "io non diventerò un asceta, un bibliotecario o qualsiasi altra forma di soprammobile. Non ho intenzione di rinunciare alle mie pessime abitudini e gradirei che tu la piantassi di farmi da balia."

"Non ti ho mai detto di dedicarti alla contemplazione. Ma vedi, almeno qui a casa, vorrei evitare di fare il paladino che salva gli innocenti." - Angel finì di sfilarsi il maglione - "Cammina, centro stanza."

"E adesso che vuoi fare?" - domandò, camminando a piedi nudi sul pavimento di legno.

"Meditazione."

Spike si fermò di botto, con un movimento tanto barcollante che Angel protese le mani per tenerlo in piedi.

Mani che poi ritrasse quando Spike non solo riacquistò il suo equilibrio di colpo, ma si girò come una belva, mandando lampi dagli occhi.

"Hai appena detto che non mi avresti imposto la contemplazione!"

"Ho parlato di meditare, non di contemplare."

"Sai che differenza!"

"William." - la pazienza di Angel sembrava infinita - "Adesso ti mostro una cosa."

Detto questo gli appoggiò una mano sul torace e, con una leggera spinta, lo stese a terra.

Spike era furente. Digrignò i denti e lo sguardo di Angel lo passò da parte a parte.

"Non provare nemmeno a trasformarti."

Era un ordine. Spike ubbidì, prima ancora di accorgersi di averlo fatto. Il tono del comando. Un trucco che Angel, ed Angelus prima di lui, sapeva usare alla perfezione. Si trattò di un attimo. Gli occhi scuri di Angel mandavano bagliori d'acciaio. Ma non era la forza del suo demone.

"Ascoltami bene." - disse pacatamente chinandosi e posando le mani sulle ginocchia - "Questa è pura e semplice mancanza di equilibrio…"

"Come sei perspicace."

".. ogni volta che perdi l'equilibrio ti appelli al tuo demone, come se fosse una batteria infinita. Ed ogni volta che lo fai, ti sottoponi ad un certo stress, che non ti darebbe alcun problema se fossi in ottima forma. Indebolisci il tuo corpo e le barriere della tua mente. E questo spiega la telepatia."

Spike si puntellò sui gomiti e meditò un attimo su quello che gli veniva detto.

"Vai avanti, ti ascolto."

"Ascoltami bene William. Prima la tua forza risiedeva completamente nel demone. Il chip la bloccava e ti faceva sentire un animale in gabbia. L'anima non ha questa funzione. Se vuoi essere cattivo puoi esserlo, anche se la tua coscienza finirebbe con il darti qualche fastidio." - Angel si sedette a terra, gambe incrociate - "Stai reagendo alla tua anima come se fosse un corpo estraneo al tuo interno. Ma l'anima è parte di te. Lo era e lo sarà ancora. Non si tratta solo di accettare la consapevolezza che è tornata. Tu devi porre l'anima in relazione con il tuo corpo. Devi farti entrare in quella zucca testarda che non si tratta di una debolezza, ma di una forza. Devi smettere di reprimerla e …"

"Devo cercare un equilibrio."

"Esattamente. Devi solo cercare un equilibrio. Ci sono vari modi per farlo, ma la meditazione rimane il più efficace. Ieri sera ti ha permesso di restare in piedi, quando sei sceso dalla macchina."

"In effetti…" - ammise Spike riluttante - "E tutto questo cosa ha a che fare con l'ipnosi?"

"Aumenta il carico di informazioni che non vuoi. Informazioni che, con tutto rispetto, al momento, non sai gestire." - Angel accennò un sorrisetto - "Oltre a permettere a Westley di portare avanti le sue sperimentazioni. Vuoi fare da cavia?"

"Io non ho il carattere della cavia. Desisterebbe."

"Tu ne sei sicuro? Credevo che sapessi qualcosa della sana testardaggine inglese."

"Si chiama determinazione. Siete voi irlandesi i testardi."

"Ne facciamo una questione di principio e ci mettiamo a discutere, oppure ci dedichiamo a cose più utili?" - Angel gli tese una mano, ma Spike non l'accettò.

"No, grazie. Faccio da solo."

Angel non replicò. Si limitò a fare un passo indietro, per lasciargli spazio. Incrociò le braccia e lo fissò. Non avrebbe mosso un dito e voleva che Spike lo capisse con una semplice occhiata.

Si girò e gli diede le spalle. Alzò lo sguardo e rimpianse di non poterlo vedere riflettersi nella vetrata.

Dalle sue spalle giungeva un suono attutito, uno sfregare di pelle sul pavimento. Spike faticava, rallentava i movimenti e forzava ogni suo muscolo.

Ma voleva farlo, con le sue singole forze, frammentando la sua duplice natura, reprimendo l'istinto della rabbia.

Scegliendo la disperazione, focalizzando la sua mente.

Fino a ritrovarsi in piedi.

Per tutti loro.

Per Angel.

Per Dawn.

Con un'unica frase sulle labbra.

"Cominciamo."

 

 

IV

"Sposta il peso." - precisò Angel, interrompendo la sequenza dei movimenti e girandogli intorno - "Così. Va bene."

Detto questo, si avviò verso il divano e si appoggiò allo schienale, alle spalle di Faith. In silenzio, entrambi indirizzavano la loro attenzione verso Spike.

Da quando avevano cominciato ad allenarsi, la situazione sembrava essere migliorata. Ed anche se ogni tanto le gambe finivano col cedergli ignominiosamente, Spike non perdeva la tenacia e la volontà di applicarsi.

Imparava in fretta, perdendo la pazienza. Si imponeva per continuare, ad oltranza.

"Sta perdendo il ritmo." - sussurrò Faith, mettendo un piede a terra.

"Aspetta, vado io." - replicò Angel. Silenziosamente, avanzò fino a trovarsi di fronte a Spike.

"Appena in tempo." - concluse, riassestandolo sulle sue gambe.

"Come facevi a saperlo?" - chiese Faith.

"Cosa?"

"Come cosa. Angel, tu sapevi che stava per cedere."

"Io non cedo." - mugolò seccamente Spike, strofinandosi gli occhi, per snebbiarsi.

"Giusto. Tu svieni."

"Cacciatrice, lasciami stare."

"Arrivi fino al divano?"

"Angel, vai a fare da mamma a qualcun altro."

Perfetto. Li aveva messi a posto entrambi. Faith posò di nuovo il mento sulle ginocchia, abbracciandole con le braccia ed Angel le si sedette a fianco.

Incrociò le braccia e lo guardò tollerante.

"Ricomincia da dove hai interrotto."

"Oh, certo. Ti faccio vedere io chi cede…"

"Sai, Faith, avevi ragione." - la voce gli giungeva lontana, attutita - "William non cede. Sviene."

Oh no.

Era di nuovo sdraiato sul divano.

Un'altra volta.

Accidenti.

Erano quasi tre notti che non gli succedeva…

Iniziava a diventare seccante.

"Spiike…" - canticchiò Faith - "In piedi, forza!"

In tutta risposta, un grugnito.

"Ti ha sentito." - precisò Angel - "E ti ringrazia della tua premura."

Faith gli rivolse un sorriso complice.

"Accidenti, quante cose in un mugolio…"

Era troppo.

Lo sfottevano.

Si girò dall'altra parte e seppellì la faccia tra i cuscini.

Faith gli faceva camminare due dita su un braccio. Era un contatto piacevole e caldo, anche se vagamente ironico. Ma Spike non rispondeva alle provocazioni, teneva gli occhi rigorosamente chiusi e la bocca cucita.

Ne aveva abbastanza.

Della meditazione, della debolezza, della convivenza e dell'anima, ne aveva veramente le scatole piene.

"Allora io vado." - disse Angel.

"Dov'è che stai andando?" - Spike si tirò su di scatto, dimenticando i suoi crucci.

"Ho un caso da risolvere." - rispose evasivo Angel, infilandosi il giaccone.

"Ed io dovrei crederti! Portami con te."

"No, non sei costretto a credermi. No, non vieni."

"Non puoi impedirmi di seguirti."

"Oh sì, invece." - confermò Faith, girandosi a fissarlo.

"Zitta Cacciatrice. Avanti Angel, eravamo d'accordo che non mi avresti tenuto sotto una campana di vetro…"

"Il giorno in cui sarò certo che non basti starnutire per tirarti lungo disteso." - Westley si affacciò la porta ed Angel fece un cenno, prima di girarsi a concludere la frase - "Stai migliorando, Spike, ma non sei ancora pronto. Per stasera puoi continuare ad allenarti con Faith."

"Che prima o poi andrà di ronda…" - concluse Spike, facendo diventare gli occhi due fessure maliziose.

"No." - Angel si girò, incorniciato dalla porta - "Stasera anche Faith non va da nessuna parte. Ci vediamo dopo, divertitevi."

"Divertirci…" - sbuffò Spike.

 

"Angel, scusa se mi intrometto, ma non credi che usciranno tutti e due non appena giriamo l'angolo?"

"No, Westley, non ti preoccupare. Non passerà nella testa a nessuno dei due."

"Sarà, ma mi sembri troppo fiducioso…" - Westley salì in macchina, mentre Angel metteva in moto - "Dopotutto, non sono obbligati ad ubbidirti."

"Hai ragione. Ed è per questo che c'è Cordelia…"

 

"Fermo dove sei!" - urlò Cordy puntando il dito.

"Smamma Gattina." - ringhiò Spike, cercando le chiavi della sua macchina.

"Puoi fare quello che vuoi, ma non uscire da quella porta. E non chiamarmi Gattina!"

"Gattina…"

"Spike, se Angel mi dice di tenere qua sia te che Faith, io tengo qua te e Faith. Fine della discussione."

"E con che mezzi? Con la seduzione?" - Spike avanzò fino ad incunearsi, tra i pettorali, l'unghia laccata del dito che gli veniva puntato contro - "Dovrai impegnarti parecchio, perché sono uno esigente…"

"Spike, io fossi in te lascerei perdere." - consigliò saggiamente Faith.

"Ma sentila! Tu, Cacciatrice, hai paura della ragazza pon-pon?"

"Spike, non mi provocare…" - Cordelia iniziava ad avere un tono da brividi - "Non obbligarmi."

"Non obbligarti a cosa? Insisto. Levati dai piedi."

"D'accordo, ma te lo sei voluto…"

 

Spike fece per chiudere la porta con un calcio, ma una mano si insinuò e, dietro la mano, giunse anche il resto di Faith.

"Ti avevo detto di non provocarla." - mormorò, entrando nella stanza e sedendosi sulla poltrona preferita di Angel - "Ma tu non abiti sul pianerottolo di fronte?"

"E tu non sei quella che infesta la soffitta?"

"Vero. Vuoi startene da solo oppure vuoi compagnia?"

"E da quando tu hai uno spirito così umanitario?"

"Veramente pensavo che potremmo fare a pugni…" -concluse innocentemente Faith, abbassando lo sguardo.

Spike la guardò con aperta ammirazione. Che enormi occhi grigi. Faith non li aveva mai notati. D'altra parte, nel suo passato, Spike era una figura vaga, più menzionata che vissuta. Una figura tornata prepotentemente alla ribalta con un ruolo del tutto inaspettato.

"Ed io che pensavo che Angel ti avesse detto di non alzare un dito contro di me…"

"Uno che ci lascia a casa tutti e due, come marmocchi… bhe, non possiamo rispettare tutte le regole che ci impone…"

"Faith, perché sei a casa?" - un dubbio gli si stava affacciando alla mente - "Non è che, per caso, sei il diversivo per tenermi occupato?"

"Sì, certo, è un complotto contro il povero Spike, il povero piccolo Spike. Ho una costola rotta, ho fatto una cazzata qualche giorno fa. Non faccio la ronda da quando Angel è tornato, la fa lui al posto mio. Ma sei troppo occupato a pensare a te…" - Faith si alzò e prese qualcosa da bere dal mobile di noce scuro e, abbassando la voce, aggiunse - "Idiota."

E girandosi se lo trovo di fronte, era più alto di lei. Pacatamente posò la lattina che aveva in mano sul ripiano e lo guardò, con aperta sfida.

Mai i loro visi erano stati così vicini. Sul bianco latteo della sua pelle, risaltava ogni minimo particolare, compreso un sopracciglio spezzato, sottile e ben disegnato.

Occhi grigio-blu. Veramente belli.

Su una faccia perfida.

"L'idiota ha una gran voglia di picchiarti sul serio." - sussurrò freddo.

"L'idiota sarebbe meglio accetto se mi baciasse." - replicò spudorata - "Richiede meno forza e concentrazione…"

Un vago sorriso gli tirò le labbra. Era irresistibile. La sovrastava appena, ma senza l'imponenza di Angel. Era una struttura fisica diversa, indipendentemente dal suo stato attuale. Era un fascio di muscoli sottilissimi e ben delineati, lunghi, su ossa minute.

Da vivo doveva essere stato una figura esile. Ma era impossibile immaginarselo, eliminando quello sguardo da predatore….

Lo sguardo da predatore…

Faith si scostò rapidamente, quasi si fosse scottata.

"Che c'è, Cacciatrice? Cambiato idea?" - la sfotté, irriverente.

Faith rimase in silenzio. Di colpo la verità l'aveva colpita. Il demone di Spike aveva comunicato con la rabbia repressa della Cacciatrice. Il suo spirito era stato attratto dall'Uccisore delle Cacciatrici.

"Cacciatriceee…" - sibilò alle sue spalle, avvicinandosi - "non reggi l'attrazione fisica?"

Faith si girò come una furia e si fermò, un attimo prima di colpirlo.

Spike, provocante, allargò le braccia, esponendo il petto al suo attacco, pronto a smontarla o abbracciarla.

Ma la mano di Faith frenò, prima ancora di sfiorare la maglietta.

"Sei veramente un'idiota." - disse - "Non mi fossi fermata io ci saremmo trovati in un guaio. Io non sono Angel. Io non mi controllo."

"Ma cos…"

"Smettila con le battute." - lo interruppe furiosa - "Sai benissimo a che cosa mi sto riferendo…"

Ma certo che lo sapeva. Ed era veramente un'idiota. Infuriarsi per l'imposizione di Angel e poi di Cordelia gli aveva fatto abbassare la guardia. Senza pensarci, per alzarsi da quel divano, aveva nuovamente attinto dal lato demoniaco.

E se Faith non si fosse fermata, per entrambi, avrebbe preso il sopravvento.

"Angel mi aveva avvertita." - continuò Faith - "Ma non pensavo fosse così semplice cascarci."

"E' semplice finché non mi riprendo del tutto." - le rispose, cupo, Spike. Quanto gli costava ammettere una debolezza del genere - "Non ti farei mai del male, consapevolmente. Io… non potrei."

"Lo so. L'anima non è solo un complemento d'arredo. Col tempo diventerà più forte. E fino ad allora, sarà meglio che tu ed io evitiamo giochetti."

"Peccato. Avevo sul serio voglia di baciarti." - la punzecchiò ancora. Ma era un modo differente a prima, per una lieve ed impercettibile sfumatura - "Bene. Eliminati il sesso e la lotta dalla lista di cosa da fare, ci resta solo il Monopoli?"

Faith lo squadrò, incerta, ma senza espressione. Per un attimo le sembrò più saggio lasciarlo da solo e ritirarsi nei propri appartamenti. Poi, dando per scontato che Cordelia fosse assorta in ben altro e la sua soffitta troppo silenziosa, adottò la tecnica diversiva.

"Vuoi qualcosa da bere?" chiese rispettosamente, tornando verso il mobile su cui la sua Coca-cola andava lentamente scaldandosi.

"Che cos'hai di alcolico?"

E, colpito dall'occhiata ironica…

"Lascia perdere. Prendi quello che ti pare."

"Se vuoi sangue lo trovi in cucina…"

"See, e magari trovo Cordelia Chase seduta sul frigorifero. Meglio un'aranciata, per tanto così…" - si chinò a sbirciare sulla sua spalla- "Ed ho pure terminato le sigarette…"

"Primo cassetto a destra."

"Come?"

"Nel primo cassetto a destra ce n'è un pacchetto. Lo ha messo Angel l'altro giorno, quando stavate litigando."

"Non stavamo litigando." - Spike sapeva benissimo a cosa si stesse riferendo Faith - "Avevamo difficoltà di approccio."

Nel cassetto in effetti, stavano due pacchetti della sua marca. Allora Angel, senza commenti, le aveva comprate, anche se l'urlo di Spike era stato puramente irrispettoso.

Dalla tasca dei pantaloni, Spike estrasse l'accendino.

"Bello."

"E' un regalo." - rispose evasivo, rigirandolo tra le dita - "Vuoi una sigaretta?"

"No, grazie. È uno dei vizi che non ho ancora preso."

"Meglio. Così mantieni in buono stato i polmoni per quando potremo allenarci insieme. Fai come me. Aspetta di non avere più polmoni per cominciare a fumare."

"Saggio consiglio. Tieni, la tua aranciata."

"Grazie amore…"

Spike si sedette sul divano e guardò la nuvoletta azzurrognola andare verso l'alto. Faith gli si sedette a fianco e gli sfilò la sigaretta dalle dita.

"Cambiato idea."

"Non c'è dubbio. I consigli su di te fanno veramente presa…"

"Anche su di te…"

"Questione di carattere…" - rispose Spike, con un'alzata di spalle. Ed aggiunse - "Ma tu guarda che roba. Io e la Cacciatrice chiusi in casa, in castigo, da un vampiro paterno con lo sguardo tenero tenero."

Faith ridacchiò. E Spike la guardò di traverso.

"Faith…"

"Uhmmm." - Faith gli rimise la sigaretta in mano e bevve un sorso - "Che vuoi?"

"Da quanto vivi qui?"

"Da quando sono ufficialmente morta, quasi dieci mesi mesi fa. Non li leggi i giornali?"

"Quando mi alzo sono già giornali vecchi, non vale la pena di leggerli…"

"Il Consiglio ha cercato di accopparmi ed è riuscito solo a far saltare in aria la prigione. Poi mi hanno catturato, Westley mi ha fatto scappare ed Angel mi ha trovato. Fine della storia."

"Sei morta anche per il Consiglio?"

"No, probabilmente. Ma non si scomodano a venire a prendermi, per cui, rimango qui." - Faith si allungò, fino a posare i piedi sul tavolino, vicino a quelli di Spike - "E tu, Spike, che ci fai qui?"

"Bella domanda. Probabilmente mi aspetto che Angel abbia tutte le risposte che voglio. Di certo non mi andava di stare ancora a Sunnydale."

Poi fu colpito come da un fulmine.

"Aspetta un secondo… tu sei la prova che Angel ha mentito a Buffy!" - esclamò, tirandosi su di scatto.

"Non mentito. Ha omesso qualche informazione. Perché godi così tanto?"

"Non godo." - replicò Spike, cercando di impedire alla sua bocca di diventare un grosso sorriso - "la trovo solo una cosa… interessante."

"Sei innamorato di lei?" - chiese senza giri di parole.

"Di Buffy? Naaa, cosa ti salta in mente!" - tornò a mettersi comodo - "Mi attirava, ecco tutto. Ma le Cacciatrici mi piacciono da sempre…"

"Qualcuno me l'ha detto…"

"Parla troppo per essere uno silenzioso…."

"Non Angel. Gli Osservatori. Westley, Giles e chiunque sia passato prima di loro nella mia vita. Sei una leggenda per loro, un vero grattacapo."

"Lo so." - quanto compiacimento nella sua voce - "non riesco a fare a meno di esserne ancora parecchio orgoglioso. È una cosa odiosa, accidenti! So di aver ucciso delle innocenti, mi fa quasi uscire di testa la consapevolezza del delitto. Ma essere nominato nei libri, da studiosi… io volevo essere ricordato già da vivo… sarà questo…"

Era una frase quasi incomprensibile. Ma Spike seguiva il filo dei suoi pensieri, non intratteneva Faith con una conversazione.

"Sul serio volevi diventare famoso da giovane?"

"Non famoso." - puntualizzò distrattamente il vampiro - "solo ricordato in un libro, magari come scrittore, oppure dai miei…" - avrebbe concluso con figli se di colpo non si fosse reso conto di quello che stava dicendo.

"Perché tu, invece, non hai mai voluto diventare famosa!" - disse, pungente, interrompendo le riflessioni ad alta voce.

"Non proprio famosa. Solo una buona Cacciatrice." - anche Faith sembrava contraria all'idea di parlarne - "Tutto qui."

"Bene. Bene." - Spike si concesse un attimo di silenzio prima di esplodere - "Insomma, fammi capire, ci parliamo e non vogliamo, iniziamo le frasi e poi le interrompiamo. Andremo avanti così ancora a lungo?"

"Sei tu che hai cominciato." - Faith sembrava non perdere la calma. Mai. La sua espressione sfiorava l'inespressione. Ad eccetto dei suoi occhi, scuri e brillanti.

"Già. Sempre colpa di Spike." - avrebbe voluto sbuffare.

"Vuoi ricominciare gli esercizi?"

"Certo. Così poi crollo e tu mi lasci a terra a compiangermi!"

"Probabile." - concordò, alzandosi - "Ma non faranno male a nessuno dei due."

 

"Westley, secondo te, dovrei chiamare Cordelia?" - bisbigliò Angel, spostandosi nell'ombra.

"Adesso? E per chiederle cosa?" - rispose l'ex-osservatore, armeggiando con la balestra.

"Se quei due si sono ammazzati…"

All'improvviso si sentì stupido.

Ansioso e molto stupido.

 

"…poi c'è il pub, due isolati più in là. È peggio del precedente, ma i cocktail sono una bomba. La musica è buona, anche se non quanto quella del JakieLee…"

"Che è dove suonano dal vivo e la birra scorre a fiumi…"

"Esatto. Poi c'è il Ponysue. Lì il whisky è eccellente e la musica è country. Ma non ti vedo vestito da cowboy a ballare la quadriglia."

"Vero. Preferisco un altro genere. Rock. Tanto rock. Chitarra…"

"A me della musica importa poco. Mi piace ballare. Ballo tutto, scelgo in base all'umore… passami il pop-corn."

"Anche a me piace ballare. Quasi quanto combattere…"

"Sai ballare?"

"Certo. Devi sapere che nell'ottocentosessantadue, quando io ed Angel ci trovavamo a Parigi…"

 

"Come sarebbe a dire 'se si sono ammazzati'! Angel, quello è un covo che stiamo cercando da settimane e tu vuoi interrompere per chiamare a sentire se i bambini si comportano bene?" - gli occhi di Westley pendevano pericolosamente infuori.

"Wes, cerca di capire…sono un vampiro ed una Cacciatrice."

"Certo! questo lo so. Ma c'è Cordelia, ad occuparsi di loro. Saprà imporsi e dividerli."

 

"Ahio! Ma che mi venga un colpo, Cordy, ma in tanti anni che sei stata Reginetta al ballo di primavera non hai mai imparato un valzer?"

"Senti, vampiro. Ai balli ci vai per essere ammirata, non per affannarti e sudare."

"Non si suda con il valzer." - replicò serafico, incrociando le braccia - "E non si pestano i piedi del proprio cavaliere."

"Sì, certo, per te è facile, sei tu che incroci le tua gambe con le mie!"

"Non si incrocerebbero, se tu le muovessi con il tempo giusto. Ma si capisce, sei di una generazione che balla dondolando sulle anche senza muovere i piedi!"

"Certo, così ci si bacia meglio!" - scattò inviperita.

Spike la guardò, lasciando affiorare un sorrisetto petulante tale da far arrossire quella ragazza così certa delle sue opinioni.

"Faith, ricominciamo… facciamo vedere a questa signorina che ballare non ti mette in pericolo di vita…" - concluse, afferrandola saldamente - "Cordelia, la musica!"

 

"E poi, Angel, l'anima dovrebbe impedirgli di fare qualcosa di sbagliato." - continuò Westley, atterrando con un pugno il demone che gli correva incontro urlando.

"Sì, però non è un momento facile, potrebbe succedere di tutto. Non sappiamo ancora… " - un altro vampiro in polvere - "perché l'anima sia tornata. Può darsi che per una sciocchezza scompaia. Ed il chip."

"Su quello potremmo mettere una pietra sopra, direi." - Westley rotolò sotto un tavolo e caricò di nuovo la sua arma - "Attento alle spalle!"

"Tutto sommato hai ragione, forse sto esagerando. Ma non sono tranquillo." - sussurrò ancora, colpendo un altro avversario - "Non lo sono proprio."

 

"Possibile che non ci sia neanche un biscotto?" - mugolò Faith, ancora immersa nell'armadietto della cucina.

"Niente neanche qui." - gridò di rimando Cordelia dalla dispensa.

"Visto che ci sei, recupera la zuccheriera." - aggiunse Spike, finendo di versare l'acqua bollente nella teiera.

"Zucchero? Ma non se ne parla, c'è del dolcificante dentro il cassetto delle posate."

"Gattina, questo vampiro non è a dieta e vuole molto, molto zucchero. Allora, biscotti?"

"Ci sono, vuoi del limone?"

"Aspetta, prendi quella torta alle ciliegie."

"Ehi, ma quella è di Westley!"

"Chissenefrega. Con il the è perfetta."

 

"Allora spicciamoci. Inizio a preoccuparmi anch'io." - disse Wes, quando si trovarono spalla a spalla.

"Facciamo ciò che dobbiamo." - mormorò Angel, buttandosi nella mischia - "Spero veramente di sbagliarmi."

 

"Ciao. Ce ne avete messo di tempo." - disse Faith, voltandosi a fissarli, stanchi e coperti di polvere - "Serata piena, vero?"

Angel e Westley stavano sulla porta, ancora con le armi in mano. Con la faccia di chi ha sbagliato domicilio.

Nella hall dell'Hyperion, seduti ad un tavolino ed evidentemente assorti, stavano Faith e Spike.

Giocando a scacchi.

Poco più in là, sul tappeto, i resti di una spuntino, tazze vuote e briciole di torta. Lo stereo suonava ancora, a basso volume, un vecchio vinile gracchiante, di musica classica. I mobili erano stati spostati e le scarpe di Cordelia, stavano in un angolo, abbandonate. Mentre Cordelia stessa, a gambe incrociate, davanti alla scacchiera, prendeva il tempo delle mosse, con l'orologio stretto tra le dita.

Spike alzò fuggevolmente lo sguardo e fece un cenno di saluto, prima di tornare a concentrarsi. Toccava a lui muovere.

Westley fece correre lo sguardo a quella caotica stanza, fino a focalizzarsi tristemente sul vassoio dei dolci. Angel era senza parole.

"Allora io vado a dormire." - disse Westley, con un tono che provocò a Angel un brivido lungo la schiena.

Spike mosse il cavallo ed alzò gli occhi verso il suo sire. Questi, serissimo, con le braccia abbandonate lungo i fianchi, stava ancora sulla porta.

Palesemente perplesso. Come se fosse certo di vedere qualcosa… e Spike iniziava a sospettare cosa fosse. Si sarebbe detto… deluso.

Possibile che le ragazze non se ne accorgessero?

A stento soffocò una risata.

"Angel, non fare così… veramente ti aspettavi un massacro?"

 

 

V

Lo fissava.

Uno sguardo attento e indagatore, che lo passava da parte a parte, senza nessuno scrupolo.

Smettila.

Smettila.

Ho detto smettila.

Posso tranquillamente ignorarti.

Mi dai fastidio ma ti ignoro.

Posso farcela.

Non otterrai niente da me.

"Va bene William." - Angel posò il libro, rassegnato - "Ti chiedo scusa. Se proprio non puoi smettere di fissarmi, almeno piantala di ridermi in faccia."

"più facile smettere di fissarti che smettere di ridere." - bofonchiò Spike, scivolando ancora un po' nell'incavo della poltrona. Gli occhi gli lacrimavano, ogni qual volta ripensava all'espressione contrariata di Angel - "Tanto fiducioso, così liberale nei miei confronti. E poi, alla prima uscita, immagini che io possa avere un raptus ed uccidere…."

Era troppo divertente. Non riusciva a parlarne. Seppellì la testa nei cuscini del bracciolo e continuò a ridere, mentre il volto di Angel si dipingeva di una vaga esasperazione.

"William. Guarda che non ti hanno chiamato Sanguinario per piacere estetico, fino al mese scorso." - si giustificò.

E Spike riemerse, guardandolo di sbieco.

"Lo so. Ma penso che dovremo proprio lasciar perdere quel soprannome…" - replicò con finta tristezza - "Potrei cercarmene un altro . Magari William il Coniglietto…"

Angel non riuscì a soffocare una risata.

"Oppure William lo Svenevole…"

"Accontentati di essere Spike, il Tormento di Angel." - concluse Angel, riprendendo la sua lettura. E non appena aprì il libro, in cima alla pagina apparve una mano bianca con dita da pianista.

"Cosa vuoi, William?" - Angel alzò le mani vuote in segno di resa. Spike si era materializzato davanti al divano ed ora camminava, sfogliando il libro appena sfilato dalle sue mani.

"Voglio uscire e visitare LA."

"Quella è la porta."

"No, mio caro. Evita di prendermi per il culo. Se io varco quella porta e me ne vado, in capo a cinque minuti tu cominci a pedinarmi. Per tanto così, vieni con me."

"E se non avessi voglia?" - replicò incrociando le braccia.

"Dovresti fartela venire." - ribatté impertinente, lanciando il libro sulla poltrona - "Perché voglio veramente uscire; so quanto ami strisciare nell'ombra, ma io non ho voglia di sentirmi i tuoi passi alle spalle per le prossime tre ore."

Misurò la stanza a grandi passi, tenendo le braccia come un equilibrista. Si sentiva in ottima forma.

"Del resto, potrei raggiungere la Cacciatrice per la ronda e rimettermi un po' in allenamento…" - si girò su se stesso - "Sapendo che sei contrario, anche se te ne stai in perfetto silenzio, ti chiedo ancora se non preferisci venire a tenermi d'occhio di persona."

E seguitò a parlare. Elencando la sua correttezza, i motivi che l'avevano spinto a chiedergli un favore del genere… il tutto senza smettere di saltellare in giro per la stanza, per dimostrare quanto le gambe lo reggessero bene e la degenza, noiosa ed esasperante, fosse divenuta del tutto superflua.

E fu ad un'ennesima giravolta su se stesso che si trovò di fronte un Angel intento ad infilarsi la giacca.

Lo guardò raggiante e gli battè una mano sulla spalla.

"Pensandoci bene, potremmo invitare anche Cordy."

La chiamava già Cordy. Angel sorrise, per quel nomignolo. Ed il sorriso svanì, non appena sentì Spike correre giù dalle scale.

"Ehi, gattina, vuoi venire a fare due passi con me e Flagello?"

"Tu e…chi?" - Cordelia stava al centro del salone con una pila di riviste di moda in mano.

"Lui. Il tuo principale, il bel tenebroso." - spiegò, passandole un braccio sulle spalle ed indicando Angel - " L'eroe, il castigamatti del buio. Lui."

"Flagello?" - la bocca di Cordelia andava rapidamente allargandosi in un sorriso irrefrenabile.

"Certo." - confermò Westley, tralasciando per un istante quello che stava facendo sul tavolo - "Flagello dell'Europa. È un nomignolo con cui Angel è conosciuto nell'est europeo. Credo se lo sia procurato…"

"Basta così, grazie." - intervenne Angel, aprendo la porta d'ingresso - "William cammina. Ci vediamo dopo. Chiamate, se succede qualcosa."

Spike gli passò di nuovo sui piedi e scese in giardino. Si fermò un istante, ai piedi della gradinata di accesso ed Angel notò fuggevolmente la mano posarsi sulla colonna del portico.

Non stava bene come andava predicando. Ma non c'era in lui quell'ostinazione mal repressa dei giorni passati. Aveva fatto progressi, in quei dieci giorni. E la serata con le ragazze sembrava avergli donato più tranquillità di quanto non avesse fatto la meditazione.

Angel guardò quelle spalle curvarsi appena e poi raddrizzarsi, per marciare risolutamente verso il cancello. E ripensò a Doyle.

Doyle…

"Uomo, non puoi stare qui chiuso al buio." - sentenziò allegramente, accendendo la luce di colpo - "Ti rovinerai la vista, con questi continui sbalzi di luce!"

"Doyle, lasciami stare, ci sono alcune cose che devo risolvere."

"E le risolvi così? dentro te stesso? Nell'oscurità?" - Doyle si sedette con un tonfo sulla scrivania, dandogli uno spintone, per essere certo di aver spazio per le gambe - "Con un mondo vasto e luminoso anche di notte subito fuori dalla porta? Angel, tu devi rivedere i tuoi parametri. Esci, parla con me, osserva la gente e discutiamone. Quante volte te l'ho detto? Non basta fissarli, bisogna vivere con loro. E soprattutto quando si ha qualcosa a cui pensare, si deve assolutamente camminare tra loro."

 

"Allora?" - gridò Spike, piantando le mani sui fianchi - "è notte, non finirai folgorato se esci da sotto il portico! Muoviti, oppure faremo giorno."

"Arrivo." - replicò meccanicamente Angel, avviandosi verso di lui.

Camminare tra loro…

Li vedevi affacciarsi dai locali, con l'aspetto vivo e felice. Le ragazze correvano con i loro tacchi alti, stringendosi le camicette con le mani, per nascondere le scollature morbide. Ed i ragazzi, dietro di loro, ridenti ed esasperati dal loro fascino.

 

Era questo che osservava, tanto tempo fa, prima che il Cantastorie venisse a cercarlo e Buffy gli scavasse un buco nel cuore.

Il loro profumo continuava a stravolgerlo, come un piacere a lungo evitato. Eppure si rendeva conto della madornale differenza. Vivere tra loro ed osservarli. La differenza stava nel filtro che Angel frapponeva tra se stesso ed il mondo mortale. Un confine sottile e doloroso da varcare.

 

Un confine su cui Spike camminava come un funambolo.

Guardava le ragazze e le ragazze guardavano lui.

Senza soffermarsi a pensare a quanta distruzione avesse portato tra loro, nei suoi anni ruggenti.

"Dovrei sentirmi in colpa?"

Angel sobbalzò, nel voltarsi ad ascoltarlo.

Ma non c'era stata alcuna forma di telepatia, apparentemente.

"Secondo te, non dovrei sentirmi in colpa? Ed invece niente di concreto. Il rimorso non mi fa apprezzare meno la bella vita…" - spiegò incurante, girando su se stesso per seguire con lo sguardo una ragazza bionda altissima - "Partitina a biliardo?"

"Perché no…" - sorrise, nel seguirlo all'interno del locale.

Il barista gli fece un cenno di saluto. Ed Angel ricambiò, quasi meccanicamente, prima di sentirsi due occhi molto attenti ed inquisitori puntati addosso.

"Come dire che hai anche imparato ad avere qualche conoscenza utile?" - mormorò, con voce innocente.

""Qua e là" - rispose, con tono evasivo - "Utile… non se pensi di ottenere una birra gratis…"

"E' uguale. Tanto paghi tu."

"Ah sì?"

"Certo. ma ha una sua logica. Adesso giochiamo a biliardo e scommettiamo. Poi io ti batto, tu perdi la scommessa, mi paghi ed io ho finalmente i soldi per prendermi una birra. Per tanto, se paghi adesso, ti metti avanti con il lavoro."

"Mi sembra chiaro." - Angel incrociò le braccia e lo fissò - "E quanto avrei perso in questa partita di biliardo?"

"Abbastanza. Ma io sono uno che riconosce il valore dell'avversario, per cui, prendi pure una birra anche tu, te la offro con i soldi della vincita." - gli diede un'amichevole pacca sulla spalla e gli sfilò il portafoglio.

Ed Angel non si mosse. Di colpo l'esasperazione assunse il dolce sapore del ricordo. Aveva smesso da così tanto tempo di essere un fratello maggiore, da non ricordare quasi di aver avuto una sorellina sempre intenta a rubargli qualche spicciolo per i dolciumi.

Tanto tempo fa.

"Tieni Flagello." - mormorò l'altro, porgendogli una bottiglia umida e camminando disinvolto verso un tavolo. Una semplice occhiata bastò a far scappare i due ragazzini che pensavano di arrivarci prima.

"Sono un vero cattivo. Spavento i più piccoli…" - canticchiò seccato, posando la birra. Angel l'aveva seguito e stava già scegliendo la stecca, fermo davanti alla rastrelliera, carezzando appena il legno con la punta delle dita.

"Vediamo…1898!" - esclamò giulivo, ronzandogli intorno.

"Come?" - Angel interruppe il sottile ragionamento e Spike ne approfittò per mettergli in mano una stecca e soppesare la propria.

"L'ultima volta che abbiamo giocato a biliardo. Anche in quel caso hai perso…"

Angel gli tese una mano.

"Che faccio, la stringo?"

"No, ci posi il portafoglio."

"Ma come, pensi ai soldi a metà di un ricordo? Ma sei tu quello che ama rimembrare i tempi passati! Parliamone, chiedimi cosa ho fatto negli ultimi sessant'anni!"

"proprio perché stavo rimembrando la partita di biliardo del 1898 mi è venuto in mente il portafoglio."

"non penserai mica di rinfacciarmi quelle quattro monete che ho preso per portare Dru…" - s'interruppe, come se gli fosse venuto in mente altro - "E poi non erano nemmeno tue. Erano del proprietario del biliardo. E di Darla,se ragioniamo su chi l'ha morso."

"William…"

"Che c'è!"

"Il portafoglio." - Angel mosse le dita, fino a quando non sentì la pelle del portafoglio premergli sui polpastrelli.

"Strozzino…" - Spike girò sui tacchi e raccolse il gesso da terra - "Spacca, che è meglio."

 

E Spike vinse la prima partita. Poi la seconda.

E, a metà della terza…

"sei certo di voler essere ancora umiliato? Io avrei intenzione di fermarmi per un po' sotto il tuo tetto. Per cui, se ti va, ti concedo una settimana per allenarti, per la rivincita." - si fermò un istante a guardarlo giocare - "meglio due. Allenati due settimane."

"Non me la cavo così male…" - obbiettò Angel, mentre Spike gli girava intorno.

"Come no… ho visto gente giocare meglio con sgabelli rotti… Ma non te la prendere, non si può essere perfetti in tutto. Anche provandoci con la tua assiduità…"

Ma lo sai William che parli moltissimo?

Angel inarcò un sopracciglio ma tenne per sé il commento.

Spike, intanto, senza smettere di parlare, stava portando devastazione nella loro partita. Tutto, non appena veniva sfiorato, finiva in buca.

Avvilente.

"Dovresti investire e comprare un biliardo… con tutto quello spazio. In più siete persone troppo serie. Studiare e massacrare, studiare e massacrare…."

"Talvolta ci alleniamo anche." - aggiunse distratto Angel, cercando di spedire almeno una fasciata in buca. Riuscendoci per un pelo e sbagliando il tiro successivo.

"E com'è che io continuo ad essere escluso da questi allenamenti? Dico, mi lasci a casa, magari fate anche a botte nello scantinato. E tu non mi inviti! Come faccio ad andare accordo con tutte quelle ragazze che girano mezze nude per casa?"

Angel lo fissò, senza un'espressione.

"oh, d'accordo. Posso sforzarmi anche ad andare d'accordo con Whydam-Price!" - esclamò Spike, alzando gli occhi al cielo- "Ma tu devi smetterla di tenermi fuori dalle questioni importanti!"

"William, io non ti sto escludendo. Se vuoi allenarti, allenati. In effetti" - aggiunse con tono noncurante - "Abbiamo sul serio una palestra nello scantinato."

"Perfetto. E lo scopro solo adesso! non potevi dirmelo?"

"Non potevi chiedermelo?"

"Vuoi che ti faccia delle richieste? Perfetto! Non aspettavo altro." - Spike si appoggiò alla sponda e prese ad enumerare - "Dunque, io vorrei…"

"Frena, frena." - Angel mise le mani avanti - "Lasciamo libero il tavolo. E usciamo di qui."

Si voltò, recuperando il giaccone. La conversazione si prospettava lunga.

"Avanti." - lo incoraggiò, tornando in strada - "detta le tue condizioni."

Spike gli lanciò un'occhiata di traverso, mentre un cane color miele li urtava, prodigandosi poi in feste con Angel.

Ed Angel, chinandosi ad accarezzargli la testa, aggiunse:

"Ed io, ovviamente le prenderò in considerazione."

Aveva un mezzo sorriso. Una cosa rara.

Spike non l'aveva mai visto così rilassato. Certo, calcolando come si erano incontrati negli anni, non c'era da stupirsi. Il più delle volte si erano picchiati a sangue e coperti di ingiurie.

Si erano macellati a vicenda. E nemmeno quando era Angelus, aveva sfoggiato un sorriso di quel tipo. Un sorriso normale, senza nessuna malvagità.

E mai un cane gli era passato tra i piedi, potendo poi proseguire allegramente la sua strada.

Angel scherzava. Si lasciava tormentare, come suo solito, con tolleranza.

Eppure appariva più giovane. E le strade per cui camminavano gli si addicevano.

Angel era fatto per una città affollata molto più di quanto pensasse.

"Cammini spesso intorno all'isolato?" - gli chiese, seguendo l'estro del momento.

Angel gli lanciò un'occhiata sorpresa, infilò le mani in tasca e ripresero a camminare.

"Tutto sommato…" - ammise - "bhe, sì si può dire che lo faccio spesso."

"Quanto permette il tuo ruolo di giustiziere, immagino."

"Si dice investigatore, William."

"investigatore, eroe, chiamati come ti pare. Qualcosa mi dice che il suo vero nome è redenzione…."

Angel non rispose, chinò il capo e rallentò il passo.

"Comunque mi consola che tu esca di casa… temevo di dovermi impegnare in noiose conversazioni in pantofola… nahhh, non sono fatto per cose del genere. Quando devo pensare è meglio se cammino."

Un pensiero così affine a quello di Doyle da sembrare allarmante.

No, Spike era un carattere differente, si ammonì mentalmente Angel. Non avevano niente in comune.

Eppure c'era qualcosa che li legava. Forse il modo in cui lo canzonavano e lo punzecchiavano. E per quanto Doyle fosse certamente più garbato di Spike nelle sue battute, era certo che la sua vitalità fosse ben superiore a quella di Angel.

"Mi ascolti o rimugini?" - lo interruppe Spike - "ti spiego… si chiama dialogo perché…"

"William, non avevi delle richieste da farmi?"

"soldi, amico mio." - esclamò, passandogli mafiosamente un braccio sulle spalle - "Voglio sapere come darmi alla bella vita."

"Puoi farlo come tutti a mie spese." - mormorò Angel - "Non viviamo di solo spirito, abbiamo soldi e carte di credito."

"sei fiducioso… potrei mandarti sul lastrico."

"Difficile. Tutti i soldi passano dalle mani di Cordelia." - Replicò Angel, mentre Spike si ritraeva contrariato, ficcando le mani in tasca - "adora gestire la contabilità e far quadrare i conti. Devi parlare con lei.."

"certo, l'eroe senza macchia e senza paura non maneggia vile denaro… e poi? Come funziona? Faith fa il bucato, Cordy la spesa e Westley passa l'aspirapolvere?"

"Io passo l'aspirapolvere." - puntualizzò Angel - "Westley lava i vetri. E a te lasceremo piatti e bicchieri."

"Stai scherzando, spero!" - spike si fermò, piantando i piedi.

"Avrai la tua parte di incombenze."

"Mi pare ovvio. Quando avrò i miei divertimenti, come tutti gli altri."

Una ragazza lo urtò, senza fermarsi. Era bella, sensuale e spike girò la testa, per seguirne la corsa. E lei ricambiò l'occhiata. Con occhi splendidi, cerchiati di mascara ormai sbavato.

Un attimo, eppure come al rallentatore.

Spike ebbe un brivido e girò frettolosamente il capo.

Angel lo stava guardando, e non c'era neanche da sperare che gli fosse sfuggita quell'improvvisa reazione.

"non è niente." - mormorò spike, stringendosi il giaccone indosso - "Andiamo."

Svoltarono l'angolo in silenzio.

Poi Angel si decise.

"può succedere, William." - disse, mentre Spike lo guardava interrogativamente - "Non le ricordiamo fino a quando qualcosa non ce le riporta alla mente. Chiunque fosse, non era lei, non era un'illusione. È stato solo un brutto scherzo dei tuoi ricordi. Ne vedrai parecchie…"

Si riferiva alle vittime. Alle loro colpe.

Sapeva di cosa stava parlando.

"Tu ed io siamo diversi, William. Anche per me è stato drammatico, ad un passo dalla follia, ma in modo differente da come l'hai percepito tu. E non posso neanche dire che con il tempo smetterà di succederti. Temo di poter solo dire che, prima o poi, dovevi cominciare a soffrirne…"

"Dal passato non si scappa…" - mormorò cinicamente Spike.

"purtroppo è così. Lentamente riaffiora il nostro lato umano e, con esso, tornano le debolezze, i rimorsi e qualche rimpianto." - Angel alzò lo sguardo fino ad incontrare il raggio luminoso del lampione. Strinse gli occhi, cercando i moscerini che si muovevano nella luce - "Ringraziando il cielo, tu non sei melodrammatico quanto me."

Quest'ultima frase accese lo sguardo di Spike, incurvandogli le labbra.

Angel lo guardò sottecchi, da complice.

"Non dire a Cordy che l'ho ammesso. Altrimenti non mi lascerà più in pace."

"già dormi poco…" - concordò Spike. Poi, sotto lo sguardo perplesso, aggiunse - "Non è un segreto. Sei Nottambulo, e su questo non si discute. Ma mi pare che anche di giorno, l'Hiperyon sia un viavai di persone che ti parlano, ti consultano…"

Si arrampicava su per gli specchi.

Ed Angel rispose alla domanda non formulata.

"Sì, Willliam, anch'io ho gli incubi. Tanti e ricorrenti. Mi sveglio di soprassalto e non torno a dormire tanto facilmente." - Angel osservò un distinto signore dall'altro lato della strada - "Ma ti renderai presto conto che, da quel punto di vista, all'Hiperyon è difficile dire chi sia peggio…"

"Cosa guardi?" - mormorò spike seguendo l'occhiata.

"Non senti niente?" - mormorò a mezza voce Angel, senza perdere di vista l'obbiettivo.

Spike si concentrò, appellandosi al suo istinto di predatore. Mosse lo sguardo lungo la strada, fino a localizzare la fonte. In effetti angel aveva visto giusto.

"Non… umano." - sospirò spike - "Uno di noi."

Si voltò, attendendo.

Il profilo di Angel rimase pietra ancora un istante. Non si era limitato a localizzarlo. Ci stava dialogando. L'uomo si mosse con un distinto cenno, levandosi appena il cappello in segno di rispetto. Poi si girò e svanì.

"Allora?" - domandò Spike, quando le pupille di Angel tornarono a dimensioni normali. Scosse il capo, portando la mano alla tempia.

"Angel…" - chiamò ancora, posandogli una mano sul braccio, temendo di vederlo barcollare.

Ed Angel si riscosse.

"Sto bene. Era solo un messaggero. Dobbiamo tornare all'Hiperyon. Subito." - rispose, girando decisamente sui tacchi.

"Adesso hai anche una rete di vampiri a tuo servizio?" - chiese spike, adattando la sua camminata all'ampia falcata del suo sire.

"Quello non era un vampiro. Ti sei sbagliato." - replicò quietamente Angel.

"Figurati! Difficilmente mi sbaglio."

"in questo caso ti stai sbagliando. Non era un vampiro. Era un demone con l'anima."

Che cosa?

Spike si fermò di botto. Ed Angel, a malincuore, rallentò e si girò ad aspettarlo.

Un demone con l'anima.

Aveva percepito un'anima.

Non si era trattato di un vampiro, Spike aveva confuso i messaggi. Aveva percepito un'affinità e non si era fermato a riflettere. Angel tornò sui suoi passi e lo fissò.

"Stai bene?"

"io… sì, si certo. Solo che…"

"Con il tempo imparerai a separare i segnali. È ancora presto."

"Stasera hai una risposta per tutto?"

angel gli sorrise sarcastico. Un sorriso che sembrava fargli intendere come potesse avere una risposta consona in ogni momento.

"Oh, ti prego!" - sbottò l'altro - "Non ti montare la testa! Andiamo, non eri di fretta?"

Ricominciarono a camminare. Riuscivano già a intravedere le finestre illuminate del grande albergo.

"Mi dici chi era?"

"Un messaggero. Non so altro. Mi ha detto dove andare…"

"e non ti fermi a pensare che potrebbe essere una trappola?"

"Non lo è. Le Alte Sfere difficilmente mentono."

"Alte cosa?"

"Alte Sfere. È una lunga storia, te la racconterò un'altra volta." - concluse, salendo di corsa i gradino e piombando nell'ingresso.

Seduta sul divano, in mezzo ad una valanga di scartoffie, stava Cordelia, massaggiandosi la testa. Aveva il colorito pallido che caratterizzava le sue visioni.

Spike si fermò, mentre Faith sbucava da una porta, armata di tutto punto.

"Era ora che arrivaste! Pensavamo di andare senza di voi." - esclamò, finendo di infilare alcuni oggetti contundenti nella sacca. Angel si inginocchiò davanti a Cordy mentre questa esponeva in modo sintetico il contenuto della sua visione. Alcune brevi frasi, per mettere insieme le informazioni.

"Angel, stavamo andando via senza di voi…" - Wes finì di infilarsi la giacca scendendo le scale di corsa. Poi si fermò, perplesso, indicando spike - "viene con noi, no?"

"Certo."

"Vengo con voi dove?" - chiese spike, seccato per non essere stato interpellato. Convinto, in cuor suo che il suo sire l'avrebbe spedito nel ripostiglio a lucidare scarpe, prima di saperlo in qualsiasi altro posto.

Faith gli passò a fianco, lanciando ad angel una cinghia di cuoio con alcuni paletti.

"Abbiamo un lavoro da fare. Andiamo, vampiro, non eri tu in vena di lotta?" - lo provocò - "vuoi stare a casa, per caso?"

Spike si voltò, gettando una breve occhiata ad angel. Ed Angel ricambiò, con un lampo nello sguardo. Lottare di nuovo insieme. La cosa lo eccitava. Fianco a fianco. Spike non aspettava altro.

"Muoviti William." - mormorò, dirigendosi verso il garage - "Sai quanto odio arrivare tardi agli appuntamenti."

 

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Capitolo 3
*** 03.L'Uccisore ***


L'uccisore

 

I personaggi delle serie "Angel" e "Buffy, the vampire slayer", appartengono a Joss Whedon, la WB, ME e la Fox, l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

 

*sono presenti frammenti di dialogo dalla puntata "Fool for love" (V stagione) e, per lo più, coincidono con ricordi di Spike, riflessioni e frasi nella mente.

 

Stava seduto sul cornicione.

Le gambe nel vuoto.

Il sole, calato da poco, illudeva ancora la città che il giorno non sarebbe finito.

Il fatto che Spike fumasse sopra le teste di tutti, sporto pericolosamente nel vuoto, rendeva certezza l'arrivo delle tenebre.

Aveva camminato. Tutto il giorno. Ma nessuno si era anche solo affacciato da una porta.

Ehi, gente… sono qui…

Avanti e indietro.

Avanti e indietro.

L'Hyperion era piccolo rispetto alla sua tensione.

Era come se il suo nervosismo riempisse ogni spazio. Fino alla più piccola particella, ogni mattone, ogni lembo di stoffa.

Aveva fumato, camminando avanti e indietro per i corridoi, su dalle scale. Poi nel seminterrato. Aveva colpito il sacco fino a cadere a terra stremato. Ed era rimasto a giacere sul tappeto, con il pavimento che girava.

Fissando il soffitto, cercando un appiglio.

Senza trovarlo.

Perdendo i sensi.

 

I colpi erano cessati.

Faith socchiuse il libro e, cautamente, si alzò,uscendo alla luce.

Spike non l'aveva vista, seduta nel cortile, al di là della porta socchiusa.

Seduta a terra, nella frescura del terriccio, incurante dell'umidità che stava respirando. Un clima quasi tropicale l'avvolgeva. E persino il libro sgualcito che teneva tra le mani aveva qualcosa di pigro e riposante.

La porta del seminterrato, con il suo cigolio tipico, le aveva detto dove alla fine si era rifugiato il vampiro biondo. E quando, a pugno su pugno, si era sostituito il silenzio aveva deciso di alzarsi ed indagare.

 

Dapprima aveva pensato che stesse solo pensando. Si era avvicinata, silenziosa come sempre. E, prima ancora di chinarsi, si era concessa un istante per guardarlo.

Doveva essersi aggrappato al sacco, prima di scivolare a terra. Appariva contorto, sdraiato con una leggera torsione dl busto, il braccio destro abbandonato sul torace. Quello sinistro proteso, come se avesse cercato un appiglio, come se avesse provato ad afferrare qualcosa.

La testa girata,la guancia a contatto con il tappeto. Le ciglia erano quasi argentee nel rifinirgli le palpebre.

Era bello. Lo era sempre stato, agli occhi di Faith.

Sin da quando aveva varcato la porta dell'Hyperion, camminando baldanzoso dietro Angel. Anche se non era al massimo della forma, anche se tendeva ad andare lungo disteso più di quanto la dignità di vampiro tollerasse.

 

Il suo volto si alternava con mille espressioni nella mente di faith.

Quella con cui camminava… oppure quella che riservava a cordy. O ancora il sorriso sarcastico che si stampava sul muso per parlare con westley.

Oppure quando li aveva accompagnati per la prima volta a combattere, fianco a fianco, con Angel che non lo perdeva di vista un istante.

Li aveva sentiti litigare, una volta tornati indietro.

Poi, per una settimana, si erano accuratamente ignorati. Le poche volte che si rivolgeva ad Angel, lo faceva chiamandolo "mammina". Mostrando tutti i denti.

Angel sopportava di buon grado. E l'unica volta in cui aveva alzato gli occhi al cielo, Spike ne aveva approfittato per un'altra discussione.

Una litigata delle loro… con Angel impegnato a fare altro e Spike alle costole, con un sacco di lamentele. Da una stanza all'altra.

Poi avevano sbattuto le reciproche porte ed era tornato il silenzio.

"Mi domando come fosse, quando erano entrambi senza anima." - aveva commentato Westley, dal centro dell'ingresso.

Poi, un'altra avventura. Una nuova missione. Di nuovo a combattere, spalla contro spalla.

E quindi una nuova litigata.

Le porte dell'Hyperion si stavano rivelando parecchio solide….

 

Poi era sparito.

Nell'ingresso, sopra al tavolo, bene in vista, un biglietto.

Che sorpresa, anche la sua calligrafia. Elegante e sottile. Nel suo linguaggio conciso. "Ho da fare. Tornerò. W."

Un messaggio per Angel, diceva quella firma. Ma dove tutti potessero leggerlo, nel caso il grande eroe si fosse chiuso in un ostinato silenzio.

Entrato ed uscito dalle loro vite.

Entrato ed uscito dalla sua stessa vita, a cavallo di un dicembre di normale isterica routine. Ritirandosi in disparte nel mese dell'anno che più sembrava soggetto ad eventi soprannaturali.

 

Ed infine eccolo.

Il grande spike.

Sdraiato al centro della palestra.

Perso in chissà quale casino.

Due settimane? Quattro settimane? Otto? Era già passato così tanto tempo? Erano trascorse solo settimane?

Gli erano sembrate lunghe?

Oppure erano state brevi, poco più di un soffio da aggiungere ai suoi due secoli?

Aveva mai pensato, con il suo cuore ottocentesco, di vedere sorgere il nuovo millennio? Dove era, quando il mondo aveva esultato per le profezie andate in fumo, sulla mancata fine del mondo?

C'era stato anche un singolo umano ingrato, si domandò Faith, che aveva chiesto grazie, sapendo che, dietro alla vita che continua, si nascondevano gli eroi.

E soprattutto…

Avrebbe accettato, avesse saputo, di farsi salvare da un gruppo di delinquenti?

Ad esclusione forse di cordelia, tutti loro avevano un passato da non dire.

E faith annoverava anche una gioiosa permanenza a spese dello stato.

 

Spike.

L'ultimo acquisto della Angel Investigation. Di ritorno da chissà qualche rocambolesco viaggio spirituale.

Faith sorrise cinica ed incrociò le braccia.

Inclinò un po' il collo, per vederlo meglio in viso. Poi respirò a fondo.

E spike la fissò. Come se avesse sentito il suo nome urlato ad un megafono.

 

"Che vuoi, Cacciatrice?"

"Io niente. E tu?"

"Sto riflettendo. E gradirei restare solo."

Faith gli sorrise, accendendo in lui una punta di irritazione. Poi sedette a terra. Spike, perfettamente immobile, la seguì con lo sguardo.

"Immagino sia d'obbligo dirti: bentornato." - disse, posando i gomiti sulle ginocchia. Ed intrecciando le mani.

"L'educazione è una gran bella cosa." - concordò lui - "Ma se ci mettessi un po' d'affetto, sarebbe più apprezzato."

"Non ho fatto in tempo ad affezionarmi." - replicò faith- "Sei rimasto il tempo necessario per una manciata di grattacapi. Poi sei sparito. Con un stupido biglietto che ti fa apparire retrò, oltre che cafone."

"Ma sentitela." - mormorò spike, sdraiato sul fianco e puntellato su un gomito - "qualcos'altro da dire, campionessa di lealtà?"

"Certo. Non mi piace la gente che approfitta di Angel."

Spike la fissò, mentre la mandibola subiva di colpo l'effetto della gravità.

"Frena un secondo, faith!" - esclamò, tirandosi di colpo a sedere. Sorprendendola, nel pronunciare il suo nome, come se da una vita discutessero cose importanti, sdraiati su un tappeto - "io non mi sono approfittato di angel! E non credo che ti abbia detto una cosa del genere."

"non ha avuto bisogno di dirlo!" - scattò - "Era preoccupato! Tu l'hai punito perché si preoccupava troppo, facendolo preoccupare il triplo."

"ma figuriamoci! So badare a me stesso. Ed angel lo sa benissimo! Chiediglielo!"

"Sì, come no! La stessa cosa che ha detto lui quando ha letto quel tuo fottuto messaggio. Spike sa badare a se stesso, ha detto! Può fare ciò che meglio crede, ha detto! E avesse provato almeno lui a credere a quello che diceva!"

"io non ho più l'età per avere mammina che mi controlla."

"Ma finiscila!hai avuto l'anima, non perso le palle. Comportati da uomo! O da vampiro. O da quello che ti pare. Ma fallo bene! E non aggiungere rogne al campionario di angel!"

"E ti pareva. Il grande tormentato e le Cacciatrici. O lo amano o lo difendono!" - sputò lui. Pentendosi quasi all'istante.

Lasciandosi andare sul tappeto, con un tonfo. Un braccio disteso verso faith, una mano alla fronte.

"smettiamola." - concluse freddamente - "O inizierò a dire anche quello che non penso."

"Ah, tu pens…" - Faith si interruppe e moderò il nervosismo - " va bene, su questo potresti anche avere ragione."

"Grazie amore…" - mormorò spike, passandosi le mani sugli occhi. Fino a tirarsi quasi i lineamenti verso il mento.

Faith soffocò una risata.

E visto che spike la fissava scocciato, ne dovette soffocare un'altra, con una mano, scotendo l'altra per dirgli di lasciar perdere.

"almeno rendimi partecipe…"

"La tua faccia… era forte." - rise ancora lei - "E' la faccia che fa Wes quando io spacco più roba del necessario… quando faccio danno, insomma."

E spike, di tutta risposta, alzò anche un sopracciglio.

Ma non fece commenti.

Si appellò ad una pazienza che, da molto tempo, le cacciatrici si divertivano a mettere a dura prova. E riaprì la conversazione.

"Da capo." - disse - "Mi sembra il caso di farti notare che io ed angel ci conosciamo da molto tempo. Io so come è fatto. Lui sa come sono."

"Sì, certo. Tralasciando la differenza che passa tra il 'prima' e il 'dopo'." - replicò Faith, alzandosi in piedi, per meglio sottolineare il concetto sottinteso - "Io non saprò molto di redenzione. Ma di demoni mi intendo. Soprattutto di demoni interiori. E non ne esiste neanche uno che giustifichi quello che hai fatto!"

"ricominciamo…" - sospirò il vampiro. Senza smettere di ascoltarla.

Ed infatti faith non accennava l'intenzione di lasciare spazio per una risposta.

"pensavi che Angel ti avrebbe fermato? È per questo che sei andato via come un verme? strisciando?" - qui le sembrò il caso di sottolineare il concetto - "se siete così certi, tutti e due, di quello che dite, perché non ve lo siete detto sul muso? perché siete due sciocchi!"

questo comprendere Angel nella predica, lo divertiva alquanto.

E faith era già pronta a puntargli contro il dito.

"Stai pur tranquillo! Ho esposto anche a lui questo concetto! Forse in maniera più gentile, calcolando che non c'era bisogno di infierire."

"perchè, su di me sì?" - non aveva voglia di arrabbiarsi. La ragazzina sputasentenze era irritante e interessante allo stesso tempo.

"oh certo. La colpa è tua!"

"tu, cacciatrice, non sai di cosa stai parlando!"

"Perché tu, invece, sai cosa stai facendo! Deve essere per questo che hai fatto l'eroe solitario a Natale! Faceva parte del tuo personaggio? Non volevi l'imbarazzo dei pacchetti sotto l'albero? Cos'altro?"

"affari miei."

"Affari tuoi finchè vuoi, certo! Ma sarà meglio che tu ti decida a diventare più loquace, per il bene di tutti! Nessuno chiede i cosiddetti affari tuoi… ma le comunicazioni di servizio ridurrebbero i grattacapi!"

"E cosa cambia?"

faith si interruppe. Non associava la domanda a quello che aveva appena detto. Spike, con una calma che non gli era consona, la fissava, interrogativo.

"Cosa cambia… cosa?"

"cosa cambia se ti dico che me ne vado? L'ho scritto. Ho addirittura specificato che sarei tornato…" - obiettò ancora Spike. La strategia funzionava. Un'espressione perplessa e via! La ragazza sembrava perdere le sue certezze.

No, forse non funzionava così bene.

Faith si piantò le mani sui fianchi e riempì i polmoni.

"E non fare giochetti con me! Sai benissimo di cosa sto parlando! E questa nostra discussione avrà termine solo quando mi dirai che hai avuto torto. Ed io dovrò sentire la contrizione, nella tua voce! Mi sono spiegata?"

"Se vai avanti così, sergente in gonnella, sentirai solo costrizione, nella mia ammenda!" - scattò spike - "Sempre che tu sia veramente così brava da costringermi a qualcosa che non ho intenzione di ammettere."

"Ah-ha!"

"Ah-ha cosa?"

"Ammettere! Hai detto ammettere!" - faith gli sventolava un dito sotto il naso - "allora sai che ho ragione. Non ho bisogno di convincerti, perché è una cosa che già sapevi. È per questo che stai facendo l'animale in gabbia da quando sei tornato! Perché non sai come cavarti fuori dal casino in cui ti sei cacciato!"

spike la fissava in silenzio. E nulla di ciò che passava sulla sua faccia era ciò che avrebbe voluto esprimere.

Ma faith non intendeva fermarsi.

"Ammettilo!"

"Ammettilo! Qui e subito!"

"lo ammetto."

Faith si bloccò. Forse non aveva sentito bene.

"Faith, ho detto che lo ammetto. Ho avuto torto. L'ho fatto per testardaggine. Per dimostrare a me stesso che potevo fare ciò che volevo. E sono…" - dovette imporsi di dirlo - "… dispiaciuto."

Faith lo guardava, scettica. Era il suo turno per avere un sopracciglio puntato verso il cielo.

"Faith! Sono serio." - sbuffò spike - "Forse lo ammetto perché mi sono stufato di sentire la tua predica. Ma lo pensavo anche prima che tu ti lanciassi a farmi sentire uno schifoso ingrato."

Che poi, probabilmente, sono anche. No, meglio non dirlo, questo.

Nemmeno una risposta. Braccia incrociate ed espressione arcigna.

"faith…" - spike prese fiato e perse autocontrollo probabilmente nello stesso momento - "Se non senti l'indispensabile contrizione nella mia voce, allora sturati le orecchie!"

Faith lo squadrò ancora e si risedette. Sembrava che, una volta raggiunto l'obbiettivo, fosse sparita anche la sua bellicosità.

Con una mano buttò indietro i capelli e lo guardò, con un'espressione tollerante.

"mi dici perché stai sdraiato sul tappeto della palestra, con tutti posti a sedere che ci sono in questo albergo?" - chiese, con un sospiro - "e non prendere questo cambio di argomento come un perdono. Non mi sembra il caso di infierire…"

ed era meglio non chiedere il perché di una tale decisione, ragionò spike. Sarebbe potuta iniziare una nuova corroborante discussione.

"sono venuto a fare a pugni con il sacco." - spiegò il vampiro, sedendosi di fronte a lei - "Per chiarirmi le idee. Devo aver esagerato e mi sono sdraiato qui. Pensavo di ricominciare… ma qualcuno mi ha interrotto…"

"See..raccontala ad un altro…"

""Ero stanco. Non è reato."

"per tua fortuna, no." - commentò sarcastica faith. Poi, dopo una pausa - "spike, hai almeno trovato quello che cercavi?"

"Facendo a pugni?"

"Era una domanda seria…"

spike la squadrò. Buffo. Più ancora dell'ultima volta sentiva una certa sintonia con la ragazza. Non provava disagio a sederle di fronte, a parlare. E sapeva così poco di lei, di quello che realmente pensava. Faith era solo un nome in conversazioni poco lusinghiere, un termine di paragone per traditori e rinnegati.

Nulla di ciò che sapeva gli aveva dato un'idea della forza e della volontà che sembrava possedere.

Assolutamente nulla.

E, nei racconti di angel, Faith non era altro che un'inspiegabile dolcezza.

Come se tutti loro non sapessero imprigionarla dentro una definizione.

 

Una Cacciatrice. Ancora una persona, una persona nuova, per una vecchia ossessione. Una vecchia ossessione, cominciata con una discussione.

 

Un'altra costola rotta. Angelus non perdeva tempo, quella sera. Spike sentiva le ossa andare in briciole come biscotti vecchi. E più sentiva male, più rideva.

Non gli importava niente dell'invito ad essere più accorto.

Un'insulsa e violenta predica. Inascoltata, fino all'ultima frase. Sentita, scivolando lungo la parete contro cui era stato ancora una volta sbattuto.

"se non ti do una lezione io…" - mormorò Angelus, con un calcio nello sterno - " Te la darà una folla inferocita!"

Si voltò per andarsene. Con un'ultima frase.

"Oppure la cacciatrice."

Per fermarsi, quando una domanda lo colse di sorpresa.

"Che cos'è una cacciatrice?"

 

E da quella volta ne era stato ossessionato.

Perdutamente innamorato.

"Per tutti i vampiri la parola cacciatrice è sinonimo di puro terrore." - avrebbe poi spiegato a Buffy, più di un secolo dopo - " Ma io non mi nascondo. anzi, vado a cercarla. se puoi divertirti con la morte e la gloria cosa c'è di meglio…"

 

ed ora un'altra Cacciatrice. E nuove domande da porsi.

"Combatti con me." - si sorprese a chiedere.

"Rispondimi…"

"No, Faith." - replicò, alzandosi - "combatti con me, combatti e trova da sola la risposta."

 

Si alzò per tenderle la mano.

Faith, con lo sguardo verso di lui, pose la propria.

 

Uno innanzi all'altro.

Guerriero contro guerriero.

Vampiro contro cacciatrice.

Spike molleggiava sulle gambe, come un pugile pronto alla lotta. Faith, ferma in difesa, attendeva la mossa.

Lentamente, girando in cerchio, studiandosi.

Rilassati, con il passare dei minuti.

Complici nello stesso gioco.

Intenti a fissarsi con la stessa ironia. Senza derisione.

 

"in un gioco pericoloso, la prima mossa può portare la vittoria…"

"hai ragione, Cacciatrice. E siamo due spiriti focosi… non senti la pazienza venire meno?"

"Forse, Vampiro, forse. Ma lascerò a te il piacere dell'attacco. Mi devi una risposta…"

"Sono retrò, l'hai detto tu stessa. Pertanto…" - disse, fermandosi ed esibendosi in un perfetto inchino - "Prima le signore."

Le tese la mano.

E si sarebbe detto la stesse invitando al valzer della sua vita.

 

Il sangue le pulsava nelle orecchie. Il ritmo la travolgeva.

Non si sarebbe voluta fermare mai. Ed anche se avesse provato, non sarebbe riuscita. Mai.

Mai in vita sua, un avversario tanto degno.

Qualcosa di perfetto. Quasi liquido, imprendibile.

Faith colpiva, lasciava che il suo corpo rispondesse.

Ed era veramente come se stessero danzando.

Lo vedeva in Spike, nel suo sorriso.

Un colpo.

Un colpo.

Senza mai sfiorarsi.

La cingeva per la vita, le permetteva di volteggiare.

Non era un avversario. Era un complice. Un alleato.

Era colui che le permetteva di balzare in alto ed essere precisa nel portare a segno l'attacco.

Colui che poteva scivolare via in un soffio, nell'istante stesso in cui faith esultava per averlo colpito. E spike sorrideva di questo, come un predatore. Fulmineo.

 

Wes saltò gli ultimi tre gradini. Teneva le scarpe in mano e si allacciava la camicia.

Ma cordelia non sembrava allarmata come avrebbe dovuto essere, a ragion di logica…

Non erano stati attaccati?

Non c'era qualcuno, all'Hyperion, che stava distruggendo, picchiando e demolendo?

 

A quanto sembrava, no.

 

C'era il suono della battaglia.

 

Ma non c'era la battaglia.

 

Si era alzato per niente?

 

Cordelia gli passò sui piedi, finendo di annodarsi i capelli. Sulla porta dello scantinato, appoggiato allo stipite, stava Angel.

E sembrava ci stesse già da parecchio.

Cordelia accennò un colpetto di tosse e, debitamente ignorata, si protese a dargli un colpetto sulla spalla.

Il minimo, per riuscire almeno a parlare con il suo profilo.

"Io e wes vorremmo vedere…" - spiegò, con una gentile spintarella, perché scendesse le scale e facesse posto ad entrambi.

Westley restò impalato, con le scarpe in mano. E cordy, affacciandosi, ancora un istante e con un'unica occhiata, lo distolse da dubbi amletici.

 

Gli occupanti dello scantinato non furono molto interessati all'arrivo di un pubblico tanto perplesso.

Non importava.

Non a spike.

Non a faith.

Angel entrò addirittura nella sala, lasciando i gradini a cordy, seduta, con le mani alle guance. A wes, con una scarpa abbandonata vicino ai piedi nudi.

Abbandonata e dimenticata, come quella che ancora stringeva tra le dita.

Angel camminò lungo la parete e sedette sul tavolo, le gambe a penzoloni, le mani giunte. Ed il silenzio.

 

O forse la musica.

La musica creata dai corpi dei combattenti.

Faith e spike.

Spike e Faith.

Si inseguivano e si univano.

Come se, da un momento all'altro, i loro corpi dovessero fondersi, scivolare uno nell'altro. Senza che almeno uno prevalesse.

Faith era la cacciatrice che non si piegava innanzi all'Uccisore.

La sua maestria era pari solo alle parole che gli osservatori avevano sprecato su di lui. Non c'era metafora o termine che fosse puro diletto letterario.

La maestria impeccabile. La tecnica perfetta.

Semplici relazioni, rapporti su un giovane vampiro biondo dal nome altisonante. William the Bloody. Spike.

Semplicemente spike.

Più che un chiodo, una lama troppo affilata.

C'era qualcosa in lui che si esprimeva soltanto nel confronto diretto con le cacciatrici. Nel corpo a corpo.

Angel si imprimeva ogni suo movimento nella mente. Li conosceva. Li aveva subiti, parati e insegnati.

Spike aveva fuso le capacità del suo sire con un'eleganza ed un entusiasmo per la lotta che andavano ben oltre quello che i presenti riuscivano a concepire.

Spike era la lotta.

Anima e sangue. Mai come ora più simile ad una cacciatrice.

Un colpo. Ancora uno.

Senza il dubbio di dover smettere.

Instancabili.

Essere colpiti e non esserlo.

La stessa cosa.

Colpire.

Subire.

Rialzarsi.

 

E, su un ultimo passo, il desiderio fuggevole di sapere cosa passasse nella mente dell'altro.

Vicini.

Troppo vicini.

Faith, il suo sguardo verso il volto di Spike.

Finendo con il tuffarsi fin dentro i suoi occhi.

 

Lo sbaglio.

 

Senza rimedio.

 

La consapevolezza di ritrovarsi a terra, con il peso di un uomo addosso.

Vederlo.

Vedere le sue braccia ai lati della propria testa.

Le loro gambe intrecciate.

I loro corpi.

Ancora quegli occhi.

 

Ed il sorriso.

 

"Sei morta, cacciatrice."

 

Prima di chiuderle la bocca con un bacio.

 

Rimase a terra, senza tentare nemmeno di proferire verbo, mentre lui si rialzava e, con un passo indietro, si fermava a fissarla.

Ansimava appena, con le mani sui fianchi, i muscoli ormai coperti da un sottile velo di sudore. Gli occhi brillanti.

La mente di faith corse al contesto, alle persone apparse da chissà dove. Chissà quando.

La palestra.

E spike ancora fermo, assolutamente incurante di tutto.

 

E…

 

Fu in quel momento interminabile, che a Wes cadde di mano la scarpa mai infilata.

Per permettere a tutti di fissarlo.

"Bene Price." - disse Spike, incrociando le braccia, mentre ciuffi impertinenti di capelli gli piovevano sul viso - "è il tuo unico commento?"

"Non credo di conoscerne uno migliore, al momento." - replicò serio l'osservatore.

"Permetti un suggerimento…." - spike si chinò a raccogliere la sua roba ed avanzò verso di lui - "…. 'e nel corpo a corpo so danzare la danza di Ares crudele'."

Lasciò la sala, stringendo la maglietta tra le dita. Salendo le scale.

Lasciò Angel che sorrideva, a capo chino. E westley, impegnato a chiedersi quando mai un verso omerico fosse stato meglio citato.

 

 

II

 

Seduto sul cornicione.

Fumo di sigaretta.

Rumore di passi.

"Sai, angel, ti ricordavo più silenzioso…" - constatò, senza nemmeno voltarsi.

"Non avevo nessun motivo per non farmi sentire…" - replicò pigramente l'altro, andando ad appoggiarsi al parapetto -"bentornato.."

"see, certo, sei convincente quanto faith." - ribattè spike, scenerando in strada.

"A differenza di faith, io sono contento sul serio…"

"Come se ci fosse un buon motivo."

"hai trovato quello che cercavi?"

"ma tu e lei ve le studiate insieme le domande?" - scattò, girandosi a fissarlo. Incontrando i suoi occhi scuri.

"No." - gli sorrise, appena - "ma siamo probabilmente molto banali."

Spike chinò lo sguardo e soppesò le risposte pungenti che sorgevano spontanee. Poi, con una certa dose di autocontrollo, si accinse alla risposta.

"qualcosa ho trovato." - mormorò, vago. Poco convinto, forse.

"Ne sono lieto."

Era nuovamente in forma, constatò, con un'occhiata fuggevole. Aveva, nei limiti del vampiresco, un aspetto sano.

Spike lo squadrò, ancora. Gli sarebbe piaciuto, tutto sommato, raccontargli le cose che gli erano passate per la mente in quel periodo di lontananza. E quello che disse, infine, assomigliava più ad una giustificazione che ad un resoconto.

"Volevo che faith capisse che sono ancora io. Che sono Spike, che ciò che ero, ciò che sapevo fare…" - il concetto gli sfuggiva di mente, proprio mentre cercava di esprimerlo - "Non si trattava di brutalità, ma di arte. Io… avevo bisogno di ricordarmelo."

Angel non disse nulla, concentrando lo sguardo in strada.

Lasciando che continuasse. Sbirciando le motivazioni di spike dallo spiraglio che si stava aprendo.

"Angel, io dovevo dimostrare a me stesso che l'anima non faceva di me un rammollito. Dovevo credere in quel dannato umano che ero e che adesso vuole tornare a dire la sua. Scoprire che in lui c'era qualcosa che valeva la pena di sentire, che la sua anima valeva più del rimorso. Volevo l'autostima." - dondolava i piedi, in preda ad un certo nervosismo. E nella sua espressione non c'era traccia del combattimento appena vinto - "Ed anche se sono partito con il piede sbagliato, e Faith ha ragione a chiamarmi lurido cafone, so che l'ho fatto per un buon motivo. E ti chiedo di tenerlo presente, quando mi darai una spinta e mi butterai di sotto."

"William." - angel si voltò a guardarlo in faccia - "Non ho intenzione di lanciarti di sotto. E ti chiedo scusa se non ho capito e ho continuato a deprimerti facendo il super protettivo. Mi è bastato vederti in azione stasera per rendermi conto di quanto tu sia in gamba. Una volta ancora. E, vorrei aggiungere, la prima in cui posso anche dirtelo."

Spike abbassò gli occhi, per rialzarli subito.

"Sei veramente un artista, William." - insistette Angel, prima che una battuta gli rubasse l'occasione - "Sei un combattente nato e la fama che ti sei procurata è ben meritata. Non ha a che fare con la tecnica o con la concentrazione. Sei tu. Tu e basta. faith è stata sconfitta dal tuo spirito. Come le cacciatrici che l'hanno preceduta."

"ho solo approfittato di un piede in fallo." - rispose Spike, cercando di essere incurante. Tentando di non riportare alla mente la conversazione con Buffy sull'argomento.

Tentando, ma inutilmente…

Il Bronze. Folla,confusione, musica inudibile eppure assordante. E buffy.

Appoggiata ad un tavolino, con gli occhi in fiamme.

"Vieni al punto, spike. Due cacciatrici morte. Una in Cina,durante la rivolta dei boxer. Ed una a new york. Tutte due uccise da te. Vuota il sacco e avrai la grana."

"Bene, vuoi sapere come ho fatto fuori le cacciatrici e vuoi saperlo subito." - si aggiustò comodamente sullo sgabello, giocherellando con il boccale quasi vuoto - " Semplice, abbiamo lottato ed io ho vinto. Ecco tutto. E adesso pagami."

Ma non era abbastanza. Buffy era un osso duro. Già lo sapeva. Ma ora c'era in lei qualcosa di molto simile all'istinto di sopravvivenza.

"Non mi hai detto niente." - insistette la ragazza, con tenacia.

"ma cosa vuoi da me! un documentario? o un film di kung-fu da studiare a memoria?" - spike le rise apertamente in faccia, per irritarla, obbligarla a scoprire le carte - "Non è una questione di colpi segreti…. e dato che ho deciso di venirti incontro, faremo a modo mio."

 

Non si era mai spiegato quell'improvviso desiderio di parlarle. Come se qualcosa in lui volesse portare chiarezza in quel desiderio incontrollabile che si portava dentro.

Per la prima volta, da lungo tempo, una cacciatrice innanzi. Ed il desiderio di ucciderla a parole.

 

E la voce di angel, a distoglierlo…

 

"faith non ha messo un piede in fallo, William. Faith ha cercato di carpire il tuo segreto. E si è persa nei tuoi occhi. Io non sono stato presente alle due uccisioni che ti hanno reso famoso. Ma penso di sapere che cosa vedono le cacciatrici; il loro sbaglio sta nel lasciarsi sorprendere dalla tua motivazione. Non cadono innanzi alla brutalità ed alla violenza, rimangono sorprese dall'obbiettivo che consegui. Sono le prescelte, il più delle volte ci massacrano perché sono educate a farlo. Non combattono con noi, combattono contro loro stesse. C'è qualcosa in fondo ai tuoi occhi che…" - angel tacque un istante - "Vedono la stessa cosa che ho visto io quando ti ho vampirizzato."

Fu come sentir passare una scossa elettrica lungo la schiena. Spike si mise a cavalcioni del parapetto.

"Di cosa stai parlando?"

"della tua Iniziazione , William." - Angel lo fissò dritto negli occhi, sperando, di tutto cuore, di dargli ciò che ancora stava cercando - "Nell'altra mia vita sono stato un pazzo ed un assassino. Ma anch'io sapevo riconoscere il talento. Tu volevi il potere che potevo darti. E per me l'importante era concedertelo, per poi umiliarti e spezzarti. Ma non ci sono mai riuscito. E non perché mi è mancato il tempo. Non ci potevo riuscire. Sei molto in gamba, William. E lo eri già da vivo."

"Non sai niente di quello che ero!" - scattò spike, saltando nuovamente sul tetto. Sentendosi fermare dalla stretta di angel, sul braccio.

"Hai ragione. Adesso so che amavi l'Iliade. Tanto a ricordartela anche dopo più di centocinquant'anni. So che sei fantasioso, si vede da come ti muovi. Ed ho anche notato che la tua ironia è rimasta intatta."

"ti posso assicurare che da vivo ero tutt'altro che ironico!"

"E allora? Non mi pare tanto male aver imparato qualcosa in tutto quel viaggiare! Io me ne sono andato dall'Irlanda che sapevo leggere a stento! E ti assicuro che è stato angelus, il primo ad avere bisogno di un libro." - angel non accennava a lasciarlo andare - "spike non è mai stato migliore del William che eri. Era semplicemente privo del rispetto. Ha fatto di tutto ritenendosi un dio. E, nel suo altissimo egoismo, se è sopravvissuto, deve rendere grazie all'umano che era ed alle sue capacità."

Spike non aveva più intenzione di andarsene. Si appoggiò al parapetto, ed angel allentò lentamente la stretta.

"Non sarai mai più un innocente, William. Non potrai mai più ignorare l'oscurità che esiste sulla terra. Volente o nolente, ne fai parte. Ma adesso sei nuovamente vivo. E non hai motivo di rimpiangere il vampiro che eri. Perché…" - e qui il sorriso fu spontaneo come il lampo di ironia nello sguardo - "è meglio il sapore di un bacio che lo schiocco di un collo che si spezza."

 

Faith era ancora a terra. A gambe incrociate, intensamente assorta a ripercorrere i movimenti. Del tutto incurante di westley che, con un espressione quasi identica, rifletteva su quanto visto.

Westley, più recettivo della cacciatrice, a rendersi conto che due uomini stavano nuovamente scendendo la stretta scala dello scantinato.

Silenziosi.

Come le domande di faith.

Dove?

Dove stava lo sbaglio?

Fu sorpresa quando angel si chinò, fino ad entrare nella sua visuale.

"Ho sbagliato qualcosa, Angel." - ammise, in un soffio - "Non fosse stato spike mi sarebbe stato fatale. Mi stavo impegnando al massimo."

"Lo so." - sorrise incoraggiante il vampiro - "Ma combattere con l'Uccisore delle cacciatrici è una partita troppo affascinante, non credi?"

angel si girò verso la porta dove, fermo sull'ultimo gradino stava spike.

E nella sua espressione c'era qualcosa che faith non avrebbe potuto decodificare.

Spike era colpito.

Sorpreso da una verità che gli era sfuggita. Era stato talmente preso dal volersi misurare, ancora una volta, con una cacciatrice, da non badare alle motivazioni che potevano avere guidato faith ad accettare.

Faith voleva misurarsi con lui. Anche Faith non era stata capace di resistere alla sfida. Il dubbio che lui non fosse più il leggendario Spike non l'aveva per niente sfiorata. Non aveva pensato che l'anima nuovamente in quel corpo potesse aver ridotto o addirittura spento le sue capacità di combattente.

Faith contro il Sanguinario. Contro William.

Non un vampiro menomato.

Spike si sentiva stupido. Lusingato, ma stupido. Aveva combattuto con faith per dare una risposta. E ne aveva avuto in cambio una consapevolezza del tutto nuova.

Una completezza che non sapeva di avere.

Nel combattimento nulla era stato nuovo.

Le sensazioni erano state le stesse che aveva provato nella sua vita da vampiro.

Eppure era cambiato il fine ultimo, in una sua sfumatura.

Combattere con una cacciatrice.

Sconfiggerla.

Non ucciderla.

E domani, magari, combatterla di nuovo.

 

"Sentiamo vampiro." - lo incalzò Faith, accorgendosi della sua presenza - "Dove avrei sbagliato?"

"cacciatrice…" -replicò quasi automaticamente spike - "Con me non avevi possibilità già in partenza…"

Il buon vecchio spike…. Una risposta degna di lui. Del vecchio lui. Di quello che buffy era andata a cercare, dopo essersi quasi fatta sfondare lo stomaco da un vampiro che non aveva nulla delle motivazioni e dello stile di Spike.

A caccia di una risposta per la brutalità subita.

Sorpresa da una raffinata filosofia di vita.

"E sentiamo… il motivo di tale onnipotenza?" - lo provocò faith, rimettendosi in piedi e spolverandosi il retro dei pantaloni. E riportandolo indietro dai suoi pensieri,m una volta ancora.

Spike incrociò le braccia ed abbassò lo sguardo.

Quale era dunque la risposta?

Un piede in fallo?

Un talento naturale?

Tenacia?

Motivazione?

Casualità?

 

Faith ed Angel aspettavano entrambi la risposta.

Angel, addirittura, con le mani in tasca, ed un'espressione assolutamente interrogativa.

Si sarebbe detto che, in fondo allo sguardo perennemente serio, brillasse una lucina perfida.

 

Ancora ricordi.

 

Ancora Buffy.

 

"Una volta aperte le danze non ti fermeresti mai.

Ti svegli ogni mattina con l'interrogativo che ti ronza nel cervello.oggi sarà il giorno della mia morte?

La morte ti sta alle costole e, prima o poi, ti piomberà addosso.

Una parte di te lo vorrebbe, per mettere fine alla paura e all'incertezza. Perché sei innamorata della morte.

La morte è un opera d'arte, la modelli con le tue mani, giorno dopo giorno, fino all'ultimo respiro. Ah, quel senso di pace. Parte di te lo vuole disperatamente.

Come sarà?

Dove ti porterà?

Ora lo vedrai…

Ecco il segreto: non è nei pugni che non hai dato o nei calci che non hai sferrato. Loro lo hanno voluto.

Ogni cacciatrice desidera la morte.

Anche tu… anche tu.

 

L' unica ragione per cui duri da tanto tempo è perché hai ancora legami sulla terra…

 

Ma stai solo rimandando l'inevitabile..

 

Presto o tardi, vorrai morire.

ed in quel momento, nel momento in cui lo vorrai, io sarò lì per te, a tutti i costi, io mi godrò il giorno speciale.

 

La lezione è finita…."

 

Una vita fa, spike aveva parlato a Buffy del perché una cacciatrice è destinata infine a morire. E, per quanto ci fosse un fondo di verità in quello che le aveva detto, lo aveva anche fatto per spaventarla.

Le aveva detto che si trattava di amore per la morte, semplice abbandonarsi alla necessità.

Saperla sempre alle calcagna. Conoscerne il logoramento.

Innamorarsene perdutamente.

Comprendere la morte ed arrendersi. Arrivare ad un passo da prevederne la mossa successiva.

Ed ora faith…

 

"Lezione numero due. Fa domande precise.

Vuoi sapere come ho vinto?

La domanda non è come ho vinto, ma piuttosto come loro hanno perso."

"E c'è differenza?"

"C'è un enorme differenza…"

 

"non farmi un'altra domanda, faith. Abbiamo combattuto perché volevi una risposta da me…" - spike camminò, fino ad unirsi a loro - "Allora, ho trovato quello che cercavo?"

Rimase fermo una frazione di secondo. E faith lo stupì una volta ancora.

Allungò la mano e l'afferrò, per il mento. Lo obbligò ad alzare lo sguardo, a fissarla in viso. Lo guardò lungamente negli occhi e Spike si domandò se avrebbe sentito le parole fluire via dalla propria mente, se faith gli avrebbe carpito un segreto, prelevandolo direttamente dalle sue iridi chiare.

Per poi lasciarlo andare.

Sorridergli.

"hai perso faith perché hai dubitato." - sussurrò, senza smettere di guardarla - "hai smesso di credere in quello che facevi. Probabilmente hai avuto paura del perché io combattessi con te…"

 

Angel lo guardava. Aveva paura spike?

Oh sì….

Spike stava insegnando qualcosa ad una cacciatrice.

E qualcosa, in lui, gli sussurrava quanto fosse pericoloso.

Spike svelava un segreto… lo aveva già fatto?

 

"Combatti e polverizzi i miei simili ogni notte. Ti hanno detto che è giusto, ti hanno spiegato il modo per farlo." - immobile, senza camminarle intorno come sua abitudine - "Ti hanno detto che lo puoi fare. Anche senza un perché. Sei la prescelta. Qualcosa, nel tuo dannato bagaglio genetico, ti dice che è la cosa migliore da farsi. E tu lo credi…"

 

"Quanti vampiri riconoscono le tue doti?"

"Sempre troppo pochi." - rispose buffy, appoggiandosi al biliardo. Inconsapevolmente eccitante, nella sua sicurezza.

"Allora andiamo avanti. Puoi ucciderci a centinaia, a migliaia di migliaia, insieme a tutte le legioni infernali… ma a noi basterebbe che uno, solo uno, prima o poi, ottenesse quello che vorrebbero tutti…"

"e che cosa sarebbe?"

"sarebbe…" - le aveva sfiorato il collo con le labbra - " un giorno speciale…"

 

"i vampiri ti combattono perché sei l'acerrima nemica. Ma non ti vengono a cercare. Sei tu che vai a cercare loro. L'hai detto tu stessa… in un gioco pericoloso la prima mossa può portare alla vittoria… allora io muovo prima di te." - Faith girava su se stessa, per seguirlo. Era nuovamente un predatore. Camminava, in cerchio, mentre Angel arretrava per lasciargli spazio.

"Scacco matto alla Regina."

"la partita è persa quando cade il re…"

"Hai ragione… il re deve cadere. Il re è la tua vita. Ma è la regina la tua azione. Il tuo perché. Ed io punto a lei. Se tu stai andando in una direzione, io sarò là prima di te. Io sono un qualsiasi pezzo della scacchiera. Io valgo meno di te, probabilmente. Ed il mio vantaggio è il tuo non sapere quale io sia."

La sua mano scattò in avanti. Ma faith la schivò. Tornando immobile, al centro della stanza.

"Molto bene, cacciatrice. Guardati intorno. Ma ricorda. Sei nel labirinto degli specchi."

La voce alle spalle, ma il colpo da davanti.

Pronta, a schivare il colpo di Angel.

 

Il colpo di… angel?

 

"Lezione numero uno…

una cacciatrice non deve mai abbassare la guardia.

Io sono sempre in agguato…"

 

Spike si stava sfilando la maglietta, alle sue spalle. Angel, a torso nudo, già la fronteggiava. Westley, raddrizzatosi di colpo, li seguiva entrambi con lo sguardo. Una volta, allo zoo di Londra, li aveva visti muoversi così.

I leoni, intorno ad un gatto.

"Vedi? Chi vedi faith? Il pericolo dov'è? È la voce alle tue spalle? è il vampiro che hai di fronte?" - la canzonò Spike, prima di tornare a colpirla - "Sulla scacchiera possiamo muovere un pezzo solo alla volta… eppure, uno alla volta, giungiamo a circondarti."

 

"Essendo un vampiro, non ho niente da temere…

Ho un solo obbiettivo…

e quello sei tu."

 

"io combattevo contro di te. Nessun altro, Spike." - ringhiò faith, tendendosi innanzi ad un gioco che le appariva sottilmente perverso.

Una lezione innanzi a cui aveva chiuso gli occhi, per troppo tempo.

"Hai ragione, faith. Eravamo solo tu ed io… certo, tu ed io. Oppure no… il mio corpo, la mia mente, la mia… anima." - l'ammissione spontanea fece vacillare per un istante la retorica, interrompendo la frase.

Angel lo fissò, sorpreso, al di sopra della spalla di faith. La ragazza, addirittura, girò su se stessa, per vederlo in viso, per dare un'espressione consapevolezza giunta dopo l'ammissione.

" Il tuo corpo, la tua mente, la tua anima." - l'incoraggiò, abbandonando la posizione di difesa - "contro il mio corpo, la mia mente, la mia anima."

"Esatto." - annuì Spike - "più componenti su un'unica scacchiera per due volontà differenti. Cacciatrice contro vampiro. Il re è il corpo. La mente e l'anima, come un tutt'uno, sono la regina…"

Ed è la regina che decide la sorte del re.

"Comprendi faith?" - intervenne Angel.

 

Nella sua vita non aveva mai ucciso una Cacciatrice. Ma conosceva il segreto.

Era stata buffy a sussurrarglielo. Angel aveva imparato ad uccidere la cacciatrice nell'amore che le doveva.

Angelus aveva serbato per sé orgogliosamente quel grande imbroglio. E nell'istante in cui avrebbe potuto sfruttarlo, con la spada in pugno, ai piedi di Acatla, l'anima aveva frenato la sua mano. Il re come mezzo, la Regina contro se stessa.

Un'ultima beffa della sua esistenza di demone.

Angelus non aveva mai potuto uccidere una cacciatrice perché non conosceva l'amore. E conoscere l'amore gli aveva impedito di uccidere.

Solo chi fondava la sua esistenza sulla passione poteva comprendere il grande mistero. Spike, caduto tra le sue braccia per il cuore umano irrimediabilmente spezzato.

Uccisore senza casualità. Portatore di un segreto potente, sorto dalle profondità di un pozzo pieno di peccati. Ed ora in superficie.

Passione.

Semplicemente passione.

Ed il più grande odio come droga indispensabile.

 

"Comprendi faith?" - angel si ripetè, alzando lo sguardo verso spike, in attesa di approvazione - "non è stato quello che non hai previsto a decretare la sconfitta. Bensì quello che hai capito. L'hai visto, vero faith? Tu hai visto…"

"La prima volta è stata ordinaria amministrazione,ma la seconda è stato un tocco di classe…"

Hai visto nei suoi occhi.

Come me hai visto quella forza.

"E' stata la notte più bella della mia vita, anche se ne ho avute di più dolci…"

Sei caduta innanzi a lui.

Aveva un buon motivo per batterti.

"…Il tuo problema è che sei così invincibile che hai cominciato a ritenerti immortale…"

Ha combattuto con te perché volevi una risposta.

Hai perso nell'attimo in cui hai compreso di essere la risposta stessa…

"Tempo fa, c'era lei…"

Negli occhi ho visto me stessa.

"Era in gamba, un vero osso duro. Che battaglia… avrei ballato con lei tutta la notte…"

"perché, noi stiamo ballando?"

"Non abbiamo fatto altro…"

Faith si girò, fino a trovarsi di fronte a spike. Diede le spalle ad Angel. Ed attese.

Ma nessuno dei due l'attaccò.

Spike abbassò lo sguardo, ancora, prima di rialzarlo e fissarla.

"La risposta è sì, Spike. Tu hai trovato quello che cercavi."

Me stessa.

E spike le sorrise.

"Anche tu, cacciatrice. Anche tu."

 

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Capitolo 4
*** 04.Oltre al Destino ***


Oltre al Destino

 

I personaggi delle serie "Angel" e "Buffy, the vampire slayer", appartengono a Joss Whedon, la WB, ME e la Fox, l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

 

"Cordelia stai bene?" - Angel si protese a sfiorarle un braccio.

"Sì, credo di sì. Ma faccio brutti sogni in questo periodo."

"Sogni?"

"Uhm" - annuì la ragazza, con aria assorta- "C'è sempre un uomo, un essere incappucciato."

"E poi?"

"E poi combatte ed arriva davanti a me, e alza le braccia. E non capisco, se vuole farmimale. Mi mostra i palmi. Ma potrebbe fulminarmi, o che so io!"

"E…"

"E mi sveglio, Angel, mi sveglio con una gran angoscia."

Cordelia schivò il fendente. E finì per terra.

Angel se la cavava altrettanto bene. Schivava i colpi, ma si stava ugualmente riempiendo di lividi. Combatteva forsennatamente, sicuro di potercela fare anche se la situazione era disperata.

Stava in mezzo alla mischia, vampiro contro vampiro.

Con un occhio sempre puntato verso la sua pseudo-segretaria, perché non si facesse male, perché nessuno le facesse male.

Come un tempo sorvegliava Buffy.

Il pensiero quasi lo distrasse. Per poco non gli costò caro. Intervenne nel combattimento, polverizzò uno di quei cadaveri ambulanti e si diresse verso Cordy. Di colpo la situazione degenerò. Cordy arretrò senza riuscire ad alzarsi, fino ad avere le spalle contro il muro.

Adesso c'era qualcosa di malsano nell'aria. Lo poteva sentire.

Lo respirava.

Dal nulla era apparsa una spada.

I vampiri se la passavano, da uno all'altro. Come se fosse

qualcosa da preservare più della propria non esistenza.

Una spada…

Un essere incappucciato…

Di colpo il gelo, Cordelia si sentì paralizzare, il gelo le correva dentro come impazzito. Non riusciva a levarsi dalla vista annebbiata quella dolorosa immagine, di un uomo incappucciato che combatteva e uccideva.

Angel non lo vide. Stava correndo verso di lei, volteggiava come un falco, planando tra i suoi simili, per massacrarli.

Lui, il reietto che uccideva la maggioranza.

Cordelia non riusciva a muoversi, perché alle spalle di Angel avanzava quella figura, combattendo, uccidendo i non-morti con colpi sicuri.

Verso la spada. Quella spada sembrava assorbire ogni loro pensiero. Cordelia la vedeva, da una mano all'altra, da una mano all'altra, sempre più pericolosamente vicina. Faticosamente si rimise in piedi, frastornata, senza riuscire a staccarsi dal muro, strisciando le spalle, la schiena.

Angel non la perdeva di vista. Talvolta fissava Cordelia, ignorava la spada, interessandosene solo ogni qual volta permaneva nella sua visuale.

Cordelia.

Non era indifesa come pensava.

Ma andava protetta.

Perché poteva morire.

Quel pensiero lo raggelava. Cordy, morta, stesa in un lago di sangue.

Senza possibilità di riaverla indietro.

Cordy.

La sua Cordy, tanto rompiscatole, così premurosa con quel suo sano egocentrismo. Ora la spada gli interessava di più.

Da una mano all'altra le era giunta vicino.

Ma Angel non poteva sapere di quell'ombra alle sue spalle.

E Cordy non riusciva a vedere altro. Un uomo incappucciato, con le mani alzate. Ed una spada, con la lama scura ed oleosa.

Oleosa.

Adesso notava quel particolare.

Qualcosa che aveva già visto.

In un sogno.

Ma vedeva quell'aspetto della questione solo ora, che la spada era di fronte a lei.

Alzata al di sopra del suo capo.

Non riusciva a muoversi.

Come nel peggiore degli incubi, la spada ruotò, al di sopra della sua testa e Cordy ne vide la punta, mirata al suo petto.

Le sue membra si bloccarono, la limitarono a brevi millesimali movimenti, poco più di tremiti, come per sfuggire appena da un colpo inevitabile.

Ma la spada stava calando, lanciata, destinata a penetrare nel suo cuore.

Cordy chiuse gli occhi, stretti, girò la testa.

Attese.

Angel stava urlando?

Qualcuno aveva urlato.

Un urlo di dolore, di impotenza.

Disperazione.

Il raschiare di una lama sull'osso.

La sua cedevole pressione nell'attraversare la carne.

Un attimo più tardi il battito del suo cuore la sorprese.

Il suo cuore.

Batteva.

Forte.

Perché era viva.

Aprì gli occhi. Perché il suo primo pensiero fu la spada.

La lama si era conficcata nel muro, leggermente spostata rispetto al suo petto. Era passata al di sotto della sua ascella, come se qualcosa l'avesse deviata.

Appariva lucida.

Lucida di sangue.

Cordelia era stordita, stordita tanto da non riuscire a riunire i frammenti di un'immagine.

L'immagine di Angel.

Angel posava le mani ai lati della testa di Cordelia, si sorreggeva, con i palmi sulla superficie del muro.

Il muro a cui la spada l'aveva inchiodato.

Il mantello, il suo lungo cappotto scuro ancora volteggiava. Le gambe leggermente divaricate, le braccia tese, per non schiacciarla, per reggere la pressione del colpo.

Ed il suo sangue, che correva lungo la lama.

"Attenta, non toccarlo." - le sussurrò appena, consapevole di come potesse essere un veleno per lei. Lei, che ora lo fissava atterrita.

Il colpo era a pochi centimetri dal suo cuore. Il suo prezioso cuore, quella spanna di petto che doveva proteggere, quell'organo che era il suo tallone d'Achille.

Povero Angel, tanto sicuro di poter sopravvivere. Che non avrebbe conosciuto morte ma solo dolore nel farsi inchiodare ad un muro.

Ma qualcosa non andava.

Gli ci volle una frazione di secondo per accorgersene. Mentre i suoi pensieri venivano inghiottiti da tenebre torbide.

Cordelia gli passò sotto il braccio, come una furia, nell'istante stesso in cui perse i sensi, lasciandogli nel buio una fuggevole scia del suo profumo.

Doveva difenderlo.

Dall'uomo incappucciato.

Nella mischia sempre più vicino. Il vampiro che aveva colpito Angel si frapponeva tra di loro. Disarmato. Atterrito, all'idea di aver perso quella spada tanto preziosa, rimasta incastrata tra tendini e pelle.

Baldanzoso, per il fatto di saperla in quel fodero.

Ammutolito, nell'attimo in cui divenne polvere. La mischia si diradò. Fuggivano, i pochi superstiti. Incapaci di ultimare il lavoro, semplici fantocci, alla morte dei loro leaders.

Certi dell'aver assolto il loro compito.

Ed uno alla volta morivano.

Prima di essere troppo lontani.

Massacrati dall'uomo incappucciato.

Lo stesso che ora si stagliava di fronte a Cordy. Con le mani alzate, i palmi aperti verso di lei. E Cordelia, con il solo pensiero di proteggere Angel, inchiodato laddove sarebbe dovuta essere lei. Proteggerlo come poteva.

Nell'affrontare il suo incubo.

L'incubo che alzava le mani.

Per levarsi il cappuccio.

Lo tirò indietro, con forza, stupito.

Stupito, nell'attimo in cui capì.

Perché Cordy, sotto quel cappuccio, non aveva visto i suoi occhi trasparenti.

Perché non aveva riconosciuto la sua voce, nell'attimo in cui aveva urlato, nell'istante in cui aveva creduto di essere arrivato tardi.

Doyle.

 

Il suo Doyle.

Tornato dall'inferno.

Cordelia stava piangendo, e non lo sapeva.

I lacrimoni sbucarono all'improvviso e Doyle li baciò, afferrandola e stringendola forte.

Non aveva tempo per spiegarle.

Non l'avrebbe fatto.

Non le avrebbe detto come. Ma perché.

O forse non avrebbe avuto bisogno di dirlo. Cordelia piangeva, rideva e soprattutto lo abbracciava disperatamente.

"Cordy, Cordy, non abbiamo tempo." - mormorò quel pazzo spirito irlandese, allontanandola appena- " Angel, devo pensare ad Angel."

Cordella annuì e gli occhi si dilatarono. Angel era ferito, ma immortale. Altrimenti sarebbe finito in polvere. Bastava portarlo a casa.

Ma la spada era oleosa…

"Veleno." - boccheggiò.

E Doyle annuì, con un lampo di agitazione in fondo allo sguardo.

 

Rapidamente Doyle s'insinuò sotto il braccio dell'amico. S'appoggiò al muro dove stava Cordelia ed ordinò:

"Ora."

Cordelia afferrò l'elsa con entrambe le mani e sfilò la spada, cercando di mantenere l'inclinazione d'entrata.

E chiudendo la mente, al suono atroce di una spada liberata dal fodero di carne.

Fuggevolmente pensò a Spike, salvato da Angel nello stesso modo, con il suo corpo, da un pugnale che non avrebbe dovuto colpirlo.

Pensò a quanto aveva odiato quel suono.

Un fiotto di sangue sgorgò, quando anche la punta fu lontana dalla ferita.

Angel si accasciò tra le braccia di Doyle, senza riconoscerle.

Inerte.

Doyle lo sostenne, addolcì lo scivolare verso terra. Quante volte, in quei mesi di lontananza, separati dalla vita e dalla morte aveva desiderato di stringerlo e rassicurarlo. Ma soprattutto, aveva desiderato che sapesse.

Sapesse che non era stato abbandonato.

Perché un amico non abbandona mai un amico.

Doyle si frugò tra le pieghe del mantello. Ed estrasse una fiala. La stappò con i denti e sputò il tappo lontano. La accostò a quelle labbra esangui.

Il sangue continuava a scorrere copioso dalla ferita e Cordelia fissava quelle due figure abbracciate ai suoi piedi. Ancora con la spada tra le mani.

"Questo l'aiuterà. Lo aiuterà." - le disse Doyle, frastornato dalla consapevolezza che si faceva strada- "Cordy, sono arrivato in tempo. In tempo. Starà male, male da morire. Ma vivrà. Vivrà."

Chinò la testa e chiuse gli occhi, un attimo. Solo un attimo di gioia, il primo che poteva concedersi.

Perché era lì.

Perché era con loro.

Perché adesso poteva rispondere alla muta domanda di quella meravigliosa ragazza, che, tremante, lo fissava.

"Sono tornato. Non me ne andrò più." -le sorrise birichino, alzando la testa- "A meno che non ci sia qualche atto eroico da compiere, mentre Angel si gode il meritato riposo."

 

Ma Angel non migliorava. E Cordy doveva aggrapparsi alla fiducia che aveva in Doyle.

E lo faceva con gioia.

Piangendo.

Posò la spada a terra e li abbracciò entrambi, con la mano di Doyle sulla ferita di Angel, perché il sangue non potesse nuocerle.

Sarebbero andati a casa, lo avrebbero protetto e rassicurato.

Perché ancora non sapeva che Doyle era tornato.

Angel non sentiva nulla.

Galleggiava nel nulla, nell'irradiarsi del dolore.

Si era reso conto di scivolare lontano, pericolosamente veloce.

Poi la sua caduta si era arrestata.

C'era stata un'esplosione impazzita vicino al suo cuore, metallo gelido era strisciato via come un serpente.

Una mano stava sul suo petto, riposava, appoggiato ad un calore solido.

Una presenza sembrava avvilupparlo.

Buffy.

Il primo pensiero informe.

Qualcosa di forte gli stava correndo in gola.

Sembrava che le labbra si sciogliessero al suo passaggio.

Darla. Il suo sangue.

Un turbine di pensieri.

Spike, la sua anima.

Profumo di donna, Drusilla, la sua bella follia.

E poi il nulla, il cadere disperato, affogando nelle tenebre.

 

"Aiutami. Da solo non ce la faccio." - Doyle sollevò Angel, afferrandolo per le spalle. Anche in quel frangente, Angel sembrava molto più solido di lui. Alto, spalle larghe.

Era una sensazione stranamente umana, il fidarsi poco delle proprie forze.

Cordy prontamente s'insinuò sotto il braccio del loro ferito ed afferrò la spada con la destra. Quando ce ne fosse stato tempo, l'avrebbe gettata personalmente in mare, come la gemma.

Non voleva saperne più nulla di quella spada che per un attimo aveva quasi distrutto le loro vite.

La vita senza Angel. Non poteva più neanche concepirla.

E senza Doyle…. Come aveva fatto a sopportare quel pensiero? Il suo cuore sembrava non aver mai smesso di urlare la sua impossibilità.

E Doyle era tornato. E stava lì, stringeva il suo amico, accasciato sul sedile posteriore della macchina, mentre Cordy si metteva al volante.

E la spada sempre lì, abbandonata.

Doyle si tolse il mantello e lo drappeggiò addosso ad Angel. Lo sostenne, gli fece posare il capo sul suo petto di demone e lo cinse con entrambe le braccia.

S'appoggiò allo schienale e fissò la città che sfrecciava oltre il finestrino.

Non gli importava di stare scomodo, non gli importava nulla, fino a quando quel corpo stava al sicuro, lì, con lui. Non l'avrebbe mai affidato a nessun altro.

Nemmeno a Cordelia.

Solo Doyle poteva proteggere Angel.

Solo Doyle.

Ed era per questo che era tornato. Aveva smosso terra e cielo, a partire da quando era stato consapevole di quel pericolo.

Angel sarebbe morto.

Il suo destino era scritto.

Ma cosa può il destino, se uno spirito irlandese prende in mano la situazione?

Nulla.

Nulla.

Ed Angel sarebbe vissuto.

E Cordelia non avrebbe dovuto piangere più.

E Doyle aveva una nuova vita da vivere.

Ed in cuor suo, sperava di essersela meritata. Perché mai, quel mondo tanto caotico ed incomprensibile gli era sembrato più affascinante.

 

Sapere che tutto sarebbe finito bene non li tranquillizzava affatto.

Angel aveva la febbre alta e non si svegliava. Apriva gli occhi e poi li chiudeva. La testa gli scivolava inerte sul petto ad ogni minimo scossone della macchina

La ferita era tamponata, ma ancora aperta. Doyle, frugando con il braccio libero nel bagagliaio, aveva trovato quei pochi farmaci che Cordy si ostinava a portare in giro per rattoppare, quando necessario, il povero Westley.

Già…

Come avrebbe preso, un povero ex-osservatore, la notizia di avere una nuova anima tormentata tra i piedi? Si sarebbe consolato, una volta tornato in città, all'idea che questo demone fosse più ottimista del suo capo-vampiro?

E poi c'era Cordelia….

Se non avesse avuto tra le braccia un vampiro troppo debole per ridere, gli avrebbe raccontato cosa pensava dei mesi a venire….

Ed Angel avrebbe detto: "Che cosa ho commesso per meritarmi tutto questo? L'inferno è niente a confronto… ed io lo so, perché ci sono già stato…"

 

"Aspetta, voglio prima medicarlo come si deve." - sussurrò Doyle nell'adagiarlo sul divano.

Lo privò della camicia mentre Cordy recuperava il necessario. Lavorarono in silenzio. Doyle ripulì la ferita, il taglio d'ingresso e quello d'uscita, poi lo fasciò stretto, mentre Cordelia bruciava i vestiti, compreso l'amato mantello.

Angel non l'avrebbe presa bene, ma Cordy, armata di comunissimi guanti di gomma e ben lontana dal fumo che si levava, pensava a quanto fosse rassicurante spargere la cenere dei vestiti e non quella di Angel.

Quando rientrò, sostò un istante sulla porta.

Angel era ancora sdraiato sul divano, le braccia abbandonate sul petto, gli occhi chiusi, la fronte aggrottata ed imperlata di sudore.

Doyle tornò indietro, non badò a Cordelia e si sedette sul bordo del divano, aggiustando la vecchia coperta su quel corpo scosso dai tremiti. Ed Angel aprì gli occhi.

E lo fissò.

Perché adesso lo vedeva.

E lo chiamava. Con un sussurro, appena.

Il cuore di Cordy ebbe un balzo. Doyle non disse nulla, nell'accogliere quel breve riconoscimento.

"Doyle." - disse Angel.

Nient'altro.

E Doyle tese una mano, la pose su quella fronte che scottava. Con le dita scostò quei ciuffi indisciplinati in cui Buffy amava impigliare le unghie.

"Non ti lascio." -rispose- "Sono tornato per restare."

Angel lo fissò ancora, deglutendo. Poi perse i sensi, e la testa gli scivolò da un lato. Doyle rimase fissarlo ancora, seduto dov'era, con un lampo di tristezza nello sguardo. "Non vi voglio più lasciare. Non me ne andrò più." -ripeté, solo per se stesso.

Cordy si coprì la bocca con una mano, ma il singulto fu lo stesso udibile. Una morsa si era chiusa intorno alla sua gola. Aveva paura. Paura di dovergli dire ancora addio.

Ed a nulla bastavano le braccia di Doyle, per rassicurarla, per scaldarla.

 

Il profumo di caffè…

Cordy aprì gli occhi e si stiracchiò.

Dopo tre notti, rannicchiata in una poltrona, iniziava ad avvertire qualche dolore muscolare.

Ma nulla l'avrebbe fatta andare via da quell'appartamento.

Perché lì dentro stava tutta la sua vita.

Angel non si era più svegliato. Non era mai stato lucido e non aveva mai smesso di delirare. Aveva chiamato tutti quelli che avevano un senso nella sua vita, aveva sussurrato il nome di Buffy.

E Spike, aveva urlato a Drusilla di lasciarlo in pace.

Aveva persino chiamato Faith.

Era come se percorresse la sua vita, istante dopo istante, tormentandosi con ricordi dolorosi e con volti di persone che erano state capaci di fissarlo negli occhi con mute domande.

Aveva invocato Cordelia, le aveva addirittura stretto le lunghe dita, in uno spasmo di dolore.

E Doyle. Doyle, che aveva avuto un gesto d'affetto per l'amico ogni volta che si era sentito chiamato.

"Ehi, uomo, finirai con consumarmi il nome" - gli aveva sussurrato, una volta, abbozzando un sorriso, nel passargli nuovamente una mano tra i capelli, sulla fronte, lungo la linea della guancia.

E Cordelia s'addormentava ogni sera, con la loro immagine negli occhi. Pensando a Doyle seduto sul bordo di quel letto. E s'addormentava solo se Doyle, con lo sguardo, la rassicurava.

"Tranquilla. A domani, quando ti svegli. Lo sai, sono qui."

Li proteggeva. S'addormentava seduto a terra, con le gambe incrociate e la testa appoggiata alle coperte di Angel.

Tenendo una mano tra le sue. Non rinunciando mai ad un contatto fisico, che superasse le tenebre che ancora li dividevano, che non lasciavano trapelare le parole che erano capaci di dirsi.

E quando si svegliava, per avere la situazione sotto controllo, copriva Cordy con una coperta, si concedeva un istante per guardarla, per ricaricarsi.

Perché l'amava. Ma non avevano tempo per parlarne; in certi momenti si abbracciavano, si stringevano uno all'altro, per ricordarsi che nulla sarebbe andato storto.

Anche se sembrava.

Ed ogni mattina Doyle preparava il caffè, lungo e nero e ne versava due belle tazze. E quando tornava, Cordy era sveglia, impegnata a stirare i muscoli, a guardarsi assonnata nello specchio.

Con un fuggevole istante di paura, temendo di sognare ancora, che profumo di caffè ed il tramestio in cucina non ci fossero. Con la paura di non vedere Doyle riflesso nello specchio, intento a varcare la porta senza rovesciare la loro colazione.

Si sedevano sul divano, oppure andavano sul terrazzo, serrando bene le tende, perché neanche un raggio di luce entrasse.

Ed era un piccolo gesto rituale che dava forza quasi quanto il caffè.

Parlavano, si scambiavano brevi battute, fingendo un attimo di tranquillità, prima di rientrare. Doyle si soffermava, la provocava con leggerezza, per farla sorridere ed ascoltava la sua risposta, scostando la tenda, gettando un'occhiata nella stanza.

Ed era così ogni volta, ad ogni pasto, in piedi, sgranocchiando qualcosa.

Cordelia si lamentava di quello che mangiavano, definendole schifezze caloriche.Gemendo per la linea che le sembrava di perdere, ogni volta che infilava la mano in un sacchetto unto.

"Vorrei vederti, dopo mesi di assoluta spiritualità" - ribatteva lui, addentando un panino, assaporandolo lentamente, allontanando la mente, prima di rituffarsi nella sua missione.

La vita era la vita. E tutto si poteva vedere con animo diverso, adesso.

E non poteva spiegarlo con parole che fossero comprensibili. Forse Angel avrebbe capito, Angel che aveva saputo vivere come un mortale per ventiquattrore, prima di rinunciare spontaneamente. Per amore.

Ma in fondo Doyle era morto per amore.

Almeno una volta nella sua vita.

Ed ora aveva di nuovo il tepore del sole. E Cordelia.

Ed Angel.

Ed ogni volta che ci pensava, doveva sfiorarli, per sapere che erano reali, che non erano un desiderio passeggero, inventato da uno spirito ormai privo di materia. Doveva sentirsi carne.

Doveva sentire la loro carne.

Il corpo palpitante di Cordy, le membra ancora inerti di Angel.

In quei momenti doveva respirare la loro consistenza, sentire la loro voce, il loro respiro.

E quando si svegliava dai suoi brevi e tormentati riposi, li cercava con lo sguardo, si posava una mano sul cuore.

E poi sul cuore di Angel, per assorbirne il battito.

 

Angel. Ancora una volta Doyle sbirciò dalla porta della cucina.

Cordy stava seduta sul ripiano, sorseggiava il caffè e sgranocchiava un biscotto, pigramente. Non era cambiato nulla.

Angel dormiva, forse di un sonno più tranquillo.

Ma ancora non succedeva nulla.

Sembrava una giornata uguale alla precedente.

La ferita era quasi rimarginata, ma la medicazione andava cambiata. Con infinita pazienza, Doyle lo avrebbe sorretto, mettendolo a sedere, per fargli scivolare tra le labbra ancora un po' d'antidoto. Poi Cordelia gli avrebbe portato un tazzone come quelli che stavano usando, colmo fino all'orlo di sangue.

Per nutrirlo, per dargli la forza di combattere e di ristabilirsi.

Come se fosse un'influenza, come se si trattasse di brodo bollente.

Cordelia stava lì, si sedeva sul letto, raccogliendo le ginocchia con le braccia, mentre Doyle parlava piano, tranquillo, nell'imboccarlo, gli raccontava qualche aneddoto.

Di tanto in tanto alzava i suoi occhi trasparenti, quanto bastava da inglobare Cordy nella sua visuale, assaporando quell'intimità.

Desiderando solo di rendere Angel partecipe. Come voleva saperlo seduto, a parlare, discutere.

A volte Cordy si sorprendeva a fantasticare. Immaginava la convalescenza di Angel, lunghi pomeriggi passati su quel letto, magari a colpirsi con i cuscini, per tenerlo allegro, perché non tornasse ad essere il cupo tormentato di ogni giorni. Fino a quando non ne avesse avuto la forza, ovviamente.

Perché, cosa poteva essere Angel senza le sue meditazioni, senza un'ombra a nascondergli il volto?

A Doyle mancava quello sguardo, lo sguardo triste di chi attraversa l'eternità con un fardello troppo grande per le sue spalle.

Un fardello che avrebbe volentieri condiviso.

Perché nessun altro poteva farlo.

Nessuno.

Né Spike, né Buffy. E Cordelia… Angel non l'avrebbe mai lasciato scivolare su quell'anima che gli sembrava tanto esile. Come se non si fosse mai rassegnato all'idea di quanto fosse forte e testarda la sua vanesia segretaria.

Quella bellissima ragazza che stava scalza, a fissarlo in silenzio.

Doyle gli parlava anche di questo, quando restavano soli. Gli parlava, come aveva fatto per tanti mesi, restandogli a fianco, senza essere visto.

Abbassava la voce e cercava di scivolare nei suoi sogni informi, per infondergli calore e protezione.

Perché smettesse di rabbrividire, di affondare pesantemente nel suo passato, tra le ombre.

Ma Angel non sapeva. La voce gli giungeva da lontano. Un sogno, soltanto più effimero perché più reale. Un sogno che l'avrebbe fatto soffrire, se fosse riuscito a svegliarsi.

E non poteva sapere che non era il primo.

Perché era il primo. Il primo che avrebbe potuto ricordare.

Perché Doyle non sarebbe più riuscito a cancellarlo.

Perché Doyle non era più un sogno. Perché anche Angel, galleggiando nel suo delirio, la riteneva una cosa impossibile.

Il pensiero più logico, per un vampiro con l'anima vegliato da un demone irlandese redivivo.

 

Quella notte la situazione degenerò all'improvviso. Angel scivolò pericolosamente giù per il baratro.

Qualcosa di ferale si risvegliò in lui. Qualcosa lo fece urlare, scalciare e contorcersi aldilà dell'umana comprensione.

Doyle lo fermò, s'appellò ad ogni sua forza, legandolo, scotendolo, tamponando la ferita da cui nuovamente zampillava il sangue.

E cacciò Cordelia, le disse di andar via, le gridò di stare lontana. Perché non voleva che vedesse tutto questo.

Non voleva che subisse.

E Cordy scappò, scappò dalla stanza e si rannicchiò in un angolo in cucina, tappandosi le orecchie come non aveva mai fatto, piangendo istericamente nel percepire, in fondo al suo animo, come Angel stesse barcollando in cima a quel muro che separa la terra dall'inferno.

 

Doyle la trovò lì, il mattino successivo. Rannicchiata a terra, con il capo tra le mani, appoggiata ad uno stipite del mobile.

Profondamente addormentata.

La sollevò e Cordy si fece piccola sul suo petto, bofonchiando il suo nome.

"Ehi, piccola." - le rispose, scostandole i capelli dal viso ancora segnato.

Ad un tratto sussultò. Si svegliò, tornando ad essere rigida.

"Angel!" - esclamò in un soffio.

Doyle la fissò.

"Preferivo Doyle." - replicò. Poi stirò il suo bel sorriso sottile- "Ma lui sta bene."

"Perché non me l'hai detto." - chiese lei, senza rancore, tornando a posargli il capo sul petto, lasciandosi trasportare fino al divano- "Perché non mi hai detto che rischiava ancora di morire. Pensavi che non potessi esserti d'aiuto."

"Non è stato un bello spettacolo." - Doyle si sedette, tenendosela sulle ginocchia, in un improvviso slancio d'intimità - "Volevo evitartelo. E sapevo che ti stavi preoccupando, indipendentemente da quello che ti avevo detto. Sei fatta così Cordy, avevi paura per lui già credendolo al sicuro. Io volevo risparmiarti un altro dolore."

Cordelia avrebbe voluto discutere, ma, d'altra parte, Doyle non aveva voglia di lasciarla parlare. Aveva qualcosa d'importante da dirle. Adesso.

"Perché se qualcosa fosse andato storto, se Angel fosse morto, avresti conosciuto il dolore dell'impotenza. E quella lenta agonia di avrebbe lacerato più di una guarigione finita in modo inaspettato."

"E così no?" - la sua voce suonava amara.

"No." - mormorò Doyle, stremato, seppellendo le labbra tra i suoi serici capelli, rassicurandosi con la loro morbidezza- "Perché Angel è vivo. E tutto andrà bene. Soprattutto adesso, che ti ho detto la verità."

Stettero così, parlandosi appena, sdraiati sul divano, carezzandosi timidamente. Doyle aveva delle profonde ombre scure sotto gli occhi, stravolto dalla stanchezza e dal dolore per ciò di cui era stato testimone.

Parlava appena di quello che era successo, lasciava uscire in un soffio brevi frasi, scarne descrizioni. Parlava dell'attimo in cui le grida si erano quietate e poi ancora, della lotta furibonda, del sangue aveva macchiato le lenzuola ed il pavimento.

Sussurrava le frasi concitate, gli spezzoni comprensibili che aveva sentito.

Le raccontava tutto quello a cui non aveva assistito, tutto ciò da cui l'aveva protetta.

E Cordelia lo viveva attraverso le sue parole, con il sollievo che poteva darle solo il risultato di quella battaglia.

Perché Angel e Doyle, a modo loro, avevano vinto insieme.

E qualunque fosse stata la loro sofferenza, non avevano dovuto dare una vita in cambio di un'altra, non c'era stato sacrificio che la loro sopravvivenza non avesse ricompensato.

Quella temporanea follia aveva parlato al cuore di Doyle. Un mosaico di situazioni si era ricomposto sotto i suoi occhi, nello strazio di Angel, le parole ed i suoi fantasmi.

I fantasmi che avevano cercato di afferrarlo e che un demone aveva scacciato.

Perché Angel l'aveva chiamato. Con tutta la forza che gli restava in corpo. Perché, senza saperlo al suo fianco, aveva creduto in lui e nel suo aiuto.

Perché, in tutti quei mesi non aveva fatto altro che sperare di averlo vicino, a guardargli le spalle, con quel gelo in fondo al cuore, con quel pensiero, sempre in agguato…

"Se ci fosse Doyle sarebbe diverso."

Ed era stato diverso.

Perché c'era Doyle.

Doyle, che con la sua dolcezza insegnava più della forza. Capace di non farsi sentire, con le sue premure. E Cordelia lo sapeva meglio di chiunque altro.

E non poté evitare di pensarci, con un sorriso, nel drappeggiargli una coperta indosso, quando si fu finalmente arreso al sonno.

Lo coprì, aggiustandogli un cuscino dietro il capo. Proprio come Doyle le aveva insegnato, senza una parola.

 

Ora dormiva. Dormiva il sonno del guerriero dopo lo scontro.

E Doyle lo lasciava solo più volentieri, per parlare con Cordelia, indaffarata a trafficare, da una stanza all'altra.

Come se l'affannarsi le permettesse di scaricare una tensione che non sapeva d'avere accumulato.

Senza smettere mai di parlare. Come faceva quando si erano conosciuti, per riempire ogni spazio vuoto che riusciva ad accaparrarsi.

Perché anche Doyle aveva voglia di parlare, di lasciar risorgere l'innato ottimismo, quello della sua prima vita. Perché ora poteva ricominciare a vivere. Come prima.

"Ma dormirà ancora per tanto? Io sono stufa, mi sono provata tutti i suoi vestiti… uh, guarda questo!" - esclamò, infilandosi un altro capo indescrivibile.

"Adesso si riposa."

"Ma lo faceva anche prima. Lui dormiva, noi lo fissavamo." - replicò petulante, immergendosi nuovamente nell'armadio.

"Ehi, ma sei sicura che Angel sarà soddisfatto di quello che stai facendo?" - le chiese cautamente, nel vedere un nuova pila di cianfrusaglie che rotolava sul tappeto.

"Ovvio. C'è polvere di secoli, qui dentro!"

E come darle torto…

All'improvviso qualcosa lo distrasse.

Una tensione lo travolse.

Anche Cordelia si accorse dell'anomalia; rimase inginocchiata, ma con la testa sbirciò oltre l'anta, giusto in tempo per vedere la schiena del suo demone che si allontanava. Ed un istante dopo, giunse l'urlo.

 

"Doyle."

Angel si levò di scatto sul letto. Ed una fitta lo piegò in due.

Si puntellò con la mano tra le coperte e si portò una mano al cuore. Per tastare le bende che sembravano soffocarlo.

Doyle.

Doyle.

Doyle.

Quel singolo pensiero gli martellava in testa, fino a diventare un rullio che scuoteva ogni singolo ed intimo componente del suo essere.

"Doyle." - sussurrò ancora, come una preghiera.

Una preghiera inascoltata, come altre centinaia di volte.

Eppure ritentò.

"Doyle."

Come lo aveva sentito vicino, nel brancolare in qualcosa che ancora gli sfuggiva. Non ricordava nulla, se non il vortice della follia. E Doyle.

La sua presenza, la sua voce, la sua forza.

La stessa forza con cui l'aveva stordito la notte in cui era morto. Per salvarlo.

Anche adesso lo aveva salvato.

Angel lo sapeva.

Ma c'era un altro dolore in agguato, un dolore che lo spinse a chiudere gli occhi, travolgendolo, insensibile della sua debolezza. Di colpo, Angel desiderò lasciarsi scivolare di nuovo tra quelle coperte, nasconderci il volto, fino ad aver esaurito ogni lacrima che potesse sgorgare da quella ferita che non si vedeva.

Eppure rimase seduto, a combattere la disperazione, come se fosse un giorno qualsiasi.

"Era solo un sogno. Come sempre." - mormorò.

 

"No, uomo. Non lo è." -Doyle si allontanò dallo stipite. Ed avanzò.

Passando dalle zone d'ombra.

Per vedere quegli occhi pieni di dolore levarsi su di lui.

Travolti.

Chiudersi, sotto lo sguardo più dolce che avesse mai conosciuto.

Lo sguardo di Doyle. Il suo tormentato spirito irlandese.

Silenzioso, leggero nell'accostarsi, nel sedersi in un posto che a lungo aveva occupato, a sua insaputa.

E le parole di nessuno avrebbero mai potuto rivelargli quel girotondo di pensieri, intorno a lui, alla sua malattia.

Avrebbe voluto chiamarlo per nome. Ma non ci riusciva. Perché non ci credeva. Perché era solo un fantasma, come tanti che gli si erano accostati prima di lui.

Era solo il fantasma di qualcuno che aveva ucciso.

"No, non lo sono. Perché è finito il tempo dei rimorsi." - gli rispose in un soffio.

Ed Angel lo guardò, con la vista appena oscurata. Oscurata dal dolore di non potergli credere.

Eppure tese la mano. Tese la mano verso quella che credeva un'allucinazione.

E non arrivò mai sfiorarlo, nell'attimo in cui le forze gli mancarono, nello scivolare appena in avanti.

Finendo tra le sue braccia, con il volto sul suo petto, per una volta ancora.

La prima che riuscisse a ricordare.

Come i sogni.

E si perse, in quel calore, in quel respiro sul suo capo, tra le mani che lo sostennero.

Naufragò in quell'emozione, nel riconoscere le proprie lacrime, nel parlare con i primi rauchi singhiozzi. Per quello scontro con la realtà, per il calore di quel corpo che aveva visto svanire in un lampo di luce.

Per la forza pulsante del suo affetto. Per quello di Cordelia, che si ritraeva dietro la porta aperta. E per quella singola parola, sussurrata da una voce profonda, tra i suoi capelli.

"Ehi, uomo…."

 

 

II

Gli bastavano quattro passi per fare una rampa di scale. Due gradini per volta, senza nessun rumore.

Era la sua grande vittoria degli anni novanta: camminava con gli anfibi senza farsi sentire.

Non era silenzioso come Angel, ma sapeva mantenere un certo stile. Era di ottimo umore. La sacca sulle spalle non gli pesava affatto. Era stato a Sunnydale, senza trovarla poi molto cambiata, in quattro mesi. E senza essere stato molto felice all'idea di doverci andare.

Ma Spike aveva alcune cose in sospeso.

Ed era ben lieto che quella tediosa vacanza fosse finita.

Soprattutto per quella fastidiosa sensazione… meno di ventiquattr'ore prima si era svegliato, di soprassalto, con il cuore in gola.

Qualcosa o qualcuno…

No, non riusciva a definirlo. Non riusciva nemmeno a liberarsene.

L'impressione che qualcosa fosse fuori posto. Ma il suo orgoglio gli aveva impedito di alzare il telefono e chiamare…

Chiamare chi?

Angel, che avrebbe sorriso del suo tono incurante e si sarebbe reso conto della nostalgia di casa che sentiva?

Cordelia, che avrebbe trovato il modo di fargli un terzo grado invadente?

Westley, in Inghilterra? Ma siamo matti?

E Faith? Faith non possedeva cellulare e, se si allontanava da Los Angeles, era per non farsi importunare….

La lista si assottigliava incredibilmente, con un approccio critico del genere. E Spike, con un po' di buonsenso, evitava accuratamente tutto ciò che l'avrebbe potuto mettere in polemica con la Cacciatrice.

A niente erano valsi orgoglio e ragionamento.

Spike aveva messo a posto le poche rimanenze ed era ripartito, il prima possibile.

Sulla porta s'imbattè in Cordy. Un colpo netto e l'afferrò, prima che gli sbattesse addosso.

La squadrò senza lasciarle le braccia.

"Allora gattina, posso baciarti?"

Cordy alzò lo sguardo e lo fissò negli occhi. E Spike la lasciò andare all'istante, aggrottando le sopracciglia. Al di sopra della spalla si muoveva una figura.

"Ciao Spike."

Doyle e Spike si erano visti una volta sola, fuggevolmente, in una situazione che entrambi preferivano dimenticare. Dimenticare, nella sorpresa di trovarsi uno di fronte all'altro.

Spike lo squadrò in silenzio e Doyle si lasciò osservare, con un leggero sorriso sulle labbra.

Incrociò le braccia e attese.

Spike appariva lo stesso di sempre, ai suoi occhi. Uguale ai racconti di Angel, tale e quale all'idea che Doyle si era fatto di lui. Biondo, baldanzoso ed ora leggermente sulla difensiva.

Ma con un'anima. Un'anima forte e piacevole da percepire, quanto quella di Angel.

Spike non era altrettanto sereno nei suoi ragionamenti. Doyle non era una risposta consona alla sua tensione. Non poteva essere quel suo ritorno,di cui per altro non sapeva nulla, a provocargli quell'agitazione.

Perché Doyle si trovava, redivivo, a casa di Angel?

"Finiscila, Spike. Io rispondo alle domande. E vorrei parlarti." - Doyle avanzò verso di lui. Tra loro stava ancora Cordelia. Immobile, come uno spartiacque, divideva le loro considerazioni. Ed aspettava, fissando il vampiro biondo.

Di colpo Spike si sentì invadere da una gelida rabbia. Non solo era tornato dal mondo dei morti; gli stava dando un ordine. Doyle gli aveva parlato come si parla ad un bambino. Strinse gli occhi e lo fissò meglio.

Era disarmante. Sorrideva, con quegli occhi grandi e profondi.

Ma dov'era Angel?

Spike non smetteva di fissarlo, domandandosi dove fosse il triste vampiro bruno, dove si fosse cacciato, lasciando a quei due il suo appartamento.

Come se avesse intuito ciò che stava per fare, Cordelia fece un passo indietro e posò le mani sulla cornice della porta, per sbarrargli il passaggio.

Doyle si mosse per interrompere quella che gli sembrava una dichiarazione involontaria di guerra.

"Spike." - insistette - "Vorrei parlarti un attimo."

Qualcosa non andava…

Angel non andava…

Di colpo, in fondo al cuore, si affacciò la paura. Cos' era successo che non potevano dirgli così, su due piedi?

E perché Doyle era lì?

"Andiamo, vieni."

Doyle si incamminò giù dalle scale, senza pensare neanche per un istante che Spike non lo seguisse. Cordy tese una mano per afferrare la sacca e Spike discese le scale, fino alla sala del piano di sotto.

Doyle si stava versando da bere. Anzi, stava versando da bere ad entrambi.

"Mi fa piacere rivederti. E mi fa piacere che tu abbia di nuovo un'anima."

"Finiscila, irlandese. Come hai fatto a tornare."

Doyle rise apertamente di tutta quella baldanza.

"Spike… fammi la domanda vera. Quella per cui vuoi una risposta…"

Era disarmante. Gli tendeva il bicchiere con un sorriso amichevole. Comprensivo, quello era il termine adatto.

Tutto il suo essere gli comunicava l'inutilità di essere ostile.

"Angel sta bene, Spike." - gli rispose. Senza attendere di sentirselo chiedere. "C'è un motivo per cui dovrebbe star male?"

"C'è stato. Ma è passato."

"Allora vado a salutarlo." - replicò Spike, girando i tacchi.

"Dorme."

Spike si fermò, continuando a mostrargli le spalle. Angel dormiva. A notte inoltrata. Angel dormiva e Doyle era tornato. E, qualunque cosa fosse successa, Spike non era stato presente.

Di colpo si sentì testardo e insensibile.

Doyle non aveva fatto nulla per provocarlo. Anzi, era stato chiaramente disposto ad un dialogo, prima ancora che si creassero impressioni sbagliate.

Doyle era disposto a dividere un'informazione con lui. E lo trattava da amico, quando non aveva nessun motivo per farlo.

E Spike, che tra i due maggiormente si era reso conto di quanto l'altro fosse importante nell'esistenza di Angel, si comportava in modo tanto egoista.

Studiatamente si girò, ruotando quasi sui tacchi. Tornò sui suoi passi e si protese a prendere il bicchiere dalle mani di Doyle.

Poi si sedette.

"Parliamo."

"E non partiamo con il piede sbagliato."

Doyle iniziò a parlare. Gli riassunse in semplici frasi la sofferenza degli ultimi giorni, la fatica e l'angoscia. Gli raccontò perché era tornato, ma non come. Non si aspettò domande ma diede risposte.

Quando gli sembrò il caso, infine, tacque. E stette in silenzio, per lasciargli assimilare ogni informazione.

Ad un certo punto del discorso, Angel era quasi morto. No, anzi, almeno due volte nel discorso.

Strano…

Il suo cervello faticava ad assimilare un'informazione di quella portata.

Angel… morto.

Angel era quasi morto.

Adesso la sua angoscia senza forma aveva almeno un nome.

"Cosa hai sentito, Spike? Me lo vuoi dire?"

"Nulla. Non ho sentito nulla."

"Non hai sentito il suo richiamo? Non ci credo."

"Ed anche fosse? Non è a te che devo rendere conto!" - scattò furioso.

"Neanche a lui, se è per questo. Secondo me gli farà piacere vederti."

Nulla sembrava scalfire la sua calma ed il buonumore. Lasciava semplicemente che Spike gli inveisse contro. Perché non poteva negargli il diritto di sfogarsi.

Invece Spike stava immobile e lo squadrava, girando tra le mani il bicchiere.

"A cosa pensi."

Doyle voleva sapere cosa pensava. Non l'aveva veramente chiesto, non c'era stata intonazione interrogativa nella sua voce. Era come se volesse solo fargli notare che era presente, disposto a parlare di qualsiasi cosa gli passasse per la testa.

"Pensavo a quando sono salito in macchina con Angel e sono venuto a Los Angeles. È stata la prima volta in cui abbiamo veramente parlato, da quando ci conosciamo. Abbiamo parlato perché ci andava di farlo. Ed Angel mi ha raccontato cose che non sapevo.

Mi disse che in un momento buio della sua vita aveva scoperto di avere un Angelo custode. Che non importava con che nome si facesse chiamare, perché arrivava sempre, quando meno te l'aspettavi." - Spike si sentiva la bocca impastata, come se le parole non volessero uscire - " E mi disse che, con quell'accento irlandese, si permetteva di dire qualunque cosa gli passasse per la testa."

Doyle chinò il capo e rise, sommessamente, di quell'affermazione. Si spostò una mano sugli occhi. Anche la sua risata era come lo sguardo: profonda. Modulata e sincera.

"Allora, Cantastorie…" - Spike aveva uno sguardo fermo e profondo - " Con quale messaggio sei arrivato, questa volta?"

"Nessun messaggio. Avevo lasciato alcune cose in sospeso. E non potevo accettare la morte di Angel. Tu saresti restato impassibile?"

"No. No. Mai. Ma io sono Spike, e tu sei il suo custode."

"E' vero. Ognuno ha il suo compito. Ed entrambi sappiamo come svolgerlo, direi."

"Tu credi?"

"No, Spike. Io non credo. Io so. È il vantaggio di essere un redivivo." - Doyle alzò gli occhi al cielo - " Le mie fonti erano molto, molto, molto… affidabili."

Fu la volta di Spike di sorridere. Il conflitto a fuoco era scampato.

"Perché non vai a tirare giù dal letto l'eroe? Io ne approfitterò per portare la mia bella a mangiare una fetta di torta al cioccolato."

"Ottima idea."

"Non strapazzarlo. E non lasciarti infinocchiare da quella faccia comprensiva che si ritrova. Deve stare a letto e deve mangiare. Ci sono due contenitori in frigo."

"Sì, mamma."

Doyle, già a cavallo della porta e con la giacca in mano, si voltò a rivolgergli un sorriso di intesa.

"Avrai le tue risposte, Spike. Quando avremo testa tutti e due, quanto basta per fare le persone serie. Ci vediamo."

L'Hyperion sembrava uno spazio tranquillo scavato nel silenzio. Spike risalì le scale. Con meno baldanza di prima, ma con il cuore più leggero. Cordy lo guardò ancora un istante, prima di seguire Doyle fuori dalla porta.

L'aria pungente le tormentava le guance. E Doyle, come se lo sapesse, le strinse un po' di più la sciarpa.

Era una serata speciale. Era la prima volta che usciva con Doyle.

Il loro primo appuntamento.

Sembrava strano. Ma era proprio così.

Con un sospiro soddisfatto si insinuò sotto il suo braccio.

"Principessa, hai quella faccia."

"Quale faccia?"

"Quella di chi ha incastrato un povero diavolo e sta per papparselo."

"Un povero demone, vorrai dire."

"Giusto. Un povero demone. È giusto. Ma non potevi negare di avermi preso all'amo? Sarebbe stato carino…"

Aveva l'aria afflitta. E Cordy, sensibilmente, gli assestò una gomitata. Leggera, ma pur sempre una gomitata.

Rideva. Ed era felice.

"Ah, principessa. Sapessi com'è, vivere senza una vita! Scopri un sacco di cose, ma non puoi assaporarle…" - la sua espressione era estatica, nell'alzare lo sguardo ai lampioni ed alle finestre illuminate.

"Doyle. Tu sapevi di Spike?"

"Sì, lo sapevo."

"Doyle, tu hai a che fare con Spike?"

"Questa è una gran bella domanda… a che fare con Spike come?"

"Doyle! Ma che domande, con la sua anima! È arrivata un giorno e non è più andata via! Angel l'ha accoltellato e poi…"

"Sì, lo so."

"come sarebbe a dire che lo sai?"

"Bhe, sai, l'eternità è lunga, il tempo passava, avevo voglia di vedervi…"

"Doyle!" - esclamò Cordelia, fermandosi di botto - "Tu ci spiavi."

"Spiare! Che parola grossa!" - il suo tono suonava vagamente offeso.

Cordelia lo squadrò. Poi aprì e richiuse la bocca come un pesce.

"Non stiamo litigando vero?"

Aveva una paura matta di rovinare tutto.

"Ma certo che no!" - replicò allegramente, rinfilandosi Cordy sotto il braccio - "Litigare noi? È un sano scambio di opinioni! Dunque, fammi capire: tu mi chiedi se io ho a che fare con il ritorno dell'anima di Spike."

"Esattamente."

"Non proprio. Non ho provocato io il ritorno dell'anima di Spike. Mi sono rallegrato molto quando è successo, ma non sono stato io. Io sono un povero demone senza potere decisionale. Ma…"

Doyle si fermò, con aria birichina ed un dito sulle labbra.

Cordelia sostò a fissarlo, incrociando le braccia. Le veniva tremendamente da ridere. E, in un attimo, si ritrovò tenuta per il collo. Doyle aveva ricominciato a camminare e parlare.

"Ma si potrebbe dire che Spike ha a che fare con il mio ritorno."

"Che cosa?"

"Io, Cordelia, sono la terza opzione. Spike sarebbe dovuto morire, quella notte, a Sunnydale. Ma Angel l'ha salvato. Ed ha segnato il suo destino. Ha scambiato il suo con quello di Spike. Ed è qui che entro in gioco io."

"Tu hai cambiato il destino di Angel."

"Esatto."

"Troppo semplice."

"Come scusa?"

"E' troppo semplice. Chi morirà al posto di Angel?" - il tono di Cordelia suonava pieno di leggerezza. Chi, chi si sarebbe dovuto sacrificare?

"Semplice. Io."

Il cuore le divenne un pezzo di ghiaccio.

"Aspetta, aspetta. Non come credi tu. Io non morirò, principessa. Il destino mi deve una vita. Io sono già morto una volta. E benché sussista ancora un certo qual margine di rischio per cause violente, non morirò di certo a breve scadenza."

"Ed allora come?"

"Tu mi darai qualcosa che mi appartiene."

"Io non ho niente di tuo, non…"

Si sbagliava. Le bastò iniziare a negare per ricordarsi che possedeva qualcosa di Doyle. Possedeva il suo dolore, la sua più grande paura. Doyle le aveva lasciato il suo potere.

Le sue visioni.

Il dolore lancinante che martellava le tempie riempiendogli la mente di urla e facce contorte. Cordelia sapeva come potesse essere profondo il coinvolgimento con le immagini.

Odiava avere visioni. Ma odiava anche doverle sapere nella testa di Doyle.

"Sono stato costretto, allora. Non avrei mai voluto, principessa. Ma ne andava della vostra vita. E della vita di chissà quanti innocenti."

"Doyle, no. Non puoi…"

"Sì che posso. È il prezzo che devo pagare per restare. Quello e la memoria delle cose che ho visto e sentito dall'altra parte. Non proprio tutto, ma parecchio."

Cordelia si sentiva una pena infinita in fondo al cuore. Gli occhi di Doyle, dietro il sorriso, erano tristi ma sereni.

"Sapere ed essere in pace con il mondo non è come stare qui con te con la testa piena di dolore. È molto, molto, molto peggio. Sono disposto a tutto per avere sere come questa almeno tre volte la settimana. Diamine, non c'è paradiso abbastanza felice per compensare la tua assenza."

"E quella di Angel."

"Ovvio. Io sento sempre la mancanza di Angel. È triste, cupo e tormentato. Tutti dovremmo avere un avvilito pensieroso in qualche angolo di casa." - Doyle la cinse con entrambe le braccia fino a sentire il suo peso sul petto - "Restituiscimi il dolore, Cordy. È un prezzo che posso pagare."

Le sue labbra si avvicinarono e si dischiusero. Cordelia lo sentiva tremare.

Ma lo baciò ugualmente. Con amore. Tutto l'amore che aveva rimpianto di non avergli trasmesso la prima volta.

Quando le loro labbra si separarono, gli occhi di Doyle erano ancora chiusi. Un'espressione strana gli brillava sul volto, come se un nuovo peso si fosse posato sulle sue spalle, come se sentisse una voce che nessun altro poteva percepire.

Doyle era in ascolto di qualcosa. Le sue palpebre vibravano appena. Tremava, e respirava appena. Cordy l'abbracciò stretto, fino a quando non si sentì ricambiata, fino quando non sentì la sua testa sulla spalla, il volto nel collo di pelliccia del suo giaccone.

Una coppia qualunque, all'angolo di una strada silenziosa.

 

L'appartamento di Angel era immerso nella penombra. Nel salone il silenzio ed il buio erano quasi opprimenti. Cordelia era uscita, lasciando accesa la lampada vicino al divano.

Il leggero cono di luce illuminava i passi di Spike, appena attutiti dal tappeto.

La porta della stanza era socchiusa. Ma una luce brillava anche al suo interno.

Era tanto che non entrava in camera di Angel.

Era sobria, ordinata, molto diversa da quella di Spike, dall'altro lato del pianerottolo. Spike, a confronto di Angel, era una personalità prorompente.

Quaderni, libri, spartiti.

La chitarra, e vestiti dappertutto.

Angel aveva un grosso armadio, pieno di roba accuratamente piegata. Scaffali con testi rilegati allineati con cura.

L'essenziale.

La sua vita si svolgeva con poca privacy nella sala su cui si affacciava la stanza. Laddove tutti potessero trovarlo, piombando a qualunque ora del giorno e della notte. Una sala in cui tutti portavano confusione ed oggetti. Una sala in cui si respiravano la presenza di tutti loro, coralmente.

Una delle luci sul comodino era accesa. Angel dormiva, sdraiato sul fianco e volgendo le spalle alla luce.

Aveva il torace fasciato.

Spike fece cautamente il giro del letto. Sulla poltrona,nell'angolo, stavano un cuscino ed una coperta, ancora impregnati del profumo di Cordelia. Ma intorno al letto era più tenue, benché ci fosse un secondo cuscino, incurantemente gettato sulla moquette. Un cuscino su cui poteva aver riposato solo un demone con lo sguardo fatto di pensiero.

L'espressione di Angel era attraversata da una vena di dolore. La ferita doveva dargli ancora qualche fastidio, a giudicare dalle rughe appena visibili sulla fronte, dalle ombre sotto gli occhi.

C'era profumo di lacrime in quella stanza. Lacrime di vampiro.

Spike lo sentiva chiaramente. Si tolse il giaccone di pelle e lo lasciò scivolare sulla poltrona. Poi tornò verso il letto.

In effetti aveva una gran voglia di svegliarlo. E magari di prenderlo a calci, per la paura che gli aveva fatto provare. Oppure poteva sedersi a fissarlo, per assimilare fino all'ultimo frammento di quella grande verità. Angel non era morto.

Se non ci fosse stato Doyle, Angel sarebbe morto, in qualche vicolo, tra le braccia di Cordelia. E Cordelia con lui.

Avrebbe perso una parte della sua famiglia. Lui e Faith sarebbero stati orfani di nuovo. In balia di un osservatore troppo compito.

Si fermò, indeciso sul da farsi.

Un passo avanti ed uno indietro.

Poi qualcosa lo distrasse.

Sembrava aver freddo.

Senza pensarci, si chinò verso di lui ed afferrò un lembo di coperta.

Lo coprì fino al viso e, quando le mani furono vicine, Angel aprì gli occhi.

Come se una scarica fosse passata, dalle loro cicatrici.

Spike si sentì come un bambino colto sul fatto.

"Dormi, è solo un sogno." - gli disse, frettolosamente.

Ed Angel, di rimando, sorrise.

"Ciao William."

La sua voce era quella di sempre. Era contento di rivederlo, alzava lo sguardo verso di lui senza alcuna traccia di imbarazzo, per il ritrovarsi in un letto, con il temibile Spike che gli rimboccava le coperte.

Spike lasciò andare il lenzuolo e si sedette a terra, a gambe incrociate. I loro sguardi erano alla stessa altezza. E quello di Spike mandava scintille.

"Ma si può sapere cosa cazzo ti è saltato in mente?" - scandì - "ti sei quasi fatto ammazzare non appena ho girato l'occhio."

"Se è per quello, in effetti, penso che sarà un'accusa che mi rivolgeranno in parecchi." - già Westley, al telefono, in chiamata internazionale, aveva urlato. E senza parsimonia.

"Io… sono furioso con te."

"La prendo come una dimostrazione di affetto."

"Fa' come vuoi." - con un'alzata di spalle, Spike chiuse il discorso e si fece sbollire la rabbia.

"Come è andata a Sunnydale?"

"Tutto uguale in provincia. Tutto bene. La Cacciatrice massacra. I massacrati non si pronunciano."

Angel abbozzò un sorriso. Spike cercava di fare battute e si nascondeva dietro la rabbia. Spike era spaventato. E, tanto per cambiare, non poteva ammetterlo.

"Ho incontrato Doyle."

"Ti aspettava."

"Ha detto che dobbiamo parlare."

"Lo so."

"Ed immagino che saprai anche cosa deve dirmi."

"Non tutto. E comunque ciò che deve dirti lo saprai direttamente da lui. Mi ha detto solo alcune cose che riteneva dovessi sapere,prima che le dimenticasse."

"E perché dovrebbe dimenticarle?"

"Deve pagare un prezzo per restare." - Angel cercò i puntellarsi su un braccio ma Spike l'obbligò a restare sdraiato - "Riavrà anche le visioni."

"Buon per Cordelia. Stai sdraiato, disgraziato." - la sua mano stringeva quasi il collo di Angel. Con tutte quelle bende non era certo di sapere di preciso dove fosse la ferita. Ed infilarci la mano…

"Sto bene, William. Puoi anche calmarti."

"Ah! Doyle mi aveva avvertito."

"Doyle cosa?"

"Ha detto di non farmi fregare dalla tua faccia comprensiva se tentavi di alzarti."

"E magari ti ha detto di farmi mangiare."

"Certo. Ed io ho fame. Ha lasciato due flaconi, vado a prenderli."

Si alzò e sparì. Angel lo sentì correre giù dalle scale e non poté trattenere un sorriso ed una smorfia di dolore, nel mettersi un braccio sotto la nuca.

Tutto sommato aveva combinato un bel pasticcio. Aveva creato una confusione cosmica di enorme portata.

Risultato? A letto, in convalescenza, con Spike e Doyle intenti a viziarlo come due perfette balia svizzere.

Era qualcosa di molto vicino ad un incubo.

Oppure era la felicità…

 

"Come ti senti?"

"Come se qualcuno mi avesse prima svuotato e poi farcito come un tacchino."

Camminavano sul marciapiede, lentamente. Il braccio di Doyle le pesava appena sulle spalle. Ma Cordy sapeva benissimo come Doyle stesse opponendo resistenza alla sola idea di appoggiarsi veramente.

Era pallido. Ma allegro.

Le gambe lo reggevano appena. Ma fingeva ugualmente di essere allegro.

"Principessa, non ti pare che quel gradino abbia proprio un aspetto comodo?" - suggerì, dirigendosi verso l'ingresso di una casa.

Alla fine non avevano mangiato la fetta di torta. In compenso Doyle aveva vomitato fin l'anima. E questo spiegava il colorito verdognolo.

Cordy l'aiutò a sedersi e poi si accomodò a suo fianco. "Dovrei fare l'inventario delle mie idee a questo punto. Non ci capisco più niente." - bofonchiò, massaggiandosi la testa con aria imbronciata.

Cordelia lo squadrò. Poi, con un gesto del tutto naturale e perfetto, scoppiò a ridere, nascondendo la testa tra le braccia.

"Oh, grazie, amore."

"Scusa, scusa…."

"…ma non riesco a smettere…"

"…e' il primo appuntamento…"

"…più strano della mia vita…"

Doyle rimase interdetto. Era vero. Era il loro primo appuntamento.

Non ci aveva pensato.

All'improvviso si sentì un idiota ed un insensibile. Talmente preso dalla sua missione…

"Cordelia, io non ci avevo pensato. Non mi è venuto in mente che fosse la nostra prima uscita ufficiale. Oddio, potevo almeno aspettare fino a domani, oppure almeno a fine serata."

"Sì, certo, così avresti potuto vomitarti la torta di mirtilli che pregustavi di mangiarti."

Cordelia non riusciva a smettere di ridere, si asciugava le lacrime, non riuscendo a distogliere la sua attenzione dalla comicità della situazione

Per la prima volta, da quasi un anno, si sentiva leggera; qualcosa di molto simile a ciò che provava al liceo, prima di Xander, prima di Buffy e prima del crollo finanziario.

Era felice. Aveva Doyle.

E le visioni se ne erano andate.

Rideva, anche se l'espressione di Doyle continuava ad essere molto contrita.

"Nessuno" - singhiozzò - "Mi ha mai detto così tanto carine, prima di cominciare a vomitarsi anche le budella."

Doyle cambiò espressione. La sua bocca si allargò in un enorme sorriso. E presto le sue risate si unirono a quelle di Cordelia, nella strada deserta.

 

 

III

Una porta sbattè.

E Spike si alzò di scatto.

Con un balzo saltò il divano, passando sopra Angel, che abbassò sorpreso la rivista. Doyle, ad un passo dalla porta, frenò per lasciarlo passare.

"Lo dico io alla Cacciatrice!" - urlò Spike, facendo a perdifiato la rampa delle scale.Doyle rimase un attimo interdetto, al centro della stanza, poi girò su se stesso e si risedette in poltrona. Angel, rinunciando al giornale che stava sfogliando, lo guardò, con un'allegra rassegnazione nello sguardo.

"Sono giovani, Doyle. Esuberanti…"

"Ehi, Cacciatrice!"

Spike fece l'ultimo tratto di rampa scivolando sul corrimano. Arrivò in fondo, saltò a terra e afferrò Faith per la vita.

Per coinvolgerla in un turbinoso girotondo.

Faith contrariamente al suo carattere, gli si aggrappò al collo e rise. Gettando la testa indietro e lasciandosi travolgere da quel benvenuto. Gli occhi le brillavano mentre Spike, altrettanto libero, la teneva stretta e vorticava nella hall come una trottola.

Quando finalmente la rimise a terra, i loro sorrisi non si erano ancora spenti.

Faith lo guardò, posandosi provocante le mani sui fianchi. Poi, con un sospiro rassegnato, lo stese.

Lo mandò lungo tirato sul tappeto.

"Spike." - mormorò a mo' di scusa, inginocchiandosi vicino a lui - " E' stato il più bel benvenuto a casa che io abbia mai avuto. Grazie."

"Allora perché me lo sono prese?"

"Perché neanche in un momento tanto bello puoi mettermi le mani sul fondoschiena senza permesso." - spiegò pazientemente.

Spike rimase interdetto a fissarla. Poi, con un sorriso sardonico stampato sul muso, mormorò.

"Come sono contento di vederti."

 

Faith, mettendo da parte il suo senso dell'onore, gli tese una mano e lo aiutò a rimettersi in piedi.

"Allora, Spike, cos'è che devi dirmi?"

"Non per allarmarti, ma Angel ha cercato di nuovo di farsi ammazzare e questa volta c'è quasi riuscito…"

"Che cosa?" - a Faith il seguito non sembrava interessare, mentre gli girava le spalle e si incamminava.

"E visto che nessuno di noi era qui, è arrivato Doyle."

Faith frenò con entrambi i piedi, sbarrando gli occhi, presa in mezzo tra la verità che le veniva gridata alle spalle e quella che si ritrovava innanzi.

Sul pianerottolo, appoggiato alla balaustra, stava il redivivo. Dietro di lui, con le braccia conserte, un Angel di ottimo umore.

"Bentornata." - le disse piano, con un sorriso aperto.

Faith finì di salire le scale.

"Allora nemmeno tu sai stare fuori dai guai. Si è sfatato il mito dell'eroe tutto d'un pezzo…"

"A quanto pare…" - concordò Doyle, osservandola - "Faith, piacere di fare la tua conoscenza. Ho sentito molto parlare di te."

"Chissà con che termini lusinghieri." - commentò sarcastica la ragazza - "Chi parla di me, di solito, lo fa urlando."

"Faith!" - urlò Westley spalancando la porta del piano di sopra e affacciandosi - "Ma è mai possibile che tu prenda libri senza avvertirmi e senza restituirli mai al momento opportuno? E se mi fossero disperatamente serviti? E tu ! nemmeno sei rintracciabile! Dove sei stata?"

"Appunto" - mormorò Faith, guardando in alto.

Doyle la guardò ancora con un sorriso a fior di labbra. Sotto i pantaloni di pelle e la maglietta nera strappata, c'era un fisico da adolescente, solido e pieno, ma quasi privo delle curve e del movimento che Cordelia portava come un miracolo.

Faith non era un manico da scopa, anzi, tutt'altro. Ma, agli occhi di Doyle era troppo giovane e con uno sguardo troppo grande. E Doyle non aveva dubbi in merito a come la vedesse Angel.

Faith fissò Angel, poi si protese e gli diede una spinta amichevole sul braccio. Giusto per accertarsi che non fosse un'illusione, giusto per premere sulla sua solidità.

"Allora, tutto ok?"

"Non ascoltarli, era cosa da poco."

Spike non era dello stesso parere, nel passare tra di loro brontolando. Ma ebbe la decenza di stare zitto.

"Allora vado a posare le mie cose e a farmi una doccia." - concluse Faith, noncurante.

Dal piano di sopra Westley la chiamava ancora. Gemendo sui suoi libri e disperandosi per il disordine. La sua voce giungeva attutita dalle pile di scartoffie ammucchiate in ogni angolo.

"Qualcuno vuole dire a Westley che Io starei lavorando?" - urlò Cordelia, spuntando dalla sala del piano terra, con le mani sui fianchi - "Perché se lui vuole continuare ad ordinare libri per corrispondenza, Io devo far quadrare i conti!"

E per risposta Spike uscì dalla sua stanza, infilandosi la giacca di pelle.

"Io vado a fare a pugni, qualcuno vuole venire?"

"No grazie." - urlarono tre voci da tre stanze differenti.

"Ciao gente, buona serata." - aggiunse Spike, passando nuovamente tra Angel e Doyle, ancora immobili sul pianerottolo, prima di scendere fischiettando. E di sbattere la porta.

"Angel…"

"Dimmi Doyle."

"Ma tu non eri quel tipo ombroso e solitario che prediligeva i posti silenziosi?"

 

L'Hyperion era nuovamente silenzioso. Da lontano giungevano solo le note un po' stonate della radio di Cordelia, che finivano con il confondersi con il baccano assordante del locale sull'angolo.

Angel stava di nuovo sdraiato sul divano, con le braccia incrociate dietro la testa e l'aria assorta.

Seduto nella poltrona a fianco, con le gambe incrociate e l'aria compita, stava Doyle. "Dunque, mi parli pure della sua infanzia…" - esordì serio e con voce vagamente nasale.

Angel si girò ridendo dell'espressione altera dell'amico.

"La mia infanzia?" - replicò, stando al gioco - "Le dirò, ero povero e raccoglievo carbone che la mamma rivendeva…"

"Sì, certo,mi immagino. E magari vivevi in un quartiere londinese pieno di nebbia.."

"Quello è William. Ti stai confondendo." - precisò Angel, finendo di girarsi e puntellandosi su un gomito.

"Non mi vedo neanche lui a raccogliere carbone…" - poi, cambiando argomento, in linea con i suoi ragionamenti, aggiunse - "E meno male che sono tornato. C'è bisogno di qualcuno che metta in riga la truppa, si imponga per fare ordine e repulisti. Non trovi?"

"Hai ragione. Perfettamente ragione." - concordò serissimo Angel - "E da quando sai importi sulla gente?"

"Mi stai sfottendo?"

"Non lo farei mai."

"Bene, bene, Angel, che sorpresa. La presenza di Spike ti fa veramente bene. Da quando conosci il sarcasmo?"

Angel non rispose, si limitò a fissarlo. E Doyle si lasciò guardare, con un lampo malizioso in fondo agli occhi. Avere in mente il proprio dovere non era gratificante come vederne i risultati. Angel era sereno e Doyle non aveva proprio nessuna intenzione di negare la sua importanza nella vita dell'eroe. Era una questione di completezza. Ed Angel, dedito a tutelare il suo prossimo, non riusciva ad ignorare il senso di protezione che solo Doyle sapeva dargli.

Doyle. Unico tra i pari.

"Uomo…. Se prometto di non svanire nel nulla, smetti di fissarmi?"

Angel allargò la bocca in un sorriso.

"No. Sei la cosa che desideravo di più: uno che sta nella stanza con me. E sa stare zitto."

Doyle buttò la testa indietro e rise. Era piacevole, in effetti. Tranquillamente seduti, a parlare solo se avevano voglia, liberi di starsene in silenzio, oppure di ridere.

"Uomo, uomo. Come eroe vivi veramente in una comunità interessante."

"L'ha detto anche Spike quando si è trasferito qui."

"Certo, detto da lui…"

"Hai qualcosa contro i vampiri redenti e con l'anima?"

"Oh sì. Brutta razza! Come le Cacciatrici in fuga, gli osservatori ripudiati e le attrici in carriera."

"Allora dovrai cercarti un altro domicilio…"

"No grazie, penso che accetterò un posticino al pianoterra."

"Ma non ci sono stanze libere al piano terra." - obiettò Angel - " A parte la sala grande sono tutte proprietà di…"

Angel sbarrò gli occhi.

"Sei un po' tardo per essere un eroe." - concluse Doyle.

Doyle andava a vivere con Cordelia. Nella Reggia Off-limits.

"Preferivi che sgattaiolassimo misteriosissimi da una stanza all'altra, non appena sorgeva il sole?" - lo punzecchiò Doyle - "Senza tenere presente l'importanza di far recepire il messaggio a tutti gli spasimanti di Principessa… umani e non."

Non c'erano commenti da fare.

Sembrava pure razionale, esposto in questo modo. Eppure Angel sembrava avere qualche difficoltà ad assimilare la notizia.

"Inizio ad essere preoccupato della reazione che avranno gli altri." - disse Doyle, fissando l'aggrottarsi e il distendersi della sopracciglia di Angel.

"No, io sono felice sul serio. È che…"

"Cambiamo discorso. E tra qualche tempo ti spiegherò anche il lato piacevole della convivenza." - concluse allegramente il mezzo-demone - "perché non mi racconti dei tuoi pupilli?"

"Cosa vuoi sapere?"

"Come li hai convinti a venire qui. No, aspetta ripensandoci, di Spike so già parecchio. È successo in un periodo in cui non mi facevo propriamente i fatti miei." -ammise - "Parlami di lei. Parlami di Faith."

Angel fissò gli arabeschi del tappeto e cominciò a parlare.

"E' successo un anno fa…"

 

"Cordelia, smetti di urlare. Ti ho sentito."

Angel si affacciò al pianerottolo e guardò giù nella hall.

Cordelia Chase, capelli annodati sulla nuca e pantaloncini, alzò lo sguardo verso di lui e verso Westley che gli stava accanto.

Le sue labbra, strette in una linea sottile, si aprirono nuovamente.

"Angel…"

Non urlava più. Cercava un appiglio per iniziare una frase e stringeva tra le mani un giornale, un giornale fresco di stampa.

Anche da quell'altezza, Angel si rendeva conto della sua espressione. Della sua indecisione.

"Cordelia, non diverrà più semplice, se continui ad aspettare. Dillo, qualunque cosa sia."

Cordelia fece un respiro e si tuffò a capofitto.

"Angel. C'è stata un'esplosione alla prigione. Faith…"

 

Faith.

Faith era morta.

L'ala in cui si trovava era distrutta. Un cumulo di macerie incomprensibili, un mucchio di lamiere contorte.

Un'esplosione. Una grande e incomprensibile esplosione che riempiva da una colonna a quattro pagine in ogni giornale.

"Il Consiglio." - sospirò Westley, sfilando gli occhiali e posando l'ennesimo quotidiano tra gli altri ammassati sul tavolo.

Cordelia gli aveva procurato ogni carta stampata che era riuscita a rimediare. E su ognuna, parole differenti spiegavano una stessa tragedia.

"Come fai a dirlo."

Il tono di Angel non ammetteva repliche. Da quando Cordelia era finalmente riuscita ad esprimersi, Angel versava in un cupo e riflessivo silenzio.

La sua mente rifuggiva il presente. Il suo corpo ricordava dolorosamente i pugni di Faith, la rabbia e le lacrime che si mischiavano alla pioggia.

E la ricordava, seduta davanti alla scrivania, nell'ufficio di Kate. Sola.

Convinta, a modo suo, di poter stare al sicuro dentro una prigione. Contenta di non dover dipendere da nessuno di loro, di non dover fronteggiare ancora Buffy.

Buffy…

Anche in quegli istanti, dedicati a Faith, Angel non poteva smettere di pensare a Buffy, a come le aveva mentito, per telefono, l'unica volta in cui aveva trovato il coraggio di chiamarlo. E nel sentire la sua voce, il cuore di Angel aveva conosciuto un sussulto.

 

"Dimmi, Buffy. Cosa hai bisogno?" - la voce di Angel suonava calda e forte.

"Angel, Faith si è risvegliata. Ed è stata qui."

"State tutti bene?"

"Certo. Certo. Io volevo avvertirti che… io penso che verrà a cercarti."

"Starò attento."

"Lo so."

Silenzio.

"Buffy…"

"Angel…"

"Grazie della dritta. Ci sentiamo."

 

Abbassare quel telefono senza aggiungere altro gli era costato uno sforzo immenso. E per un attimo, in vita sua, poche erano le cose che sembravano essergli costate così tanta fatica.

Eppure aveva dimenticato presto quel disagio.

E l'aveva dimenticato per via di Faith.

Una Cacciatrice aveva scalzato l'altra, nella sua mente.

Faith aveva dato il meglio di se stessa.

Tentato di ucciderlo.

Tentato di uccidere Westley.

Fatto del male a Cordelia.

Ma non era quello il motivo per cui Angel si era concentrato su di lei.

Erano state quelle parole disperate.

Il desiderio di morire.

Lo sguardo…

La Cacciatrice aveva lo sguardo della morte. Lo sguardo della morte… Spike lo aveva definito così, in un raro momento di intimità. Spike insisteva sull'importanza di quella luce in fondo alle loro iridi, la fiammella che di colpo si spegneva, nell'istante stesso in cui si arrendevano.

Si arrendevano alla vita. Morivano con, negli occhi, l'ultima illusione.

E Spike non sbagliava. Angel non aveva mai ucciso una Cacciatrice. Ma lo sguardo di Faith era stato più forte di una coltellata, nel penetrargli in fondo all'animo. Avrebbe potuto finire l'opera, l'opera iniziata da Faith stessa. Limitarsi a calare la scure.

Ma sotto la pioggia, in un vicolo, il mondo aveva smesso di girare come avrebbe dovuto.

Ed Angel, a Buffy, non avrebbe mai potuto dirlo. Non avrebbe potuto dirle che le parlava mentre Faith, alle sue spalle, dormiva nel suo letto.

No, non avrebbe potuto.

Buffy non avrebbe capito.

O forse era Angel che non avrebbe capito Buffy.

E, in entrambi i casi, avrebbe scelto di mentirle.

Buffy l'aveva avvertito del pericolo. Angel non poteva spiegarle il perché fosse cessato.

Era un segreto.

Un segreto tra Angel e Faith.

 

"Cosa ti fa pensare che sia stato il Consiglio?"

"Un'intuizione. Non c'è niente che lo affermi in questi articoli. Ma non mi sto sbagliando. È stato il Consiglio. Una Cacciatrice rinnegata è un pericolo che va eliminato, assolutamente."

"Ma non questa. Questa non era un pericolo per loro. Era una loro vittima." - Angel misurava la stanza a grandi passi.

"Lo so. Ma ciò non nega la realtà dei fatti. Faith è morta in un incidente che incidente non è." - la voce di Westley suonava metallica - "Sempre che in questa stanza ci sia qualcuno disposto ad accettare che sia veramente morta."

 

"Tu non lo credi?"

No, non lo credeva. Rispondeva alle domande di Cordelia e la sua mente già si allontanava, sulla stessa strada di quella di Angel. Anche per lui, il mondo aveva smesso di vorticare davanti alla sua carnefice. Inerme e troppo giovane per essere ciò che il mondo diceva di lei.

Inerme e troppo giovane per non trovare la forza di perdonarla.

Anche Westley aveva una natura che non poteva negare.

Anche Westley era un rinnegato.

E, prima ancora, un Osservatore.

Scelto tra molti che aspiravano a diventarlo, per una nobiltà di sangue che all'interno del Consiglio sembrava impossibile da scalzare. Scelto per le sue capacità e nient'altro.

E ben presto estromesso, per la sua incapacità ad accettare ogni forma di ingiustizia o scorrettezza. Westley il pignolo, Westley l'imbranato.

Tutti luoghi comuni per descrivere un cuore puro.

 

"Angel, possiamo anche metterci a coltivare false speranze basate sul mio intuito. Ma non abbiamo prove in mano per dimostrare la mia tesi, né possiamo appellarci al Consiglio per accusarlo di scorrettezza. Anzi, non possiamo in nessun caso appellarci al Consiglio. Se Faith è morta, non ci sarà modo di vendicarla. Ma se è ancora viva…"

"in quel caso niente mi impedirà di andare a riprenderla."

 

Cordelia aprì gli archivi ed estrasse ogni foglio che sembrava poter dare un'informazione. Westley, con un quaderno davanti, annotò ogni particolare gli venne in mente. Sfogliò giornali senza un commento, escludendo completamente Angel, abbandonandolo alle sue riflessioni, ben sapendo che l'amico avrebbe rispettato anche adesso i segreti della sua educazione.

Westley sapeva dove cercare. Usava spietatamente le informazioni in suo possesso per risalire ad una fonte che sapeva certa e ripetitiva nelle sue decisioni.

Scrisse, fino a quando non spuntò il nuovo giorno.

Faith era ufficialmente morta.

Cordelia, da qualche parte in internet, aveva scorso la lista delle vittime, fino trovarne il nome. Senza che questo permettesse di avere una certezza. Un corpo tra tanti scelto a caso per poter porre un cartellino di riconoscimento. Senza aspettarsi che i conti tornassero veramente.

Angel attendeva e rifletteva. Dandosi dello stupido.

Ritenere Faith al sicuro era stata una cosa stupida. Da parte sua e da parte di Faith. In fondo, entrambi conoscevano le potenzialità del Consiglio. Eppure avevano deliberatamente ignorato l'idea di un diversivo, un modo per mettersi in contatto in caso di pericolo, un posto dove ritrovarsi.

Percorrere a ritroso le loro vite non bastava, non portava a nessuna conclusione, non dava appigli a cui aggrapparsi.

I pochi intravisti lo avevano condotto ad afferrare il cappotto e salire in macchina, portando con sé Cordelia, per potersi avventurare in pieno giorno a caccia di qualcosa che non poteva trovare.

Che non sapeva nemmeno se valesse la pena di cercare. Non aveva nulla, se non la tenacia di Westley ed il suo istinto di Osservatore.

Ed anche in questo caso sapeva che Buffy sarebbe stata un intralcio più che un aiuto.

Una sensazione sgradevole quanto inevitabile.

Le loro menti si stavano ancora allontanando. Ma i loro cuori erano sempre vicini ed uniti in un solo battito.

E di Faith nemmeno un palpito.

E, al rientro a casa, nemmeno Westley.

"Dovevamo immaginarcelo." - mormorò Cordy, fissando la sedia vuota dietro la scrivania - "Non c'è modo di sapere dove sia andato, vero?"

E già sapeva la risposta.

 

Ancora oscurità. Il sole calava lentamente sulla città degli Angeli,senza aspettare nessuno.

Senza illuminare i passi stanchi di Westley sulla via di casa.

Cordelia, in piedi sul marciapiede non badava alle gocce di pioggia che iniziavano a cadere sottili e fitte. Si cingeva con le braccia, per proteggersi dal freddo e scrutava il cielo, in cerca di uno spiraglio.

In ogni goccia stava un frammento di oscurità. La notte giungeva così, cadeva in terra con rumore di pioggia.

Ed in mezzo a quel ticchettare monotono, camminava Westley, tenendosi chiusa la giacca con una mano, senza badare agli occhiali ormai appannati.

Cordelia fece un passo e sussurrò.

"Ce la fai?"

Westley annuì silenzioso e una goccia di sangue si mischiò all'acqua, nel cadere sul marciapiede.

"Angel?"

"E' uscito per cercarla. Credevo tornassi con lui…"

"Non ero più là, quando ho chiamato. Ero più lontano. È stata una trattativa burrascosa." - spiegò, asciugandosi il rivolo di sangue dal mento.

Cordelia lo squadrò, con un lampo di comprensione negli occhi.

"Povero Westley. Non sembrerai un eroe, ma tutto sommato non sei nemmeno un disastro." - mormorò abbracciando piano tutte le sue contusioni.

 

Entrarono in casa e si sedettero. Davanti ad una tazza di the e con un buon quantitativo di disinfettante sui tagli Westley sembrò ritrovare loquacità.

"L'ho trovata. Mi ci è voluto parecchio tempo, per capire ed escludere alcuni posti. Io… per un attimo ho pensato fosse inutile. In fondo sembrava solo una stupida ostinazione contro il dolore. Cercarla senza sapere se fosse veramente viva. Però, una volta trovata una pista…"

Westley sembrava in imbarazzo. Ma Cordelia non disse nulla. Accennò un sorriso e tuffò una zolletta nella tazza. E poi una seconda. Sapeva quanto gli piacesse dolce.

"E non hai trovato motivo per aspettarci…." - concluse.

"Già." - Westley annuì e sbattè le palpebre. Un occhio iniziava a gonfiarsi e cerchiarsi di scuro - "Dapprincipio sembrava un magazzino disabitato… poi ho visto un container. Con un lucchetto. Cosa serve un lucchetto se il posto è vuoto? Il problema era che poi sono arrivati anche un sei energumeni con un camion. Ed il resto è storia."

"E Faith?"

"Viva. In fuga. Le ho detto di scappare e le hanno sparato dietro." - Westley guardò desolato i suoi occhiali, deformati e irrecuperabili - "Non so se l'hanno colpita. Ma mi sembrava stordita e malmessa."

"In fondo, suppongo che sia rimasta coinvolta nell'esplosione."

"Era un diversivo. L'esplosione, intendo. Ma puoi star certa che non è stata trattata con i guanti."

"Pensi che Angel la troverà?"

"Se non la trova, continuerà a cercarla fino alla fine dei suoi giorni."

 

Pioggia. Uniforme e fredda fin dentro le ossa.

Westley era vivo. Se l'era cavata, menando pugni in percentuale direttamente proporzionale alla quantità che si era beccato. Un leone.

Fuggevolmente aveva desiderato essere ancora una Cacciatrice in attesa del suo Osservatore.

Ma non era così. Non sarebbe mai più stato così.

L'aveva visto restare solo nello spiazzo e poi correre verso la macchina, armeggiando con il cellulare. E si era allontanata, sperando che la pioggia cancellasse ogni traccia.

 

Angel buttò giù con un calcio un'altra porta. Erano più di trentasei ore che Faith era sfuggita al controllo del Consiglio. Più di trentasei ore che la pioggia cadeva, quasi incessante sulle loro preoccupazioni.

"Forse ha preso un treno. È salita su un vagone merci ed è andata via." - obbiettò Cordelia, coprendosi la testa con le braccia, per evitare le schegge di legno della porta successiva - "Abbiamo perlustrato ogni caseggiato disabitato che ci sembrava potesse andare. Ma come possiamo trovarla, in una città come Los Angeles, senza un indizio? E poi, Angel, se Faith avesse voluto, avrebbe potuto già mettersi in contatto da parecchio."

"Sempre che sappia il numero da chiamare." - le rispose, distratto.

"Ma anche fosse, abbiamo un'agenzia investigativa ed un numero a cui rintracciarci!"

"Cordelia, se Faith non si fa viva possono esserci un sacco di buoni motivi. E tra i tanti il fatto che non vuole metterci tutti al centro del mirino."

"Oppure perché sa che hanno certamente riconosciuto Westley! Restasse con noi, sarebbe subito rintracciabile…" - Cordelia fece un respiro e buttò fuori la frase che le premeva - "Forse è meglio se non la troviamo."

Angel si fermò e fissò le macerie di un altro magazzino abbandonato. Poteva percepire la presenza di due ragazzi, in uno degli angoli, percepiva l'aroma dei loro corpi.

"Forse hai ragione. Ma Faith non può continuare a fuggire. E non merita di essere sola. Non deve più succedere, io non permetterò che accada più."

"Angel, io posso capirti. Ma tu devi capire che non possiamo andare avanti alla cieca in questo modo. Non la troveremo mai. Si è nascosta. È brava a nascondersi, è tutta la vita che lo fa. È ferita, sa che deve stare attenta…"

"Già. È ferita."

Come.

Dove.

I quesiti sembravano interminabili. E tutti senza risposta.

Cordelia si passò una mano sulla fronte e rese uniforme la polvere sulla pelle. Non sapeva da che parte cominciare, per portare un minimo di razionalità nella tenacia di quei due.

Angel.

E Westley, pure lui, sempre così razionale, intento a perlustrare il piano superiore.

"Trovato nulla?" -urlò Angel,affacciandosi alla tromba delle scale.

Nulla. L'osservatore, edificio dopo edificio, urlava sempre la stessa risposta.

E sempre con la stessa speranza.

 

"Non c'è il rischio che il Consiglio la trovi prima di noi?" - domandò Cordelia, quando Westley salì in macchina. Parcheggiato davanti a loro, Angel mise in moto e partì, subito seguito.

"Hanno le nostre stesse probabilità."

"Tu hai trovato loro, partendo da zero. Loro non hanno un metodo simile per rintracciare una Cacciatrice?"

"No, possono dedurlo se hanno qualcosa in mano. Ma non credo che Faith sia stata docile e disponibile. In più c'è la pioggia. Almeno lei è dalla nostra parte."

"Westley… non sei in pericolo, vero? Ti hanno visto aiutare la Cacciatrice…"

"No, non lo sono veramente. E di questo posso dire grazie ad Angel. E a Doyle."

"Doyle? Cosa può aver fatto Doyle! Non vi siete nemmeno conosciuti!"

"Si tratta di qualcosa che è successo nelle Alte Sfere, dopo la sua morte. Può darsi che il nostro sodalizio sia vagamente pilotato. E questo mi mette in una posizione da cui il Consiglio non può scalzarmi. Soprattutto dopo lo Shanshu."

"Ed il fatto che tu abbia salvato Faith, potrebbe implicare che il Consiglio non possa più darle la caccia?"

"Lo escludo. Possono accettare di perdere un Osservatore che già amavano poco. Ma la Cacciatrice rinnegata è un'altra storia…" - Westley tacque e si immerse nei suoi pensieri. Angel aveva svoltato a sinistra e Cordelia lo seguiva senza perderlo mai di vista. Quando si fermò, davanti ad un altro quartiere fatiscente, accostò e permise a Westley di scendere.

E poi, con un sospiro di rassegnazione, spense il motore e li guardò entrare, ad inseguire le loro illusioni.

 

"Adesso dovete smetterla!" - gridò, pestando i piedi ed infischiandosene degli scricchiolii del pavimento.

"Cordelia, non ti muovere."

"Oh, finiscila, Whydam-price, piantala di essere così allarmista. Non ha ceduto finora e non cadrà con me sopra. E se anche lo facesse sono già sopravvissuta una volta ad una caduta del genere. Manda giù Angel a raccogliermi e portami in pronto soccorso! Ma adesso stammi a sentire, una volta per tutte. E pure tu!" - recriminò, puntando il dito nero di fuliggine contro Angel - "Non possiamo andare avanti così. È la terza notte che ci comportiamo in questo modo assolutamente inconcepibile. Volete ritrovare Faith! E mi sta bene. Avete le vostre motivazioni. Ma non avete nulla in mano. Piantatela di comportarvi come se il destino guidasse sempre i vostri passi! Lo tirate in ballo quando fa comodo,lo combattete quando non vi garba. Ma il mondo non è questo. Il mondo è caos, è casualità, confusione e cose che non si possono spiegare! Sono ore che ci comportiamo come delle trottole e giriamo a vuoto, al freddo e sotto la pioggia. Ed io sono stufa!"

Cordelia si sedette in mezzo ai calcinacci con un tonfo. Tirando indietro i capelli appiccicaticci e le ragnatele che vi stavano incollate. Era sporca e stanca.

"Non arriverà niente di sovrannaturale ad indicarci la strada giusta." - aggiunse con voce stanca. Soffocando tutte le parole che ancora avrebbe voluto dire…

Angel la guardò allibito, quando si chinò in avanti, tenendosi la testa tra le mani.

Non poteva capacitarsi che Cordelia crollasse in questo modo, per stanchezza ed esasperazione…

Ma bastò un urlo della ragazza per distoglierlo da quella conclusioni tanto sbagliate.Cordelia urlava e la testa le si riempiva di scene incomprensibili.

"Le visioni." - Westley si buttò in ginocchio e l'afferrò per le braccia. Se la tirò contro il petto e la strinse, anche se opponeva resistenza. L'afferrò per i capelli e la bloccò, per evitarle di farsi male, ma con una brutalità che lo sorprese.

Cordelia respirò profondamente la polvere dei suoi vestiti nel tuffare il viso contro il suo petto. Tossì e sentì gli occhi bruciarle. Spinse con le mani per liberarsi da quella sensazione e si sedette.

"Lasciami Westley, lasciami!" - mormorò, cercando Angel con lo sguardo.

Lo afferrò per la manica e lo costrinse a chinarsi.

"Ascoltami bene."

"Cordelia, dopo con le recriminazioni, dimmi cosa hai visto."

"Razza di eroe senza cervello! Tu e gli aiuti che ti arrivano dall'alto e tramite me! Sta zitto e ascoltami! Ascoltami una volta per tutte!" - ringhiò, mostrandogli tutti i denti ed afferrandolo per il bavero della giacca - "Faith, in un bar con l'insegna BullDog. E spicciati, sta facendo a pugni."

 

Angel non se lo fece ripetere due volte. Corse verso la macchina. Sapeva dove andare, era passato in quell'incrocio meno di due ore prima.

Westley guardò Cordelia che finiva di togliersi le lacrime dalle guance, tirando su, poco signorilmente, con il naso.

"Cosa dicevi del destino?" - azzardò, con un lampo di ilarità nello sguardo.

Cordelia socchiuse gli occhi, fino a farli divenire due fessure pericolose.

"Ne riparleremo dopo che avrò preso un'aspirina." - replicò, fredda, scandendo ogni parola - "E adesso portami a casa."

 

Bulldog.

Un' insegna luminosa ed una vetrina sfondata. Tanta gente ammassata intorno alla porta.

Non valeva la pena di fermarsi, Angel già sapeva di essere arrivato tardi. Ma Faith non poteva essere andata troppo lontana.

Fece il giro dell'isolato, sbirciando le finestre e i vicoli. Avrebbe voluto chiamarla, urlare il suo nome, farle sapere in modo irresponsabile che la stava cercando.

Poi, tra gli odori confusi della città, ne giunse uno più nitido e forte.

Odore di Sangue.

Lasciò la macchina di traverso, in un vicolo. E corse a piedi fino alla fonte di quel segnale. Sulla parete, un vecchio manifesto appariva intriso. E, subito a fianco, un'impronta rossastra. Una mano sottile, minuta.

E sangue fresco.

La pioggia non ne aveva mascherato l'odore soltanto perché era un punto riparato. Un punto adatto per sostare, a riprendere fiato.

Era la pista giusta.

Angel correva, incurante della pioggia. Si arrampicò su per la rete metallica che chiudeva la strada, poi, saltando sui bidoni, afferrò la scala antincendio e proseguì la sua scalata, fino al tetto.

In piedi sul cornicione, sopra ai tetti del mondo.

E, ai suoi piedi, già mischiato con l'acqua, altro sangue.

E si sorprese a gettare al vento ogni precauzione. A chiamarla, veramente, ad urlare il suo nome sotto la pioggia, con la disperazione di chi ha perso qualcosa di importante. Pregando di essere sentito.

E, nel silenzio, gli giunse nitido un suono metallico, di qualcosa lanciato in strada.

 

Camminando da un parapetto all'altro, Angel si spostava, lungo i tetti. Qualcuno batteva qualcosa, con ritmo regolare e scandito. Si sarebbe potuto dire il suono della pioggia sulle lamiere. Ma i sensi di Angel, tesi e sviluppati, avvertivano l'anomalia di quell'interpretazione.

La luce giungeva appena dalla strada. E dietro un comignolo, nascosta appena alla furia del cattivo tempo, stava lei.

Piccola e zuppa come un pulcino. Con lo sguardo enorme, lucido e le gambe contro il petto.

Teneva in mano un tubo, lo batteva regolarmente su un'ammaccatura della lamiera su cui era seduta, un'ammaccatura piena d'acqua piovana per attutire il suono.

"Scusami, non me la sentivo di urlare." - sussurrò. Era rauca.

"Non importa, piccola, non importa." - mormorò Angel chinandosi verso di lei e protendendo le mani per toccarle il viso, un visino pallido e febbricitante. Faith stava rannicchiata veramente in uno spazio ristretto ed Angel, con la sua mole, sembrava inglobarla e proteggerla.

"Non pensavo che mi avresti cercato."

"Cerco sempre le cose preziose che ho perso."

Piano, per quanto le sue forze le permettevano, Faith scivolò fuori dal suo nascondiglio. Era ferita, malconcia.

Angel si sfilò il cappotto e l'avvolse stretta. Già una volta aveva accolto così Faith, stremata e piangente, tra le braccia, infondendole calore. Faith sembrava giungere nella sua vita sempre preceduta da un acquazzone, come un dono piovuto dal cielo.

Angel la strinse e la sollevò da terra.

"Ce la faccio a camminare."

"Non importa." - sorrise Angel, nell'assestarla meglio tra le braccia.

"Mi troveranno."

"Ti sbagli. Troveranno me."

 

Guidò piano, fino al parcheggio seminterrato dell'Hyperion.

Westley, non appena sentì il motore rombargli sotto i piedi, si precipitò nel garage. Angel stava seduto in macchina, immobile e, per un attimo, Westley pensò che non l'avesse trovata.

Ma gli bastò avanzare ancora di un passo per vedere che, sotto il braccio destro di Angel, stava rannicchiato un fagotto.

Un fagotto con lunghi capelli castani.

Ed Angel non disse nulla, quando Westley aprì la portiera e si protese a sollevarla. Lo lasciò fare e lo seguì mentre, rannicchiata e dormiente, la portava finalmente a casa.

 

"E da allora nessuno si è ancora messo d'impegno per reclamarla." - concluse.

Angel e Doyle stavano seduti sul davanzale della finestra, con le gambe a penzoloni nel vuoto. Doyle non disse nulla, ma gettò il mozzicone in strada, guardando la brace rossastra cadere tra i piedi di Spike.

E quando questi alzò lo sguardo lo salutò con un cenno. Osservandolo scuotere la testa ed entrare dall'ingresso principale.

"E così Faith è entrata definitivamente nella mia vita. Buffy non lo sa…"

"E questo è l'unico problema che prima o poi dovrai risolvere."

"Lo so." - Angel annuì e fissò l'orizzonte, pur sapendo che il sole non sarebbe ancora spuntato - "Ma io penso che… che Buffy non possa capire."

"Ama te, Angel. Mi sembra sia un controsenso abbastanza grosso da afferrare anche questo."

"No. per me è più facile capire e perdonare Faith. Ma per Buffy si tratta di colei che ha cercato di uccidermi dopo aver rinnegato una natura da cui Buffy stessa non può scappare. Buffy non è stupida. Ma è in trappola. Come Faith. Nello stesso modo e dall' altra parte della barricata, allo stesso tempo."

"Può darsi. Ma non affrontarla con questo pregiudizio, come tuo solito. E di Spike che mi dici?"

"Tra di noi?"

"Tra di noi."

"Il fratello che avevo perso e che ora ho ritrovato."

Doyle si lasciò sfuggire un fischio sommesso.

"Caspita, che ammissione"

"E' una situazione ricca di pro e contro. Siamo di nuovo una famiglia. E questa invece è una sua ammissione."

"Già. Non ci voleva un genio per accorgersene l'altra sera."

"Ti sbagli. È molto bravo a dissimularlo. Ma tu sei altrettanto bravo."

"Può darsi." - Doyle si accese un'altra sigaretta - "L'hai già mandato a cantare da Lorne?"

" Non ancora. Ma penso che Lorne si farà vivo, non appena saprà che sei tornato."

"Già lo sa. Avevo bisogno di parlare con una persona, l'altra notte. Sai, dopo che ho riavuto…" - Doyle interruppe la frase e si indicò la tempia. Poi riprese - " Io e Lorne ci conosciamo da un sacco di tempo. Avevo bisogno che mi desse una controllatina. Sai, la revisione…"

"E gli hai cantato una canzone per telefono?"

"Pressappoco." - rise Doyle - "Ma sono intonato, puoi chiedergli conferma. Invece quando parla di te che canti…ride."

"Grazie tante."

"E parecchio."

"Vuoi insistere?"

"Dice che è bellissimo."

"Doyle…"

"Mi canti una canzoncina? Piccola, piccola…"

"Doyle, tra un secondo cascherai di sotto…"

"Non lo faresti…"

"Ne sei certo?"

"Se lo fai lo dico a Cordy."

Angel abbassò lo sguardo e si fissò la punta dei piedi.

"Ricattatore." - sorrise.

"Al tuo servizio. Senti un po', ma quel tizio biondo che è entrato? Davo per scontato che venisse di sopra…"

"Non è detto… sa essere più discreto di quello che sembra."

"Vero. Sono discretissimo." - concordò Spike, appoggiato alla porta.

Doyle ed Angel si scambiarono un'occhiata.

"Appunto." - Sospirò Angel.

 

Il sole stava sorgendo.

Giù in strada, uno tra le braccia dell'altro, Doyle e Cordelia camminavano lentamente.

"Principessa…"

"Non dubitare mai dell'importanza del destino…"

"Cosa? Come ti è venuto in mente?"

"Chiacchierando con Angel."

"Dovevo immaginarmelo… senti, Doyle, non mi dire cosa devo pensare del destino… io preferisco non pensare al destino solo perché mi capitano cose belle che non so da dove arrivano e per dargli la colpa se capitano cose brutte e non so come gestirle. Io preferisco pensare che me le sono guadagnate, oppure che mi sono capitate e basta. Io…"

E Doyle le chiuse la bocca con un bacio.

"Principessa, pensa quello che vuoi." - un bacio - "Veramente, non ci penso nemmeno a provare a farti ragionare" - un altro bacio - "Anzi, chi la pensa diversamente, si convertirà alla tua visione del mondo non appena avrà avuto modo di sentirla."

E l'avrebbe baciata ancora se Cordy non si fosse ritratta mezza-soffocata.

"Ma tu non mi hai mai detto che respiravi con le orecchie!" - replicò, cercando di riprendere fiato - "E comunque, se avessi potuto terminare, ti avrei detto che, ogni tanto, sono disposta ad accettare un'eccezione."

"Un'eccezione…"

"Certo. un'eccezione." - si avvicinò maliziosa - "Un'eccezione con gli occhi chiari e pessimo gusto per il vestiario."

"Io mi vesto casual."

"Sì, certo. Andiamo, se pensi davvero di comprarti quell'orribile poltrona.""Non è orribile, è comoda. Che importa il colore?"

"Si può trovare di meglio."

"Ma io voglio quella…"

 

Dall'alto dei cieli, dalla finestra della mansarda, Faith li guardò allontanarsi, discutendo. Con un vago sorriso.

"Sai, Angel, tutto sommato avevi ragione." - sussurrò - "Non bisogna smettere di cercare ciò che si è perso."

 

 

IV

 

Le piaceva gettare i biscotti dentro al latte.

Li guardava andare a fondo, contemplava le poche bollicine che salivano verso l'alto e sbirciava la porta, per non farsi scoprire da nessuno.

Non riusciva a resistere. Sgattaiolava in cucina e sedeva, con le gambe penzoloni dallo sgabello. Leggeva il giornale e beveva latte, caffè e quant'altro la dispensa le offrisse. Ma soprattutto dolci.

Biscotti.

A volte si stupiva del quantitativo industriale che ne divoravano giorno dopo giorno. Soprattutto Westley. Sembrava non riuscire a stare lontano dalla simpatica scatola di latta che capeggiava al centro del ripiano. E per quanto Cordelia scuotesse la testa e brontolasse, Wes non metteva su un grammo e continuava a prediligere quelli con le gocce di cioccolato.

Lasciando a Faith quelli semplici di pasta frolla, dal leggero sapore di malto. Perfetti nel latte.

E da gustare nel silenzio di casa, senza dividerli con nessuno.

Era mattina inoltrata. O forse primo pomeriggio.

Ma non aveva molta importanza.

Intanto dormivano tutti. E l'Hyperion era tutto per Faith.

O quasi.

"E' permesso?" - Doyle battè discretamente un dito sulla cornice della porta e Faith, finendo di masticare gli fece un cenno, perché entrasse.

"Allora non sono l'unico ad avere cattive abitudini." - commentò Doyle, avvicinandosi al bancone e sedendo.

Aveva un tono della voce scanzonato e vagamente incoraggiante. Ma Faith era un osso duro, reso affilato da mille contrasti.

Lo guardò e non le parve chissà cosa. Era minuto, con una maglietta grigia e dei vecchi pantaloni da tuta. I suoi capelli andavano in tutte le direzioni ed i piedi erano nudi.

Sembrava uno desideroso di far colazione.

Uno che si lasciava guardare con espressione tollerante.

Faith lo fissò ancora, rimestando il suo latte con un cucchiaio e masticando pacatamente.

"Passato l'esame?" - la canzonò, con un sorriso enorme, mutando completamente tutta la sua fisionomia. Sembrando ancora più giovane.

Era simpatico.

Normale.

Simpatico e normale.

Disposto a farsi radiografare, se per una buona causa.

Faith annuì ed abbassò lo sguardo. Non c'era nulla in lui che le provocasse disagio. "Resterai?" - chiese, imperturbabile.

E lui annuì, con serietà. Senza aggiungere nulla.

"Cordelia ne sarà lieta." - mormorò Faith, prima di accorgersi d'aver parlato. Di aver detto una cosa incredibile, che invadeva impunemente la privacy di un'amica ed uno sconosciuto.

La sua mente si vuotò tutto d'un colpo, senza permetterle di rimediare quella constatazione. Rimase lì, a rimuginare sulla verità che le era sfuggita dalle labbra.

"Tranquilla. Capita ad un sacco di gente." - la consolò Doyle, come se leggesse tutto di quel dissidio. E capisse - "Sono fatto così. la gente smania di parlarmi e raccontarmi tutto. Ma a me piace. Mi offri un biscotto?"

Faith annuì. Poi, con un ripensamento, s'alzò.

"Vuoi un po' di caffè?" - chiese rispettosamente, andando a prendere la caraffa ed un tazzone e senza attendere una risposta.

Doyle accettò, gentilmente e la squadrò rapidamente, non visto. Riservò alla sua figura, di spalle, uno di quei sorrisi che rivelavano molto di lui. E che avrebbero detto a Faith molto più di quello che cercava. E con molta meno fatica.

Versare il caffè, lentamente, era un'ottima mossa per prendere tempo.

La bevanda, nera e lucente le permetteva, con il suo aroma, di radunare le semplici informazioni su di lui. Ma non le lasciava il tempo di inventariare le emozioni che quell' irlandese, mingherlino e così differente dal suo connazionale, sapeva scatenare in chi lo conosceva.

E Doyle godeva della stessa attività. Guardava Faith, con le gambe ben disegnate e la camicia enorme. Non sua.

Una camicia di Angel, sanguigna.

La ricordava… buffo, se ne rendeva conto solo adesso che non era più indosso al suo proprietario. Angel l'aveva comprata così tanto tempo addietro… prima ancora di essere l'Angel di Buffy, prima di essere l'eroe. Quando ancora era un demone che non riusciva a sfuggire al suo passato, quando ancora non sapeva se c'era qualcosa per cui valesse vivere con la mente oltre che con il corpo.

Quando, tra capo e collo, gli era capitato uno strano tipo, incapace di farsi i fatti suoi e tutto preso dalla smania di portarlo al di fuori del vicolo in cui si era cacciato.

Tanto tempo.

Quasi un'altra vita.

Una delle tante che Angel poteva vantare.

Faith aveva veramente una figura minuta e solida allo stesso tempo. Era un guizzare di muscoli. Era un'estrema consapevolezza della sua fisicità.

Come Spike.

Pazzesco.

Guardava una Cacciatrice e pensava ad un vampiro. Peggio che peggio, fissava una sana ragazza americana e pensava ad una peste di inglese.

E faceva lo sbaglio di molti. Non vedeva Faith, la paragonava a qualcun altro, per definirla in semplici caratteristiche.

"Tieni…" - disse, tornando a sedersi e posandogli davanti il caffè ancora fumante.

"Grazie."

E stette in silenzio. Perchè preferiva di gran lunga che fosse Faith a parlargli, ad accettarlo, visto che aveva impunemente infranto la sua intimità.

Ma Faith non era un tipo loquace. Afferrò un altro biscotto e lo morsicò, fissando il ripiano, senza veder il giornale ancora aperto.

Poi la vide farsi violenza. Deliberatamente.

"Io so poco di te." - buttò, noncurante. Ma le costava uno sforzo enorme - "So quello che mi racconta Angel."

"calcolando la loquacità dell'eroe…" - rispose Doyle, spalancando gli occhi - "si sarà limitato a frasi del tipo: 'era un bravo ragazzo'. Credimi, mi sono impegnato ad insegnargli a non essere così essenziale. Ma è un vero mulo irlandese."

"Anche tu." - replicò Faith, con un mezzo sorriso.

"Si nota, vero?" - Doyle si erse tutto orgoglioso, tornando a posare sul ripiano il caffè, senza berlo - "La mia mamma ne sarebbe fiera. Era così preoccupata che l'America mi rovinasse il carattere!"

Era divertente. Esuberante. La bocca di Faith si allargò in un bel sorriso e Doyle ne fu intimamente soddisfatto. Quella conversazione confermava ampiamente la prima impressione e gli faceva capire, con un certo sollievo, quanto la resurrezione non avesse deformato le sue capacità.

Faith lo guardava dritto in faccia e con il sorriso aveva dischiuso un nuovo mondo, per entrambi.

"Che hai da fissarmi?" - lo accusò, abbassando lo sguardo. Non riusciva a rinunciare al suo atteggiamento difensivo.

Doyle bevve un sorso di caffè e rispose.

"Nemmeno io so molto di te. Ma hai un sorriso molto bello, espressivo. Te l'ha mai detto nessuno?"

"Non guardano la mia bocca di solito…"

"Allora ti guardo anche le gambe." - Doyle si sporse comicamente sotto il bancone e Faith ne fu così sorpresa da non riuscire nemmeno a replicare - "Belle. Molto. Le guardavo già prima. Ma preferisco il sorriso, se non ti spiace."

Nessuno la trattava in quel modo. Spike le metteva deliberatamente le mani addosso, Wes la invitava a vestirsi un po' di più ed Angel… bhè, Angel era senza ormoni…

A pensarci bene solo Spike sembrava riconoscerle un certo potenziale femminile. Gli altri la trattavano da bambina, dandole protezione, comprensione e talvolta un sano senso di intrusione nella sua privacy.

E poi arrivava questo tizio. Propenso come gli altri a trattarla come una ragazzina, ma non come a comportarsi come un vecchio zio. Sembrando anch'egli un ragazzino, più di tutti gli altri.

Ma da dove traeva quella forza, quel modo saldo di comportarsi. Faith non sapeva cosa rispondersi. Doyle frugava in frigo, appoggiato allo sportello, fischiettando appena, ed il silenzio sembrava avanzare nell'ambiente.

"Vedi, Faith, il sorriso è una porta sull'anima. Soprattutto un'anima come la tua, che sembra nascondersi dietro tutto."

Era un'osservazione profonda. E forse un'offesa.

Ma Faith rimase immobile ad ascoltare.

"Non domandarti con che faccia mi permetto di dire queste cose. Lo faccio senza un motivo, perché non mi piace mettere un filtro tra quello che sento e quello che dico, soprattutto quando parlo alle persone con cui vado a vivere. Come una riunione di condominio… socializziamo, beviamo qualcosa…" - aggiunse, sedendosi, con in mano la bottiglia del latte ed i cereali.

Faith lo squadrò di nuovo, inarcando appena un sopracciglio.

"Ti prendo un cucchiaio." - disse, senza alcun commento aggiuntivo. Non aveva voluto essere scostante, solo che le riusciva naturale.

Le sarebbe piaciuto avere la certezza che Doyle capisse. Ma era una recondita speranza. Non si conoscevano, provenivano da due mondi differenti. In comune avevano nulla.

Ma Faith desiderava solo sembrare una brava persona, agli occhi di quel tizio. Perché Angel aveva un rispetto per lui che andava ben oltre la sua comprensione.

Doyle la guardò, afferrando il cucchiaio e sfiorandole le dita.

Per Faith fu una scossa elettrica. Così, assorta nei suoi pensieri, alzò lo sguardo, incrociandolo con il suo.

E Doyle le sorrise.

Il sorriso di Doyle.

Come ne aveva parlato, quell'unica volta, Cordelia?

"Faith, attenta a dove metti i piedi!"

"Oh sì, si capisce, dove metto i piedi! E dove metto i piedi se faccio da facchino e ti vengo appresso seguendo solo la scia di profumo? Non ci vede un beneamato…"

"Alt. Non parlare in questo modo, non sta bene."

"Non sta bene? Non sta nemmeno bene che tu rinnovi il guardaroba ed io sposti i tuo pacchi, dalla macchina alla tua camera."

"Mi fa male un polso."

"Anche a me fa male qualche muscolo… ma io sono Faith, niente mi piega.." - brontolò ancora, scaraventando i pacchi sul letto e sedendosi in mezzo.

Bella stanza, pensò guardandosi in giro.

Non era la prima volta che entrava in camera di Cordy, ma era sempre una sorpresa. Una camera bianca. Con pareti pastello.

Cordy aveva impugnato stucco e pennello, aveva accuratamente scelto, abbinato e ripulito. Sperando che Angel non scoprisse mai come laccava i mobili d'epoca…

Alla parete, molte fotografie.

Sue ed autografate, sopra il tavolino con la specchiera.

"Ma che sano senso dell'io…" - la sbeffeggiò Faith, quando Cordy si sedette sul suo amato sgabello imbottito.

Appariva vagamente retrò, mentre si spazzolava i capelli. Faith si mise più comoda, appoggiandosi ai gomiti ed allungando le gambe. Per quanto andassero poco d'accordo, Faith si era spesso ritrovata in quella posizione a parlare con il riflesso di Cordy. Convocata da Queen Cordy, in quella che aveva battezzato la "reggia off-limits", si sedeva sul fondo del letto, mentre Cordelia si lanciava in grandi monologhi su tutto.

Quel pomeriggio, un motivo in più per restare era che Cordy aveva molti lavori da fare, visto che, a metà del suo repulisti, la classica visione l'aveva obbligata ad abbandonare tutto e a buttarsi nella confusione notturna cittadina.

Una vita da salvare….

Una vita salvata.

Anche se per cordy, al momento, l'unico risultato visibile di quella grande soddisfazione erano un polso slogato e molti muscoli intorpiditi.

"Cordy, ti cadranno tutti, se li spazzoli ogni minuto." - esclamò, buttando indietro con orgoglio, quella sua folta chioma scomposta - "Ci diamo una mossa?"

"Tanto va fatto…" - sospirò la ragazza, posando la bella spazzola intarsiata sul ripiano, vicino alla cipria ed ad altri gingilli incomprensibili agli occhi della Cacciatrice.

"dunque…" - Cody camminò fino al centro della stanza congiungendo le mani e puntando imperiosamente il dito - "Questo pacco… là!"

Questo là, quello qua. Sembravano non finire mai.

Faith spostava e rispostava.

Cordelia faceva la parte più difficile, a suo dire. Pensava dove si poteva stipare tutta quella roba, aprendo un armadio alla volta.

Fino all'ultima anta. La più strana.

Scatoloni. E scatoloni. Un giaccone di pelle ed uno strano cappello.

"Questi non mi sembrano abiti tuoi." - costatò Faith, afferrando la manica del giaccone consunto.

"No, è roba di un amico. L'ho tenuta ma…" - Cordelia si fermò, mordicchiando le labbra - "Forse dovrei buttarla tutta, occupa spazio. E lui non tornerà."

Stavano vicine, davanti a quell'armadio aperto. E Faith guardava il profilo riflessivo della ragazza.

"Un buon amico?" - azzardò.

"Certo, il migliore. E per qualche motivo che non ho mai capito. Mi adulava, vestiva male, prediligeva i cibi calorici, i bassifondi e non si faceva mai avanti. Ed aveva un pessimo tempismo."

"caspita, che quadretto che hai fatto."

"Già. È la cosa incredibile è che si tratta di una descrizione realistica. Chiedi ad Angel, Doyle non lo lasciava mai stare. Tanto il nostro eroe è cupo e riflessivo, tanto Doyle era logorroico." - Cordelia si coprì la bocca con la mano, per fermare un risata che voleva diventare rimpianto.

Doyle.

Faith aveva già sentito questo nome.

Angel aveva detto qualcosa su di lui…

"Le visioni. Non è quello che ti ha lasciato le visioni?"

"Già. Proprio 'quello'." - Cordelia annuì - "Non avrebbe mai permesso ad Angel di restare senza una guida. Ma io non sono poi molto brava. Doyle non faceva che ripetere di essere solo un messaggero, che le immagini arrivavano e lui si limitava a riferirle. Ma non era così. Conosceva bene Angel, sapeva trattarlo. Diceva di conoscerlo da tempo… ma Angel tiene talmente tanta gente nascosta nel suo passato…"

"Già." - Angel non diceva mai niente, poi traeva fuori informazioni e persone come conigli dal cilindro - "Mi spieghi perché tieni tutta questa roba?"

"Ricordi… non ho nemmeno una sua foto, il suo profumo l'ho dimenticato da tempo." - Cordelia accompagnò le parole con un'alzata di spalle - "Speranza vana, chi può dirlo…"

"Se sono ricordi non puoi gettarli via."

"potrei anche. E' solo roba, oggetti che poi non contano molto, anche se mi sembra di non potermene separare. La cosa più bella di lui me la porto impressa in testa."

"E sarebbe?"

"La sua bocca. Credo. No, non è esatto, non è la sua bocca. È il suo sorriso. Quello di Doyle non era un sorriso era… Il Sorriso."

 

Il Sorriso.

Cordelia non aveva saputo descriverlo. Si era persa a cercare termini descrittivi mentre, soprappensiero, chiudeva nuovamente l'armadio, lasciando immutato il contenuto.

No, non aveva saputo dire a Faith che il sorriso di Doyle era fatto di occhi trasparenti e sottili linee sulla pelle. Non aveva saputo dirle che non era solo quello, che era luce, comprensione e apparizione.

No, non era ancora abbastanza.

Era Il Sorriso.

Quello che diceva tutto di lui.

Quello che completava i suoi occhi ed il suo atteggiamento discreto. Che si fondeva con la sua espressione, completandola.

Come se i suoi occhi chiari potessero averne bisogno.

Il sorriso… il sorriso era intrappolato in quello sguardo, dentro quegli occhi.

Faith non riusciva, ancora una volta, di smettere di fissarlo. Come le era successo pochi minuti prima, ma in modo differente.

Il sorriso, specchio dell'anima. No, porta, porta dell'anima.

Doyle le aveva descritto quel miracolo, prima ancora di mostrarlo.

 

Le loro mani si allontanarono. Doyle impugno il cucchiaio e si immerse nella preparazione della colazione, tornando ad essere semplicemente Doyle. E Faith sedette, con un tonfo.

Con gli occhi bassi. Domandandosi se anche nella sua mente sarebbe rimasto intrappolato.

"Almeno so che non era un abbaglio d'amore." - esclamò. Prima di iniziare ad arrossire.

Il cucchiaio di Doyle si bloccò a mezz'asta. E lui la guardò sottecchi, lasciando che la sua bocca si increspasse nuovamente in un sorriso diverso dal precedente. Sapeva benissimo a cosa si stava riferendo Faith, non c'era bisogno di un soggetto, di una spiegazione.

La guardò, mentre passava tutte le gamme di color ciliegia riconosciute dall'occhio umano.

Mentre Faith cercava un sistema rapido per riavvolgere il tempo e stare zitta.

Era già la seconda volta che le succedeva, in una sola serata.

Come ci riusciva?

Perché DOVEVA essere colpa sua.

E di chi poteva essere, altrimenti.

Non di Faith.

Perché a Faith non capitava mai.

MAI.

 

"Vuoi farmi qualche domanda?" - chiese Doyle imperturbabile, concentrandosi sui suoi cereali. E reprimendo l'ilarità che gli suscitava quella bella ragazza che non aveva più il controllo delle sue parole.

"Certo! smetto di farmi figure di merda e mi metto a fare domande imbarazzanti!" - esclamò Faith, prima di tapparsi la bocca con entrambe le mani.

Adesso Doyle rideva sul serio.

Il suo segreto erano gli occhi. Non la bocca. Il sorriso era un pretesto, per scomporre i riflessi delle sue iridi nei lineamenti.

Eppure su una cosa, Faith concordava con Cordelia. Le capacità descrittive si frantumavano su quella faccia.

Incomprensibilmente.

Perché tutto questo non si notava, non mutava la verità.

Doyle restava minuto, simpatico e poco aitante.

Nulla impediva di accettarlo, per quella sua esuberanza. Nulla permetteva di carpire il segreto di quello sguardo. Uno sguardo affacciato su due finestre.

"Sei di nuovo la guida di Angel?" - Faith diede un colpo di tosse per ricomporsi.

"Le visioni, intendi? Sì, non mi piaceva sapere che le mie intuizioni fossero a spasso per altre teste."

"E le hai… già riavute?"

"Certo. non è stato piacevole, soprattutto per Principessa." - in effetti, come suo solito, non era stato molto cavaliere, nel liberarla…

"Lo conosci da molto?" - visto che Cordelia non aveva saputo rispondere…

Doyle annuì, passandole i cereali, perché li affogasse nel latte insieme all'imbarazzo.

"Angel? Da anni. Abbiamo avuto un avvio difficile, ma non ce la caviamo poi così male."

"E Spike?"

"Non propriamente. Ci siamo visti un paio di volte in tutto." - so molte cose di lui, però…

"Che altro dire. Ho un nome di cui mi vergogno, difficilmente esco da una rissa senza essermele prese e… adoro il Whisky. Tutto, a mio parere, vale la pena di un brindisi."

"E sei morto…"

"Certo, ho fatto anche questo. Un'esperienza interessante…"

"E sei tornato con grandi rivelazioni?"

"Ovviamente sì." - Doyle fece un sospiro fintamente pieno di rimpianto - "Ma le hanno chieste indietro. Alle porte del paradiso mi hanno vuotato le tasche e perquisito rigorosamente."

"per cui non ricordi nulla…"

"No, non è esatto. Ricordo molte cose, ma non tutto. E' semplice." - Doyle accompagnò la spiegazione movendo le mani, come se infornasse una torta - "Io muoio, scopro cose che non so, poi resuscito. Faccio spazio alle mie visioni e rendo un bel pacchetto di informazioni che i capi ritengono superflue per il mio mestiere. Cose del tipo fine del mondo, perché ultimo, soluzioni di delitti. Tutto qui. Risultato? Nemmeno una corsa di cavalli su cui puntare! Bella ricompensa, per uno dedito al lavoro come me."

"Non mi sembri uno che si sforza per sopportare situazioni scomode." - mormorò Faith, dimenticando che una frase del genere sarebbe potuta sembrare invadente.

"Sei molto perspicace. Mi piace vivere, mi è sempre piaciuto." - il cuore di Doyle percepiva il rasserenarsi di Faith. L'iniziare a fidarsi - "Non c'è nulla della perfezione e della pace che io possa rimpiangere. Perché qui, in mezzo ai casini e alle cose che vanno storte e non si capiscono, trovo la gente che amo. E la mia debolezza è non poterli sapere senza di me. In testa ho sempre un'unica frase: se ci sarò io, andrà tutto bene. Niente di male può accadere, se ci sono qui io, a tenerli d'occhio."

"Guarda che se la cavavano anche senza di te..." - replicò Faith, riprendendo il tono spaccone di sempre.

"Vero." - rispose Doyle, senza una traccia di imbarazzo - "Ma questo non toglie che io viva meglio qui, che non-vivere alla grande dall'altra parte della barricata. Sono a casa Faith. Con tutti voi. In famiglia."

"In famiglia." - era una bellissima parola. Famiglia. Faith non riusciva a pronunciarla nemmeno a se stessa, tanto aveva paura che fosse una temporanea illusione. Tanto aveva paura di ritrovarsi da sola, in una strada, in una mattina di pioggia. Di scoprire che Angel non l'aveva mai ritrovata.

"Già. Con zii impiccioni, padri petulanti e sorellastre perfette." - concordò Doyle - "Ti sei ereditata un gran bel parentame."

"e Tu, in che categoria stai?" - chiese, impertinente, alzando un sopracciglio.

"Cugino di primo grado. Complice ideale, mai cresciuto." - Doyle spinse il piatto al centro del ripiano e si stiracchiò, scompigliando i capelli arruffati- "Sai se c'è della cioccolata?"

 

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Capitolo 5
*** 05. Per le nostre strade (crossover Highlander) ***


Per le nostre strade

 

I personaggi delle serie "Angel" e "Buffy, the vampire slayer", appartengono a Joss Whedon, la WB, ME e la Fox, l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

Crossover con la serie televisiva Highlander.

Anche in questo caso, i personaggi appartengono ai legittimi proprietari e l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

 

"Methos… di tutte le persone che potevo incontrare…" - Doyle mosse un passo verso di lui, tendendogli la mano.

E rallegrandosi dell'abbraccio cameratesco in cui venne trascinato.

"Bene, bene… Francis Allen Doyle dritto dal mondo dei trapassati, immagino…"

"Cosa ci vuoi fare… gente che va, che viene e talvolta ritorna…" - Doyle sorrise, con un'incurante alzata di spalle - "E tu? Non eri a Parigi?"

"Io ci vivo a Parigi. - precisò l'altro - "Solo che non potevo lasciar accumulare troppi impegni in questa parte di mondo. Così, ho preso al volo un pretesto…"

si interruppe. Doyle lo guardava con quegli occhi incredibili che si ritrovava e Methos, come suo solito, fu piacevolmente lusingato di come lo studiava.

Di come, da sempre, levava lo sguardo verso di lui, aspettandosi chissà quale racconto. Fin da bambino.

Un bambino destinato a soffrire per la troppa sensibilità. Oppure a diventare un tutt'uno con gli eventi nel corso del tempo.

"Sono veramente contento di vederti…" - mormorò, tralasciando le spiegazioni che stava dando - "Sei la resurrezione più gradita di cui io sia mai stato informato."

"Anch'io sono lieto del fatto che tu abbia ancora la testa sul collo." - replicò candido e irriverente l'irlandese, per niente intimorito dai cinquemila anni di differenza che avevano. Ai suoi occhi Methos era sempre stato un adulto, uno "più grande". E di quanto non aveva poi molta importanza - "Allora… continuo a fingere che tu sia passato di qui per caso?"

Methos scosse la testa, con un mezzo sorriso ed una ragazza che si affrettava per la strada, si voltò a guardarlo, per registrare rapidamente alcuni particolari.

Un uomo affilato, con un maglione a collo alto e un lungo giaccone australiano… in compagnia di uno strano tipo con giacca sdrucita.

Nel complesso due persone sospette, considerò. Quello con gli occhi chiari, poi… certamente un allibratore.

Affrettò il passo, quando il soggetto delle sue riflessioni si voltò a fissarla, sorpreso. "Ma hai visto che occhiata?" - lo sentì mormorare, con una punta di imbarazzo - "Quasi mi avesse beccato a vendere caramelle al tritolo nelle scuole…"

"Hai proprio ragione…" - rispose distrattamente l'altro, inclinando la sua notevole altezza per guardarle meglio il fondoschiena - "che occhiata…"

 

"Stavamo dicendo…" - riprese Doyle, mentre si incamminavano.

"Non stavamo dicendo." - l'interruppe - "Tu mi stavi tormentando e cercando di estorcere informazioni. Ed io, con la mia proverbiale pazienza, subivo."

Doyle lo fissò di traverso e scosse la testa, divertito. Methos camminava con aria sofferente e tormentata. Tanto falsa da risultare irresistibile.

Anche adesso, ad anni di distanza, nel ritrovarselo improvvisamente a fianco, Doyle non si stupiva poi molto di averlo imitato ad oltranza, per rapportarsi agli altri.

Ed anche se tra loro le differenze restavano abissali, come possono passare tra un demone ed un immortale… bhe, Methos restava, per Doyle, il mentore che tutti nella vita hanno bisogno.

"Adesso." - aggiunse l'uomo, guardando fisso innanzi - "Non solo non parli, ma mi fissi con aria sospetta. Va bene, hai vinto… Dawson mi ha incaricato di portare ad un certo Whydam Price un vecchio libro."

"E ti ha detto di cercare me?"

"No. Quello è un extra. Ed una comoda soluzione per non ritrovarmi invischiato in qualche casino metafisico."

"Sono cambiato, Methos." - replicò con aria vissuta, fermandosi e cacciando le mani in tasca - "adesso nei casini metafisici ci vivo…"

"Bella questa." - commentò l'altro - "E che differenza passa da prima?"

"Prima ero un demone che si limitava a portare comunicazioni iellate." - spiegò serissimo - "Adesso vivo con l'eroe e prendo parte a tante gioiose scorribande."

"Non mi dirai che hai a che fare con i prescelti…" - Methos gettò un'occhiata distratta dall'altra parte della strada - "Sembra vada di moda da qualche tempo a questa parte…"

"A questo proposito, come sta il tuo prescelto?"

"Io non ho prescelto."

"Ne sei sicuro?" - Doyle si fermò ad un chioschetto, gesticolando per ottenere un grosso hot dog dal contenuto discutibile. Continuando a parlare, come fosse una diatriba sull'ultimo risultato dei Lakers - "Guarda che le mie fonti certe garantiscono la tua posizione in un evento di notevole portata."

"Le tua fonti possono anche definirlo tale." - commentò asciutto l'uomo - "Ma finora io solo visto l'omicidio di un amico. E la disperazione di un altro, uscito di testa."

Doyle si fermò e, sul volto, si dipinse la più umana delle comprensioni.

"E' così brutta la situazione?" - domandò, sommesso.

"Certo. Ed è per questo che non amo i discorsi fatalisti. Per me è stato un tragico incidente che si sarebbe potuto evitare. Non una fase indispensabile nella millenaria lotta tra il bene e il male. Soprattutto quando a morire è stato un ragazzino, solo perché era un idealista che in queste storie voleva credere."

"Vorrei poterti dire che sono d'accordo." - replicò Doyle, affondando i denti nel suo unto panino - "Ma da questo punto di vista, io sono dall'altra parte della barricata."

 

"Adesso cosa farai?"

Aveva mangiato il suo hot dog in silenzio, lasciando che Methos esplorasse Los Angeles con lunghe occhiate. Da lungo tempo non tornava in America. Sarebbero stati dieci anni in inverno.

Ma cos'erano dieci anni, nella vita di Methos? Poco, una quantità rilevante solo se moltiplicata per se stessa.

"Tornerò in Europa." - rispose, distrattamente - "E poi a Parigi. Prima o poi McLeod si farà vivo… e voglio essere nei paraggi quando accade."

E visto che Doyle lo fissava interrogativo...si ritrovò a replicare con un sorriso.

"No, non ho intenzione di allargare la mia collezione…"

Era un loro gioco, una vecchia frase in codice. Per quanto fosse un idolo ai suoi occhi, mai Doyle aveva negato la natura immortale di Methos ed il gioco che egli conduceva con i suoi simili. Methos uccideva. Ed aveva ucciso. Per gloria, potere e necessità.

Per sopravvivenza. E per superiorità.

Metho decapitava i suoi avversari e conosceva ogni volta quella che chiamavano reminiscenza. E si fondeva con lo sconfitto, in un eterna catena di anime risucchiate. Quella che Doyle, irriverente, chiamava "collezione". Un concetto più semplice da imparare per un bambino che il concetto stesso di morte.

"McLeod sembrava impazzito…" - commentò Methos, distogliendolo dai ricordi - "Ho pensato di doverlo fermare… ma non sono riuscito. Mi ha implorato di ucciderlo, mi ha messo la spada in mano e… io non sono riuscito. Non ho potuto. Ora, dimmi, predestinazione o amicizia?"

doyle lo guardò sottecchi, con gli occhi brillanti.

"Tu sai che la risposta che sto per darti non ti piacerà, vero?"

methos lo guardò, imperscrutarbile. Poi, scotendo rassegnato la testa, si abbandonò ad una breve risata.

 

"Sicchè, dopo millenni in santa pace." - commentò truce, varcando il cancello del parco e schivando con un'unica falcata, un ragazzino in bicicletta - "Devo rassegnarmi all'idea di essere rimasto invischiato in un evento sovrannaturale?"

"Temo di sì. Ma se ti può essere di conforto, sei decisamente una figura marginale. Almeno per il momento. La battaglia è appena iniziata…" - aggiunse allegramente Doyle, camminando in equilibrio sul muretto delle aiuole - "Vedi, attorno ai prescelti possono girare anche migliaia di figure importanti. Ma alla resa dei conti, quando si tirano le file della questione, la regola diviene inflessibile. Solitudine. Uno contro uno…. Non ti ricorda nulla?"

"Almeno non dovrò studiarmi regole nuove." - borbottò - "E posso calcolare di starmene tranquillo su suolo sacro?"

"Assolutamente no. Anzi, da quel punto di vista, voi immortali avete un lusso che il resto del mondo non ha. Noi demoni adoriamo fare lunghi e corroboranti bagni di sangue nelle zone più sacre della terra… devono essere le correnti di energia a stuzzicarci…"

Aveva l'espressione estatica. Veniva voglia di buttarlo nella fontana…

"Doyle… non è che stai andando sulla cattiva strada, vero?"

"Chi? Io? Io sono sempre stato su una cattiva strada… lavoro per brutta gente altolocata a cui non piaccio molto, sono un demone che ha subappaltato le sue visioni, poi è morto, poi è resuscitato… frequento una valanga di persone discutibili…. Ho uno pseudo-patrigno immortale, Cavaliere dell'Apocalisse che le cronache riportano più e più volte vicino alla parola massacro.…" - enumerò, serissimo.

"Subappaltato le visioni?" - domandò, ignorando la descrizione del suo status.

"Sai, mi sono dovuto assentare per qualche tempo… causa dipartita di me stesso medesimo…"

"Ma la vuoi smettere?" - domandò, non riuscendo a trattenere le risate, mentre si sedeva sul muretto nei pressi della fontana - "E a chi avresti lasciato le visioni?"

"bhe… sai… è una stangona…lunghi capelli castani…" - replicò, modesto.

"Ma non ti ho sempre detto che alle donne si regalano fiori e cioccolatini?"

"Se è per quello al mio primo appuntamento con lei, me le sono fatte restituire… e ti assicuro che male così di stomaco…"

"Lasciamo stare i particolari." - sospirò, mentre l'indisciplinato demone gli offriva una sigaretta - "No, grazie. E questa fanciulla? Parlami di lei."

"E cosa si può dire… io l'amo. E lei ama me. Almeno spero." - chinò la testa, pensieroso. Principessa… era la prima volta che parlava di lei in quei termini.

"Potresti aggiungere almeno il suo nome…" - lo incoraggiò Methos.

"Cordelia. Si chiama Cordelia."

"E' un bel nome…" - disse.

"In inglese significa gioiello del mare…" - commentò Doyle - "Ed io non potrei essere più d'accordo."

"e non solo…" - Methos sorrise, fissando la luce del sole - "presso i latini il suo significato era un altro. Cordelia… colei che ha cuore… e penso che anche in questo caso potresti essere d'accordo."

Doyle si voltò, senza riuscire ad incontrare il suo sguardo. Methos aveva alzato il viso, socchiudendo le palpebre per la luce troppo intensa.

E così, immortalato nella sua concentrazione, ben poco sembrava trasparire, se non la grande consapevolezza. Ed il rimpianto per un amore di cui probabilmente non ricordava più neanche il volto.

"A quale moglie pensi…" - gli chiese, affettuosamente.

"A nessuna in particolare. Riflettevo sull'amore in generale, come va e viene, soprattutto in un' esistenza come la mia. Un eternità in ogni amore, si potrebbe definire…"

"Perché no… ho un amico che invece affermerebbe, dall'alto dei suoi duecentocinquant'anni, che l'amore è eternità."

"Dice così solo perché è giovane. Oppure perché ha sofferto molto." - commentò Methos - "Spesso del dolore non vedi la fine. E così, allo stesso modo, nell'amore infelice. Io ho amato sempre con la stessa passione, mai una meno dell'altra. E mai ho sofferto meno, quando le perdevo. Dillo, al tuo amico, non la amerà di meno, se la lascerà andare…"

"Non mi darebbe retta, poco ma sicuro." - Doyle scosse la testa - "Angel mi ascolta, ma quando si tratta di amore… testardo come un mulo e chiuso come un riccio."

"Angel…" - Methos si voltò, con un mezzo sorriso - "O Angelus. Ho sentito parlare di lui. Si chiacchierava decisamente molto, in Inghilterra, nell'Ottocento. Avevo amici che per le cronache dei suoi massacri impazzivano del tutto."

"Stai parlando di quel branco di sciroccati che frequentavi?"

"Si da' il caso che quelli che tu ami definire sciroccati, siano stati menti geniali e spregiudicate…Byron, Polidori, Shelley…" - brontolò - "non stiamo parlando di sconosciuti."

"Come vuoi." - Liquidò bonariamente il demone - "Ma Angel non sarebbe per niente contento di sentirsi chiamare Angelus. È un secolo che cerca di scrollarsi di dosso quel nome."

"E magari anche il soprannome di Flagello d'Europa." - aggiunse Methos - "Non ti stupire, lui e la sua combriccola andavano realmente di moda nei circoli letterari. Semplicemente per quello che erano. Personaggi fantastici connessi a feroci delitti. Vampiri… l'ammaliante donna bionda vestita di rosso… la fanciulla dai capelli corvini e gli occhi come la notte… l'elegante gentiluomo dagli occhi scuri e magnetici… chi manca?"

"Stando al mio inventario, solo il feroce predatore biondo dagli occhi di ghiaccio…" - che si imbestialirebbe sapesse di essere stato dimenticato…

"Non è una figura tipica dell'ottocento inglese." - obbiettò lui.

"Oh, sì che lo è." - lo corresse, con un mezzo sorriso - "Credimi sulla parola."

 

"Allora, che tipo è, questo eroe da libro dell'orrore…fammi indovinare…sulla strada della redenzione dopo chissà quale terrificante nefandezza." - declamò con gesto amletico.

"Ci sei quasi…" - Doyle scosse la testa. Prendendo appunti sul fatto di non far mai incontrare Methos e Spike. Angel ne sarebbe uscito nevrastenico - "Forse un po' troppo cinico… ma nel complesso è esatto. Più semplicemente, ha riavuto l'anima."

"Un personaggio interessante…" - commentò, osservando interessato un violinista ad angolo strada - "E la cacciatrice?"

"Altra città e altro Osservatore."

"Una per ogni generazione… non mi stupisce che si siano dedicati agli immortali…" - sospirò - "Così tanti ed una sola ragazza a reggere la partita. Io non so come possano resistere ad uno stress del genere. Tutte quelle informazioni, il più delle volte chiuse a doppia mandata nella loro testa… un po' come vivere della vita altrui."

"Politica che tu ti sei impegnato a demolire." - ribattè Doyle - "E ti assicuro che Westley Whydam Price smentirebbe subito queste tue elucubrazioni."

"Elucubrazioni… ma sentitelo come parla forbito."

"Sfotti meno, vecchio mio. Anche noi giovani abbiamo cultura!" - esclamò, mandando a canestro la lattina vuota che aveva in mano - "E non cambiare discorso."

"non sto cambiando discorso." - protestò - "Mi sto limitando a dire che deve essere frustrante. Si azzuffano tutti per lo stesso osso. Si contendono una ragazzina. Riconosco loro di aver avuto una motivazione per diventare un branco di impiccioni impegnati a catalogare me ed i miei simili… dio, ne parlo come se fossimo una specie rara di criceti…"

"Pressappoco. Mi stupisce solo che tu ne parli così, visto che sei uno di loro…"

"Per scopi vilmente pratici e personali." - specificò Methos - "E' un ottimo sistema per smistare le seccature e sapere sempre dove sono tutti quei simpatici guerrafondai che vogliono la mia testa. E poi mi piace l'idea di essere l'Osservatore di me stesso…"

"Per carità, non far venire un'idea del genere alle Cacciatrici!" - Doyle mimò disperazione, infilandosi le mani tra i capelli - "Già così è un'insurrezione dietro l'altra. Soprattutto adesso, che di cacciatrici ce ne sono due…"

"Due… e come… no, non penso di volerlo sapere." - concluse Methos, ricordando rapidamente a se stesso che erano quasi tremila anni che riusciva a stare lontano dalle arti magiche e da ciò che esuberava dalla sua natura di immortale. Ad esclusione di Doyle, ovviamente.

"Prima o poi dovrai…" - ribattè, evasivo Doyle.

Di colpo provava un grande interesse per i graffiti sul muro. E sperava già di passare indenne, quando sentì una mano afferrarlo per un braccio e fermarlo.

Prima che tagliasse la corda.

"Francis Allen." - scandì bene Methos, provocandogli un brivido giù per la schiena - "Sei certo di non avere niente da dirmi?"

Quando si voltò, per fissarlo in viso, rivide il cipiglio che aveva segnato la sua infanzia. Lo sguardo indagatore e l'espressione attenta. Methos poteva avere anche l'atteggiamento di uno qualunque, ma quando scrutava il mondo con quell'espressione, Doyle tornava a sentirsi il bambino senza padre che era stato.

 

Una pallonata. Un calcinaccio.

Ancora una pallonata.

Ed un altro calcinaccio. Quel muro si sgretolava proprio bene…

"Francis! Smettila."

Si era voltata, per gridare, ma non gli era sembrata poi molto arrabbiata.

Un'altra pallonata ed un altro calcinaccio.

Adesso non aveva detto nulla. Parlava con un uomo, un uomo più alto di lei che la obbligava ad alzare la testa, ad ogni parola.

Da lontano, Francis non lo vedeva in viso… ma non gli importava nemmeno che faccia avesse… non era suo padre, questo lo sapeva. Suo padre era morto, gli aveva spiegato la mamma, ed anche se non era volato in cielo, per un motivo che non era proprio chiaro, non sarebbe tornato.

Papà non torna. Questo era una cosa facile da capire, anche per lui, anche se aveva solo cinque anni.

Un'altra pallonata.

"Francis!"

Oh, se ne era accorta di nuovo. Adesso era proprio girata verso di lui ed anche se non si muoveva, aveva le braccia conserte.

Aveva l'aria severa, con i capelli sciolti sulle spalle. Rendevano troppo affilato quel viso piccolo e lentigginoso che si ritrovava, incoronandola con lunghi ricci rosso cupo.

Anche il tizio lo stava fissando. Aveva un cappotto lungo e nero, ed un maglione a collo alto, grigio. Vicino a lui la mamma era veramente piccola…

Francis ondeggiò sulle gambe, strofinandosi la testa con aria imbarazzata. Così la mamma, credendolo pentito, si sarebbe voltata e l'avrebbe lasciato giocare ancora un po'…

Oh…oh…

La mamma non l'aveva bevuta…

Stava scotendo la testa, ed era proprio contrariata.

Ma come poteva non capire? Era noioso, starsene sempre da solo. Come poteva giocare a palla se non aveva amici? Rimaneva solo il muro del cortile.

L'uomo si era chinato verso di lei e le aveva sussurrato qualcosa all'orecchio. Le aveva sfiorato i capelli con la punta delle dita, ma lei non l'aveva guardato.

Sinead Doyle era un osso duro. E non bastava accarezzarle i capelli in quel modo per intenerirla.

Solo un uomo nel suo cuore.

Francis Allen Doyle.

Suo figlio.

Quell'uomo era proprio alto...Francis non sapeva se fissargli i piedi o provare a guardarlo in faccia.

E fu allora che accadde qualcosa di strano.

L'uomo rise. Una risata morbida e amichevole, prima di accoccolarsi sul talloni e porgergli la mano.

"Ciao." - disse, con un bel sorriso - "Io mi chiamo Methos. E tu devi essere Francis."

"E' un nome stupido." - commentò il bambino, guardandolo con degli occhi azzurri calmi e trasparenti - "Solo la mamma mi può chiamare così. Perché piace solo a lei."

"D'accordo." - L'uomo non smetteva di sorridere - "Tu come vuoi essere chiamato?"

Nessuno gliel'aveva mai chiesto. E Francis dovette pensarci un po' su, prima di rispondere. Tutto era meglio del suo nome. Lo chiamavano 'ragazzino', oppure 'ehi tu!' o 'marmocchio'…

"Doyle." - disse, annuendo convinto per la scelta - "Voglio che tutti mi chiamino Doyle."

E che nessuno dica più che sono stupido.

"Va bene." - commentò l'altro, diventando serio - "Mi sembra una buona scelta. Ed ora dimmi, Doyle… vuoi continuare a giocare a pallone con il muro o vuoi giocare con me?"

"Tu sei grande. Non sai giocare a palla." - ribattè, incrociando le braccia - "E poi sei uno sconosciuto. Ed io non gioco con gli sconosciuti."

"Però mi hai parlato."

"Perché parlavi con la mamma." - iniziava a diventare una conversazione difficile. Si piegò, per vedere la sua mamma, ancora ferma a guardarli entrambi. E Methos si voltò, facendo altrettanto e scoccandole un'occhiata di attesa.

"Mamma? Lui è uno sconosciuto?" - chiese. Desiderava tanto un amico. E quel tizio era simpatico…

Sua madre non rispose. Per la prima volta sembrava non sapere realmente cosa fosse giusto. Lei, proprio lei, capace di mettersi contro la sua famiglia, pur di crescere il suo bambino senza padre e nel migliore dei modi.

"Giusto, Sinead. Bella domanda." - mormorò Methos, con uno strano sguardo - "Sono uno sconosciuto?"

Aveva una voce intrigante. E morbida come velluto. E tra loro esisteva ancora qualcosa di inspiegabile e forte.

E vederlo ora, inginocchiato vicino a Doyle, rendeva ancora più evidente quale fosse il suo obbiettivo.

Doyle era una carta che il destino aveva posto sul suo tavolo.

Doyle era il bambino che in cinquemila anni di vita Methos aveva potuto soltanto sognare. Un bambino senza padre. Per un padre senza figlio.

Sinead lo conosceva troppo bene, per non vedere in lui quell'insaziabile desiderio di insegnare ed essere compreso. Methos, con il suo disprezzo per l'esoterico, sapeva di poter trovare comprensione solo in quei simili che tanto abilmente evitava. Oppure in qualcuno che, come lui, e per altri destini, fosse scelto a divenire tutt'uno con il fiume in piena degli eventi.

Doyle era un bambino a lungo atteso dal mondo. Inspiegabilmente importante e senza risposte, nato da corpo umano e sangue demoniaco.

Era ancora presto perchè gli venisse affidato il ruolo per il quale era stato concepito. Ma già adesso era un bambino strano. E troppo solo.

Con troppe domande.

Domande per cui non sarebbe bastata la mente di una ragazza irlandese semplicemente bella e testarda.

Domande che avrebbero trovato risposte solo sulle labbra di Methos, umano, immortale e leggenda.

Ed ancora capace di ridere di se stesso.

"Non ti preoccupare, Francis…" - parlò, prima ancora di accorgersene - "E' un amico di mamma. Un buon… amico…"

Methos la guardò e Sinead, con un brivido, vide la stessa espressione sul volto di entrambi. E seppe che adesso, insieme, sarebbero andati molto più lontano di quanto potesse immaginare.

Methos sarebbe stato il tempo… Doyle, il suo messaggero.

"Sarai anche amico mio?" - chiese il bambino.

E Methos si girò, per guardarlo. Indagando dentro di lui, quanto fosse profonda e disperata quella richiesta. Quegli occhi. Non erano occhi adatti al viso di un bambino. Troppe cose si riflettevano e troppe ne erano assorbite.

Troppo azzurro.

Troppo puro.

Occhi che ora raccoglievano ogni più piccolo frammento dell'espressione dell'uomo. Francis aggrottò le sopracciglia, imbronciandosi. Quell'uomo lo stava studiando e gli stava dedicando un'attenzione che mai nessuno gli aveva rivolto.

E mai nessuno, per le strade del quartiere, gli aveva trasmesso quel senso di coscienza. Erano semplici sensazioni, per un bambino come lui, come il freddo, o la fame, la paura e l'affetto.

"Sarai mio amico?" - insistette. Di colpo la risposta era divenuta necessità.

Per entrambi.

"Certo." - Methos gli sorrise, annuendo - "Per me sarà un onore."

 

E fu allora che il velo del ricordo, lacerandosi, divenne una visione.

 

Doyle lo stava ancora guardando. E da tempo aveva smesso di vederlo.

I suoi occhi si erano rivolti lontano, focalizzati su immagini che contenevano al loro interno.

Methos strinse le labbra, impercettibilmente, per l'esasperazione. Qualunque cosa fosse, per Methos sarebbe sempre rimasta un mistero. Anche per lui, in eterno con la mente piena di immagini.

Immagini del passato.

Mentre Doyle altro non era che un canale per fotogrammi di eventi futuri.

Quando sussultò, portandosi le mani alle tempie, Methos lo abbracciò e lo tenne stretto. Rivedendolo bambino, alle prese con un incubo troppo grande perchè il suo sonno potesse contenerlo. Percependo ancora in lui il piccolo atterrito che era stato, come se quelle dannate visioni non potessero fare altro che riportare a galla, con la forza del futuro, quello che era il suo passato.

Lo tenne in piedi, mentre la folla li schivava, con occhiate ostili.

L'uomo alto dallo sguardo brillante e lo smilzo ragazzo sepolto nel suo giaccone.

Uomini persi, all'angolo di una città troppo grande.

E con l'intero mondo al loro interno.

 

II

Quando lo sentì impegnarsi in un respiro più profondo, seppe che le cose iniziavano ad andare meglio. Spostò le mani, per allentare la stretta, sentendo che riacquistava equilibrio. Cuore contro cuore.

"A me viene una fitta alla testa e a te un infarto?" - lo sentì mormorare, restando immobile. Doyle sentiva le tempie pulsargli… ma il vero rimbombo era la giugulare di Methos, sotto la sua fronte.

Methos che mal tollerava la questione delle visioni, dalla prima volta in cui era successo. E non poteva fare a meno di lasciare che la rabbia gli montasse dentro per quel sistema che riteneva troppo crudele per essere il migliore.

"Spero che almeno abbia la sua utilità." - avrebbe voluto dirlo, ma si morse la lingua. Era inutile riaprire quella vecchia discussione. Dopotutto, Doyle si era fatto ammazzare ed era resuscitato.

Il che dimostrava che conosceva molto bene i rischi del gioco che stava conducendo. E che, se lo riteneva necessario, sapeva anche barare. La resurrezione non era un fatto canonico, nel suo mondo…

"Methos… calmati…"

"E' una parola." - sbuffò l'altro, rendendosi conto di continuare a stringerlo, in mezzo ad una fiumana di gente. Un posto in cui entrambi erano troppo vulnerabili.

Un particolare che rimediò per istinto, trascinandolo, senza pensare neanche di mollare la presa, fin dentro il vicolo alle loro spalle.

"Un vicolo…" - commentò Doyle, mentre Methos lo aiutava a sedersi su una scala antincendio- "Sono un abbonato dei vicoli."

"E' tutto quello che sono riuscito a trovare." - spiegò Methos, buttando un'occhiata alla via, mentre Doyle tornava a stringersi la testa tra le mani - "Non un'altra visione, spero…."

"No. Ho solo perso l'allenamento. Dopo prolungate ferie nell'aldilà, sono un po' arrugginito." - bofonchiò, sbattendo le palpebre. Continuava a vedere a macchie colorate, ma doveva ugualmente riuscire a mettersi in contatto con Cordelia.

Armeggiò, cercando di mantenersi diritto e frugando contemporaneamente in tasca, per estrarre un cellulare che odiava e mai avrebbe pensato potesse servirgli.

Lo portava appresso solo perché Cordy la trovava una cosa rassicurante… e Doyle avrebbe fatto di tutto per accontentarla.

"Principessa? Ciao, sono io. Senti, avrei avuto un'informazione dall'alto…." - disse, continuando a massaggiarsi la fronte e iniziando a descrivere, con voce monotona, tutto quello che aveva visto e captato.

Dall'altro lato, per il volume troppo alto, c'era una voce femminile vagamente acuta, di una ragazza che, da come stava urlando, sapeva bene come trattare quel demone trasandato.

Methos trattenne un sorriso, appoggiandosi alla ringhiera, vicino all'amico e cercando di ignorare la telefonata ed il fatto che Doyle fosse bianco come un cencio. Probabilmente gli succedeva talmente spesso da non badarci più. Ma Methos continuava a sospettare che fosse spiacevole quanto morire e risorgere. Se non peggio.

Adesso la conversazione sembrava maggiormente di stampo privato. Ed era una lunga discussione sulla necessità che qualcuno venisse a recuperare Doyle.

Indipendentemente dalla volontà di Doyle che si stava rifiutando di fornire le coordinate.

"Non mi dirai che te le da' tutte vinte…" - mormorò, quando finalmente il demone interruppe la telefonata.

"Tutt'altro. Sono io che, potessi, le darei tutto…" - sorrise, ricominciando ad avere un aspetto più sano - "Allora? Ti sei calmato? Lo vedi che sto benone?"

"permettimi di trovare tutto questo poco etico da parte dei tuoi capi…"

"Vero. Meglio tagliare le teste per avere informazioni che trapanare la propria." - annuì, con aria convinta. Si sentiva ancora lo stomaco in subbuglio e fitte come lampi nel cervello. Chiuse gli occhi e si appoggiò un attimo a Methos.

Soddisfatto.

Pienamente soddisfatto, mentre l'altro si limitava a spostare il braccio, di modo da non colpirlo con il gomito, lasciando che, con un sospiro, posasse la testa al suo torace.

 

Il frastuono della città saliva e scendeva di intensità. E la grondaia, gocciolava, nel vicolo, provocando una pozzanghera poco lontano dai loro piedi.

Era un suono ritmico e ipnotico.

Come il respiro di Doyle. Methos chinò lo sguardo, osservando il profilo del demone. Appariva rilassato. Ma negli occhi dell'immortale era ancora impressa l'espressione di dolore della visione.

Così simile a quella di Sinead…

 

Sinead…

 

"Si è addormentato." - commentò Methos, tornando nella stanza.

Sinead posò l'ultimo piatto lavato e si voltò, con calma, per squadrarlo, con un lampo di combattività negli occhi chiari. Methos si era arrotolato le maniche del maglione ed era rimasto appoggiato allo stipite della porta, con le braccia conserte.

Alle sue spalle, ancora illuminato dalla lampada accesa sul comodino, c'era Doyle. Era crollato, di traverso nel letto, mentre erano seduti a chiacchierare pigramente sul terrazzo, davanti ai resti della cena.

"Tutto quel giocare a pallone lo ha stravolto." - aggiunse, lasciando che la donna continuasse a sfidarlo con gli occhi.

"Si corre molto meno, quando si ha solo un muro contro cui calciare." - commentò freddamente lei.

"Mi spieghi adesso cosa ti prende?" - Methos si spostò e Sinead gli voltò le spalle, riprendendo il lavoro da dove l'aveva interrotto. Negli occhi conservava ancora una fuggevole immagine, un fotogramma che andava a sommarsi a molti altri di quella giornata: Methos, chino su quel ragazzino, intento a sfilargli il pallone da sotto il braccio, con una coperta tra le mani.

Posò lo straccio, sbattendolo quasi sul ripiano.

"Sarai capace di essere quello di cui ha bisogno?" - l'aggredì. I suoi occhi avevano una sfumatura smeraldo, rispetto a quelli del figlio.

"Ha bisogno di un amico." - replicò l'uomo, senza lasciarsi intimorire da quello scatto - "E questa è una cosa che so fare."

"Andiamo! Sai bene che gli serve una guida! Non è un bambino come tanti, non è umano. I suoi coetanei lo sentono e ne hanno paura. Sono solo i primi che lo classificheranno come malvagio. Tu sai cosa significa, non è vero? Ricordi cosa si prova?"

Methos la guardò avvicinarsi, infervorata dalle sue stesse parole. Era la tigre che difende il proprio cucciolo. Era l'essere volitivo e splendido che aveva tanto amato, prima ancora che fosse realmente donna. La fanciulla che non si curava delle chiacchiere e delle opinioni.

E che amava con una passione indimenticabile.

La donna che non aveva esitato a sparargli e ucciderlo, per una singola visione rimasta intrappolata nella sua mente. Perché doveva provare a se stessa di non essere pazza, a crederlo invulnerabile.

La donna che aveva atteso che si risvegliasse, stringendogli la mano, perché non fosse solo.

Si fissarono un attimo interminabile, prima che lei si voltasse.

"Non mi aspettavo che comprendessi. Hai avuto cinquemila anni per badare a te stesso, continuerai a farlo e lo lascerai."

Come lasciasti me. Quel pensiero la ferì. Non era stato lui a lasciarla. Ma lei. Lei lo aveva abbandonato. Sperando, forse, in cuor suo, che Methos fosse più forte della sua testardaggine.

Della sua capacità di mentire.

La fitta del rimpianto giunse contemporaneamente alla visione. La sua mente si riempì di visioni urlanti e psichedeliche. Represse un urlo, mutandolo in un singhiozzo.

Non gridare. O Francis ti vedrà.

Ed avrà paura.

Methos l'afferrò e la tenne stretta. Tutto era svanito nella fierezza del suo dolore. Il suo rancore era evaporato, nel contatto tra i loro corpi. Sinead lo colpiva sul petto, con i pugni stretti, trattenendo le lacrime. Cercando la lucidità necessaria per captare ancora un singolo particolare di quella macabra immagine.

Uno. E uno ancora.

E a ogni lampo nella mente seguiva, come per scandire regolarmente il tempo del dolore, un colpo, un pugno su quel torace magro e forte. Provocandogli un sussulto, nel cuore, per quella disperazione che gli trasmetteva. Che lo spingeva a stringerla ancora.

Sempre più forte.

Pregando, per potersi sobbarcare quello che stava provando, almeno una volta nella vita.

Sinead, la sua piccola strega. Il Messaggero.

La sentì inarcarsi e poi abbandonarsi, inanimata. La sollevò, adagiandola sul divano, continuando a tenerla stretta. Slacciandole la camicetta, cercando di visitarla senza dover interrompere l'abbraccio, appellandosi a quelle che erano nozioni mediche già da qualche tempo sepolte sotto altre professioni.

Chiamandola dolcemente, ed aspettando che si svegliasse.

Di vederla aprire gli occhi e fissarlo. Orribilmente svuotata.

Tanto da fargli provare una paura che credeva di non poter più sentire per nessuno.

"Sto bene." - mormorò lei, con un filo di voce. Mentendosi e tornando a nascondersi dietro uno sguardo duro e cupo.

"Non è vero." - replicò piano, guardandola. Continuando a stringerla - "Sei debole. Stai tranquilla, riprenderemo la nostra discussione quando starai meglio."

"No." - la sua voce risuonò salda - "Tu hai tutto il tempo che vuoi. Io ho un figlio che crescerà prima ancora che riesca a rendermene conto. Non voglio saperlo da solo, quando avrà bisogno di qualcuno a cui aggrapparsi."

C'era qualcosa di lei, come una tragica consapevolezza. Methos la contemplò, senza trovare in lei nessun segno del tempo trascorso lontani. Nulla, se non quell'ombra dura che le adombrava lo sguardo. E in quell'attimo, si rese conto, qualunque cosa accadesse, Sinead non sarebbe invecchiata. Sarebbe morta così, con quel viso appena sbocciato e la chioma ancora fiammeggiante.

"Methos. Io sono umana. E le visioni mi uccideranno, prima o poi. Il mio cuore esploderà, per il contraccolpo, oppure sarà il mio cervello a cedere. Quando accadrà, devo essere certa che Francis non sia da solo. Passeranno anni, ma tu sarai ancora come oggi, ai suoi occhi."

La guardava. E taceva. La fissava con gli occhi della prima volta in cui l'aveva stretta tra le braccia.

"Le visioni… è destinato a questo, non è vero?" - chiese. Lo atterriva, il pensiero di quel bambino, in balia di un dolore del genere. Un dolore che stava consumando lentamente sua madre, togliendole ogni speranza.

"La sua natura di mezzo demone lo renderà più forte. Soffrirà così, le prime volte." - spiegò lei, in un soffio. Lasciando che Methos, scivolando sdraiato sul divano, la trascinasse con sé. Lasciando che i suoi boccoli rossi gli infiammassero il petto e le braccia, ricoprendoli - "Poi imparerà a sentirle giungere. E, se sarà abile come penso, anche a controllarle. Le sue risorse sono ampie ed io posso intuirne solo una parte. Posso intravedere qualcosa del suo futuro. Vedo la sua morte…"

la sua voce scese di intensità, mentre il corpo di Methos, sotto il suo, si irrigidiva per lo shock. Si impose di respirare, prima di proseguire.

"Lo vedo morire e tornare. E sento l'universo contrarsi per questo miracolo. Francis cambierà il corso degli eventi e la sua forza sarà l'amore. Egli crederà in un eroe e nella giustizia… un eroe forgiato da buio più nascosto, con sangue della sua terra nelle vene. Un essere antico come il peccato e la redenzione. Ma come può un bambino solo, conoscere e comprendere questo amore… come può un bambino dare risposte se nessuno ne ha per lui…"

"Crescerà Sinead.." - mormorò Methos, intrecciando le mani con i suoi capelli. Fino a tenere la sua nuca in un palmo - "Crescerà con la forza ed i poteri di sua madre. E con il suo amore. Sei tu che scrivi la sua strada, un giorno alla volta."

"Io non sono abbastanza… non ho nulla per nutrire l'eterno che è in lui" - mormorò, perdendo la mente in antiche leggende del suo popolo che nessuno più ricordava - "Francis sarà la Guida.E per esserlo, deve avere la consapevolezza della memoria e del tempo. Delle cose che mutano. E di quelle che non cambiano.

Egli sarà il Cantastorie dell'Universo…"

La sua voce si spense in un sospiro. Era stremata. Presto si sarebbe dovuta alzare e uscire. Aveva informazioni che andavano divulgate alle persone giuste.

Avrebbe chiesto a Methos di aspettare il suo ritorno, per non lasciare il suo piccolino da solo. Poi l'avrebbe lasciato libero di andare.

Methos non parlava, le accarezzava la testa, pensieroso.

Il suo sguardo si era perso, in un'ombra del soffitto. E nel corridoio del suo passato. Dei volti che aveva amato e perso. Delle ambizioni umane svanite come neve al sole. Sinead, un giorno o l'altro sarebbe divenuta una di quelle ombre. E, probabilmente, anche suo figlio.

Methos non poteva che domandarsi se era pronto, ancora una volta, ad accettare, sapendo che sarebbe stata una cosa temporanea. Che un giorno sarebbe potuta divenire un rimpianto insostenibile.

Lo stesso, sopportato, anno dopo anno, in attesa che i giorni divenissero secoli.

Restando innamorato perdutamente della vita. Ugualmente.

La vita… sinead combatteva per la vita.

Per la vita nella sua essenza, perché continuasse ad essere il bene prezioso che gli eroi difendevano.

Lei, che mai sarebbe stata leggenda. Ma solo strega, mirabolante veggente.

E dopo di lei, quel ragazzino dagli occhi indaco, levati silenziosi verso le stelle…

"Il Cantastorie dell'Universo…" - mormorò pensieroso. Prima di baciarle la folta capigliatura, con un'unica frase, a fior di labbra - "In tal caso, avrà veramente bisogno qualcuno che gli racconti qualche aneddoto…"

La sentì sussultare e la vide alzare la testa. Un'espressione di stupore che le ingrandiva gli occhi.

Quanto l'aveva amata. E quanto avrebbe dato ora, per lei. E per quel bambino che gli era entrato nel cuore.

Irrimediabilmente.

La vide addolcirsi, nel guardarlo. Ed alzare gli occhi, verso la stanza del piccolo.

"Non mi dirai che si è svegliato." - esclamò. Prima di rendersi conto di quello che aveva detto, guardandola sorridere ed illuminarsi, davanti quella frase che aveva il sapore di famiglia.

Sinead lo guardò, imprimendosi i suoi lineamenti nella mente. Come se dovessero svanire, con l'amara consapevolezza che mai nulla li avrebbe distorti o mutati. Ne incontrò lo sguardo e si chinò verso le sua labbra.

Un sorriso contro un sorriso.

"Tranquillo papà… nulla verrà a disturbarci."

 

Sinead aveva visto suo figlio crescere.

E quando, alle soglie dell'adolescenza, l'aveva irrimediabilmente lasciato, crollando a terra, aveva sentito il suo dono abbandonarla e scorrere in lui.

In un bagliore, ancora una volta, l'ultima, l'aveva visto uomo. Ed aveva respirato la speranza che sapeva portare, con il suo cuore puro ed il suo sorriso.

Ed aveva chiuso gli occhi, con il ricordo di Methos, del suo sorriso e la consapevolezza di lasciare il suo piccolo Francis in buone mani.

 

Methos era la sua aria di casa.

Doyle aveva dimenticato come potesse essere rassicurante con la sua presenza. Sapeva essere tremendamente solido ed umano, così lontano dall'etereo e dall'eterna lotta tra bene e male in cui Doyle si sentiva sempre più immerso, ogni giorno che passava.

Dopo cinquemila anni di sopravvivenza, passati per così tanti teatri di battaglia e scenari di storia da non riuscire nemmeno ad enumerarli, Methos continuava ad essere pieno di difetti e di emozioni genuinamente umane.

Null'altro che una trasandata enciclopedia ambulante, perennemente cinica e sottile nel cogliere la realtà semplicemente per quello che era.

Rimase fermo, con gli occhi chiusi. Sapeva perfettamente che il capogiro era passato. Ma ce ne sarebbero stati tanti altri che Methos si sarebbe perso, tanti in cui i suoi amici non sarebbero arrivati in tempo da evitargli un impatto col pavimento ed una frattura al setto nasale. Non c'era niente di male, a desiderare di essere ancora un ragazzino alle prese con problemi insormontabili, appoggiato ad una roccia, piuttosto che un demone guardiano e visionario in prima linea per la difesa del mondo.

Quando si sentì premere due dita sul collo, aprì un occhio, per scoprire Methos che, fingendo di essere distratto, gli stava contando i battiti.

"Ehi, dottore, i demoni non sono come gli umani." - commentò, restando comunque fermo e guardandolo, dal basso verso l'alto,

"Tu sei demone solo per metà." - replicò l'altro, mantenendo lo sguardo fisso sul quadrante dell'orologio- "Ed anche i mezzi demoni hanno battito e coronarie."

"E tu che ne sai? Io sono un demone, non tu."

"Ed io un medico da almeno un millennio. Ho visitato di tutto. E te ben più di una volta."

"Come no… ci siamo passati insieme tutte le malattie infettive ed ogni mia frattura adolescenziale." - commentò Doyle, sollevandosi a sedere e mettendosi un po' più comodo. Per quanto Methos non avesse fatto assolutamente nulla, si sentiva decisamente meglio.

"Ti sei rotto più ossa tu in dieci anni che io in centocinquanta." - ricordò Methos, con un sospiro, scavalcandolo e sedendosi su un gradino più alto, per allungare le gambe - "Senza contare che sei riuscito ad avere contemporaneamente morbillo e orecchioni…"

"Mi spieghi come facevi a spuntare sempre al momento opportuno?" - Doyle si girò, con un'espressione interrogativa. La stessa di ogni volta che, in un momento di difficoltà, dal nulla compariva l'immortale. La stessa espressione che aveva tanto amato in Sinead.

Methos lo guardò, soppesando bene le parole.

Fino a non riuscire più a controllarsi.

Sentendo la necessità di dirgli la verità.

"Vedi, Francis…" - gli spiegò pazientemente, inclinando un po' la testa - "Quando ero un po' più giovane, un certo Meucci inventò una cosa destinata a rivoluzionare il mondo. E la chiamò telefono…"

 

III

"Adesso che ci penso." - mormorò Methos, porgendogli una mano perché si tirasse in piedi - "Hai usato una visione per cambiare discorso."

"Mica le comando a bacchetta." - protestò il demone, aggiustandosi la giacca - "Non sono poi così bravo…"

"In tal caso, se è stato solo un disguido, non troverai faticoso, riprendere da dove abbiamo interrotto e dirmi cosa ho a che fare con una delle due cacciatrici."

"Ah, già…" - Doyle guardò l'orologio febbrilmente, camminando spedito - "Accidenti se è tardi, dobbiamo spicciarci…."

Methos girò su se stesso, mentre Doyle tagliava la corda. O almeno ci provava.

Incrociò le braccia e puntò i piedi.

"Sto aspettando."

"Andiamo Methos, sai bene che non vuoi saperlo." - ribattè, con l'espressione più innocente del suo repertorio - "Non ti piacciono queste previsioni. L'unica veggente che hai appezzato sul serio nella tua vita è stata Cassandra.. e solo per il fatto che nessuno la prendeva sul serio. Non mi va di darti informazioni su cui rimugineresti imbestialito per un bel pezzo.

Hai già i tuoi grattacapi con Duncan, ti ci manca solo F…"

Si trattenne. Per un pelo non gli era sfuggito dalle labbra. Chiuse la bocca e lo guardò, mentre Methos socchiudeva gli occhi, studiandolo.

"F… e poi?" - chiese.

"F come fatica. È quello che stavo dicendo. Hai già i tuoi problemi con Duncan, ti ci manca solo fatica ulteriore…." - spiegò, gesticolando, per essere convincente.

"Tutto altruismo. Ti sono molto grato per essere così sollecito riguardo alla mia salute." - disse, avvicinandosi, sempre a braccia conserte - "Ma stavamo dicendo… F come?"

"Faith." - borbottò Doyle. Methos aveva il potere di estorcergli le informazioni - "ma sei sempre stato così prepotente o lo sei diventato?"

"Sempre stato." - spiegò lui - "Ma solo con i più giovani."

 

"Una Cacciatrice. Di nuovo una Cacciatrice…" - commentò, a beneficio personale.

"Come sarebbe a dire, di nuovo?" - bofonchiò Doyle, a bocca piena.

"Ma tu smetti mai di mangiare?" - chiese Methos, rinunciando alle sue riflessioni. Stavano seduti in una tavola calda a guardare il traffico ancora consistente. Il sole era appena tramontato e, di lì a poco, le loro strade si sarebbero nuovamente divise.

 

Methos sarebbe ripartito per l'Europa a notte fonda. E Doyle avrebbe ripreso la sua caccia, raggiungendo gli altri.

Erano ad un solo isolato di distanza dall'Hyperion. Era stupefacente il quantitativo di chilometri che avevano percorso, con il semplice piacere di parlarsi.

"Le visioni mi mettono fame." - mormorò il demone, facendo sparire metà panino con un paio di morsi. E annaffiando con una birra - "Poi ho davanti una lunga notte per fognature. Non mi sembra il caso di avere cali di zucchero."

"Non mi sembra il tuo caso." - sospirò l'uomo, fissando il piatto che si vuotava ad una velocità impressionante.

"Hai già avuto a che fare con le cacciatrici?"

"Direi proprio di sì. E più di una volta. In questo modo, ho scoperto gli Osservatori." - spiegò - "In media cerco di tenermi alla larga…"

"Sì, lo so. Cacciatrici uguale esoterismo." - disse laconicamente Doyle, facendo un cenno perché gli portassero un'altra birra - "Dimenticavo che gli immortali sono invece spiegabili scientificamente. Si può sapere da dove ti viene fuori questa allergia al paranormale? Sei ad un passo dal riempirti di bolle per il semplice fatto di avermi parlato…"

"Non esageriamo." - protestò - "Sto solo sfruttando i vantaggi di queste epoca in cui la ragione può avere il sopravvento su tutto il resto. Ti assicuro che è un bel salto di qualità, rispetto ai quattromilasettecento anni precedenti."

"Ed in quest'epoca di razionalismo che tanto ami." - afferrò il bicchiere che la cameriera gli porgeva e ne bevve una sorsata - "ti sei imbattuto in me e in mia madre? Il trionfo della coerenza di pensiero…"

"Checchè tu possa pensare, ero in Irlanda per caso, quando sono finito nelle grinfie di tua madre."

"Che ha sempre asserito la predestinazione del tuo arrivo." - Adesso masticava patatine, con profondo gusto - "ma non distraiamoci. Mi stavi dicendo che hai conosciuto una cacciatrice."

"più di una, ho detto. Ma sarebbe una storia molto lunga. Diciamo solo che è stato divertente, essere il suo Osservatore…"

L'aveva detto con tono incurante. E si spostò, prima di rischiare una doccia nella birra.

"sei stato un Osservatore?" - esclamò Doyle, tossendo - "Un Osservatore per una cacciatrice?"

"All'incirca a metà dell'undicesimo secolo. Poi mi hanno assassinato, per sostituirmi. Il Consiglio non è molto cambiato, da allora. Lo stesso covo di intrighi e politica." - raccontò, giocherellando con il suo bicchiere ormai vuoto. E mettendosi più comodo, con un braccio allungato sul schienale della panca su cui sedeva - "Era una ragazza in gamba, decisamente. Apparteneva ad una stirpe franca di notevole lignaggio, originaria dell'Austrasia. I suoi si vantavano di aver combattuto come vassalli di Carlomagno e prima ancora di Carlo Martello, a Poitiers. E poi, come molti, cercavano di risalire a qualche epoca remota per infiocchettare l'albero genealogico. Una pratica piuttosto diffusa…"

si era perso in qualche ragionamento a riguardo.

Ma la curiosità di Doyle era troppo forte. E restava ben poco tempo per soddisfarla.

"E dopo? Sei stato ancora un Osservatore?"

"Non proprio. Una volta, ancora, in un certo senso, durante la peste, nel quattordicesimo secolo." - sorrise, ricordando la sua bellissima cacciatrice - "Ma più per fini personali, che per sete di conoscenza. E senza informarne il Consiglio. Ma è stata l'ultima volta. Dopo di lei, ho preferito far perdere le mie tracce.

Ed oggi, preferisco di gran lunga essere un Osservatore per gli immortali. E soprattutto per me stesso. Comporta alcuni vantaggi non trascurabili…"

"Lo so. Non so quante volte te l'ho sentito ripetere." - si pulì le mani in un tovagliolo, prima di appallottolarlo e gettarlo vicino al piatto - "Non me l'avevi mai raccontato…"

"Il tuo interesse per le cacciatrici è decisamente recente." - commentò Methos, buttandogli un'occhiata di sbieco e pagando tutto il divorato senza un commento - "E del resto, ho sempre avuto storie migliori da raccontarti."

 

"E così, dobbiamo salutarci un'altra volta." - aggiunse poi, uscendo dal locale. L'aria si era fatta più frizzante e Doyle si stava aggiustando la giacca. Approfittando del pretesto per dare la caccia ad una sigaretta post pasto.

"Purtroppo…" - replicò, accendendola - "Lo so che è una domanda prematura per uno come te, ma pensi che ci rivedremo, in questo decennio?"

"Farò l'impossibile." - rispose, registrando il viso dell'amico - "Faith, hai detto?"

"Come la Fede…" - gli sorrise il demone - "Un nome perfetto."

"Sarà… vieni, ti accompagno per un pezzo…" - disse, incamminandosi.

 

L'Hyperion era già visibile. Le luci ai lati del cancello erano abbastanza potenti da illuminare parte della facciata.

Si erano fermati sull'angolo. Sapevano entrambi che si sarebbero salutati lì, senza prolungare ancora il tempo che si erano concessi. E senza realmente dilungarsi. Ad un certo punto, Methos, a fine di una frase, si sarebbe voltato e se ne sarebbe andato.

Lasciando come sempre qualcosa in sospeso, qualcosa di non detto. E allontanandosi per la strada, lasciando di sé semplicemente il ricordo di una camminata sicura e allampanata. La stessa con cui aveva percorso ogni via del mondo in ogni tempo.

"Decisamente una bella giornata." - commentò Doyle, finendo con calma la sua sigaretta.

Cento metri più in là cominciava la magia e la predestinazione. E qui, a meno di un metro, c'era quel che restava della sua vita normale. Se così si poteva definirla.

Qui, con le mani nelle tasche di un lungo giaccone sdrucito e con l'aria più anonima possibile, c'era il custode della sua infanzia, l'uomo che si era rivelato onorato di essere amico di un bambino.

E che mai l'aveva deluso.

 

"Starai attento?"

"E me lo chiedi?" - Doyle sorrise, indicandogli la porta dell'albergo - "Ho ottimi motivi per farlo.Guarda là…"

Dall'Hyperion stava uscendo una ragazza. Aveva dei lunghi capelli castani che spingeva indietro, come se l'infastidissero, senza decidersi ad annodarli.

I lampioni la illuminavano. Ed era bellissima.

"Lo pensi anche tu, vero?" - chiese Doyle. Ed era così felice che a Methos non sembrò il caso di fargli notare che gli aveva letto nella mente.

Dietro di lei stavano uscendo altre persone.

"Whydam-Price" - commentò Methos, vedendo uscire un uomo alto impegnato ad aggiustargli gli occhiali e a bilanciare la balestra.

"E tu come lo sai?"

"Mio compagno di corso in Accademia." - commentò serafico Methos. E visto che Doyle lo guardava allibito - "Sono un Osservatore anche in questa vita, l'hai dimenticato?"

Non aveva voglia di impegolarsi in una discussione. Alle spalle dell'Osservatore era apparso un uomo bruno. Si stava infilando una giacca di pelle e teneva lo sguardo chino.

Quando una macchina, una vecchia Desoto, inchiodò davanti al cancello, con gran baccano di una radio a massimo volume, anche da lontano, Methos lo vide alzare lo sguardo.

Ed immaginò che negli occhi scuri passasse un lampo di rassegnata tolleranza, mentre si scambiava un'occhiata con l'autista scriteriato. Un ragazzo eccessivamente biondo, con il braccio fuori dal finestrino. Che ricambiava il muto rimprovero con sfida.

"santo cielo… quei due sono proprio amici." - commentò Methos.

Svelando quell'estrema perspicacia e capacità di leggere tra le righe che sua madre aveva tanto amato in lui.

Doyle non disse nulla. Dubitava che l'analisi di Methos fosse già terminata. Senza voltarsi ad osservarlo, sapeva che i suoi occhi erano ancora puntati su di lui.

Su Angel, ancora fermo davanti a casa.

 

Quello era l'eroe. L'eroe forgiato dal buio. L'eroe per cui Sinead l'aveva lasciato, per concepire un bambino di sangue misto, per amore e predestinazione. Per avere un bambino che illuminasse la via ad una anima forte e perduta.

Angel, che si voltò, sentendosi osservato.

E li vide.

Doyle alzò una mano, in cenno di saluto. Ed Angel ricambiò, con un cenno impercettibile del capo, prima di sedere in macchina, vicino a Spike.

Senza dirgli una parola, ma aggrappandosi al cruscotto, mentre Spike lasciava metà dei pneumatici sulla strada. Per il solo piacere di esasperarlo.

 

Methos ed Angel si erano visti. E si erano riconosciuti entrambi come non umani.

Lo poteva percepire dal silenzio che si era creato. Methos, così attento a sfornare battute, al momento giusto, aveva perso un'occasione.

Per quanto non potesse ammetterlo, aveva sentito la forza di Angel. Per quanto la sua natura fosse differente da quella dei demoni e quella dei vampiri, per quanto fosse più simile a quella umana, qualcosa in lui si era risvegliato ed aveva captato un messaggio.

Qualcosa che il tempo avrebbe spiegato, forse.

"Ehi, hai già un prescelto… non guardare così il mio." - lo punzecchiò. Sentendo di meritarsi l'occhiata sarcastica che ne derivò.

 

Mancava una sola persona all'appello. Era usciti tutti. Tranne una.

 

"Doyle… non partecipi alla rissa serale?" - chiese una voce irriverente alle sue spalle.

E lui e Methos, all'unisono, si voltarono.

E Methos sentì una scarica elettrica, percorrerlo nella sua interezza, davanti alla figura che, senza un rumore, avanzava verso di lui.

Percorreva il marciapiede lentamente, caracollando, con enormi anfibi ai piedi.

Si era puntata i capelli con un paletto, arrotolandoli in cima alla nuca. Ed era pesantemente truccata di nero.

Appariva eccessivamente monocromatica, vestita di pelle e con le mani infilate in tasca. La pelle risaltava come bianca in quel contrasto visivo.

E gli occhi le brillavano come carboni.

"Li raggiungo tra poco. Sei stata a caccia?" - chiese Doyle. Aspettandosi una semplice alzata di spalle come risposta.

"Sai, non avevo niente da fare." - commentò - "Se mi aspetti, vengo con te. Tutto sommato mi va di andare ancora per massacri."

Stava deliberatamente ignorando il fatto che Doyle fosse fermo all'angolo con uno sconosciuto. Del resto, era nella sua indole farsi gli affari suoi. E provare a pretendere che gli altri facessero altrettanto.

Methos non appariva offeso dal fatto. E singolarmente, non stava cercando di sedurla, con il suo scontatissimo fascino. La stava studiando. Ed ovviamente la ragazza, per niente inconsapevole delle sue occhiate, decise che era ora di dargli il fatto suo.

Una semplice occhiata. Una, singola, senza una parola o un cambiamento d'espressione.

Le lunghe ciglia pesantemente truccate incorniciarono la freddezza metallica dei suoi occhi scuri. Qualunque fosse il messaggio che volevano trasmettere, si erano rivelati ostili.

Un attimo, ancora.

Prima di passare tra loro e continuare per la sua strada.

"Ci vediamo a casa." - la sentirono dire, mentre si incamminava, senza voltarsi.

E rimasero lì, in silenzio, aspettando che avesse attraversato la strada e si fosse inoltrata nel vecchio giardino sconnesso.

"Altro che Fede…" - fu l'unico commento - "Quella è la cosa più vicina all'Eresia che io abbia mai visto…"

 

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Capitolo 6
*** 06. Nel Nulla ***


Nel Nulla

 

I personaggi delle serie "Angel" e "Buffy, the vampire slayer", appartengono a Joss Whedon, la WB, ME e la Fox, l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

 

"Ehi, uomo, serata tranquilla?"

"Ciao Doyle" - replicò Angel, abbassando il libro che aveva in mano. Stava pacificamente seduto sul divano, con i piedi sul tavolino.

Nel suo sguardo brillava una scintilla allegra.

"Che mi venga un colpo! Angel, tu sorridi. Oddio, non pensavo di essere così contagioso! - si fermò Doyle, con un gemito - "Tra un attimo inizierai a dire battute sarcastiche e… nahh, non hai la battuta pronta come il sottoscritto!"

Angel sorrise e chiuse il libro.

"Non sono allegro. Sono soltanto in pausa. Stasera Faith ha preferito una ronda solitaria."

"E tu non hai sentito l'impellente bisogno di pedinarla e proteggerla?"

"No. Faith è in gamba, tremendamente in gamba."

"Uomo, non smetterai mai di stupirmi…"

" Inoltre, Westley è rintanato al piano di sopra, Cordelia deve rivedere il bilancio e Kate non sta seguendo casi impegnativi. Darla sta tramando in qualche angolo…"

"E questo non ti preoccupa?"

"Darla trama sempre…"

"Uomo…"

"Doyle…"

"Sei certo di stare bene?"

"Benone. Ma tu puoi sempre pensare che sia la quiete prima della tempesta." - lo punzecchiò Angel.

"Non mi hai detto però dove è finito il tuo pupillo."

"Il mio… pupillo?"

"Hai presente? Biondo, unghie laccate di nero, tanta voglia di essere cattivo…"

Angel sorrise, tollerante. Se c'era una persona che poteva capire Spike, questi certamente era Doyle. Un mezzo-demone, con certezze e contraddizioni umane.

E la difficoltà a vivere con un tormentato vampiro dotato di anima.

"Sarà in giro, a sedurre qualche fanciulla con quel bell'accento…"

"Bell'accento? Ah no, magari stavi facendo ironia…" - mormorò Doyle, avanzando per sedersi in poltrona - "Bene, bene, una serata tra irlandesi. Avessimo della Guinness…"

Il pavimento girò ed iniziò a deformarsi. Doyle cadde in avanti e gli occhi gli si riempirono di immagini confuse. Scene di tortura. Poi tutto divenne rosso.

Quando riprese a respirare, concitato ma consapevole, era sdraiato sul tappeto. Sfuocato ma presente, Angel gli stava mettendo un cuscino sotto la nuca.

"Uomo, forse ho rovinato la tua serata tranquilla."

"Temo anch'io. Ma prendi fiato. Questa volta mi hai quasi spaventato."

Era vero. Doyle si passò la mano sugli occhi e lo fissò. Gli occhi di Angel erano pieni di preoccupazione, come se un'improvvisa ed inaspettata angoscia lo attanagliasse.

"Hai visto qualcosa di terribile, vero?"

"Era tutto confuso,c'era qualcuno che soffriva, in un bagno di sangue. C'era un sacco di gente…"

All'improvviso una nuova fitta. Doyle girò la testa, portando una mano alla tempia, come preso da un forte dolore fisico. Sentì a malapena due mani forti stringerlo alle spalle. Questa volta la scena assunse un contesto. Una via buia, affollata di gente. Ancora sangue, gocciolante dall'alto. Con sforzo, Doyle alzò lo sguardo. In alto appeso come un animale al macello, stava una figura sottile, vestita di nero, abiti intrisi.

Solo risate. nessun urlo da quella vittima trafitta tanto da sembrare un istrice.

E poi nulla, di nuovo.

E riemergendo dal buio, di nuovo Angel. E Cordy.

"Ho urlato, vero?" - ansimò tremando - "Tutto bene, principessa."

"Doyle! Adesso credo di voler sapere cosa sta succedendo." - esclamò Angel. Gli teneva ancora le mani strette alle braccia. Doyle lo vide cambiare espressione. Lo sguardo divenire assente per un istante. Poi riempirsi di orrore.

"Angel!" - lo chiamò, tirandosi a sedere, puntellandosi su un braccio,nell'attimo in cui egli allentò la presa.

"Doyle, cosa hai visto? Doyle, qualunque cosa sia… si tratta di Spike."

Faith aprì la porta, sbadigliando. Aveva incontrato pochi vampiri, molto vigliacchi e molto veloci.

Li aveva inseguiti a lungo, da un tetto ad un terrazzo, fino al tipico vicolo. E lì si era divertita, come poche volte nella sua vita, in un rapporto dieci contro uno.

Liberatorio…

Con quattro salti fu in cima alle scale, nel mentre in cui si spalancava la porta. Angel uscì correndo, infilandosi il suo cappotto scuro.

Dietro di lui, pallido e barcollante, camminava Doyle.

"Ma cosa…" - Faith si girò disorientata, nel vederli correre giù dalle scale.

Cordy l'afferrò per un braccio e la fece girare. Aveva degli occhi enormi.

"E' successo qualcosa a Spike. Doyle ha avuto una premonizione, ma Angel dice che sta già accadendo. Vai con loro, Faith, muoviti."

Stava ancora urlando qualcosa, Cordelia Chase. Westley era a suo fianco, comparso dal suo studio. Ma Faith non poteva sentire nessuno. Correva dietro Angel e Doyle.

Non avevano preso la macchina, andavano verso un punto preciso, non molto lontano.

Era tutto chiaro…

Pochi vampiri…

Vampiri in fuga… a lungo…

Era una trappola. E lei si era ostinata sullo specchietto per le allodole.

Li vide girare un angolo ed accelerò il passo. Il primo che le si pose innanzi, appena svoltato, divenne polvere prima ancora di vederla.

Lo spettacolo la colse impreparata. Abbracciò la scena con un unico sguardo, nella stretta via. Alcune macchine la chiudevano da entrambi i lati, per illuminare, con i loro fari, quello che sembrava un bivacco.

Bidoni in fiamme, musica assordante. Vampiri, travolti in un sabba del nuovo millennio.

Ed in mezzo a loro Angel che massacrava, freddo, planando come l'angelo della morte.

Ed alcuni metri sopra la sua testa… Spike.

Faith ne fu paralizzata. Nessuno badava a lei, mentre la furia di Angel andava scatenandosi, con Doyle sempre al suo fianco.

Spike…era legato ed appeso per le mani. Le scapole apparivano in una posizione innaturale, la testa reclinata.

E sangue. Sangue che colava a lunghe scie, lungo tutto il corpo, intridendo i vestiti.

E frecce.

Spike era martoriato da frecce, usato come bersaglio, da ogni lato. Un'immagine le balenò, dai ricordi. Un'immagine di una santo trafitto da frecce, che la sua osservatrice soleva mostrarle, nello spiegarle la forza ed il perdono.

La volontà che poteva smuovere le montagne…

Si sorprese ad urlare di una rabbia repressa, di una furia incontrollabile. Uccidere.

Doveva uccidere tutti quei mostri. Nulla sarebbe restato di loro. Spike… nessuno sarebbe scampato indenne dalla vendetta.

Morivano.

Già morivano, quando la Cacciatrice saltò nella mischia, correndo sopra una delle macchine parcheggiate. Come una furia, con alte grida di battaglia.

I superstiti ne furono storditi. Tanto da pagare inermi con la loro non-vita.

Angel stava alle sue spalle. Non aveva bisogno di urlare. Il suo volto non era mutato, appariva ancora umano. Ma i suoi occhi riducevano in polvere più ancora della spada con cui li decapitava e trafiggeva.

Alcuni fuggirono.

Ed il vento portò via gli altri.

 

Faith tacque. Ansimava appena. La via era deserta e buia, i vetri dei fanalini spaccati, vestiti e lattine sparsi a terra, nella polvere dei proprietari.

Alle sue spalle. Il cigolio di una carrucola la obbligò a voltarsi.

Spike…

Doyle armeggiava con una fune, da un angolo.

Angel, macchiato del sangue di cui era intriso il terreno sotto i suoi piedi, tendeva le braccia verso l'alto. Una pioggia rossa e lieve gli colpiva il volto e gli occhi dilatati dal dolore.

Spike, come un angelo ferito,scendeva dal cielo.

I particolari apparivano sempre più nitidi anche nell'oscurità smorzata dalle luci del resto della città.

Faith vide le mani di Angel afferrarlo per i piedi ed accompagnare la discesa. Vide quelle grandi mani scorrere tra una freccia e l'altra.

Non si contavano. Erano metalliche, fatte per far soffrire, non per uccidere.

Niente sembrava fatto per ucciderlo.

Le frecce.

Le clavicole lussate per reggere quel peso inerme.

Ed infine le ferite, profonde ed irregolari, dai palmi ai gomiti.

Per dissanguarlo. Perché non avesse più in corpo sangue che rimarginasse le sue ferite.

Spike era un monito.

Un chiaro messaggio. La mente di Faith registrava, impotente e fredda, ogni particolare.

Angel, travolto da un dolore muto, adagiò quel corpo delicato e distrutto a terra, riservandogli il petto per guanciale. Lo stringeva nella paura di spezzarlo.

Le visioni di Doyle. Erano stati loro a provocarle. Il muto appello di Spike, travolto dall'ultimo barlume di consapevolezza ed Angel, il destinatario.

Doyle si era trovato su quella traiettoria di energia. Ed aveva reso in immagini quello che Angel aveva percepito in emozioni, con un attimo di ritardo.

Ora la schiena di Angel le copriva la visuale. Faith gli girò attorno, poi fece per inginocchiarsi. Ma Doyle la fermò.

"Attenta." - le sussurrò, indicando il terreno - "c'è sangue dappertutto."

Sangue. Sangue di Spike. Pericoloso per un mortale come per una cacciatrice.

E Spike.

Spike, ma della sua espressione ironica nemmeno più l'ombra.

Il suo volto era intatto. Perfetto.

Nessuno aveva alzato le mani su quei bei lineamenti.

Un labbro rotto, unico segno di lotta.

Faith fu irretita da quel segno, più ancora che dalle grandi ferite. Un ricordo l'assalì improvviso.

 

"Allora bella mia? Preferisci l'uncinetto?" - la canzonò Spike, afferrando al volo l'asta che le era sfuggita di mano e spedendola lunga distesa.

Faith, seduta a terra si massaggiò un gomito, furente. Spike la fissava, girando l'asta con velocità incredibile, passandosela da una mano all'altra.

"Cacciatrice? Sono un vampiro, che stai aspettando?"

"Non sono la Cacciatrice." - ringhiò lei.

"Oh sì, sì che lo sei. Una cacciatrice discutibile, ma una cacciatrice. E sta tranquilla" - aggiunse- "io me ne intendo."

"Spike" - disse Faith, alzandosi - "Non mi provocare."

"E se non ti provoco, cosa mi resta da fare?"

Colpo.

"Parlare di vestiti con Cordelia Chase?"

Parata.

"Ascoltare le barzellette di Doyle?"

Attacco.

"Oppure discutere di un testo babilonese con Whidam-Price?"

Difesa.

"Hai dimenticato Angel…"

"Ah giusto, Angel. Parlo con Angel da ben più di una vita.

Ogni tanto ho voglia di svagarmi, così lui ha tempo di sospirare e crucciarsi."

"Quindi, di tutte le persone che potevi scocciare, io sono la prescelta."

"Tu sarai sempre la prescelta, piccina."

"Non chiamarmi…"

Bam! Di nuovo a terra.

"Non chiamarmi cosa? Prescelta o piccina?"

"Spike,io…"

interruppe la frase. Nell'ironia di Spike si era aperto uno spiraglio. Con un rapido calcio gli portò via l'asta, colpendolo, con un'ampia rotazione in pieno viso.

Spedendolo al tappeto.

"Oddio!" - esclamò tirandosi in piedi e correndogli accanto - "Spike, come ti senti?" Spike la fissò. Buttava sangue dalla bocca, con un lungo taglio sul labbro inferiore.

"Tra le braccia di una donna?" - sorrise lui, leccandosi le labbra - "Sempre in paradiso, amore mio."

L' aveva fatto apposta. Aveva vinto ancora.

Faith si era rialzata , vergognandosi già di quel moto di preoccupazione. Quando aveva ritrovato il controllo e si era girata, con aria truce, lo aveva visto in piedi, con un sorriso beffardo.

Si massaggiava la mandibola, ma ogni traccia di ferita era svanita.

"Vedi, il bello di essere un vampiro… un po' di sangue, su una faccia bella come la mia, commuove sempre le fanciulle."

 

Un po' di sangue… C'era difficoltà a pensare che provenisse tutto dal suo corpo.

E non si trattava di commuovere le fanciulle.

Doyle si inginocchiò e posò una mano sulla spalla di Angel, un Angel travolto dagli eventi. Spike, reso esile dalla perdita di sangue e già più minuto per natura, sprofondava tra le sue braccia,inerme e bianco sulla lana scura del maglione.

Tutto attorno era come congelato, rallentato dalla tragicità di quell'immagine.

Nessuno osava muoversi.

Doyle e Faith rispettavano Angel ed il suo dolore.

E la sua rabbia.

Il furore che lentamente cresceva, alimentato dalla consapevolezza.

Ad un tratto i pensieri si interruppero.

Non era il momento della vendetta.

 

Di colpo Angel sembrò riprendere vita.

"Doyle, aiutami" - disse, armeggiando per sfilarsi il cappotto. Era evidente che tutti i suoi sforzi nascevano dal non voler perdere il contatto fisico con Spike. Doyle lo districò dalle maniche.

"Ce la fai a spezzare le aste?" - chiese Angel, passando il cappotto a Faith che lo afferrò, senza una parola. Doyle, con un cenno della testa, afferrò la prima, che sporgeva dal torace.

Lo schiocco fu netto, rumore di lamiera spezzata. Doyle piegava e ripiegava le aste cave, fino a dividerle in due parti, lanciando lontano gli spezzoni.

"Stai attento."

"Tranquillo, sono vuote all'interno. Non credo che ci serva conservarle come prova…"

"No, sappiamo entrambi chi è il colpevole." - replicò Angel in un soffio, prima di tornare a concentrarsi sulle ferite che ancora sgorgavano del poco sangue che aveva in corpo.

La prima freccia gli aveva strappato un gemito, più simile ad un gorgoglio che ad un urlo.

Sussulto era seguito a sussulto.

Freccia a freccia, fino a quando il terreno attorno a loro non ne era apparso orrendamente pieno. Quando Doyle si ritrovò, con l'ultimo moncone in mano, alzò lo sguardo e si tese a prendere il cappotto dalle mani di Faith.

Angel avvolse Spike, poi si sollevò, assestandoselo tra le braccia.

Spike spuntava appena, avvolto fino ai capelli nel bavero rialzato. Sembrava un bambino addormentato, mentre Angel distribuiva meglio il peso.

Teneva il capo appoggiato al petto di Angel e, tra le dita, un lembo del suo maglione. Le gambe, avvolte nei suoi amati pantaloni di pelle nera, sorrette dalla mano di Angel all'altezza delle ginocchia, dondolavano appena, come se gli anfibi fossero troppo pesanti.

Senza una parola si incamminò verso la strada, verso l'Hyperion. Doyle gli camminava a fianco, immerso nei suoi pensieri.

Era vero. Entrambi sapevano chi era il colpevole.

Ci avevano scherzato sopra, meno di un'ora prima. Le parole gli risuonavano ancora nella testa… Darla trama sempre.

Angel aveva avuto ragione: era la quiete prima della tempesta.

 

Quando giunsero all'Hyperion, trovarono Cordelia nella hall, seduta sul divano, i gomiti sulle ginocchia, in una posizione a lei inusuale. Il mento appoggiato alle mani, con l'aria di chi attende.

E Westley, impegnato a camminare, avanti e indietro, tamburellando distrattamente con una freccia da balestra.

La sola vista di quella munizione le provocò un moto di disgusto. Faith li aveva preceduti, spalancando le porte, subito imitata da Doyle. Ed Angel, con il suo fardello, era avanzato tra loro.

Cordy aveva osservato, pallida, quelle due teste così vicine, quella dallo sguardo determinato e l'altra, adesso seppellita nell'incavo del collo.

Li aveva seguiti su dalle scale, domandando spiegazioni, implorando una parola. Ma Doyle si era limitato a passarle a fianco, sfiorandole con la mano un braccio, con un cenno, perché si affrettasse.

Giunto di sopra, Angel era piombato nel grande salone del primo piano e, per un attimo, Cordy pensò che si sarebbe diretto in camera. Era una ipotesi ovvia, soprattutto perché, se Spike era svenuto, sdraiarlo sul letto era una buona soluzione.

Angel indicò il tavolo e vi si diresse. Era un tavolo di noce pesante, grande abbastanza da permettere che sei persone vi si sedessero comode intorno.

Così era sempre stato utilizzato, per discutere e ricapitolare.

I mesi vi avevano accumulato scartoffie ed oggetti sparsi che Doyle, senza tanti complimenti, spazzò via, con un unico movimento del braccio, per niente colpito dal rumore di vetri infranti.

Westley, precipitatosi a raccogliere i manoscritti, si fermò di botto, nell'istante stesso in cui Cordy portò le mani alla bocca per soffocare un urlo.

Nessuno di loro due era stato pronto a quello spettacolo.

Angel l'aveva adagiato sul tavolo già illuminato dal lampadario che Faith aveva acceso, nella speranza di rendersi utile.

Il corpo di Spike luccicava di sangue. Le braccia nude, squarciate, il petto, stretto in una maglietta nera e trafitto da monconi metallici… ed Angel chino su di lui.

Cordy aveva già visto un vampiro ferito; lo stesso Angel, avvelenato, trafitto, crivellato dalle pallottole… ma mai, mai nessuna sua ferita era stata una tal prova di sadismo e malvagità.

Non si trattava di ferite da combattimento… non si trattava di un'imboscata da scampare. Si trattava di tortura.

Faith le si fermò a fianco. Bastò un'occhiata tra loro, perché entrambe leggessero, una negli occhi dell'altra, lo smarrimento e l'inequivocabile congettura.

Un messaggio. Un messaggio efficace, molto più di un vampiro morto.

Recapitare cenere non era come torturare e restituire.

A meno che…

"Le frecce" - si sorprese ad esclamare Cordy, correndo ad aggrapparsi al tavolo- "Sono avvelenate?"

Doyle le gettò un'occhiata comprensiva e le rispose, in un soffio: "Ancora non lo sappiamo. Ma potrei scommettere, sul fatto che non lo siano…."

Anche lui pensava all'attenzione con cui quei bastardi si erano divertiti. Unica clausola: che Spike sopravvivesse.

"Si fa presto a scoprirlo" - replicò Westley. Dal nulla era riapparso, portando con sé guanti di plastica che gettò ad entrambe - "Doyle, sfilane una, ci penserò io ad analizzarla."

Un cenno di assenso prima di recuperare, senza tanti complimenti, quella che sporgeva dal bicipite sinistro. Doyle ed Angel, ai lati del tavolo e di Spike, si scambiarono un'occhiata.

Entrambi erano consapevoli della necessità di una strategia.

E fu Angel, inaspettatamente, a prendere la parola.

"D'accordo, Westley, ma fa in fretta. Cordy, recupera degli asciugamani e delle lenzuola." - si girò, cercando Faith con lo sguardo- " Faith, c'è bisogno di sangue, tutto quello che riesci a trovare."

Non c'era bisogno di sentirselo ripetere. Partì rapida verso la porta e si fermò, sentendosi chiamare.

"Faith" - aggiunse Angel, con un'espressione intrappolata tra rabbia e dolore - "Meglio se è umano."

 

"Qui non si tratta di salvargli la vita." - disse Angel a Doyle, mentre entrambi si affannavano a spogliarlo - "E' pressoché dissanguato. Senza sangue le ferite non si rimarginano in fretta anzi, non si rimarginano affatto. Rischia di vegetare così per mesi."

"Per cui…" - Doyle aspettava spiegazioni. E non aveva bisogno di soffermarsi pensare cosa sarebbe stato disposto a fare, per aiutarli entrambi.

"Per cui sangue. Bisogna sfamarlo, quando sarà in grado e prima fare trasfusioni. Il sangue umano non è forte come quello di Spike, ma il poco che gli resta in corpo lo muterà progressivamente. Anche il mio sangue, se sarà necessario."

"Il tuo."

"Sangue di vampiro, Doyle, in questo caso, buono come quello di qualsiasi altro." - replicò Angel, a denti stretti, strappando la maglietta scura a brandelli.

Caddero gli anfibi ed i pantaloni di pelle, ridotti a pezzi, andarono ad ammucchiarsi sul cappotto di Angel, finendo con l'impregnare l'angolo del tappeto. Cordelia portò ampi lenzuoli che, in breve tempo, si tinsero di rosso, a chiazze.

Spike era stato sdraiato su un fianco. Cordy gli aveva fatto scivolare un lenzuolo addosso, prima di avvicinarsi a Doyle, in cerca di conforto.

I suoi occhi chiari, sempre limpidi e tranquilli scrutavano la schiena di Spike; le sue mani sostavano già da qualche minuto su una ferita appena visibile, nella zona lombare. Quel singolo punto rosso sembrava preoccuparlo.

"Angel." - chiamò - "Vieni a vedere."

Cordy si spostò sollecita per fargli spazio.

"Attenta al sangue" - le mormorò distrattamente passandole a fianco. Il sangue gli arrivava ormai fino ai gomiti, ma anche il maglione dalle maniche rimboccate ne appariva imbevuto.

"Guarda qui." - Doyle gli indicò - "lo vedi quel segno? È un foro d'uscita ed è.."

"E' troppo vicino alla vertebra." - concluse Angel. La sua voce appariva stanca, ma forte - "il suo organismo può reagire anche ad una ferita di questo genere."

"Non mi sembra né schiacciata né recisa."

"Allora basterà che non si muova." - concluse Angel, freddamente,per non cedere ad una disperazione che sembrava divorarlo dal profondo. Si scambiarono un'occhiata - "Cominciamo."

E così fecero. Quando Faith varcò la soglia con il contenitore ospedaliero,le frecce giacevano ormai tutte nello stesso contenitore. Il torace di Spike era fasciato stretto e la clavicola lussata era di nuovo in sede.

"Trovato." - comunicò Faith, posando la scatola sul divano.

Quando incrociò lo sguardo con Angel, seppe con certezza che, in quel caso specifico, non le avrebbe mai chiesto come aveva fatto a procurarlo.

Per Angel esisteva la giustizia. Ma, sopra di essa, le persone che amava. E davanti a tutti, amori e amicizie vere e forti, stava Spike.

Il suo Spike.

La sua famiglia.

Il figlio e fratello che il destino gli aveva riservato.

 

Westley riapparve qualche minuto dopo. Per un attimo tutto sembrò gelarsi in attesa del responso. Ma bastò un semplice cenno di diniego, col capo, per sentire la prima punta di sollievo, in fondo al cuore.

"Nessun veleno." - aggiunse, per rendere a parole quel semplice gesto, prima di accostarsi al tavolo - "Nel sangue come sulla freccia. Erano tutte uguali?"

"te le abbiamo tenute da parte." - gli sussurrò sarcastico Doyle indicando l'ammasso informe di lamiera nel contenitore ai suoi piedi - "Angel, sta riprendendo conoscenza."

Gli occhi aperti. Spike aveva aperto occhi che non vedevano.

Spike aveva lo sguardo fisso e vitreo.

Ed il primo ad arrivare nella sua visuale fu Angel. Chino su di lui, come molte volte nella sua esistenza, una mano sulla sua fronte. Spike avrebbe voluto deglutire, ma un brivido gli si irradiava in ogni cellula. Era come sentirsi rattrappire, come se da un momento all'altro il vento potesse, in un soffio, disperdere il suo corpo.

Ma non era morto.

C'era Angel, Angel lo vedeva. Spike avrebbe voluto raccontargli cosa sentiva, avrebbe voluto ricordarsi perché stava sdraiato e la luce lo accecava.

Di colpo, tutto il suo essere tese verso di lui, il suo sire…

Angel non si aspettava che riuscisse ad alzarsi, e Spike non poteva dirgli che non era più lui, non più William a fissarlo, ma il suo demone, il demone che reagiva con rabbia a quell'impotenza.

Puntellandosi sul gomito e poi sulle braccia, ignorando le fitte lancinanti, gli si aggrappò al collo, sotto lo sguardo attonito dei suoi amici.

 

I loro sguardi si incrociarono, si lessero fino in fondo all'anima.

Angel sapeva, aveva sempre saputo… e Spike, privo di una vera consapevolezza, stava solo rispondendo ad un istinto animale.

L'istinto di sopravvivenza.

Angel non fece nulla per ostacolarlo. Ricordava ancora, a fior di labbra, il sapore di Buffy, il suo sangue. Ricordava come si fosse imposta, colpendolo, facendo riemergere il demone sopito.

Buffy aveva impedito agli scrupoli di Angel di essere un ostacolo…

Nulla gli avrebbe mai impedito di dare la vita per Spike.

E sentì i denti affondargli nel collo, il sangue, il suo sangue scorrergli sotto il maglione. rimase immobile, poi, con uno spasmo, gli appoggiò le mani alle scapole, per sorreggerlo.

Chiuse gli occhi, aspettando, aspettando che la sua essenza scivolasse nuovamente in Spike.

Come la prima volta, come in quel vicolo, sotto lo sguardo soddisfatto di Drusilla.

E come la prima volta, dimenticando il mondo vorticante intorno a loro.

 

"Andiamo Dru, non puoi volerlo veramente…" - la canzonò Angelus, assestando un calcio al fagotto informe. Rannicchiato in posizione fetale ai suoi piedi, nell'acqua grigiastra della strada.

Si copriva la testa con un braccio.

E Dru, del tutto incurante del velluto ormai impregnato che le copriva le gambe, non accennava ad alzarsi.

Cantilenava, leccandosi dita coperte di sangue ancora caldo.

"perché no… è dolce… è buono… perché no, perché non un fratellino…."

"Se lo vuoi veramente, arrangiati." - aggiunse, con un altro calcio - "perché dovrei farlo…"

"Sarebbe più forte… sarebbe completo. È stupido attaccar una foglia ad uno stelo d'erba.." - giocherellava con i capelli - "uniamola ad un forte tronco, diamole il nutrimento…"

"Hai detto giusto. Una foglia deve appassire. Finiscila con queste bambinate."

"Si direbbe che tu abbia paura del confronto…" - lo canzonò Darla, nell'abbracciargli le spalle. Nell'insinuare le mani ed accendere il desiderio - "Prendiamolo. Non è così…male."

Non lo pensava sul serio. Ma la cosa la divertiva. Dru teneva in pugno il grande Angelus. Lo guardava con occhi grandi e vuoti.

Il fagotto si mosse. Si girò, fino ad adagiarsi sulla schiena, scoprendo una chioma bionda e scomposta. Zigomi alti e belli. Girava il capo verso Dru, boccheggiava nel fissarla.

"Guardalo…" - mormorò ancora Darla - "Già le vuole bene…"

Drusilla, con alcuni gridolini di gioia, lo afferrò per la testa e lo strattonò, fino a porsi il capo sulle ginocchia. Si chinò e bevve ancora, lacerandogli le labbra.

Sembrava agitata, rossa in viso per il troppo nutrirsi. Ridacchiava e non smetteva un istante di neniare parole incomprensibili.

Di tanto in tanto fissava Angelus, impaziente. Il ragazzo, tra le pieghe del velluto stava morendo. Con occhi aperti e consapevoli.

Angelus si chinò, liberandosi di Darla.

"Dru." - la chiamò gentilmente - "Non sono qui per soddisfare ogni tuo capriccio."

"Ma è così carino." - replicò lei, con il tono impertinente da bambina - "Ti prego…"

Lo afferrò per la giacca, raddrizzandolo ancora, lasciando che le sua membra si muovessero con la resistenza di una bambola di pezza e glielo porse, tendendolo, come se fosse il cucciolo prescelto.

In cerca di approvazione.

Angelus, con uno sguardo di rassegnazione. Lo afferrò con malagrazia, fino a metterlo seduto.

Un borghese. Un piccolo borghese fatto di ambizioni e mediocrità. Poco più di un ragazzino. Avrà avuto poco più di ventanni, tutto composto nella sua giacca scura.

Lo scrollò e lo guardò, sperando malignamente che morisse. Che fosse troppo tardi per accontentare gli infantilismi della sua Dru.

Finendo con incontrarne lo sguardo.

Angelus strinse gli occhi e lo fissò meglio. La vita lo stava abbandonando, rapidamente. Eppure in lui restava ancora qualcosa di ardente, di incomprensibile.

Afferrò gli occhiali rotti che ancora teneva sul naso e, nello sbriciolare le lenti sperò di accecarlo.

Eppure non un battito di ciglia.

Non provava paura.

Lo fissava, forse senza vederlo. Senza temerlo. Senza lasciar svanire la consapevolezza.

Angelus si sentì invadere da una rabbia cieca. Non lo temeva, non aveva paura del suo destino, non aveva paura della partita che si stava giocando senza il suo permesso.

Non gli importava.

Fissava, con occhi grandi e luminosi, i suoi carnefici, con la bocca intrisa di sangue. Era forte, per essere quasi morto. Era forte, mentre irrigidiva i muscoli nel tentativo di muoversi ancora.

"Pensi sul serio di poter scappare? E dove vorresti andare?" - sibilò ancora, stringendo la presa alle braccia, strappandogli un gemito. Guardando il lento gesto con cui la mano di quello sconosciuto arrivava a posarsi sul suo viso.

Non cercava di scappare. Voleva…. Voleva capire.

Adesso la vita se ne stava andando rapidamente. Drusilla urlava, piangeva, in preda ad una crisi isterica, mentre Darla camminava, scotendo il capo.

"Finiscilo. Oppure accontentala. Sono stanca, voglio andare via." - aggiunse annoiata, uscendo dal vicolo.

Aspettando uno schiocco sordo che non giunse mai. Fermandosi, al mugolio di vittoria di Drusilla. Con un sorrisetto di compatimento per quei due sciocchi idealisti.

 

Doyle si era lanciato in avanti nel momento stesso in cui aveva inspiegabilmente intuito ciò che per stava accadere. Scattò, e Westley si pose sulla sua traiettoria, fermandolo con una forza che lo sorprese.

"Aspetta." - li sussurrò, affascinato; poi alzando la voce - "Ferme, anche voi due!"

Gli obbedirono, per quella vena di acciaio che vibrava nella sua voce.

"Fermi. Il sangue di Angel è forte, più forte dell'umano. Il demone di Spike lo sa."

"Il demone?"

"La sua parte sovrannaturale. Cerca la forza di Angel, se ne sta nutrendo. È la paura di morire, non la conosce, reagisce d'istinto."

"Ed Angel?" - sussurrò Doyle, girandosi appena, mentre le ragazze, affascinate da quell'orrore, ne restavano irretite.

"Ce la farà. Ce la farà."

I minuti trascorsero lenti, fatti di battiti concitati.

Westley non aveva tolto la mano dalla spalla di Doyle. Le sue dita stringevano, per la tensione. Cercava conforto, il distaccato Whidam-Price, cercava un contatto solido senza ammetterlo. Respirando appena.

Poi, ad un tratto.

"Separali, maledizione, separali!"

Westley si era aggrappato all'ultimo barlume di razionalità che gli sembrava di poter mantenere, innanzi a quella carneficina.

Quelli che, per gli altri, erano stati infiniti attimi di agonia, per lui non avevano mai smesso di essere secondi da contare e dividere, mentre il suo inconscio cercava, in quella stretta spasmodica, un perché all'amicizia, al sangue ed alla vendetta.

Secondi da contare, per non perderli entrambi.

In un attimo fu addosso a Spike. Lo afferrò per le spalle e lo spinse contro il tavolo, senza trovare una vera resistenza alla sua iniziativa.

Spike era tornato ad essere un inerme bambola di pezza.

La leggera pressione di Westley, per trattenerlo, aveva risvegliato in lui il dolore, il dolore umano e fisico. Lo stesso che, nei primi mesi della sua convivenza con Angel, era stato un mezzo per tenere a bada il demone, resistergli, nei momenti in cui sembrava prendere il sopravvento.

 

Nello stesso istante,Doyle, non meno veloce,afferrò Angel, come un vero giocatore di football, per la vita.

L'abbraccio era spezzato. Angel sentì le braccia e la bocca di Spike allontanarsi, travolto da una forza calda e controllata. Per una frazione di secondo seppe di essere al sicuro, vivo e forte. Si sentì protetto e sperò, di tutto cuore, in uno slancio di gratitudine, che anche Spike potesse conoscere la stessa sensazione.

L'impatto con il pavimento lo sorprese.

Le emozioni, le immagini ed i profumi lo colpirono violentemente, rendendo più acuta la sua debolezza. La testa gli girava, stordendolo. Si sentì sollevare ed appoggiare al muro. Quando la vista si snebbiò vide Doyle, seduto a suo fianco, la mano appoggiata al ginocchio, le testa buttata indietro, nello sforzo di riprendere fiato.

Avrebbe dovuto immaginarselo. La forza, l'affetto, la prontezza non potevano che essere sue.

Quando Angel fece per alzarsi, le sue mani lo trattennero.

"Fermo incosciente!" - disse gentilmente, lasciando trapelare un leggerezza che non provava - "Mi era chiaro il perché dell'usare il tuo sangue. Un po' meno la dinamica."

"Perdonami. I fatti mi hanno preso la mano." - replicò Angel, passandosi una mano sugli occhi.

Vicino al tavolo, preso dalla sua parte di organizzatore, Westley orchestrava le trasfusioni, cercando aiuti e sostegni.

Angel, con un sospiro, posò la testa contro il muro e chiuse gli occhi. Il contatto era stato più profondo di quanto nessuno di loro potesse immaginare. Si era trattato della comunione tra la vittima ed il carnefice. Le sensazioni di Spike gli si erano trasfuse, come se fossero una merce di scambio.

I ricordi l'avevano stravolto e non accennavano a lasciarlo…

 

"Sì, si così, così." - Drusilla strisciò verso di loro ma Angelus la respinse, con un calcio.

Obbedendo ad un istinto forte come una sfida, si era lacerato una mano, imponendola sulla bocca di quello sconosciuto. Attendendo l'istintivo succhiare del neonato. La mano che gli aveva sfiorato la guancia, per capire e portare nella morte il segreto, era scivolata appena, impigliandosi nel colletto della giacca. O aggrappandosi.

Le sua dita scosse da un tremito nervoso, irritavano Angelus.

Il corpo del ragazzo biondo, quasi morto eppur forte, sembrava riacquistare durezza. I suoi occhi, ancora spalancati, andavano perdendo la limpida sfumatura. Verso qualcosa di complesso ed impuro. La forza con cui si nutriva, indeboliva Angelus e lo rendeva furioso.

Scattò in piedi, ma il cucciolo non restò adorante ai suoi piedi.

Lo seguì, nel rialzarsi, lo fronteggiò, abbandonando la mano ed il prezioso elisir.

Cercando.

Cercando la fonte.

La vena pulsante del collo.

Da aprire con i propri denti.

Lasciando ad Angelus la sorpresa di quel corpo sul proprio, a terra, nel fango da cui si erano rialzati.

Del sangue che non smetteva di abbandonarlo.

Dell'inizio della sfida.

 

"Doyle, devo ricucirgli le braccia, altrimenti tutto quel sangue sarà assolutamente inutile." - sussurrò, tornando al presente - "Avevi ragione, riguardo a quella freccia. La schiena rischia di essere danneggiata, bisogna starci attenti. Ha una vasta emorragia interna e non so quante costole rotte; prova un dolore insostenibile all'addome, sarebbe meglio attaccare una trasfusione alla femorale…"

"Ehi, uomo smettila…" - Doyle lo scuoteva appena, ma la sua voce era dolce - "smettila. Non andrai lontano a continuare a fare il distaccato. Dammi retta, fai come noi, che siamo morti di spavento e non capiamo più niente."

Angel lo fissò e Doyle gli strizzò un occhio, umido di lacrime.

"Poi ti consiglierei di prendere un bel respiro." - aggiunse, prima di girarsi dall'altra parte e rialzarsi - "Westley, nel collo. Ed un paio all'inguinale."

Angel rimase dov'era, impietrito. Quel qualcosa che sembrava pericolosamente vicino all'incrinarsi, gli toglieva ogni forza.

 

Come se fino a quell'istante non si fosse conto di quello che aveva davanti agli occhi.

Spike giaceva su un tavolo, circondato da persona che lo amavano e stentavano a reggere il suo dolore e la paura.

Spike…

Spike, così beffardo ed irriverente, così diretto nel comprendere le persone e le loro paure. Così abile nel combattimento e testardo nelle sue idee.

Spike, ridotto ad un fagotto di lenzuola, un ammasso di bende intrise ed un espressione priva di qualunque emozione che non fosse dolore.

Avrebbe voluto stringerlo e proteggerlo, infondergli un calore che potesse sentire là dove la sua mente sembrava essersi rifugiata. Penetrare quello stato catatonico che il suo organismo reclamava per poter riparare i tessuti lacerati e le ossa rotte. Parlargli, indicargli la via sicura da percorrere per tornare verso casa, verso le persone che lo amavano.

E verso Angel. Angel che lo avrebbe aspettato fino alla fine dei suoi giorni.

Eppure rimase lì seduto schiacciato da un dolore che non sapeva come affrontare. Il dolore di non poter arrivare aldilà della barriera, dove l'anima di Spike si dibatteva, stroncata dalla crudeltà fredda e mirata.

Spike…

 

"Angel, fosse per te, dovrei fare il topo di biblioteca."

Aveva alzato lo sguardo, per seguirlo mentre percorreva a grandi passi l'ufficio.

"Ma io" - aveva sillabato, puntandosi con le mani - "sono… un teppista."

"Un vero teppista. Ed ho voglia di fare a botte nella metropolitana, di ubriacarmi e di polverizzare i miei simili."

"E perché dovresti scegliere la biblioteca? A parte l'ubriacarsi, tu vuoi la mia vita." - aveva risposto Angel, tornando a sfogliare alcune scartoffie ingiallite.

"No, non ci siamo capiti. Non voglio nessun secondo fine o scopo. Voglio solo menar le mani senza che tu ti impicci. Facciamo così: tu ti limiti a pensare e lasci che io picchi chi di dovere e di santa ragione."

"Si può fare."

"Allora smetterai di venire a cavarmi dai guai in cui non mi infilo."

"No."

"Come sarebbe a dire…no."

"Io continuerò ad impicciarmi, se questo è il termine con cui ami definire chi ti salva la pelle una volta alla settimana."

"Andiamo, la pelle non è mai in pericolo così spesso. In fondo ha ragione Doyle, l'eroe sei tu. I cattivi cercano te, mica me."

 

Era vero. Se Spike era in quello stato era per colpire Angel. Indelebilmente.

Lo squillo del cellulare lo sorprese. E se un parte di sé gli urlava di lasciarlo suonare, qualcosa nel suo essere lo spinse a rispondere.

Dall'altra parte una suadente voce di donna, che egli non tardò ad accomunare con uno splendido viso biondo.

"Allora, amore mio, piaciuto il piccolo presente?"

"Darla." - ringhiò Angel. La sua rabbia premeva, mozzandogli ogni parola coerente.

"Oh sì, solo tu sai pronunciarlo, in quel modo." - sembrava una gattina che fa le fusa - " e dimmi, non hai nostalgia dei vecchi tempi? Tutto quel sangue rosso, così profumato, così denso…"

Aspettò una risposta che non giunse e continuò.

"Hai visto come sono raffinata. Le frecce mi sono sembrate così adatte… non sei forse una specie di Robin Hood? Ah, Drusilla ti manda i tuoi saluti."

Le gambe, per la prima volta dopo molto tempo sembravano non reggerlo, mentre cercava di mettersi in piedi.

Drusilla… Drusilla aveva permesso tutto questo. Era stata presente? Aveva supervisionato, per poi fuggire nella confusione del massacro?

"In fondo, mio caro, prima o poi doveva succedere… non te l'ho forse detto un milione di volte… non si separano le famiglie perfette.."

"Pagherai Darla."

"Lo dici tutte le volte che ci parliamo, mio caro. Ma io sono stata tanto brava da tornare persino dalla morte. Ed in questa vita, non mi pare che tu sia molto temibile." -fece una pausa - "Torna da me, mio bellissimo figlio, torna ad amarmi come un tempo."

"Non sperare di vedermi tanto presto, Darla. Ne va della tua vita."

"Angel." - la risata giungeva nitida e malevola - "Angel, o come diavolo ti ostini a farti chiamare, ma non ti rendi conto del tuo vocabolario limitato? La pagherai, ti ucciderò…. Parli come gli americani muscolosi dei film…torna da me, ritorna alle tue origini, torna ad essere un affascinante…

" Basta, ne aveva abbastanza. Ed il cellulare si fracassò non appena raggiunse il muro.

 

Chiuse gli occhi e sperò di non barcollare. I lineamenti, sentiva i lineamenti contrarsi ed il desiderio di spaccare tutto, di far seguire al cellulare ogni oggetto della stanza, fino al più piccolo. Per poi cominciare con i mobili, le pareti.

Voleva macerie.

Distruzione.

Massacro.

Spike…

Spike era vittima di un massacro.

Ed Angel non avrebbe fatto il gioco di Darla.

 

"Angel…" - Cordy gli si avvicinò cautamente. Angel era fermo, in piedi, i pugni stretti e lo sguardo determinato.

"Cordelia."

La voce di Angel suonava fredda e tagliente e Cordy si sorprese a sussultare.

"Devi dire a Doyle di proteggere Spike." -poi aggiunse, abbassando la voce - "Ho una questione di famiglia da risolvere."

"Cosa? Angel, non penserai di andare cercarla… non sai da dove cominciare…"

"Ti sbagli. Faith! Vuoi venire con me?"

Lo guardò,sbalordita. Angel andava a gettarsi nella mischia e, per di più, per quanto fosse una questione personale, voleva una mano, qualcuno che gli guardasse le spalle. "Sei una cacciatrice Faith. Ed io non posso farmi ammazzare, questa volta."

Una cacciatrice. Solo quei due vampiri si ostinavano a ritenerla tale. E, a modo loro,la rispettavano. E mai prima di allora, Faith aveva avuto qualcosa di così simile ad una famiglia.

"Cosa aspettiamo?"

"Andiamo."

Scesero rapidamente le scale. Quando furono seduti in macchina, Angel posò entrambe le mani sul volante e chiuse gli occhi.

Faith lo fissò, senza fiatare.

Non capiva.

Angel era sembrato deciso sul da farsi, consapevole del fattore tempo. Mancavano poche ore all'alba…

Le sembrò un istante eterno.

Poi Angel, senza una parola, spalancò gli occhi e mise in moto.

Adesso sapeva veramente dove andare. Era stato più semplice di quanto pensasse. Era bastato concentrarsi, cercando Darla. E l'aveva sentita. Il suo demone l'aveva desiderata,fremendo e la sua mente l'aveva localizzata, in un moderno palazzo di periferia, dietro i vetri scuri, intenta a godersi il trionfo.

Ne aveva percepito il disgustoso compiacimento. Darla lo desiderava.

Darla stava pensando a lui…

E questo le aveva permesso di firmare la sua condanna a morte.

 

Quando fu davanti alla vetrata non provò nemmeno a frenare.

Faith balzò fuori dal veicolo, sotto una pioggia di schegge ed uccise, prima ancora di sentire i battiti accelerare nella foga della vendetta.

Uccise.

E ancora.

Ancora.

Mostrando i denti, con lampi bui negli occhi e nella mente l'immagine di quel corpo massacrato, deposto su un tavolo come un guscio da analizzare.

Nelle orecchie sentiva pulsare le sue urla di trionfo e godimento, i suoni mozzati dalla morte che andava dispensando.

Un piano alla volta, senza esitazione, senza via di scampo e senza sorpresa alcuna.

Ed Angel a fianco.

In una fuggevole visione.

E lacrime, sui loro volti… lacrime di esasperazione.

Oppure cenere negli occhi.

 

Darla era bella.

Non aveva mutato i lineamenti perché lui la potesse ammirare. Perfetta.

Le bianche braccia sul velluto rosso, sdraiata e indolente.

Senza paura.

"Mio bellissimo Angelus…"- fece le fusa, alzandosi, lasciando frusciare l'ampia gonna - "Giungi imprevisto, ma bene accetto."

Angel fermò Faith sulla porta e avanzò nella stanza.

Darla ne respirò la presenza, avanzando, come la falena verso la luce.

Senza paura.

Senza essere ignara.

Angel non si mosse. Darla gli carezzò le guance, deterse le lacrime ed Angel chiuse gli occhi.

Darla lo inebriava, con il suo profumo, la sua morbidezza, la sua essenza. Il velluto gli scivolava sui pantaloni mentre Darla lo avvolgeva in un morbido abbraccio, sussurrandogli nell'orecchio, fissando la Cacciatrice sulla soglia.

Angel non aveva bisogno di guardarla. La vedeva, si lasciava avvolgere senza un movimento.

Era il loro ultimo abbraccio.

Il suo corpo lo reclamava.

Chinò il capo, per sussurrarle in un orecchio. Non voleva che Faith sentisse.

"Saremo legati per sempre, Darla. Sarai sempre la mia Regina…"

I loro palmi si incontrarono, dita contro dita.

Angelus voleva ballare, ballare con lei. Era venuto a lei dispensando morte e distruzione, conducendo come dono una Cacciatrice forte e rinnegata.

Lentamente si abbandonò contro il suo corpo, respirandolo avidamente, mentre Angelus le cingeva la vita e la faceva girare e girare e girare.

Darla danzava.

Danzava con lui.

Danzava per lui.

Danzava accettando la sua sconfitta per dono, danzava mentre il sangue di Spike ancora gli impregnava i vestiti. Profumato. Eccitante.

Danzava, seppellendo il viso laddove Spike aveva piantato i denti.

Danzava, respirando l'aroma di quel sangue maschile, lo stesso, di due corpi differenti.

Alzò lo sguardo, lo immerse in quello di Angel, si saziò delle lacrime che ancora gli scendevano sul volto, scandendo il ritmo.

Chiuse gli occhi, si lasciò sommergere da una marea incontrollabile.

Ed Angel alzò lo sguardo a Faith. Un lampo fuggevole fatto di silenzio.

"Sarai sempre la mia Regina…" - sussurrò ancora.

E lasciò scivolare a terra il velluto rosso, quando il paletto di faith si bloccò a pochi millimetri dal suo petto.

Rimase a fissare la polvere, mentre con leggero movimento si depositava a terra.

"Lunga vita alla Regina."

 

 

II

L'alba.

Temibile e vicina.

Faith correva per le vie di Los Angeles.

Il motore della macchina le ringhiava tra i piedi.

E le luci della città si riflettevano negli occhi di Angel.

Cordelia li attendeva sulla porta.

Angel le passò vicino e senza parlarle e si diresse al piano superiore.

Faith rallentò, nel guardarla negli occhi. Cordelia Chase, la bella Cordelia Chase, aveva l'aspetto pallido e tirato.

Non erano mai state troppo amiche.

Più propense ad evitarsi che a capirsi.

Faith rallentò e le si fermò a fianco. Era la seconda volta, in quella lunga notte. E per la seconda volta si specchiarono a vicenda una nell'altra.

"Darla è morta. Con molti dei suoi."

"Vorrei fosse la fine dell'incubo."

"Già." - lo sguardo di Faith corse al piano superiore. Westley era passato, con qualcosa stretto tra le mani, andando verso il suo ufficio.

Cordelia fissava l'alba nascente di un nuovo giorno.

"Faith… io…ho preparato del caffè… ti va…"

"Riempine due, Cordy."

 

Era superfluo tornare al piano di sopra. Faith e Cordy sedettero sul primo gradino della scala, lasciando, a poco a poco, che le loro parole scivolassero fuori dai pregiudizi di tutti i giorni.

Con le mani strette attorno ai tazzoni, per assorbirne il calore, si raccontavano con leggerezza e disagio.

Si parlavano senza spiegazioni.

Entrambe avevano qualcosa da dimenticare e particolari da riportare alla mente con affetto.

Entrambe avevano una maschera che Angel aveva sgretolato.

Ed un volto che non si erano mai mostrate.

 

Angel varcò la porta del suo appartamento. Sentiva la testa pulsargli e, sulle labbra, portava il ricordo dei capelli di Darla.

Le mani piene del suo profumo. Ed il sangue di Spike sul cuore.

Doyle stava a lato del tavolo, laddove Angel l'aveva lasciato. Reggeva con una mano la cannula della sacca e fissava il profilo di Spike.

Angel rallentò il passo. Cosa sarebbe stato di Doyle, senza quegli occhi… Doyle portava tutta l'anima dentro quelle iridi trasparenti.

Doyle era un puro.

Doyle poteva capire tutto. E per questo sapeva riderne.

Non erano occhi fatti per piangere. Il dolore e l'amarezza annegavano impotenti in quei laghi limpidi e cristallini.

Doyle fissava Spike e lasciava traboccare ogni suo pensiero da quello sguardo. Non aveva bisogno una parola per sapere che Spike poteva percepirlo.

Era quello il suo segreto?

Doyle non sapeva farsi notare. Ma la sua figura riempiva la stanza. Angel desiderava solo essere inglobato nella sua visione. Voleva il perdono, voleva il conforto.

Afferrò uno sgabello e si sedette al tavolo, posando i gomiti sul ripiano, vicino al fianco di Spike. Con le mani si coprì gli occhi e non disse nulla.

Sperava di veder svanire tutto, passandosi le mani sulle tempie, desiderava non ricordare più niente, passando le mani tra i capelli.

Voleva Buffy.

Voleva Kate.

Voleva la pace.

E voleva Spike a tormentarlo per il suo silenzio.

Appoggiò la testa al tavolo, incrociando le braccia ed attese.

Attese il nuovo giorno.

Westley entrò piano, schiudendo appena la porta.

Il sole stava calando sulla città, come se le tende pesanti del salone rendessero inutile e crudele ogni sforzo per illuminare tutti il dolore della notte appena trascorsa.

Doyle dormiva sdraiato sul divano. Cordy aveva aspettato a lungo che scendesse, prima di tornare alla contabilità per distrarsi. Non osava più salire, non riusciva a sopportare quella vista. Per la prima volta in vita sua, da molto tempo, sentiva di non averne la forza.

Sapeva del compito di Doyle, ne avevano parlato, in notti più quiete, stando vicini; sapeva che non sarebbe tornato da lei tanto presto.

Doyle si era sdraiato posando i piedi sul bracciolo, cercando di fissare alla mente ciò che vedeva, assorbendone le emozioni, in rispettoso silenzio.

Al di sopra del corpo di Spike, con una mano stretta tra le sue, stava lo sguardo di Angel, fisso, vuoto.

Si erano fissati a lungo, in silenzio, i due irlandesi.

Non avevano bisogno di parlarsi. Era così che andava tra loro. Quando il limite di sopportazione superava la loro umana resistenza, quando il demone che si portavano dentro urlava, forte come non mai… allora tacevano.

In silenzio ascoltavano la loro disperazione, la rabbia, il controllo quasi svanito.

Sentivano il petto lacerarsi in due opposte direzioni, ne respiravano il peso e tacevano.

Sguardo nello sguardo.

Per ore.

Crollando, infine.

Riposando e perdendo coscienza del mondo.

E così li aveva visti Westley. Con gli occhi chiusi.

Nella speranza che dormissero entrambi.

Lui sapeva di quel loro tacito accordo, osservava ed accettava. Anche se, da umano, non poteva veramente capire. Equilibrato di natura, solido e rigido come la sua educazione.

Ma con un cuore enorme, ben più di quanto mostrasse.

Aveva passato la giornata a leggere, studiare, cercare.

Aveva riaperto libri accantonati da tempo, aveva ampliato argomenti tralasciati allo spegnersi delle temporanee passioni.

Si era immerso in un passato da studioso, quando l'azione poteva solo trovarla in vecchie cronache di battaglia. Quando il sangue ed il dolore non erano altro che espressioni contorte di personaggi inventati in vecchie incisioni.

Westley sapeva di poter essere petulante ed irritante. Westley era certo di non essere né magnetico né particolarmente forte.

Ma sapeva cos'era il rispetto, in molte sue forme.

Westley sapeva rispettare.

E rispettava Angel.

E Doyle.

Soprattutto Doyle. Perché era la loro roccia.

Non uno di loro poteva concepire il mondo senza di lui. Ci avevano provato, quando l'avevano perduto. Ci avevano provato fino allo stremo. Ma non si erano mai potuti fare una ragione di quell'assenza.

Avevano continuato a parlargli, chiedergli spiegazioni. Come se fosse meglio fare domande senza risposte che rassegnarsi al silenzio.

Westley aveva preferito non pronunciarsi su quella loro strana abitudine. E gli era bastato conoscere Doyle redivivo per capire ampiamente la sua reputazione.

Passò vicino al divano silenziosamente e senza ottenere l'effetto desiderato.

In una frazione di secondo si sentì puntare da un quattro occhi: due azzurri e due scuri. Tutti e quattro stanchi ed arrossati.

Si accostò al tavolo ed Angel non si mosse. Si limitò ad alzare lo sguardo, per rispondere alle sue domande.

Spike non aveva ancora ripreso conoscenza. E no, non serviva altro sangue umano. Sì, poteva occuparsi lui della ronda e farsi aiutare da Faith e Cordelia.

Si, stava bene.

No, non doveva preoccuparsi.

Era inutile parlargli. Non ci voleva una gran perspicacia per approdare ad una conclusione del genere. Ma Westley non era Doyle, non riusciva a restare in silenzio.

E non voleva andarsene.

Ma il rispetto veniva prima ancora del desiderio.

Westley rinunciò. Si girò a si avviò verso la porta, per nascondersi di nuovo dietro ad un libro. Sentendosi gli occhi di Doyle fissi sulle spalle uscì dalla porta da cui era entrato.

 

Ore.

Minuti.

Secondi.

Frammenti di ogni esistenza.

Il tempo non sapeva far altro che passare.

Indipendentemente dallo scorrere del sangue, dal respiro e dall'amore.

 

"Perché non mi racconti una storia?"

Angel alzò lo sguardo sorpreso. Doyle stava accostando una sedia al tavolo, di fronte a lui.

Si sedette e scelse la posa di Angel, le mani sul mento, lo sguardo fisso.

"Una storia?"

"Una storia della tua vita. Una qualsiasi."

Lo sguardo di Angel si abbassò sul profilo di Spike, poi tornò a fissarsi su Doyle.

"Una storia tra tante?"

Doyle accennò un sorriso, un breve stirarsi delle labbra.

"Mi accontenterei di una qualsiasi. Ma penso che tu voglia raccontarmene una sola." - sorrise ancora, prima di tornare serio - "Una soltanto."

"Non potevo ucciderla." - ammise. In un soffio - "Faith lo sapeva. Sapeva che non potevo farcela. Io glielo dissi, tanto tempo fa, la notte che portai Spike via da Sunnydale. Il mio legame con lei era…"

Le parole gli si mozzarono tra le labbra. Non poteva accettarlo.

E non poteva tacere.

"Io non l'avrei mai uccisa. La prima volta è stato un incidente. Non pensavo sbagliasse così, combattendo con me. Avrei fatto di tutto per salvarla da se stessa, ma non ne sono stato capace. Darla aveva una natura che non avrebbe mai potuto negare. Ma io non potevo accettarlo. Volevo che avesse una seconda occasione, una nuova vita da vivere. E non ho previsto Drusilla. Come non ho previsto che potessero fare tutto questo a Spike."

"Il suo profumo mi inebriava, mi faceva girare la testa e desiderare di non staccarmi mai da lei. Ma non potevo cambiarla. E non potevo perdonarla. Faith ha atteso che io fossi pronto. E Darla è svanita un'altra volta dalla mia esistenza. E spero di tutto cuore che sia l'ultima."

"Forse dovresti piangerla e lasciarla andare. Non tenere per te questo dolore, Angel, non farlo diventare un altro sbaglio del tuo passato. Una vita da demone è sempre piena di sbagli. Ma il perdono concesso per amore è l'azione più coraggiosa che si possa fare. Perché è al di sopra di ogni pregiudizio. Darla era colpevole. Non poteva essere altro. "

"E' morta con l'illusione che fossi tornato. Mi ha amato senza capire che stavo per ucciderla."

"Amiamo sempre ciò che potrebbe ucciderci…"

"Lo so. Lo so." - la voce di Angel era un pallido sussurro - " Ma questo è peggio che uccidere. Eppure…"

Gli occhi di entrambi erano fissi su di lui. Sul suo profilo di cera.

"Hai vendicato Spike anche se non volevi farlo. Ed hai ucciso Darla, senza cercare Drusilla. Hai fatto, paradossalmente, come sempre, la cosa giusta. Indipendentemente dai tuoi desideri. Non puoi fartene una colpa."

Angel non aveva voglia di rispondere. Le parole di Doyle gli giungevano salde e forti, inammissibili, per la loro verità. Non aveva cercato Drusilla perché Spike avrebbe sofferto a saperla morta. Aveva ucciso Darla, riservando per se stesso il dolore, senza essere veramente certo che non fosse un tradimento.

Voleva salvarla.

Le aveva detto che sarebbe sempre stata l'unica.

Ed aveva mentito entrambe le volte.

Amava un'altra. L'aveva uccisa.

Aveva scelto Spike. E Faith.

 

.

 

"Angel."

Un sussurro, un sussurro dagli occhi enormi, fatti di pupille troppo dilatate.

Per un Angel privo di parole.

"Ehi." - deglutì appena, sotto lo sguardo di Doyle. Le labbra, se le sentiva secche e screpolate. Non sapeva cosa fare, non sapeva cosa dire.

Avrebbe voluto implorare il perdono, chiedere scusa per quell'orrore. Era colpevole quanto Darla perché, tra loro, era stato l'ambasciatore a portare la pena.

"Non…lasciarmi… dormire."

Angel si protese, per asciugargli la singola lacrima, rosata di sangue.

"Eppure ne hai bisogno…" - spiegò, carezzandogli la guancia- "Ed io resto qui."

"Incubi… tanti… il mio passato." - sembrava trattenere inconsciamente i singhiozzi.

"Sono solo illusioni. Ci sono qui io…" - Angel gli strinse un po' di più la mano, vi appoggio il mento e, dopo, le labbra.

Doyle ebbe un attimo di esitazione. Non avrebbe dovuto essere spettatore. Eppure le gambe rifiutavano di ubbidirgli, lo lasciavano paralizzato davanti a quel massacro.

"Io adesso so… che è vero…" - bofonchiò Spike, iniziando a perdere i sensi, resistendo all'incoscienza che lentamente lo sommergeva.

"Che cosa." - mormorò stancamente Angel, senza aspettarsi una risposta.

"Che anche tu hai le ali, come gli angeli veri. Piene … di luce."

Angel non riuscì a trattenere un sorriso. Annuì, e gli occhi gli si riempirono di lacrime.

 

Il tavolo vuoto.

Restava solo un lenzuolo stropicciato.

Ma non c'era più nient'altro.

Faith avanzò con la bocca piena di un muto terrore. Inorridita, si sorprese a cercare la cenere su quel ripiano incrostato di sangue. Il cuore le batteva all'impazzata, ma ben sapeva che non era possibile…

"Calma bambina, calma." - Doyle avanzò verso di lei, lentamente - "Non è quello che sembra."

Faith apri la bocca per rispondere, ma non ne uscì nessun suono.

Doyle le si avvicinava come si fa con le fiere spaventate.

"Permetti?" - le chiese, con un mezzo sorriso, prima di abbracciarla stretta.

Sperando di non prendersele, sperando che ricambiasse, tremando, senza reprimere ciò che sentiva agitarsi alla bocca dello stomaco.

La strinse accarezzandole i capelli. Faith era veramente minuta, si sorprese a pensare, nel constatare che non lo sovrastava in statura, come gli era sempre sembrato, nel vederla a fianco di Angel o Westley.

"Angel lo ha portato in camera e lo ha messo in un letto come si deve. Ad un vampiro puoi prescrivere solo tanto riposo, tanto vale che stia comodo." - le spiegò, scherzoso. Poi cambiò espressione, con un lampo di serietà negli occhi - " Ha ripreso conoscenza per qualche minuto, sai."

"Sul serio?" - Faith si illuminò tutta, nello scostarsi per guardarlo dritto in faccia. Aveva lunghe striature nere di mascara sulle guance, che colpirono l'attenzione del mezzo-demone.

Spike piangeva rosato ed Angel rosso-fuoco. Cordelia e Faith piangevano grigio e nero. Come se le loro maschere si sgretolassero appena, colorando il loro dolore, proporzionalmente.

Che pensiero sciocco, concluse accantonandolo.

Le fece un sorriso ed un cenno di assenso. Faith voleva una speranza a cui afferrarsi, qualcosa che assumesse un'importanza tale da distoglierla dalla sua paura.

"Perché non vai di là a salutare Angel? Fai finta di essere passata per cercare un libro…" - le mormorò, strizzandole un occhio. Poi si protese ad asciugarle le lacrime dalle guance - "Soffiati il naso e sii te stessa. E basta."

La guardò scostare la porta della stanza di Angel ed entrare. Poi uscì sul pianerottolo e si sedette sul primo gradino. Tirò un respiro profondo e si passò una mano tra i capelli, fissando il marmo lucido sotto i suoi piedi.

Sfuocato.

Il marmo era sfuocato.

Ne avrebbe voluto ridere.

Avrebbe voluto che i singhiozzi non lo scuotessero così dal profondo. Si coprì gli occhi con una mano e nascose la testa tra le braccia,attutendo la sua stanchezza, perché nessuno ne fosse coinvolto. Perché Cordelia potesse continuare a dormire indisturbata.

Non sapeva dove andare. Avrebbe voluto ubriacarsi fino a non capire più niente. Avrebbe voluto farlo e saperselo perdonare. Avrebbe voluto una premonizione e non una visione. Avrebbe voluto dare ad Angel un minuto, un minuto soltanto di preavviso, una manciata di secondi, per risparmiare a tutti… questo.

Non poteva accettarlo.

Ma avrebbe dovuto farsene una ragione,ed in fretta, per il bene di tutti.

Fece un respiro e trattenne quel fiume in piena. Ansimò, nello strofinarsi violentemente la faccia, nel cancellare qualunque segno. Si soffermò, a fissare i palmi umidi.

Lacrime trasparenti, cristalline, così diverse…

Quando un'ombra gli si materializzò a fianco, Doyle fu sorpreso, di non averne sentiti i passi. Lo squadrò mentre gli sedeva a fianco, sul gradino, con un rispettoso silenzio. Westley lo fissò dritto negli occhi arrossati e gli posò fermamente una mano sulla spalla.

Sapeva che era già abbastanza.

Sapeva che non avevano bisogno di dirsi niente.

Doyle era un buon maestro. Aveva insegnato a tutti loro il silenzio.

 

Nell'ombra della stanza sedeva Angel, in poltrona, a lato del letto.

E, stranamente, i piedi sul copriletto, poco lontani da quelli di Spike.

Il suo sguardo scorse rapido Faith, benché assorto in quali pensieri.

C'era in lui una calma da poco ritrovata, ben poco simile alla furia cieca che aveva invaso, fino a poche ore prima, la sua figura.

Era stanco, null'altro che la stanchezza avrebbe potuto turbare la sua espressione, la sua abituale compostezza.

"Vieni vicino, Faith. Non ti mordo."

La sua voce era appena un sussurro. Un sussurro dipinto su un sorriso bruciante. Grottesco.

Quando Faith gli fu a fianco, levò lo sguardo.

"Non piangere. Altrimenti piango anch'io." - disse - "Ti va di stare un po' qui?"

Faith annuì e si sedette sul bracciolo della poltrona, lasciando che Angel le facesse spazio. Poi, nel prendersi una libertà inusuale per entrambi, scivolò sulle sue ginocchia e si lasciò accogliere in un abbraccio riconoscente.

Angel appoggiò la testa alla sua spalla e le cinse la vita con le braccia, per un istante, prima di tornare ad abbandonarsi sullo schienale, trascinandola con sé.

Era strano.

Da lungo tempo, entrambi, non conoscevano un contatto di quel genere, un contatto che avesse poco a che vedere con l'attrazione fisica.

Un contatto tra anime, un conforto, nell'incontro tra due corpi simili eppur differenti.

Adesso era Faith a posare la testa sulla spalla di Angel. I suoi capelli, poco distanti dalle labbra odoravano di città, di fumo e pioggia.

Lo sguardo di Faith scivolava sul viso di Spike, mentre quello di Angel fuggiva lontano, verso le luci della città, oltre le tende già accostate. La città li sovrastava tutti e penetrava nelle loro menti, in modo incontrollabile.

A nulla valevano pareti e porte da sprangare. Non si poteva lasciarla fuori. Essa, con le sue contraddizioni, insidiava i loro pensieri.

E li distraeva.

Perché sopravvivessero.

"A cosa pensi…"

"Ad una notte che ho passato così, tanto tempo fa. Una notte in cui non ho fatto che domandarmi se sarei stato all'altezza del mio compito. Se sarei stato capace di proteggere Spike. Adesso so la risposta." - Angel aveva una voce profonda e roca. Faith aveva paura a voltarsi, aveva paura di vedere la sua debolezza.

"Non è colpa tua, Angel, nulla di tutto questo lo è. Questa è solo la vita, con i suoi dolori. Ma non è il destino. L'hai cambiato ancora, l'hai salvato. Questo ne è la prova…"

Tra le dita, la pelle di Angel era fredda e liscia; sul suo collo spiccavano ancora i segni del marchio di Spike. Il suo morso.

"Non ha un significato questo? Non puoi sapere cosa sarebbe stato il destino di Spike senza di te, allora o adesso. Ma tu sei, nel bene e nel male, il suo angelo custode."

Un angelo.

Con le ali piene di luce.

Faith non poteva sapere cosa aveva appena detto. Angel non poteva dirlo.

Il torpore si impadroniva di lui, inaspettato. Il torpore dei ricordi, ricordi di una vita che non avrebbe voluto vivere.

Una vita fatta di sbagli e violenze, una via di redenzione che, per un qualche inaspettato scherzo, non percorreva più da solo.

Di colpo la vastità di questo disegno sembrò schiacciarlo. Spike stava pagando per se stesso e per Angel. Faith, Doyle, Westley, Cordelia erano un frenetico girotondo sopra ai peccati e le soluzioni.

Attorno ad Angel ed ai suoi peccati.

Come diceva Doyle? Che la redenzione non era poi così tremenda, che i peccati da espiare avevano un loro perché non sempre negativo. E quando questo sfuggiva dall'attenzione, bisognava raccontare una storia.

Una storia capace di non avere senso fino a quando non giungeva sulle labbra.

 

"Tu devi rassegnarti all'evidenza, mio bel vampiro." - lo canzonò il Cantastorie, nel guardarlo dall'alto, nel ridere, vedendolo sdraiato nel fango - "Non andrai lontano, se resti nell'ombra. E sai perché? Perché non hai quel nome per casualità."

"Vuoi parlarmi del destino? Avevo questo nome già mentre massacravo e uccidevo, avevo questo nome…"

Non voleva dirlo. Non voleva dire la fonte del suo nome. Non poteva ricordare gli occhi…

"Oh, mio caro eroe!" - il cantastorie camminava in tondo -"Kathie vedeva molto lontano…"

"Come puoi sapere di lei! Non puoi capire, non mi conosci…"

"Ti sbagli. Io ti conosco." - sussurrò, chinandosi verso di lui, squadrandolo con quegli occhi enormi. Occhi mai visti - "Il destino ti ha riservato una strada faticosa e bifronte. Una sbagliata, come il nome che avevi. Ed una giusta, quella che stava racchiusa negli occhi di tua sorella, quella notte. Angel, non Angelus. Angel, il nome di chi protegge."

Gli sorrideva, illuminando il buio della notte.

"Prendi la mia mano, Angel, prendi la mia mano ed imbocca la tua strada, non rimandare più la tua scelta. Là fuori, aldilà di questo vicolo buio, ci sono persone da proteggere. Persone che sapranno riconoscerti appena ti vedranno, per quello che sei. Persone che ti parleranno, con le parole di Kathie. Perché tu, nel male e nel bene, sei il loro custode…"

Angel alzò lo sguardo, fino ad incontrare quello del Cantastorie.

"Chi sei."

"Te l'ho detto…sono il cantastorie…" - la sua mano era calda, invitante - "Prendi la mia mano, uomo. Esci dall'oblio e vai. "

"E tu? Verrai con me?"

"Uomo…" - si lasciò andare ad una breve risata - "Tu non hai bisogno di essere sorvegliato. Non c'è motivo perché io ti venga appresso. Io so che farai ciò che devi: il resto non ha importanza."

"Ci rivedremo?"

"Certo. e ci racconteremo le nostre storie. Perché vedi… il mondo è vasto, e splendido. Il mondo è fatto di luci e pochi, per questo motivo, sanno cosa si può annidare nell'ombra. E le storie, strane, insulse o difficili da raccontare, portano la mente verso questo buio che ci circonda."

"Per capire che la luce non è mai fuggita?" - replicò Angel, con un'amarezza senza limiti - "Cantastorie, saresti capace di dire sul serio una cosa del genere?"

"Dire una bugia, dire una verità… la luce e l'oscurità non sono forse relative? Come gli sbagli. Ma io non ti mentirò, se è quello che temi. E non ti darò le risposte che cerchi." - stava appoggiato ad una scala antincendio, con le mani in tasca ed il cappello buttato indietro, a scoprirgli una fronte spaziosa ed un viso perennemente giovane - "Ci rivedremo, Angel. Ed avremo tempo, per raccontarci e capire."

"Cosa ti fa credere…"

"Non sei perfetto, Angel. Tu sbaglierai ancora e" - i suoi occhi ebbero un'esitazione fatta d'ombra - "e pagherai. Pagherai come non puoi nemmeno immaginare. Ma tutto ha un perché, anche quando ti sembrerà che nulla sia rimasto in piedi. E saranno quei momenti di nulla che diverranno storia. Ed avranno senso solo quando l' avrai raccontata a qualcuno."

Angel chinò il capo. Quelle parole, all'inizio così strane e incomprensibili…

"Vattene, uomo. Più starai lì fermo, più tempo passerà prima del nostro incontro." - si scosse dalle sue considerazioni e gli passò a fianco - "Credimi… fuori dal vicolo ti aspettano molte cose…"

Angel non si voltò, si limitò ad ascoltare i passi che si allontanavano. E che si fermavano.

"Il tuo primo compito è trovare la Cacciatrice. Cercala e tienila d'occhio. Devi darle il tuo aiuto. Sei il suo angelo, adesso."

Angel rimase immobile, lasciando che il suo essere assorbisse l'informazione. Invece di rifiutarla. Avrebbe voluto dire qualcosa. Ma, infine, seppe formulare una sola domanda.

"Il suo nome?"

"Buffy. Buffy Summers."

 

"Angel."

"Perdonami Faith. Io…stavo pensando."

Buffy. Buffy era stata la prima da proteggere

E, esaurito il suo dovere, Angel era divenuto il custode di Cordelia. Poi di Faith.

Ed infine di Spike.

Ma il cerchio non sembrava ancora chiudersi.

Kate… e Darla. Anche Darla.

Ma con Darla aveva fallito. E l'aveva persa, ancora una volta.

E, per un attimo, non aveva fallito anche con Spike.

"Faith… tu, tu credi sul serio che io possa proteggerti da ogni cosa?"

"Tu non puoi. Tu lo fai." - Faith gli afferrò il maglione e lo strinse tra le mani, fino a portarselo alle labbra - "Angel tu non hai profumo, ed il tuo corpo non è veramente caldo. Eppure mai nessuno mi ha fatto sentire così sicura come adesso, così amata."

Angel la cinse con entrambe le braccia e chiuse gli occhi, nell'appoggiare la tempia su quella criniera setosa.

"Un amico, molto tempo fa, mi ha detto che avrei dovuto proteggere alcune persone. Ed io non ho mai smesso di temere di farlo nel modo sbagliato." - teneva gli occhi chiusi e lasciava che le parole fluissero da lontano - "Ma non mi disse che quelle persone mi sarebbero entrate nell'anima in questo modo."

"Sei tu che non ci permetti di lasciarti fuori dal nostro cuore." - lo tormentò Faith, afferrandolo per il mento perché la guardasse in faccia -" Sei una personalità… prorompente."

"Ma senti chi parla." - replicò Angel accennando un sorriso.

"Andrà tutto bene, Angel. Con te nei paraggi non potrebbe andare altrimenti."

"Faith…" - Angel la strinse un poco di più - "Ti va di ascoltare una storia?"

"Penso di sì. È una richiesta strana…"

"Lo so. Ma il Cantastorie dice che funziona…" - sorrise, fissando lo sguardo verso il letto.

"Chi?"

"Lascia perdere… quella è un'altra storia."

"Ne hai in mente una in particolare?"

Buffo, sembrava la conversazione con Doyle, ma al contrario.

"No. a dire il vero, no. Ma mi andrebbe…"

"Perché non mi parli di…lui." - Faith indicò Spike, con un leggero movimento, sporgendosi appena in avanti.

Con quella luce, ai suoi occhi, Spike aveva solo profondamente addormentato. Sdraiato sul fianco, con il volto girato verso di loro, appariva un normale ragazzo, immerso in un sonno senza sogni. Il labbro rotto era solo una macchia appena più scura sul suo colorito esangue. Nulla traspariva da quella figura che, solo poche ore prima, era stata l'icona della crudeltà e del dolore.

"Lui?" - Angel si girò, per fissare la stessa immagine nella mente -"quando l'ho conosciuto era meno biondo e portava i capelli più lunghi. E gli occhiali."

"Occhiali?"

"Già. Rotondi, sottili. Aveva l'aria più tenera di quanto non abbia adesso. Tutto sommato potevo capire Drusilla. Le piacevano i cuccioli."

"Tu non sei propriamente un cucciolo…"

"Già. Ma io ai suoi occhi dovevo essere forte. Ero il suo Sire e nulla l'avrebbe convinta che io non fossi il più forte." - la sua mente corse involontariamente all'iniziazione di Spike - " Oppure le piacevano forti e Spike non l'aveva ingannata con la sua espressione. Probabilmente è andata così. In fondo Spike non si può definire un ragazzo pacifico."

"E tu invece? La sua espressione tenera ti aveva tratto in inganno?"

"Gli occhi, Faith. Gli occhi di William erano occhi di una persona destinata a grandi cose, in qualunque frangente si potesse trovare e qualunque espressione avesse dipinta sul muso. Non aveva paura di me, di Dru… nemmeno mentre lei si cibava di lui."

"Credevo fossi stato tu a vampirizzarlo…" - obbiettò Faith, prima di rendersi conto dell'indelicatezza di quella domanda.

"Devi bere il sangue, per diventare un vampiro, il morso non basta. Spike bevette il mio perché ero più forte di Dru e perché volevo fosse così. Magari è stato il risultato di un capriccio. Ma io penso di aver visto qualcosa, quella notte. Una luce, nel suo sguardo, una luce che si spense nell'istante stesso in cui si risvegliò vampiro. Ho dovuto aspettare più di centocinquant'anni per vederla brillare di nuovo." - Angel si interruppe - "Quando stanotte ha ripreso conoscenza, per un istante interminabile, ho avuto paura di non vederla più, un'altra volta."

"Ma non è successo."

"Lo so. Ma mi ci vorrà un po', per riuscire a comprenderlo. Mi ci vorrà Spike dritto sulle sue gambe che mi dice che sono una madre isterica."

Faith seppellì una risata leggera nel suo maglione. Era un peso piacevole sul suo petto.

Ma ad Angel non sfuggì il leggero irrigidimento del suo corpo.

"Angel, senti… preferiresti avere Buffy tra le braccia adesso?"

La domanda lo colse di sprovvista, con i suoi sottintesi.

Faith si era raddrizzata e lo fissava, con un'espressione seria e pentita nello sguardo."Scusami, non è il momento per chiederlo."

"Faith, aspetta. È il momento giusto, se è adesso che vuoi saperlo. Ma vorrei che tu, dopo, rispondessi ad una mia domanda."

Faith annuì, seria.

"Faith, tu non sei la sostituta di Buffy, anche se molti si sono messi di impegno per farti credere che eri la prescelta di seconda categoria. Tu sei Faith e non la vice-Buffy, l'anti-Buffy o quant'altro ancora. Non hai bisogno che una Buffy ti completi o delimiti il tuo spazio. Ti meriti tutto, ti meriti il meglio ed io ti voglio bene e non mi pentirò mai di avere avuto te a fianco in questi mesi. Di averti qui, con me, mentre mi sembra che il mio mondo vada un'altra volta in pezzi. Io amo Buffy. Ma questo non influisce in nessun modo su quello che sei tu per me." - Angel sembrava non riuscire a fermarsi ed il suo cuore batteva all'impazzata, violentemente - "Ma adesso devi rispondere tu ad una mia domanda: Faith, tu vorresti il posto che ha Buffy nel mio cuore?"

Faith lo fissò annichilita. Angel era fatto così, era silenzioso, provava fatica ad esprimersi a lasciare che i sentimenti venissero fuori. Salvo poi lasciarsene travolgere all'improvviso, irrefrenabilmente ed inaspettatamente.

Faith, tu vorresti il posto che ha Buffy nel mio cuore?

Faith, tu vorresti il posto che ha Buffy nel mio cuore?

La domanda le martellava in testa. Ed una risposta voleva uscire.

Una risposta muta.

Un cenno.

Un cenno di diniego.

"No. non ti amo come Buffy. Io sono Faith. Il mio amore è come quello che ha Spike per te. Non ha niente a che fare con l'amore che può provare Buffy. Ha a che fare con quello che saremo capaci di rischiare per te, alla nostra riconoscenza, alla capacità che hai di farci sentire al sicuro. Ma non con l'amore che provate tu e Buffy uno per l'altra. Spike ed io abbiamo provato a separarvi, io con te, lui con lei. Ma non significava nulla. Era spirito di emulazione. Anche lui sa cosa significa essere al secondo posto…" - le parole morivano lentamente, scemavano dalla sua consapevolezza fino a naufragare in un mare di emozioni confuse - "Le persone che vivono in questa casa sono la mia famiglia. E sono una famiglia grazie a te."

Angel la stava abbracciando. La stringeva, per sentirla di nuovo pesare sul suo corpo, nel tornare serenamente all'intimità che aveva rischiato di incrinarsi definitivamente."Hai ragione. Spike può capirti veramente. Ho fatto di tutto per renderlo inferiore a me, senza mai riuscirci. Ma lui combatteva questa sfida ogni giorno, con chiunque ci avesse conosciuti. Talvolta credo sia stata Drusilla stessa ad inculcargli questa idea. Forse ha cercato di proteggerlo da me. Se fosse sembrato innocuo, io l'avrei lasciato stare. Ma Spike non è mai stato inferiore a me. E mi spiace essermi accorto tardi che ero solo io a saperlo."

"Hai rimediato a questo sbaglio." - sussurrò Faith, abbandonandosi serenamente - "Così tante volte da inculcarci in testa che non siamo secondi a nessuno e possiamo vivere senza paragonarci a te o a Buffy. E senza diventare necessariamente anime gemelle…"

 

Di colpo sobbalzò. No, anzi, era il petto di Angel che sobbalzava.

Angel… rideva.

Rideva, soffocando il suono della risata dietro una mano. Una risata pura e leggera."Oddio… tu e Spike?"

"Non è successo nulla. Ehi, smettila di ridere. Che c'è di divertente. Io… ero seria."

"Lo so, ma io non posso fare a meno di trovarla una cosa incredibile. Non mi fraintendere,Faith, ma io non riesco a immaginarvi in questo modo."

Faith rimase in silenzio un istante, poi la verità si affacciò alla ribalta.

"Angel. Spike ha ragione."

"Ragione su cosa?"

"Sul fatto che tu non ci vedrai mai cresciuti."

Angel corrugò la fronte.

"Io penso che sia… probabile." - ammise, in un sussurro - "ma non si tratta di William,William è cresciuto abbastanza, senza contare che è diventato vampiro per amore. Sei tu che mi sembri troppo giovane. Sei tu che mi sembri sempre una bambina da proteggere."

"Io metto alla prova il tuo istinto paterno. Ma prima o poi, Angel, promettimi che ti arrenderai all'evidenza."

"Aspetterò che tu abbia almeno vent'anni, se non ti dispiace…" - le rispose distrattamenteAngel, senza nemmeno guardarla, ma con tono apprensivo - "Non ti ha messo le mani addosso, vero?"

"Certo che mi ha messo le mani addosso. Ma, se hai presente, finisce sempre con il prendersele… e tu non puoi farci niente, per cui non ci pensare. Non puoi fermare lui o me. Spike continuerà a provarci a tempo perso ed io lo picchierò ogni volta che riterrò sia il caso."

"Va bene." - sospirò Angel, accarezzandole i capelli - "Non sai quanto vorrei sapervi giù nell'ingresso a far a pugni."

"Oppure a giocare a scacchi, come quella sera…"

"Già, quando mi aspettavo di trovare il tuo sangue su tutte le pareti dell'Hyperion…"

"Ehi, dubitavi così delle mie capacità?"

"Non dubito delle tue. Ma conosco le sue. Ed una Cacciatrice può avere un'attrattiva irresistibile per un vampiro come Spike. Con l'anima oppure senza, non cambia niente. Le Cacciatrici sono la sua droga."

"Di questo mi sono accorta. Sembra realizzato, quando combatte. Gli piace. È come se ballasse."

"Ed in questo è tale quale a te."

"Sul serio? Sembra sul serio che io danzi quando combatto? Io ho sempre desiderato danzare…"

"Anche a me piaceva. Trascinavo Darla dappertutto si potesse ballare."

"Parigi 1830?"

"Già. Aspetta! E tu come fai a saperlo?" - le chiese sorpreso.

"Me lo ha detto Spike."

"Ti ha detto altro?"

"Certo. Ma sono segreti." - Faith sorrise e si lasciò scivolare ancora un po'. La stanchezza era tale da chiuderle appena gli occhi, indipendentemente da quanto battesse forte il suo cuore - "Ballerai con me, un giorno o l'altro?"

"Penso proprio di sì. Sto tornando a molte vecchie abitudini, da quando c'è di nuovo Spike. sarà che non posso mai mentire… mi conosce bene e poi c'è quel suo dannato sesto senso. Gli basta un'occhiata per capire le persone."

"Come Doyle…"

"No, non come Doyle. A William piace intuire una verità per tirartela sul muso. Doyle tende a leggere le persone, a comprenderle. Credo che ogni tanto usi qualche trucchetto di Lorne… dovrò chiederglielo un giorno o l'altro."

"Doyle è l'unico che non ti preoccupi di proteggere." - c'era un vago tono di accusa nella sua voce.

"Certo. Doyle sa badare a se stesso." - sentenziò Angel.

"E gli altri coinquilini invece no, vero?"

"E' una cosa diversa."

"Perché?"

"Già. Perché?" - mormorò Angel, accarezzandole i capelli - "perché… perché di Doyle non riesco a preoccuparmi. È lui che si preoccupa per me. Tecnicamente c'è chi ama definirlo il mio angelo custode."

"E' bello, non trovi?" - la voce di Faith si era fatta pastosa, lenta nelle parole. Angel chinò la testa, fino a intravederla, con gli occhi chiusi.

"Che cosa è bello?" - sussurrò, scostandole i capelli dal viso.

"Essere protetti. Come me e… Spike." - sospirò, e si addormentò del tutto.

"Hai ragione bambina. È bello." - sorrise Angel nel baciarla dolcemente.

 

 

III

Cordelia dormiva sul letto di Angel. Lei e Spike, senza nemmeno toccarsi, dormivano fianco a fianco. Ed Angel, dalla sera prima, se ne stava sprofondato nella poltrona. Perfettamente immobile, con Faith tra le braccia. Come una bambina troppo cresciuta.

Westley e Doyle entrarono silenziosi. Westley si chinò sul letto, per sfiorare la pelle di Spike, scoprendola fresca ed immota.

"Ciao, Wes." -disse Angel, prima ancora di aprire gli occhi.

"Mi spiace, non volevo svegliarti."

"Non dormivo, tenevo solo gli occhi chiusi. Non mi ricordavo di poter soffrire di mal di testa…"

"Visto che sei sveglio, sarebbe meglio che tu mangiassi qualcosa. Ci manca solo un vampiro con il calo di zuccheri." - mormorò Doyle, chinandosi in avanti. Con un colorito verdognolo ed un sano odore di alcool.

Angel lo guardò, sollevando appena un sopracciglio e il demone, con una mezza alzata di spalle, replicò: "Faccio quello che posso."

Angel fece per alzarsi, leggermente intorpidito, e Wes intervenne prontamente.

"Aspetta." - disse, circondando Faith con le braccia e sollevandola, senza che si svegliasse. Angel si spostò e l'Osservatore adagiò la bella Addormentata nella poltrona appena lasciata libera.

"Resto io, vai a farti due passi." - aggiunse, nel sedersi a terra tra entrambi.

Angel guardò Cordy e poi Doyle con aria interrogativa.

"Non ricordo quando è arrivata." - ammise.

"Non importa. Tanto vale lasciarla dormire." - a Doyle non sfuggivano gli occhi gonfi ed il fazzoletto stretto tra le dita. Cordy aveva pianto, silenziosa, su quelle coperte. Per sfogarsi ed esaurire le ultime forze rimaste.

Il suo sguardo si riempì di tormento e comprensione, ma Doyle, risolutamente si girò ed uscì dalla stanza, alle spalle dell'amico.

In silenzio discesero le scale. Ed in cucina fu Angel ad aprire il frigo, cercando nel suo scomparto.

"Anche William dovrebbe nutrirsi." - sospirò.

"Lo so. Ci penserà Wes. Tra un pub e l'altro abbiamo recuperato altre sacche di sangue e lui si occuperà di trasfonderle." - Doyle si sedette al bancone, con un sospiro - "Non dobbiamo preoccuparci che morsichi uno di loro, vero?"

"No. Nemmeno il suo demone è molto forte, al momento. " - spiegò Angel stancamente, versando il sangue in un bicchiere - "La sua mente è lontana. ci vorrà tempo."

Guardò Doyle e il suo colorito caratteristico.

"Ma quanti ne hai bevuti?"

"E chi si ricorda. Qualunque cosa fosse, era buona."

"E ti ha aiutato?"

Doyle fece per rispondere, poi scosse la testa.

"Capito." - sospirò il vampiro, sedendosi.

"Hai delle splendide occhiaie…" - constatò Doyle, allungando un braccio e levandogli il bicchiere di mano. Bevve un sorso, con una smorfia e lo restituì.

"Bleah. Ma sei certo che ti farà sentire meglio?"

"Anche fosse, non mi va altro." - replicò Angel, con un sorriso divertito innanzi alla gamma di smorfie - "Si può sapere che ti è passato per la testa?"

"Volevo provare. Ed avevo sete, ma non la voglia di alzarmi a prendere qualcosa. Dio…" - Doyle arricciò il naso e sporse la lingua in fuori. Anzi, anche le labbra.

Angel ridacchiò, alzandosi ed andando nuovamente verso il frigo. Prese la caraffa di the ed un bicchiere e li pose sul tavolo.

"Bastava che lo dicessi…" - concluse, risollevando il suo bicchiere.

"Grazie."

"No, Doyle. Grazie a te."

La caraffa rimase bloccata in volo.

"Perché mi ubriaco, bevo dal tuo bicchiere e non ci sono quando Cordelia piange?" - puntualizzò.

"Anche. E perché sei tornato indietro rinunciando alla tua pace, sfidando l'ordine della cose, riprendendoti le tue visioni ed i tuoi doveri nei miei confronti. " - Angel gli sorrise - "Sei un buon amico, Cantastorie."

Doyle gli rivolse una di quelle occhiate. Quelle indescrivibili, che Angel sentiva trapassargli l'anima.

"Per me è un onore. Tutto quello che hai detto." - gli sorrise, con dolcezza - "E non mi hanno offerto una pace che equivalesse alla felicità che conosco qui."

"Già, la felicità…" - lo sguardo di Angel si alzò verso il soffitto, come potesse perforarlo e trovare risposte certe.

"Angel. Non perdere di vista la cosa più importante. E' vivo. Non conosco posto in cui potrebbe essere più al sicuro." - poi aggiunse - "E più viziato."

"Doyle, Faith mi ha fatto notare che mi do da fare a proteggere tutti tranne te."

"E tu come hai risposto?" - Doyle sembrava distratto da altro. Apparentemente.

"Che nessuno si preoccupa per il proprio angelo custode."

Doyle interruppe quello che stava facendo e lo fissò, con un'occhiata penetrante e divertita.

"Da quando senti il bisogno di un angelo custode?"

"Da quando un tizio mi ha steso in un vicolo, sei anni fa."

"Sono già passati sei anni? Accidenti, te l'avevo detto di non stare fermo a lungo…"

"Sai che quando sei morto ero furioso con te?"

"Non è vero! Eri molto triste, lo so benissimo." - replicò, scotendo un dito in segno di ammonimento.

"Già ma ero anche arrabbiato. Io non ci avevo più pensato, è stata Faith a farmi ricordare. io.. non facevo altro che pensare che mi avevi promesso che avremmo avuto tempo, per parlare. E non era vero. Avevi detto che non mi avresti mentito, eppure l'hai fatto…"

"Angel." - la voce di Doyle era seria e densa -" Io non prevedo ogni evento, lo sai. Sapevo che ci saremmo rivisti e speravo di tutto cuore che avessimo più tempo."

"Eppure sapevi che io sarei tornato dall'inferno."

"No, non è esatto." - Doyle si alzò, per frugare nella biscottiera - "Io sapevo che tu avresti rimandato Acatla all'Inferno. Lo dissi anche a Buffy, perché rimediasse allo sbaglio."

"Allo… sbaglio?"

"Sì, lo so, non è carino parlare così dei vostri rapporti sessuali. Ma è che, nell'ordine delle cose, nessuno aveva previsto che vi innamoraste. Nel destino era scritto che ti saresti sacrificato per richiudere il varco. Non che l'avresti aperto."

"Allora lo sbaglio è stato mio, non di Buffy." - la difese Angel.

"Buffy era la causa, Buffy era la risposta. Io dovevo essere certo che il tuo destino si compisse. Sono venuto a Sunnydale e…"

"Un momento. Tu eri a Sunnydale, quella notte?"

"Ovvio." - la risposta più naturale di questa terra. Ogni segno di sbronza era svanito e la sua voce appariva calda e forte. Come quella di chi ha una bella storia da raccontare - "Ci venni per parlare con Giles, perché mettesse in guardia Buffy. Ed invece, a casa dell'Osservatore ci trovai lei. E ti posso capire, se la guardi in un certo modo…"

Angel accennò un sorriso ed alzò il bicchiere in segno di brindisi. In onore dell'amore impossibile.

"Trovai Buffy e le dissi la verità nuda e cruda. Non fui molto gentile, a dire il vero. Ma ero leggermente arrabbiato. E lei vagamente irrazionale… le dissi in termini molto espliciti cosa aveva fatto che non andava e che, per come stavano le cose, avrebbe dovuto scegliere tra te ed il mondo. E non avrei mai voluto… "

"Lo so. Neanche Buffy voleva. Ma voi avete fatto la cosa giusta, entrambi." - sintetizzò Angel. Buffy l'aveva ucciso sotto esplicito consiglio di Doyle. Si erano preparati ad uccidere Angelus, non Angel. E per quanto fosse la cosa giusta, entrambi non erano stati capaci di perdonarselo.

L'aveva letto negli occhi di Buffy. Ed ora lo vedeva nello sguardo di Doyle.

"Eppure… Angel, nell'ordine dell'universo io credo che quel singolo istante di gioia con Buffy ti abbia salvato la vita. La tua redenzione non era completa, non eri mai veramente uscito da quel vicolo in cui ti avevo trovato. Credi sul serio che ti avrei lasciato morire?" - Doyle lo guardò di traverso - "Andiamo Angel, da demone a demone. Io preferisco la vita a qualsiasi premio dell'aldilà. Potevano garantirmi ciò che volevano, ma io proprio non me la sentivo di lasciarti a fare da tappabuchi…"

"Ed avevi in programma una mia presunta morte eroica?"

"Già. Ma quando arrivai ad una buona soluzione, era già troppo tardi. Ed io mi ritrovai senza scelta. Fine della storia."

"Mi sembra una fine che lascia un sacco di domande in sospeso."

"Ma io ti ho sempre detto che non ti avrei dato risposte." - gli ricordò Doyle - "Io ti procuro i mezzi per porti in discussione. Comunque… cosa vorresti sapere?"

Angel lo guardò e diede a Doyle alcuni indizi di un equilibrio vacillante. Le enormi pupille, dilatate dalla stanchezza, gli davano l'aspetto di un felino atterrito, un animale feroce e inquieto, capace di uno scatto improvviso.

E Doyle già sapeva che non si sarebbe lasciato aiutare.

"Non farti del male, in questo modo." - si sorprese a dire - "Non rinvangare il passato."

"Non posso concentrarmi sul presente." - rispose Angel, prontamente - "Ed il futuro non mi è mai sembrato così lontano. Il passato, invece, è sempre pieno di sorprese. Soprattutto quando ne parlo con te…"

"Perché, se smettiamo di parlarne, te ne torni di sopra, al buio, a riflettere? Suona come un ricatto." - si lamentò.

Angel abbassò lo sguardo e sorrise per quello scherzoso gioco di finzione. Forzato per entrambi, per sorridere ancora una volta della loro vita.

"Quante altre volte sei venuto a Sunnydale?"

"Poche."

"Ufficiali o ufficiose?"

"Tutte ufficiose. Nelle Alte Sfere non si preoccupano di quello che faccio nel tempo libero. Sanno che sono un tipo tranquillo, che non combina casini; si accontentano di guidare i miei passi quando è il caso. No, riformulo. Guidano i miei perché io guidi i tuoi. Se non devo badare a te, sono in vacanza."

"Che cosa carina."

"Allora, la prossima domanda sarà quante volte sono venuto a Sunnydale: per l'Ascensione, anche se non puoi ricordarlo…"

"Non ero al mio meglio, allora."

"Ma non c'era da preoccuparsi. In effetti ho preso l'abitudine a starmene tranquillo ogni qual volta sia stata Buffy a occuparsi del tuo futuro." - un altro biscotto - "Il tuo problema è che non le lasci prender in mano la situazione. Fa cose stupide, a volte. Ma ad occuparsi di te… è brava quanto me."

"Con lo stesso amore per i dolci." - constatò Angel, prelevando dalla stessa scatola.

"Ragazza di buon gusto." - concordò, con un'espressione estatica - "Biscotti al cioccolato…uhmmm…. Comunque, dicevamo. All'Ascensione e prima, la notte in cui tornasti dall'Inferno. Per vedere come stavi. Ma questa è un'altra storia… poi… poi sei venuto tu a Los Angeles, per cui ho smesso. No, ci sono ancora tornato per Spike, quando è tornata la sua anima. Anche se ero morto."

"Lo dici con una naturalezza…"

"E' un ricordo che mi sono potuto tenere, per cui, mi piace raccontarlo. È una cosa particolare, dopotutto. Non tutti possono dirlo. E poi è stato un avvenimento importante, quello che hai fatto ha cambiato il corso degli eventi. Per tutti noi e soprattutto per te." - gli ricordò.

Angel annuì. Lui e Doyle avevano parlato a lungo dell'importanza di quella scelta, non appena Angel era stato in grado di assimilare le informazioni, dopo il suo ferimento.

"E prima dell'Ascensione?"

"Non so se ho voglia di scoprire tutte le mie carte…" - protestò Doyle - "Se ci venivo erano pur sempre affari miei!"

"Forse dovrei tornare di sopra." - disse Angel, interrompendo il silenzio che si era creato tra di loro.

"E per cosa? Per guardare le sacche di sangue che si vuotano ed il suo profilo immobile? È presto Angel, perché si svegli nuovamente. E nelle prossime settimane sarai così indispensabile da dover essere in ottima forma." - replicò Doyle, porgendogli una biscottiera semi-vuota.

"Devo risolvere il problema Drusilla."

Una bomba.

Doyle posò la biscottiera e lo fissò, corrugando la fronte, costernato.

"Angel. No." - sillabò - "Non puoi e non devi andare a cercarla. E soprattutto, non vuoi veramente."

"Era colpevole quanto Darla."

"Ti prego di non comportarti come un eroe senza cervello." - replicò secco - "Drusilla sarà già lontana mille miglia ed è assolutamente inoffensiva. Ed io lo so perché lo sai tu. Andiamo, passa una certa differenza tra Darla e Dru."

"Passava. Non passa. Passava una certa differenza." -precisò Angel.

"Lascia perdere i verbi. Dimmi perché vuoi questa vendetta gratuita."

"Non è gratuita. Lei c'era."

"Non puoi saperlo fino a quando non è Spike a dirlo."

"Me lo ha detto Darla. Non ho bisogno di tormentare Spike."

"Oh certo. Non puoi chiederglielo ma puoi dirgli che l'hai ammazzata. Andiamo Angel, cerca di tornare in te. Sai che non vuoi ucciderla, come lo so io. E sai che lo farai soffrire come hai sofferto tu, per Darla."

"Non so perché ti infervori tanto. Sono io quello che dovrebbe ribellarsi all'idea di saperla morta."

"Certo. ed infatti, in tempi normali, ti comporteresti in tutt'altro modo. Angel, sei sconvolto, la tua rabbia ti sta accecando. Non arriverai da nessuna parte. Crollerai prima di aver raggiunto il tuo obbiettivo."

"Allora non dovresti preoccuparti per Dru." - ribatté testardo.

E in un attimo si ritrovò Doyle seduto a fianco, sull'alto sgabello, con una mano sulla spalla. Una mano dalla presa salda, capace di infondergli calore senza esitazione. E determinazione.

"Angel, io non sono nessuno, non sono quello che guida le tue scelte, né tantomeno quello che ti fa cambiare idea. Ma sono un amico che non ha nessun piacere a vederti su una strada così sbagliata. Ti stai ammazzando, non dormi, non ragioni e segui la tua rabbia come se fosse l'unica risorsa che hai. Ma non è vero, accidenti. Uomo…"

"Smettila Doyle."

"No, non smetterò. Ti farò ragionare, a costo di pigliarti a pugni, in barba a tutti i miei buoni propositi, non smetterò perché qualcosa mi dice che se affondo ancora un po' la lama, lasciando da parte le mie amene battute, otterrò il risultato che ti aspetti di ottenere con l'assassinio di Drusilla."

"E sarebbe?" - chiese Angel con voce soffocata,

"E sarebbe la disperazione, quella pura e senza freni, quella che ti fa uscire di testa. E poi la pace. E mi manca tanto così" - distanziando appena due dita - "Per ottenere questa reazione a catena. Mi basta poco, perché non vuoi sentirti dire che questa volta non hai colpa. Tu vuoi poterti accusare di quello che è successo, ed allo stesso tempo vuoi una vendetta che taciterebbe il tutto. E vuoi Dru morta perché si prenda parte della colpa di darla. Perché…"

"Perché non posso ammettere che con lei ho fallito."

Doyle tacque. E guardò scendere quelle lacrime che ormai attendeva da ore.

"Allora è questo,"

Angel annuì e chinò il capo, fino a scivolare appoggiato al bancone; Doyle, per una frazione di secondo, desiderò vederlo scosso dagli stessi singhiozzi che ricordava ancora nel petto.

Desiderò saperlo travolto da quella marea vecchia di secoli,ma era troppo. Eppure, in fondo al cuore, sapeva già che non si sarebbe autoflagellato con la morte di Dru.

Dru… Dru era il più grande sbaglio di Angelus e la più grande debolezza di Angel.

E quel capo chino, sepolto tra le braccia incrociate non era altro che la sconfitta di un'anima e del suo demone. L'impotenza del non trovare una soluzione.

"la vita Angel è… come un vortice. Ci sembra sempre che la testa giri troppo veloce e che una forza incontrollabile ci attiri verso il basso. Spike in quello stato, la morte di Darla. Ma non ritenere inevitabile che questa scia di sangue sia la via da percorrere. La prossima della tua lista sarebbe Drusilla. E poi? Chi resterebbe da sacrificare? Il tempo continuerà a passare, ma tu puoi fermarti adesso, prima che ci sia qualcos'altro da fare oppure qualcuno da salvare." - Doyle si chinò in avanti, senza riuscire a vederlo in volto - "Tu non vuoi questa vendetta, solo che non puoi ammettere che sia stata Darla a morire."

"Dru amava Spike, alla follia. Non avrebbe dovuto fargli quello che ha fatto."

"E' un vampiro. Io ho conosciuto Spike in un frangente simile… non credo che tu abbia la memoria tanto breve da non ricordarti le torture che hai subito per la Gemma di Amarra. Eppure lui stravede per te. Lo vedi? Angel reagisci, non sei in te. Preferisco vederti spaccare tutti questi mobili e prendermi tanti di quei pugni da restarci secco che saperti compiere uno sbaglio di questo genere. Ubriacati, fai quello che vuoi. Il mondo andrà avanti qualche ora anche se tu non vigili. Ma Spike…."

"Spike non sopravvivrà se non ci sarai al momento giusto."

Spike non sopravvivrà.

Spike non sopravvivrà.

Angel si alzò di scatto e portò le mani alle tempie, come se la testa gli esplodesse, con un movimento tanto simile a quello di Doyle che questi ne fu colpito. gli occhi chiusi, le mani a pugno. Angel stava combattendo contro qualcosa di incomprensibile.

 

"Non farmi dormire." - sussurrò.

Le pupille di Doyle si dilatarono per la sorpresa. Di colpo qualcosa gli fu chiaro.

Era sempre stato sotto i suoi occhi, ma era prepotentemente venuto fuori soltanto adesso.

Afferrò Angel per le spalle e lo costrinse a girarsi.

Lo afferrò per i capelli e lo costrinse a fissarlo negli occhi.

Fu come un pugno in pieno petto. L'occhiata di Doyle lo trapassava, lo stringeva e lo dilaniava allo stesso tempo.

"Vieni con me." - Doyle lo trascinò, verso il salone e poi ancora, verso l'armeria e poi nello scantinato.

Lo trascinò, fino a quando non si trovarono di fronte al sacco da boxe.

"Colpiscilo."

Angel lo guardò, senza capire.

"Colpiscilo, con tutta la forza che puoi buttar fuori. Picchia questo stramaledetto mucchio di sabbia e mostrami chi sei. Avanti!"

Era una voce d'acciaio, capace di risvegliare istinti profondi e ferali.

Un colpo, un altro, un altro ancora.

Alle sue spalle Doyle stava parlando, ma non riusciva più a sentire le parole. Ringhiando picchiava, picchiava forte e disperato.

Alle sue spalle, Doyle parlava al telefono.

"Lorne, io penso non mi importi assolutamente niente della tua maratona karaoke, al momento. Io ho bisogno che tu muova il culo e venga qui, subito. Sì, la mia ingentilezza sarà niente in confronto a quello che ti farò se non ti so in macchina tra meno di un minuto."

"Che succede?" - Wes si affacciò alla porta. E, all'occhiata interrogativa di Doyle - "Tranquillo, Cordy è sveglia. Ma i colpi si sentono fino al piano di sopra."

"Meglio, più sono forti, più si esaurirà in fretta."

"Ma che succede…"

"Succede che abbiamo qualche effetto collaterale." - Doyle gli scoccò un'occhiata di fuoco - "Qualcosa di molto contagioso. Come il desiderio di prendersela con un capro espiatorio."

Quando Lorne apparve sulla porta, gli schizzi del sangue di Angel macchiavano già tutta la parete. Ma continuava a picchiare. La sua faccia si trasformava e poi tornava umana.

Le nocche erano escoriate, la clavicola di Angel si era già lussata almeno un paio di volte. Ma Angel la rimetteva a posto a suon di pugni.

Ed Angel picchiava.

Si era tolto il maglione ed il tatuaggio sulla spalla si muoveva come di vita propria, per il guizzare isterico dei suoi muscoli.

"E mi hai chiamato per questo spettacolo?" - Lorne si avvicinò a Doyle, seduto sopra al bancone, accanto a Westley - "Siete in due, potreste anche farcela a sopraffarlo."

Gli bastò un'occhiata di Doyle.

"Ma non si tratta di fermarlo, immagino. Doyle, starti vicino al momento, fa venire il mal di testa." - poi lo fissò meglio - "Hai bevuto? Hai quasi il mio incarnato…"

"Certo che ho bevuto!" - scattò Doyle in modo inusuale - "Una cosa è certa. Non avessi bevuto, non me ne sarei accorto. Allora, prova ad avvicinarti."

"Non rinuncio ai miei bei connotati, grazie. Comunque bisogna farlo smettere. È quasi vuoto."

"Come sarebbe a dire "vuoto"?" - mormorò Wes, con gli occhi fissi su quella furia combattente.

"La sua mente." - spiegò Doyle - "La sua mente era piena di rabbia, incontrollabile.. può succedere, dopo un trauma come quello che ha subito. Ma c'è qualcos'altro, qualcosa che è venuto fuori quando i suoi nervi hanno cominciato a cedere."

"Come ci sei riuscito? Angel non è una roccia facile da smuovere." - chiese Lorne.

"Mi sono lasciato prendere la mano." - replicò Doyle, con un'alzata di spalle - "Volevo solo che cedesse al dolore e dormisse qualche ora. Poi è venuto fuori… questo."

"Io non vi seguo." - protestò Wes, guardando Lorne che si grattava una guancia e Doyle che beveva a muso dalla bottiglia di vodka di Spike - "Io vedo solo Angel talmente furioso che alla fine della sua performance dovremo ritinteggiare la parete e comprare un sacco nuovo. Forse sarebbe meglio lasciarlo sfogare…"

"E non ti pare strano che Angel reagisca in questo modo? Ora ti mostro una cosa…" - Doyle gli diede la bottiglia in mano e saltò giù dal mobile. E Lorne lo fermò.

"Aspetta, vecchio mio, faccio io, se non ti spiace. Non potendo farlo cantare…"

Con andatura tranquilla, ma senza esitazioni, avanzò dritto verso Angel e lo afferrò alle spalle.

Wes si preparò ad intervenire, per salvarlo dalle grinfie di un Angel furioso.

Ma non dovette fare nulla.

Al solo contatto con le mani di Lorne, Angel scivolò a terra, come se di colpo qualcuno avesse spento un interruttore ed il flusso di energia che lo dominava.

"Come ci è riuscito…" - esclamò Wes.

"Non è stato Lorne. Angel ha fatto tutto da solo. Usa il tuo spirito di osservazione, Wes… chi hai visto perdere di colpo energia in questo modo, meno di qualche ora fa? Chi hai visto usare il demone come una batteria di scorta? Non mi pare che sia un'abitudine di 'questo' vampiro…" - Doyle avanzò e si inginocchiò di fronte a Lorne, che sosteneva Angel, sveglio e ansimante, ma con lo sguardo vitreo. Assente.

Lorne gli lanciò un'occhiata eloquente, prima di insinuare una mano, di afferrare Angel per il collo, obbligandolo a girare la testa.

"Credo proprio che tu ci abbia azzeccato, vecchio mio." - constatò, passando un dito sui segni del morso.

 

"Bevi, disgraziato." - mormorò Doyle mettendogli in mano un bicchiere colmo fino all'orlo di sangue.

Angel lo guardò, mormorando un breve ringraziamento. E vuotandolo di un fiato.

Poi buttò la testa indietro e chiuse gli occhi.

Doyle lo fissò un attimo e raggiunse gli altri, immobili sotto l'arco.

"Diamogli qualche minuto… così intanto io ti spiego." - aggiunse, rivolto a Wes.

"Credo si possa riassumere in poche parole." - esordì, una volta seduto in cucina, mentre Lorne cercava da bere in frigo - "Io penso che ci sia un contatto telepatico tra Angel e Spike, da quando Spike l'ha morso. Ricordi? Angel sapeva dove spike provasse dolore. Le loro menti si sono unite."

"In effetti pare che ci sia un certo coinvolgimento emotivo, per un vampiro che si nutre di una vittima." - disse Westley professionalmente - "La maggior parte lo identifica con la passione, oppure con il desiderio sessuale. Credo che, nel loro caso, la questione dell'anima complichi parecchio la situazione. Ma se quello che dici è vero, perché è Angel ad avere gli effetti collaterali? Era la vittima…"

"Se ci pensi bene,Angel ha avuto un contatto con il sangue di Spike, sia sulla pelle che sul morso. C'era sangue dappertutto, Westley, ed Angel non si è affatto preoccupato delle possibili conseguenze."

"Forse perché, in situazioni normali, non ce ne sarebbero." - obbiettò Lorne, posando un bicchiere colmo di latte sul tavolo - "Ma questo stato di salute per un vampiro è una situazione anomala. Il sangue di Spike e quello di Angel hanno gli stessi componenti e sono similari. Non dovrebbe esserci una reazione del genere."

"Una volta Giles mi ha parlato di un rituale che spike cercò di utilizzare per far rinsavire Drusilla, qualcosa che aveva a che fare con il trasfondere sangue nuovo di Angel a lei…" - Wes si metteva di impegno per ricordare - "Ed in effetti aveva funzionato, non a pieno, ma in modo accettabile. In quel caso il sangue di Angel doveva avere una funzione equilibrante… Credo che Angel abbia ancora la cicatrice sulla mano sinistra."

"Vorrai dire sulla destra." - lo corresse Doyle.

"Ti sbagli. Ha ragione Westley. È sulla sinistra, anche sul dorso. La cicatrice sulla destra è di Spike." - precisò Lorne, guardando tristemente il fondo vuoto della biscottiera - "Sono come dei marchi. Angel ne è pieno, ha segni di potere dappertutto. Ma quelli di Spike sembrano gli unici attivi."

"Allora, che facciamo?" - chiese Doyle, a Lorne.

"Non facciamo nulla." - gli rispose Angel, dalla soglia - "Passerà."

Si girarono a fissarlo, mentre, pallido, veniva a sedersi tra di loro.

"Sai Doyle, tutto sommato ti meriteresti un pugno." - mormorò -"Ma grazie ugualmente."

"Angel, noi pensiamo che tu sia in contatto…"

"…telepatico con William. Sì, lo so." - concluse Angel - "Ma non c'è da preoccuparsi, passerà. È solo fastidioso."

"E' più che fastidioso, questa volta." - replicò serafico Lorne - "Si sta creando uno spazio nella tua mente e ti impedisce di ragionare. Hai reazioni che dovrebbero essere di Spike. è quasi un miracolo che tu non abbia lividi dove lui ha ferite…"

"Aspetta un attimo… come sarebbe a dire 'questa volta'?" - Wes si sporse in avanti, appoggiandosi sul bancone - "Vorresti dire che ti è già successo?"

Angel guardò Lorne, senza un commento. E questi si limitò ad un'alzata di spalle.

"Ci sono i segni, Angel, non si può non notarli. Ci sono come dei sensori di contatto inattivi, per rendere la situazione un po' più scientifica. E se preferisci invece una definizione più poetica, alcuni brandelli della tua anima combaciano perfettamente con quella del biondo." - Lorne scosse la testa - "E' stato stupido da parte tua non dirlo a nessuno…"

"A quanto pare, infine, l'avete scoperto lo stesso. Come te ne sei accorto?" - Angel si concentrò su Doyle.

"Un comportamento troppo anomalo. Ed una frase che avevo già sentito. Mi hai chiesto di non lasciarti dormire, Angel, come Spike ha fatto con te. Io penso che la sua mente si protenda verso di te in cerca di conforto, che chiamarti con il pensiero sia stata l'ultima cosa cosciente che ha saputo fare. E lo scambio di sangue non ha fatto altro che rinforzare il legame. Come l'altra volta, a Sunnydale. Non è lì che è successo?"

Angel annuì, in silenzio.

"Ho fatto lo stesso sbaglio di Spike. Ho fronteggiato la disperazione con la rabbia, ho usato il mio demone, fino a farmi quasi sopraffare."

"Non si tratta solo di questo." - precisò Lorne - "Tu devi tenere Spike fuori dalla tua mente. Lui non ha la forza di farlo per te, sei tu che devi assolutamente porre un limite. Subito. La tua rabbia è svanita, Doyle è stato molto bravo a vuotarti la mente."

"Cosa consigli?"

"Sei allo stremo, al momento. Devi dormire e stare lontano da lui."

"Questo non voglio farlo."

"Ma lo farai." - disse Westley - "Andrai a dormire in camera mia, di Spike o di chi ti pare. E noi faremo i turni con Spike, per accertarci che non gli succeda nulla e non resti mai solo. Per quanto non ti piaccia è l'unica cosa da fare."

"Ragiona,Angel." - aggiunse Lorne - "Sai bene che è la soluzione migliore. Nessuno ti impedirà di esserci, a partire dal momento in cui Spike riaprirà gli occhi. Nessuno ha intenzione di farsi sbriciolare le ossa, soprattutto per un motivo tanto sbagliato."

Lorne incontrò lo sguardo di Doyle nell'istante stesso in cui lo distolse da Angel. E vi lesse molte più cose di quante avrebbe voluto.

"Doyle, tu ed io dobbiamo dirci due cosette." - disse noncurante, alzandosi e aggiustandosi la giacca - "Signori, con permesso…"

 

"Tu sai benissimo che non li terrai lontano nemmeno di un metro, vero?" - esordì, con le mani sui fianchi, non appena la porta fu chiusa alle sue spalle.

"Hai qualche consiglio?"

"Assolutamente no. Ma non mi stupisce il fatto che ti ostini a contrastare qualcosa di inevitabile."

"Non lo ritengo un approccio alla vita così negativo…"

"Non lo è. Ma direi che anche i tuoi atteggiamenti sono anomali, al momento."

"Lorne." - Doyle gli puntò un dito contro, con gli occhi brillanti - "Sono ubriaco fradicio, mi sono già vomitato anche l'anima almeno due volte e mi sento un perfetto imbecille."

"Non potevi accorgertene…."

"Questo non mi consola."

"Non lo dico per consolarti." - Lorne misurava la stanza a grandi falcate, movendo le mani per sottolineare ogni frase - "Punto primo. Il fatto che tutto quello che accade non sia colpa di Angel, non sta a significare che sia colpa tua. Punto secondo. Non puoi accorgerti di una cosa che esiste da sempre, se non sai che esiste."

Doyle smise di strofinarsi la testa per alzarla di scatto.

"Come scusa?"

"Mi hai capito perfettamente. Il contatto telepatico tra quei due è cronico. Non si può dire da quanto vada avanti, anche se io sarei propenso a credere dalla prima volta che si sono visti…"

"Non è possibile." - Doyle si sedette a terra con un tonfo. La testa non smetteva di girargli, ma le informazioni sembravano giungere lo stesso con una certa rapidità - "hai parlato di segni… li avevo intesi come cicatrici."

"Ho anche detto che i marchi di Spike su Angel erano gli unici attivi. Ne ho nominati due, ma devo correggermi. Sono tre. Solo che l'ultimo, il morso sul collo, combacia perfettamente con il primo."

"Quello dell'iniziazione di Spike." - Spiegò Doyle a se stesso.

"Esattamente. Quelli successivi hanno un po' esasperato il loro legame mentale. Nulla più. Potete prendere tutte le precauzione che volete, ma il risultato non cambierà. Hai sperimentato sulla tua pelle la potenza del loro contatto."

"E tu che ne sai?"

"Doyle, ti prego, non mi insultare!" - esclamò Lorne alzando gli occhi al cielo - "E' il mio mestiere. Arrivo qui e ti trovo a farti di vodka con Angel che si disfa le mani e vuoi che non applichi ad ascoltare? Non hai l'aspetto di uno che ha avuto una premonizione, anzi, puoi aver visto quello che vuoi ma ti sei preso una sfera d'energia in piena schiena. A livello metafisico è più complicato, ma il tuo tasso etilico impedisce di ricamarci sopra in modo appropriato. Magari più avanti, in linea del tutto teorica."

"Ma quanto parli. Non mi importa un beneamato fico secco del per come e perché. Sto benone, della cosiddetta sfera me ne strabatto, se mi garantisci…"

"Ti garantisco tutto quello che ti pare. Anche ciò che non so." - "concluse Lorne, tendendogli una mano.

"Perché Angel non mi ha detto che il legame esiste da sempre?"

"Perché ti ha detto ciò che sa. Sa che ci sono legami tra il sire ed il suo rampollo. Ma la telepatia, di solito, non è contemplata. Credo lo ritenga un effetto collaterale incomprensibile."

"Forse dovremmo dirglielo…" - mormorò, dubbioso.

"Sei tu che devi dirlo." - Lorne si abbottonò meticolosamente la giacca e lisciò i risvolti senatorialmente - "Io ho una maratona di canto da gestire…"

"Lorne." - Doyle lo squadrò come se le sue corna fossero diventate due antenne da scarafaggio - "Ti spiace essere sensibile per ancora qualche minuto? Io non ci ho capito quasi niente, come faccio a spiegare ad Angel un fenomeno di cui non so nulla?"

Il sospiro di Lorne lasciava intendere come gli risultassero incomprensibili tutti quei crucci. Ma, del resto, se Francis Allen Doyle gli chiedeva un favore…

"Promettimi solo che eviterai di aggiungere alcool su alcool." - concluse.

 

"Ehilà! Che ne hai fatto dell'Osservatore?" - esclamò allegramente sedendosi per l'ennesima volta al bancone.

Angel puntò un dito verso l'alto.

"Asceso? Accidenti, Doyle nemmeno tu sei asceso l'ultima volta!"

"Piano di sopra, Lorne, è solo andato al piano di sopra." - gli spiegò Doyle, frugando nei cassetti - "Ma dove ha messo le aspirine, Cordelia?"

"Terzo da sinistra, tesoro." - replicò la ragazza, affacciandosi alla porta - "Se non c'è il mondo da salvare e non è successo nient'altro, me ne vado a dormire nel mio letto. Ho un mal di testa…"

"A chi lo dici… aspirina?" - Doyle avanzò verso di lei porgendole il contenitore, e dandole un bacio fuggevole che la lasciò senza fiato.

Cordy prese una pastiglia con gli occhi spalancati e, andando verso la stanza, mormorò:

"Certo, ma il mio mal di testa ha tutt'altra causa…"

"Ed eccoci qui." - continuò allegramente Lorne, mantenendo il suo aspetto sano, seduto al bancone con due relitti di demoni - "Angel, c'è una cosa che dobbiamo dirti…"

"Un' altra?"

"Ma te lo diremo soltanto se prometti di dormire almeno sei ore filate, chiudere la mente a Spike e parlare con Doyle non appena ti rendi conto che c'è qualcosa che non va."

"Tutto qui?" - rispose Angel, abbozzando un sorriso e guardando di sbieco il suo mezzo-demone irlandese, seduto in silenzio a braccia conserte e occhi chiusi - "Se siamo in vena di ricatti…"

"In cambio anche Doyle dormirà qualche ora, smaltirà l'alcool e baderà che tu sia informato tempestivamente di ogni cosa che accade. Darete un taglio alle cose non dette, eviterete di essere tanto nobili da proteggervi l'un con l'altro e non vi impegnerete in crociate, missioni e vendette. Ed io vi assicuro che il mondo andrà avanti senza di voi per qualche giorno."

Sembrava in vena di cominciare un bel monologo sulle responsabilità verso se stessi e gli altri. Andava interrotto, prima che il suono della sua voce lo convincesse del tutto della saggezza delle sue parole.

"Lorne, cosa dovete dirmi?"

"Prometti?"

"Prometto." - sospirò rassegnato - "posso sapere che succede?"

Doyle aprì gli occhi, sperando che le idee fossero più chiare.

"Angel, mi racconti del tuo legame telepatico con Spike?"

Angel lo squadrò per un istante. Conosceva quello sguardo, lo sguardo di chi va a caccia di una verità.

"E' cominciato tutto a Sunnydale. Ho mischiato il mio sangue con il suo perché sapevo che avrebbe richiamato la mente nel corpo, in un momento in cui il suo demone aveva preso il sopravvento." - spiegò - "All'inizio si è trattato di cose da poco, avevo dei flash, dei suoi ricordi; poi Spike ha iniziato a leggermi nel pensiero, a rispondere a domande che non facevo. È durato qualche giorno, poi, arrivando a Los Angeles, stava già meglio e quest'effetto collaterale è sparito."

"Tutto qui? Ricordi, frasi non dette…"

"No." - Angel scosse la testa - "Quando era incosciente potevo percepire il suo stato d'animo. Sapevo quando stava per avere le convulsioni e lui… si calmava con il mio contatto."

Sembrava in imbarazzo. Lorne aveva bisogno di fissarlo per capire. Non gli serviva sentirlo cantare, gli bastava fissarlo negli occhi per leggere quello che Angel nascondeva. Angel aveva dato tutto se stesso per la sopravvivenza di Spike, ritrovandosi ricambiato con un fiducioso abbandono, del tutto inaspettato.

E più complicato di quello sembrava.

"E poi?"

"In certi casi posso usare il legame di sangue…" - ragionò Angel, concentrandosi.

"Sarebbe a dire?"

"È come se percepissi il suo spirito. Per cui so se mi arriva alle spalle e Spike non riesce a pedinarmi. Lo colgo di sorpresa, ma credo si tratti solo di spirito d'osservazione. Lo so fare con molte persone." - Angel avrebbe voluto tirare un respiro per prendere coraggio - "Io e Spike una volta ne abbiamo parlato…"

 

Ed una voce, dal passato…

 

"Angel."

"Dimmi, Spike."

"Come fai a sapere sempre dove sono?"

"Quando sei inquieto, non passi inosservato… sprizzi scintille…"

"E quando invece cammino per strada e penso agli affari miei? E sto ad isolati di distanza, oppure cambio direzione di continuo?"

"Mi limito a fermarmi ed ascoltare."

"Tutto qui?"

"Tutto qui. Spike, noi siamo legati. Il mio sangue scorre in te. Siamo parte uno dell'altro."

"Eppure io non riesco…."

"Perché non ti fermi ad ascoltare. Tu lo facessi, potresti addirittura comunicare. Ed io potrei sentirti…"

"Ma non ne sei sicuro…"

"Non abbiamo mai provato…"

"Dovremmo però."

"Ma sì, nel primo momento di tranquillità…"

 

Non avevano mai avuto quel momento. Gli eventi, le emozioni e mille altre cose si erano accatastate, fino a distoglierli da quell'esperimento.

Solo in quell'attimo, nell'ultimo attimo di speranza, nel dolore, Spike lo aveva chiamato, radunando le ultime forze. Aveva chiesto aiuto.

Ed Angel aveva saputo dove andare.

In silenzio, Doyle guardava la gamma di emozioni attraversargli il viso.

E non osava interromperlo.

"L'ho ricordato all'improvviso l'altra sera, quando mi sono reso conto... È stato allora che ho pensato di poter rintracciare Darla, con un minimo di concentrazione. Che mi piaccia o no, in me c'è un residuo del suo sangue."

S'interruppe. I due si erano scambiati un'occhiata fuggevole, poi Doyle era tornato a fissarlo negli occhi.

"Allora? Non eravate voi che dovevate dirmi qualcosa?"

"Che spiegazione dai per il tuo contatto con Spike?" - continuò spietatamente Doyle.

"Non ho spiegazione. È cominciato con il ritorno della sua anima e suppongo sia in qualche modo legato a quella. Oppure si tratta veramente del sangue, ma questo…"

Angel si interruppe. Un dubbio. Un dubbio in fondo all'anima.

"Penso che adesso inizi a sospettarlo." - mormorò Lorne, rivolto a Doyle. Lo sguardo di Angel era nuovamente perso. Doyle si sporse in avanti, per tornare nella visuale del vampiro.

"Angel." - lo chiamò - "Lorne dice che il vostro contatto telepatico esiste da sempre."

Un colpo. Un vero colpo.

"Deve essersi istaurato con il primo scambio di sangue." - proseguì Lorne, spezzando il silenzio che si era creato - "Probabilmente gli scambi successivi l'hanno solo rinforzato. Non creato."

E visto che Angel non diceva nulla, proseguì.

"Si può dire che non hai bisogno di utilizzare il sangue per entrare in contatto con lui. Ti basta la concentrazione."

"Drusilla…"

"Come, scusa?"

"L'unica telepate naturale, anche da viva, nella famiglia, era Dru. Si accorgeva di queste cose istintivamente. Come ha fatto…"

"A non accorgersene? La vera domanda è come ha fatto a non dirtelo." - Doyle scosse la testa - "Con Drusilla non si può mai dire…"

Ma la stanza girava veramente? Angel fissò la sua concentrazione al ripiano, in cerca di un appiglio materiale. Lui e William, uniti da tutta una vita…

Il vicolo buio in cui l'aveva scelto…

Il Claddagh che Spike vedeva nei suoi deliri…

La sensazione di poter sempre sapere dove fosse…

E, in ultimo, la richiesta d'aiuto.

"Ma come è possibile…"

"E chi può dirlo!" - esclamò allegramente Lorne - "in ogni caso, signori, vi lascio al vostro dissidio. I miei fans mi attendono."

Detto questo si alzò. Quando incontrò lo sguardo di Doyle, strizzò un occhio e gli posò fuggevolmente una mano sulla spalla.

Non c'era bisogno di parole tra due vecchi amici, ma quel singolo gesto alleggerì il cuore ad entrambi.

"Andatevene a dormire, tutti e due. È il miglior consiglio che potrei darvi."

 

 

IV

Il consiglio di Lorne si era rivelato utile. Angel aveva salito le scale e Doyle, fidandosi della parola data, non l'aveva seguito.

Desiderava solo aspirare il profumo di Cordelia, scuoterla appena, per svegliarla e raccontarle ogni cosa.

E decidendo di non farlo, ricordando con un istante di anticipo il suo mal di testa.

Scivolò sul letto come era, vestito, sfilandosi appena le scarpe, con abile movimento delle dita dei piedi.

I mocassini caddero a terra con un tonfo e Cordy, di tutta risposta, si girò verso di lui, con un sospiro.

"Scusa, non volevo svegliarti…"

"Sai di Gin.."

"Ti sbagli, so di Brandy e vodka. Ma è una lunga storia."

"Non ne dubitavo." - bofonchiò, cercando di svegliarsi del tutto - "hai sempre un buon motivo, quando decidi di essere preoccupato."

"Io non sono preoccupato." - mentì spudoratamente.

"Bugiardo. Ma ti amo…"

"Principessa. Perdonami, ma ho proprio voglia di baciarti…"

Angel si affacciò alla porta della sua stanza. Nulla sembrava essere mutato. Spike, Faith che dormiva in poltrona, con una coperta buttata addosso e Wes, in piedi, con le luci della città riflesse sulle lenti.

Angel gli fece un cenno quando si voltò e sussurrò che, se l'avesse cercato, poteva trovarlo in camera di Spike.

Westley annuì ed Angel lesse un moto di preoccupazione nei suoi occhi.

"Wes, domani ti racconto come è andata a finire." - sdrammatizzò con un sorriso - "Non farti scrupolo, chiamami ogni volta che credi e non crucciarti. Scoppio di salute. Buonanotte."

 

Sdraiato nel letto di William, attendendo l'alba, Angel fissava il soffitto. Qualcosa in lui gli impediva di chiudere gli occhi, come se, all'improvviso, potessero giungere inattesi i resti di un passato da dimenticare.

Il suo.

Quello di Spike.

Difficile a dirsi, soprattutto dopo gli avvenimenti degli ultimi giorni.

La parte razionale di Angel sembrava tentare, invano, una scansione logica degli avvenimenti, un ordine delle cose che potesse svelare quella verità nel corso del tempo mentre la parte emotiva, stranamente svuotata dopo quello sfogo fisico di rabbia, si lasciava scivolare in una torbida contemplazione.

Le macchie sul soffitto e, a poco a poco, gli oggetti di Spike.

All'improvviso lo colpì la diversità degli ambienti. Spike era disordinato, si sorprese a constatare.

Sulla sedia, accatastati alla rinfusa, stavano i suoi vestiti, le magliette e la cintura.

Sul comodino, l'inseparabile libro. C'erano sempre libri in giro, quando si trattava di Spike. libri di poesia, romanzi… Spike disdegnava qualunque cosa fosse un trattato.

Era la prima sostanziale differenza tra loro. Angel amava profondamente i testi che potevano insegnargli qualcosa, fargli scoprire un nuovo incantesimo, oppure un mito perduto. Per Spike si trattava invece di nutrire lo spirito,l'anima, già quando l'anima non c'era. Come se necessitasse di tutto ciò che poteva far volare lontano la sua mente.

Angel si ritrovò seduto sul bordo del letto, a fissare meglio quelle pareti. Quando, in quei mesi, Spike aveva trovato tempo di crearsi indisturbato quell'angolo?

Si alzò, camminando tra le cose buttate a terra ed accatastate negli angoli. Libri, quaderni, cd.

Musica, musica ovunque, in spartiti.

Una vecchia chitarra ed un giradischi.

Spike aveva bisogno un nuovo stereo, annotò mentalmente Angel, passando una mano sul coperchio del piatto, scheggiato e traballante. All'altezza della sua testa, una mensola carica di dischi, vecchi vinili, dalle copertine lise. Vecchie glorie e moderni compact disc.

C'era una libreria, nella stanza a fianco. Una poltrona di pelle ed una scrivania di legno scuro che proveniva dal vecchio arredamento dell'albergo. Spike l'aveva scovata vagando nelle soffitte, da dove provenivano buona parte dei mobili. Angel l'aveva aiutato a portarla giù dalle scale, ma era stato Spike a lucidarla meticolosamente, fino a mettere in risalto ogni più piccola venatura del legno.

Angel sedette, carezzando il ripiano rivestito in cuoio, con la punta delle dita. Dietro, in barba al resto dell'arredo, Spike aveva scelto una sedia moderna, comoda, dallo schienale alto.

Se non fosse stato per l'alto sgabello da bar in un angolo, si sarebbe potuta scambiare per lo studio di Westley. Una stanza sobria e vissuta, in cui riflettere e ragionare, pervasa di un leggero aroma di sigaretta.

Angel avrebbe voluto aprire quei cassetti, sbirciare quello spazio di vita di cui ignorava l'esistenza. Non aveva mai saputo crearsi un angolo di quel tipo, in cui riporre i suoi segreti. Col tempo il suo spazio era diventato più enciclopedico, votato ad una forma di sapere che si distaccava dal piacere personale.

Divani comodi e tavoli enormi; il vampiro solitario e tormentato viveva in stanze in cui potevano approdare tutti a qualunque ora del giorno e della notte. Ed aveva una camera da letto che non sapeva molto del vissuto.

Spike invece viveva in un ambiente che era lo scorrere del tempo.

Angel camminava davanti alla grande libreria, contemplando le cornici ed i portaritratti. Non sapeva nemmeno dove Spike le avesse trovate. Foto vecchissime che lo ritraevano giovane e felice, davanti ad un paesaggio dipinto, una foto d'epoca, una foto d'arte. Foto di Londra, fotografie di un concerto degli anni settanta.

E sul ripiano subito sotto, Dawn. Dawn con un gelato in mano, Dawn con un giaccone e berretto di lana rossa, seduta in mezzo alla neve e Dawn da piccola, in una foto che, a rigor di logica, non poteva esistere, come Dawn stessa, se non nei ricordi deviati di tutti loro.

E Buffy. Buffy, con un vestito corto, seduta ad un tavolo del Bronze. La bocca aperta in un sorriso, con la testa vicina a quella di Willow, probabilmente di una foto dell'Annuario.

E Drusilla. Angel dovette chinarsi, per scorgere in una cornice ormai opaca, il volto austero di Dru, pura e mortale. Null'altro che una ragazza di nome Elisabeth.

Angel non sapeva che Spike possedesse quella fotografia. Ormai aveva dimenticato d'averla rubata, tanto tempo prima, mentre tesseva la sua trappola e portava la morte in casa di Dru e per amore di Dru.

La foto.

Spike doveva averla conservata gelosamente, per tutti quegli anni, nascondendola ad Angelus e poi ad Angel, per gelosia prima e affetto dopo.

Una foto che sembrava poter finire in polvere, se toccata senza leggerezza. Angel non osava sfiorarla.

La vita di Spike sorgeva a poco a poco dalle sue proprietà, dagli oggetti del suo passato e del suo presente.

Riviste moderne e garbate edizioni dei classici si accumulavano sul tavolo davanti alla poltrona, a fianco di vistosi graffi provocati dagli anfibi. Poco distante, un posacenere ed un pacchetto di sigarette.

Angel sedette, allungando le gambe, fino a posare i piedi nudi sul quel ripiano ligneo. E notando finalmente il quadro, dietro la scrivania.

Un semplice disegno a carboncino, su carta ormai ingiallita. Non era molto grande, incorniciato semplicemente, con una cornice moderna senza bordo, tra due semplici lastre di vetro bloccate da placchette metalliche.

La luce della scrivania lo rischiarava appena, conferendo profondità ed ombre ai contorni cupi. Un ritratto, un ritratto magistralmente realizzato. Uno Spike irriverente, con i capelli lunghi e scompigliati dal vento. Uno Spike di un'altra vita.

Dal vento dell'Atlantico, precisò Angel, ricordando la spiaggia vasta e deserta e la terrazza che vi si affacciava.

Ricordava.

Ricordava Spike seduto su quella ringhiera, intento a provocarlo inutilmente. Intento a fissarlo, beffardo.

E ricordava d'aver afferrato la matita, intimandogli di non muoversi, minacciandolo.

E Spike, di buon grado, disposto all'immobilità.

Spike…

Angel ricordava l'esatto momento, la brezza ed il profumo del mare e della tempesta.

Ma non ricordava d'aver delineato quello sguardo. Non ricordava come.

Era uno Spike ridente, uno Spike libero. Felice.

In un disegno di Angelus.

I suoi disegni…

Liam, Angelus ed Angel avevano mantenuto solo quell'unica passione in comune. Il suono dell'inchiostro che si deposita sul foglio, il tratto sicuro della mano, la pennellata decisa e determinante per un' espressione umana.

Ad uno ad uno li aveva dipinti tutti. Darla, Dru, Buffy. E, buon dio, Spike, Spike che uccideva la Cacciatrice, ed ancora le visioni di Dru, i paesaggi notturni del mondo, le vittime, le loro debolezze…

Il tutto racchiuso in una cartella di cuoio consunta dagli anni. Un fascio di fogli che si era lasciato alle spalle in cambio dell'anima.

E solo uno tra loro poteva averla gelosamente conservata.

Senza dirglielo mai.

Averla lasciata in un posto sicuro, per poi andarla a riprendere con calma, una volta che il futuro gli fosse sembrato più chiaro. Angel tornò ad alzarsi, per girare attorno alla scrivania, fino a trovarsi faccia a faccia con il suo quadro. Per poi chinarsi e sfilare la cartella da sotto la scrivania.

Si sedette sul tappeto a gambe incrociate, per aprirla e scoprirne il contenuto. Anche adesso ne possedeva una, simile alla prima ed altrettanto meticolosamente conservata. E si domandò fuggevolmente se Spike sapesse che non aveva abbandonato quel passatempo. Se sfogliasse quei disegni con una vena di nostalgia, se ricordasse, se rimpiangesse quelle notti passate a discutere, quando litigare era la loro massima forma d'affetto concessa.

Avrebbe voluto chiederglielo…

All'interno stava una parte della sua vita, volti dolorosamente recisi, dimenticati dal mondo ma ancora vitali nei suoi incubi. Espressioni fuggevoli di sorpresa e di paura, di gioia e perplessità si alternavano in quella galleria di dolore.

E tra quei mortali, ormai polvere, stava la sua famiglia.

La sua famiglia…

Dru, con miss Edith, Spike intento nel lancio del coltello, se stesso, estratto dalle loro descrizioni… e Darla. Sensuale e sorridente, come era stata fino all'ultimo. Sdraiata tra i cuscini, maestosa nella sua nudità. Oppure vestita ed appoggiata ad una finestra con l'espressione rivolta lontano.

Darla riempiva le pagine, amava restare immobile a farsi ritrarre, per ore, con occhi vuoti e maliziosi.

Aspettando che il suo Angelus lanciasse lontano la penna e la stringesse.

Decine di disegni. E mai nessuno completo. Finiti in fretta, per lasciarsi avvolgere dal suo profumo, lasciandosi alle spalle qualche imperfezione, qualche ombra.

Angel chiuse gli occhi un istante e le lacrime, traboccando, lo sorpresero. Non se ne era accorto. Piangeva, piangeva per Darla, per la sua bocca ed i suoi capelli, per il suo amore profano tanto differente da quello di Buffy.

Piangeva per la donna che era stata scalzata dalla ragazzina, per la ragazza fragile che Dru gli aveva strappato dalle braccia, un'altra volta ancora.

Piangeva.

Senza fermarsi, spingendo lontano i disegni per non macchiarli.

Per tutto quello che di sbagliato c'era stato tra loro.

Per tutto quello che aveva perso, quando era divenuta nuvola tra le braccia.

Piangeva per il carnefice di Spike, tra gli oggetti di Spike.

Per quello che avrebbe potuto essere, se non avesse amato troppo se stessa. Per la crudeltà che le aveva permesso di aggredire, e ridere del suo dolore.

Darla.

Che combatteva la solitudine con la follia. Come Dru.

Che aveva scelto di distruggere Spike, se veramente non potevano tornare ad essere una famiglia.

Perché sapeva.

Perché era certa di sapere: Angel sarebbe tornato da lei, se avesse perduto Spike, perché Angel, come Angelus, aveva bisogno una famiglia da amare e proteggere. Darla amava Angel.

Ed avrebbe sacrificato tutto per riaverlo. Anche Spike. Perché poteva dividerlo con Drusilla, ma non con Spike, che simboleggiava tutto ciò che c'era di incomprensibile e buono al mondo. Spike, umano e perdonato, anche se uccisore di Cacciatrici.

Darla amava Angelus.

Ed Angel amava Darla.

E questo, infine, non aveva cambiato il loro destino. Ma anche l'inevitabile può far soffrire, a volte.

 

Lentamente la notte divenne giorno. Gli occhi si fecero più pesanti ed Angel scivolò in un sonno profondo. Con impresso nella mente quel volto, un sorriso e quel leggero aroma di sigaretta.

 

A pomeriggio inoltrato, una mano gli si posò su un braccio. Angel si girò e scorse Doyle, seduto sul bordo del letto.

"Buongiorno." - gli sorrise - "no, no, tranquillo, non è successo nulla. Avevo solo voglia di fare due chiacchiere."

"Dormono tutti?"

"Tranne Faith. Wes li ha irrigimentati a dovere. Ognuno sa quello che deve fare. E tu puoi decidere se svegliarti del tutto o girarti dall'altra parte e proseguire la tua dormita."

"Sono sveglio…"

"Allora tieni." - replicò soddisfatto Doyle, facendo spuntare dal nulla una coppia di tazzoni - "Colazione a letto, che ne dici?"

Era come se il tempo non fosse mai trascorso. Angel e Doyle erano nuovamente seduti uno di fronte all'altro, come in un precario deja-vu.

"Angel…"

"Dimmi Doyle."

"Ma tu lo sai che ero un tipo felice prima di conoscerti?"

Angel gli sorrise, contrito. Doyle aveva un aspetto allegro, come se non fosse successo nulla. Un'espressione serena, venuta fuori da chissà dove.

"Sai una cosa? Lorne ha perfettamente ragione. Non devo preoccuparmi di questa novità vecchia di due secoli…" - continuò - "Non devo… ma lo farò ugualmente."

"Potresti risparmiarti la fatica… ho intenzione di pensarci io. E parecchio."

"E poi? A parte la decapitazione non ci sono soluzioni." - sospirò Doyle - "Con un po' di fortuna quello di ieri sera è stato un episodio isolato, per una situazione che io spero non si ripeta. In nessun caso."

Di colpo si sentì spossato, svuotato di ogni forza. Poteva un demone essere esasperato dalla vista del sangue e del dolore? I fatti sembravano dimostrarlo.

Doyle non poteva chiudere gli occhi senza vedere ancora il martirio di Spike.

E non dubitava che, sotto quel tetto, fossero in molti ad avere quel problema. Non era altro che un girotondo di parole e sensazioni.

Attorno quel letto, per quel vampiro, sulle loro vite e nelle loro menti.

"Doyle…"

"Lo so, non ci posso far niente." - rispose meccanicamente - "Mi capita e basta, di colpo la mia mente prende il sopravvento e non posso far altro che seguirla. Angel, io non ho la risposta che cerchi. non so nulla più di quello che ho sempre saputo: daresti la vita per Spike, lui la darebbe per te. E Spike non rimpiange la sua vita da vampiro, perché quell'anima che non voleva gli ha restituito te."

"Il mio atteggiamento nei confronti di Spike non cambia per questa scoperta. Ma la vera domanda è perché. Perché adesso. Perché non in qualsiasi altro momento. Pura casualità? Oppure altro?" - Angel appariva determinato - "Non metto in dubbio quello che ha captato Lorne, ma non mi capacito di non essermene mai accorto."

"Mi ha detto che hai il corpo cosparso di marchi di potere. Cicatrici da cui è passata anche energia."

"E' vero in linea di massima, sul mio corpo, buona parte delle ferite persistenti sono di quel genere. Se è necessario possiamo anche mapparli…"

"Lo ritieni necessario? Lorne dice che al momento ce ne sono due attivi. No, anzi ha detto tre, e che il primo e l'ultimo coincidono. La mano…"

"E il collo, due volte." - Angel si carezzò pensieroso i due fori - "Spike non sarà per niente contento di avermi morso…"

"Sul serio?" - Doyle sorrise.

"Certo. per un sacco di motivi." - annuì Angel - " Perché mi ha mancato di rispetto, mi ha morso senza permesso, l'ha fatto senza volerlo e, infine, per sano orgoglio maschile. Con tutti i colli che poteva mordere…"

Le loro risate si unirono, con leggerezza. Per dimenticare, un solo istante.

"Ma probabilmente non lo ricorderà nemmeno." - concluse.

"E tu non sei intenzionato a dirglielo." - Doyle piegò la testa da un lato, con un gesto che da sempre lo caratterizzava -" O sbaglio?"

"Certo che no." - Angel si concesse un attimo di silenzio, prima di fare la fatidica domanda - "Tu pensi sul serio che, con un minimo di concentrazione, potrei entrare in contatto con William?"

"In linea di massima è esatto. Non è difficile, soprattutto se le difese dell'altro sono abbassate. Per eseguire un contatto mentale basta solo un po' di predisposizione ed un legame."

"Ne parli per esperienza personale, vero?"

"Ovvio. Ricominciamo da capo." - esordì Doyle - "Tu vuoi sapere se ci sono probabilità che tu possa metterti in contatto con Spike. Credo di sì. Ma devi tenere presente che non l'hai mai fatto. Diventa più facile con la pratica."

Angel lo squadrò, sospettoso.

"Doyle, non è che , per caso, sei stato in contatto mentale con me e non me lo hai mai detto?"

"Ma guarda quanto sei geloso del contenuto della tua testa." - rise Doyle, fissandolo storto - "La verità? Certo che siamo stati in contatto. Ma solo quando tu dormivi ed io ero morto. Altrimenti è del tutto superfluo. E inutilmente faticoso. Mi riesce più semplice con Cordelia, per via delle visioni…"

"Le visioni sono qualcosa che avete in comune."

"Come il sangue tra te e Spike. Ma si tratta, diciamo, di una scorciatoia. Qualcosa che facilita la comunicazione. L'importante è la predisposizione… Che ha a che fare con lo spirito."

Angel lo squadrò.

"Tu ne hai parlato con Wes, vero?"

"Certamente, per chiarirmi le idee. Lui mette la teoria laddove io conosco solo la pratica." - Doyle cercava un accendino - "Sai che ti dico? Anche i demoni dovrebbero aver diritto ad un Osservatore. È illuminante…"

L'aveva trovato. L'accendino.

Tra le mani teneva il Dupont di Spike e lo guardava.

"Eccolo." - constatò - "L'ho cercato tanto. Temevo l'avesse perduto, che l'avessero portato via, l'altra notte…."

"Doyle." - Angel lo fissava senza capire.

"E' un oggetto molto importante per Spike." - Doyle parlava quasi a se stesso - "L'ho cercato a lungo, tra i suoi vestiti, quando l'abbiamo riportato a casa. Non vorrebbe mai perderlo."

"Come lo sai?"

"Me lo ha detto." - Doyle gli sorrise - "Una volta, giocando a biliardo…"

 

"Tocca a te." - Doyle posò la stecca e cercò un accendino, con la sigaretta tra le labbra - "Dannazione…"

"Tieni." - Spike gli lanciò qualcosa di luminoso e Doyle lo prese al volo.

"Grazie. Per la miseria, che eleganza. Da un rockettaro come te, non mi sarei mai aspettato un tocco di stile di questo tipo… "

"Non lasciarti ingannare dalle apparenza. " - replicò il vampiro, infilando in buca un'altra fasciata - "E' proprio nel mio stile, invece. Un oggetto raffinato… e molto importante."

"Sei in vena di confidenze?" - lo provocò.

"No. Ma preferirei che tu evitassi di perderlo, come tuo solito."

"Io non perdo tutto quello che tocco."

"Perdi tutti gli accendini che ti passano tra le mani." - puntualizzò tagliente Spike - "Ad esclusione di quelli che ti infili 'sovrappensiero' in tasca. Gioca."

"Peccato. Se non fosse per l'iniziale, me ne sarei appropriato volentieri." - rispose, restituendolo - "Allora, regalo di qualche vecchia fiamma?"

Improbabile, guarda l'iniziale incisa, gli disse una saccente vocina in fondo alla testa.

Conosciamo una sola persona che si permette di chiamarlo con il nome di battesimo…

"No. Regalo di un amico." - confermò inconsapevolmente Spike; si appoggiò alla sponda e infilò le mani in tasca - "E' un portafortuna, ce l'ho da quando ho ricominciato tutto da capo."

"Non ti facevo così superstizioso…"

"Che vuoi farci… ci sono dei periodi in cui ti aggrapperesti a qualunque cosa." - Spike fece il giro in torno al tavolo - "La otto in buca d'angolo. Mi serve per tenere a mente alcune cose, non solo per accendere le sigarette."

"E' un accendino. È suo dovere accendere. Sigarette e idee. " - lo tormentò Doyle, per ignorare la nera che finiva in buca con un tre sponde.

"Già, ma a te accende solo le sigarette." - Spike gli battè una mano sulla spalla - "Hai perso. Te l'ho detto. Porta fortuna…"

 

"L'aveva lasciato a casa. Non sarebbe…" - s'interruppe e sorrise Doyle, con una punta di rammarico nella voce - "Sarebbe bello poter pensare che…"

"che se l'avesse avuto in tasca non gli sarebbe successo nulla?" - concluse Angel.

Doyle annuì, annuì e riposò l'accendino dove l'aveva trovato, con l'iniziale in vista. Rimanendo a fissarlo, fino a quando Angel non lo prese e se lo fece scivolare in tasca.

"Niente ci impedisce di fantasticare. Andiamo." - disse, avviandosi verso la porta.

Percorse il pianerottolo con passo sicuro e varcò la porta della sua stanza, ignorando Faith e sedendosi sulla sponda del letto.

Strinse per un attimo tra le dita l'accendino, scaldato dalle mani di Doyle, e lo posò sul comodino.

Fece per rialzarsi ma Faith lo fermò, con un sorriso.

"Perché non restate un po' qua?" - propose con leggerezza - "Wes è uscito con Cordelia, ed io ho voglia di sgranchirmi un poco. Datemi il cambio, qui mi annoio…"

Era deliziosa, così impegnata a mentire. Doyle le strizzò un occhio, certo che Angel non lo vedesse. E sedette sulla poltrona, per continuare la conversazione.

"A cosa pensi, Doyle?"

"E tu?"

Già. Non c'era molto da pensare, lì seduti, vicino a Spike. Se non a quanto fosse silenzioso, così privo di sorriso.

Così lontano.

"Perché non provi a concentrarti?"

"Cosa?"

"Volevi entrare in contatto con lui… prova." - gli sorrise, incoraggiante - "mi permetti di guidarti?"

"Cosa otterrei?

"Chi può dirlo.. male non puoi fargli. E questa è la cosa importante. se vuoi possiamo chiamare Lorne, saprebbe certamente aiutarti."

"No, grazie, preferisco te." - rispose educatamente Angel.

Doyle gli rivolse un'occhiata rassicurante e si sedette a terra, a gambe incrociate, come Angel poteva ricordarlo, poco dopo il suo ritorno.

Doyle gli posò una mano sul ginocchio.

"D'accordo. Semplifichiamo. Sovrapponi la tua cicatrice a quella di Spike; non importa se ci sono le bende in mezzo, il vostro contatto è comunque più forte. Chiudi gli occhi e chiamalo. Senza agitarti, rischi solo di farti del male."

Angel era docile ai suoi comandi. Con il capo chino e la mano di Spike tra le sue.

"William." - era poco più di un sospiro…

 

Nebbia.

Spike odiava camminare nella nebbia. Strinse un po' di più il collo del giaccone e accellerò il passo, risoluto.

Alle sue spalle sentiva un rumore, rumore di corsa. Si girò, ma non intravide nulla. Alle sue spalle la luce arrivava veloce. Istintivamente si raggomitolò, coprendo la testa.

 

"Piano, piano."

Gli occhi di Angel erano sbarrati, il suo petto si alzava e si abbassava come se potesse riempire i polmoni di ossigeno.

"Sto bene." - Angel sbattè le palpebre - "E' stato un attimo."

"Cosa hai visto?"

"Mi sembrava di avanzare. Poi di colpo è diventato tutto troppo veloce. Ho cercato di fermarmi, ma era come se non riuscissi."

"Allora non è niente." - lo rassicurò Doyle, posandogli istintivamente una mano sulla testa - "Ti sei solo agitato, ti sei messo a cercarlo, senza aspettare che venisse lui da te. Bisogna che ci sia una risposta dall'altra parte, un segnale."

"Ho capito."

"Non devi avere fretta. Devi essere riconoscibile, per la sua mente." - Doyle lo fissò, comprensivo - "Vuoi riprovare?"

Un cenno d'assenso.

"Va bene. Chiudi gli occhi…"

 

Ancora nebbia. Fredda e luminosa.

E Spike avanzava, ancora.

La paura era passata. Il suo corpo era debole, le gambe pesanti. Ma non voleva smettere di camminare. Come se, camminando, potesse ritrovare la sua forza.

Ogni tanto, vagando, incontrava delle ombre, ombre di persone vive e di persone ormai scomparse. Ombre non umane e ombre infantili sperdute.

Di nuovo.

Di nuovo passi alle sue spalle.

Inutile girarsi, non c'era niente da vedere…

Inutile.

Ma irresistibile.

Lentamente, a poco a poco, cedette.

Non voleva più camminare, voleva fermarsi.

Oppure.

Girarsi e camminare risolutamente verso il bagliore.

Camminare fino a trovare qualcosa.

Un anello? Dove aveva già visto quell'anello?

E perché il bagliore proveniva dall'anello?

Adesso voleva correre. Arrancando, inciampando.

Ma l'anello era sempre più flebile.

 

"Angel, stai male, smettila." - la voce di Doyle gli giungeva attutita, ma le sue braccia gli davano calore. La testa gli faceva male, gli sanguinava.

Doyle lo teneva tra le braccia?

Doveva dire a Doyle di non tenerlo…

"Angel…"

 

L'anello brillava ancora. Spike corse, fino a cadere a terra.

La nebbia, la nebbia si diradava. Bisognava muoversi. Strisciando, se necessario, fino a posare la mano sull'anello.

Ancora poco, meno di un passo…

Ma non era più un anello da afferrare. Una mano strinse una mano e le ali di Angel li avvolsero entrambi, prima che una forza li strappasse da terra, facendoli precipitare.

 

Aprì gli occhi e ansimò. Non era più sul letto. Era a terra e Doyle lo stringeva veramente. Senza guardarlo.

Ma nella mano destra stringeva ancora la mano di Spike.

E la mano di Spike stringeva la sua. Si tirò su a sedere di scatto, arrivando a pochi centimetri dalla faccia di Spike, nella foga di puntellarsi al letto.

A qualche centimetro dai suoi occhi chiari e luminosi.

Doyle li guardò. Entrambi stremati, uno fisso sull'altro.

Scosse il capo, come se non riuscisse a capacitarsene.

"Per la miseria…" - mormorò.

 

Spike passò lo sguardo da uno all'altro, prima di tornare a fissarsi su Angel. Lucido.

Sapeva dove si trovava, ma non sapeva perché.

Angel gli sorrise e gli passò una mano tra i capelli.

"Non ricordi nulla,vero?" - gli chiese dolcemente.

No, scosse la testa, non ricordo. Ma fa male, qualunque cosa sia.

"Va bene."

"Sei reale?" - chiese Spike con voce salda.

"Sì, lo sono."

Era vero. Sentiva le sue mani forti sulla fronte, anche con le percezioni annebbiate. "Non tornerò nella nebbia…"

"No, non ci tornerai."

"Rischio di perdermi e non voglio. Angel, perché ci hai messo tanto a trovarmi? Tu sai sempre dove sono…"

"Questa volta non sono stato molto attento."

"Allora non sei perfetto…" - Spike chiuse gli occhi e sorrise. Gli piaceva coglierlo in flagrante.

"E' vero."

La voce di Angel tremava. Angel piangeva. Spike lo guardò, senza chiedergli nulla.

"Mi hai fatto spaventare, questa volta." - Angel sorrise, istericamente.

"Non ti ho chiesto nulla…" - replicò con un filo di voce Spike, sorridendogli impertinente - "Angel…"

"Dimmi."

"Resti qui?"

"Certo. Non c'è niente che mi smuoverà da questo posto." - Angel accompagnò la frase con un cenno del capo.

"Angel… mi lasci il tuo anello?"

Senza una parola, Angel sfilò la mano da quella di Spike e si tolse il Claddagh.

"Te lo rendo, poi." - si scusò Spike. ma Angel si limitò a guardarlo, con sguardo triste, senza smettere di carezzargli il capo. Come se avesse bisogno quanto lui quel contatto - "Ma se mi perdo di nuovo, penso potrà guidarmi."

"Aspetta." - mormorò Doyle sfilandosi una catenina e privandola del ciondolo - "Così andrà meglio."

Spike non badò a lui. Focalizzava il suo sguardo su Angel, intento fermargli l'anello intorno al collo. Ma Doyle non poteva aversene a male. La sua mente sembrava intrappolata nell'accaduto, nel miracolo.

Irrimediabilmente impegnata ad urlargli quanto fosse stato idiota.

Spike, istintivamente, allungò una mano per cercare dove si fosse posato l'anello, e lo strinse, ignorando il male che sentiva irradiarsi verso il gomito.

"Adesso posso dormire." - replicò soddisfatto - "Almeno so dove sono. E non fa freddo."

 

 

V

"Tu hai fatto cosa?"

"Abbassa la voce Westley." - replicò stancamente Doyle, massaggiandosi le tempie. Ed invece no.

Westley e Cordelia se ne stavano in piedi, con le stesse mani sui fianchi, mentre Lorne, comparso da chissà dove, finiva di leggere il giornale.

"Abbassare la voce? Se lui abbassa la voce, comincio ad alzarla io, la voce!"

"Principessa…"

"principessa un corno! Razza di bestione sovrannaturale!"

"Che succede?" - mormorò Faith, avvicinandosi cautamente a Lorne.

"Ciao Faith" - mormorò il demone con aria svampita, interrompendo la lettura - "Succede cosa?"

"Lascia perdere." - concluse Faith, sedendosi sul suo bracciolo e godendosi la scena con una punta di perplessità. Qualcosa le diceva che la colpa fosse tutta di Doyle.

La voce di Cordelia giungeva al soffitto, ma era la retorica di Wes a riempire l'aria.

"Io ti lascio di guardia a quell'eroe che di autoconservazione non sa proprio nulla e tu lo istighi in questo modo? Tu! L'affidabile tra noi! Quello per cui non si deve mai preoccuparsi! E poi sono io il disastro vivente!" - Whidam-Price riempì i polmoni e diede fiato alle trombe - "Io non posso credere! Hai fatto collassare Angel, hai obbligato Lorne a scoprire quel qualcosa che ci ha messi tutti in allarme, ti sei impuntato perché Angel si riposasse ed appena le cose sembrano avviate tranquillamente tu cosa fai? Cerchi di ammazzarli entrambi!"

Era rosso come un tacchino.

Faith sbarrò gli occhi e fissò Doyle.

"Tu hai fatto cosa?" - sillabò, con occhi enormi.

Doyle le rispose con un'occhiata eloquente.

"E tu." - Cordelia, poco efficace in conformato a Westley, piantò le mani sui fianchi e girò nella sua direzione.

"Oh, oh." - Lorne sprofondò dietro il giornale.

"Tu. Faith, tu. Non dovevi essere al posto loro in quella stanza?"

Faith fece per rispondere, aprendo la bocca. E trovandoci istantaneamente sopra una mano verde.

"Signorina, per piacere." - lo sentì mormorare, mentre Doyle, abbandonando il cuscino che teneva sulla testa, si sporgeva in avanti per replicare.

"Faith non centra, è colpa mia, se proprio vuoi prendertela con qualcuno."

"Certo, voglio prendermela con qualcuno. E tu, mio amato irlandese, non sei un capro espiatorio!" - Cordy lasciò perdere Faith e tornò a concentrarsi sulla fonte dei suoi nervi - "Tu sei il colpevole di questa quasi catastrofe."

"Scusate." - Faith accennò ad un colpo di tosse, alzandosi in piedi - "Qualcuno vuole dirmi cosa è successo?"

Westley fece un respiro, per riportare le sue vene sul collo ad un diametro discreto.

"Doyle ha proposto ad Angel un esperimento e per poco non ha provocato un danno cerebrale a lui ed una crisi epilettica a Spike." - la sua voce tornò a salire - "Per non parlare dei danni che poteva fare a se stesso!"

"Ma che, ringraziando il cielo, non si è fatto." - concluse Lorne, piegando il giornale, mentre tutti gli occhi si puntavano su di lui - "Io sono venuto personalmente a controllare e trovo tutto perfetto. O quasi."

O quasi.

Concluse, con un'occhiata…

Un' occhiata che la diceva lunga sulla sua opinione personale e sul fatto di essersi ritrovato ad un passo dal cadere sul palco, quando i rimasugli di quell'esperimento l'avevano inspiegabilmente raggiunto.

Che permetteva di intuire con che animo avesse abbandonato quella sua tanto menzionata maratona, per accorrere a vedere il caduto sul campo.

Che lasciava intendere come fosse stato piacevole trovare Angel che dormiva a terra, vicino a Spike e Doyle intento a tamponarsi, sul lavandino del bagno, un naso che non sembrava intenzionato a smettere di sanguinare.

Che faceva capire…

"Va bene, ti sei perfettamente spiegato." -tagliò corto Doyle, per interrompere quella snervante occhiata, in mezzo ad una nuvola di domande - "Ho fatto una cazzata. Ma sono stato fortunato. Volete mettermi in croce? Accomodatevi! Sono sopravvissuto al mezzo infarto che mi hanno fatto venire quei due, posso sopravvivere a voi."

"Sopravvivere a noi? Doyle, razza di gallinaceo, dovresti sapere quali sono i rischi se uno sbaglia ad entrare nella mente dell'altro! Angel non è un demone preposto a quel contatto. È un vampiro! Un vampiro con anima e potenziale da vendere ma non in quel campo. C'erano almeno altri quattro sistemi per fare quello che è stato fatto, senza alcun pericolo." - Wes diede un calcio al tavolino e tutte le riviste sobbalzarono - "In quella stanza, a momenti, l'unico in grado di proteggersi era quello che stava morendo!"

"Morendo? Ma che cosa stai dicendo!" - Faith alzò la voce, in linea con tutti gli altri - "Ma è mai possibile che nessuno di voi trovi quel tanto di self-control che basta a spiegarmi tutto dal principio?"

"Qui ci vuole del the." - Lorne si alzò - "Ne faccio per tutti. Continuate pure ad urlare, mi aiuta Faith. Vieni cara?"

Faith lo seguì, senza un commento. E sempre senza un commento sedette sul ripiano di cucina, mentre Lorne si concentrava per affettare un limone a regola d'arte.

"Allora, vediamo di renderla una cosa riposante." - disse Lorne, interrompendo la canzone che stava canticchiando - "tutto è cominciato ieri sera. No, forse prima di ieri sera, almeno centocinquant'anni prima, ma fa lo stesso. Perché noi abbiamo pensato di scoprirlo solo ieri."

Canticchiando di interruppe e cercò le tazze nell'armadio, dopo essersi levato la giacca, lasciando le bretelle a vista, e arrotolato le maniche.

Poi proseguì.

"Abbiamo scoperto che tra Angel e Spike poteva esserci una specie di contatto telepatico, qualcosa che permetteva loro, inconsapevolmente, di comunicare."

"Spike non coglie mai di sorpresa Angel." - Faith lo disse come se spiegasse tutto. E Lorne,chiudendo un cassetto, la guardò con quella luce nello sguardo che si chiama ammirazione.

"Esatto bambina. Hai più cervello di tutti noi. Comunque, Doyle e Westley decidono di tenerli lontani per un po', per precauzione. Decidono e pianificano la cosa. Poi oggi, Doyle ed Angel si alzano, fanno due chiacchiere.

Angel dice, potrei provare a comunicare con lui e Doyle gli risponde, perché no. Gli spiega la procedura…"

"E la sapeva?" - Faith iniziava a farsi un'opinione a riguardo.

"Doyle sa un sacco di cose. Ed ha abitudine a stare zitto quando non sa." - replicò garbatamente Lorne - "Dicevamo, Doyle spiega ad Angel come fare. Ed Angel prova, con qualche esitazione iniziale. Poi il trucco gli riesce. La sua mente si allontana dal corpo, abbastanza da farlo scivolare addosso a Doyle, come senza vita. Doyle sa che non c'è da aspettare tempo, lo scuote, lo scrolla. Ma Angel no, Angel sta in un altro posto e non vuole tornare indietro senza quello che sta cercando. E lo trova. Potrebbe trattarsi di un semplice contatto, ma qualcosa va storto. Una forza, Doyle, trascina Angel verso il suo corpo e, senza saperlo, con lui anche Spike. Morale della storia: potevano ammazzarsi in due ed invece si sono salvati in tre."

"Quest'ultima frase mi sfugge."

"Mettiamola così." - Lorne tolse il bollitore dal fuoco - "Quello che nessuno di noi poteva sapere era che Spike stava effettivamente allontanandosi troppo dal suo corpo, abbastanza da non riuscire a tornare indietro, se non per andare verso qualcosa di conosciuto che gli ispirasse fiducia."

La spiegazione iniziava a diventare vagamente astrusa. Lorne interruppe la ricerca dello zucchero per non perdere il filo del discorso

"Per cui, ricapitolando, Angel, che si sarebbe limitato ad un contatto per fargli sapere che gli era accanto, è finito, senza saperlo, in cima al baratro. Doyle, che pensava ad un puro contatto mentale da cui distoglierlo con facilità, si è adoperato per riportarlo indietro, prima che si perdesse e, a metà della sua opera, si è reso conto che le anime da riportare indietro erano due."

E si è quasi ammazzato. Ma questo era meglio non aggiungerlo.

Anche se era la spiegazione alla sua presenza.

Doyle aveva avvertito subito il contraccolpo. Ma aveva anche preferito, come suo solito, non darlo a vedere. Senza sapere che c'era già qualcuno, verde di natura e di rabbia, che si scapicollava per arrivare a soccorrerlo.

"Che ci fai qui?" - aveva mormorato, immergendo di nuovo l'asciugamano nel lavandino oramai traboccante di acqua rossiccia.

"Secondo te? Siediti."

L'aveva spinto indietro, sul bordo della vasca e gli aveva premuto la pezza sul naso, tirandogli indietro i capelli appiccicati alla fronte.

"Ce la fai a cantare?"

"Non puoi fare nell'altro modo?" - mormorò con voce nasale e piagnucolosa.

"Non mi va di concentrarmi. Sacrificati."

"Lorne…"

"Doyle, canta quello che vuoi, ma spicciati."

Incerto, Doyle aveva intonato le prime strofe del Danny Boy. Senza smettere di sentirsi un asciugamano premuto al centro della faccia ed una mano sulla fronte.

"Benissimo. Basta grazie." - aveva concluso, levando entrambe le mani - "Ed il naso ha quasi smesso. Devo far cantare anche gli altri due?"

"No, loro stanno bene. Aiutami, devo fare due passi o andrò lungo disteso definitivamente."

"Andiamo di sotto. Ci vuole un whiskino terapeutico… in più ho bisogno un ambiente spazioso."

"Per respirare meglio?"

"No, per pigliare la rincorsa. Voglio darti un pugno."

 

"Poi, sul più bello dell'amena conversazione che io e Doyle stavamo intrattenendo, su argomenti di grande attualità, sono arrivati quei due. Cip e Ciop."

Faith nascose la risata dietro una mano.

"Vedi? Tu sì che la prendi con lo spirito giusto." - le sorrise Lorne, sollevando il vassoio - "Andiamo, non vorrei che lo uccidessero sul serio."

In sala, la tensione si tagliava ancora con il coltello.

Doyle li osservò rientrare ed accettò la tazza che Faith gli porgeva.

"Vuoi dire la tua?" - le chiese, a metà tra lo stanco e il tagliente.

E, in tutta risposta, Faith si chinò e gli depose un bacio sulla fronte.

Lasciandolo annichilito dalla sorpresa. Non avesse rischiato di bruciarsi con il the che iniziava a rovesciarsi, sarebbe rimasto inebetito a fissarla.

Come tutti gli altri.

"Sai comportarti da stupido. Ma sei stato bravo." - disse Faith, come se questo spiegasse tutto, mentre saliva sul divano e si sedeva sulle schienale alle sue spalle.

"Grazie, piccola." - rispose perplesso.

"Non c'è di che."

"Immagino che i biscotti siano finiti." - ribattè acida, e contrita, Cordelia.

"E' colpa mia anche quello. Se vuoi ricominciare ad urlare…"

"Io eviterei di avanzare consigli di questo genere." - s'intromise con tono saggio Lorne - "Non mi sembra il caso, con il mal di testa che ti ritrovi."

Doyle lo guardò poi tornò a fissare l'interno della sua tazza ed i riflessi vagamente distorti nel the.

Cordelia fece un sospiro, mordicchiandosi il labbro inferiore.

Poi si girò, per fissare meglio Lorne.

"Non penserai di cominciare ad urlare anche con me, vero?" - le chiese cautamente il demone, sprofondando ancora un po' tra i cuscini, senza smettere di mischiare il suo the.

Cordy aprì la bocca; poi la sua baldanza sembrò svanire del tutto.

"No." - sospiro, sedendosi sull'altro divano - "Volevo solo sapere se sta bene sul serio."

"Chiedilo a lui. Zucchero?"

"No. sono arrabbiata, con lui. Due zollette."

"Ma certo, parliamo di me come se non ci fossi." - replicò Doyle, mentre Faith gli massaggiava vigorosamente il collo - "Piano, piccola, piano."

"E se arrabbiata perché si comporta da idiota oppure perché ha rischiato la pelle?"

"Questi sono affari miei." - tagliò corto, buttando indietro i suoi bei capelli - "Rispondi, per piacere... tanto dormirà in camera di Spike, sia che stia bene, sia che sia moribondo."

Pure in castigo… Lorne gli lanciò un'occhiata comprensiva.

"E tu, se lui è moribondo, dove dormi?"

Cordelia lo fissò interdetta, con una punta di panico nello sguardo.

"Cordy, taglia corto. Sto benone. Ho mal di testa. E basta." - Doyle mosse la mani per sottolineare la frase, mentre Faith, misericordiosamente, proseguiva la sua opera.

"Lorne… sta bene sul serio?"

"Ma certo che sta bene, che domande!" - Lorne si versò ancora un goccio di the e si voltò a conferire con Westley - "Latte?"

Whidam-Price non era mai stato tanto inglese. In piedi, tenendo compitamente la tazza per il piattino, mischiando meticolosamente il the, reggendo il cucchiaino con due dita.

Persino il mignolo sparato verso l'alto e l'espressione concentrata.

Senza una parola porse la tazza a Lorne, poi riprese a mescolare, con un educato 'basta, grazie'.

Adesso lo fissavano tutti.

Era uno spettacolo.

"Dovrebbero uscirgli gli sbuffi di fumo dalle orecchie." - constatò Lorne - "Come al bollitore…"

Niente. Nessuna reazione.

"Non gli è preso un infarto, vero?"

"Westley, smettila." - esclamò Doyle, esasperato - "Poteva succedere, ma non è successo."

"Non - mi - parlare." - Wes si mise d'impegno per distaccare le parole, puntandogli contro il cucchiaino - "Non ho bisogno di essere rabbonito. Hai messo in pericolo le vostre vite e… sono arrabbiato perché andava fatto."

Non ci riusciva a restare furioso. Si sedette spossato, a bere il suo the, in silenzio.

Doyle lo fissò, intravedendo per la prima volta le due ombre scure sotto ai suoi occhi. Percependo il suo nervosismo.

"Sono arrabbiato perché non me ne sono accorto. Io non riesco ad immaginare cosa possano avergli fatto, per cacciare la sua mente così lontano dal suo corpo. Io sapevo che i vampiri sono immortali, che possono impiegare chissà quanto a riprendersi, ma si riprendono." - ammise, levandosi gli occhiali e posando la tazza sul tavolino, in modo precario - "ma che la loro mente avesse bisogno di essere richiamata indietro, questo… ma ciò non toglie che si poteva gestire meglio tutta la situazione!"

Il repentino cambiamento di voce era una forma di autodifesa parecchio maldestra.

Ma tutti erano disposti ad ignorarlo ed a perdonare il suo orgoglio ferito.

"Ma come mai qui dentro tutti mirano alla perfezione ed al sacrificio personale?" - chiese Faith, scivolando con le mani lungo la spina dorsale di Doyle e provocandogli un brivido.

"Io raggiungerò la perfezione torcendoti quelle dita assatanate, Faith, se non le levi immediatamente dal mio uomo." - ringhiò Cordelia, marciando verso il divano e sedendosi imperturbabile sulle ginocchia di Doyle.

Lorne li guardò, a metà tra il divertito ed il preoccupato.

L'aria era satura di scintille mal represse, tensione e una buona dose di rivalità femminile.

Ed in mezzo a tutto questo, inerme, stanco e vagamente stordito, stava Doyle. Con una ragazza sulla schiena ed una sulle ginocchia. Una cosa piacevole e quasi invidiabile, ma in altre situazioni.

"Signore." - interruppe il battibecco, con aria austera - "Non mi pare il caso di immolare ancora questo piccolo irlandese…"

"Io non sono piccolo!"

"… per quanto io vi ritenga splendide, penso che le vostre grazie siano fuori posto. E vi invito a smettere di stargli così addosso."

"Guarda che ha cominciato lei." - protestò a gran voce Faith, alzandosi e scavalcando con un'unica falcata Doyle e la sua anima gemella - "E poi, niente mi obbligava a dargli contro se lo ritenevo nel giusto."

"Oh certo! ma guarda che quello che ha fatto è del tutto discutibile!" - replicò Cordelia, saltando in piedi e lasciando Doyle a scuotere la testa, interdetto - "Io lo amo, ma questo non ha niente a che fare con la mia capacità di giudizio! Soprattutto se ha rischiato la sua pelle e quella di Angel!"

"Dimentichi Spike." - rispose faith, mostrandole tutti i denti - "Cordelia Chase, questo tizio ha fatto ciò che andava fatto. E non trovo niente di discutibile, come ami dire tu. Perché vedi, mia signorina Sotutto… potresti anche considerare la possibilità che Angel facesse i suoi esperimenti senza controllo alcuno!"

la frase cadde nel vuoto.

Cordelia rimase impalata sui suoi piedi al centro della stanza, ad assimilare quella verità che Faith le sbatteva sulla faccia. Aveva urlato, prima ancora di ricordare che l'abitudine peggiore del suo prediletto Doyle era proprio frapporsi tra Angel e la sua altruistica autodistruzione.

E, quel che era peggio, stava litigando con Faith. Davanti a tutti e con Lorne che si comportava da paciere.

"Fanciulle, mi spiace insistere…" - disse garbatamente Lorne, accostandosi a Cordy e sfiorandole appena la schiena - "ma vi consiglio di portare le vostre prorompenti personalità da tutt'altra parte. Westley, se non ti spiace, vorrei che tu dessi un'occhiata ai nostri animosi vampiri, mentre io metto a letto Doyle."

"So andarci da solo." - rispose seccato il demone. Senza far nulla per alzarsi.

"Ma allora parli! Ed io che credevo fossi diventato muto! Avrei rimpianto la tua bella voce… non ti muovere da lì, dobbiamo prima chiarire una cosa. Cordelia…" - chiamò. Lei e Faith avevano impilato in silenzio tazze e piattini sul vassoio e si stavano dirigendo verso la cucina.

"Che altro c'è lorne?" - chiese, facendo la voce dura.

"In che letto, allora?"

Non ottenne risposta.

In compenso Doyle lo guardò, puntellandosi la faccia sulla mano.

"Ma ti diverti proprio a mettermi nei guai?" - domandò tristemente.

 

Cosa si dissero le ragazze restò un mistero per tutti. Ma le risate che si sentivano, già dalla tromba delle scale, lasciava intendere che erano ancora vive entrambe. Isteriche, forse. Ma vive.

Doyle, indipendentemente da tutte le recriminazioni sarcastiche di Lorne e quelle rassegnate di Westley, decise di dormire sul divano di Angel, reputandolo comodo e rassicurante.

Lorne, con sospiro rassegnato, lasciò i due a punzecchiarsi e discese le scale.

E si sporse dalla porta della cucina.

Niente sangue schizzato sulle pareti. Era già qualcosa.

"Vieni avanti, razza di spione." - gli disse cordelia, finendo di asciugare le tazze che Faith lavava meticolosamente.

"E' un piacere vedervi tanto pacate e così dedite al focolare domestico." - esclamò, facendo un salto in avanti ed abbracciandole tutte e due - "Le mie care figliole, luce e gioia di questo albergo."

Le ragazze si incontrarono, naso a naso, sul suo petto e scoppiarono a ridere, all'unisono, come se tra loro non ci fosse nessun dissapore.

Qualcosa accarezzò il cervello di Lorne. Ed era l'intesa, l'intesa che si era creata tra quelle due ragazze, tanto diverse, capaci di iniziarsi a capire in un momento in cui sarebbe stato più facile chiudersi e dimenticarsi l'una dell'altra.

"Uniche. Veramente uniche." - disse, baciando quelle due chiome folte che gli solleticavano il mento - "Starei tutto il giorno a coccolarvi se non pensassi che avete un compito da assolvere."

"E sarebbe?" - Faith sembrava più pronta a subodorare l'odor di fregatura.

"Una di voi, compiacente ai miei desideri, dovrebbe mettere a letto il nostro impeccabile Whydam-Price, che sta pensando di insediarsi al capezzale della nostra vampiresca famigliola."

"Mentre l'altra…" - lo incoraggiò Cordy, posando l'ultima tazza sul ripiano lucido.

"L'altra, e non faccio nomi, potrebbe garbatamente dare un bacio della buonanotte al povero irlandese che ha deciso di languire sull'amato divano del piano di sopra." - Lorne sbattè le ciglia, con l'aria di chi trattiene a stento le lacrime - "E poi tutte e due a riposare, mentre zio Lorne, impavido, veglia su tutti i sopra menzionati."

Le due ragazze si scambiarono un'occhiata. Poi, risolutamente, faith replicò:

"Il tuo discorso ci sembra accettabile. Ma dovresti lasciarci andare."

"Dura questa separazione. Ma necessaria." - retrocedette melodrammaticamente, con la mano sul petto - "Il mio cuore piange per questi compiti inevitabili da assolvere che ci separano, insensibilmente. Non piangete, leggiadre fanciulle, porterò con me questo muto dolore. Siate felici, addio!"

Con gesto ricco di pathos, girò su se stesso e salì a balzi la scala, seguito dalle ragazze, ancora impegnate a parlarsi, sottovoce.

Sul pianerottolo deviò verso camera di Spike, senza curarsi nemmeno dell'autorizzazione che forse gli sarebbe servita per entrare.

Entrò e marciò dritto allo studio, per dare il tempo a Cordy di essere carina con Doyle ed a Faith di fare ciò che le pareva.

Avevano tutti bisogno di un attimo di intimità e Lorne, per quanto iniziasse ad apprezzarli come una famiglia da poco ritrovata,capiva perfettamente l'importanza di un attimo di pace, senza battute, senza altro che silenzio.

Per Lorne era diverso. Il suo attimo di pace coincideva con il frastuono della musica, delle casse spinte al massimo, del suono puro di strumenti, senza voce alcuna che li unisse. Ma forse, dopotutto, anche quella era una forma di silenzio.

Gli piaceva lo studio di Spike. A differenza di Angel, che aveva oltremisura rispettato la privacy restando dall'altra parte del pianerottolo, Lorne conosceva bene quell'angolo profumato di legno che Spike abilmente riempiva con la vibrazione delle corde della sua chitarra. Con una sigaretta in bocca, a torso nudo, in piedi, mentre Lorne, imperterrita, cambiava dischi e canticchiava motivi rock ormai divenuti storia senza ascoltatore.

Non si curavano di cosa si potesse sentire da sopra, da sotto o da fuori. In quella stanza si riportava a galla una musica forte che Spike raccontava con voce abile. Spike che con il suo canto riportava a galla vecchi concerti ed emozioni sfrenate. Il rock, quello vero, una violenza giustificabile, eccessi e passione.

E Lorne sedeva elegantemente in poltrona ed aspirava accordi e fumo, con gli occhi chiusi. Respirando il mito dell'anima in trappola.

Ma non solo quello.

Spike era un talento naturale per la musica.

Un piacere da ascoltare, mentre tesseva una coperta fatta di accordi e crescendo irrefrenabili, fatta di jazz e di quant'altro il loro umore guidava.

Spike sembrava l'unico a non avere paura del confronto con Lorne. La voce di Lorne era per lui una fonte di pura ammirazione e nulla più. Spike amava sentire le loro voci mischiarsi, seguiva fedele la voce di Lorne a caccia della purezza del suono.

Sentendosi ogni volta vicino e lontano dal traguardo. Per Lorne era un piacere da sentire e risentire, un piacere molto simile alla scoperta di un fenomeno da coltivare. Ma Spike, che nel suo intimo probabilmente scriveva ancora, negava di avere canzoni già composte ed ispirazione. E si accontentava di ampie variazioni su cover e ininterrotti assolo all'acustica come alla chitarra elettrica.

Sedette in poltrona, con sotto al braccio una lettura prelevata dalla biblioteca che reputava l'unica appetibile, per quel che lo riguardava, in una casa di persone troppo serie.

Sedette a pensare un attimo.

In un modo o nell'altro era l'epilogo. Il resto sarebbe stato convalescenza e nulla più. Sarebbe stato Angel a sostenere Spike e loro, poco a poco, sarebbero tornati alle loro incombenze.

Lo stravolgimento era finito. Restava solo una pedina vagante. Restava Drusilla, con i suoi deliri e le sue ombre, nascosta chissà dove, nel dolore della perdita di Darla.

I segreti appena intravisti non sarebbero stati svelati tanto presto.

La telepatia.

Il viaggio di Spike ai confini dell'esistenza immortale.

L'importanza di Faith e di Cordelia, il loro legame appena visibile.

Westley si sarebbe affannato a cercare una risposta a tutte le loro domande. E Lorne lo avrebbe invitato a fermarsi, per fischiettare insieme vecchie canzoni. Perché anche un Osservatore può avere un passato da musicista, nascosto da qualche parte.

Un Osservatore.

"Scusami, non volevo disturbarti." - Wes sulla porta, appariva stanco ma sempre compito.

"Figurati, stavo solo riordinando le idee." - replicò il demone, alzandosi e spolverando la giacca incurante - "Di' un po', Wes, eri mai stato qui?"

"No." - Wes accompagnò la risposta con un cenno di diniego - "Ma talvolta sento la chitarra."

"La prima volta ho pensato di essere entrato nel tuo appartamento. Se non fosse stato per quello…" - indicò il poster dei Guns&Roses -" E' bravo alla chitarra. Ma dovresti sentirlo al piano."

"Sul serio?" - Wes si appoggiò allo stipite ed infilò le mani nelle tasche della felpa - "Mi piace come suona. Ma visto che non ne parla mai…"

"Invece dovresti. Probabilmente qui dentro sei l'unico, a parte il sottoscritto che capisce due accordi di fila." - Lorne incrociò le braccia e lo squadrò - "Stavo giusto ragionando sul tuo passato di musicista."

"Poca roba. Quando si è studenti si vuole sempre suonare uno strumento. È Giles, l'Osservatore impeccabile al microfono. Dovresti sentirlo…" - Wes alzò le spalle, incurante. Non lo stupiva che Lorne sapesse di una sua passione tanto remota.

"Sarà meglio che tu faccia un ripasso, perché, una di queste sere, io e Spike vaglieremo le tue potenzialità."

"Accetto la sfida." - replicò Wes, con l'ombra di un sorriso. E lo sguardo acceso di impazienza - "Per l'occasione vedrò di accordare la mia chitarra."

"Ottimo. Vattene a dormire, resto io a badare alla corsia convalescenti."

"Speravo proprio di sentirtelo dire."

 

Silenzio.

Lorne attraversò ancora il pianerottolo ed ascoltò i passi di Wes salire la rampa successiva.

Doyle, sdraiato sul divano, sembrava perso in qualche ragionamento, sicché preferì non disturbarlo.

In camera di Angel, sul letto ai lati di Spike, cingendolo con le braccia, stavano Angel e Faith. Spike dormiva tranquillo, con il naso quasi infilato nel maglione di Angel, mentre faith lo cingeva con le braccia, insinuando una mano sottile tra le sue fasciate.

Si era immaginato di trovarla lì, con loro, il padre ed il fratello.

O pseudo-amante. Difficile a dirsi.

Ancora sveglia, probabilmente, ma concentrata a dimostrargli il contrario.

Lorne uscì, silenzioso, senza sentire nulla che non andasse tra loro e dentro di loro.

"Ma li hai visti?" - sussurrò sedendosi in poltrona e sprofondando nella coperta lasciata apposta per lui. Strappando Doyle alle sue riflessioni.

"Certo che li ho visti." - replicò quello con un sospiro - "Non so tu, ma mi sento come alla fine di un incubo. Il seguito mi sembra molto scontato e…normale."

"Che posso dirti… stavo giusto pensando la stessa cosa, comodamente seduto nello studio di Spike, quando…"

 

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Capitolo 7
*** 07. Segreti Recuperati ***


Segreti recuperati

 

I personaggi delle serie "Angel" e "Buffy, the vampire slayer", appartengono a Joss Whedon, la WB, ME e la Fox, l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

 

"Angel, muoviti!"

Faceva di corsa le scale, con il giaccone ancora in mano.

"Muoviti, prima che si ammazzi del tutto!"

dalla stanza provenivano urla e discussioni a non finire. Poi Faith, ne uscì, alzando le braccia e gridando, per sovrastare la confusione.

"Io ne ho abbastanza, fate come volete." - dichiarò, salendo le scale - "Eh no, Wes, girati e ritorna da dove sei venuto… tanto è tornato il castigamatti."

Doyle stava in piedi sul pianerottolo, con Cordy.

E gli occhi puntati verso il cielo, mentre, nel silenzio appena calato, si avvertiva il sommesso chiudere della porta.

"Spike finiscila!"- scattò Angel, entrando e lanciando la giacca sulla poltrona. Afferrandolo e sospingendolo a letto, mentre quello, con un piede già a terra, cercava di mettersi in piedi.

"Oh, scordatelo e levati di torno! O mi aiuti o mi impaletti."

"Per piacere non mi tentare." - rispose Angel di rimando - "Non è stata una serata tra le migliori."

"La tua? E alla mia non pensi? Ero qua e la tua Cacciatrice mi imboccava mentre la tua segretaria mi sprimacciava i cuscini. Ho una mia dignità io!" - si dibatteva come un luccio. A niente valevano gli sforzi di Angel per tenerlo fermo.

"Sono stufo. Stufo! Qui non mi dite nulla, non mi lasciate fare nulla. Mi hanno strapazzato e tu non mi dici nulla."

Ancora una mossa e si ritrovò bloccato sul materasso. Angel gli stava quasi seduto sopra, tenendolo per i polsi.

Ed era furibondo.

Spike lo guardò dritto in faccia. E sorrise beffardo, davanti a tanta furia.

"Sarò malconcio, ma non riesci a sopraffarmi… non è che sei invecchiato?" - lo provocò.

Mentre Angel, lo lasciava andare e si alzava.

Spike lo fissò, mentre, con gesti misurati, appendeva la giacca, vuotandone meticolosamente le tasche.

Rimase immobile, con le braccia abbandonate, così come si era ritrovato, libero dalla morsa d'acciaio.

Come se la rabbia gli fosse sbollita, tutto ad un tratto.

Fissando un po' Angel ed un po' il soffitto.

"Pensi di esserti calmato?" - mormorò Angel, incrociando le braccia. Non aveva un tono amichevole.

"Siamo nervosetti stasera? Dovresti proprio rilassarti…" - mormorò, incrociando beatamente le mani sullo stomaco. Si era aggiustato un cuscino dietro la schiena e guardava Angel con una sorta di amichevole ironia.

Irritante.

Angel, facendo appello ad ogni suo buon sentimento, sedette sul letto e gli porse una mano.

"Avanti… così vedo se ti ho fatto saltare i punti, poco fa…" - mormorò, attendendo di sentire tra le dita la ruvidezza delle fasce che ancora gli stringevano le braccia.

"Scordatelo. Voglio alzarmi."

"e' presto."

"Non puoi saperlo fino a quando non provo." - replicò l'altro, tirandosi nuovamente a sedere e cercando di aggirare l'ostacolo Angel che separava i suoi piedi dal pavimento - "Sono stufo di starmene qui. La tua camera e noiosa. Non c'è niente da fare, niente da vedere e…. Angel mettimi giù!"

Soffiava come un gatto arrabbiato.

Del tutto inutilmente.

Angel l'aveva sollevato di peso e Spike si dibatteva inutilmente, sospeso a più di un metro da terra.

Fammi scendere, non sono una femminuccia!

Gridava arrabbiato ma Angel era sordo a quei richiami. Come l'aveva sollevato, lo depose nella poltrona del salotto, mentre schivava un altro pugno.

Forse non si sentiva molto le gambe, però le braccia le muoveva benissimo.

"Ascoltami bene, marmocchio." - lo apostrofò, puntandogli un dito in mezzo agli occhi - "Se tu ogni tanto dessi un taglio ai capricci, le tue permanenze nel mio letto, qui come a Sunnydale, sarebbero più brevi ed efficaci. Sprechi un sacco di energie in lamentele."

"Non chiamarmi marmocchio!" - i suoi occhi mandavano scintille - "E non ho chiesto io di ritrovarmi nel tuo letto. E, soprattutto, gradirei che non si sapesse in giro che dormo nel tuo letto! Perché io non voglio chiacchiere strane sul mio conto!"

Era troppo.

E si ritrovarono a ridere, Spike in poltrona, con la testa gettata indietro, e Angel appoggiato al bracciolo, con quel dito ancora puntato nella sua direzione.

"William… possibile che con te tutto sia ancora più complicato?"

"Angel, possibile che con te tutto sia un dramma ed una tragedia?"

 

Una settimana. La più lenta della loro vita.

Spike non aveva più avuto modo di spaventarli, dopo il suo inaspettato e pirotecnico risveglio.

Il torpore che il suo corpo esigeva per iniziare a risanarsi l'aveva travolto per molte ore dopo l'accaduto. E poi ancora, a fasi intermittenti.

E benché tutti avessero continuato silenziosamente ad alternarsi nel tenergli compagnia, ben poche erano state le cose di cui occuparsi.

Un libro da leggere, una rivista da sfogliare… seder vicino a Spike non li aveva coinvolti in altro modo.

Se non nell'irretirli di tanto in tanto, con lo sguardo fisso sul suo bel profilo, sulle parole sconnesse che talvolta mormorava.

Qualche parola, nulla più.

Solo un sonno profondo, nell'immobilità.

Ma soltanto un sonno.

La mente presente, poco lontana, anche se reticente al risveglio.

Le ferite che, lentamente, andavano richiudendosi.

Il torace, l'addome, le spalle. Le ferite si richiudevano, lasciando solo grandi lividi simili ad ustioni.

Solo le braccia ed i palmi che Angel aveva pazientemente ricucito avevano tagli troppo profondi per essersi già rimarginate.

E, per quanto avessero sperato di essersi sbagliati, anche la ferita alla schiena non era ancora un pallido segno ormai stinto.

Qualcosa era leso. E per quanto tutti sapessero che si sarebbe trattato di un problema temporaneo, quella piccola cicatrice li turbava.

 

Spike ci era già passato.

Ricordava la rabbia di essere impotente, intrappolato.

Proprio lui, così amante del movimento si era risvegliato con l'avvilente sensazione di una muscolatura ad intermittenza dalla vita in giù. Punture e spazi di assoluto nulla.

Proprio Spike….

Così incapace a sostare.

Così… arrabbiato…

 

E così dava il meglio di sé.

Petulante, acido, saccente e ringhioso.

Iniziavano tutti ad averne abbastanza.

Angel faceva di tutto per ritardare il confronto tra la testardaggine di Spike e la resistenza delle sue gambe. Non gli sembrava il caso che a nervosismo si aggiungesse altro nervosismo.

Ma, a quanto sembrava, non erano della stessa opinione.

E su molte cose.

I tempi di veglia erano diventati più lunghi. E, proporzionalmente, erano cresciute le discussioni.

Spike voleva sapere. Voleva ricordarsi cosa fosse successo, dettaglio su dettaglio, violando la reticenza di tutti quelli che finivano con il cadere in traiettoria. Soprattutto Angel gli appariva chiuso in un ostinato silenzio, un silenzio che lo inghiottiva. Era inespugnabile.

Ma, del resto, sull'argomento, incomprensibilmente, era il meno interpellato. Ed anche trattandosi del migliore bersaglio per la questione gambe(del resto era l'unico fisicamente in grado di aiutarlo), Angel, agli occhi di Spike, sembrava impegnato ad accettare una qualche questione non bene precisata.

Qualcosa di personale.

Un silenzio che Spike, volente o nolente, rispettava, senza commenti.

Soprattutto nella possibilità di accanirsi su qualcun altro.

 

"William…"

"Non dire William con quel tono, non mi lascio infinocchiare. So io se sono pronto, so io quello che voglio fare e adesso so anche cosa mi è successo."

Una provocazione bella e buona…

Angel lo squadrò, dall'alto in basso, senza prendersi la briga di sedersi. Lo sovrastava, in piedi, obbligandolo ad alzare lo sguardo irriverente.

Sapendo che, si fosse chinato, sarebbe stato peggio.

Una gentilezza che Spike avrebbe letto come facilitazione. O compassione.

Con una conseguente infinità di discussioni. Sembrava che il repertorio delle cose da rinfacciare fosse molto lungo…

"Meglio." - giocò sporco Angel - "Temevo la prendessi peggio. Mi sbagliavo."

Girò su se stesso e si mise incurantemente a cercare qualcosa nel mobile.

"E dimmi." - aggiunse - "Ti sei ricordato o qualcuno a ceduto alle tue seccanti insistenze?"

"Io non sono seccante. Ho fascino." - puntualizzò l'altro, non lasciandosi per niente intimidire dal tono. Angel era veramente di cattivo umore. Tanto valeva lasciarlo in pace. Oppure ignorare le sue preoccupazioni e proseguire come un pestapietre - "E quindi ho convinto qualcuno ad aiutarmi…"

"Chi tra i tanti?" - mormorò distratto. Poi, con un tono scontato - "Faith, chi altri se no…"

"Ehi!"

"Non ho imbrogliato…" - Angel contemplò il contenuto paglierino di una bottiglia - "Mi sono limitato a pensare chi fosse più irritata sul pianerottolo."

"Adesso si dice imbrogliare?"

"Leggere nelle testa di un altro, in certi frangenti, E' imbrogliare…" - precisò, enfatizzando l'accento - "Ne vuoi un bicchiere?"

"No. Non vuoi sapere cosa mi ha detto? Oppure come l'ho convinta?"

"e perché… cosa ti ha detto lo so già. C'ero… e come l'hai convinta… bhè, anche quello si chiama imbrogliare."

"Mi offendi…"

"E tu mi esasperi." - concluse l'altro, buttandosi sul divano e scostando con un piede tutto ciò che intralciava sul tavolino.

" ma parliamo di te!" - Spike battè una mano sul bracciolo ed assunse l'espressione più falsamente socievole che conosceva - "Come mai questo umore così radioso? Difficoltà al lavoro? Darla si è fatta viva?"

Angel rimase in silenzio. A quanto pare Faith non aveva detto proprio tutto…

E sentir nominare Darla in quel modo gli provocava comunque un leggero fastidio. Come una fitta al cuore.

"Lasciamo stare." - mormorò, passandosi un braccio dietro la testa - "Dimmi tu cosa ti è successo per essere tanto seccato…"

"Niente che io non stia sperimentando già da almeno due giorni! Ma tu non passi mai nemmeno a salutarmi…" - aggiunse in tono polemico, scivolando un po' di più in poltrona e non cessando un istante di parlare - "Come sono comodo, come mai non ti è venuto prima in mente di offrirmi un passaggio fin qui? Oh, già, stavamo dicendo, che non ti fai mai vedere. Non è che per caso hai dormito in camera mia? Io ci tengo alla mia privacy…"

Seguitava a parlare ed Angel lo fissava, in silenzio.

No, William, non dormo nel tuo letto. Dormo nel mio. O, meglio, dormo su quella poltrona dove stai seduto adesso. Ho quasi scavato una fossa sul mio tappeto a forza di starci seduto. Mi spiace che tu non lo sappia ma, tutto sommato, per la tua dignità, è meglio così.

Cosa ti ha detto faith? Probabilmente la versione che avevamo concordato. Ti ha detto la verità. Tutta, tutta tranne Darla e quel tuo morso che continua a prudermi.

Ho avuto una serata nera, come si ha solo quando risolvi il caso senza salvare l'interessato. Devo essere fiero del cattivo in meno? No, grazie, preferisco essere afflitto per la vittima.

Sai che ho ricominciato a disegnare? Sì, certo, come se avessi mai smesso… solo che adesso…

Ma no, lasciamo perdere. Non ti andrebbe a genio neanche questa mia distrazione.

Ti ho disegnato così tante volte da aver quasi perso il conto. Sai… non riesco più a ricordarmi le righe del volto di Darla. Credevo di poterla disegnare ad occhi chiusi... ed invece l'ho persa due volte.

Se ne è andata, William. Lo so, non ti è mai piaciuta. Non sei mai piaciuto a lei.

Mi dispiace William. Angelus sarebbe stato deliziato da quello che ti ha fatto. Voleva Angelus…

Peccato che anche Angel l'amasse. Peccato che sia stato Angel ad ucciderla.

Anche se ho permesso fosse faith, sulla mia testa ricade questo peccato.

Darla, Darla, Darla… come un cancro.

Non la sento più..

È questo perdere il proprio Sire?

Dimmi Spike, cosa provavi quando io sono morto? Ricordi? Quando Buffy mi ha piantato la spada in corpo spezzandomi il cuore.

E spezzando il suo.

Inchiodati dalla stessa arma…

"Angel, mi vuoi ascoltare?"

"Certo. La tua privacy…" - rispose prontamente, aggrottando le sopracciglia e domandandosi come proseguisse la frase.

Spike lo guardava con l'interesse che si ha per una mosca nella ragnatela. Pregustava il coglierlo in fallo da tutta l'esistenza. Gli ronzava attorno, incurante delle conseguenze della sua impertinenza, godendo ogni seppur minima defaiance.

"La mia privacy stava circa dieci frasi prima." - lo corresse - "Adesso mi stavo lamentando della tua ostinazione…"

"Se volevi alzarti dovevi approfittarne. Ero distratto." - concluse Angel, rinunciando ad ogni difesa e chiudendo gli occhi con atteggiamento rilassato - "Adesso però farò di tutto per impedirtelo."

"Angel…"

S'interruppe.

E quell'interruzione contò per Angel più di ogni parola ed elucubrazione.

Si riscosse e lo fissò, posando il bicchiere e tirando giù i piedi dal tavolino.

Congiunse le mani e attese.

Ma Spike sembrava perso in qualcos'altro.

 

"Uhm. Non posso dormire se tu continui a metterti questo profumo…" - mormorò Spike, cingendo con le braccia Faith e tirandosela un po' di più verso il petto.

Atteggiamento che ovviamente non le piacque.

"Attento vampiro…" - disse, sedendosi sul letto. Si doveva essere appisolata un po' troppo vicino, per ritrovarselo così… vicino vicino.

"Ma hai sempre avuto quest'aroma oppure sono diventato più sensibile?" - la canzonò, restando sdraiato a contemplarla.

Faith era un piacere per gli occhi.

I capelli le ricadevano sul viso, scompostamente. Si erano allungati, dai tempi di Sunnydale e, forse per influsso di Cordy, avvezza a camminare per strada alla luce del sole, avevano una sfumatura rossiccia e luminosa.

La pelle perlacea era stata sostituita da una leggera abbronzatura.

Ed anche se non rinunciava al suo trucco un po' dark, l'espressione sembrava più matura. Meno capricciosa.

Faith scostò i capelli e sospirò, nel ricambiare l'occhiata.

In fondo alla mente conservava ancora l'immagine di Spike così come l'aveva contemplato con Angel. Uno Spike diverso da quello che adesso giocherellava con l'orlo della sua maglietta, provocandola.

"Faith, io voglio da te una cosa…"

"Adesso ti farò male…"

"Sono lusingato dall'idea, Cacciatrice. Ma hai frainteso. Voglio che tu mi dica cosa è successo la sera dell'imboscata.

"Perché io?" - chiese, con tono di sfida.

"Perché no." - replicò il biondo, seriamente - "Voglio saperlo. Non ricordo abbastanza. Aiutami… per piacere."

"Non sarà un piacere…"

"Non sarà meglio nemmeno aspettando…" - il tono aveva perso quella cadenza profonda. Era di nuovo il tono di sempre. Quello che voglio lo voglio subito, sembrava sussurrare.

Faith stette un attimo in silenzio, per riordinare le idee.

"Cosa ti ricordi?"

"Ricordo di essere uscito con te. Siamo arrivati fino all'angolo e ci siamo separati. Tu indossavi…" - anche qualche particolare gli sembrava importante - "Indossavi quella tua dannata maglietta mimetica."

"Già." - Faith annuì - "io ho incontrato un gruppo di vampiri e li ho inseguiti. A lungo. Almeno un'ora, un'ora e mezza. Era come una staffetta. Dove ne accoppavo alcuni ne apparivano altri… poi sono tornata verso l'Hyperion… non immaginavo che l'avessero fatto per allontanarmi…"

"e…"

"E ho incrociato Angel e Doyle. Correvano, non avevano una bella faccia. Cordelia mi ha detto di andare con loro ed io li ho seguiti."

"Come facevano a sapere dove fossi?"

"Doyle ha avuto una visione. Ma Lorne ha cercato di spiegarmi che si è trattato di una specie di messaggio telepatico che tu hai lanciato ad Angel. E Doyle si è limitato a tradurlo in immagini… credo."

"Sì, l'ha spiegato anche a me." - in effetti Lorne era stato l'unico che si era curato, tra una battuta e l'altra, di fornirgli qualche informazione interessante - Pare che io ad Angel potremmo specializzarci in questa comunicazione mentale. Sarebbe un vantaggio per non influire sulla bolletta…ma vai avanti."

"Non mi piace dovertelo dire, Spike. Quando ho girato l'angolo… " - fece una pausa, per obbligarsi a ricordare - "Era un bivacco in piena regola, non so nemmeno come abbiano fatto a non accorgersi di tutto quel frastuono dalla strada…"

"Se ne saranno accorti. Ma non credo siano vivi per parlarne…."

"Tu… tu stavi appeso come un animale al macello." - non se la sentiva di essere gentile. Quell'immagine la turbava - "ti hanno legato per i polsi e sollevato. Ti hanno lacerato le mani e poi le braccia, fino al gomito, per dissanguarti, cosicché le tue ferite non si rimarginassero in fretta. E poi…"

"E poi… poi mi hanno usato come bersaglio,usando frecce metalliche, per non uccidermi."

"E' esatto." - Faith avrebbe preferito non proseguire. Spike non aveva una bella faccia. La fissava, in silenzio. Aspettando un'altra frase - "Tu… ricordi?"

"Non tutto. Ma più di prima."

"Non eri quasi più cosciente quando abbiamo finito di fare… "repulisti" doyle ti ha slegato e ti abbiamo portato all'Hyperion. Io… non ho contato le frecce, mentre Doyle te le estraeva. Angel ha detto che farti della trasfusioni ti avrebbe aiutato…"

"Già. Nel vampiro la composizione del sangue è differente… io posso berne di tutti i tipi." - spiegò Spike, giocherellando con il lenzuolo-" Ma , a parte quello di un mio simile, gli altri non sono altro che nutrimento. Immettendolo direttamente nelle vene, il mio sangue provoca invece a quello nuovo una mutazione. Lo rende simile… perché è il più forte."

A meno che non si immetta sangue più forte ancora… come ho fatto io per sanare Dru… con il sangue di Angel… una vita fa.

"E' lo stesso meccanismo della vampirizzazione. Il sangue del vampiro bevuto dalla vittima invade e muta l'organismo completo. Ma queste sono cose che forse già sapevi…"

"Nessuno me le ha mai spiegate tanto bene." - mormorò quieta Faith. Però era vero. Sapeva. Era stato Spike stesso a dimostrarle quello che stava dicendo. Anche se, a quanto pare, non ricordava. Aveva smesso già da alcuni minuti di sentirsi il suo sguardo voracemente addosso. Spike si fissava le dita ed il lenzuolo che imprigionava. Con la mente persa verso altro - "Ti hanno medicato. Poi…"

"Poi…" . fece eco ancora Spike.

"poi ha chiamato Darla." - il resto non dirlo, si disse faith. Con la voce di angel. Non dirgli di Darla. Non voglio lo sappia. Non potrei…

come finiva la frase di Angel? Faith non sapeva.

"Ha parlato con angel." - riprese, come un automa - "Ha parlato con Angel e lui ha fracassato il cellulare. Hai impiegato più di quarantotto ore a riprendere conoscenza. Ma io non c'ero quando finalmente ti sei concesso… poi ti hanno spostato in camera di Angel, qui…"

"perché, prima dove stavo?"- chiese curioso Spike, levando verso di lei uno sguardo che non lasciava trapelare nulla.

"Sul tavolo." - faith gettò la testa indietro, per indicare la porta.

"Sul tavolo." - ripetè perplesso - "Sul tavolo."

"Poi successo tutto quel casino con il contatto telepatico… e poi ti sei svegliato, sempre con una procedura poco chiara… ma tu avessi visto quanto era imbestialito Wes quando l'ha saputo…"

"Sul serio?"

"eccome. Io ho lasciato Angel e Doyle qui con te e sono andata a sgranchirmi un po'. E quando sono tornata si sentivano le urla dall'inizio della strada. In sintesi accusava Doyle di essere stato un irresponsabile. E Cordelia lo spalleggiava. Molto divertente."

- Faith rideva ancora pensando alla faccia dell'Ex Osservatore.

"Questa storia del contatto mi è più chiara." - aggiunse Spike, girandosi sul fianco. E vedendo Cordelia varcare la soglia con il solito immancabile vassoio - "Wes mi ha ronzato intorno con un sacco di domande e Lorne si è sprecato a raccontarmi diffusamente il tutto. Mi sfugge ancora come tutto questo sia connesso con una maratona di Karaoke ma…"

"Non mi dirai che se ne è lamentato anche con te!" - esclamò cordy posando tutto sul tavolino.

"E perché non avrebbe dovuto? In fondo pare che sia colpa mia se l'ha persa…" - scherzò spike, girandosi appena e cercando di sedersi.

Faceva fatica.

E, per quanto si sforzasse di ignorarla, leggeva la pena dentro gli occhi di quella bella ragazza.

Sentendosi riempire ancora di freddo cinismo.

Propenso ad imboccare la via della discussione.

Discussione presto interrotta dall'arrivo di Angel.

 

"William… " - lo chiamò Angel.

Stava seduto sul tavolino, di fronte alla poltrona. Spike si fissava le ginocchia, con lo sguardo perso in qualcosa che Angel non riusciva a vedere.

"William." - ripetè.

Lo vide riscuotersi e fissarlo. E vide che brillava una strana luce in fondo al suo sguardo.

Si fissarono, per un attimo ancora. Poi Spike fu più veloce di quanto Angel potesse aspettarsi. La sua mano scattò, fino a serrargli il collo.

Angel si tese. Poi decise deliberatamente di restare immobile. Di non rispondere all'attacco.

Qualunque cosa potesse significare.

Spike mosse le dita, afferrando il collo alto di lana.

Poi tirandolo.

Fino a scoprire il segno violaceo dei suoi denti.

Fissandolo. Memorizzandolo.

Aggiungendolo ai ricordi che tornavano a galla, frammentari, distorti.

E mostrando infine i denti.

"Allora, emerito bastardo… cos'altro Faith non doveva dirmi?"

 

 

Segreti recuperati

Seguito di "Nel nulla"

 

"Dammi un solo motivo per non stringere." - mormorò Angel, con un mezzo sorriso - "Non è così che prosegue la frase?"

Ma Spike non accennava ridurre la presa, mentre con il pollice percorreva, con movimento rotatorio, la superficie del morso.

Non aveva dubbi sul fatto che si trattasse di un suo marchio. Di colpo l'aveva percepito, sul corpo di Angel.

A metà di una frase c'era stato in lui qualcosa che non combaciava con quello che Spike sapeva.

Qualcosa che aveva a che fare con l'istinto.

E con la natura di vampiro.

Ed il resto era stato semplice da decodificare.

Soprattutto ritrovandosi Angel abbastanza vicino da verificare di persona.

Ed Angel, quel dannato farabutto, lo provocava. Come…

Scostò la mano come se si fosse scottato.

Angel che lo evitava.

Angel di cattivo umore.

Angel, con quel dannato sorrisetto.

Angel… o non Angel?

Ritrasse la mano, come se si fosse scottato. Una mano che Angel afferrò prontamente.

"Ehi…" - lo chiamò, tenendogli il pugno serrato tra le dita - "Guardami. Ti sembro pazzo e assetato di sangue?"

Spike strinse gli occhi e lo fissò meglio.

Ed Angel lo incoraggiò.

"Non guardandomi…" - gli sorrise - "E' una cosa che puoi sentire. Concentrati e scopri se sono di nuovo Angelus."

"No, non lo sei." - constatò infine Spike. Poi riprese la litigata da dove l'aveva lasciata - "Sei un bastardo anche con l'anima, Angel!"

"Un dannato…" - assestandogli un colpo in pieno petto con entrambe le mani - "bastardo!"

ed Angel lo lasciò fare. Restò fermo dove si trovava, seduto sul tavolino, e permise a Spike di urlargli contro ingiurie prendendolo a spintoni.

"Ma che avranno adesso da urlarsi contro…" sospirò Wes, alzando lo sguardo al soffitto.

"Non me lo chiedere…" - replicò faith, scocciata, in verticale al centro della stanza - "Vedi Cordy, è semplice…"

Cosi semplice che Doyle la teneva per le caviglie.

"Su, principessa, fai come dice Faith… trovalo semplice." - disse, cercando di appellarsi a tutti i suoi muscoli - "Wes, ti va di scommettere?"

"Su cosa?"

"Mettiamo caso che io sappia per cosa sta urlando Spike."

"se lo sai, non scommetto."

"Non essere così sofistico. Diciamo che potrei saperlo. Oppure che mi va di puntare sulla mia intuizione…"

"Proviamo…" - sospirò Wes poco convinto.

"perfetto!" - esclamò Doyle, sfregandosi le mani.

E finendo con il contemplare, allibito, quel groviglio umano sul tappeto che erano Faith e Principessa.

 

"Ti sei calmato?" - mormorò Angel, incassando l'ennesimo colpo.

Spike fermò le mani a mezz'aria.

"Sì. Sì." - mormorò, ringhiando- "Sono calmo. E voglio la verità. Subito."

"Questa è la verità." - rispose Angel, indicandosi il collo - "Mi sembra che tu possa ricordarti la procedura senza il mio aiuto."

"Avanti. Comincia dal principio."

Angel si passò la mano sugli occhi, mugolando per tanta cocciutaggine.

"ti ho portato qui all'Hyperion e ti ho steso su quel tavolo." - cominciò con voce monotona - "Quando abbiamo finito di sfilare le frecce, hai ripreso conoscenza. Almeno, sbagliando, ho creduto che tu fossi cosciente."

"Ed invece ti sbagliavi." - lo accusò l'altro.

"riesci ad immaginare cosa sia successo?" - Angel si alzò e si riempì nuovamente il bicchiere - "Forza, mostrami la tua perspicacia."

Spike lo fissò con sguardo di sfida.

"Era il mio…demone?" - annuì, concordando con la sua ipotesi- "suppongo di sì, perché io, consapevolmente, non ti morderei mai. Con tutta la scelta di colli che c'è in questa casa…"

La prendeva sul ridere. O almeno, con un pizzico di ironia.

Angel ne sorrise, sfiorandosi la tempia con le dita, prima di tornare serio.

"il tuo demone ha riconosciuto in me una fonte di energia. L'ho capito con un attimo di ritardo, per l'energia con cui mi hai bloccato. Non potevi averla. Non in quello stato. Mi hai tenuto fermo e ti sei servito."

E visto che spike restava in silenzio…

"Poi Westley e Doyle ci hanno separati. Ma è così che si è riacutizzato il nostro contatto telepatico."

"Sì, è più chiaro adesso." - sospirò Spike - "Figurarsi che ho spiegato la procedura a Faith meno di due ore fa… sai, la questione del rapporto vittima-vampiro…"

"Conosco l'argomento…"- rispose Angel, roteando il contenuto del bicchiere per vederne i riflessi.

"perché non me lo hai detto?"

"Non credo che sia una cosa che ti fa piacere."

"Ti riferisci al codice dei vampiri?" - Spike aggrottò la fronte e si fermò a pensare.

In effetti non si poteva negare quello che Angel stava dicendo. Mordere il proprio Sire senza permesso…

E per giunta… mordere Angel.

Fargli del male.

No, decisamente no. Non era una bella situazione né per l'anima né per il vampiro che erano in lui.

Tamburellando sul bracciolo, prese atto della questione.

"C'è una sola cosa che non mi è chiara…" - mormorò soprappensiero - "perché non mi hai respinto. Il mio demone è forte, ma tu saresti riuscito a fermarmi. Potevi impedirmi.. di farlo."

Ma non voleva.

E Spike l'aveva capito mentre ancora lo stava chiedendo. Angel non l'aveva fermato perché aveva recepito l'attacco come una richiesta d'aiuto.

Con l'istinto aveva tradotto il messaggio.

"Probabilmente ti avrei dato il mio sangue anche senza la tua iniziativa." - rispose, senza alzare lo sguardo - "In quel momento, ti avrei probabilmente dato anche l'anima."

"Angel… sei vagamente melenso." - lo punzecchiò Spike. Lo guardava storto, sentendosi in imbarazzo.

I giorni trascorsi avevano riacutizzato in loro la vicinanza che si era creata a Sunnydale. Qualcosa di intenso ed inspiegabile.

Non metteva in dubbio la tenacia di Angel a fare in modo che sopravvivesse. Taciturno e testardo in ugual misura, piantato in piedi al centro del salone.

"Probabile." - replicò l'altro - "Ma non eri un bello spettacolo, posso assicurartelo. Facevi… venire i nervi."

"Grazie tante. Una cosa carina da dire a chi si è fatto quasi ammazzare. E dimmi, fa parte del tuo altruismo non esserti fatto vedere per quasi cinque giorni?"

"A dire il vero, William, ci sono stato più di quanto pensi. E uno che dorme non dovrebbe pretendere di sapere cosa fanno gli svegli."

Spike lo fissò, lasciando ben intendere che, se si avvicinava, l'avrebbe morso di nuovo volentieri. E questa volta per piacere personale.

Angel sapeva irritarlo con quell'atteggiamento. Solo che, in quel frangente, sembrava più graffiante del solito. Demoliva le sue polemiche una alla volta, facendolo sembrare inconsistente.

Ed Angel si comportava in quel modo soltanto se aveva altro a cui pensare. Qualcosa di troppo grande, di troppo intenso, tanto da allontanare la mente da tutto il resto.

Verso cosa andava Angel?

 

"E' permesso?" - Lorne bussò discretamente contro la porta aperta. E Spike lo fissò, alzando scettico un sopracciglio, mentre entrava, con quella sua camminata a gambe lunghe.

Quasi in punta di piedi, posando cautamente le suole sulla moquette.

"Si può sapere cosa stai facendo?"

"Il comitato femminile del piano di sotto mi ha detto di non disturbarti e di non farti sforzare. Di non fare troppa confusione e non lanciarmi in qualche astrusa spiegazione, che tanto non ti interesserebbe." - spiegò sottovoce, giungendo finalmente al letto e saltandoci sopra.

Sedendo di fianco a Spike, appoggiato al testile nella stessa identica posizione.

Se non che uno continuava a sembrare solo un vampiro sarcastico e l'altro un principe del varietà.

Accavallò le caviglie, sbottonò la giacca, si mise comodo intrecciò le mani.

"Allora, infrangiamo qualche regola o facciamo i bravi?"

"Calcolando che le hai già infrante quasi tutte" - replicò Spike, fissandolo di sbieco - "Potresti raccontarmi le astruse teorie che non dovrebbero interessarmi…"

"In effetti potrei… da cosa vuoi cominciare? Da Angel che parla con la tua voce, oppure da Angel che ti salva la mente?"

"come dire che dobbiamo parlare di Angel?" - replicò automaticamente Spike - "Aspetta, un secondo… come sarebbe a dire che Angel parla con la mia voce?"

"Buffi scherzi della telepatia…."

"Come dire che ci risiamo?" - spike quasi strillava.

"Allora anche tu ammetti che vi è già successo?" - Lorne si assestò ancora, cercando di portargli via un cuscino - "E non tenere la bocca spalancata… non ti dona."

"Ma perché cavolo…"

"perché cavolo succede? La so io la risposta! Vuoi sapere la risposta?" - lo tormentò Lorne, spintonandolo amichevolmente. Spike viveva con gente troppo seria, non gli faceva proprio bene, in quel frangente.

Ci voleva qualcuno che lo esasperasse e lo distraesse.

"sentiamo…" - mormorò Spike, inarcando un sopracciglio.

"Vedi… come dissi a Doyle… non ci si deve preoccupare di qualcosa che esiste da sempre…"

"Non cambiare discorso! Io voglio… sapere…" - ed il resto della frase gli sembrò superfluo. Il suo cervello faticava a focalizzarsi.

Rimase come un tonno, a rimuginare. E Lorne si complimentò soddisfatto per la distrazione che gli aveva fornito.

Poi, in modo misurato, aveva aggiunto qualche breve informazione.

Breve, per dare spazio a molte, molte, molte battute.

 

"E doyle come ha fatto ad accorgersi?" - chiese. Angel era tornato al divano, con un altro bicchiere tra le dita.

"Come?" - Angel sollevò la testa e lo fissò.

"Volevo sapere come ha fatto Doyle ad accorgersi che eravamo in contatto telepatico." - ripetè Spike, per distrarlo.

"Non ero molto in me. Sono esploso ed è venuto fuori anche quello…" - scantonò Angel, ributtando indietro la testa.

E già, volevo solo uccidere Dru. Volevo ammazzarla, perché Darla, ovunque sia, non si sentisse sola.

Non le piaceva la solitudine.

Aveva bisogno qualcuno, qualcuno a cui far girare la testa.

Volevo uccidere Dru….

Pura follia.

Anche fosse, non avrebbe molta importanza.

Ho ucciso Darla, William.

È semplice, devo dire solo questo. E l'interrogatorio sarà finito.

Ho ucciso Darla.

Uccisa.

Le sue labbra sono polvere.

Che differenza dall'ultima volta? Nessuna.

Se non che questa volta avrei potuto salvarla. E Dru me lo ha impedito.

Dru sapeva. Alla fine ho pagato quello che le ho fatto.

Mi ha portato via Darla. E le ha offerto te su un piatto d'argento.

Ed ho paura a chiedermi chi sarà il prossimo.

"E perché sei esploso?" - insistette petulante.

"Perché doyle mi ha contraddetto su una questione"

"E perché Doyle ti ha contraddetto?"

"Perché gli sembrava che avessi torto."

"E perché…"

"William!" - Angel suo malgrado ridacchiò, coprendosi gli occhi. Quanti bicchieri aveva già bevuto? - "Andrai avanti ancora molto?"

"Dritto fino alla completa verità. Non so se ti ricordi, ma io ho più di centosessant'anni e so accettare benissimo qualsiasi tipo di truculenza."

Tu sì. Anch'io posso accettarla. Ma non riesco a dirla, questa dannata verità.

"Sono stato spietato, anzi, genialmente spietato per così tanto tempo che si potrebbe definirlo un record. È vero che, sulla propria pelle non sono il massimo, ma è inutile far finta che non sia successo."

"Ti è capitata cosa peggiore?" - replicò Angel, senza aprire gli occhi.

"Anche mettendomi d'impegno, non riesco a ricordarmi nulla di peggio." - rispose candidamente Spike.

Ed Angel, a quella frase, mise a fuoco il soffitto.

"Angel." - lo chiamò ancora - ""Posso chiederti una cosa?"

"E da quando hai bisogno il permesso per chiedermi qualcosa?"- mormorò, con voce impastata, tormentandosi con due dita i capelli.

Era indisponente. E Spike, guardandolo storto, espresse la sua perplessità.

 

"Sembri Angelus."

 

"Sembri Angelus."

 

"Sembri Angelus."

 

La frase gli rimbalzava nella mente, come se fosse un corridoio vuoto.

"Non mi sembra una domanda." - constatò, alzandosi.

"Potresti riempire un bicchiere anche per me, a questo punto. E porta vicino la bottiglia. Stai facendo la maratona da quando sei tornato." - Spike strinse impercettibilmente le labbra. Raramente Angel beveva così tanto.

Aveva a che fare con la sua vita mortale, con le cose che poteva cercare di non ricordare.

E visto che la sua richiesta sembrava essere ignorata…

"Vorrà dire che farò da solo…" - replicò, aggrappandosi ai braccioli.

 

"Ho ucciso Darla…. L'ho uccisa."

Spike si bloccò. La frase l'aveva raggiunto come una stoccata. Sentì uno spasmo percorrergli i muscoli, simile ad un brivido.

Un brivido di paura.

Paura….

 

Gli occhi di Darla brillavano di fiamme.

Lo tenevano fermo, ma a stento.

Solo l'incedere di Darla sembrava invischiare i suoi gesti. Darla, nuovamente immortale.

Quante volte si erano visti, negli ultimi mesi? Parecchie.

Darla sembrava avere la tendenza a impicciarsi di questioni che non la riguardavano. Soprattutto se si trattava di affari di Angel.

Ma quel che frenava Spike era Drusilla alle sue spalle.

La sua Dru.

Che lo guardava, con occhi sognanti.

"Allora, piccolo William, ti piace la scenografia? Un vicolo, un bel vicolo. Con tanto fango, come quello da cui ti ha raccolto il mio bell'Angelus."

Spike non le rispose, ma sostenne lo sguardo, mentre la gatta si avvicinava, afferrandogli il mento con la mano.

Piantando le lunghe unghie perlacee.

"Allora, topolino… non sei contento di questo viaggio? Solo che questa volta non c'è nessuno che ti salverà dalla morte…"

"Non ho bisogno di essere salvato…" - ringhiò.

"Certo, ecco il tuo orgoglio…" - rise - "La tua passione per le cose ben fatte, per la lotta… ma qui ci sono le mie regole… vedi Angel? Vedi Drusilla che implora perché tu sopravviva? Nooo, qui ci sono io e non mi interessano i giocattoli… "

"Pensi che avrai Angel, in questo modo?" - adesso era il turno di Spike di ridere - "Tutte assurdità… nonna."

Darla contrasse le labbra, fino a renderle una linea distorta e maligna. E lo colpì, scavandogli in faccia un solco con l'anello.

Guardandolo richiudersi."Troppo veloce… davvero troppo veloce…" - sibilò.

Tese la mano e qualcuno le diede un coltello.

Spike oppose resistenza, mentre gli allargavano a forza le braccia.

"Bambino cattivo…" - cantilenò la vampira - "Sei un bambino cattivo…"

E Dru lo fissò in viso, mentre Darla con gesto deciso piantava il coltello nel polso, passandolo da parte a parte.

Nel silenzio.

 

E Darla era morta.

Morta.

Morta laddove il discorso di Faith si era interrotto, probabilmente.

Morta, dopo che il cellulare si era fracassato contro la parete.

Angel aveva ucciso Darla.

Ucciso.

Darla.

Le parole arrivavano staccate al cervello.

Angel vuotò in un sorso l'ennesimo bicchiere. Asciugandosi le labbra con il dorso della mano.

Girandosi e andando verso Spike.

"L'ho uccisa. È questo che nessuno poteva dirti.

È questo che non avrei voluto che scoprissi.

Perché?

Perché l'ho uccisa io." - aveva un tono freddo, come se provocasse. Camminava, con le mani in tasca e c'era in lui…

Sembri… Angelus…

"L'ho uccisa.

Una volte detto è più facile ripeterlo.

Ha telefonato. Voleva sapessi che era stata opera sua. Voleva essere certa che la violenza avesse esaltato il mio demone. Che mi facesse tornare da lei.

L'ho lasciata parlare.

Darla pensava a me… ed io ho cercato quel pensiero… fino a quando non mi ha detto dove si trovasse. Il suo sangue, nel mio è stato probabilmente il tramite, anche in questa vita.

L'ho stretta tra le braccia ed ho danzato con lei.

Ero coperto del tuo sangue e lei ne era esaltata.

La mia Regina…

La mia bellissima Regina…

Abbiamo danzato e poi…

Non potevo sferrare il colpo. Sapevo che non sarei riuscito a farle del male.

Non ho mai voluto…

C'era Faith con me. L'ho usata. Perché uccidesse al mio posto.

E Darla è svanita. Dissolta.

Ho scelto.

Semplicemente scelto."

Si interruppe e si fermò. In piedi, poco lontano da Spike. Con quegli occhi che si ritrovava.

E riprese a parlare.

"Quando sono tornato non c'era tempo per soffrirne. Ero furibondo. E non importava del resto. Eppure…

è nata così la discussione con Doyle. Io volevo andare a caccia di Drusilla. Volevo regolare i conti, volevo finire il lavoro.

Il mio demone è tornato in superficie, non riuscivo a frenarlo.

E ci ha pensato Doyle.

Non sono stati i tuoi pensieri a guidarmi. Volevo vendetta.

Ho ammazzato Darla come ammazzai mio padre.

Perché faceva soffrire le persone che amavo.

Perché l'amavo.

Come amavo Darla.

Come amo…"

Le parole sembravano morire nell'incredulità. Angel, con occhi sbarrati, scoteva il capo e fissava il tappeto.

Con un sorriso strano.

"Andiamo, che importanza può avere" - si rispose, con esaltazione- " Ho ucciso una delle più grandi puttane mai vissute nel mondo sovrannaturale. L'ho uccisa nobilmente, senza la sofferenza che si meritava. L'ho uccisa… ancora.

Ancora.

È morta.

Non l'ho salvata.

Che importa il resto. Avevo la possibilità di salvarla.

E Dru lo sapeva. Sapeva cosa avevo intenzione di fare. È venuta per questo a Los Angeles, lei, con le sue dannate visioni, a rendermi il favore.

Non si può nascondere le stelle agli occhi di Drusilla.

Ho fallito.

Non l'ho protetta da Drusilla.

Non l'ho protetta da me.

Non ho protetto te.

Ed ho distrutto ancora una volta la famiglia."

 

Le lunghe pause di silenzio servivano per affondare meglio la lama nel proprio cuore. Angel fissava Spike come si osserva l'espressione di una statua di pietra, immaginando cosa potrebbe dirsi se avesse un'emozione.

Ma da Spike non traspariva nulla. Nulla, nei suoi occhi chiari.

Immobile, le ginocchia appena piegate ed inerti, le mani ancora aggrappate ai braccioli.

 

Spike non aveva parole. Le poche, giunte quasi alle labbra, erano morte nella voce spenta di Angel.

Angel che uccideva Darla. E lasciava che, nel fondo del petto, Angelus di dibattesse, impotente e ferito.

Angel ed Angelus, uno carnefice dell'altro. Entrambi innamorati della stessa donna. Angel aveva fatto giustizia. Angelus non l'avrebbe mai lasciato in pace.

Darla si era fusa con la sua rabbia.

Ed Angel nel sottomettere se stesso, con la morte della sua regina, s' era provocato una ferita incolmabile.

 

"L'ho pianta. Ma non è valso a nulla.

È come un vuoto che arde, qui, vicino al cuore.

Non c'è più.

Da tanto tempo non sentivo più la sua presenza. Ma solo ora me ne rendo conto."

 

Sono di nuovo orfano.

Orfano, ancora.

 

Spike lo fissò, mentre chinava il capo, in segno di sconfitta.

E la rabbia gli fluì nel cuore, innanzi al vittimismo.

Ingiustamente.

Freddamente.

Angel, ubriaco, in piedi innanzi a lui, a piangere un'assassina, una dannata assassina.

Una donna di strada, capace di irretire un ragazzo, rubargli l'anima, fissarlo, mentre massacra la famiglia.

La donna che lo aveva allontanato da Kate.

Una donna che aveva riso nello sfondare le vene di Spike e tramato nell'ombra.

La donna… di Angelus.

 

La rabbia. La rabbia come un fluido, lungo il suo corpo.

 

Spike si aggrappò ai braccioli e si tirò in piedi. Nell'istante stesso in cui raggiunse la posizione eretta, una fiammata gli attraversò le gambe, portando via i brandelli di forza che l'avevano guidato.

Lo slancio gli permise di assestargli un pugno, barcollando, prima di volargli addosso.

Per Angel si trattò di una frazione di secondo, il tempo misurato nella luce che di colpo vide negli occhi di Spike.

E se lo ritrovò di fronte, in piedi, su gambe che non restarono diritte. Vide il dolore passargli nei lineamenti ed il colpo lo raggiunse in pieno viso.

Era ubriaco. Fino a quell'istante non ne era stato veramente consapevole.

 

Spike gli volò addosso e, insieme, finirono sul tappeto.

La vista di Angel si annebbiò, nel cadere di schiena.

Un istante, mentre un secondo pugno già si librava nell'aria.

Rimase fermo, con le braccia lungo i fianchi. Afferrandogli un ginocchio, mentre Spike, con una velocità inaudita per i suoi sensi narcotizzati, si assestava, in una posizione di puro vantaggio.

Spike, a cavalcioni sullo stomaco.

Spike, che lo colpiva senza pietà. Con la rabbia in un sussurro di parole.

"Vigliacco.

Vigliacco.

Nient'altro che un vigliacco.

Non potevi dirmelo… cosa pensavi?

Un pianto e via?

Una risata?

Anche per me significava qualcosa. Cosa credi che ti avrei detto?Va e Uccidi?

Dannazione, lascia che siano gli altri a reagire, non risponderti sempre da solo."

Imprecava e colpiva. Non riusciva a fermarsi.

"Parla con me, maledizione.

Parla!

Smettila di uscirtene con le tue frasi lapidarie!

Non esisto solo nella tua mente. Sono reale. Sono vivo.

Sono ancora vivo.

E…"

L'ultimo colpo si librò in aria senza colpire.

La mano che lo teneva fermo per il maglione divenne di colpo pesante sul petto di Angel.

Spike, spompato, lo guardò ancora.

Con occhi grandi e lucidi.

Di un azzurro fatto di lacrime.

Scosse il capo, senza abbassare il pugno. Lo fece, per snebbiare la vista.

E dovette cedere.

"Non ti avrei mai chiesto un sacrificio del genere. Io… non volevo."

Scivolò inerte ed Angel, pesto e dolorante, l'accolse sul torace, pensando per un attimo che avesse perso i sensi.

Ma si sbagliava.

Spike gli scivolò a fianco, sdraiandosi sul tappeto.

Senza trovare il coraggio di voltarsi a fissarlo.

 

Gli attimi di silenzio. Si susseguirono. Rimasero immobili, in attesa.

I lividi di Angel svanirono lentamente, ricomponendo i lineamenti laddove Spike li aveva spaccati.

Sulla labbra di Angel,ormai secche, restava solo il sapore salino del sangue di Spike, scaturito dalle nocche spelate.

 

"Non volevo la vendetta.

Non ne avevo bisogno.

Non volevo che tu facessi il suo gioco.

Darla ha rischiato di vincere, lo sai? È riuscita a scatenare la tua rabbia, ha riportato in superficie il tuo demone quel tanto che bastava da pagarne le conseguenze."

Il tono di Spike era pacato.

Si era sfogato e, insieme alla sua furia, sembrava scivolato via anche il torpore di Angel.

Si voltò e fissò la nuca di Spike.

"Non avevi più niente in comune con questa Darla.Se l'hai trovata, non è stato grazie al vostro sangue comune. Ma al nostro sangue comune. Darla si è nutrita di me, allora…"

 

Darla strattonò ancora il coltello. Poi, incontrando l'articolazione del gomito, sfilò la lama.

E si applicò per lacerare l'altro braccio. Poi soddisfatta, battè le mani deliziata. E si leccò le dità. Voracemente.

"Mio piccolo William… il tuo sapore è come lo ricordavo. Forte, caldo. La mia Dru ha buon gusto. Ed Angelus… Angelus non è stato tirchio, ad elargirti forza. Sei una delizia…" - aggiunse ridendo - "per il palato…"

lo stavano legando. Il sangue gli scorreva copioso lungo il torace, mentre lo sollevavano da terra, strattonandolo per i polsi.

Darla, con un nuovo lampo di follia, si accostò ancora, posando le labbra sui tessuti impregnati.

Uno dei suoi scagnozzi, ridendo e scherzando, in mezzo ai suoi, le porse un bicchiere. Un bicchiere…

Un calice veloce a riempirsi, sotto quella cascata.

 

"Nulla tra di voi… assolutamente nessuna somiglianza…. Forse con la ragazza che è tornata ad essere per un breve periodo…ma non potevi redimerla se lei desiderava solo vivere. Preferiva la non-vita alla morte…. Come darle torto…

Non ti libererai di questo peso, lo so bene. Sei fatto così.

Dipende dalla stella sotto cui nasciamo, probabilmente. Tu sei capace a credere nella giustizia anche quando va a tuo discapito. Non possiamo farci niente.

Darla.

Eppure, quando penserai bene di flagellarti, ricorda l'altra tua ragazza…"

"Buffy?" - chiese Angel.

E così si scambiarono un'occhiata.

"Perché? Ne hai un'altra ancora?" - lo sfottè Spike, inarcando un sopracciglio.

Facendolo sorridere.

E tornando serio.

"Buffy ha fatto come te. La cosa giusta con tanta sofferenza. Un colpo di spada ed ha salvato il mondo. È questo il motivo per cui hai ucciso Darla, Angel. Non per vendetta.

Lo so io come lo sai tu."

"Non ne sarei tanto sicuro…"

"Doyle ha fatto bene a fermarti. Uccidere Drusilla sarebbe stata veramente un'azione gratuita. Colpevole anche lei… ma in un modo differente da quello che pensi…"

"Adesso sei tu che mi nascondi qualcosa." - mormorò Angel.

"Certo. Ma è un conto aperto tra me e lei. Avrò comunque il tempo di decidere. Tanto più che, anche volessi fare qualcosa già adesso, la mia mammina me lo impedirebbe, no?"

"Probabile… del resto." - Angel si massaggiò la mascella - "Ti credevo messo peggio…"

"Vedi? Guarda quante volte ti sei sbagliato negli ultimi tempi! Tu mi chiedessi…"

"William, posso farti una domanda?"

"Angel, lo sai che i nostri problemi sono cominciati proprio con questa frase?"

"Mi hai sentito morire quando Buffy mi ha ammazzato?"

Rimase un attimo in silenzio.

Era strano. Lui ed Angel, sdraiati sul tappeto a parlare del passato. Restavano solo i loro toni di voce sommessi.

Un attimo di silenzio.

"Sì" - infine rispose - "Ti ho sentito."

 

La strada era deserta.

Ma è logico.

Stanotte si combatte per il mondo…

La Cacciatrice contro il grande Angelus, della stirpe del Maestro.

Il Terrore del vecchio mondo contro una ragazzetta bionda e insulsa.

Con spina dorsale. E forza.

Non disprezzabile, tutto sommato. Che vampiro potrebbe essere…

Drusilla dormiva, rannicchiata sotto il suo braccio. Ancora non sapeva quanto fossero già lontani da Sunnydale.

Dove stessero andando?

Avrebbe potuto chiederlo alle stelle.

E, in quell'istante, mentre la radio perdeva il segnale, il mondo sembrò avere uno scarto.

La terra sussultò, perché tutti sapessero. Sapessero che non erano finiti nel pulviscolo stellare.

Ma per Spike e Dru si trattò di ben altro.

Il cuore di Spike divenne ghiaccio. E Dru si svegliò, sbarrando gli occhi. Brancolò e Spike la trattenne, perchè non fuggisse lontano, incontro alla luce.

Il cielo conobbe un arcobaleno, ma i loro occhi videro solo il nero della scomparsa.

Spike si appoggiò al volante e chiuse gli occhi. Li chiuse, picchiando colpi regolari.

La litania di Drusilla gli mozzava il respiro.

Scese dalla macchina ed accese una sigaretta. Poco lontano nel deserto, soffiava il vento. E Spike lo prese a calci, con rabbia.

Urlò.

Ed il suo dolore divenne un fischio nel buio.

Pestò i piedi, colpì il paraurti.

E gli sfrecciarono nella mente i poeti inglesi della sua giovinezza.

Un ricordo, vecchi versi e parole ormai scardinate dal loro contesto. Urlò ancora e lanciò lontano la brace ancora rossa.

Drusilla lo cinse alle spalle. Posò il capo sulla sua schiena, ascoltò il battito disperato del suo cuore. Del Cucciolo ormai orfano di un idolo.

Ma le stelle già le sussurravano un nuovo segreto.

 

"E' stato brutto."

Ma preferì non aggiungere altro.

Lentamente gli occhi si chiusero.

 

Gli sembrò fossero passati pochi minuti. Eppure il sole filtrava già.

Spike si riscosse. E, girandosi appena, seppe di essere ancora sul tappeto.

Ed Angel a fianco, così come lo aveva lasciato. A fissare il soffitto.

Spike si mosse, inquieto, percependo tutti i dolori del suo corpo.

"Non potevi essere tanto sollecito da riportarmi a letto?" - mormorò, disperdendo gli ultimi fumi del sonno.

Fumi…

C'era odore di sigaretta…

"Sei saccente anche appena sveglio…" - costatò Angel. Stava sdraiato, con un braccio dietro la testa.

Fumava, serafico, come se fosse sdraiato in un campo appena falciato, a fissare nuvole impazzite.

Spike lo fissò. Gli sarebbe piaciuto sedersi, ma il suo orgoglio sussurrava di non dare a vedere un fallimento. Angel si voltò a fissarlo e gli offrì il pacchetto. Ma Spike rifiutò.

"No, no, goditele."

Non aveva voglia. Era di un umore stranamente malinconico. Certo, che sciocco… prima non aveva avuto il tempo…

Darla, morta.

Certo, non una cosa allarmante per chi già una volta era risorto. Eppure, in cuor suo, Spike si augurava fosse l'ultima sua dipartita.

Soprattutto perché Angel si riduceva peggio ogni volta.

Darla.

Un turbinio elegante di vesti profumate. Abbagliante. Lontana da Spike mille miglia.

A differenza di Drusilla, capace di amarli entrambi, Darla aveva ben chiara la sua scelta. Darla fondeva prestigio e amore in una sola figura. E, tra le mani, aveva il rampollo più promettente della sua generazione.

Angelus era un fiore all'occhiello.

Se così si poteva definirlo senza finire scorticati vivi.

Darla…

Spike si fissò la punta delle dita, strofinò polpastrello a polpastrello.

E di colpo vide il sangue sulla pelle.

 

"Allora Topolino… è stato piacevole?" - Darla entrò, scivolando lungo le pareti. Al centro stanza, con i cadaveri dei padroni di casa ancora caldi, stava Spike. Si era seduto su un elegante poltrona in velluto, posando beffardamente i piedi sul pianoforte.

Si contemplava le dita, alla luce della lucerna. E lo stesso raggio gli illuminava il viso ed un enorme squarcio nel petto.

La ferita pulsava, ma Spike non sembrava molto preoccupato.

"Vedo che la micetta è stata poco amabile…"

"Ha cominciato a far le fusa solo quando si è ritrovata sventrata."

"Morta?"

"Purtroppo no." - mormorò Spike con rammarico. Si leccò avidamente le dita, poi si alzò, ondeggiando appena.

"Sei… ubriaco?" - disse Darla, con una punta di sarcasmo. la ferita la disgustava. Scostò gli occhi, con espressione seccata.

"Non del tutto, anche se alcool e sangue di Cacciatrice… anche i suoi genitori erano buoni… diciamo, energetici." - Spike diede un calcio all'ex proprietario di casa e scoppiò in una breve risata - "Non ho pensato di tenerne da parte. Per te."

"Non crucciarti…" - replicò Darla, accarezzando con le punta delle dita i mobili, camminando lungo il perimetro della stanza, per non sporcare l'orlo con il sangue raggrumato che impregnava il tappeto - "Sono venuta a comunicarti la mia intenzione di lasciare te e Drusilla."

Spike la fissò con i begli occhi da predatore. Incrociò le braccia ed aspettò.

"Il Maestro mi ha chiamata… pare che ci siano cose divertenti da fare, in America. Ho bisogno di distrazioni… la guerra in Europa è piacevole, ma, alla lunga, annoia. Prometto di scrivere." - aggiunse distratta, tormentando il canarino nella sua gabbia.

"Perfetto.."

"Se torna Angelus, digli di raggiungermi…"

"Angelus non tornerà, Darla." - Spike si mosse verso di lei, fino a chiuderla in un angolo - "Ma, in quel caso, sbarcheremo tutti insieme a giocare con i tuoi balocchi." Darla gli accarezzò le labbra, prima di assaggiarle. Spike sapeva di predatore, dalle sue labbra sgorgava il sangue dell'Acerrima Nemica. Mischiato all'immortalità.

Perché no … una volta ancora, prima di andar via.

Forza topolino, pensò, mentre Spike già la spingeva sul tappeto.

Bevi dalla coppa del Re.

 

"Su una cosa avevi ragione… aveva una notevole carica sensuale." - constatò.

L'occhiata di Angel lo sorprese.

"Non penserai di essere geloso dopo più di ottant'anni! Mi hai lasciato solo con loro due e… ma con Darla solo una volta. Aveva di che trastullarsi anche senza il mio aiuto." - protestò.

"Mi giunge nuova questa…"

"Angel! Per la miseria, sei geloso sul serio! Ma è una cosa da non credere!"

Angel aprì la bocca per replicare. Poi la richiuse, perplesso.

Si grattò una tempia.

Era vero. Era gelosia.

"Se stai per dirmi qualcosa di melenso e stupido sulla correttezza e l'amicizia, ti farò notare che, ai bei tempi, tu gestivi una splendida relazione con la mia donna. Ed anche che la lealtà non è contemplata nei rapporti tra vampiri, se, per caso, non ti ricordi."

Angel fece per ribattere. Poi, girandosi, notò di nuovo quel lampo fugace di tensione.E dolore.

Non disse nulla. Sapeva benissimo che Spike probabilmente aveva male alle ferite. Anzi, conoscendolo, in frangenti normali, si sarebbe alzato e l'avrebbe sovrastato, per tormentarlo meglio. Se non lo faceva, la spiegazione più semplice era che non ci riusciva.

La sua vita con Spike era fatta così.

Sapere e non dire.

Capire, ma non dar a vedere.

Si sedette, noncurante.

E Spike lo guardò, con aria di sfida.

Angel si alzò da terra. Rimase piegato su un ginocchio, come uno che si prepara a mettersi in piedi.

Poi gli tese una mano.

"Che ne dici se approfittiamo di divani e poltrone?"

"No, grazie, sto comodo qui…"

"Non comportarti come un mulo o ti sollevo di peso." - lo minacciò l'altro -"Stasera sei riuscito già a fare capricci, prendermi a pugni, confessarmi una relazione con l'amante che ho appena ammazzato. Mi sembra abbastanza."

"Mi rallegro che tu la prenda così bene." - gli rispose l'altro -" Siamo da capo. Rovini sempre tutto! Un attimo di intimità, un monologo drammatico degno del buon vecchio William, una bella rissa.. e tu li chiami capricci!"

"Il buon vecchio William? Parli di te in terza persona?"

"Mi riferivo a Shakespeare!" - rispose l'altro con un moto di stizza - "Io sarò anche un mulo, ma tu sei un asino."

Fece lo sbaglio di incrociare le braccia e sembrare arroccato sulle sue posizioni.

Fu così che si ritrovò ad un metro e mezzo da terra, a soffiare ancora, come un gatto arrabbiato. E fu allora che Angel lo sorprese.

Lo mise a terra, rinunciando a tutti quegli strilli dritti al suo orecchio. Lo piantò sulle sue gambe e lo tenne per le spalle.

"Allora! Tu la piantassi di comportarti come un vecchietto inacidito…" - s'interruppe, per bloccare il pugno che stava per prendersi.

"Piantarla io? Me ne stavo a pensare ai cazzi miei, quando l'impavido eroe è rincasato portandomi in dono tutte le sue seghe mentali!"

Il gergo non era dei migliori, ma bisognava ammettere che c'era un fondo di verità.

Ad Angel non sembrava il caso di fargli notare che lo stava tenendo in piedi. Avrebbe solo peggiorato gli insulti.

"E adesso mi lasci andare, per piacere?" - concluse Spike, picchiandolo sullo stomaco.

Il desiderio di fargli battere il muso per terra divenne irresistibile. Angel si appellò a tutto il suo autocontrollo.

Afferrò Spike per il bavero e lo resse con una mano sola. E questo, con una coscienza sporca che non aveva pari, girò la testa, pronto al pugno che sapeva di meritarsi.

E riaprì un occhio, solo quando lo schiocco dell'accendino lo colse di sorpresa.

Si accendeva una sigaretta.

Con un'espressione che era tutta un programma, reggendo la sigaretta tra le labbra.

A distanza così ravvicinata, i suoi occhi erano un libro aperto per Spike.

Laggiù, in fondo, nascosto sotto altre mille elucubrazioni, si annidava un po' di tranquillità.

Il suo Sire poteva anche non rendersene conto, ma la risalita era iniziata anche per lui.Spike lo fissò, con un sorriso che andava da un orecchio all'altro.

"Bevi come una spugna e fumi come un turco? Allora sei veramente stressato! Avresti proprio bisogno una vacanza…" 

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Capitolo 8
*** 08. Tempo, Ricordi e brindisi ***


Tempo, Ricordi e Brindisi

 

I personaggi delle serie "Angel" e "Buffy, the vampire slayer", appartengono a Joss Whedon, la WB, ME e la Fox, l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

 

Los Angeles.

Notte.

Una delle notti più buie che potesse ricordare.

Qualcuno, la sera prima, aveva fatto il tiro al bersaglio sui lampioni della via. E non c'erano grandi speranze che qualcosa venisse aggiustato prima di una settimana.

Non che a Faith dispiacesse, del resto.

Nel buio, i suoi passi rimbombavano maggiormente. Ma la sua camminata le sembrava di gran lunga migliore. Le piaceva sapersi muovere. Un passo dietro l'altro, ancheggiando serafica.

Vantaggi di essere una cacciatrice?

Poter camminare tranquille anche nelle strade più buie!

Vantaggi di una strada buia?

Azzardare movenze feline senza testimoni casuali!

Forse era anche il poter tornare finalmente a casa che la metteva così di buonumore.

Era stata di umore malinconico tutto il giorno. Una giornata all'insegna del massacro.

Era già un po' che seguiva la sua preda. Sapeva dove poteva trovare un sostanzioso gruppo di vampiri. Di quantità, più che di qualità. Una specie di gruppo, setta o, come li aveva definiti il suo Osservatore, minoranza etnica dedita a vivere appartata.

E quante risate si era fatto Spike per quella definizione!

Anche se poi non si distaccava molto dalla realtà.

Si muovevano in gruppo, sfruttando più la forza che l'astuzia. E prediligendo, disgustosamente, i grandi raccordi anulari della città come luogo di caccia. Autostoppisti, incidenti stradali, macchine speronate da loro stessi….

Non c'era dubbio che, una volta individuato il covo, per fare un lavoro ben fatto, si dovesse attendere il sorgere del sole.

E per quanto fossero tutti un po' recalcitranti ad assecondare questa strategia, alla fine avevano lasciato che facesse come preferiva.

Senza chiedere i particolari.

Una sola clausola, ovviamente.

Wes l'avrebbe accompagnata, mentre Angel e Doyle lavoravano ad un altro caso.

E avrebbe preferito di gran lunga riaccompagnarla fin sulla porta dell'albergo prima di raggiungere gli altri. Soprattutto perché non era certo che la sua cacciatrice accettasse così di buon grado di tornarsene a casa.

E solo dopo spiegazioni piuttosto convincenti, aveva acconsentito a lasciarla sull'angolo dell'isolato. Non sarebbe andata da nessuna parte. Sapeva benissimo perché tornare all'Hyperion. Se era il suo turno, era il suo turno.

Andava bene lo stesso….

Non si era messa avanti con il lavoro solo per stacanovismo, nelle ultime otto ore. Se lavorava di giorno voleva la notte libera e viceversa. O almeno quello che restava, della notte.

"Sicura?" - chiese ancora Wes.

"Andiamo, Westley, ho detto di sì, sul serio. Ed ho voglia di farmi una doccia. Poi mi medicherò i graffi e mi godrò qualcosa di non meglio identificato che Cordy mi avrà lasciato nel microonde. E spero sia precotto, perché se l'ha cucinato lei…"

"Aspetta…" - mormorò Wes, frugando in tasca, con sguardo apprensivo.

E porgendole una banconota.

"In quel caso, per piacere, fatti portare una pizza."

E così si era ritrovata per strada… a riflettere sulla sua situazione attuale. Mercoledì… meno di ventiquattro ore al suo compleanno.

Un motivo per cui non stare realmente allegri.

Aveva compiuto i sedici in coma a ridosso di un'Ascensione, i diciassette in galera e i diciotto durante una… non si ricordava nemmeno cosa…

Non si aspettava molto dai diciannove. Soprattutto così, con tutti i problemi affrontati negli ultimi tempi. Spike non si era ancora del tutto ripreso dall'agguato di Darla e Dru era ancora a piede libero.

No. Decisamente sarebbe stata una ricorrenza nella norma. Da accantonare e dimenticare.

Però.

Era come sentirsi una vocina pensierosa nella testa, abilissima a contraddirla. A raggirare tutti i suoi tentativi di imbroglio.

E non si capacitava di aver sprecato anche i compleanni. Non che fossero realmente importanti…

Non funzionava. Non si auto-convinceva per niente.

Le sarebbe piaciuto eccome un compleanno con tanto di torta… ma non osava chiederlo.

Le davano già abbastanza, l'appagavano già così tanto con il loro affetto che…non si osava, punto e basta.

 

Rientrò a casa silenziosamente, passando dall'ingresso principale. Le avevano lasciato le luci accese nella hall ed un biglietto piuttosto evasivo sulla loro meta, per essere certi di non assecondare nemmeno involontariamente la sua voglia di partecipare all'incursione.

Una piccola strategia che la fece sinceramente divertire.

Adulti, umani e non, capaci di partire per chissà quale avventura solo dopo essersi premurati di lasciare luci accese, biglietti e cena in caldo…

Oltre che, al piano di sopra, a centro stanza, un vampiro seminudo alle prese con una lunga ed estenuante seduta di meditazione.

Nel miglior stile di Angel.

Con movimenti pacati e regolari.

Efficaci…

E piacevoli pure da vedere, aveva apprezzato, entrando e girandogli attorno, per vederlo in viso.

"Ciao Faith." - l'aveva apostrofata distrattamente Spike, allungando le braccia e ridistribuendo il peso - "Non ti hanno aspettata, vero?"

"A quanto pare no." - aveva recriminato lei, avanzando fino a trovarsi di fronte - "Come ti senti?"

"Io? Benissimo!"

e qui, ovviamente, come da copione, le gambe gli avevano ceduto.

 

"Oh, oh, no!" - mormorò Faith, nel vederlo barcollare.

 

Che botta…

"Vampiro…o la tua vertebra inizia a fare il suo dovere, o io te ne sbriciolerò un'altra di persona."

 

Faith iniziava ad essere di cattivo umore.

Ed in un situazione imbarazzante.

Sdraiata sul tappeto, avvinghiata ad un vampiro.

 

La sua schiena non era ancora del tutto efficiente, anche se mancava poco per riavere il solito impertinente ed atletico Spike.

La sfacciataggine era già tornata da parecchio… la tonicità fisica si faceva un po' attendere, soprattutto se aspettata con l'impazienza che lo caratterizzava.

E Faith, al di là delle battute pungenti con cui lo teneva a freno, aveva reagito ad un moto di preoccupazione sincera, afferrandolo e sorreggendolo, nel momento in cui le era sembrato necessario. E per un istante era pure riuscita a restare in piedi, cingendogli il petto con le braccia e sentendolo appoggiarsi con il suo peso. Si era ritrovata ad un passo dal rassicurarlo che era tutto ok… o con qualsiasi altra sciocchezza… quando si era resa conto che non avrebbe retto ancora a lungo.

E dovendo scegliere… aveva deciso di battere lei la sua schiena dura.

 

Perfetto.

 

"Non la trovo una cosa così tremenda…" - sussurrava il colpevole, con tono vagamente lascivo.

"Tra un minuto perderai sangue dal naso…" - replicò, domandandosi perché queste cose capitassero a lei e non agli altri.

"Pensi di restare lì in eterno?" - ringhiò, mentre Spike, cercando di non schiacciarla con il peso, ma senza alzarsi, si puntellava con le braccia e la guardava.

"Te l'ho detto, non è così tremendo…" - ripeté, fissandola con uno sguardo allegro.

Aveva gli occhi che brillavano. Era realmente di buonumore.

"Come mai sei così felice?" - domandò, sospettosa, rinunciando a muoversi. E rassegnandosi all'idea che, se il vampiro aveva voglia di giocare, la sua doccia e la sua cena avrebbero dovuto aspettare.

"Niente di particolare." - lui scosse la testa ed i suoi capelli, un po' più lunghi del solito e vagamente indisciplinati, ne accompagnarono i movimenti, incoronandolo d'oro.

"Sarai anche un belvedere." - mormorò lei, fissandolo critica - "Ma io gradirei sul serio che ti levassi."

La guardava, maliziosamente.

"No."

"ti prego, Spike." - sospirò - "Ho fame, sono stanca…"

"E?" - domandò lui, rotolando sul fianco e sedendosi.

"Non è già abbastanza?" - replicò lei, togliendosi i capelli dal viso - "In effetti, ho anche un po' di mal di testa."

"E sei costretta anche a fare da balia al povero invalido?" - la punzecchiò, impertinente.

Potevano fingere che fosse un segreto, per evitare discussioni. Ma non erano bravi a nasconderlo. Con una scusa o con un'altra c'era sempre qualcuno a casa con lui.

"Non mi sembri così malmesso."

"Infatti non lo sono. Ma la mia mammina si preoccupa." - cinguettò petulante.

"Non sai quanto desiderava sentirtelo dire." - replicò Faith, restando sdraiata su un fianco. Prima di rendersi conto di cosa le era sfuggito dalle labbra.

Si voltò, per vedere che reazione avesse avuto. Ma era cosa da poco, un semplice sopracciglio alzato, con un sorriso malizioso.

"Spiegati, Faith. Tanto il danno l'hai già fatto." - mormorò, sapendo benissimo che non avrebbe mai voluto dire quello che aveva detto.

"Non ho niente da spiegare. Quando stavi veramente male, Angel desiderava solo che tu stessi bene e ti potessi lamentare che eri sotto una campana di vetro." - ribattè sbrigativamente, alzandosi.

Non aveva voglia di lasciarsi trascinare in un gioco o in una conversazione.

"Mi vuoi dire cosa ti è successo?"

"Nulla. Assolutamente nulla. Ho solo voglia di una doccia." - rispose. Sperando di essere convincente. Tendendogli una mano.

"Faccio da solo, grazie."

Gelido. Seduto con le gambe allungate e le braccia dietro la schiena.

Ma Faith non si lasciò intimorire.

"Spike, per piacere." - sospirò stancamente, dispiaciuta di avergli rovinato così l'umore - "Non farne una questione di orgoglio. La schiena ti fa male e fai fatica a rialzarti da solo. Lo sappiamo tutti e due. Accetta la mia mano, per favore."

Era proprio avvilita…

Spike la guardò, alzando la testa verso di lei e la sua mano protesa. Era intimamente triste. Per qualcosa che non voleva ammettere nemmeno con se stessa.

Gli sarebbe piaciuto aiutarla. Ma sembrava chiusa dentro una scorza molto dura da sfondare. Inespugnabile.

Qualunque cosa fosse, era nascosta in fondo al cuore, sotto strati e strati di quotidianità.

Si protese ad afferrare la sua mano, anche se con un'esitazione.

E non si sentì offeso da come lei, sollecita, gli si insinuò sotto il braccio, per tirarlo in piedi.

In altri momenti l'avrebbe probabilmente irritato, come una forma di scarso rispetto della sua indipendenza. Ma adesso capiva perfettamente che anche Faith aveva i suoi crucci. E l'aiuto che gli offriva era sincero.

"mi dispiace esserti franato addosso." - ammise.

"Non importa" - sorrise Faith - "sei ancora un po' indolenzito. È normale. Ti sei ripreso realmente in fretta. Ne sono contenta."

"Attenta cacciatrice… rischi di diventare affettuosa…" - l'ammonì blandamente, continuando ad appoggiarsi e lasciando che lo guidasse verso la poltrona più vicina - "Senti un po', ti faccio una proposta. Tu vai a farti la doccia ed io apparecchio. Non ho ancora cenato nemmeno io."

"Buona idea." - annuì, sollevata, mentre, in ogni caso, lo aiutava a sedersi - "E sai dirmi se ha cucinato Cordy? Perchè in quel caso dovremo dividere il tuo pasto…"

 

L'acqua calda era veramente un toccasana sul suo indolenzimento. Perchè no, anche su quello interiore. Le piaceva posare la fronte contro le piastrelle umide e fresche, ed assaporare un po' del vapore.

Respirare quell'aria calda la faceva sentire come nascosta in un morbido guscio protettivo. Chiuse gli occhi, per assaporarlo meglio ed I pensieri tornarono subito.

Per un attimo fu tentata di correre a dirlo a Spike. Raccontargli che la sera dopo le sarebbe piaciuto andare a ballare, sfrenatamente, con una maglietta nuova e magari i pantaloni di pelle nera che aveva adocchiato con Cordelia ai magazzini.

Le sarebbe piaciuto….

Ma non era una buona idea, si ammonì.

L'aveva visto con i suoi occhi. Per quanto ostentasse sicurezza e normalità, non era ancora al meglio. Non l'avrebbe mai ammesso, certo, proprio come era tipico della sua testa dura.

E poi quello che gli avevano fatto le provocava ancora molta amarezza; abbastanza da non essere certa che fosse gentile festeggiare.

Proprio lei, che degli altri se ne era sempre strabattuta, riusciva ad avere un pensiero tanto gentile.

"Oh, Faith, la vita in comunità ti rammollisce." - sussurrò al suo riflesso appannato - "Potresti anche prenderti la serata libera ed andare per gli affari tuoi. Sei grande…"

E stai per diventare più grande di un anno… un altro anno da ammucchiare insieme agli altri…

"E tu vuoi festeggiare veramente questa catasta di giorni incasinati?" - si chiese ancora - "Ci sarebbe da rallegrarsi se te ne abbuonassero qualcuno. Andiamo, sei sopravvissuta anche senza… perchè mai adesso vorresti di più."

Perchè ora ho delle persone a cui tengo. E che tengono a me. Ed io vorrei condividere tutto questo con loro. È un pensiero normale, credo.

See, certo. Adesso vuoi anche dei pensieri normali…

 

"Faith!" - la chiamò, appoggiandosi alla balaustra e guardando verso l'alto - "Ti accetto anche in accappatoio! Scendi che è pronto."

"Arrivo." - gli rispose una voce.

Accompagnata dal suono di passi leggeri.

Aspettò, per vederla scendere, con i calzettoni di spugna, impegnata ad aggiustarsi un orecchino con entrambe le mani.

Effettivamente in accappatoio.

"Toh, ciao Angel." - la sentì dire, alzando gli occhi verso qualcosa alle sue spalle.

"Ciao ragazzi." - mormorò lui, posando la sacca sulla sedia vicino alla porta.

"Stai bene?" - chiese formalmente Spike, guardando la mano insanguinata che ancora stringeva i manici del borsone.

"Certo. Cosa da poco."

Dietro di lui, con calma, stavano arrivando gli altri.

"Stavamo andando a cenare. Vi unite a noi?" - chiese Faith. Non riusciva proprio a bloccare il perno di quell'orecchino. E stava perdendo la pazienza.

Si guardò in giro, a caccia di un aiuto, visto che Spike era già sparito dietro a Angel.

"Westley, scusami…" - chiamò, quasi timidamente - "Ti spiace?"

Wes stava giusto posando la giacca.

In un attimo fu dove fino ad un attimo prima era stato il vampiro biondo.

"Dai, china la testa." - le disse, affettuosamente - "E tieni indietro quella criniera leonina."

Hai le mani fredde, rabbrividì.

"Scusami…"

"Come riesci ad avere le mani gelate in questa stagione?"

"Mi capita spesso quando sono stanco…" - replicò l'uomo, provando inutilmente - "E tu? Non sei ancora stufa della giornata?"

"Non me ne parlare… mi sembra che non debba mai finire…"

"Spike ti ha fatto disperare?"

"Non ne ha avuto il tempo." - mormorò lei.

"Guarda che ti ho sentito!" - urlò una voce dall'altra stanza.

"Tremendo. È veramente tremendo."- ribattè a mezza voce l'Osservatore - "Fatto."

"Grazie." - Faith gli sorrise. Quasi in imbarazzo. E Wes ebbe l'impressione che l'orecchino fosse un pretesto per dirgli qualcosa che, alla fine, non aveva trovato il coraggio di pronunciare.

 

"William… la smetti di ronzarmi intorno?" - domandò Angel, sfogliando alcuni fogli con la mano sana e tenendo rispettosamente l'altra nella tasca della giacca.

"Capisco che tu non sia soggetto ad infezioni, ma potresti levarti tutto quel sangue di dosso? Ha un odore irritante…" - ribattè prontamente Spike.

"Prima porto le armi di sotto in palestra." - rispose, voltandosi e prendendogli la sacca dalle mani. Prima che potesse protestare.

Incontrandone lo sguardo.

E sentendosi prontamente zittire.

"Non mi chiedere come sto. La risposta è sempre uguale."

"La tua salute è l'unica cosa su cui menti sempre." - constatò Angel, incamminandosi. Certo che l'avrebbe seguito subito. Rallentando volutamente il passo, per non affaticarlo.

"Rallenta ancora un po' e sarai fermo." - L'apostrofò velenosamente l'amico.

Preferì ignorarlo. E scendere le scale dello scantinato, accendendo le luci al passaggio e tendendo i sensi per accertarsi che riuscisse ad arrivare in fondo senza cascare.

Lo sapeva di essere effettivamente eccessivo. Ma non poteva assolutamente farci niente. Vederlo così bloccato era una situazione logorante per entrambi.

"Mi dai una mano?" - mormorò, aprendo la cerniera della sacca.

E ritrovandosi con due mani che gli sfilavano la giacca.

"Intendevo con le armi."

"So benissimo cosa intendevi. Ma io ho fame e voglio muovermi. Per cui fai vedere e ripulisci quella ferita."

Angel con uno sguardo tollerante tirò su la manica del maglione ed esibì una lunga linea rossa. Già rimarginata. O quasi.

"Puah! e da una cosa così piccola hai perso così tanto sangue? Sei proprio un novellino." - sentenziò l'altro senza sentire neanche il bisogno di sfoggiare le sue braccia sfregiate.

Angel lo fissò, con un'ombra di sorriso. Era bravo a dissimulare i suoi crucci. Veramente bravo. Si appoggiò la bancone e lasciò che iniziasse ad armeggiare con il contenuto del borsone.

"la schiena?" - gli domandò, incrociando le braccia per intralciarlo il meno possibile. "Mi tira qualche brutto scherzo. Ma sopravvivo." - commentò l'altro - "La tua coscienza?"

"Se ne sta tranquilla."

"Dovresti parlare con Faith…"

"Che le è successo?"

"Non lo so. Ma c'è qualcosa che la preoccupa."

"Lo farò."

Si fidava veramente delle intuizioni di Spike. Non aveva bisogno di fare altre domande o porsi qualche dubbio. Gli bastava quel semplice commento, senza alcun particolare aggiuntivo.

Il resto l'avrebbe detto Faith, se avesse deciso di parlargli.

"Non credo sia una cosa di cui preoccuparsi veramente. Ma la intristisce." - aggiunse Spike, posando l'ultimo paletto - "abbastanza da non avere nemmeno voglia di litigare con me…"

 

magari Doyle se ne ricorderà…

Quel pensiero accese in lei una pallida speranza. Subito spenta. Difficilmente Doyle poteva ricordarsi di una cosa che non sapeva.

Non ci si poteva mica aspettare che avesse letto la data del compleanno nelle stelle!

Lo guardò, stando ben attenta a non farsi notare. Poteva eludere tutti, ma Doyle riusciva sempre ad estorcerle informazioni, anche quando stava ben attenta a tenere la bocca chiusa.

In effetti, la soluzione migliore era che qualcuno se ne ricordasse per non so quale miracolo. Così le avrebbero fatto gli auguri.

Caspita, gli auguri…

In galera la sua compagna di cella doveva aver bofonchiato qualcosa, prima di aggredirla…. Ma forse non era così che andava di solito, il rituale del "Buon compleanno!"

E Cordelia? La soppesò con lo sguardo. Prima di ricordarsi che Cordelia nei compleanni non credeva. Il suo l'aveva proprio cancellato. Perché se anche era vero che ad una signora l'età non si chiede mai, bisognava essere previdenti e non dare appigli neanche alle supposizioni.

Niente compleanni, niente calcoli.

Chinò il capo e si concentrò su quello che aveva nel piatto.

Doyle e Cordelia scherzavano, come sempre. Lui stava cercando di convincerla che sapeva far sparire una moneta e farla riapparire senza trucchi di prestigio. E lei, con un piede puntato sullo sgabello, gli faceva notare come avesse sciupato la verniciatura dei sandali con il salto di quel reticolato.

Tutto sommato stavano avendo una delle loro conversazioni tipiche: quelle in cui non trovavano un argomento in comune ed ognuno dei due seguitava a parlare di ciò che voleva.

Faith li guardò, masticando pensosamente.

Sentiva la voce di Angel avvicinarsi, sempre con Spike appresso, intento a tormentarlo.

Anche quella era una costante. Angel che camminava davanti e, due passi indietro, con le mani in tasca ed il naso saccentemente verso l'altro, Spike, impegnato in un monologo sul fatto che fosse stufo di avere solo monologhi.

"Ciao piccola." - mormorò Angel, continuando ad ignorarlo, apparentemente - "Andata bene la caccia? Contusioni?"

"Poche. E tu?" - rispose Faith, giocherellando con la forchetta e indicando con il mento il braccio e le mani ormai pulite.

"Anch'io una cosa da nulla." - constatò, passando a fianco di Doyle che stava perdendo centesimi dalle tasche ed aprendo il frigo.

Tipico di Angel. In una cucina piena di persone era capace di registrare in un attimo come sul tavolo non ci fosse una bottiglia di latte ed un bicchiere per Faith.

Era così premuroso… talmente premuroso che Faith si era da molto tempo rassegnata al fatto di non potergli dire che, prima di conoscerlo, aveva annaffiato buona parte dei suoi pasti con birra rossa.

"Angel, quanti anni hai?"

la domanda lo sorprese. Dovette concentrarsi sul non versare il latte sul tavolo e sul bicchiere che stava riempiendo prima di rispondere.

"Di preciso? Devo essere nato nel 1754…" - aggrottò la fronte per essere certo di ricordare giusto - "quando Giorgio III è salito al trono dovevo avere circa sei anni…"

"Già" - Doyle alzò le braccia al cielo - "Il sovrano del disastro. Si prese l'Irlanda e si perse le Americhe…"

"Ti prego." - sospirò Wes, entrando con un fascio di documentazione sotto il braccio - "Non rimembriamo il triste giorno…"

"Vi sembra il caso di buttarvi in una discussione del genere?" - replicò Spike, sedendosi, contrariamente al suo stile, su uno sgabello e non sul ripiano della cucina. Vicino a Wes, per dargli manforte nella divergenza di credo, contro Angel e Doyle.

"Per carità." - sorrise Angel - "Non è nelle mie intenzioni."

"Nelle tue forse no…" - sospirò Doyle, lasciando ben intendere quanto ci tenesse a dire la sua.

"Nemmeno nelle tue mio caro." - lo zittì Cordy, afferrandolo con una mano per il colletto e baciandolo.

Doyle soppesò il 'consiglio', per un attimo.

"No. Nemmeno nelle mie." - disse prontamente - "Buonanotte ragazzi!"

 

"Però…" - constatò Spike, mentre i due si volatilizzavano - "Se questa non è l'America che conquista l'Irlanda…"

 

"Come mai ti è venuto in mente?" - azzardò Angel rivolto a Faith.

"Così, una curiosità. E sei nato…."

Quel terzo grado lo incuriosiva. Recuperò il tazzone suo e quello di Spike e si risedette.

"Pieno inverno. Figlio del freddo in piena regola." - commentò, bevendo un sorso. E nascondendo dietro un sorriso il suo spirito d'osservazione. - "E tu Wes?"

"Come? Ah, il mio compleanno." - rispose, cercando di mettere a fuoco l'argomento di uno stampato - " Aprile… 12 aprile. Sono dell'ariete."

"Testa dura senza paura." - commentò malignamente Spike.

"Sentiamo…" - adesso Wes si sentiva chiamato in causa. Posò i suoi fogli - "E tu?"

Adesso Faith iniziava a temere il suo turno, mentre Wes e Spike discutevano sulle ascendenze dei segni. La situazione le era sfuggita di mano. Non voleva che le chiedessero e lo scoprissero in quel modo.

Non voleva che pensassero che fosse una doppiogiochista.

"Signori, vi lascio alle vostre discussioni e vado a dormire." - esclamò, spolverando l'accappatoio per liberarsi delle briciole. Precipitosamente - "Buonanotte."

"Buonanotte."

"Ciao Faith."

Solo Angel la guardò pensosamente, mentre si allontanava. Rigirando la tazza tra le mani.

Buonanotte piccola, mormorò.

Quando fu certo che fosse lontana…

"Sai Spike, credo di avere capito il problema."

"Il problema di chi?" - Wes alzò la testa, prestandogli finalmente l'attenzione dovuta - "Faith? Faith ha un problema?"

"Oh sì." - annuì Spike, approfittando per continuare a tormentarlo - "E me ne sono accorto io… non di certo chi dovrebbe tenerla d'occhio. Vero, Osservatore?"

"Taci Spike." - ribattè distrattamente, fissando Angel - "Che problema ha Faith?"

Angel stava ancora guardando oltre le sue spalle, l'ingresso vuoto. Soppesava l'intuizione che aveva avuto.

Alla fine scosse la testa, divertito.

Sì, era veramente certo.

Di tutto quello che poteva essere…

"E' il suo compleanno, Wes."

 

II

"Eccolo qui." - comunicò, emergendo da dietro una scaffalatura - "Il fascicolo di Faith. Qui dovremmo trovare la conferma."

"Non facevamo prima a chiederglielo?" - mormorò Spike, disperdendo con una mano la polvere che si levava dalla cartella, mentre Angel la sfogliava. Stava comodamente seduto alla scrivania di Wes, al centro della sua biblioteca.

"Avesse voluto dircelo, l'avrebbe fatto…"

"E secondo te, perché non l'ha detto?" - insistette.

"William…" - rispose Angel appoggiando i fogli sul tavolo e chinandosi per visualizzarli meglio - "Tu hai detto a Wes la tua data di compleanno?"

Spike lo fissò interdetto.

"Oh, che centra questo! Stavamo discutendo…"

"Vero. Ma hai eluso la domanda. Chiediti il perchè…"

Wes, nel frattempo, leggeva da sopra la spalla di Angel. Con un'occhiata catturava le nozioni. Le poche nozioni.

Il più era fatto di rapporti, vecchie copie di resoconti per il consiglio e dal consiglio.

Tutte datate ad un'epoca remota.

Le informazioni base, quali tessera della previdenza, codice fiscale, cognome o altro… erano l'accozzaglia più frammentaria mai vista.

"Possibile che non ci sia?" - mormorò Angel, sfogliando il tutto per la seconda volta. "Molte informazioni sono rimaste a Londra. Le altre suppongo siano andate perse negli spostamenti… e nell'incendio del tuo primo appartamento." - commentò Westley - "possiamo chiamare Giles…"

"E tirarlo giù nel cuore della notte per una questione del genere? Non sanno che Faith è qui. E non le manderanno un regalo…" - ribattè Spike, buttando un'occhiata distratta ai fogli.

"Niente data di nascita…" - sospirò Angel, raddrizzandosi - "Trecento pagine di sue vicende e documentazione clinica e niente data di nasc…"

Fu allora che la vide.

La documentazione bancaria.

Angel aveva istituito un fondo fiduciario per Faith, quando era fuggita di prigione. Voleva essere certo che, qualunque cosa accadesse, sarebbe stata in grado di ricominciare a vivere agiatamente.

La documentazione era ovviamente basata su una falsa identità, costruita apposta.

Wes si era dichiarato garante per ogni operazione e si era auto-incaricato di conservare una copia della documentazione.

Avrebbe avuto accesso ai beni vincolati di Faith in qualsiasi momento, mediante l'esibizione di un codice numerico.

"Eccola." - mormorò Angel, fissando le scartoffie.

"Dove?" - Wes si sporse. Gli sembrava solo un rendiconto bancario. Un comunissimo plico di fogli fermato da una graffa - "Non sono tutti dati falsi?"

"Oh sì, certo…" - Angel posò un dito vicino ad un appunto a matita - "Tutti tranne la password… 160681… 16 Giugno 1981. Domani."

"Svelato il mistero…"

"Adesso che facciamo?"

"Violiamo la privacy di Doyle e Cordelia." - rispose semplicemente Angel, girandosi ed andando verso la porta - "Consiglio di guerra ragazzi…"

Era già a metà delle scale. Non li aveva nemmeno aspettati.

Wes lo guardò sparire e si voltò a fissare Spike che si stava mettendo in piedi.

"Tu non lo odi quando fa il condottiero in questo modo?" - si sorprese a domandare. E lo sguardo di Spike fu eloquentissimo.

 

Doyle girò la testa a destra e poi a sinistra.

Poi di nuovo a destra.

E un'altra volta a sinistra.

Stava seduto al centro del suo letto e si poteva supporre che, sotto il lenzuolo, fosse vagamente nudo. Per seguire meglio quello che gli stavano spiegando, aveva ripiegato le ginocchia e si era puntellato sui gomiti.

Girava la testa a destra e poi a sinistra.

Aggrottando la fronte.

Angel e Wes stavano ai piedi del letto e parlavano quasi in contemporanea.

Rispondendosi a vicenda.

Cordelia, seduta a gambe accavallate al suo tavolino da toelette, avvolta in un corto kimono rosa, tamburellava tristemente sul ripiano, tirando indietro i capelli che, lasciati finalmente sciolti, continuavano a ricaderle sul viso.

La sua espressione era vagamente annoiata. Ed il suo conforto erano le occhiate che lei e Spike si scambiavano.

"Ti va ancora bene…" - disse lui, per consolarla - "potevano sedersi per spiegarlo meglio."

"Fatemi capire." - li interruppe ad un tratto Doyle - "Tutte questi giri di parole vi servono per farmi capire che volete organizzare una festa di compleanno a Faith?"

"Bhe, in effetti…" - Wes annuì, colto alla sprovvista - "Direi che quello è il succo del discorso."

"Ottimo." - rispose Doyle, sollevato - "Allora che ci vuole. Compratele i regali. Io e Cordy andremo a prendere una torta ed organizzeremo il resto.

Domani a mezzanotte?"

"sì, direi che può andare." - aggiunse Angel.

"perfetto." - Doyle riguardò allargando le braccia. E perdendo quasi il lenzuolo - "Devo arguire anche che adesso vi leverete dalle palle?"

"Si… certo…"

"perfetto. E chiudete la porta."

Quando fu certo che fossero tutti e tre abbastanza lontani e che Spike stesse dicendo ad entrambi il fatto loro, frugò tra le coperte.

"Allora, amore…" - disse, emergendo, più arruffato che mai, con una bottiglia e due calici - "Stavamo dicendo?"

 

Non aveva dormito molto.

La festa di Faith l'aveva tenuto sveglio. lui e Wes erano stato alzati a parlarne, come se fosse una questione di stato.

Spike, dopo aver rischiato un paio di volte di addormentarsi in poltrona, si era deciso a lasciarli e a tornarsene nei suoi appartamenti.

Testardamente, per quel che lo riguardava, avrebbe semplicemente comprato un regalo, un bel regalo con tanto di auguri.

Non ci vedeva niente di più.

Per Angel, e per Wes, la questione era leggermente più delicata.

Angel si ostinava sul fatto che c'era già stato ben più di un compleanno di Faith da quando si conoscevano e mai, mai, aveva pensato che potesse farle piacere festeggiarlo.

E Wes, con analogo cruccio, si accaniva a cercare soluzioni per festeggiamenti in grande. Guardando con astio Spike che gli suggeriva uno spettacolo pirotecnico nell'ingresso e una famiglia circense in giro per il giardino.

E poi c'era il fattore sorpresa…

Dovevano dirle che avevano scoperto il suo segreto e darle quindi un po' di preavviso per defilarsi se così preferiva o prenderla del tutto di sprovvista?

Doyle non era stato chiaro su questo aspetto organizzativo.

Ringraziando il cielo, sulla questione regali c'era l'imbarazzo della scelta. Faith non chiedeva mai nulla e non si aspettava nulla. Le poche volte che riceveva qualcosa era grazie a Cordelia, che assolutamente non voleva vederla andare in giro nuda come una selvaggia. E che finiva sempre con il tornare a casa gemendo per i negozi in cui Faith sceglieva magliette e pantaloni.

Ed una volta esauriti gli aspetti puramente pratici del discorso… allora, separatamente, restavano i propri pensieri.

Ed Angel non era certo avaro di ragionamenti.

Seduto in una poltrona, abbracciato al cuscino, fissava il soffitto e pensava.

Non sapeva nemmeno perché avesse poi scelto la sala grande del pianoterra, come angolo di ragionamento. Forse perchè gli sarebbe piaciuto accendere tutti i lampadari, lustrare il tavolo ovale e allestire una festa indimenticabile.

Una vera festa. Tutti insieme.

Quanto l'avevano cambiato quelle persone…

Il desiderio di una famiglia, di condividere una gioia, serenamente. Non avevano mai trovato il tempo per farlo…

Giorno dopo giorno, cruccio dopo cruccio, avventura su avventura.

Oh, sì, sarebbe stato bellissimo.

Anche lui, come Faith, non aveva mai avuto delle vere festività in famiglia. Oh, certo, il calendario irlandese era pieno di ricorrenze. Ma cosa sono le feste, se le passi con l'amarezza nel cuore ed il rancore negli occhi?

No. Decisamente no.

Solo il compleanno di Kathie era una gioia.

Lo aspettava nascosta nel granaio. Anche Kathie, come Faith, era nata nei mesi assolati e portava sempre quel tepore nel cuore. Lo aspettava nel granaio e restavano lì, nel caldo del primo pomeriggio, senza che nessuno li cercasse. Il poco tempo necessario per una storia o un disegno…

Per il regalo, comprato di nascosto.

Loro padre non avrebbe mai capito. Sprecare denaro per i balocchi di una figlia femmina.

Non sapere quanta gioia si poteva avere da una bambina con lo sguardo di giugno… L'alba doveva essere trascorsa da un bel pezzo, quando Cordelia apparve sulla porta. "Buongiorno." - sussurrò gentilmente, rannicchiandosi sulla poltrona di fronte. Con una bella tazza tra le mani.

Caffè… un' aroma così intenso da fargli desiderare di berne un sorso.

"Ce ne è ancora?" - chiese, guardandola.

"è una strana richiesta, detta da te. Comunque sì. No, lascia, vado io…" - aggiunse, alzandosi.

E tornando rapidamente indietro con una seconda dose.

"Grazie." - mormorò Angel, lasciando scivolare il cuscino, ad afferrando quel piccolo involucro di porcellana tiepida.

"Ti piace senza zucchero, vero?"

"Le poche volte che lo bevo, sì. Come fai a saperlo?"

"E' il mio lavoro, Angel." - replicò semplicemente - "Prevedere i desideri del capo…"

Angel le sorrise.

"Siamo ancora capo e segretaria, Cordy?"

"Solo ogni tanto. Per il resto siamo una bella squadra. Ed io sono quella che fa il bucato, la spesa… mi occupo di tutto perché tutti vivano bene qui." - disse - "E' strano, del mio futuro avrei pensato tutto tranne questo…"

"Rimpianti?"

"E perché? Le cose che non si riescono a sognare non devono per forza essere negative. Sono molto felice, sono amata… e so che devo tutto questo a te."

Angel la guardò.

Era veramente un essere meraviglioso. Lo era sempre stata, sotto strati e strati di trucco, sotto l'opacità della vita di provincia che l'aveva messa su un piedestallo. Era così tenace e così fragile allo stesso tempo…

"io sono stato fortunato ad avere te, Cordy." - ribattè - "Non ci fossi stata tu, questo sarebbe ancora un posto vuoto e buio. Sei tu che hai riportato la luce. Se adesso siamo tutti qui e siamo una famiglia è solo grazie a te."

"E a Doyle." - puntualizzò lei, guardandolo sottecchi.

"soprattutto tu, Cordy." - insistette Angel, non sapendo più bene nemmeno come esprimersi, per comunicarle tutto l'affetto traboccante che provava per lei.

La guardò, mentre alzava lo sguardo, contemplando i lampadari.

"Avrò parecchio da fare, oggi." - la sentì sospirare - "Stavo pensando di srotolare anche il tappeto, che ne dici?"

e visto che Angel la guardava interrogativo…

"Credi mica che il tuo compare mi abbia sussurrato paroline dolci, stanotte. Si è messo a pianificare tutto quello che gli sembrava necessario. Dice che abbiamo un sacco di cose da festeggiare…" - Cordy chinò un po' la testa, per giocherellare con una lunga ciocca - "Io ho deciso di sbrigare tutte le faccende, poi andrò dal parrucchiere e a ritirare la torta ed il vestito…"

Angel la fissava come se di colpo gli fosse sfuggito tutto di mano.

"Hai già deciso cosa comprarle?"

la domanda lo colse di sprovvista.

"io… sì, credo di sì… Wes andrà a vederlo più tardi… abbiamo deciso di comprarglielo assieme."

"Anche io e Doyle…" - annuì Cordelia, per niente preoccupata delle perplessità di Angel - "E Spike?"

"Ha detto che ha già quasi risolto." - mormorò - "Cordy, come la mettiamo con Faith? È una sorpresa?"

"E come si può nascondere tutti questi preparativi ad una cacciatrice? Non c'è manco da pensarlo! Le diremo che facciamo un po' di festa usando il suo compleanno come pretesto, che poi sarebbe anche la verità, e siamo a posto."

"Oh, eccovi qui." - commentò Doyle entrando - "Buongiorno."

"Ciao." -Angel alzò la testa verso di lui - "Mi è stato detto che abbiamo molto da festeggiare..."

"come no! Festeggiamo Faith, la guarigione di Spike, il mio ritorno e celebriamo tutto questo per avere la prima ricorrenza di famiglia! Buongiorno principessa." - si chinò a baciarla senza nemmeno levare le mani di tasca - "Non sei d'accordo?"

"non ci crederai, ma sono anche contento…"

"Allora festeggiamo anche questo: Angel contento perché facciamo festa." - Doyle lo soppesò con lo sguardo - "ne abbiamo tutti bisogno…"

Su questo non c'erano commenti da aggiungere. Erano state settimane estenuanti.

Un mese sull'altro, avevano accumulato fatiche e tensioni in quantitativo industriale. E gli attimi di quiete, tanto agognati, erano trascorsi fuggevolmente.

"ti ricordi di avvertire Lorne?" - chiese Angel, distogliendolo dai suoi pensieri.

"Certamente." - annuì - "Hai qualche particolare richiesta?"

"Solo una."

"Sentiamo."

"Dovresti ritagliarti una mezz'ora a fine pomeriggio. Ho bisogno di fare una commissione e credo che tu sappia dove andare a mettere le mani…"

"Sarà fatto."

"Ciao gente."

"Come mai già sveglio?" - chiese, vedendolo entrare con la sua tipica andatura.

"Come mai non sei andato a dormire?" - ribattè prontamente Spike.

"stavo pensando…"

"Ma non è già un secolo che lo fai? Non ti serve fare gli straordinari…"

"Vuoi sederti, Spike?" - chiese Cordelia, facendogli spazio sulla poltrona. Aveva imparato a sue spese che, con Spike, era meglio non saltare in piedi e cedergliela completa.

Rientrava in quella categoria che egli definiva "buona azione per il pensionato". E che, pertanto, avrebbe decisamente preso male. Perché, come ripeteva fino alla nausea, lui era un vero teppista.

"no, grazie." - replicò, restando in piedi vicino a Doyle - "In compenso, se è caffè che stai bevendo, potresti offrirmene un sorso…"

"Allora." - esordì, restituendo la tazza alla legittima proprietaria - "Come è il piano per la giornata di oggi?"

"Regali. Shopping e regali." - commentò Cordelia- "Tu ed Angel, che dovete stare qua fino al tramonto, mi darete una mano con i preparativi."

"Sai che ci vuole. Si comprano gli alcolici e un po' di dolcetti…"

"Oh, no. Facciamo le cose per bene. Organizzerò una cena, comprerò una torta ed illumineremo questa sala a festa." - spiegò la ragazza lasciando vagare lo sguardo, similmente ad Angel, sulle lenzuola che coprivano i mobili e sui vetri opachi - "sarà il compleanno di Faith, ma non solo."

Aveva gli occhi brillanti e le guance arrossate per la gioia.

"non abbiamo mai festeggiato nulla, insieme, come una vera famiglia. E visto che lo siamo, è ora di cominciare. Andiamo, ragazzi, lo sappiamo tutti: nella vita nulla è per sempre. Se adesso siamo qui, e siamo tutti insieme, dobbiamo festeggiare. Già solo per il fatto di essere noi."

"Adesso vi è chiaro perché la amo tanto?" - domandò Doyle raggiante.

"Oh, sì." - commentò Spike - "meno chiaro perché ti sia servita una resurrezione prima di deciderti a saltarle addosso."

"Spike!" - urlarono in coro tutti i presenti.

"Ecco! Ha sciupato tutta la mia poesia." - dichiarò, drammatica Cordy, lasciandosi ricadere contro lo schienale.

"oh, gattina, ma io ho apprezzato veramente quello che hai detto." - Spike si inginocchiò di fronte alla poltrona della ragazza. Con sguardo adorante e mani sul cuore - "Tu sei la luce che guida i nostri passi, l'anima del nostro focolare e mai con nessuno potremo barattarti con altro. Ben vengano tutte le tue decisioni!"

Sollevava pure lo sguardo ispirato verso il cielo. Con la mano alzata, da perfetto commediante. Mentre Angel si copriva gli occhi con un moto di rassegnazione.

"Ben vengano, dico io! Perché mai tra queste mura si sia respirata più allegria. Che questa serata adombri ogni altra…. Siamo d'accordo, Angel? niente musi lunghi per stasera."

L'aveva detto senza nemmeno girarsi. E senza neanche aspettarsi una risposta dal suo sire che, appoggiata desolatamente la guancia al palmo della mano, gli stava contemplando la nuca. Semplicemente affranto.

Restando inginocchiato. Fissando con aria adorante Cordelia. E la ragazza non aveva molte speranze di restare seria e imbronciata come voleva.

Lentamente e inevitabilmente le sue fossette tornarono a fare capolino. E lei si protese ad abbracciarlo.

Spike ne fu colto di sorpresa. Il suo sguardo si addolcì, nel ritrovarsi a posare le labbra su quella spalla profumata.

Non sapeva nemmeno se gli era concesso di ricambiare l'abbraccio di così tanta vita. Sorrise e si lasciò stringere.

"piccola peste." - si sentì sussurrare in un orecchio. Affettuosa, in quel piccolo vezzeggiativo stava racchiudendo tutta la preoccupazione che aveva provato per lui in quelle settimane. I mesi di discussioni petulanti e le volte in cui Spike l'aveva spinta a terra per proteggerla. Tutto.

Perchè anche Spike aveva bisogno di quella famiglia che cercava a tutti i costi di ignorare. Perché anche Spike faceva parte delle loro giornate e delle loro emozioni.

Spike, con le sue battute insensibili. E la sua anima così pronta a capire.

Cordelia si tirò indietro, per fissarlo negli occhi.

"Allora, mi darai una mano?" - gli chiese. Senza aggiungere altro al loro attimo di intimità. Sapendo che ogni cosa sarebbe stata superflua e sfrontata.

"Mi comprerai gli alcolici?" - la punzecchiò teneramente lui, ricambiando l'occhiata.

"Affare fatto." - esclamò lei, porgendogli una mano da stringere.

Angel sembrava assorto nei suoi pensieri. Ma Doyle non dubitava di come, dietro quello sguardo serio si nascondesse una quieta felicità.

Tipico di Angel… gioire per la gioia degli altri. Sentirsi appagato solo ad osservarli.

"Principessa…" - chiamò, gentilmente - "Prima che tu metta Spike a lucidare le maniglie, io avrei bisogno di parlargli."

"Al tuo servizio." - ribattè l'altro, mettendosi in piedi rapidamente, prima che le gambe si accorgessero dello sforzo a cui erano sottoposte.

"sarà tutto bellissimo." - commentò Angel, guardando i due che uscivano. Lo disse per se stesso e per Cordelia.

Per godere ancora di quel luminoso sorriso.

"Oh, certo che lo sarà. Lo organizzerò alla perfezione."

 

"Come, scusa?" - ripetè Faith, con gli occhi sbarrati.

Talmente sconvolta che Wes si levò gli occhiali dal naso per la terza volta, ricominciando a lustrare le lenti.

"Bhe, sì. È andata così." - ripetè impacciato - "Ieri non riuscivo proprio a ricordarmi… poi mi è venuto in mente e allora…"

non era certo di ricordarsi come finiva la frase.

E Spike seduto in poltrona fingeva di leggere un grosso volume. E lo lasciava nel suo disastro verbale.

Bastardo.

Sì. Pensava a Spike proprio in quei termini.

"Stavo dicendo…" - riprese, guardando se le lenti erano pulite e ricominciando a strofinarle.

C'era ancora Faith di fronte a lui. Lo guardava con occhi grandi e perplessi. Ed aspettava una spiegazione.

"Ecco… cioè… è il tuo compleanno, no?" - chiese Wes, inforcando gli occhiali.

"sì." - Faith annuì, sempre più disorientata - "ma… ma tu come l'hai saputo?"

"Io… io sono un Osservatore. È normale che io mi accorga di queste cose." - esclamò, prendendo coraggio.

Mentre Spike lo guardava e alzava gli occhi al cielo, continuando a sfogliare le pagine.

"Ah." - no, non si aspettava questa risposta - "e perchè… cioè… se lo hai scoperto…"

avrebbe sinceramente voluto sapere perché non l'aveva scoperto già l'anno passato. Ma le sembrava una domanda indelicata. Si torse le mani, in imbarazzo.

"e allora…"

"Allora cosa?" - Wes si sentiva male quanto lei - "oh, sì, allora. Mi hanno detto che… che…"

"oh, insomma." - Spike chiuse il libro con tale forza da farli sobbalzare entrambi - "è semplice. Se domani è il tuo compleanno, abbiamo piacere di organizzare e passare la serata insieme. Tu andrai di ronda e poi, a mezzanotte, ti trovi a casa, ti cambi e vieni a cenare con noi. È poi così difficile?"

"Faith…" - Wes lo stava fulminando con un'occhiata - "quello che Spike sta cercando di dire è che noi avremmo piacere di festeggiarti…"

"Non ho bisogno il traduttore, Price. Faith ha capito benissimo."

"io… sì, sì… ho capito." - Annuì lei - "posso… andare?"

"Puoi andare da Angel, ma non puoi scendere al pianoterra. E a questo proposito, possiamo fare la strada insieme." - aggiunse, alzandosi - "di sotto c'è qualcuno che mi aspetta."

 

Faith si era alzata tardi. Anzi, si sarebbe alzata ancora più tardi se la porta di ingresso non avesse cigolato così tante volte. Non che ci fosse un vero e proprio baccano. Solo tanti rumori circospetti, anomali.

Si era vestita, in fretta e non si era neanche truccata. Ed era scesa, senza incontrare nessuno.

In fondo alla tromba delle scale aveva visto rientrare Cordelia con qualcosa tra le mani. Poi l'aveva vista riapparire con Doyle. Erano nuovamente usciti chiacchierando e Faith si era domandata dove potessero andare quei due.

Dalla biblioteca di Westley sentiva provenire la voce di Spike e, un po' più attutita, quella dello stesso Wes.

Aveva bussato pro forma, sulla porta spalancata e, al primo cenno di riconoscimento, era entrata.

E qui, la bomba l'aveva centrata in pieno.

Lasciandola senza fiato.

 

Ancora adesso, scendendo le scale con Spike, rimuginava sulla notizia.

"come mai ti sei fermato?" - chiese, riscotendosi e fissandolo, in piedi sul penultimo gradino.

"Ti va di sederti?" - le domandò, seriamente - "sono dolorante e voglio parlarti."

"Certo." - rispose lei, sedendosi dove si trovava, mentre lui faceva altrettanto.

"Sei contenta?" - chiese, fissandola.

"Di certo non usi giri di parole." - commentò - "Io non so… non ho mai avuto un compleanno…"

"mai?"

"No, mai. A casa mia… non la si poteva nemmeno chiamare casa. E la mia Osservatrice… quella prima di Wes e Giles… non abbiamo fatto in tempo a festeggiarlo." - sussurrò, disegnando sul gradino - "io, non volevo dare così tanto fastidio…"

"Non è un fastidio." - Spike le sorrise - "e' un piacere. È una festa. Lo è per tutti. Guarda Doyle, ad esempio. Non riesce a starsene tranquillo. Ha trascinato Cordelia dappertutto oggi. E lei? Penso non aspettasse nient'altro…"

"io sarò all'altezza?"

"Non è un esame, Faith. È un compleanno." - insistette - "Non devi 'essere all'altezza'. Devi essere solo tu."

"ma non devo fare qualcosa di particolare? Che so… un discorso?" - chiese ancora. Era veramente in agitazione, se si aggrappava così al suo ginocchio.

"Niente di impedisce di farlo, se ti fa piacere. Ma non sei obbligata." - spiegò ancora - "Se vuoi puoi ringraziare dei regali. Quella è una cosa carina…"

Adesso l'aveva gettata nel panico!

"Regali?"

Non voleva gridare, ma la voce era salita abbastanza di tono.

Abbastanza da far apparire Angel sul pianerottolo.

"Ciao, disturbo?" - chiese educatamente, alzando lo sguardo verso di loro.

"Sali." - rispose Spike, facendogli un cenno.

Aspettando che si fosse seduto sul gradino sotto il loro, per spiegargli la situazione. "Faith ha qualche problema con la dinamica dei compleanni…"

La ragazza si stava scompigliando nervosamente i capelli e contrariamente al suo carattere, si stava mangiando le unghie.

"Non rovinarti le mani." - l'ammonì gentilmente, stringendo le dita con le dita - "Sentiamo, piccola, quale è il problema?"

"Angel, io non ho mai… come si fa? Cosa si dice quando ti danno i regali?"

"Basta un grazie. Ma puoi anche dire che non ti piace e che vuoi cambiarlo."

"Sul serio?" - Faith brancolava - "Ma io non voglio dire che non mi piacciono. A me i regali piacciono sempre. E non voglio offendere nessuno…"

"non potresti neanche mettendoti di impegno." - la rassicurò, senza smettere di tenerle la mano - "sarà tutto come sempre. Siamo solo noi, Faith…"

"Siete già troppo…" - mormorò. Le si stava rapidamente formando un groppo in gola - "Io intendo dire che… io non mi aspettavo nemmeno questo… e non so proprio come si fa ad avere un compleanno…."

"tutti abbiamo un compleanno." - sospirò Spike - "anzi,io ed Angel ne abbiamo due…"

"Sul serio?" - la curiosità era forte, come nei momenti in cui ci si appiglierebbe a tutto pur di non sentirsi tanto angosciati.

"Già." - Spike la guardò di traverso - "nel mondo dei vampiri si festeggia solo il giorno della vampirizzazione. Io ed Angel, con l'anima, abbiamo avuto anche la dispensa per festeggiare il compleanno mortale."

"Non mi stai prendendo in giro, vero?" - chiese, perplessa.

"No." - Angel scosse la testa - "Non ti sta prendendo in giro. Io e lui abbiamo due compleanni."

"A te piace compiere gli anni?"

"Vuoi la verità?" - sorrise e scosse la testa - "non l'ho ancora capito. Per me, il compleanno è un giorno pieno di ricordi. Le cose che hai alle spalle e quelle che cerchi di vedere nel futuro. Un po' come tutti i giorni in cui ti alzi dal letto. Solo che, al tuo compleanno, puoi anche festeggiare… o ricominciare tutto da capo."

"E tu, Spike?" - si girò.

E non le ci volle molto per capire come soppesasse quella domanda. E come cercasse di dare forma ad una risposta.

"io adoravo compiere gli anni." - ammise, ad un tratto, fissando la sua attenzione su Faith ed Angel - "era la festa di famiglia per eccellenza. Cascasse il mondo saremmo stati tutti a casa a festeggiare. Era la sera perfetta per fare e dire tutto. Non c'era niente che andasse storto. Per me aveva un senso incredibile. Poi… il resto è storia."

Non voleva dirlo.

"Comunque." - aggiunse bellicoso - "ci stiamo allontanando dal seminato. Non c'è niente di cui preoccuparsi nel festeggiare un compleanno. Sei giovane.. imparerai…"

Si alzò e proseguì per la sua strada. E Faith ed Angel si scambiarono un'occhiata. Erano abituati alle cose che Spike diceva e non diceva.

"Sei più tranquilla, adesso?"

"Non so. Continua a sembrarmi tutto così irreale… mi viene da pensare che prima di stasera andrà tutto storto…"

"Non succederà." - Angel la guardò seriamente - "Saremo tutti a casa all'ora giusta e Cordelia non brucerà la cena."

"devo vestirmi elegante?" - come se avessi qualcosa di elegante da mettermi…

"Anche a questo sono certo che penserà Cordelia. E adesso goditi la tua giornata nel migliore dei modi." - consigliò, alzandosi.

"Angel…"

"Dimmi." - le rispose, voltandosi.

"Non sono costretta a stare da sola…" - spostava il peso da una gamba all'altra - "cioè… non devo stare da sola a riflettere sul mio futuro o altro, vero?perché sai…"

Iniziava ad arrampicarsi su per gli specchi. Ed Angel non potè fare a meno di sorriderle.

"dai, vieni…"

 

le sette…

le otto…

le nove…

Faith si pettinò i capelli un'altra volta.

Poi li tirò su a coda di cavallo. Poi li lasciò ricadere.

Poi di profilo.

Poi dando le spalle allo specchio e voltandosi per vedere se cadevano scomposti ed eleganti come quelli di Cordelia.

Poi aprì l'armadio un'altra volta. E scaraventò un'altra manciata di magliette sul letto. Sedendosi in mezzo e selezionando critica.

"Buco, bruciatura, macchia… oh, questa non è mia…." - mormorò, sollevando una canottierina rosa con i fiorellini - "Camicia di Angel, maglione di Wes…"

Camicia di Angel… magari annodata in vita…

"Pantaloni! Pantaloni, pantaloni, pantaloni…" - saltò giù dal letto e ricominciò a frugare nell'armadio.

Non era un guardaroba. Era un enorme accozzaglia di vestiti non suoi, vestiti da battaglia e roba di poco prezzo.

"Ci si può vestire dark al proprio compleanno?" - domandò critica, sollevando un paio di pantaloni neri - "magari Cordelia ha qualcosa da prestami."

No. Non puoi chiedere anche i vestiti a Cordy! L'hai vista, quanto ha corso oggi. Prima di stasera sarà stanca e arrabbiata.

Cominci già ad essere viziata…

"Allora! Cacciatrice! Ma non te lo ha detto nessuno che i mostri non vivono sul serio nell'armadio?"

Faith si sporse da dietro l'anta. Sulla porta c'era Spike. con il giaccone di pelle indosso.

"dove stai andando?"

"Di ronda. E tu? Cosa stai facendo?"

"Niente." - rispose affrettatamente - "Non sto facendo niente."

"Certo." - Spike non si lasciava fregare - "E tra un minuto mi dirai anche che stavi riordinando l'armadio."

"Ohhhh, Spike." - si sedette con un tonfo, dove si trovava. Disperata - "non ho niente da mettere…"

"oh, cielo." - Spike alzò esasperato gli occhi al cielo - "Iniziate a sembrarmi matti. Io ti apprezzerei anche nuda come mamma ti ha fatto, stasera. Se proprio non scegli di accontentarmi, allora mi è del tutto indifferente cosa ti metti."

"Consolante." - gemette la ragazza - "mi sfotti quando sono in difficoltà…"

si coprì il viso con le mani, in un attimo di grande disperazione.

"no, dai, Faith, non volevo essere scortese…." - fece un passo avanti. E si fermò di colpo - "Sei una carogna, cacciatrice. Te lo ha mai detto nessuno?"

rideva. Si copriva il viso e rideva.

Un po' istericamente, forse, ma rideva del senso di colpa vampiresco.

"lasciamo stare." - sospirò rassegnata, riguardo al suo vestiario e all'opinione di Spike - "cos'è questa storia che stai andando di ronda?"

"Mi danno la serata libera." - replicò, con un'alzata di spalle - "Non mi vogliono tra i piedi e mi hanno chiesto di farti compagnia."

"Fantastico."

"possiamo anche andare ognuno per la sua strada."

"No, grazie. L'ultima volta che l'abbiamo fatto non è finita bene." - Faith si tirò in piedi, spolverandosi i pantaloni - "Andiamo…"

Al pianoterra le porte chiuse superavano di gran lunga la media settimanale.

Si sentiva un certo tramestio che salì di intensità quando Lorne, con le maniche arrotolate e l'espressione svanita uscì da una delle porte, richiudendosela alle spalle.

"Oh, ciao figlioli!" - esclamò, esibendo un bel sorriso - "andate a fare due passi?"

"Ronda." - commentò Faith, sventolando il paletto.

"Oh, giusto, ronda." - Lorne annuì, prima di sparire dietro un'altra porta chiusa - "Divertitevi…"

Faith lo guardò con un'occhiata che rasentava il panico.

"Spike…" - sussurrò.

"Faith…"

"mi offri una sigaretta per piacere?"

"per una signora questo e altro…"

 

"Non sei ancora stufa?" - domandò, seduto su gradino. Faith, a centro strada, stava finendo un altro vampiro.

"Mi porto… avanti… con il lavoro." - ansimò, accoppandone ancora uno con un calcio.

"non l'hai già fatto ieri?"

"non mi pare un buon motivo per stare con le mani in mano." - aggiunse. Finendo l'ultimo e girandosi.

Spike la fissava. Aveva smesso di aiutarla nel momento in cui era diventato evidente che stava cercando di scaricarsi i nervi.

Poteva sempre intervenire, certo. Ma se il caso non lo richiedeva…tanto valeva lasciarla sfogare.

"potevi darmi una mano…"

"Non ti serviva." - replicò, alzandosi -"Andiamo?"

"voglio fare ancora un giro dell'isolato." - spiegò, bellicosa - "perché ti risiedi?"

"perchè se stai cercando un pretesto per stare fuori di casa, possiamo anche metterci comodi, invece di correre in cerchio."

Faith lo squadrò, prima di raggiungerlo.

"Tu puoi dire quello che vuoi. Ma io dubito che sarò all'altezza, stasera."

"Faith… mi dici perché credi una cosa del genere?" - Spike la fissò - "E' un compleanno! La gente compie gli anni quasi tutti i giorni, tutti lo fanno, non c'è niente di particolare…"

"lo so. Ma sono io che non ho mai compiuto gli anni! Io… io non vorrei ripetermi, ma sono arrivata ai diciannove anni senza avere bisogno di una festa di compleanno!

Non capisco perché quest'anno, invece, non riesco a levarmelo dalla testa!"

"inizio a capire…" - Spike la guardò meglio - "Faith, adesso ti spiego una cosa. Ascoltami bene. Il compleanno non è un momento in cui si riceve soltanto. Tu sei preoccupata dal ricevere e non ricambiare."

"Si, ma…"

"Non mi interrompere! Stanno organizzando tutti la festa perché ti vogliono bene. E sono felici di potertelo dimostrare…"

"ma loro me lo dimostrano sempre! Tutti i giorni! Non serve un compleanno, per farlo meglio di quanto già non facciano!" - Faith era disperata - "Mi basta tutto quello che già ho…"

"Faith… posso dirti che c'è anche un altro risvolto del compiere gli anni?"

"Sarebbe?"

"il compleanno serve a te per dimostrare a loro quanto gli vuoi bene." - Spike le sorrise.

"io… non ho capito." - Faith lo guardò, interrogativa.

"organizzare il proprio compleanno è un modo per dire 'ehi, gente, un anno passato insieme! Festeggiamolo!' . Non ha a che fare con i regali che si potrebbero sentire costretti a farti. Ma con la gioia che tu provi a condividere con loro qualcosa di tuo." - scosse le mani, per cercare di schiarirsi le idee - "organizzi qualcosa, offri da bere… oppure ti limiti ad essere felice e tagli su tutti questi gemiti! … in effetti potevo spiegarmi meglio…"

Faith pendeva dalle sue labbra. Cercava veramente di seguire il corso dei suoi pensieri. Gli sembrava che Spike avesse un'idea difficile da rendere a parole.

Un'idea molto chiara…

"Spike…." - lo chiamò, interrompendo lo sproloquio - "Dimmi cosa facevi tu per i tuoi compleanni…"

"adesso? Vuoi saperlo adesso?"

"Noi stiamo parlando, adesso." - commentò Faith, sedendosi vicina - "perché non mi dici quando è il tuo compleanno, per esempio… hai detto che ti piace festeggiarli."

"Ho detto che mi piaceva." - puntualizzò - "E poi, se ti dico quando compio gli anni… magari poi tu decidi di festeggiarlo…"

Appariva decisamente in imbarazzo.

"Ma è così che va, no? Anche tu festeggerai il mio stasera." - Obbiettò lei. Iniziava a sospettare che, sulla questione compleanni, la loro opinione fosse perfettamente uguale - "ed io vorrei festeggiare il tuo."

E visto che lui taceva…

"Abbiamo lo stessa problema, vero?" - sussurrò.

"temo di sì." - ammise - "Il nostro problema è che non vogliamo sentirci legati. Non è così, Faith? Non hai paura di queste radici?"

Faith annuì, in silenzio, decidendo di lasciarlo parlare.

"non mi piace questa situazione. Vivo con voi da quasi sei mesi e già non riesco ad immaginare la mia giornata senza….senza tutte quelle cavolate che facciamo insieme! Cosa accadrebbe se, di punto in bianco, cominciassimo anche a festeggiare i miei compleanni, oppure…"

"Spike… guarda che è così per tutti." - strano, si ritrovava a consolarlo - "tutti abbiamo paura che tutto questo finisca. Mi fanno paura le date perché le persone se ne vanno e resta solo il ricordo del tempo vissuto. E restano dei giorni che non vorremmo aver mai visto finire… o che vorremmo non aver mai vissuto…."

"perché senza sarebbe più facile dimenticare." - concluse, parlando quasi a se stesso - "E' così, Faith. A volte mi sembra che sarebbe bastato un compleanno in meno per dimenticare meglio la mia famiglia."

"Li amavi tanto, vero?" - domandò, senza chiedersi se sarebbe stata indiscreta.

"tanto." - Spike non la guardava, per trovare il coraggio di esprimersi - "Volevo molto bene a tutti loro. Adesso, quando ripenso ai miei, a mio fratello… li riesco a ricordare solo perfetti. Perfetti."

Chinò la testa, e Faith gli carezzò una manica, timidamente. Sembrava così triste.

"Mi fanno paura, queste feste, Faith." - sorrise, girandosi a fissarla - "Ma sono felice, allo stesso tempo, di essere ancora qui a festeggiare il tuo compleanno."

"E noi abbiamo avuto così paura di perderti." - replicò, in un soffio, domandandosi se mai, lei e Spike erano stati così vicini - "Anch'io ho tanta paura che questo finisca. Nella mia vita nulla dura abbastanza da darmi certezza. Nulla."

"Cordelia dice che questo è un motivo in più per festeggiare."

"può darsi che abbia ragione… dovremmo provare." - sorrise, coraggiosamente - "stasera provo io. E tu… quando?"

Spike la fissò, con la sua solita penetrante occhiata.

"Ottobre. 24 Ottobre."

"ok." -annuì, ripetendosi la data per imprimersela nella testa.

"Già. 24 ottobre."

L'aveva detto. L'aveva detto dopo più di centoquaranta anni. Era come aprire un vecchio baule in una soffitta polverosa. E scoprire che gli oggetti al suo interno sono ancora vividi e perfetti.

Come ricominciare a udire voci ormai dimenticate. Risate. Amore. Così tanto da riempire una vita e chissà quante ancora.

"andiamo a casa, Cacciatrice?" - domandò, girando la testa perché non notasse i suoi occhi lucidi - "Ci aspettano."

"andiamo…"

Ed anche se sapeva che non aveva bisogno di un appoggio, Faith si insinuò sotto il suo braccio. Per restarci.

Il più possibile.

 

"Ciao."

Angel li aspettava sotto al portico, appoggiato alla colonna.

Li aveva visti rientrare, così abbracciati. Ed era stato bene attento a non captare le loro parole.

"Ciao." - gli risposero, in coro, allegramente.

Ed Angel ne fu subito tranquillizzato. Aveva temuto che spedire Spike con Faith fosse un po' prematuro… ma si era sbagliato. Ed il consiglio di Lorne si era rivelato, come sempre, giustissimo.

"Ehi, eroe…" - l'aveva apostrofato. Indossava un completo sgargiante ed aveva il savoir faire del gentiluomo al ballo dell'imperatrice. Se non per il gergo - "Come ti butta?"

"Quasi pronti." - replicò Angel, spolverandosi le mani e sollevando un'altra nube di polvere. Alle sue spalle, puntellandosi contro il muro, Westley stava cercando di alzare il lampadario.

"Scusate…"

"oh, sì, scusa Wes…." - disse, precipitandosi ad aiutarlo. Senza aspettarsi che Lorne facesse altrettanto.

"Ingegnoso…" - mormorò, guardando il meccanismo che permetteva di alzare il lampadario e ribloccarlo, con uno scatto, al soffitto - "Dovrei farlo anch'io nella mia sala…"

"Come mai già qui?"

"Doyle e Spike mi hanno chiamato oggi e mi hanno chiesto di recapitare e nascondere una certa cosa… così ho pensato di venire prima. A proposito, dov'è il nostro saggio messaggero?"

"Doyle? Bella domanda." - Wes fece fare un altro giro alla fune prima di darle uno strattone - "E' tutto il giorno che corre in giro. Adesso credo che sia con Cordelia… ma non garantisco."

"Allora, fatto acquisti? E la festeggiata, dov'è?"

"E' stata con me fino a quando Doyle non è venuto a cercarmi. Poi ho perso le sue tracce. Credo sia stata rintanata in camera…"

"Ha fatto un giro anche da me." - si intromise Westley - "Cercava qualcosa da leggere…. Credo che non sapesse più dove poteva andare e cosa poteva chiedere…"

"Le state provocando un bel trauma." - commentò Lorne, decidendosi a collaborare ai lavori. Controllando la polvere sui mobili - "Avete fatto bene a non organizzarle una sorpresa…"

"Credo anch'io."

"Ah, Angel, a proposito di traumatizzati." - aggiunse, schioccando le dita, come se avesse avuto una grande idea - "Dovresti lasciare che Spike vada con lei di ronda."

"non ti sembra un po'… presto?" - chiese. L'idea di saperlo a spasso, su quelle gambe non proprio ferme….

"andiamo! Lo stai rendendo idrofobo, a forza di lasciarlo a casa! È grande, è un vampiro, è Spike." - enumerò - "Tre buoni motivi per fidarsi."

"Secondo me ha ragione." - aggiunse Westley, pulendosi le mani in uno straccio - "Faith si concentrerà sul non farlo massacrare di botte e dimenticherà per un po' questo grande evento…"

"Vedi? Due piccioni con una fava!" - Lorne si voltò, per il puro piacere di sentire la giacca frusciare e tornare impeccabile - "Faith si distrae e Spike riprende un po' di fiducia in se stesso."

"Pensi sul serio che si senta sfiduciato?" - chiese Angel, mentre Wes raccoglieva secchio e straccio e si dirigeva in cucina.

"No, non credo. Ma penso che stia mordendo il freno solo per farti piacere." - proseguì, visto che Angel, come suo solito, lo fissava e lasciava che parlasse - "Sa che ti sei preoccupato molto. Lo sente. Ed allora sta qui tranquillo. Dagli la tua approvazione e buttalo in strada. Male non può fargli…"

"Buona idea." - commentò Angel, più per se stesso che per l'amico.

"Io raggiungo la nostra cuoca provetta in cucina. Il tuo pupillo sta di sopra. Si sente la sua chitarra dal giardino…."

 

"serata tranquilla?" - domandò, tornando al presente.

"Certo. Faith ha fatto un buon lavoro ed io l'ho guardata molto volentieri." - commentò Spike.

E Faith si girò, con una finta esasperazione nella voce.

"Devi dirgli qualcosa! Questo tizio continua a dichiararsi in convalescenza e trascura i suoi obblighi di demone in redenzione!" - esclamò, allontanandosi - "E si prende gioco della mia buona fede per mettermi le mani addosso! Vedi?"

"tu non sei una cacciatrice. Sei una strega." - ringhiò lui - "vatti a lavare, prima che il mio naso abbia un collasso per il troppo lavoro."

"Non si parla così ad una signora!" - ribattè lei, incrociando le braccia.

"tu non sei una signora, sei Faith!" - Spike la guardò, con una punta di divertimento - "E adesso vai!"

E mentre Faith entrava in casa…

"Flagello! Non mi chiedi come sto?" - lo punzecchiò, con un tono di sfida.

"E perché… stai benissimo." - replicò serafico Angel.

"Aspetti qualcuno?"

"Aspettavo voi. E mi godevo la tranquillità." - rispose, guardando una macchina solitaria che passava sulla strada.

"Finiti i lavori?"

"Siamo pronti. È strano, non credi? Una festa. Una festa di compleanno."

"Quale è stata l'ultimo compleanno che hai festeggiato?" - chiese. Prima di mordersi le labbra. Avevano festeggiato insieme un compleanno di Dru. Lui ed Angelus. E Dru era stata deliziata di ricevere un cuore umano in regalo…

"Buffy, credo." - rispose Angel, ignorando quello stesso ricordo - "ho perso la mia anima, la notte del suo sedicesimo compleanno…"

"bene." - mormorò Spike, poco convinto - "con queste premesse, sarà una buona serata…"

"Ma sarà una buona serata, William. Abbiamo tutti dei compleanni da ricordare, belli o brutti. Nostri o delle persone che amiamo. Il compleanno di buffy è stato perfetto, per me. L'ho amata come non avevo mai amato nessuno prima di allora. Avrei solo voluto che quella felicità durasse di più."

Spike chinò la testa. La tristezza che si era già fatta sentire poco prima, parlando con Faith, tornava ad essere insistente.

"Nessun rimpianto, dunque." - replicò, combattendo quelle sensazioni.

"Io no. Almeno in questo caso. E tu?"

"Qualcuno… di quando ero vivo. Ma li avevo già allora…" - ammise, sedendosi sul gradino.

Ed Angel dovette trattenersi dal non aiutarlo. Stringendo le labbra nel notare i suoi polsi, per quel poco così vedevano, mentre allungava le braccia.

Le cicatrici.

Non sarebbero sparite in fretta. Anzi… probabilmente sarebbero passati anni. Era stato un lavoro a regola d'arte. Per ricordare. Non per lesionare.

Non gli avrebbero mai impedito nessun movimento. Sarebbero solo servite a ricordargli che anche le persone che si amano talvolta tradiscono. E uccidono.

Sedette vicino a lui.

Ed attese.

"24 ottobre." - dichiarò in un soffio, sorprendendolo - "Hai detto di pensare al perché non volevo dire la mia data di nascita. E io l'ho fatto. Ho pensato. Ed ho capito una cosa.

Ricominciare a compiere gli anni è come ammettere che il tempo ha ricominciato a scorrere. Che ho di nuovo nella mia vita cose a cui tengo e che potrebbero non durare. Mentre prima… il tempo era fermo, Angel. Non c'era nulla che avesse realmente importanza. Avevo solo Dru. E lei era eterna come me. Ed effimera allo stesso modo."

"Ora è tutto cambiato. Io sono cambiato. Ed anche se non sono più come quando ero vivo… provo nuovamente qualcosa." - Spike alzò lo sguardo verso le stelle,le poche che si potevano vedere, sopra una città fatta di luce - "E non posso neanche dire sia spiacevole."

"solo che ci sono anche le emozioni delle tue vite passate, vero William?" - disse Angel - "Anch'io ne so qualcosa. Il nostro problema è che non possiamo mai ricominciare. Possiamo solo proseguire, cambiando. E cercando di capire. E del nostro passato… possiamo parlare, se vuoi."

Spike si voltò a guardarlo, con un lampo di ironia nello sguardo.

"Angel… tu vuoi parlare? Proprio tu? Hai bevuto, per caso?"

"Io non parlerò molto, ma sono un buon ascoltatore." - commentò Angel. ricambiando la stessa identica occhiata.

Provocandogli un brivido. Un lampo, rapidissimo, mentre un volto del passato si sovrapponeva a quello del suo sire.

"William, stai bene?" - Angel si sporse, per cercare di vederlo in viso.

"Sì. Certo." - replicò, fissando i ciottoli del sentiero - "sto bene. È stato solo uno scherzo della mia memoria. Mi hai ricordato una persona che conoscevo, molto tempo fa."

"Spero fosse una brava persona…" - commentò, impacciato.

"Lo era…" - era il migliore fratello che si potesse desiderare… - "un giorno magari ti parlerò di lui…"

"Con piacere." - rispose Angel, alzandosi, per non lasciarlo così languire nella tensione - "Andiamo a vestirci, che ne dici?"

"A questo proposito…" - Spike gli afferrò la mano e si rimise in piedi. Era la prima volta che accettava un aiuto di Angel senza neanche pensarci.

E tale fu la sorpresa di Angel che per poco non finirono entrambi per terra.

"A questo proposito." - ripetè, una volta che furono faccia a faccia - "avrei da chiederti un favore…"

"Sarebbe?"

"Mi presteresti una camicia? Non ho niente di adatto da mettermi…" - rispose, mordicchiandosi un labbro, imbarazzato.

 

 

III

E mentre Spike ammetteva così la sua preoccupazione per la serata, Faith contemplava con una punta di panico la sua stanza.

Ed i vestiti che stavano sparsi dappertutto. E non c'era niente che le sembrasse adatto. Stava ferma sulla porta. Non riusciva nemmeno a decidersi ad entrare.

E nella sua testa iniziava a prendere forma l'idea di una fuga strategica.

"ciao bimba!" - esclamò una voce alle sue spalle.

Doyle stava salendo le scale e sembrava proprio diretto verso di lei.

Reggeva incurantemente con due dita, un grosso sacco di tela, posato su una spalla.

"oh cielo! Terremoto?" - mormorò, gettando un'occhiata dentro la stanza - "Cordelia sta arrivando. Mi ha detto di darti questo."

"Che… che cos'è?" - chiese, senza capire, mentre Doyle le porgeva un portabiti tinta nocciola, il 'coso' che Faith aveva notato e scambiato per un sacco.

"suppongo qualcosa che si mette." - spiegò serafico lui - "sempre che non sia qualcosa da mangiare. Sai, aveva un sacco di pacchi in mano e potei essermi sbagliato."

"sì, ho capito… ma che cos'è?" - insistette.

"Un anticipo del regalo di compleanno." - "rispose lui, mettendole il gancio della gruccia in mano - "Per altre spiegazioni, sta arrivando Principessa."

In effetti Cordelia stava salendo le scale. Era stata dal parrucchiere ed era già truccata. Impeccabile. Indossava un abitino tinta pastello e degli splendidi sandali dal tacco vertiginoso.

E sapeva camminarci senza sembrare una banderuola.

"Ciao." - la salutò, con il suo tono di sempre. Senza badare assolutamente a come Faith la stesse guardando, le prese dalle mani il pacco e si rivolse al suo demone - "Doyle, vatti a cambiare. Io e Faith abbiamo da fare."

"ah sì?" - chiese lei, sempre più disorientata. Stava tornando l'agitazione che Spike aveva fatto passare, a suon di confidenze.

"Già. Oh, cielo! - Cordelia si stava esprimendo come Doyle, riguardò alla stanza di Faith - "Immagino che tu abbia avuto problemi a scegliere cosa metterti… potevi anche chiamarmi…"

"Mi sembravi troppo occupata." - si difese lei.

"In effetti lo ero. Ma ho pensato anche a questo." - aggiunse, entrando e scavalcando qualche capo per raccoglierne altri - "Vai a farti la doccia. Ti aspetto…"

 

Faith non ci mise molto a lavarsi. Tanto più che Cordelia le era sembrata abbastanza determinata a non lasciare nulla al caso. Per tanto, era consigliabile muoversi e non contrariarla.

Eppure, quando uscì dalla stanza, si ritrovò a domandarsi se, per caso, si fosse aperto un passaggio interdimensionale.

La sua camera era perfettamente in ordine. Davanti all'armadio, intenta a piegare l'ultima maglietta, c'era Cordelia, senza neanche un capello fuori posto.

"ottimo." - commentò, guardando Faith che grondava acqua sulla moquette - "E adesso pensiamo a te."

Senza aspettare autorizzazione, la fece sedere.

E Faith restò imbambolata, mentre Cordelia le strofinava energicamente in capelli. Lasciò che li spazzolasse e li asciugasse.

Le forcine sembravano penetrarle dritte nel cranio, ma Cordelia non le chiese se stava facendole male. E quindi Faith preferì stare zitta e subire.

Non era certa di potersi lamentare…

"fatto."

Cordelia l'aveva pettinata abilmente e a tempi record.

Tra le sue mani si era materializzata una busta azzurra che Faith era certa di aver più volte visto nella sua borsetta.

"Stai ferma, adesso." - ordinò impugnando una matita per le labbra.

Si stava divertendo come una pazza. Non le riusciva facile ricordare che lei e Faith erano quasi coetanee. Per quanto la cacciatrice fosse sempre stata indipendente e piuttosto in gamba a sbrigare le sue grane, Cordelia aveva preso l'abitudine a considerarla più giovane di quanto non fosse.

Per questo, forse, avrebbe potuto anche dare la colpa a Doyle, che tendeva ad essere protettivo nei confronti anche dei vampiri plurisecolari.

Solo che Faith, per certe cose, era veramente da guidare. Soprattutto in una serata del genere…

"Ed anche questa è fatta." - sospirò, con un'ultima passata di pennello sulle palpebre - "Adesso pensiamo al vestiario."

Faith si girò, per guardarla, mentre marciava nuovamente verso l'armadio. Appesa all'anta stava la sacca che Doyle le aveva consegnato.

Cordelia abbassò la cerniera ed estrasse, in serie, alcuni capi di abbigliamento.

E Faith trattenne il fiato.

"Questi sono da parte mia e di Doyle. Il terzo te lo manda Westley. Con i nostri auguri di buon compleanno." - disse, orgogliosamente, posandoli sul letto, mentre Faith si avvicinava.

Cordelia, rispettosa dei suoi gusti, ma ben decisa a comprarle qualcosa di particolare, le aveva acquistato un completo pantalone, di uno splendido blu notte. Sportivo, perfetto per andare a ballare, con una maglietta che lasciava la schiena scoperta. Doyle, invece, aveva optato, dopo aver reso matta la commessa, per una gonna nera, lunga e scampanata, con una camicetta bianca. Un po' zingaresco, certo, ma perfettamente nelle grazie di Faith. Ed ovviamente i pantaloni di pelle, andando incontro alle ire di Cordelia.

"Oh, insomma!" - Aveva esclamato, pagando un conto salatissimo - "Se a quella bambina piacciono queste cose, io le compro. Così come compro a te quei buffissimi cosi che ti metti nei piedi…"

"io ti consiglierei quello di Wes…" - disse Cordelia, guardando soddisfatta l'espressione di Faith - "Non credevo avesse così buon gusto per gli abiti femminili."

Era stata una vera sorpresa. Wes era apparso a metà pomeriggio ed aveva trascinato Cordelia in una boutique, senza darle il tempo di dispensare consigli.

Era entrato e, puntando il dito, aveva educatamente chiesto che prendessero in vetrina il vestito. Senza esitazioni. Come se nella sua mente fosse già chiaramente stampato da tempo. Un vestito color latte, annodato in vita, lungo fino alle caviglie. Era una seta leggerissima, appena lavorata, stampata con fiori piccoli e leggeri, come farfalle dai colori tenui.

Era semplicissimo, con una scollatura morbida, senza maniche.

Faith non si osava neanche toccarlo. In tutta la sua vita non aveva mai avuto nulla del genere, da mettersi. Solo un uomo, malvagio quanto premuroso, le aveva comprato un vestito corto da ragazza.

Un vestito che non aveva mai potuto mettere.

"Attenta a non sporcarlo con il trucco." - mormorò Cordelia, estraendo dal fondo della busta un paio di sandali dorati.

"mi aiuti a metterlo?" - si voltò a fissarla, con occhi enormi - "io non so neanche da dove si cominci."

Cordelia la fissò, tenendo ancora i sandali tra le dita. Le appariva come una bambina troppo a lungo lasciata senza gioia.

Come potevano, in tutti quei mesi, aver trascurato questo aspetto del carattere di Faith?

Cordelia si era chiesta molte volte perché Angel fosse così indulgente nei confronti di quella ragazza che sembrava fatta più di ombre che di luce. E perché Doyle tendesse ad essere sempre molto tenero quando le parlava.

Oddio, lei ne era stata pure gelosa.

Ed ora, inaspettatamente, si trovava di fronte uno scricciolo spaventato dall'essere felice.

"Certamente." - rispose, arrivando a posarle le mani sulle spalle - "E scommetto che ti starà benissimo."

"Guardati." - aggiunse poco dopo, annodandole i nastri in vita - "Sei bellissima. Dovresti vestirti più spesso così."

"sì, certo." - rise nervosamente Faith - "già mi immagino cosa mi dirà Spike."

 

"No, non va, non va."

Angel aveva smesso di fare commenti.

Ormai era vestito. Se non era sceso era solo perché restava a far compagnia ad un tizio seminudo che gli stava vuotando l'armadio.

"William… cosa c'era che non andava nella camicia che ti ho dato?" - domandò cautamente, restando seduto in fondo al letto.

"Nulla. Ma non mi sta bene." - ribattè una voce.

"Ne sono dispiaciuto. Hai trovato qualcosa di tuo gradimento?" - domandò, inclinando un po' la testa. Aveva il dubbio che i pantaloni che Spike indossava fossero di Westley.

la giacca invece, sarebbe potuta difficilmente essere dell'osservatore…. Wes l'avrebbe probabilmente trovata… azzardata.

Ma per un vampiro come Spike era perfetta.

"no! Mi dici perché non ho una camicia bianca?"

"forse perché metti solo delle magliette." - rispose, appoggiando tristemente i gomiti alle ginocchia. Se c'era una cosa che odiava era vedere il suo guardaroba in disordine.

Cosa per cui Spike era un campione.

Lo vide scuotere la testa, disperato, prima di ricominciare a infilare le mani tra una pila e l'altra di maglioni.

"Nessuno ti ha detto che in quest'epoca si possono mettere anche le polo sotto le giacche?"

"perché allora non lo fai?" - gli rispose pungente, dal fondo dell'armadio - "Eppure ero sicuro che tu avessi una camicia come intendo io… eppure non riesco a trovarla."

"forse perché ce l'ho io addosso…" - commentò Angel.

E Spike si voltò a fissarlo.

Con un'occhiata che non lasciava dubbi.

"fammi spazio…" - sospirò, cominciando a slacciarsi i polsini - "Devo cercare qualcosa da mettermi…."

 

"possibile che non ci sia ancora nessuno pronto?" - mormorò Doyle, per l'ennesima volta, sprofondato nella poltrona al centro dell'ingresso.

Fissava da talmente tanto la prima rampa delle scale da non essere sicuro di riuscire più a girare la testa…

Con la coda dell'occhio poteva vedere Lorne che, con il suo inseparabile pettine, si aggiustava quello che riteneva un ciuffo ribelle.

E sarebbe stato difficile non vederlo, con quel colore incredibile indosso…

"Non disperare…" - gli consigliò il demone - "direi che sta arrivando Wes.."

In effetti anche Doyle lo vedeva adesso.

Scendeva le scale sportivamente, con una mano in tasca, aggiustandosi il collo della camicia.

Impeccabile.

"Non c'è dubbio sulla tua nazionalità." - commentò Doyle, squadrandolo con un sopracciglio alzato. Lui e Cordelia avevano discusso fino all'ultimo. Ma il demone era stato tassativo. La giacca, no! Non era ancora nata una giacca che gli stesse bene.

La giacca no!

Ed era per questo che Cordelia, insensibile, l'aveva trascinato in un enorme negozio e gli aveva fatto misurare un modello dietro l'altro, fino a sfinirlo. Ed averla vinta, ovviamente.

"grazie." - Rispose cerimoniosamente l'inglese, caricando un orologio da polso. In effetti il completo grigio gli donava parecchio.

Anche ora, anche se ormai lo smalto patinato da Osservatore era svanito come se non fosse mai esistito.

"Westley, ma che meraviglia!" - aggiunse Cordelia, scendendo la rampa con un'andatura da diva. Il suo tubino rosa pallido faceva risaltare ogni curva ed il suo incarnato perfetto.

"posso dire lo stesso di te, mia cara." - rispose Wes, porgendole la mano ed aiutandola a scendere dall'ultimo gradino - "e più ancora…"

"ballerai con me, stasera?" - chiese lei, dolcemente.

"certo. Te l'avevo promesso, ricordi?"

oh, sì.

Cordelia ricordava perfettamente.

Ricordava il ballo del diploma e Westley che la portava elegantemente a centro pista, mentre intorno a lei il mondo sicuro e sfarzoso stava già andando in pezzi. Mentre cominciava appena a familiarizzare con l'idea delle ristrettezze economiche e di un padre in galera.

Il primo vero uomo con cui aveva ballato.

Il primo che l'aveva trattata con un rispetto che mai nessuno le aveva dimostrato. Senza la pedante adorazione con cui la riverivano i suoi coetanei.

"Non lo credevo possibile… ma stasera sei ancora più bella di allora." - aggiunse, ricambiando il sorriso.

"Westley, stai facendo gli occhi dolci alla mia ragazza…" - l'ammonì blandamente Doyle, avvicinandosi, con le mani nelle tasche dei pantaloni.

"Stavamo ricordando, Doyle." - sussurrò Cordy, senza smettere di guardare Wes - "E tu sgualcirai la giacca, in quel modo…"

"Mia caara…" - Lorne le baciò la mano galantemente - "la tua bellezza adombra persino la mia…"

"mi sembra il minimo." - ribattè prontamente lei - "Non mi chiamavano QueenCordy senza un motivo…"

Si interruppe. Dal piano di sopra, in piena discussione scendevano Angel e Spike.

"Come loro solito…" - sospirò Wes, guardandoli.

Angel davanti e Spike un passo dietro. Elegantissimo, contrariamente ad ogni pronostico.

"Cordy…" - la salutò Angel. Per lui era più che un complimento.

E Cordelia non aveva bisogno di sentirsi dire altro.

Ricambiò radiosa il sorriso, mentre il vampiro le si fermava a fianco. Lui e Spike dovevano aver discusso parecchio sull'abbigliamento, considerò, visto che Angel indossava una camicia scura con il collo alla coreana… e Spike la camicia che avrebbe dovuto avere Angel.

Iniziava veramente a dargliele tutte vinte…

"non manca qualcuno?" - domandò Doyle - "la nostra festeggiata si sta facendo attendere…"

"Credo sia un po' tesa…" - commentò confidenzialmente Cordelia.

"me ne occupo io." - rispose Wes, salendo i gradini due e due, fino alla mansarda.

Aggiustandosi ancora una volta il colletto, prima di bussare.

"Faith? È permesso?"

"Sì, Wes, entra pure…"

stava ferma davanti allo specchio. Ed era semplicemente incantevole.

Wes ebbe una visione del suo riflesso, mentre già la ragazza si girava.

Si torceva le mani, come in imbarazzo.

Cordelia le aveva acconciato i capelli in modo che ricadessero naturalmente sulle spalle seminude. E per una volta, non nascosta sotto pesanti strati di matita nera, Faith alzava verso di lui uno sguardo dorato che la faceva risaltare.

"Come stai bene vestito così…" commentò, per spezzare il ghiaccio. Sperando di tutto cuore che Wes ricambiasse il complimento.

"ed io sono felice di vedere che il vestito ti è piaciuto…"

"Oh, Wes, non ho mai avuto niente del genere." - Faith camminò, fino quasi ad appoggiarsi al suo petto - "io non potrò mai ringraziarti abbastanza per tutto questo."

"Io non potrò mai ringraziare te abbastanza, Faith." - rispose lui, seriamente - "Perché hai saputo ricominciare a fidarti di me, dopo tutto quello che ti avevo fatto…"

"Non sono mai stata una brava ragazza, Wes." - Faith scosse la testa, adombrandosi - "E mi sono pentita di molte cose. Ma non mi pentirò mai di ricambiare la fiducia che tu hai nei miei confronti."

Wes le sorrise. Aveva un'espressione dolce che Faith gli aveva visto ben poche volte, che gli contornava gli occhi con leggerissime rughe.

Come se, in un'epoca lontana, avesse sorriso così tanto da imprimere ogni espressione nella sua pelle.

Aveva degli occhi chiari bellissimi. E comprensivi.

Faith lo guardò, spaventata di colpo dall'adorazione che sentiva per lui. Nel suo piccolo mondo, due erano i pianeti attorno a cui instancabilmente ruotava: Angel e Wes.

Il suo Wes.

Quanta paura, nel provare nuovamente un sentimento del genere. Quanta paura, a desiderare nuovamente che fosse il suo osservatore.

Anche se era una rinnegata.

E una poco di buono.

Wes le stava accarezzando una guancia, senza che nulla scalfisse la sua espressione.

"Hai scordato di mettere gli orecchini…" - l'ammonì.

Facendola sorridere.

Complice.

"Aiutami tu…" - rispose, voltandosi ad afferrare i cerchietti che Cordelia le aveva prestato.

Ma solo prestato! Come si era più volte raccomandata.

E Wes lo fece. Aggrottando la fronte, come aveva fatto meno di ventiquattro ore prima. Impegnandosi, come se fosse una cosa astrusa e complicata.

"Grazie." - mormorò educatamente Faith, quando finalmente sembrò aver terminato l'opera.

E, di tutta riposta, Wes si chinò ancora. Per darle un bacio sulla guancia.

Un bacio in cui cercò di condensare disperatamente tutto quello che Faith rappresentava per lui.

"Buon compleanno, piccola." - sussurrò.

Prima di offrirle galantemente il braccio.

 

Scesero le scale chiacchierando, e ridendo.

Cordelia aveva provveduto a comprarle anche una borsetta, una baguette, in tinta con i sandali, che Faith scuoteva, tenendola stretta nella mano destra.

Rideva, gettando indietro la testa, come se una felicità incrollabile iniziasse a travolgerla. Facendole brillare gli occhi.

Anche Wes rideva, chinando il capo, ogni tanto.

Ed erano ancora tutti fermi ai piedi della scala.

Tutti pronti a girarsi verso di loro, non appena raggiunsero la cime dell'ultima rampa.

E Faith, con un attimo di esitazione, decise di fermarsi.

La paura tornava a farsi sentire.

Una volta finiti quei gradini, sarebbe stato troppo tardi per tornare indietro.

Non sarebbe mai più stata sola. Definitivamente.

Come erano belli….

Voleva ricordarseli tutti così, con gli occhi alzati verso di lei.

Non per il rispetto che aveva quel gesto, ma per l'amore. L'amore che c'era nei loro occhi.

L'amore a cui nessuno l'aveva mai preparata.

L'amore per cui non si era mai sentita pronta.

Così.

Così come erano.

Doyle teneva Cordelia per la vita, quasi a dimostrare al mondo intero che quella meraviglia gli apparteneva. E sorrideva, a beneficio di tutti, come solo lui sapeva fare.

E vicino c'era anche Lorne, che era sempre gentile con lei, dalla prima volta in cui si erano visti.

Un passo dietro di lui, nel tentativo di essere distaccato, c'era Spike, elegante come non era mai stato, con una giacca di velluto nero, lunga fino a metà ginocchio. Una giacca che faceva risaltare la sua vita sottile e quella sua testa troppo bionda.

Ed anche lui alzava lo sguardo, per vederla, per rivolgerle uno sguardo a metà tra il complice e l'ammirato.

Nei suoi occhi si poteva leggere ciò che ancora non poteva ammettere.

Lui era parte di loro.

In lui brillava lo stesso legame.

Ed uno di loro stava salendo le scale.

Uno le stava venendo incontro.

Con un sorriso tenue dipinto sul viso.

Un sorriso che non erano abituati a vedere spesso.

"Angel…" - sussurrò, lasciando che le labbra si incurvassero in un sorriso enorme e involontario.

Mentre lui si fermava, un gradino più in basso, per non sovrastarla. Per guardarla.

E contemplarla.

Mentre Faith si protendeva e lo abbracciava. Con un braccio solo, cingendogli il collo, posando la guancia sulla sua camicia.

Senza lasciare andare la mano di Westley.

Li voleva vicini. Così vicini da sentirsi soffocare e proteggere allo stesso tempo.

Avrebbe voluto ridere e piangere. Ed invece restò così, aggrappata al suo collo, con gli occhi chiusi, fissata da tutti loro.

"Buon compleanno, piccola mia, buon compleanno." - ripetè lui, stringendola.

Chiudendo gli occhi. Cercando disperatamente di non ricordare le braccia della sua piccola Kathie che lo stringevano allo stesso modo.

Cercando di non pensare come Faith fosse come il mare che si infrange sullo scogliere dell'Irlanda, come potesse essere la risposta a molti suoi perché.

La strinse, preoccupato di sciuparle il vestito, allarmato dall'idea di non volerla mai più lasciare.

"Cosa sarei senza di te…" - le sussurrò, in un orecchio.

"Saresti Angel." - rispose lei, senza alzare la testa - "Ed io sarei nulla."

 

A malincuore si separarono.

Ma era la felicità perfetta.

Nulla più. La felicità era poter scendere le scale, stretta tra loro due. Sorridendo.

Ed iniziando a prendere gusto ai festeggiamenti.

"Pensate che mi lascerete abbracciarla, voi due energumeni?" - chiese Doyle, guardando gli Angeli custodi di Faith.

E stupendosi non poco, quando fu Faith stessa, ridendo, a buttargli le braccia al collo. Stringendo, per l'esattezza, in un unico abbraccio, lui e Cordy.

"Grazie. Grazie di tutto." - sussurrò.

"E non hai ancora visto niente." - esclamò Lorne, tendendole le braccia - "su, su! Qua, bambina! Un abbraccio a zio Lorne!"

"oh, Lorne!"

non riusciva a smettere di sorridere. Voleva andare avanti in eterno, ad abbracciarli, a passare da un calore del corpo all'altro.

Voleva nutrirsi da tutti loro.

In eterno.

E volteggiando così, inevitabilmente, arrivò davanti a Spike.

E Spike già li guardava tutti con aria di sfida, buttando in fuori la mascella.

Faith ebbe un'esitazione. Poi, con un certa ilarità repressa, gli porse la mano da stringere.

E Spike la guardò. Con gli stessi occhi che le aveva riservato, quando l'aveva vista apparire in cima alla scala, incoronata della sua gioia.

Non riconoscendola quasi, come una rosa improvvisamente sbocciata.

La guardò, se la impresse fino in fondo alla anima.

Bella, con le sue guance arrossate e gli occhi come stelle.

"Ma piantala." - l'apostrofò.

Abbracciandola così forte da toglierle il fiato. Stretta, prima ancora di sapere se sarebbe stato ricambiato.

Respirando del suo profumo, del suo palpito.

Non desiderando nulla che quest'attimo in eterno.

Sentendola ridere sul velluto della sua giacca. Prendendosi quasi la borsetta in testa, nella foga.

E sentendo ridere se stesso.

Sorprendendosi, nell'attimo in cui l'abbraccio si scioglieva, ad asciugarsi una lacrima che gli stava scivolando lungo lo zigomo.

Senza riuscire a smettere di ridere, neanche adesso, che forse stava facendo un po' la figura dell'idiota…

Faith lo guardò ancora, con quel bel sorriso di cui non sapeva fare più a meno. Poi decise di venire in suo soccorso.

Girandosi e guardandoli tutti, fermi dove li avevano lasciati.

Avrebbe voluto dire qualcosa, mentre Spike si ricomponeva. Ma dalle labbra non riusciva a far uscire nemmeno un suono.

Rimase ferma, senza neanche immaginare come loro stessero facendo come lei, imprimendosi ogni dettaglio nella mente.

"Allora?" - la voce di Spike, la fece sussultare - "Andiamo o restiamo qui impalati?" Le passò a fianco e camminò, fino a trovarsi in mezzo al gruppo.

Guardandoli tutti bellicosamente.

Prima di stupirli, come solo lui sapeva fare.

"Ehi, bellezza!" - disse, girandosi verso Cordelia e porgendole il braccio - "Facciamo gli onori di casa!"

 

E fu così che si avviarono in processione.

Cordelia e Spike, davanti, chiacchierando del più e del meno. Lui si stava rivelando, agli occhi della ragazza, galante quanto Wes. Le sorrideva, girandosi a guardarla in faccia, nel parlarle a raffica. Ed anche se il suo cuore ormai conosceva un inquilino fisso, Cordelia non poteva obbiettivamente negare che Spike fosse un… "bocconcino"…

Dietro di loro, sempre con due cavalieri, camminava Faith. Lorne e Doyle facevano battute sopra alla sua testa, impedendo al minimo silenzio di affacciarsi nell'atmosfera.

Ed in fondo alla fila, con un'andatura tranquilla, Angel e Wes.

Uno a fianco dell'altro.

"Quel vestito è perfetto, Wes. Cordy mi ha detto che è opera tua…"

"Non ho resistito." - replicò l'Osservatore - "Avevo qualche perplessità… ed invece… ma non è il vestito, Angel. E' lei che è perfetta."

"Lo so." - Angel ebbe una fuggevole visione del profilo di Faith. Faith, ridente, che alzava la testa verso Lorne - "E vorrei vederla così felice per sempre."

 

La felicità è stata creata per stupirci.

Ci riempie il cuore e trabocca, inondando ogni cellula.

E noi ci dissetiamo da lei, riempiendo con il suo ricordo i giorni a venire.

Eppure non ci basta mai. E quando pensiamo che essa ormai ci abbia del tutto invaso, cresce ancora.

E diviene luce.

 

Faith era ferma sulla porta.

E non era più la sua vita. Da quella soglia cominciava il suo sogno.

Non aveva mai badato al grande salone del pianoterra. Angel e Cordelia l'avevano chiuso molto prima del suo arrivo, coprendo meticolosamente i mobili, arrotolando i tappeti.

E dietro quelle porta chiuse, lo sfarzo dei tempi passati era rimasto sopito, sotto la coltre fatta di buio e lenzuola candide.

Ma ora…

Ora i lampadari splendevano ed i pavimenti erano lucidi. Al centro del salone, sotto le grandi e luminose gocce di cristallo, era apparecchiata una tavola ovale.

Ed i candelieri gettavano una calda luce sui piatti.

E c'erano candele ovunque, candele di cera bianca alle pareti e lungo i mobili.

Tutto era fatto di quella fiamma, tutto la rifletteva.

E c'era musica, musica tenue che si sprigionava dalle casse dello stereo. E dischi, i dischi di Wes, impilati su un tavolino.

Faith si portò una mano alla bocca.

Senza più nulla per esprimersi.

Fino a quando una mano gentile non la sorprese, posandosi sulla guancia.

"No, questa no." - mormorò Doyle, raccogliendo la prima lacrima.

E lasciando che Faith si perdesse in un sorriso.

IV

Cordelia aveva superato se stessa.

E fu a lei che dedicarono il primo dei brindisi.

A lei che sedeva ad un capotavola, deliziandosi dei complimenti che riceveva, orchestrando alla perfezione i piatti che si passavano.

"A Cordelia."

"A Cordelia!"

A Cordelia, che chinava lo sguardo arrossendo e stringeva la mano di Doyle, sotto il tavolo.

Prima di cercare, Angel, seduto all'altro capo.

"E' così che la vedevi vero?" - chiedeva con gli occhi - "Qui seduto, stamattina…non era così che doveva essere?"

"Oh, sì." - pensò Angel, annuendo per risponderle - "Così, amica mia."

 

La disposizione a tavola si era creata naturalmente e nel migliore dei modi.

Contrariamente alla tradizione, come ovvio all'Hyperion, Faith sedeva su un lato lungo.

Tra Spike e Wes.

Mentre di fronte, pronti ad esibirsi in botta e risposta, con aneddoti neanche immaginabili, Doyle e Lorne. Abilissimi a tormentare Westley, riguardo alla sua condizione di beato tra le donne.

"Tutta invidia, ragazzi." - ribattè pacatamente - "Queste fanciulle mi amano alla follia, dovete rassegnarvi."

"Tranquillo Doyle." - aggiunse Cordelia, inarcando indietro al testa per ricevere un bacio - "Anche tu mi piaci abbastanza…"

"E tu mi piaci troppo." - replicò lui.

Avrebbe fatto di tutto per Cordelia.

Ed era così felice e così vivo che Angel stentava a ricordare il dolore che avevano provato il giorno in cui avevano creduto di averlo perso.

Per sempre.

Doyle stava ridendo di qualcosa che Cordelia gli sussurrava ad un orecchio. Eppure i suoi occhi già puntavano quelli di Angel. Capendolo, come sempre.

 

"Uomo… come vedi ci si rincontra!"

"Cantastorie…" - mormorò Angel, levandosi la giacca e posandola - "mi stupivo non ti fossi fatto ancora vivo."

"Sei a Los Angeles solo da qualche giorno, ho pensato di lasciarti ambientare." - replicò, passandogli vicino e aprendo il frigo - "Non hai della birra? Non mi dirai che c'è solo sangue di maiale qui dentro."

"spiacente. Non amo gli alcolici."

"Questo lo so. Ma dovresti tenerne un po', per gli amici che passano a salutarti."

Io non ho amici. Replicò asciutto, Angel.

Avevo una ragazza che amavo. Avevo il suo calore. E lei era tutto. Ed ora lei ha il mio cuore.

E io più niente.

"Adesso hai anche un amico." - ribattè il demone, battendogli una mano sulla spalla - "E scommetto che sarò il primo di una lunga lista."

Angel lo guardò, mentre si buttava sul divano e, dal nulla, estraeva un mazzo di carte. "Cantastorie…" - esordì.

"Doyle." - lo interruppe l'altro, per niente intimorito - "Chiamami Doyle."

 

Doyle.

Com'era il mondo senza Doyle che mi ride in faccia?

Angel abbassò lo sguardo, celando un sorriso.

Cordelia aveva apparecchiato anche per lui. Pur sapendo che gli bastava un bicchiere colmo. Non le importa per niente del fatto che a fine serata lo troverà probabilmente pulito.

L'ha fatto perché a tavola ognuno ha un posto ed un piatto.

Ognuno ha un posto…

 

"E se ognuno sta al suo posto e fa il suo dovere, sono certa che questa agenzia investigativa farà soldi a palate."

"Cordelia, non è questo l'obbiettivo…" - sospirò Angel, seduto sul divano. Erano almeno venti minuti che Cordelia Chase, tornata nella sua vita da meno di ventiquattro ore, cercava di strabiliarlo con grandi investimenti.

E non metteva neanche in dubbio di essere stata assunta.

"Ma non importa!" - scosse la testa, come una che non riesce a farsi capire - "Mentre tu vai in giro a fare del bene, io farò quadrare i conti e prenderò le chiamate. È semplice. Ed io sono brava a trattare con la gente…"

lo era veramente… ma non per quello pensava lei…

E già allora, mentre parlava senza mai prendere fiato, esponendo un'idea più infantile dell'altra, Angel non faceva altro che domandarsi come non si rendesse conto dell'adorazione degli occhi di Doyle.

 

Com'era cambiata. Rideva e parlava, allungandosi sul tavolo per passare la bottiglia di rosso a Lorne.

C'era voluto così poco per far sbocciare quella ragazza snob che aveva tutto ai suoi piedi. Quella ragazza che era cresciuta nella certezza di non conoscere mai la fatica ed il dolore.

La ragazza che molti avevano apostrofato come stupida.

Senza uscire mai dalla loro mediocrità per poter vedere come proprio le difficoltà e le piccole cose l'avessero fatta crescere. Portandole amore e vita.

Amore e vita che lei era stata capace di elargire in egual misura.

Senza smettere mai di essere, semplicemente e sinceramente, Cordelia Chase.

 

Per lei. Perché tutto fosse perfetto.

"Ehi, Lorne, passa quel piatto." - disse Angel allungando una mano. E riempiendo il proprio.

Facendola sorridere ancora più luminosamente.

 

Anche Spike stava facendo onore a tutto. Rideva e cercava di essere se stesso al cento per cento.

Solo che... era più felice.

Per quanto cercasse di essere incurante come al solito, non poteva fare a meno di lasciarsi travolgere dall'esuberanza dei suoi commensali. Persino quel sostenuto del suo sire… poteva abbassare lo sguardo finché voleva, ma lo vedevano tutti che stava sorridendo.

Battute su battute.

Una sull'altra.

Fino a quando una piccola mano, insinuandosi nella sua non lo sorprese.

"Tutto ok?" - sussurrò Faith, mentre Spike si chinava verso di lei.

"Certo." - rispose lui, in un sorriso - "Sei felice?"

Non aveva bisogno di una conferma. Poteva leggerle in viso ogni più piccola emozione.

Eppure non aveva resistito all'idea di chiederlo.

All'idea vederla annuire, solo per lui.

"Sei bellissima, stasera." - sussurrò, prima di alzare la testa e rispondere ironicamente a Doyle che lo provocava.

Lasciandola senza fiato.

Perché mai pensava che l'avrebbe detto.

Wes si era alzato. Ed aveva girato il disco.

 

E questo aveva scatenato il secondo brindisi.

"A Wes!"

oh, sì, a Wes.

Che sta sorridendo rivolto verso lo stereo, e ci volta le spalle, perché non sa come rispondere a tutto questo.

A Wes.

Doyle alzò il calice, ancora più in alto, in segno di rispetto, innanzi all'eminenza di quell'uomo silenzioso. Uno dei più grandi uomini che avesse mai conosciuto.

A Wes.

Che, per quanto inglese, era degno di rispetto…

 

"Cordy!Angel!" - Wes lanciò tutte le sue valigie nell'ingresso e corse su dalle scale. Frenando in cima - "D-Doyle?"

"Così finalmente ci conosciamo…" - commentò il mezzo-demone, seduto sull'ultimo gradino. Intento a giocherellare con un mazzo di carte - "E non nego che per me sia un piacere…"

"Ma…come?"

Il cervello di Wes stentava ad accettare tutte le informazioni con cui era stato bombardato nelle ultime ore. Angel, avvelenato. Cordelia che lo chiamava nel cuore della notte…e Doyle, tornato da chissà dove…

"Come? O perché… qual è la domanda più interessante?" - lo canzonò blandamente - "possiamo parlarne… ma io probabilmente non saprò darti nessuna delle due risposte…"

"oppure sarò io a non capirle." - replicò prontamente l'osservatore, lasciando che i loro sguardi si incontrassero. Notando, per la prima volta, un sorriso leggero e garbato, sul viso del suo interlocutore.

"Forse…" - commentò, senza smettere di mischiare le carte - "Ma chi può dire…"

 

"Bene!" - esclamò,Lorne, riempiendo nuovamente tutti i bicchieri - "A chi tocca adesso?"

"Che domande!" - rispose Cordelia, rischiando di fare la doccia a Doyle, nell'alzare con foga il bicchiere - "A te! A Lorne!"

oh, sì. A te, narratore di anime.

A te, alla tua voce.

Alle tue battute idiote.

Alla tua vitalità ed al tuo incrollabile buonumore.

A te. E al calcio che sai darci per rimetterci sulla strada giusta…

 

"Ohibò!" - mormorò lo strano individuo vestito di giallo, emergendo dalle macerie.

"Scusa?ohibò a chi?" - rispose Cordelia, puntandogli addosso la balestra.

"A lui!" - ribattè l'altro, per niente intimorito dalla ragazza bruna e focosa, puntando un dito verso Angel - "A lui! Un vampiro con tanto di anima! Il vampiro con tanto di anima! Posso avere un autografo?"

"Ma cos…" - Angel lo guardò, interrogativo - "Tu, senti la mia anima?"

"No." - serissimo scosse la testa. Aveva dei buffi cornini ed un viso tutto verde, sotto la calce che lo ricopriva - "Io sento, leggo, mappo le anime… ogni tanto le palpo anche un poco. Ma mai senza permesso! Sono un gentiluomo, io!"

Ed era riuscito ad ergersi in tutta la sua statura, abbottonando la giacca, senza curarsi del disastro in cui si trovava.

Con un gesto che avevano impiegato poco a capire quanto fosse tipico della sua indole.

 

Antipasto, primo, secondo, contorno… di certo non si saltava neanche una portata.

Il contenuto dei piatti spariva e le candele si consumavano. Tutto senza fretta, lasciando scorrere un mare di vita e di ricordi tra loro.

Ricordare.

Ridere.

Parlare.

Essere, semplicemente.

E volersi bene.

Cordelia teneva la giacca di Doyle sulle spalle. Più per sentirlo vicino che per scaldarsi.

Era il cuore che desiderava calore.

E quella sera ne era pieno, tanto da traboccare.

C'era tutta la sua vita attorno al tavolo.

Poteva scorrere lo sguardo da uno all'altro e sentirsi intimamente orgogliosa per essere parte di quel gruppo.

Wes, Faith, Spike, Angel, Lorne e… Doyle.

L'ultimo dell'elenco ed il primo nel suo animo. Nulla più che un paio di occhi chiari e un cuore ambulante.

Ma cosa si poteva di chiedere di più?

Nulla.

Non è vero, Angel?

Vorresti di più dalle persone che ti circondano?

 

Effettivamente no. Non si può volere nulla di più.

Spike si godeva un attimo di quiete. Aveva allungato le gambe sotto il tavolo e si era acceso una sigaretta.

"ma tu guarda quello." - commentò Doyle, fissandolo - "pure il portasigarette…"

"bello, vero?" - Spike lo girò tra le dita, per farlo vedere bene - "non ricordavo neanche di averlo…"

"e puoi anche offrire? Non ho voglia di andare a prendere le mie…"

"lo prendi al volo?"

"non ti fidare…" - lo ammonì Lorne, allungando una mano - "Semmai lo prende in testa."

"Spiritoso…" - commentò Doyle, prelevando la sigaretta e ammirando l'oggetto. Un pezzo d'epoca, un argento pregevolmente intarsiato - "Hai anche da accendere?"

"Certamente." - rispose il vampiro, senza sfidare la sorte, in un lancio del suo Dupont.

"Spike e il suo accendino. Due entità inseparabili…" - declamò Lorne.

"In effetti ha ragione." - aggiunse Faith, girandosi a fissarlo - "quello zippo è veramente bello."

"Non è uno zippo." - rispose automaticamente Spike.

Prima di rendersi conto che lui ed Angel avevano parlato all'unisono.

Doyle aveva alzato gli occhi sopra la fiamma.

"Bene, bene…" - commentò, con la sigaretta con le labbra e la malizia nello sguardo - "Così viene fuori chi te lo ha regalato…"

"ma tu devi deciderti a parlare sempre nei momenti sbagliati?" - sospirò Spike, lanciando ad Angel un'occhiata trucida. Prima di mettere a posto Doyle - "Avanti, Irlandese, non dirmi che non lo sapevi…"

"io sì. Ma gli altri no."

In effetti, attorno al tavolo, erano molti quelli che si erano domandati da dove provenisse quello splendido oggetto che Spike teneva quasi cronicamente in mano.

Nel tempo avevano iniziato a non badare più a quel continuo scattare del coperchio, quando ci giocherellava. Un suono che, i primi tempi, era stato indisponente quanto lui.

"E se non è uno Zippo, che cos'è?" - insistette Faith.

"Si chiama Dupont. Lo Zippo francese." - tagliò corto Spike, spegnendo la sigaretta che stava fumando - "Angel me l'ha comprato perché smettessi di rompergli le scatole, quando è venuto a recuperarmi a Sunnydale."

Non era propriamente andata in questo modo. Ma Angel tenne per sé il motivo per cui aveva regalato quell'oggetto.

"Un oggetto per accendere le idee…" - commentò noncurante Doyle.

E Spike ricambiò l'occhiata. Cogliendo perfettamente l'allusione.

Ed ignorandola.

Per una frazione di secondo. Prima di puntargli addosso quegli occhi color del calcedonio.

"Le mie." - replicò - "A te accende solo le sigarette…"

"la smettete di punzecchiarvi, voi due?" - domandò Cordelia, guardando prima uno e poi l'altro - "Angel, fai qualcosa!"

"Perché io?"

"Perché uno è il tuo custode e l'altro il tuo pupillo!"

"Io non sono il pupillo di nessuno."

"Custode… che parolone… io sono solo un messaggero…"

"Come vedi, Cordy." - sorrise Angel, sopra le mani intrecciate - "Non ho ascendente su nessuno dei due."

"Allora il prossimo brindisi è per te" - commentò Spike. alzando il bicchiere - "ad Angel che non ha ascendente su nessuno ma è indispensabile per tutti."

"Ad Angel!"

"Per te, mulo irlandese…" - aggiunse sottovoce, buttandogli un'occhiata di traverso, prima di vuotare in un fiato il contenuto del calice.

Per Angel.

Brindavano per lui.

Per i suoi controsensi. Per la sua indole silenziosa e la capacità di dire la cosa giusta, per la sua espressione triste ed il suo sorriso aperto.

Per essere un solitario in compagnia.

Per la sua tormentata redenzione e la serenità che comunicava a tutti loro. Per tutto questo e più ancora.

Tutti con un buon motivo per levare alto il bicchiere e rivolgergli uno sguardo fatto di affetto e di amicizia.

 

"Forza!" - iniziava a diventare evidente come Lorne prendesse sul serio il ruolo del mattatore - "dopo aver svelato, almeno in parte, il mistero dell'accendino, proseguiamo! Nuovo giro e nuovo segreto. A chi tocca?"

" A nessuno." - Cordelia si alzò, lasciando scivolare la giacca di Doyle - "Perché siamo arrivati al dolce."

Oh no… il dolce!

Faith si ricordò di colpo un particolare.

Le candeline! Senza neanche volerlo, si aggrappava già al ginocchio di Spike.

Gli rivolse un'occhiata preoccupata, mentre gli altri si alzavano e davano una mano a sparecchiare.

"Che c'è, adesso?" - mormorò.

"Spike…"

non ebbe modo di finire la frase. Spike già rideva appoggiato al tavolo.

"Tu hai il panico da palcoscenico, ragazza mia! Perché scommetto la mia perspicacia sul fatto che stai pensando a come si soffiano le candeline…"

"ti prego, non mi prendere in giro…"

"Immagino che ti sentirai peggio, se ti dirò che con la torta arriveranno anche i regali…" - aggiunse, perfidamente.

"Oh, mamma…"

"A questo proposito…" - aggiunse, come se si fosse ricordato di colpo qualcosa - "Devi venire con me…"

"Dove? Perché?"

"Il dove è di là, il perché è lo stesso di oggi. Qui intralciamo."

La prese per una mano, per trascinarla. E Faith, per non inciampare, sollevò il vestito con una mano. Con un movimento estremamente femminile.

Fino nell'ingresso.

"Stai qui. Torno a prenderti." - le disse. Prima di girarsi e tornare indietro.

"Mi lasci qui?"

"Cacciatrice, come sei lamentosa…" - l'apostrofò, buttandole un'occhiata divertita, prima di chiudere nuovamente la porta scorrevole.

 

"Fatto. Mi sono liberato di lei." - commentò, sfregandosi le mani e tornando dagli altri.

"Avessi fatto più in fretta, avresti potuto aiutare…" - rispose Wes, posando sul tavolo la fantomatica torta.

"Cordelia?"

"Come da disposizioni di Doyle. Relegata in cucina."

"Dov'è Lorne?"

"E da quando fai così tante domande?" - Wes lo guardò, alzando un sopracciglio.

"Da quando il tizio in questione ha in consegna il mio regalo."

"Il tuo regalo gode di ottima salute, biondo rompiscatole." - declamò Lorne, arrivando con uno scatolone - "E' l'idea più malsana che potesse passarti per la testa, ma io l'ho procurato ugualmente. E senza un commento…"

"Ah, senza un commento…" - ribattè Spike - "Pensa che mi ricordavo diversamente…."

"Cosa le hai preso?" - Wes si avvicinò, curioso.

"io ti ho chiesto cosa hai preso? No. E allora fatti gli affari tuoi."

Doyle stava arrivando con due confezioni lunghe e affusolate, che depositò sul tavolo.

"Tutto a posto?"

"Dimenticavo…" - mormorò Wes, sfilando di tasca un sacchetto di velluto - "Il nostro…"

"Tu e Angel vi siete proprio sprecati." - lo importunò Doyle, valutando a occhio le microscopiche dimensioni del pacchetto. Sapendo, per giunta, benissimo, cosa conteneva.

"Siamo pronti?"

"Se lo chiedi un'altra volta…"

"D'accordo." - ripetè Doyle - "allora siamo pronti. Vado a prendere Principessa."

Ed io vado da Faith, replicò pacatamente Angel.

 

La cacciatrice camminava nell'entrata. Per il puro piacere di sentire la seta sulle gambe. Avanti e indietro, con le mani intrecciate dietro la schiena. Ed il naso verso l'aria.

Fantasticando.

Un lusso che non si era mai permessa.

Angel, silenzioso come sempre, non aveva disturbato quelle fantasie. Ed ora la fissava, dalla porta, aspettando che si girasse.

Si girasse per vederlo.

Restando immobile a centro stanza, mentre i capelli le si posavano nuovamente sulle spalle e la stoffa smetteva di emettere quel leggero battito d'ali.

Ferma, le mani ancora intrecciate, con il viso rivolto verso di lui.

Seria.

Perfetta.

"Angel…."

Faith si nutriva di quel nome. Lo pronunciava senza mai dargli seguito con una frase.

Racchiudeva quel nome in un respiro, un profondo e vitale respiro.

"Sono felice, Angel. Lo sono." - disse, camminando verso di lui. Ondeggiando su quei sandali sottili e leggeri - "Sono felice come non sono mai stata."

Ed Angel l'abbracciò.

"Perdonami, stasera, potessi, non farei altro…" - le disse, sorridendo. Prima di aggiungere - "Spike ha detto qualcosa riguardo le candeline…"

"E' proprio uno spione…" - replicò lei, scotendo la testa - "però ha ragione. Ho un problema con le candeline…"

"hai buoni polmoni." - commentò Angel, tirandole indietro un ricciolo ribelle e puntandolo con una forcina - "Prendi fiato, esprimi un desiderio e le spegni tutte in un soffio. E non dire il tuo desiderio, altrimenti non si avvera. Tutto qui."

"Sembra facile…"

"Hai trovato qualcosa di difficile, fin qui?"

"Tu lo sapevi, vero?" - Faith alzò lo sguardo, sorridendogli - "Sapevi che sarebbe stato tutto così semplice e perfetto."

"si sono impegnati tutti perché lo fosse. Non poteva essere altrimenti." - spiegò Angel - "Tu ci hai dato l'occasione di festeggiare il fatto di essere assieme."

"Spike dice che al proprio compleanno si può anche donare, oltre che ricevere… io vorrei potervi dare quanto voi state dando a me."

"lo fai e neanche te ne rendi conto." - Angel sentiva un groppo formarsi in gola. Tese la mano e, afferrando quella della ragazza, se la pose sul petto - "Faith, qualunque cosa accada, tu avrai sempre un posto qui. Proprio qui, nel mio cuore. Io ti proteggerò e ti vorrò bene in eterno…"

Lo guardava, levando su di lui quegli enormi occhi dorati.

Palpitando, come può fare solo una persona forgiata di vita ed energia pura.

"Credimi…"

"Io ti credo, Angel. ti ho sempre creduto."

V

"Finalmente! Stavamo tirando a sorte per vedere chi dovesse venire a cercarvi…." - commentò Spike, sdraiato su uno dei divani addossati alle pareti. Il tavolo era ingombrato di un quantitativo di pacchi impressionante. E gli invitati si erano spostati in un angolo, allestito come un salotto.

Divani, poltrone, un paio di vassoi di dolci sul tavolino basso e, con grande gioia di Spike, un carrello di ottone su cui facevano bella mostra delle bottiglie di liquore.

"Te le avevo promesse…" - rispose compiaciuta Cordelia, sedendosi contro il suo stomaco. E lasciandosi tranquillamente cingere con un braccio.

C'era un certa complicità tra loro due. Una complicità forgiata a suon di litigate e molto affetto.

Si era voltata, per rispondergli. E la luce l'aveva incorniciata, abbagliandolo.

Come quel giorno, quando aveva ripreso i sensi, trovandola seduta sul margine del suo letto…

 

"Spike…" - sussurrò, quando finalmente, dopo ripetuti battiti di ciglia, sembrò metterla a fuoco - "Mi riconosci?"

Spike la guardò ancora, abbozzando un sorriso. Un sorriso più vicino ad una smorfia. "Gattina…ciao…" - mormorò, sentendosi la bocca impastata.

"Ci hai fatto prendere un bello spavento…" - sussurrò lei, lasciando scivolare a terra la rivista che stava leggendo e chinandosi.

Spike era disorientato, faceva fatica a restare sveglio. Ma la mano di Cordelia sulla sua fronte era un balsamo, per riprendere contatto con la realtà.

"Angel…"

"Te lo vado a chiamare…"

"No….no…" - replicò Spike, con voce flebile, chiudendo gli occhi - "Non importa… resta qui…."

Cercando la mano con le sue.

 

"Spike, mi stai fissando…" - lo apostrofò, maliziosamente, riportandolo al presente - "Guarda che ho un fidanzato molto geloso…"

Spike le sorrise, aspettando che si girasse, per poter fissare il suo profilo, prima di chiamarla nuovamente.

"Cordy…"

"Dimmi Spike."

"Grazie. Di tutto."

E Cordelia, di tutta risposta, chinando lo sguardo, gli carezzò le mani, quelle mani tanto fredde eppure portatrici di affetto. Con un sorriso tenero, come può avere solo chi comprende.

 

"scusateci…" - rispose Faith, avvicinandosi e tenendo per mano Angel - "Ma lui è un vero chiacchierone…"

"Allora, cacciatrice, li vuoi i pacchetti?" - l'apostrofò malizioso il vampiro biondo.

"A dire il vero…no." - Faith scosse la testa - "Non ancora. Possiamo aspettare, vero?"

"Per me non ci sono problemi…" - replicò, con un'alzata di spalle - "Qualcuno si oppone?"

"Opporsi a proseguire la baldoria? Per niente!" - commentò Lorne, allungando bene le gambe e riuscendo a scaraventarsi, con un solo movimento del braccio, Faith sulle ginocchia - "Festeggiata! Come la mettiamo con la torta?"

"Aspetterà anche quella." - replicò lei con leggerezza. Allungandosi all'indietro per recuperare un paio di ciliegie candite. Per sé e per il suo cavaliere - "parliamo ancora un po'."

"Giusto." - Doyle sedeva sul bracciolo della poltrona di Angel e Wes si stava già accostando al gruppo una splendida poltrona Liberty - "Allora riprendiamo da dove avevamo interrotto. Stavamo parlando di segreti…"

"Già. Bella idea." - commentò Cordelia, girandosi verso Spike - "Su Spike, dicci un segreto di Angel…"

Spike la guardò con aperta ammirazione. Prima di rivolgerle un sorriso in cui i canini brillavano particolarmente.

Mentre Wes si lasciava sfuggire un fischio sommesso.

"Conversazione interessante." - sibilò, con un bel sorriso, beccandosi un'occhiata affranta da Angel.

"Anche tu, Bruto, figlio mio?" - gemette il vampiro dagli occhi scuri, rivolto all'Osservatore. Fissandoli poi tutti - "Avanti William… stroncami."

"Un segreto di Angel…" - meditò lui, ad alta voce, facendosi desiderare.

"il nome, ad esempio."

Si voltarono tutti a fissarla. E Faith di colpo si sentì in obbligo di giustificarsi.

"Se Angel è l'unico che può chiamarti con il nome di battesimo… tu saprai il suo." - spiegò, guardandoli entrambi.

"In effetti pensavo ad un altro segreto… ma anche questo credo possa andare." - mormorò Spike, fissando Angel. aspettando quel movimento impercettibile che gli avrebbe dato il consenso.

Era un gioco.

Ed un passato come quello di Angel e del suo demone, era pieno di giochi pericolosi, da non riportare a galla mai più.

I segreti che Spike avrebbe rivelato, lo sapevano entrambi, sarebbero state cose innocue. E lo stesso sarebbe valso per Angel. Era una regola che non avevano avuto bisogno di porsi razionalmente.

Angel gli lanciò un'occhiata fulminea, percepibile solo a chi fosse dotato di sensi sviluppati oltremisura.

Percepibile solo ad un vampiro.

 

"Liam. Mi chiamavo Liam." - rispose, al posto di Spike.

Spike che lo fissava, con un sopracciglio alzato, rallegrandosi, in cuor suo, di non aver dovuto rispondere a quella domanda.

Dopotutto, se non fosse stato per uno scherzo incomprensibile del destino, non avrebbe mai scoperto neanche lui il nome del suo Sire.

Il suo Sire… che ammetteva pubblicamente l'ultima cosa che ancora lo legava alla vita mortale. Con un coraggio che nessuno poteva immaginare.

"E' un bel nome…" - commentò Faith, impacciata, per rompere il silenzio.

Prima di cogliere un'occhiata che passava tra Wes e Doyle.

Westley si era proprio raddrizzato sulla sedia, sporgendosi in avanti.

"Liam?" - ripeté, con un'espressione stranita.

"Liam." - confermò Angel, guardandolo perplesso.

Gli capitava spesso, con l'osservatore. Era sempre un po' più veloce di lui a captare i particolari.

Solo che, questa volta, nel suo nome… bhe, non gli sembrava ci fossero particolari sconcertanti!

"Mi spieghi perché tu e lui continuate a guardarvi in quel modo?" - esclamò Cordelia, voltandosi a fissare Doyle.

"Vedi, Principessa…" - spiegò Doyle, con un lampo di ilarità nello sguardo - "Quello che tu non puoi sapere è che la traduzione dall'irlandese all'inglese del nome Liam è… William."

"Mi stai dicendo che… loro due… hanno lo stesso nome?"

Per poco Cordelia non si ritrovò seduta per terra. Non tanto per la sorpresa, quanto per il fatto che Spike si era tirato su di scatto.

E solo per un pelo si era ricordato di tenerla saldamente per la vita.

"Che cosa?"

"William…" - Angel lo guardava come se avesse le antenne - "Tu non lo sapevi?"

"perchè tu sì, invece." - replicò prontamente l'altro. Prima di ricordarsi che Angel, non solo era irlandese, ma parlava correntemente inglese e americano da almeno un paio di secoli.

"Questa sì che è una sorpresa…" - mormorò Faith, guardando l'irritazione di Spike, con un sorriso sempre crescente - "Questo gioco inizia a piacermi. E a te Lorne?"

"Ma non ti immagini quanto…" - commentò.

"Fantastico…" - borbottò Spike tornando a sdraiarsi - "Mi ci mancava solo questa."

"Non mi sembra una cosa così drammatica…"

"Drammatica forse no… strana, suppongo…" - replicò.

Anche divertente, aggiunse Westley, tormentandosi pensosamente il mento e quella peluria che appena lo ombreggiava. Una rivelazione, a suo parere, con risvolti interessanti…

"Come mai hai scelto di chiamarti Angel?" - domandò Lorne, facendosi passare un altro candito dalla bella ragazza che teneva sulle ginocchia.

"Questa è un'altra storia…" - replicò Angel, fissando lo sguardo nel vuoto - "Ho iniziato a chiamarmi Angel ai primi del novecento… per dissociarmi dal mio nome precedente, Angelus… comunque era un soprannome dell'infanzia."

Parlava senza fissare lo sguardo su niente di particolare. Aveva molti fantasmi sepolti nella memoria. Ma alcuni, per amore e per rispetto, erano più facili da evocare.

Non sapeva nemmeno perché le parole gli uscissero così facilmente dalle labbra.

Forse perché aveva imparato che, sotto le battute e gli scherzi, erano persone incapaci di giudicarlo. O, forse, più semplicemente, perché erano le persone che amava. A cui non poteva mentire.

"Mia sorella." - aggiunse - "Mia sorella diceva che ero il suo Angelo custode."

E l'ha sussurrato, mentre io l'ammazzavo.

Lo ricordò, ma non potè dirlo. Perché era la festa di Faith.

E mai l'avrebbe rovinata, con tristi ricordi.

"Non sapevo che tu avessi una sorella." - mormorò Cordelia.

"Ebbene sì." - rispose Angel, con una finta allegria nello sguardo - "di dieci anni più giovane."

"Ed ecco che si spiega il suo animo da protettore." - commentò Lorne - "La sindrome di Angel che protegge tutti quelli che respirano. Ed anche quelli che non lo fanno."

"Per l'esattezza si chiama Sindrome del fratello maggiore." - puntualizzò Angel, prendendosi vagamente in giro.

"Già." - aggiunse Faith - "Io e Spike ne sappiamo qualcosa…"

"Certo. Sappiamo che è un grandissimo rompiscatole." - Spike sapeva da molto tempo della sorella di Angel. La fine che aveva fatto era stata, per lungo tempo, motivo di vanto, per Darla.

"Ed ora lasciamo in pace Angel e trattiamo male Spike." - concluse Doyle, mettendosi più comodo. E così facendo, posando una mano amica sulla spalla di Angel.

Un contatto pieno di serenità. E comprensione che scaldava il cuore.

"Ottima idea." - disse Lorne - "Allora stessa domanda. Come mai hai cominciato a chiamarti Spike?"

Perché inchiodavo le persone con chiodi delle ferrovie, per poi dissanguarli con calma.

La risposta gli era passata negli occhi, fulminea.

E piena di dolore mal represso, così tanto da colpire Angel come una stilettata. Rapidamente cercò un modo per salvarlo da se stesso.

E, paradossalmente, riuscì ad essere più ironico e pronto alla risposta del suo cosiddetto pupillo.

"Perché quando era giovane lo sfottevano e dicevano che era meglio essere inchiodati, prima di ascoltare le sue poesie.

Ha provato a convincerci che sanguinario suonasse meglio… ma questa soddisfazione non gliel'abbiamo mai data."

La risata fu generale.

E Spike, ripresosi dalla sorpresa di vedere Angel improvvisare, gli rivolse un sorriso. Un sorriso di puro sollievo… prima di completare l'opera.

"Ero un incompreso, gente. Che ci volete fare…" - aggiunse, con leggerezza - "Ho precorso i miei tempi…"

"In effetti tu sei più retrò di lui…" - aggiunse Wes, rivolgendosi a Angel.

Come succedeva raramente, stava venendo fuori la sua punta d'ironia.

"Sono anche più vecchio." - rispose con naturalezza l'altro - "per me Spike è sempre stato avventato e sprovveduto già solo per quei novant'anni di differenza. Lui e i suoi contemporanei non mi piacevano per niente. Piena epoca vittoriana…."

"Non l'avevo mai vista in quest'ottica." - in Westley si era accesa una scintilla - "in effetti, Spike, tu potresti illustrarmi tuoi tempi. Sei una fonte diretta di quest'epoca d'oro…"

"Scordatelo." - rispose, senza mezzi termini - "Non so quanto ho impiegato a levarmi di dosso tutto quel perbenismo. E non ho nessuna intenzione di immergermi in un revival per la tua sete di cronista."

"Vittoriano…" - ripetè Doyle - "Nato nel…"

"1837… anno di morte dell'amato William IV. Primo anno di regno della mai dimenticata regina Vittoria… epoca di bacchettoni…" - aggiunse, sarcastico.

"Figlio di persone patriottiche." - commentò Faith, notando la corrispondenza tra il nome del sovrano e quello del vampiro.

"Non ti immagini nemmeno quanto." - ribattè Spike.

"E tuo fratello?" - chiese Faith, innocentemente. Ricordava di averlo sentito menzionare, quel pomeriggio.

Doyle sentì Angel irrigidirsi appena. Di sorpresa.

Angel non lo sapeva.

E Spike era imperscrutabile. Chiuso dentro la sua espressione più indifferente.

Non era un buon ricordo.

Ma Spike lo nascondeva bene, nel rispondere.

"Edward." - rispose - "Come molti re inglesi e nessuno in particolare…"

"Più grande o più piccolo?" - si informò Cordelia. Ormai il danno era fatto. Aveva sentito le mani di Spike stringerle involontariamente il ventre, prima di rilassarsi. Ed ora lo guardava dritto negli occhi, per comunicargli, con tutto il suo essere, che l'avrebbe cavato fuori da quel dolore.

"Più grande di quattro anni…" - Spike modulava le parole con un tono piatto… così disperato da far stringere il cuore ad Angel.

"Ehi tu!" - Cordelia si girò di scattò - "Doyle! Non è che adesso, per caso, te ne vieni fuori con una fiumana di mie potenziali cognate, vero?"

"Assolutamente no!" - ribattè lui, prontissimo a tenerle il gioco. E così orgoglioso di lei da desiderare nuovamente di dissetarsi dalla sua bocca - "Figlio unico molto viziato!"

"sapete che vi dico? Mi sono stufato di questo gioco!" - esclamò allegramente Spike. cercando di riportare il suo cuore a battiti regolari - "allora gattina, me lo concedi un valzer?… no! Aspetta! Fammi alzare! Facciamo le cose per bene…"

ci fu un po' di tramestio, mentre Cordy si metteva in piedi e lasciava passare Spike, che non aveva ancora il perfetto il controllo dei muscoli e già scoccava un'occhiata di fuoco ad Angel.

un'occhiata molto, molto, molto chiara.

"Faith." - mormorò Angel, alzandosi a sua volta e cedendo il posto a Doyle - "Mi concedi l'onore di aprire le danze con la festeggiata?"

"Io? Cos…." - Faith alzò lo sguardo verso di lui. Verso Angel che si inchinava, porgendole una mano, con il braccio sinistro signorilmente ripiegato dietro la schiena.

Avrebbe voluto dire che non sapeva ballare. E tirarsi indietro. Ma non poteva.

Ricordava. Ricordava di avergli estorto quella promessa…

Oh, sì, ricordava come l'aveva domandato, rannicchiandosi contro il suo petto.

Danzerai con me, un giorno o l'altro?

La sua mano già si posava su quella di Angel. Stringendo l'ampia gonna con due dita, mentre si lasciava condurre al centro del salone, laddove della luce delle candele giungeva solo il riflesso aranciato di puro calore.

Sotto il grande lampadario di cristallo.

Alle spalle di Angel, dopo un'occhiata di intesa con Doyle, Spike aveva offerto la propria mano a Cordelia. Con la stessa eleganza, con lo stesso rispetto.

Per portarla con sé in quello che sarebbe stato un viaggio nei ricordi.

Lorne stava già incamminandosi verso lo stereo. Non aveva bisogno che gli dicessero cosa cercare.

"lo sai che ti pesterò i piedi, vero?" - mormorò sottovoce Cordelia.

Soffrirò in silenzio, ribattè lui, guardandola.

La musica era iniziata. Ma nessuno dei loro due cavalieri si muoveva. E l'espressione delle ragazze era identica, mentre Angel e Spike, al di sopra delle loro teste, si scambiavano un'occhiata.

Sangue viennese… c'era da scommetterci… Lorne non si smentiva mai.

Perlomeno aveva buongusto…

"Non ci muoviamo?" - bisbigliò Faith, impaziente.

"Fidati…." - le rispose Angel, mentre le sue labbra si allargavano in un sorriso.

Aspettava un cenno.

 

E quando lo vide, con una naturalezza che li sorprese tutti, si mosse.

Che spettacolo. Gli occhi di Cordelia divennero enormi per la sorpresa. Ballare con Spike era come farsi portare in una nuvola. Come se non avesse bisogno di muovere le gambe. Spike teneva la testa alta e fissava un punto lontano, perdeva il suo sguardo in un corridoio di ricordi. E volteggiava perfetto, intrecciando i loro corpi in un modo impeccabile, mentre la musica saliva di intensità.

Faith non avrebbe mai smesso di guardarlo. Angel stava ballando con lei. E lei stava ballando con tutta la sua vita.

I suoi amori e le sue morti. I suoi respiri e i suoi dolori.

Non si sarebbe mai fermata. Quel vortice l'avrebbe portata sempre più in alto.

Ed il salone apparteneva solo a loro.

A Angel e Faith.

A Spike e Cordelia.

Sempre più veloce, verso il crescendo del valzer.

Sempre più verso la perfezione dei movimenti. Angel era un gran ballerino. Gli aneddoti di Spike a riguardo non gli avevano mai reso onore.

E l'unica volta che Faith l'aveva visto danzare, con il volto della morte e Darla tra le braccia, di lui aveva serbato solo un ricordo di tragicità e disperazione.

Nulla di tutto questo.

Angel ballava con lei per donarle tutto quello che non sapeva dire.

Esprimeva tutto.

Attendendo il giro finale.

Fino a separarsi, con un inchino perfetto.

Mentre, puri e ridenti, intorno a loro si levavano gli applausi.

Quelli reali.

E quelli ricordati.

 

"Cordelia…" - Spike la guardò, soddisfatto - "lo prendo come un complimento… ma faresti bene ad asciugarti gli occhi."

"scusami…"- mormorò lei. Mentre, alle sue spalle, un colpo di tosse attirava l'attenzione del suo cavaliere.

"Bellimbusto." - l'apostrofò Doyle, avvicinandosi - "il prossimo mi è stato promesso…."

"Ah sì? e quando?"

"che domande. In un sogno…"

Faith ed Angel erano ancora fermi a centro pista. E non avevano bisogno di dirsi nulla.

Uno rivolto verso l'alto. E così sarebbero rimasti, se il colpetto canonico sulla spalla, non avesse richiamato Angel all'ordine.

"posso avere il piacere di questo ballo?" - chiese, cerimoniosamente Wes.

Angel gli passò la mano di Faith che ancora stringeva tra le sue e, con un passo indietro, gli lasciò libera la via.

Ancora una volta Lorne non si smentiva.

"Libiam nei lieti calici…" - ridacchiò Spike, affiancandolo, con andatura sciolta - "potevamo aspettarci altro?"

"Oh, credo proprio di no." - rispose Angel, sorridendo - "Allora William, a quanto pare non siamo per niente arrugginiti…"

"In effetti facciamo ancora la nostra porca figura." - aggiunse l'altro, smentendo il suo stile da lord con il gergo moderno. Apposta, prima di voltarsi a guardare le coppie nella sala - "ed anche loro non vanno poi così male."

E se Doyle ne stava approfittando per parlare con Cordelia e dirle qualcosa che le arrossava le guance, Wes stava rivelando una certa competenza.

"Non mi avevi detto di saper ballare il valzer." - sussurrò Faith, alzando il viso verso di lui. Le piaceva quell'intimità al centro della musica.

"Nemmeno tu. Balli molto bene…" - si complimentò Wes. Iniziava a temere che le sue coronarie scoppiassero per l'orgoglio, alla prossima occhiata che le avrebbe rivolto.

"Mi ha insegnato Spike. Ha insegnato a me e Cordelia…"

"Avete avuto un ottimo maestro."

"Wes…"

"Faith…"

"Mi prometti che accenderemo ancora questi lampadari e balleremo qui, così, come stasera?"

"Certo. Non chiuderemo più questo salone. Mai più." - Sussurrò, alzando lo sguardo, insieme alla sua cacciatrice, verso i mille riflessi delle gocce di cristallo - "La luce non andrà via, mai più."

 

"Credevo che tu odiassi ballare…" - bisbigliò Cordelia.

"In effetti è così. Ma volevo un attimo di intimità. Solo tu ed io." - replicò Doyle, afferrandola per la vita e smentendo la sua nomea di attaccapanni sulla pista da ballo. "allora sai ballare…" - insistette lei.

"Assolutamente no. La mia natura demoniaca me lo impedisce."

"Non mi pare che questo impedimento si estenda al mio precedente cavaliere…"

"il vampiro? Lui è figlio del romanticismo, è normale che sia così." - Doyle stava guardandola in viso, scrutandola fin nel profondo dell'anima - "Ti ha fatto piangere…"

"E' stato struggente." - Cordelia aveva occhi grandi e umani - "E' stato come andare indietro nel tempo e respirare cose svanite e molto amate. Forse ti sembrerò stupida, ma, per un attimo, ho avuto l'impressione di poter sentire la sua tristezza."

"Non sei stupida. Sei solo la persona più sensibile che io abbia mai conosciuto. Eri bellissima tra le sua braccia, sei sempre bellissima. Perché ti viene da dentro…"

"Doyle…."

"No, Cordy, non mi interrompere. Non tutte le parole sono facili da dire. Ti prego Cordy, non mi interrompere, e non dubitare quando parlo della tua bellezza. Perché toglie il fiato, perché sei talmente splendente da farmi domandare ogni minuto della mia esistenza perché io, proprio io posso godere di questa luce. Perché proprio a me hanno concesso di amarti…."

"perché a me hanno concesso di amarti." - gli rispose Cordelia, ripetendo le sue parole - "Perché proprio io, ogni minuto della mia esistenza, possa godere della tua luce, del tuo sorriso, dei tuoi occhi. Tutto questo mi appartiene Doyle. Ed io appartengo a te. Per sempre."

"per sempre." - replicò, baciandola, sfiorandole appena le labbra,sorridendo ancora di quel miracolo.

Mentre attorno a loro saliva d'intensità la gioia del brindisi racchiusa nelle note.

 

Il valzer della Traviata li travolgeva dolcemente.

E Lorne se lo godeva, in piedi appoggiato allo stereo. e non aveva bisogno di guardarli ballare.

Perché, nel suo cuore, a scaldarlo in maniera inimmaginabile, sentiva volteggiare le loro anime.

E li avrebbe conservate.

Per sempre.

Strette nell'armonia di un abbraccio.

Perché cos'altro è la danza, se non l'amore?

 

Ballarono. E ancora. Ancora.

Fino a domandarsi se mai sarebbero caduti a terra stremati.

Le coppie si scioglievano e la musica non cessava mai.

Ballavano, tornando ogni volta a celebrare i loro legami.

 

"Non sei ancora stanca?" - chiese Westley, mentre Cordelia, gli afferrava le mani e lo riconduceva in pista.

"Assolutamente no." - replicò lei, ridendo, nel sentire già la sua mano sul fianco - "Non voglio smettere mai. Mai."

"Ti dirò, Cordy… nemmeno io."

"Vampiro. È il mio turno."

"Cacciatrice…" - Spike si tirò in piedi, rassegnato, mentre Cordelia, volteggiando, scivolava tra le braccia di Wes - "Avessi saputo che scatenavo due mostri del genere, quel pomeriggio vi avrei insegnato lo strip poker…"

"Wes dice che sei un buon maestro…" - gli confidò, mentre Lorne, cambiando genere, optava per una bellissima canzone moderna. Bella e piena di passione.

La sua mano era forte, tra le dita di Faith. Come estremamente bello fu il movimento con cui, in un rapido volteggio, la ricondusse contro il suo petto. Così vicino che le loro labbra si sarebbero potute sfiorare.

Gli occhi di Spike le carezzavano il volto, facendola sentire molto più donna di quanto si fosse mai sentita. Facendole ricambiare l'occhiata.

Dimenticando di essere la cacciatrice.

Dimenticando di essere tra le braccia di un vampiro. Levando il volto verso di lui.

E provocando un dolore quasi fisico ad Angel, che la stava guardando.

Il dolore di essere stato guardato, così, almeno una volta nella vita, da una cacciatrice. Averla stretta nello stesso identico modo, in mezzo ad una pista di pattinaggio vuota.

Senza un pensiero che non fosse fatto di gratitudine pura e profonda, per quel dono che poteva tenere tra le braccia.

La guardò, levare verso Spike il viso.

E pensò a Buffy, così intensamente da poter ancora sentire la spada penetrare nel cuore.

Non chiudere gli occhi, Spike.

Nella mente la voce risuonò disperata. Riempiendolo di terrore.

Non chiudere gli occhi, Spike…

Un battito di ciglia.

Un semplice battito di ciglia, prima di rendersene conto.

Faith e Spike non ballavano.

Faith e Spike, fermi in mezzo al salone.

E le mani di lei, serrate troppo strette attorno al suo torace.

"Non andare" - sussurrò Doyle, al suo fianco, facendolo sussultare - "Non te lo perdonerebbe mai…"

Faith lo stringeva.

Lo sorreggeva, senza una parola, con un sorriso strano che, su un altro volto, sarebbe stato fatto solo di tenerezza. E Spike, con occhi troppo grandi e indifesi, si nutriva della sua forza. Non più un predatore. Solo una fragile creatura, tra le braccia della sua morte.

Le sue gambe, le sue dannate gambe… capaci di cedere così, senza preavviso.

Lasciandolo inerme.

Ed il corpo della cacciatrice, che si tendeva, sotto quella seta profumata. I suoi muscoli, pronti fino allo spasmo, i suoi sensi e la sua tenacia che riaffiorava.

Non più un corpo morbido tra le braccia. La magia era svanita.

Tra le sua braccia la forza della sua stirpe. Ed il suo cuore, dal battito così forte da stordirlo.

 

"Doyle…" - la voce di Angel era carica di angoscia. Spike stava provando dolore. lo poteva vedere, percepire. Poteva quasi immaginare il dolore che gli si irradiava lungo la sua schiena, come una fiammata dai riflessi cupi.

"E' così che deve essere, Angel." - Doyle lo afferrò per un polso, temendo che scattasse verso quei due ragazzi - "Non potrai proteggerlo anche da se stesso. Devi fidarti di lui. E di Faith."

"Io mi fido di loro…"

"Tu li adori, Angel. ma non puoi correre da loro ogni volta… lei non è Buffy."

si voltò, come se Doyle l'avesse colpito. Doyle, che continuava a parlare, implacabile.

"Lei non è Buffy, Angel. Non farle questo torto. La storia non si ripete. Guardala, perché gli sta soltanto impedendo di cadere…solo lei può giungere dove tu non puoi andare… sarà sempre così."

"Cosa vedi, Doyle?" - mormorò, tornando a posare lo sguardo su di loro. Su Spike che ora le teneva una mano sulla spalla e le parlava, con la testa appena inclinata. Ed un sorriso. Mentre le braccia di Faith ancora sembravano stritolarlo.

"Vedo che li hai uniti. E che mai nessuno potrà più separarli…"

 

"Tutto ok?" - domandò Faith.

La musica si levava ancora alta. Ma per loro aveva ricominciato ad esistere solo da qualche secondo.

"Meglio dell'ultima volta che mi è successo…" - ribattè lui - "Per lo meno non siamo franati a terra…"

"Immagina la scena." - rise lei - "Aggrovigliati in tutta questa seta. Oddio, avresti potuto strapparmi il vestito!"

la sua voce suonava vagamente inorridita.

"Oh, sì, hai corso un tremendo pericolo…" - l'apostrofò - "Ma del resto ci sei abituata…"

"Ovvio. Io sono la cacciatrice." - ribattè lei con naturalezza.

"Oh, lo so, Faith. Lo so."

E lei lo guardò, come l'aveva guardato quel giorno, nel carpirgli il segreto.

Fin dentro le iridi. Fino a capire.

Ora era lei che aveva la sua vita tra le mani.

"Sei morto, vampiro." - sussurrò, mentre le labbra si inarcavano in un sorriso di consapevolezza. Mentre Spike ricambiava la sfida, con lo stesso lampo negli occhi.

Nulla avrebbe potuto negare la realtà dei fatti.

Lei era la Cacciatrice. E tra le sue braccia stringeva l'Uccisore. Facendolo sentire al sicuro.

Senza che paura alcuna sorgesse dal suo cuore.

"In effetti, se le cose avessero un corso normale, qui dentro, dovrei esserlo." - commentò, pensando alle mani della ragazza che lo stringevano per la vita, passando direttamente sotto la giacca. I loro corpi sembravano fondersi, uno dentro l'altro, inarcandosi - "Ed invece mi toccherà ringraziarti per avermi salvato la faccia."

"Dovresti." - commentò lei, con un lampo di ironia nella voce - "E sta tranquillo che dovrai ricambiare il favore."

Si sarebbe aspettata una risposta pungente. Si sarebbe aspettata di vederlo tornare sulla difensiva, di veder lo Spike di sempre che, sfruttando a suo vantaggio una posizione scomoda, si sarebbe votato a battute doppiosenso.

Per il puro piacere di vederle stringere le labbra, irritata.

Ma Spike non parlava. La sua bocca si era increspata in un sorriso. Un sorriso molto triste. Un sorriso che più volte gli era apparso sui lineamenti, in quella lunga giornata di attesa.

"Spike…" - lo sussurrò, prima ancora di sapere cosa dirgli. Prima ancora di rendersi conto che avrebbe ricambiato, con la stessa dolcezza negli occhi.

Prima ancora di capire che avrebbe dovuto avere forza per entrambi.

"La musica è finita." - bisbigliò, voltandosi con una sorprendente naturalezza e bilanciando il peso di entrambi sulle sue gambe - "Tienimi abbracciata, fai finta di niente e comportati da idiota, come tuo solito."

E Spike gettò la testa indietro, riempiendo la sala con una bella risata profonda. Le cinse prontamente il collo con un braccio, attirandosela più vicina e comandando, senza mezzi termini, al suo corpo di fare ciò che andava fatto.

Ovvero camminare.

"Non correre." - gli ringhiò lei, senza nemmeno voltarsi - "O finiremo veramente a terra."

 

"Possibile che ogni occasione sia buona per strofinarti contro la cacciatrice, Spike?" - lo ammonì blandamente Doyle.

"Ne approfitto." - rispose l'altro - "In occasione di stasera, abbiamo firmato una tregua. Anzi… adesso che ci penso…"

per completare il capolavoro di finzione che erano riusciti ad ideare, Spike si lasciò andare sulla poltrona, trascinando con sé Faith.

La quale, prima di proferire verbo, si ritrovò seduta tra le sue braccia.

Mentre Spike, con un'ombra di stanchezza, posava la testa contro il muro alle sue spalle. Lasciando che l'ultima ondata di dolore morisse nel sollievo di non dover più muovere un muscolo.

"Vampiro." - ribattè Faith, dandogli una leggera spinta sul torace - "Attento a non provocarmi…"

"comunque potevi lasciare Faith a centro pista e risparmiarle la camminata fin qua." - sospirò Doyle, facendo finta di non essersi accorto di nulla. E mentendo in modo sublime - "Perché adesso dovrà tornarci…"

"Ho fatto volentieri due passi…" - disse lei, alzandosi nuovamente.

"per ballare con me puoi anche levarti le scarpe…"

"No grazie. Mi piacciono troppo."

Lorne si era affezionato alla postazione DJ e Cordy alle braccia di Wes. Cosicché, in quell'angolo rimasero solo loro.

Angel osservò Doyle che, afferrata Faith per la vita, la trascinava in un tremendo casquez, per strapparle una risata sincera.

Poi tornò a voltarsi, a fissare Spike.

Aveva chiuso gli occhi.

Ed Angel, senza esitare nemmeno per un istante, si protese, afferrandogli un polso.

Senza ottenere una reazione.

"Immagino che tutta quella messinscena non ti abbia infinocchiato per niente." - replicò a quel gesto, senza aprire gli occhi.

Con la voce di sempre.

"Mi spiace." - sussurrò Angel.

"E per cosa. Per il fatto che hai un buono spirito d'osservazione? Mi sarei stupito del contrario. Non la perdi di vista un attimo..."

Non perdo di vista nemmeno te, neanche per un attimo…

"… senza contare che sentivo la tua occhiata piantata in mezzo alle scapole." - aggiunse, decidendosi a fissarlo. Con la sua espressione tiraschiaffi di sempre.

"Addirittura." - gli sorrise Angel. Tirando indietro la mano.

Ritrovandosi sbalordito quando, con una torsione del polso inaspettata, Spike gli riafferrò le dita.

Lo sguardo di Angel si posò sulla mano che stringeva la sua, prima di rialzarsi verso il viso di Spike. Fino a tornare occhi negli occhi.

"E' una Cacciatrice, Angel. La guarderò sempre in quel modo. Ma non le farò mai del male. Te lo prometto."

Spike sapeva.

Spike gli aveva letto dentro.

Senza alcuna esitazione, era andato a bersaglio.

Ed ora, pienamente appagato, lasciava andare la mano che aveva trattenuto con la forza.

"Sarà sempre un gioco pericoloso, Angel. Nessuno di noi potrà mai evitarlo." - sussurrò ancora, andando nuovamente lontano, con lo sguardo.

Guardando entrambi nella stessa direzione. Qualunque fosse il ballo che Doyle stesse conducendo, probabilmente non esisteva federazione di danza che lo riconoscesse come canonico.

Eppure era perfetto per Faith che volteggiava rapidissima intorno a lui. La gonna, sollevandosi, lasciava intravedere le sue belle gambe ed i tatuaggi, lungo le caviglie. "tatuaggi…." - commentò Spike, tornando al suo umore di sempre - "un'altra pessima abitudine presa da te?"

"Secondo me sì!" - esclamò Cordy, scivolando a sedere, mentre Wes le riempiva un bicchiere - "Uff, sono stravolta! Un altro passo e sarei morta!"

"Probabilmente anch'io." - aggiunse Wes, pescando dal secchiello del ghiaccio e riempiendo bicchieri per tutti - "Ti sei deciso a lasciare lo stereo, finalmente…"

"Che ci vuoi fare!" - sospirò, drammatico Lorne - "come la luce e le lucciole… la musica è la mia droga…"

"E quei due?"

A centro pista, Doyle e Faith erano fermi. E Doyle le stava parlando.

E qualunque cosa stesse dicendo, doveva essere bellissima.

 

VI

Il rossore le ravvivava le guance, facendole splendere gli occhi. Chinava appena il capo, con lunghi ciuffi ormai scomposti che le ricadevano in avanti, incorniciandola.

"Quel farfallone l'ha spettinata tutta." - sospirò Cordelia, scotendo un'acconciatura perfetta che non conosceva trauma - "Scommetto che se ne è uscito con una di quelle tirate storiche che ti fanno sentire il centro dell'universo."

"Ne sai qualcosa, vero gattina?" - la punzecchiò Spike, impertinente.

"Oh, certo. È molto seducente quando vuole. Sa ottenere tutto da tutti…"

Ed in modo anche simpatico, si sarebbe dovuto aggiungere. Faith rideva e scuoteva la testa, con fare paziente. E Doyle non accennava a smettere di sorridere e parlare.

E quando alla fine il suo profilo avrebbe potuto rivelare che stava tacendo, faith lo nascose alla visuale di tutti con un abbraccio esuberante e soffocante.

 

Westley fu prontissimo. E non si dovette nemmeno alzare, per afferrare Cordelia al volo e sedersela a fianco.

"Ferma lì, tigre!" - esclamò, senza accennare a ridurre la presa - "E tu, mandrillo, leva le mani dalla cacciatrice e… e viceversa!"

 

"Gente di malafede." - commentò Doyle, tornando verso il gruppo con andatura flemmatica - "Le stavo facendo gli auguri… solo gli auguri…"

"Ed io non gli stavo mordendo un orecchio…" - ribattè Faith, con una certa perversa ilarità.

"Grazie della manforte, amore…" - sospirò Doyle, lanciandole un'occhiata rammaricata, prima di scivolare vicino a Cordelia.

Faith aveva stretto le mani dietro la schiena e, in piedi, in mezzo al gruppo, sprizzava veramente un'allegria inimmaginabile.

Ondeggiò un po', prima di girare su se stessa, per vederli tutti in viso.

"Allora!" - esclamò, impaziente - "Regali?"

 

Era pronta. Lo era veramente.

Adesso non c'era più nulla che i loro corpi ed il loro cuori non si fossero detti.

Ora poteva affrontare anche l'ultima fatidica prova…

Le candeline…

E, con esse, i suoi sogni.

Prima che giungesse un altro domani, un altro domani di violenza e battaglia.

Adesso era pronta.

Pronta a desiderare.

E sperare.

"Finalmente!" - esclamò Cordy saltando in piedi - "Quella torta iniziava ad avere un'aria afflitta! Andiamo, su, tiratevi in piedi!"

Già era partita per la sua missione, aveva ben diciannove candeline da accendere. E non erano certo un paio di tacchi che potevano rallentarla o farla desistere.

"Come mai tu non riesci a camminare così spedita, Cacciatrice?" - commentò Spike, alzandosi.

"Ti rivelerò un segreto…." - sussurrò, da cospiratrice, la festeggiata - "Cordelia ha i tacchi inchiodati ai talloni…"

"Faith! Guarda che ti ho sentito!" - sbraitò, elegantissima, soffiando sul fiammifero che reggeva tra le dita.

A tempo di record, mentre gli altri si avvicinavano, aveva già predisposto tutto.

Ed ora aspettava, in piedi, con Lorne, a cui diede uno spintone, non appena Faith fu innanzi al tavolo.

"Forza!" - esclamò Cordelia, assestandogli un colpo nello stomaco - "Canta!"

"ohi! Ma non si aspetta che abbia soffiato?" - replicò lui, massaggiandosi la parte contusa.

"Tu inizia, lei intanto pensa a che desiderio esprimere!"

E mentre Lorne, ormai succube, metteva la sua capacità polmonare a disposizione della ragazza, Faith abbassando lo sguardo e si concentrava su quella torta.

Una torta. Nient'altro che un dolce.

Eppure, per la prima volta, un dolce tutto suo. Avrebbe potuto mangiarlo completo, sotto i loro sguardi allibiti. Avrebbe potuto prenderlo e capovolgerlo…ma aveva solo voglia di guardarlo, di guardare tutte quelle lucine che lo ravvivavano.

Senza che nessuno le mettesse fretta.

Si tirò indietro i capelli e riempì i polmoni, stupendosi, per l'aria fresca che inalò. E si chinò, appoggiandosi al tavolo.

La voce di Lorne stava salendo di intensità. In piedi, con espressione assorta, si esprimeva dentro ogni nota. E guardava quella bella cacciatrice dall'anima profonda e buia come un pozzo. Un pozzo da cui sorgevano spezzoni di tante vite che faith non aveva mai narrato.

Poteva sentirla, anche se faith non stava cantando. Poteva sentire le anime di tutti loro, amplificate e vive. E si soffermava a contemplare quei gesti con cui si preparava a compiere un rituale a lei sconosciuto… spegnere tutte quelle luci, desiderando di vederne brillare una sola…

E fu a questo punto che decise di chiudere la mente… perché un segreto rivelato non si avvera… ed un po' di superstizione, e di rispetto, talvolta non guastano.

 

Ed un applauso. Faith sentì le braccia di Angel stringerla, le sue labbra sulla tempia.

E poi Wes, Doyle, Cordy. Si accalcavano, per abbracciarla, per augurarle buon compleanno.

Buon compleanno, mille volte, Faith.

Cento di questi giorni, cento di queste notti.

Auguri, auguri…

Auguri Faith…

 

"Allora! Sopravvissuta?" - sussurrò Lorne, soffermandosi in un abbraccio più lungo dell'usuale.

"Penso di sì…" - Faith appoggiò il mento sulla sua spalla, con aria beata, protendendosi, quasi sulle punte - "E poi… non saprei cos'altro desiderare…"

Lorne sorrise, di quella felicità che gli stringeva il collo. e, senza pensarci due volte, l'afferrò per la vita e la sollevò.

Abbracciandola, ignorando i suoi piedi che, a questo punto non toccavano terra.

Riscotendosi solo quando saltò il primo tappo da spumante.

"Un brindisi?" - gridò, riposandola a terra e voltandosi allegramente verso Wes, che riempiva i primi bicchieri.

"ovviamente!" - disse , di rimando, l'osservatore, finendo rapidamente di riempire fino all'orlo le flùtes - "A Faith!"

a Faith!

A faith, che non ha mai avuto nulla da questa vita, a Faith, che per il mondo ha smesso di esistere, a faith, che ha una tomba con un nome ed un numero per un' esplosione in un penitenziario.

A faith. Che ama ed è amata.

A faith che oggi compie diciannove anni senza aver mai avuto un compleanno… a faith, avvolta nella seta o incoronata di pioggia.

A faith… ed alle lacrime che adesso sta versando senza accorgersi.

Alla Cacciatrice che è in lei. Per lei leviamo questi nostri bicchieri.

E per questa occasione di essere, ancora una volta, semplicemente, tutti assieme.

Mentre già, ai loro occhi, come un vortice, si sovrapponevano le immagini di sei mesi di vita comune.

Le lacrime, i sorrisi….

Cordelia, bagnata fradicia,che insegue Doyle. E Doyle che lancia il secchio ormai vuoto a Spike.

Wes, ed il suo immancabile affacciarsi dalla tromba delle scale, con un libro in mano. Le bustine del the e lo zucchero… i cartoni della pizza disseminati sul tappeto e le sigarette fumate in silenzio.

La musica e le loro voci.

Le risate, la rabbia, le urla.

Ed ancora il silenzio. Ed Angel che sale le scale senza voltarsi, e faith che fa le flessioni in palestra.

Spike, alle prese con i sacchi della spesa e Lorne che si aggiusta il nodo della cravatta….

Quant'altro ancora, di comune e banale, racchiuso nel cerchio dei loro brindisi.

Quanto, affogato tra i riflessi e le bollicine di champagne.

Quanto, quanto ancora, che appartiene solo a loro. A loro sette e all'Hyperion.

A loro, che hanno vagato per il mondo da soli, prima di fermarsi tutti qui. A loro sette che hanno scoperto di avere in comune qualcosa di troppo grande.

Che hanno scoperto di avere in comune l'affetto uno per l'altro.

"A Faith." - ripetè Doyle alzando ancora una volta il calice - "Ed a questa magnifica occasione che ci ha donato… mettendo a disposizione il suo compleanno, perché diventasse la prima ricorrenza famigliare…."

Già. Angel alzò il bicchiere, facendolo tintinnare con quello di Cordelia. Non si poteva realmente dire che le cose fossero andate in quel modo… ma in fondo, non aveva nessuna importanza. Perché adesso, in fondo agli occhi di tutti loro, brillava una felicità che ben poche volte si era vista, nel susseguirsi dei giorni. Dei giorni fatti di battaglia e sangue. Di rabbia e fatica.

 

"Tagliamo corto, signori!" - esclamò Doyle, stappando ugualmente un'altra bottiglia - "la ragazza qui presente vuole i suoi regali! Chi vuole cominciare?"

"Mi sembra che abbiate già cominciato!" - ribattè Faith, con un giro su se stessa, per meglio sfoggiare sandali, vestiti e borsetta - "Senza contare tutto il resto…"

"Ma noi siamo intenzionati a fare di più" - canticchiò Lorne, avvicinandosi con un pacco prelevato dal tavolo alle sue spalle - "Comincio io. Pensiero numero uno…"

un biglietto.

Faith lo prese con un'esitazione quasi referente. Le sembrava che tutto iniziasse a scorrere troppo veloce, dandole alla testa, come i ripetuti brindisi.

Lo aprì con foga, rischiando di strappare la bella busta colorata.

Dentro c'erano poche parole. E faith le lesse due volte, prima di fissarlo raggiante.

"Tutte le volte?" - domandò.

"Tutte le volte." - confermò solennemente Lorne, porgendole la scatola - "Pensiero numero due."

Dal pacco era spuntata solo la prima frangia che già Cordelia, prontissima di intuito in campo vestiario, si era materializzata vicino a Faith.

Le loro teste vicinissime erano un'altra vittoria per quelle mura. Due ragazze agli antipodi, capaci di avvicinarsi spontaneamente e profondamente.

E di questo, tutto sommato, bisognava dare merito a Spike che, dal primo giorno, non aveva fatto altro che tormentare un e l'altra senza nessun problema.

Non gli importava del passato di Sunnydale, di nessuna delle due. Non aveva preso parte né all'uno né all'altro.

Senza contare il fatto che, nelle lunghe settimane di convalescenza…

 

"Gattinaaaa…" - tirava la testa indietro per sfruttare al massimo la capienza polmonare - "sono un povero vampiro affamatoooo…"

"Spike se non la smetti di gridare, tra poco sarai un povero vampiro pestato."

"Non alzare un dito su di me oppure…"

"Oppure cosa? Chiami Angel?" - ribattè prontamente la ragazza, desiderando un termometro da infilargli in bocca.

"Pensavo di chiamare Faith…" - ribattè l'altro, con un'innocenza falsa fino all'anima. Stava seduto sul suo letto, perfettamente vestito. E non c'era dubbio sul fatto che avesse appena finito di smaltarsi le unghie.

"Certo. Adesso vorresti anche che la Cacciatrice ti difendesse? Mi sembra una pretesa eccessiva." - gli porse il tazzone - "Ti serve una mano?"

"Assolutamente no. Faithhhhh…"

"Ma la smetti di gridare?"

"No. Faithhhhh…"

"Cordelia!" - sbraitò Faith, arrivando dallo studio di Angel - "Ma non riesci a farlo tacere? Stiamo discutendo un caso."

"Allora voglio venire anch'io!"

Di colpo la sua cena aveva perso di interesse. La posò fulmineo sul comodino e come un lampo fu in piedi. Lo slancio, come sempre, bastava per arrivare alla posizione eretta, ma entrambe sapevano che serviva solo a quello.

"Figo questo." - commentò deliziato, ritrovandosi una ragazza sotto ogni braccio - "come mai non mi capita mai quando sono sdraiato?"

"Faith…" - chiamò Cordelia, chinando la testa e solleticandogli il collo con i capelli - "Mi puoi dare un motivo per non lasciarlo andare?"

"Certamente. Quando lo scopro."

 

"Ma è bellissimo!" - esclamò Cordelia, con un entusiasmo che, per un attimo, la fece sembrare la festeggiata.

Faith teneva tra le mani uno scialle ricamato, del colore della notte. Pesante e morbidissimo.

"Doyle mi ha accennato ai vostri acquisti." - ribattè modesto Lorne, rivolgendosi a Cordy, sempre in adorazione - "Ed io credo che troverai certamente qualcosa a cui abbinarlo."

"E se non trovi nulla, potrai metterti solo quello… ahio!" - Spike si strofinò la testa, guardando inviperito Wes - "Mi hai picchiato!"

suonava come un'accusa. Nessun tono lamentoso.

"E' possibile che te lo meritassi." - ribattè, incolore Westley, massaggiandosi soddisfatto la mano incriminata - "L'ho fatto perché stai intaccando la reputazione inglese di buona educazione. E davanti ad irlandesi…"

"Non vorrai ricominciare!" - esclamò Doyle posando la bottiglia sul tavolo e puntandogli un dito contro. Dito che Cordelia afferrò prontamente,per distrarlo e farlo voltare. E per dargli un bacio.

Lasciandolo vagamente cianotico ed in tempi ridottissimi.

"Fatto." - constatò, fresca come una rosa - "Evitato il disastro! Proseguiamo, Faith, apri i tuoi regali."

"Forza Spike, dalle quel coso che mi hai fatto comprare." - lo punzecchiò Lorne. per poi rivolgersi a Faith - "Sappi che l'ho procurato solo perché me lo ha chiesto. E non ho fatto commenti."

"Ho capito." - annuì lei, serissima - "E quante volte hai già ripetuto questa frase?"

"Abbastanza." - commentò Spike, alzando gli occhi al cielo - "Comunque il regalo in questione è nello scatolone."

Era in effetti, uno scatolone bello grosso.

Ma, come molte delle cose riguardanti Spike, non era quello che sembrava.

All'interno, un altro contenitore.

Ed infine un baule. Di lavorazione orientale.

Che Wes si chinò a studiare, attento.

"Legno di canfora." - commentò, ammirato - "Bell'oggetto…"

"Grazie." - replicò Spike, mentre indicava a Faith di aprirlo - "Per dimostrarti che non sono un troglodita."

"E glielo dimostri scegliendo il regalo per me? Bravo Spike. bell'idea." - replicò Faith, sedendosi e cercando di aprire la serratura.

"Aspetta di vedere il contenuto." -Spike si intromise, per darle una mano e lei, docilmente, per una volta, lo lasciò fare.

Per una volta…

A Spike tutti lasciavano fare tutto….

Aveva un'incredibile capacità di manipolarti e poi guardarti con dei grandi occhi da bambola. Stupendosi, ancora del risultato!

Faith non era di certo una fanciulla in difficoltà. Ma Spike, di tanto in tanto, faceva le cose al suo posto, per il puro piacere di farla sentire un'incompetente.

Come adesso, che le apriva il regalo. Il regalo da parte sua, per l'esattezza.

Finalmente il lucchetto si era aperto, Spike si scostò, facendole segno di proseguire.

E mettendosi a fianco di Lorne, che, sconsolatamente, continuava a scuotere la testa.

Disapprovava dal profondo. Anche se era un regalo idoneo alla natura di Cacciatrice della ragazza. Per lui era … immorale!

Dentro la scatola c'era una coppia di bracciali. In cuoio. Lunghi e stringati. Ed una cintura, dello stesso cuoio.

Erano degli oggetti da battaglia di pregevole fattura. Belli, di certo non moderni.

"E questi dove li hai trovati?" - Wes stava di nuovo con il naso sopra il baule. Basandosi sulla fattura, era certo che fossero piuttosto rari da reperire. Ed intrisi di notevoli poteri arcani.

"Anch'io ho i miei informatori." - ribattè Spike, scoccandogli un'occhiata inceneritrice - "E vorrei sentire l'opinione di Faith, oltre ai tuoi mugolii soddisfatti…"

decisamente, la ragazza aveva gli occhi che brillavano. Si stava provando uno dei bracciali, aggiustandoselo. La chiusura era piuttosto complicata. E c'erano alcune placche metalliche da posizionare, da ribattere, per adattarli alle sue braccia.

Poteva essere vestita di seta, poteva essere giovane…. Ma la luce accesa nel suo sguardo era quella dei predatori.

Forte e calda.

Ed ora, giusta.

Completa. Non più la luce che l'aveva infiammata di follia negli anni passati. Non più. Spike questo non poteva ignorarlo. E dall'Uccisore non sarebbe stato giusto che la Cacciatrice ricevesse altro.

Nella scatola c'erano anche dei lunghi guanti neri, privi di dita, per proteggere la pelle dalle cuciture. Sotto la cintura, nascosto, c'era anche uno stiletto dal fodero scuro. Sarebbe stato perfetto alla coscia, oppure dentro uno stivale, constatò Faith, registrando rapidamente le caratteristiche dell'oggetto.

E capendo al volo che era stato aggiunto.

Quando lo prese in mano, scoprì anche che, retrattile, nell'impugnatura, celava un paletto in legno. Appuntito e letale.

Quell'oggetto era appartenuto ad una Cacciatrice. Fu una sensazione chiara e inequivocabile. Quanto inspiegabile.

E Faith ne fu così colpita da domandarsi se anche gli oggetti che le appartenevano sprigionavano la stessa forza. O se l'avrebbero mai sprigionata, in un domani.

Faith alzò lo sguardo e, spontaneamente, cerò gli occhi di Wes. Per scoprirlo già voltato verso Spike.

"Se stai ipotizzando che l'abbia portato via ad una vittima." - ringhiò - "Stai anche per prenderti un pugno."

Angel guardò l'oggetto e Faith, notando l'occhiata, glielo porse.

"Apparteneva ad una Cacciatrice." - commentò - "Basta tenerlo in mano per rendersene conto. Ovunque l'abbia preso Spike… è giusto che torni ad una Cacciatrice."

Si voltò a guardarlo. Non c'era intenzione da parte di Spike o di Wes, di mettersi a litigare. Ma Faith era disposta a tutto… tranne che a vedere quella serata rovinarsi.

"Su questo non posso che essere d'accordo." - rispose Westley - "è un oggetto stupefacente. E mi incuriosisce… non ne avevo mai visto uno, dal vivo…"

"E' così raro?" - chiese Cordelia, mentre Angel lo posava sul tavolo.

"E' raffigurato molto spesso." - spiegò Westley - "Appartiene ad un'epoca remota in cui la Cacciatrice era un vero e proprio guerriero…"

"perché… adesso no?" - domandò Faith, con un bagliore metallico nello sguardo.

"Wes, cambia discorso… parla del baule e del legno di candeggina." - comandò imperiosa Cordelia.

"Canfora, Cordy." - specificò, serioso, l'Osservatore - "Canfora."

Faith rispose l'oggetto e chiuse il coperchio. Quegli oggetti risvegliavano in lei una forza ed una sete di battaglia non trascurabile.

Qualcosa che mal si adattava alla serata. Qualcosa che faceva parte di lei, ma non le impediva di gioire per l'aver ricevuto un regalo.

"Ti prego…" - disse Spike, incurante, quando la vide avvicinarsi, grata - "Risparmiami le smancerie. Ho capito… ti è piaciuto. Sono contento così."

Non c'era bisogno di insistere. E Faith era troppo disorientata da quella valanga di oggetti comprati apposta per lei, da non aveva testa abbastanza per impuntarsi.

Dietro di lui, e per farla sorridere, c'era un demone verde con aria da martire.

"Mi dici perché disapprovi tanto?" _ chiese Doyle, voltandosi a fissare Lorne.

"Perché sono un uomo vecchia maniera." - spiegò, sofferente, aggiustandosi come suo solito la giacca - "Alle ragazze si regalano cose da ragazza, profumi, rose e cioccolatini. Non quei… cosi."

"I cosi sono utili."

"Non ha importanza."

"Allora sei destinato a disapprovare ancora." - mormorò Angel, incrociando le braccia. Il turno di Spike non sembrava ancora finito. Doyle aveva abbandonato Lorne e si era avvicinato al vampiro biondo, ed i due stavano confabulando qualcosa. Poi Doyle, con gesto imponente, per richiamare l'attenzione esordì.

"Signori! Sarei in vena di dire due parole. Mi prestate orecchio?"

"Ci sediamo anche o pensi che sarà una cosa breve?" - chiese Wes, di rimando.

Sorrideva e, non vista, Faith era tornata ad insinuarsi sotto al suo braccio protettore. E da quella visuale, aveva un ritratto di lui inaspettato e sorprendente.

Westley sorrideva. La luce del lampadario, come poco prima, durante il valzer che le aveva regalato, donava una sfumatura ancora più luminosa all'azzurro dei suoi occhi, mettendo in risalto il naso affilato ed i bei lineamenti.

Westley doveva essere stato, da adolescente, un ragazzino allampanato e goffo. Uno di quelli destinati, con il passare degli anni, a divenire più belli.

Oppure uno di quelli incuranti della loro bellezza, nascosti dietro lenti intellettuali e vestiti caldi e informi.

Era talmente bello, mentre sorrideva, che Faith fu colpita da un particolare inaspettato.

Era giovane.

Non era la saggezza fatta persona, come poteva essere Giles. Westley era un giovane uomo che sapeva forse troppo. E dietro quel troppo nascondeva tutto il resto.

Non poteva passargli inosservato, quella sguardo della sua Cacciatrice. Chinò il capo, volgendolo verso di lei. Sorridendole.

"Faith… cosa stai guardando?" - sussurrò, mentre intorno a loro esplodevano battute rivolte a Doyle ed al discorso serio che cercava di iniziare.

"Dovresti trovarti una ragazza, Wes. Sei piuttosto bellino, sai?"

Il Wes che era venuto a Sunnydale per lei, sarebbe inorridito. E l'avrebbe apostrofata per la sua superficialità

Ma questo… questo Wes le sorrise ancora.

"E' una proposta, mia Cacciatrice?" - chiese, rivelando una ironia non dissimile da quella con cui Spike la provocava.

Rise, posandogli la testa sulla spalla.

"Sei troppo vecchio per me…" - ribattè.

"Vecchio…" - sbuffò lui, fingendo di essere risentito - "Non arriviamo ad avere dieci anni di differenza e già mi dici che sono troppo vecchio… pazienza, mi cercherò una vecchietta nel pensionato all'angolo."

"Adesso che mi ci fai pensare… non sei troppo giovane per essere già stato un Osservatore a tempo pieno?"

lui finse di pensarci un po', alzando lo sguardo. Per poi annuire.

"In effetti non posso lamentarmi…"

"Allora! Posso parlare oppure no?" - urlò Doyle, per sovrastare tutte le conversazioni che si intrecciavano intorno al tavolo. Ed interrompendo, insensibilmente, le confidenze di Faith e Wes.

"Dovremmo aspettare ancora molto?" - domandò Lorne, come se fosse stato sempre in attesa, e non impegnato a discutere con Angel e Spike - "Rischio di perdere il pullman…"

"Signori." - esordì cerimonioso - "Ed ovviamente signore… ma che cavolo sto dicendo…"

"E non hai ancora nemmeno cominciato…"

 

"Taci Spike. Amici miei… così va meglio, decisamente. Amici miei, dicevo.

Io probabilmente non riuscirò a rendere a parole quale sia la mia gioia ad essere tra voi. Una volta ho detto a Principessa che non c'era paradiso che fosse paragonabile all'essere tra le persone che si amano. Non mi pentirò mai di questa mia idea.

È forse la più grande verità che potessi inventarmi.

Sono tornato per un buon motivo.

Sì, certo, lo sapete tutti. Sono tornato per salvare Angel, perché se qualcuno non lo tiene d'occhio, finirà con l'incasinare anche le poche cose tranquille che esistono nell'universo.

Ma soprattutto sono tornato per amore. E per amicizia. Sono tornato per avere l'occasione di conoscervi e apprezzarvi. Tutti.

Cacciatrici recalcitranti e vampiri biondi compresi.

Sono tornato perché Lorne potesse rivoltarmi come un calzino a suon di domande e Wes potesse deliziosamente tediarmi con un qualche trattato in cui la cosa più interessante è la rilegatura.

E sono tornato per Principessa, che poteva anche cercarsi un bellimbusto palestrato.

Ma che non l'ha fatto, dandomi una speranza anche nell'aldilà.

Sono tornato per tutto questo, perché faccio parte di questa terra caotica su cui camminiamo.

E quando sono qui, amici miei, la mia unica paura è di non dare a tutti voi quello che voi donate a me, in ogni giorno di questa strana vita.

Non aspettatevi grandi rivelazioni. Non ne ho nessuna. Per le Alte sfere sono attualmente in sciopero. Ho chiesto una dispensa, siete liberi non crederci, perché l'universo, per una volta, non avesse bisogno di noi per tirare avanti.

Questa è la nostra prima festa insieme. Oggi festeggiamo uno di noi. Perché sappia che al mondo ci sono veramente le persone che sanno voler bene. Questo siamo noi, potete credermi. Siamo persone che sanno amare. E per quel vecchio concetto che afferma che l'amore fa girare il mondo… bhe, signori, tirate le somme di quanto ne scorre qui dentro. E portatevelo dentro.

Sempre.

Avevo promesso un discorso breve e mi sono lasciato prendere la mano.

Ma non ho bisogno di essere richiamato all'ordine. Mi andava di dire qualcosa di cui probabilmente non si è capito nulla. Ma non importa.

Buon compleanno, Faith. Ed io, dal più profondo del cuore, ti ringrazio ancora, di questa occasione che hai donato a tutti noi."

Cadde il silenzio. Poi Faith alzò il bicchiere, guardandolo fisso negli occhi. In quegli occhi trasparenti che sapevano vuotarle l'anima.

"A Doyle! E all'amore!" - mormorò semplicemente.

Ed in quel silenzio, ognuno di loro levò il calice.

E brindò alla capacità di amare, ancora.

E ancora.

E ancora.

 

A Doyle. A Doyle che non sa aprire bocca senza forzare le nostre anime.

A Doyle che è capace di scegliere la terra ed i suoi dannati, chiudendosi alle spalle le porte del paradiso.

A Doyle. E al mondo in cui sa parlare della nostra vita.

E delle nostre anime.

 

"Bene." - mormorò infine l'irlandese, con un colpetto di tosse, abbassando gli occhi sospettosamente lucidi - "Finite queste smancerie, passiamo alla questione regalo. Faith, con i nostri auguri di buon compleanno, da parte mia e di Spike."

"Ancora?"

"Ancora. Soffriamo di un certo complesso di inferiorità…" - spiegò Doyle, prendendosi una gomitata misteriosa da Cordelia ed afferrando contemporaneamente un involucro gemello a quello appena consegnato alla festeggiata - "E questo, Principessa è per te."

Cordelia lo guardò cercando di formulare, almeno con le labbra, la parola 'perché', visto che la voce non voleva uscirle dalla gola.

Ma la risposta era scontata. Ed anche Doyle non aveva bisogno della voce per dirlo.

'perché ti amo'. Le sue labbra si mossero, per poi allargarsi in un sorriso.

Da sotto il tavolo era spuntato un altro scatolone. Uno di quelli marroni, da imballaggio. Su un lato la scritta 'Doyle' non lasciava dubbi su chi fosse il complice.

"Tu guarda…" - constatò l'irlandese, buttando un'occhiata distratta al suo nome - "scritto con tutti quegli svolazzi sembra pure un nome altisonante…"

Faith e Cordelia stavano spacchettando. Ad Angel bastò vedere le due custodie, lunghe e affusolate, in velluto, per girarsi, con uno sguardo di sorpresa ammirazione verso Spike.

"A questo tizio basta dire il nome di un oggetto e casualmente sa dirti dove trovarlo." - commentò il vampiro con un'alzata di spalle - "E voi tutti osate dire che sono io quello delle cattive compagnie…"

Angel aveva visto giusto. Dalle custodie, Faith e Cordelia estrassero due splendide spade, di fabbricazione spagnola. Due lame lucenti, con impugnature eleganti e maneggevoli. Solo gli intarsi sulla coccia permettevano di distinguerle.

"Ovviamente, Angel." - commentò Wes - "Tu sarai quello che insegnerà ad usarle."

"Tu lo sapevi?"

"Diciamo che sono stato consultato…" - replicò, pensando alle discussione furiosa intavolata con Spike. Indubbiamente Spike aveva avuto un buon maestro in campo spade… e, a giudicare dall'espressione con cui Angel soppesava l'arma che Cordelia gli porgeva, non c'era nemmeno dubbio su chi fosse stato.

Le ragazze si rivelarono entusiaste anche di quel regalo che Lorne definiva poco femminile. E Doyle fu subissato di baci e abbracci.

Faith stringeva ancora tra le mani la spada, quando, di colpo, si ritrovò Spike di fronte.

Faceva uno strano effetto, vestita come una ragazza, per una volta in vita sua, e con una spada correttamente impugnata nella mano destra.

Sorrise, di quello strano abbinamento. E non fece commenti. Intanto sapeva che Faith aveva perfettamente intuito il motivo della sua ilarità

Faith gli si avvicinò, quanto bastava per posargli la sinistra sulla spalla. E sporgersi, verso di lui, per baciarlo sulla guancia. Un bacio leggero come una farfalla.

"Grazie, Spike. " - sussurrò.

"Ed ora gli altri!" - Doyle si immerse nello scatolone - "Lorne… Wes… Spike.. e ovviamente Angel."

In rapida successione, senza dare il tempo per le recriminazioni, distribuì i suoi bei pacchetti.

E, a ogni obiezione, rispose testardamente con la stessa identica frase.

"Mi andava di comprarvi qualcosa. Non è un delitto e non è sbagliato. Potrete offrirmi da bere la prossima volta che usciamo per un pestaggio."

 

Adesso toccava a faith guardarli spacchettare, mentre, con una perplessità mista a contentezza, si accanivano sulla carta e sui nastri.

Lorne fu il primo a riuscire nell'impresa, finendo con il sollevare, con aria trionfante, il suo bottino.

Seguito, di poche lunghezze, da Wes e da Spike.

 

Ma fu sul regalo di Angel che si puntarono tutti gli occhi.

Angel, tra le mani, stringeva, un album da disegno rilegato. Un oggetto in cuoio lineare e morbido al tatto.

Angel lo fissava, respirandone il profumo caldo ed ammirando la perfezione delle cuciture. C'era addirittura una tasca, in cui riporre alcune matite.

Un bell'oggetto.

Lo pensavano realmente tutti.

Ma le loro menti erano piene di ben altre considerazioni.

Soprattutto perché la domanda fatidica era quasi corale.

Perché regalare ad Angel una cosa del genere?

 

Dopotutto Doyle lo conosceva meglio di tutti… se aveva scelto un oggetto del genere doveva anche offrire una spiegazione.

E così tutti i loro occhi si puntarono su di lui. Mentre questo prontamente si nascondeva dietro Angel.

"Non lasciare che mi fissino in quel modo!" - esclamò, indicandoli tutti ed aggrappandosi alla spalla di Angel - "Mi… mi mettono soggezione!"

"E' bellissimo, Doyle." - Angel non lo stava ascoltando. Si girò, con uno sguardo pieno di gratitudine. I suoi occhi scuri brillavano come poche volte poteva succedere. Doyle lo scrutò, con il solito cipiglio. Poi, con un movimento impercettibile della mano, indicò Spike, che stava facendo palesemente di tutto per svanire nel fumo di sigaretta.

Quando sentì gli occhi del suo sire addosso, Spike ricambiò con un'occhiata di sfida.

"Mi ha chiesto un parere." - ribattè, come se Angel gli avesse chiesto spiegazioni - " Non potevi pensare che prima o poi non lo scoprissero. Per cui…"

"William." - mormorò Angel, ascoltando quello sproloquio - "Non ti ho chiesto nulla…"

"Ma stavi per farlo. E quindi mi sono premunito. Insomma…."

"Spike, vuoi tacere un attimo, per favore?" - Cordelia guardò Angel, con fare indagatore - "Cosa serve a te, un album da disegno?"

"E perché non dovrebbe servirmi?" - Angel appariva vagamente perplesso.

"Perché sei un vampiro! Insomma…" - non era certa di riuscire a proseguire.

"Forza, Cordy." - l'incoraggiò Wes, appoggiandosi al tavolo, per prenderla meglio in giro - "Aspettiamo di sentire la tua teoria…"

"Gattina." - Spike alzò gli occhi al cielo - "Tu smettessi di far sniffare cipria ai tuoi neuroni, avresti capito che lui disegna."

"Angel disegna?" - Cordy lo fissava come avesse detto un'eresia - "Ma non è vero! vive con me da anni e non l'ho mai visto impugnare una matita!"

"Il fatto che tu non veda non significa che non lo faccia! Credimi, lui ha sempre disegnato. E scommetto che anche adesso continua a farlo…"

Aveva ragione. Come sempre a Spike non sfuggiva nulla.

Del resto, teneva nascoste nel suo studio le prove di capacità pittorica di Angel…

E queste lo rendevano talmente sicuro da parlare a ruota libera…

"Ti posso assicurare che continua a dipingere." - stava dicendo- "Mi ha disegnato così tante volte da rendermi idrofobo. È un fissato del ritratto, ne fa a tutti quelli che incontra…"

Iniziava a sentire una punta di panico, ad ascoltarlo. Non era veramente certo che si fermasse al momento opportuno. In effetti, Angelus ne aveva fatti parecchi di ritratti, negli anni…

Del resto, stava parlando con Cordelia che, alla parola ritratto…

"Tu dipingi?" - il suo tono continuava ad essere incredulo. Ma il suo obbiettivo era cambiato - "E mi hai mai fatto un ritratto? Ho sempre desiderato un ritratto da appendere in camera…."

Wes rideva di gusto di quell'accanirsi. Era decisamente peggio della volta in cui aveva deciso che, con un po' d'aiuto, si poteva fare il book artigianalmente. Aveva affittato macchine fotografiche e attrezzature, imponendo a lui ed Angel infiniti defilè con abiti stranissimi. E che coprivano ridottissime porzioni di pelle.

Piacevole, in effetti, da ammirare.

Ma le fotografie…

Le avevano rimosse in fretta.

E Cordelia aveva fatto uno splendido falò sul tetto dell'Hyperion. Di persona, per cancellare tutte le prove.

 

Ed ora?

Ora voleva un ritratto. E gli occhi di Angel, davanti alle richieste, diventavano sempre più grandi.

Faith ormai era in preda ad un riso incontrollabile. E con lei, Spike.

E, a poco a poco, le risate divennero corali e irrefrenabili.

 

"Manca solo un regalo, dunque." - mormorò Lorne, quando gli sembrò che gli invitati si stessero ricomponendo.

Angel alzò la testa, colpevole. Era talmente preso da quel taccuino da essersi scordato del tutto. Se non fosse stato per la frase di Lorne, probabilmente avrebbe ceduto alle richieste di Cordelia e si sarebbe seduto su uno dei divani, impugnando la matita.

Spike fece due passi avanti e gli sfilò il prezioso oggetto dalle mani.

"Tranquillo Flagello. Non scappa." - mormorò, posandolo su una sedia alle sue spalle.

"Devo ringraziare anche te, suppongo…."

"No, ringrazia solo il tuo connazionale. L'idea era sua. Ed io domanda rispondo sempre."

Voleva sembrasse una concessione. E non un piacere. L'ho disse con una leggera alzata di spalle, senza trasmettergli il piacere che aveva provato…

 

"Ok… a questo punto mi resta solo il regalo per l'Eroe." - commentò Doyle, infilandosi sotto il braccio la spada come fosse un ombrello e aggiustando la presa sulla busta con gli altri regali - "Cordy mi vuole a casa tra mezz'ora, per cui sarò anche puntuale… ci starebbe bene anche una birra…"

Dietro di lui, incurante, camminava Spike. non si era offerto di portargli i vari pacchetti e impegnava le mani e la testa in una sigaretta.

Guardava le vetrine e pensava ai fatti suoi, quando Doyle, con i suoi gemiti, lo richiamò al presente.

"Lo conosci come le tue tasche, saprai bene cosa comprargli…"

"Oh, certo, come le mie tasche. Ma Angel è una tasca bucata. Quando l'hai rovistata tutta, scopri che parte della roba e finita in una fodera quasi irraggiungibile. Sarà una metafora delle balle, ma rende l'idea. Allora, Spike, cosa compro ad Angel?"

spike lo guardò, perfettamente interrogativo, tendendosi a recuperare le spade che stavano scivolando sul marciapiede. Doyle aveva ripreso a camminare, voltandosi ogni tanto a buttare un'occhiata distratta alle passanti.

"Fai un elenco." - sbuffò, vedendolo così in crisi - "gli piace leggere, rimuginare e dipingere… hai l'imbarazzo della scelta…"

"Frena!" - Doyle si bloccò, voltandosi a fissarlo sorpreso - "Hai detto, scusa?"

"Cosa?"

"Dipingere? Hai detto dipingere?"

"Disegnare, per la precisione." - Spike alzò le sopracciglia, incredulo - "Non lo sapevi?"

"Non sono onnisciente. Ho spirito d'osservazione, tutto qui." - si difese l'altro - "Ma questa mi giunge veramente nuova."

"Sorpresa." - commentò Spike. alzò lo sguardo e attraversò la strada, senza aspettarlo.

Fermandosi davanti ad un negozio.

"Fatto." - disse, con un certo compiacimento - "Compragli quello…"

 

"Va bene! Ho capito." - Cordelia alzò le braccia in segno di resa - "Ma non credere che sia finita qui! Riprenderemo questo discorso in un altro momento."

Certo.

E ne riprenderemo molti altri. Angel lasciò vagare lo sguardo, una volta ancora, sui loro visi. Ognuno di loro rivelava una parte di sé, si svelava a poco a poco, con farsi interrotte e smorzate dalla confusione.

Ognuno di loro creava nuove passioni e nuovi legami. E condivideva emozioni apparentemente sopite.

 

Faith aspettava. Aveva intrecciato le mani dietro la schiena. E li guardava, con una certa impazienza.

Angel stava parlando con Spike, sottovoce, chinando il capo verso di lui. Ma Wes, come lei, aspettava, per poterle consegnare, finalmente, quel qualcosa di piccolo che stringeva tra le mani.

E non era certo meno sulle spine della sua Cacciatrice.

Si sarebbe potuto tranquillamente dire che non stesse più nella pelle.

Che strano… Lorne li guardò, dall'angolo in cui si era seduto, per godersi meglio la scena.

Erano tutte persone al confine della realtà, capaci di affrontare un'Apocalisse con lo stesso spirito con cui si evita ad un dolce di bruciare. Senza battere ciglio, senza porsi un problema in modo eccessivo. Senza arretrare mai…

E queste poche, normali emozioni, quasi comuni, quali un compleanno, un regalo ed un po' d'affetto… li gettavano in confusione.

Sembravano troppo innocenti, troppo sorpresi, per poterci realmente credere.

Si scambiavano sorrisi come gioielli troppo preziosi, da non potersi indossare tutti i giorni…

 

"Angel.." - domandò garbatamente Westley, arrivandogli vicino - "Ti decidi?"

"Sono pronto." - mormorò il vampiro, voltandosi - "Faith…"

La Cacciatrice si stava già movendo verso di lui. Ed in un attimo, con grande sorpresa di tutti i presenti, fu tra le sue braccia.

Aveva un profumo inebriante, privo della forza e della ferocia che manifestava per le strade di Los Angeles. Aveva l'aroma delle ciliegie candite che aveva gustato e dei dolci.

E indosso, leggero e appena percepibile, sui vestiti, il profumo di Cordy e l'aroma caldo di Doyle… il profumo costoso di Lorne, la colonia di Wes…

Incoronata con le loro essenze.

Angel la strinse ancora un attimo, per inebriarsi.

Spike lo guardava. Angel aveva chiuso un attimo gli occhi e le ciglia gli delineavano il profilo come una riga scura.

Un profilo inspiegabilmente dolce, un'espressione che Faith aveva attirato in superficie da chissà quale passato. La stringeva con le mani troppo basse, per la statura di Faith. La stringeva come fosse realmente una bambina.

Angel stava abbracciando un passato perduto. Stava abbracciando un cuore frenetico e pieno d'amore per lui.

Stava abbracciando… Kathie.

Lo capì, in un sussulto di sorpresa. Angel abbracciava qualcuno che amava più della sua stessa vita. Qualcuno che non era Buffy. qualcuno che aveva promesso di proteggere, fino alla fine.

Ed il dolore, con cui compiva quei gesti era così palpabile e così simile al suo che Spike, nel guardarli, non riuscì a frenare un ultimo disperato ricordo.

 

"Willy…" - Edward uscì in corridoio, finendo di annodarsi la vaporosa cravatta - "Sei pronto?"

"Arrivo, un attimo…" - come suo solito, William attraversò la soglia della sua camera a testa china, finendo di pulirsi gli occhiali. E sbattendo inevitabilmente contro Edward.

Dritto, con il naso, nella cravatta di seta.

Si scostò, strofinandosi la faccia ed Edward, senza nemmeno pensarci, lo prese per le spalle.

"Stai dritto." - l'ammonì, gentilmente, aggiustandogli anche il colletto - "Alza il mento."

Poi fece un passo indietro, incrociando le braccia, per squadrarlo.

William lo guardava in attesa delle sua approvazione.

Sapeva di non avere il portamento di Edward. Era più alto di lui ed i capelli, di un caldo biondo, pur essendo ondulati, non ricadevano scomposti, incoronandolo come una criniera.

Aveva gli occhi profondi e grigi, come le pietre dello stagno, non cangianti, dall'azzurro a varie sfumature in base agli stati d'animo.

E la sua espressione stava cambiando.

Dal cipiglio attento con cui si accertava che William non avesse un capello fuori posto, ad un'espressione vagamente divertita.

"William… puoi continuare a fissarmi… ma chiudi la bocca… sembri un tonno."

"Scusami." - William sussultò, con aria colpevole - "Stavo solo facendo un bilancio. Ogni volta che paragono una tua caratteristica ad una mia… viene fuori un bilancio…"

"Ehi, Willy…" - Edward si avvicinò - "io darei qualunque cosa per il talento che hai. Sei incredibile, sul serio. Dovresti credere in te. Vali più di quanto pensi."

"Vorrei assomigliarti di più." - ammise in un soffio.

Edward scosse la testa, sorridendogli, prima di abbracciarlo. Con naturalezza, come se per lui fosse indispensabile stritolargli qualche costola. Più volte al giorno, se il caso lo richiedeva.

"Dai tempo al tempo." - sussurrò, scompigliandoli quei capelli troppo indisciplinati. Prima di guardarlo, ancora… ed aggiustargli gli occhiali sul naso - "E mi metterai in ombra, prima di quanto immagini."

Si scostò da lui, con un movimento scanzonato, e si incamminò verso le scale. Voltandosi, per incitarlo a muoversi.

 

Poi svanì. E William, divenuto Spike, rimase ancora un attimo nel corridoio vuoto.

Prima di ritrovarsi nuovamente nel salone dell'Hyperion, illuminato a festa.

Ed Angel, con un impercettibile movimento del capo, si voltò verso di lui. Da dove si trovava, vedeva Spike con la coda dell'occhio. Angoscia, mischiata ad un profondo e indomato… rimpianto.

Eppure, per quanto fosse normale, per Angel, che Spike avesse dei rimpianti, in questa percezione vi era un che di inspiegabile.

Come se non fosse conseguenza dell'anima… ma di un ricordo… la sua angoscia, repentina e inaspettata, l'aveva colpito, come uno squillo di tromba, non smorzata nemmeno dalla grande felicità che Faith sprigionava.

Felicità che Spike mai avrebbe turbato. Reprimendo, anche con la violenza, tutto ciò che gli stava passando per la testa.

Edward non tornerà, si ripetè. Con una durezza che gli lacerò il cuore.

Sotto i suoi occhi, Wes stava porgendo un sacchetto di velluto a Faith, ancora nascosta tra le braccia di Angel.

"Faith…" - disse Wes, con un tono cerimonioso - "Buon compleanno."

Faith prese il sacchetto, per rigirarlo con le dita.

Un gioiello?

In effetti era un sacchetto di velluto… ma lei era certa di averlo già visto… sì, certo, in camera di Wes.

La catenina di Wes? Sarebbe stato bello e significativo… ma non sarebbe stato anche da parte di Angel…

Non voleva aprirlo.

Non voleva smettere di provare quel desiderio, quell'impazienza.

Voleva sentirla consumarsi, voleva non smettesse mai...

Lentamente le sue dita armeggiarono con il nastrino di chiusura. Fino a quando il contenuto non le scivolò sul palmo della mano.

Con sua sorpresa.

Abbastanza da alzare uno sguardo interrogativo verso entrambi.

Una chiave. Una bella chiave nera e argento.

Angel la guardava, senza dirle nulla, con le braccia conserte. E Wes approfittava nuovamente per lustrarsi le lenti degli occhiali.

"Faith…" - mormorò Angel, con un mezzo sorriso, innanzi alla sua perplessità - "Sotto il portico…"

 

Le ci volle un attimo, ancora, per capire che doveva voltarsi ed uscire. Quando lo fece, i passi degli altri risuonarono alle sue spalle.

Si voltò per essere certa di non ritrovarsi da sola.

E, una volta giunta nel giardino dell' Hyperion… li dimenticò tutti.

E restò impalata, innanzi al suo regalo.

Con la mente completamente vuota.

 

"Ecco cosa facevi qui, prima." - mormorò Spike, varcando la soglia dell'Hyperion - "Altro che aspettare noi…"

Angel si voltò, gettandogli un'occhiata di sbieco. Spike si stava sforzando di avere il solito tono pungente. Ma non c'era dubbio che avesse qualcosa per la testa. Qualcosa che non gli dava tregua.

Può darsi, mormorò evasivo. E Spike eluse la sua occhiata, in modo talmente studiato, passandogli accanto, da attirare anche lo sguardo di Doyle.

Uno sguardo che prontamente corse da Spike ad Angel.

Facendolo rallentare, mentre Cordelia si staccava da lui e avanzava fino a trovarsi vicino a Faith e Westley.

Angel lo fissò. Non c'era in lui una reale preoccupazione, constatò Doyle. Angel era un fascio di sensazioni contrastanti. Dolore, gioia, rimpianto ed esitazione.

Spike l'aveva sorpassato, allontanandosi, e lasciandolo con il tarlo del dubbio. E l'aveva fatto per non sentirsi vulnerabile.

 

E fu in quel mentre, a metà di quelle perplesse constatazioni, che Faith proruppe in un urlo.. un vero urlo di gioia, saltando in braccio a Wes, baciandolo, per poi fare altrettanto ad Angel.

"Una moto! Mi avete comprato una moto!" - gridava, coprendolo a rotazione di baci - "Una moto vera!"

"Fosse stata finta ti saresti incazzata come una bestia…"

"Oh, Spike! ti rendi conto? Una moto! e i vestiti, la spada… è tutto mio! Tutto mio, mio!" - esclamo, prendendolo per la giacca e scotendolo forsennatamente - "mio! non ho più sola la cella in galera con le cartoline alle pareti! Ho una famiglia, un a moto… e sono libera!"

Ed impazzita.

Come del resto stavano constatando tutti…

"Ed ho finalmente un compleanno!" - buttò le braccia la collo di Doyle, coprendolo di baci - "Doyle, ho un compleanno, un compleanno vero! E sono vestita come una signora!"

Wes chinò la testa per coprirsi gli occhi con una mano. Rideva come un pazzo, mentre la sua Cacciatrice, vestita da signora, dava in escandescenza.

"Ed ho una borsetta, in tinta con le scarpe. Ed ho una moto! una moto vera! Lorne! ho ballato un valzer, sceso una scala e mi sono divertita ad una festa senza provocare una rissa!" - non riusciva a calmarsi. Muoveva le mani, rischiando di perdere le chiavi ad ogni movimento - "Ed il tuo scialle mi piace un sacco. Ho sempre desiderato uno scialle e manco lo sapevo! E so camminare sui tacchi alti!"

Non riusciva proprio a fermarsi. Doveva raccontare a tutti loro una serata a cui, in rigor di logica, erano stati presenti.

Anche se, vista con i suoi occhi, andava assumendo dei colori ancora più intensi e incredibili.

Continuò a sproloquiare. E la lasciarono fare.

Disse tutto quello che le passava per la testa, non smettendo mai di ringraziare ed elencare tutto ciò che aveva ricevuto. E quando infine, ansimante, la mente le si vuotò del tutto, le sue braccia cinsero il collo di Lorne.

E Faith pianse buona parte delle sue lacrime e del suo rimmel nel risvolto della giacca.

Spike, aspettando, come tutti gli altri che la festeggiata ritrovasse un certo contegno ( o almeno una punta di lucidità) perlustrò critico la moto.

Era veramente notevole…

"Da quando ti intendi di motociclette?" - domandò, polemico, ad Angel che si avvicinava.

"Non io." - Angel scosse la testa - "Wes."

"Price?" - domandò Spike , sospettoso. Poco più in là, Doyle stava passando un fazzoletto alla festeggiata. Le lacrime erano state arginate con grande volontà, a quanto sembrava.

Ed ora, con gli occhi un po' arrossati, Faith appariva solo più giovane e luminosa.

Ed il senso di felicità che trasmetteva era inappagabile, quasi quanto il suo profumo.

"Price? Da quando capisci di motori?" - ripetè.

"Sono uno che legge…" - rispose evasivo Wes.

"Sì, certo… magari citerai anche un testo sumerico sull'argomento…"

"Spiritoso…"

 

"Scusate…"

la voce di Faith attirò l'attenzione come un fuoco d'artificio in salotto.

I loro occhi si puntarono tutti su di lei. Tra le mani tormentava ancora il fazzoletto di Doyle, attorcigliandolo. E non sapeva bene da dove cominciare a parlare.

"Vi chiedo scusa… anche se non sono brava a farlo. soprattutto a te, Lorne. mi incaricherò di persona di portare la tua giacca in tintoria. Non so cosa mi è preso..

cioè, forse lo so… siete voi tutti. Siete voi che mi avete preso, molto più di quanto pensassi.

Io non sono mai stata una brava ragazza. E domani, seppiatelo, sarò di nuovo l'emerita carogna di sempre. Stasera mi avete regalato ben più di una cena e dei regali. Mi avete regalato una famiglia. Ed io ne ho mai avuta una… è… è una cosa che da' alla testa!" - sorrise, con il labbro inferiore che ricominciava a tremarle, tirando indietro i capelli nervosamente - "Io non saprò mai ringraziarvi abbastanza…

oggi ho avuto un buon consiglio, da un amico… ha detto che al proprio compleanno si può donare, non solo ricevere. Io vorrei avere qualcosa da donarvi, qualcosa di grande e bello come tutto ciò che voi rappresentate per me. ma io non sono né grande né particolare… e voi dovrete accontentarvi. Ma io non vi tradirò mai. Ve lo giuro."

Chinò la testa. Forse stava di nuovo piangendo…

Ve lo giuro, ripetè.

Con di nuovo la sua dannata paura di sbagliare strada e ritrovarsi ancora, nella notte, in fondo ad una fossa da scalare.

"Angel…" - disse, con una vocina tremante - "Mi abbracci, per piacere?"

c'erano le braccia di Angel. ma non solo quelle. C'erano quelle di Lorne. E di Spike. E di Doyle e Cordy. E di Wes.

Non riusciva nemmeno a capire come fosse possibile. Ma tutti, la stavano abbracciando… tutti.

Tutti. E Faith teneva gli occhi chiusi, nella paura, ancora una volta, di essere consapevole di una malvagia illusione.

Restò ferma, tra le loro braccia. Respirando il tepore.

Fino all'ultimo…

 

"Benissimo!" - Cordelia si aggiustò il vestito e li guardò, con aria invitante - "E, a questo punto… chi vuole una fetta di torta?"

 

VII

L'alba… un nuovo giorno si stava preparando, dietro ai grattacieli, lungo l'orizzonte. Avvicinandosi, implacabile.

In lotta con la notte ormai conclusa.

 

Il salone era vuoto e muto. Ma ancora pieno di luce. E rimbombava, sotto i suoi passi. "angel..."

"William..." - si voltò, vedendolo riapparire - "Credevo fossi andato a dormire."

"Sbagliavi." - si fermò, con le mani in tasca, guardandolo, mentre percorreva il salone spegnendo le candele che non si erano consumate - "Vuoi una mano? spengo il lampadario?"

"No, quello lascialo acceso. faith tornerà a prendere qualche oggetto."

"come fai a saperlo?"

"Lo so…." - replicò pacatamente - "Tornerà…"

"Angel... quando hai finito, vieni a fare due chiacchiere?"- chiese. Aveva l'impressione di aver interrotto delle riflessioni.

Angel rallentò impercettibilmente il movimento della mano con cui proteggeva la fiammella prima di spegnerla. solo un attimo, irrigidendosi.

"Stavo per proportelo io." - replicò,con naturalezza. spegnendo la fiammella con le dita. con movimento talmente rapido da non provare nemmeno calore.

"Allora ti aspetto di là..."

 

Angel fece il girò del salone, attardandosi a chiudere il piatto dello stereo, a ritirare dei dischi rimasti senza custodia. Si fossero rovinati, anche solo per sbaglio, Wes ne sarebbe stato dispiaciuto. Teneva a quei dischi quasi quanto teneva ai suoi libri.

gli piaceva spegnere le luci. Era una tristezza dolce, adatta ai tempi passati e perduti. Alle cose dolci che sembrano non dover tornare mai.

Il suo cuore era come quelle fiammelle. Pieno di quel calore che il tempo avrebbe spento. Lasciando solo un pallido ricordo.

Triste e dolce. Allo stesso modo. Parte anch'essa della vita, la gioia, destinata ad esistere ed essere rimpianta allo stesso tempo.

La gioia... quanti brutti scherzi provocava, in un cuore di vampiro. Quanto faceva sentire vivi e intrappolati allo stesso tempo. Lui e spike ne erano la prova. Quella serata li aveva colpiti nello stesso identico modo, si era riempita di volti passati e ricordi apparentemente insabbiati.

E li aveva lasciati un po' più in guerra con loro stessi. ed un po' più in pace...forse. Difficile a dirsi.

Veramente difficile.

 

L'Hyperion era silenzioso. I passi di Angel rimbombavano e lui, sorridendo di quella camminata terribilmente umana, percorreva i corridoi e le sale.

Il 'di là' di Spike si era rivelato un po' meno scontato di quanto avesse immaginato.

In cucina, il persistente aroma di sigaretta ed il mozzicone mal spento gli avevano trasmesso quel senso di inquietudine che Spike si portava appresso da quando era iniziata la maratona del compleanno.

Prima incurante, poi menefreghista, poi triste, perplesso, agitato… ed infine felice, senza limitazioni.

Incomprensibile, come sempre, per riassumerlo tutto in una parola.

Tutto stava a scoprire dove si fosse rintanato… sul tetto, sarebbe stata la risposta più ovvia, se il sole non fosse già sorto...

Il portico?

Strano. Angel si fermò al centro dell'ingresso. Di colpo si era reso conto di cercarlo quasi umanamente, camminando senza metà, senza protendersi con i sensi, per rintracciarlo.

Quale imperdonabile distrazione, si apostrofò, ironicamente.

Essere umani… un'ambizione che aveva smesso di coltivare.

Si fissò la punta delle scarpe, incrociando le braccia.

Poi seppe dove andare. e si compiacque, nel rendersi conto che, dopotutto, lo sapeva già prima di cercarlo.

 

"Ciao…" - mormorò, comparendogli alle spalle.

"Ce ne hai messo di tempo." - rispose l'altro, prontamente polemico.

"Mi sono distratto." - sospirò, guardando il cortile pieno di luce. Il portico li riparava entrambi. Ed loro occhi, naturalmente, si abbeveravano di quella luce soffusa e intensa che non poteva raggiungerli.

Che li rendeva ancora più pallidi e intensi.

I capelli di Spike erano quasi luminescenti. In quelle settimane, contrariamente ad ogni legge fisica, erano cresciuti, si erano allungati. Ed ora il ragazzo li portava sparati verso l'alto, bloccati con il gel, rinunciando al suo amato stile patinato.

"Sei veramente molto biondo…" - commentò, guardando quelle punte con aria perplessa.

Ottenendo che si voltasse, per fissarlo, inarcando un sopracciglio.

"E te ne accorgi solo adesso?"

"Luce propizia." - rispose Angel, appoggiandosi alla parete e incrociando le braccia. Con gli occhi adesso cercava un punto immaginario, al di sopra del soffitto del portico, un punto in cui probabilmente splendeva il sole.

"e pensare che li porto biondi per risaltare al buio." - gemette, avvicinandosi e scivolando contro la parete, per sedersi. Quasi sui suoi piedi.

"Un vero narcisista…"

"Tu mi sfotti…"

"Ogni tanto. Per tenere la mente attiva." - aggiunse Angel. C'era una pigra indolenza nell'aria, sopra la città non ancora del tutto sveglia - "Gli altri?"

"Suppongo in giro. Doyle voleva fare colazione prima di andare a dormire. Credo siano usciti tutti…. Restiamo solo noi di guardia." - borbottò. Accendendosi una sigaretta.

"Doyle ha ragione. Quel portasigarette è un gran bell'oggetto."

"Lo so." - spike lo girò tra le mani - "Lo comprai perché era un bell'oggetto. Per nessun altro motivo. Allora non fumavo. E non fumava nemmeno il festeggiato…"

Era una frase ben strana. Angel chinò la testa, volgendola verso di lui.

"Non l'avevo comprata per me. L'avevo comprata per un compleanno. Me la ripresi …dopo…"

Dopo cosa?

Spike si era interrotto. Qualcosa l'aveva distratto, assorbendo la sua attenzione. Faceva roteare il portasigarette, seguendolo con lo sguardo. Vedendolo al rallentatore, imprimendogli sempre una maggior forza.

Fino a interrompere il movimento e stringerlo di nuovo tra le dita.

Prima di passarglielo.

Per resistere al desiderio di distruggerlo, di sentire la lamiera accartocciarsi sotto le sue dita, spezzandosi lungo le intarsiature.

"Per quanto non mi piaccia ammetterlo…" - disse, a denti stretti - "Credo di doverti delle scuse."

Angel non capiva. Lo guardò interrogativo, rigirando il portasigarette tra le dita. Quello che Spike stava dicendo, non combaciava con la sua impressione. Tra loro tutto sembrava tranquillo e le preoccupazioni di spike gli erano sembrate rivolte ad altro. Sembrare…. Sembrava, ma così non era.

"E… per cosa?" - chiese, perplesso.

"Per averti mentito. E per averti detto, per più di centocinquant' anni che ero figlio unico." - mormorò, spegnendo il mozzicone contro una mattonella, con una calma studiata che non gli si addiceva - "Se l'ho fatto è perché quando Dru mi ha trovato, ero, di fatto, figlio unico. Ed il prima… l'avevo dimenticato. Ho cominciato a ricordarlo…sai quando, no?"

oh sì, che lo sapeva. Nel momento stesso in cui era caduto, ai piedi della zingara, aveva nuovamente sentito il profumo delle lenzuola… e dei fiori che Kathie gli metteva sul davanzale. Solo un attimo, nel primo attimo, il suo volto era sorto dalle tenebre. E non se ne era mai più andato…

"Non sei obbligato a dirmi tutto del tuo passato." - rispose, sottovoce - "Non lo eri prima e non lo sei nemmeno adesso. Non hai motivo per farmi le tue scuse."

Spike non rispose. A capo chino, fissava un ciuffo d'erba. Il leggero soffio d'aria lo piegava e faceva ondeggiare. E, toccandolo con le dita, Spike percepiva un po' di quel calore che il suo corpo, addossato alla parete, non assorbiva.

A testa china. Come per nascondere qualcosa.

Angel si sedette. A gambe incrociate, rivolto verso di lui. Senza guardarlo, cogliendo appena, il movimento della mano con cui, rabbiosamente, si era sfiorato gli occhi. Come se non potesse ammettere nemmeno con se stesso quello che gli stava capitando.

"Gli volevi bene?"

Lo vide annuire. E contrarre la mascella.

"Molto." - rispose, duro - "Perché? Tu non volevi bene a tua sorella?"

Era stato offensivo. Se ne era reso conto mentre ancora la domanda aleggiava nell'aria. Aveva ferito Angel per non essere ferito.

"Adesso però le mie scuse sono appropriate." - mormorò.

"Non ha importanza…" - replicò pacatamente Angel. Posò a terra il portasigarette, con cura - "La mia era una domanda stupida. Ti prego di perdonarmi…"

"Come sei compito…" - sbuffò Spike - "sei più inglese di me, quando fai così."

"Non tutti gli irlandesi sono dei casinisti." - rispose. Ed il suo pensiero corse a Doyle che incarnava, quasi alla perfezione, lo stereotipo mondiale dei suoi connazionali. Festaiolo, con gli occhi chiari, uno spirito allegro, una certa passione per alcool e musica… sì, decisamente un personaggio da cinema.

Ed in se stesso? Poteva ancora trovare queste caratteristiche in fondo al cuore? Amava ancora la musica. Ed aveva amato quella serata in compagnia…

alcool…magia…forse Spike aveva ragione, tutto sommato….

"Angel… sei di nuovo loquace come un tappeto."

"Scusami. Stavo pensando." - replicò, automaticamente, senza perdere il filo del ragionamento. Prima di alzare gli occhi - "Vuoi parlarmi di lui?"

Questa offerta lo colse di sorpresa. Assolutamente. Si era preparato a mille domande, a dare risposte recalcitranti… come se Angel fosse uno che rintronava i suoi interlocutori a suon di richieste!

Non sapeva cosa voleva. Non aveva osato nemmeno pensare… la sua mente si era semplicemente riempita di immagini, provocandogli un tormento che non aveva limiti.

Ma Angel, del resto…

"Non mi avresti chiesto nulla, se non ne avessi parlato io, vero?" - E questo, Spike, non poteva che ammetterlo.

Angel gli sorrise, appena. E scosse la testa.

Era un sorriso pieno di comprensione. E consapevolezza.

"No, non ti avrei chiesto nulla." - rispose, chinando ancora lo sguardo - "So bene come ci si sente a pensare alla propria famiglia. Soprattutto quando si tratta di una sorella, o di un fratello. Io non ho mai immaginato, da vivo, che sarei andato così lontano da lei. Speravo in un futuro migliore del presente in cui vivevamo… E ho attraversato il mondo senza Kathie, senza nemmeno ricordarla, per decenni. Senza domandarmi come sarebbe divenuta crescendo… ed ora ci sono momenti in cui non riesco a fare altro che pensare al futuro che non ha avuto. Ed il mio passato senza di lei."

"e parlarne… non l'ho mai fatto. Non ho mai parlato di lei con nessuno. Non una descrizione, un aneddoto… nulla. Assolutamente nulla. Che importanza può avere adesso, quanto fosse bella, quanto amassi la sua voce e le sue risa… quanto? È morta, William. Io ho ucciso mia sorella, con tutte le sue potenzialità. L'ho uccisa e vivo in eterno. Proprio io, che ero molto più imperfetto di lei."

"Ed è giusto tutto questo?" - chiese Spike, più a se stesso che ad altri - "Me lo sono chiesto così tante volte… cosa avevo di particolare per ottenere questa immortalità?

Perché io, Angel? perché… cosa c'era in me da rendermi così adatto? E' ancora come allora… lui è morto… io sono sopravvissuto. Avevamo le stesse probabilità…"

"Il caso, il destino… in effetti l'unica cosa che possiamo scegliere è a quale delle due forze votarci. Il caos. Oppure l'ordine. Uno dei due guida le nostre vite… Doyle ti direbbe che è destino."

"E Cordelia mi direbbe che è casualità. Lo so." - concluse Spike, allungando le gambe - "Eppure quei due si completano, non credi?"

"E può darsi che sia questa la risposta giusta. Unire la predestinazione alla libertà." - commentò Angel. prima di tornare ad inoltrarsi nel discorso - "Ma questo non da' mai una risposta alle nostre domande. Io ho ucciso mia sorella. Tu hai perso un fratello. Ed entrambi li teniamo nascosti in un passato in cui forse, non abbiamo rimorsi."

Era vero. Edward apparteneva ad un periodo fatto di rimpianti e di pochi umani dispiaceri. Pochi, leggeri da portare, rispetto a quelli dei suoi anni sfrenati. Dei suoi anni al di fuori del logico, da predatore. Edward se ne era andato prima ancora che cominciassero i massacri.

"Ho sempre pensato che Edward…volevo credere che potesse vedermi, anche se non c'era più. Ed ora , se veramente mi sbilancio a credere che esista qualcosa oltre la morte… non posso far altro che pensare allo spettacolo che ho messo in piedi in questi secoli." - commentò Spike, con il tono pungente che era caratteristico delle sue riflessioni - "diceva sempre che mi avrebbe appoggiato, qualunque fosse la mia strada... ma ho difficoltà ad immaginarlo concorde con alcune mie scelte di vita."

Non aveva nulla con cui ribattere.

I pensieri sembravano invischiarsi nella luce del primo mattino. Erano densi, faticosi da rendere a parole. Li lasciavano senza fiato, stranamente spossati, come se ora, dopo lungo tempo a tormentarli, non volessero realmente rivelarsi per quello che erano.

Paura, dolore, solitudine.

E disapprovazione.

Ancora adesso.

Come allora.

Liam, l'eroe di sua sorella.

E William, l'ombra di Edward.

"L'avrei seguito in capo al mondo…" - commentò Spike. E non c'era nulla nella sua voce, se non un leggero stupore. Come se non riuscisse a capacitarsi, ancora adesso, di una certezza del genere.

Angel alzò gli occhi. E vide Spike come era stato in quegli anni. Come, per molti aspetti, era ancora adesso. Tenace, testardo, insofferente di ogni regola, troppo sincero per essere diplomatico e tremendamente affilato nei suoi ragionamenti. Come se il tempo l'avesse costretto ad essere il fratello maggiore di se stesso.

Non riusciva ad immaginarlo capace di accettare la guida di un altro con una fiducia del genere.

"Non farti un'idea idilliaca! Avremmo discusso di ogni decisione! Eravamo molto democratici!" - lo apostrofò prontamente Spike. Ed Angel aggiunse all'elenco appena stilato la voce "grandi capacità intuitive". Ancora una volta non aveva fatto in tempo ad aprire bocca che Spike già lo metteva a posto!

"Edward aveva un solo difetto… era perfetto." - riprese Spike. Sorridendo di quell'affermazione.

"Un difetto che hanno moltissimi fratelli maggiori." - ribattè Angel. E si sorprese da solo con quell'affermazione. Prima ancora che Spike lo fissasse passandolo da parte a parte.

Si alzò, quasi di scatto e camminando, giunse ad un passo dal cortile illuminato.

Anche lui era stato un fratello perfetto. Tra una sbornia e una litigata. Tra uno sbaglio ed un altro ancora. Per Kathie nulla di tutto questo era importante. Non aveva mai pensato di odiare suo padre per l'indifferenza che le mostrava…

"…Eppure per Kathie tutto questo non aveva importanza. Odiava nostro padre per il male che faceva a me." - confessò - "non le importava molto che non la notasse."

"Perché aveva te." - la voce di spike lo fece sussultare. Era in piedi, un passo dietro di lui - "Perché doveva desiderare altro? Tu probabilmente le davi molto più di quanto potesse immaginare. E le volevi bene."

"Io l'adoravo, William." - si voltò a guardarlo. E, senza volerlo, la sua espressione si addolcì. Come allora. Come quando Kathie lo guardava ed aspettava che parlasse - "E non ho dubbi sul fatto che tuo fratello Edward stravedesse per te. Lo si legge nei tuoi occhi…"

Lo vide sussultare. E fissarlo. E intravide quello che William era stato da vivo, in una frazione di secondo. Vide svanire l'espressione forgiata dai secoli, il cipiglio e la mascella volitiva. Vide il ragazzino biondo che era stato, il ragazzino che aveva un'espressione troppo fragile per il carattere che nascondeva.

Si voltò, tornando a guardare il giardino assolato.

"Hai lo sguardo di una persona che è stata amata, William. Sei uno che per amore saresti capace a fare di tutto. A rischiare tutto. E non solo per l'amore di una donna. Avresti veramente seguito tuo fratello in capo al mondo. Perché non sarebbe mai stato capace di farti del male."

Ed io avrei voluto proteggerti sempre, Kathie.

"Ed è per questo che adesso hai così paura, vero, William?" - domandò - "Hai paura di avere una nuova famiglia. Fai di tutto per tenerli fuori dal tuo mondo, da quando sei arrivato…"

"come te, del resto…"

L'aveva detto per nascondersi.

"No. Non come me." - Angel scosse la testa, con tristezza - "Non ho paura di legarmi. Ho paura che siano gli altri a legarsi a me. Sono pericoloso, William, lo sarò sempre più di te. E non ho mai avuto una famiglia, prima di adesso. Avevo solo Kathie, quando ero vivo, solo Kathie. Non una famiglia. Ma tu.. tu sai cosa si prova ad avere avuto dei genitori ed una casa da amare. Ed è per questo che non dovresti respingere queste persone. Credimi, è un'impresa disperata."

Aveva concluso scherzando, perché era più semplice. Perché non era certo di riuscire a trovare le parole giuste…

Spike lo fissò, inclinando la testa, con un mezzo sorriso. Poi aggrottò la fronte, con un'espressione perplessa.

"sul serio non sapevi cosa significava avere una famiglia?"

In un altro frangente sarebbe potuto sembrare petulante. O impertinente. Ma non aveva intento polemico. Era solo curioso.

Perché Angel, inconsapevolmente, era l'indiscusso collante sotto quel tetto.

Così ignaro delle sue capacità da poter scuotere la testa, prima di rispondere.

"Nemmeno un'idea di come poteva essere… credo sia stata Cordelia ad inculcarmi il concetto."

"Ha fatto un buon lavoro." - ribattè Spike dandogli una spallata amichevole. Un gesto che lo sorprese e lo fece sorridere. Era la prima volta che in quel contatto non c'era ironia o strafottenza.

"Hai ragione." - rispose, guardandolo - "Alla fine mi sono dovuto arrendere all'evidenza. Non sono riuscito a tenerla lontano. Né lei, né Wes."

"E poi sei divenuto il porto sicuro di Faith." - commentò Spike, riaccendendo nella sua occhiata una scintilla ironica - "Decisamente, ti porti a casa tutti i reietti che incontri."

Tacque.

Ma non a lungo.

"Incluso me." - aggiunse.

"Adesso ti definisci un reietto?" - lo punzecchiò - "William, tu mi sorprendi."

"Tu, Flagello, cominci a prendere gusto a sfottermi." - ribattè, scotendogli un dito sotto al naso - "E ciò è male! Molto male! Nessuno può prendere in giro il Sanguinario…"

"... senza pagare con la vita." - concluse laconicamente Angel, alzando lo sguardo al cielo - "L' hai ripetuto per dei decenni…. Non sei ancora stufo?"

"Ma sentitelo!" - sbraitò l'altro, alzando le braccia - "Sei una delle persone più noiose che io abbia mai conosciuto e ti lamenti di me? e, per di più, sei contagioso! mi hai rovinato! Stiamo qui a deprimerci con aneddoti vecchi di secoli al posto che dormire! Sei impossibile!"

Era partito.

Le lamentele piovvero copiose. Ed Angel non fece nulla per arginarle. Spike enumerò meticolosamente tutto ciò che c'era di piagnucoloso nel suo Sire. E lo fece per riprendere le distanze. Per non sentirsi troppo capito o troppo vicino a quel vampiro dagli occhi scuri che, per quanto taciturno, sapeva sempre dire la parola giusta.

Quello stesso vampiro bruno che adesso lo guardava senza ribattere e si lasciava sommergere dalle sue recriminazioni.

"ma vuoi dire qualcosa?" - esclamò, al limite dell'esasperazione.

Ma Angel non gli rispose nemmeno in quel caso. Inclinò un po' la testa, per cambiare l'angolazione da cui fissarlo. Imitandolo, con un bel sorriso.

Mentre Spike digrignava i denti.

"pensi anche di mordermi?" - domandò Angel, dando inizio al secondo tempo dello show.

Si sentiva bene. Si sentiva bene nel tormentare Angel, anche se fingeva di essere scocciato davanti alla sua accondiscendenza.

"Hai finito?" - lo provocò, Angel, a fine di una tirata particolarmente enfatica - "inizi a ripeterti…"

spike aprì la bocca, per ricominciare il monologo, mentre Angel, con aria rassegnata gli passava a fianco.

Ma le parole non gli uscirono mai dalle labbra. Angel si era chinato, per raccogliere da terra un oggetto dai baluginii metallici. Un oggetto che adesso educatamente gli porgeva.

Il portasigarette.

Spike lo guardò, in modo quasi ipnotico.

Prima di scuotere la testa.

"No. Tienilo." - mormorò, chinando il capo - "Lo so che non fumi ma… tienilo tu…."

Edward sarebbe contento di sapere che l'ho dato a te…

avrebbe voluto dirglielo.

Ma non ci riuscì.

 

Angel non disse nulla. Non ringraziò nemmeno. Sarebbe stato inappropriato.

Glielo leggeva in viso. Annuì, semplicemente, facendo scivolare la scatola in tasca.

Ed estraendo dalla stessa un piccolo oggetto, mentre rientravano in casa.

"A proposito, William… questo è per te." - disse, porgendogli un piccolo oggetto pendente, che il vampiro biondo fissò senza capire.

C'era una chiave. Ed un anello. Uniti da una semplice catenina.

Claddagh.

Inequivocabilmente.

Fissò Angel, senza capire. Poi i suoi occhi divennero due fessure sospettose, mentre le ipotesi, una peggiore dell'altra, gli passavano per la mente.

"Tu regali a me… un anello?"

La faccia di Angel gli avrebbe potuto far perdere dieci anni di vita. Ma in risate. I suoi occhi avevano raggiunto un diametro incredibile, diventando molto tondi e poco intelligenti. Obbligandolo ad uno sforzo enorme per replicare delle perfide allusioni del suo interlocutore.

"William. " - lo disse in un respiro, per sembrare tollerante al posto che sconvolto- "L'anello è un portachiavi. Ho pensato fosse giusto ne avessi uno, visto che ne sei vagamente ossessionato…"

Lo disse con leggerezza. Ma non era un segreto. Spike era legato a quell'anello d'argento. Più volte il suo inconscio l'aveva collegato ad un senso di sicurezza. Più volte, fino a quel pirotecnico esperimento di Doyle che per poco non era costato la vita ad Angel.

"E la chiave? Fammi indovinare…" aggiunse, enumerando sulle dita - "se il cuore è il bene che mi vuoi, la corona il rispetto che mi devi e le mani il tuo desiderio di strangolarmi… le chiavi che sono? "

"Un vero conoscitore della simbologia irlandese." - commentò Angel senza riuscire a trattenersi - "le chiavi sono un regalo che ti faccio e…"

"E cosa? Perché mi fai un regalo?" - era un tono sempre più allarmato e sospettoso. E già pronto a fare un altra domanda.

"Perchè…" - Angel lo zittì, interrompendolo - "non ero certo che tu mi dicessi la data del tuo compleanno. Ed anche se adesso la so e mancano sei mesi, non ho voglia di aspettare.

È un oggetto ingombrante che occupa troppo spazio in garage. Per cui fai che prenderlo. E calcolalo un regalo in anticipo."

Lo vide illuminarsi in viso, senza riuscire a controllarsi. La bocce gli si allargò in un sorriso enorme, mentre gli strappava l'oggetto di mano e si precipitava verso la porta. Angel lo seguì mentre Spike, senza neanche aspettarlo, scendeva i gradini e girava intorno alla macchina di Cordelia.

Ignorando per una volta la sua amata e caotica Desoto. Non aveva bisogno di sentirsi dire dove andare. Ed Angel lo vide frenare di fronte ad un oggetto informe, accuratamente coperto da un telone scuro.

Nero.

Come la moto nuova fiammante che nascondeva.

Spike quasi lo strappò, appallottolandolo e gettandolo in un angolo. Per poi restare a contemplarla, in stupefatto silenzio. Mentre Angel gli arrivava a fianco. Per beccarsi la canonica occhiata.

"Non vado spesso per negozi." - commentò incurante, con un'alzata di spalle - " Per cui, oggi, in concessionaria, ho pensato di mettermi avanti con il lavoro. Senza contare che così, tu terrai d'occhio faith ed io potrò rilassarmi."

Sarebbe potuto andare avanti a sfotterlo. Ma non c'era gusto. Perché Spike era semplicemente senza parole.

Si sarebbe potuto definire… inceppato.

Fissava la moto ed Angel, senza esprimersi, in assoluto, rigirando tra le dita le chiavi e l'anello. Giocherellandoci, meccanicamente. A metà strada tra l'imbarazzo e la riconoscenza.

Mai si sarebbe aspettato una cosa del genere.

Un regalo…

Si frugò in tasca ed estrasse l'accendino.

Lo strofinò tra le dita, per farlo brillare, vicino all'anello.

Senza un commento.

Con lo sguardo basso.

"Tra un attimo mi dirai che siamo di nuovo melensi?" - chiese Angel, ricordando la loro partenza da Sunnydale.

"Questa volta no." - replicò Spike, con un leggero movimento del capo. Prima di girarsi - "sono solo… sconvolto."

Avrebbe voluto dire molto felice. Ma non aveva parole che non gli bloccassero la gola.

Un regalo di compleanno.

Un vero regalo di compleanno. Non avevano importanza i sei mesi di anticipo, o di ritardo che fossero. Angel era tranquillamente uscito di casa e gli aveva comprato una moto.

Riusciva ad immaginarlo mentre, lentamente, come suo solito, camminava innanzi ad una interminabile fila di moto da corsa. Pensoso, fermandosi perplesso innanzi ad ognuna. Mentre Wes, probabilmente, intratteneva un commesso nervoso, in ritardo sull'orario di chiusura.

Eppure, a stento, riusciva a capire cosa gli fosse passato per la testa.

Si girò, cercando ancora disperatamente un modo per esprimersi. Un modo giusto per entrambi. Mentre Angel lo fissava in attesa.

Interrogativo.

Per un attimo aveva temuto di aver sbagliato tutto. Un certo imbarazzo, come se avesse esagerato. E si fosse reso conto troppo tardi dell'eccessività di quella moto.

Ma bastò quella singola occhiata di Spike, per dissipare ogni perplessità. Negli occhi di spike c'era la stessa sorpresa che aveva illuminato quelli di Faith. La stessa felicità incomprensibile. Lo stesso stupore…

No.

Non aveva esagerato.

Anzi.

Era adesso il momento di esagerare.

Allungò il braccio, fulmineo, prima che Spike potesse anche solo pensare di scostarsi. Gli passò il braccio intorno al collo e lo tirò verso di sé. Un gesto cameratesco. E sorprendentemente affettuoso. Uno strattone, per arrivare a scompigliargli i capelli gelatinati.

"Buon compleanno peste!" - mormorò, utilizzando il nomignolo che Cordelia gli aveva destinato.

A te, Spike.

A te che sei stato il mio peggior tormento ed il mio migliore antagonista.

A te, William, con i tuoi rimpianti e le verità che tieni solo per te stesso. Ai tuoi castelli di carta ed alla incredibile forza interiore che dimostri.

A te.

Nato uomo e divenuto guerriero.

A te, predatore con l'anima.

Sciolse l'abbraccio, prima di essere richiamato all'ordine. E si infilò le mani in tasca. "adesso lo dico io." - commentò, dondolando sui talloni - "stiamo diventando melensi."

Spike non si era ripreso ancora del tutto. Girò su se stesso, per vederlo meglio in faccia. E puntargli un dito contro. Anzi, la fantomatica chiave.

"TU!" - l'apostrofò - "tu sei melenso."

E per quanto cercasse non riuscì ugualmente a nascondere come fosse stato poco contrariato da quanto era successo. Soprattutto perché Angel gli sorrideva, così scanzonato da essere assolutamente irresistibile.

"Cosa dicevi sul fatto che ero contagioso?" - chiese, mentre la bocca continuava ad allargarsi senza riuscire a resistere all'ilarità che gli saliva dal cuore. E più rideva di quel disorientamento, più Spike non controllava il sorriso analogo che si stava dipingendo sul suo volto.

"Tu…" - ansimò, tra le risate, rimettendosi a posto i capelli con le mani, l'accendino e le chiavi - "Sei impossibile."

"Anche." - acconsentì magnanimamente il suo Sire.

Irriconoscibile, così allegro.

Cercando di ricomporsi, Spike gettò ancora un'occhiata alla sua rombante due ruote. Il serbatoio era pieno, sentiva ancora aleggiare il sentore di benzina dalla tanica appoggiata a fianco.

Attaccato al manubrio, c'era un casco integrale, nero, come il mezzo.

Fremeva dal desiderio di provarla. E sapeva anche che avrebbe dovuto aspettare.

Con un gesto rassegnato, fece scivolare l'anello in tasca, insieme all'accendino.

Sopra le loro teste c'era rumore di passi. I loro coinquilini stavano rientrando, con un passo stanco e allegro allo stesso tempo. Probabilmente, per una volta ancora, cuori di umani e demoni battevano all'unisono, nelle emozioni, dopo la gioia.

Per Spike era un segnale. Adesso, con il loro ritorno, si concludeva la giornata. Erano tutti al sicuro, tutti nei loro letti, o quasi.

E questo fu un altro pensiero che lo colse impreparato. Saperli in giro… e saperli al sicuro.

Con la pallida illusione di poterli proteggere dai pericoli.

Dannazione… aveva ragione Angel.

Era troppo tardi… non sarebbe più riuscito a tenerli fuori dal proprio cuore… nemmeno ribellandosi, con tutta la sua forza.

Anche se avrebbe continuato a provarci…

"Penso che, a questo punto, andrò a dormire…" - commentò, asciutto - "non vorrei che dopo un anello, un regalo ed un abbraccio decidessi pure di baciarmi…"

 

C'era di nuovo il silenzio. I passi di Spike, allontanandosi, si erano mischiati a quelli degli altri. Ed Angel, desideroso di un po' di oscura tranquillità, non l'aveva seguito.

Il garage era fresco, pungente di odori forti… vernice, benzina, cuoio. Era un impatto duro, con una realtà meno vivida ma forte.

Angel inalò più a fondo quegli aromi… benzina… l'aveva sempre associato a suo desiderio di fuga, a quell'isterico saltare in macchina e scappare, ogni qualvolta si profilava all'orizzonte un umano desideroso di strane compagnie.

Sessant'anni per le strade d'America… ne sapeva qualcosa di asfalto e liberazione…

ricordava le corse isteriche verso un riparo, senza arrendersi all'idea che la luce del sole, annientandolo, avrebbe posto fine ai suoi rimorsi. Ed ai suoi ricordi.

Le strade, da percorrere. Aveva fatto della sua vita la metafora della sua ricerca.

Attenendo, inconsapevolmente, che giungesse il momento della sua missione. Più di ottant'anni di vagabondaggio. Fino a cadere, in un vicolo, davanti ad un demone che gli parlava in irlandese, per essere certo di arrivare dritto al suo cuore. Perché solo il cuore, e non la mente, poteva condurlo su una giusta strada.

Ed ora? Ora era finalmente fermo. Ora aveva una casa. Aveva armadi pieni di oggetti, nuovi ricordi e persone che cercavano disperatamente di conoscerlo.

Ed aveva ancora segreti, paure nascoste e tormento.

Ma era tutto più dolce. Ed in certi momenti più facile da sopportare.

Rimase in piedi, a guardare la moto ancora per un attimo, prima di decidersi a ricoprirla, meticolosamente.

Adesso aveva Cordelia. Una buona amica ed una perfetta confidente.

E Faith. La sua bambina. La sua adorata Faith. Un'altra cacciatrice che nella sua vita sembrava significare troppo.

Wes e Doyle… se Lorne li chiamava i tre moschettieri, un motivo doveva anche esserci, si rammentò.

Ed infine… inaspettato e sorprendente, Spike. Giunto nella sua vita prima di tutti gli altri, sparito e ricomparso così tante volte da non contarsi nemmeno.

Capacissimo di capirlo e non farsi affatto capire. Una sorpresa dietro l'altra, per il piacere di vederli tutti strabuzzare gli occhi.

Forse tra loro due, alla fine, l'uomo del mistero non era propriamente Angel… e questa era un'evenienza che faceva veramente ridere.

Per non parlare, del resto, della necessità che aveva fatto di Angel un maestro. Angel, sempre a caccia di risposte e, di necessità, così pronto a darne di efficaci.

Finì di modellare il lenzuolo sopra al manubrio. Era stranamente affascinante, il disegno delle pieghe della tela, lungo il serbatoio, sopra al sellino.

Angel si chinò e raccolse la tanica della benzina, con aria vagamente colpevole. Quella moto aveva una buona ripresa. Ed avere il serbatoio pieno era stata una tentazione veramente irresistibile, anche per lui. Non gli era dispiaciuto per niente provarla, mentre Faith e Spike erano di ronda… un giro veloce, sul raccordo anulare, per sentir fremere il motore.

Rigorosamente senza casco.

Tutto il peggio.

Cancellando meticolosamente le prove, prima di lasciare le chiavi a Spike.

E cercando, a tutti i costi, di mettersi al riparo da qualsiasi tormentosa sfilza di domande impertinenti.

Domande da cui cercava di sfuggire almeno da un secolo e mezzo.

Si voltò, e risalì i gradini. Adesso aveva la certezza di non incontrare nessuno di loro. Ed era giusto così.

Infilò una mano in tasca, distrattamente. Incontrando subito la ruvidezza dell'argento intarsiato. Lo rigirò tra le mani, come aveva visto fare da Spike. I suoi sensi di vampiro gli permettevano di notare l'iridescenza dell'incisione, i tralci delicatissimi che si incrociavano e si univano su entrambe le facce.

Spike doveva aver dimenticato alcune sigarette al suo interno. Le si sentiva scivolare, nel muovere la scatola. Ed Angel la aprì, per accertarsene.

Quattro sigarette, dietro la staffa che le teneva bloccate. Ed una di traverso, nello spazio lasciato vuoto da quelle consumate nel corso della serata.

E dietro di essa, visibile solo in parte, un'altra incisione.

Un' incisione pienamente in stile con gli intarsi del coperchio.

Angel mosse la scatola, per incontrare un raggio di luce filtrante dalla finestra.

1857…

se suoi calcoli non erano sbagliati, William, a quei tempi, doveva avere circa vent'anni.

Angel ebbe una fuggevole visione di lui, una visione resa distorta dalle considerazioni di Angelus che la impregnavano. Biondo, sbarbato e, dall'espressione avida di Drusilla, tanto gentile da essere innocente.

Quale sbaglio madornale di classificazione… alla fine Spike era stato, probabilmente, una delle peggiori sconfitte di Angelus.

E una delle più grandi vittorie di Angel.

Di Angel, in piedi, inebetito a fissare l'incisione.

Con il cuore irregolare.

Con le parole di Spike ancora nelle orecchie. Quel tono di voce che non riusciva ad essere incurante con cui si era espresso. Con mille parole non dette.

 

"Tienilo. Lo so che non fumi ma… tienilo tu…."

 

E gli occhi pieni di quelle scritta.

"A mio fratello. Per la strada che percorreremo assieme. William"

 

Le stelle erano andate a dormire.

Ed il sole si stava alzando.

Non c'era più nessuno nell'Hyperion. Ovunque fossero, avevano lasciato un po' di loro, in quel salone.

E Faith, sdraiata su uno dei divani, giocherellando in punta di dita, perdeva il suo sguardo nel lampadario.

Angel aveva spento tutte le luci. E tutte le candele.

Solo il grande lampadario, il lampadario dei sogni, splendeva ancora.

Riflettendosi nei suoi occhi. E sul suo viso.

Si sentiva bella.

Si sentiva perfetta.

Sotto quella luce dorata, si sentiva come la bella Ofelia del quadro. Quel quadro che Wes amava tanto.

Ofelia, nell'increspatura dell'acqua, incoronata di fiori.

E d'amore.

Ofelia, resa folle dall'amore e dalla morte.

Un po' come le cacciatrici…

Sorrise di quell'analogia. Ne avrebbe parlato a Wes, magari.

Magari domani, per portare dentro ancora un po' di quella magia.

La magia…

Lentamente gli occhi si chiudevano. Avrebbe fatto di tutto per restare sveglia, pensò, mentre un cuscino scivolava già a terra. Vicino ai sandali, un po' sciupati da quei balli e da quella gioia.

Vicino alla borsetta, dimenticata lì da tempo.

Sulla poltrona c'era il regalo di Lorne. E faith, tendendo una mano, l'afferrò, per avvolgersi, sorridendo per il leggero solletichio delle frange.

Sentendo un po' di calore.

Un po' di calore e la voce di Lorne che si levava pura, cantando ancora per lei.

Le aveva promesso un'altra canzone se fosse andata a vederlo cantare.

Una canzone, ogni volta che varcava la porta del locale.

Avrebbe mantenuto quella promessa, su questo non c'era dubbio. Avrebbe cantato per lei una splendide parole liquide, fuse dentro la musica…

Faith si strinse un po' di più tra le braccia e chiuse gli occhi, senza riuscire a lasciare fuori la luce calda che ancora brillava.

Un lampadario di cristallo…

Forse l'aveva visto in un film, da piccola. In uno di quei cinema squallidi e grigi di periferia in cui sgattaiolava da piccola, per perdersi, ora dopo ora. Anche il pop corn sapeva di irrealtà, in un posto come quello.

Ed ora… ora qualcuno aveva creato un sogno per lei. Un sogno, un grande salone ed un valzer.

Sembravano cose così semplici, ora che le elencava… eppure la mente le si riempiva di musica e profumi. E amore, speranza, vita.

Tutto questo era il suo regalo di compleanno. La speranza. Sperare in un sogno che si esaudisce… in un desiderio soffiato per spegnere le tremolanti e incerte fiammelle, allineate su un dolce.

Non ricordava di aver mai sperato tanto nel domani…

E nel tempo che scorre, portando via tutto, prima o poi. Vita, morte, abbracciati e nel vento sospesi in volo…

Vita, morte…

Amore…

Quant'altro ancora, se non umane emozioni?

Gli occhi… erano pesanti. Tra poco avrebbe ceduto, addormentandosi. Lo sapeva, e non aveva più motivo per contrastare la stanchezza.

I sogni vissuti avrebbero reso pulito e tranquillo il suo sonno. Le sarebbe stato amico. Sarebbe stato seta sulla sua pelle.

Strano…

Non ci aveva mai badato…

Anche il silenzio è valzer…

 

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Capitolo 9
*** 09. Cuori in Soffitta ***


 

Cuori in soffitta

 

I personaggi delle serie "Angel" e "Buffy, the vampire slayer", appartengono a Joss Whedon, la WB, ME e la Fox, l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

 

Sotto il portico c'erano i mobili dell'ingresso.

I cuscini era allineati in fila e appesi ad una fune.

Le sedie erano accatastate… i tappeti arrotolati…

"Mi aveva detto che voleva fare dei cambiamenti…" - mormorò Doyle, grattandosi pensosamente la nuca- "Ma mi era sfuggito quello che intendeva…"

"Oh, cielo…" - mormorò compitamente Wes, assestando meglio l'arsenale su una spalla e scavalcando il tavolino e la sua amata scacchiera. E aggiunse, fissando il divano messo in verticale a lato della porta - "Oh, cielo…"

angel guardò i suoi due commentatori. Uno a destra. Ed uno a sinistra.

Poi, da eroe quale era, si fece coraggio e varcò la porta dell'Hiperyon.

 

L'interno era dissestato.

Che dire… più che dissestato, vuoto.

Non c'era più nulla.

Guardandosi intorno, il paesaggio appariva desolato fino all'orizzonte.

Doyle girò su se stesso, per contemplare meglio il disastro. Il lampadario era ancora montato, ma erano sparite le lampadine.

 

"Angel!" - Cordelia si precipitò nell'ingresso. Afferrò il vampiro per il giaccone e gli diede uno scrollone - "TU… devi… dirgli… di lasciarmi… in….pace!!!"

Lo lasciò andare e, imbestialita, si scompigliò i capelli.

Angel, con un sospiro, andò nella direzione da cui era venuta la ragazza.

"William." - mormorò - "Che stai facendo?"

"Io niente. E' lei che fa casino." - rispose, quello, così serio e tranquillo, che Angel si voltò a fissare Cordelia - "Io cerco solo di aiutarla."

"Vuole avere sempre ragione! Tu devi dirgli di smettere!"

ma perché io? Gli sembrava una buona domanda, ma era preferibile stare zitti. Ed Angel, di fronte ad una Cordy tanto infervorata, tenne la bocca ben chiusa.

"Gattina…" - parlava e faceva le fusa allo stesso tempo - "Ma non è colpa mia se oltre ad avere tanto fascino, sono così intelligente. E adesso, vuoi venire ad aiutarmi?"

Gli occhi sembravano caderle dalle orbite, mentre lo fissava e digrignava i denti. Eppure Spike manteneva la faccia più innocente che si potesse immaginare.

"Ehi, ribelle." - lo salutò Doyle, sbattendo giacca e armamentario su un paio di sedie impilate - "Che ci fai già a casa?"

"Io e Miss Riarmo abbiamo fatto un po' di repulisti. Poi nessuno voleva più giocare." - spiegò il vampiro biondo, indicando alle sue spalle con un gesto della mano.

Nella stanza accanto, per niente colpita dai mobili smilitarizzati, sdraiata sul tappeto, stava Faith. Aveva allungato le gambe, posando la schiena contro un divano miracolosamente scampato al massacro.

E guardava la televisione, imperturbabile, masticando lentamente qualcosa di non ben definito. Ma certamente molto calorico.

"Wes, insomma!" - esclamò Cordelia, precipitandosi strofinare una macchia sul marmo dell'ingresso - "Guarda che confusione stai facendo! Ma è mai possibile?"

"Perdonami, Cordy, è che…"

"Oh, ti prego! Ti giustifichi di una macchia in mezzo a questo caos?" - sbottò Spike, allargando le braccia - "è come dire che hai tirato giù un calcinaccio a Beirut! Chi vuoi che se ne accorga!"

"Io me ne accorgo!Io!" - ribattè Cordy, pestando i piedi - "E se lui sparge in giro roba verde, non può passare inosservato!"

"Roba verde?" - mormorò preoccupato l'Osservatore, girando su se stesso - "Come sarebbe che perdo roba verde?"

"verde? Qualcuno ha detto verde?" - domandò Lorne, sporgendosi dal piano di sopra."

"Toh, ci sei anche tu?" - chiese Doyle, spingendo indietro il vecchio cappello per fissarlo. Con un gesto tipico che fece voltare nuovamente Cordelia. Per strapparglielo dalla testa.

"Bel conforto che sei! Non mi aiuti… e non sai che non si porta il cappello in casa!" - sbraitò, prima di andarsene verso camera sua per avere una porta da sbattere - "Sono stufa di tutti voi! Eroi! Andate a quel paese!"

doyle fissò quella porta ancora vibrante ma già chiusa e si voltò a squadrare i presenti: Wes fermo davanti all'ingresso, Angel immobile e silenzioso come sempre. E Spike, fermo, appoggiato alla ringhiera.

"Qualcuno sa dirmi cosa le prende?" - mormorò educatamente. Non era certo di conoscere la motivazione per una crisi di nervi del genere.

"Ma che ne so!" - rispose Spike - " siamo arrivati a casa che era già pressappoco a questo livello. Le passerà…"

"Ha chiamato l'avvocato di suo padre." - commentò Faith, apparendo sotto l'arco, vicino ad Angel. Teneva tra le braccia un sacchetto di patatine di non trascurabili dimensioni - "Credo fosse riguardo un'udienza. O una parcella…"

"E tu come lo sai?" - mormorò Spike, voltandosi a guardarla. Erano arrivati a casa insieme…

"Me lo ha detto." - ribattè, fissandolo trionfante - "come vedi, esperto conoscitore dell'animo femminile, ci sono cose che non ti saltano subito all'occhio."

"Cacciatrice… sei la più grande…"

non fece in tempo a finire la frase che si ritrovò a stringere le patatine tra le mani. Aveva preso il sacchetto come un pallone da football e Faith ne aveva approfittato per fare un passo indietro.

Ed ora lo sfidava, con un bel sorriso stampato in viso.

"Vuoi completare a pugni, vampiro?" - domandò, movendo le dita per chiamare la lotta.

Spike la squadrò, prima di tornare ad appoggiarsi alla ringhiera.

"Naaa… troppo facile." - sospirò, pescando dal sacchetto e masticando sfacciatamente.

Doyle era rimasto fermo a girare in testa quelle scarne informazioni. E solo quando vide Lorne scendere le scale, alzò lo sguardo, chiedendo conferma.

Lorne stava percorrendo flemmatico l'ultima rampa. Con un movimento impercettibile segnalò a doyle che Faith si stava sbagliando. Per le sue modeste capacità, il problema di Cordelia andava cercato in un'altra direzione.

"Westley." - chiamò il demone verde - "Se continui ad agitarti in quel modo, spaventerai la cliente."

"Cosa? Chi?" - domandò, sorpreso, voltandosi, come tutti gli altri.

In piedi, nel giardino dell'Hyperion, c'era una ragazza. Sembrava apparsa dal nulla, ferma, immota al centro del sentiero.

Portava i capelli lunghi e sciolti sulle spalle.

Ed era ferma. E fredda nella sua espressione.

 

Nessuno si mosse.

Quell'apparizione, sotto la luna, aveva molti motivi per lasciarli senza parole.

"Guarda chi si rivede…." - mormorò Doyle, fissando la ragazza. E Angel, con un sussulto, sembrò riscuotersi. E si mosse, forse un po' troppo velocemente, verso la porta ancora spalancata, saltando i gradini per far prima.

Ed andarle incontro.

Solo Spike e Faith stavano ancora facendosi i fatti loro. Le patatine erano sparse ovunque e, in barba all'indifferenza di Spike, se le stavano dando di santa ragione.

All'ennesimo attacco di Faith, Spike, con un balzo indietro, si ritrovò al centro del salone.

Uno spostamento di pochi passi.

Quanto bastava per fermarsi, tendendo i sensi.

Sentendosi percorrere da una scarica, irrigidendosi.

Ed alzando una mano imperioso, perché Faith interrompesse la sfida.

E lo lasciasse ascoltare.

Alle sue spalle c'era Wes. Ma quello che sentiva non proveniva da lui. Non poteva. Era un po' più lontano, di qualche metro in tutto. Un segnale debole ma indiscutibile.

Estranea.

C'era un'estranea.

Ed era umana.

Vide Angel muoversi e passargli accanto ad ampie falcate. E quando uscì nel cortile, Spike non ebbe bisogno di girarsi, per sapere che ormai era vicino alla ragazza.

Il segnale si era amplificato, di colpo. Adesso era come una vibrazione regolare.

Regolare quanto poteva permetterlo quel cuore che aveva accelerato i battiti, come impazzito.

 

Aveva alzato la mano, con un'espressione insolita.

E faith si era bloccata, scrutandolo in viso. L'espressione attenta e assorta…

Poi, di un tratto, la mutazione dei lineamenti.

Eppure Spike non sembrava essersene accorto.

Si dispose sulla difensiva e attese.

Spike non dava realmente segno di badare a quello che lo fissavano.

Era una donna. Ed era umana.

Non poteva essere… non era Darla. Nulla in lei combaciava. Darla era morta. Non era tornata. Non era umana.

Eppure quella donna, alle sue spalle, apparteneva ad Angel.

E non era Buffy. Né, tanto meno, Dru.

 

Si impose di restare calmo. Represse quel senso di allarmismo che si era improvvisamente risvegliato e, in quell'attimo, si accorse di avere il viso stravolto.

Glielo disse Faith, con la sua espressione dura e il corpo teso.

Era ostile alla nuova venuta. Ma, allo stesso tempo, concentrava la sua attenzione su ben altro. Qualcosa di più consono alla sua natura di Cacciatrice.

Un vampiro all'erta.

Le fece un cenno e, scotendo il capo, tornò al suo solito viso. Un po' strafottente e affilato.

Poi si mosse.

Per voltarsi, lentamente.

Ed avanzare verso l'uscita. Passando a fianco di Wes che, per l'ennesima volta, piegava nervosamente la giacca.

Lasciando l'ingresso e i suoi silenziosi abitanti.

 

Davanti a lui c'era una ragazza.

Una bellissima ragazza, si sorprese a pensare Spike, squadrandola.

Alta. E bionda. Aveva dei capelli ondulati e selvaggi del colore delle stelle.

Ed ora, fissandola da non molto lontano, per quanto fosse sviluppata la sua vista, si rese conto di non poter captare le sfumature di colore dei suoi occhi.

Angel e la ragazza, uno di fronte all'altro. Sembrava si parlassero. E lei era sulla difensiva, ad un passo dall'ostile.

E solo allora Spike si rese conto che quell'interminabile esame a cui l'aveva sottoposta era stato in verità molto breve.

Perché i due, in piedi, e dimentichi del resto del mondo, si stavano appena salutando.

 

"Angel…" - mormorò Kate, quando lo vide fermarsi di fronte a lei. Alzò appena gli occhi, per vederlo in viso.

Non era cambiato.

Era sempre solo semplicemente Angel.

 

Mi sei mancato…

Non trovavo il coraggio di entrare…

Speravo che mi vedessi…

Quante frasi sconcertanti le affollavano la mente. Frasi di cuore, di smarrimento.

Frasi che si perdevano nella singola occhiata con cui lui l'abbracciava.

Fermo. Senza dirle nulla.

Immoto.

 

Angel era un fascio di nervi. Non serviva nessuna particolare dote per rendersene conto.

A Spike bastava gettare un'occhiata a quelle spalle larghe e a quel collo, nudo e innaturalmente bianco, sotto la giacca di pelle per rendersi conto della tensione.

Anche il cuore di Angel batteva troppo veloce.

Troppo veloce per essere più chiaro di un rullio continuo.

 

"Kate. Sono contento di vederti." - azzardò, ad un tratto.

E lo disse con un tono tale da far sobbalzare Spike.

Qualcosa dentro di lui, il demone senz'anima pieno di ironia che era stato, si protese, sbalordito.

Piegandosi in due dalle risate.

Angel era in imbarazzo. Ci mancava solo che si torcesse le mani! un sorriso lievissimo colorò le labbra del biondo vampiro. Un'apparizione fugace, presto smorzata da una miriade di pensieri, più o meno gentili nei confronti del suo Sire.

 

La ragazza lo aveva visto. Ed ora lo radiografava con occhi tremendamente vuoti.

Vuoti… no. Trasparenti. Di una trasparenza azzurra vicina all'acquamarina.

Confermando l'impressione che già aveva avuto di lei.

Era semplicemente bellissima.

 

Anche Angel si era voltato.

Ed ora, con grande sorpresa di Spike, gli faceva una segnalazione facilmente comprensibile…

O si levava dai piedi o gli avrebbe tagliato la gola.

 

Non si aspettava realmente che Spike togliesse il disturbo.

Anzi, non ci contava nemmeno.

Non c'erano dubbi su quello che il suo biondo e indisciplinato amico avesse captato. E non c'era modo di smentire.

Per cui si voltò, nuovamente, verso di lei.

Dando per scontato che Spike si mettesse comodo. A guardargli le spalle, ovviamente.

 

Lo sguardo di Kate sostò un attimo ancora sullo sconosciuto platinato.

Era un ragazzo di media statura, con il fisico del ballerino. La vita sottile, sottolineata dalle mani in tasca, e le braccia forti, delineate dalla maglietta nera.

Un'esibizionista.

Su questo non c'erano dubbi.

 

"Ignoralo. Fai prima." - consigliò Angel, con l'aria di uno che la sa lunga.

Kate lo fissò, sorpresa.

C'era in lui una certa rassegnazione, mentre ostinatamente voltava le spalle a quel curioso.

E una bella aria da martire.

Kate lo squadrò, sorpresa. Angel sembrava più giovane. Ma soprattutto più umano, imperfetto.

Sebbene non facesse mai nulla per apparire diverso, più saggio o più potente, tra lui e il resto del mondo, sembrava persistere un filtro, un desiderio profondo di rimanere separato dalla corrente dei sentimenti.

Un fiume arduo da attraversare.

Che adesso, come per magia, senza un perché, sembrava dissolversi.

E kate accolse quel fatto come un miracolo.

Abbozzando un bel sorriso, inaspettato quanto luminoso.

Ed Angel ne fu subito incantato. Dimenticando l'imbarazzo, nel ricambiarlo.

"Sono contento di vederti." - mormorò.

 

"L'hai già detto." - commentò una voce alle sue spalle.

Ed Angel alzò gli occhi al cielo.

"In effetti, ha ragione lui." - ridacchiò Kate, sbirciandolo ancora una volta. Rendendosi conto troppo tardi, di quanto fosse anomalo quel suo atteggiamento. Vergognandosene subito.

E tornando a nascondersi dietro la sua faccia da sbirro.

E tra loro, Angel tornò a sentire la pistola spianata dei loro primi incontri.

 

"Avanti Flagello, deciditi…"

Era un mormorio. Difficilmente Kate doveva averlo percepito.

E quindi valeva la pena di provare a ignorarlo.

"Sono… sono venuta a darti questi." - disse Kate, impacciata, porgendogli alcuni fogli.

"Grazie." - rispose Angel, tendendo la mano e prendendoli. E chinando frettolosamente la testa per sfogliarli.

"Vedi…" - Kate si sporse, professionalmente, per indicargli alcune righe - "Qui parla di una pista che potrebbe essere interessante. Per te, intendo. Per la polizia è archiviato e allora…"

Con il suo corpo gli sfiorava la spalla... si era avvicinata, per leggere, per parlargli. E per quanto le sua parole fossero di lavoro e impersonali, per Angel erano un leggero ritrovarsi.

Un far finta che il passato non fosse mai esistito.

E che tra loro, fin da sempre, ci fosse stata quella comprensione.

E quando voltò un po' la testa, per seguitare ad ascoltarla, si trovò vicinissimo ai suoi occhi.

E la vide perdere il filo del discorso.

E fissarlo.

"Dov'eri finita, Kate?" - chiese. In un sussurro, sperando che le sfuggisse il cambio di discorso. Sperando in una risposta cristallina come le informazioni che forniva. Sussurrando la poesia di quel nome. Il nome che talvolta si sorprendeva a sussurrare, nel profondo della concentrazione.

Un nome. Ed un flash.

 

Kate Lockley gli voltò le spalle, furente e tornò a buttarsi nella mischia di sbirri che si accalcava davanti ad un locale ormai in macerie.

"fammi indovinare." - ribattè petulante una voce alle sue spalle - "Miss Refrigerio disapprova il nostro lavoro ben fatto."

Cordelia lo affiancò, piantandosi le mani sui fianchi. Era scarmigliata. Ma a regola d'arte, come dopo una scena d'azione cinematografica.

"possibile che abbia sempre da discutere? Non le puoi dire che stiamo dalla stessa parte?"

"Gliel'ho detto." - rispose, pensieroso Angel. Fissando il punto in cui avrebbe dovuto esserci lei. Lei, che stringeva le labbra e se ne andava, quando la sua sopportazione raggiungeva un limite.

E che con gli occhi diceva sempre altro.

Cordelia stava ancora parlando.

E parlava. E parlava.

E, a un certo punto, Angel si voltò.

Cordelia si bloccò, scrutandolo con gli occhi scuri. Interrompendo la fiumana di parole per guardarlo in viso. Per guardarlo bene….

 

Angel non seppe mai cosa vide Cordy, quella sera.

Ma la frase che le uscì dalle labbra gli rimase al centro del petto.

"Tu ed io facciamo gli stessi sbagli, direi. Ci perdiamo in occhi azzurri e trasparenti. E ci ritroviamo soli, a guardarli mentre se ne vanno…"

 

Per un po' era stato così, in effetti.

Rimanevano seduti vicini, aspettando di essere abbastanza stanchi da chiudere gli occhi. Ognuno perso nei suoi ragionamenti, senza mai parlarne.

Cordelia pensava a Doyle. Ed Angel a Kate.

Poi, lentamente, giorno su giorno, avevano accantonato le loro tristezze.

 

Ed un altro giorno ancora, Doyle era tornato dalla sua Principessa.

 

Ed ora, con una speranza flebile come un fiammifero, Angel sperava che Kate non gli voltasse più le spalle, per andare troppo lontano.

 

Dov'eri finita, Kate?

 

Non lo so… so che non c'ero.

Non c'ero neanche a decidere della mia vita… e non c'eri tu…

Sapessi, com'era buio…

 

"Ho avuto da fare." - replicò, lentamente. Per non sembrare brusca, per non sembrare troppo evasiva. Come se fosse una constatazione, un semplice prendere atto del gran quantitativo di impegni di un poliziotto brillante.

 

Cercando di negare, con quella breve affermazione, quanto Angel la conoscesse.

 

II

Allora! Spike iniziava ad essere scomodo, appoggiato alla colonna. Ma non voleva proprio perdersi la scena.

"Sai che sei un impiccione?" - sibilò una voce femminile, materializzandosi nell'ombra e appoggiandosi allo stesso pilastro.

"perché tu no, Cacciatrice?" - replicò, senza muoversi, restando con lo sguardo fisso e le labbra incrociate. Movendo appena le labbra - "Io almeno sono in piena vista… tu stai origliando."

"Spike.. se quella mi vede, mi arresta…"

"Di cosa stai parlando?" - sbottò, abbassando un po' la testa. E notando, con la coda dell'occhio, come Faith avesse un'espressione decisa. E fosse vestita diversamente da prima.

"Quello è lo sbirro che mi ha arrestato. Quello che mi sbattuto in galera." - mormorò, guardando il profilo del vampiro.

"Cosa hai intenzione di fare?"

"Se è necessario, leverò le tende…"

"perché, secondo te, lasceremo che ti risbatta dentro?" - domandò, brusco. Aggregandosi ufficialmente al gruppo degli strenui difensori della Cacciatrice Rinnegata.

Un poliziotto… quella creatura eterea era un poliziotto…

"Non voglio che Angel abbia problemi…"

"Su quello puoi star tranquilla… più problemi di così, con quella ragazza, non potrebbe averne…"

 

"Capisco…" - rispose Angel, tornando a fissare gli incartamenti.

"E tu?" - azzardò la ragazza, senza riuscire a levargli gli occhi di dosso. Senza smettere di guardare quel profilo da bravo ragazzo e quegli occhi scuri e profondi.

"anch'io…" - iniziò Angel. Prima di interrompersi e voltarsi.

Fermandosi e rimangiandosi la decisione presa di afferrarla e baciarla. Con la stessa forza e lo stesso piacere con cui, quella sera ormai remota, aveva affondato i denti nel suo collo.

"anche qui c'è stato parecchio da fare…"

"Certo. Facciamo la calza, mentre Westley cucina la torta di mele…"

"Ma di quello non c'è modo di liberarsi?" - mormorò esasperata. Inclinandosi indietro per vederlo. E appoggiandogli la mano sulla spalla, per non perdere l'equilibrio. E gioendo, di quel contatto, senza sapere quanto anche Angel lo stesse assaporando.

"di Spike? Io ho rinunciato…" - replicò Angel, continuando a fissare il verbale. Da quando quella mano calda e forte si era posata sulla sua spalla, le lettere avevano iniziato stranamente a confondersi…

"Ah. Si chiama così?"

"Si fa chiamare così…"

"perché mi guarda in quel modo?" - chiese ancora, con insistenza. E con una vena di irritata petulanza.

Odiava che gli uomini la fissassero. Ed odiava che gli uomini le ricordassero che non era uno di loro.

Quello poi… più la guardava, più Kate aveva l'impressione di avere addosso una minigonna vertiginosa ed un top infinitesimale.

"Angel…" - disse.

E lui si voltò, guardandola. Bevendo di come pronunciava il suo nome. E volendo disperatamente ricambiare.

"Kate…"

"Lui.. ecco…" - replicò lei, tormentandosi i capelli e dimenticando la frase bellicosa che era già pronta. Tornando per un istante, ad essere la ragazza ipersensibile venuta a galla per magia, tanti anni prima.

Anni… erano passati due anni, in un soffio.

Ed ancora, tutto era un gioco di sguardi.

Si erano persi, per poi ritrovarsi e perdersi ancora.. ma ora c'era un legame indissolubile, tra loro. O forse c'era sempre stato. Ed ora non potevano più ignorarlo.

Quel segno, sul collo di Kate, era il concludersi di una lunga ricerca. Ed adesso, starle accanto, era un'esperienza inebriante più di allora.

"Lui… chi?" - domandò, educatamente.

"Me! Parla di me!" - sbraitò Spike, mettendo le mani a cono intorno alla bocca. Per essere certo di passare sopra le grida degli ormoni.

"Oh, insomma!" - scattò Kate, voltandosi e marciando verso il portico. Non bastava Angel a metterla in confusione, c'era anche quel… quel… - "Tu, Spike o come cavolo ti fai chiamare! Smettila subito, qui si sta parlando di cose serie!"

"E c'è la vita di poveri innocenti in ballo!" - ribattè lui, raddrizzandosi e scendendo un paio di gradini, per arrivarle vicinissimo - "Non c'è dubbio che i vostri ragionamenti vadano tutti nella stessa direzione, bambina!"

"Bambina a chi, ragazzino!" - ringhiò lei, furente. Di colpo iniziava a sentirsi decisamente meglio…

"Ti piace, vero? Eccitante gridare così…" - sorrise lui - "Ti senti subito libera e più forte, vero? Pensi che in questo modo sarà meno facile leggerti dentro?"

si fermò, di botto. Il ragazzo che aveva di fronte non era un seccatore qualunque. Non era uno sbandato e non era un teppista. E non era nemmeno umano. Un'intuizione che la colpì come un fulmine, certa come poche cose nella vita.

E fondata su basi che non sapeva spiegare.

Quel biondo alto come lei e apparentemente addirittura più giovane, non era umano. Ed aveva occhi che avrebbero potuto frugarla e lasciarla spogliata.

Spogliata davanti ad Angel!

Il pensiero di ritrovarsi vulnerabile davanti ad Angel le fece montare dentro una rabbia impensabile.

"Non puoi leggermi dentro." - si difese - "Non sai niente di me!"

"Attenta bambina. Io so molto più di quanto pensi..." - sospirò Spike, arrivandole tanto vicino da poterla stringere tra le braccia. Vedendo finalmente la cicatrice da cui proveniva il segnale pulsante. Qualcuno ci ha legati, bambina… - "E non arrabbiarti, amore, ti si rannuvolano gli occhioni belli…"

Era troppo. Non ci pensò due volte ad assestargli una spinta ed atterrarlo.

Per la sorpresa, Faith quasi cadde, inciampando nei suoi stessi piedi.

 

Ed Angel si bloccò. Appena in tempo da vedere la sua cacciatrice sparire in un'ombra e saltare rapidamente la cancellata, resistendo al desiderio di intervenire con un'azione che Kate avrebbe direttamente commutato in Aggressione a Pubblico Ufficiale da parte di Delinquente Rediviva.

Poi in lui si accese una luce. Quanto bastava da vedere chiaramente cosa aveva a pochi metri dai piedi.

In mezzo al vialetto, sdraiato a terra, sorpreso quanto imbestialito, c'era Spike.

E, con un ginocchio sopra il suo stomaco, pronta a spaccargli il naso con un pugno, Kate Lockley al massimo splendore.

Con i capelli disordinatamente attorno al viso e gli occhi splendenti.

Senza una vera spiegazione per la sua prova di forza, per quella sua improvvisa capacità di atterrare un vampiro come Spike.

Senza sapere in cosa fosse appena riuscita.

Per Kate era stata solo una risposta ad una provocazione.

Eppure lei era un umano qualunque capace di atterrare l'Uccisore delle Cacciatrici. E per giunta era una donna.

E Spike non si sarebbe soffermato ancora a lungo sull'idea di trovarla una cosa eccitante… a meno di non farla finire molto, molto male.

La fissava, senza muovere un muscolo. Ma era una questione di tempo.

Non si sarebbe lasciato rovinare i lineamenti e non avrebbe tollerato quello che era successo.

In nessun caso.

"Spike no!" -l'urlo di Angel fu abbastanza perentorio da bloccarlo - "Toccala con un dito ed io…"

Io cosa? Spike inarcò la testa, per guardarlo, con un sorriso. E di colpo divenne evidente come Kate fosse riuscita a sbatterlo a terra.

Razza di idiota impiccione…

"Kate, ti prego…" - disse Angel, resistendo al desiderio di lasciare che la ragazza lo tenesse fermo per riempirlo di calci - "Dimostrati superiore e lascialo."

Kate lo guardò, mentre varie sfumature di rabbia le passavano dal viso. Poi alzò entrambe le mani, in segno di resa.

Rialzandosi e spolverandosi i pantaloni.

Mentre Spike, con un'aria beffarda e vagamente vincente, tendeva una mano ad Angel.

"Flagello…" - sospirò, con aria falsamente offesa - "Aiuta il tuo vecchio amico a rialzarsi…"

Aiutarlo… lo sguardo di Angel non era propriamente quello del buon samaritano. Ma tese ugualmente la mano, tirandolo verso di sé.

"Bella tipa…" - si sentì sussurrare in un orecchio.

Kate sembrava molto presa dalla polvere sui jeans chiari. Da qualche parte, tra le orecchie ed il cervello, sostava la frase di Angel. Angel che minacciava quel cafone color platino per proteggerla.

Non sembrava una cosa tanto insignificante. Almeno per il suo cuore, più che per il suo cervello…

Ed infatti il cervello ebbe, ancora una volta, la meglio.

 

Spike si stava spolverando il retro dei pantaloni. E, di colpo, tra le sue mani, se ne insinuò una terza.

E mentre stava per partire una battuta al vetriolo, sentì lo scatto delle manette.

 

"Ma cos…"

"Aggressione, Insubordinazione e Resistenza a Pubblico Ufficiale." - ringhiò lei, solleticandolo con i capelli - "Sono in servizio da due minuti esatti. Giusto in tempo, non credi?"

"Kate, ferma." - ribattè Angel, mentre Kate cominciava a spingere un furibondo Spike, non più molto sicuro della sua bravata. Anzi, per essere certo che lo ascoltasse, posò una mano sul petto di Spike e fermò quella dannata corsa.

 

La cosa si stava facendo interessante. Lorne si fece ancor un po' di spazio al davanzale, con una garbata gomitata a Westley ed un gentile spintone a Doyle.

 

"Kate, ti ho detto di fermarti." - ripetè Angel, premendo più forte su Spike.

Mentre la poliziotta si sporgeva dalla spalla dell'arrestato, in punta di piedi, per vederlo meglio.

"Levati, Angel o finirai in gattabuia per Concorso di colpa."

"Amore, quando enumeri i delitti si sentono le maiuscole…"

"Taci! E tu Angel, levati!"

"Non ci penso nemmeno. Lui non va in galera e tu gli togli le manette." - insistette, guardandola dritta in faccia. Con tale insistenza che Spike piegò la testa da un lato, per non intralciare quella sfida.

Ovviamente alzando gli occhi al cielo.

"Se non ti levi, aggiungerò Violazione della Privacy alle sue colpe." - sibilò lei, ricominciando a camminare. E non andando da nessuna parte, mentre Angel ricominciava a opporre resistenza.

Molto più di Spike, in effetti.

"Ahiio!" - urlava, il biondo - "Ma vuoi rompermi qualche costola?"

"Sarebbe una buona punizione, così impareresti a non impicciarti." - rispose Angel, implacabile, spostando l'attenzione su di lui solo fuggevolmente - "Comunque, se adesso ti evito la galera, mi dovrai un favore bello grosso!"

"Tranquillo Spike!" - scattò Kate, dandogli un colpo in una scapola e strappandogli un ringhio - "Non gli dovrai nessun favore!"

"Kate, le manette!"

"Non mi dare ordini!"

"Levagli le manette! E lascialo!" - sillabò lui, mostrandosi, per una volta tanto, piuttosto irritato.

Da lei, da lui e dalla situazione idiota.

Era abituato ad un tiro alla fune con Kate. Ma Spike come corda metteva decisamente a dura prova la sua pazienza.

 

Possibile che ci fosse sempre qualcuno di famiglia tra loro due? Prima Darla, poi Spike.

Possibile che la sua vita sentimentale fosse così di dominio pubblico?

E, a questo proposito….

"E Voi!" - urlò puntando il dito ed il fascicolo ormai stritolato - "Dentro tutti e tre! E chiudete quella finestra!"

 

"Adesso la finiamo!" - sbraitò Spike. Assordandoli e facendo riapparire le tre teste al verone.

Con una mossa serpentina si sfilò le manette.

"Ci tieni tanto ad averle? Prenditele!" - esclamò, mettendole a viva forza in mano ad Angel e girandosi, per afferrare Kate.

E sollevarla.

Come una principessa.

Una principessa che gli picchiava il petto e la testa. E voleva essere salvata.

"Lasciami! Angel digli di lasciarmi!" - urlava, disperata.

Quel ragazzo la logorava, con la sua temperatura gelida, i suoi occhi immorali e la sua faccia indisponente.

Ma angel non faceva niente, se non correre dietro ad entrambi. Dietro a Spike che, con un'unica falcata aveva saltato la confusione ed era entrato.

Dal piano di sopra giungevano i suoni tipici di tre curiosi che si scavalcano per avere un posto in prima fila. Ma non aveva importanza.

Arrivato nell'ingresso, Spike, a beneficio di tutti, ed ormai assordato dalle urla della sua preda, girò su se stesso.

 

E, semplicemente, lanciò Kate.

Dritta tra le braccia di Angel. Due braccia forti che di colpo la strinsero, toccandole le gambe, avvolgendole la schiena. E portandola dritta in paradiso.

"E adesso, se superi il tuo rimbambimento, potresti baciarla!" - sbraitò Spike, salendo le scale a salti e sedendosi in cima alla rampa, nascosto dalla ringhiera.

Per supervisionare, non visto.

 

Inebetiti.

 

Kate gli si era aggrappata addosso, per istinto. Ed ora lo guardava, con le guance del color delle ciliegie e i capelli impigliati nelle ciglia.

Ed angel avrebbe tanto voluto toglierglieli dal viso ma gli mancavano le mani. Mai avrebbe rinunciato a quel peso tra le braccia, a quel corpo forte e pieno che gli premeva sul respiro… che sapeva mozzargli un respiro che non aveva.

Gli mancavano le mani…

Le forze…

E le parole.

Non gli restava che scegliere la soluzione di Spike.

Le loro labbra si toccarono, e, con gli occhi chiusi, i loro visi si carezzarono, uno sull'altro, travolti da un'irrimediabile lampo. Kate gli cingeva il collo, posandogli il viso sul risvolto della giacca.

Respirando il profumo di cuoio, per non perdersi del tutto.

"Come siamo arrivati a questo punto?" - mormorò, cercando di ricordarsi che doveva respirare.

"Credo che Spike ci abbia messo di suo." - replicò Angel. Non osava aprire gli occhi. Tra le braccia c'era Kate, kate che lo baciava e ricambiava la sua stretta. Dimenticando come fossero il giorno e la notte, come fosse grande il divario di età e vita.

Ma non di cuore.

Entrambi i loro cuori erano impolverati, da anni in soffitta.

 

Ti amo, kate….

Dio, come era facile pensarlo. Ma dirlo… non riusciva, non riusciva!

Era stato così semplice sussurrarlo a Buffy… Guardare i suoi occhi e ripeterlo….

Ripeterlo fino alla grande consapevolezza che le parole non li avrebbero salvati. Come nutrire coraggiosamente una grande illusione senza negarne mai la sostanza.

Ti amo, Kate…

Una frase fatta, così semplice… ti amo, cinque lettere come amore.

Kate…

Perché non posso dirlo, Kate?

 

Non farlo…

Non dire quello che penso tu stia per dire…

Perché se lo fai… non potrò più lasciarti…

 

"Kate, io…"

"No!" - rispose, inorridita. Posandogli le dita sulle labbra. E guardandolo, con occhi sbarrati. Occhi enormi, terrorizzati.

Perdendosi un po' nello stupore di lui, lui che chiudeva gli occhi prima di baciarla, come se potesse affrontare ogni dolore ed ogni atrocità, ma mai un attimo di gioia.

Perdendosi un po' negli occhi di Angel che cercavano disperatamente di dirle le parole ormai represse.

Dio, no! Non voleva vedere quelle dannate cinque parole. E se si stava sbagliando, se veramente Angel non stava per dirle.. allora non voleva sentire o vedere più nulla.

Si divincolò, cercando di posare a terra i piedi.

"Angel… mettimi giù…" - sussurrò Kate. Le guance le bruciavano, e gli occhi sembravano farle male, tanto li stringeva. Non voleva vederlo, mentre, pentito di quello che era successo, cercava un modo per congedarla.

Aveva paura.

Era come se, tutto d'un tratto, tutto ciò che era accaduto tra di loro tornasse prepotentemente alla ribalta

Già un'altra volta Angel l'aveva stretta così… e tutto era finito in una valle di dolore, da cui a stento era uscita.

"Ti prego…"

seppellì il volto nella sua giacca. Si vergognava profondamente, di quello che stava facendo.

Gli stava facendo del male.

Ma non riusciva a controllarsi, non c'era modo di fermare le sue paure, le paure di sempre, che ora salivano a soffocarla. A negarle anche solo il ricordo di un attimo perfetto e semplice.

Barcollò, per riuscire a restare in piedi. Era come se non ci fosse realmente il pavimento su cui camminare. La stanza girava, vorticosamente.

"Non mi toccare!" - ansò - "Ce la faccio benissimo."

Riuscendo di colpo a focalizzare. I suoi occhi scuri… la sua mano tesa… e vuota…

E la sua espressione. Nuovamente nascosta dietro un velo impenetrabile.

"Perdonami." - mormorò Angel, semplicemente - "Non volevo mancarti di rispetto."

Una frase breve, per allontanarla. E per scavarle un solco fin dentro l'anima.

 

Era decisamente troppo.

Spike saltò in piedi.

E per poco non cadde, quando una mano salda lo trattenne.

Per la cintura.

Westley tese il braccio e, con un sforzo degno di una catapulta, lo tirò indietro. Per la precisione, mancò per un soffio di tirarselo addosso.

"E no! Adesso ti fai i cazzi tuoi." - sibilò, afferrandolo per la collottola e tirandolo nella sua camera. Chiudendo la porta, per dare modo ai due demoni sul pianerottolo di appoggiarci l'orecchio.

Spike girò su se stesso, inviperito. Ma Westley, ignorando la sua espressione bellicosa ed il pugno che stava per prendersi, gli indicò, senza paura, una poltrona.

"Ti prego accomodati…" - disse, pacatamente, con un gesto signorile - "E mentre verso qualcosa di forte per tutti e due, per piacere, muta i tuoi lineamenti."

La sorpresa per quello che Wes gli aveva appena detto fece dimenticare a Spike il desiderio di sbriciolargli i denti.

Si raddrizzò e si toccò il viso. Scoprendo, con una punta di panico, di avere nuovamente il volto del predatore che era in lui.

 

Due piani più sotto, affogati nel dolore che si erano involontariamente ma reciprocamente provocati, Angel e Kate erano ancora immobili.

"Io.. devo andare." - si scusò lei. Con lo sguardo fisso, cercando di non incrociare più quegli occhi impregnati dello stesso identico dispiacere. Cercando di tornare indietro, almeno apparentemente, di qualche minuto - "Spero che le informazioni di quel fascicolo possano tornarti utili..."

il fascicolo era ormai solo un cumulo di fogli scompaginati, sparsi qua e là intorno ai loro piedi. Ma Angel lo guardò comunque, cercando di simulare un interesse che mai avrebbe definito vero.

"Lo saranno certamente. Grazie…" - rispose, mentre la ragazza gli passava a fianco. Voltandogli le spalle, ancora una volta. E varcando ancora una volta una soglia, per fuggire lontano.

Avrebbe voluto dire il suo nome. Ma non riuscì. Interruppe la frase, mantenendo la concentrazione fissa a quei dattiloscritti spiegazzati.

Stropicciati e strappati. Come talvolta sanno essere anche le nostre anime.

 

"Sai dirmi perché ti succede?" - chiese Westley, offrendogli un bicchiere, pieno solo per poche dita.

"Potevi sprecarti un po' di più." - commentò asciutto Spike, ingoiando il contenuto bruciante in una sola sorsata e restituendogli il bicchiere vuoto.

"Ne vuoi un altro?" - domandò l'Osservatore, scrutandolo.

"No." - fece una pausa ostile - "Grazie. Ed adesso controlli che non mi siano spuntate anche antenne o altro ancora?"

"No. Mi domando perché non vuoi rispondere alla domanda. Perché ti succede, Spike?"

"In un vampiro è una cosa normale, come il cambio di espressione. E quando abbiamo sbalzi d'umore un po' violenti… mi sono arrabbiato per l'andamento delle cose ai piani inferiori!" - scattò, picchiando le mani sui braccioli - "Non tollero queste indecisioni. Indecisioni in cui Angel è un campione!"

"Per quanto possa condividere il tuo dispiacere per le sofferenze amorose di Angel..." - commentò pungente, grondando un certo sarcasmo - "continua a sfuggirmi perché il tuo demone si ribelli in questo modo senza che tu te ne accorga. Passa una certa differenza tra il tuo impicciarti canonico e quello che stai facendo stasera."

Spike non rispose.

Non aveva niente da ribattere.

E se doveva scegliere, preferiva non ribattere.

"E' una cosa pericolosa, Spike." - insistette l'Osservatore - "E vorrei sapere se è la prima volta che ti capita… oppure da quando…"

"Oh, finiscila, Wes!" - lo zittì brutalmente Spike. E inusualmente, chiamandolo con il suo nomignolo - "Non sto perdendo il controllo, l'anima o il mio buon carattere per quanto poco conciliante! per cui, se hai la gentilezza di sederti, al posto che incombere come un giudice, potremo avere un civile scambio di informazioni!"

Westley riempì nuovamente i bicchieri di entrambi. E si sedette.

Adesso sapeva che sul pianerottolo non c'era più nessuno. Lorne era probabilmente sceso a parlare con Angel. E doyle aveva una priorità di nome Cordelia.

Wes era troppo schietto per negare quanto gli avrebbe fatto piacere la presenza di quei demoni strampalati e orribilmente recettivi. Spaventosamente empatici, molto più di un sostanzioso numero di umani eminenti che aveva avuto l'onore di conoscere.

Onore… il caro vecchio humour inglese…

"Se ne è andata…" - commentò Spike, fissandosi la punta degli anfibi.

E non era una domanda, ma una semplice constatazione. Ne era assolutamente certo.

"Per quel po' che la conosco, non mi stupisce." - rispose comunque Wes - "E' una donna molto forte… almeno in apparenza."

"Ed infatti è una donna che fugge, tanta è la sua paura…" - concluse spike. Parlando più per se stesso che per il suo interlocutore - "Puoi dirmi qualcosa di lei?"

era una richiesta inusuale, da parte sua. Spike era uno propenso a raccogliere informazioni, estorcendole con l'ironia. Non di certo con una domanda così rispettosa e paziente.

Wes non aveva realmente molte informazioni su Kate. Solo impressioni, fuggevoli parole e pettegolezzi by Cordelia Chase.

Quanto bastava per ottenere il quadro di un'interminabile e contrastato rapporto di alti e bassi tra una poliziotta ostica ed un vampiro tormentato.

"Altro non so dirti." - ammise a fine dell'ultimo stentato aneddoto - "puoi chiedere a cordy, oppure a Doyle, per il resto…"

"Mi basta." - commentò, ermetico, il vampiro. Squadrandolo, e soppesando la sua comprensione - "Tu sai che è marchiata, vero?"

"Cosa intendi per marchiata?" - chiese Westley, aggrottando le sopracciglia. "okay. Non lo sapevi." - constatò Spike, alzandosi e camminando avanti e indietro. Servendosi nuovamente dalla pregiata bottiglia di cristallo - "Per marchiata intendo morsa. Ha un morso di Angel, sul collo."

"Impossibile!"

"impossibile ma vero. Non è un vampiro, certo. Ma appartiene ad angel. Lui l'ha rivendicata."

"Deve esserci una spiegazione…"

"E' questa la spiegazione, Price." - lo interruppe Spike, parlando più per se stesso che per il suo interlocutore - "Conosci benissimo angel. Se può evitare di trasformarsi è solo contento. Non era obbligato a morderla con quella profondità, se stava fingendo. E se stava fingendo, non si è di certo lasciato prendere la mano per sbaglio. Quella ragazza è marchiata, credimi…"

 

"Ehi…" - mormorò Lorne, scendendo le scale. E fermandosi, in attesa di un cenno che gli facesse intendere se era disponibile a quattro chiacchiere.

Angel stava in ginocchio nell'ingresso. E doveva essere stato intento a raccogliere i fogli. Poi anche quel compito doveva essergli sembrato insulso. Insulso come il resto del mondo, se messo a paragone con occhi trasparenti e puliti.

In ginocchio, con un po' di fogli spiegazzati tra le mani.

E nient'altro, di quel breve e intenso contatto.

"Non so perché mi stupisco." - commentò, senza curarsi di specificare a cosa si stesse riferendo. Dopotutto stava parlando con Lorne, esperto conoscitore di anime e particolari nascosti - "Tra me e lei è sempre un continuo non comprendersi. E lei è l'unica …"

Non sapeva nemmeno come proseguire e tentare di spiegarsi.

Non era l'unica.. c'era Buffy. Non aveva reso tutti matti con la sua ossessione per Buffy? In base a cosa questo loro essere anime gemelle era naufragato, innanzi agli occhi algidi di Kate Lockley? Perché, ad anni di distanza, vederla di nuovo lo portava a questo stato di confusione?

"Angel, non partire dall'idea di una sola vita ed una sola anima con cui condividerla." - replicò lentamente l'altro - "sei morto e rinato abbastanza volte da sapere benissimo che le vite possono essere molte anche se racchiuse in una sola. Le tue donne, Angel, e molti risvolti di te stesso."

Si guardò le mani, per enumerare.

"Abbiamo Darla e la sua passione… Buffy e la sua predestinazione…" - impostò, con una leggera musicalità - "ed infine Kate… che sembra nulla in confronto alle altre. Eppure è molto di più."

"Tu credi?" - Angel alzò lo sguardo verso di lui.

"Io penso sia così." - ribattè Lorne. Guardandolo mestamente - "Non ho certezze. Il cuore di un eroe talvolta è una lettura troppo ardua per un semplice demone come me… ma in quanto tuo amico, la penso come spike."

"Spike…" - indipendentemente dalla tristezza che provava, Angel accennò un sorriso e scosse la testa - "Non so se ringraziarlo per la buona volontà o picchiarlo."

"Un impegno indiscutibile." - concordò il demone alzandosi - "ci ha messo tutta l'anima… e anche il demone, direi, calcolando le volte che è mutato…"

"Lui cosa?" - domandò Angel, guardando l'amico che si incamminava verso l'uscita, scavalcando i mobili che nessuno si era preso la briga di risistemare.

"Lui muta." - ripetè serafico Lorne - "E mi spiace non fermarmi per vedere come andrà a finire questa storia.. ma devo proprio andare..."

 

 

III

"… Quella ragazza è marchiata, credimi…"

la voce di Spike gli giunse più nitida, nell'attimo in cui, abbassando la maniglia, aprì la porta di uno spiraglio.

Ed entrando lo vide, di spalle, impegnato a versarsi uno scotch.

"non dubitavo che te ne saresti accorto…" - commentò Angel, con voce piatta, richiudendosi la porta alle spalle.

"oh, ciao Flagello." - lo salutò con naturalezza il vampiro biondo. Appoggiandosi con nonchalance al mobile e alzando il bicchiere in segno di riconoscimento - "Immagino non sia finita come speravo…"

"Mi sembra evidente di no." - replicò, incrociando le braccia. E reprimendo il desiderio di ritirarsi nel suo studio, sedersi e spegnere la luce.

Per aspettare un giorno sereno che non si decideva mai ad arrivare.

"Mi spieghi cosa stai combinando?"

"Io? Assolutamente niente." - si difese Spike. Decidendo subito di contrattaccare, passando brutalmente sulle sue delusioni - "E tu? Perché non ti decidi con quella ragazza?"

"Io cosa?" - sillabò Angel, fissandolo. Dopotutto lui sarebbe stato anche deciso. Ma era lei che continuava a sfuggirgli. Irrimediabilmente. Continuando a provocarsi più male di quanto ne provocava a lui.

Sfuggiva e tornava, quando meno se lo aspettava.

 

Cosa aveva quella notte di tanto speciale, per offrirgli un'occasione del genere e poi allo stesso modo riprendersela? Cosa c'era nelle ombre di più forte dei loro sentimenti? Cosa, nella tenebra, continuava ad allontanarli per poi riavvicinarli fuggevolmente?

Forse il destino era realmente un giullare beffardo…

 

"Lorne ha detto che continui a mutare forma…" - rispose, decidendo di ignorare i consigli da agenzia matrimoniale che l'altro smaniava di elargirgli.

"Mutar forma." - replicò stizzito - "Mi fai sembrare la zucca di Cenerentola. E poi non fare il finto tonto. Sai benissimo perché mi succede!"

"Lui forse si." - azzardò Westley, passando lo sguardo da uno all'altro - "ma io no. Ancora non ci capisco un beneamato niente."

"Il mio demone percepisce il marchio." - spiegò Spike. Con lo sguardo fisso su Angel, ed il tono cantilenante di chi si ripete per l'ennesima volta - "è come se in lei ci fosse una componente di angel. Che la rende uno di noi."

"uno di voi.. chi?" - Wes spalancò gli occhi, vagliando le poche agghiaccianti possibilità che gli venivano in mente.

"uno di noi, di famiglia. Non è un vampiro, ma è marchiata. Come Dru, come me…" - no, inesatto… - "è un indiscutibile segno di possesso."

"Finiscila." - ribattè Angel sulla difensiva - "non ingrandire la questione del morso. È stata necessità, come avvenne con Buffy. Sono un penitente, non un santo."

"Su Buffy quel morso non significava nulla, Angel?" - chiese Spike, con lo sguardo duro - "può darsi che tu non fossi molto in te, non lo discuto. Ma lei ha sentito quello che c'era nel morso. E lo sente anche Kate."

"Solo che nel caso di Buffy, la sua aura di cacciatrice rimane più forte del marchio?" - domandò Wes, soprappensiero, appoggiandosi meglio allo schienale per riflettere.

E andando dritto al punto.

"Esatto. Su Buffy è un marchio che vale più per lei che per gli altri. Una questione affettiva. " - continuò, implacabile Spike - "Posso sentirlo, ma quello di Kate è tutta un'altra storia. È molto di più."

Angel lo fissò, sorpreso. Erano le stesse identiche parole di Lorne. Lo stesso tono, la stessa densità di significato.

Kate era molto di più. Una verità che ormai nessuno, dalla sua visione, riusciva più a negare.

Molto di più.

Eppure ancora così assente…

"E, se vuoi il mio modesto consiglio, dovresti dirglielo."

Questa frase lo riscosse, con un sobbalzo.

Dirle cosa?

"Dovresti dirle del morso e del suo significato. Perché scommetto che non ne sa nulla."

"non credo che le importi." - commentò, rifiutando di guardarli, entrambi.

"Se smetti di compiangerti un singolo istante…"

"Lasciami in pace, William." - rispose automaticamente Angel, interrompendolo. Con lo sguardo perso nel vuoto - "Non ho bisogno consigli su come gestire la mia situazione con Kate."

"Hai perfettamente ragione. Non hai bisogno di consigli. Ma dimmi solo una cosa: quel morso non l'ha mai messa in pericolo? Se è così, sei stato fortunato. Quel segno è come una lanciarazzi che spara di continuo. Chiunque porti un marchio simile a quello sulla pelle, può tranquillamente capire quello che ho captato io." - spike si rivide, in un sussulto. Come doveva essere stato. Come si era percepito. Appeso e macellato, per il semplice fatto di essere legato ad Angel. Ed una fredda rabbia lo invase - "Quanto tempi pensi che possa passare prima che finisca appesa e usata come bersaglio per le freccette?"

Da come lo vide sussultare, seppe di averlo colpito in pieno. E, per quanto la coscienza gli rimordesse, si ricordò che non era una possibilità remota. E che quella Kate tanto bella era fragile come una rosa di cristallo.

Non sarebbe sopravvissuta ad un trattamento come quello che avevano riservato a lui. "Lo sai che lei era il bersaglio successivo?" - domandò. Stupendosi della reazione di Wes, più pronto a comprendere.

Lo vide raddrizzarsi ed afferrarsi ai braccioli.

"Dopo di me, Darla avrebbe cercato lei. Me lo disse…."

 

"Allora, piccolo Spike." - disse, confidenziale, accostandosi di nuovo. Pensosamente, con le mani intrecciate dietro la schiena e lo sguardo alzato, per vederlo meglio.

Uno dei suoi sgherri, premuroso, si avvicinò alla fune che lo teneva legato. Ma darla gli fece un cenno, perché lasciasse tutto com'era… perché era un piacere per gli occhi vederlo, lì, appeso.

Spike sbattè le palpebre, cercando di scacciare il senso di inconsistenza che lo stava prendendo.

"Allora, piccolo Spike." - ripetè Darla, sillabando un po' le parole, innanzi al suo sguardo vitreo - "Devi ammettere che sono una padrona di casa impeccabile…"

"Intrattenimento, per i miei ospiti…" - enumerò, indicando i vampiri armati di balestre che le si assiepavano adoranti intorno - "Musica… e da bere a fiumi…"

l'aveva detto con aria provocante, tendendo la mano e lasciandosi macchiare la punta delle dita dal sangue che gli gocciolava dai vestiti.

"Mmm…" - assaporò, leccandosi i polpastrelli - "Buono. Chissà se la ragazza è buona come te…"

Ragazza? spike fece uno sforzo, per mettere a fuoco Darla e le parole che stava dicendo.

A quale ragazza si riferiva? A Buffy?no, non avrebbe mai parlato di lei in quel modo. Non l'aveva mai realmente considerata un'avversaria. Non aveva mai preso seriamente l'amore di Buffy per Angel.

Allora chi… chi poteva essere questa ragazza che Darla reputava tanto pericolosa?

Ma lei non sembrava più badare realmente a lui. Al fatto che fosse cosciente oppure no…

"Quella sbiadita ragazza, quella smorta… poliziotta… anche lei merita una lezione. Per come continua ad impicciarsi di affari non suoi, per come lo guarda…" - elencò, strusciandosi appena su uno dei suoi pupili. Una vampiro alto e biondo dai lineamenti affilati - " e lo ascolta… e soprattutto… per come lui guarda lei!"

il suono del collo che si spezzava fu simile ad uno schiocco. Ed il vampiro le si afflosciò sui piedi, come un burattino dai fili recisi.

Mentre Darla si voltava, sorridente, e tornava verso di lui.

"Lui non deve guardarla in quel modo." - ripetè, con una folle innocenza - "Non deve. Ci devo essere solo io, per lui. Nessun'altra… e quando le avrò spiegato che non è roba per lei… nemmeno Angel vorrà più guardarla. Né tantomeno ricordarsi di quell'odioso segno… oh, sì, lui la vuole, la vuole per sé e vuole che il mondo lo sappia. Ma io le lacererò la gola e strapperò di persona quel segno così forte. Il suo corpo immondo non può godere di un onore del genere!"

Sorrideva, folle. E Drusilla, rannicchiata in un angolo, nella penombra, ridacchiò, tormentandosi i capelli.

"Il segno…" - Drusilla mosse gli occhi con aria sognante - "Quel segno che è come fuoco nel ghiaccio. Quel segno è il fuoco che vuole entrare in lei. Ma lei non lo lascia… lo lascia fuori, a bussare… e non gli apre la porta. Povera piccola cosa. Povera piccola cosa…"

"Non sei d'accordo, topolino?" - chiese Darla, ignorandola, scotendo la testa con insistenza - "Non pensi anche tu che meriti una lezione? Nessuno deve toccare ciò che è mio… nessuno può dirmi cosa fare o non fare… e nessuno può contraddirmi… oppure paga amaramente. Non credi?"

"può darsi sia così…" - mormorò Spike, con un filo di voce, abbozzando un sorriso di scherno - "puoi essere perfetta nelle tue vendette… ma devi ancora alzare la testa per incontrare il mio sguardo…"

 

"Non sapevo si trattasse di Kate. E non l'ho ricordato fino a quando stasera non ho captato Kate ed ho capito a cosa si riferisse Darla. Sapeva persino lei quanto quella poliziotta fosse importante per te. Tutti tranne te, Flagello…"

"Dru è a piede libero. Ma non è andata a cercarla." - replicò Angel. Cercando di sedare quei timori che per mesi aveva tenuto sotto controllo. Quei timori che aveva rischiato di vedere realizzati, per una telefonata ed una scatola di barbiturici.

Letali come può essere una vampira malata di gelosia…

Come può essere un emulo desideroso di vendetta…

Dio, cosa ho fatto…

"Forse perché a Drusilla premo io. E non tu." - rispose Spike, senza curarsi di aggiungere particolari a quella certezza che già più volte era trapelata dalla sua bocca. E che, in cuor suo, sapeva pericolosa.. come si poteva pensare che a Dru non importasse di Angel?- "E tu non sei mai stato il tipo che si raccontava favolette per dormire sonni tranquilli.

Kate è un segnale a trasmissione cronica. Io non faccio altro che trasformarmi, da quando lei è entrata qui dentro. E ne sono stufo!"

"Angel, quello che Spike cerca di dire è che Kate è un childe sui generis? Cioè... Intendo dire se è…"- domandò Wes, tormentandosi pensosamente un polsino.

"Se è un mezzo vampiro? No, non lo è." - il solo pensiero di poterle fare una cosa del genere lo riempiva di disprezzo verso se stesso - "Il morso di per sé non le ha probabilmente dato nulla. Forse qualche percezione più elevata, o un senso di allarme quando incontra uno che abbia un segno identico…." - rallentò il discorso per puntare gli occhi color onice su Spike - " oppure qualcuno di legato a me. Non posso escludere che possa sentire me, tramite quella cicatrice."

La specifica distinzione tra marchiato e legato suonava oscura, alle orecchie di Wes. Doveva esserci un particolare che gli sfuggiva… ma per quanto provasse a metterlo a fuoco…

"il che spiega l'improvvisa e ingiustificata antipatia nei miei confronti." - concluse Spike, con aria drammatica.

 

Angel lo guardò, in silenzio. Una cosa usuale per lui, se non per la luce scura che adesso gli brillava in fondo alle iridi.

Westley, mormorò, ad un trattò, potresti lasciarci soli?

C'è una cosa che dobbiamo discutere.

"Bhe?" - domandò Spike, non appena la porta si fu richiusa alle spalle di un osservatore in piena riflessione - ""Consiglio di famiglia?"

"Così fosse, avrei lasciato che Wes restasse." - replicò ermetico Angel, appoggiandosi ad un tavolo, sempre a braccia conserte - "Invece è perché devo chiederti un favore personale. Stai fuori dalla mia vita sentimentale."

"Come scusa?"

"Mi hai sentito bene, William. Non voglio che ficchi il becco nelle questioni tra me e Kate. Ti ringrazio per gli sforzi evidenti che hai fatto. Ma non li apprezzo."

"ed io non apprezzo quello che hai fatto." - scattò Spike - "Hai legato a te quella ragazza e lei si è legata a te. Eppure vuoi negare l'evidenza. È parte di te, Angel. Non ho avuto bisogno nemmeno un'occhiata preliminare per accorgermene."

E mentre Angel apriva bocca per ribattere, fu più pronto a proseguire.

"Non citarmi il morso su Buffy. La definizione 'impregnata di te' le si addice parecchio. Ma si può soprassedere… calcolando che lei è la prima ad attribuirgli un significato fortissimo, non ho nessun piacere a tornare sopra alla questione. Ma quello di Kate… se provassi a farle del male, sarebbe come se ne facessi a te…"

Ecco. L'aveva detto. Ed era quasi furente all'idea di essersi esposto in quel modo.

"E' stato uno sbaglio." - mormorò lui - "Rischiava di far saltare la mia copertura. Allora l'ho morsa, superficialmente. Ed ha funzionato."

"Non ci credo." - replicò Spike. Trapassandolo con un'occhiata che gli fece accapponare la pelle - "c'è una bella differenza tra mordere superficialmente ed in quel modo. E penso di saperla riconoscere."

"Questo non toglie che la tua sia una reazione eccessiva." - rispose Angel, cercando di portare il discorso in altre direzioni, per mettere il riparo il cuore da quelle repliche - "Il tuo demone che ritorna a galla solo per il tuo legame con Kate tramite me…"

"E cosa dovrei usare, secondo te? Tu hai usato il tuo demone per segnarla. Ed io uso il mio per captarla. E quando il segnale arriva troppo forte, capita quel che capita. Dici che si tratta di una reazione eccessiva? Sono d'accordo, soprattutto se tieni presente che, come mi hai fatto notare prima con una certa sottigliezza, io non ho morsi tuoi sul corpo."

Era questo il particolare che Wes non conosceva e a cui non era giunto ancora. Un particolare che sarebbe passato come un colpo di spugna su elucubrazioni di mesi e mesi…

"io ho il tuo sangue, ma non il morso. Non ho marchio." - mormorò ancora Spike, abbassando gli occhi - "Non nel senso abituale dei vampiri. È stata Dru a mordermi… ed io appartengo a lei. Ed a te, allo stesso tempo." - Tacque un attimo, come se nella mente di fosse prepotentemente affacciata un'informazione rilevante. Da tacitare, con le parole - "Probabilmente è questa anomalia che mi provoca una reazione inusuale. Smetterò non appena mi sarò abituato a lei."

"Mi sembra una conclusione affrettata, ma non posso che augurarmelo." - sospirò Angel. Aveva dimenticato quel particolare. Spike era due volte intrecciato con la sua linea di sangue. Era normale fosse più recettivo nei confronti di Kate.

Ed era normale che Spike rispondesse alle sue preoccupazioni con un'alzata di spalle, per minimizzare il problema. Ed affrontarlo con calma, nel momento opportuno.

"Ed ora veniamo a Kate." - proseguì implacabile Spike - "direi che la tua poliziotta bionda è stata più brava di te. Tu le hai morso il collo… ma lei ti ha azzannato il cuore. Non darei così per scontato che io vostri rapporti non necessitino una mano, quando non avete ancora trovato il modo di amarvi in santa pace."

"insisto con il fatto che tu debba starne al di fuori."

"perché? Perchè questa storia della tua famiglia che ficca il becco è irritante? Per quello che poteva farle darla? O che pensi di averle fatto tu?" - non sapeva bene di cosa stava parlando… ma leggeva bene in Angel - "Sai cosa ti dico Angel? Che non si può essere tanto stupidi da lasciare che uno scricciolo del genere scivoli via in questo modo solo perché ha paura di non riuscire più a volare!"

Eccolo lì. Il grande spike, piantato a pugni stretti in mezzo ad una stanza. E di nuovo impegnato in una crociata.

Ma riusciva a passare giorno senza trovare una nuova questione in cui gettarsi a capofitto con sempre nuove verità da sputare in faccia al suo interlocutore?

"io non so perché diamine capisco tanto bene quella ragazza! Ma mi fa imbestialire il gioco che fate! Chi ne uscirà massacrato per primo? Dannazione, Angel! Sei un campione a sfondare le corazze delle gente! Mi vuoi dire perché non riesci con lei?"

era una domanda importante. E si sarebbe meritata una risposta altrettanto importante.

Ma Angel aveva solo il silenzio, da offrire.

Perché non lo sapeva.

Non sapeva perché le cose andassero in quel modo, né tantomeno perché non ci fosse una via d'uscita.

Kate era sparita per mesi, quasi anni. Ed ora, tornata con un pretesto, sembrava non essere cambiato nulla. Gli sfuggiva, con metodo quasi scientifico, con la tenacia con cui inseguiva malfattori e delinquenti.

Credeva nella giustizia e non si concedeva nulla. Non sapeva di meritarsi più di quanto la vita le aveva dato. Ed Angel avrebbe fatto qualsiasi cosa per donarle un futuro migliore e qualche illusione.

"il muro tra di noi non si sgretola." - mormorò, sulla scia dei suoi pensieri. Fissandosi la punta delle scarpe - "per quanto ci provi, rimane sempre.

Ci avviciniamo, quel tanto che basta per tornare ad allontanarci. E poi c'è Buffy…" Già, il fantasma Summers… come dimenticarsi di lei…. Occhi verdi in tempesta e capelli morbidi.

"Di certo hai un debole per le bionde…." - Sospirò, pungente - "e per le ossessioni. Le rimiri da lontano, fino a quando non entrano nel tuo cerchio, irrimediabilmente. E sei disposto a tutto, per loro. Ma non a lasciare che ti amino. E quindi, prima o poi, queste splendide creature se ne vanno…. "

Posò studiatamente il bicchiere sul mobile. Lasciandosi un attimo assorbire dalla scomposizione della luce, in miriadi di gocce cangianti, sul ripiano.

"Mi spieghi perché ora?" - mormorò.

"Cosa?"

"perché ora si è decisa a tornare. Cosa è successo per farle cercare un pretesto e tornare…ma cosa importa, dopotutto. È venuta. E se ne è andata. Qualunque fosse il motivo, non è bastato per farla restare."

"Una verità che smaniavi di sbattermi sul viso…." - commentò Angel, duramente.

"Può darsi…" - replicò Spike, serafico - "Un'azione superflua, la mia. La verità è lampante anche senza forzarla, non credi? Come è lampante l'altra verità…."

 

Spike ha ragione…

Quel morso, quel marchio… non è stato un caso. E non è cosa da poco.

Se l'ho fatto… è perché volevo farlo.

La volevo con il cuore e l'anima. L'ho resa mia con il demone.

Kate fa bene a non fidarsi di me…

 

"Non auto flagellarti, Angel. Se Kate non si fida di te è solo perché non si fida di se stessa. Non si fida dei suoi sentimenti, delle sue sensazioni. Io non so abbastanza di quello che le è successo nella vita, per arrivare fino a questo punto… ma so che adesso la sua paura è di non riuscire ad andare via."

Angel si sedette, posando le labbra sulle mani intrecciate. Restando un attimo a riflettere. Prima di guardarlo, con l'ombra di un sorriso.

"Mi spieghi come fai a parlare così di lei se non la conosci?" - mormorò.

Spike ostentava una sicurezza eccessiva, nelle sue affermazioni. Non gli era nemmeno passato per la testa che potessero esserci altri problemi tra lui e Kate. Puntava il dito senza esitazione sulle paure di entrambi, e non si fermava davanti a nulla.

"per piacere!" rispose, vagamente offeso - "Sanno tutti che ho grande intuito per l'animo femminile!"

Angel lo guardò, mentre cambiava espressione, inclinando un po' la testa, con un sorrisetto strano.

"Vedi Flagello." - aggiunse - "Quella ragazza mi piace. Ed ogni volta che mi passa vicino e come prendersi 220 volt di scossa. Mi affascina… e capisco lei tanto quanto non capisco la situazione…"

Si interruppe, seguendo la linea dei suoi pensieri…

"Ho baciato e amato ben due ragazze marchiate da te. Sono stato gomito a gomito con Buffy e tra le braccia di Dru abbastanza tempo da credere di sapere tutto su quei dannati morsi. E poi arriva questa ragazza…. Pazzesco…"

era un commento più che per se stesso che per Angel.

Angel stava in silenzio e lo fissava.

E Spike, ricambiando l'occhiata, fu colpito da come Angel, seduto in quel modo, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e le mani intrecciate, fosse ormai un'immagine completamente incastonata nella memoria

Da più di un anno, Angel gli sedeva di fronte e lo ascoltava, senza battere ciglio. Stava in silenzio e lo lasciava parlare. E, a poco a poco, cercava di venire a capo di quel mistero che era la base del loro rapporto.

E mai, tra quei segreti che si erano detti e tra le ammissioni che c'erano state, era trapelata Kate.

Mai.

Kate era il mistero nel mistero.

E non si trattava solo della riservatezza che Angel manifestava nei suoi affari di cuore. non si trattava di Buffy, che gli passava sul volto come un'ombra, oppure di Darla che se ne era andata con l'amarezza del fallimento…

"Tu l'ami." - mormorò. Con una sorpresa che fece cambiare l'espressione di Angel, mutandola da riflessione in stupore.

"come?"

"Oh si, tu l'ami." - l'accusò Spike, prima di saltare in piedi. Come se l'avesse colpito una folgorazione - "È tutta la sera che mi metto di impegno per coronare questa tua soap opera e non mi era venuto in mente perché lo stavo facendo. Non era il morso. Quello è affar mio, oppure di Wes, pro interesse scientifico! Non è quella la cosa importante. Non importa il marchio che le hai lasciato addosso, se si guarda cosa hai nel cuore… tu l'ami! Basta che tu glielo dica!"

si era illuminato. Stava a centro della grande biblioteca di Westley, con le braccia spalancate, offrendogli quella semplice soluzione che non gli era venuta in mente.

Ed aveva gli occhi brillanti per l'entusiasmo… era il ragazzino che aveva intrappolato la luna nel pozzo.

Ed Angel lo guardò, sorridendo di quella gioia che sembrava sprizzare da ogni poro.

Spike faceva di tutto per aiutarlo. E le motivazioni di quella sua scelta di vita...quelle sì che erano un mistero!

"Bhe?" - insistette Spike, muovendo le mani, senza abbassare le braccia - "Mi hai capito?"

"Sì, non mi sembra complicato." - rispose cautamente Angel, senza rinunciare ad un breve sorriso - "E' solo un po'… difficile…"

"E che ci vuole! Ti amo Kate! Ti…………..Amo…………Kate." - Scandì - "Aggiungici mia luce, mia vita e mio tesoro. Oppure chiamala Ciccina…."

"Così mi arresta per insubordinazione a pubblico ufficiale." - rise lui, appoggiandosi allo schienale. Si immaginava proprio l'espressione di Kate Lockley mentre veniva chiamata Ciccina…da lui poi…

Le conseguenza sarebbero state paragonabili ai fuochi d'artificio.

Spike lo guardò, con finta rassegnazione, mentre Angel cercava di controllare le risate. Scosse la testa, seccato, prima di fissarlo, con la testa appena alzata.

"Tu non riesci." - commentò, serio - "tu non puoi dirglielo…"

angel stava ancora sorridendo. Ma il suo sguardo era triste.

Scosse la testa ed alzò le spalle, per comunicargli la rassegnazione per quel fatto.

"Ogni volta che provo… ogni volta che sono ad un passo dal farlo… non so, non riesco e basta." - ammise - "è come se lei si rendesse conto con un attimo d'anticipo di quello che sto per dire. E lo ritenesse uno sbaglio madornale.

Si tira indietro, torna a chiudersi."

"mai visto una rosa tornare ad essere un bocciolo." - commentò Spike, interrompendolo - "La prossima volta non fermarti. Dritto alla metà senza esitazione!"

Spike aveva un futuro come coach nel mondo del football: digrignava i denti, stringeva i pugni e simulava quello che non era un corteggiamento ma un assalto di cavalleria.

E non accettava insubordinazioni…

"Ma la pianti di ridere?" - sbraitò esasperato - "Stiamo parlando di cose serie!"

"Sono perfettamente d'accordo." - replicò Angel, a braccia conserte, allungando le gambe. Con atteggiamento rilassato - "ma se carico Kate come mi stai consigliando, lei mi impaletterà come la prima volta."

"Ah! Con te non si può parlare!" - disse, spike, voltandosi con un gesto di stizza. Per poi fermarsi di botto, girandosi di nuovo - "come sarebbe a dire che la prima volta…"

"Mi ha piantato un paletto in cuore." - concluse serafico Angel - "con la gentilezza di mancare il mio prezioso e straziato organo, anche se impugnava una trave piuttosto massiccia."

"Ma che tesoro di figliola. E come le è venuta questa idea?"

"Penn mi teneva per le spalle e la provocava…" - e Kate odia essere provocata…

"Penn? Il nostro Penn? Il Penn che nessuno di noi voleva ma che tu ci hai imposto? Perdonami… che il tuo alter ego brutto e cattivo ci hai imposto?" - Spike appariva sbalordito quanto deliziato - "Ed è morto? L'hai ucciso?"

"Non io. Lei. Ha impalato me e centrato in pieno lui."

"Quanto amo quella ragazza!" - sospirò, unendo le mani in segno di preghiera e alzando gli occhi al cielo - "Grazie, destino crudele, grazie!"

poi, ripensandoci…

"Sai una cosa Flagello? Se non ti decidi… ci provo io con Kate…"

 

 

IV

"William… stai sospirando…"

"E allora?"

"I vampiri non respirano… come mai tu sospiri?"

"A dire il vero, Angel, io stavo sbuffando. Non mi capacito di quanto sei tonto…"

"tonto? Io?"

"Si. Tu. Sei tonto." - Spike stava sprofondato in poltrona. E Wes era stato finalmente riammesso nei suoi appartamenti.

Ed ora vagava, da una scaffalatura e l'altra, con un grosso volume tra le mani. Senza perdersi una parola.

"Sei tonto perché in duecento anni non hai imparato a corteggiare le ragazze. Dimmi che problema hai… magari posso aiutarti…"

"Non ho nessun problema." - a parte un'anima, una vocazione e un destino.

"Allora dovresti dirmi perché sei ancora qui…"

"E dove dovrei essere?"

"magari in giardino…" - rispose, evasivamente il vampiro biondo - "oppure sul marciapiede qui di fronte…"

Angel non capiva. Lo guardava, aggrottando le sopracciglia.

"E perché dovrei fare una cosa del genere?"

"Non di certo per prendere una boccata d'aria! Lo vedi che sei tonto?" - esclamò Spike - "se solo aguzzassi un po' i tuoi sensi, ti renderesti conto che c'è una macchina parcheggiata davanti al cancello. Con dentro una ragazza…"

no, non capiva proprio…

"Angel! La ragazza! Kate è parcheggiata qua davanti."

"E tu come lo sai?"

"Ma che ti importa come lo so! Lo so!" - altro effetto collaterale di questa parentela imposta - "ed una di quelle occasioni che vengono definite 'seconda chance'! per cui datti una mossa. Subito!"

Aveva occhi che mandavano lampi ma Angel era già in piedi e quasi oltre la porta.

In effetti non gli importava come Spike lo sapesse. Perché ora lo sapeva anche lui. C'era Kate. A pochi passi da lui. E lui, talmente preso dalle sue tristi considerazioni….

Aveva ragione Spike… era un tonto.

"Ti ricordi cosa devi dirle o mi affaccio con un cartellone?" - gli urlò dietro, sentendo i passi affrettati sulle scale.

E poi voltando un po' la testa, verso Wes.

Wes che aveva seguito con lo sguardo la corsa di Angel ed ora sostava, pazientemente in attesa.

Con il volume chiuso, come se l'argomento che l'avesse assorbito non fosse poi così interessante.

Soprattutto in confronto a quello che ora stava vagliando.

Spike lo squadrò, mentre lo sguardo dell'Osservatore diveniva sempre più brillante e famelico.

Cosa non avrebbe fatto per la conoscenza del paranormale…

"Avanti Price." - sospirò rassegnato, sprofondando maggiormente nella poltrona - "fammi la prima domanda…"

 

Angel sostò un attimo sotto il portico.

E fu tentato di tornare dentro, a far due parole con Doyle, solitariamente sdraiato sul divano.

Perché adesso, davanti agli occhi, c'era la conferma al suo istinto di demone.

Adesso il cuore sentiva che c'era Kate.

Adesso il cuore la vedeva e la respirava.

Se ne stava seduta in macchina, a motore spento. E teneva le mani strette al volante, con lo sguardo fisso lontano.

Ferma. Ed il finestrino era quasi una cornice per il suo profilo. Ricordava un quadro italiano, rinascimentale. Era una bella fanciulla, dal profilo nobile e lo sguardo perso in lontananza, le labbra strette in una linea sottile e pensierosa.

Scese i gradini, lentamente, infilandosi le mani in tasca. E domandandosi se non avesse freddo, ferma così, in una macchina, nella penombra della strada.

Girò lentamente intorno, passando davanti al cofano. E catturando gli occhi di Kate con gli occhi.

Lentamente, fino ad un passo da lei, per aprire lo sportello.

E chinarsi, fino a sedersi sui talloni. Per guardarla in viso. Per vedere i suoi occhi e le lunghe ciglia che li ombreggiavano, mentre chinava la testa per guardarlo in viso.

"perché mi sfuggi sempre…" - mormorò, contemplandola.

Non aveva pianto. Ma i suoi occhi erano bui e tristi.

E quando scosse la testa, i capelli le ricaddero sulle guance. Erano lunghi e ondulati ed ora che li portava sciolti, il loro profumo era ancora più forte e penetrante.

"Non sono mai molto brava, a scappare da te." - rispose, non osando vederlo.

 

Era fuggita. Aveva varcato la porta dell'Hyperion cercando disperatamente un posto dove rifugiarsi.

E solo arrivando alla macchina e cercando le chiavi... si era resa conto di non sapere dove andare. E per quanto si fosse duramente fatta coraggio, per avviare il motore e partire… nessun posto le era venuto in mente.

Non aveva posto dove andare.

Non aveva posto in cui sentirsi a casa.

Non aveva posto in cui sentirsi sicura.

Perché in nessun posto avrebbe incontrato Angel.

Angel era tra quelle quattro mura. Con persone che sapevano accettarsi.

Con persone in gamba.

Non come lei, che aveva sempre mete troppo lontane a cui puntare, non come lei che non era mai all'altezza…

 

Alzò la testa, sorpresa. Angel le stava accarezzando una guancia. E stava spingendo indietro i suoi capelli, con un gesto lento e tenero.

"Sono bellissimi…" - lo sentì mormorare - "Ma non usarli per nasconderti…"

avrebbe voluto rispondere qualcosa… ma cosa…

"Angel, io.." - ma come poteva finire quella frase.

"Per piacere..." - sorrise Angel - "Zitta."

Infiammandola, con un bacio. Con una mano sul collo, fredda come brace. Una mano sulla sua cicatrice… sulla loro… cicatrice…

E le loro labbra, una nell'altra.

"perchè?" - domandò, ad un tratto, scostandosi. Guardandolo, mentre i suoi occhi scuri, impercettibilmente, smettevano si riflettere le luci della strada - "perché questo bacio…"

"perché…" - perché vorrei che i baci fossero parole. Perché non posso farne a meno, perché… - "mi dispiace, Kate…"

"No!" - scattò lei, mentre gli occhi le si riempivano di paura - "Non chiedermi scusa, ti prego. Io…"

Non riusciva a spiegarsi. Non riusciva a dire nulla senza sembrare dura, o scostante. Non sapeva farsi capire.

Ma Angel… Angel capiva. Aveva sempre capito. Anche quella sera, quando sembrava troppo tardi, era arrivato in tempo. E come allora, non la stava giudicando.

"Angel." - Riprese, gettando al vento i tentativi e le frasi tronche - "Io avrei voluto venire qui, già da tempo. È come se troppe cose fossero rimaste in sospeso ed io non sapessi da che parte ricominciare. La mia vita, quella di prima.. quella di dopo… e poi tu, che vieni da un altro pianeta…"

Angel la guardò, allargando la bocca in un sorriso.

"Io cosa?"

"bhe, sì, non sei umano… hai capito no?"

"Certo." - rise lui, senza smettere di guardarla - "Sono un alieno tonto…."

"Come scusa?" - Kate lo fissò, sospettosa. Iniziava a pensare che la stesse prendendo in giro. Perdendo quel dubbio nel vederlo ridere così. Dimenticando il mondo e gli sbagli che talvolta lo percorrono.

E, per la prima volta in assoluto, si domandò se, da vivo, avesse mai riso in quel modo… e fosse stato felice.

Non sapeva nulla di lui. Certo, informazioni, informazioni ed informazioni sul suo demone, in vecchi libri polverosi. Ma chi fosse prima… cosa amasse…

"Chi sei, angel?" - mormorò.

"Sono uno con un passato faticoso da portare." - rispose, semplicemente, seguendo con i polpastrelli il segno sul collo di Kate. Cercando ciò per cui spike insisteva tanto - "con un sacco di incombenze e fissazioni… e quando mi descrivo così, sembro solo un uomo normale. Non poi così alieno… ma è solo un ritratto di superficie.. o così mi piace pensare."

"Sei molto di più, Angel." - replicò Kate, piegando un po' la testa, per sentire la sua mano racchiuderle la guancia- "Quando ti parlo, quando ti vedo… mi domando chi sei, cosa nascondi. E.. e non ho paura di te…"

"Forse sbagli…" - rispose il vampiro. Quella donna, così fiduciosa… così diversa da Buffy, eppure con lo stesso abbandono…

L'avrebbe persa? L'avrebbe tradita con la sua stessa natura?

Doyle avrebbe detto che solo il tempo ha queste risposte… e Lorne avrebbe aggiunto che… che Kate era unica. Ed era più di ogni altra.

E in quel momento, Angel capì che avrebbe dato tutto per quella speranza, flebile come un respiro ed un attimo di vita.

Quella splendida creatura, pronta a ritrarsi… pronta a … richiudersi…

Ma come può una rosa tornare bocciolo?

"Non andare via, Kate. Non di nuovo." - disse Angel, tornando a fissarla. Levando gli occhi verso di lei.

"Sei tu che entri ed esci dalla mia vita." - replicò lei. Sbarrando gli occhi, per l'intento polemico che era racchiuso in quelle parole. Ascoltando Angel ridere sommessamente, nello stroncare i suoi crucci con un altro bacio.

"Può darsi sia vero." - replicò, sottovoce. Come se di colpo la città fosse diventata ancora più grande e ricca di persone indiscrete. Capaci di approfittare delle ombre, per portare via quella poca felicità che talvolta sbocciava agli angoli delle strade - "Può darsi sia così. Ma è già da qualche tempo, che penso quanto vorrei essere nella tua vita. E se non vuoi che sia per sempre… almeno spesso…"

Kate gli sorrise, annuendo.

Sì.

Lo voleva nella sua vita.

Ma voleva tempo.

Tempo per capire.

Tempo per accettare.

Ma non tempo senza di lui.

 

Potrei dirti che ti amo... ma per te sarebbe una gabbia dorata. Lo vedo nei tuoi occhi, mia Kate.

Non resterai neanche questa volta. Ma adesso so che forse sarai meno lontana…

Non voglio rinunciare a te…

 

"Verrai?" - chiese Angel. Non voleva obbligarla a nulla. Voleva capisse che avrebbe aspettato, pazientemente. Avrebbe aspettato di vederla fiorire e credere anche nella luce, oltre che nell'ombra e nella notte…

Kate annuì.

La felicità stava di nuovo fuggendo. Sempre un passo oltre, nella loro corsa sfrenata.

"Verrò…"

Tornerò ancora, Angel. Te lo prometto.

"Verrò perché mi fido di te." - ripetè, guardandolo, sfiorandogli il viso in punta di dita. Sfiorando la pelle gelida e priva di imperfezioni, sfuocando lo sguardo, fino a non vedere altro che le sue dita, in movimento - " E non importa se non mi credi. Perché sono io, a credere in te. Anche se non sei umano ed anche se, se uso la testa, so benissimo che non esisti…"

"Un'affermazione azzardata." - replicò, con una carezza che le provocò un brivido. Seguita da un altro bacio, forte quanto rapido.

"Ok. In effetti esisti." - commentò Kate, senza fiato - "E non sei frutto della mia immaginazione."

"Senza dubbio." - concordò Angel. Sei troppo pura per concepire una fantasia tanto malata…

ed io vorrei tanto poterti meritare. Da adesso all'eternità.

E vorrei che non ci fossero donne amate e perse nel mio passato. Vorrei tu fossi la prima, per non sporcarti con i miei sbagli.

Vorrei averti incontrato quando ancora esisteva una speranza. Vorrei averti incontrato… da vivo…

"Dove andrai, adesso?"

"Al lavoro." - sospirò Kate, assolutamente incurante dell'ora in cui avrebbe dovuto prendere servizio - "poi a casa… e di nuovo al lavoro…"

"Più o meno quello che faccio io." - commentò Angel, alzando gli occhi verso la facciata dell'albergo.. e la figura misteriosa che si muoveva dietro le tende - "Ed ho passato la metà della mia esistenza a ripetermi che avrei potuto farlo solo se non mettevo radici e restavo da solo.

Ma era uno sbaglio, Kate. Non possiamo veramente aiutare gli altri, se cerchiamo in tutti i modi di tenerli lontani da noi stessi."

Kate annuì, abbozzando un sorriso. Sentendo le parole penetrarle nel cuore. anche se…

"Non è una frase tua, questa…" - l'accusò. Così certa che Angel ne fu sorpreso.

"Hai ragione." - ammise - "e' una frase di Doyle…"

"Doyle…" - ripetè Kate, soprappensiero. Ed Angel si sentì in dovere di fare una precisazione. Una piccola precisazione perché Kate non gli sparasse urlando, al primo incontro.

"Lui.. è tornato… sai?"

Non era certo che Kate assimilasse l'informazione nel modo corretto. Ma era un tentativo da farsi…

E Kate gli fu intimamente grata, nello sforzo che stava compiendo, per portare, con la maggior tranquillità possibile, un po' di stranezze nel suo mondo apparentemente razionale e ordinato. Anche se era una cosa che lo metteva a disagio, obbligandolo a giocherellare con quello strano anello d'argento che portava sempre.

"L'ho intravisto stasera." - commentò, annuendo - "Ma visto che parlava con un tizio tutto verde, ho preferito non soffermarmi sul fatto che potesse essere un fantasma."

"Comunque non lo è." - concluse Angel. Prendendo coraggio, per un altro argomento. E protendendosi, istintivamente, a toccare, ancora una volta, la cicatrice.

"Mmm… devo arguire che tu voglia tornare su quest'argomento?" - chiese Kate, sovrapponendo la propria mano alla sua - "Non ce n'è bisogno, Angel. Ne abbiamo già parlato. Ed io ho accettato…"

"Non volevo scusarmi, Kate." - la interruppe Angel. Sapendo che la prossima frase avrebbe messo a rischio quel rapporto sereno che entrambi stavano sforzandosi di istaurare - "Volevo sapere cosa pensi… di quello che ho fatto…"

"Non è una cosa ortodossa, essere morsi a metà di un furto." - replicò Kate, avvertendo la stessa tensione di Angel. E cercando di scherzare, mentre i suoi occhi cominciavano a rannuvolarsi - "Ma a parte questo… nulla di più…"

A parte il fatto che, da allora, mi sento parte di te. È come se tu mi fossi accanto, certe volte. È come se potessi sentirti, quando soffri… o quando corri un pericolo...

La mente le si era affollata di parole. E sensazioni. Del ricordo della pelle che si infiammava, talvolta, nel cuore della notte. Oppure del senso di fastidio, presto liquidato come reazione agli sbalzi di temperature… ed ora, nel sentirsi chiedere una tale informazione, Kate ebbe paura.

Di essere visionaria.

Di essere eccessiva.

Che Angel potesse giudicarla credulona…

"Tutto qui." - aggiunse, frettolosamente.

Tornando a nascondersi.

E quando il muro tra loro tornò ad alzarsi, angel si domandò se non avrebbe fatto bene a tacere.

E non potè concedersi uno sbaglio del genere. Perché, come amava ripetere Doyle, Angel credeva abbastanza nella giustizia da usarla anche a suo discapito.

"Il morso, Kate, non è una semplice cicatrice. È un marchio, un segno che permette a molti di sapere che tu sei mia…"

"Molti… molti chi…" -domandò Kate, senza capire… preferendo non capire.

"Molti…" - quanto avrebbe desiderato tirare un respiro… - "Vampiri. Ed in particolar modo, quelli che sono legati a me da un rapporto di sangue."

"Come… Darla?" - Kate si morse le labbra, cercando di reprimere le urla interiori, mentre Angel annuiva.

Marchiata. Come una bestia. Siglata, come un oggetto…

Null'altro che un possesso… oppure realmente parte di lui.

"Ma… sono cambiata? Sono anch'io…"

"No." - si affrettò a rispondere Angel - "Assolutamente no. Non ti avrei mai fatto nulla del genere, Kate. Io non potrei farti del male, in nessun modo. Quel segno non ti ha cambiata. Sei umana e sottoposta alle regole del mondo naturale. Non è cambiato nulla."

"E allora perchè era così importante dirmelo?" - ribattè Kate. Scostandosi leggermente. E fissandolo, come se di colpo stesse svanendo l'illusione. Ed Angel non fosse più il semplice ragazzo bruno, accoccolato sul talloni per parlarle a guardarla in viso, in mezzo ad una strada in cui non passava nessuno.

D'un tratto la situazione le parve innaturale.

Nessuno in giro… ed un uomo che non era un uomo, intento a lasciarla avvicinare, per poi allontanarla di nuovo.

 

Ingiusta. Sei ingiusta, Kate Lockley. E lo sai benissimo.

Avrebbe potuto non dirtelo.

Invece ha messo a rischio tutto, per dirti cosa aveva fatto.

 

"Marchiata."

Le era sfuggito dalla bocca, pronunciato con un disprezzo per se stessa che Angel sentì come una coltellata.

Sottoposta a leggi naturali… non poteva capire come quel segno fosse importante nel mondo dei vampiri. Perché era umana. E per lei, cresciuta in una società libera, era solo un primitivo segno di possesso. Che la sminuiva e la sottometteva.

"Kate, ascoltami, ti prego. Se quella sera ho fatto una cosa del genere è stato per salvarti. Avrei potuto fermarmi un secondo prima, fingere, o inventarmi chissà cosa…"

"Mi stai dicendo che è un segno del destino?" - scattò - "Allora sappi che non credo a queste cose. Non esistono, sono uno stratagemma per dare a qualcun altro colpe che altrimenti dovremmo sobbarcarci! Un modo per dare un perché al caos e alle cose senza senso!"

Le brillavano gli occhi, come topazi. Brillavano della sua durezza, della sua ferrea mentalità. Del dolore, nel pensiero di essere parte di loro, di una schiera di esseri senza moralità alcuna…

Non riusciva a pensare solo ad Angel, alla sua anima o al perché la volesse in quel modo…

"perchè Angel? Perché è andata in questo modo… perché l'hai fatto." - aggiunse, cercando di calmarsi. Angel voleva spiegarsi, stava disperatamente cercando il modo per farle comprendere.

"L'ho fatto perché ho seguito l'istinto. Perché nel momento in cui mi sono trovato in quella finzione, ho voluto che ci fosse almeno qualcosa di reale. Perché volevo ti fidassi di me, volevo avessi qualcosa di mio… perché io…"

Perché ti amo, Kate.

 

Si era fermato. Si era interrotto. E non l'aveva fatto per una distrazione.

Né per scelta.

Qualunque cosa volesse dire, aveva frenato le parole. Ed ora taceva. Fissandola. Ed attendendo una risposta, a quella tanto scarna affermazione.

Una risposta che non osava cercare di immaginare.

Una risposta che temeva, con la paura nel cuore.

Sentendo lo sguardo di ghiaccio di lei sfiorarlo, lungo i lineamenti. Valutando. E combattendo.

Fino ad ultimo, gelido sospiro.

 

"Io posso crederti, Angel." - rispose, in un sussurro. Come se le parole la soffocassero - "sono stata costretta a credere a molte cose, da quando ti conosco. E, con il tempo, forse accetterò anche questa. Con il tempo…"

l'aveva ripetuto. E, in quell'attimo, aveva compreso il significato delle sue stesse parole.

Tempo. Quel tempo che volevano combattere insieme, avrebbe tardato ancora. Tra loro era passato un altro fiume e quel segno che avrebbe dovuto unirli, li stava separando, ancora.

Vorrei accettarla. Per te.

Ma non riesco.

Questa verità è il vero marchio che brucia.

 

"Devo andare, adesso…"

"Lo so." - Replicò, Angel. Quando le fatidiche parole gli erano salite alle labbra, quella che doveva essere una denuncia d'amore, gli era sembrata un ricatto.

Un ricatto.

Accettalo, perché ti amo.

E se non l'avesse accettato?

Allora sarebbe stato 'non ti amo più'?

Oh, no, impossibile.

Ed allora sarebbe stato più dolore, per entrambi.

Ed Angel non voleva che Kate soffrisse, ancora. Non più di quanto stava già soffrendo.

"Allora.. spero di vederti presto." - aggiunse, alzandosi. E guardandola ancora, nel richiudere lo sportello.

"Io… sì, lo spero." - rispose Kate, guardandolo voltarsi e incamminarsi per la via. Silenziosamente, le mani in tasca.

Così come le era venuto incontro, ora si stava allontanando. Senza confusione, senza dare nell'occhio.

E quando cercò di vedere se aveva svoltato l'angolo, con l'irrefrenabile desiderio di scendere e correre, per fermarlo, o continuare a camminare assieme, nello specchietto retrovisore, non vide nulla.

Nulla.

E cercò di convincersi che, forse, era meglio così…

 

 

V

La lasciava andare! Ma non era possibile! Spike battè un pugno sul davanzale, prima di voltarsi e correre giù dalle scale.

Saltò il tavolino e si precipitò fuori. Frenando bruscamente in cortile, passando misteriosamente dietro la palme. Fino a intravedere, tra le lunghe foglie, Angel, in piedi, intento a chiudere lo sportello. Arretrare di qualche passo, andando in direzione opposta a quella che la macchina avrebbe preso.

Ah! il pusillanime non rientrava! Sapeva cosa lo attendeva!

Anche se, a pensarci bene…

Spike uscì allo scoperto e si incamminò, con aria strafottente, fino a varcare la vecchia cancellata in ferro battuto.

Fino ad appoggiarsi al finestrino aperto, dal lato del passeggero.

Kate doveva averlo visto già da un pezzo. E stava ferma, dopo aver lasciato, con rassegnazione, la chiave che già stringeva tra le dita.

"E adesso che vuoi?" - domandò, senza giri di parole.

"Posso sedermi?" - chiese educatamente, indicando il sedile.

Dove troneggiava, magnifica nella fondina di pelle, l'automatica di Kate.

Era stato talmente educato ed appariva così sincero, che Kate ne fu spiazzata. Adesso che aveva finalmente occasione di studiarlo, vedeva solo un bel viso affilato e degli occhi molto chiari.

Era l'opposto di Angel. Troppo luminoso. Troppo sicuro di sé.

Eppure…

"Prego." - rispose, dubbiosa, togliendo l'arma e posandola sul sedile posteriore.

"Grazie." - concluse il vampiro, sedendosi. E, dopo un attimo di silenzio poco distensivo, tese la mano - "Piacere, Spike."

"Kate. Kate Lockley." - replicò lei, stringendo quella mano. E sussultando appena, per la sue freddezza. Abbastanza da farsi coraggio - "Tu sei un.. un…"

"Vampiro. Esatto. Con l'anima. Sono vampiro, inglese e come puoi vedere, di grande fascino. E tu?" - chiese, appoggiando il gomito al finestrino, per voltarsi, quel tanto che bastava da vederla in viso.

Un viso ombroso. Il viso di una persona che ha sbattuto su un muro che non sapeva ci fosse.

"Io? Americana, poliziotta e… " - e cosa? Fallita? Testarda? Asociale? - "E bionda naturale."

Lui la guardò, alzando un sopracciglio.

Per la sorpresa e l'ammirazione.

"Amore… non è una cosa carina da dirmi…" - commentò, passandosi una mano sulla testa platinata. Ma Kate era già passata oltre quella provocazione, per andare verso una peggiore.

"Mi vuoi dire perché prima ti sei fatto stendere?" - domandò, senza giri di parole.

Lo sapeva.

E di questo, spike, fu realmente sorpreso.

Dove finivano le capacità di quella ragazza e dove cominciava l'inspiegabile? E se le due cose fossero coincise?

"se lo sapevi…" - domandò, accennando il suo sorriso più seducente - "Perché mi hai dato corda?"

Kate rispose con un'alzata di spalle, senza rinunciare alla sua posizione di difesa.

"Volevo vedere fin dove ti spingevi. Sei un tipo interessante." - commentò, stringata. Senza aspettare, ad andare nuovamente al sodo - "Allora, Spike, finiti i convenevoli, mi vuoi dire cosa vuoi?"

"Io niente. E tu?" - sorrise. Parlare con quella ragazza era come giocare una partita in cui la prontezza di riflessi era tutto.

"Non sono io quella che è salita su una macchina non mia."

"io ho chiesto il permesso. E tu me l'hai concesso. Potevi negarmelo, ma non l'hai fatto."

"La macchina è come la casa?" - lo provocò lei - "senza invito non puoi entrare?"

"Vedo che sei ferrata sull'argomento. Comunque no, l'auto non è contemplata nelle proibizioni. Potevo entrare con la forza. Ma si da' il caso che io sia un gentiluomo d'altri tempi."

"Altri tempi quanto remoti?"

"se ti dico la mia età, voglio sapere la tua."

"Allora sarà meglio che rispolveri il galateo. Non si chiede l'età ad una signora. E questa, mio caro gentiluomo, è una regola di dominio pubblico anche nei rudi corpi di polizia."

"Benissimo." - concluse spike. Con la certezza di avere l'ultima parola - "E questi erano realmente convenevoli. Adesso parliamo di cose serie. Angel ti ha detto del morso, vero?"

Kate lo fissò, restando a bocca a aperta. Quel ragazzo era un serpente! Era assolutamente incapace di essere discreto.

"Non sono cose che ti riguardano."

"No? Io credo proprio di sì."

"E perché? Perché ho una ricetrasmittente tatuata sul collo?" - replicò Kate, mostrandogli i denti. E rendendosi conto che arrabbiarsi con spike era più soddisfacente che con Angel. Era liberatorio.

"Bello sfogarsi, vero?" - le chiese.

Con un'occhiata che le provocò un'ondata di panico. Le leggeva dentro!

E d'istinto, coprì con una mano il morso.

"Oh, ti prego!" - rise lui - "Queste sono le mie capacità personali, non hanno a che fare con la tua 'ricetrasmittente'. Il morso mi permette solo, con un po' di buona volontà, di sapere dove ti trovi, se sei abbastanza vicina…"

"Perfetto. Tutti i vampiri sanno dove mi trovo."

"Perdonami. È inesatto." - spike scosse un dito in segno di negazione - "Per i vampiri, in generale, è una segnalazione. Può metterti in pericolo, così come può far intendere che sei protetta da uno di noi. Poi, per una ristretta cerchia legata ad Angel..."

"Si, lo so, anche lui ha detto qualcosa del genere." - non riusciva a pronunciare il suo nome. Sentiva una morsa alla bocca dello stomaco, solo a pensarlo… - "qualcosa sul fatto che chi è legato a lui…"

si interruppe. E lo guardò, mentre suoi occhi trasparenti divenivano due fessure.

"Tu sei legato a lui." - l'accusò.

E spike sbarrò gli occhi.

"E dovrebbe essere un'offesa?" - replicò. Ricordando che, per una vita, aveva specificato il suo legame con angelus. E non con l'inetto e smidollato Angel.

Buffi voltafaccia della vita.

"Rispondi alla domanda."

E spike, platealmente a malincuore, lo ammise.

"Ebbene sì. Sono legato ad angel. Lui è il mio Sire. Sai cosa significa?"

"Che sei come Penn?" - che sei ciò che darla era per lui?

"Ti prego… non paragonare l'oro alla spazzatura!" - Spike la fissò, seccato - "Questa sì che è un'offesa! comunque per sire si intende…"

"Lo so benissimo. Sire è colui che ti vampirizza." - lo interruppe lei, con impazienza - "E non essere saccente con me."

"Saccente io! Sapiente. Io sono sapiente. Non puoi saperne più di me su questo argomento… io ho l'esperienza sul campo…"

Qualunque cosa dicesse continuava ad essere irritante e simpatico allo stesso tempo. E non si sorprese, ad un tratto, battuta su battuta, a scuotere la testa rassegnata e sorridente.

"Eccolo, finalmente." - sospirò soddisfatto lui, stiracchiandosi, con le braccia dietro la testa - "Volevo questo sorriso da parecchio…"

 

"Spike…. Posso farti una domanda?"

"Se conosco la risposta…"

"Angel è il mio sire? Io sono… subordinata a lui?"

Era riluttante, a porre quella domanda. Ma non poteva fare a meno di una risposta.

Voleva sentire la scure calarle sul capo.

 

E Spike, per un istante, fu tentato di farlo. Di dirle che era tutto vero. Che tutto il peggio che poteva pensare dei vampiri e dei loro barbari rituali era esatto.

Dirle ogni perversione. A lasciarla andare via, per sempre, lontano. Lontano da quel gioco inutile che lei ed Angel giocavano contro loro stessi.

Lontano da tutto, fino a quando anche quel segno sul collo non fosse diventato che uno sbiadito ricordo.

 

"Perché sarebbe tremendo, vero?" - ribattè Spike.

"E' così, allora?" - chiese ancora Kate, guardandolo. E attendendo.

Dando a Spike la consapevolezza di quanto i suoi occhi fossero profondamente limpidi e, allo stesso tempo, oscuri.

"No." - replicò. in un soffio, e dopo un attimo di silenzio durato un'eternità. - "Il morso non fa di lui il tuo sire. Non c'è il suo sangue, in te. C'è solo un segno… un segno di unione…"

Protese la mano, con quei gesti ipnotici che Drusilla gli aveva dolcemente insegnato. Sussurrando le parole come fossero liquide e giocando un po', con la preda. Fino a sfiorare il morso. Fino a porvi il palmo aperto contro.

Quando la mano di Spike aperta le strinse il collo, Kate pensò che avrebbe dovuto averne paura. Avere paura dei suoi occhi grigi e dei suoi movimenti. Paura della linea dura delle sue labbra e delle parole che sapeva dire.

Ma non ne ebbe tempo. Dalla mano sinistra di Spike, contro la sua cicatrice, scaturì come una fiammata, che la percorse interamente. In modo preciso.

Lasciandola senza fiato.

Lasciandola senza il tempo di vedere Spike dissimulare la sorpresa.

 

Nell'attimo in cui quel calore inspiegabile lo invase, fu tentato di levare la mano di scatto, rispondendo allo sbalordimento di quello che stava accadendo.

Ma si impose di stare calmo, di riflettere.

E di darsi la risposta che non avrebbe mai trovato, se non fosse per quella sua dannata abitudine di giocare al gatto col topo.

La soluzione dell'indovinello lo appagò e gli diede la consapevolezza di dover dare una risposta soddisfacente anche a lei.

 

Rimase immobile. La mano posata sulla ferita.

"Mi ascolti ancora, Kate?" - azzardò, aspettando un cenno.

"Sì." - spike la guardava come se nulla fosse successo. Come se semplicemente lo seccasse quel suo apparente estraniarsi. Perché… incomprensibile…

Spike non aveva sentito nulla. E lei era solo una visionaria… una sciocca... visionaria…

"Vedi, Kate…" - Spike accennò l'ombra di un sorriso - "Cosa è un morso, Kate, dopotutto, se non un violento bacio? Non è l'incontrarsi di due corpi? l'unirsi di due battiti troppo veloci, di due solitudini…"

"E' solo questo. non c'è nulla. Non è un marchio a fuoco. E di certo non sei un capo di bestiame." - scherzò. Mentre Kate tornava a scoccargli un'occhiata ostile molto loquace - "Sei un bell'esemplare, questo è certo… ma io, fossi in te, inizierei a pensare che hai una cosa di Angel… non che sei una cosa di Angel."

Lentamente levò una mano. E Kate ebbe l'impressione di riuscire a respirare più liberamente. Ma forse era un effetto delle parole, più della fine di quel contatto.

"Soddisfatta?" - mormorò, ancora.

"Non so. Non riesco ad accettarlo." - Kate scosse la testa, lasciando che i capelli le ricadessero sulle spalle, mentre chinava lo sguardo verso le mani. Se le stringeva, come per fermare il sangue. Il sangue che le scorreva troppo veloce, in corpo, impossibile non soffrirne.

E vicino a lei, seduto nella sua macchina, stava un estraneo che le parlava come se la conoscesse da sempre.

Come se sapesse dove stava andando.

"Lo accetterai. È destino." - mormorò, pensando a quello che doyle aveva detto. Si scelgono le azioni… ma non i ruoli.

"Non credo nel destino…" - commentò, con amarezza. Le stesse parole di Angel… no, si sbagliava. Le parole che lei aveva posto sulle labbra di Angel, aggredendolo. E ferendolo.

"Probabilmente fai bene. Nemmeno io credo al destino." - replicò, candidamente - "E' più facile vivere,se pensi di non aver un obbiettivo da raggiungere, o delle aspettative da soddisfare… ma il destino è un buon giocatore di poker. Sa bluffare al momento opportuno…"

Kate si voltò, per guardarlo. Ma adesso era lui ad ignorarla. Tamburellava sulla lamiera e fissava lontano, un punto. Un punto da cui stava svoltando una lunga figura bruna.

"Ha fatto in fretta a calmarsi." - mormorò, guardando Angel percorrere il marciapiede, a passo regolare.

"Sarà stato il destino…" - commentò lei, pungente. Quel tanto che bastava per vergognarsi, sotto l'occhiata gelida di Spike.

"Brava…" - rispose l'altro - "Così ti voglio.. dura e ingiusta."

"perchè non è ingiusto il vostro continuo sbattermi sulla faccia verità che non posso accettare! Il suo tormentarmi, il tuo sfottermi… il morso e tutto quello che comporta! Darla, mio padre, il mio lavoro e le mie certezze! Non è ingiusto tutto questo?"

"Certo che lo è." - ribattè Spike, indurendo lo sguardo - "Ma è sempre così. e non credevo che tu fossi tipo da lamentarti. Né tantomeno, non mi sembri il tipo che chiude gli occhi e preferisce non vedere."

"Cosa ne sai, tu, di me!"

non le rispose. Alzò lo sguardo e vide Angel passare a fianco della macchina. Ed entrare dal cancello, senza vederli.

Fingendo di non vederli.

E fingendo di non sentire il tono furioso di Kate.

Dopotutto sarebbe stato più facile non sapere niente di lei. E ignorarla.

"Sarà meglio che vada…" - mormorò, afferrando la maniglia e aprendo la portiera.

Ritrovandosi già fuori dalla macchina, quando una mano lo afferrò per la spalla, fermandolo.

"Aspetta." - Kate si protese verso di lui. Ed il suo profumo lo colpì, intensamente, come l'aroma di Angel che ancora le persisteva sulle labbra e sul viso.

Un contatto fugace ed ormai quasi svanito. Ma un contatto che sapeva di amore e delle parole non dette.

"Dimmi, Kate." - disse, in risposta a quel gesto. Con un sorrisetto negli occhi e sulle labbra - "Non eri stufa delle mie verità e delle mie prese in giro?"

Kate lo guardò, senza dirgli nulla. Si specchiò nei suoi occhi grigi e rimase persa, nelle cose che non sapeva chiedere, nel non sapere fin dove poteva spingersi.

E nell'incontrare quegli occhi d'acquamarina, spike si sentì invadere da quella che doveva essere l'angoscia di lei. La sua paura, la sua incapacità a farsi capire, il suo dolore nato dalla solitudine.

In lei muoveva un mondo fantastico a lungo represso. Kate era cresciuta troppo in fretta, nella sua vita. Aveva percorso una strada senza risparmiarsi la violenza, senza cercare appigli.

E cercando di rifiutare le domande che non aveva mai smesso di porsi, sottostando a regole ferree di disciplina, come se potessero rassicurarla. E fermare finalmente il suo vagare.

Le regole… Kate rifiutava le regole del loro gioco. Ed era giusto. Era umana, ai margini del mondo umano, ad un passo dal sentirsi parte di quello dei demoni e dei loro rituali.

Come se potesse essere l'ultima grande accusa del suo essere... diversa.

E spike leggeva tutto questo e ricambiava, con il suo sguardo azzurro e dannatamente limpido.

Senza comunicarle nulla, con le parole ed i gesti, ma solo con gli occhi.

Fino a decidersi, finalmente, a risalire, chiudendo di nuovo la portiera.

"Va bene, Kate, spiegami tutto."

 

Non gli disse poi molto. Erano più silenzi che altro.

Nel momento in cui aveva visto Spike arrendersi e restare, si era pesantemente appoggiata allo schienale, cercando di sciogliere la tensione delle spalle.

Non sapeva spiegarsi perché avesse voluto trattenerlo. Dopotutto, sarebbe potuto andare a parlare con Angel, magari avrebbe sistemato quel disastro che Kate sapeva di aver combinato.

Ed aveva mormorato qualcosa, sull'argomento. Ma non era nella sua indole credere veramente che un tramite potesse più di lei.

Nella vita aveva imparato a fare da sola ciò che andava fatto. A credere che, se non avesse pensato lei a se stessa, non l'avrebbe fatto nessun'altro.

E meno degli altri, un'inaffidabile vampiro platinato.

Ma Spike non aveva replicato. L'aveva guardata, mentre si ravviava nervosamente i capelli e allungava le mani per stringere il volante, come se resistesse a stento, al desiderio di andarsene.

L'aveva sentita imprecare, per quella strana situazione in cui si era cacciata, e per la sua impossibilità ad uscirne.

Ed aveva lasciato che continuasse così, a sfogarsi, pensando di parlare da sola.

 

Ed alla fine…

 

Kate abbandonò le mani sulle ginocchia e tirò un respiro. Non si sentiva meglio, si sentiva solo stanca.

Buttò fuggevolmente un'occhiata all'orologio, sul cruscotto, e si stupì di quanto il tempo fosse trascorso lento, da quando aveva varcato il cancello dell'Hyperion.

Volente o nolente, presto sarebbe stata richiamata dai suoi doveri, al suo distretto ed alle sue indagini.

Tirò un altro respiro, rassegnata. E si voltò, a fissare Spike.

Aveva atteso pazientemente, appoggiandosi con la guancia alla mano. E guardandola, alle prese con il suo show personale di recriminazioni.

E fu in quel momento, nello scambiarsi un'occhiata reciproca, che si accorse del paradossale.

Seduta in macchina con uno sconosciuto, con un demone dalla atteggiamento sarcastico. Esibizionista quanto bello, dalla lingua graffiante.

Ma uno sconosciuto. Uno che nulla sapeva di lei, nella misura in cui Kate ignorava tutto di lui.

Eppure, averlo vicino, era come una scossa elettrica…

"Perché, secondo te, ho fatto una cavolata del genere?" - domandò, fissandolo.

Aspettandosi tutto, tranne l'espressione di serafica intesa.

"Perché mi hai trattenuto? È una bella domanda." - rispose - "Ma non me ne stupisco. Può darsi che tu non sappia resistere al mio fascino.. oppure che tu non riesca a capire perché, a starmi vicino ti si raddrizzino tutti i peli sul corpo."

"Io non…" - cominciò lei, subito combattiva.

"Andiamo Kate, non fare anche tu la tonta! Sai bene a cosa mi riferisco. " - Spike le gettò un'occhiata storta - "tu hai un legame con me tramite Angel. Hai voglia di parlarmi e sai di poterti fidare perché il tuo istinto ti dice che puoi farlo. Quel morso non ti ha cambiata. Ma tu, tramite quello, puoi sentirmi.. e soprattutto sentire Angel."

"Cosa?" - mormorò Kate, aggrottando le sopracciglia. La spiegazione di Spike era plausibile, quasi scientificamente accettabile. Ma adesso erano le implicazioni a farle paura. Essere percepita dai vampiri.. ed ora, come un boomerang pronto a tornare indietro… percepire i vampiri…

"Angel avrebbe dovuto essere diretto. E spiegartelo subito, invece di perdersi nei preamboli e farti imbestialire" - tagliò corto Spike - "ma, si sa, è un tipo diplomatico. Tu puoi sentirlo, con quel morso? Avrebbe dovuto chiederti solo questo. È la risposta sarebbe stata sì, vero Kate?"

Kate lo fissò. E la rabbia di essere in trappola le attraversò lo sguardo. Spegnendosi di colpo, nel ricordare, nel ricordare la pelle che si ghiacciava ed i brividi improvvisi. L'agitazione ed il pensiero, il suo viso prepotentemente nella mente.

"è sì la risposta, Kate?" - insistette.

Aspettando, fino a vederla annuire, riluttante.

"Angel non può sentirti. Per lui l'importanza di quel segno sta nell'esserne l'artefice." - spiegò, lento - "Non può usufruirne in nessun modo. Un vampiro antico, o legato a lui, potrebbe trarne maggiore consapevolezza. Ma Angel non ti ha preso nulla.. se mai ti ha donato qualcosa…"

Kate lo fissava. Ed ora sembrava meno confusa. Era pronta, pronta ad assimilare quel concetto, a trarne debite conclusioni.

E a riprendersi, come solo lei sapeva fare. Come se nuova forza le sgorgasse dall'interno, per alzare risoluta lo sguardo ed affrontarlo.

Di nuovo una sfida.

"E tu? Devo arguire che tu l'abbia usato tutta la sera, per essere tanto comprensivo?" - ringhiò.

"Comprensivo io?" - Spike spalancò gli occhi il più possibile, per aderire perfettamente all'immagine di innocente ingiustamente accusato - "Ma io non sono comprensivo per niente. Sono solo uno che non ha bisogno di mentire, visto che ho le risposte! E quel segno dei canini di Angel non mi serve poi molto…"

E visto che Kate lo guardava torva…

"Posso sentirti se sei vicina." - aggiunse, con aria di sopportazione - "E, a quanto pare, sono vagamente sensibile ai tuoi sbalzi d'umore."

"A quanto pare?" - ripetè lei, con tono inquisitorio.

"Ascoltami bene, sbirro. Non mi piacciono gli interrogatori. Dico quello che mi pare quando mi pare. Fine della storia. Hai convissuto finora con quel segno e non ti è successo nulla. Non farne un caso…"

"Prima c'era un'insufficienza di prove." - replicò lei, prontamente.

"E adesso c'è un esubero di informazioni. Per cui piantala di lamentarti." - ribattè. Per poi restare un attimo in silenzio. Prima di riprendere - "eppure sono quasi certo che non tornerai tanto presto…"

 

Adesso le sembrava di scorgere una vena di preoccupazione, nel suo sguardo. Una scintilla, dissimulata e diluita dal sarcasmo con cui si esprimeva.

E Kate, per la prima volta da molto tempo, seppe che stava parlando con una persona a cui poteva realmente importare. Qualcuno che aveva voglia di aiutarla, di appoggiarla. Di darle le risposte.

Qualcuno che era.. che poteva essere… un amico.

 

E la sua bellicosità svanì.

 

Non era fatta di ghiaccio perenne. Adesso, sotto i suoi occhi, Spike poteva vedere quasi l'ammorbidirsi delle sue spigolosità, in un fuggevole palpitio.

E capì che era quella la Kate che Angel vedeva da sempre. E amava. La Kate che non era pronta a un amore tanto grande. E che era capace di donarsi, improvvisamente e totalmente, con un fiore che si apre per una singola notte.

Ora Kate lo guardava con occhi diversi.

E Spike riusciva a fissarli, senza scorgere mai una fine per la loro profondità.

 

"No." - scosse il capo - "Non tornerò presto. Ho bisogno di tempo. Ma tornerò, spike. Tornerò da Angel. Posso… poso farcela."

E Spike annuì.

"Sarà così, Kate. Non dubitarne." - rispose, posando la mano su quella di lei. In una stretta leggera quanto importante.

"Ehi! Che fai!" - Kate sbarrò gli occhi, mentre Spike le voltava la mano e, con l'altra frugava nel cruscotto.

"Per essere certo che le cose vadano come devono…" - spiegò petulante il vampiro, impugnando una penna - "evita quei momenti di avvilimento del tipo 'sono sola e incompresa'. E se proprio non puoi farne a meno…"

Era assolutamente sbalordita. Spike le stava scrivendo un numero di telefono su un polso. Come un liceale che chiede un appuntamento, come un bullo da bar. Era una cosa inammissibile! Ma così tenera…

"Potevi mordermi, mi sarei certamente ricordata di te." - rispose, quando con aria trionfante, fece schioccare la penna per chiuderla.

E spike sbarrò gli occhi, davanti a quell'ultima graffiante provocazione. Prima di scoppiare a ridere, sorpreso e deliziato allo stesso tempo.

Guardandola, ammirando quel progressivo inarcarsi della sua bocca in uno stesso eccesso di ilarità.

"Bhe, adesso sarà meglio che vada." - concluse Spike, quando sembrarono essersi calmati entrambi.

"Aspetta."

"Ancora? Kate, prima o poi al sole verrà in mente di sorgere… posso scendere, per piacere?" - la tormentò.

"Oh, taci, un secondo." - sospirò lei, sfilandogli la penna dalle mani. E poi fermandosi, con un'esitazione - "Si può scrivere sui vampiri?"

E Spike, già per metà fuori dalla macchina, le buttò un'occhiata irriverente, prima di porgere un braccio.

"Tanto vale che provi…"

 

 

VI

Aspettò che avesse messo in moto e si fosse avviata per la strada. Partendo gli aveva fatto un cenno di saluto. Nel guardarlo, con un mezzo di sorriso di accondiscendenza, gli occhi le si erano illuminati, come pietre dure e sfaccettate, dandogli nuovamente l'impressione che avesse orbite vuote e fredde.

Quella ragazza…. Quella ragazza era semplicemente da amare.

E, sorprendentemente, soffermandosi proprio su questa riflessione, Spike aveva provato una punta di dispiacere nel non essere il vampiro a cui Kate prestava tanta attenzione.

 

Un breve cenno.

Non sapeva nemmeno perché si fosse comportata in quel modo. Un cenno, mettendo in moto. Come se fosse un accordo segreto, per vedersi, per uscire…

Ancora una volta le sembrò di essere tornata alle superiori, ad un breve periodo do felicità, con amici e emozioni adolescenziali.

Un cenno, la certezza di vedersi inderogabilmente il giorno dopo… ma come era possibile che un vampiro che le risvegliasse questa complicità? Cosa c'era in quel teppista biondo agli antipodi delle sue certezze che potesse essere realmente importante nella sua vita?

Non esagerare, Kate, si ammonì. Dopotutto era solo un cenno di saluto…

 

Cenno che Spike aveva ricambiato, prima di addentrarsi tra le ombre del piccolo incolto giardino tropicale. E in quel mentre, quasi giunto alla porta di ingresso, sentì passi alle sue spalle.

Cordelia.

Si fermò, riflettendo. Ma quando era uscita? Si era chiusa in camera, già prima che arrivasse Kate.

E Doyle? Non era sceso a parlarle?

Perché era sola?

Oh, dannazione, non poteva inventarsi le risposte…

"Gattina!" - esclamò, aspettandola - "Ma da dove spunti?"

"Ho fatto due passi. E Tu?"

Aveva un tono stanco. E vagamente spento.

Gli passò a fianco, mormorando un breve grazie, quando il vampiro le aprì rispettosamente la porta di ingresso.

 

Nella sala che si affacciava sull'ingresso, abbandonato sul divano come un vecchio straccio, dormiva Doyle con un braccio allungato, ed una mano quasi a sfiorare il pavimento.

Cordelia si fermò, con un lento giro su se stessa.

Tutto era tornato a posto. Non restava nulla di quel rinnovo lasciato a metà qualcuno aveva pazientemente riportato i mobili nei posti giusti e poi riavvitato le lampadine nelle appliques.

Eppure Cordelia non fece commenti. E spike, fermo poco lontano, la vide riprendere a muoversi.

"Buonanotte." - mormorò, prima di chiudersi la porta della camera alle spalle.

Fu tentato di seguirla. Ma quella porta chiusa era un chiaro segno di desiderio di solitudine. Gli restava solo da sperare che, come accade talvolta, la notte, o almeno quel che ne restava, portasse via gli ultimi malumori.

E che domani, all'ora di colazione, Cordelia fosse nuovamente la loro luminosa Cordelia.

Si avviò su dalle scale. E quando fu a metà rampa, girò su se stesso, e tornò indietro. Discese e svoltò, passando sotto l'arco. Avvicinandosi e sedendosi, sulla poltrona, poco lontano dal divano.

"Mi spiace." - mormorò - "Ti ho svegliato?"

"Non importa." - sbadigliò Doyle, strofinandosi la faccia. Stava seduto al centro del divano, con un certo aspetto arruffato - "Sai se Principessa è rientrata?"

La sua priorità. Non era ancora sveglio, ma già chiedeva di lei.

"Da un paio di minuti." - rispose. E, dopo una serata passata a cercare di appianare le difficoltà romantiche di Angel, non se la sentì di ficcare il naso in quelle di Doyle. Buttò un'occhiata in giro, ammirando il fatto che quella grande stanza non sembrasse più Beirut - "Però… ti sei dato da fare…"

Doyle soffocò un altro sbadiglio e controllò l'ora.

"Mmm… mi sono solo appisolato. Ho perso la cognizione del tempo. Dove sei stato?" - chiese, per snebbiarsi i pensieri.

"Qui fuori, a parlare con Kate."

"Già. Adesso che ci penso, angel mi ha detto che eri con lei.."

"Gli hai parlato?" _ Spike si sporse, piegando le ginocchia e gettando un'occhiata al numero segnato sul polso. Sapeva che non l'avrebbe usato, almeno per il momento. Ma voleva essere certo che non si cancellasse, prima di rivelarsi basilare.

"Non molto." - adesso si strofinava i capelli, fino a farli sembrare un pagliericcio scuro - "Non penso fosse in vena. E fossi in te lo lascerei stare per un po'."

"Non avevo bisogno di sentirmelo dire." - rispose, distrattamente. Il fissare il numero gli aveva portato alla mente un'altra cosa…

"Credo che andrò a dormire nel mio letto." - sospirò il demone, alzandosi.

"Doyle, scusa. Potresti fermarti ancora un secondo?" - domandò, continuando a fissarsi la mano - "Dovrei parlarti di una cosa."

Non ne aveva realmente voglia. Da qualche parte, dietro una porta certamente chiusa, doveva esserci Cordelia. La sua piccola Cordy, con una macchia a turbare la sua serenità.

Qualcosa di ben peggiore di un pavimento sporco, di un conto sbagliato e di un'Apocalisse.

Qualcosa capace di spegnerle il sorriso.

Eppure, pur sapendolo, si risedette.

E guardò spike. E la sua espressione troppo concentrata.

"Agenzia Cuori spezzati Doyle al suo servizio…" - mormorò, massaggiandosi una tempia. E chiudendo gli occhi, per riordinare i pensieri e le massime da rifilargli.

"Lascia perdere i cuori spezzati." - replicò Spike - "Cosa sai del morso di Kate?"

"Il morso di chi?" - domandò, aggrottando la fronte senza riaprire gli occhi.

"Di Kate. sai di cosa sto parlando?"

"Ma sì, lo so." - sospirò Doyle. Non ne sapeva abbastanza ma tanto quanto bastava - "Angel l'ha assaggiata e si vergogna abbastanza. E allora?"

"E' un segno attivo, non passivo."

Era un'informazione rilevante. Doyle aprì gli occhi e lo fissò, improvvisamente sveglio.

"Va' avanti."

Di risposta, spike girò la mano nella sua direzione, mettendo in bella vista la cicatrice che aveva sul palmo. La cicatrice attiva, l'unico misterioso segno del suo legame telepatico con Angel. Fondato ma inspiegabile.

"Ho toccato la cicatrice di Kate con questa mano." - Spiegò - "Ed è stato come essere attraversati da una lama gelida. Non me lo sono inventato, questo è certo. Credo fosse energia ed anche in quantità massiccia. Così me ne sono accorto."

Un segno attivo… se spike aveva ragione, quel morso assumeva di colpo un'importanza che nessuno gli aveva realmente attribuito. Non era solo un segno di desiderio e di amore. Non era solo una denuncia di possesso. Era qualcosa che addentrava Kate nel loro mondo oscuro.

Era qualcosa che legava Kate al demone di Angel.

Mio dio… Kate nelle tenebre…

"Angel lo sa?" - mormorò, pensieroso.

"No. ne soffrirebbe." - rispose Spike, passandosi un dito sulla cicatrice. Cercando ancora un residuo di quella sensazione - "Penso si limiterebbe a pensare come l'ha rovinata, condannata, sporcata ed altre cavolate connesse. Quello che mi interesserebbe sapere è… perché. Solo perchè. Perché il morso di Kate è un veicolo magico?"

Veicolo magico… questa doveva averla imparata da Wes…

Doyle continuò pensosamente a tormentarsi un ciuffo di capelli. Per quanto si sforzasse, non aveva risposta né dall'Alto né dal buonsenso.

E questo poteva significare solo due cose.

O Spike aveva preso un abbaglio.

O si era imbattuto in qualcosa di talmente grosso…

"Bhe?"

"Spike, con tutta la buona volontà, non so cosa dirti." - ammise, guardandolo. E smettendo una buona volta di tormentarsi la capigliatura - "E non solo per il fatto che non ho nessuna voglia di stare qui a parlare con te e perché mi sono appena svegliato. Non so cosa dirti perché non ne so nulla."

"Nulla?" - Spike lo guardò, puntando un dito verso il cielo - "Neanche i tuoi informatori altolocati?"

"Nemmeno loro." - Doyle scosse la testa. Domandandosi se il suo cervello stesse sbattacchiando a destra e manca dentro la testa - "Ma per chi mi hai preso. Non sono il centro informazioni del mondo demoniaco…"

"Va bene. Ricevuto il messaggio." - commentò Spike, alzandosi - "E visto che non hai messaggi particolari da riferirmi, puoi almeno rifilarmi una delle tue frasi storiche?"

Doyle si tirò un'altra volta i lineamenti, prima di alzare lo sguardo per fissare quel vampiro pieno di quesiti che incombeva su di lui.

"Una sola." - indicò - "Una sola frase storica. Vattene a dormire e non ti preoccupare. Perché, in questa storia, abbiamo un'unica grande certezza."

"E sarebbe?"

"Sarebbe che, ringraziando il cielo, periodicamente le donne di Angel prendono in mano la situazione. Ed io non dubito che, quando Kate vorrà veramente una risposta, andrà a cercarsela e se la prenderà con la forza."

 

E detto questo tese una mano, perché l'altro l'aiutasse ad alzarsi.

Spike non se lo fece ripetere. Cambiando la sigaretta di mano, gli diede lo strattone necessario per metterlo in piedi.

E quando furono faccia a faccia, l'ultima domanda gli arrivò sulle labbra.

"E per il cuore di Angel… come la mettiamo?"

Eccolo lì. Il grande Spike alle prese con un'altra grande crociata. Tutta la bellicosità nello sguardo e una preoccupazione in ogni riflesso.

Per un attimo, a Doyle sembrò di vedersi riflesso, in quegli occhi. Per un attimo si sentì vicino a quel ragazzo come mai si era sentito, come se la preoccupazione per le stesse persone li unisse indissolubilmente.

Avrebbe voluto dirglielo.

Ma non lo fece.

E si limitò a scuotere appena il capo, mascherandosi dietro un sorriso stanco.

"Vedi, William." - sospirò, posandogli una mano sulla spalla e non curandosi di giustificare quell'abuso di nome - "Il cuore di Angel è pieno di cicatrici. Non avremo mai modo di evitare che se lo trafigga da solo, o che qualcun altro lo faccia soffrire.

 

Per quanto mi spiaccia, dobbiamo lasciare le cose come stanno."

Spike lo squadrò e, per una di quelle rare volte in vita sua, stette zitto.

 

"Principessa?" - Doyle si affacciò dalla porta.

Aveva più volte bussato, sommessamente. C'era luce che filtrava, da sotto la porta. Cordy era sveglia… ma non rispondeva.

"Principessa? Disturbo?" - ripetè, entrando e appoggiandosi alla porta, per chiuderla. Si sentiva a disagio.

Era la sua stanza, gli abiti lasciati in giro esprimevano al meglio quel possesso. Eppure, in quegli attimi, gli sembrava di avere invaso l'angolo di un altro.

"Cordy?" - chiamò sommesso. La stanza era in penombra, illuminata più dalla luce del bagno che dalla piccola abat-jour del comodino.

E, in quel silenzio imbarazzante, risuonava lo scorrere dell'acqua.

"Cordy?" - chiamò ancora, avanzando verso la porta. E aprendola, lentamente.

Cordelia sedeva sul bordo della vasca. Era avvolta nell'accappatoio di Doyle ed il suo asciugamano era ancora meticolosamente appeso all'attaccapanni.

Portava i capelli sciolti sulle spalle e giocherellava pensosamente, sfiorando appena l'acqua con le dita.

Rimase sulla porta, a contemplarla, un attimo.

Anche adesso, avvolta come un fagotto e dimentica dell'apparenza, Cordelia brillava di quella luce che doyle si portava dentro, giorno dopo giorno, dal momento in cui l'aveva vista, la prima volta.

"Sei così bella…" - sussurrò, restando accanto allo stipite, appoggiato.

Fu allora che Cordy si rese conto di non essere sola. Si voltò e lo guardò. Colpendolo, con quell'espressione triste e pensierosa.

"Non ti avevo sentito…" - disse, guardandolo. E fu dopo un attimo che si riscosse del tutto.

Si alzò, chiudendo il rubinetto dell'acqua e stringendosi un po' di più la vecchia cintura consunta in vita.

"Perdonami… ho preso il tuo accappatoio perché avevo freddo." - aggiunse. Cingendosi con le braccia.

Doyle si mosse, venendole incontro. E abbracciandola piano. Sentendo le sue mani posarsi sul petto, mentre ne incontrava lo sguardo.

"Non mentirmi, Cordy, ti prego." - sussurrò, con lo sguardo pieno di una pena infinita - "Non mi importa se usi il mio accappatoio… ma non posso sopportare che tu ti avvolga nei miei vestiti perché ti senti abbandonata."

Lo fissava, senza rispondergli.

"Non dubitare così, di me." - continuò, temendo che la gola gli si serrasse irrimediabilmente, mentre le scivolava tra i capelli con le mani - "Io posso esserci sempre, io voglio esserci… sempre. Non ti serve un vecchio accappatoio per sentirmi a fianco a te…"

Aveva voglia di piangere. La tristezza silenziosa di Cordy lo sommergeva, mentre lei dolcemente gli posava la guancia sulla spalla, chinando la testa.

Perdendosi nelle sue parole, e nel riflesso dell'acqua racchiusa nella vasca.

Restando così, lasciando che le ravviasse i capelli con le mani, senza aggiungere una parola a quelle semplici che sapeva sussurrare.

Fatte di un amore che le sembrava di non poter sostenere, di un amore che, forse, non meritava del tutto.

 

Si riscosse, sciogliendo l'abbraccio e voltandosi, perché non vedesse la lacrima.

"Non ti preoccupare." - rispose,con voce appena soffocata, strofinandosi il viso nella manica di spugna - "Ho solo avuto una giornata faticosa. Capita a tutti…"

Stava mentendo, di nuovo.

Adesso non osava più voltarsi.

Per la prima volta, stava mentendo a doyle. E non poteva fissarlo in viso e sapere che quello sguardo terso non era più parte di un sorriso.

Rimase ferma. Congelata dal suo sbaglio. E scaldata, da un abbraccio, dalle due braccia che la cinsero, da dietro.

La bocca di Doyle le si era posata su una spalla. Quasi poteva percepire la linea che le labbra di lui segnavano sulla superficie morbida e sottile dell'accappatoio.

I loro corpi, aderendo uno all'altro, sembravano fondersi in un unico fascio di calore. Il cuore di Doyle batteva forsennatamente. Cordy lo sentiva, come una percussione, al centro della schiena.

Ma Doyle non parlava.

In silenzio le comunicava tutto, tutto ciò di cui poteva essere capace. Le dava amore, conforto, certezze.

E non gli importava di essere stato appena ripagato con la menzogna.

La stringeva, possessivamente, cercando di ignorare la paura di perderla, quella paura che lo stritolava, quando la vedeva correre e polverizzare vampiri.

Quando la vedeva ad un passo dall'essere sopraffatta da demoni e malvagità di ogni genere.

La paura che ora lo frastornava, per quel pericolo che non riusciva a vedere. Per quel muro che tra loro cresceva, collocandosi al centro del cuore di Cordelia.

"Non mi vuoi dire cosa ti succede?" - mormorò, ancora.

Non si sarebbe arreso facilmente. Avrebbe dato il mondo, per lei.

La vita, il mondo… tutto ciò che aveva già dato… e tutto ciò che avrebbe mai posseduto.

La sentì sospirare, e abbandonarsi un po' di più. Inarcando la testa indietro, fino ad posargli la fronte sul collo.

"Perdonami, Doyle." - sussurrò - "Certe volte sono proprio una sciocca."

"Non fa niente." - rispose lui, mentre i loro corpi si intrecciavano. Stringeva Cordelia per la vita e viveva di quel respiro caldo che gli colpiva la pelle. Non c'era nulla, all'infuori di questo che potesse avere importanza - "Non fa niente, sul serio. Vorrei solo…"

Si interruppe. Di colpo, di fronte agli occhi ebbe di nuovo il viso di Angel. Così come lo aveva visto, mentre varcava le porte dell'Hyperion.

 

Si era fermato, a cavallo dell'arco. E doyle aveva alzato appena la testa, per guardarlo.

Per leggere negli occhi il tumulto che ben conosceva.

Il dolore che anneriva le sue iridi, scolpendogli i lineamenti.

Lineamenti duri.

Che neanche quella singola lacrima, scendendo, sembrava addolcire.

 

"Vorrei solo che in amore fosse sempre tutto semplice. Che bastasse stringersi e guardarsi in viso, per sapere che andrà tutto bene.

Vorrei non ci fossero addii, non ci fosse paura e non ci fossero mai parole di troppo, fatte per ferire.

Basterebbe così poco… basterebbe così poco ad essere felici, allora…."

Gli erano semplicemente sfuggite dalle labbra, quasi simili ad un singhiozzo, ad un sospiro.

Con le labbra era tornato ad accarezzare quella vecchia stoffa consunta, scoprendola impregnata ormai del profumo di Cordelia, non più del suo datato dopobarba.

Scoprendosi impregnato di lei, fino all'ultima cellula.

"Oh, Principessa.. questa volta non ci basta questo amore, vero?"

la sentì scivolargli via dalle braccia, senza dolore.

E la vide sedersi nuovamente sul bordo della vasca, inconsciamente nella stessa posizione in cui l'aveva trovata.

Come se, poco a poco, non potessero che tornare sempre sui loro passi.

"tempo proprio di no." - sospirò lei, sorprendendosi per l'acqua ancora bollente del suo bagno.

Temo che sia il caso opposto, doyle.

Questa volta il problema è il troppo amore.

Stava tornando a chiudersi. E Doyle si ribellava all'idea.

"E'.. è per tuo padre?" - azzardò, infilandosi le mani in tasca. E sentendosi spregevole a tentarla con una domanda di cui già sapeva la risposta negativa - "se è per tuo padre, o per l'avvocato, possiamo farcela. Io ho dei risparmi, non molto ma qualcosa c'è… e possiamo trovare…"

e fu allora che lei rise.

Una risata leggera, un po' spenta.

Poco più di un sorriso, incapace di illuminarla veramente.

"No, Doyle." - rispose, tornando a spegnere quell'ombra di ilarità in uno sguardo serio e dolce - "Non è mio padre. Il suo avvocato può dire ciò che vuole… ma sono in pari con le quote. Non è quello…"

Appariva tesa, nel tirarsi indietro i capelli.

E nel voltarsi, per continuare a parlare, ostinatamente senza fissarlo.

"Non è quello." - ripetè - "E' che io ho avuto… ho avuto un ritardo…"

 

il cuore gli era scoppiato?

No. gli sembrava di essere ancora vivo. Ma viveva senza respirare, non riusciva a obbligare i polmoni a espandersi.

Oh, dannazione, ma è così che ci si deve sentire, in queste situazioni? Con la cassa toracica in calcestruzzo?

 

Si impose di stare calmo.

Perché così come non aveva capito, nel primo attimo in cui le parole si erano librate... non era certo di capire nemmeno adesso.

 

"Credevo di avere sbagliato i conti. Non ne ero certa. Poi… poi ho pensato che era ora di mettere in chiaro la situazione. E sono andata a fare le analisi. Sto ancora aspettando i risultati… ma adesso so cosa mi diranno.."

Tacque, con gli occhi bassi.

Prima di rialzarli e fissarlo, lasciando finalmente libere quelle lacrime che non sapeva di voler lasciar andare.

"Niente bambino, doyle." - singhiozzò - "ed io, come un sciocca, mi sono illusa così tanto... mi sembrava una cosa… io… io ci tenevo tanto…"

 

Per un singolo attimo pensò di non doverla toccare, di doverla lasciare alle sue lacrime e chiamare magari Faith, perché potesse parlare con una ragazza, con qualcuno in grado di capirla.

E capì, in quel singolo pensiero, che aveva voglia di fuggire. Di scappare via, lontano da tutto questo. Da questo dolore che non sapeva se doveva provare.

Questo dolore che diveniva gioia e tornava ad essere dolore.

Non aveva mai osato immaginarla… eppure, in quelle poche e scarne parole di Cordelia, per un attimo, era rimasta racchiusa l'immagine… la sua immagine, con un bambino, un bambino tra le braccia.

Non aveva mai osato immaginarla in quel modo. Un bambino.. un bambino come quelli che aveva tanto amato, per quel breve periodo felice da insegnante.

Un bambino che fosse parte di lui, e di lei.

Un desiderio che non sapeva avessero in comune. Rimase fermo, come inebetito, mentre Cordelia tornava a rifugiarsi contro il suo petto, contro il suo corpo, con l'accappatoio che un po' le scivolava di dosso e un po' le impediva i movimenti.

Mentre, come un automa dallo sguardo fisso, tornava a stringerla, a stringere quei suoi sussulti.

"Ero così arrabbiata... avevo pensato a come dirtelo, se comprarti i sigari da distribuire agli altri, visto che non ci avresti mai pensato…. Avevo pensato a tante cose, tante… "

Adesso era lei ad abbracciarlo. Ad afferrarlo e stringerlo, come una pena infinita.

 

Il suo corpo rispose istintivamente, a quel calore, cingendola, dandole un'ombra di conforto, di partecipazione.

Cosa… cosa poteva essere meglio…

Un conforto ridente? Un attimo di dolore in comune?

Oppure solo questo restare, uniti, stretti uno all'altro.

 

"Un giorno non sarà un'illusione…" - mormorò.

Mantenendo lo sguardo fisso.

Con voce immota, tanto da far scostare Cordy.

Da farle credere che stesse avendo una visione.

Ma non era così.

Stava guardando lontano… ma con lo sguardo del cuore.

"Un giorno non sarà un' illusione, Principessa. Te lo prometto.

Avremo figli ed una famiglia. Bambini che non ci lasceranno dormire e per cui mi farai smettere di fumare. Avremo tutto questo…."

La fissò in viso, guardò nei suoi occhi pieni di lacrime.

"Mi dispiace che non sia oggi, quel giorno." - aggiunse.

Non sapeva cosa fosse veramente da dire.

La guardò, tristemente, tornando a prendere il controllo del suo corpo, ricambiando il suo abbraccio. Tornando ad essere veramente con lei, il suo pianto ed il suo sogno infranto.

"Ho sempre così paura di perderti." - rispose Cordy, mentre Doyle le cancellava le lacrime dal viso, lacrime che ancora non si erano fermate - "ci sono giorni in cui penso che te ne andrai di nuovo. Che ti perderò, e questa volta sarà per sempre."

"Io sarò sempre con te. Lo sono stato, anche quando non lo sapevi." - stavano tremando, entrambi. Il vapore soffocante del bagno li faceva rabbrividire, raffreddandosi sulla pelle.

Tremavano. E Doyle non poteva fare a meno di scacciare dalla mente il desiderio di un terzo chiuso in quell'abbraccio. Il terzo mai sperato.

Il terzo che forse non c'era mai stato.

Il terzo che forse c'era stato per un singolo istante.

"il mio amore per te…" - disse Cordelia, guardandolo - "il mio amore per te talvolta è troppo. Non riesco a sopportarlo, non riesco a viverlo. Dammi qualcun altro con cui dividerlo, per piacere."

La guardò e le parole scivolarono via. Non voleva baciarla, non voleva sussurrarle nulla.

Non voleva più destino, non voleva più nulla.

Voleva solo restare. Restare per sempre.

Come ora.

Le loro fronti una contro l'altra.

I loro respiri caldi, uno nell'altro. Gli occhi chiuso, il tremito, il petto aritmico.

Strinse gli occhi, mordendosi le labbra.

"Non so come sia successo." - sussurrò, rabbrividendo - "un giorno mi sei divenuta indispensabile. Non potevo più pensare a nulla, nulla senza di te. Sono morto, e c'eri ancora tu. Non avevo più mente ma eri sempre tu. Tu."

Piangeva, singhiozzava disperatamente, guardandola, stringendola. Incoronava di quella rugiada salata il suo sorriso più bello.

"E' sempre stato più grande di me. È sempre stata l'unica cosa che sapevo di poterti dare. L'unica cosa con cui potevo competere a ciò che tu mi hai sempre dato. Ma nulla vale il tuo primo sorriso, al mattino, quando mi alzo. Nulla vale quanto quel singolo gesto con cui mi sistemi il collo della camicia.

Non ho trovato ancora nulla di altrettanto grande da darti.

E ti darei tutto, il mondo, la vita… ti darei tutto."

Fece un respiro, profondo, per riacquistare il controllo della sua voce, imprimendosi la consistenza della sua pelle e i lineamenti del suo viso tra le mani.

Cordelia si vedeva riflessa nei suoi occhi chiari. Si vedeva, in ogni singola lacrima che gli era scivolata dalle ciglia.

E sapeva che tutto, in Doyle era per lei. Troppo amore.

Amore per riempire ben più di un'esistenza.

Ma chi erano loro, per pensare di appartenere ad un singolo istante ed a un singolo momento nell'universo?

Perché avrebbero dovuto sentire la loro temporaneità, mentre si lasciavano travolgere da tutto questo?

Ansimò. Aprì i polmoni, cercando ancora ossigeno. E lo fissò, divenendo la roccia che non sapeva di essere.

Il faro, per quel demone trasandato che aveva paura di quell'amore quanto lei.

"Oh, Doyle." - gli sorrise, come un pallido sole all'alba. Annuendo, tornando alla sua espressione, nel fissarlo - " Tu... Hai ragione. Avremo tempo.. tempo per tutto…"

E la sua espressione tornò dolcemente a sgretolarsi. Mentre lo abbracciava, mentre seppelliva il suo viso, inondandolo con i suoi capelli di seta brunita.

"Ti amo anch'io, doyle. E ti amo con la paura di non dirtelo mai abbastanza." - sospirò. E nell'attimo di silenzio che seguì, Doyle la sentì abbandonarsi ad una leggera risata.

Come il suo corpo fremesse di mille campanellini.

"Oh, Doyle." - rise lei, guardandolo e stritolandogli il collo. Tanto da far toccare la punta dei loro nasi - "Non è una questione d'amore… è che noi siamo fatti uno per l'altra!"

Con le stesse paure…

Gli stessi desideri inconfessati…

Lo stesso… lo stesso futuro…

E visto che lui la guardava, con occhi che andavano rischiarandosi della stessa scherzosità, aggiunse.

"Anche se io mi vesto meglio, ovviamente."

Lo disse con un tono petulante, simile a quello di tutti i giorni. Ma Doyle vi sentì la speranza, quella che non le veniva dal suo ottimismo innato. Era la voce di chi ha trovato, ancora, qualcosa in cui credere. E in cui sperare.

Qualcuno capace di rialzarsi. Qualcuno che, da sempre, non faceva che gettarsi tutto alle spalle. E ricominciare da capo.

Con basi e radici sempre più forti.

Avrebbero avuto tempo. Avrebbero avuto ancora giorni tristi e felici. E, in questo susseguirsi di istanti, avrebbero avuto figli, e altro amore. Ancora amore da aggiungere ad amore.

E non avevano bisogno di parlarne più, per quella sera.

Le disse tutto questo, con gli occhi, lasciando che le loro lacrime si asciugassero naturalmente, profumando la loro pelle con una tempesta che li aveva soltanto resi più forti.

"Non ne sarei così sicuro." - replicò, con un mezzo sorriso impertinente - "Dopotutto, hai il mio accappatoio, addosso."

"Ah." - commentò lei, fingendo di essere contrariata - "Se è solo questo il problema, possiamo sempre rimediare."

E Doyle non si stupì troppo del fatto che l'accappatoio incriminato si stesse già accumulando sui suoi piedi.

 

 

VII

Tormento.

Se aveva un nome, allora era tormento.

Si girò nuovamente nel letto, portandosi le mani alle tempie.

Rinunciando alla notte che non aveva avuto, alle lenzuola cocenti e al clima soffocante della sua camera.

Soffocante… una definizione idiota, sulle labbra di un vampiro.

Ma mai stata valida come ora.

Si alzò, cercando al buio i pantaloni. E rinunciando al maglione, dopo aver ripetutamente sbattuto le gambe contro i mobili.

Sorprendendosi a pregare che l'udito sottile di Spike per una volta fosse in pausa.

Non lo voleva tra i piedi, constatò, attraversando pensosamente il salone e rifugiandosi in studio.

Aveva bisogno di sentire i pensieri allinearsi lungo una linea razionale quanto immaginaria.

Aveva bisogno di poter credere che tutto sarebbe stato sotto controllo.

 

Sotto controllo.

Non c'era nulla che restasse più sotto il suo controllo, constatò, miseramente, fissando il fondo della scatola delle ciambelle.

Brontolando, quando si accorse di essere rimasta impigliata con il distintivo.

Imprecò, sottovoce, cercando di districarsi. Posando il caffè e macchiandosi. Strinse i denti, per non mettersi ad urlare. Finì con calma di sganciare la catenella sottile dalla piccola maniglia e si incamminò ostentando sicurezza e nascondendo la macchia scura e tiepida del polsino.

Ignorando l'occhiata perfida e assonnata di un collega.

Sedendosi alla sua scrivania, nascosta, dietro il computer.

A fissare la paratia di cartongesso.

 

Si sedette, allungando le gambe, fino a posare i piedi nudi sul piano della scrivania.

Cordelia gli aveva lasciato la finestra socchiusa e le tende tirate.

Lo conosceva bene, ormai, sapeva benissimo delle sue peregrinazioni silenziose. Cordy… chissà come stava, chissà se…

Ma no, non aveva bisogno di preoccuparsi. Bastava Doyle, con le sue risposte. Oppure con i suoi occhi.

Non aveva avuto bisogno di dirgli nulla, entrando in casa. L'aveva visto alzare la testa dal cuscino. E poi tornare a posarla, guardandolo, con occhi limpidi.

Non ti preoccupare, uomo. Non ti preoccupare mai dell'amore che offri… e di quanto te ne preoccupi. Non saresti tu, se non lo facessi…

Sorrise.

Probabilmente Doyle aveva ragione.

Nessun amore andava sprecato. Anche i più segreti, anche gli inconfessati, i perduti, i futuri. Tutto parte di noi e dell'universo.

L'amore era il legame con l'eterno.

 

Un legame attraverso l'eterno… chissà come poteva venirle in mente un'idea del genere, fissando una cartolina stinta e un elenco di codici.

Rimestò pensosamente il suo caffè, scivolando un po' più comoda. E incrociando le gambe. Facendo leva sulla cassettiera per sfilarsi le scarpe da ginnastica.

Rannicchiandosi un po' di più.

Un legame attraverso l'eterno. Probabilmente non esisteva nulla di così importante, nella vita. Nella vita di tutti i giorni, si intende. Di certo c'era qualcosa del genere nei libri, oppure nei film.

O nelle grandi avventure…

Oppure… ma che importava, dopotutto! Anche fosse esistito, non era una cosa che poteva trovare in un distretto di polizia nella periferia di Los Angeles.

E la città degli angeli, difficilmente offriva miracoli.

 

Un miracolo.

Aveva sperato nel miracolo. Non in un'utopia qualsiasi.

L'amore può tutto. Solo doyle poteva dire una frase del genere, credendoci veramente. Ma tutti gli altri?

Cosa avrebbero fatto al suo posto?

A parte spike, si intende. Lui era in grado di convincere anche un lampione del suo amore eterno. Gli bastava un'occhiata, quattro passi ondeggianti ed il gioco era fatto.

 

Spike… quello si che era un elemento. Probabilmente era abituato che le ragazze scivolassero ai suoi piedi, sussurrando: mordimi, mordimi…

Ma lei no. Lei non voleva essere morsa. Né, pensandoci bene, tantomeno baciata. Ogni volta che qualcuno la baciava… erano guai. Solo guai.

Si guardò svogliatamente il polso. La camicia aveva un po' sbavato la scritta, ma lei ricopiò comunque il numero sul blocchetto vicino alla tastiera, cercando di imitare quella S svolazzante che le copriva buona parte dell'avambraccio.

Esibizionista…

 

Forse avrebbe dovuto afferrarla e baciarla. Tirarla fuori dalla macchina e dirle…

E dirle Io ti amo.

Oh, ma in quel caso, probabilmente non gli serviva neanche essere violento. Doveva solo parlare chiaro.

E non per il bene dell'umanità. Solo per se stesso.

"Solo per me stesso." - ripetè Angel, ad alta voce, poco convinto - "E' una parola…"

 

"Non una parola di più, non una parola di meno." - sospirò Kate, lasciando andare sulla scrivania l'ennesimo rapporto - "Dieci cartelle, sessanta per novanta, dattiloscritte, bla bla bla… manna per la creatività…"

Si tirò indietro, stirando i muscoli delle braccia. Un sospiro e il collo rigido.

"Ma quante ore, ancora?" - mugolò, guardando l'orologio.

Quante prima di cosa… prima di tornare a casa, di avere una vita migliore o di telefonare al vampiro?

 

Parlare con Spike. Pazzesco. Era talmente disorientato da volere un consiglio da spike.

E se era reso conto mentre già era con un piede fuori dalla porta.

Si fermò. Ponderò la questione e tornò indietro, sui suoi passi. In retromarcia, addirittura. E si appoggiò alla parete. Come se le gambe non lo reggessero.

Da qualche parte, nel silenzio, era risuonata la voce di Kate.

Marchiata…

Marchiata. Era solo quello? Era solo un vile metodo maschilista per reclamare il suo possesso?

"Non mi sarebbe mai venuto in mente di vederla in questo modo." - gemette, strofinandosi i capelli e alzando lo sguardo verso il soffitto - "Ma come faccio, se non riusciamo nemmeno a parlare la stessa lingua."

 

Un alieno. Di tutto quello che poteva scarabocchiare…

Kate sollevò il foglio e fissò critica il buffo mostriciattolo dalle orecchie a punta e il nasetto prominente.

Non assomigliava ad Angel, constatò.

"Forse ha i suoi occhi." - suppose, cercando di cogliere qualche altro particolare.

Sentendosi di colpo stupida. Gettò la biro e il foglio, incrociando le braccia, seccata. La sua mano corse istintivamente verso i capelli che la infastidivano.

Incontrando la cicatrice.

 

"Una cicatrice. Una singola cicatrice." - ringhiò, lanciando la matita a parabola attraverso la stanza.

Si sarebbe strappato i denti, avesse potuto.

Tamburellò sul ripiano, sentendosi invadere da una vera e propria rabbia.

Tutto sbagliato. Era tutto sbagliato. Non si sentiva avvilito, pensieroso o altro. Inarcò la testa, fino ad adagiarsi del tutto contro lo schienale.

E chiuse gli occhi, lasciando che quel sentimento che gli sembrava incontrollabile scemasse lentamente.

Passione… rabbia… lo colpivano come una stilettata.

D'improvviso ebbe la sensazione di potersi vedere riflesso, che ci fosse un altro se stesso, in piedi, di fronte a lui. Un se stesso con un ghigno sardonico e uno sguardo eloquente.

Non puoi evitarlo…

Sei parte di me…

Ti sbagli… Tu sei parte di me. Ed io non mi inchinerò più a te, Angelus.

Si svegliò di soprassalto, tremando.

 

Cosa ci vedrà in me, poi….

Kate si studiò critica, riflessa nel monitor spento. Capelli annodati, occhi troppo grandi, ovale del viso troppo ovale…

Tirò il maglione, cercando di obbligarlo a seguire le curve. Rimanendo comunque un fagotto informe.

Perfetto. Decisamente. E quello viveva pure con Cordelia Chase, "Miss gambe che non finiscono mai ma sono tornite al punto giusto"!

Abbassò gli occhi, pensierosa. Non era certa fosse una questione di bellezza. Se Angel continuava ad allontanarsi, doveva esserci un motivo.. uno vero. Reale.

Cosa c'era in lei che non andava?

 

Cosa c'è in me che non va? Perché continua a sfuggirmi, perché ha così paura…

Non posso farle del male.

Eppure non sono parte del suo mondo, non potrò mai esserlo…

 

Non sono parte del suo mondo… ma vorrei esserlo…

 

Non ho risposte, da darle…

 

Non ho abbastanza domande…

 

Kate…

 

Angel…

 

...

 

Quando si rese conto di avere già il telefono tra le mani, ebbe un moto di paura.

Non poteva chiamare. Non poteva dire nulla che non fosse ripetizione. Non poteva fare nulla, per rimediare.

 

Il trillo del cellulare la fece sobbalzare. E le portò il cuore fino in gola.

Si sporse, rovesciando il portamatite, e lo afferrò.

"Pronto." - disse, stupendosi di come le tremasse la voce. E di come avesse desiderato quel miracolo.

"Ehi, occhi blu, sono io."

"Spike." - si lasciò andare sulla sedia, finendo di far rotolare le penne a terra - "Che vuoi?"

"Io niente.. ma tu non sei stufa di stare lì a fissare il telefono?"

A quell'affermazione sobbalzò, alzandosi e sbirciando al di sopra della paratia.

Sentendo che la tensione di prima stava per sfociare in rabbia pura.

"E adesso ti metti a spiarmi?" - ringhiò.

E dall'altra parte le rispose una voce scanzonata e per niente impressionata.

"Chi io? Ma per chi mi hai preso? Per uno che vaga nella notte a insidiare belle fanciulle?" - Spike si allungò, arrivando a posare i piedi su una pila di riviste.

"Come facevi a sapere del telefono? Preveggenza?" - insistette lei. Le sembrava che la cicatrice fosse in fiamme. Se la toccò, furiosamente, sperando di dissipare un po' di quel calore.

"Ma no di certo." - spike si stava divertendo un mondo - "Ho ben altre risorse, io…"

"Dimmi dove sei!" - lo interruppe lei, continuando a guardarsi in giro.

"A casa. Nel mio studio."

"Sì, certo…" - replicò lei, tornando a sprofondare nella poltrona.

"Sul serio." - spike tacque un istante, prima di riprendere, con un tono differente. Più serio, confidenziale - "Sono a casa. E se ho deciso di chiamarti, venendo meno a tutti i miei sani principi è perché credo che tu ed i tuo compare siate sulla stessa barca."

"Io e il mio … cosa?" - Kate aggrottò le sopracciglia e scattò a sedere. Tesa, come una corda di violino - "Di cosa stai parlando, spike?"

"Di cosa? Di chi, semmai!" - Spike si alzò ed avanzò, fino a dischiudere la porta sul corridoio - "Parlo di Angel, e lo sai bene."

Dall'altra parte non gli giunse risposta. Solo silenzio.

Alzò gli occhi al cielo, controllò il sarcasmo e riprese a parlare.

"Se il mio udito non mi inganna, è rintanato nel suo ufficio. Lancia le matite contro il muro e tiene una mano posata sul telefono…"

Che udito fine… commentò, sarcastica, la sua interlocutrice.

Spike la ignorò deliberatamente.

"Quello sta cercando il fegato di chiamarti da un bel pezzo. E non ci riesce. E non sa come prenderti. " - aggiunse - "Ed io sono certo che tu stai facendo altrettanto. Fissi il vuoto e sei arrabbiata con il mondo. E ora dimmi… vuoi che attraversi questo pianerottolo e ti faccia parlare con lui?"

dall'altra parte era ancora silenzio. Non c'era nulla, se non un respiro mozzato, soffocato da una mano. Kate stava riflettendo su come rispondergli.

Ti prego,Kate... fa un passo verso di lui anche se ti sembra di non riuscire.

Silenzio. E poi, ancora più terribile, il suono di una chiamata interrotta. Spike abbassò il telefono e resistette al desiderio di sfondare la parete con un pugno.

 

Aveva fallito.

E, quel che era peggio, aveva sbagliato.

 

Quando il telefono gli vibrò tra le mani, per un attimo credette di avere le allucinazioni.

E quando rispose, dall'altra parte sentì la stessa tensione di pochi attimi primi. E la voce di Kate gli giunse cristallina.

"Non posso, Spike, mi dispiace."

Spike chinò la testa, un istante, prima di annuire, quasi Kate potesse vederlo.

"Lo so." - mormorò - "Ma dovevo provarci…"

"Sei un buon amico, Spike." - sussurrò, massaggiandosi la fronte.

Lo sei per me.

E lo sei per Angel.

Kate non aveva detto nulla. Ma il vampiro ebbe lo stesso l'impressione di poterla sentire.

"Lo spero." - rispose. Avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma non trovò nulla. Nulla che avesse veramente senso - "Buonanotte, occhi blu."

"Buonanotte, Spike."

 

Adesso ne era certo. Non avrebbe richiamato. Chiuse gli occhi, provando a immaginarlo. Quasi poteva vedere i suoi occhi scuri, la sua espressione concentrata.

E fece male, quello guardo. Era lo stesso che gli aveva visto, poche ora prima. Uno sguardo oscuro, dopo un attimo di felicità intoccabile.

Kate inclinò la testa, girandosi appena.

E non si stupì troppo, quando sentì una lacrima scorrere.

Una.

Una sola.

 

Spike non si mosse. Con lentezza richiuse l'antenna.

E, per l'ennesima volta in vita sua, si domandò perché dovesse essere tutto complicato. Così complicato.

Parte dell'espiazione o gioco beffardo?

Non aveva una risposta senza ironia.

Non aveva una risposta degna di essere detta.

 

Rimase fermo. A riflettere.

Forse la cosa migliore, a quel punto, sarebbe stata tornarsene a letto.

Poi si drizzò. E spalancò la porta, afferrando una maglietta e infilandosela, attraversando il pianerottolo.

Quasi stupefacente che la moquette non fosse consunta…

 

 

******

 

 

"Buongiorno." - canterellò Doyle, entrando in cucina.

Pesto e silenzioso, seduto sul ripiano della cucina, c'era Angel.

Al massimo dello splendore.

Piedi nudi, completo nero, giornale in mano, caffè e anfibi sul ripiano.

Anfibi?

Ah, giusto. Dentro gli anfibi, i piedi di spike, che se ne stava seduto di fronte, su di una sedia. Con l'aria di chi ha dovuto interrompere una predica inascoltata.

"Doyle." - salutò il vampiro bruno.

"Come mai tutti svegli a quest'ora?" - chiese, distrattamente, procacciando un po' di caffè fresco.

"Nessun dorma…" - sottolineò petulante Spike.

"Buongiorno a tutti." - esclamò Cordelia, entrando dietro il demone. Assolutamente radiosa - "Ciao, bellissimo."

L'aveva detto chinandosi a baciare Spike sulla tempia. Prima di voltarsi e abbracciare Angel.

Senza una parola. Ma con uno sguardo dolce.

"Ciao capo." - sussurrò, sostando un attimo a fissarlo, tenendogli le braccia intorno al collo - "Ancora problemi con gli occhi trasparenti, ho saputo…"

Ancora una volta, lei ed il vampiro erano uniti, nelle loro emozioni. E, purtroppo, ancora una volta, Cordelia sapeva di essere stata infinitamente più fortunata di lui.

Ma in Angel non c'era invidia. Solo una leggera tristezza lo adombrava, nel ricambiare quello sguardo.

Spingendola ad abbracciarlo di nuovo.

"Non ti preoccupare." - gli disse all'orecchio - "Io credo proprio che si aggiusterà tutto…."

Si allontanò, veloce come era arrivata, ticchettando con le sue scarpe, ed afferrando la borsetta.

"Vado a fare un giro per negozi, a presto."

Fuggita. Un attimo dopo aveva varcato la porta.

"Una vera meteora." - commentò Spike, sentendo cigolare anche il cancello - "Ma fa piacere vederla di nuovo di buon umore…"

doyle preferì ignorare lui e le allusioni che stava facendo. Ormai le sentiva prima ancora che le pronunciasse. Posò il suo tazzone sul ripiano e sfogliò rapidamente la posta.

Una busta sull'altra.

Fino a fermarsi.

Angel lo vide, nel momento in cui si bloccò. Lo vide, mentre fissava una busta, posata sul bancone. Quasi non volesse nemmeno sfiorarla con le dita.

"Doyle, tutto bene?" - chiese. Mentre Spike si voltava, seguendo la preoccupazione dell'amico.

Doyle non gli rispose. Con una lentezza impressionante, sollevò la busta, una busta grigia e professionale, intestata a Cordelia.

Una busta che non avrebbe mai notato, in frangenti diversi.

Fissò quel piccolo caduceo azzurrato, impresso, poco lontano dal francobollo.

E desiderò aprirla, strappare la chiusura gommata.

E leggere.

Leggere che era stato tutto un equivoco. Leggere che la completezza era giunta.

Leggere… e vivere...

 

"Doyle…" - lo chiamò Angel, posandogli una mano sulla spalla. Sentendolo sussultare, come se non l'avesse sentito avvicinarsi.

E ne incontrò lo sguardo.

Uno sguardo stranamente buio, come se i laghi montani si fossero ingrigiti, sotto una nuvola improvvisa. Un attimo.

Prima di tornare a rischiararsi.

 

No. Cordelia ha ragione.

Già sappiamo la risposta.

Già sappiamo…

 

"Tutto bene?" - chiese Spike, appoggiando i gomiti al bancone. E guardandolo, con il solito cipiglio.

"Certo." - rispose, con un sorriso, afferrando la busta e strappandola - "Tutto come sempre."

 

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Capitolo 10
*** 10.Basterà ***


Basterà

 

I personaggi delle serie "Angel" e "Buffy, the vampire slayer", appartengono a Joss Whedon, la WB, ME e la Fox, l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

*Ho cambiato in parte le vicissitudini di Faith dopo la sua ripresa dal coma.

Per chi ne volesse sapere di più: da Oltre il destino-cap.III

 

"Ma tu guarda che giornata!" - esclamò Cordy scostando le tende.

Quel poco che bastava per sentire un urlo ed un gran fracasso alle sue spalle.

"Oddio!" - aggiunse, richiudendole prontamente e facendo ripiombare la stanza nella penombra.

Sdraiato sul tappeto, come un tizio che è inciampato in un tavolino camminando all'indietro, stava Spike. Puntellato sui gomiti, in mezzo a quintali di sciocchezze di vario genere.

Alle sue spalle, piegati dal ridere, tutti gli altri.

Chi appoggiato alla porta e chi crollato sul divano.

"Ma puoi smettere di essere così silenzioso?" - esclamò cordelia, piantandosi le mani sui fianchi - "Uno di questi giorni finirai incenerito! Non è vero, doyle?"

Nonèverodoyle stava rischiando l'infarto. Tra un singulto e l'altro le fece un cenno di accordo con la mano.

Spike e Cordelia si urlavano ingiurie con una maestria impeccabile.

Faceva parte della loro amicizia dal primo giorno di convivenza.

E, se tutto questo non era già abbastanza…

"Buongiorno miei cari!" - esclamò Lorne, entrando. Battè una pacca sulla spalla di Angel, diede un buffetto a Faith, scavalcò Spike e si sedette comodamente al bancone con Doyle - "Sono venuto a scroccare una birretta tra amici. Ma vedo che qui vogliamo testare l'aspirapolvere… "

e visto che nessuno accennava a ridere alla battuta…

"Non si comincia sempre con lo spargere un po' di cenere sul tappeto?" - spiegò, indicando Spike.

Un pomeriggio come tanti. Seduti, attorno ad un tavolo a chiacchierare.

Sembravano non smettere mai di avere un argomento.

Stavano… bene.

Stavano bene.

Niente male, per un gruppo eterogeneo di quel genere.

Fin troppo bene.

Un pensiero che, da solo, attirava già i problemi.

 

"Ebbene, signori… il sole sta calando." - esclamò spike, alzandosi - "Avvolgiamoci nei nostri mantelli svolazzanti ed andiamo in strada a punire i cattivi."

Spense la sigaretta nel posacenere e..

"Stavo scherzando Flagello, non fare quella faccia!" - puntualizzò, tormentando Angel - "Andiamo Faith?"

"sono pronta." - esclamò lei, alzandosi - "Vieni con noi, Angel?"

e visto che questo chiedeva aiuto con gli occhi a tutti presenti, Doyle aggiunse.

"Spiacente amico. Io e Lorne abbiamo da fare. Westley vuole una serata tranquilla e Principessa… bhe, prova a chiederglielo."

"Grazie del permesso." - sorrise Angel, girandosi verso cordelia.

Che già si stava infilando la giacca.

Si stava già infilando…

No, era chiedere troppo.

"Un attimo e sono pronta." - mormorò distratta, andando verso il suo appartamento. E Spike e Faith si risedettero.

"Partitina a poker?"

 

Cordelia ci mise abbastanza tempo da perdersi l'uscita di Doyle e Lorne.

I restanti, tristemente riuniti in attesa, presero seriamente in esame l'idea di giocare a carte.

Ed anche se la conversazione non conosceva attimi di sosta, il tempo trascorreva piuttosto lento.

"Ma è possibile che il tuo desiderio di fare giustizia ti impedisca di ridere alle mie battute?" - esclamò, ad un certo punto, Spike.

"Stavo pensando ad altro, William." - si difese Angel.

"Oh sì, certo. Una frase che mi dici tutte volte che ti parlo. Approfitti della mia voce per concentrarti?"

"No. Stavo solo riflettendo sul da farsi per quella questione…"

"Sul da farsi…" - Faith si dedicò ad una plateale alzata di spalle - "E che ci vuole… saltiamo in piedi, ci infiliamo la giacca… oppure il mantello svolazzante… ed andiamo a menare le mani. Giusto?"

"Giusto!" - esclamò allegramente Spike - "Niente di più facile. Un sano spargimento di sangue. Una cosa ben fatta…"

"Ti prego non cominciare con qualche aneddoto." - sospirò Angel.

"Sai che sei noioso stasera?"

"Lo sono sempre, William."

"Non userai questa grande verità per deprimerti ancora di più, vero'"

"Tutt'altro. Sono di ottimo umore." - sorrise angel - "deve essere stata quella tua splendida caduta… degna dei riflessi di un vampiro…"

"Ecco!" - esclamò l'altro sardonico - "Io rischio di finire arrostito dalla tua segretaria e tu ti senti allegro? è questo dunque che devo credere?"

"Willliam…"

"scordatelo."

"che cosa?"

"Il nome. Revocato il permesso. Fine dei nostri buoni rapporti. Cacciatrice, muovi il culo! Anzi, no… vuoi fare a botte?"

Spike guardò speranzoso Angel, con la faccia da bambino sotto l'albero. Era tanto che non si picchiavano. Era tanto che non approfittavano degli eventi per scatenarsi in una sana rissa.

"Cordelia sarà pronta a momenti…" - rispose evasivo Angel. Era un educato no grazie. E Spike si risedette con espressione vagamente seccata.

"in questi momenti rimpiango Dru. Era sempre pronta per uscire e se avevo voglia di picchiarmi con qualcuno si sedeva a fare il tifo… mi sentivo… apprezzato, ecco…" - concluse con tono vagamente lamentoso.

Fingendo spudoratamente.

"Eccomi. Scusatemi, ho…" - Cordelia non fece in tempo a finire la frase. Spike, con scatto felino, raggiunse la porta e, chinandosi appena, l'afferrò per la vita.

Issandosela sulla spalla,con una presa perfetta.

Cordelia gli dava pugni sulla schiena, strillando, pretendendo di essere messa a terra, mentre i capelli ben ravviati le ricadevano disordinatamente sul viso.

Angel avanzando tranquillo verso la porta, sentì di corpo un dolce peso sulle spalle.

Faith non aveva perso tempo.

Con uno scatto pari solo a quelli di Spike, gli era saltata sulla schiena, cingendogli il collo con le braccia, lasciandosi pungere la guancia dai suoi capelli corti.

Angel le afferrò le ginocchia, senza nemmeno girarsi. Il suo atteggiamento non rivelava nulla, ma Faith, senza neanche guardarlo in faccia, sapeva che la sua bocca era piegata in un sorriso tollerante.

 

Nell'ingresso dell'Hyperion, senza curarsi assolutamente delle urla della sua prigioniera, stava Spike. Cordelia non riuscendo più neanche a muoversi, si limitava a gridargli mille ingiurie.

Poi…

"caspita che urlo…" - constatò Angel, apparendo sotto l'arco, sempre con Faith sulle spalle.

Cordy stava seduta sul tappeto e si sistemava i capelli con le mani. Mentre Spike, con gli occhi enormi e la bocca ancora aperta, si massaggiava una scapola.

"Mi… mi ha morso!" - gridò, puntando il dito verso la sua aguzzina.

"Sì, ogni tanto le capita di farlo." - mormorò Angel, sentendo faith sobbalzare per le risate.

Sorrise.

Ed il sorriso gli si gelò sulle labbra.

 

A Spike non sfuggì quel cambiamento di espressione, tardò un istante a girarsi, mentre Faith, alzando la testa, mutava il suo sguardo.

In qualcosa di simile al terrore.

 

Sulla porta dell'Hyperion, con ancora la mano appoggiata alla maniglia, stava Buffy. Buffy.

Semplicemente Buffy.

Come Spike si ricordava di averla lasciata.

Buffy.

Che altro dire.

Buffy.

Sembrava che il cervello di Spike non riuscisse a produrre nient'altro che quella parola.

Buffy.

Buffy che non guarda me.

Buffy che non guarda Cordelia.

Buffy che guarda Angel.

No.

Buffy guarda Faith. Sulle spalle di Angel.

Faith che gioca e gli stringe le braccia attorno al collo. Faith che ride.

Ma non credo che Buffy vedo soltanto questo….

Per lei è un tradimento.

 

Angel non osa nemmeno salutarla. Faith gli sta scivolando giù dalla schiena e lui la lascia andare.

 

Buffy stava sulla porta. Cordelia la squadrò, cercando una critica possibile per riprendersi dalla sorpresa. Dallo choc di vederla varcare proprio 'quella' porta. Ma non le venne in mente nulla, nulla se non alzarsi, spolverandosi la giacca, con un poco convinto:

"Che piacere vederti…"

 

Faith fu la prima a riprendersi, in quella scena al rallentatore. Lei e Buffy si mossero quasi all'unisono. Avanzando una verso l'altra.

Eppure, mentre Buffy marciava spedita e furiosa, per faith si trattava solo di muovere le gambe. Provando a parlarle.

Faith, che di solito prima agiva e poi pensava. Faith che si voltò, sentendosi afferrare un polso.

Da Angel.

Buffy si fermò impietrita, ignorando Cordelia che correva su dalle scale, cercando Westley.

Importava solo quello che vedeva. Angel si frapponeva tra lei e Faith, nascondendola dietro la schiena. Proteggendola con il suo corpo.

Perché a lui non era sfuggito il suo pugno quasi alzato.

"non penso tu sia venuta qui per picchiarla." - mormorò sommesso. Mortificandola.

Accendendo in lei la furia.

"Non dovrebbe essere qui." - scandì bene le parole, mentre i suoi occhi si riempivano di fiamme.

"Se è per quello, dovrebbe essere morta." - constatò ancora Angel, con una strana voce metallica.

Dietro di lui, di poco discosta per vedere la sua avversaria, stava faith. Faith la Rinnegata. E mentre il cuore di Buffy urlava, a trovarsi di fronte Angel, lo sguardo le correva verso la ragazza bruna.

Spike d'altro canto, si era scostato. Con alcuni passi, si era tolto dalla traiettoria. Istintivamente, aveva ritenuto giusto un confronto diretto tra le Cacciatrici.

Prima di ricordare.

Prima di ricordare che Buffy non sapeva di faith.

Prima di ricordare che Angel aveva mentito a Buffy. Quel particolare che Spike stesso, i primi tempi, aveva trovato esilarante. E che adesso sembrava spingerli tutti verso il baratro.

"Tu devi dirmi cosa significa questo!"- stava urlando Buffy. Il suo corpo sembrava fatto di scariche elettriche.

"Nessun significato particolare. Faith vive qui." - Angel era freddo. E pacato. Nulla, dell'allegria che gli si era dipinta sul volto poco prima, era ancora visibile.

"Tu… mi hai mentito." - la voce di buffy si incrinò d'un tratto. Come se non potesse reggere quel colpo - "Sei venuto a sunnydale e non mi hai detto che lei era…"

"che faith era con me? Non potevo Buffy. Hai un Osservatore e sei la Cacciatrice del Consiglio." - le spiegò Angel. Nascondendo tutto ciò che avrebbe voluto dirle.

Faith si sentì una presenza accanto. E, girando appena il capo, vide Westley. Wes che, dopo un'esitazione, le passò un braccio attorno alle spalle.

Mentre Buffy lo fissava, come si osserva uno scarafaggio.

"Buffy." - la salutò - "A cosa dobbiamo la tua visita?"

Non era venuta per Faith. Non si aspettava di trovarla.

Ma Faith tremava.

Una paura irrazionale e profonda la scuoteva. La paura di dover fuggire ancora. Di dover rinunciare a tutto, ancora.

Ma Buffy non lo degnò di una risposta.

"Buffy…" - la chiamò Angel.

La vista di quel braccio sulle spalle di faith era per lei una dichiarazione di guerra.

Spike, incurante, fece scattare l'accendino. Ed accendosi una sigaretta, l'apostrofò:

"Felice di rivederti, Buffy." - la vocina in farsetto della sua mente gli rispose petulante: felice di rivedere anche te, Spikuccio.

Era confusa. E ferita.

Angel, si sentiva stringere il cuore innanzi alla solitudine di Buffy. Buffy, in una stanza di persone che dovevano sembrarle ormai estranee.

"Da quanto la proteggi?"

era una domanda lecita.

"Da quanto? Da quando è evasa? Oppure…"

"No. La proteggo da quando si è ripresa dal coma." - la verità era spietata per entrambi - "La proteggo da quando ha lasciato Sunnydale, dopo il vostro scambio di identità."

Quasi due anni.

Buffy non riusciva ad assimilare l'informazione. La sentiva rimbombare in testa, rimbalzare su immagini frammentarie. Come se non fosse del tutto sveglia.

"tu…" - boccheggiava - "io ti ho telefonato. Io ti ho avvertito che eri in pericolo."

E Faith era già con me. Ma Angel non lo disse.

Non ce n'era bisogno.

Buffy lo lesse nei suoi occhi. Arretrò. Come se si fosse scottata.

A questo punto le restavano solo due cose da fare.

Voltarsi e andarsene.

Oppure ucciderla.

Ma non parlarle.

Anche se faith sembrava volerlo, mentre scivolava lontano da Wes e camminava verso Buffy.

Riaccendendo in lei la furia. Facendola scattare, per cavarle gli occhi.

Colpendo inaspettatamente il petto di Angel.

Sentendo la guancia bruciarle, nell' impatto con la sua mano.

Angel l'aveva colpita.

Angel aveva picchiato Buffy.

"Angel…" - mormorò Faith, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime - "Angel no."

Sentendosi male per quello che l'aveva obbligato a fare. Perché Angel non avrebbe mai alzato un dito su Buffy Summers. E l'aveva fatto solo per colpa sua. Per colpa di faith.

Faith, travolta dal rimorso.

Più ancora di Angel.

Più ancora di Buffy.

Buffy, così arrabbiata da non restare immobile. Capace di scostare la mano dalla guancia arrossata per lanciarsi ancora contro Faith.

Angel non era così pronto a riprendersi.

E Buffy si ritrovò di fronte Spike.

La sua mano si bloccò a mezz'aria. Mentre spike la fronteggiava, fissandola con occhi implacabili.

Non gli serviva nulla. Non si curava di fermarla, afferrandole le braccia.

La guardava, immobile.

 

La squadrava.

E, nei suoi occhi, Buffy leggeva disprezzo.

Disprezzo.

La corrodeva.

La piegava.

Spike che aveva detto di amarla. Che aveva detto di amarla quanto Angel.

La guancia le bruciava, mentre abbassava gli occhi.

Sembrando piccola e sperduta.

Avrebbe intenerito il cuore di Spike.

Se non fosse stata così in torto.

 

Spike non cedette.

E da quella durezza, Buffy trasse la forza di non sentirsi travolta dagli eventi. Rialzò lo sguardo, tingendolo di freddezza.

"Ma chi si rivede" - ringhiò - "Mi fa piacere vedere che godi ottima salute…"

Era offensiva.

"L'erba cattiva non muore mai… non si dice così?" - la canzonò Spike. La sigaretta che stava fumando si era quasi consumata tra le dita, nell'attesa. Ma Spike ne trasse ancora una lunga boccata di fumo - "Ho scoperto che l'anima comporta certi vantaggi…"

"Ad esempio?"

"Ad esempio, il chip non funziona." - disse spike, gettando a terra il mozzicone e spegnendolo con la punta dello stivale. Prima di rialzare lo sguardo - "Mi basta la coscienza per decidere quando una persona merita di essere picchiata…"

Quella frase la colpì come un colpo di spada. Angel l'aveva picchiata per un buon motivo, le stava dicendo Spike.

E Spike non mentiva mai.

Era risaputo.

"Tu mi avresti detto che lei era qui?"

La domanda le era uscita istintiva, a caccia di un alleato.

Spike la squadrò ancora, mentre alle sue spalle sentiva avanzare Angel.

"Me lo sono chiesto spesso..." - ammise - "E la risposta è no. E adesso so anche perché."

 

"William..." - lo chiamò Angel, mentre, a quel nome, gli occhi di buffy si socchiudevano impercettibilmente - "Ti spiace andare di ronda con faith? Io e Buffy abbiamo alcune cose da chiarire."

Di ronda.

"Con molto piacere." - rispose Spike, sorridendo a Buffy, prima di girarsi. Prima di contrarre la mascella innanzi all'espressione ferita di Angel.

"Wes" - chiamò Cordy, rimasta fino a quel momento in disparte - "ti va di venire con me? volevo fare due commissioni…"

L'Osservatore annuì. Per tutto quel tempo era rimasto vicino a Faith, senza un commento o un'azione che potesse intralciare quel violento scambio di emozioni.

Spike e Faith si mossero, all'unisono, passando a fianco di Buffy.

Spike aprì la porta a Faith e, sopra la testa di Buffy, incontrò ancora una volta lo sguardo di Angel.

Vedendo una rassicurante e falsa espressione di tranquillità.

 

 

II

Camminavano per strada.

Tranquilli, uno di fianco all'altro.

Con l'animo in tempesta.

"Andiamo Faith, non puoi mica andare avanti così…" - le disse Spike, vedendola, per l'ennesima volta, strofinarsi gli occhi con la manica - "Calmati."

"Calmarmi." - replicò, tirando su con il naso - "Bella parola. Mi dici come faccio a calmarmi?"

"Puoi iniziare pensando che Angel farà in modo che il Consiglio non sappia…"

"Il Consiglio! Io penso che il Consiglio sappia dove sono. Non è quello… è che io non posso credere…"

Non riusciva proprio a calmarsi. La voce le usciva a singhiozzi.

Arrabbiata per tutte quelle lacrime si sedette su un gradino. Piangendo, incontrollabile.

Spike, con un sospiro, le si sedette a fianco. Si accese una sigaretta.

Poi, con espressione di rassegnata intolleranza, se la strinse sul petto, stringendola con un braccio.

Continuando a fumare sopra la sua testa e fissando le stelle sopra le luci della città.

 

Le ci vollero pochi minuti per calmarsi. Respirò a fondo e si raddrizzò.

Spike si guardò tristemente la camicia di seta. Con delle vistose macchie salate.

"Ecco cosa capita a fare i consolatori…" - gemette.

"Bhe." - Faith si strofinò ancora la faccia, completando l'arrossamento - "Io ho i capelli che sanno di fumo…"

Spike la fissò, inarcando un sopracciglio.

Ma Faith gli sorrise. Tristemente.

"Grazie." - le sfuggì in un sussurro.

"E di che…" - Spike chinò un po' il capo e propose - "Senti, visto che la nostra serata è stata già tutta una rissa, io direi che potremmo evitare di cercarci altri guai."

"Cosa proponi?"

"Un tetto ed un paio di birre."

"Spike." - spiegò Faith pazientemente - "guarda che se andiamo vedere le stelle.. guardiamo solo le stelle."

"Lo so." - mormorò il biondo con un'espressione vagamente delusa - "Ma la mia nuova etica prevede anche che io non approfitti delle fanciulle in difficoltà. Il che ti mette al sicuro. Credo."

"Credi?" - Faith sembrava farsi forza.

"Spero…"

 

Guardavano sul serio le stelle.

Stavano sdraiati sul cemento nudo.

Erano in due. Ma di birre Spike ne aveva comprate quattro.

Qualcosa gli diceva che ne avevano bisogno.

Quattro birre.

Un pacchetto di sigarette.

Una stecca di cioccolata.

"Cioccolata?" - domandò faith.

"Dicono che sia un toccasana quando si è depressi…" - replicò Spike, spaccandone un pezzo.

"Lo dicono o lo sai?" - lo punzecchiò la ragazza, addentandola direttamente senza aspettare risposta.

"Tu pensi che si possa vivere con gente del genere senza finire con il farsi di dolci? Non fate altro che mangiare biscotti! A me piacciono i dolci, ma non in questi quantitativi industriali!"

"ma lo sai che quando ti lamenti si sente di più l'accento?"

"Soprattutto quando mi arrabbio."

"E sei arrabbiato, adesso?"

"Io sono furioso. Non arrabbiato. Furibondo. La cosa che odio di più è la stupidità." Faith non rispose. Non si sentiva all'altezza di una risposta che non suonasse come una polemica.

"Non… non volevo andasse così. L'avessi saputo…"

"Sentiamo… cosa avresti fatto? Fuga? Lotta? Discussione?"

"Non lo so."

"Faith, mi dici che ti succede? Facciamo un gioco, facciamo finta che io non fossi presente. Dimmi cosa ti è successo."

E visto che faith esitava, guardandolo dritto negli occhi, aggiunse:

"Ciao Faith! Sono stato a spasso tutta la sera. Ehi! Ma che brutta faccia! Dimmi! Cosa ti è successo? Hai trovato Wes con i tuoi vestiti addosso?"

Faith scoppiò in una risata e le lacrime le rispuntarono negli occhi.

Fece un bel respiro e…

"Ciao Spike." - cominciò incurante - "Ho avuto una serata schifosa. Stavo…"

Stavo…

Non stavo facendo niente di male. Ma le storie su di me non dicono mai così.

"Stavo bene." - la sua voce era cambiata - "Stavo a casa mia, con i miei amici. E sparavamo scemenze, aspettando Cordelia. Angel aveva detto che veniva di ronda, stasera, anche se sapevo che aveva un altro caso di cui occuparsi. Ed ero… contenta. Mi capita raramente di fare la ronda con qualcuno. E quando Cordelia finalmente è stata pronta, Angel si è alzato, infilandosi la giacca.

Ed io non ho resistito. Gli sono saltata sulla schiena. Non si può abbracciarlo senza un motivo, questo l'ho imparato. Mi sembrava qualcosa di molto simile ad un abbraccio. Per cui gli ho stretto il collo.

Penso che lo sappia.

Ma non importa.

È un gioco.

Per cui non mi ha fatto scendere. Ha continuato a camminare e siamo arrivati nell'ingresso."

Faith iniziava sul serio a dimenticarsi come Spike fosse stato presente.

"Ed è entrata Buffy. Sul momento ho pensato di avere un'allucinazione. Come quando in un incubo appare qualcuno che conosci e non capisci come possa essere finito nella tua testa. Mi guardava. Ed ho sentito il suo odio.

Non mi è piaciuto.

Perché non me lo ricordavo.

Penso si sia ricordata più velocemente di me tutto quello che ho fatto l'ultima volta che ci siamo visti. È che… non ci pensavo più, da tanto tempo. Faccio di tutto per diventare una persona migliore, per non ripetere i miei sbagli…" - si asciugò una lacrima. Si sentiva una nullità.

"Ma a Buffy non importava cosa avessi fatto in tutto questo tempo. Ho provato il desiderio di dirglielo, di spiegarle cosa avevo capito. E lei non mi ha lasciato tempo.

Se angel non ci avesse separate, probabilmente ci saremmo picchiate. Te lo giuro, Spike, non avrei mai alzato un dito per prima. Le ho fatto troppi torti, per fargliene ancora. Ma non pensavo che Angel mi difendesse in quel modo.

Ho sempre creduto che, il giorno in cui ci saremmo incontrate di nuovo sarebbe stato difficile, ma saremmo state solo io e lei.

Non avrei mai pensato che venisse coinvolta così tanta gente.

Soprattutto…

Non avrei mai voluto mettere Angel e Buffy uno contro l'altro. Non è giusto.

Accidenti, adesso so pure cosa è giusto e cosa no…

Buffy si è messa ad urlare. Ed io me ne stava ferma dietro Angel, non sapevo cosa fare.

Per un attimo ho pensato che Angel avrebbe…"

Si interruppe.

Si vergognava di quel pensiero fuggevole. Ma era vero. E faith cercava disperatamente una motivazione che facesse sembrare meno tremenda quell'idea.

"Avrebbe cosa? Ti avrebbe sbattuto fuori per compiacere Buffy? No, magari non è molto diplomatico, ma cerca sempre una mediazione…"

Faith annuì.

"Quello che ha fatto non è stata proprio una mediazione. L'ha picchiata, Spike. Angel ha picchiato Buffy per colpa mia… io non pensavo che arrivassimo a tanto. Buffy ha ragione per molte cose, io…"

"Tu cosa. Hai un passato da cattiva? Pure io. Pure Angel. E allora? Hai rimorsi? Ne ho anch'io. E Angel ne ha per due. Pensi che ciò che hai fatto gli sembri così grave? Faith, non per sminuirti, ma io ammazzato per più di un secolo ed ho amato una delle più grandi pazze furiose della storia. Che tutto sommato amo ancora." - ammise - "Ed Angel… è meglio che non dica di cosa sono fatti gli incubi di Angel. Buffy può dire, credere e pontificare tutto quello che vuole. Ma questo non toglie che Angel non si metterà a fare marcia indietro.

E se solo pensa di farlo. Westley lo impaletta."

Faith non diceva più nulla. Lo ascoltava, in silenzio, senza perdersi una parola.

Spike le porse la birra, stappandola.

"L'osservatore stravede per te. L'eroe dal lungo mantello stravede per te. Pure quel demone con la faccia tinta pistacchio ha un debole per il tuo spirito. E tu stai sul tetto con un vampiro biondo ossigenato che… stravede per te.

Vuoi continuare a preoccuparti?"

La frase non conobbe prosecuzione. La bocca di faith era già dentro quella di Spike.

Aveva afferrato la bottiglia, ma non era stata la birra ad andare verso Faith.

Esattamente l'opposto.

Spike ricambiò, si nutrì dello slancio di Faith, con un brivido. L'afferrò per le braccia e si tirò a sedere.

Le passò le mani sui capelli e la baciò ancora.

Prima di fermarsi, ansimante, con gli occhi sbarrati.

"Dannazione." - mugolò. Le strappò la birra di mano e bevve, vuotandola in un sorso - "Non prendermi così alla lettera, per piacere!"

Faith non lo guardava già più. A carponi, frugava per terra, cercando le sigarette, in mezzo alle loro giacche.

Le trovò e ne accese una, alzandosi in piedi e camminando nervosamente in cerchio. Una mano alla testa, una per la sigaretta.

Anche faith aveva il respiro affannoso ma, in più, un bellissimo rossore sulle guance. "Non so nemmeno se devo chiederti scusa." - sbottò, avvilita - "Passiamo mesi a punzecchiarci e …"

e…

e cosa, dannazione.

Eravamo d'accordo che avremmo guardato solo le stelle

Faith, ti prego, dimmi qualcosa!

"Faith" - prese un respiro e decise di provare a comportarsi da pluriadulto. Cribbio Angel, potevi insegnarmi almeno questo - "Faith, senti. Ci siamo fatti prendere la mano. È… è colpa di Buffy che piomba qui e risveglia, a quanto pare, il peggio di tutti noi! È capitato, potrebbe ricapitare ma…"

"Ma non significa niente?"

Spike non sapeva cosa dire.

"Quale sarebbe la risposta che potrebbe deluderti? " - si sorprese a chiedere.

"Una bugia sarebbe l'unica cosa che potrebbe farmi male!" - esclamò lei - "Sigaretta? Per un pelo, ci siamo fermati per un pelo…"

La verità? La verità…" - ma non potevi accontentarti di meno? - "Mi piaci, mi piaci molto, per giunta sei una cacciatrice. Baci bene, baci troppo bene e… e non ti amo.

Va bene così?"

"Perfetto!" - respirò un'altra boccata con aria stranita - "Uguale anche per me. Siamo a posto. Prevedi ricadute?"

Spike la guardò, dal basso verso l'alto.

Aggrottò la fronte e…

"Oh, cazzo, sì!"

 

Ma di ricadute, almeno per quella sera, non ce ne furono.

A poco a poco si calmarono gli ormoni di entrambi. Quelli di Spike ancora sdraiato a terra e quelli di faith, seduta sul cornicione.

Ad un certo punto, si ritrovò a fianco il vampiro.

Sigarette, cioccolata e birra erano finite, ma non bastate a calmarli.

"Faith, perdonami se te lo chiedo ma…"

"Abbiamo rovinato tutto?" - lo interruppe lei, smettendo di dondolare le gambe nel vuoto.

"Io penso di no… tu pensi di sì?"

"Non credo… non me lo chiedere, per piacere. Mi sento così stupida." - aggiunse, sdraiandosi, con la giacca di Spike dietro la nuca.

E Spike, deliberatamente le si sdraiò a fianco.

"Guarda che ci sono donne che darebbero l'anima per baciarmi." - puntualizzò.

"Io sono Faith, non una delle fantomatiche donne. Ed ho la pessima abitudine di baciare, quando sono arrabbiata."

"Sei arrabbiata? Credevo fossi triste."

"lo sono. Ma sono arrabbiata, anche. Non mi voglio arrendere e Buffy, per un attimo, stasera, mi ha dato l'impressione di aver fatto tutto inutilmente."

Erano sdraiati nella stessa posizione. Fissavano il cielo, con le mani intrecciate sullo stomaco.

"Pazzesco." - mormorò Spike e faith si girò a fissarlo.

"pazzesco cosa?"

"La coppia che saremmo. Angel avrebbe un travaso di bile. Oppure una crisi nervosa." - spike si girò e le loro teste si trovarono nuovamente molto vicine - "Angel ha ucciso Darla per me e picchiato Buffy per te. Siamo dei veri fenomeni…"

"Già." - Faith sospirò, tornando a fissare le stelle - "Ed in entrambi i casi non gli avremmo mai chiesto di farlo."

"Ma lui l'ha fatto ugualmente." - sorrise Spike - "Non possiamo farci nulla. È fatto così, dobbiamo tenercelo. E quel che è peggio è che lui dovrà tenersi sia te che me…"

 

Angel avrebbe dato tutto il cuore per cavarsi fuori da quella situazione.

I mesi di indecisione passati a fianco del telefono non rendevano più semplice il discorso. Soprattutto perché mai, in quelle lunghe elucubrazioni mentali, la voce di Buffy era risuonata così forte, con la sua opinione.

Adesso, nel salone del pianoterra, la voce di Buffy risuonava forte. Come le sue idee. Faith, vista con i suoi occhi, era un abominio a cui Angel non credeva.

Non credeva ad una sola parola che buffy gli gridava in faccia.

Credeva solo al desiderio di baciarla, di chiederle perdono per quel livido che già le scuriva la guancia. L'aveva colpita per istinto.

Aveva pensato alla sua Faith tanto spaventata dalla disapprovazione. E aveva alzato la mano per contrastare una mano già alzata.

Forse era quello il loro problema. Vivere violentemente in un mondo troppo violento. Non conoscere pace, ma solo destino, vocazione.

Nemmeno l'amore era contemplato.

Ma c'era.

Buffy urlava contro di lui. Ed a poco a poco faith assumeva un ruolo marginale nel discorso.

Buffy era arrabbiata con Angel. Per essere stata abbandonata. Perchè era stato capace di abbandonare lei e non Faith.

Perché le aveva mentito.

Perché tutto le gridava la scelta di Angel.

"Allora." - scattò ancora, quando le sembrò di non avere più la sua silenziosa attenzione - "Quale dei due vampiri con l'anima si sta godendo maggiormente la Cacciatrice?"

Angel la fissò, con uno sguardo frammisto di sorpresa e tensione.

"Quale dei due, almeno questo voglio saperlo! Quale!" - aveva gli occhi pieni di lacrime - "Mi amavate entrambi così tanto da lasciarmi sola, non è vero? Hai portato via Spike da Sunnydale e le uniche notizie che siete stati così gentili da farmi avere sono state le lettere che riceve Dawn!"

"E' questo dunque il vostro concetto di amore? Da una cacciatrice all'altra? A turno?"

"Smettila. Sei ingiusta."

"Ah! Io sono ingiusta! E tu, tu cosa sei? Sei perfetto, silenzioso e profondo? Sei quello che sa e può sempre decidere per gli altri? Non ti sei interessato abbastanza a quello che faccio per avere ancora questo diritto. Potrei morire pattugliando il cimitero e tu lo sapresti come gli altri, troppo tardi. Eri l'unico..." - la voce le si spezzò - "Eri l'unico che riusciva a sapere ogni cosa, l'unico che c'era sempre. Non mi avevi mai mentito, prima d'ora. L'hai fatto per Faith. E mi trovi ingiusta…"

"Non servirebbe a nulla dirti che volevo solo evitare quello che sta accadendo, vero?"

"Non ha funzionato, Angel, mi dispiace. Hai sbagliato. Hai tradito la mia fiducia. Per una cacciatrice rinnegata che ha cercato di ammazzarti."

"Molta della gente con cui vivo ha cercato di ammazzarmi, in passato." - replicò, avvicinandosi - "E per quanto il passato conti nella nostra mente, non è abbastanza per lasciare Faith al suo destino. Mi ha chiesto aiuto. Non avevo un buon motivo per negarglielo."

"Non avevi nemmeno un buon motivo per negare a me una spiegazione…"

Era vero.

Angel lo sapeva.

Ma aveva ritenuto giusto farlo.

Le accarezzò le braccia. E, quasi senza volerlo, le loro fronti si toccarono.

"Buffy, io non posso cambiare ciò che ho fatto. L'ho fatto perché lo ritenevo giusto. Non voglio che il Consiglio la trovi, voglio che possa avere anche lei degli amici ed una famiglia, proprio come te. È così difficile da capire?"

"Tu l'hai fatto a me, Angel." - mormorò, resistendo al desiderio di abbandonarsi, chiudendo gli occhi - "Potevi farlo a chiunque.. ma è a me che non hai detto la verità. È da me che hai difeso faith. Non dal Consiglio."

"Tu puoi farle male quanto loro…"

si allontanò, come se si fosse scottata.

"E' giusto, ma non pensi quanto male possa aver fatto lei a me! Questo non è così importante, vero, Angel?" - riusciva a piangere senza che i lineamenti ne fossero stravolti. Lacrime di rabbia - "Hai creato una bella corte, complimenti!"

"Non una corte. Una famiglia." - rispose Angel, ferendola ancora. Una famiglia senza di te.

Senza di te, che amo sopra ogni cosa.

Era abbastanza.

Buffy gli girò le spalle, lasciandolo sconfitto.

Per aver scelto una cosa giusta.

Uscì dalla stanza, ed il motivo per cui era venuta, Angel non lo seppe mai.

 

E sulla porta, rispondendo ad un copione indecifrabile, trovò Spike.

E Faith.

La guardò fissa, desiderando ferirla.

"Per me sei morta. Con tutto quello che di marcio rappresenti."

Sarebbe voluta correre lontano.

Ma c'era ancora qualcuno che doveva affrontare.

Qualcuno che stava appoggiato alla porta, per sbarrarle la strada.

"Dobbiamo parlare, Buffy." - la voce di Spike era acciaio - "Subito."

Le indicò le scale. E Buffy, inspiegabilmente si avviò, senza un commento. Spike sfiorò le dita di Faith e le diede un bacio fuggevole alla tempia, approfittando di non essere visto. Lasciandola sola al centro del grande ingresso.

A fissare Wes, seduto nella penombra, invisibilmente.

 

 

III

Buffy lo precedette su dalle scale, fermandosi ad aspettare sul pianerottolo. Spike, con ampio gesto della mano, le indicò una porta.

Quella della sua stanza e poi, mentre già lei lo fissava irritata, alla vista del letto sfatto, quella dello studio.

Prendendosi la briga di non sbattere la porta, mentre la ragazza, a braccia conserte, si fermava al centro della stanza.

"Bella cameretta." - commentò acida - "E non ti manca la cripta?"

"Continua pure." - la smontò lui, impassibile - "E' l'arrabbiatura più stereotipata a cui abbia mai assistito. E dimmi, come sarebbe dovuta proseguire? Uscendo e correndo per strada, con gli occhi pieni di lacrime? Arrivare a Sunnydale e precipitarsi a casa a piangere con la faccia sepolta nel piumone? Ti prego…"

"L'anima non migliora il tuo carattere…"

"Sbagliato. Sono le stronzate e i capricci che mi rendono così piacevole."

"Certo." - Buffy cercava disperatamente di sfuggire al suo sguardo - "Se hai qualcosa da dirmi, fallo subito."

"Tesoro, non sono io che mi sono precipitata a Los Angeles. Per cui dimmi che avevi bisogno."

"Non ho bisogno del tuo aiuto."

"Allora cerca di accontentarti. Perché, se hai un minimo di decenza, questa volta faresti bene a non chiederlo nemmeno ad Angel. E non voglio sapere cosa gli hai detto."

"Non è stato uno zuccherino nemmeno lui." - si difese infantilmente la ragazza. Mordendosi subito le labbra.

Spike la fissò ed il sorriso che gli spuntò sulle labbra non celava niente di amichevole.

"Sì, certo. Povera piccola Buffy che arriva qui e viene subito ferita."

"Ma ti senti quando parli? Non sono io che ho tenuto nascosta Faith ad Angel."

"Certo. Allora non gli hai mai nascosto nulla. Magari non gli hai mai nemmeno mentito. Vero buffy? Nemmeno una volta."

"Ma che vuoi! Non sai niente di me ed Angel. Cosa vuoi Spike?"

"Una volta" - spike si accese una sigaretta facendo schioccare l'accendino - "Uno volta volevo te. Del resto non mi importava. Con sano egoismo, volevo la donna di Angel. Per tormentarlo, per fargli capire che l'anima non era più del sesso. Anzi."

Adesso Buffy iniziava a capire dove si andava a parare.

"Faith ha fatto lo stesso. Ha cercato di portarti via Angel. Per dimostrarti che il buonismo non è tutto. Risultato? Io e lei ci sbagliavamo. Allo stesso identico modo. Ma vedi, io che non so nulla di te ed Angel, una cosa la so: Angel non ha ceduto a Faith. Ha finto, ma non ha ceduto."

Si avvicinava pericolosamente.

"E tu, Buffy." - sillabò, chinandosi per sussurrarle ad un orecchio - "Che scusa hai per non essere stata altrettanto forte?"

Non aveva bisogno di girarsi per vederla piangere. Non aveva bisogno che la sua coscienza urlasse troppo, per sapere che le stava facendo male.

"Mi dispiace, Buffy." - aggiunse - "Ma mi domando come la tua anima ti permetta di dire quello che hai detto. Soprattutto quando, alla resa dei fatti, sai benissimo quali sono i tuoi torti."

"Cosa ne puoi sapere tu!"

"Io? Ne so quanto Angel. Non ci vuole molto per farsi il callo. Solo che io e lui siamo diversi. Anche se con un'anima, io posso permettermi di sbagliare. Lui, a quanto pare, non può concedersi lo stesso lusso. Non credi?"

"Perché mi fai questo?"

"Perché è ora che ti entri in testa che non si da' la bacchetta sulle mani alla persona che si ama. Perché Angel fa le sue scelte difficili come te. Credi che sia stato facile proteggere Faith in tutti questi mesi?" - iniziava a perdere le staffe e cercava di controllarsi - "credi che lui e Wes non abbiano mai avuto scontri con quelli del Consiglio? Credi sia facile proteggere faith da tutto questo? Credi che sia facile vivere qui solo perchè non c'è la Bocca dell'Inferno nello scantinato? Buffy, guardati intorno, quando esci da quella porta. Sei a LA, non sai nemmeno quanto male si annidi dietro ogni angolo."

Si interruppe. Si passò una mano sulla fronte e proruppe in un'ultima frase.

"Avanti, dimmi che vuoi."

Buffy teneva lo sguardo basso, sulle braccia conserte.

"Ho detto a Dawn che venivo a vedere come stavi. E per avvertirti che è arrivato colui che la stava cercando."

Spike sedette sul bordo della scrivania e buffy si voltò a guardarlo. Si era levato la giacca ed aveva lunghe cicatrici irregolari sulle braccia. Buffy le guardò, poi Spike celandole alla vista la invitò ad andare avanti.

"Si chiama Glory. E pare che sia un dio. Non sappiamo altro. Facciamo di tutto per trovarla ma, a meno che non sia lei a fare la prima mossa, è un buco nell'acqua dietro l'altro. Cerca la Chiave."

"E sa già dove si trova?"

"No. Per il momento non lo sa. Non so per quanto ancora…" - Buffy sembrava riacquistare forza - "mi sembrava giusto avvertirti. Se le cose degenereranno, vorrei che tu la proteggessi. O almeno ci provassi."

"Non c'è problema." - ribattè Spike - "Verrò io, oppure, se preferisci, potrai mandarla tu qui."

Buffy annuì.

"Resterà tra te e me?"

Spike la squadrò ancora.

"Mi sembra il minimo."

"Bene, bene." - buffy gli guardò ancora le braccia -"Cosa ti è successo…"

"Ti interessa sul serio?" - la provocò il vampiro, allungando le braccia e contemplando le lunghe cicatrici - "Vediamo, da dove cominciare? Mi hanno lacerato i polsi per dissanguarmi, appeso come un animale al macello ed utilizzato come bersaglio. Mi hanno quasi paralizzato e ridotto ad un vegetale"

"Loro chi?" - deglutì Buffy, improvvisamente pallida.

"Loro. Chi se no. I miei simili" - spike le sorrise, apparendo più cattivo di quanto non si sentisse - "Non lo sai, forse. I propri simili possono essere i nemici peggiori. Sembrano amici e poi… puff! Un attimo prima Darla e Dru erano le due donne più importanti della mia vita. E, un attimo dopo, le peggiori carnefici che abbia mai avuto."

"Sono state loro due?"

"Più una trentina di altri pupilli di passaggio. Non sai che c'è l'amore libero tra i vampiri? Più la quantità, che la qualità. Così sono sopravvissuto." - gli sembrò il momento per calare di nuovo la scure - "Del resto, noto che funziona così anche nei rapporti tra cacciatrici."

"Non paragonarmi a faith!"

"E perché no. I suoi guai sembrano proprio essere iniziati a furia di essere paragonata a te. Faith, sii un po' più come Buffy. Faith, sii amica di Buffy che è una buona amica… Faith, perché non sei buffy? Che potevi aspettarti, se non che l'unico mentore che abbia mai avuto le lasciasse in eredità un marchingegno per divenire te?" - Spike sedeva con le gambe a penzoloni - "e tu non vuoi che io accomuni te e Faith? Certo, non avete niente in comune. Ma, ora come ora, mi viene da dire una sola cosa: Buffy, perché non hai cercato un dialogo come ha fatto faith? Perché ti sei impegnata subito a cavarle gli occhi?"

Ogni colpo andava a segno. Con impeccabile maestria, Spike apriva una breccia nel cuore di Buffy. Lacerava le sue certezze, senza rimorso.

E non diceva nulla che non fosse verità.

Buffy non aveva più veleno con cui ribattere. Quello scontro con Angel, fatto più di urla che di parole, l'aveva lasciata senza forze. Insicura, sul fatto di aver detto veramente qualcosa di giusto. Di importante.

Solo cattiverie. Pure cattiverie senza sostanza.

Parole che avrebbe presto dimenticato, serbando solo il ricordo di occhi scuri tristi e mani fredde.

"Spike… io…"

"Non mi chiedere cosa fare. Perché non ho nessuna intenzione di risponderti. Io non sono Angel, non lo sarò mai. Mi hai apostrofato con questa frase così tante volte che non ho difficoltà a ricordarmelo. So che Angel non dimentica, ma sa perdonare. Come so che non scenderai quelle scale per andare a parlargli. E non proverai nemmeno a capire perché Angel voglia proteggere Faith da te."

"Non posso ucciderla, se è quelli che credi. E non intendo denunciarla."

"Non c'è bisogno di denunciarla. È opinione diffusa, qui dentro, che sappiano benissimo che Faith è protetta da Angel." - Spike sorrise ancora, scotendo la testa - "E quanto ad ucciderla, ci sono molti modi per farlo, che vanno ben oltre la sana violenza."

"Certo, solo un assassino come te può parlare di queste raffinatezze." - scattò ancora Buffy. Dimenticando di nuovo l'anima pulsante che gli batteva in petto.

Non sapendo chiedergli scusa.

"Buffy, Buffy… tu non impari mai. Ed è un peccato che l'amore che Angel ha per te sia così forte. Ed è un peccato che la sua anima sia così facile da lacerare."

Sembrava trovare la cosa divertente, nel fissarla.

Un altro prolungato sorriso.

Solo per lei.

Un'altra condanna.

"Il tuo era un amore effimero, invece…"

Era una domanda che non si aspettava. Non era nemmeno una vera domanda.

"che importa, Buffy."

"Io ti ho baciato perché pensavo fosse vero!" - esclamò, disperata.

"Buffy, tu mi hai baciato amando Angel. Mi hai baciato per sentire il sapore del mio amore? Brava… ti è piaciuto?" - la sovrastava, nell'arrivare molto vicino alle sue labbra - "Hai sentito l'amore. Era vero. E non lo era. Puoi capirlo questo. Era amore. Amore per una Cacciatrice. Io le uccidevo per amore… ma se parli dell'amore vero e profondo… allora no. Era falso."

Le voltò le spalle e fissò il quadro dietro la scrivania.

"Io sono divenuto vampiro per amore, buffy. So bene di cosa sto parlando. Amore, amore vero…" - mormorò ancora, pensieroso - "Angel, invece, è divenuto vampiro per disperazione. E sa bene cosa possa essere il dolore. Tu, nella sua vita saresti potuta essere una seppur breve eccezione. Ma siete stati entrambi troppo innamorati dei vostri ruoli."

"Lui mi ha lasciato, Spike."

"E' vero. Lo so. Ma questo non è un motivo per affondare ancora la lama."

"Anche lui mi ha fatto soffrire." - ribatté ancora, testarda - "eppure tu continui a difenderlo."

"Io, buffy, sono stato il primo a sbattere sul muso ad entrambi la vostra impossibilità ad essere solo amici. Il primo che ha detto ad Angel che non avrebbe mai dovuto lasciarti,se ti amava sul serio. Ma non vanno così le cose. Riuscite ad accusarvi uno con l'altro, ma non potete cambiare. Rimarrete sempre quello che siete. Tu devi accettarlo."

"Solo io? Solo io devo capire?" - singhiozzò Buffy, chinando il capo.

"Se lui non avesse capito, non ti avrebbe mai lasciata." - mormorò Spike.

E Buffy, alzando lo sguardo di scatto, lesse nei suoi occhi l'impossibilità di dire altro. "Ci siamo molto allontanati da quello che volevo dirti. Ma forse è un bene. Fa' buon viaggio, Buffy. E abbraccia Dawn da parte mia."

Westley non aveva avuto molto da dire.l'aveva fissata senza dirle una parola, nemmeno dove fosse Cordy.

Poi, con gli occhi, le aveva indicato il salone dove, sporgendosi appena, avrebbe potuto vedere la schiena curva di Angel, gravata da quella che doveva essere stata un'interminabile guerra.

E faith si era lasciata guidare dall'istinto del suo osservatore.

Lasciandolo solo in un ingresso vasto e soffocante allo stesso tempo. Con una porta aperta sulla confusione del mondo.

"Angel…" - chiamò Faith, avvicinandosi. Angel le dava le spalle e si teneva una mano sugli occhi. Ma quando sentì la sua voce si girò, per sorriderle.

"Ciao bimba, andata bene la ronda?"

Angel le sorrideva. E Faith non sapeva come rispondere. "Scommetto che William ti ha convinto a d andare a bere qualcosa, per distendere i nervi." - la tormentò.

E per faith fu troppo.

Non le importava nulla se Buffy li vedeva.

Percorse in pochi metri che ancora li separavano e gli si gettò tra le braccia.

"Faith." - lo udì sospirare, mentre ricambiava l'abbraccio - "Siamo molto bravi a complicarci la vita, tu ed io, vero?"

"Mi dispiace Angel." - sperava di non mettersi a piangere - "non volevo che tu e Buffy litigaste per colpa mia. Mi ha colto di sorpresa."

"Va bene ugualmente… prima o poi l'avrebbe scoperto. Speravo anch'io… bhè, non escludevo che la prendesse proprio in questo modo…"

"Avete litigato, vero?"

"Temo di sì. Adesso è salita con William, cercherò di parlarle quando scende."

Povero Angel.

Disposto a tutto pur avendo ragione.

"Anche se penso che non vorrà saperne."

"ti prego… non poniamo limite alle risorse di Spike." - sorrise faith per incoraggiarlo.

Angel la guardò, cercando di vedere la ferita che le aveva provocato quell'ultima frase di Buffy. e vide ancora la forza che quella povera ragazza emanava, la capacità di risalita che sembrava non perdere mai.

Vide le lacrime che sembravano non scendere mai.

Vide la violenza che si faceva per non cedere ancora.

E le accarezzò una guancia.

"Sai che Spike è una buona spalla su cui piangere?" - disse Faith, deglutendo, per non inondare di lacrime un'altra camicia - Non siamo andati troppo lontano. Siamo andati a vedere le stelle.."

"Dove?"

"Qui sopra… sul tetto. Siamo passati dall'antincendio. Con birra, sigarette e cioccolata." - sorrise faith.

"E dimmi, faith." Angel alzò un sopracciglio con fare indagatore - "Le avete viste le stelle?"

Faith sentì un vago rossore diffondersi sulle guance. Lei ed Angel erano ancora abbracciati. E Faith, per vederlo meglio in viso, si era inarcata leggermente indietro, puntandogli le mani sul petto.

Abbracciata con Angel… non era cominciato tutto così?

"Ne abbiamo viste parecchie…" - rispose, tra l'innocente e l'evasivo.

Angel non sembrava volerla lasciar andare. C'era qualcosa…

"Angel, che cos'è che vuoi dirmi." Lo incoraggiò.

"Quello schiaffo. Non è stata colpa tua, Faith… in quel momento mi è sembrato aver un buon motivo per farlo. E, per quanto non abbia aiutato la mia situazione, non sono certo di esserne pentito."

Faith si scostò. Si allontanò e si sedette sul divano, raccogliendo le ginocchia contro il petto.

L'umidità della notte aveva reso ancora più ondulati e selvaggi i suoi capelli.

Gli occhi brillanti la rendevano simile ad una tigre in gabbia.

Fiera e forte. Ma in gabbia.

"Non posso crederti, Angel. So perché mi hai detto una cosa del genere. Ma non è vero. L'hai fatto perché era giusto per me. Non per te. Ricordi? L'hai detto tu, quando io ti ho detto che la morte di darla ricadeva sulle mie spalle, non sulle tue. Io ho ucciso per te e tu per Spike. Tu hai picchiato Buffy per me. Non conta chi l'ha fatto, ma per chi. Non mi mentire, ti prego."

Angel abbassò il capo, rimanendo in silenzio.

Poi in un sussurro ammise.

Sì faith.

L'ho fatto per te.

E perché era giusto.

Non mi importa come mi sento.

Passerà anche questo.

Nella gamma delle cose che ho fatto non è neanche tra le peggiori.

Anche se mi peserà, l'ho fatto per un buon motivo.

Un buon motivo che non ho sempre avuto, nelle mie azioni.

E questo, bambina mia, dovrà bastare ad entrambi.

"Basterà, Angel. Basterà." - rispose Faith, lasciando che una lacrima perfetta le rotolasse lungo la guancia.

 

I tacchi di Buffy risuonarono appena, lungo i gradini.

Angel alzò lo sguardo e Buffy si fermò a metà della rampa.

Per guardarsi.

Per imprimersi uno nella mente dell'altro.

Come erano.

Come erano stati.

E come sarebbero potuti essere, se Buffy avesse percorso gli ultimi gradini correndo fino a raggiungere le sue braccia.

Faith la vide nello sguardo di Angel.

E si alzò, per avviarsi alla porta, mentre buffy finiva di scendere le scale.

Come una sonnambula.

Come se ogni forza fosse ormai prosciugata.

Si fissarono.

Si guardarono cercando ciò che le rendeva simili.

Un cromosoma.

Un lineamento.

Un gesto.

Lo sguardo che solo Spike sembrava saper vedere.

Ed invece videro solo il dolore che sapevano provocarsi una con l'altra.

Senza speranza alcuna.

Non avevano voce e non avevano corpo. Erano solo due forze fatte di luce, separate da un'ombra che nessuna delle due poteva colmare.

Separate dall'oscurità che sembrava circondarle e celarsi dentro di loro.

Due Cacciatrici in una stessa epoca. Fatte per farsi male.

Incapaci di convivere, incapaci di attrarsi. Come due poli uguali. Ugual forza. E capacità di respingersi ad oltranza.

Un muro.

Un muro tra due anime affini.

Due strade quando ce ne sarebbe dovuta essere una sola.

 

Si guardarono, senza cercare altro.

O qualcosa.

Che desse un perché a tutto.

Alle domande che non si sarebbero mai potute fare.

Alle risposte che non sapevano di poter dare.

Si sarebbero separate.

E sarebbe stato per sempre.

 

Westley si alzò e camminò fino alla balaustra. Vi appoggiò una mano e la guardò entrambe in faccia.

Westley, nel bene e nel male, sapeva.

Ed annuì, nello spostare lo sguardo da una all'altra.

Non si dissero nulla.

E non dissero nulla a Buffy, quando questa passò tra di loro ed uscì.

 

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Capitolo 11
*** 11.The Gift ***


The Gift

 

I personaggi delle serie "Angel" e "Buffy, the vampire slayer", appartengono a Joss Whedon, la WB, ME e la Fox, l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

 

E Cordy lo stringeva forte.

Cordy.

Angel la guardò sorpreso. Da quanto era lì?

Gli baciava la fronte e lo stringeva, lasciando che seppellisse intimamente il capo sul suo seno, impregnandolo di dolore. Dando le spalle a Doyle, che li sovrastava entrambi.

Non poteva spiegare cosa sentisse. Non poteva spiegare la rabbia che provava contro il suo cuore, quello stramaledetto cuore morto da secoli che non voleva smettere di battere. Che non aveva smesso di battere quando quello di Buffy si era fermato.

Spike era partito all'improvviso, afferrando il giaccone e sfrecciando verso il fondo della strada senza una parola. Nel cuore della notte, a metà di una discussione e di una ronda, Spike aveva risposto al cellulare.

Il colore dei suoi occhi era cambiato, i suoi lineamenti erano mutati, mentre fracassava con un solo pugno la prima cosa che gli capitava sotto mano.

Angel e Faith l'avevano guardato con un misto di sorpresa e preoccupazione. Spike aveva girato loro le spalle, parlando al telefono, tacendo ed ascoltando.

Furioso.

"Devo andare." - aveva comunicato, asciutto, camminando spedito verso l'Hyperion. Angel aveva provato a fermarlo, ma Spike aveva preso la moto e, impennando, ormai un tutt'uno con il suo mezzo, era sparito.

 

Sunnydale.

Da Briciola.

Perché Glory infine l'aveva trovata, attendendo e valutando dal buio e dal mistero, per quasi un anno.

Un nemico appena profilatosi all'orizzonte della Bocca dell'Inferno, poco prima che Spike se ne allontanasse, con l'ingombrante peso di un' anima che non voleva.

A nulla erano valse la sicurezza di Buffy, i calcoli di Giles e la magia di Willow.

Spike sfrecciava verso Sunnydale e sperava di arrivare in tempo. Anya gli aveva detto di muoversi, aveva poche ore prima di una possibile ed ottimale congiunzione astrale.

Anya.

Un altro demone capace di capire l'umanità.

Spike impennò ancora, per sfogare i suoi sensi troppo tesi, ed urlò, con rabbia, lungo una strada soprannaturalmente deserta.

 

"Westley… sono Giles…"

"Aspettavo una tua chiamata. Suppongo che Spike sia lì, sono quasi due giorni che non si fa sentire. Ho provato a chiamarti, ma le linee erano interrotte…"

"Wes, ascoltami…"

Un tono stanco, roco, come di chi ha urlato troppo a lungo. Wes aggrottò le sopracciglia e, a quella reazione, Angel fu subito a fianco del telefono, le mani sul mobile e Cordy alle spalle, come un'ombra.

"Wes, è successo qualcosa… ce la siamo vista brutta e… io avrei bisogno di parlare con Angel. E poi di nuovo con te."

Al grande Giles mancavano le parole. Wes ebbe una nitida visione di lui, nella sua posa più tipica, gli occhiali in mano, strofinandosi gli occhi. Arruffato ed impolverato, come uno sempre in trincea. Ma non riusciva a non vederlo, agghiacciante, con le guance solcate di lacrime.

Wes non parlò, allontanò il telefono, per porgerlo ad Angel e sedette, le mani giunte, a contatto con le labbra. Il suo cuore batteva forte, all'impazzata.

"Voleva parlare con Angel." - sussurrò a Doyle, in piedi di fronte a lui - "Non ha voluto dirmi cosa è successo… ed io ho paura."

Perché?

Perché quella sensazione, nata dalla voce di Giles? Cosa c'era che non andava, tanto da sconvolgerlo?

Spike… un pensiero che preferiva non formulare.

 

Il nulla, sembravano tutti impregnati di nulla.

Ed in mezzo a loro, Angel.

Muto.

Dallo sguardo vuoto.

Votato a sentire la testa riempirsi di parole atroci che Giles sussurrava da lontano, dritto nel suo orecchio.

Puntando al centro del cervello.

Colpendo.

Ferendo.

Uccidendo.

E nulla più.

E quando il flusso di parole si interruppe, Angel porse il telefono a Wes.

"Vuole parlare ancora con te." - mormorò.

Freddo. Non più un'emozione nella sua voce.

Cieco ai loro sguardi.

Sordo alle loro parole.

C'erano le scale da salire e, di sopra, la sua stanza, avvolta nel buio.

In cui aspettare la morte.

 

"Giles, adesso voglio sapere cosa è successo."

"Abbiamo subito una perdita." - replicò l'altro, stranamente narcotizzato, come se il suo dolore fosse colato in Angel lasciandolo svuotato di ogni cosa.

Spike….

Wes si aggrappò al ripiano e pregò che le gambe non cedessero.

"Si tratta di Buffy."

Buffy.

Non più una Cacciatrice.

Un'informazione, null'altro di un'informazione.

Un nome che qualcuno stava scolpendo già sulla pietra.

Un colpo.

"Aspetta." - si sorprese a dire, con fermezza Westley Whydam-price. Come se ci fosse qualcosa di più importante di una vita che si spegne.

Girò su se stesso, abbassando la cornetta e squadrando Doyle, con il gelo nello sguardo. Doyle, che aveva preferito attendere di sapere, anche se si era sentito dilaniare innanzi all'amico, alla sua espressione vuota.

"Vai di sopra, non perderlo un attimo di vista. È… è Buffy."

Lo vide sussultare e capire in un battito di ciglia. Anche il cuore di Doyle aveva temuto per Spike. ma ora sapeva che era centomila volte peggio.

Lasciò Cordy, e Faith, in piedi, annichilite e corse, corse, all'impazzata.

"Dimmi Giles, sono qui. C'è…altro?" - come se quello che aveva sentito non fosse abbastanza…

"Spike sta tornando a Los Angeles. Sarà lì a momenti. Ho faticato a prendere la linea." - come se potesse importare ad entrambi dell'interruzione del servizio telefonico - "Ti dirà lui i particolari."

I particolari? Cosa c'era che non si poteva dire a telefono? Buffy era morta.

Esisteva ancora il mondo?

Oh sì. Esisteva. Proprio perché Buffy era morta.

Non c'era altra spiegazione scientifica per un sole che sarebbe ancora sorto.

"E' stato con Dawn fino a poche ore fa, ha detto che tornerà qui. Ma doveva venire a Los Angeles…" - tacque, perdendo il filo del discorso.

"Avete bisogno di aiuto? Rupert, qualsiasi cosa.." - Wes scivolò a sedere, con un tono confidenziale, reso spesso dalla tragedia. Voleva che Giles sapesse quanto capiva il suo dolore.

"No, no, io penso che possiamo cavarcela…Westley, Angel…"

"lo so. Non te ne preoccupare." - non poteva dire nulla. Nulla più del detto.

E, senza un saluto, interruppe la chiamata.

 

Attese. Attese, seduto su un gradino, con Faith a fianco e Cordy tra loro.

Nessuno sembrava potersi avventurare di sopra, nessuno sembrava avere la forza di accettare quell'informazione essenziale e comune nella vita umana.

Buffy era morta.

Buffy, che nella loro vita aveva assunto più forme.

Buffy che alla fine era stata solo una Cacciatrice.

Non amante, madre o figlia.

Solo una Cacciatrice, tra le braccia della morte, alla fine dei suoi doveri. Laddove forse cominciava l'umana vita.

Laddove forse sarebbero potute finalmente esserci le braccia di Angel.

Cordelia, tra loro, era fatta delle lacrime che non sapevano versare né l'Osservatore, né la Cacciatrice.

Di lacrime che non si spiegava. Per la morte di una ragazza forgiata di sano egocentrismo, di forza muscolare, predestinazione e amore.

La ragazza a cui tutti dovevano la vita, con riconoscenza e sorpresa. La ragazza che era dovuta sparire, per far capire la sua essenzialità, nascosta sotto una scorza di capelli biondi e pugni ben assestati.

In silenzio, attendevano il testimone.

Attendevano, lasciandosi avvolgere dal torpore che solo il gelo di un amore perduto poteva diffondere. Nessuno di loro poteva essere Doyle. A nessuno di loro era permesso condividere con Angel il peso di essere sopravvissuto.

Sopravvissuto a Buffy. Da sempre era stato pronto ad un'evenienza del genere. Si era nascosto dietro quei duecentocinquant'anni di differenza per non soffrire ancora della perdita.

Ancora.

E ancora.

 

Il rombo della moto li investì come una scarica di adrenalina. Westley scattò in piedi e corse verso il garage, con Faith alle spalle.

Spalancò la porta e saltò i due gradini, nell'istante stesso in cui il motore si spegneva. Spike si stava sfilando il casco nero. Appariva stanco e tirato.

Posò il casco sul serbatoio, ma restò a cavalcioni del suo mezzo, fissandoli entrambi, con espressione immota.

"Lui dov'è?"

"Di sopra." - rispose Wes, prontamente - "Con Doyle."

Era uno scontro di titani. Mai, agli occhi di Faith, erano stati tanto freddi e duri, quasi metallici, nel loro accento.

Spike scese dalla moto, lasciando volteggiare il giaccone di pelle, portando fuggevolmente la mano verso il torace.

"Sei ferito?" - la vista di Faith, più allenata, non si era lasciata sfuggire la smorfia.

"Non è niente." - replicò secco Spike - "dobbiamo muoverci, voglio ripartire per Sunnydale entro stasera. Sono venuto a parlare con Angel, per sapere cosa intende fare."

Cosa intende fare… a parte morire?

"Hai informazioni per me?" - Wes sentiva in cuor suo di avere un compito da svolgere. E come unica debolezza aveva il desiderio di una conferma a ciò che già sapeva. La stessa debolezza di cui aveva avuto bisogno Doyle, un attimo prima di scattare al suo posto.

"Sì." - Spike gli passò accanto, con un cenno - "Entriamo."

"Ascoltami" - disse, privandosi rapidamente del giaccone, mentre Cordelia si avvicinava, come un automa.

Spike, senza neanche fermarsi pensare, la strinse tra le braccia, senza staccare lo sguardo da quello dell'Osservatore.

"La Chiave è al sicuro per il momento. È quel che è successo non è rimediabile." - proseguì implacabile, scavandosi da solo nel cuore una ferita già sanguinante - "E' a Faith che dobbiamo pensare. E in fretta. Di certo non può stare qui, è il primo posto dove verranno a cercarla."

Ma cosa…

Faith parve non capire, strinse gli occhi e fissò ancora il vampiro, il suo compagno di botte, l'impertinente, svanito per lasciare il posto ad un uomo forte e con l'acciaio nella voce.

"Lontano da me." - rispose Westley in un soffio.

"Soprattutto."

"Lorne?"

"E' perfetto. E con lei mandiamo Cordelia. La lascerà là e tornerà indietro."

"Frena, frena." - sbottò Faith, alzando le mani come per parare un colpo - "Cosa sapete che io non so."

"Sei la Cacciatrice, Faith. Lo sei di nuovo." - Wes si girò e sbattè le palpebre, prima di calare il colpo- "E' meglio una Cacciatrice rinnegata che una morta, per il Consiglio."

"Buffy ha disobbedito alle regole del Consiglio per salvare Dawn. Avrebbe dovuto ucciderla e non l'ha fatto." - spiegò rapidamente Spike, cercando di trarre forza da Cordelia, stringendola ancora, mentre gli si aggrappava al torace, con tutta la forza dei suoi singhiozzi.

Faith avrebbe voluto un abbraccio come quello di Spike. Ed egli, come se potesse capirla, anche senza parole, protese un braccio e l'accolse. La strinse, posandole la guancia sui capelli, avvolgendola con Cordelia nel profumo del vento che ancora gli impregnava i vestiti. Le strinse entrambe, parlando con lo sguardo a Wes, sopra le loro teste.

Parlandogli del pericolo e del futuro di Faith, delle scelte che avrebbero dovuto compiere prima del tramonto. Rendendo Wes partecipe delle sue intenzioni.

Stava sostituendo Angel.

Anche Faith, nell'istante stesso in cui posò il capo sulla sua spalla seppe, da dove traeva tutta quella autorità. Spike si comportava come Angel. Avanzava nella tormenta del disastro senza perdere di vista ciò che andava fatto. Si aggrappò a lui per un istante, come soleva fare con Angel, quando gli incubi della prigione ed i segreti mai detti le provocavano un brivido.

Non era tempo per discutere.

"Va bene. È passato." - assicurò, con voce ferma, guardandolo fisso negli occhi, notando per prima il dolore e la luce che vi brillava. Ed ignorandoli deliberatamente, tese una mano e carezzò la testa di Cordelia - "Cordy?"

"E' ok. E' stato un attimo."- si scostò, con gli occhi ancora pieni di lacrime - "da Lorne, allora?"

"Sì. Avrei voluto saperla prima lontano da qui, ma non era sicuro dirtelo per telefono." - aggiunse, rivolto a Westley - "Io devo andare di sopra, adesso. Verrete a Sunnydale con me?"

"Sì. Devo." - non voglio, ma devo. Ovunque sia adesso, merita un saluto ed un ultimo omaggio.

"Verrò anch'io, aspettatemi." - aggiunse Cordy.

Faith la seguì, in silenzio, poi salì le scale, senza fermarsi, fino a quando non fu innanzi al suo armadio, con una sacca da riempire tra le mani.

Qualunque cosa fosse successa, la strada di Faith sarebbe stata un'altra. Con Lorne, ma lontano da tutto. Anche dall'ultimo confronto con Buffy.

Dannazione, sorella mia, alla fine ci sei riuscita ancora…

 

Spike salì le scale, rapidamente.

Innanzi alla porta socchiusa di Angel ebbe un esitazione e, girando su se stesso, si diresse in camera.

Entrò, socchiudendo la porta, trattenendosi dal desiderio di sbatterla, appoggiandosi alla porta chiusa, con i pugni serrati. Gli occhi stretti, per ricacciare indietro lacrime che non poteva concedersi. Lacrime per l'amore non amore della sua vita.

Lacrime per una Cacciatrice che era morta senza che lui l'uccidesse. Che era morta donandogli un fuggevole sorriso, da portare lontano. Che era morta dando al vampiro sbagliato il sorriso di conforto.

Stupida, stupida, stupida ragazza. Fino all'ultimo.

E Spike avrebbe voluto soffrire per questa grande ingiustizia che faceva alla sua memoria. Per la sua incapacità, per non aver sfondato il muro della sua forza. La sapeva fragile e pronta a tutto, non aveva saputo difenderla da se stessa.

Non aveva saputo lanciarsi da quella torre un attimo prima.

La fitta al fianco lo colse di nuovo e lo piegò su se stesso. Era stata una ferita profonda, ci sarebbe voluto tempo perché si rimarginasse.

Ma doveva farlo come il suo cuore.

Urlando silenziosa, perché aveva compiti troppo grandi da affrontare. Aveva Angel.

E Dawn.

Cordelia.

Faith e Wes.

Aveva la famiglia sua e di Angel da tutelare.

E non poteva fallire ancora.

Attese un istante, raddrizzandosi, con gli occhi chiusi.

Le sue mani, automaticamente, compirono i gesti che Angel gli imponeva i primi tempi, quando il corpo vacillava sotto i colpi inferti dalla mente.

Aprire gli occhi e spalancare la porta furono un tutt'uno. E con ampie falcate, avanzò fino alla porta del suo Sire.

 

"Faith…" - Wes la fermò, mentre varcava la porta. Anch'egli aveva radunato poche cose e la sua valigia di pelle stava già pronta, alla base delle scale, quando Faith era finalmente scesa - "Aspetta, ho una cosa per te…"

Le porse una catenina e, senza aspettare il permesso, le cinse il collo, per armeggiare con la chiusura.

Faith strinse il ciondolo tra le dita e lo portò al viso, per vederlo meglio.

"l'aveva comprato per il tuo compleanno, ma poi mi è sembrato un regalo così da… Osservatore." - le sorrise, un po' tirato - "E' un simbolo in ambra. Serve a proteggere dagli spiriti maligni e demoniaci. So che, con il mestiere che fai, la croce cristiana è più appropriata, ma un po' di superstizione non guasta…"

Faith tenne nel palmo della mano quella piccola rosa dai baluginii dorati.

"E' bellissima, Wes, grazie. Non ho mai avuto nulla di tanto bello."

Lo abbracciò. Di impulso, protendendosi sulle punte, per cingergli il collo, sentendolo chinarsi e sollevarla da terra, appena, per ricambiare.

Strappandole un sorriso.

"Non importa se adesso per loro sei una Cacciatrice." - le sussurrò,in un orecchio - "Per me lo sei sempre stata. Ed essere stato il tuo Osservatore, per breve tempo e commettendo un sacco di sbagli, è comunque stato un grande onore a cui non ero pronto."- la rimise giù, quasi con rimpianto.

"Cordy mi ha detto di dirti che è pronta." - aggiunse - "Stava cercando di ricomporsi un poco. È arrabbiata, non voleva piangere così tanto."

"Le ha fatto bene. Qualcosa mi dice che per lei non è ancora finita."

Anche Cordelia, come Faith, aveva sempre temuto il confronto con Buffy. Anche lei non sarebbe mai voluta tornare a Sunnydale.

Il posto in cui non aveva potuto essere altro che una bella ragazza stupida, per essere qualcuno. Ed aveva paura di tornare, di farsi vedere da occhi sempre uguali, incapaci di comprendere il suo cambiamento. O la sua vera faccia.

"Doyle verrà con voi?" - se solo avesse potuto avere quel conforto…

"Dipende da Angel…"

"Già."- Già. Non osava chiedere. Dal piano di sopra, aveva percepito solo colpi attutiti, la voce di Spike. Ma non aveva compreso una parola, aveva preluso ai suoi sensi la possibilità di percepire il dolore, con deliberata intrusione.

Spike.

Le sarebbe piaciuto salutarlo…

"Faith, io…" - Wes appariva impacciato - " io non so per quanto tempo sarà. Penso che anche questo dipenda da Angel. E' lui che ha una certa influenza, sul potere del Consiglio. Ma una cosa è certa. Se Quentin Travers varcherà questa porta, con la sua tipica sicumera, io gli spaccherò la faccia. E le trattative con il Consiglio termineranno lì. Ti hanno lasciato troppe cicatrici, per permettersi di far finta di niente."

"E a te no?" - Faith gli regalò un sorriso ironico, perché lo portasse ovunque era destinato ad andare.

Cordelia le passò a fianco, abbassando lo sguardo, lasciando loro ancora qualche istante, inforcando spessi occhiali scuri.

"Devo andare." - spiegò faith, come se Wes non sapesse che quello era il momento dei saluti.

E Whydam-Price annuì. Capiva, Dio solo sa quanto.

Faith gli lisciò il risvolto della giacca grigia. Era tanto che non ne indossava una. La sua amata giacca di lana inglese, liscia al tatto, e morbida.

"Sei e sarai sempre il mio Osservatore, Wes, non credere a tutto quello che dico." - gli sorrise, con gli occhi pieni di lacrime. Prima di girare ed entrare, furtiva, in macchina.

 

 

II

Doyle non lo degnò di uno sguardo, pur sapendo che ormai era nella stanza.

Stava appoggiato al mobile, le mani in tasca. Un espressione di attesa e vaga impotenza aleggiava sui suoi lineamenti. Quando Spike gli fu a fianco, chinò appena la testa, con il gesto tipico di chi attende una gran verità appena sussurrata.

"Stai bene?" - sussurrò.

"E tu?" - replicò beffardo il vampiro, con un tono che impose a Doyle di fissarlo in faccia, a scomporne l'espressione in mille frammenti.

Per leggere, in ogni particella, un dolore puro. Il dolore di chi perde chi ama.

E teme di perdere ancora.

Eppure…

"Cordy mi ha detto di Faith." - aggiunse, ricacciando indietro quella verità carpita e indicibile - " e mi ha detto che sei ferito."

"taglia corto irlandese, e ascoltami."

Dal mobile dietro di loro, Spike attinse una bottiglia di vodka, sua proprietà privata, e ne bevve alcune sorsate. Era come se attendesse il momento propizio per agire, come se potesse ancora freddamente ignorare quella figura immota e raggelata che sostava in piedi innanzi alla finestra.

"Ascoltami." - ripetè, passandogli la bottiglia - "I metodi sono due. Il tuo ed il mio. Il mio adesso ed il tuo dopo."

"tu spargi i cocci ed io li raccolgo?" - Spike lo irritava, con quella noncuranza simulata. Ma c'era bisogno di una forza di quel genere tra loro. E Spike, mai come ora, sembrava avere una strada da percorrere.

"Io riparto per Sunnydale tra poche ore. Devo occuparmi della sorella di Buffy, di Dawn." - spiegò Spike, con un lampo di impazienza - "Le ho promesso che sarei tornato. Avrei voluto essere io a dirlo ad Angel, ma.."

ma non avevano potuto più attendere. Erano trascorse molte ore dalla morte di Buffy e quel segreto alle spalle di Angel sembrava essergli pesato oltremisura. Eppure, di questo Doyle era certo, erano state quelle ore di stasi a dargli ancora forza e determinazione da vendere. Una traccia da seguire, tra persone troppo sconvolte per lasciare spazio alla sofferenza.

"Vuoi che me ne vada?"

"Mi è indifferente. Non so cosa possa capitare." - replicò, allontanandosi, avanzando, fino a posare una mano sulla spalla di Angel.

Nulla.

Nulla.

Nulla.

Uno spintone ben assestato, per farlo girare, per fargli quasi perdere l'equilibrio.

Nulla.

Un pugno, per fargli sputare sangue.

Sangue che Angel deterse con due dita, fissandolo per un istante.

Un altro pugno. Spike piegato, con la mano sul fianco.

E Doyle, con un moto di preoccupazione. Cordelia e Faith avevano visto giusto. Era ferito.

La stessa preoccupazione, negli occhi di Angel.

Una mano, tesa, verso il vampiro biondo.

Un altro pugno.

Ed Angel ancora in piedi.

Spike innanzi, le maniche rimboccate, il volto mutato, per un istante, per superare il dolore fisico e l'esasperazione.

Poi di nuovo il suo volto, quello fatto di ossa e pelle sottile.

"Avanti!" - urlò, mostrando i denti - " Io non sono Doyle, io posso picchiarti senza fermarmi. Io posso e voglio farlo. E sai perché? Lo sai?"

Un pugno, uno ancora, fino a inchiodarlo alla parete, fino a fermarsi ad un centimetro dalla sua faccia.

"Non funzionerà William." - sussurrò Angel - "lasciami in pace."

"No" - replicò, abbassando allo stesso tempo il pugno - "Io farò funzionare tutto questo. Anche se sembra andare allo sfascio."

"Non ha più importanza."

Un pugno, un altro, un altro ancora.

Un calcio.

Un'altra fitta da ignorare. Un fiotto di sangue, anche sulle sue dita.

"Avanti." - incitò ancora - "Avanti, pensaci bene. Picchiami, io so che hai voglia di sfogarti, picchiami, maledizione. Io c'ero. Io c'ero e non l'ho salvata."

Allora era quello. Spike voleva essere il capro espiatorio. Era quello che poteva essere.

"Io c'ero e non l'ho salvata, sono rimasto a guardare, mentre si sfracellava al suolo, mentre si sacrificava, come sei bravo solo tu a fare. E sai cosa ti dico? È stata una morte idiota, perché poteva mandare tutto a monte ed obbedire al Consiglio, invece di salvare sua sorella. E sai perché avrebbe dovuto salvarsi?"

Un pugno, un pugno ancora. E sangue di entrambi. Il rumore delle costole di Angel e la voce di Spike.

"Perché se si fosse salvata, starei qua a preoccuparmi del mio dolore e non del tuo. Perché sarebbe lei a soffrire e tu potresti consolarla. Perché è meglio una ragazzina morta che una Cacciatrice. Perché se ne è andata lasciandoci a badare al suo gingillo sovrannaturale." - urlò ancora, con voce rotta.

Mentre si lasciava stringere da Angel.

Mentre i singhiozzi di Angel lo scuotevano, fin nel profondo.

No.

No.

Angel non doveva pensarci nemmeno. Spike non aveva bisogno di essere consolato, a Spike non serviva nessun buon samaritano. Era furioso. Ed era un consolatore. Non avrebbe permesso ad Angel di dedicarsi al dolore degli altri, dimenticando il proprio. Era Angel che doveva piangere quella perdita. Nessuno avrebbe saputo farlo per lui.

E voluto.

"Dannazione, Angel, nessun telefono si metterà a squillare per dirti che ci siamo sbagliati. Non si aprirà nessuna porta e non ci sarà nessun amore come il suo. Non tornerà, se ne è andata e non tornerà." - la voce suonava vagamente implorante - "non hai niente da aspettare fino alla fine dei tuoi giorni. È adesso che devi soffrire, è adesso che devi prendertela con me. È mia la colpa, non tua. Sono io che ho fallito, non è morta perché tu non c'eri…. Ti prego, credimi."

Aveva nuovamente il pugno alzato e la bocca intrisa del sangue che gli saliva fino alla gola. Avrebbe avuto la reazione che cercava, a prezzo del sangue. Avrebbe calato la mano su di lui, lui che non reagiva, lui che si lasciava manovrare come un fantoccio. E si sarebbe appellato al suo demone, in barba a tutti gli insegnamenti, quando l' emorragia interna avesse piegato la sua volontà.

Avrebbe dato l'anima, purchè Angel smettesse di reprimere il dolore che gli squassava il petto.

Il pugno in pieno torace gli provocò una fiammata davanti agli occhi e lo mandò sul tappeto. Eppure non rimase fermo.

Scattò in piedi ed urlò, incitandolo.

"Forza Angel, prenditela con la persona giusta, per una volta in vita tua. Vuoi sapere come è andata? Sono andato a Sunnydale quando potevo dirti di venire. E non ho saputo risolvere la situazione, non mi sono immolato per nessuna buona causa. E sai perché? Perché credevo che fosse l'altra sorella in pericolo di vita! Pensa che sbaglio madornale, pensa che non ho una scusa. Che vuoi che dica, mi dispiace."

I colpi gli mozzavano il fiato. Li incassava, come fino a pochi istanti prima li aveva dati, senza remore.

Apriva le braccia e lo provocava, fregandosene del sangue che sentiva scorrere dalla ferita ancora aperta.

C'era Wes nella stanza, sentiva il suo cuore battere all'impazzata. E sapeva che Doyle lo stava tenendo, per entrambe le braccia. La gola gli bruciava, eppure non smetteva di urlare, nemmeno un istante. La violenza non gli bastava, voleva anche la sua mente.

I colpi sembravano rallentare. Bisognava incitarlo.

"Allora? Il grande Angel si ferma davanti ad un po' di sangue? Andiamo, sai bene quanto ne ho in corpo, sai benissimo quanto bisogna cavarmene dalle vene prima di stendermi. Puoi anche inchiodarmi alla parete se vuoi. Oppure prendere una balestra e mirare. Scommetto che sei bravo quanto Darla." - urlò ancora, quando le scapole colpirono violentemente l'intonaco. Quando, sentendosi infine in trappola, seppe di avere la partita in pugno ed abbassò il tono - "Avanti, non mi importa un accidente di quante ossa riesci a rompermi. Perché la verità è che io sopravvivrò anche a questo. E dovessi impiegare fino all'ultima goccia che ho in corpo, io ti farò sputare tutta la tua disperazione."

Angel lo sovrastava, ansimante.

"Ti prego William, non chiedermelo." - pregò, abbassando il pugno. Resisteva. Angel opponeva resistenza a se stesso.

"In tal caso." - gli occhi di Spike mandavano lampi - "Io resterò qui a prendere fiato un istante e poi ricomincerò a prenderti a pugni, dannato vigliacco. Vigliacco, assolutamente incapace di ammettere che era un storia finita da così tanto tempo che lei non ha nemmeno pensato a te, mentre si ammazzava."

"Cosa ti aspettavi? Che dicesse belle parole ed io fossi un messaggero piangente?" - lo spingeva indietro, barcollando, posando i palmi aperti sul petto di Angel - "Credevi che venissi qui con parole di conforto tanto belle da farti provare il desiderio di raggiungerla? Oh no, io ti farò tanto male quanto basta da ricordarti che sei ancora vivo, che puoi provare gioia e dolore invece di ascesi. Perché io non ti permetterò di giocare al giustiziere di marmo tutto d'un pezzo che vaga solo nella notte. Hai una famiglia e non farai come la tua dannata eterna fidanzata che si è serenamente fregata del dolore che avrebbe dato a tutti quelli che la conoscevano."

Barcollava, ma non smetteva di accogliere con un lampo di trionfo ogni reazione, ogni colpo che incassava, ogni spinta che Angel, con un moto involontario di vita gli restituiva. Fino a quando non si trovò ad arretrare. Ed alzò ancora la voce.

"Sai che ti dico? Ma sì, ben venga ciò che ha fatto! Almeno siamo liberi da lei, dalla sua perfezione. E Faith non sarà più seconda a nessuno, tu sarai libero di innamorarti di qualche donna che non sappia di lucidalabbra alla ciliegia. In fondo ha fatto ciò che doveva. Perché il dovere di ogni Cacciatrice" - disse, sorridendo, per non urlare quella grandissima menzogna - " è di farsi ammazzare."

L'impatto contro il muro fu violentissimo. Spike sbattè e rimbalzò, ma rimase in piedi. Il suo sangue macchiò la parete, lasciando un'impronta indelebile di un maglione ormai intriso fino all'ultima fibra.

Angel, con un'unica falcata, gli arrivò di fronte e lo mancò, nello sfondare i mattoni a lato della sua testa, con unico pugno. Le schegge lo colpirono, scavandogli nella guancia tagli sottili e presto rimarginati.

Quando lo afferrò per il davanti della maglia, Spike fece aderire saldamente i palmi delle mani alla parete, per non scivolare a terra.

Tossì, ed il fiotto di sangue colpì in pieno la mano di Angel. rischiando di far fallire il suo piano.

Non importa, se devo, andrò avanti.

Il sangue di Spike colpì la mano di Angel, serrata e dura.

Facendogli riacquistare lucidità, facendo svanire l'ultima luce di follia che gli brillava negli occhi. Scosse la testa, come per snebbiarsi e, in un attimo di confusione, alzò nuovamente il pugno.

Per fermarsi.

Spike lo guardava senza paura. Lo guardava in faccia, senza degnare di attenzione la mano alzata e pronta a calare un altro colpo.

"Avanti!" - gli urlò ancora, sorridendo, a pochi centimetri dal suo viso - "Sono pronto, cosa aspetti?"

Era vero. Era pronto.

Angel chinò lo sguardo ed abbassò la mano. Nella destra stringeva ancora il maglione, teneva inchiodato Spike contro al muro, perché non sfuggisse alla sua punizione. Al di sotto del maglione, tra le dita, sentiva qualcosa, qualcosa di metallico.

E senza aspettare spiegazione, insinuò una mano ed estrasse il cordoncino che Spike portava legato al collo. Un cordoncino di cuoio, con due anelli.

Due Claddagh.

Quello di Spike e… uno più piccolo, femminile. Indossato per una sola notte.

Una sola notte d'amore.

Ma non c'era più nulla da dirsi, a suon di pugni.

Tra le lacrime vedeva soltanto il colore del sangue di Spike, o forse di entrambi, sulle sue mani, sul muro chiaro, dietro la sua testa.

Tra i suoi capelli biondi.

Li accarezzò, tremando per l'assoluta incapacità di capire come erano arrivati fino a quel punto, per un'unica manciata di parole. Spike non si mosse, sbattè le palpebre e lo lasciò fare, si lasciò toccare, perchè avesse consapevolezza. Di tutto, del dolore che sentiva e di quello che dispensava. Poi chiuse la mente, perché non potesse, per qualche ironico gioco del destino, captare il fotogramma che negli occhi di Spike sembrava ripetersi all'infinito.

Scosse il capo e lo chinò, fino ad incontrare la morbida cedevolezza del corpo di Spike, fino a sentire che le gambe non lo reggevano più e che Spike lo affiancava, nello scivolare a terra.

Spike. Il suo scivolare lungo la parete con quel peso, che tanto aveva atteso, tra le braccia creava una lunga scia rossa e appiccicosa.

Ma non significava nulla. Quando finalmente sedette a terra, strinse più forte Angel chiudendo gli occhi e dimenticando per un istante quel dolore che avrebbe voluto urlare al mondo intero.

Dimenticando quello spaventoso calore che si irradiava dal suo fianco ed il sangue che gli otturava i polmoni. Tossì, piegando il capo da un lato.

Avrebbe voluto cercare Doyle, ma non ne aveva la forza. Spalancò gli occhi, quando una mano calda e forte gli si accarezzò la fronte. E represse un gemito, mentre la gemella di quella mano premeva con forza sulla ferita, cercando di interromperne il flusso. Ma non era Doyle, era Wes, Westley Whydam-Price, che premeva sulla ferita e gli dedicava uno sguardo pieno di rispetto.

Di colpo mise a fuoco la situazione, spostando lo sguardo, domandandosi quanto tempo fosse trascorso e quante sue ossa si fossero già aggiustate, in quella stasi. Le sue braccia erano vuote e Doyle aveva mantenuto la sua promessa, nel raccogliere i cocci.

Angel ero stato inginocchiato in un bagno di sangue, ma non se ne era reso conto. Per Spike era ancora un peso sul petto, anche se qualcuno aveva interrotto il loro abbraccio.

Spike ricordava Angel. Piangeva, scosso da singhiozzi sempre più forti e strazianti, piangeva la perdita dell'amore di tutta una vita, la ragazza troppo grande per essere una Cacciatrice, la ragazza del ballo di liceo, il suo sangue caldo e dolce in una gola arsa dalla febbre.

Piangeva la ragazza che aveva fatto piangere, la ragazza capace di spedirlo all'inferno e poi trarlo nuovamente fuori. La ragazza a cui non aveva saputo dare altro che il suo amore. Pianse, fino a che non perse il conto delle lacrime, pianse, mentre le braccia che lo stringevano cambiavano. Pianse, ritrovandosi nel suo letto, tra le braccia di Cordelia.

Doyle aveva mantenuto la parola.

Era stato uno spettatore, ed aveva atteso il suo turno, sbarrando gli occhi ogni volta che il desiderio intervenire era sembrato pronto a prendere il sopravvento. E sbarrando la strada a chi, meno ancora di lui, era propenso alla violenza. Trattenendo Westley, quando l'aveva visto varcare la soglia con un'ampia falcata decisa. Tenendolo per le spalle, aspettando, senza un commento, che capisse.

Dopo il passaggio di Spike, non gli era rimasto poi molto da fare con Angel. Se non sollevarlo di peso, ed affidarlo a Cordelia, presto tornata e disposta a mischiare le sue lacrime con quelle di un vampiro.

Cordelia aveva attraversato il salone e, al cenno del capo di Wes, si era diretta verso Doyle, chiudendo la mente alla visione di Spike, sdraiato ancora a terra. Era marciata dritta fino alle sue braccia, alla sua bocca. E con il sapore delle lacrime sulle guance, si era seduta sul letto.

Tra le sue braccia infine, come era solito fare il mezzo demone irlandese, Angel aveva trovato un apparente riposo, sprofondando verso qualcosa di simile al delirio. E Doyle era tornato rapidamente verso il salone e sostituendo Wes, chino su Spike, gli aveva tamponato la ferita.

"Angel?" - domandò stordito, il vampiro biondo,lasciandosi sfuggire una smorfia.

"Nel suo letto. Con Principessa. Dire che sta dormendo è un'esagerazione… ma sono ottimista." - Doyle premette con forza ancora una volta, prima di alzare il maglione.

Al disotto, intrappolate in un'abituale maglietta nera, le bende era intrise al punto da sembrare sfilacciate. Erano legate strette, per bloccare un flusso che doveva essere stato abbondante.

"Bello spettacolo." - commentò a denti stretti - "Ce la fai ad alzarti?"

"Aiutami." - mormorò Spike, senza abbandonare la sua espressione lucida e fredda, tendendogli una mano. Con uno sforzo di volontà, riuscì a trasmettere al suo corpo l'energia che bastava per mettersi in piedi e, appoggiandosi a Doyle ed a Westley, apparso con l'immancabile cassetta di pronto soccorso, ad arrivare al divano.

Doyle gli sfilò il maglione, con cautela e senza commenti. Poi, in silenzio, per accelerare la procedura, strappò la maglietta e tagliò le bende, lasciando che Spike si appoggiasse allo schienale, con un braccio dietro la testa e gli occhi chiusi.

La ferita era profonda ed appariva orribilmente slargata laddove un pugno di Angel l'aveva colpita in pieno. Una ferita di spada, lunga almeno una spanna, dal fianco verso l'interno. Profonda.

"Non voglio immaginare come tu sia ridotto dentro, se l'esterno è già così interessante." - mormorò ancora, finendo di pulire il lungo taglio.

I lividi iniziavano già a coprirgli buona parte del corpo, il petto e le braccia. Dietro la testa, incrociando le braccia, Spike si massaggiava un polso, sperando che la slogatura si riassorbisse rapidamente.

"stavo combattendo, non facevo da scudo a nessuno." - mormorò beffardo Spike, senza aprire gli occhi - "Non ricamateci sopra."

"Tranquillo. La tua reputazione è intatta. Tieni, bevi." - Wes sedette sul bracciolo, per non intralciare Doyle e gli porse un bicchiere di Whisky, serbandone uno per sé ed uno per l'irlandese.

Avrebbe voluto dirgli che era stato un gioco stupido e avventato, quello che provocato. Ma sapeva che era stata una partita ben giocata. Ed inevitabile.

Spike aveva dimostrato ancora di avere coraggio da vendere. Ed assoluta mancanza di senso del rischio.

"Spike… dimmi una cosa." - si sorprese a chiedere, dimenticando per un attimo il dolore per tornare ad essere un Osservatore - "Ti sei minimamente reso conto del rischio che hai corso?"

"Vedi Whydam-Price… io vivevo con Angelus prima ancora che nascesse tua madre. E pure tua nonna. Ne so qualcosa di pericolo e scazzottate. Ed ho avuto più di un secolo per riprendermi dall'ultima volta che abbiamo veramente fatto a pugni. E adesso levati dai piedi e lasciami stare."

Wes non si mosse. Restò seduto pensieroso sullo schienale, girato, per vedere Doyle che si ripuliva le mani e fasciava Spike.

"Stretto." - mormorò questi - "Non voglio che si allentino mentre guido."

"Non penserai di andare in motocicletta fino a Sunnydale." - protestò Doyle - "Verrai in macchina con Cordy e dormirai anche."

Spike aprì un occhio ed inarcò un sopracciglio in maniera pericolosa. Ma Doyle, con il suo spirito di sempre, proseguì implacabile.

"Faccio le veci del mio compatriota e mi occupo della tua salute."

"Sulla storia della moto hai perso in partenza. Io andrò a Sunnydale in moto e voi farete quel che vi pare. Anzi," - aggiunse alzandosi - "se vuoi continuare a discutere, seguimi. Ho fame."

Si reggeva miracolosamente in piedi.

Eppure si ritrovò Westley che lo sorreggeva, afferrandolo per un braccio.

"Inghilterra contro Irlanda." - mormorò Wes, quando si ritrovò squadrato in maniera inequivocabile.

 

Doyle era sparito, ma non era poi difficile immaginarlo, chino, a parlare con Cordelia che, sdraiata sul letto, stringeva Angel tra le braccia. Sensualmente, intrecciando le gambe con le sue, sostenendo il peso delle braccia inerti sul suo petto.

Le loro braccia vicine, le loro fronti che si sfioravano.

Un attimo, a Doyle bastò un attimo per capire come la situazione fosse sotto controllo. Cordelia sapeva usare il suo corpo, sapeva come il calore umano fosse vitale, ora come non mai.

E nel suo sguardo non c'era imbarazzo alcuno, nel lasciarsi vedere da Doyle.

Perché Doyle avrebbe capito, senza bisogno di spiegazioni.

 

Doyle percorse le scale rapidamente e raggiunse Spike e Westley, prima ancora che varcassero la porta della cucina.

Spike non sembrava avere nessuna intenzione di lasciarsi servire.

Marciò spedito verso il frigo, liberandosi dell'aiuto di Wes.

Posò meticolosamente il contenitore sul ripiano, affiancandolo ad una tazza. Poi, senza spiegazione alcuna e con la stessa determinazione di sempre nello sguardo, girò su se stesso e prese elegantemente a vomitare sangue nel lavandino.

Alcune mani gli afferrarono le spalle e lo sorressero mentre brillantemente terminava l'opera iniziata. Dietro di lui, una fiumana di parolacce in pieno accento britannico gli facevano da colonna sonora.

"Finiscila Price. I vampiri non muoiono." - mormorò, al termine di un altro eccesso di tosse.

Doyle sedeva sul ripiano in acciaio del lavandino, con le gambe a penzoloni. Spike appoggiato sui gomiti, alzò la testa, per riuscire a vederlo in faccia.

"Spike, la prossima volta che vuoi sentirti dire che hai fegato da vendere, cammina sui binari in piena notte." - mormorò senza intonazione.

Spike non replicò tornando a chinarsi verso il lavello.

Perché c'era una sola cosa che poteva farlo stare tranquillo. Se Doyle se ne stava seduto in silenzio in cucina, la situazione al piano di sopra era perfettamente sotto controllo.

"Certo che è sotto controllo." - replicò in un soffio l'irlandese - "Credi che me ne starei qui a fissare la tua faccia da schiaffi se di sopra ci fosse qualcosa da fare?"

"Non comincerai anche tu con la telepatia, vero?" - disse Spike, prima che un altro colpo di tosse gli facesse chinare il capo.

Sangue a non finire. Adesso era certo che Westley lo stesse tenendo per le spalle. Sentiva la sua voce molto vicina.

"Ma si può sapere da dove viene fuori?"

"Ne ha i polmoni pieni. Questa non è la ferita, è il muro che ha sfondato con la schiena…"- rispose Doyle.

"Sono stato bravo, vero?" - mormorò Spike, con tono beffardo.

"Certo. Più di quanto pensi." - Wes gli porse un asciugamano, perché si pulisse la bocca, con un tono pieno di sottintesi - " Talmente bravo che sarai tu questa volta a ritinteggiare la parete."

"Oh cielo, che cos'è, influenza?" - esclamò Lorne, entrando in cucina. E cogliendoli tutti di sorpresa.

"Che ci fai qui?" - lo investirono in coro Spike e Wes, girandosi a fissarlo, prima di tornare entrambi ad impegnarsi. Uno tossendo e l'altro sospirando.

"Ho lasciato il vostro pacchetto al sicuro e sono venuto a vedere la situazione per confondere un po' le acque. E potete stare certi che non lo troveranno facilmente." - Lorne arrivò al lavandino e s'appoggiò, come al bancone di un bar, nel posto lasciato libero da Doyle - "bene, bene. Lasciatemi indovinare…"

"William ha metodi interessanti per far reagire la gente." - replicò secco Doyle, accendendosi una sigaretta. Prima di fermarsi, con un moto di sorpresa, lo stesso che ebbe Spike, nel fissarlo.

"Scusami." - mormorò il mezzo-demone - "Mi è sfuggito."

"Penso di poterti perdonare. Non è stato troppo fastidioso." - Spike non fece commenti. Doyle aveva pronunciato il suo nome alla perfezione, con quella lieve cadenza con cui lo impostava anche Angel - "Offrimene una."

"Dopo. Prima mangia."

"Oh, che bello. Un ciclo completo. Prima mangi e poi vomiti. Un vampiro bulimico, mai visto."

"Smettila Lorne. Il sangue è suo. Si è fatto spaccare un po' di ossa da Angel."

"E non dirmi che avrei ottenuto di più cantando." - aggiunse petulante Spike, afferrando ugualmente una sigaretta.

"Ma non ci penso nemmeno. Hai fatto una gran bel lavoro. E Cordelia è altrettanto brava, dovrei aggiungere."

"Sei già andato di sopra?"

"Certo. mi sembravate così presi dalle vostre attività che preferivo non disturbarvi. Per Angel non mi preoccuperei più, comunque."

"Certo, come no."

"Non essere così scettico, Spike. sei stato veramente bravo. Qualunque cosa dovesse accadere, è successa. Il resto è tutto nelle mani di Angel."

Spike guardò quel demone verde, che, con espressione rilassata, sbatteva sulle loro facce l'impotenza. Ciò che potevano fare, era compiuto. Non ci sarebbe stata più reazione da provocare, ma solo dolore puro, incontrollabile e solitario.

"Bella soddisfazione. Tanta fatica e adesso un tizio da Karaoke che mi dice che posso starmene con le mani in mano."

"Pensavo che per te fosse un sollievo. Non hai altro di cui preoccuparti?" - Lorne sedette, mentre Doyle armeggiava con il contenitore del pranzo di Spike - "Doyle, per piacere, bevi whisky. Quella roba non fa per te. Allora, Spike, sto aspettando."

Spike lo guardò trucido. E dalla bocca gli uscì un secco "NO."

"Non fare il bambino." - lo ammonì ancora, scotendogli un dito sotto al naso - "Forza, non farmi perdere tempo. Sembri Doyle quando fai così."

Westley posò lo strofinaccio e sedette, a cavalcioni della sedia. Inusualmente, afferrò una sigaretta e l'accese con fare da bullo.

"fallo contento." - Suggerì - "Così ce lo leviamo dai piedi."

Un camionista. Il suo savoir faire era svanito.

Spike abbassò lo sguardo e prese un respiro. Poi, con aria vagamente ispirata, intonò Smells like teen spirit dei Nirvana.

"Bella scelta." - si complimentò l'altro, nascondendo nel cuore quello che aveva visto - "Perfetta esecuzione e splendide emorragie. Vai pure avanti, se vuoi."

"No grazie, ho di meglio da fare." - rispose Spike, sorseggiando il plasma che gli bruciava la gola - "Torniamo a noi. Me ne vado a dormire e poi riparto non appena cala il sole."

"Ci penso io a svegliarti." - rispose Wes - "Io vado via con Cordy. Angel e Doyle decideranno sul da farsi. Vuoi che porti io la tua moto? Ci scambiamo alle porte di Sunnydale."

Era un'offerta interessante. Spike inarcò un sopracciglio e squadrò l'Osservatore, come se di colpo potesse intravedere qualcosa che li accomunava. Ed una concessione poteva anche meritarsela, a questo punto.

Anche dal grande Spike.

"Ne riparliamo quando mi alzo."

 

 

III

Una mano lo scosse, leggermente.

E Spike, che dormiva, con un avambraccio sugli occhi, si riscosse, intorpidito. Senza muoversi, quando Angel sedette sul letto.

Squadrandolo senza un'espressione.

Attendendo.

Una mano lo scosse, leggermente.

E Spike, che dormiva, con un avambraccio sugli occhi, si riscosse, intorpidito.

Si trattava di Wes.

"Scusami, è un po' presto. Ma sembravi avere un incubo…"

"Chiamavo Angel?"

Annuì, imbarazzato.

"Che ci fai qui Whydam-Price?"

"Non riuscivo a dormire…." - rispose, evasivo.

"Cazzate. Tu mi guardavi dormire…" - lo accusò, con un sorriso beffardo - "E nemmeno da solo…"

"Che ci vuoi fare, chiacchieravamo nel tuo studio…"- replicò Lorne, dalla stanza a fianco, senza nemmeno abbandonare la poltrona ed il libro che stava sfogliando.

"ah sì? Ma tu non sai cosa sia la privacy?" - esclamò Spike, mettendosi a sedere e portando istintivamente una mano sulle bende.

Poi, con un ripensamento, aprì la bocca cominciò a cantare una canzonaccia da osteria, imparata molto tempo prima. Con maestria intonava le strofe, senza smettere un attimo di squadrare Wes, per vedere quanto tempo avrebbe impiegato ad arrossire come un peperone.

"Basta, basta, basta, capito l'antifona." - disse Lorne, entrando nella stanza e coprendosi le orecchie con le mani - " Spike, smettila. È chiaro, tutto chiaro. Stai benissimo, scoppi di salute. Continui ad avere sangue in anfratti in cui non dovrebbe essercene, ma sei un fiore."

"Grazie, era quello che volevo sentirmi dire." - borbottò l'altro, tenendo già una sigaretta stretta tra le labbra - "Come vanno le cose dall'altro lato del pianerottolo?"

"Angel è già sveglio, sta parlando con Doyle."

"Cordy?"

"Sono qui." - rispose lei, affacciandosi, dallo studio. Aveva uno spesso maglione di lana ed si stringeva le braccia attorno al corpo. Nel complesso, aveva un'aria sbattuta ed era pallida. Come chi ha conosciuto troppa sofferenza e tutta insieme - "nemmeno io conosco il concetto di privacy…"

"Ma gattina! Quante volte ti ho detto di venire a vedere la mia collezione di farfalle? La mia porta è sempre aperta per te." - le rispose, continuando a cercare metodicamente il suo accendino tra le coperte.

Trovandolo, finalmente.

"Signori, io sono in partenza. Se avete consigli e recriminazioni, questo è il momento opportuno."

"Io ti saluto, ci vediamo al tuo ritorno." - Lorne gli fece un cenno, avviandosi verso la porta.

"Perfetto. Uno in meno. Altro?"

"Angel viene a Sunnydale con me, in macchina." - puntualizzò Cordelia, tirandosi indietro i capelli - "E Doyle ha detto che vuole parlarti."

"Perfetto." - mormorò Spike, con la voce di chi si aspetta una predica. Poi aggiunse - "Wes, ho riflettuto sulla tua proposta ed ho deciso che un giro in moto mi distenderà i nervi."

"Come vuoi." - Wes non aveva nessuno voglia di imporsi. Il dolore, che sembrava essersi lenito nelle ultime ore, andava riacutendosi, in vista di un funerale a cui avrebbe preferito non assistere mai. E non era abbastanza stupido da pensare di essere l'unico in quello stato - "Non mi hai detto come sta la bambina."

Dawn?

Spike lo guardò, con una punta di sorpresa. Mal rasato, in piedi e con le braccia conserte, stava un uomo dolorosamente simile a Giles. E sostanzialmente diverso.

Per Westley era una bambina, anche se quasi non l'aveva mai vista. Per Giles, che l'aveva avuta tra i piedi per dei mesi, era la Chiave, un sorprendente fenomeno da tutelare. Non da proteggere.

E spike, in quelle ore, non aveva nemmeno pensato di richiamare e parlarle.

Aveva telefonato fuggevolmente, all'alba, quando, stravolto, si era buttato sul letto sperando in qualche ora di pace.

Gli aveva risposto Willow. Poche parole, tirando su con il naso. C'era Tara con Dawn, speravano anche loro di riuscire a dormire qualche ora. Spike era stato essenziale e duro, per scuoterla, perché pensasse, ancora una volta, quanti pochi sentimenti conosceva William il Sanguinario.

Poi si era rigirato nel letto, resistendo al desiderio di urlare.

Ed era crollato.

Dentro un sogno senza porte d'uscita.

 

Ma Westley doveva avere notizie fresche da Sunnydale.

Sì, aveva parlato con Giles, meno di un'ora prima, dichiarando la sua intenzione a partire in serata. No, non sapeva quanto si sarebbero fermati. Sì, venivano per il funerale, sarebbero andati a stare a casa di Angel.

Ed ora, se a Spike non spiaceva, c'erano ancora molte cose da sistemare.

 

Spike si alzò ed entrò nel suo studio, sedendosi alla scrivania, con le labbra appoggiate alle mani ed i gomiti ben affondati nella superficie di cuoio dello scrittoio. Stava a torso nudo, riflettendo, con lo sguardo perso sugli oggetti nella stanza, lasciandosi attrarre dal baluginio metallico della sua chitarra.

Poteva percepire ancora l'aroma della colonia di Lorne. Ma l'odore di Buffy, l'unica volta che era entrata in quella stanza, era svanito con lei e prima di lei. Avevano litigato….

Ma quando mai non litigavano, la Cacciatrice ed il Vampiro.

La cripta, fino a quando c'era stata, era stata un ring indispensabile al loro rapporto.

Buffy non aveva mai smesso di sottolineare le parole con lividi. Ma alla fine, Spike, di lei, non ricordava altro che fosse stata una splendida ballerina.

La ballerina tra le braccia della morte.

Buffy.

Forse esisteva un mondo in cui Spike e Buffy si sarebbero potuti amare. Ma non l'avevano trovato.. se non per un fuggevole attimo, in cima a quella torre. Buffy in volo che fuggiva da lui e Spike, che l'avrebbe volentieri seguita, aggrappato, sporto fuori dal cornicione con Dawn scalciante tra le braccia.

L'ultima cosa che Buffy aveva visto, ruotando su se stessa, sorridendo, nello sfracellarsi di schiena in quel vortice.

La sua adorata Dawn,intrappolata sotto il braccio di un vampiro ormai roco per il tanto urlare.

Buffy non sapeva volare. Ma non l'aveva mai ammesso con nessuno.

 

Quando Doyle entrò, Spike sbattè le palpebre. Cancellando quell'immagine.

Doyle si fermò, al centro della stanza, in mezzo alla visuale.

Nei suoi occhi si poteva leggere un universo intero. E spike si sentì vulnerabile, in un disagio che nemmeno lorne sapeva provocargli.

Lorne…

Lorne doveva aver visto quell'immagine, eppure aveva taciuto. Aveva taciuto la paura di Spike di aver trasmesso quel ricordo ad Angel. Aveva omesso il suo dolore e la sostanza dei suoi incubi, con serafico umorismo.

Ma Doyle. Doyle era un'altra pasta.

Uno che capiva e, per sua stessa ammissione, non separava ciò che sentiva da ciò che diceva.

Tanto valeva affrontarlo.

"Una storia." - mormorò, appoggiandosi allo schienale mostrandogli l'indice alzato- "Una storia per la tua collezione.

Oggi ti voglio parlare dell'ultimo volo di un angelo."

 

Spike, con l'abilità di narratore che era pari solo al suo talento per la musica, gli aveva raccontato tutto. Non aveva tralasciato nulla.

La violenza, il sangue, l'emozione ed i pensieri di chi l'aveva circondato.

Tutto, con poesia e fredda lucidità cronachistica.

Perché nulla sembrava essergli sfuggito.

Spike era il testimone. Spike riviveva in ogni battito di ciglia la sua scelta.

Una sorella per l'altra.

Il vento che li aveva travolti, levandosi improvviso, quel vento che non l'aveva piegato. Le urla di dawn.

L'ultima immagine, intrappolatasi negli occhi vuoti di buffy.

Spike sapeva come era stato perché era in quelle iridi vuote che si era rivisto.

Quando le aveva chiuso le palpebre.

Buffy, che portava come lui un Claddagh sotto i vestiti. Legato ad un nastrino ormai strappato. Buffy, che in un girotondo di grandi battaglie, l'aveva serbato in un cassetto fino a quella notte.

Possibile?

Buffy sapeva che non sarebbe tornata a riprenderlo?

Lo sapeva? Era per questo che aveva evitato di incrociare lo sguardo con Spike?

Era stata premeditazione?

Spike si passava una mano sulla fronte, per dissipare il dubbio. Avrebbe potuto salvarla da se stessa? Era colpevole?

Aveva paura di quella verità.

Perché, se così fosse stato, Buffy sarebbe stata la terza vittima della sua lista.

Intrappolata tra Angel e la morte, per lunghe ore, in attesa dell'attimo di scelta.

Morire, portando l'unico ricordo del suo amore sul cuore.

Perché sapesse che non l'aveva dimenticato. Perché Spike riportasse indietro quel messaggio.

Era l'unica cosa che Spike non aveva detto ad Angel. si era comportato nel modo che riteneva perfetto, per scuoterlo, per farlo sfogare. E gli aveva nascosto tutto ciò che avrebbe potuto dargli conforto.

Ma non gli era sembrato il suo compito.

"Non ti avrebbe ascoltato." - disse Doyle, sedendo sul bordo della scrivania.

"Tu credi?"

"Non c'era reazione. Era come parlare ad un guscio. Non sarebbe servito a niente raccontargli tutto questo. Fattene una ragione."

"Mi faccio una ragione di molte cose, da molto tempo ormai."

"Sì, ma un dubbio come questo può distruggere." - gli occhi di Doyle, Spike non ne scorgeva le profondità - "Tu sai che hai fatto la cosa giusta. Il dolore, la stanchezza, la preoccupazione fanno sembrare l'affetto che gli altri hanno per noi una cosa sbagliata, immeritata… ma non è così. Angel pensava questo, quando io l'ho incontrato. Pensava che Kathie si fosse sbagliata e la piangeva per il suo sbaglio, non perché ne sentiva la mancanza. Eppure era stata proprio lei ad indicargli la strada che avrebbe dovuto percorrere, lo sapevi?"

No, Spike non lo sapeva. Katherine era una figura dissolta, intrappolata in una cartella piena di disegni, nulla più.

"Kathie era una bambina, probabilmente con gli occhi come quelli di Angel. Incapaci di evitare di vedere il dolore. E fatti per vedere lontano, tanto lontano da perdere di vista se stessi. Kathie vedeva suo fratello come il custode che sarebbe divenuto e non ha visto il pericolo che correva la sua vita." - Doyle fece un respiro - "Ieri sera, tu avessi mostrato quell'anello ad Angel e gli avessi raccontato questa storia, non avrebbe capito. Come non capì Katherine la notte in cui bussò alla porta di casa. Perché il suo cuore era a Sunnydale, in fondo ad una fossa. E ci voleva tutto l'affetto di un fratello, sentito come inutile, a riportarlo indietro."

"Tu e Kathie avete Angel in comune e la certezza che lui possa sempre capire e fare la cosa giusta. Ma non è così Spike. Angel è testardo, va spinto sulla strada giusta per se stesso, di tanto in tanto. Ieri aveva bisogno di sfogarsi e tu gli hai dato la possibilità di farlo. Kathie si è sacrificata allo stesso modo perché Angel portasse quel nome come un vessillo."

"E tu gli hai dato un'altra vita, perché arrivasse fino a me."

"E tu un'altra ancora, ieri sera. Avrebbe atteso l'alba, se tu non fossi giunto. Ed io non avrei saputo fermarlo."

"Non ci credo. L'avresti salvato."

"Non ci sarei riuscito." - era un tono disperato, che non ammetteva repliche - "E se su quella torre Buffy non fosse saltata al tuo posto, Angel sarebbe morto. Puoi accettare questo girotondo di sacrifici? Perché Angel invece non accetterà mai questa verità. Tutto riconduce ancora una volta alla sua vita. Ancora una volta, perché, agli occhi del destino, un angelo con l'anima è più difficile da rimpiazzare di una Cacciatrice."

Un angelo con l'anima… forse Doyle si era sbagliato, forse avrebbe dovuto dire un vampiro con l'anima… ma chi poteva dirlo. La punizione che Doyle scontava non era il vedere altre vite ed altri dolori oltre ai propri. Era non poter dire ciò che sapeva, con le labbra perennemente cucite da una forza superiore. E gli occhi pieni di un altro significato.

"Doyle…" - gli mancavano le parole.

Doyle sapeva cosa Spike avrebbe voluto chiedergli. Lo sapeva. E capiva come fossero parole sospese tra loro, indecise se librarsi libere, per atterrarli entrambi.

No. non poteva aspettare quella domanda.

Non avrebbe lasciato che si annientasse in quel dolore. Nel dolore identico a quello di Angel, nel dolore del sopravvissuto.

Spike non era Angel.

Angel poteva sopravvivere ad un colpo del destino. Anche se testardamente negava questa possibilità.

Spike… Spike era un combattente, ma…

No.

No.

Quello che sapeva lo frenava.

"No, Spike. non l'amavi." - la sua voce era acqua fresca, come il suo sorriso - "E lei non amava te. Ma ha visto te ed è a te che ha sorriso. Sei stato legato a lei dall'amore per le stesse persone."

"Per Angel…"

"E per Dawn."

"Buffy. Buffy me li ha affidati entrambi." - la verità era calata come la scure e Spike non si sottraeva - "Amore per lo stesso compito, non amore uno per l'altro… fino all'ultimo, intrappolati in questa ragnatela fatta di rabbia. Condividevamo lo stesso destino in due mondi diversi."

"Tu con Angel. lei con Dawn. Ed entrambi, a modo vostro, desideravate scambiarvi, soffrivate per la vostra lontananza. Adesso Buffy non c'è più. E tu sai cosa significa questo."

Sì. Lo so.

E accetto.

Accetto, in questa conversazione fuori dal tempo.

Non è così, Cantastorie?

"Sì, è così. Il tempo si è fermato perché tu potessi capire. Adesso sai. sai qualcosa che hai già fatto. Sai che non puoi permetterti un dolore normale. Sai che non potrai cedere mai, sai che non ti potrai mai permettere lacrime per lei." - Doyle girò attorno alla scrivania, per posargli una mano sulla spalla - "Ieri sera hai aperto le porte dell'inferno per Angel, come Buffy. E come allora, Angel troverà le forze per tornare. Ed io farò il resto."

Adesso qualcuno sapeva. Non Buffy. Non era stata Buffy a salvarlo, quella notte ormai così lontana. Ma Doyle, Doyle aveva retto quel peso sulle sue spalle troppo esili. Doyle non avrebbe mai smesso di essere il custode di Angel, fino alla fine dei suoi giorni. Ed oltre, ancora. Fino a quando la storia si fosse ripetuta, con lacrime, sacrificio, amore e morte.

"L'universo, con tutti i suoi meccanismi ed i suoi calcoli perfetti, non potrà mai nulla contro l'amore." - sussurrò doyle, in tono confidenziale - "Lo sai tu, lo so io e probabilmente lo sa anche Lorne. Nel destino di tutti noi c'è una persona che può portarci indietro dal baratro in cui precipitiamo ed una che può scaraventarci in fondo al pozzo delle nostre paure. E non sempre una ci odia e l'altra ci ama."

"Ne so qualcosa."

"Lo so. Lo so bene."

Doyle lo guardò ancora, prima di alzarsi ed avviarsi verso la porta.

"tempo scaduto. Preparati, dobbiamo partire."

"E tu? Cosa sei nella mia vita?"

Era una bella domanda, una domanda sbagliata.

Io nella tua vita? Oppure tu nella mia?

No, non era ancora tempo.

Girò su se stesso e si espresse in un inchino.

"Francis Allen Doyle, al tuo servizio." - gli sorrise - "In questa vita, oppure nell'altra."

 

 

IV

Spike raccolse alcuni capi e li gettò all'interno di una sacca. Poi, con gesti misurati, si vestì, avvolgendosi nei pantaloni di pelle nera, ed in una maglietta che stringesse maggiormente le bende, nascondendole allo sguardo più attento.

Nessuno doveva sapere.

Nessuno che già sapesse.

Soprattutto Angel. in cuor suo, Spike sperava che non ricordasse nemmeno l'accaduto.

Al collo portava ancora i due anelli. Li toccò, con un dito, strofinandoli, perché il sangue incrostato sparisse. Senza soffermarsi a ragionare su di chi fosse, senza cercare un profumo che lo identificasse.

Nascondendoli nuovamente. Angel li aveva visti, poteva reclamarlo in ogni istante. O reclamarli entrambi, se ciò lo faceva sentire meglio.

Una gelida tensione gli avvolgeva nuovamente il cuore. La stessa determinazione che guidava i suoi passi da molte ore era ricomparsa, più motivata, più forte.

Spike sapeva cosa doveva fare. Sottilmente aveva ottenuto il consenso da Doyle.

Afferrò la sua roba ed uscì sul pianerottolo, nel silenzio della hall.

Westley si preparava , cercando le chiavi della macchina.

All'improvviso la sua tenuta sorprese il vampiro.

Westley aveva scelto un giubbotto di pelle consunto e non si era rasato; inforcava nuovamente gli occhiali, ma i suoi occhi brillavano di una luce che i capelli scomposti incorniciavano come una criniera. Da predatore.

Sembrava… Faith. Con una scorza dura come marmo a nasconderlo.

Quando i loro occhi si incontrarono, Wes infilò le chiavi in tasca e, con entrambe le mani gli fece un vago cenno di sfida. Mosse le dita, come per chiamare l'attacco.

Che Spike ricambiò con un sorriso, sporgendosi dalla balaustra e lanciandogli la sacca. Wes la prese al volo e se la posò sulla spalla.

Poi Spike con un ripensamento, lo chiamò ancora.

"Ehi, Price!" - urlò, lanciandogli il pacchetto di sigarette.

Afferrato al volo con una mano sola. Nascondeva se stesso e svelava l'altra sua faccia, mentre, con un gesto sciolto, si infilava una sigaretta in bocca.

Spike discese le scale rapido e si sporse, per accendergliela.

"Certo che sia tutto ok?" - mormorò l'Osservatore, gettando fuori la prima boccata di fumo.

"Siete pronti?" - Spike ignorò la domanda, non dovendo così mentire sul dolore che sentiva irradiarsi da molti punti del corpo. Preferiva essere incurante, che bugiardo.

"Sicuro." - anche Wes appariva calmo e rilassato, come se fosse tutto sotto controllo - "Prendiamo due macchine."

Viaggiavano a carovana.

Wes e Cordelia, a chiudere la fila, con la musica di sottofondo.

Angel e Doyle, parlandosi appena.

E davanti a loro, sfrecciando come una luce, Spike e la sua motocicletta.

Angel non faceva altro che fissare quella schiena, osservandolo, mentre accelerava, e poi rallentava, per aspettarli.

Angel e Spike non si erano nemmeno parlati. Quando Angel era finalmente sceso, aveva intravisto solo un giovane centauro vestito di nero, con il casco integrale. Fermo, in fondo alla strada, con un motore che scalpitava per l'attesa.

E nient'altro.

Angel era dolorosamente lucido. Dalla sua bocca uscivano soltanto frasi consapevoli e nella sua mente, sotto un dolore che batteva sordo come un tamburo, sfilavano solo pensieri normali, inerenti alle ultime ore.

Come se potesse vedersi dall'esterno.

Era consapevole delle ore di delirio, seguite alla telefonata. Ricordava le braccia di Cordelia e gli incubi che leniva con il calore del suo corpo.

Sapeva di avere chiamato William. Di aver implorato perdono, a lui, a Buffy.

E ricordava la loro dolorosa assenza.

Come cercava di ignorare la sua rabbia, il fiume in piena che l'aveva attraversato, il sangue di Spike sui suoi vestiti.

Il sangue di Spike.

Il ricordo di quell'odore gli provocò un brivido.

"Stai bene?" - chiese Doyle, girandosi appena, per non perdere di vista la strada.

"Certo, certo." - rispose automaticamente - "Stavo solo… ricordando."

"Angel… gli scaverai un buco tra le scapole se continui a fissarlo in quel modo." - poi, deliberatamente incurante - "E' già un miracolo che abbia ancora le scapole…"

Strappandogli un sussulto.

"Mi dispiace uomo, ma se aspetto che sia tu a parlarne…"

"Infatti non voglio parlarne."

Non adesso. Adesso non posso pensare ai vivi. C'è Buffy. Buffy è morta. Morta.

Buffy va sepolta senza liti.

Buffy, bisogna rendere omaggio solo a lei.

Spike attenderà, attenderà.

"Oh, Angel. Non chiedergli perdono, alla prima occasione in cui potrai parlargli." - replicò Doyle, senza attendersi una risposta.

In lontananza, Spike stava prendendo con impeto le curve. Stava già sparendo oltre la successiva.

 

L'occasione del confronto tra Spike di Angel era più vicina di quanto tutti, eroi inclusi, potessero immaginare.

E giunse, quando i fari illuminarono Spike fermo, sul ciglio della strada.

Doyle frenò bruscamente, incurante di Cordelia che poteva tamponarlo in ogni momento. Ed armeggiò con furia, attorno alla chiusura della cintura di sicurezza.

"Che succede?" - Angel si sporse in avanti, impiegando un attimo ad assimilare ciò che vedeva. Una frenata sull'asfalto, la moto spenta…

"Niente che non sia già successo." - replicò seccamente l'altro, spalancando la portiera, nell'attimo stesso in cui Angel metteva a fuoco.

Chino sul serbatoio, con il casco nella destra, Spike gli sembrava scosso da un eccesso di tosse. Poi, nitido, gli giunse un' aroma inequivocabile.

Sangue.

L'odore di sangue lo artigliò al cuore.

Scese dalla macchina e corse, raggiungendo Doyle, nell'istante stesso in cui questi afferrava il casco e lo posava a terra.

"Avanti, renditi utile." - esclamò con durezza il mezzo-demone - "Io reggo la moto e tu reggi lui."

Anche Cordelia era ferma, adesso. Doyle aveva sentito il freni fischiare e poi una portiera sbattere.

E Wes era arrivato di gran carriera, mentre Angel sradicava Spike dal sellino e lo reggeva malamente, posandoselo sul petto.

Spike teneva gli occhi chiusi e tossiva, lasciando che quegli eccessi gli scuotessero tutto il corpo. Con una mano si aggrappava alla sua ferita e con l'altra cercava di frenare il flusso ininterrotto che gli usciva dalla labbra.

In meno di ventiquattrore era già la seconda volta che qualcuno lo reggeva in piedi, mentre cercava di vomitarsi anche l'anima. Sentiva due braccia forti e preoccupate stringerlo, intralciando, posandosi maldestramente sul suo corpo.

Sangue. Ancora sangue, maledizione.

Westley cercò di intervenire, ad aiutare Angel. E mentre questi lo rassicurava in punta di dita di potercela fare.

"Tutto bene, Price." - mormorò Spike, nel vederlo con la coda dell'occhio, mentre si avvicinava."

Una frase breve, prima di un eccesso di tosse.

"Tutto bene, certo." - esclamò Westley, con una rabbia inusuale per lui - "Non mi verrai a dire che arriva anche questo dai polmoni!"

"Come sarebbe a dire, dai polmoni!" - esclamò Angel, dimenticando per un attimo la sua apatia. I polmoni non servono ad un vampiro.

"Dai polmoni, dallo stomaco, ma chi se ne frega da dove arriva. Dovrebbe piantarla di spargerlo fuori dal suo corpo." - rispose Doyle, abbassando il cavalletto della moto e mettendola in equilibrio.

"sì, certo, come se lo facessi apposta." - replicò Spike, alternando ogni parola ad un colpo di tosse. La sua mente stava assimilando lentamente un'informazione essenziale. Era Angel che lo reggeva, che assorbiva il tremito rabbioso del suo corpo, era ad Angel che parlava con voce dura - "Lasciami. Mi reggo in piedi."

Non voleva ferirlo. Ma non voleva nemmeno che si sentisse in dovere di essere forte.

Ognuno aveva i suoi dolori e, per quanto crudele, ognuno doveva occuparsi dei propri.

"Sì è visto eccome." - scattò Wes, passandosi una mano tra i capelli - "Sai che inizio ad essere stufo del tuo eroismo? Attento!"

Dalla braccia di uno quasi nelle braccia dell'altro.

Sangue, ancora.

In ginocchio, tra di loro, battendo violentemente le ginocchia. Puntellandosi con una mano e posando l'altra, con un'imprecazione sul fianco.

"Non dirmi che si è riaperta." - disse Doyle, scivolandogli vicino ed insinuandosi tra la mano del vampiro e la fasciatura.

"Ti prego… sto vomitando, lasciami in pace." - mormorò l'altro beffardo. Non gli sembrava di aver fatto altro che chiedere un attimo di pace, nelle ultime ore. Lasciami stare, lasciami stare, ma non volevano proprio capire che voleva starsene da solo anche se si sentiva malissimo?

Angel era rimasto fermo, immobile, le braccia lungo i fianchi.

Non osava fiatare.

"Allora, il responso?" - mormorò Wes, chinandosi a fianco di Doyle, mentre questi, senza preamboli, continuava a frugare sotto il maglione, vedendo con la punta delle dita.

"Non sanguina."

"Bella forza. Non posso dissanguarmi contemporaneamente da due punti differenti…"

"Per potere puoi, scientificamente parlando. Ma mi sembra inconcepibile che tu sia ridotto in questo stato!" - il tono di Wes era duro. Ma era niente, in confronto allo sguardo che riservava ad Angel.

Ad un Angel più sconfitto che altro.

"Se vuoi prendertela con qualcuno prenditela con me, Whydam-Price." - ringhiò Spike, puntellandosi, per mettersi in piedi - "Il sangue è mio. E lo mischio volentieri con il tuo, se osi dire il contrario."

Westley abbassò lo sguardo, per fissarlo negli occhi. Poi avanzò di un passo e gli tese la mano. E Spike accettò, con una sfida muta negli occhi.

"Perdonami. Sono un po' teso." - ma la sua voce lasciava intendere il contrario. Non era teso, era spossato - "Sei certo di non voler accettare la mia proposta?"

"Adesso sto bene." - mormorò Spike, reggendosi in piedi da solo ed aggiustandosi i guanti - "Potete anche ripartire, vi raggiungo…"

Wes e Doyle si scambiarono un'occhiata.

"Iniziate ad andare, restiamo noi. Andiamo a parlare con Cordy." - aggiunse l'irlandese, senza aspettare commenti di Angel. Poi, a Spike - "Vado a prendere le sigarette."

Spike camminò spedito verso la moto. Sfilò ancora i guanti e cercò di chinarsi a raccogliere il casco. Ma una mano fu più rapida della sua, a sollevarlo da terra ed a porgerglielo.

Angel. era la prima volta che i loro sguardi si incrociavano, da quando era successo… Spike accettò il casco e lo appese al manubrio.

"Ti ho provocato io quella ferita?" - chiese sommesso.

"No." - Spike scostò lo sguardo e si concentrò a studiare il serbatoio - "Non le hai fatto bene, certo, ma non è opera tua."

"E tutto quel sangue?"

"Bhe, quello…" - Spike aggrottò le sopracciglia, poi gli rivolse un bel sorriso sardonico.

Un sorriso disarmante. Ed Angel si ritrovò a ricambiarlo.

"Allora ne è valsa la pena…" - constatò Spike, togliendo le impronte polverose dalla pelle del sellino. Gli sorrise ancora. Poi aggiunse, senza voltarsi - "Ed immagino che Doyle non torni.."

"Le sigarette le ha trovate. Ma fuma appoggiato al paraurti." - mormorò a mezza voce Angel.

"Bastardo… è da ieri sera che cerca di convincermi ad evitare sigarette…"

"Quante volte ti è già successo?"

"Di volere una sigaretta? Ti dirò…"

"William, parlo dei tuoi polmoni."

"Non siamo certi che siano i polmoni. Cioè, ieri sera sì, ma adesso… e comunque vale anche per te il discorso fatto a Westley. Non ne morirò."

"Allora sono già due volte. Più tutte le volte che te l'ho cavato io a suon di pugni." - aggiunse Angel. Adesso rimpiangeva di non aver parlato dell'accaduto con Doyle.

"Angel, non importa se non ti ricordi ogni particolare." - il suono della voce di Spike era sereno - "Non hai bisogno di ripercorrere a tentoni tutto l'accaduto."

"Mi dispiace…"

"Ti prego, evitami le scuse. L'ho tirato io il primo pugno."

"Doyle me l'aveva detto…" - sorrise Angel, sentendo la vista annebbiarsi.

"Ah. Spione, oltre che bastardo." - Spike annuì, accorato. Girando attorno all'ostacolo.

"No." - il diniego sembrava solo un rapido singhiozzo in un sorriso forzato - "di non chiederti scusa alla prima occasione."

"Era un consiglio saggio, ma visto che non l'hai seguito…pazienza." - Spike si girò, appoggiandogli una mano già inguantata sul collo. Per trascinarlo in un abbraccio forte e sicuro.

"Sei scusato da tutto quello che vuoi, razza di mulo irlandese." - gli sussurrò, sentendo il capo di Angel pesargli sulle spalla. Poteva vedergli la bocca tremare, inarcarsi appena in un sorriso involontario di sollievo - "E dimmi che stai piangendo per la bionda che hai perso e non per l'inglese che hai pestato."

"Non piango. Io… niente."

"Pensiero profondo. Se adesso te ne vai, riprendiamo la strada." - aggiunse, sciogliendo l'abbraccio.

"Non credo." - Angel indicò qualcosa al di sopra della sua spalla - "Arriva Westley…"

"Ancora." - esclamò Spike, girandosi ed appoggiandosi alla moto. Giusto in tempo, visto che le gambe avevano quasi finito di reggerlo. E visto che, incurante, Angel alle sue spalle, si preparava a puntellarlo in qualche modo. Due ragazzini, intenti a coprire i loro difetti, uno con l'altro.

"Senti un po', biondo." - Westley arrivò alla moto - "Tutto sommato me ne infischio. E facciamo a modo mio. Adesso sali in macchina da Cordelia e ci rivediamo alla periferia di Sunnydale. Non ho nessun problema ad accettare una tua entrata in scena da eroe, visto che ci tieni tanto. Ma non arriveremo mai, se ti metti ad agonizzare ogni dieci miglia. E non m'imbrogli con quella faccia da combattente vissuto, ragazzino. Per cui fila in macchina e di' al tuo amico di piantarla di tenerti in piedi per i passanti dei pantaloni."

"Ma non ti sfugge niente."- lo incalzò Spike. Gli piaceva da impazzire il nuovo look dell'Osservatore. Tanto da passare sopra agli epiteti, il tono imperioso ed il fatto che lo avesse chiamato ragazzino, dimenticando i centotrenta anni che Spike contava più di lui. Si raddrizzò per tirargli il casco. La ferita gli fece male da urlare, ma per una buona causa.

Wes placcò il casco come un pallone da football e Spike, passandogli accanto, vi depositò le chiavi ed i guanti.

"Inutile dire che se le fai un graffio ti ammazzo."

Angel gli camminava a fianco, con lo sguardo chino ed un mezzo sorriso.

Un mezzo sorriso.

Abbastanza da alleggerire i passi stanchi di Spike.

"Ah, Whydam-Price! La prossima volta che vuoi guidare la moto, chiedila in prestito, non fare il buon samaritano!"

 

Spike sedette comodamente e prese all'istante a trafficare con la radio.

Poi, con un gemito, si coprì gli occhi.

"Che c'è, stai male?" - la voce di Cordy suonava allarmata.

"No, non oso guardare Westley che casca con la mia moto."

"Se ti concedi una sbirciatina, avrai una sorpresa…" - mormorò la ragazza, con l'aria di chi la sa lunga.

Wes stava a cavalcioni della moto, puntellandosi sulle gambe. Aveva smesso di armeggiare con il casco e non sembrava poi così a disagio.Con gesto naturale, fece andare su di giri il motore, e fece un cenno agli altri. Un cenno di saluto.

Poi partì.

E Spike rimase inebetito, con negli occhi quell'impeccabile impennata, mentre Westley si fondeva con l'orizzonte.

"Che ti aveva detto… il nostro Westley non racconta il suo passato, chissà cosa nasconde…" - Mormorò Cordy, accendendo il motore. Doyle, che stava salendo in macchina si girò, allargando le braccia. Con un gesto scanzonato che invitava alla pazienza, a sopportare stoicamente le sorprese della vita.

Un gesto che strappò ad entrambi una risata breve e intensa.

Spike e Cordelia viaggiarono in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri.

Poi, quando Spike si concesse di chiudere gli occhi, una mano calda e prontissima gli si posò sulla fronte.

Spalancò gli occhi sorpreso.

"Non è che ti sta venendo la febbre, vero?" - domandò, con tono inquisitore, continuando a guidare pericolosamente, con una mano sola.

"Ai vampiri non viene la febbre…"

"Ma che petulante che sei, sarebbe più gradito un 'no, Cordelia, non ti preoccupare' oppure un 'sta tranquilla, non ti faccio scherzi strani'…"

"Gattina!" - esclamò Spike, dandole un buffetto sulla guancia - "Sto benissimo. Sono solo un po' stanco. Ma sto bene. Vuoi il cambio?"

"No, grazie. Hai più bisogno di me di riposarti. Io non servo a molto, al momento."

"Cordy, tu sei indispensabile."

"Lo pensi sul serio?" - Cordelia si asciugò una lacrima con naturalezza - "perchè mi sento proprio uno straccio incompetente…"

"Nahh" - Spike si girò, con un'espressione scanzonata - "E' l'aria di Sunnydale. È sei un bellissimo straccio, quando piangi."

"E tu sei un adulatore… ma grazie comunque." - sospirò cordelia, reprimendo il dolore - "Spike come fai ad essere…così."

"Così come?"

"Calmo, tranquillo. Io pensavo che tra te e Buffy… cioè…"

"No, niente 'cioè' tra me e Buffy. Solo delle gran risse. Un po' con lei, un po' con i suoi ragazzi di turno. Qualche bella conversazione, qualche collaborazione e niente più. Vuoi sapere se soffro per Buffy?"

"Sì. Soffri per Buffy?"

"Certo. è morta sotto i miei occhi. Potevo salvarla. Non ci sono riuscito." - spike era essenziale. Una pausa, ogni frase che esprimeva una verità per volta - "Adesso Dawn è completamente sola. Devo occuparmi di lei e lei guarda a me come ad uno che non cede mai. Non vedo perché darle un'altra delusione…"

"Tutto qui? Lo fai solo per Dawn?"

"No. lo faccio anche per Angel." - poi aggiunse - "E per chi vuole appoggiarsi."

Cordelia annuì, in silenzio. Rammentando una cosa che voleva dirgli…

"Io non ti ho ancora… cioè… ringraziato per l'abbraccio dell'altro giorno. Mi ha aiutato, sul serio."

"E' stato istintivo. Oddio, non depone a favore della mia facciata di cattivo, quello che ho appena detto. Ma sono certo che non lo dirai a nessuno…"

"Certo. A nessuno." - annuì, enfatica.

"Perfetto."

"Già, perfetto." - concordò Cordelia.

"Gattina…"

"Dimmi Spike."

"Angel è riuscito a dormire qualche ora?"

Cordelia esitò. Non si aspettava quella domanda, non si aspettava di sentire quel tono serio e profondo.

"Sì. Ma non era tranquillo. Piangeva nel sonno, urlava… era come se non potesse smettere di parlare. Ti… ti chiamava."

Spike stette in silenzio, riflettendo. Per lasciarla proseguire.

"All'inizio ho pensato di venirti a svegliare. Poi ho deciso che, che non saresti venuto. Non perché tu non volessi." - si affrettò ad aggiungere - "Ma eri così malmesso… e poi Angel chiamava Buffy e… Kathie?"

Non era certa fosse quello il nome.

"E' giusto." - l'incoraggiò Spike, ripensando alle parole di Doyle - "Chiamava sua sorella, Katherine."

"Continuava a ripetere che gli dispiaceva, che non avrebbe voluto…. Penso avesse degli incubi tremendi."

"E' probabile. Non scindeva la realtà dal sogno. E forse non aveva la forza di svegliarsi."

"Ne parli come se ne sapessi qualcosa…"

"Ma io ne so qualcosa. Ci sono passato, ricordo il calore di chi mi stava vicino, anche di Angel, che non emana calore corporeo" - puntualizzò Spike. poi, con un sorriso - "Come so che sentiva la tua presenza. Magari non lo ricorda, ma in quei momenti la percepiva, te lo garantisco."

Cordelia avrebbe voluto girarsi e guardarlo mentre si esprimeva, in quel modo garbato, parlando di cose tremende ed importanti, lasciando il mondo fuori da quella macchina.

Lasciando Buffy per qualche minuto fuori dalle loro menti.

Come era stata per tanti mesi, mentre rischiava la vita e loro facevano altrettanto.

Come era stata nei momenti di quiete ed in quelli di festa.

Parlavano d'altro. Cercavano di fermare le loro emozioni.

"Hai fatto la cosa giusta a non chiamarmi. Fossi venuto sarebbe stato peggio. Oppure non sarebbe servito a niente."

Adesso ne era certa.

Spike era triste. Tanto triste da non riuscire neanche ad ammetterlo con se stesso.

Cordelia allungò una mano, come per cambiare le marce. E lo sorprese, quando la posò sul suo ginocchio e gli strinse le dita.

"Spike, la volta che ti andrà di sfogarti un po' e non vorrai farlo con tutti questi bellimbusti… chiamami, verrò subito."

Si sorrisero, senza che le loro mani si separassero.

"Dormi un po'." - aggiunse dolcemente - "Ci sono io qui."

 

"Smetti di guardare nello specchietto. Prendi il cellulare e chiama Principessa. Fai prima." - consigliò blandamente Doyle.

"Sei certo che adesso stia bene?"

"Andiamo! Sta malissimo! Lo so io e lo sai tu." - esclamò -" Ma senti come ti parlo! E pensare che una volta ero una persona così gentile..."

"Il tuo tono è perfetto. Sono io che mi comporto come un pazzo." - replicò Angel, spossato - "Il dolore non giustifica quello che ho fatto."

"Forse. O forse no. Ma non farlo notare a Spike. Quello che ha scelto di subire… bhe, forse non ci sono parole." - Doyle tamburellava sul volante, con suono ritmico - "su una cosa aveva perfettamente ragione. Io non ne avrei avuto la forza."

"Doyle, tu sei morto per me."

"Certo. ma non avrei saputo prenderti a pugni. Vero, ho fatto anche quello, prima di suicidarmi… Ma ci vuole fegato per fare… e sopportare… quello che è successo. Soprattutto nelle sue condizioni."

"Mi ha detto che la ferita non è opera mia…"

"E tu credigli. È vero. È una ferita lunga trenta centimetri e profonda almeno cinque, provocata con un'arma da taglio. Hanno cercato di affettarlo e non ci sono riusciti." - Doyle non voleva nascondergli nulla - "Mentre vi picchiavate, l'hai presa in pieno, ci hai quasi scavato una fossa. È da lì che proviene il sangue che sta sulla tua parete, ne aveva i vestiti impregnati. Il resto, quello che continua a farlo tossire, è diretta conseguenza di quando l'hai sbattuto contro il muro. È probabile che stia ancora smaltendo tutte le emorragie che ha in corpo. Il suo organismo espelle il sangue da dove non dovrebbe essere, è troppo provato per riuscire a riassorbirlo. La ferita rallenta il suo metabolismo, la continua perdita di sangue lo indebolisce. Lorne ha detto che c'è da meravigliarsi della sua resistenza."

Nel suo tono non c'era nessuna accusa. Solo una vaga tristezza, per quello a cui aveva dovuto assistere senza intervenire. Gli era costato molto, attendere, immobile, senza impedirsi di chiudere gli occhi davanti alla forza dei loro colpi, senza poter smettere di sentire il rumore orribile del corpo di Spike che si spezzava. Il suo corpo, non la sua volontà.

"Non puoi farci niente. Se ti fa piacere preoccupatene, se pensi che possa aiutarti. Ma non cambierà la realtà dei fatti."

Lo so. Ma Angel rispose con il silenzio.

La realtà dei fatti.

Aveva massacrato Spike. Non si era controllato.

Aveva ceduto alla violenza. Aveva voluto ucciderlo, nel momento in cui si era sentito urlare in faccia tutte quelle… verità.

No, non aveva voluto ucciderlo. Ma c'era quasi riuscito.

"Io non volevo fargli del male." - suonava come una scusa. Come una bugia.

Non voleva, ma aveva voluto.

Si strinse la testa tra le mani.

"Angel." - lo chiamò Doyle - "Non ti servirà a niente tormentarti in questo modo. Non ritroverai il perché che ti sembrava di avere ieri sera. Ti basti sapere che invece Spike ha ben chiaro in testa il motivo per cui adesso sconta quelle ferite. L'ha fatto per te e potrei scommettere che non prenderà bene nessuna recriminazione."

"Gli hai parlato?"

"Accidenti, uomo, ma sei tu che inculchi in tutti questa mania di sopravvalutarmi? Spike mi dice di parlare con te, tu mi dici di parlare con lui. Poi viene Cordelia e mi chiede di fare due parole con Wes e Lorne…" -no, Lorne non gli diceva niente del genere… - "Io posso parlarvi, ma non posso trovare tutte le risposte che volete avere. E soprattutto, non posso dare a te le risposte che potrebbe darti solo spike. Tu sapessi fare le domande, ovviamente."

"Spike ti ha detto di parlare con me?" - no, avrebbe voluto chiedere tutt'altro. Ma ormai la frase era formulata.

"No." - Doyle dominava a stento i suoi sentimenti contrastanti. E la sua voce suonava dura e spietata - "Ti ha affidato a me, visto che dava per scontato di non riuscire a rialzarsi da quel bagno di sangue in cui vi sareste ritrovati. È stato lungimirante, visto il buco che hai fatto nella parete ad un dito di distanza dalla sua faccia. E, di tutto cuore, io spero tu l'abbia mancato di proposito."

Angel chinò il capo. La veemenza di Doyle affondava come una lama. Una lama viva. Con il calore di Buffy e delle parole dure che si erano gridati tante volte.

Tu cerchi risposte per tutti… ma non chiedi mai quello che vogliono, quello pensano. Il meglio, il meglio, come fai a sapere che sia il meglio?

"Il meglio. No, non so cosa sia il meglio." - disse Angel, rispondendo alla voce femminile che rimbombava nella sua testa - " Non ho le risposte, passo le notti a cercarle. Ed hai ragione, non so fare le domande giuste e resto in silenzio quando forse dovrei urlare. Ma so che c'è una domanda, una sola a cui dovrai rispondere, Doyle, prima di Spike. Una sola."

"Ed allora fammela."

"Non ora. Quando tutto sarà finito."

 

 

V

Sulla porta di casa di Angel, stava Dawn.

Ed in piedi, fuori posto, Tara, con i capelli chiari illuminati appena dalla luce del lampione.

Non sembravano una Strega ed una Chiave. Erano solo due ragazzine, le più grande intenta a sorvegliare la più piccola. Stringeva il cuore vederle.

Cordelia girò l'angolo e spense il motore, attendendo che Spike arrivasse, prima di scendere.

Avevano fatto come Wes aveva promesso.

Quasi sotto al cartello, Benvenuti a Sunnydale, li aveva aspettati, fumando, con lo sguardo perso nella notte e nelle stelle. Si era levato un vento leggero che portava profumo d'inverno e Wes aveva rivolto il suo pensiero alla Cacciatrice dallo sguardo duro che aveva perso e a quella dagli occhi scuri che aveva nascosto.

Le sue Cacciatrici.

Tutte due, seppur per breve tempo. le stesse che andava a conoscere la prima volta che era passato a fianco dello stesso cartello.

Alla luce del giorno.

Verso Sunnydale, che ai suoi occhi sembrava viva solo di notte.

Le sue Cacciatrici.

Quelle che non potevano tollerarlo, quelle che lo squadravano, mentre apriva bocca e dava voce alle sue conoscenze.

Le due ragazzine che non potevano capire l'arduo compito che si era ritrovato all'improvviso, che non avevano saputo vederlo come una figura saggia e paterna. E che non si erano lasciate raggirare da quell'aria austera, mal tollerandola, come una maschera sempre pronta a scivolare.

Wes sorrise, gettando il mozzicone nella notte. Aspettando di vedere i fanali della macchina di cordelia, giocherellando con le chiavi della moto e meditando, sul desiderio di acquistarne una, non appena tornato a Los Angeles.

Strano.

Ma non troppo.

L'idea di qualcosa di pericoloso, qualcosa di accantonato per lungo tempo. un lusso, un desiderio mal represso. Non un'azione da buon samaritano, Spike aveva perfettamente ragione.

In parte.

A Wes non piaceva la sofferenza. Odiava vedere la gente soffrire, odiava soffrire. Il cuore gli si induriva, diventando come troppo ingombrante. Per poi, lentamente, rallentare insieme al ritmo delle cose.

Anche se le incrinature ormai non si contavano più, mentre trapelavano aspetti nascosti del suo carattere. Un gusto per il rischio che non ammetteva mai, una passione nascosta.

Qualcosa che lo rendeva simile a Spike, più che ad ogni altro. Quella che l'altro, affinato da anni di divergenze con un irlandese, chiamava la 'sana determinazione inglese'.

Spike.

Spike sapeva essere la sofferenza scavata in una roccia. Un'anima intrappolata nello sguardo, nella luce sardonica con cui scomponeva il mondo e smantellava le persone. Un'anima, per completarlo.

Un'anima, per riportarlo indietro.

La sua. E quella di Angel.

E l'incapacità di accettare il tormento. La pena e la sofferenza tormentavano il suo riposo. Ma mai le sue mosse, rendendolo infinitamente diverso da Angel, in cui determinazione e dolore erano fusi, come vetro esposto ad un fuoco troppo potente.

 

Spike reclamava la sua moto.

Avanzava baldanzoso, calmo, celando bene lo sforzo ed il dolore.

Wes scosse la testa, restando vittima di un sorriso involontario.

Alzò la testa, perdendosi nella notte con lo sguardo e le mani saldamente in tasca.

"Bel gioiello. Buona ripresa." - mormorò, dondolando un po' sulle ginocchia. E lasciando che Spike alzasse un sopracciglio, con aspetto dubbioso.

Ai suoi occhi doveva essere decisamente strampalato.

"Non mi sono ammattito." - si sorprese a dire - "Io… capisco. Io ti capisco."

Era vero.

Capiva. E questo lo cambiava.

Senza spiegarlo a parole.

Spike lo guardò, stringendo appena gli occhi. Sorridendo con gli occhi, lasciando che la bocca si aprisse, con la sua durezza.

"Meno male." - sospirò. Chiudendo quella risposta beffarda in un'espressione che diceva ben altro - "E dove avresti imparato a impennare?"

"Qua e là…" - mormorò vago - "Non ricordo…"

"Sì, certo…"

westley buttò ancora un'occhiata alla notte. Sarebbe dovuto salire in macchina con Cordy. Ma non era certo di …

"Tu stai bene?" - mormorò, per cessare di seguire il filo dei suoi irragionevoli pensieri.

Spike dovette soppesare la risposta, prima di decidersi ad annuire.

Un cenno che doveva bastare. Angel e Doyle, fermi poco oltre, non erano scesi dalla macchina. Aspettavano l'indispensabile partenza.

E si avviarono lentamente, al sommesso scattare di una portiera.

 

Spike rimase solo sulla strada, aggiustando i guanti e rimontando in sella.

Tutto sommato gli spiaceva aver mentito a Wes…

 

La moto le passò a fianco, fermandosi davanti al cofano, di traverso. Spike ne scese, levandosi il casco.

Lo appese al manubrio e, scotendo le chiavi, fece un cenno a wes.

"che voleva dire?" - chiese cordy, girandosi verso l'Osservatore che rispondeva con un cenno.

"Mi ha detto di parcheggiarla…" -

Spike corse verso la porta. Accogliendo dawn tra le braccia, mentre i suoi singhiozzi lo investivano in pieno.

"briciola, per la miseria, cosa fai qui…" - sussurrò, stringendola, piccola e triste, con il naso contro i suoi pettorali. Rivolgendosi a tara, che gli veniva lentamente incontro - "che ci fate qui? È pericoloso…"

Senza inveirle contro.

Parlandole gentilmente.

Tara aveva gli occhi rossi e non era forte.

Tara parlava poco ed il poco lo diceva con emozione. Si creava un piccolo spazio nelle cose di tutti i giorni, con il dono di capire.

"Non sono riuscita a convincerla, voleva aspettarti…" - mormorò, scusandosi - "Meglio con me che.. da sola…"

spike alzò la testa e la guardò.

"Almeno su questo hai ragione. Ma nemmeno tu dovresti essere qui."

"So… difendermi…."

"Non ne dubito. Ma non è ugualmente una cosa tranquillizzante."

Gli altri si stavano avvicinando.

Spike si volse a fissarli.

"Rimandiamo le presentazioni ed entriamo." - disse, a beneficio di tutti, sollevando Dawn e sentendola aggrapparsi al suo collo.

 

Presentò Tara al resto del gruppo, senza riuscire a separarsi da Briciola. Incurante la sedette sul tavolo e si appoggiò, perché potesse continuare a stringergli il collo, inzuppandogli il colletto del giaccone.

Come se fosse una soluzione come un'altra. Negando pure a se stesso che si trattasse di un metodo per restare a sua volta in piedi.

Il suo corpo, la sua mente… e adesso, con dawn così vicina, vacillava anche il suo cuore.

Tara strinse la mano a tutti loro e giocherellò, imbarazzata, con i capelli, spingendoli dietro le orecchie, più volte.

Cordelia le fece un cenno e venne in suo aiuto.

"Angel, mi scelgo una stanza…Tara, ti va di darmi una mano?" - chiese. Quel poco che sapeva di lei l'aveva raccontato Spike, soffermandosi ironicamente più sulle sue abitudini sessuali che sul suo carattere.

E mai, Cordy si sarebbe aspettata un tale scricciolo di vetro.

Tese e stanche si mossero, verso il corridoio ovest.

E i rimasti nella sala centrale la sentirono parlare di tutto, cercando, invano, di cavarle una parola di bocca.

Angel scostò una sedia e sedette, a fianco di dawn, a fianco della gambe secche che penzolavano dal tavolo, mentre il resto del suo corpo si protendeva verso Spike.

Wes posò le sacche e si diresse verso il giardino, spalancando la grande porta finestra.

Respirando ancora l'aroma della spalliera di gelsomino. A pieni polmoni. E non lo stupì troppo il fatto di sentire i passi di Doyle alle spalle.

Gli arrivò a fianco, senza dirgli nulla. Alzando lo sguardo verso le pareti sconnesse del giardino e la natura selvaggia che le ricopriva.

Il profumo delle piante lasciate libere saturava l'aria. Sembrava impregnare i vestiti e le persone.

Le mura… abbastanza alte da illudere che non ci fosse un mondo fuori.

Una gabbia.

Oppure una liberazione.

"Doyle…eri mai stato qui?" - si sorprese a chiedere.

"qualche volta…" - replicò serafico l'altro. Poi indicò una finestra, ormai nascosta dal rampicante - "Ho spaccato io quel vetro…"

"Sul serio?"

"Angel non voleva aprirmi la porta…" - mormorò rammaricato. Non poteva… aprirmi la porta.

Wes annuì, per chissà quale pensiero.

"Questo posto mi è sempre piaciuto…" - aggiunse. Aveva camminato su quella pavimentazione sconnessa, con lucide scarpe da osservatore -"Di solito non amo le cose cupe… ma è…"

"Decadente?"

"No. Romantico, forse. Mi fa pensare alle raccolte di Thomas Gray…"

"Thomas Gray? Il Kurt Cobain del Settecento?"

"No" - rise Wes, girandosi a fissarlo storto - "Quello era Dylan Thomas. Ma non credo che sia una cosa importante…"

"anche a me piace questo posto. Forse non tirerei in ballo la poesia, ma si tratta di una questione di punti di vista." - Doyle camminò fino alla fontana, poi si girò, con un sorriso aperto - "Solo Angel poteva scegliere un posto del genere… lo rispecchia in tutto e per tutto."

 

Dawn, a poco a poco si calmò. Si tirò indietro e si asciugò la faccia con il dorso della mano. Strofinandosi il naso e gli occhi.

"Angel." - chiamò Spike, sorridendole - "Tu hai un fazzoletto per Briciola?"

"Forse dovresti farti dare una maglietta…" - cercò di sdrammatizzare Dawn, mentre Angel le porgeva il richiesto.

"Anche." - annuì Spike - "Ma non credo la tenga in tasca..."

le sorrise ancora. Da quell'angolazione, Angel lo vedeva bene. Adesso, finalmente a sunnydale, mentre i ricordi andavano riacutendosi, cercava disperatamente di aggrapparsi ad ogni piccolo particolare. Scindendo l'espressione di Spike, rendendosi conto che Dawn avrebbe captato solo il bel sorriso, senza cogliere la gamma di ondate dolorose che andava travolgendolo.

La sua ferita, la preoccupazione, l'amore… e chissà quanto ancora, in uno come Spike, capace di complicarsi la vita a colpi di emozione… con o senza anima.

Con vampire, cacciatrici e bambine. E poi ancora con scienziati, demoni ed eroi…

In un rocambolesco equilibrio delle parti, anche adesso, mentre tutto sembrava sfuggire al controllo.

Dawn si soffiò il naso e si girò, restando seduta sul tavolo, con Spike a fianco.

"Ciao, Angel."

"Ciao piccola." - gli rispose lui, con un'espressione che avrebbe voluto essere un sorriso.

Dawn tirò un profondo respiro, mentre gli occhi si riempivano nuovamente di lacrime.

"Io ci provo… a non piangere." - singhiozzò, asciugandosi le prime lacrime che scendevano - "ma…"

Lentamente Angel si alzò e le sedette a fianco. L'abbracciò, sentendola aggrapparsi disperatamente.

"Anch'io bambina, faccio fatica… a non piangere."

 

Spike si alzò ed uscì in giardino, fino ad arrivare a fianco di Wes.

Stava parlando a Doyle e Doyle, senza perdersi una parola, fissava un punto illuminato della stanza.

Ad un tratto la sua espressione obbligò Wes a girarsi. Senza scorgere nulla.

Doyle spostò la sua concentrazione verso Spike che ricambiò, con un'alzata di spalle. "Potere di Dawn. L'avessi portata a LA,ieri sera non mi sarei dovuto far massacrare di botte…"

 

Passarono i minuti, lenti.

Per tutti loro, impegnati in cose che non avevano importanza. Ma con nel cuore il suono delle lacrime finalmente libere.

 

Quando i singhiozzi di entrambi si attenuarono, Angel si discostò, un poco, asciugandosi gli occhi con lo stesso gesto infantile di Dawn.

Si guardarono e risero, imbarazzati.

Ed isterici, avrebbe aggiunto un cinico.

"Va… meglio?" - chiese Angel.

dawn annuì.

"E tu?"

"bhe… sì, credo di sì."

"Angel… il tuo fazzoletto." - mormorò, porgendogli uno straccetto appallottolato.

"Puoi tenerlo, Dawn… i vampiri non si soffiano il naso…"

"Allora… va meglio?" - chiese scanzonato spike, arrivandole alle spalle.

Buttò un'occhiata ad entrambi e scosse la testa.

"Flagello…" - dichiarò rassegnato - "Passi per Briciola, ma tu…"

Ostentava un sarcasmo che non provava affatto. Ma, questa volta, nemmeno Angel riuscì a sentire il sollievo nella sua voce.

Ma era meglio così… avrebbe anche potuto ricominciare a piangere…

Spike lo guardava in faccia, con un mezzo sorriso. Angel era disfatto, ma, per una volta appariva stravolto per un motivo sano.

Dawn stava ancora trafficando con il fazzoletto. Ma sembrava concentrata a riflettere su qualcosa.

"spike…" - mormorò infine. E, ottenuta la sua attenzione, disse - "Briciola è più carino di Flagello…"

Spike la fissò un attimo senza capire. Ed altrettanto fece Angel, guardando interrogativamente prima lei e poi lui.

Fino a quando, con un'unica occhiata, li vide abbracciati.

"Ma Briciola…." - mormorò Spike, gettando un'occhiata irrispettosa ad Angel da sopra la spalla -"Tu sei più carina di lui…"

"Grazie." - seppe soltanto rispondere lei, strofinandosi il naso.

"Soffiatelo, non stortarlo." - l'ammonì Spike. Poi, piegandosi sulle ginocchia per fissarla negli occhi, aggiunse - "Ed adesso che ti sei calmata, mi spieghi perché sei venuta qui trascinandoti dietro Tara…"

Era molto bravo a rimproverarla.

E dawn, a testa china, in modo poco consono al suo carattere, si sorbiva la predica.

Ed Angel, abituato ad apostrofarlo per la sua irresponsabilità e scarsa moralità, non sembrava intenzionato a perdersi la scena. Si sedette.

"sai bene che in questo momento, soprattutto, Sunnydale è un posto pericoloso per te. Non devi assolutamente andare in giro, né da sola, né con amici. A meno che non siano almeno quattro ed armati fino ai denti."

"Ma Spike, io volevo sapere quando arrivavi." - protestò lei, guardandolo in faccia.

"Ti avevo detto che sarei arrivato stanotte, potevi aspettarmi da Giles. Oppure a casa."

"A casa non ci voglio tornare." - replicò dawn, mentre i capelli le piovevano sugli occhi.

Spike strinse le labbra, impercettibilmente. Poi le baciò la tempia.

"lo capisco." - sospirò, mentre i suoi occhi diventavano fuggevolmente più torbidi. Le sue cose… sparse in giro per la stanza… il suo stupido orsacchiotto…

i libri che non voleva leggere…

No, anche Spike non ci sarebbe voluto andare.

Soprattutto perché là c'era il suo profumo.

"dov'è Willow?" - chiese, per distrarsi.

"Con Xander. E Anya. Hanno detto che andavano a prendere alcune cose… non so cosa, però."

"E Giles?"

"Lui è andato…" - mentre le labbra iniziavano a tremarle. Non ci voleva molto ad immaginare dove fosse giles, a poche ore dal funerale.

"Ho capito." - si affrettò a dire spike - "ho capito, Briciola."

"verranno qui, poi." - aggiunse dawn, cercando di controllarsi - "Tara li avvertiti."

Certo, pensò Angel. Perché se Giles fosse stato presente, avrebbe dato loro almeno le chiavi…

Pensiero stupido. Quanto bastava a non impazzire.

 

 

VI

Come erano opachi i suoi gemelli, pensò, finendo di aggiustarsi i polsini.

Pensiero stupido. Quanto bastava a non impazzire.

Angel chiuse gli occhi, colto, per un istante da vertigini. Nelle ultime ore non aveva fatto altro che aggrapparsi a sciocchezze….

Un fazzoletto stropicciato, un mazzo di chiavi, un vetro rotto…

Aveva percorso con calma i corridoi e le stanze della casa, alla ricerca di una distrazione reale.

Alla ricerca di qualcosa che non fosse un fantasma.

Un fantasma d'odio.

O uno d'amore.

Alla ricerca di un silenzio che non si riempisse di colpo di urla e di voci.

E della sua voce.

La voce di buffy, dagli angoli bui.

Chiudi gli occhi…

Chiudi gli occhi, Angel… e raggiungimi.

La sua voce. Speciale solo perché era sua. Parole speciali, solo perché giunte dalle sue labbra.

Camminato.

Aveva camminato a lungo, quasi girando su se stesso. Quasi girando intorno a tutto ciò che c'era stato di inevitabile e sbagliato nella sua storia con Buffy.

E nella sua vita. Nella sua vita, al suo fianco.

 

Un bottone dietro l'altro… dio, quanti erano…

Nulla gli portava conforto.

Assolutamente nulla….

Non c'era più nulla che potesse splendere.

Nulla che gli impedisse di galleggiare.

Chissà dove era la cintura…

Gli bastavano pochi passi per giungere al cassettone ed il primo cassetto, aprendosi, aveva ancora quel cigolio.

Quel suono gracchiante che la svegliava, che la faceva sedere sul letto. Che le permetteva di guardarlo e sorridergli con occhi assonnati.

Strano, non c'era… eppure era certo di averla riposta lì, quella sua vecchia cintura…

Scostò le camicie, i pochi abiti lasciati… lasciati per cosa poi…

 

Chiudi gli occhi, Angel…

 

Eccola…

Angel tornò verso il letto e la posò a lato della giacca.

Un altro gesto meccanico…

Con la mano lisciò una piega. Con due dita, appena, per farsi colpire dalla stoffa ruvida.

"Stai bene?"

Si voltò, con calma. Sulla porta, appoggiato allo stipite, stava Spike.

Vestito di nero, come sempre.

Lo Spike di sempre.

Spike… che lo colpiva alle spalle, mentre la Cacciatrice lo fissava, con la spada in pugno. Spike e Dru, all'ombra del giardino.

E Buffy, con la spada in pugno.

Battè le palpebre, come per scacciare la polvere del tempo.

"Sì…" - mormorò - "sì, sto bene."

Spike lo guardò, senza lasciar trapelare nulla.

Angel appariva come anestetizzato. Si muoveva come un sonnambulo, senza mettere a fuoco nulla.

Quasi fosse un guscio, con occhi troppo vuoti.

Non c'era più nulla, in lui, di quei mesi, di quegli anni, lontano da Sunnydale.

Era nuovamente l'Angel di Buffy, fatto di tormento.

Solo che ora, nel petto, gli martellava un dolore sordo.

Il dolore di non saperla più solo lontana.

Il dolore di saperla troppo lontana.

Il dolore di averla perduta.

Irrimediabilmente.

Qui non si trattava di un Parker, di un Riley o di Spike…

No.

Spike abbassò lo sguardo, contemplandosi la punta degli stivali. Li aveva lucidati, maniacalmente. Poi si mosse, per tornare nel giardino.

Non era uno spettacolo a cui voleva assistere.

"William…"

Non si aspettava di sentirsi chiamato. Si voltò, scrutandolo con occhi attenti.

Angel era incorniciato dalla porta, vestito solo a metà. Tormentava nervosamente i polsini già allacciati, ignorando la camicia, abbottonata solo in parte.

"Dawn? Dawn sta bene?" - chiese Angel. Senza credere realmente nell'importanza che la risposta poteva avere.

"Si sta cambiando." - rispose pacatamente Spike - "Willow le ha portato dei vestiti."

"Bene. Bene." - annuì, meccanicamente - "può restare qui, se non vuole tornare a casa…"

Ora lo sguardo di Angel era perso nel vuoto. Si stava sforzando ma…

Spike gli si avvicinò con calma. Ma neanche questo servì ad attirare la sua attenzione. Con gesti studiati, Spike protese le mani, fino ad allacciare il primo bottone della camicia.

Uno dietro l'altro. Ora Angel lo guardava.

Ma Spike era preso nel suo compito. Senza una parola, con le labbra contratte, bottone dopo bottone.

Fino all'ultimo…

"Lascialo slacciato." - mormorò Angel.

Non era una cosa importante. Ma era quanto bastava per incontrarne lo sguardo. Per incontrare quegli occhi di calcedonio.

"Per favore." - aggiunse, con tono compito.

Per favore.. come se Spike, innanzi a quella preghiera, potesse dargli ben di più.

Un miracolo.

Un ritorno.

Una parola.

Una qualsiasi.

Ma Spike, in silenzio, lo guardava negli occhi, aggrottando appena le sopracciglia bionde. Le sua mani avevano interrotto il lavoro, senza lasciare prontamente il colletto.

"E tu? Stai bene?" - domandò ancora Angel, guardandolo. All'improvviso era lui, il più giovane tra di loro. Spike sembrava quasi sovrastarlo.

Come se le spalle di Angel, inesorabilmente, si piegassero, sotto il peso di quella perdita.

"Potrei stare meglio." - mormorò Spike, allontanandosi. Arretrando di qualche passo, prima di voltarsi e raccogliere dal tavolo il suo giaccone. Il peso di quella consapevolezza gli provocava un malessere fisico.

Buffy era morta.

Ed Angel si stava spegnendo.

"Dove troverai la forza di andare avanti, Angel…" - chiese, senza guardarlo.

Fissando la parete - "Dove…"

"Ancora non lo so." - Angel chinò il capo, con una risata che lo scosse dal profondo. Come un singhiozzo.

Irrefrenabile.

Facendolo quasi barcollare, sorprendendolo, mentre la vista tornava a svuotarsi.

No….

Non sarebbe sopravvissuto…

No…

Sarebbe morto, con il petto stritolato da quell'angoscia.

Sarebbe morto invocando di poter respirare ancora. Invocando il suo profumo.

Ed il suo amore.

"Vorrei solo poterla dimenticare…."

"Ma non ci riuscirai…." - Spike scosse la testa e si voltò. Con un sorriso di derisione per se stesso e per le parole che stava per dire - "Ti è entrata dentro. Tutto in te parla di lei. Tutto in lei sapeva di te. Sapessi quanto ho provato…"

Si interruppe.

Per prendere coraggio.

Per non vedere più Buffy sovrastarlo, sprezzante, gettandogli in viso soldi e parole dure.

"Sapessi quanto ho provato a piegarla. Ma era forte. Troppo forte persino per me." - si infilò lo spolverino, con un movimento rapido e doloroso - "Forte per la sua natura. E forte nell'amore per te. Ci sei sempre stato tu, tra lei e gli altri. Eri il filtro a cui si aggrappava. Non ti ha mai lasciato andare…"

mai.

Fino all'ultimo.

Sono corso io a Sunnydale.

Ma era il tuo anello che le dava forza.

Era il tuo anello quello che nascondeva, contro la pelle. Era te che voleva vedere.

Ma ero io il vampiro che guardava.

Da sempre.

"Spike…"

C'era Dawn sulla porta.

Angel alzò lo sguardo, con un sussulto. Spike si era girato, andandole incontro, con aria sicura.

Rinunciando a quello che stava dicendo… sperando, che non avesse sentito.

Inutilmente.

"Ed io, Spike?" - chiese, mentre gli occhi le si riempivano nuovamente di lacrime - "Io dove troverò la forza di andare avanti?"

dove può trovarla anche lui.

In me.

"Briciola." - replicò, abbracciandola - "Lei è parte di te… e dentro di te troverai la forza per andare avanti."

Alzò lo sguardo, per vedere Angel. Per fissarlo, sopra la testa di Dawn. Per trapassarlo, con una fermezza ed una luminosità inaspettate.

"Dentro di te…"

 

"Westley…" - Giles uscì in giardino, mentre il giovane Osservatore, sentendosi chiamare, si voltava - "che piacere rivederti."

E che sorpresa… dov'era finito il compito uomo inviato per sostituirlo? Non poteva essere quel ragazzo alto dallo sguardo saldo.

"Giles…." Sorrise, tendendogli la mano. Era tirato in viso… ma, del resto, chi non lo era? - "Mi dispiace solo che sia questa… l'occasione…"

Era gentile. Ed educato.

Ma non gli riusciva più di essere spontaneamente scostante e preciso. Era semplicemente un uomo addolorato. E molto più umano di quanto non fosse mai stato.

Cambiato…

Da chi…da cosa…

E fu allora che Giles si rese conto che lo stava fissando.

"Perdonami…" - disse, accennando un sorriso e passandosi una mano in viso - " Mi hai sorpreso…"

"Perché non sono più impagliato?" - chiese l'altro, inclinando un po' il capo. Imitando, inconsapevolmente, Spike e la sua ironia -"Bhe, prima o poi dovevo crescere…"

giles lo guardò, aggrottando le sopracciglia. Per quanto il dolore non lo lasciasse mai, Westley lo incuriosiva e gli dava conforto.

Come se finalmente, inaspettato, giungesse qualcuno in grado di sostenerlo e di… sostituirlo…

"Wes, c'è una cosa di cui dobbiamo parlare…" - aggiunse, quasi riluttante a dover tornare così rapidamente alla sua veste ufficiale.

"E' al sicuro." Lo interruppe pacatamente Wes. I suoi occhi avevano una strana sfumatura metallica - "E ciò che vuole il Consiglio non avrà mai importanza."

Non aveva bisogno di aspettare. Buffy non avrebbe nascosto a Giles dove si trovasse Faith.

Restava solo da chiarire una cosa. Da che parte stesse Giles.

 

"Sei pronto?"

Sai, Doyle, a volte mi domando se la gente non possa vivere senza chiedermelo…

Sono pronto?

Pronto a cosa?

Ad un altro dolore?

Ad un sacrificio?

A morire?

Continuare a vivere?

A cosa… a cosa dovrei essere pronto…

Angel si voltò, disperato.

Le domande si affollavano dentro la sua mente, ma non uscivano dalle sue labbra.

Lo guardò. Senza proferire una parole.

Pronto…

Non sarò mai pronto a saperla fredda e morta.

Non sarò mai pronto, tanto da smettere di rabbrividire.

Mai.

Non posso essere pronto, a questo.

Non lo sono mai stato.

Io… io non sono lei.

Non avrei mai potuto farle del male.

Non avrei mai potuto sacrificarla… nemmeno per questo mondo dannato.

Non ho mai pensato di perderla.

Io non sono pronto…

Doyle…

Buffy è morta.

È morta perché l'ho…

 

Annuì.

 

Annuì, soffocando un urlo.

"Sono pronto. Arrivo subito."

 

Il salone era pieno di gente.

Gente…

Li conosceva tutti… ma nessuno di quei volti era a fuoco.

Erano visi sfatti, sfiniti.

Erano i visi della vita di Buffy.

E, come la vita di Buffy, erano spenti.

La sua morte si rifletteva su di loro, la sua morte li annientava e li lasciava spersi.

Perché…

Lei era la mia luce…

E quando voi, domani avrete un altro giorno assolato, per polverizzare le vostre paura, io avrò solo un'altra notte.

Una ancora.

 

Chiudi gli occhi, Angel…. e raggiungimi…

 

"Angel."

 

Chi l'aveva pronunciato?

Li guardò tutti, uno ad uno, mentre alzavano lo sguardo verso di lui. Mentre si giravano, cercando un appiglio. O un dolore più forte del loro che potesse farli sentire sollevati.

Che potesse rincuorarli mentre, disperati, arrancavano alla ricerca della loro normalità.

Non era questo?

Non tornavano ad essere tutti normali, ora… senza di lei?

Non era la fine delle loro avventure?

Probabilmente no. Non avevano altro.

 

Il loro dolore lo stava avvelenando. Lo soffocava. Percepiva la loro paura, i loro corpi tremanti.

Non c'era nulla tra lui e le loro emozioni.

Nulla.

Lo stavano paralizzando. Non poteva avanzare tra di loro. Di colpo ebbe una visione, il fuggevole ricordo di un funerale, con un vedovo giovane e distrutto. Abbandonato, come un automa, in mezzo a persone che gli sfioravano le spalle e stringevano le mani.

Senza curarsi dell'orrore che gli riempiva gli occhi.

Abbandono.

Solitudine.

Le mani che stringeva gli succhiavano l'anima.

E Liam, poco di più di un ragazzino relegato in un angolo, non poteva che rabbrividire innanzi a quel disfarsi dell'umana emozione.

 

No.

Non poteva divenire come quell'uomo.

Il cuore di Angel, irrazionalmente, tornava a riempirsi di quel muto terrore.

Il muto terrore di un bambino che non capiva la morte.

Un gioco troppo grande da poter essere intuito.

"Doyle…" - sussurrò. Solo l'udito di un demone poteva percepirlo. Solo gli occhi di un demone potevano notare quel movimento di labbra - "Beviamo…

Beviamo come la nostra gente.

Facciamo un brindisi.

Come la nostra gente.

Fingiamo che ci sia musica e balli, gente che ride ed ubriachi fradici sul pavimento.

Non mi importa se non possono capire.

Comportiamoci da irlandesi…"

 

Doyle era un passo dietro di lui. Camminò spedito, passandogli a fianco, ignorandolo e, sotto lo sguardo allibito di quei ragazzi, spalancò un'anta intarsiata.

Estraendo una bottiglia di Whisky, una bottiglia pregiata di Angelus, dimenticata a lungo.

E stringendo le labbra, per non mettersi a fischiettare. Per non strappare quel tappo e bruciarsi con una sorsata di alcool.

"In Irlanda c'è una tradizione." - mormorò, garbatamente, riempiendo due bicchieri, ed estraendone altri, mentre Wes rientrava dal giardino. Doyle si voltò a guardarlo, di modo che potesse leggere nei suoi occhi le motivazioni di quella che doveva sembrare una follia.

"Noi irlandesi rendiamo ogni funerale una festa. Beviamo, cantiamo ed alla fine spacchiamo tutto. Lo facciamo per avere la forza di ricominciare, perché la vita continui. Io non vi chiedo tutto questo. Ma vi chiedo se volete brindare con me e con Angel." - non ebbe un'esitazione, nel fissarli tutti in viso - "Brindiamo a Buffy, alla vita che donava."

Aveva già un bicchiere tra le mani.

E tutti lo fissavano in silenzio. Ignorando perché, l'unico sconosciuto tra loro prendesse così liberamente la parola.

Ignorando quanto quello sconosciuto potesse aver voluto bene alla loro Cacciatrice.

E quanto ora si potesse maledire, per quella morte e quel dolore.

 

Wes fu il primo a rispondere a quel richiamo.

E quando Giles afferrò tra le dita quel bicchiere di pesante cristallo, gli occhi del giovane Osservatore lo passarono da parte a parte.

Con una solennità ed un rispetto a cui nessuno l'aveva preparato.

Con lo sguardo di chi sa che il dolore di un suo simile può essere temibile e incomprensibile.

Con la forza di chi ha ancora una cacciatrice da proteggere.

Ed è pronto a farlo con la vita.

Ad uno, ad uno seguirono il loro esempio.

Guardandosi l'un l'altro, senza capire. Fino a ritrovarsi con un calice tra le mani ed un piccola speranza nel cuore.

Un singolo attimo. Null'altro avrebbero chiesto.

"Doyle ha ragione." - disse Giles, prendendo coraggio nei riflessi ambrati - "Buffy sapeva ridere. Era la sua più grande dote.

Sapeva ridere e farci sorridere. Brindiamo alla Buffy con cui abbiamo combattuto… alla mia Buffy…"

Lo disse in un soffio, alzando appena il bicchiere. Prima di vuotarlo con un sorso. Tornando a guardare quelli che erano un po' i suoi ragazzi.

Quei visi giovani e sparuti che aveva dovuto proteggere... e che, in ogni modo, avevano cercato di donargli un po' di conforto.

 

Ed ora, come in una gerarchia, tutti aspettavano che parlasse Angel. E fissavano il suo anello ed il bicchiere che stringeva tra le dita.

"A Buffy." - disse. Semplicemente.

Senza nessun'altra parola.

Aspettando che il liquore gli infondesse ancora ricordi del suo passato. Rimorsi e rabbia, risvegliando un demone mai sopito da cui trarre forza.

Alzando lo sguardo, con durezza.

A Buffy, che ho amato troppo e non ho salvato.

A voi, che l'avete vista morire.

E a me stesso.

Nuovamente solo di fronte al destino.

Bevve.

Ed il suono del bicchiere che si infrangeva nel camino li fece tutti sobbalzare. Era stato tutto troppo veloce, per i loro riflessi.

Il volto di angel che mutava, l'ampia rotazione del corpo e del braccio.

Ed infine quel suono orribile.

Del cristallo che si frantuma.

E di un cuore che si spezza.

Rimase immobile, innanzi a quello che aveva appena fatto. Quasi inorridito dal suo stesso gesto.

Raggelato, mentre un bicchiere gli passava fulmineo a fianco del capo, seguendo la stessa traiettoria.

 

Wes lo soppesò un attimo, prima di scagliarlo. Come se, in mano, stringesse una palla da baseball.

E quando lo lanciò, subito seguito da Spike, seppe che era inevitabile.

Come era l'antico rito scaramantico?

Infrangere i bicchieri in cui si era bevuto con troppo gioia, perché nessuno potesse mai, con un singolo sorso, rubare la felicità ad un altro…

E per il dolore?

Non era la stessa cosa?

Non era ancora più intimo della felicità?

 

Le spalle di Angel si alzarono aritmicamente, come se si stesse imponendo un lungo respiro. Come se il dolore stesse per traboccare.

E Spike si sentì invadere da una gelida rabbia. Il suo sguardo divenne duro e dawn, percependo quel cambiamento d'animo con un brivido, si voltò a fissarlo.

Spike era furente.

Spike si stava ribellando all'idea che Angel cedesse così,innanzi a tutti.

Proprio Angel, così taciturno e forte.

Dawn si sentì afferrare per una mano, e trascinare.

"Andiamo." - disse Spike, a beneficio di tutti.

Squadrandoli, sprezzante.

E sempre stringendo le dita di Dawn, per infonderle sicurezza.

E per infonderne a se stesso.

 

Anche Giles si incamminò, lentamente.

Passando tra loro, con un passo stanco e avvilito. Cercando un appoggio in Willow, nel cingerle le spalle. Quella Willow che era stata un po' la sua discepola laddove gli interessi di Buffy erano mancati.

Quella Willow che nel suo cuore occupava sempre, di diritto, un posto un po' speciale. Quello che si riserva alle persone che cercano nei libri e nella sapienza una chiave per la felicità.

E fu Anya a trascinare Xander, quasi i suoi piedi rifiutassero di muoversi. Mentre Xander gettava uno sguardo a Cordelia ed al bacio pieno di lacrime che stava donando a quello smilzo irlandese che l'afferrava per la vita con una forza che sembrava non conoscere barriere.

 

Tara chinò la testa, sorpresa quando, nella sua visuale comparvero i piedi di Dawn.

Dawn era di fronte a lei. E Spike, fermo sulla porta, si era girato per aspettarle.

"Vieni, Tara?" - chiese dawn, tendendole la mano. Aveva lasciato le lunghe dita di Spike per tornare indietro, per cercare conforto anche in lei.

In lei che sapeva essere discreta e comprensiva.

In lei che, in quei mesi e in quei giorni, era sempre riuscita a trovare un attimo per un gesto d'affetto.

Quando Buffy non poteva e quando "non era il momento".

Prese la mano e la strinse, dispiacendosi di essere così infreddolita.

 

Quando i loro sguardi si incrociarono, Spike tornò a domandarsi cosa potesse esserci di tanto affine tra lui e Tara. Cosa potesse portare Dawn a tenerli nella stessa considerazione, ad appellarsi ad entrambi, quasi fossero complementari.

Non c'era nulla, in quella ragazza bionda, che potesse realmente piacergli.

Nulla, perché troppo fragile, insicura o silenziosa.

Una strega.

Una strega incompresa che spike aveva picchiato prima ancora di avere un'anima. Per dimostrare quanto fosse pulita, e buona.

Per dimostrare a tutti quelli che non potevano crederci, che tara era un'innocente.

Perché l'aveva difesa, quel giorno? In quel modo tanto rude e così da demone, certo, ma perché?

Non sarebbe dovuto importargliene nulla…

Ma, del resto, era così anche per molte altre cose… compresa una cacciatrice, il suo sire e tanto altro ancora.

 

A Tara non poteva sfuggire un'occhiata tanto penetrante.

E le sue labbra si inarcarono quasi inconsapevolmente.

"stai bene?" - chiesero, senza parole.

Con la preoccupazione che poteva avere una sorella. Una sorella guardinga a cui difficilmente sfuggivano le ondate di dolore.

No. Spike non stava per niente bene. Le fece un cenno, un movimento impercettibile del capo, solo per rassicurarla.

Ma senza mentirle.

Dawn gli cingeva la vita, senza rendersi realmente conto di posare le mani su una fasciatura tanto stretta da soffocare. Dawn non ricordava quel colpo di spada che aveva fatto piovere su di loro, ai piedi della torre, gocce di sangue. Né, tantomeno, la fatica, con cui Spike si era retto in piedi nelle ore successive.

Aveva del miracoloso, anche per un vampiro, quella resistenza.

Ma Spike, per molti aspetti aveva del miracoloso, nelle loro vite.

E tara, consapevole di questo e del rispetto che sentiva di portargli, chinò la testa, lasciando che i capelli biondi la incorniciassero, nascondendo i suoi pensieri.

 

"Angel…" - Disse Wes, posandogli una mano sulla spalla - "Dobbiamo andare…."

Ma Angel non lo guardava. Teneva gli occhi fissi verso quel camino pieno di cocci e cercava un singolo motivo per muoversi, per andare verso quello fossa ancora vuota.

Fu allora che un sussulto lo scosse.

Si voltò a fissare l'amico, inorridito.

"Faith?" - chiese, disperato. Non aveva più pensato a lei, non aveva più chiesto di lei. Ed ora questa consapevolezza poteva dargli il colpo di grazia.

Ma Wes gli sorrise.

"Sta bene, ed è al sicuro. Spike ha pensato anche a questo…" - rispose - "avrebbe voluto salutarti, quando è andata via. Ma non ha avuto tempo."

"Io l'ho scordata. Ho dimenticato… Faith." - Angel abbassò il capo innanzi ad una nuova sconfitta. Dimenticare Faith…

"Tu non puoi dimenticare faith, angel." - sussurrò Wes - "Ed anche tu lo facessi, per qualche ora, io continuerei a pensare a lei. Sempre e comunque. Nessuno la lascerà più sola, Angel. e domani saremo di nuovo a Los Angeles. E lei tornerà a casa."

"Sarebbe voluta venire" - aggiunse - "Non poteva ammetterlo nemmeno con se stessa, ma sarebbe voluta tornare a Sunnydale. Solo che… non era sicuro."

Angel annuì, cercando di capire. Che percolo correva Faith? Cosa era successo? Troppe cose gli erano sfuggite di mano, nelle ultime ore.

Ci ha pensato Spike.

Non facevano che ripetere tutti questa frase.

A quante cose aveva pensato Spike?

A quante cose aveva provveduto, mentre Angel era del tutto inefficiente?

 

Lentamente aveva iniziato a camminare. Lui e Wes stavano attraversando il grande ingresso. Dalla porta spalancata poteva intravedere i ragazzi radunati sul prato. E tra di loro, alcuni bagliori di sigaretta.

Poco scostati, in piedi, si intrattenevano Spike e Cordy.

E lei stava, inaspettatamente fumando.

Nervosa, portando troppe volte la sigaretta alle labbra. Mentre Spike assaporava l'aroma con lunghe boccate.

"Fumo negli occhi?" - mormorò garbatamente, guardandola.

"Certo." - rispose lei, asciugandosi le guance. E sorridendogli, quando Spike, con un gesto affettuoso, le fece una carezza.

"Gattina, la volta che ti andrà di sfogarti un po' e non vorrai farlo con tutti questi bellimbusti…" - disse Spike, ripetendo le parole che lei aveva pronunciato poche ore prima, in macchina - "chiamami, verrò subito."

E Cordy annuì, spegnendo la sigaretta. E sentendo che poteva farcela anche senza.

 

Angel stava venendo loro incontro. e c'era Wes con lui. L'uomo silenzioso. Anche così, nel buio, i suoi occhi azzurri brillavano in modo stupefacente. E da lui si emanava una forza incredibile. Una forza che non aveva mai svelato, un fascino che solo Cordelia aveva riconosciuto a prima vista.

La stessa Cordelia che ora gli andava incontro. E che Wes cingeva per la vita.

C'era Dawn, adesso, con Angel. come gli fosse arrivata così vicino senza essere notata, era un mistero. Ma Angel la teneva per mano, mentre attraversava la radura e si incamminava, per il sentiero.

Ed anche se non si parlavano, sapevano ascoltarsi.

 

Il prete era indubbiamente in soggezione.

Per quanto in buoni rapporti con le anime, quel cimitero buio e cupo gli metteva un'apprensione che non sapeva dominare.

L'uomo distinto che si era presentato in chiesa, e che rispondeva al nome di Rupert Giles, era stato tassativo sulla necessità di celebrare un funerale dopo il tramonto.

La ragazza era giovane e le cause del decesso oscure, come per buona parte della popolazione di Sunnydale passata a miglior vita.

Non era stato richiesto nulla di particolare. E l'uomo, di indole mite e carattere debole, si soffermò semplicemente sul conforto dell'aldilà ormai raggiunto e sulle buone qualità che ogni ragazza potrebbe avere.

Amicizia, disponibilità, coraggio. Lealtà, potenzialità ormai perdute e dolore più per chi resta che per chi se ne va.

C'erano molti giovani intorno a quella fossa.

Ed il prete li scrutava, al di sopra degli occhiali, domandandosi su di loro poche cose. Ma senza riuscire a levare gli occhi dai loro visi.

E dal dolore che provavano.

Lo stesso di centomila altri fedeli visti nella sua carriera.

 

C'era Giles, l'unico che conoscesse per nome.

E, vicino a lui, un ragazzo alto e distinto, vestito con un semplice maglione a collo alto. Sarebbe potuto essere suo figlio.

C'era qualcosa che li rendeva affini.

Una ragazzo educato e compito, anche se i suoi capelli, un po' più lunghi e scomposti, lo facevano apparire indisciplinato.

Di lui si ricordava.

Per quanto cambiato, era il giovane uomo in doppiopetto grigio e occhiali che sedeva da solo nel primo banco, non appena la chiesa si vuotava, nel silenzio, prima del tramonto. Era il ragazzo vestito da uomo, sulle cui spalle sembravano posare problemi e doveri troppo grandi.

Il ragazzo vestito da uomo che si teneva la testa tra le mani e cercava la strada che aveva perso.

 

Si era levato un vento che scompigliava i capelli alla donna che gli stava a fianco. Anche lei era un volto conosciuto.

La ricordava, elegantissima, a testa alta, tra sua madre e suo padre. Con un nasetto impertinente sempre alzato verso le statue della chiesa, ed uno sbadiglio sempre da nascondere.

E ricordava lo scandalo che aveva animato i pettegolezzi della sua parrocchia, quando quell'uomo distinto e potente che lei chiamava 'papà', era finito in galera.

 

Oh, sì, erano ragazzi di Sunnydale, li aveva incontrati tutti. Ed adesso iniziava a ricordare un altro funerale alla luce del sole.

E quella ragazzina dagli occhi splendenti che guardava il fondo bruno della fossa in cui la bara brillava. Senza una lacrima, senza battere ciglio.

E la ragazza dai capelli rossi, con il ragazzo bruno a fianco.

E c'era una fanciulla bionda vicino a lei, allora…

Ed ora il prete aveva l'orrida consapevolezza di sapere chi fosse destinata a dormire là sotto. Guardava la terra e lasciava che le parole stereotipate lo riempissero d'orrore.

Come poteva essere? Non l'aveva forse confortata quando era morta sua madre? Non le aveva detto che la vita continua, che avrebbe avuto molti anni per essere felice?

Non le aveva forse mentito, come a molti altri, per vedere le lacrime asciugarsi?

Non poteva essere colpevole di quella morte… aveva fatto di tutto per spiegarle che la vita continua.

Ed ora…

Affrettò le sue parole, cercando di non guardarli più. Di non guardare più nessuno di loro.

Cercando di non notare il giovane biondo che ora stava a fianco della ragazzina. E che, talvolta, si portava una mano al fianco, come se stare in piedi gli costasse fatica.

Senza domandarsi da dove venisse quel tizio minuto e malvestito che gli stava un passo dietro e che, talvolta, si sporgeva per sfiorarlo. E dargli conforto, con un'intensità che si poteva percepire anche senza attenzione, solo sbirciando gli occhi trasparenti con cui lo fissava.

La ragazzina piangeva, adesso. Si era girata, per abbracciarlo. E lui l'aveva accolta senza staccare gli occhi dalla bara, dal crocifisso dorato che splendeva nel buio.

 

E poi c'era quell'uomo.

Alto, dagli scuri occhi tristi. Non muoveva un muscolo, sembrava una statua di sale, la cui guancia, talvolta veniva solcata da una singola lacrima.

Piangeva senza battere ciglio.

E le sue lacrime, al buio, sembravano rosse.

Solo un movimento accompagnava a quella fissità, solo il lento tormentare un anello d'argento, facendolo ruotare, lentamente.

Lentamente e meccanicamente.

Lacrima dopo lacrima.

I suoi occhi erano bui. E vecchi.

Era giovane.

Eppure sembrava che questo dolore fosse un altro, un'altra interminabile delusione.

Non piangeva realmente, si sorprese a pensare l'anziano sacerdote, mentre già Mister Giles avanzava per stringergli la mano e ringraziarlo delle belle parole. Formalmente, con il suo accento inglese.

Quel giovane non piangeva. Le lacrime scendevano perché non c'era motivo per fermarle. Ma il suo dolore era troppo grande per ridursi a quelle semplici gocce.

 

Si voltò ancora a fissarli, mentre si allontanava, stringendo la bibbia sotto il braccio. Non ricordava già più i versetti che aveva letto.

Ma quei volti sarebbero stati difficili da dimenticare…

 

Erano ancora tutti in cerchio. Avevano atteso che la fossa fosse piena e la lapide posizionata.

Era bello quel salice che sembrava proteggerla, protendendosi con i suoi rami.

Ognuno di loro aveva qualcosa da dire, un aneddoto, una caratteristica ed una breve risata, ricordandola.

Ricordandola felice.

Ricordandola triste.

E ricordandola, semplicemente.

 

Buffy.

Buffy Anne Summers.

Devota sorella.

Amata amica.

Anima.

 

Non c'era più motivo per restare. Non c'era realmente Buffy…

Restavano solo i singhiozzi delle ragazze. Piangevano e l'aria era satura del profumo salino delle loro lacrime.

E tra loro, Spike captò anche quelle di un demone, mentre Anya avanzava, fino a trovarsi molto vicino alla pietra tombale.

L'accarezzò, tristemente.

"Andiamo via." - sorridendo a tutti loro, mentre le scie argentee sulle sue guance rivelavano il vero stato d'animo - "Non c'è più niente qui. Credetemi, ne ho mandati tanti là, sotto. E volevo mandarci anche lei, quando sono arrivata a Sunnydale. Ma non ci sono riuscita. E la mia vita è cambiata.

Buffy mi ha donato l'amore ed una vita piena.

Mi ha dato soldi, soddisfazioni e amici. Ed io mi sono chiesta spesso come potrebbe essere rinunciare a tutto questo…"

Tirò su con il naso, cercando un contegno.

"ma buffy non mi ha mai chiesto nulla indietro. Non ha mai chiesto nulla a nessuno. E adesso non le piacerebbe saperci tutti qui, ridotti come dei lombrichi! Fa freddo, andiamo via, andiamo a casa… lei è andata via. E noi dobbiamo vivere perchè lei ci ha donato questa vita. Per… favore…"

si sarebbe aspettata le braccia di Xander. Ma quelle che aveva cercato, e che ora la stringevano, erano di un demone.

Di un demone dalla lingua velenosa e lo sguardo penetrante.

Di un demone biondo che, dichiarando sempre di fare i propri interessi, riempiva i loro vuoti e li confortava.

Le braccia di un demone che, come lei, da buffy aveva avuto amore. Che, come lei, aveva sempre cercato di ucciderla, per festeggiare, sopra la sua tomba.

E che ora si stringeva ad Anya, trattenendo le lacrime, rabbiosamente.

"Oh, Spike." - sospirò, con il rimpianto di non poter restare più a lungo in quel rifugio.

Sciogliendo quell'unione per tornare da Xander. Da Xander che non avrebbe capito, fissando ostilmente il vampiro e possessivamente Anya.

Anya, che nel suo cuore, mai sarebbe stata Buffy. E mai Cordelia.

Ma che era sua. E sua soltanto.

 

Si allontanarono, incespicando. Camminando lenti.

Sapevano già chi sarebbe rimasto in piedi, davanti alla terra smossa di fresco.

Con le spalle curve.

 

Spike, in piedi, di fianco a lui, aspettava un cenno, un singolo movimento per parlargli.

Per sussurragli qualcosa.

Qualcosa…

Qualcosa che non riusciva a ricordare.

Angel non si mosse. Né si voltò a guardarlo. Lacerando i loro cuori, il suo sguardo rimase perso. Perso e assorto nel desiderio di tornare nell'ombra ad essere un'ombra.

 

E non restava che abbandonarlo. Spike si mosse, lentamente.

Solo il silenzio alle sue spalle sembrò dargli un conforto ed una speranza..

Doyle.

Doyle non era dietro di loro. Doyle non si stava allontanando.

Doyle era là.

A fianco di Angel.

E, sulla sua strada, c'era nuovamente un vicolo in cui addentrarsi.

 

Il vicolo da cui un Cantastorie, tanti anni prima, aveva tratto fuori un eroe.

 

"Andiamo via, Spike." - mormorò ancora Dawn, allontanandosi. A nulla poteva servire restare in contemplazione di quel cimitero silenzioso in cui Buffy dormiva e più non camminava.

Lasciandosi cingere le spalle.

E camminando, con gli occhi chiusi, tra braccia sicure.

 

Davanti a loro, Giles e Wes stavano parlando.

Spike lo vedeva dai loro gesti, anche se non sentiva le loro parole.

A questo erano stati educati. A chiudere il cuore al dolore, per ricominciare ad osservare. Osservare il mondo, con occhi pieni dolore… ma con lo sguardo fermo.

Ed ora la prima cosa al mondo, nei loro pensieri, era garantire un futuro a ciò che buffy aveva salvato, pagando con la vita.

 

"… non piangere…" - mormorò lui, senza neanche guardarla. Il suo sguardo continuava ad essere rivolto lontano. E solo ora, guardandolo di profilo, Dawn riusciva a vedere la stanchezza e la forza che si fondevano.

Quale ironia l'esistenza…Non aveva mai pensato di trovarsi a pochi passi da quella tomba e con quelle semplici frasi sulle labbra. Che enorme stranezza, ricordare solo ora quella poesia … quale cosa, più adatta al suo stato d'animo?

Così poco.. eppur con così tanto significato… già, quelle parole erano come scritte per lui… per Buffy… per Angel…

 

 

, non piangere, non sono qui sotto il pino.

L'aria profumata della primavera bisbiglia nell'erba dolce,

le stelle scintillano, la civetta chiama,

ma tu ti affliggi e la mia anima si estasia

nel nirvana beato della luce eterna.

Va'dal cuore buono che è mio marito,

che medita su ciò che lui chiama la nostra colpa d'amore:

digli che il mio amore per te e così il mio amore per lui,

hanno forgiato il mio destino, che attraverso la carne

raggiunsi lo spirito e attraverso lo spirito, pace.

Non ci sono matrimoni in cielo,

ma c'è l'amore.

 

 

Ma c'è l'amore.

 

La sua voce si perse nel vento che fischiava intorno. Le sue lacrime le portò via quel forte sguardo che ora gli accendeva il viso, mentre lo levava verso il cielo.

 

VII

Lentamente, come un corteo, si incamminarono verso casa di angel.

Aspettandosi l'un l'altro. In silenzio.

Come se galleggiassero nel loro dolore, come se non potessero scambiarsi parole, neanche ora.

Neanche ora che si trattava di ricominciare tutto da capo.

Angel camminava dietro di loro, da solo.

Doyle aveva accelerato il passo, lasciandolo solo con i suoi pensieri e si era affiancato a Spike ed a Dawn, abbracciati stretti.

La piccola stava quasi nascosta dentro il suo giaccone, gli abbracciava il torace. Ma i suoi occhi non erano pieni di lacrime. Si erano asciugati, a poco a poco, una manciata di terra dopo l'altra.

Aveva gli occhi più belli che Doyle avesse mai visto.

Innanzi a loro, avvolta nel suo giaccone con il cappuccio, camminava Cordelia. A capo chino, assorta. Rallentò, per voltarsi un istante a cercare il suo demone, trattenendo con le mani i capelli che il vento scomponeva.

Senza un sorriso.

Prima di voltarsi e proseguire. Prima di sentirsi afferrare per una spalla e ritrovarsi, in un soffio, tra le braccia di un sorriso.

"sei sicura di voler andare?" - chiese ancora una volta Spike, per essere certo di aver sentito giusto.

E Dawn annuì, ancora, cercando la mano di Tara.

"Sì. Voglio tornare a casa. Si fermano Will e Tara con me."

"Vuoi che venga anch'io?"

"No. Ti prego Spike, voglio riuscirci da sola." - sussurrò ancora, guardandolo con occhi disarmanti. Mentre lo sguardo di Spike correva a Tara, a capo chino.

Povera Tara, nascosta dal velo dei suoi capelli biondi, così provata e stanca. Tra le mani la mano di dawn, in cui infondere calore.

"Non ti preoccupare, spike." - la sentì mormorare, timidamente - "dawn è forte, può riuscire…"

"Prima o poi devo tornarci…" - ripetè ancora, quasi per convincersi - "Stasera, sarà solo meno difficile di domani…"

"D'accordo." - accettò Spike, anche se riluttante - "Ma promettimi di telefonarmi, non appena ne senti la necessità."

"Va bene." - Dawn abbozzò un sorriso - "Ti chiamerò domattina, prima di andare a scuola."

L'abbracciò stretta e la lasciò andare. guardandola camminare, diritta e spedita, tra le due streghe.

 

Tornò lentamente sui suoi passi, nel salone, dove restava solo Xander. In piedi, innanzi al camino, inusualmente assorto.

Si sentivano le voci di tutti gli altri, giungere attutite dalle spesse pareti in pietra.

Tutti intenti a dibattere sul futuro di Dawn. Tutti pronti ad accanirsi uno contro l'altro, per la protezione di quel gioiello.

Spike era stanco e spossato. I suoi buoni argomenti per farsi valere, erano scomparsi come neve al sole. Erano semplicemente discesi in quella fossa, insieme a qualche rimpianto e qualche rimorso.

Buffy.

Gli sembrava di vederla nitidamente… buffy, a braccia conserte, in un angolo, a guardarli che discutevano il futuro di una forza sovrannaturale.

La poteva vedere, mentre si irrigidiva, a sentir parlare di sua sorella come di una… cosa. Una cosa informe e inanimata.

Spike rimase assorto, giocherellando con l'accendino, in piedi. Avrebbe voluto portare via dawn. Portarla via con sé.

Ormai lo sapevano tutti.

E non si poteva dubitare che Wes ed Angel avrebbero fatto di tutto per accaparrarsi quel nuovo dovere.

Avrebbe voluto raggiungerli. Avrebbe voluto sobbarcarsi quella nuova fatica. Farsi valere nell'opera di convincimento.

Là. A discutere con Anya e con Giles.

Trovare una soluzione.

Senza interpellare Dawn?

No.

Nessuno aveva chiesto a Dawn cosa volesse fare.

E Spike si sarebbe fatto valere una volta sola.

Con Briciola dalla sua parte.

Oppure non l'avrebbe fatto.

 

"Smettila!"

"Come scusa?" - il corso dei suoi pensieri si interruppe bruscamente, mentre xander si voltava, lanciandogli un'occhiata per niente amichevole.

"Ti ho detto di smettere con quel dannato zippo."

"Non è uno zippo." - replicò Spike, con una punta di irritazione, ritirando comunque l'incriminato accendino - "E non era mia intenzione disturbare le tue riflessioni…"

"Sì, certo… e da quando ti importa di essere rispettoso?"

Stava attaccando briga!

Xander aveva voglia di litigare.

Spike sentì un sorriso sardonico stamparsi sul suo viso, prima di riuscire a reprimerlo.

E seppe di aver sventolato lo straccio rosso davanti al muso del toro in carica.

"Lasciamo stare…" - mormorò, passandogli a fianco ed afferrando la giacca. Non era sua intenzione mettersi a discutere.

Ne aveva voglia.

Ma non poteva farlo.

Non in quella notte.

Non con la morte nel cuore.

Non nella casa di Angel.

 

Avrebbe voluto…

Ma non poteva.

Dovette ripeterselo alcune volte, mentre si incamminava verso la porta.

Sentendosi ancora urlare dietro. "Ed allora scappa, è una cosa che ti riesce bene!"

Spike si fermò e poi tornò sui suoi passi, camminando a ritroso, prima di decidersi a voltarsi, per squadrarlo.

Aspettando un'altra frase.

Un altro luogo comune.

Ascoltando le frasi con cui Xander l'aveva apostrofato più volte, negli anni.

Lasciandosi vomitare addosso, tutta la rabbia e tutte le cattiverie che potevano venirgli in mente.

Iniziando, a poco a poco, a ribattere.

Risposte brevi, semplici, graffianti.

Fatte del sarcasmo migliore.

Fatte per accendere ancora più rabbia. Fatte per dare forza alla stupidità fuori controllo.

Fino a non poterne più.

Fino all'esasperazione.

 

...

 

"Sai che ti dico, Harris." - Spike ringhiò, mentre un lampo mal represso gli attraversava gli occhi grigi - "Che idioti come te ne ho conosciuti ben pochi. E sei anche fortunato, sono sempre stato uno avvezzo ad ammazzare chi mi disturbava."

Era troppo.

Il pugno di Xander lo colpì in pieno mento.

Spike perse l'equilibrio, ritrovandosi con le spalle al muro. Imprecò, rendendosi conto della situazione.

Senza fermarsi a pensare, rispose al colpo e l'altro arretrò barcollando, portando una mano alla bocca.

Sputava sangue. E Spike fu ben lieto di vederlo grondare dalla bocca di Xander e non dalla propria. Ma non si faceva illusioni. Ferito com'era, non poteva prevalere su di lui senza andare poi lungo disteso.

Dawn non doveva sapere.

Era un particolare da tenere bene a mente.

Tornò a posarsi alla parete. Era una posizione di svantaggio, ma gli permetteva di comportarsi da sbruffone.

"Allora Harris, ti basta per calmare i bollenti spiriti?"

Lo provocava. Quel dannato vampiro lo provocava, senza rispetto per nessuno. Per il dolore di nessuno.

Per Buffy, appena morta e sepolta.

Per la loro stanchezza.

Andava e veniva, beffardo, senza curarsi di niente. Ad eccezione forse di Dawn.

"Bene, sei diventato un eroe senza macchia e paura. Ma la città grande e le tue buone azioni non tolgono quello che sei sempre stato.

Ti proclami tutore per Dawn? È proprio quello che ci vuole! Un vampiro assetato di potere che, da quando è arrivato a Sunnydale, non ha mai fatto altro che cercare di uccidere la Cacciatrice. E dimmi, non hai goduto, alla fine, a vederla morta?"

Si ritrovò steso per terra. Ma si rialzò come una furia.

Spike, dietro quel sorriso ostentato, nascondeva una rabbia senza limiti.

Appoggiato alla parete, incurante, dopo aver sferrato il colpo che aveva mandato al tappeto l'avversario. Con la testa buttata indietro.

Se si sarebbe potuto dire che fissava qualcosa, al di sopra delle loro teste.

E se per Xander era solo un altro atteggiamento irriverente nei suoi confronti, per Spike non era altro che un momento di consapevolezza.

Le parole di Xander bruciavano perché false e profondamente vere allo stesso tempo. bruciavano, perchè negavano alla radice un dolore sordo che, a rigor di logica umana, non avrebbe dovuto provare.

Per un attimo, questo stato d'animo lo distrasse.

Quanto bastava per dare il tempo a xander di avventarglisi contro.

Un ginocchio alzato, puntato al suo stomaco. Una mossa da teppista, del tutto imprevista ed un improvviso irradiarsi dal fianco, quando la parete oppose resistenza, alle sue spalle, lasciando che l'articolazione di Xander penetrasse la sua carne.

Maledizione, imprecò sottovoce, maledizione, no!

Il sangue gelava la ferita, fiottando caldo. No, non si era reso conto di essere ancora tanto intorpidito e dolorante. Da qualche parte, anche all'interno, il sangue stava probabilmente ricominciando a scorrere, aumentandogli la temperatura corporea.

Il sangue pulsava come la sua rabbia.

Xander fece un passo indietro, guardandolo dritto negli occhi e Spike vi lesse un odio incontrollato. Lo stesso che ricambiava, senza muovere un muscolo.

Lo avrebbe massacrato a mani nude, avesse trovato la forza. Ma non poteva reggere a tutto, si rispose con lucida razionalità.

Non poteva reggere alla morte di Buffy, al dolore di Angel e di Dawn, al suo fisico che iniziava a perdere colpi ed al suo prezioso orgoglio.

E non poteva rinunciare a nessuna cosa.

Poteva provarci.

Si scostò dal muro, per andarsene, per ritirarsi.

"Oh, no, non scapperai di certo. per quel che mi riguarda è la resa dei conti." - replicò Xander, con una spinta ed un altro colpo ben assestato, al basso ventre. Sentendosi esultare, quando lo vide scontrarsi di nuovo con la parete. Ricordando, con un sadico piacere, la cedevolezza di quel corpo che sembrava forgiato nel marmo.

Le cose si mettevano male.

Spike si appellò alle ultime forze fisiche e mentali che sentiva. Il torpore sembrava iniziare ad invaderlo, veniva in soccorso del corpo. Con l'incoscienza sarebbe giunto anche il risanamento.

Ma non c'era tempo.

C'era altro da fare.

Molto altro.

Ed in questo gioco da equilibrista che Spike andava gestendo, bisognava aggiungere una bella lezione a Xander Harris. Quello che non capiva mai le cose con una frazione di anticipo.

Spike rimase fermo e, all'ennesimo pugno in faccia, chinò lo sguardo, stringendo maggiormente il giaccone, perché non si vedesse il sangue che iniziava a trasparire.

Infilò le mani in tasca, con un gesto che lo caratterizzava. E fissò il ragazzo che si scatenava a sue spese.

Meno di ventiquattrore prima si era prestato ad Angel, anima e corpo, come valvola di sfogo. Aveva lasciato che le sue ossa si rompessero, senza arretrare di un passo innanzi a quella furia, aveva sentito le sue articolazioni cedere ed i suoi organi come accartocciarsi. Aveva sopportato un dolore senza pari, più e più volte, mentre il suo corpo rigettava sangue, privandolo di ogni forza.

Ed ogni qual volta aveva chiuso gli occhi, per trovare riposo, il volto di Buffy, avvolto nel vento della caduta, l'aveva fissato, con occhi morti.

Rimase immobile, a domandarsi cosa provasse Xander Harris. Se liberazione o rivincita. O cos'altro, nel suo cervello incomprensibile. Rimase immobile. A vedere se aveva il fegato di colpire chi non reagiva.

E questa sua scelta, non fece che aumentare la furia.

Lo schioccò fu netto.

Ci volle un attimo perché Xander e Spike, capissero cos'era successo. Si era trattato, ai loro occhi, di una semplice variazione di luce. Un'ombra, tra di loro.

Xander arretrò. Portandosi infantilmente una mano alla guancia.

Spike, per la sorpresa, rischiò di perdere l'equilibrio e dovette puntellarsi saldamente con tutta la spina dorsale. Le pareti iniziavano a divenire le sue migliori amiche…

Tra di loro stava una figura solida. Per uno strano gioco di prospettiva, sembrava molto più alta di quanto fosse in realtà.

Westley Whidam-Price aveva ancora il braccio alzato e si ergeva, in difesa di Spike. Un ceffone. Meglio di tutto quello che avrebbe potuto dire o fare.

Non un pungo.

Non un calcio.

Un ceffone.

La più grande beffa, da uomo a uomo.

Xander rimase chino su se stesso, ancora un attimo, con la mano sulla guancia, gli occhi sbarrati.

"Come osi, Westley, ma chi ti …."

"Se ti comporti da bambino, ti tratterò da bambino." - replicò l'altro, implacabile, smontandolo del tutto.

Tornando ad abbassare la mano, ad infilare le mani in tasca, con posa simile a quella di Spike.

"Stai bene?" - sussurrò, chinando il capo e girandosi appena.

"Ma certo." - replicò l'altro a denti stretti, appoggiando il capo alla parete e sperando che la stanza non ricominciasse a girare. Poi spostò appena lo sguardo, per fissare Angel, fermo sulla porta, a fianco di Giles - "Sto benone, non mi sconvolgo per così poco."

Angel lo guardò ancora, con una vera preoccupazione nello sguardo. I suoi sensi percepivano nuovamente il sangue di Spike impregnato nei tessuti. Come era successo sulla strada tra Los Angeles e Sunnydale.

Sembrava che tutti, con Angel in primis, si stessero accanendo per farlo sanguinare come un vitello sgozzato.

Lo scontro non era ancora finito. Westley sprizzava disgusto da ogni poro.

"Allora, ti sei calmato o ne hai bisogno un altro?" - gli domandò, freddo, senza muovere un sopracciglio.

"Ma chi ti credi di essere…"

"Me lo stavi chiedendo già prima. Io sono uno che non tollera i capricci. E che pensava tu fossi abbastanza grande da non dover essere tenuto d'occhio."

Xander camminò verso di lui, con un'andatura da ubriaco.

A nulla valse il richiamo imperioso di Giles.

"Se stai pensando di picchiarmi, levatelo subito dalla testa." - proseguì l'ex osservatore, implacabile. La sua voce era uno schiocco di frusta sull'orgoglio di Xander. La sua figura era un baluardo in difesa di Spike.

Niente l'avrebbe spostato da dove si trovava.

"Cosa sei tornato a fare, Price!" - scattò furente il ragazzo - "Non hai mai avuto alcuna utilità qui a Sunnydale. Nessuno ti ha rimpianto e nessuno ti voleva quando sei arrivato. Levati di torno, io ed il vampiro abbiamo parecchi conti in sospeso."

"Forse non ci siamo capiti. Finiscila."

Xander perdeva terreno. Sembrava riacquistare lucidità e autocontrollo, involontariamente, mentre la sua guancia iniziava a scurirsi, perdendosi in un livido esteso.

Westley non era stato molto leggero, nell'imporsi. Ma non gli fregava un accidente di quel segno. Quel ragazzino non sapeva vedere al di là del suo naso.

L'attenzione di Xander si stava di nuovo spostando su Spike. Lo riempiva di collera l'immobilità del vampiro. Stava appoggiato alla parete, lasciando che un altro prendesse le sue difese.

"Così adesso ti fai anche difendere da un Osservatore rinnegato."

Spike lo guardò, sputandogli un sorriso dritto in faccia. Sentiva il profondo desiderio di fargli saltare tutti i denti.

Ma non intendeva farlo. Westley aveva ragione, il suo cervello aveva lavorato meglio di quello di Spike. xander era infantile, nel suo scatto di rabbia. Non c'era niente della lotta furente che aveva ingaggiato con Angel, né la tecnica, né la motivazione. Non ci si abbassava a quel livello.

Xander Harris non prendeva a pugni un avversario. Scalciava, picchiava sotto la cintura.

Semplici sciocchezze teoriche. Efficaci in uno scontro verbale.

E, in una lotta del genere, Wes non aveva pari.

"Xander, non difendo Spike. mi sembra che avesse già smesso di reagire ai tuoi colpi, quando stavi per rifilargli un altro pugno."

Un punto a favore.

Harris era interdetto, non sapeva cosa rispondere.

"Inoltre, ritengo sia un problema quando uno che si proclama dalla parte dei buoni ha un atteggiamento tanto scorretto."

"Sì, certo, mi stavo picchiando con un campione di correttezza."

"Infatti. Tu non ti stavi picchiando con qualcuno." - proseguì Wes affondando la lama del dubbio - "Tu stavi picchiando qualcuno. E per quanto spike non sia quel che si chiama uno stinco di santo, tu hai torto."

La frase cadde nel silenzio. Ma a Wes non bastava.

"Hai torto per molte ragioni Xander. E tu avessi un minimo di quella correttezza che proclami di conoscere, faresti le tua scuse."

Questo era davvero troppo. Xander sbuffò e si mosse impaziente. Alle spalle di Wes, Spike continuava a non muoversi, a godersi la scena.

Ma c'era qualcosa che non andava. Anya abbandonò all'improvviso l'angolo da cui assisteva alla scena, alle spalle di Giles.

Andò dritta verso xander e lo afferrò per un braccio, obbligandolo a guardarla.

"Brutto… " - si controllava a stento - "… stupido! Da quando si trattano così gli amici feriti? Se lo fai solo perché è un demone, allora io…"

Xander rimase senza parole e si perse il resto della frase. Non si era reso conto. Non si era ricordato. Eppure c'era, quando Tara l'aveva pazientemente medicato, mentre Spike scalpitava per tornare da Dawn. Come li aveva minacciati tutti, perché Dawn non ne fosse informata.

Aveva dato per scontato che si fosse rimarginata. Ma, da come Anya stava urlando, la messinscena andava avanti.

Adesso Xander sembrava impacciato. Si volse nuovamente verso Westley, per cercare conferma. E non ottenne nulla.

Spike aggrottò la fronte e si raddrizzò.

"Finiamola con queste stronzate." - esclamò. Non voleva le scuse di Xander, non voleva che lo facesse per compassione. Avanzò verso la porta e uscì in giardino, passando a fianco di Angel - "Finite di parlare, voi due. Voglio andarmene da qui il prima possibile. Inizio a perdere la pazienza."

 

 

VIII

Sedette, appoggiandosi al muro e sperando di confondersi con le ombre.

Dall'interno gli giunse il suono inconfondibile di una porta che si chiude e, sommesso, il suono delle voci di Giles, Westley ed Angel.

Il sangue avrebbe smesso di scorrere da solo. Spike non mosse un dito, nemmeno per premere sulla ferita, interrompendo il flusso.

Rimase con le mani in tasca e gli occhi chiusi, seduto su una sporgenza del vecchio muro sconnesso. Inalando il profumo della notte.

In lui avanzava ancora un leggero torpore da combattere. Non c'era tempo per dormire, sfamarsi o altro.

Presto sarebbe dovuto rientrare, a far valere i suoi diritti e le sue opinioni. E sperava ardentemente di non trovarsi ancora di fronte Xander Harris e la sua boria di giustiziere. Fu il rumore di un accendino, a scuoterlo. Aprì gli occhi, trovandosi di fronte Doyle, intento a proteggere la fiammella con entrambe le mani.

Il mezzo-demone lo guardò dritto in faccia. Poi si sfilò la sigaretta di bocca e gliela porse.

"Vuoi che ci dia un'occhiata?"

"No, grazie." - rispose Spike, tirando una lunga boccata - "Dovresti essere quasi stufo di vederla."

"Infatti lo sono. E sono anche stufo che tu permetta a tutti di cavarti sangue dalle vene. Credevo che fosse Angel quello votato al sacrificio, non tu."

"Lui è un penitente. Io sono un idealista." - replicò, come se questo spiegasse tutto - "Xander si è levato dai piedi?"

"Certo. Quella ragazza ha palle da vendere."

"In una coppia, almeno uno deve averle."

Doyle sedette a fianco.

Rimasero un po' in silenzio, mentre la sigaretta si consumava lentamente. Spike si godeva ogni singolo sbuffo di fumo, trattenendo l'aroma tra le labbra più a lungo possibile. Aveva la fronte imperlata di sudore e, contrariamente al calore anomalo che gli sembrava di emanare, aveva freddo.

"Stai male, Spike, vattene a letto." - sussurrò Doyle. La sua voce appariva sinceramente preoccupata.

"Naahh. È presto." - Spike lasciò meccanicamente cadere la cenere - "Ma sono contento che Dawn non sia qui. Un abbraccio e finirei per terra."

Doyle si lasciò sfuggire un sospiro tollerante.

"Mi dai più grattacapi di lui."

"Non ci credo."

"E' così."

"Non è vero."

"Sì che lo è!"

"No,non è…"

"Spike! sei un tormento,"

"Certo. è il mio soprannome."

"ma non era Sanguinario?"

"No." - Spike spense la sigaretta, ridacchiando - "Quando sono venuto a vivere a Los Angeles, sono stato ribattezzato: Spike, il tormento di Angel."

Lo disse accompagnando la frase con un grandioso gesto della mano, come se illustrasse una grande scritta.

Le loro teste erano vicine, come se Doyle guardasse in punto indicato.

"Bello." - annuì convinto - "E chi ti ha soprannominato così?"

"Angel."

Si guardarono. E ne risero, scotendo la testa.

"Lo dovevi veramente esasperare." - constatò Doyle, asciugandosi le lacrime.

"Non sono un carattere facile. Facevo le stesse cose che faccio adesso. Il duro e poi… bam! Andavo lungo tirato per terra!"

Sembrava divertente, raccontato in quel modo. Doyle aveva una bella risata, contagiosa. Rimasero seduti, a sparare scemenze.

Spike non badava più molto alla perdita di sangue. Talvolta tossiva, portando una mano alla bocca, in attesa che i dolori si riducessero.

Ma non passavano. Iniziava ad esserci così abituato da non sentirli nemmeno.

Raccontava dei primi giorni a Los Angeles e Doyle lo ascoltava, sottolineando il racconto con belle battute.

"Ed io che pensavo che non sarei mai più stato così male." - constatò, in un sospiro, alla fine di una risata.

"Passerà. Lo sai?"

"Certo. passa sempre tutto, solo che passa proporzionalmente alla longevità delle persone. Ci vorrà un po'…" - constatò, posandosi, con una smorfia, una mano sul fianco - "Ci vuole tempo per tutto…"

"Per quella ferita soprattutto, a mio parere. Ti fa male?"

"Da impazzire. Detto tra di noi, ovviamente." - concordò Spike - "Soprattutto se tutti quelli che passano ci infilano un pugno. Oppure un ginocchio…"

"Ti ha dato una ginocchiata? Che figlio di…"

"Mai stato tanto d'accordo."

"Chissà cosa ci trovava in lui, Principessa…"

"I suoi gusti sono migliorati dal tempo del liceo, su questo puoi credermi. Usciva con perfetti idioti. Ti ha mai detto che una volta lei e Buffy hanno rischiato di farsi mangiare da una specie di grosso serpente nello scantinato di una confraternita?"

"Questa mi mancava…"

"Me la sono persa anch'io me l'hanno raccontata… buffy… credo…" - Spike si passò una mano sugli occhi e Doyle gli posò una mano sulla spalla.

"Ehi. Non pensi che sia quasi ora che ti sfoghi?"

"Sto bene. Sto bene." - Mormorò, senza levarsi la mano dagli occhi. Doyle aveva spostato la mano, adesso gli stringeva il collo, con un leggero massaggio.

Era confortante.

"Doyle, cosa ti ha detto Lorne? su di me intendo."

"Tutte cose molto sagge. Di tenerti d'occhio, di vedere se riuscivo a stare nei paraggi se avevi un momento di debolezza e di non smettere di preoccuparmi anche se dicevi il contrario. E…"

"Ancora qualcosa?"

"Certo. di continuare a preoccuparmi e continuare a preoccuparmi e continuare a preoccuparmi. Perché è una cosa che faccio bene. E di non prendermela, visto che è un'attività inutile."

"Ma che cose carine che dice quel tipo." - commentò sarcastico il vampiro - "Ti ha detto anche di offrirmi sigarette quando te le chiedevo?"

"No. ma si può fare." - Doyle soppesò la sigaretta, sventolandola sotto il naso - "Ma tu andrai a letto dopo questa?"

"No."

Doyle lo squadrò ancora. Poi gli porse anche l'accendino.

"Abbi pazienza, dovevo fare almeno un tentativo." - Doyle accese anche la propria - "Non mi piace vederti in questo stato, che ci vuoi fare, ho il cuore tenero…"

"Me l'hanno detto. Ma lorne ha ragione, non puoi farci niente. Se mi metto una cosa in testa, sono un pesta pietre…"

"Peccato che il tuo fisico non regga. Hai dormito qualche ora, da quando buffy è morta? Perché io credo che tu abbia fatto finta per tranquillizzare tutti."

Spike si lasciò sfuggire una bella risata.

"Beccato…. Dormire ho dormito. Poco e male. Angel ha fatto altrettanto, vero?"

"Ovvio. Ma lui soffre per l'amore perduto. Non per una ragazzina minorenne sola al mondo, per una cacciatrice che tutto sommato era un po' più di un'amica e per un colpo di spada che ti prosciuga ogni energia. Non è lui quello che si è fatto sfondare la cassa toracica per far rinsavire il suo migliore amico."

Spike lo guardò di traverso. Con un sorriso strano.

"Puoi anche dire fratello, se vuoi."

"Sul serio?"

"E' una concessione che faccio solo a te, perché pronunci William come lui. E' perché fratello è una parola con un bel suono." - Spike sorrise, permettendo alla stanchezza di trasparire, posando la testa contro la parete. E chiudendo gli occhi.

Era bello come un cherubino, esangue. Il dolore gli segnava i lineamenti, passando ad ondate. Aveva un aspetto fragile, che non rispecchiava la sua forza interiore.

Si trattò di un istante. Poi spike riaprì gli occhi e lo squadrò, con l'ironia di sempre.

"Mi stai fissando…"

"Speravo dormissi."

Spike rimase in silenzio. Poi scosse la testa, con un gesto di rammaricato diniego.

"Spiacente ho deluso le tue aspettative."

"Non solo le mie." - Doyle fece un cenno con la testa - "Guarda lì."

Alle sue spalle, in piedi, incorniciato dalla porta, era Angel.

"Giles è andato via…" - spiegò, come se sentisse il bisogno di una scusa, per essere presente.

"E poi sono io quello che origlia…" - mormorò Spike, con un filo di voce.

"Non ha bisogno di sentirtelo dire, per saperlo…" - gli rispose sottovoce Doyle, chinandosi verso di lui, con un sorriso in fondo agli occhi - "ed anche per lui ha un bel suono."

Detto questo, si alzò.

"Visto che ci siamo liberati dello studioso tutto d'un pezzo, potremmo andare a dormire…" - consigliò, stiracchiandosi.

E fu in quell'istante che accadde l'inevitabile.

Si girò appena in tempo, mentre Angel stava già rientrando in casa.

Si girò e lo vide appoggiarsi alla parete, nel mettersi in piedi. Con la mano alle labbra, come molte volte durante la loro conversazione. Con un leggero colpo di tosse.

Come al rallentatore vide le gocce rosse cadere dove fino ad un attimo prima erano stati seduti.

I suoi occhi si dilatarono per la sorpresa, mentre Spike si appoggiava pesantemente al muro, coprendo la bocca con entrambe le mani, travolto da un sussulto. Le sue spalle si curvarono, sotto la violenza di uno spasmo.

Con un ultimo sforzo, con una volontà che ormai non poteva più sostenere, mosse un passo, per riacquistare equilibrio. Protese le braccia e Doyle lo accolse tra le sue, mentre le tenebre lo inghiottivano.

 

Il sangue sembrava non finire mai. Era un flusso ininterrotto e acido che si accompagnava ad un dolore che sembrava non conoscere fine. Tremava, sentiva il suo corpo scosso da brividi, mentre una mano calda gli sosteneva la testa.

C'era una voce, lontana ed attutita, che lo confortava, che gli diceva che era quasi passato, di stare tranquillo. E Spike si sentiva rispondere, mentre il sangue sembrava soffocarlo, si sentiva implorare, sentiva la sua voce che si ripeteva.

Non ditelo ad angel, vi prego, non deve saperlo.

Continuava a ripeterlo, mentre si aggrappava a chi lo sosteneva, qualcuno che, come lui, doveva essere seduto a terra. Si aggrappava ad un maglione, per restare diritto, come se, chiunque fosse, non sapesse il dolore che provava ai polmoni.

Spike stava soffocando. Anche se non respirava, la sua gola era in fiamme, la sua gola era ostruita, non passavano più pensieri coerenti, ma spike non voleva andare alla deriva. Non voleva, non poteva.

Lasciò il suo appiglio, si afferrò la gola. Ma c'era una mano vicino alla sua, una mano quasi sopra alla sua.

Una mano che non le impediva di stringersi, fino ad impigliare le dita nella stringa di cuoio, fino ad afferrare i due anelli.

A stringerli forte.

Per ricordare, che aveva un compito da assolvere.

Non devo svenire, non devo crollare.

Spalancò gli occhi, rantolando ed artigliò con l'altra mano, la spalla del suo soccorritore, per sedersi.

Ma era troppo, ripiombò su quel torace, senza chiudere gli occhi, impedendosi di perdere di nuovo conoscenza.

No, William, no, calmati, calmati.

Spike voleva opporre resistenza,. Si dibatteva, per rimettersi in piedi e riacquistare il controllo, ma le sue mani perdevano la presa e poi afferravano nuovamente, con forza. Quella voce, implorante, nel chiamarlo per nome, quelle mani forti che lo intrappolavano…

Si mosse ancora nuotando in un incubo, in un ricordo. Serrò con forza gli occhi, seppellendo il viso in quel maglione reso caldo e appiccicoso dal suo sangue. Poi li aprì di nuovo, cercando la realtà ed il presente, stringendo ancora gli anelli, fino a sentire una mano che si insinuava sotto la cinghia di cuoio, mentre questa già gli scavava la pelle.

No, ti fai del male, in questo modo.

"Angel, non ditelo ad Angel," - mormorò ancora, con una voce roca che avrebbe voluto essere un urlo. Implorando ancora, mentre la consapevolezza tornava, con ondate ancor più dolorose. Lo ripetè, mentre sulle labbra avvertiva la ruvidezza di un panno premuto con forza.

Non voglio perdere anche te…

William…

 

Quando il freddo del mattino che avanzava lo colpì in viso, strinse ancora gli occhi e nascose il viso in quel rifugio caldo. Una mano, come se intuisse quel disagio, si spostò, fino a quando il viso di Spike non fu nascosto, tra il torace e l'avambraccio. Permettendogli di aprire gli occhi.

Il suo petto si alzò e abbassò, in modo più ritmico, mentre Spike obbligava i polmoni a riempirsi d'aria, cercando di scacciare il senso di ostruzione che gli provocavano.

Dalla sua bocca uscì un roco singulto, mentre il mondo sembrava premergli sulla cassa toracica.

Strappandogli un gemito.

Le braccia che lo stringevano avevano una voce calda e rassicurante, pronunciavano belle parole, mentre la vista tornava a mettersi a fuoco.

Conosceva una sola persona capace di tenerlo fermo senza essere brutale.

"Angel..." - non gli sembrava di averlo pronunciato molto bene, con una voce stranamente infantile - "Ma non stavi parlando con Giles?"

Adesso poteva vedere anche Doyle. Stava seduto a terra, molto vicino. Anche i suoi vestiti avevano un forte odore di sangue non umano.

"Questa volta sono svenuto, vero?" - aggiunse, come se fosse la spiegazione più lecita per quelle prove.

Doyle gli sorrise e fece di sì con la testa, protendendo la mano, fino a posarla sul collo. Era calda e sicura, come gli era sembrata poco prima, durante la loro conversazione.

"Adesso mi ricordo…"

Era una mano amica, ma non gli sembrava niente, rispetto a quelle che lo trattenevano.

Inalò ancora dell'aria, prima di sentirsi nuovamente affondare.

 

"E' quasi giorno, fareste meglio a rientrare."

"Arriviamo subito, Cordy."

Si sentì sollevare e si strinse un po' di più al suo soccorritore. Era un gesto istintivo che lo caratterizzava, pensò fuggevolmente Angel, percorrendo il salone a grandi falcate. Era scosso da un tremito di freddo, mentre respirava, innaturalmente, per liberarsi la gola. Il suo corpo, non avvezzo ad un simile sforzo, lo faceva probabilmente soffrire, strappandogli alcuni gemiti presto soffocati ed alcune frasi sconnesse.

Eppure, quando Angel lo depose sul letto, incontrò uno sguardo tranquillo. E lucido.

Prima che gli occhi si chiudessero ancora.

In un altro eccesso di tosse a cui Cordy reagì prontamente passando alcuni asciugamani.

"Avessi Xander Harris tra le mani…" - la sentirono esclamare, mentre usciva dalla stanza, cercando Wes.

"Avessi Io, Xander Harris tra le mani…." - borbottò Angel, finendo di sfilargli il giaccone, mentre Doyle, insinuandosi tra una mano e l'altra, iniziava a tagliare le bende che lo stringevano.

"Levati quei vestiti Angel." - mormorò.

Ed Angel ubbidì, liberandosi di maglione e pantaloni, gettandoli in un angolo e frugando nella sacca, in cerca di qualcosa da mettersi.

Cordelia riapparve in quel momento, portando alcuni vestiti di Spike e di Doyle, mentre questi, con mossa abile, finiva di spogliare il vampiro ed iniziava a slacciarsi la camicia.

Il sangue di Spike, penetrando nel cotone, gli aveva macchiato la pelle a chiazze. Doyle era stato pronto ad afferrarlo, quando l'aveva visto perdere conoscenza. Non c'era stato bisogno di chiamare Angel, per vederlo precipitarsi a trattenere Spike, colto da convulsioni.

E le implorazioni di Spike, perché Angel non sapesse, era divenute del tutto vane.

Si infilò un'altra camicia, tralasciando di chiudere i bottoni e tornando a districare le bende, mettendo in vista la ferita.

Era una cosa da non credere.

Doyle, che difficilmente si abbandonava alla rabbia, sembrava furente.

La ferita non si era richiusa, anzi, come se fosse possibile, era anche peggiorata. I lembi, tagliati di netto, si erano allargati oltremodo, mettendo in vista alcuni tessuti interni. Due grossi lividi circolari sembravano incoronarla.

"Non una ginocchiata. Due. Due volte l'ha colpito. E si è preso un solo ceffone. Quel ragazzo andrebbe preso a bastonate in un vicolo buio. E me ne strafrego di quanto soffra." - sussurrò, a denti stretti, finendo di ripulirla dal sangue rappreso. Prima di girarsi, a scambiare un'occhiata con Angel.

Angel stava in piedi dietro di lui. Scalzo, finendo di infilarsi una camicia. Chiudendo i polsini, per ritrovare, con il gesto meccanico, la calma.

Per impedirsi di spalancare la porta e correre fuori ad ucciderlo, questo ragazzino di sani principi.

"Vuoi ricucirla?"

"E per quale motivo. Domani abbraccia Dawn e quella si riapre." - la sua voce era fatta di rabbia mal repressa. Incrociò le braccia e contemplò quel disastro di tagli e lividi da sopra la testa di Doyle - "Non posso impedirgli di fare quello che fa. Speriamo solo che dorma qualche ora."

Aveva ragione.

"Resto io con lui, Doyle."

"Finisco solo di fasciarlo."

Gli ci vollero pochi minuti, poi si alzò, ed uscì dalla stanza.

 

Cordy e Wes stavano seduti nel soggiorno. E bastò un istante, al mezzo demone, per capire cosa stavano combinando quei due.

Gli bastò notare il pezzo di cotone che Cordy si premeva ad un braccio.

E le sacche già piene posate sul tavolo.

Si posò le mani sui fianchi e li fissò, come se li avesse trovati a mangiare schifezze.

Cordy lo guardò sottecchi, sperando che quella vena sul collo non gli si gonfiasse ancora. Poi Doyle chinò la testa, con una leggera risata distensiva.

"Ed immagino che dirmelo prima di cominciare avrebbe sciupato i vostri piani." - aggiunse, sfilando l'ago dal braccio di Wes - "Westley, dove ti sei procurato il materiale per donare il sangue?"

"Mi è sembrato il caso di attrezzarci un minimo, visto che l'hobby nazionale è dissanguare Spike." - replicò l'altro, rimanendo seduto dove si trovava.

Doyle chiuse la cannula e posò la sacca a fianco delle altre.

"Sei unità."

"Due mie e quattro di Wes." - spiegò, con una punta d'orgoglio, Cordelia - "Non mi sembrava il caso che facesse tutto da solo. Non ci sono problemi con il gruppo sanguigno… vero?"

"Ci mancherebbero solo quelli." - esclamò Doyle, dandole un bacio fuggevole - "Vado a vedere se ci sono dei biscotti o qualcosa di simile. Almeno dello zucchero."

"Doyle." - lo chiamò Wes - "come sta?"

Doyle si fermò, ma evitò opportunamente di girarsi. Non era certo di avere una bella faccia.

Ma non poteva nemmeno mentire.

"La ferita fa schifo." - disse senza giri di parole - "sanguina e non si rimargina. Per il resto niente di nuovo."

Poi proseguì verso la cucina, lasciandoli a riflettere su quelle scarne informazioni.

 

Lasciò i due donatori a sgranocchiare zollette e rientrò in camera di Angel.

L'odore di sangue iniziava a divenire pungente, per la catasta di asciugamani e vestiti che Angel aveva ammassato nella vasca del bagno. Spike, sdraiato su un fianco, era avvolto in alcune coperte. Angel seduto a terra, si appoggiava alla sponda del letto, laddove spike, con un semplice movimento delle dita, poteva arrivare a sfiorargli il maglione.

Angel rifletteva, con le ginocchia piegate, passandosi una mano tra i capelli.

Alzò lo sguardo sorpreso, quando Doyle poso sul ripiano il suo bottino.

"Dove te le sei procurate?"

"Me la hanno procurate i due che stanno di là." - rispose evasivo.

Poi, sotto lo sguardo indagatore, di Angel, aggiunse, con un'alzata di spalle.

"la propensione al martirio, a quanto pare, è uno stile di vita contagioso."

Era un gesto d'amicizia. Sincero.

Ad Angel non sembrava ci fosse bisogno di commenti.

"Perchè non vai a mangiarti un paio di zollette anche tu?" - lo punzecchiò Doyle - "Io intanto gli faccio queste."

 

La stanza era piena di macchie colorate che andavano diradandosi lentamente.

Doyle era in piedi vicino al letto. E tra le mani stringeva qualcosa.

"Da quante ore sono qui?" - mormorò Spike, cercando di sedersi sul letto. E ritrovandosi spinto contro il materasso, senza tante esitazioni.

Doyle teneva sdraiato lui con una mano e con l'altra reggeva, palesemente, una trasfusione.

"Non di nuovo." - sospirò, restando fermo, a fissare il sangue che scivolava nella cannula.

"Sono io che, a nome di tutti, ti dico 'non di nuovo'." - mormorò Doyle senza neanche fissarlo, continuando a guardare il livello del plasma - " E non sei qui da nemmeno mezz'ora. Per tanto, fammi il piacere di restare sdraiato."

Spike lo guardò, lasciandosi sfuggire un colpo di tosse senza conseguenze.

Poi gli venne in mente qualcosa.

"Passami il cellulare."

"Oh sì, certo." - Doyle premette forte la sacca, per aumentare la velocità del flusso - "Qualcos'altro?"

"Smettila Doyle, sto bene, devo chiamare Dawn. Ho promesso che l'avrei chiamata." La porta sia aprì ed entrò Angel.

"perfetto." - Spike scosse la testa per snebbiarsi e si puntellò ai gomiti - "Lui è ancor meno malleabile di te. Passami il cellulare, Doyle."

Ed il cellulare si mise al squillare. In un lampo Angel cominciò a frugare, a cercarlo, prima che Spike scendesse anche dal letto, strappandosi la flebo e stramazzando di nuovo.

Non appena l'ebbe in mano, lo tirò a Doyle che lo prese al volo e rispose.

"Pronto? Oh, ciao Dawn." - disse, armeggiando per tenerlo con una spalla ed avere due mani libere. Una per tenere a letto Spike ed una per evitare che l'ago si sfilasse.

La sua occhiata fu così eloquente che Spike rimase fermo, mostrandogli tutti i denti - "Sì, lo so che è il cellulare di Spike. ma lui lo lascia sempre in giro. Aspetta, aspetta che te lo passo."

Spike afferrò l'apparecchio e girò la testa per parlare.

Dalla sua bocca uscì la voce di sempre, ironica e profonda. Niente a che vedere con quella roca e sofferente, involontaria, di pochi attimi prima.

Lui e Dawn si parlavano sottovoce. Alcune brevi frasi, per sapere ancora di esistere, uno per l'altro.

Poi Spike chiuse il cellulare e si girò verso Doyle, con uno sguardo eloquentissimo.

"Ci vediamo verso le cinque?" - sillabò Doyle, ripetendo l'ultima frase che aveva captato - "Tu dovresti stare a letto almeno quindici ore."

"Non se ne parla neanche. Dawn la prenderebbe male, ed io odio questa città." - spike sembrava non voler rinunciare alla posizione guadagnata - "E non ti hanno detto che non si ascoltano le conversazioni private?"

"Tutte opinioni che condivido." - tagliò corto Doyle, attaccando un'altra sacca - "E a te non hanno detto che i vampiri guariscono quasi simultaneamente e senza le convulsioni?"

"Me la prendo con calma. Te lo concedo, me ne starò a letto ancora qualche ora. Fine delle concessioni." - fine delle concessioni un corno! Non si reggeva neanche seduto. Scivolò nuovamente sdraiato, mentre una nuova fitta gli attanagliava il petto.

Portò un pugno verso il torace, cercando di girarsi sul fianco,dando le spalle a Doyle,come se premere potesse scacciare il dolore. Ed Angel venne a sedersi sul letto, allungandosi, per insinuare la sua mano vicino a quella di Spike. Spike che non si lamentava, ma serrava stretti gli occhi.

Il dolore stava passando, lentamente. E Spike non perse tempo ad aspettare che fosse terminato, per incrociare lo sguardo con gli occhi scuri di Angel.

"Mi dispiace." - mormorò - "Non volevo ti preoccupassi. Volevo essere io ad occuparmi di te."

"Va bene così." - replicò l'altro, sorridendo - "Senza il tuo aiuto, io sarei morto. Mi appoggio a te molto più di quanto pensi."

Spike non voleva lasciargli la mano. La strinse con forza, continuando a fissarlo, mentre Angel scambiava un'occhiata con Doyle.

"dovresti dormire, adesso." - mormorò ancora. Continuando a comunicare silenziosamente con doyle.

"Anche tu." - replicò Spike. anche se egoisticamente avrebbe preferito che non se ne andasse.

Il suo petto si alzava aritmicamente, in modo forzato. Le sue mani erano calde. Spike bruciava per la febbre, come se lo sforzo gli stesse prosciugando ogni equilibrio.

"Andrò a dormire più tardi. Preferisco restare qui ancora un po'. Siamo d'accordo William?"

Era una bugia. Una mezza bugia. Quel letto era abbastanza grande per accoglierli entrambi.

E Spike non sembrava propenso ad addormentarsi. C'era qualcosa che gli impediva di chiudere gli occhi. Qualcosa che si annidava nell'ombra. Qualcosa da scacciare con una conversazione. La prima venuta in mente.

"Dove hai preso il sangue umano?" - domandò, inquisitore.

Sulla faccia di Angel spuntò un sorriso. Non era certo che Spike la prendesse bene. "Dagli unici umani che avevo sottomano."

"Che cosa?"

Lo strappo fu tale che, per poco, l'ultima sacca non partì dalle mani di doyle. E doyle sembrava avere occhiate eloquenti per tutti, quella sera. Occhiate nascoste dietro sorrisi malcelati.

"Si sono offerti volontari." - spiegò - "penso che Wes fosse pronto all'evenienza già da parecchio…"

"Caspita." - spike chiuse gli occhi e la bocca gli si allargò in un sorriso. Adesso sì che aveva voglia di piangere. C'era qualcosa che gli pulsava, in fondo alla gola, qualcosa di più simile ad un groppo che ad un dolore.

Era qualcosa di strano, simile all'essere felice, all'essere amato. Qualcuno aveva volontariamente dato il suo sangue, perché lui potesse andare avanti. Rimase immobile qualche istante, con la testa girata verso Angel.

"Dormi William. Io resto qui ancora un po'."

 

 

IX

Nell'ombra stava Buffy. Spike ruotò, fino a trovarsi di fronte le sue orbite vuote.

Ho perso gli occhi Spike.

Sei stato tu a strapparmeli?

Volevi mia sorella tutta per te?

Pensavi forse che Faith potesse sostituirmi?

Non pensavi ad Angel? lui avrebbe preferito che sopravvivessi io…

Tu non sei niente, per lui.

Non gli serve un fratello.

Lui voleva me.

E tu mi hai ucciso.

Non ti perdonerà mai.

Mai.

Spike aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono. Una mano, prontamente, gli si posò sul petto. Ma non c'era bisogno di essere forte. Spike ricadde sulla schiena, girando il capo. Piegando innaturalmente un polso, per afferrare le lenzuola.

Sdraiato sul letto, con un libro aperto tra loro, stava Angel. si reggeva la testa, appoggiandosi ad una mano. Spike lo fissò ed Angel portò un dito alle labbra, per invitarlo al silenzio.

Era un gesto rassicurante, più di ogni parola.

Spike deglutì, scoprendo di avere le labbra secche; fissò Angel, per svegliarsi del tutto.

"Non è una buona idea." - mormorò l'altro, intuendo le sue motivazioni - "hai veramente bisogno di dormire."

Non gli importava perché Angel fosse ancora lì. Le recriminazioni che gli stavano salendo alle labbra, si interruppero, mentre lo fissava ancora, deliberatamente.

Gli occhi di angel erano impregnati di dolore.

E Spike avrebbe voluto il perdono.

"Mi vuoi dire cosa stavi sognando?" - mormorò ancora Angel, senza muoversi. No, non stava leggendo. Era da un po' probabilmente, che lo stava fissando, sperando si calmasse.

"Parlavo nel sonno?" - replicò Spike, ignorando la domanda.

"Chiamavi me." - Angel era essenziale nelle sue risposte. Non era certo che Spike fosse completamente sveglio. Aveva la febbre molto alta, anche se probabilmente non se ne rendeva conto.

Il tempo sembrava trascorrere lento. E forse era un bene. Spike non si sarebbe concesso molte ore, prima di riprendere la messinscena.

"William, dimmi cosa vedi quando chiudi gli occhi."

"E tu? Perché non dormi?"

"perché vedo Buffy che mi tende le braccia e mi dice che non vuole restare più sola." - spiegò sommesso - "Di raggiungerla. E so che è un incubo. Ma non voglio svegliarmi. Ed allora abbasso lo sguardo, ed ho le mani coperte del tuo sangue. Ti sento che mi urli di reagire e Buffy mi gira le spalle e scompare. Sono stanco, ma fa troppo male vederla andare via in quel modo…"

"Non l'hai mai seguita?"

"No. è sbagliato. Io non posso andarmene, devo restare qui."

"Per una questione di dovere?" - aveva paura di quella domanda.

"No. per la mia famiglia. E la mia famiglia sei tu, da quando riesco a ricordarmelo."

Rimase un attimo in silenzio.

"Willliam, raccontami cosa vedi. Non posso sentirmi peggio di quello che già mi sento. Niente può andare peggio di restare qui sapendo che Buffy è morta e che tu sei in questo stato. Permettimi di aiutarti." Tolse il libro e si sdraiò, rivolto verso di lui. Il suo profilo guardava quello di Spike. I loro sguardi si valutavano. Angel allungò il braccio, fino ad incontrare la mano di Spike. stringendola, mentre gli occhi di Spike si fissavano sul Claddagh.

Quell'anello che li legava in modo indissolubile. Con l'altra mano, Spike accarezzò il proprio, tenendolo tra due dita. Afferrando, con quel tocco, anche quello appartenuto a Buffy.

Ormai sempre più spesso si appellava a quel simbolo d'amore, per ritrovare la strada. Come se fosse uno scacciapensieri, come se potesse sempre indicargli la via. Lo cercava, nel nebuloso baluginio dei suoi incubi, come un faro, come un porto accogliente.

E lo tormentava, come stava facendo adesso, quando era sveglio, in lotta con se stesso.

Tutto il suo essere gli urlava di tacere. Di non dirgli nulla che potesse far penetrare ancora più a fondo la lama. Spike non voleva e voleva che Angel sapesse, mentre stringeva quelle dita.

Era strano.

Non si era reso conto.

Angel non gli aveva stretto la mano. Era stata solo un'impressione. Angel aveva posato le dita sul suo palmo, ed era stato Spike stringerle spasmodicamente, a serrarle.

Angel si abbandonava sulle coperte, senza una parola. Le loro mani vicine ed i loro pensieri lontani, li rendevano uno l'opposto dell'altro.

"Angel."

Lo aveva detto per sentirne il suono. Non aveva voluto chiamarlo.

"Non posso, mi dispiace."

Era questo che avrebbe voluto dire. Ma dalle sue labbra uscì tutt'altro.

"Perdonami."

Perdonami.

Perdonami.

Finalmente l'aveva detto. Il serpente aveva smesso di mordersi la coda.

Spike tossiva, ed alcune gocce rosse macchiavano ancora le coperte. Ma era quella parola che riempiva le sue labbra.

Perdonami.

Era come se fossero pietrificati. Uno di fronte all'altro.

"William, raccontami cosa c'è nei tuoi incubi." - mormorò ancora Angel. Non gli bastava quella singola richiesta che li logorava entrambi.

Rimasero così, mentre il nodo si scioglieva. Mentre Spike lasciava fluire le parole. Mentre raccontava la morte di Buffy, i suoi doveri, la conversazione con Doyle. Le sue paure, le accuse che una ragazza bionda continuava a rivolgergli in ogni battito di palpebra. Mentre raccontava cosa si provava ad essere picchiati per una buona causa, a chiamare i colpi, a correre con la moto e gli occhi pieni di lacrime.

A stare in cima ad una torre, senza sapere se si può cadere di sotto o se qualcuno lo farà per noi.

Gli parlò di come ci si sente a soffocare senza respirare, che sapore ha il proprio sangue, che profumo hanno le lacrime di Dawn e cosa si ha in comune con un composto Osservatore inglese.

Non riusciva a smettere, di descrivere, raccontare cosa si racchiude dentro un'illusione,dentro un dolore incontrollato, dentro lacrime che non potrai mai versare. Cosa condividono un vampiro ed una Cacciatrice, cosa si prova a non vedere nulla negli occhi di una persona che ami.

Spike parlava con voce sommessa, non voleva che qualcuno potesse sentirlo. Parlava con la statua di Angel, senza domandarsi cosa nascondesse la sua immobilità, cosa potesse dipanarsi nella sua mente. Angel non racchiudeva nulla nello sguardo. Angel non aveva il potere di Spike e di doyle, non sapeva far trasparire dalla profondità delle iridi tutto ciò che provava.

Ma i suoi erano occhi umani. Scuri e profondi. Profondi come il buio in cui Buffy era caduta, per non saper più risalire.

Anche Spike avrebbe voluto precipitare.

Precipitare.

 

Le parole fluirono ancora a lungo. Solo Spike aveva potuto dargli alfine le risposte che voleva. Spike gli aveva parlato della vita, della morte e dell'amore.

Della sopravvivenza.

Sopra ogni cosa.

Il rialzarsi dall'abisso. Delle persone che riuscivano e di quelle che non potevano. Aveva parlato fino a quando i crampi non erano tornati a scuoterlo, fino a quando non aveva seppellito nuovamente il volto tra le lenzuola, girandosi su un fianco, soffocando nel dolore le ultime parole.

Non aveva più nulla da dire. Spike non era altro che un guscio vuoto, privo anche dei suoi fantasmi.

Spike non si sarebbe più rialzato, da quell'abisso.

"Vattene Angel. Va' via." - si sorprese a mormorare - "prendi quella porta, vattene da questa stramaledetta città, vattene dalla città degli angeli, va' il più lontano possibile. Vai dove tutti possano lasciarti in pace, non restare qui a farti ferire. Devi andare via…"

Angel lo guardava e non parlava, come negli incubi. Come negli incubi, assisteva impassibile. Non si chinava più verso di lui e la sua miseria. Restava altero, diritto come un giunco, mentre Buffy sottometteva Spike.

Spike, che non smetteva mai di rialzare la testa, di guardare in viso Angel, aspettando di essere visto.

Spike, che implorava Angel di scappare.

E non lasciava andare le sue dita.

 

"Non andrò via, William. Né ora, né mai."

Io resterò qui.

Io resterò qui.

"posso perdonarti, se è questo che vuoi. Posso perdonarti di quello che non hai commesso, se questo è importante per te.

Posso perdonarti ogni momento della tua vita a partire da adesso. Dirtelo, ogni mattina ed ogni sera, dirtelo e dirlo a tutti coloro che vogliono sentirsi dire che ti perdono. Posso farlo. Oppure posso aspettare di avere un vero motivo. Perché adesso, in questo fiume di parole vere, quella che mi preme di più è l'unica bugia." - si protese, fino a sentire la fronte di Spike contro la sua - "Tu non hai ucciso Buffy, tu non hai sbagliato a salvarti. Per quanto non mi piaccia, è successo quello che doveva succedere. Buffy è morta e tu mi hai impedito di raggiungerla."

"Io ho riaperto le porte dell'inferno." - sussurrò Spike, con gli occhi chiusi. Non osando vedere.

"Guardami William, guardami bene." - lo incitò Angel, senza lasciare la sua mano, senza che le loro teste si allontanassero - "Io non ho niente da rinfacciarti e niente da perdonarti. L'inferno è in terra, hai ragione. Ed ognuno di noi ne porta una frazione sulle spalle, ogni giorno. Io sono qui, perché tu hai bisogno di me. E tu sei qui perché io ho bisogno di te. E so che non mi lasceresti mai."

Mai.

Mai.

Mai.

"Come due fratelli." - aggiunse.

Spike sorrise, afferrandolo forte con la mano libera. Afferrandolo, perché non gli sfuggisse.

"Come due fratelli." - promise, in un soffio.

 

Rimasero per lunghi istanti così uniti.

Per quanto il loro demone interiore urlasse tutta la sua rabbia. Erano entrambi consapevoli di come ci fosse qualcosa di più importante di cui godere.

Qualcosa capace di far dimenticare, seppur per breve tempo, il dolore.

L'amore. Semplicemente l'amore.

Entrambi mutili di un fratello e finalmente ritrovatisi.

Una famiglia.

Spike sorrideva,con gli occhi chiusi.

"Se ne è andata , vero?" - chiese Angel, sottovoce.

E Spike annuì. Buffy non era più nell'ombra di un incubo in agguato. Buffy se ne era andata. Il tempo delle recriminazioni era finito. Restavano solo le promesse che le aveva fatto. Doveva proteggere le due cose più importanti che la vita le aveva donato.

Un uomo immortale nell'ombra.

Ed una sfera di luce.

Annuì ancora, lasciando che Angel fissasse il suo sorriso, in un ricordo di quiete. Poi Spike aprì gli occhi.

"dai tuoi non se ne andrà così facilmente, vero?"

"No." - eppure Angel sorrideva - "No. probabilmente non se ne andrà mai. Ma non importa. Posso stare tranquillo, ci sarai sempre tu ad evitare che faccia cazzate, vero?"

"Giusto."

"Ehi, non te ne approfittare…"

"No, te lo prometto. Te lo prometto, Angel."

"lo so." - Angel si allungò, fino a deporre un bacio tra i suoi capelli. Stupendosi egli stesso del suo gesto.

Mai prima di allora erano stati tanto vicini. Mai prima di allora c'era stata tra di loro una consapevolezza dei ruoli. E che, al di sopra delle parti che il destino imponeva, Angel sarebbe sempre rimasto il fratello maggiore.

"Le tue ali sono piene di luce…." - gli ricordò una voce, in fondo alla mente.

Spike non disse nulla, tenendo per sé ogni parola.

Lasciando che il sonno li sorprendesse entrambi, per la prima volta da molto tempo.

 

Doveva essere pomeriggio. Angel aprì gli occhi, constatando come l'orologio sullo scaffale fosse ancora funzionante. L'aveva dimenticato, partendo, molto tempo prima.

Guardò spike, sentendolo muoversi con il torpore del primo risveglio.

Appariva sereno e riposato. Ed Angel, a modo suo, condivideva quelle sensazioni.

Ma la sua fronte scottava. E tremava senza un commento.

Angel gli sollevò le coperte, fin quasi al mento, con un lampo di seria preoccupazione negli occhi. "Dovresti sul serio startene a letto, Spike. Inizi ad essere vagamente logorato." - mormorò.

"vagamente?" - mormorò beffardo l'altro - "Non togliere niente a ciò che mi sento, per piacere…"

"In effetti. Sei quasi un capolavoro di rottame…" - ridacchiò Angel - "ci mancava giusto Xander…"

"Lasciamo stare."

"William…"

"dimmi Angel.... "

"C'è un modo per convincerti a stare tranquillo?"

"Assolutamente no. Non dirò a dawn che la ferita non si è rimarginata ed eviterò di spiegarle che mi hai massacrato in un momento in cui non eravamo in vena di gentilezze."

Angel lo squadrò. Lo soppesò per un attimo.

"Questa tua risposta mi obbliga proprio ad intervenire…"

"Avrai risultati duraturi solo dandomi un'altra mano di botte. Voglio proprio vedere se riesci ad accopparmi del tutto senza sentirti un mostro." - lo provocò testardo..

"William." - Angel si puntellò su un gomito - "Non ho nessuna intenzione di usare la violenza. Diciamo che ritengo tu abbia bisogno di un aiuto."

Spike lo guardò, aggrottando la fronte.

"ce la fai sederti?" - era una richiesta ben strana, ma Spike, con un moto di sfida, puntò le mani, distribuendo il peso. Subito Angel gli fu accanto, in ginocchio sul letto. L'aiutò, lasciando che si appoggiasse al testile del letto, finendo di assestargli le coperte, di modo che rimanesse al caldo.

"Tutto sommato sto benone." - esclamò Spike, sperando di non suonare forzato. Sperando… - "E adesso?Angel, si può sapere cosa cavolo…"

L'eccesso di tosse gli troncò le parolacce di bocca. Spike si appoggiò pesantemente ad Angel, con un capogiro.

"Ti prego di non fare commenti…"

"Non ne ho intenzione." - lo rassicurò, aiutandolo a sollevarsi. E finendo di armeggiare con il polsino - "Spike, ascoltami. Come è tua abitudine, non stai dando al tuo corpo la possibilità di riprendersi…"

"Non ho tempo neanche per farmi una doccia… figurati per una convalescenza…"

"Non ce la farai questa volta, William. Ti farai del male e spaventerai Dawn."

"Adesso mi stai sottovalutando."

"No. voglio aiutarti e non conosco altro modo se non questo." - concluse, porgendogli un polso.

Spike non capì. Oppure finse di non capire. Prima che un lampo di rabbia gli attraversasse lo sguardo.

"Scordatelo, non ci penso nemmeno." - esclamò, girando la testa dall'altro lato.

"William, non voglio che finisca come l'ultima volta…"

"Appunto per come è finita l'ultima volta sarebbe bene che ti tenessi alla larga e non mi facessi proposte del cavolo!"

"Spike, se preferisci, vado di là a donare sangue, poi obbligo Doyle a farti le trasfusioni."

"Ti ho detto scordatelo." - replicò duramente Spike, cercando di alzarsi.

Mentre la mano di Angel già lo fermava, inchiodandolo alla parete.

"E fa piano!"

"William, ascoltami. Sii razionale, per piacere. Io accetto la tua scelta, ma tu devi darmi la possibilità di aiutarti." - Angel non mollava la presa - "Sappiamo entrambi che ho ragione. E se io mi offro spontaneamente, come hanno fatto Cordy e Wes, non vedo perché tu debba respingermi."

"E' diverso!"

"ah sì? E per cosa?"

"Smettila, lo sai anche tu che non è la stessa cosa."

"Infatti, il mio potrebbe veramente fare la differenza. William lasciati aiutare."

Era un tono che non ammetteva repliche. Soprattutto perché, per quanto discutibile, Angel aveva ragione.

"Angel." - resistette ancora Spike, restando seduto sul letto e gesticolando, per sottolineare le sue opinioni - "al momento è più facile tenere a bada un dissanguamento che un contatto telepatico. Non possiamo ricominciare a stare uno nella testa dell'altro."

"non succederà."

"Sì, certo…"

"William, questa volta sappiamo quello che può accadere. Aumenteranno solo le nostre percezioni, niente di più."

Era convincente.

Angel gli passò un braccio attorno alle spalle e Spike si ritrovò il polso perfettamente sotto il naso.

"Sei disposto a gridarmi un sacco di bastardate, a fare a pugni, a farmi prendere un infarto, ma non a morsicarmi." - appariva vagamente divertito - "ti ho detto che ci sarei stato ogni volta in cui avessi avuto bisogno. Questa è una di quelle volte. Non interferirò nelle tue azioni, ma voglio essere certo che non accada quello che è successo stamattina."

"Angel, a te non può venire un infarto…"

"Se è per quello tu non dovresti sembrare un tisico…"

spike fissò il polso che gli veniva offerto, poi si girò un istante a guardarlo negli occhi. Afferrò il braccio saldamente ed ebbe un'esitazione, prima di arrivare a toccarlo con le labbra.

"Sai già che sapore ha, smetti di tergiversare." - lo importunò, ancora.

E sentì il sorriso di Spike affondare nella carne.

 

 

X

Silenzio…

L'unico umano in casa, dormiva tra le sue braccia.

Ed aveva i capelli più profumati che nei sogni. Ed era morbida e concreta, sul suo petto.

Ed era ciò che permetteva a doyle di aprire gli occhi e ringraziare le Alte Sfere per la sua seconda vita. Indipendentemente al dolore ed alle visioni.

Indipendentemente alle incombenze, alla consapevolezza ed a ogni altro genere di marciume.

Senza prestare importanza a quei baluginii che accompagnavano sempre i battiti del suo cuore. Quel pulsare continuo della mente che talvolta sfociava in lancinanti visioni, in immagini troppo veloci.

L'unico umano in casa era tra le sue braccia…

L'unico…

Si sedette, lasciando a malincuore quel tepore leggero. Si tese e cercò Wes.

Wes…

Wes era probabilmente da giles. A portare avanti le trattative. Aveva accennato alla sua intenzione di adottare Dawn, se questo si fosse rivelato utile. E Giles, disposto a fare altrettanto, appariva restio a mandare la ragazzina a vivere con loro.

Una brava persona, Rupert Giles. Capace di provare un dolore genuino per il futuro di una pedina sovrannaturale quale Dawn. Una piccola orfana mai esistita… Wes era uscito. E Dawn non era ancora arrivata.

Spike aveva parlato delle cinque.

Controllò l'orologio.

Poi lo ricontrollò.

No, era presto, non aveva letto male. Il calore delle tre e mezza del pomeriggio scaldava le pareti di pietra della vecchia casa. Doyle piegò le ginocchia e rimase a respirare la brezza.

Gli piaceva il movimento delle tende. Incostante, così in contrasto con la quiete del primo pomeriggio. Con la pigra atmosfera che permetteva alla mente di dipanare una lunga scia di pensieri.

Pensieri per tutti.

La mente di Doyle si riempiva di ritratti concreti, luminosi. Era così che li vedeva, tutti loro. Brillanti anche nella notte. Vibranti di emozione, traboccanti di energia e.. debolezza.

Debolezza… c'era qualcosa di splendido nell'abbandono. La sua mente corse subito a Spike, all'aggraziato manifestarsi della sua fragilità. Era come se ciò che era di più umano in lui affiorasse nel perdere lentamente conoscenza di sé. Spike, capace di sembrare un angelo dal volto scavato.

Spike… al solo pensiero di quello spirito irriverente, Doyle si concesse un sorriso.

"che hai da illuminare così la stanza?" - mormorò Cordelia, stiracchiandosi un poco, mentre Doyle tornava a sdraiarsi.

"Pensavo al nostro inglese… quello saccente, non quello sapiente."

"Spike? Che ha fatto questa volta?" - cordy si stropicciò gli occhi, essenziale nelle sue domande.

"Spero niente, a parte dormire. Non gli abbiamo chiesto nient'altro… sai, principessa, quel ragazzino ha così tanto potenziale… certe volte c'è da stupirsene."

"Lo chiami ragazzino… come Wes." - Cordy sorrise birichina - " non ti ricordi neanche tu che ha avuto quasi duecento anni per crescere."

"E' cresciuto più negli ultimi sei mesi che in tutte le sue scorribande pluridecennali. È forte proprio perché consapevole delle sue debolezze. " - Doyle tacque. Non era certo che Cordelia capisse veramente a cosa si stava riferendo. E gli spiaceva non poterle dire di più.

La guardò, con un minimo di tristezza negli occhi.

Sembrava scusarsi.

E cordy lo baciò, leggera.

"non crucciarti per le cose che mi dici. Lo sai…"

Sorrise.

Cordy sapeva già. E capiva.

Ed era la magia che ancora si ripeteva.

Quando cordelia richiuse gli occhi, girandosi dall'altra parte, doyle uscì dal letto e si vestì, con pochi gesti.

Non gli piaceva perdere tempo.

Con la mente esplorava la casa, con vaga attenzione.

Poi, la leggera fitta alla tempia gli rivelò un incubo nella testa di qualcun altro. Attraversò il salone e, avanzando verso la porta nascosta dal grande camino in pietra, sentì il dolore divenire informe e poi lentamente svanire.

Aggrottò la fronte, rallentando il passo.

Ed alla porta innanzi a lui uscì spike, vestito, socchiudendo attentamente lo stipite.

Si girò, senza alcuna aria colpevole, mentre Doyle si piantava le mani sui gomiti, come Cordelia gli aveva insegnato.

"Non dovresti essere a letto?" - mormorò in tono d'accusa, nascondendo la sorpresa di trovarlo ritto sulle sue gambe.

"E non sei contento di vedermi così in salute?" lo punzecchiò Spike, con un bel sorriso. Vestiva di nero, come sempre. La ferita gli aveva assottigliato leggermente il fisico, scavandolo in volto, facendo risaltare gli zigomi e la bella bocca. Aveva gli occhi luminosi.

Occhi che lo tradivano.

Ma non era lui il portatore dell'incubo.

"sì, sono contento di vederti in piedi. Sarei più contento se prima di stanotte tu non fossi di nuovo a pezzi…" - mormorò, accantonando le sue considerazioni.

"Non credo che succederà." - spike si tormentò le unghie, con una vaga tensione nell'atteggiamento. Spostò il peso, da una gamba all'altra. E gli ci volle un attimo di riflessione per aggiungere - "Hai tempo per due chiacchiere?"

Doyle lo soppesò un istante. Una ragazzino…

No.

Un giovane combattente.

Con gli occhi della vita.

Si sedettero, spike a capotavola e Doyle subito a fianco. Il lungo tavolo di noce era coperto di una leggera polvere, presto segnata dalle bottiglie fredde che posarono sopra.

Doyle giocherellava, disegnando ghirigori sulla superficie, gettando fuggevoli occhiate al vampiro. Gli provocava una strana forma di tenerezza, una forma di indulgenza che era più avvezzo a provare nei confronti di faith, capace di capire e sbagliare allo stesso tempo.

"non… mi chiedi come ho fatto a riprendermi così in fretta?" - spike lo guardò sottecchi.

"Spike…" - spiegò pazientemente doyle - "A parte il fatto che sembri incredibilmente giovane, al momento preferisco essere sollevato, piuttosto che sospettoso."

Spike abbassò lo sguardo, con un lampo sardonico. Poi aggiunse:

"credo che Angel dormirà ancora un poco, aveva qualche incubo, ma mi sembra che si sia calmato…"

alzò la testa, con l'aria di chi ascolta.

Anche Doyle l'aveva sentito. Anzi… doyle si stupì del fatto che fosse Spike a percepirlo.

Dietro la porta chiusa, la marea del sonno tormentato stava tornando.

Spike si alzò rapidamente e lo precedette. Entrò in stanza, seguito da Doyle.

Si avvicinò al letto e si chinò. Sdraiato in mezzo, addormentato eppur in preda al terrore, stava Angel. Si muoveva, mormorando qualcosa di indistinto.

E paradossalmente, spike, così restio ad un gesto che non fosse forte e univoco, posò una mano su quella testa scossa. Sussurrò, appena udibile per Doyle, ed Angel si calmò, girando il capo e sprofondando nuovamente in un sonno profondo.

Spike si raddrizzò. Scosse il capo con fare rassegnato.

"lupus in fabula…" - disse, ironico - "non avevo ancora finito neanche di dirlo…"

Doyle non disse nulla, restando a guardarlo, con le mani in tasca. Il suo aiuto si era rivelato superfluo. Era la prima volta che Spike interveniva deliberatamente nell'inconscio di Angel. La prima volta, in lunghi mesi, che si incontravano ai piedi di quel letto, svegliati entrambi da un eroe dal passato buio come inchiostro.

Angel, l'unico che combatteva da sveglio e nel sonno…

Spike gli si avvicinò.

"Adesso è tranquillo, lo sai anche tu… ti va di riprendere da dove ci ha interrotto? Dawn sarà qui a momenti."

"Certo." - annuì Doyle, con lo sguardo perso - "Certo"

 

"Allora Spike, la smetti di mangiarti le unghie?" - lo punzecchiò con un mezzo sorriso, quando furono nuovamente seduti - "fai prima se sputi il rospo…"

Spike lo guardò e, preso coraggio, sputò fuori la verità.

"Angel mi ha offerto il suo sangue, si è lasciato mordere e non capisce perché mi vergogno come un cane."

Doyle lo squadrò. Poi, riposandosi contro lo schienale alto della sedia sospirò:

"E l'hai dissanguato del tutto?"

"No certo!" - il tono di spike era scandalizzato - "Figurati se farei consapevolmente una cosa del genere!"

"e vuoi la mia approvazione?"

"Ma certo che no, ci mancherebbe solo che tu approvassi? Tanto più che è una cosa tra me ed angel."

"Se così fosse, tu non staresti qua a raccontarmela." - ribatte Doyle. Si sporse in avanti, piantando i gomiti sul tavolo - "Spike, non mi stupisce l'offerta di Angel. C'era da aspettarselo. Ma io non sono nessuno per dare un giudizio. Vuoi dirmi per cosa ti stai crucciando?"

e visto che Spike esitava.

"e tanto per saper, devo aspettarmi che tu da un momento all'altro cominci a sventolare il mantello nero perché lui, dormendo, ti domina?"

spike lo fissò per un attimo. Poi rise.

Una bella risata,pura. Serena.

"No, non credo. Spero di no" - rispose.

"in effetti, mi sembra che le tua manie di eroismo si siano incrementate anche senza l'apporto di quelle di Angel." - considerò doyle, con un sospiro. Stentava a ricordare il motivo per cui si trovavano a sunnydale, stentava ad associare il vampiro che aveva di fronte con quello che aveva sorretto meno di dodici ore prima.

"Spike, mi dici cosa devo fare con te?" - la frase gli era sfuggita. Spike alzò la testa e lo guardò, con un mezzo sorriso. Doveva essere suonata così paternalista quella frase… - "Mi tocca anche ammettere a malincuore, che Angel ha fatto bene. Scommetto che ha deciso che era meglio sostenerti, che contrastarti."

"e tu, ovviamente, saresti stato del parere contrario."

"certo. Ma io sono quello delle soluzioni più semplici. A angel, invece, piacciono le vie impervie." . doyle lo squadrò, con una punta di malizia nello sguardo - "tutto sommato hai una bella faccia. Stai fingendo, in parte, ma per Dawn sarà già abbastanza."

"guarda che Briciola è perspicace." - protestò a gran voce - "Ci vuole una notevole concentrazione per riuscire a mentirle efficacemente."

"Una cosa che non credo tu faccia spesso."

"Solo qualche volta. Diciamo che ometto informazioni… è vera la mia nomea di bravo ragazzo che non mente mai."

"Fino a ieri ti definivi teppista…"

"Ed infatti lo sono." - spike si lasciò sfuggire un sospiro - "ma mi toccherà diventare rispettabile se voglio dare il buon esempio a quella bambina. E sul fatto di mentire… non è mai valsa la pena, se sei bravo a dire la verità…"

Doyle sorrise, immaginandoselo fuggevolmente appoggiato al caminetto, in doppio petto grigio, intento ad assaporare un sigaro, spiegando i valori base a dawn.

Una bella dawn con grembiulino a fiori e fiocco in testa.

"Spike, penso che potrai continuare ad essere quello che sei. Ci penserà Westley a metterla in riga. È veramente molto bravo. E ti posso assicurare che potremmo anche fare a gara ad insegnarle il meglio che c'è in noi tutti." - Doyle si stiracchiò guardandolo di sbieco - "Ma non cambiamo discorso, caro il mio bravo ragazzo. Mi dici cosa ti turba nell'aver morso Angel?"

"Secondo te?"

"Non ci vedo niente di che… non è la prima volta che ti succede."

"Doyle, con tutto il rispetto… ti ha mai morso un vampiro?"

"No, non mi trovano appetibile."

"nella testa della vittima passano una gamma infinita di cose. Come se il dolore riaffiorasse improvviso." - Spiegò spike, accendendo una sigaretta e girando l'accendino tra le dita - " Sentono il sangue proiettarsi tutto verso un dato punto. Si sentono risucchiare nel nulla e, ad un tratto si rendono conto che il nulla è fatto di una forza sovrannaturale. Nel momento stesso in cui capiscono, sprofondano nell'incoscienza. E si perdono. Oppure, ma questo riguarda solo pochi, spalancano bene la loro anima e assorbono le sensazioni del predatore che le sta uccidendo."

Doyle lo ascoltava in silenzio.

Spike era lineare nelle sue spiegazioni. Più volte l'avevano sorpreso a raccontare a faith, chiaramente, i meccanismi e gli stati d'animo di un vampiro.

Spike, a differenza di angel, non aborriva realmente la propria natura. La studiava, la capiva, appassionatamente. E dava alla Cacciatrice le armi per fare di uno spiraglio uno squarcio.

Adesso, con doyle, il suo obbiettivo era ben altro. Spike cercava, pacatamente, di farsi capire. Angel aveva puntato tutto sull'aspetto terapeutico della questione.

Spike l'aveva infine morso, convinto dell'utilità del gesto. Ma non poteva lasciare in sospeso il suo gesto. Era ben più di qualcosa di meccanico.

"Il vampiro sente che si sta svelando, incontrollabilmente." - continuò Spike - " Si fonde con la vittima, la conosce come poche cose nella sua vita. E ne serba un ricordo indelebile. Anzi, in certi casi è proprio questo tipo di comunione che permette di decidere se è uno spirito degno di essere vampirizzato."

"E tu hai fatto parte di questa categoria, immagino…"

"Certamente. Solo che io ho avuto Drusilla come carnefice ed angel come Sire." - sorrise - " Mi hanno subito… disorientato."

"Non ti seguo…"

"io mi sono lasciato consenzientemente mordere da Dru. Lei si è cibata di me, ma non mi ha dato il suo sangue… ha preferito che fosse Angel a farlo. Ed io sono stato il carnefice di angel. Non appena ho sentito un po' di forza, l'ho bloccato e mi sono servito. Per questo angel ha un segno di morso anche per la mia iniziazione."

"mentre di solito si tratta di una ferita che il sire si autoprovoca. E che quindi si rimargina." - Doyle aggrottò la fronte - "Quindi tu hai posto un marchio su Angel, ma lui non l'ha posto su di te…"

"Doyle… cosa stai pensando?"

"Come al solito ci siamo allontanati dal punto di partenza… ma questa mi sembra un'informazione rilevante. Che si aggiunge al fatto che, sul tuo corpo, Lorne non ha rilevato segni attivi… se non la mano."

Spike aprì la mano e fissò la sottile cicatrice. Le ferite inflittegli da darla l'avevano parzialmente nascosta. Restava solo una linea bianca e regolare.

"come dire che il segno di dru… i segni di dru…" - si toccò le labbra. Poi, mentre Doyle accennava un'espressione di serafica intesa - "Ma questi, adesso che ci penso, sono fatti miei! E di' al tuo lorne di tenere il suo spirito d'osservazione fuori dai piedi!"

"torniamo alla questione di partenza… sei svanito Spike, continui a divagare…"

"Senti chi parla."

"Era più comprensibile il tuo cattivo umore l'ultima volta. Non eri consapevole di esserti cibato di angel e, per giunta, sei stato anche parecchio violento." - constatò doyle - "Questa volta, invece, angel si è offerto spontaneamente. Eppure tu continui a sentirlo come un affronto che gli hai fatto. Dov'è il problema, Spike? Nel gesto o nelle sensazioni che vi siete passati?"

Spike non sapeva cosa rispondere.

Aggrottò la fronte, cercando parole per dare forma al suo disagio. E scelse la via di Wes.

Quella della conoscenza

"Comunque" - proseguì con tono professionale - " tra due vampiri, si tratta di una cosa tutt'altro che leggera. Due forze equiparabili che scendono a compromesso. Uno si sottomette all'altro. Angel si è sottomesso a me. In un branco, questo significherebbe molto."

"Vuoi il posto di Angel?" - lo canzonò Doyle.

"No. Non mi interesso nemmeno a questo risvolto della questione. Il problema è quello che ci si può trasmettere…"

Si interruppe. Qualcuno stava camminando sul vialetto. Presto sarebbe giunto alla porta.

Spike ascoltava quello? O altro?

"Spike?"

"Doyle…io non…" - spike scosse la testa - "No, non è una buona idea." È un peso troppo grande…

"Cosa stai cercando di dirmi?"

"Nulla. Nulla di importante. Ho detto ad Angel della nostra conversazione." - aggiunse, cambiando discorso - "Tutto quello che mi è passato per la testa."

"Bravo." - concordò l'altro - "Ma non è quello che volevi dirmi."

I passi erano sempre più vicini. Spike guardò la porta, poi aggiunse, frettolosamente: "Doyle… io credo che angel sia più recettivo di me…"

"Su questo ho i miei dubbi…" - l'interruppe l'altro - "Spike, cosa hai captato?"

Stavano bussando. Doyle l'avrebbe voluto afferrare per il braccio, ma Spike si spostò rapidamente, dirigendosi verso la porta.

"Ne riparleremo." - promise, con un tono che diceva l'opposto.

 

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Capitolo 12
*** 12.Lontano dal baratro ***


Lontano dal baratro

 

I personaggi delle serie "Angel" e "Buffy, the vampire slayer", appartengono a Joss Whedon, la WB, ME e la Fox, l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

 

Faith si girò nel letto, ancora e ancora. Poi un cuscino volò dritto verso la parete.

Seguito da un libro.

E da una maglietta.

Matite, tutte quello che le capitava.

E mentre stava per partire un altro libro, la porta si aprì.

E Spike entrò.

Con uno sguardo fatto di temporale.

Faith provò per un attimo il desiderio di lanciare contro di lui il volume che ancora reggeva in mano.

E Spike non tardò ad accorgersene. Con due falcate le arrivò di fronte e sfilò il libro di mano. Senza una parola.

Entrando nel cerchio della lampada.

Più alto di lei. E bello, con uno sguardo che Faith non gli aveva mai visto, la sigaretta in bocca.

Portava una maglietta nera, attillata e, con sorpresa di faith, aveva una chitarra di traverso sulla schiena.

Da dove arrivava?

Dove stava andando?

I pantaloni di pelle, gli anfibi alti…

Il bracciale di cuoio.

Ma a faith non importava nulla.

Non le importava nemmeno del desiderio di baciarlo con rabbia e con forza. Nel buio della stanza, il sangue della Cacciatrice ribolliva di una furia amorosa mal repressa. E Spike ne respirava a pieni polmoni, senza reagire, senza approfittare di una marea che gli scavava il petto e la gola.

Faith girò su se stessa, senza una parola e sedette sul letto, sbattendo con violenza la schiena alla parete, lasciando a Spike lo spazio per avanzare e sedere, con i piedi sul tavolo, imbracciando la chitarra.

Il libro che Faith avrebbe voluto tirargli era sulle coperte e le ragazza lo scostò con malagrazia, chinandosi in avanti, dando le spalle a quell'intruso fatto di magnete.

Lasciandosi sorprendere dal suono della chitarra.

Un suono che non aveva niente del tempo di rock dei loro cuori.

Una vecchia ballata.

Una ballata inglese persa nel tempo, un fascio di note pure e nitide.

Una melodia che contrastava con tutto. Con la rabbia, la pioggia, la morte e la passione.

Il suono era perfetto, di una maestria impeccabile. Spike suonava una chitarra ed apriva la porta ad un universo fatto di flauti e fischio del vento. Respirava il fieno appena tagliato e la testa le girava, incontrollabile, come il tremito alle mani.

Una canzone senza parole, lontana da tutto e voce di tutto.

Faith non riusciva più a scinderla dal resto. Dalle lacrime che stava versando, dai passi sul ballatoio, dallo sguardo di Wes, fermo sulla porta, in ascolto della sua patria e del suo dolore.

Spike suonava per tutti loro, per le parole che morivano intrappolate in quell'albergo, nella grande fucina delle loro reazioni. Spike chiamava le loro anime arrabbiate come uno spirito silvestre, li incantava con il suono puro di note insepolte, guidava i loro passi verso l'alto, con lo sguardo di un guerriero nella mischia. Li chiamava con ciò che non sapevano di lui, li chiamava con una canzone che non aveva mai detto di conoscere.

Guidava i passi di Cordy tra le lacrime e la mente di Doyle.

E guidava Angel, lo riportava indietro dal suo torpore.

E faceva piangere Faith. La faceva innamorare della vita di cui ancora godeva, senza amarla con il corpo. Ipnotizzava la sua rabbia e la vinceva.

Fuori, appoggiato alla ringhiera, Lorne ascoltava quei cuori di diverse nature battere irregolari. Ascoltava i loro pianti. Ed univa il suo, per una persona mai conosciuta.

Ascoltava Spike, lo Spike tanto abile alla chitarra fatta di forza, Spike che per loro stava forgiando ben più di un suono e di un capolavoro.

Ascoltava l'amore e l'affetto, raccolti e spiegati, nel tempo di una canzone. Spike, che mai aveva suonato per loro, introverso e avvolto nel segreto fino ad ora non svelato.

Capace di offrire una parte di se stesso, perché non dormissero nel suono di oggetti scagliati con rabbia.

Capace di attutire lo scivolare di Cordy sul pavimento, il suo appoggiarsi fatto di singhiozzi, capace di accompagnare le braccia di Angel verso di lei. Era la chitarra di Spike che permetteva a Westley di chinare il capo contro lo stipite, senza più nascondere la nostalgia ed il rimpianto. Wes, che meglio di ogni altro, conosceva l'antica ballata, nata e vissuta all'ombra della civiltà colta e potente della sua gente, fatta di serietà e raziocinio. La melodia che scavava le notti degli animi inquieti, rivivendo oltre oceano, facendosi amare da americani ed irlandesi, facendo pulsare il sangue al di sopra di ogni patria perduta e ritrovata.

Fino all'estinguersi dell'ultima nota.

Fino a lasciare spazio al suono dei loro singhiozzi.

Fino a lasciargli volgere lo sguardo grigio verso l'unico raggio di sole che già filtrava dalla tenda scura.

Spike, che per sé serbava le parole.

Nella mente.

Nella mente avvolta di silenzio.

 

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Capitolo 13
*** 13. Fuochi Entropia ***


Fuochi (Entropy)

 

I personaggi delle serie "Angel" e "Buffy, the vampire slayer", appartengono a Joss Whedon, la WB, ME e la Fox, l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

 

L'entropia e' la misura del grado di casualita' e di disordine di un sistema.

 

Luglio era appena cominciato. Ed il caldo li stava già stordendo tutti.

Era insopportabile e di certo non aiutava, nelle lunghe notti di missione.

Un caso sull'altro.

E pochi, pochissimi momenti per fermarsi.

Ed in quei pochi attimi di pace, si annidavano le loro tensioni incontrollate.

La morte di Buffy pesava ancora sui loro cuori, per quanto cercassero di tenerlo lontana dalla mente. Solo una cosa era certa, sia a Los Angeles che a Sunnydale, la vita continuava, affogando lentamente in una martellante quotidianità.

Per stordire ed illudere.

 

Chiuse gli occhi, radunando le proprie forze.

Concentrandosi. Percependo più chiaramente la consistenza dell'asse sotto i propri piedi. Cercando di essere consapevole di ogni millimetro di epidermide, della stoffa ruvida dei pantaloni.

Aspirando il profumo del cuoio appena ingrassato.

Caldo… denso…

Un equilibrio perfetto.

Un piede innanzi all'altro, in bilico.

E sotto di lei, il resto del mondo. Chissà se anche a Buffy era sembrato così intenso e offuscato, dall'alto di quella torre…

 

Ognuno, a modo suo, combatteva l'angoscia, si ricordò.

E tra i tanti, paradossalmente, solo Angel era apparentemente il più equilibrato. Come se essere il più assorto già di carattere gli permettesse di avere risorse nascoste.

Risposte per un vuoto che sentiva troppo grande.

Che tutti percepivano come un'anomalia inaccettabile.

Soprattutto Faith, dall'alto della sua indifferenza, si sentiva come monca, come scissa in due entità prive di equilibrio, una troppo reattiva ed una spenta e muta. E per quanto combattesse questa condizione, finiva sempre con il girare in tondo, destreggiandosi, incompleta, tra le pressioni del Consiglio e le aspettative personali.

La sua vita era tornata ad essere una caccia verso qualcosa di troppo lontano, come quella di Spike, sfuggente, sempre con la testa altrove. Pronto a partire, senza spiegazione alcuna.

E questo significava insofferenza, le poche volte che si incontravano, riflettè, con un lampo di irritazione. Come se uno nell'altro riconoscessero quel disagio esisenziale che li rendeva simili e pronti a respingersi.

Spike… la morte di Buffy l'aveva cambiato. E allontanato.

Era divenuto lo strano controsenso di se stesso. Pronto a spingersi lontano e a soffocarsi allo stesso tempo. E sempre con un piede fuori dalla porta, sempre in partenza per Sunnydale.

Dawn.

Dawn.

L'unica parola coerente che gli usciva dalle labbra…

 

Allargò le braccia, per poi ridistribuire il peso. E le preoccupazioni.

Quando lo fece, le borchie dei suoi bracciali riflessero per un attimo la luce che filtrava dal lucernaio.

Mosse le mani, per evitare che i suoi occhi si impigliassero in quel baluginio, portando alta la spada e facendola ruotare.

Lentamente.

In modo studiato,con ampio movimento sopra la testa, per sfilare dalla custodia sulla schiena un coltello. Contemplando per un attimo, per puro piacere personale, le finissime intarsiature che, come serpenti, percorrevano la lama.

Con une lentezza impressionante, fatta di muscoli brucianti.

Le bastò una rapida torsione del polso, per farlo ruotare e impugnarlo nuovamente per la lama. Con due dita, come fosse cristallo pronto a spezzarsi.

Accogliendo, con un brivido, il tepore del metallo scaldato dal contato con la pelle.

Girò su se stessa, tuffandosi in avanti. Fino a battere un ginocchio, tornando a fissare un immaginario punto.

Un bersaglio.

Un nemico.

Scattando.

 

E ritrovandosi afferrata per la vita, un attimo prima di precipitare nella tromba delle scale.

"Mettimi giù, idiota che non sei altro!" - sbraitò Faith, scalciando come una forsennata.

"Taci cretina e ringraziami." - ringhiò Spike, caricandosela in spalla e scendendo le scale. Ignorando i pugni che si stava prendendo sulla testa e sul collo.

C'era mancato un pelo, secondo i suoi parametri. Era arrivato per un soffio, così veloce da risultare quasi invisibile. Un'ombra fulminea che percorreva rampa dietro rampa.

Un'ombra… una semplice ombra aveva attratto il suo sguardo, al di sopra della sua testa. Una ragazza che apriva le braccia e si lanciava.

Una ragazza.

La visione di Buffy si era sovrapposta a quella di Faith. E Spike si era ritrovato con un urlo in gola. Un urlo muto di paura e impotenza.

Fatto di un'impotenza che non poteva accettare.

 

"Price!" - urlò, entrando nel salone e lanciando la ragazza furente sul divano - "ho trovato la tua Cacciatrice a camminare sulla ringhiera dell'ultimo piano stile gatto.

E dimmi, si è rincretinita tutta d'un colpo o è sempre stata così?"

Westley abbassò il giornale, aggrottando le sopracciglia, mentre Cordelia, seduta al tavolo grande, alzava gli occhi dalla sua immancabile contabilità.

In tempo per vedere un biondo e imbestialito Spike, con vistosi sbaffi di olio da motori sulla faccia, impegnato ad incombere sulla cacciatrice ed il suo Osservatore.

Una Cacciatrice vestita come un guerriero ed un Osservatore che, con il giornale arrotolato tra le mani, aveva l'espressione di uno che osserva una partita di ping pong. Solo che, al posto di una pallina bianca e leggera, tra quei due, stavano volando pesanti e funeree ingiurie.

"Fatti gli affaracci tuoi, vampiro! Mi stavo allenando!" - urlò Faith, sedendosi e fulminandolo con lo sguardo.

"Se ti schianti sulla moto che io sto sistemando quattro piani più sotto diventano subito affari miei!" - ribattè Spike voltandosi furibondo.

Ecco. Questa, per i parametri di Cordy, era un'informazione interessante. E agghiacciante, molto più dell'idea di Faith che cadeva.

"Moto? Moto?" - scattò in piedi, perdendo fogli ovunque - "Stai aggiustando la moto nell'ingresso? Sul pavimento che ho appena lavato?"

"E che ti aspetti, che faccia danni?" - replicò lui, girandosi e liquidandola con un gesto stizzoso che mise in vista due mani tremendamente nere.

"Tu! tu mi hai macchiato! Guarda che roba!" - Faith sbarrò gli occhi, tirando la maglietta per contemplare inorridita dieci oleose impronte digitali impresse all'altezza del suo ombelico - "Ma non sai fare altro che danni?"

"Ah!Questa è bella! E sarei io che faccio danni? Non tu che ti comporti da irresponsabile in piedi su una balaustra traballante?" - sbraitò, mentre la ragazza ricominciava a coprirlo di insulti.

Westley non commentava. Gli sembrava di aver intuito la causa del violento diverbio tra i due, ma non era certo di aver capito quale fosse la parte giusta dove stare.

E Cordelia non era di certo d'aiuto, visto che si stava precipitando sul pianerottolo.

"Dio, il mio pavimento." - gemette, affacciandosi nella tromba delle scale mentre Angel e Doyle salivano chiacchierando - "Doyle, guarda il mio pavimento…"

Doyle buttò un'occhiata fuggevole al pavimento ed alla moto mezza smontata prima di tornare a guardare la ragazza che, disperata, gli buttava le braccia al collo.

Perfetta come sempre, ai suoi occhi.

Gli occhiali dalla montatura metallica le donavano, in bilico precario sul suo naso diritto e sottile, quasi quanto la matita che le fermava scompostamente i capelli in cima alla testa.

"Urlano moltissimo." - constatò, parlando con Angel senza riuscire a districarsi la sua amata Cordy di dosso.

"Hai ragione."- Rispose distrattamente il vampiro bruno, gettando un'occhiata preoccupata all'interno della stanza. Vedeva Spike di spalle e Faith, seduta sul divano… ma soprattutto li sentiva tutti e due. E non era certo di poter ripetere buona parte delle parole che si stavano dicendo senza arrossire.

E Wes sembrava avere lo stesso problema di educazione.

"Doyle… hai visto…" - sospirò melodrammatica Cordelia, guardandolo in faccia - "Nessuno apprezza la mia fatica.. i miei pavimenti, i miei pavimenti lucidi…"

"bhe, Principessa…" - ribattè lui serio, mentre l'abbracciava di nuovo, affranta - "Dopotutto… c'è di peggio…"

Tornando a fissare perplesso la spada piantata nel corrimano, sei metri sopra le loro teste.

 

Ed i guai erano appena cominciati…

 

"Scusate…" - mormorò sbrigativamente una ragazza bionda, apparsa dal nulla.

Non era molto alta di statura ed aveva un'aria famigliare.

Angel si voltò appena in tempo per avere una fuggevole visione dei suoi capelli ondulati sopra una camicetta rossa ed una gonna leggera e fiorata, mentre marciava spedita, passando tra lui e Doyle.

Entrando nella stanza.

Faith interruppe la frase nel momento stesso in cui la vide afferrare il vampiro biondo per un braccio, obbligandolo a voltarsi.

Brutale.

Il suo istinto di cacciatrice riconobbe un pericolo e Faith scattò in piedi , combattiva.

Per poi fermarsi di botto.

Perché la ragazza non l'aveva colpito.

E se le era sembrata bellicosa, era solo perché… perché gli saltata addosso!

Baciandolo.

Posandogli deliberatamente le mani sul fondoschiena.

Afferrandolo, per il fondoschiena.

Gli occhi di Faith divennero enormi, grandi quasi quanto la sua bocca. E la bocca di Cordelia.

La ragazza lo stava violentando!

E nessuno faceva niente…Nemmeno Spike!

Anzi!

Non aveva avuto nemmeno un'esitazione, nell'afferrarla e stringerla. Le sue mani si erano riempite di quella stoffa leggera, alzandola, lasciando intravedere gambe tornite e delineando fianchi morbidi. E decisamente caldi.

Wes si lasciò andare indietro, sulla poltrona. Di colpo la temperatura doveva essersi alzata… oppure doveva avere le allucinazioni, ragionò, slacciandosi il colletto, perché vedeva qualcosa di decisamente impossibile…oltre che imbarazzante…

Nessuno accennava un respiro. Annichiliti contemplavano quella violenta prova ormonale senza riuscire a formulare un pensiero coerente….

O una domanda…

O un commento…

Nemmeno una reazione.

Nulla.

Un fiume in piena.

Spike ne fu travolto, nell'attimo stesso in cui quel calore e quel corpo lo avvolsero. In una morsa violenta. Prepotente, abbastanza da fargli dimenticare la visione di Faith che si librava sopra di lui.

Incurante, come Buffy. Buffy, che gli era sfuggita dalle dita…

Qualcosa si risvegliò in lui, fortissimo.

Da qualche parte, in fondo al cuore, il suo demone prese forza, riconoscendo un suo simile, cibandosi di lui.

Traendo da quel contatto selvaggio un appagamento che non sperimentava più da tempo. Come se dalle labbra sgorgassero di colpo, evaporando, la rabbia e il dolore. Senza la certezza di poter controllare i suoi lineamenti, il suo corpo e la sua anima allo stesso tempo.

Un contatto che si rese conto di desiderare disperatamente solo nell'attimo in cui fu stabilito. E, quando si sentì pronto a gettarla a terra e spogliarla, per finire ciò che aveva cominciato, con una furia inumana, ne fu atterrito.

Abbastanza da respingerla. Per quanto possibile.

 

Si liberò dalla stretta. L'afferrò per le spalle e se la sfilò letteralmente dalla bocca.

Ansimando, domandandosi perché di colpo il sangue gli ribollisse in quel modo.

Guardandola in viso e rassegnandosi all'idea che lo stesse ancora tenendo per il retro dei pantaloni. E che, conoscendola, non avrebbe facilmente mollato la presa.

"Anya…" - mormorò, cercando di riacquistare lucidità, fissandola nei suoi occhi falsamente innocenti - "Si può sapere cosa è successo?"

 

"Avevi ragione tu." - spiegò lei, serissima - "E' un idiota."

 

In barba alla temperatura salita di colpo, il tempo doveva essersi congelato…

Spike la guardò quella frazione di secondo che il suo cervello reclamava per assimilare una frase troppo breve e semplice per avere un significato netto.

 

"Con permesso." - Disse, a beneficio di tutti, spingendola fuori dalla porta e giù dalle scale. Ignorandoli, prima che si rendessero conto del quantitativo di risposte che desideravano.

Abbandonandoli prima ancora che le loro menti iniziassero a concepire i perché.

Afferrando lo spolverino e infilandoselo.

Ed uscendo, sempre tenendole una mano piantata a centro schiena, mentre la ragazza si lasciava docilmente spingere.

"Ho da fare… ci vediamo dopo…" gridò, armeggiando con la giacca ed il contenuto delle tasche.

 

Quando la porta sbattè, Cordelia ebbe un sussulto.

"Tu hai visto…" - esclamò, afferrando Angel per la giacca e scotendolo, come suo solito - "Hai visto?"

"Sì… visto…" - mormorò lui, come un automa.

Fissando Faith che apriva la bocca e la chiudeva, aggrottando la fronte.

Come alle prese con un concetto troppo difficile.

 

 

II

Anche Spike sembrava alle prese con un concetto troppo difficile. Con una mano spingeva la ragazza e con l'altra cercava di accendersi una sigaretta. Aveva un'espressione concentrata, Anya poteva vederla con la coda dell'occhio, voltandosi appena.

Anya abbassò lo sguardo, respirando a fondo. Spike non era intenzionato a rivolgerle la parola, almeno per il momento.

Era assorto.

Ed era arrabbiato. O almeno, lo era stato, fino a quando all'ira si era sostituita la perplessità.

Eppure, qualunque cosa gli stesse battendo in petto, era circondata di un fumo malsano.

Anya respirò a fondo, protendendosi verso di lui.

Riconosceva quei sentimenti, quelle sensazioni. Le sembrava di essere nata con l'unica capacità di percepire ciò che di più doloroso e insofferente fosse nell'animo umano.

Nata umana… divenuta demone…

Vendetta…

Spike non voleva vendetta. E non voleva giustizia.

Ma in lui batteva un cuore sordo ed offuscato dal dolore.

I suoi occhi erano omogenei, di un grigio quasi pastoso.

La fiamma dell'accendino non bastava a ravvivarli. Li rendeva opalescenti, come quelli di un gatto, impossibili a decifrarsi.

 

Come quella volta, non molte settimane prima…

 

Il rumore dell'accendino la fece voltare. Sulla porta, appoggiato allo stipite, con gli occhi incuranti persi nel riflesso degli anfibi, Spike non sembrava consapevole del fatto che Anya fosse poco vestita e poco amichevole.

"Allora, fiori d'arancio o piante carnivore?" - domandò, alzando la testa. E, vedendo i vestiti delle damigelle, si rispose da solo - "Decisamente la seconda…"

"Oh, smettila." - rispose lei, finendo di armeggiare con le spalline - "Mi allacci, per piacere?"

"Sì… certo." - rispose, sfogliando con due dita una mezza tonnellata di riviste per cerimonie.

"Sei qui non invitato. Allacciami e non fare storie." - ribattè, voltandosi e mostrandogli una schiena nuda e sottile affogata nel tulle.

"Sono qui invitato da Dawn." - puntualizzò, infilandosi la sigaretta in bocca, per avere entrambe le mani libere. Ed armeggiando maschilmente con la lampo - "Io le donne le spoglio, non le rivesto."

"Sì, certo. Intanto io mi sposo e tu sei zitello." - ribattè compiaciuta.

"Si dice scapolo, Anya. Scapolo."

"Chi se ne importa!" - esclamò, girando su se stessa - "Allora, ti piaccio?"

Era radiosa.

"Come ogni ragazza vestita di bianco." - rispose lui, prontamente - "Sai, il gusto del casto…"

"Mmm, tutto si può dire di me, tranne casta… chiedi a Xander." - replicò distratta, stiracchiando il vestito sui fianchi - "Tu sembreresti un dilettante a mio confronto…"

Finì di aggiustarsi davanti allo specchio. E quando si voltò, fu così vicina a sbattergli contro da sobbalzare per lo spavento.

"Niente respiro e niente riflesso." - commentò, guardandolo con sfida - "L'ideale per un delitto perfetto…"

ma Spike ignorò la battuta, tirando un'altra boccata alla sigaretta.

"Sei sicura di quello che stai facendo, Anyanka?" - domandò.

"Uff… tu e Halfrek mi dite le stesse cose. Fatti uno per l'altra, non c'è nulla da dire."

"Sai che ci vuole… siamo coetanei. Stessa epoca e stessi dissidi. Un caso di costume." - rispose, con un'alzata di spalle. Non sapeva nemmeno perché gli fosse sfuggita quella domanda - "Ma non mi sembra che tu abbia risposto… a Cecily cosa hai detto?"

"Ehi, smetti di fumare, mi appesti i capelli! E comunque nessuno la chiama più Cecily."

"Io sì. Era la mia ragazza, se voglio chiamarla Cecily, la chiamo Cecily."

"Giusto. E quando lo fai, dovresti dire anche: Grazie Cecily, di non avermi passato nell'acido."

"Allora l'acido non andava di moda." - replicò, cupo - "e… non cambiare discorso!"

"Sì. Sono sicura!" - rispose, interrompendolo - "Lo amo. E voglio invecchiare con lui. Sono stufa del tempo e del mondo. Voglio solo Xander e il suo amore. Ti basta?"

L'occhiata che le aveva rivolto le era sembrata interminabile.

"Mi basta." - concluse lui, sedendosi e accendendo la televisione - "Avvertimi quando arriva Briciola."

 

Anche allora… ma solo ora Anya riusciva a rendersene conto. Anche allora c'era quella nube in lui.

Ma lei era stata troppo felice e troppo speranzosa per prestare realmente attenzione a Spike, al biondo e sarcastico vampiro-tormento di Sunnydale.

 

"Spike. scusa…" - mormorò lei, con un colpetto di tosse - "Puoi smettere di spintonarmi?"

"Taci!" - replicò lui, stritolando il filtro con le labbra - "anzi no! Spiegati!"

"spiegare cosa?" - chiese lei, con aria stranita.

"Cosa? Cosa?" - Spike sbarrò gli occhi e per poco la sigaretta non gli cadde di bocca - "Uno: perché mi sei saltata addosso. Due: perché sei di nuovo un demone."

Anya stava per ribattere, quando la frase di Spike le giunse veramente al cervello.

Come aveva potuto pensare, anche solo per un attimo…

"Oh." - mormorò delusa, fissandolo - "Te ne sei accorto…"

"Anya…" - Spike si strofinò la faccia, esasperato, uniformando le macchie d'olio - "Mi spieghi come facevo a non accorgermene? Non mi hai propriamente stretto la mano…" - decisamente era a corto di parole. Allargò le braccia e la guardò interrogativo. Attendendo che si decidesse a spiegare almeno un mistero su due.

Oddio, non che le ragazze non gli fossero mai saltate addosso… ma…

Ma niente! Poteva anche saltargli addosso, gli ricordò il suo orgoglio maschile.

Il motivo era il suo innegabile fascino.

Ma doveva spiegare il ritorno della sua parte demoniaca. Subito!

"Ecco…" - Anya si torse le mani - "Sai come va, talvolta… che le persone…"

"Anya!" - si levò la sigaretta di bocca e le si avvicinò - "taglia corto! Perché sei qui!"

"Ohhh" - Anya piegò la testa e pestò un piede a terra - "Mi ha mollata! Mollata all'altare! Quel viscido, vigliacco…mi ha mollata perché non ero abbastanza per lui!" Non sembrava più l'Anya che aveva conosciuto, attaccata al denaro e con un sano senso del trucido. Adesso aveva un'espressione disperata, come se qualcosa si fosse improvvisamente polverizzato, in fondo al suo animo. Spike se ne accorse per l'attimo fuggevole in cui apparve, prima che la ragazza si voltasse, incrociando le braccia. Percepì il vuoto, come un soffio di vento freddo. Conosceva quella sensazione, l'aveva provata quando… era vivo…

No, non poteva essere. Represse le congetture, cercando di prestare maggior attenzione a quello che Anya gli stava raccontando.

 

Il matrimonio. Come aveva fatto a non capire?

Aveva deliberatamente declinato l'invito, non appena gli era apparso chiaro che, anche in questo caso, sarebbe stato un modo per dimenticare.

Tipico di Xander Harris. Sposare Anya a meno di due mesi dalla morte di Buffy.

Per far festa, per annegare in un tintinnio di brindisi l'imbarazzo della scomparsa. Creando una distrazione a beneficio di tutti. Ma mai, nemmeno da malfidente quale era, Spike avrebbe pensato che Harris non amasse Anya. Gli sembrava l'unica cosa positiva che quel cervello bacato avesse mai concepito.

Quindi, forte del pretesto che aveva, uno di quei casi che solo Doyle sapeva procurare, e dopo averne lungamente discusso con Dawn, era tornato per qualche giorno a Los Angeles.

E, in tutta sincerità, non si era molto curato del silenzio stampa che era seguito.

Certo del fatto che la sua piccola Briciola avrebbe chiamato, non appena i piccioncini fossero partiti per la luna di miele. Risparmiandogli smancerie e confetti.

 

Ed ora…

 

"E sono tornata demone perché mi hanno offerto i miei poteri. Perché volevo vendicarmi. Solo che… non riesco…"

Non posso… non voglio…

Sai di cosa sto parlando Spike? Io credo di sì. Amavi troppo la Cacciatrice per non sapere di cosa sto parlando. Amavi troppo Cecily, per non renderti conto di che buco può restare dentro al petto.

Un buco da cui passano le nostre inafferrabili volontà. Le nostre paure…

Non vuoi vendetta? Io sono la tua vendetta.

Tu potresti essere la mia.

 

La cosa era più complicata del previsto. Spike si grattò la testa pensoso, rinfilandosi la sigaretta in bocca.

"Fammi capire… lui ti ha mollata e tu vieni qui… perché…"

Era stato leggermente brutale. Ma lei fu decisamente peggio.

"A dopo le spiegazioni." - ringhiò, afferrandolo per la maglietta e aderendo saldamente alle sue labbra - "saltiamo i preliminari, baciami ancora…"

Tutto sommato non era poi una così cattiva idea...

"Anya, dannazione!" - urlò, con un salto indietro, levandole le mani di dosso nel momento stesso in cui si rese conto che stava armeggiando con la sua camicetta - "Se ho detto che devi spiegarmi, tu devi baciarmi… spiegarmi!spie-gar-mi! E smettere di lasciare liberi i tuoi ormoni."

Che sono dei gran begli ormoni…

Anya non diceva nulla. Aveva abbassato lo sguardo e, indipendentemente dalla natura di demone che emanava, la sua espressione era triste. E tradita.

"Mi serve il tuo aiuto, Spike. Voglio maledire Xander." - spiegò quieta, lasciando che le ciglia nascondessero occhi dorati troppo sinceri - "Ma qualcuno deve desiderarlo al mio posto…"

Adesso la dinamica dei fatti era un po' più chiara. Spike la fissò, mentre si riprendeva, alzando di scatto la testa.

"Qundi, dimmi subito che vuoi Xander bollito e riprendiamo da dove abbiamo interrotto!"

"E… perché?"

"Cosa perché?" - ripetè lei, senza capire.

"Perché dovrei volere Xander maledetto e soprattutto cosa c'entra il sesso!" - Spike iniziava a perdere la pazienza.

"Tu devi maledire Xander perché sono un'innocente ferita…" - spiegò lei rapidamente, sperando di essere credibile. Mentre gli occhi di Spike divenivano sempre più tondi - "Perché alla Angel Investigation fate così, aiutate gli innocenti in difficoltà… e quanto al sesso, tu mi vuoi…"

 

"che cosa?"

 

chissà se la vibrazione di quell'urlo per strada sarebbe giunta sino alle stelle, in un notte tanto limpida…

 

"Oh.. non mi vuoi?" - azzardò timidamente lei, inclinando un po' la testa. E sembrando più una bambola innocente che un demone della vendetta.

"Si può sapere come ti è venuta fuori quest'idea? Lo sanno tutto che sono innamorato della cacc…." - si interruppe, ricordandosi che non era vero. Era un vecchio ritornello, ripetuto così tante volte da essere ormai pronunciato in automatico.

 

E buffy, buffy era morta, si ricordò in un flash, rivedendola ancora, stesa nel suo stesso sangue, con gli occhi ancora sbarrati.

Come si poteva dire di amare una cosa… un corpo freddo, ormai privo di anima…Dio, Buffy, quanto mi ferivi con quella frase, e come ora mi ritrovo, con le stesse parole nella mente…

 

"Quale delle due?" - chiese il demone, drizzando le antenne, senza dargli il tempo di smentire.

"Nessuna! Nessuna delle due! Una più idiota dell'altra! Dicevo in generale." - ribattè lui rapidamente, cercando di sviare il discorso - "Ed in base a cosa avresti deciso che voglio saltarti addosso?"

"Non mi sembra che tu mi abbia respinto, prima…"

Prima? Prima quando? Quale delle due volte in cui ti avrei strappato i vestiti di dosso? Spike si morse la lingua, censurando quei pensieri caotici che stavano cercando di uscire.

Anya lo fissava e aspettava. Non le passava nemmeno per la testa di ridurre l'imbarazzo del vampiro.

Se di imbarazzo si poteva parlare…

"Anya, la risposta è no."

"No?"

"NO. Decisamente no. Non ti permetto di saltarmi addosso e non sarò complice nello scotennamento del decerebrato."

"Bollitura." - corresse lei, mettendo il broncio - "Lo voglio bollito, non scotennato."

"Fa lo stesso." - Spike lanciò la sigaretta e Anya ne seguì la scia rossa della brace che andava a schiantarsi a centro strada - "La risposta non cambia."

Ma non fece commenti in risposta a quel diniego.

In cuor suo non sapeva se sentirsi sconfitta o sollevata.

Xander sarebbe vissuto.

E lei sarebbe restata demone per l'eternità.

E, tra loro due, mai sarebbe divenuto chiaro chi fosse realmente sconfitto.

 

Sembrava avvilita.

E Spike, che l'avrebbe volentieri consolata a suon di baci, si fissò la punta delle scarpe, in cerca di una frase garbata da dire.

"Anya… senti… visto che sei qui… andiamo a bere qualcosa?"

 

 

III

"Per essere un demone." - brontolò Anya - "Ti comporti proprio da uomo…"

"Perché?" - si voltò sorpreso, puntellando meglio il piede sul cruscotto - "Adesso che ho fatto?"

"Quando hai detto che mi offrivi da bere…" - Anya bevve un'altra sorsata dalla bottiglia e la passò al suo interlocutore - "Pensavo mi portassi in un locale…"

"Nel cassetto ci sono i bicchieri." - replicò lui, allungandosi sulle sue ginocchia per trafficare nel cruscotto. Ed estrarre una coppia di bicchieri da tequila.

Los Angeles si stendeva ai loro piedi, delineata dalle luci. Era uno spettacolo atroce ed affascinante, agli occhi di entrambi.

"Dio…." - sospirò lei, mentre lui la fissava alzando un sopracciglio con sorpresa - "La prima volta che sono venuta qui non c'era nulla…"

"Sul serio?" - chiese, rendendosi conto, per la prima volta, di quante cose Anya potesse conoscere. Era la prima volta che si soffermava realmente a riflettere sul fatto che quella ragazza tanto minuta potesse avere alle spalle un'esperienza millenaria.

"già…" - tacque un secondo. Prima di riprendere con il solito tono - "Vedi, c'era la figlia di un puritano che aveva avuto…"

"No, frena! So benissimo come vanno a finire i tuoi aneddoti! E per l'uomo che ero, ti invito a piantarla!"

Non aveva fatto in tempo a mordersi la lingua. Bevve un'altra sorsata direttamente dalla bottiglia e cercò di diventare invisibile.

"In effetti quella volta ti è proprio andata bene…" - commentò lei, con il tono di chi la sa lunga.

E l'occhiata che ottenne fu indecifrabile.

"Possibile che Cecily non abbia ancora imparato a stare zitta?" - brontolò lui, scavalcandola di nuovo e aprendo di nuovo il cruscotto. Era evidente che Anya della sua vita umana e privata sapeva abbastanza… di tutte le amiche che poteva farsi… Cecily!

 

Sempre Cecily!

Una ferita destinata a non rimarginarsi.

 

Cecily…

 

Com'era bella…ancora la sognava, talvolta. La sognava incoronata delle luci pastello fatte per gli occhi umani. In una lattiginosa cornice di ricordi e di sensazioni ormai precluse dalla sue mente.

Cecily era ancora la regina del suo inconscio…

 

Saliva le scale, stringendo il ventaglio e un lembo della gonna tra le dita. Gli piaceva attendere di vederla passare, restando accanto alla pesante tenda damascata, di fronte alla porta del giardino d'inverno.

Sapendo che sarebbe scivolata nella luce dei candelieri, con occhi dai riflessi viola.

Per quella sera aveva acconciato i riccioli in un complicato chignon. E, qua e là, come appena spuntati per inebriare con il suo profumo, piccoli mazzi di gelsomino.

Come chinava appena il capo, quando si trattava di salutare…

 

"E non dire che non mi riguarda, perché i fatti della mia amica Halfrek mi riguardano sempre." - aggiunse Anya, allungando le gambe fuori dal finestrino.

"Ehi, ehi, che fai!" - esclamò lui, quando la sentì appoggiarsi con la testa alla spalla.

"Sta calmo. Mi metto solo comoda. Se hai detto niente sesso, è niente sesso. A meno che tu non abbia cambiato idea…"

Era preferibile ignorarla. E poi non era così male starsene in macchina in una serata del genere con una ragazza per scaldarsi. Il suo corpo gli dava un senso di realtà, distogliendolo dai ricordi. Ricordi, per la prima volta, senza brillanti e duri occhi verdi.

"Quello che ho sempre amato di voi demoni è la temperatura." - commentò, tenendo gli occhi fissi verso la città. E sentendo i suoi lungo la linea del profilo.

"E scommetto che ne hai sedotti molti." - commentò sarcastica.

"Abbastanza." - rispose, modesto.

"E Halfrek?"

Avrebbe dovuto scommettere su quella domanda. Halfrek… chissà in base a cosa aveva scelto di chiamarsi in quel modo.

Non aveva nemmeno pensato di chiederglielo, ritrovandosela di fronte, dopo secoli…

 

"Anyankaaa…" - cinguettò un mantello turbinante. Con in cime una cascata di capelli scuri e ricci. Era apparsa in una nuvola di fumo ed ora, dando le spalle a tutti loro, stava posando un enorme regalo incartato in fucsia sul tavolo.

Mantello viola e carta da pacchi fucsia.

Era un incubo che feriva la sua vista sviluppata. Spike spense il televisore, stringendo gli occhi e fissando meglio quella turbinante demonessa che ancora non riusciva a vedere in viso.

"Halfrek! Mia caaara Halfrek!" - replicò Anya, raccogliendo il vestito tra le mani e saltando giù dalla pedana di prova, mentre Tara, con fare rassegnato, cercava di salvare la scatola degli spilli.

Alle sue spalle, Willow faceva altrettanto, con Dawn impegnata a sbirciare quella strana tipa.

"Assomiglia alla psicologa della scuola…" - commentò perplessa.

La prorompente sconosciuta stava inglobando Anya nel mantello. Saltavano entrambe, ridendo e tenendosi abbracciate.

"Oh Anyanka! È altamente disdicevole che tu decida di sposarti…" - commentava ad alta voce - "Ma sono coosì contenta di rivederti…"

aveva una voce calda e forte.

Una voce di una persona educata ai giochi di spirito e al non chinare mai la testa.

Altamente disdicevole…. Spike la guardò meglio, cercando di cogliere dove poteva avere sentito già una voce di quel tipo. E in quale epoca si fosse fermato il suo cervello, per usare ancora un'espressione del genere.

Un'intonazione così…

"E questo vestito! E' un amore per essere destinato a compiacere un uomo!" - aggiunse, scostandola per vedere meglio.

Mentre Anya, con movimento alla Marilyn Monroe, ancheggiando, girava su se stessa.

"Oh… Darling, sei splendida!"

Adesso non aveva dubbi. Sapeva benissimo da quale epoca e quale luogo fosse venuta fuori quella creatura tanto appariscente. Si sporse, fino a posare i gomiti sulle ginocchia, per vedere oltre la gonna a balze di Dawnie.

Aggrottando le sopracciglia.

Aspettando che si voltasse.

"Oh, Halfrek! Lascia che ti presenti i miei amici!" - esclamò Anya, sovrastando la valanga di complimenti che stava ricevendo.

E quando Halfrek, turbinando, si voltò, per vederli e seguire le presentazioni, la stanza cominciò a girare.

Ed il mondo si fermò.

"Ecco… willow, Dawn, Tara e seduto lì dietro…"

"William." - mormorò Halfrek. Sbarrando gli occhi. Degli occhi ancora color delle viole, anche se su un volto demoniaco.

Spike la guardò, sostenendo al panico. Resistendo al desiderio di mutare i lineamenti, per affrontarla.

Halfrek doveva averlo compreso. Mentre tutti la guardavano incuriositi, domandandosi dove fosse finita la sua esuberanza, abbassò gli occhi, tormentando un ricciolo, come in imbarazzo.

Ancora quel gesto... si tormentava ancora i capelli. Spike la contemplò, ricordando come, già allora, fosse l'unico gesto umano di cui era capace.

Halfrek aveva mutato i lineamenti. Quando alzò la testa, rivelò un viso squadrato e forte, in cui una bocca carnosa e piena spiccava come una frutto rosso.

Il volto dell'amore… dio, quale più grande banalità, scritta e riscritta sul taccuino di pelle…

"No, non William. Lui è Spike…" - insistette Anya.

"Anya…no." - la interruppe Spike, senza guardarla - "Ci conosciamo già. Non ci servono presentazioni."

 

Cecily era di nuovo innanzi a lui.

E, ironia del destino, se l'anima di Spike avesse avuto occhi… sarebbero stati i suoi.

 

"Lei no. Da demone no." - la amavo da umano e per l'umana che era… che mi appariva…

"E non hai mai pensato che ne valesse la pena? Insomma, dopotutto eravate tutti e due immortali…" - non le andava di farsi sfuggire la grande occasione di saperne di più.

"Dimentichi Dru." - rispose Spike, rassegnato all'impossibilità di levarsela dai piedi. "Già. L'anoressica isterica."

"Ti spiace essere più educata? Dopotutto, per quanto matta, è stata l'amore della mia vita." - e certe cose non passano mai… nemmeno se ti capitano quando non hai l'anima…

"Halfrek la chiama così."

"Cecily non è mai stata gentile con le avversarie. E comunque, non è mai stata gentile con nessuno che osasse contrariarla."

"Ha iniziato lei a chiamarti Spike?"

"Non mi ricordo…"

"Lei dice di sì."

"Può darsi…" - sarà… ma quando ci incontriamo mi chiama ancora William…

"Dice che eri un poeta tremendo."

"Detto da lei che non sapeva leggere…"

"Dice che eri un imbranato."

"Quanto parla ancora di me…"

"Dice…"

"Allora!" - si voltò a fissarla, lasciando che si puntellasse quando la spalla su cui si appoggiava venne a mancare - "La vuoi smettere di farti gli affari miei?"

"Insomma, Spike, non c'è niente di male, stiamo solo chiacchierando. Ed io di te so parecchio." - riusciva a spalancare gli occhi in un modo non adatto ai tempi in cui viveva. Dopotutto era rimasto qualche frammento dell'innocenza che doveva averla contraddistinta da viva.

 

Anya emanava emozioni intense. Starle vicino era come essere travolti da un fuoco troppo caldo.

Tutti in lei bruciava, di furia repressa e di potere. Era inebriante.

Era tempo che non stava a fianco di un demone del genere.

Anya era demone in tutto e per tutto. Semplicemente demone.

Non aveva gli eccessi di un'anima.

Non aveva sangue umano nelle vene per un paradossale mischiarsi genetico.

E non aveva missioni di alcun genere.

Era solo una creatura malvagia con un cuore.

Un cuore di demone. Solo apparentemente più semplice di uno umano.

"Cecily ha ragione." - disse, fissandola - "Ero un imbranato, un confuso ed un timido. E tu come eri?"

La trapassava con lo sguardo. E dentro quegli occhi racchiudeva l'esasperazione per un passato che rimpiangeva quasi quanto disprezzava. E Halfrek, quella Cecily che tanto criticava, era un perno di quel mondo perduto. Quella vita che aveva avuto lei come obbiettivo e su di lei si era irrimediabilmente infranta.

"Non voglio parlarne."

"Perché sei diventata un demone?"

"Perché ero stata tradita. E perché ero stupida ed ignorante, e non capivo mai niente di quello che mi circondava. E la vita era una bella favola!" - rispose, con uno scatto, mentre gli occhi dorati le si riempivano di fiamme.

 

Spike la fissò per un attimo. Per un secondo ponderò l'ipotesi di confidarsi con quella ragazza che aveva descritto così bene la vita di entrambi. Entrambi traditi da uomini e donne mortali. Li avevano amati… ed infine persi senza speranza. Perdendo la speranza stessa di una vita regolata da leggi naturali.

Decisi a soffocare ogni ribellione con lo scorrere del tempo.

 

Chissà chi aveva portato Anya a divenire un demone. William aveva scelto una bella straniera dai capelli scuri con le stelle nella voce suadente.

Ma anya? Perché aveva scelto una natura demoniaca al posto di una vendetta?

E Cecily? Perché Cecily aveva fatto altrettanto?

 

"William.. vi prego." - Cecily sorrise, nascondendo la bocca dietro la mano con gesto affettato - "Ma che sciocchezza! Innamorato! Voi! Vi prendete gioco di me!"

"Non potrei mai… miss Cecily, voi siete…"

"Vi prego!" - sobbalzò lei, posando teatralmente le mani sul divano e scostandosi, come se l'uomo potesse franarle addosso - "Non una parola di più! Non ho intenzione di ascoltare una singola parola! William, come ben sapete, la mia è un'ottima famiglia. E mi ha educata a non farmi mancare di rispetto da nessuno."

"Ma… ma io…"

"Non una parola, ho detto!" - gli occhi le si erano infiammati di bagliori di ametista - "oppure mi riterrò offesa. E sarai nei miei diritti esigere che il mio onore venga giustamente vendicato."

 

Eppure quella vendetta tanto ingiustamente invocata in vita, non era mai seguita al correre dei giorni.

E dio solo sapeva, quanto atroce fosse stato il piano perseguito da Spike per rendere l'altezzosa Cecily l'ombra di se stessa.

Spike l'aveva punita, fino a renderla paradossalmente una vittima. Proprio lei, la sua carnefice, la sua aguzzina. Ridotta in uno stato tale da richiedere l'intervento di un demone della vendetta, disposto ad esaudire il desiderio di rivalsa.

Perché, allora più che mai, non aveva scelto la vendetta?

 

"Allora abbiamo qualcosa in comune." - si limitò a commentare, tornando ad appoggiarsi allo schienale. Mentre Anya, imbronciata faceva altrettanto, rannicchiandosi contro la sua spalla.

"Non mi sono mai più vergognata tanto da allora." - mormorò, cercando di non incontrare lo sguardo del vampiro. Non riusciva ad ammettere con se stessa quello che aveva intravisto in fondo a quelle iridi chiare.

"Non hai motivo di vergognarti…" - disse, poco convinto. Poco convinto come uno che ormai da due secoli provava imbarazzo ogni volta che si trattava di nominare la sua vita mortale.

"Io sono sbagliata, Spike. Xander non mi ha voluto…" - tacque. Avrebbe voluto recriminare sul fatto che nemmeno spike la voleva… ma non era poi un particolare rilevante, alla fine dei conti.

Non se pensava a Xander.

Xander che la guardava e le diceva che non voleva sposarla.

Xander che credeva più ad uno sconosciuto che a lei, che al suo cuore.

Xander che si dichiarava dispiaciuto.

Xander che quando sorrideva le scaldava stranamente il centro del petto.

Il sospiro che le uscì dalle labbra fu talmente forte e sentito che Spike si girò a fissarla.

"Sei sicura che il verme si meriti tutti questi sospiri?"

"Non chiamarlo verme…" - aveva risposto senza pensare. Aveva appena difeso l'uomo che l'aveva vigliaccamente illusa e poi lasciata.

"Come no. Tra un attimo mi dirai anche che è stata mia l'idea di cuocerlo a fuoco lento…" - Spike scosse la testa, divertito - "Anya, dimmi una cosa. Perché sei tornata demone? Non potevi dire alla tua Halfrek di crocifiggerlo e levarti il pensiero?"

Anya scosse la testa, tirandosi a sedere.

Non era una cosa così semplice.

Non riusciva più a vedere il mondo in bianco e nero. Per quanto si sforzasse, il suo desiderio di vendetta si scontrava con una forza opposta… come se il suo animo si lacerasse ininterrottamente, cercando di correre in due direzioni differenti.

Lo guardò, disperata. Un groppo le ostruiva la gola, impedendole di articolare una spiegazione, una risposta lecita.

Ma Spike avrebbe capito, si ripetè. Non era venuta a Los Angeles, non fosse stata certa di questo…

 

"Oh, Anyanka…." - Halfrek la avvolse in un turbinio alla magnolia e seta viola -"Eccoti qui… sapessi quanto ti ho cercata."

Stava seduta per terra, al centro dell'appartamento di Xander. L'aveva atteso a lungo. Ma lui non era più tornato. Era uscito dalla chiesa e se ne era andato.

Ed Anya aveva atteso a lungo, tormentando le balze del vestito fino a strapparle.

Piangendo.

Annientata.

Rivivendo nella mente la scena, ininterrottamente. Senza riuscire mai, con la sola forza del pensiero, a cambiare gli eventi.

Si aggrappò all'amica, singhiozzando.

"Oh, Anyanka… avrei tanto voluto essermi sbagliata." - gemette, torcendosi le mani - "Ma era un uomo… e da lui non ci si poteva aspettare altro…"

E fu allora che se ne rese conto.

L'afferrò per le spalle, obbligandola ad alzare la testa. Per fissarla negli occhi, mutando volontariamente i lineamenti. Tornando al suo viso umano, a mostrare gli occhi chiari e gli zigomi larghi e regolari.

"Anya…" - sussurrò, chiamandola per la prima volta con nome umano - "Perché l'hai fatto? Perché … di nuovo un demone…"

le mancavano le parole. Ed Anya non la stava più ascoltando. Piangeva, rannicchiata sulle sue ginocchia, lasciando che i capelli scivolassero via dalla complicata acconciatura.

Halfrek le accarezzò la testa, ammutolita.

Se l'aveva cercata era stato per darle l'occasione di vendicarsi. Per sentirla esprimere la rabbia che solo l'amore può provocare… per sentire sulle mani il sangue di quello stupido ragazzino capace di giocare… ancora…

Ma Anya era divenuta troppo umana.

Troppo.

Più di quanto probabilmente fosse mai stata.

Anya era sconfitta. Come possono essere solo le persone che ancora accettano di riporre la loro fiducia dopo essere state orribilmente tradite.

Dagli altri.

Da loro stesse.

Anya, come lei, non aveva saputo vendicarsi.

Ed ora non avrebbe potuto più farlo. Era demone. E non poteva esaudire i suoi stessi desideri di rivalsa.

Un demone dal cuore spezzato…

Come potesse essere più semplice, alfine, rinunciare alla propria debolezza. Rinunciare all'amore, all'umanità, all'abbandono…perdere tutto questo, per affogare nel lato più oscuro della sua anima, rifiutando ciò che di positivo era in lei.

Ciò che la persona che amava non aveva visto.

Che non aveva compreso…che aveva saputo solo rifiutare, nella paura del confronto. Xander poteva provare a convincersi che era meglio per entrambi. Ma l'aveva fatto solo per se stesso.

E fu allora che, seguendo una lunga fila di pensieri sconnessi, si era finalmente resa conto di comprendere perfettamente Anya e Xander... perché, in un'altra vita… a modo suo… era stata entrambi…

 

Chiuse gli occhi e lo rivide. Rivide gli occhi di ghiaccio orribilmente annientati. Lo vide voltarsi e scappare. E ricordò come intuì, con un attimo di consapevolezza presto sepolto da mille sciocchezze rassicuranti, che non l'avrebbe più rivisto.

William, il poeta fallito. Ed i suoi occhi puri. Colpevole solo d'amore.

Lei l'aveva ucciso. Ed ancora non sapeva che non si sarebbe mai più perdonata quel delitto.

 

William… e l'illusione di saperlo salvo, quando conobbe Spike.

Un attimo, un singolo attimo di gioia, pagato a così caro prezzo.

Spike. Il demone che di lui aveva il volto. Ed i suoi occhi, come vetri incrinati.

 

Era stata lei a spezzare quel cristallo.

 

E fu lei a innamorarsene disperatamente.

 

Spike sciolse ogni suo nodo, finendo con irretirla e distruggerla. Renderla schiava, facendole rimpiangere William e quel modo discreto di sfiorarle la mano. Rendendola, ogni giorno, parte di un amore sbagliato eppure indispensabile.

Come il rimorso.

E per quel cristallo spezzato aveva punito se stessa.

Divenendo demone, come lui, rinunciando alla vendetta…

Lui…

 

"Anyanka…" - si chinò, per parlarle, così vicino all'orecchio da essere certa che le prestasse attenzione - "Parti. Va' via. Vai da… vai da William…"

Anya la guardava, senza capire.

"William. Spike." - le ripetè - "Vai da lui. Solo Spike può sapere cosa si prova. Solo lui può aiutarti."

Le asciugò le lacrime, frettolosamente. Con durezza.

"Sei un demone, ora. Sei forte, puoi sopravvivere anche a questo. Dovrai andare avanti. E William saprà indicarti una strada… che forse non sarà la migliore… ma sarà meglio di niente." - l'abbracciò, con un sospiro, sentendo i suoi sforzi per calmarsi - "Lui sa bene come un demone può arginare un dolore…"

 

Spike…

Anya aveva riflettuto su quel consiglio, mentre Halfrek, contrariamente alla sua natura demoniaca, la stringeva e la cullava. Pensò a Spike, al suo cinismo duro ed alla sua irriverenza. L'unico che avesse dubitato della sua scelta.

L'unico che aveva saputo, con un semplice abbraccio, infonderle un conforto senza pari. Un conforto fatto di durezza. Con il sapore del tempo e dell'oscuro, di quando il dolore si fonde con la rabbia.

 

Ed una lacrima le scivolò dallo zigomo. Rimase inginocchiata sul sedile, con le mani compostamente intrecciate e posate sulle ginocchia. I capelli le ricadevano sulle spalle, addolcendo i lineamenti spigolosi.

Piangeva senza muoversi, come aveva fatto quel giorno, il giorno del funerale di Buffy. Quando Spike non aveva saputo resistere al desiderio di stringerla forte, di abbracciare lei e le parole che aveva sussurrato. Prima ancora che Xander muovesse un passo, ricordandosi di essere un uomo. E che un altro stringeva e capiva la sua Anya meglio di lui.

 

Già allora, Anya, mi hai guardato con questi occhi… perché, perché, dannazione!

Perché anche tu credi così in me e nelle mie forze. Cosa ti fa pensare che avrai la risposta che cerchi… anche tu, come Dawn…

Io non ho salvato Buffy. Ed ora non ho armi per salvare nessuno di voi.

 

Scosse la testa di nuovo, prima di guardarlo in viso.

"Non potevo… non avevo il coraggio di desiderarlo sul serio…"

"Ed allora hai scelto di rinunciare alla natura umana…" - concluse Spike, guardandola - "perché, prima o poi, qualcuno desiderasse al posto tuo."

E lei annuì, lottando con le lacrime e l'angoscia. E rifiutandosi di parlare.

 

Spike la fissava. E mai i suoi occhi erano stati così duri e profondi. Grigi, non più del colore terso del cielo. C'era un demone in quelle profondità, avvolto su spire, stretto intorno ad un'anima martoriata. C'erano due solitudini in lui, quella dell'uomo e quella del demone. Incapaci di fondersi.

Come in lei. Troppo forti i due mondi, uno contro l'altro, in uno stesso cuore, in uno stesso corpo.

Lo guardò disperata e Spike si protese ad accarezzarle una guancia.

"Senti un po', piccolo demone." - disse, raccogliendo una lacrima con il pollice e sorridendole complice - "Se ti fa piacere, ti vendicherò. Ma da gentiluomo, accendendo questa macchina e andando a Sunnydale a gonfiare di botte quello stupido che si è perso l'occasione della sua vita. Oppure…"

lo guardava speranzosa, accennando un sorriso involontario.

"Oppure ti lascerò piangere, ti terrò stretta e ti consolerò fino a quando non avrai più lacrime." - aggiunse tristemente, cingendole il collo e trascinandola sul suo petto - "Piangi, piccola."

Piccola…

Sei un demone, Anya.

E purtroppo non sarai l'ultimo a versare lacrime per un cuore spezzato.

 

 

IV

"Sai…" - mormorò Anya, finendo di soffiarsi il naso - "La tua idea di venire qui non è stata poi così cattiva…"

Si sentiva decisamente svuotata. Parole e pianti l'avevano pulita e spossata allo stesso tempo.

Ed aveva irrorato le sue cronache con alcool abbondante, bruciandosi la gola.

Spike aveva fatto altrettanto, aggiungendo un po' degli incubi di Anya ai suoi, respirando un po' di rimpianto. Pensando con tristezza al vestito da sposa che si era strappata di dosso… quel vestito che Dawn aveva descritto come buffo e che gli era sembrato un po' l'emblema di quella grande vitalità che contraddistingueva Anya.

Anya, che gioiva per poco e che dichiarava il guadagno un risultato del vero patriottismo.

Che sapeva sorridere di nulla… e che ora soffriva per ciò che non poteva accettare. Da demone. E da umano.

 

Era ironico.

E sorprendente.

Ancora una volta la natura umana, insita in loro, lo stupiva e lo tormentava.

Perché Spike si era sempre definito una persona fantasiosa…

Ma mai avrebbe pensato di ritrovarsi sdraiato sul cofano della Desoto a bere tequila con un demone della vendetta, mancata sposa novella.

 

Con una bottiglia priva di risposte.

Ed una manciata di ricordi scomodi.

 

non urlava più.

I suoi occhi erano grandi e sbarrati.

La sua bocca tondeggiava per un urlo non espresso.

Un urlo muto sostituito dal lino strappato, dalla sua lunga camicia da notte.

Paura, fino a quando Spike non alzò la testa, sfoggiando un sorriso.

Complice e sottile.

E orrendamente falso.

La bocca di Cecily si inarcò in un sorriso spontaneo, mentre lo afferrava per la nuca e si spingeva contro di lui.

Con il corpo.

Ma soprattutto con lo spirito.

Lui la guardò, con un lampo di sardonico trionfo negli occhi.

"Adesso? Adesso non hai più preoccupazioni per il tuo onore?"

"Amore… William." - ansimò, aggrappandosi alla sue spalle, rendendosi conto di essere nuda - "Tra noi c'è solo amore…"

 

Amore… quale grandissimo inganno poteva essere.

Quale eterna illusione per un vampiro a caccia e per una donna ormai perduta.

Spike chiuse gli occhi, cercando di scacciare dalla mente il volto di Cecily. Senza riuscirci. Cecily lo trapassava con quegli occhi, con l'insistenza di una risposta. Appellandosi a lui come mai aveva fatto in vita.

 

Perché?

Che motivo c'era di immaginarla così proprio ora?

 

"Sul serio picchieresti Xander per me?"

"Molto volentieri. Lo picchierei per l'idiozia che, come al solito, riesce a manifestare." - ammise, incrociando le braccia dietro la testa e guardando la notte sopra le loro teste. Quasi fosse stufo di rimirare tutte quelle luci isteriche che coloravano il profilo cittadino. I pensieri gli si accalcavano nella mente, sovrapponendosi, passato e presente, e scavalcandosi.

"Sul serio Cecily parla ancora di me?" - domandò sovrappensiero. Dopotutto, era stata lei a consigliare ad Anya di andare da lui. Dopotutto era lei che adesso gli riempiva la mente, come allora.

Cecily… il fantasma del passato che, tutto sommato, lo conosceva veramente troppo. "Adesso un po' meno. Ti importa ancora di lei?"

"Non come mi importava allora. Eravamo ragazzi. Ora lei è un demone. Ed io un vampiro. William e Cecily sono svaniti da tempo. Trovo solo ironico che di quella vita che mi sembrava perfetta, rimanga solo lei. E che il resto sia polvere."

Che strano, rendersi conto solo ora… Cecily e William, uccisi dal dolore. E dalle ceneri dei loro cuori, Halfrek e Spike.

"Anche lei dice qualcosa del genere…" - la tequila iniziava decisamente a farle girare la testa - "E dice anche che l'amavi tanto…"

"e su questo ha perfettamente ragione. L'amavo decisamente troppo." - rise di quel ricordo - "Ed abbiamo avuto un paio di notti decisamente interessanti… io, lei e Dru…"

"Perché non l'hai uccisa?"

Bella domanda.

Forse perché, se si concentrava, poteva ancora vederla con gli occhi di allora. Ricordarla con il vestito dal collo alto in pizzo che faceva risaltare i lunghi capelli scuri e ricci. E gli occhi splendenti e alteri.

 

E soprattutto ricordava il buco che gli aveva fatto nel cuore.

Fino all'ultimo, quando l'aveva vista implorare per non essere lasciata. Per divenire una creatura della notte. Per ottenere un'eternità insieme. La stessa che da William aveva rifiutato, in un angolo poco illuminato del grande salotto di casa.

"Cecily non è mai stata stupida." - mormorò, come se questo spiegasse tutto - "Ma era sensibile solo verso se stessa e la sua sensibilità. Volevo che provasse sulla sua pelle le conseguenze delle sue scelte."

 

E non ho avuto bisogno di ucciderla, quando l'ho vista ammutolire nel disprezzo per se stessa. Mi sono semplicemente incamminato e l'ho abbandonata.

 

Traditrice degli altri… tradita da se stessa.

 

"William.. tu non puoi…" - singhiozzò Cecily, rannicchiandosi maggiormente nell'angolo. I capelli le ricadevano disordinatamente sulle spalle, incoronandola e facendola sembrava una belva terrorizzata.

"Ti sbagli. Io posso. Io non sono William. Io sono Spike." - si era accoccolato sui talloni, per parlarle. Eppure incombeva e gettava su di lei un'ombra buia - "Ed a Spike tutto è concesso."

"Tu… tu mi ami… non puoi vivere senza di me…"

"Fai confusione." - l'ammonì, accompagnando la critica ad uno schiaffo che la fece sbattere contro la parete - "per William eri il sole…William ti amava… non poteva vivere senza di te…ed infatti… è morto…."

L'aveva sibilato, venendole vicino, perché vedesse chiaramente le zanne ed il sangue. Mutando i lineamenti per la prima volta.

"Adesso, dall'ombra, la luce mi abbaglia…" - mormorò, in un ringhio - "E tu non sei che una stella spenta…"

 

Ed anche se era stata una vittoria, e ne aveva gioito fino all'esasperazione, Cecily era rimasta una goccia troppo amara, impossibile da dimenticare.

"Lei aveva respinto me ed io respinsi lei con la stessa dinamica." - concluse. E si voltò, per vederla, mentre si infilava in macchina dal finestrino per armeggiare con la radio - "Mi stai ascoltando?"

"Certo." - ribattè lei, camminando intorno alla macchina, traballante sui sandali - "Mi stavi dicendo che sei stato respinto, e poi sei stato un bastardo per il suo bene. Tutti uguali voi uomini…"

"Ehi, non farmi righe con i tacchi sul paraurti!" - esclamò lui, scattando a sedere per tendere una mano e aiutarla a salire sul cofano - "E poi, mi dici da che parte stai?"

Poteva essere vagamente ubriaca, ma la sua occhiata fu comunque eloquente e priva di equivoci.

"Giusto…" - annuì lui - "Domanda superflua."

 

"Se Xander ci vedesse…" - ridacchiò, a quel pensiero. Domandandosi perché quella risata suonasse così dura e disperata, in una notte tanto stellata e limpida.

Ed a fianco, con gli occhi alzati verso lo stesso cielo, un vampiro biondo assorto in chissà quale pensiero.

"Se Xander ci vedesse…" - commentò - "Io rischierei un paletto… e non sono sicuro che me lo piazzerebbe nel cuore…"

Anya rise istericamente, appoggiandosi alla sua spalla, mentre le lacrime tornavano a scendere. Sdraiata sul cofano di una vecchia macchina, posando le gambe nude sulla lamiera tiepida e cingendosi il corpo con le braccia, non poteva fare a meno di pensare a quanto la vita le avesse offerto. Ma che mai, istante dopo istante, da demone o da umana, ci fosse stata un momento tanto buio e denso.

E Spike la fissò sorpreso. Era così bella e così fragile… eppure avrebbe potuto ucciderlo. Era un demone, e lui non riusciva a scindere ciò che vedeva da ciò che sentiva.

Anya emanava un potere forgiato dal tempo e dal dolore.

Anya era un demone per un amore tradito, al pari di lui…

 

"Senti un po', ma non è che, per caso, sei un demone che non regge l'alcool?" - azzardò, cercando di zittire quelle considerazioni.

"Non lo so." - rise lei - "Non ricordavo di averne bevuto."

"Oh cielo." - sospirò il vampiro, mentre Anya gli posava il mento sullo stomaco e gli abbracciava la vita.

"Senti Spikey… perche scei così gentile con me?"

"Io sciono gentile con un sacco di gente." - ribattè lui, sorridendo suo malgrado innanzi gli occhi troppo brillanti e le guance troppo rosse - "Sei una brava ragazza, Anya. Ed io, in altri tempi ti sarei saltato volentieri addosso e reso molto felice. Solo che adesso…"

Anya alzò la testa, per fissarlo, sbuffando, per levarsi un ricciolo dagli occhi.

E Spike la contemplò, domandandosi dove l' avrebbero portato quello sguardo e quelle lacrime. Rendendosi conto troppo tardi di quella frase che non aveva formulato.

"Solo che adesso…" - l'incoraggiò, ridacchiando e solleticandolo con i capelli, sulle braccia nude. E strofinando il viso sul suo petto. Sui suoi muscoli…

"Nulla… non così importante…"

"Meglio… sono stanca delle persone che vogliono dirmi cose importanti. Risposte, risposte, risposte… ma chi le vuole, tutte quelle parole…"

L'aveva detto con un tono a metà strada tra il petulante e l'esasperato. E Spike si ritrovò a riderne. E ad essere d'accordo.

 

Le risposte… quale più grande beffa. Erano realmente prive di importanza, rispetto alle domande. Eppure, vivere senza risposte... o vivere avendone troppe…

 

Rimase assorto, fuggendo dietro quei ragionamenti. E scoprendo di aver chiuso gli occhi solo quando le labbra di Anya si posarono sulle sue.

Lontano, da qualche parte, stava suonando una musica lenta. Gli sembrava di sentirla, fin dentro allo stomaco. Rimase fermo, assaporando quel contatto, ricambiandolo pigramente, senza osare guardarla.

Deridendo se stesso nel correre con il pensiero ad una altra ragazza che mai aveva posto dolcezza nello sfiorarlo…

 

Buffy… alla fine se ne era andata, a modo suo, con un messaggio di speranza. Tutti sembravano coglierlo, tranne lui.

A lui restava solo la sensazione sgradevole della non vita di lei.

Di buffy che trovava più facile non tollerarlo, ma era capace di mostrarsi in lacrime senza vergogna. Di buffy che pendeva dalle sue labbra, per sentirsi parlare di altre ragazze come lei e negava l'importanza di quella conversazione con il disprezzo.

Quanto tempo era passato… domande, risposte, la sfida e la danza.

Solo forza. Mai nessuna dolcezza. Mai.

Per sé stessa. Per Dawn. E perché mai avrebbe dovuto averne per Spike.

E in quell'unico loro bacio rubato, in un attimo di follia, restava solo il ricordo della violenza. Della falsità, della finzione.

E del muto rancore con cui si erano separati.

Rancore per loro stessi e null'altro che sapore di solitudine sulle labbra.

 

Solitudine. Anche Anya sapeva di solitudine e di rabbia. Eppure aveva labbra calde e morbide. Una via per una nuova consapevolezza…

Un sapore dolce, come il rimpianto e la nobiltà.

Si scostò appena, scivolando con le dita su quelle braccia calde. Accarezzandole la pelle, leggermente.

"Tu vuoi essere amata. Ed io questo non posso farlo." - disse, con un lampo serio negli occhi grigi - "Posso baciarti e strapparti i vestiti di dosso, ma non sarò mai abbastanza. Non sarò mai Xander che, per quanto deprecabile, è l'uomo che ami. È questo che vuoi? Un'illusione d'amore?"

"Non so. Non so cosa voglio." - ammise, in un sussurro - "Da quando Xander è andato via, non ho più desiderato nulla. Non posso desiderare… un demone non può desiderare nulla. La vendetta non è un desiderio, è solo un istinto. Potessi desiderare, vorrei solo tornare indietro e morire..."

"Anya…"

"Morire… anche quel giorno volevo morire… quel giorno. Non so che giorno fosse, il tempo dalle mie parti era il sole che calava e le foglie che ingiallivano. Faceva freddo ed io volevo cadere nel fiume. Ero al fiume per quel motivo, andavo a morire e uno strano essere mi ha fermata…"

Parlava come in trance. Lo sguardo ancora fisso, le mani ancora sul petto di Spike, ma nella mente le sensazioni di un vita ormai irrilevante.

"E' strano. Non ci avevo mai pensato… volevo morire… e se lo avessi fatto…"

"Ehi. Guardami" - Spike le afferrò il mento, per bloccarle lo sguardo con lo sguardo - "Non voglio nemmeno sentirti dire queste cavolate. Non servono a nulla. Non sei morta. E adesso non vuoi farlo. Hai paura ad essere viva, eppure vuoi esserlo. C'è forza, in te…"

"No…" - sussurrò lei, scotendo la testa. Le labbra di Spike, fredde eppure accessibili le avevano provocato un brivido. Un gusto proibito che non era fatto di sentimenti umani. E mentre Spike seguitava a parlare, questo dubbio si faceva strada prepotentemente.

Era l'inizio della perdita del controllo. Ed era il ritorno della parte demoniaca di se stessa. Essere demone ed ancora non volerlo essere, quale orribile scissione…

 

Per le prima volta da molto tempo sapeva cosa desiderare.

Voleva sentirsi senza freni.

Voleva sentirsi solo un corpo di pura fisicità. Non voleva più pensieri, voleva solo perdersi definitivamente. Voleva che il suo demone si sopisse in uno stremato silenzio. Voleva e, paradossalmente, voleva dare tutto questo a Spike.

Era strano… solo ora si rendeva conto che il freddo non proveniva dal suo corpo, ma dal suo spirito. Spike era fatto di ghiaccio, come i suoi occhi.

E la sua voce vibrava di un'irritazione e di un dolore così simili ai suoi…

 

"Cosa è più forte in te, Anya? La donna che soffre, o il demone che urla di rabbia?" - chiese ancora, mentre gli occhi assumevano una maggiore sfumatura metallica, fredda - "Cosa senti di più? Il cuore batte o si lacera?"

 

Parlava ad Anya oppure a se stesso?

Voleva risposte? Oppure domande?

 

In lui c'era tempesta.

Sentiva il tumulto crescere, facendo pulsare ancora più veloce il sangue. Sentiva risvegliarsi ogni istinto. Si protese, fulmineo, premendole una mano sulla nuca. Per spingerla verso la sua bocca. Per baciarla ancora, con una violenza maggiore, lasciando che le mani di lei si insinuassero, rabbiosamente, graffiandolo e stringendolo, perché non le sfuggisse.

 

C'era in lei quella tensione che solo Dru sapeva comunicargli, la resistenza che pochi oppongono al tempo e alle stelle.

 

Abbandonò la testa indietro, rendendosi conto solo in quell'attimo, di stringerla tra le braccia. E di sentire il suo capo sul petto. Ed il suo respiro scivolargli sul collo.

Chiuse gli occhi, come colto da vertigine.

"Io non posso essere la risposta ad entrambe le cose. Io sono ciò che il tuo demone desidera, un complice, un alleato. Non un consolatore. Forse non ho la forza per affrontare il dolore… forse non ricordo veramente cosa significa essere umani…"

 

Anya, come Dru, si ribellava a se stessa, alle risposte che non aveva voluto, alle soluzioni che la vita le aveva concesso.

 

Anya si ribellava e si lacerava rifiutando di essere un demone. Era impregnata, impregnata dell'amore umano, quello disfattista, quello che quando cessa porta via con sè il mondo intero. Anya sapeva delle scelte sbagliate che talvolta si fanno per un buon motivo.

E mentre la stringeva tra le braccia e litigava con i bottoni della camicetta che a stento riusciva a mettere a fuoco, non poteva non pensare alla parte di sé rimasta intrappolata nel primo amore. In quello più vero.

Nell'amore morto senza essere rivelato, dentro il rancore di un demone.

 

"Prendimi con te…." - rantolò Cecily, girando la testa quel tanto che bastava da bagnarsi le guance con il sangue che ancora perdeva dalla gola e dal seno - "Anch'io nella notte… la luce…"

"Sbagliato… qui cessa la tua luce… " - sussurrò, sdraiandosi a fianco e abbracciandola - "Ora sei rifulgente… godrai in eterno dello splendore che hai creato…"

si alzò, chinando lo sguardo.

"Guardami… sono io la luce che hai acceso. Guardami… perché è l'ultima volta…"

si voltò ancora, solo un istante, prima di scavalcare il davanzale.

"E sii felice… ti auguro una vita lunga e prosperosa…"

Cecily sapeva… si sorprese a pensare. Sapeva cosa poteva essere il dolore in un demone.

 

Lei era bruciata nel fuoco della sua rabbia, senza vederne la fine. E ne era uscita indenne e disperata, con troppe risposte che non voleva. Si era condannata in eterno alla consapevolezza del proprio abbandono e, con essa, dei propri sbagli.

 

Cecily aveva compreso molto più di quanto Spike credesse. Ed ora gli offriva Anya su un piatto d'argento.

Solo fuggevolmente, e con vergogna, Spike vide in Anya la vendetta di Cecily. Ma sapeva di sbagliarsi.

Ed era pronto a calare la scure. A colpirla e ucciderla del tutto.

Perché da quel fuoco inestinguibile risorgesse… e tornasse a vivere.

 

Spike doveva ucciderla. Liberare il suo demone, il demone di entrambi.

E attendeva solo un pretesto. Un misero pretesto per farlo.

 

Tutto era una farsa.

Tutto era caos. Le sue mani, sul corpo di anya, le mani di Anya sul suo. Solo passione e furia.

L'ordine delle cose era cessato, affogato in un turbine di urla e luce.

Morte, amore, demoni, anime e Cacciatrici. Così vicini a comprendere e così lontani a capire… Gli occhi di Anya brillavano. E piangevano, riempiendolo di una ferrea determinazione. Irrigidendolo, privandola di quel conforto che le stava dando.

Un conforto effimero, per entrambi.

"Non chiedermi amore che non puoi darmi, Anya. Non darmi amore che dovrei rifiutare." - sussurrò, domandandosi come potessero essere giunti a quel punto, correndo incontrollabili attraverso mille conversazioni - "Sento il tuo demone e questo mi eccita. Non ho mai smesso di sentirlo in te, nemmeno quando l'umanità sembrava la tua unica natura. Il tuo profumo, il tuo sguardo."

Anche Anya si stava allontanando. Per quanto i loro corpi fossero ancora come fusi nel loro palpitare, la sua mente sembrava ritrarsi, innanzi a quel vampiro.

Uno sconosciuto.

Null'altro che uno sconosciuto che ora la teneva ferma, facendole male.

E paura.

"Credevi sul serio che bastasse tornare demone? Credevi sul serio che bastasse mutare la propria natura per soffocare il proprio cuore? guardami, Anya, guarda il demone che è in me…."

Anya abbassava lo sguardo, cercando di liberarsi i polsi. Non voleva. Non voleva usare i suoi poteri.

"Anya, dannazione,guardami! Credi che non sappia come puoi leggere le mie negatività? Le mie paure? Credi che in un paio di secoli non abbia fatto in tempo a scoprire le doti di un demone della vendetta? Ti basta una singola occhiata per sapere di cosa ti sto parlando…"

 

Chiuse gli occhi, un attimo, nel momento stesso in cui si erano infiammati.

 

E rivide Xander, Xander che la guardava e la nutriva con una singola occhiata d'amore. Xander, ed il suo sapore.

 

"Non posso, mi dispiace." - si scusò, scendendo dalla macchina e avanzando, fino ad un passo dal dirupo.

Stupendosi di come quella presa ferrea si fosse sciolta come neve al sole, innanzi al suo rifiuto.

Abbracciandosi, come se solo ora si rendesse conto del freddo che le penetrava le ossa.

Rabbrividendo.

Senza riuscire a fermare le lacrime che ancora le scivolavano lungo le guance.

Le luci… sarebbe bastato un singolo desiderio di un cuore spezzato, per spegnerle.

Ma non il suo, non il suo cuore spezzato. Al suo era negato questo lusso. Poteva solo strapparselo dal petto. O lasciare che la avvelenasse.

 

Spike era alle sue spalle, in piedi. Immobile, come un predatore, sapendo di non poter essere nient'altro. Era rimasto appoggiato alla macchina, la camicia aperta ed i capelli scompigliati. Fermo, a constatare come la partita apparentemente vinta fosse ancora tutta da giocare.

 

Anya era tornata demone, ma il suo cuore era ancora umano.

 

"Vuoi piangere Anya? Vuoi piangere per aver perso Xander? Accomodati, scommetto che troverai una fila di amiche fuori dalla porta." - le disse, sapendo di essere violento, guardando le sue spalle incurvarsi sotto il peso di quelle parole - "Solo che, in questo caso, hai percorso centinaia di chilometri per nulla. Io non sono un'amica da piagnistei. Sono un demone, dannazione, rimango un demone anche se ho l'anima! E tu vuoi questo da me."

 

Pronunciava quelle bastardate con un'irritante sicurezza. Non era l'uomo che l'aveva stretta e confortata sulla tomba di Buffy.

Non era un uomo. Ma un demone.

Un demone che con quel tono freddo e cinico la tormentava.

 

"Cosa ti importa di quello che voglio! Non ti importa di me come non ti è mai importato di Halfrek!" - singhiozzò, voltandosi e colpendolo. Colpendolo come una donna, si sorprese a pensare, sentendo il viso bruciargli.

"Tu sei Spike, il grande Spike! Sei tutto di un pezzo ed il sangue ti ribolle solo per le Cacciatrici. Non puoi darmi amore e non puoi darmi un bel niente! Non vuoi vendetta e non vuoi sesso. Vuoi il mio sangue? Fai pure, anche se mi sembra una scelta idiota. Sei un demone, non sai cosa sia la solitudine, la pietà, la disperazione… cosa hai per capirmi?"

L'aveva colpito, ma Spike non si era mosso di un dito.

Aveva aspettato che finisse di sfogarsi, mordendosi le labbra, per non rispondere a quelle provocazioni, a quelle ingiurie.

E fu quando giunse quella domanda, le bloccò i polsi. Piantando le unghie, facendola sussultare per il dolore, intorpidendola con una scossa.

E la guardò.

Perforandola.

"Il cuore." - rispose, semplicemente - "E tu?"

 

"Era questo che Cecily voleva che scoprissi. non occorre un'anima per amare. E non c'è bisogno di essere umani per soffrire." - l'aveva afferrata per le braccia. E la scuoteva, con furia mal repressa, lasciando che le frasi gli sfuggissero dalla mente prima ancora di essere realmente formulate. Parlando di cose che avrebbe voluto tacere - " Il cuore, Anya, semplicemente il cuore. Cecily sa cosa significa avere il cuore spezzato. Sa che perdere o essere perduti è la semplice stessa cosa. Per questo sei qui, Anya! Perché anche un carnefice può soffrire…"

 

Era vero.

Anya lo fissò, perdendo ogni parola ed ogni pensiero.

Ora lo vedeva chiaramente.

C'era solo Spike, e la sua disperazione. La disperazione che era stata di William prima di lui, il dolore che gli aveva provocato Dru e la ferita ancora aperta di Buffy. E quant'altro, nel lacerarsi del suo demone per far spazio ad un'anima non più incatenata. Spike sapeva bene di cosa stava parlando.

E, come lei, ne aveva paura.

 

Divenne fragile tra le sue mani, rinunciando ad ogni energia e a se stessa, mentre la presa di Spike si faceva debole.

Perché trovasse la forza.

Si scostò, allontanandosi di qualche passo. Come un gatto che perde di interesse per il gioco faticosamente conquistato. Girandole le spalle. Attendendo.

"Spike…" - Anya abbassò lo sguardo, senza osare voltarsi. Protendendo appena la mano, dietro la schiena. Chiudendo gli occhi, perché l'istinto la guidasse alla sua mano.

Sorridendo della vittoria dei suoi sensi, quando finalmente ne incontrò le dita.

Respirando di quel contatto, come una donna. Respirando a fondo, mentre Spike si avvicinava e le accarezzava le spalle, invitante.

Rabbrividendo, per la sua voce profonda e le parole dannate che formulava.

"Non sei Buffy. sei bionda, certo, ma non sei lei.

E non sei Dru, o Faith.

Ma un demone, un mio simile… ancora una volta una persona con la mente piena di un altro, tra le mia braccia…"

Avrebbe voluto avere una battuta sarcastica. Ma non c'era. Non poteva ridere di qualcosa che era già grottesco.

Si girò, per guardarlo. E per sedersi sul cofano. Scivolando sulla lamiera, fino ad essere sdraiata. Aspettando che Spike la sovrastasse, schiacciandola con il suo peso, armeggiando con i vestiti di entrambi.

Guardandolo. Senza mai chiudere gli occhi innanzi a lui.

Per non scordare. Per non immaginare. Per non ferirlo con un torto umano come la fantasia. Per non sporcarlo, con qualcosa di sudicio come talvolta può essere solo la necessità.

Fissando talvolta le stelle, e ascoltando la verità che sussurravano. E infine, abbandonandosi a quel fuoco che sembrava divorarli. Ricambiando la sua forza con la forza.

 

C'è qualcosa di sbagliato nel lasciare. E nell'essere lasciati.

Qualcosa di crudele.

E freddo.

Qualcosa che rimane dentro, aspettando di risorgere, pugnalando e avvelenando ancora.

Anya era stata lasciata da Xander. E Spike aveva lasciato Cecily.

La verità semplice e paradossale, stava nel capovolgersi dei fatti.

Non era Spike che aiutava Anya. Ma William.

E la rabbia da cui era nato Spike.

 

Si lasciò travolgere, perdendosi nella sincerità dei loro gesti, in quel essenziale cercarsi, agitato e pulito. Inarcandosi, sotto le sue mani, rispondendo con la stessa furia, disposta a tutto, pur di non vederlo svanire.

Senza amore.

E senza soddisfazione.

Annullandosi, nel conforto del nulla e nel dolore di entrambi che diveniva uno. Afferrandolo, graffiandogli la pelle perché non le sfuggisse.

Fissandolo negli occhi e domandandosi come anche l'azzurro più puro potesse incendiarsi in quel modo.

 

Forse esisteva un mondo in cui Spike era il principe che uccideva il drago e salvava la principessa. Una principessa dai capelli biondi ed il cuore triste.

Forse esisteva un mondo in cui un bacio bastava a risvegliare una fanciulla dal suo torpore.

Ma in un mondo come il loro, tutto era solo una zona d'ombra.

Una zona d'ombra, fatta di caos e incomprensibili verità, dove talvolta i demoni si incontravano.

E dai loro corpi morti e dai loro dolori sopiti sapevano ancora far scaturire magia.

 

Aspettarono di giungere ad un passo dalla fine, per chiudere gli occhi, in un tacito accordo. Esorcizzando le proprie paure.

E fingendo, in un' eterno istante, di essere qualcun altro.

Qualcuno di umano. E semplicemente amato.

 

 

V

Era tutto finito. Ogni passione si era spenta.

Ed entrambi sapevano di essersi persi e ritrovati.

Spike la stringeva ancora tra le braccia, sdraiato su un fianco. La lamiera su cui riposavano sembrava incandescente sotto i loro corpi. E la musica lontana, aveva mutato il ritmo, divenendo potente e ricca di bassi.

Sbagliata, per il loro stato d'animo.

Sbagliata, per la loro spossatezza.

Era finito tutto. L'attimo era sfumato divenendo consapevolezza.

Alla fine era stato tutto e nulla.

"Spike…" - mormorò, pensierosa - "Tu credi che sia stato solo sesso e che gli stiamo dando troppa importanza?"

Si voltò, sorpresa, Spike ridacchiava, mordicchiandole una spalla.

"Di un po', Anyanka, un attacco di moralità?"

"No, non è quello. Cioè, fosse solo sesso non ci sarebbe niente di male… ma se c'è qualcosa di più… insomma… cosa c'è di più? Bhe? Di' qualcosa…" - insistette la ragazza.

"Anya, ti stai complicando la vita…" - replicò, divertito da quell'agitarsi - "Comunque, se vuoi una risposta seria… no, non è stato solo sesso. No, non è amore. Vuoi una sigaretta?"

L'aveva detto con un'espressione seria.

E la vide, con soddisfazione, passare dalle considerazioni confuse alle risate.

Sporgendosi per baciare quel sorriso che sentiva tutto suo.

 

Era bello.

Qualunque cosa fosse stata, era già indimenticabile.

Rimasero così, pigramente abbracciati, con gli occhi persi nei baci che si scambiavano e nelle sciocchezze che si dicevano.

Ridendo, chini uno verso l'altro.

 

I capelli di Anya era morbidi e piacevoli, con un buon profumo. E Spike, senza remore, ci strofinava il viso. Fino a trovarsi nuovamente ad incontrare lo sguardo di Anya. Scoprendolo diverso.

E perdendosi un po', per la prima volta dopo molto tempo.

 

Aveva occhi bellissimi. Li aveva sempre avuti. Eppure Anya sapeva che ben pochi se ne erano accorti. Cosa c'era in quegli occhi, per irretirli in quel modo, per tormentarli, per irritarli… mistero. Un mistero di cui già da tempo si chiacchierava.

E per quanto fossero luminosi, sul fondo, sul fondo di quella luce sardonica, c'era il buio.

Spike era il buio. E molto ancora, si annidava in quelle profondità.

 

Ed era il momento.

Anya non poteva più nascondere a se stessa la verità di quel loro incontrarsi.

Era venuta per se stessa e per una paradossale coincidenza, quale la fine del suo amore eterno come ogni cosa umana.

Paradossale.

Come rendersi conto del perché Halfrek l'avesse mandata da Spike.

Del motivo che anche Spike ancora non conosceva e che ora avrebbe dovuto svelargli.

 

"Il mio sguardo come il tuo." - sussurrò, stringendosi di più a lui, rabbrividendo per le parole che voleva sussurrare - "Amore. Eri fatto di amore come me. E sei rinato demone per un tradimento umano. Solo tu avresti potuto capirmi."

Si alzò, per sovrastarlo. Per poi sedersi a cavalcioni sul suo petto, lasciando che le accarezzasse le gambe ed insinuasse le mani.

Piangeva, nell'usare le sue percezioni ed i suoi poteri, per la prima volta dopo lungo tempo. Dopo aver pensato di averne rinunciato per sempre.

Piangeva.

Ma i suoi occhi erano pura fiamma. E dello stesso bagliore, d'un tratto, si illuminò il ciondolo che portava al collo.

"Anche tu vuoi le mie braccia ed il mio corpo. Ed anche tu, come me, vorresti che io fossi un'altra. Anch'io sento il tuo demone, Spike, il tuo demone che si dibatte. Come sento il mio." - respirò a fondo, cercando di trattenere la rabbia verso se stessa. E verso le cose incomprensibili - "Il tuo dolore è forte, così tanto da non poterlo ammettere nemmeno con te stesso, non è vero?"

Tacque. Non c'era nulla che potesse aggiungere, o togliere, alle parole di Anya. I suoi capelli si animavano di vita propria, ondeggiandole intorno al capo. E sopra di essi, dello stesso colore, le stelle.

"Ti odi… non puoi fare a meno di pensare che sia colpa tua… la sua morte… non è così, Spike? Non hai temuto che l'anima ti fuggisse via dal petto, innanzi a quel disastro?" - sussurrò, chinandosi verso di lui, con occhi ambrati e lacrime trasparenti, svelando una comprensione delle cose di cui non si poteva scorgere la fine - "Non potevi respingermi perché anche il tuo demone gridava vendetta, quando stasera sono giunta a cercarti. Il profumo inebriante della tua rabbia… stavi perdendo il controllo… ed io con te… e ora dimmi... vuoi vendetta per te stesso, Spike?"

Era muto. E costernato.

Non poteva fare a meno di pensare che Anya fosse stata veramente creata per sorprenderlo. La sua domanda non era casuale, ma parte di un rituale ben preciso.

Non era Anya, a domandarlo. Ma Anyanka, il demone della vendetta.

E Spike era la sua missione. Era Spike il primo cuore spezzato a cui lei offriva i suoi servigi.

"Ero troppo presa dal mio dolore, per rendermene conto." - spiegò lei, tranquilla, seguendo senza fatica i suoi ragionamenti confusi - "Probabilmente sto rubando il lavoro a un collega, ma visto che sono qui…"

Lo vide sorridere, ironico come sempre. Tornare ad essere lo Spike di sempre, quello che dissimulava la sorpresa nell'ironia. E faceva finta di non rendersi conto.

E non si stupì, quando lo vide scuotere la testa. Prima di protendersi un po', per cancellarle le lacrime dalle guance.

"No, grazie. È meglio non giocare con i propri desideri. E soprattutto, con le proprie utopie…"

 

"Non possiamo restare così, in eterno, vero?" - domandò. Era tornata a rifugiarsi sotto il suo braccio.

"Me lo stavo chiedendo anch'io… ma non penso che tu voglia veramente la risposta. Secondo me rientra in quelle che non vorremmo sentire…" - sorrise lui. Provava lo stesso dispiacere a dover abbandonare quel demone caldo e solido.

Il legame che c'era tra loro non era amore. Non c'era neanche da sognare un lieto fine, se non per riderne.

Lo sapevano entrambi.

Eppure rifuggivano l'attimo in cui si sarebbero alzati. E separati.

"Stiamo rimandando gli addii o sbaglio?" - chiese Spike, puntellandosi su un gomito. "Si vede così tanto?" - replicò, con un mezzo sorriso. Non c'era motivo per incupirsi, per rovinare ciò che, dopotutto, tra alti e bassi, era stato perfetto - "Ti dirò, mi dispiace un po' non averti conosciuto quando eri solo demone."

"Perché?" - domandò, inarcando pericolosamente un sopracciglio - "Mi trovi inibito?"

"No." - rise lei - "Ma un po' meno di moralità da parte di entrambi…"

"Ohhh." - annuì lui, divertito, guardandola leccarsi maliziosamente le labbra - "E dimmi, Anyanka carissima, hai qualcosa in mente?"

Qualcosa di abbastanza particolare da decidere di sussurrarglielo in un orecchio. Facendolo sobbalzare.

"Forse hai ragione…" - commentò, alzando gli occhi brillanti per l'ilarità. Senza smettere di ridere e stringerla - "Dovevamo conoscerci prima…"

 

Dovevamo conoscerci prima…

Forse, dopotutto, non sarebbe cambiato nulla.

C'è un fiume di vita che ci separa. E molte cose che ci uniscono.

Vite che si incrociano, Spike. Non fatte per divenire una sola.

 

Si alzò, a malincuore. A modo suo, sapeva di avergli detto addio.

Si abbottonò lentamente la camicetta. Spalle contro spalle, anche Spike si stava rivestendo.

Era strano, sorrise, chiudendo gli occhi un istante. Era strano sentire il proprio profumo su di lui…

 

"Sai, Anya…" - commentò il vampiro, finendo di aggiustarsi - "Pensavo che sarei stato io ad andare via per primo… dopotutto…"

"Dopotutto sei cattivo e insensibile…" - terminò Anya, ravviandosi i capelli - "Lo so, lo so. Lo sanno tutti, direi. Solo che, se non mi alzavo, non ti avrei più lasciato…"

Rimase ferma, a riflettere sulla frase che aveva appena detto. E non si stupì, quando le dita di Spike si intrecciarono con le sue.

 

Rimasero così, senza guardarsi. Senza voltarsi, dandosi le spalle, come se non avessero nulla da spartire. Eppure con le mani intrecciate. Mani che si erano trovate senza bisogno di cercarsi.

"E' triste…" - mormorò Anya, guardando fisso di fronte a lei. Si vedeva riflessa nel parabrezza. E vedeva la sua mano, stringere il vuoto. E Spike non c'era…

Spike non c'era…

"Cosa, Anya… cosa è triste…"

"La vita… credo." - abbassò gli occhi, con un sorriso. Era una risposta scontata e troppo generica, forse. Ma non aveva realmente importanza - "No, dai, scherzo. È triste lasciarsi così… dopotutto, non è solo sesso. L'hai detto tu…"

"Anya… ti prego… non piangere." - sorrise, scotendo la testa. E asciugandosi gli occhi.

"Io? Perché io non posso e tu sì?" - ribattè, cercando di trattenersi. Non aveva bisogno di voltarsi, per sapere che alle sue spalle c'era un demone che fingeva di essere un duro. Era un demone anche lei… ed aveva molti modi per scoprirlo… ma, in questo caso, le bastava solo il cuore - "Ma noi dobbiamo lasciarci, non c'è motivo per essere tristi, non c'è motivo per piangere…"

Spike annuì, stringendo i denti. Non c' era motivo per piangere. Era una sciocchezza. Non aveva pianto per Buffy… ed ora non avrebbe pianto per se stesso.

"Grazie, Spike…"

"E di cosa? Di una notte di follie amorose? Figurati, sono la mia specialità…"

"Già… grazie per l'amore e per tutto il resto. Mi hai dato più di quello che credi…"

Le era mancata la voce. E con essa il coraggio di andare avanti.

"Dove andrai, adesso?"

"E dove vuoi che vada… torno a Sunnydale. Quando sei un demone non hai uno stipendio fisso. Ho il Magic Shop, da mandare avanti…" - rispose, imponendosi di essere felice. Sentendosi serena, per la prima volta.

A Sunnydale. Sul luogo del delitto.

Come se non le importasse nulla. Come un vero demone.

Ma non aveva nulla a che fare con la propria natura. Solo con il semplice accettarsi. Il demone era parte di se stessa. E non serviva a rendere le cose più facili…

"Non lascerai che ti faccia ancora del male, vero?" - chiese Spike, essenziale, abbassando il tono di voce.

"Non avere paura per me… posso sempre decidere di scotennarlo…"

"Ma non lo volevi bollire?"

"Già" - rise lei, guardando ancora le stelle. Scherzando con la loro tristezza- "Me ne ero dimenticata…"

"Allora… ci vediamo a Sunnydale…"

"Certo." - annuì, senza ricordare che non poteva vederla - "Adesso… vado…"

Le loro mani si strinsero, forti, fino a farsi male.

Ma quando si separarono, non c'era più paura in loro.

 

Anya fece due passi. Poi si fermò. Cosa avrebbe visto, voltandosi? Le sue spalle? i suoi occhi?

 

No.

Non aveva importanza.

Sorrise ed alzò la testa, con un lampo d'orgoglio.

Non erano destinate a lei le lacrime di Spike.

E, dopo un attimo, Spike seppe di essere rimasto solo.

 

 

VI

Guidò lento, per le strade troppo affollate. Le luci lo accecavano. Anya aveva detto che era esistito un tempo senza di esse, un tempo senza strade e senza luci. Ed era difficile crederle, ora.

Sembrava passata un'eternità, da quando era uscito, spingendola davanti a sé e domandandosi cosa avrebbe detto al suo ritorno, a tutti quei pettegoli con cui viveva. Probabilmente nulla. Non aveva nulla da giustificare.

E se lo stava ancora ripetendo, quando varcò la porta dell'Hyperion.

Silenzioso e deserto.

C'era solo una persona ad aspettarlo.

Ringraziando il cielo, la più discreta.

Tanto discreta da non dare nemmeno importanza al fatto che fosse tornato.

Angel stava a gambe incrociate, al centro dell'ingresso. E tutto attorno, sparsi, i pezzi della moto di Spike.

 

La moto… me ne ero dimenticato. Spike alzò lo sguardo, verso il ballatoio. Chissà se Faith dormiva. O se era ancora arrabbiata... bhe, in quel caso, avrebbe dovuto svegliarla… e dirle qualcosa di profondo e memorabile.

E soprattutto scusarsi. Magari non proprio con quei termini. Ne avrebbe goduto troppo…

 

Si sfilò la giacca, posandola sulla sedia. Ed arrivò alle spalle di Angel, senza una parola e senza illudersi di coglierlo di sorpresa.

"Il carburatore, vero?" - chiese, sporgendosi, per cercare di identificare il pezzo che stava meticolosamente pulendo - "Lo sospettavo…"

"Ciao William." - replicò Angel, finendo il suo lavoro, mentre Spike gli girava intorno, mani in tasca.

"Andiamo, chiedimelo." - sospirò, da martire, appoggiandosi alla moto.

"Chiederti cosa?"

"Flagello… il tuo naso funziona benissimo. Ho avuto una serata molto piacevole.

Molto, molto, molto piacevole." - sottolineò.

"E vuoi raccontarmela per filo e per segno?" - lo provocò blandamente l'altro. Era impegnato ad abbinare il pezzo che aveva in mano, meticolosamente lustrato, ad un altro.

"Faccio io, è meglio." - commentò Spike. Prendendo al volo l'occasione per sedersi, spalle alla moto. E per portargli via di mano il tutto.

Angel lo lasciò fare. Non valeva la pena discutere. Non ne aveva voglia. Era la prima volta, da mesi, che lui e Spike avevano una conversazione in grado di attecchire e superare i due minuti.

Si incrociavano, uno in entrata e l'altro in uscita.

E non gli sembrava una constatazione infondata, ritenere che Spike stesse nascondendo qualcosa a tutti loro.

Un malessere interiore, tanto piccolo da essere trascurabile.

E non aveva bisogno di fare grandi calcoli per accorgersi che non avevano più parlato dal funerale di Buffy.

"Come stai, William?" - azzardò. E ricevendosi l'inevitabile occhiata.

"Benissimo. A parte la tua cacciatrice che fa il funambolo e l'ex di Harris che viene dalla campagna per saltarmi addosso. Passami il cacciavite."

"Ex?" - commentò, passandogli l'attrezzo - "Questa è una novità interessante. Mi auguro sia stato mollato."

"Angel!" - alzò la testa, per guardarlo. Stupendosi di quanto gli fosse mancato il chiamarlo per nome - "Tu mi stupisci! Ma non eri superiore ai pettegolezzi? Non eri tutto casa e redenzione?"

"Quando si tratta di Harris, amo sprecare una buona parola." - replicò, magnanimo - "Non è cattivo, ma sa essere di una idiozia irritante."

"Comunque, spiacente di deluderti. L'ha mollata. Riconfermandosi re degli idioti anche nel mondo del paranormale. Credo che dovrà vedersela con una buona dose di amici e parenti di Anyanka…"

"Anyanka…" - ripetè, soprappensiero.

"Già. È tornata demone." - disse Spike. Prima che Angel gli ponesse la domanda. Adesso, a partita conclusa, quello che aveva fatto gli dava un certo malessere. Sulla piazza c'era nuovamente un demone della vendetta, pericoloso per natura. Ed una ragazza radiosa in meno - "Demone per una delusione amorosa… conosci una motivazione più stupida?"

Angel lo guardò, mentre armeggiava per rimontare il carburatore.

"C'è di peggio." - mormorò, lentamente - "Ad esempio ubriacarsi fino a non distinguere più il giusto dallo sbagliato."

Spike si fermò. Prima di girarsi lentamente a guardarlo.

"Vogliamo piangerci addosso insieme?" - chiese.

"Potremmo anche." - Angel inclinò un po' la testa, con un sorriso - "Sempre che tu non voglia raccontarmi cosa stai combinando con Anya… perché non hai la faccia dell'innamorato."

E nemmeno l'odore, se è per questo.

"Infatti tra me e Anya non c'è nulla. Solo che siamo abbastanza schietti da saltare a piè pari il rapporto platonico ed andare dritti al sodo." - non sapeva nemmeno perché lo stesse raccontando. E nemmeno perché lo stesse demolendo a parole, in quel modo. paura? Rimpianto? - "Per cui siamo andati dritti al punto ed abbiamo esorcizzato un po' di dolori."

Anche un po' dei tuoi? Avrebbe voluto chiederlo… ma sapeva che non avrebbe avuto risposta.

"Ci siamo amenamente saltati addosso, strappati i vestiti e rallegrati un po'…

E tu non immagini, con quella bocca…" - si interruppe, cambiando l'espressione da goduto a disgustato. Angel lo guardava, decisamente in imbarazzo.

"Già, dimenticavo. Sei troppo educato per apprezzare." - si interruppe, fingendo di pensarci su. Prima di riprendere, con espressione serissima - "Potrei parlare un attimo con Angelus, per piacere? Avrei una cosa carina da raccontargli…"

 

"Cosa ne sai, tra parentesi, della mia faccia da innamorato?" - l'accusò, ad un tratto. Non accennava a voler interrompere il lavoro. Per tanto Angel aveva deciso di fermarsi, per continuare a passargli pezzi. E consigli.

"Avvita prima quella in alto." - l'ammonì, giocherellando con una tenaglia - "Si da' il caso che tu fossi lo spasimante di Dru che, casualmente, era di famiglia…"

"Già, Dru. In effetti l'ho veramente amata. E per molto tempo, ho anche pensato che sarebbe stata l'unico l'amore della mia vita."

"Ma così non è stato…"

"Già. Così non è stato. L'amore eterno è un pensiero a cui mi affeziono facilmente." - ripetè, concentrandosi su una vote particolarmente dura - "prima di lei c'era Cecily e dopo di lei per un po' c'è stata Buffy. E Anya… potrei innamorarmi di Anya."

Potrei, non amassi già…

"Potrei. Ma non lo farò. La vita è troppo complicata già da sola. E quando si aggiunge l'amore…"

"Per me, l'amore e la vita sono quasi la stessa cosa…"

"Perché sei un romantico, Angel. Passami quel pezzo."

"Può darsi…" - rispose vago.

"Sentiamo un po'." - Spike posò il cacciavite, nascondendo l'irritazione di non riuscire a collocare i pezzi nel giusto posto - "Confessami qualcosa che non so. C'era una ragazza, prima di Darla?"

"Prima di Darla?" - Angel si passò una mano tra i capelli, pensieroso - "Ce ne erano molte… ma nessuna veramente importante. Erano avventure, scommesse… nient'altro. E tu?"

"Lo sai. C'era Cecily." - rispose con serietà Spike.

"Già. L'avevo scordato." - tacque. Decisamente cecily doveva essere un capitolo da considerarsi morto e sepolto. E non sapeva quanto si stesse sbagliando

"Stasera ho scoperto una cosa interessante, Angel." - aggiunse Spike, smentendo i suoi ragionamenti - "Ho amato Cecily anche come vampiro, non solo come uomo. Era veramente bella come la immaginavo. Solo che non lo sapeva nemmeno lei."

"E posso chiederti come sei giunto a questa conclusione?"

"Ho fatto quello che fai tu. Mi sono soffermato a riflettere. Ed Anya, in questo, mi ha decisamente aiutato. Meglio tardi che mai, non credi?"

"Perfettamente d'accordo." - commentò, protendendosi con fare incurante. E collocando un paio di pezzi in sede - "Avvita qui, per favore."

"Se sapevi dove andavano già dall'inizio, perché non me l'hai detto?" - l'accusò Spike, dimenticando il discorso e le confidenze.

"Perché non volevo disturbarti. Del resto, inizio ad avere sonno…"

 

L'alba era come un soffio di vento troppo caldo.

Per quanto fosse lontano dalla luce, per quanto mancasse ancora tempo, prima del sorger del sole, Spike poteva già sentirla arrivare.

Angel, contrariamente alle sue dichiarazioni di stanchezza, si era ancora fermato a parlare. Una conversazione fatta di frasi brevi e battute, apparentemente in normalità.

Una conversazioni in cui le cose più importanti erano quelle che non si erano detti.

E che tra loro si erano librate, restando in sospeso, galleggiando tra mille altre.

 

Adesso, però, Spike era solo, sotto il portico. Stava seduto, con le gambe allungate, su una vecchia sdraio. L'aria della notte ancora aleggiava, con il suo profumo. Presto sarebbe tornato il caldo,sostituendo quel tepore stellato.

Era comodo e piacevolmente rilassato. Per quanto sapesse che lo attendeva un'ultima prova, prima di poter dichiarare conclusa la notte, permaneva in lui il pigro abbandono che aveva condiviso con Anya. Il semplice affidarsi al tumulto degli eventi, il perdersi, fino a sentirsi stremati.

L'amore senza amore…

L'antico incontrarsi di due corpi eternamente giovani. E l'interrompersi di un'eterna solitudine.

Mai avrebbe pensato che potesse accadere una cosa del genere. Anya era tornata ad essere un demone. Il suo grande e scontato amore con Xander Harris era finito.

E buffy era morta già da tempo. Non avrebbe fatto battute sulla questione, non avrebbe detto frasi che riteneva profonde e non si sarebbe abbandonata a commenti scontati su Spike e sul suo approfittare di una fanciulla in difficoltà.

Buffy non c'era più.

Era un pensiero strano, una semplice constatazione. E talvolta, a questa indiscutibile consapevolezza, seguiva il desiderare che non fosse mai esistita.

Un'utopia così pericolosa da non osare nemmeno pronunciarla.

 

Pensieri. E stupidi ragionamenti.

In attesa di vederla arrivare.

Sapendo che sarebbe venuta.

Sapendo che doveva essere vicina.

E vedendola finalmente varcare il cancello. E camminare lenta per il vialetto.

Si mosse, felpato, come un predatore, posando i piedi a terra e misurando quale distanza lo separasse da quella creatura in movimento.

Accettando di fare la prima mossa.

"Ti stavo aspettando… Cecily."

 

 

VII

La vide fermarsi, con aria vagamente colpevole. Era vestita con un moderno tailleur pantalone, scuro. E sul collo, in bella vista, brillava il ciondolo di ametista viola in cui risiedevano i suoi poteri. Fu rapido. Tanto da sorprenderla.

In una attimo le fu vicino, con la mano serrata attorno al ciondolo.

La vide sbarrare gli occhi dello stesso colore ed attendere, senza una parola.

Augurandosi di apparire furibondo.

"Allora, mia amata, cosa ne pensi? Stringo e sbriciolo questo gingillo? Non ti va di sperimentare un'altra vita umana? Magari ti farà passare la voglia di manipolare il tuo prossimo…"

Cecily lo guardava. E sapeva di meritarsi quel rancore. Aveva spinto Anya nelle braccia di Spike, convinta di prendere due piccioni con una fava, senza curarsi delle conseguenze che avrebbe potuto provocare.

Qualcuno doveva risvegliare Anyanka dal torpore in cui era scivolata. E Spike, il prossimo nella lista dei suoi clienti, aveva abbastanza rabbia da riuscirci.

E non era abbastanza stupido da non sapere le regole del gioco.

"Sono venuta a chiederti scusa, William." - sillabò, guardandolo in viso.

Restando ferma, con le mani in tasca, maschilmente - "Mi dispiace, ma non avevo altra soluzione…"

"Oh, certo che l'avevi. Potevi arrangiarti e lasciarmi fuori." - ringhiò, ancora.

"Non sarei mai stata così brava." - commentò, senza smettere di fissarlo.

Guardandolo perdere di colpo di interesse ed abbandonare la presa.

"Mi hai chiesto scusa. Puoi andare." - la congedò, accendendosi una sigaretta.

Ma Cecily non si mosse.

Restò ferma dov'era, a fissare la schiena dura e sottile.

"Stasera avrei dato qualunque cosa per essere Anya. Volevo dirti anche questo."

Lo vide irrigidirsi e voltarsi, con una lentezza impressionante. E si sentì trapassare da occhi come fessure, letali come pugnali.

"Avrei dato di tutto, per essere lei." - ripetè, per cercare la forza di proseguire - "E ci sono momenti in cui desidero tornare indietro, ed essere diversa e riavere te. Ma so che sarebbe sbagliato. Perché ora so che avevi ragione, William.

Con i miei sbagli ho veramente creato una luce nel buio."

Tacque. Sapeva di avere ancora molto da dire. E sapeva quanti fossero i pensieri sciocchi pronti a scivolarle dalle labbra.

Restò immobile, a sostenere il suo sguardo. A domandarsi cosa passasse per la testa di Spike. Leggendo in lui il rancore e la paura. Scorgendo nuovamente quel senso di vuoto che a stento sopportava, riguardo alla bionda cacciatrice, morta poco prima del suo arrivo a Sunnydale.

E, soprattutto, intravedendo un amore a cui non era pronto.

No.

Non c'era posto per lei in quel suo cuore tanto sofferente…

 

Quando la vide chinare lo sguardo, con una tacita rinuncia al proprio orgoglio, Spike si sorprese a seguire il proprio istinto.

Camminando, fino ad arrivarle così vicino da sfiorarsi. Porgendole una mano, educatamente.

"Vieni dentro. Non divento cenere per te…"

 

Era strano. Era l'impossibile che si realizzava.

C'era Cecily con lui. Impegnata a sorseggiare un caffè, reggendo la tazza con entrambe le mani. E gli occhi che mai smettevano di seguirlo, mentre si affaccendava in giro per la cucina.

Metodico.

"Ti spiacerebbe piantarla di fissarmi il fondoschiena?" - commentò.

"E' decisamente migliorato, nei decenni…" - commentò, ammirata. Azzardando un sarcasmo che Spike riconobbe subito.

"Gelosa, immagino…" - ribattè. Voltandosi e posando lo strofinaccio sul lavandino. E allungandosi, al suono del timer, a recuperare nel microonde la sua cena.

"Oh, no!" - Cecily era saltata in piedi, come una molla, inorridita - "Mi trovi ingrassata? Ti sembro ingrassata?"

Girava su se stessa, controllando di non aver violato le norme del pesoforma. E dando occasione a Spike di ammirare le curve procaci che gli abiti moderni rendevano evidenti.

Aveva intrecciato i riccioli, disciplinandoli in una chignon moderno quanto antico.

"Porti ancora gelsomini tra i capelli?" - domandò, meditabondo, senza soffermarsi su quello che aveva detto. Rimanendo impalato, in piedi, con un boccale tiepido tra le dita.

Aspettando che si fermasse, per guardarlo, con un sorriso triste e ironico.

"E tu? Porti ancora quei buffi occhiali rotondi?"

 

Si risedettero, studiandosi apertamente, sorseggiando con lentezza le loro bevande. Cecily aveva perso la grazia patinata dei suoi tempi quasi quanto lui. Rimanevano solo gli occhi brillanti di cui si era innamorato.

La squadrò, aspettando di vedere quanto potesse irritarsi…

Aspettando di vedere un lampo nei suoi occhi. Un lampo che ben conosceva.

"William…" - mormorò, pacata, posando compitamente il suo caffè sul banco - "Non sai che non si fissano apertamente le ragazze? non è buona creanza…"

Le sorrise, sardonico, senza smettere di guardarla. Appoggiando il mento alla mano, per provocarla meglio.

"Sono bella come mi ricordavi?" - disse, stringendo le labbra, iniziando a sentirsi furibonda.

"Anche di più." - ammise, serafico. Contemplandola mentre giocherellava con un ricciolo e abbassava gli occhi, soddisfatta.

"oh… anche tu…"

"Non sei obbligata a ricambiare il complimento. L'ho detto perché mi andava. Non per lusingarti."

"Lo so. Tu non menti mai…" - replicò - "almeno, così mi han raccontato."

"Infatti è così. Non vale la pena mentire, se hai la verità in pugno. Un inutile spreco di fatiche e concentrazione." - si protese, cercando un posacenere - "Allora, Cecily, dove hai passato gli ultimi due secoli?"

"In giro. Qui un massacro, là un'esecuzione… ho avuto decisamente degli anni impegnati. E tu?"

"Pressappoco uguale. Poi sono approdato sulla Bocca dell'Inferno. E presso quel dannato catalizzatore può accadere di tutto. Non credi?" - gli piaceva quest'incuranza. Come poco prima con Anya, sembrava poter tenere lontano i loro fantasmi.

"Eccome. È la prima volta che combino un macello e mi tocca annullare una maledizione…." - commentò.

"Sul serio?" - Spike sbarrò gli occhi, accennando un sorriso - "Perdi colpi?"

"Già." - rise lei, nascondendo nelle mani le guance che arrossivano - "Ho fatto un pasticcio con una ragazzina. Lei ha espresso il desiderio di avere la casa sempre piena di gente. Ed io allora ho intrappolato tutti quelli che c'erano… me compresa!"

Era bellissima mentre rideva, sfiorandosi le guance e tamburellando sul tavolo. Gli occhi le brillavano, irrimediabilmente.

"E' stato un pasticcio, credimi…"

"Ci credo, ci credo…" - rise lui, scotendo la testa.

E ridendo un po' di se stesso e del timido desiderio di baciarla. Erano cresciuti. Ed ora, seduti a quel tavolo, sembravano più due vecchi compagni di scuola ritrovatisi per caso, due vecchi amici a cui il tempo aveva portato via i dissapori - "Me ne sono successe di più in quel buco di città che nei trent'anni passati in Asia… tre Cacciatrici, due Apocalissi, un Chip…"

Le raccontò un po' di tutto. E Cecily, pendendo dalle sue labbra, ricambiò con la stessa moneta.

Erano divertenti, i suoi aneddoti, trucidi, come quelli di Anya, e raccontati con lo stesso entusiasmo.

Non c'era da stupirsi, che fossero diventate amiche. A modo loro conservavano una passione per la vita e il divertimento unici nel loro genere.

A Spike piaceva restare in silenzio e guardarla. Come quando era giovane e con più sogni, impegnato ad ammirare quella sconfinata gioia di vivere della ragazza di buona famiglia dagli occhi viola.

 

L'aveva attratto come solo il proprio opposto può riuscire.

 

"William, toglimi una curiosità." - mormorò Cecily, spegnendo l'ennesimo mozzicone nel posacenere ormai colmo. Era tremendamente sensuale, con quella sigaretta stretta tra i polpastrelli. Con la stessa grazia con cui, una volta, sapeva giocherellare con il carnet dei balli.

"Spara." - ribattè lui, ravviandosi i capelli.

"Perché eri così innamorato di me? Cosa avevo di così speciale per farti girare la testa in quel modo…"

Era una domanda importante. E, per una frazione di secondo, fu tentato di non risponderle. La Cecily che aveva di fronte era fondamentalmente diversa da quella del passato. Eppure, nella mente di Spike, la sua immagine continuava a sovrapporsi a quella della ragazza che era stata. Senza adombrarsi con il ricordo del fagotto urlante che aveva abbandonato al suo destino.

Come sarebbe suonata la risposta giusta?

"Non penso ci fosse una motivazione particolare. Eri bella, ed avevi un sacco di spasimanti…" - replicò, come se questo potesse spiegare tutto.

"Certo, a centinaia." - commentò, cercando di non ricordare come tutti quei visi sorridenti fossero ormai polvere - "Ma tu eri fondamentalmente diverso. Da loro e da me. E non credo che per te fosse solo una questione di bellezza e patrimonio di famiglia."

 

Probabilmente era per questo che mi piacevi. Eri l'opposto di me. Volevo essere felice come te.

Perché diavolo dovrei ammettere certe cose! Perché diamine dovrei dire delle cazzate del genere! Infelice... non ero infelice, ero semplicemente troppo stupido. Troppo stupido per l'alta società, troppo stupido per i miei tempi e troppo stupido per essere accettato.

Non volevo essere felice… mi sarebbe piaciuto essere almeno normale.

 

"Non invidiare la felicità degli sciocchi." - Cecily lo guardò, mentre tornava al silenzio ed ai suoi pensieri. Inclinò la testa, sussurrando dolcemente - "Non fare di nuovo lo sbaglio di idealizzarmi, William. Di idealizzare me e tutto quel mondo perduto. Sembrava così solido e profondo, così ottimista… ed io ero come lui. Non avevo paure perché non sapevo di doverne avere. Semplicemente, non me ne rendevo conto."

"Cecily…" - sospirò Spike, con aria martire - "Ti prego… non penserai sul serio di infinocchiarmi con questi paroloni. Io sono Spike, ed ho avuto anch'io due secoli per trarre le mie conclusioni. Perché mi piacessi? Assolutamente non lo so. Non lo sapevo allora e adesso ho smesso di pormi il problema."

"William… tu non vuoi sapere se ti ho mai amato?"

"Certo che mi hai amato." - commentò lui, con un lampo di rabbia gelida negli occhi - "Io sono l'amante che ti ha reso quello che sei, spezzandoti il cuore. Occhio per occhio, Cecily…"

E cuore per cuore…

 

"Ti sbagli." - sorrise lei - "Non sto parlando del vampiro che mi lacerava le vesti e mi violentava fino a farmi impazzire. Non sto parlando del mio carnefice. Ma del ragazzo che ho ucciso."

 

"Piantala Cecily. Stai dicendo un sacco di idiozie." - scattò, alzandosi e girandole le spalle. Coprendosi gli occhi con una mano, quando un raggio si sole sembrò colpirlo, filtrando dalle tende.

La luce…

Temeva la luce. Era così facile dimenticare di aver vissuto all'aperto, sotto il sole. Era facile limitare i propri ricordi a feste nel lume di candela.

Convincersi che mai fosse esistito un tempo fatto di luce reale.

"Cercavi la luce, William. Ed io te l'ho portata via per sempre. Io, non quell'anoressica isterica di Dru, lei, e tutte quelle sciocche verità sul destino che attende ognuno di noi.

Io.

Con il mio orgoglio, il mio egoismo e tutte quelle futilità del mio eterno presente. È vero, ora sei come una torcia che brilla nel buio. Ma a caro prezzo…

Vorrei avere una spiegazione all'altezza dei fatti. Ma non è così." - Cecily lo afferrò per un braccio e lo girò, colpendolo, con le sue iridi violacee e la sua essenza demoniaca - "E' stato infantilismo. Uno sbaglio, un grosso madornale sbaglio che ho compiuto.

Ho pagato, certo! Ma ciò non toglie che mai, in tutto questo tempo avrei pensato di potertelo dire.

Di poterti dire tutto questo."

Lo lasciò andare, rimanendo in piedi, di fronte a lui.

 

Era bella come allora, quando dalla sua bocca sgorgavano frasi dure e reali.

Eppure era fuggito il desiderio di abbassare gli occhi davanti alla sua bellezza altera. Spike poteva guardarla in viso e ricambiare l'ostilità. Come mai William aveva saputo fare.

 

"Ti attendevo ogni notte. Ti desideravo, anche se sapevo che non eri più William. Eri un buon modo per non sentire più la mia coscienza. Tutta quella gente che parlava di te… ogni frase di circostanza, ai ricevimenti, mi sembrava un'accusa. Io ero quella che ti aveva spinto a suicidarti. Io ero quella che ti aveva spinto tra le braccia del tuo omicida. Oh, sapessi, quante storie sono fiorite sulla tua morte. Adesso che sostavi così spesso nei nostri discorsi, ti sentivamo come uno di noi… Eravamo annoiati, non sapevamo cosa fare. Ma tu eri morto. Morto sul serio. Ed era una cosa a cui nessuno voleva pensare. Perché ci avrebbe resi mortali. E vulnerabili.

Eppure io non potevo far altro che ricordare come ti avevo ferito, con il mio imbarazzo. Dio! Avrei fatto di tutto perché non mi sfiorassi, con le tue poesie e le tue mani!

E poi è giunto Spike. Aveva i tuoi occhi, aveva il tuo sorriso. Ma non aveva più il tuo cuore. Non c'era più niente di puro da cui fuggire. Niente che mi facesse realmente paura. In te c'era il vuoto che era in me. Io ero come te, anche se ancora possedevo un'anima.

Ed ogni volta che venivi a me, il mondo in cui vivevo diveniva più vuoto. E non c'era nulla di valore in cui credere. Aspettavo solo te. Ogni notte.

Illudendomi che fossi William."

"Non mi amavi. Volevi solo che il rimorso finisse." - ringhiò Spike, mentre gli occhi si riempivano di lacrime incontrollabili.

Lacrime di esasperazione.

Anche lei, come Buffy, come Anya. Anche lei pronta a farsi amare per estinguere le proprie solitudini, i propri timori. Anche lei, una vittima per il mondo e che il mondo poneva sulla strada.

Perché si prendesse il conforto di cui sentiva necessità.

"Cosa vuoi da me, Cecily? Vuoi ancora un risarcimento, vuoi ancora un attimo di quiete? Cos'altro ancora." - la spinse contro il bancone, senza riuscire a controllarsi. Slacciandole la giacca, senza permetterle di divincolarsi - "Vuoi rimembrare i vecchi tempi? Accomodati! Sono passati secoli e cambiati i tempi. Eppure spogliare una donna e divertirsi è ancora una cosa da niente!"

Lacrime di rabbia, di un dolore fatto per tenere a bada un demone furibondo e urlante. Afferrarla per la gola, strapparle quel ciondolo… ucciderla…

Portare a termine la sua vendetta.

E vedere quegli occhio viola spegnersi per sempre.

Quegli occhi che ora, come i suoi, erano di un demone. Ed erano privi di una reale paura, per una malvagità che ben conoscevano.

E che non riusciva a mutare, dopotutto, gli umani che erano stati.

"oh, ti sbagli. Ti ho amato. Imparai ad amarti non appena ti persi. Rimpiansi la mia passione per il potere, il mio amore per il buon nome che mi avevano resa cieca. Ti amai perché ogni volta che mi stringevi, sapevo di non poterti più avere."

Spike scosse la testa, arretrando. E voltandosi. Sembrava che le gambe non potessero reggerlo. Chiuse gli occhi, picchiando un pugno sul ripiano di marmo. Sentendo le ossa frantumarsi e ricomporsi.

Dominando i lineamenti, fino a tornare al suo viso umano, riempiendosi la mente con Anya. Anya che credeva in lui e nelle sue capacità. Anya che lo guardava, sotto un tetto di stelle,

Sentendo il suo corpo tra le braccia e ritrovandosi a spalancare gli occhi.

Cecily. Tra le sue braccia. Cecily, con un sorriso piangente.

"Perché… perché mi stai facendo questo…" - sussurrò. Finalmente Cecily, finalmente Cecily contro il suo corpo.

"Ti amavo, William." - singhiozzò, alzando verso di lui quella bocca perfetta e quegli occhi luminosi - "Solo che l'ho imparato tardi."

 

Anche il cuore di un demone si può spezzare.

Gli era bastato il tempo di un respiro per sussurrare questa verità. Eppure solo adesso ricordava l'eterno buio che segue quel piccolo dolore.

E mentre tra le braccia stringeva Cecily, Spike non poteva che piangere per tutto quel passato perduto.

Quel passato fatto di chiacchiere e risposte certe, così simile al presente.

Fatto di regole che nessuno si prendeva la briga di violare e di piccole letali ipocrisie. I loro corpi singhiozzavano all'unisono, di quel semplice ritrovarsi nato da morte e vendetta.

Piangevano, per i fuochi ormai estinti e per quelli che ancora divampavano.

 

Una lunga notte. Una notte passata stringendo a sé donne che non sarebbero mai state della sua vita. Passate, fuggevolmente, scivolando via. Lasciando solo profumo e sguardi vitali. Un ricordo di corpi, suoi per un singolo istante, per un'illusoria eternità nell'universo.

Demoni e cacciatrici… tra le sue braccia tornavano ad essere semplici anime. In cerca di un'illusione in cui continuare a credere, per continuare a vivere.

 

"però… quante donne nella tua vita, William." - sospirò Cecily, senza muoversi da quel caldo abbraccio. Senza spostare di un millimetro il capo dal suo petto. Sentendo le sue labbra sulla tempia.

"Ci manca solo che da quella porta entri Dru…" - replicò, sostando ancora un po' con il viso in mezzo a quei riccioli strettamente intrecciati. Forse i gelsomini erano da tempo appassiti. Ma c'era ancora il loro profumo… - "Di questo passo, non mi basteranno le mani, per contare le donne veramente importanti della mia vita…"

"Un vero problema, oh dongiovanni…" - rise lei, alzando il capo e fissandolo - "Mi risulta che tu goda di una situazione paritaria. Demoni e Cacciatrici. Amore e morte nel miglior stile ottocentesco."

 

Io, Drusilla, Buffy e Anya… hai ragione, siamo già in quattro. Ma qualcosa mi dice che saremo presto in cinque. Cuori, quadri, fiori e picche.

E la prossima…Jolly o Asso pigliatutto?

 

"Cosa stai pensando?"- le chiese, sospettoso. L'espressione del demone era cambiato. Negli occhi viola brillava una lucina maliziosa.

"Niente. Mi è tornato alla mente un vecchio gioco." - sussurrò, scoprendo una fila di denti bianchi come perle.

Guardandolo, mentre accennava quel suo sorriso ironico e tiraschiaffi.

Quante cose sapeva di lui. E quanto poco lo conosceva.

Solo adesso, stretti come erano, si rendeva conto di come leggende e racconti sul suo conto fossero pallidi riflessi.

L'uccisore delle Cacciatrici, il vampiro di una stirpe gloriosa ed ora l'eroe a fianco di un paladino come ne esistono pochi e ne esisteranno mai, su questa terra.

Sovrannaturale e predestinazione, umanità e casualità.

"Ma guardaci…" - sospirò, cingendogli il collo con le braccia.

"Entropia, Cecily. Null'altro che entropia. Null'altro che il caos dominante." - ribattè, sfiorandole le labbra e dando forma ai suoi pensieri- "La forza incalcolabile che tutto domina. La forza per cui ci incontriamo e non ci incontriamo mai."

"Ed allora…" - replicò, scivolando dentro un bacio - "un brindisi all'entropia…"

 

"Rimarrei qui per sempre…" - lo sentì mormorare.

Era un'ammissione sincera. Ma le fece male.

Non sarebbe rimasto per lei.

Ma per non ricordare più.

Non si mosse. Sapeva che sarebbe finita così. Lo sapeva da quando l'aveva visto seduto sotto il portico, in attesa.

Spike non era più un semplice demone con umani contrasti. Ormai era una pedina sulla scacchiera del destino. E per quanto si ribellasse, per quanto ne soffrisse, avrebbe percorso la sua strada. Anche se adesso non sapeva di averne una da percorrere.

"Oh, William…" - mormorò ancora, più per se stessa.

"Non più spike?" - chiese ancora, con un mezzo sorriso.

"Mai." - asserì lei - "Mai, spike. Mai e mai più."

Lo vide aggrottare le sopracciglia, perplesso. Ma non aggiunse nulla. Il tempo aveva molte più risposte convincenti di quante lei ne sarebbe mai riuscita a formulare.

"Devo andare, adesso." - aggiunse, semplicemente, sciogliendo l'abbraccio.

 

Per la seconda volta, in una sola notte, le sue braccia erano nuovamente vuote. Per la seconda volta il calore lo abbandonava, per non tornare più.

"Sta diventando mia prerogativa essere lasciato." - commentò, seccato, ritrovando il suo spirito pungente. E perdendo nuovamente il motivo di tristezza.

Cecily si voltò a fissarlo, dopo essersi aggiustata la giacca nel riflesso della porta.

Era rimasto fermo, come se niente fosse, per guardarla ancora.

Per nascondersi di nuovo in se stesso. Meticolosamente chiuso a doppia mandata.

"William." - lo chiamò. Aspettando che lasciasse i suoi ragionamenti per ascoltarla - "c'è un altro motivo per cui sono venuta…"

"Lo so." - commentò lui - "Anyanka ha già cercato di rubarti il lavoro. Ma la risposta è uguale per entrambe. No. Niente vendetta."

Sfoggiava un sorriso sicuro. E Cecily non aveva motivo per imporsi. Anche se sapeva che stava sbagliando.

"stai rischiando." - commentò - "Con una rabbia come la tua non si va lontani…"

Rabbia… buffy era divenuta la sua rabbia. Saperla morta spegneva il suo cuore, lo avvelenava molto più di quanto si immaginasse.

"Esploderai, incontrollabilmente. E farai del male…" - aggiunse, non potendo ignorare quella consapevolezza che poteva raggiungere grazie ai suoi poteri. Sapendo che, se il vampiro avesse espresso il desiderio di non aver mai incontrato Buffy, sarebbe stato peggio per il mondo… ma meglio per le sue certezze.

"Non succederà." - replicò, sicuro, Spike.

E Cecily ritenne, davanti a quello sguardo duro e infiammato, che fosse meglio non replicare.

 

"Bhe? Non stavi andando?" - la provocò, con atteggiamento da spaccone.

"Non mi fermerai, vero?"

"Non si aggiustano i cristalli spezzati, Cecily. Siamo morti tutti e due. Ed una seconda occasione rovinerà anche quel poco di buono che c'è tra di noi e che finalmente si è deciso a venire fuori…" - commentò, sedendosi e incrociando le braccia.

Aveva ragione.

Per la prima volta, tra loro due, c'era stato qualcosa di buono.

Dopo essersi a lungo cercati e rifiutati, inseguiti e persi.

"Già." -sospirò. Avvicinandosi, ondeggiando appena sui tacchi vertiginosi. E chinandosi, per sfiorargli la tempia, con un bacio caldo e salato - "Addio William…."

 

Faceva troppo caldo per dormire. Soprattutto per Cordelia che divideva il letto con una stufa ambulante a cui bastava un sorriso per mandarla in fiamme.

Si era districata con lentezza dalle braccia di Doyle e si era alzata. E dopo centocinquanta spazzolate davanti allo specchio del bagno, lo smalto su tutte le unghie dei piedi e dieci magliette metodicamente piegate, il suo stomaco aveva avuto la meglio.

 

Le era bastato arrivare nell'ingresso per accorgersi che anche qualcun altro non riusciva a dormire. E tanto valeva scoprire chi fosse. Magari con una sbirciatina preliminare, prima di entrare con fare disinvolto.

Strano… le era sembrato che Spike fosse in compagnia di una sconosciuta. Una ragazza alta e bruna, dalla voce squillante, in piedi, al suo fianco.

Eppure, adesso, in cucina, incorniciato dalla porta, vedeva solo lui.

Lo vide sedersi, a braccia conserte e capo chino. Con lo sguardo perso nel riflesso sul bancone. Ed un espressione strana, in volto.

Si sarebbe detto che…

"Spike…" - avanzò cauta. Fermandosi, quando lo vide alzare di scatto la testa.

E capì di averlo colto di sorpresa.

"Disturbo?"

"Tutt'altro, Gattina." - ribattè lui, con un sorriso. Con occhi troppo luminosi - "Ho solo avuto una nottata lunga una vita…"

 

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Capitolo 14
*** 14. Senza un perchè ***


Senza un perchè

 

I personaggi delle serie "Angel" e "Buffy, the vampire slayer", appartengono a Joss Whedon, la WB, ME e la Fox, l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

*Ho cambiato in parte le vicissitudini di Faith dopo la sua ripresa dal coma. Per chi ne volesse sapere di Più: da Oltre il destino-cap.III Inoltre ho dato un seguito alla puntata "Foll for Love" (V stagione) per meglio spiegare i rapporti tra Spike e le Cacciatrici in L'uccisore

 

Ehi, briciola." - spike si allungò sul letto, passandosi un braccio dietro la testa.

L'estate era passata. almeno così dicevano. Da un paio di giorni su los angeles cadeva una lenta pioggerella che stendeva un certa uniformità grigia su ogni cosa.

Cordelia e doyle erano scappati in un posto non ben precisato. Una breve telefonata da una stazione di servizio e via! Una fuga romantica senza preoccupazioni, approfittando del ritorno di wes dall'inghilterra. Sarebbero dovuti tornare in serata o, al più tardi, domattina.

Un'estate in città, per Faith ed Angel. Con tanta voglia di fuggire.

Spike, invece, era stato dedito ad una vita da pendolare.

Da sunnydale a los angeles.

E ritorno.

Con dawn.

Senza dawn.

Avanti e indietro. e le poche volte in cui non era per strada e non era a sunnydale… stava al telefono.

"Qui tutto ok. Angel è particolarmente silenzioso. Già, più del solito." - spike giocherellava con la matita, tamburellando sul quaderno - "Abbiamo fatto a botte con un gruppetto, l'altra notte. Lo sai che uno di loro lo ha morso? Non vedevo una cosa tanto divertente da un sacco di tempo…"

dawn ridacchiava alle sue battute. Rispondeva per le rime.

Ma Spike non si lasciava imbrogliare.

C'era qualcosa in lei…

Dawn era cresciuta molto nel corso di quell'estate. La solitudine, la nuova vita sembravano aver influito, mettendola di fronte ad atteggiamenti adulti indispensabili alla sopravvivenza.

E poco a poco, quasi tutto questo potesse influire sul suo corpo, era fisicamente cresciuta, perdendo in parte quell'aspetto etereo che l'aveva sempre contraddistinta.

In fondo buffy era morta perché dawn potesse restare umana.

Perché dawn ai suoi occhi, era già umana. Ed ora lo era per tutti, così alta e magra.

Per una strano scherzo del destino, alla fine, era venuta fuori anche una certa somiglianza tra le sorelle.

Qualcosa, in alcune espressioni, nel guardarsi intorno.

Guardinga.

Senza essere diffidente.

Ed anche adesso, Spike poteva immaginarla. Seduta nell'ingresso. poteva capirlo dal suo strofinare le unghie lungo il ripiano del mobile, lo sentiva in sottofondo. C'era qualcuno con lei, qualcuno che camminava, con passo leggerissimo… forse tara…

Probabilmente aveva i jeans ed una maglietta rosa. Prediligeva i colori pastello e gli abiti in cotone e, in un desiderio di essere meno informe di quanto già non si sentisse, aveva scoperto i sandali con il tacco sottile. Sottolineando delle splendide caviglie e dando alla sua già allampanata figura un'andatura ancora più precaria.

Nel complesso, cresciuta troppo in fretta.

Ma ancora con quel sorriso adorabile su un musetto da bambina in cui gli occhi erano protagonisti incontrastati.

Si stava mordicchiando un labbro. Lo faceva tra una frase e l'altra. Non era sua abitudine quanto lo era stato per Buffy. anzi, dawn si tormentava il labbro inferiore soltanto quando provava imbarazzo innanzi a spike. le poche volte che le succedeva. Spike chiuse gli occhi, cercando di visualizzarla meglio. Sapeva benissimo che dawn stava cercando il coraggio per confessargli qualcosa. Ma non aveva fretta. Non le sarebbe successo nulla se si fosse concessa ancora qualche minuto….

"Spike, senti, c'è una cosa che devi sapere…" - finalmente si era decisa. Spike sedette sul letto, posando i piedi nudi sul tappeto, iniziando a cercare con lo sguardo gli stivali.

Gli sarebbero potuti servire…

"è successa una cosa…" - dawn accellerò il ritmo delle parole, uniformandolo al suo respiro - "Non una cosa grave, smetti di cercare le scarpe…"

ma come cavolo se ne era accorta?

"Ti ascolto, briciola." - spike cambiò addirittura orecchio e rimase fermo.

"è una cosa incredibile. Willow voleva chiamare angel, ma io penso che tu sappia come dirglielo…." - dawn alzò gli occhi, fissando l'alta figura in piedi innanzi a lei, i capelli raccolti, e gli occhi leggermente vitrei.

"Dawn… dirgli cosa…"

gli piaceva il suo studio.

Anche se il più delle volte era sinonimo di una porta chiusa a cui non arrivava mai.

Una catastrofe.

Un'emergenza.

Un'apocalisse.

Ed angel faceva dietro front e scendeva le scale.

Infilandosi la giacca.

Ma stasera no.

Una finestra spalancata, un davanzale bagnato di pioggia ed una comoda sedia in pelle.

Guardare fuori e perdersi ancora un po'.

Per ritrovarsi in un bussare discreto.

"Avanti." - sospirò. Limitandosi ad alzare gli occhi, quando la pallida mano di spike spuntò oltre il battente.

Seguita da tutto il resto di lui.

Per ultimo giunse il suo sguardo, tenuto basso fino a quell'istante.

"Angel. Io dovrei parlarti." - ostentava una sicurezza fin eccessiva.

E pilotava la sua attenzione sopra la testa di angel, per non guardarlo in viso.

"allora parlami." - replicò l'altro.

Spike non sapeva da dove iniziare. Si era addirittura dimenticato di posare il cellulare. Estraeva e rinfilava l'antenna meccanicamente.

Come sarebbe stato meglio? Alla lontana? Filosofico? Brutale?

Dove finivano le elucubrazioni sembrava iniziare il nulla.

"William…" - anche Angel iniziava a percepire un certo disagio - "Qualunque cosa sia… dilla e basta."

"Bel suggerimento." - replicò automaticamente Spike. prima di accorgersi di aver parlato.

Alzando lo sguardo sorpreso.

Fissandolo.

Una gamma pressochè infinita di emozioni gli stava passando in fondo allo sguardo. Angel lo fissò, ricambiando il silenzio con il silenzio.

"E' viva…Angel." - la bocca di Spike scandiva quelle poche parole - "e'… viva."

 

Viva. Di nuovo viva.

Dannazione, averlo saputo… pensò Spike. Pentendosene all'istante.

Pioveva.

Ma quel punto del terrazzo era riparato. Sul tetto dell'Hyperion, sul gradino, poco lontano dalla porta metallica accostata, stava spike.

In preda ad una sana rabbia che sapeva di gioia.

Era contento.

Era perplesso.

Era…

Era un vampiro con l'anima che pensa ad una cacciatrice tornata in vita.

Buffy era tornata.

Angel non aveva avuto bisogno di sentirla nominare. Si era appoggiato allo schienale, schiantato. Oppresso da quella notizia.

E poi dawn aveva avuto la faccia tosta di dire che era il più adatto a dirglielo.

In base a cosa?

In base a cosa, cazzo!

L'aveva detto. Poi aveva girato sui tacchi e se ne era andato. Come si poteva dire una cosa del genere?

Non poteva la rediviva presentarsi a los angeles con un bel sorrisetto?

Perché diamine doveva esserci un ambasciatore!

E non è buona creanza risorgere quando si è stati tanto pianti!

È una cosa che disorienta!

E…

"E stai parlando come un vittoriano del cavolo, caro il mio Spike!" - si disse, lanciando lontano il cellulare.

Dritto in una pozzanghera.

Brontolando si alzò per raccoglierlo. Lo pescò e lo scosse, tornando a sedersi con un tonfo.

Giusto in tempo per vedere Faith accostarsi la porta metallica alle spalle, uscendo sotto la pensilina. Si sedette, dandole la schiena. Sapendo benissimo che si sarebbe seduta a fianco, posando i gomiti sulle ginocchia, imitandolo.

"Lo sai già, vero?" - mormorò.

"Già." -annuì Faith - "Sono arrivati doyle e Cordy. Stanno parlando con Angel. Ha chiamato Giles, sta tornando dall'Inghilterra in fretta e furia…"

spike annuì innanzi a quelle informazioni, mantenendo lo sguardo fisso nelle gocce che si infrangevano sul cemento.

"da quanto sei qui?"

"Da quando l'ho saputo."

"Wes sta parlando con Willow. E con la ragazza bionda, tara. Di magia, credo." - tacque un istante, cercando disperatamente qualche altra informazione - "anzi, credo voglia andare fino a sunnydale, oppure sarà Giles a passare di qui…"

"Cosa ne pensi faith?" - gli sarebbe piaciuto avere una sigaretta.

"…"

"Sai benissimo che cosa ti ho chiesto. Cosa pensi faith. Cosa… provi."

Volse il capo verso di lei. Cosa gli passasse per la testa… spike aveva sofferto molto per la morte di Buffy. per certi aspetti, forse, più ancora di angel.

Qualcosa sembrava roderlo da dentro, travolgerlo irrimediabilmente. Una volta, ridendone, l'aveva definito un "dolore imbastardito". Non era niente di puro, niente. Era qualcosa che lo prendeva nel petto, lo attanagliava come sanno fare solo le cose che non si possono dire. Qualcosa che di colpo gli sfrecciava negli occhi.

Era così ormai da molto tempo.

Dapprincipio Faith aveva chiuso il cuore innanzi a quel tormento. I suoi contrasti con il Consiglio, le pressioni che erano state fatte su Wes l'avevano distratta, assorbita in un frenetico susseguirsi di esasperazioni.

E spike, così assente, così lontano, era divenuto una figura sullo sfondo.

Senza esserlo veramente.

Trovarselo di fronte, anche fuggevolmente, giorno dopo giorno le aveva permesso di crearsi un'opinione su quello che ancora non sapeva definire.

Perché nulla le avrebbe fatto cambiare idea.

In Spike c'era qualcosa.

 

Qualcosa che non gli permetteva di suonare la chitarra.

Dopo quell'alba ormai fuggita in cui li aveva portati tutti lontani dal baratro, non c'era più stata nota alcuna.

Aveva semplicemente smesso.

Come se fosse cosa da nulla. E lorne lo aveva capito prima di tutti loro, già mentre Spike scendeva le scale, lorne, che aveva scosso la testa con un sorriso triste e scanzonato allo stesso tempo. Spike si era voltato a fissarlo, come se avesse sentito quell'occhiata sfiorargli la nuca.

Ed aveva ricambiato, sfidato a dire qualcosa.

Ma lorne non aveva nulla da dire. Nulla che spike già non sapesse.

Poi era sparito.

Semplicemente.

I mesi si erano susseguiti, da uno a due e da due a tre.

Presto dawn avrebbe ricominciato la scuola. Anzi, avrebbe cominciato la scuola, il liceo.

E spike sarebbe rimasto a los angeles. Non aveva mai voluto andarsene realmente. E Dawn, per quanto la cosa potesse non piacergli, stava meglio dove stava, a casa con Tara, Willow e lo stupido Xander.

Non si era risparmiato un attimo. Restando sempre se stesso, patendo quella situazione.

Come se nessuno gli avesse mai detto che quando si è immortali, prima o poi si perdono le persone che si amano. forse prima non gli era mai importato abbastanza….

Come a Faith, del resto.

E quindi l'immortalità non centrava…

Il problema era l'essere umani…

D'istinto Faith si protese in avanti e gli accarezzò a guancia.

Lo sorprese. Il suo semplice gesto lo fece voltare, meglio di ogni parola.

"Io…" - quanto le costava dirlo -" sono contenta per lei. E per angel."

E lo vide. Vide quel piccolo sussulto in fondo al suo sguardo. Lo sentì come una fitta nel cuore.

Buffy in quei mesi era stata più sua che di angel. era lui che portava il piccolo claddagh legato al collo. Ed era ancora lui che, per ricordare quel maggio in cui l'aveva vista cadere, posava due rose bianche innanzi alla sua lapide.

Due.

Come le persone pure che gli erano state affidate.

Due.

Povero spike, così preso dalla sua missione. Così gabbato dal destino.

Vorrei vedere il mondo con i tuoi occhi, spike.

Con occhi blu.

"angel non ha nessuna possibilità neanche adesso." - lo sentì mormorare.

"Saperla viva e lontana è meglio di saperla morta. Non sei d'accordo?" - replicò, quasi senza accorgersene.

Non rispose. Perché nel cuore era d'accordo pure lui.

"Le hai parlato, vero?"

"Avrei voluto. Poi ho cambiato idea." - sorrise - "nemmeno io so cosa dire a chi resuscita. Avevo un'unica battuta in testa… caspita, allora è prerogativa delle donne di angel! no, non mi sembrava il caso."

Faith lo guardò, mentre scimmiottava se stesso. E sorrise. In effetti Buffy summers non avrebbe apprezzato quel paragone con darla….

"Non si dovrebbe tornare dalla morte." - mormorò spike, alzando lo sguardo al cielo grigio - "Le cose non sono mai come le hai lasciate. I sopravvissuti diventano nevrotici a cercare di tappare la falla che hai lasciato e poi… come se niente fosse…"

saltò in piedi. La pioggia cadeva più fitta e Spike, in preda a qualcosa che sembrava un attacco isterico, tirava calci alle pozzanghere, urlando come un'aquila.

"Come se niente fosse… il caro estinto se ne torna indietro!ehi gente, eccomi! Posso riavere la mia camera, posso restare ancora un po' nelle vostre vite? Ho cambiato idea… oh, certo, ha cambiato idea! Ha distrutto tutti quelli che la conoscevano, sua sorella, dannazione, guarda sua sorella! Un'estate per farla restare in piedi, per farle capire che Buffy si era sfracellata per hobby e non per colpa sua! E Giles! Giles che potrà anche non piacermi ma che ha ubriacato pure i suoi globuli rossi per riuscire a superare la cosa!" - allargò le braccia e gridò al cielo. Ancora.

"per non parlare di Angel! certo, perché escluderlo dai grandi traumatizzati. In fondo aspettava solo di morire…"

Non aggiunse altro. La sua voce si abbassò per un attimo e faith lo vide chinare le braccia, come se qualcosa gli avesse attraversato prepotentemente la coscienza. Ma per lei era gia abbastanza. Sotto la pioggia, in piedi, alle sue spalle.

"Perché non comprendi anche te, in questa gamma di reazioni? Vogliamo parlare delle tua chitarra?" - lo provocò.

"Ma di cosa stai parlando?"

"sto parlando di te, Spike, della tua dannata testa dura. Non dovresti stare anche tu tra le persone che si sono spaccate per riempire quel vuoto? Non ti sei quasi annullato per chiudere la cosiddetta falla?"

"Non sai di cosa stai parlando!" - provò a voltarsi ed ignorarla, a riprendere la sua crisi di rabbia. Ma faith, incrollabile, lo afferrò per un braccio e lo obbligò ad ascoltarla.

"Se io non so di cosa sto parlando, tu non sai cosa stai facendo!" - lo fissò dritto negli occhi, con una tenacia che Spike non riconobbe - "E non mi sembra che tu ti sia comportato da incosciente finora. Hai programmato tutto, fino all'ultima virgola. Ed il tuo problema è che adesso ti senti superfluo, proprio adesso, così vicino all'autodistruzione."

"Finiscila!" - spike la strattonò, per liberarsi dalla sua mano.

E faith, barcollando arretrò.

"Non è così?" - Adesso gridava veramente -"Non è così, Spike? non è che di colpo ti ritrovi con un dolore che non si è mai sfogato ma che per lo meno ti teneva in piedi? Non è questo? Non avevi la sua tomba e sua sorella, il suo spazio e la sua missione? Ed adesso è tutto superfluo. Buffy ha risolto la situazione molto meglio di quanto tu non avresti mai potuto fare? È questo il problema? è questo?"

"Taci! Cosa nei vuoi sapere, piccola ipocrita. Tu, felice per lei! Non ti è mai importato niente di Buffy. felice per lei! Tu che hai sempre solo voluto il suo posto, proprio tu, che ti sei sbattuta il suo ragazzo fingendo di essere lei!" - odio, gli sembrava quasi di provare odio - "Ma fammi il piacere! Non sai niente di quello che provo e credo. Niente, non ne saprai mai niente. Perché sei una sciocca ragazzina che si è sempre riempita la testa con risposte che non aveva!"

l'avrebbe colpita. L'avrebbe colpita se non fosse stata faith a colpirlo per prima.

Uno schiaffo. Faith, capace di atterrare un vampiro alto il doppio di lei.

Faith che lo schiaffeggiava.

Spike voltò la testa per il colpo e, in un moto incontrollabile, fece per ricambiare. Alzò il braccio.

E tutto si congelò, in quell'istante.

Rimase lì, abbacinato. La mano alzata. I vestiti di entrambi zuppi di pioggia. e gli occhi di Faith pieni di lacrime.

Lacrime. Faith tremava e piangeva, con un'espressione che mai le aveva visto negli occhi.

Faith sapeva di sconfitta.

Faith si era spezzata.

Nulla, nessuno aveva mai incrinato dentro di lei la forza.

Nulla. Solo Spike.

Inaspettatamente.

Impietrito a fissarla, a minacciarla ancora, con la mano alzata. Ormai dimentico del perché.

 

Nel sentirsi gelare il cuore, al suono della sua voce.

 

"Ti comporti così perché sei tu che non avrai una chance con lei nemmeno in questa vita?"

 

la vide portarsi una mano alla bocca, come se quella frase fosse nata con vita propria. La vide specchiarsi nei suoi occhi azzurri sbarrati per lo stupore.

 

Poi fuggì. Incespicò e cadde, prima di giungere alla porta. Ma continuò a fuggire.

Lontano.

Lontano da lui.

 

Avrebbe voluto rannicchiarsi su se stesso. E piangere.

Fino allo stremo.

 

Sotto di lui, nella via buia, risuonavano già passi disperati.

 

 

II

"Spike, ma cos…" - Wes, seduto nello studio di Angel, con Cordy e Doyle, scattò in piedi, quando lo vide sulla porta.

Ma Spike non lo degnò di uno sguardo, mentre con andatura da ubriaco, correva fino alla scrivania di Angel.

Era bagnato fino all'osso.

Ed Angel lo fissò stupefatto, prima di alzarsi per andargli incontro, mentre questi si appoggiava pesantemente al ripiano, parlandogli con voce concitata.

"Io ho combinato un casino." - la sua voce era quasi isterica, come i movimenti con cui si scostava i capelli bagnati dal viso - "non volevo dirle quello che ho detto. Non so dove sia andata, ma dobbiamo trovarla, ti prego Angel, dobbiamo trovarla, io non so dove sia andata, ma si farà male, le faranno male se la trovano."

Non smetteva di parlare, di balbettare, tremando. Angel, lo afferrò per le spalle e lo scosse. Il gelo che provava nel cuore gli impediva di chiedere chi fosse la persona in pericolo.

Lo sapeva.

"Calmati William, non mi sei di alcun aiuto così." - cercava di apparire forte, nello stringergli le braccia - "Si aggiusterà tutto, stai calmo."

"Tu non capisci" - gridò Spike, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime - "il suo sguardo Angel, il suo sguardo… io l'ho spezzata… l'ho spezzata."

Faith spezzata. Sarebbe stata una frase senza senso, se non fosse uscita dalle labbra di spike. Aveva un significato preciso, innegabile, connesso alla natura di predatore di cacciatrici.

Anche se sarebbe stato difficile riconoscere in lui l'Uccisore. Ora, mentre l'orgoglio del passato tornava vivo nel presente diventando rimorso.

Lo lasciò andare, lo vide appoggiarsi pesantemente la scrivania, ansando, cercando di calmarsi.

Cercando di sentire la voce del suo orgoglio che gli faceva notare lo spettacolo che stava dando.

Agli occhi di Cordy, un passo dietro Doyle. Agli occhi di Wes.

Wes. Angel si voltò, per essere colpito dalla gamma di emozioni che gli attraversava il volto.

Wes sapeva a cosa si stava riferendo spike.

C'era, era stato presente il giorno in cui spike l'aveva spiegato a Faith. Le parole gli erano risuonate a lungo nella mente.

cosa aveva fatto Spike a Faith?

Cosa?

Perché?

 

No.

La verità li colse agghiacciandoli. Entrambi. Angel e Wes, in quel muto dialogo si scambiarono un'espressione inorridita.

Non c'era stato un perché.

Spike era andato a segno senza vedere il bersaglio. Era questo che lo stava facendo reagire in quel modo.

Angel girò su se stesso, andò verso spike. ma questi si divincolò,dalla sua stretta.

"Lasciami!" - urlò - "non capisci? È in pericolo, devi cercarla, l'hai già trovata una volta, tu sai come fare, tu puoi ritrovarla. Angel ti prego, devi salvarla, ha bisogno di te." Arretrava, quasi inciampando nel tappeto, come un animale braccato. Fino a ritrovarsi quasi chiuso in un angolo.

"Ha ragione." - la voce di Doyle risuonò chiara in quel silenzio opprimente - "Se Spike dice che la cacciatrice è nei guai dobbiamo cercarla. Faith ha bisogno di noi."

"Andiamo." - rincarò cordy, ignorando la situazione tesa, parlando con il tono sicuro di sempre - "Andiamo. Wes prendi il cellulare e chiama Lorne. Digli che ci serve il suo aiuto, spiegagli…"

spiegargli cosa?

"Oh, dannazione, spicciamoci!" - gridò, correndo verso la porta, cercando le chiavi nella borsetta.

Doyle la seguì e Wes gettò solo una fuggevole occhiata alle sue spalle, prima di scendere a precipizio le scale.

Solo angel rimase fermo.

E spike ne approfittò per inveirgli ancora contro.

"Muoviti, dannazione, muoviti. Fai come loro, aiutala, aiutala…"

La sua voce si spense quando sentì la stoffa del maglione di angel tra le dita. Vi seppellì il viso, singhiozzando, afferrandolo con le mani, laddove poco prima aveva cercato di colpirlo. Cogliendo Angel assolutamente di sorpresa.

"non volevo farle del male, non volevo. Aveva ragione lei, mi sono innamorato del suo ricordo. Come ho amato lei, a modo mio, prima della mia anima dannata, prima questa vita… ero così orgoglioso di poter fare una cosa così importante, così orgoglioso di potermi occupare di dawn… avevo tanto voluto il suo rispetto, a Sunnydale. L'avevo desiderato così tanto. Volevo mi rispettasse, volevo mi amasse, perché aveva così tanto ed io non avevo niente, sempre a mendicare qualcosa della sua vita." - sentiva le braccia di angel cingergli le spalle, mentre, in un soffio, gli raccontava il suo amore da terzo incomodo - "e lei è morta, ha lasciato tutto a me, a me… ed io non volevo più deludere nessuno. E non mi sembrava abbastanza. Adesso sarebbe potuta essere anche mia. Adesso che non avrei più letto la scelta nei suoi occhi. Lei, lei, sempre lei che non sono riuscito a piegare… Ho detto a Faith cose che non pensavo, perché aveva ragione, perché sono arrabbiato con Buffy, perché è tornata e…

e perchè non mi sono ricordato che il cuore di Angel è troppo grande per non avere spazio anche per me. perché non mi è importato di Faith, in questi mesi, perché anche se eravamo così uniti, io l'ho lasciata sola. Perché avevo litigato con Buffy per via di faith…. Perché alla fine mi sembra di avere scelto Buffy anche se amo faith…

E non mi importava più che Buffy fosse in torto, solo perché è morta. Perché era morta.

Ho sbagliato tutto, tutto, tutto, tutto…"

 

Erano parole concitate, quasi incomprensibili, immerse nel dolore non sfogato di tutti quei mesi. Fatte di verità inammissibili, fatte di un'angoscia sempre più grande su fragili fondamenta. Un dubbio, un piccolo desiderio, poche cose nate da un dolore genuino e cresciute dentro un fulcro di disperazione incompresa.

Il dolore rimasto dopo la singola lacrima al funerale. Il suo dolore, come base per accatastare quello degli altri. Dilaniato da mille direzioni, debolezza su debolezza, mese dopo mese.

Chiuso in un silenzio dello spirito così poco consono al suo carattere. Spike, capace di dire a tutti il fatto proprio.

Spike, che non aveva mai mentito. Che urlava cattiverie solo se c'era un buon motivo.

E non lo trovava in quello che aveva fatto a faith.

 

A poco a poco, si consumarono quei minuti densi di disperazione.

Poi i singhiozzi cessarono del tutto.

Spike si raddrizzò, asciugandosi gli occhi. Come se tutte quelle lacrime lo infastidissero più degli abiti ancora impregnati di pioggia.

"Non c'è tempo. Dobbiamo andare." - mormorò, come se sentisse di doversi scusare, con un tono duro e finto. Chiudendo nuovamente quella scatola che chiamavano cuore.

"Non vuoi aspettare qui?" - domandò Angel, nel lasciarlo andare quasi a malincuore, ma fingendo di non essere stato presente a quello sfogo incontrollato - "potrebbe tornare..."

Lo vide scuotere la testa, ma gli impose di guardarlo in faccia.

"tu ed io, a quanto pare, dobbiamo parlare di molte cose." - ma non sapeva quali fossero. Fino a poco prima, aveva provato solo il sollievo per la vita di Buffy che ancora brillava. Prima di sentire la morsa della paura all'idea che l'universo potesse reclamare una cacciatrice nel ritorno di un'altra - "resta qui, perché io credo che Faith tornerà e riprenderete la conversazione da dove l'avete interrotta."

Spike chinava lo sguardo come un ragazzino mortificato. Non sembrava proprio più lui. Ma lo era stato, in quei mesi?

"William… anch'io ho paura del ritorno di Buffy. è come se si aprisse una voragine per inghiottirci tutti. È come se non potessimo più credere a nulla, non potessimo avere certezze... Ma le abbiamo mai avute? Prima o poi discendiamo tutti all'inferno, varchiamo le porte del tempo e ci arroghiamo il diritto di tornare. Ma pensiamo sempre che valga solo per noi stessi, per le nostre forze. Non ci concediamo l'illusione della speranza o della fiducia. Pensiamo che le persone che amiamo non possano cambiare, che non reagiscano, mentre noi ci muoviamo nella loro vita.

Siamo fatti per sorprenderci, innanzi ad azioni che non pensavamo neanche potessero essere concepite da mente estranea. Willow ha fatto ciò che anche noi avremmo voluto fare. E Buffy è tornata. Come me. Come Doyle."

Gli cinse le spalle, seguendo un istinto che andava ben oltre la consapevolezza degli eventi.

Lo fece sedere nel posto occupato fino a poco prima da Wes. Poi si chinò, per incontrarne lo sguardo.

"io non so cosa riservi questo ritorno. Se sia uno scherzo del libero arbitrio o un tassello del disegno universale. Una cosa la so, William. Buffy è stata più presente nella mia vita in questi mesi di quanto non sia mai stata. È brutto da dire, ma è così. È più facile sentire come propria una cosa che non parla, che è inanimata, che vive solo perché siamo noi a darle vita. Buffy odierebbe questa frase, ma è la triste verità del nostro rapporto. Non mi illudo che le cose cambino."

Spike lo fissava in silenzio, con le mani abbandonate tra le ginocchia. Lasciando che le parole gli penetrassero lentamente, facendo strada tra le cellule del suo corpo. Le sentiva come un contatto, un intenso contatto.

"quando tu sei entrato da quella porta con questa notizia, io, per un attimo, non ho saputo pensare nulla. Nulla. Se non che l'incubo è finito. Non dirmi che non capisco." - si affrettò per interromperlo - "non dirmi che il tuo incubo inizia adesso. Non è vero. Quello che è successo tra te e faith è stato un grandissimo sbaglio. Ma puramente casuale. Ti sei scontrato con lei perché sei abituato alla sua testa dura, al suo risponderti per le rime. Hai un'attenuante."

"come mai io ne ho sempre e tu mai?" - bofonchiò Spike, tirando su col naso. Una reazione umana, constatò Angel, ripensando per un attimo a come, tanto tempo prima, avesse detto a Dawn che i vampiri non si soffiano il naso.

Dawn.

Piccola Dawn troppo grande per se stessa e troppo grande adesso che Buffy era tornata.

"E non sei contento?" - replicò, costringendosi a sorridere. Si alzò - "adesso devo andare. Resta qui e cerca di schiarirti le idee. Non credo che le cose siano gravi come le dipingi…"

afferrò la giacca ed uscì, domandandosi come poteva essere così ottimista senza alcuna verità.

Si voltò ancora un attimo, fingendo, perdendosi in una frase semplice.

"E lavati la faccia. Ci vediamo più tardi."

 

Non gli piaceva doverlo lasciare da solo.

Non gli piaceva essere stato così concentrato tenere la mente occupata da non essersi accorto di tutti quel tumulti nascosti sotto la quotidianità. E non era certo di poter veramente capire Spike.

Non aveva pensato che gli incubi possono mutare sostanza, al posto che sparire. Si era illuso che quella loro conversazione, a Sunnydale, potesse sedare ogni angoscia. Aveva sperato che il sangue riparasse il suo spirito.

Si era clamorosamente sbagliato.

E non c'era rimedio.

Ci sarebbe stato bisogno di rimedio, se buffy non fosse tornata?

Sussultò, per quel pensiero. Se buffy non fosse tornata…

Era più rassicurante pensare che non si sarebbe accorto del guaio in cui si era cacciato Spike. Che fosse un bene, la nuova vita di buffy.

Lo era, si ripetè, lo era.

C'era Doyle nell'ingresso. Stava posando il telefono e si girò, per guardarlo scendere le scale.

Gli sorrise, scanzonato. Capendo troppo, come sempre.

Ed angel, ricambiò, con aria tollerante.

"siamo due bei geni, non credi?" - lo provocò, per sdrammatizzare un incipiente senso di colpa.

"L'avessimo visto più di cinque minuti, negli ultimi tre mesi, ce ne saremmo accorti… anche se cinque minuti, in effetti, non sono pochi…" - mormorò Doyle, giocherellando con l'anello, come suo solito - "Comunque ho chiamato Lorne. E lui ha detto che verrà qui a tenerlo d'occhio. Tanto sapevo che non te lo portavi dietro…"

"mi sembra una buona idea…"

"Soprattutto perché Wes ha preso la moto di Spike…"

sedettero in macchina. E fu armeggiando per mettere in moto che, di colpo, anche il cervello di Angel mise a fuoco un particolare.

Un piccolo particolare.

Piccolo?

 

Nella voce di Spike….

 

Oddio.

 

Perché avevo litigato con Buffy per via di faith… Perché alla fine mi sembra di avere scelto Buffy anche se amo faith…

 

Oddio.

Doyle lo guardò, mentre si abbandonava sul sedile, con lo sguardo vacuo.

"Angel… non vorrei interromperti ma…" - diede un colpo di tosse molto discreto - "là fuori da qualche parte c'è Faith che si prende una polmonite a suon di lacrime…"

"Wes la troverà prima di noi." - rispose automaticamente l'altro, passandosi una mano tra i capelli e mettendo ugualmente in moto - "Doyle… io credo che spike abbia detto… no, magari delirava…"

"Allora l'ha ammesso." - constatò con naturalezza Doyle. E con una punta di malizia.

Ed Angel, evitando di centrare un lampione, dimenticando la sua Spike-preoccupazione ed il suo Buffy-pensiero, incassò un altro colpo a sorpresa.

"tu lo sapevi?"

"So che nella vita di spike c'è sempre una cacciatrice. Pensavi sul serio che Faith fosse un'eccezione alla regola?"

"Di solito non ama le cacciatrici…" - … come poteva aver detto una sciocchezza del genere?

"E a te chi l'ha detto?" - Doyle abbassò il finestrino, respirando l'aria fredda del temporale appena terminato, guardando la poca gente sui marciapiedi - "Mi dispiace solo sia venuto fuori nel suo risvolto negativo. Credo che Spike non riesca nemmeno a immaginarsi come lui e faith siano vulnerabili uno di fronte all'altro. Soprattutto sull'elemento buffy."

"e chi non lo è…" - replicò l'altro, prima ancora di accorgersi di aver parlato. "Ti dirò, uomo. Tu stai meglio di quei due."

"è il vantaggio di essere stato anch'io quello che è tornato dall'inferno. Non credi?"

"Sbagliato. È il vantaggio di sapere eterno il proprio amore. Vivi o morti che siate." - Doyle tamburellò sulla portiera e sorrise alla città nella notte -"non cambia ciò che siete. La morte separa e riunisce quanto la vita. E dimentichiamo sempre che sia vita che morte non sono eterni. È un pensiero rassicurante, non credi? Qualcosa che si conclude per la stessa ragione logica con cui è iniziata. E la ragione logica è il sovrannaturale. Probabilmente non ti frega niente di quello che sto dicendo, perché sei giustamente preoccupato. Ma io sono stato rimandato qui a tenerti allegro, per cui…"

"Per cui continua pure a parlare. Io intanto penso ad altro."

"ehi, uomo." - lo chiamò ancora. Ma con un tono diverso. Profondo - "Tireremo fuori quei due ragazzi, da qualsiasi guaio in cui si siano cacciati. Te lo prometto." Angel gli lanciò un'occhiata, fuggevole. Ma Doyle vi lesse lo stesso tutto quello che Angel non aveva detto.

 

Di colpo gli sembrò che Buffy avesse portato via le loro voci. Come se con lei si fossero spente le parole che tutti loro sapevano creare. Il silenzio. Il silenzio era calato su di loro.

Solo ora, d'un tratto, dalle labbra di tutti loro sgorgavano frasi irrefrenabili. Spike e Faith. Angel e Spike. Caspita, pure wes aveva imprecato a denti stretti, entrando impunemente in camera di spike per cercare le chiavi della moto.

E Buffy, così causa di tutto e così vittima dei loro sogni ambiziosi?

Doyle scrutava i vicoli, cercando faith. Ma, nel suo cuore, irrefrenabilmente, provava il desiderio di correre a sunnydale.

Da buffy.

A parlarle, raccontarle del paradiso ed ascoltare il suo, come fosse, quanto lo rimpiangesse. Buffy, accusata di aver lasciato dolore, strappata dalla pace…

Che ironia, il destino.

Che grande incompresa, povera ragazza.

Il cuore di Doyle faceva in fretta a riempirsi di pena. Doyle era tornato indietro per un buon motivo. Doyle. Non Buffy. buffy probabilmente non sapeva il perché di questa nuova occasione.

 

E fu allora. Fu allora che…

 

"ferma la macchina."

"Cosa?" - angel frenò, bruscamente - "L'hai vista?"

"No. Non faith. Devo andare, devo fare una cosa." - mormorò l'altro, raccogliendo le poche cose che gli stavano scivolando dalle tasche.

Angel lo afferrò per un braccio e chiese.

"Una visione?"

"Sì, ma non del genere che pensi tu. Devo andare, angel, devo fare una cosa molto importante. Molto. E tu devi dire a Principessa che non ho intenzione di darmi ad atti di eroismo."

"doyle…."

"te lo giuro, Angel. non devo fare il martire. Devo soltanto parlare con una persona." - Doyle gli sorrise, per rassicurarlo - "cerca Faith, tu puoi trovarla. E quando la trovi, l'abbracci stretta e le dici che il cuore di una cacciatrice è troppo prezioso per essere sprecato. Non lasciare che imbocchi di nuovo la strada sbagliata…"

si gettò fuori dalla macchina, lasciandolo annichilito.

Mi dispiace, angel, ma non è questa la cacciatrice che devo salvare.

Mi dispiace.

Ti voglio bene faith, ovunque tu sia.

 

 

III

Corse.

Corse come non era mai stato abituato a fare.

Corse, fino alla fermata più vicina della metropolitana. E poi ancora, fino a varcare la porta dell'Hyperion.

Spalancandola.

Facendo sobbalzare i due demoni seduti nell'ingresso.

Lorne, in poltrona, fotogenico come sempre.

E Spike, seduto sul divano, a mani giunte.

Pronto a saltare in piedi, vedendolo entrare.

"non una domanda superflua." - Ansimò doyle, posando le mani sulle ginocchia, cercando di riprendere fiato.

"cosa è successo?" - chiese Spike, andandogli incontro.

"appunto. Niente. Non è successo niente. Domanda superflua."

"parli troppo per essere senza fiato."

"la stanno ancora cercando, Spike." - aggiunse doyle scambiandosi un'occhiata con Lorne.

Impegnato a passarsi elegantemente il pollice sul mento.

Con l'aria del gatto che succhia il topo come una caramella.

"bene, bene, bene… doyle, non potevi deciderti prima di uscire di casa?" - lo provocò.

"tu…" - rispose Doyle, puntandogli un dito contro e raddrizzandosi- "non fare umorismo. E tu, infilati una giacca, perché tu ed io stiamo partendo."

"non me ne vado fino a quando non vedo Faith al sicuro."

Testardo, le braccia incrociate. Una finta durezza. Doyle lo guardò, sperando che dai suoi occhi non trasparisse la tenerezza che gli provocava quel ragazzo. Sperò di essere incurante, freddo.

E che Lorne nascondesse quel suo irrefrenabile sorriso davanti ad una così pessima recitazione.

"Fai come vuoi." - disse, in tono neutro - "Ma io devo partire. Subito."

"Cosa… dove stai andando."

"Non vuoi venire, non ti deve interessare. Ma devi prestarmi la macchina." - aggiunse, fregandosene della privacy e sfilando le chiavi dalla tasca del trench, abbandonato sullo schienale di una sedia "Devo andare a parlare con una persona che ha bisogno d'aiuto."

"Con chi vai a parlare."

"lo sai benissimo. Lorne, spiega a tutti dove sono andato. O inventati una balla rassicurante. Tanto è uguale." - si sventolò con il cappello, prima di calcarselo in testa - "allora, Spike, ti muovi?"

"Ho detto che non vengo." - sillabò l'altro, ringhiando.

"Vedi Spike." - doyle gli sorrise, sentendosi così angelico da aver paura di essere picchiato - "Tu sei un pessimo bugiardo. E continuare a dire che non verrai quando una vocina nella tua testa ti dice chiaramente che lo farai…"

Avevano ancora tempo. Parecchio tempo.

Anche se Doyle tirava il collo al motore e correva come un pazzo furioso.

Fumando.

Cantando a squarciagola.

Battendo il tempo sul volante.

E spingendosi indietro il cappello con un dito.

"ma la vuoi smettere?" - gridava il suo compagno di viaggio.

"Ma non ci penso nemmeno." - rispose l'altro - "sono teso, tesissimo! Anzi, è la tua occasione per offrirmi anche un po' di quel bruciabudelle che tieni sotto il sedile!"

e Spike, senza un commento, estrasse la fiaschetta in argento. ne bevve un sorso e la passò al conducente.

"grazie" - mormorò questi, aggiungendo l'armeggiare con il tappo alla lunga lista di cose che stava già facendo. E poi aggiunse - "oh, grazie" - quando Spike decise di tenergli il volante.

"E di cosa? Del fatto che tuteli la mia persona?" - brontolò il vampiro. Odiava ritrovarsi a fare le cose solo perché doyle apriva bocca. E gli succedeva da quando si conoscevano - "oppure del fatto che ti assecondo anche quando sembri pazzo furioso?"

"anch'io assecondo un sacco di matti." - rispose l'altro con naturalezza, cercando un'altra sigaretta - "Mi spiace solo di non essermi imposto per estorcerti informazioni quel pomeriggio…"

"quale pomeriggio?"

"Sai benissimo quale. Quello dopo il funerale di Buffy, mentre aspettavamo che Dawn venisse a studiare francese con te." - Doyle curvò passando nell'altra corsia.

"ma si può sapere chi ti ha insegnato a guidare?" - gridò l'altro.

"Mamma." - un'altra accelerata con grattata del cambio - "e poi cordelia."

"perfetto." - mormorò Spike, ascoltando l'ennesimo ringhio del motore, scivolando sul sedile ed afferrandosi al cruscotto.

"Spike! non avrai mica paura della velocità!" - chiese Doyle, girandosi a fissarlo.

"Guarda la strada!" - replicò l'altro- "Ma perché non ho preso la moto…"

"perché Wes l'ha presa prima di te."

Adesso iniziava ad essere difficile sentire il motore. Spike urlava troppo forte.

"Oh insomma!" - sbottò ad un certo punto Doyle - "se il tuo accento inglese sale ancora di qualche ottava sveglierà il mio istinto patriottico! Ed io mi sentirò in dovere di tirarti un pugno!"

Convincente. Sintetico ma efficace.

Spike sprofondò un po' di più nel sedile, cercando un'altra sigaretta.

"Wes e la mia moto, tu e la mia macchina…perché dannazione perché…"

"Bello, degno di Amleto. Continua pure." - doyle gli gettò un'altra occhiata, per vederlo armeggiare con il cellulare. Scatenandogli un certo desiderio di giustificarsi.

"Chiamo Cordy. Voglio sapere se l'hanno trovata."

"No."

"No cosa?"

"non chiamare Cordy. Non le ho detto dove intendevo andare."

"Io non so nemmeno dove stiamo andando." - obbiettò l'altro, cercando di reprimere il nervoso che iniziava a salirgli - "E voglio sapere di Faith."

"Allora chiama Angel."

"no."

"ottimo. Ci siamo messi d'accordo." - annuì doyle - "per cui posa il cellulare e facciamo due chiacchiere."

"io…"

"Sì, sì, tu vuoi telefonare. Dopo. Telefonerai dopo." - fece una pausa, ma non riuscì a resistere al desiderio di importunarlo - "Sei veramente certo di non sapere dove stiamo andando?"

"Preferisco ignorarlo." - borbottò Spike. Conosceva quella strada ad occhi chiusi - "Mi sfugge perché. È quella la domanda a cui dovresti rispondere."

"Affari tra redivivi…" - replicò l'altro con un'alzata di spalle - "Avanti, parliamo. Dimmi perché non vuoi chiamare Angel."

"Perché la crisi isterica mi è passata e quindi non ho voglia di parlargli."

"Ti vergogni che Angel ti abbia consolato?"

"Fatti gli affari tuoi."

Doyle annuì, pensieroso, fissando la strada.

Poi tagliò un'altra curva, sentendolo sobbalzare per la sorpresa.

"Ti vergogni che Angel ti abbia consolato."

"io… Angel non mi ha consolato! Ero fuori di me. Avevo le idee confuse." - perfetto. Ti sei descritto come un idiota.

Chiamale idee confuse…

"Spike… è umano preoccuparsi o essere stressati dopo l'estate che hai passato."

"umano, appunto, io sono un demone!"

"E sei cattivo, duro, immorale e impertinente…. Concordo sull'impertinente." - Doyle iniziò a gesticolare, per spiegarsi meglio. Incominciando un sano sproloquio, mentre Spike, tornando a tenere il volante, sperava di sapere fare le curve, dal posto del passeggero.

Fino a quando non gli sembrò di aver raggiunto il limite di sopportazione.

"Fermati." - esclamò, interrompendolo.

"Cosa? Per quello che ho detto?" - si indicava con entrambe le mani -"Guarda che è lunga a piedi fino a los angeles, non mi sembra il caso."

"Ferma… Questa… macchina…"

"Eddai, Spike, non fare così. Ti lascio telefonare. Chiama Cordy. Tanto poi lei vorrà rompere solo le mie ossa."

"Guido io."

"Come, scusa…" - e riusciva addirittura ad avere un'espressione perplessa.

"Ho detto che guido io" - ringhiò Spike, piantandogli un dito in mezzo agli occhi - "ne ho abbastanza della tua guida. Visto che tanto sto già tenendo il volante, voglio anche il posto."

Doyle cercò di obbiettare.

Il dito tornò a sembrargli pericoloso.

"Non una parola. Ferma e scendi."

"Non mi piace come guidi." - piagnucolò Doyle, fermandosi ugualmente sul ciglio della strada - "sei uno spericolato…"

 

Mentre Spike si imponeva sul suo autista, Lorne, seduto dove l'avevano lasciato, cercava di trovare interessante la rubrica sugli esfolianti di una delle riviste di Cordelia.

Degradato.

Da cantante a portinaio.

Da brillante conoscitore di anime umane a casella vocale messaggi- che-nessuno-vuole-sentire.

Spike non era stato per niente contento di vederlo. Forse perché in faccia leggeva, stampato a lettere cubitali, un "TE L'AVEVO DETTO". L'aveva squadrato, come si fissa un lombrico con il riporto e si era seduto sul divano.

Si rischiava di inciampare quasi nella sua mascella.

Ma Lorne, impavido di natura, si era seduto ad affrontare tutta quella cocciutaggine.

Ed aveva esordito, brillante, sollecito.

"te l'avevo detto."

E la conversazione era morta.

Da quel momento in poi si erano educatamente ignorati. Anzi, Lorne aveva addirittura fischiettato, stirando le lunghe gambe.

Poi era arrivato Doyle.

Una liberazione.

Non solo aveva varcato la sua porta con un'anima che sembrava un tripudio di campanelli, ma si era anche portato via quell'anima in pena.

a quanto sembrava, l'anima in pena stava tornando.

A piedi.

Ma c'era il vuoto in essa.

Una anima, con il vuoto dentro.

Lorne si raddrizzò, poi si alzò. Chiudendo il bottone della giacca con la destra e nascondendo la sinistra dietro le spalle. Restando in piedi, al centro della hall.

In posa, innanzi alla sua percezione.

Solo che dalla porta che doveva aprirsi per lasciar passare Spike, entrò Faith.

Faith, o almeno quello che ne restava.

Una colonna di stracci bagnati e lunghe striature nere sul viso.

Una maschera.

Con sotto l'espressione più cruda che mai Lorne le avesse visto.

Disfatta.

Lorne ne fu colpito. Doyle, nel corso della loro telefonata, aveva accennato alla testardaggine con cui Spike proclamava di avere "spezzato" la cacciatrice.

Non era una semplice metafora.

Era qualcosa, come una grossa colatura dentro il suo cuore, la vischiosità dei pensieri nitidi.

Faith aveva combattuto. Un grosso livido le copriva lo zigomo ed un palmo era fasciato con nastro adesivo nero.

Nastro adesivo?

Una rissa da bar e medicazioni da teppista.

Uno sguardo fatto di pioggia.

"Posa la balestra." - la sentì mormorare, mentre scendeva i gradini - "Uccido solo vampiri."

Ed i vampiri uccidono te, piccola.

Bucano il tuo cuore come tu il loro.

Anche tu diventi cenere, tra le loro mani.

"Dove stai andando…" - le domandò, seriamente.

"Dove tutto è cominciato." - replicò lei, con voce bassa e pastosa - " Devo tornare al fondo del baratro. Devo ricordarmi come si fa a risalire."

Non tutto era perduto.

In lei brillava ancora qualcosa.

Adesso Lorne poteva vederlo chiaramente. Non era nemmeno una luce. Era… un soffio.

"Vuoi che venga con te?"

"No. Da sola. Come sempre."

"Faith…"

"Tranquillo Lorne. Tranquillo."

"Gli altri ti stanno cercando."

"Allora di' loro di smettere." - rispose semplicemente. Salì le scale e Lorne la seguì, fino a fermarsi sul ballatoio,mentre Faith entrava in camera.

Brevi attimi.

Ma nulla.

Faith lo ignorò completamente.

"Devo andare." - spiegò, dirigendosi verso il garage.

"Non vuoi che dia almeno un'occhiata a quella mano?"

"E' un taglio, ho rotto male una bottiglia." - replicò salendo in moto.

"Faith… per quanto non sia nella mia natura…" - aggiunse Lorne, accostandosi alla moto - "Inizio ad essere preoccupato."

"Non ne vale la pena, Lorne." - in quella luce i suoi occhi sembravano viola - "Non mi impedirà di andarci."

Era vero.

Faith sarebbe partita in ogni caso.

"C'è… c'è qualcosa che devo dire agli altri?" - tanto sembro fatto apposta…

la vide scuotere la testa. Poi cambiare idea. Addolcirsi, nello sguardo, una frazione di eternità.

"Devi dire a Wes che ho questa con me." - mormorò, scostando i capelli fradici. Impigliata, nel mezzo, una piccola rosa d'ambra - "Lui capirà."

Rimase.

Attese.

Lo guardò, con occhi nuovamente torbidi.

Fino a quando Lorne non le donò un sorriso.

Tirato.

Bello.

Poi fu libera di andare.

 

Doyle e Spike viaggiarono insieme in silenzio. Ognuno immerso in pensieri che riteneva superflui. Sunnydale iniziava a divenire un profilo luminoso all'orizzonte.

Era da poco passata la mezzanotte, quando finalmente arrivarono a casa di Angel. Spike fermò nel vialetto e spense il motore.

Era in un posto in cui non voleva essere.

Ma c'era.

"adesso?" - mormorò, senza aspettarsi veramente una risposta.

"possiamo fermarci qui e parlare."

"Non abbiamo le chiavi…"

non si era accorto di averlo detto. Il suo inconscio aveva sputato la scusa meno scusa sulla faccia della terra. E Doyle gli rideva in faccia. Non che ridesse sul serio, s'intende, non l'avrebbe ritenuta una reazione garbata.

Ma in cuor suo lo stava facendo.

Ed era già abbastanza da far sporgere rabbiosamente la mascella.

"Spike." - sussurrò confidenziale il demone - "devo dirti un segreto… non mi servono le chiavi."

"Me lo immaginavo."

"Angel non la prenderà male…" - aggiunse, scendendo dalla macchina e stiracchiandosi, come se si preparasse ad una scampagnata - "Comunque, io sarei dell'idea di fare due passi ed andare da lei."

"Chiamala con il suo nome. Non mi provocherai un trauma." - ringhiò, sbattendo la portiera - "E se dobbiamo andare andiamo. E mentre tu intrattieni lei, io cosa faccio?"

"Non vuoi partecipare alla conversazione?" - chiese Doyle, fermandosi con le mani in tasca, mentre Spike saltava la recinzione del cimitero.

"Tu non mi vuoi nella conversazione."

L'aveva detto con un tono che non ammetteva repliche. Ed era anche vero.

"In effetti…" - ragionò, alzando gli occhi come se cercasse le sue sopracciglia.

"Te l'ho dico io cosa farò!" - esclamò Spike, spostandosi perché finisse di saltare la cancellata - "Parlerò con Dawn. Come faccio di continuo. Parlerò con Dawn e sentirò i suoi problemi. Io parlerò… con Dawn."

Non servo più a Dawn. Ha sua sorella adesso.

Non ha problemi da risolvere.

Ha sua sorella.

Non le servo più.

"Spike…" - Doyle lo guardò - "Io penso che Dawn possa farti bene. Ma, questa volta, non lasciarti sommergere da suoi problemi…"

"io… ma cosa cavolo stai dicendo?" - sbottò l'altro - "non avrò ancora due secoli, ma non sono un novellino. Mi parli come se io fossi un figlio degli anni ottanta o che so io! Un adolescente! Mi tratti come un adolescente con problemi emotivi!"

"hai ragione… non sei un adolescente!"

"Ma certo che ho ragione!"

"Sei un ragazzino."

Un ragazzino con gli occhi più grandi che abbia mai visto…. Se li spalanchi ancora un po' cascheranno….

"Che cosa?"

Però, che acustica quel cimitero….

"Lo sei, Spike. il tuo corpo ha aggiunto un anno sull'altro senza cambiare. La tua anima è rimasta chissà dove, per tutto questo tempo… quanti anni avevi quando Drusilla ti ha trovato? Venticinque?"

"Ventidue… ne avevo ventidue…" - borbottò, sfregandosi la testa. Possibile che quella frase tanto semplice fosse una risposta tanto cercata?

Trovata… senza un perché…

"Lo vedi? Sei un ragazzino. È un anno che te lo ripeto!" - Doyle gli sorrise e avanzò compiendo un gesto del tutto inusuale per il suo carattere. Posandogli le mani sulle spalle e fissandolo negli occhi.

Un gesto affettuoso.

Per un vampiro che non li apprezzava per niente.

"Non mi hai mai detto il perché…"

"Non ti serviva un perché… non hai mai obbiettato, finora."

"giusto… come dire…"

"Esatto. Come dire tu non me lo hai chiesto." - Doyle gli battè una pacca sulla spalla e si incamminò - "Adesso hai qualcosa da fare mentre parlo con Buffy…"

 

era una notte stellata a Sunnydale. Le nuvole erano rimaste a los Angeles, anche se entrambi continuavano a sentirle nel cuore. Silenziosi, camminando piano.

Uno a fianco dell'altro.

"La troveranno, Spike, non ti preoccupare…" - ripetè doyle, ancora una volta.

"Come fai a dirlo…"

"Ti sembrano capaci di rinunciare?"

"Potrebbero arrivare tardi."

Non voleva pensare.

Tanto non risolveva niente.

Doyle d'altro canto, faceva finta di non accorgersene.

Era preoccupato per Spike. Ma non valeva la pena di farglielo notare. Avrebbe reagito male, come suo solito.

Aveva bisogno di aiuto. E non lo voleva.

Chissà da quanto andava avanti con questo dissidio.

Doyle si voltò a fissarlo e, per un attimo, un'ombra di preoccupazione fu visibile nei suoi occhi chiari.

Aveva cercato quell'aiuto? Era possibile che l'avesse chiesto e nessuno avesse recepito?

"perché mi guardi in quel modo?"

Se ne era accorto… angel non era così pronto…

"Niente. Mi domandavo… non importa."

"Adesso sei tu che eludi le domande…" - l'accusò prontamente l'altro.

"Hai ragione." - doyle gli sorrise - "Rimedio subito. Mi domandavo se avrei potuto accorgermi prima che ti serviva una mano…"

"A me non serve una mano."

"e stavo convincendo la parte di me preoccupata che tu non avresti preso bene alcuna forma di approccio per parlare dei tuoi guai."

"io non ho guai."

Doyle annuì per il suo tentativo andato a vuoto e tornò a fissare la strada.

"Del resto… ho veramente un brutto carattere, quando si tratta di accettare un aiuto."

Che sorpresa… Doyle si girò a fissarlo. Spike stava cercando le parole ed una vanga per sotterrarsi. Lo si vedeva lontano un chilometro.

La mascella contratta, lo sguardo fisso e tutte due le mani piantate in tasca.

Spike la chiamava noncuranza.

Doyle, con un sopracciglio alzato, registrava molto imbarazzo.

"Se hai finito di strabuzzare gli occhi…" - ringhiò Spike, senza nemmeno girarsi - "Io potrei anche evitare di pentirmi…"

"Non pentirtene." - esclamò allegramente Doyle - "Parla, ti ascolto."

"sì." - oddio, già il monosillabo era stentato.

E Doyle gli porse una sigaretta.

"Rilassati. Non ti mangio e non sei sotto esame." - disse, accendendogliela.

"Grazie." - replicò l'altro, con una lunga boccata, fissando le lapidi. Non erano poi così lontani da casa Summers…

 

IV

Chiavi e Fenicotteri

"Lorne?" - Westley varcò la porta dell'Hyperion senza curarsi delle impronte fangose che lasciava sui tappeti rossi. E, per una volta, anche Cordelia non sembrava interessarsene molto - "Ci sono novità?"

Quando Lorne aveva chiamato, il suo tono era risuonato stranamente imperioso. Quanto bastava da non scatenare nell'Osservatore il desiderio di spiegazioni più esaurienti. Almeno, non aveva scatenato questo desiderio all'istante.

A quello avevano pensato i lunghi chilometri in macchina, tra la pioggia ed il cielo plumbeo.

Cordelia aveva frenato bruscamente davanti alla cancellata e, per uno strano tempismo, i fari della macchina di Angel li avevano illuminati, mentre percorrevano il vialetto, stringendosi un po' di più nei giacconi fradici.

Ed infatti, senza farsi attendere, il vampiro bruno era apparso alle loro spalle, mentre ancora aspettavano una risposta alle loro domande.

Cordy girò su se stessa e colse con una sola occhiata la cosa che più le stava a cuore.

"Ehi… dove hai lasciato Doyle?"

"Non ne ho la minima idea. È lui che ha lasciato me."

"Come sarebbe a dire!"

"e' proprio quello che ho detto. Non so dove sia. E, a questo proposito… Lorne, dov'è Spike?"

"e Faith? Non hai detto che avevi notizie su Faith?" - rincarò Westley, appellandosi a Lorne.

Lorne, sprofondato nel divano, con le mani beatamente intrecciate sullo stomaco.

"signori" - esordì con tono cerimonioso - "se vi volete accomodare, abbiamo di che discutere."

"non vorrei sembrarti fuori luogo." - obbiettò Cordelia, ancora presa da tutte quelle sparizioni - "Ma qui abbiamo tutti qualcuno da cercare. Per cui, se hai qualcosa da dire, dovrai spicciarti. Dobbiamo muoverci."

"non hai bisogno di muoverti. Non troverai nessuno dei tre, nemmeno se ti metterai a perlustrare sotto ogni tappo di bottiglia da qui alla costa." - Lorne mosse la punta dei piedi per sottolineare il concetto - "E questo vale anche per voi. Sono stato lasciato qui a fare il messaggio parlante, per cui, come ho già avuto modo di dirvi… posate il fondoschiena sulle poltrone e prestatemi orecchio!"

"Perfetto" - aggiunse, quando finalmente li vide seduti sulle poltrone ed appoggiati ai tavoli- "Cordelia: Doyle non ha intenzione di farsi torcere nemmeno un capello, ma ha da fare e tu ti accontenterai di aspettarlo a casa. Dedicati all'uncinetto. Angel: Spike ha puntato i piedi come un mulo ma, alla fine, ha seguito il piccolo irlandese nella sua missione. Per cui, potrai anche tu dedicarti ad altro. Ti consiglio il pizzo al tombolo, per tenere compagnia a Cordy. Ed infine, Wes…"

L'espressione di Lorne si addolcì, nel puntare lo sguardo ed il dito verso l'Osservatore. Wes, seduto nella poltrona, appariva pateticamente fradicio e assorto.

"Wes…" - riprese, prima che l'angoscia del silenzio lo attanagliasse - "Faith è stata qui, meno di un'ora fa."

"Perché non l'hai fermata?" - chiese, sommesso. Nella stanza sembrava essere sceso il buio, come se rimanessero solo loro, il demone e lo studioso, uno di fronte all'altro.

"Non ho potuto. Non avevo modo di farlo. Hai ragione ad essere preoccupato." - rispose, implacabile - "Non aveva un bell'aspetto e qualunque cosa abbia detto Spike è penetrato in profondità. È veramente arrivato vicino a stroncarla."

"Fino… a questo punto?" - Westley spostò il suo sguardo ad Angel, poi nuovamente a Lorne. Le doti di Lorne rendevano temibile una frase del genere, per il realismo che descrivevano.

Temibili. Perché Lorne, sempre loquace e brillante, aveva apostrofato le preoccupazioni di Angel e Cordy, ma aveva riservato, per la descrizione di Faith, un tono serio e confidenziale.

Ed ora, in silenzio, annuiva, alla domanda di Westley.

"dove è andata." - Angel non aveva bisogno di domandare. La sua era una strana frase senza intonazione, basata sulla sensazione che la loro ricerca fosse finita.

E fallita.

"non lo so. Credo di poterlo immaginare. Ma non lo so." - lo sguardo di Lorne non si staccava dagli occhi di Westley - "Sta andando dove penso, sarà presto in pericolo e presto al sicuro. Ne sono certo. L'unica cosa che so è che nessuno di noi potrà seguirla."

"Se hai anche una pallida idea, tu devi dirmelo." - scandì Wes.

"ha detto che sarebbe tornata dove tutto è cominciato ed ha aggiunto che dovevate smettere di cercarla." - era strano, saper cantare sotto mille sguardi e sentirsi intimidito da quelle tre paia di occhi - "Io posso immaginare gli stessi posti che puoi supporre tu. Ma ciò non toglie che non muoverai un dito."

"come Cordy non cercherà Doyle." - sorrise, spostando lo sguardo - "ed Angel non rintraccerà Spike. Dovrete aspettare che quei tre disgraziati giochino le loro carte. E vincano la mano."

Era un messaggio di speranza. E di ottimismo.

Da Lorne non si poteva aspettare altro.

Rimasero, così, in silenzio, assorti nell'assimilare un silenzio.

Presto rotto da un espressivo sospiro di Cordelia.

"Mi toccherà litigarci di nuovo…" - mormorò rammaricata la ragazza. E nessuno dei presenti ebbe dubbi su chi fosse il fantomatico oggetto della sua bellicosità.

"ha detto anche a me che non intendeva comportarsi da martire." - le rispose Angel, intuendo senza difficoltà la profonda paura della ragazza. E scegliendo, inusualmente, la condotta di Lorne - "del resto, Cordelia, io litigherò con lui e Spike appena varcheranno quella porta."

Ed il suo tono da spaccone fu ricompensato da un sorriso spontaneo sulle labbra di quella Principessa senza principe.

Solo Westley restava in silenzio. Sulle sue spalle gravava il peso di non poter accettare di sapere la sua cacciatrice da sola, sperduta, con un grosso buco nel cuore.

Gli sembrava quasi di poter sentire nel suo petto quel vuoto rimbombante. Senza averlo mai provato, potendolo intuire, appena.

Faith, la sua piccola Faith…

E dal passato sentì sorgere una limpida voce femminile.

"Westley carissimo…" - Helen gli venne incontro a braccia tese. La sua ampia falcata aveva il piacevole fruscio della seta che le avvolgeva le gambe.

Nel parco, di fronte alla biblioteca, le macchie di colore non erano date dai fiori, ma dalle sedie di ferro battuto qua e là sparse. E ravvivate da compiti studiosi assorti in conversazioni e letture.

Helen passava tra di loro come una ventata di solidità.

Appariva meno eterea dei suoi colleghi, solida e forte.

Era alta ed i capelli, ingrigendole le tempie, le avevano finalmente concesso un pretesto per addolcire lo sguardo. E abbandonare tailleur neutri, a favore di gonne lunghe e femminili.

Come se potessero compensare la durezza che aveva dovuto dimostrare negli anni, per scavarsi uno spazio in quella comunità prettamente maschile. Un'Osservatrice, un' abile Osservatrice, ma a quale prezzo…

"Helen." - Westley le sorrise, chiudendo il libro e alzandosi - "Il tuo fascino è…"

"Oh, ti prego!" - rise, prendendolo a braccetto, prima che potesse afferrare la giacca di lana dallo schienale della sedia - "risparmiami, ci conosciamo da troppo tempo perché io debba sorbirmi i tuoi educati complimenti. Non ricordi quello che ti dico ogni volta? Devi lasciarti andare…"

"Ed essere meno cerimonioso." - declamarono in coro, avviandosi per il vialetto.

Sorridendosi complici.

Helen e Westley avevano quasi vent'anni di differenza. Quanti bastavano ad essere stati, in un tempo remoto per entrambi, docente e studente, prima di essere amici. L'ala protettiva di Helen era divenuta presto per Westley ben più di una raccomandazione.

 

Un caposaldo.

Una bella Osservatrice relegata alla vita accademica in attesa di un incarico che il Consiglio non gradiva neanche ipotizzare. Un'amica ideale per un ragazzo che, senza un nome ed uno straccio di protettore, con le sue sole meningi da spremere, diveniva sotto i suoi occhi il primo del corso.

A prezzo della sua esuberanza.

A prezzo della sua fantasia.

Helen gli sorrise e Wes ricambiò, aggiustandosi gli occhiali, per mantenere un certo controllo delle sue emozioni.

"Wes, Wes, non si deve mai smettere di fantasticare. Non te l'ho detto sempre? Mantieni pure il tuo decoro, ma la prossima volta che ci vediamo, devi dirmi qualcosa del tipo… Helen, cara, sembri un fenicottero con quel vestito!"

In effetti indossava un completo di una splendida tonalità di rosa. Ed era alta quasi quanto lui, con quei bei sandali. Ma non sembrava un fenicottero. Westley aveva in mente molti paragoni.

Forse troppo sussiegosi, certo… ma molto poetici.

"sono felice di vederti…" - disse, guardandole il bel profilo. Camminavano lungo la sponda del laghetto e Wes non era molto stupito di esservi giunto così rapidamente. Che Helen lo avesse trascinato, una volta ancora, in mezzo ai moscerini spacciandoli tenacemente per farfalle e lucciole.

"anch'io." - sorrise ancora la donna, carezzandogli la manica della camicia, guardandolo in viso - "seguo i tuoi successi da lontano. Ed in Consiglio c'è già chi parla di te…"

Helen era divenuta membro effettivo del consiglio da qualche mese. Una nomina e via, un incarico un po' troppo lontano da Londra, per essere presente ad ogni riunione. Ma Helen non era il tipo da rifilargli false speranze solo per riempire un vuoto nella conversazione.

"Tu, invece? Non so molto di te…" - cambiò discorso Wes. Il Consiglio sembrava ancora fuori dalla sua portata - "Sei stata parecchio lontana, negli ultimi tempi."

"tre mesi." - puntualizzò, sembrando ancora più luminosa - "tre mesi martedì. Ma ho i miei buoni motivi…. La cacciatrice, Wes. Sono l'Osservatrice della cacciatrice."

Wes si fermò, per guardarla meglio, con la sorpresa scolpita nei lineamenti. Era bello, constatò Helen, sotto quegli strati di autocontrollo, sotto tutte le regole che si era imposto.

E, con un attimo di preveggenza, fredda come un soffio, Helen ebbe la netta impressione che Westley fosse destinato a grandi cose. Non ad una biblioteca.

Non ad una cacciatrice tra tante. Si trattò forse di una variazione di luce, oppure di un dono nascosto. Ma, in quel singolo sguardo che si scambiarono, Helen varcò le difese di Westley e il tempo.

Grandi cose.

Grandi cose nel futuro di Whydam-Price.

Cose che il Consiglio non avrebbe capito.

Realtà che Wes avrebbe cercato disperatamente di ignorare.

Persone che avrebbe combattuto.

Destino.

E non destino.

Niente era scritto, ancora. Niente di tutto ciò per cui Wes aveva studiato e faticato.

Rispondendo ancora una volta all'impulso ed al freddo che di colpo sentiva, Helen protese una mano e gli accarezzò la guancia.

"Westley, santo cielo." - scherzò, ricacciando le sue preoccupazione da dove erano venute fuori, in fondo al cuore - "ti rovinerai le iridi, se le esponi così tanto alla luce…"

"Perdonami." - Westley, abbassò lo sguardo, sembrando deliziosamente in imbarazzo - "Non sapevo si fosse attivata una nuova cacciatrice…"

"Si tratta di un caso un po' particolare." - concordò la donna - "la nostra esuberante cacciatrice americana gode ancora di ottima salute, sulla bocca dell'Inferno… si tratta di Kendra… il fatto che la sua attivazione sia stata causa di un caso unico non l'ha resa meno cacciatrice delle altre.."

"cosicché." - proseguì Westley, riprendendosi dalla sorpresa e nascondendosi dietro un tono pacato e studiato - "Quando è morta si è attivata un'altra cacciatrice. Come da normale procedura."

"Scherzi del destino, Westley. La normalità dall'anomalia. Un caso spinoso, direbbe qualcuno. Una situazione da vagliare… " - aggiunse, con una punta di ironia che nascondeva le estenuanti discussioni a cui aveva partecipato - "E da questo imbarazzante stravolgimento delle regole è venuta fuori una nomina che non mi sarei mai più aspettata di ricevere."

"ne sono lieto. Veramente, Helen, ne sono felice." - lo era. Ma con quella vena di tristezza legata al non essere al suo posto.

Senza gelosia.

Solo una punta di realismo.

Perché, in un mondo quasi rigurgitante di Osservatori, le cacciatrice non erano mai state due.

Troppe, eppur poche.

"Avrai la tua occasione, Wes, te lo posso assicurare." - Helen sorrideva sempre a Wes. Dal giorno in cui aveva capito che il ragazzo avrebbe goduto di quella famigliarità senza mai raccontarla a nessuno. Senza mai giudicarla debolezza.

"E lei, com'è?" - azzardò. Non era certo si potesse parlarne.

"oh." - Helen si illuminò, innanzi a quella domanda - "E' … splendida. Forte, caparbia, sensibile… mi avevano detto che aveva un carattere difficile, ma non è vero.

Bisogna solo saperla capire. La sua vita è difficile…"

"Non dimenticarlo Wes. Io ho insegnato per molti anni cosa è giusto dire ad una cacciatrice. Ma ora so che la cosa più importante è saperla ascoltare. Le sue paure, le sue ambizioni, le strade che sa che le sono precluse e che la fanno soffrire… ascoltare, Westley, ascoltare con il cuore. Non troverai in nessun libro le spiegazioni per far funzionare l'anima di una Cacciatrice. Per guidarla bisogna semplicemente accompagnarla per la sua strada. Una cacciatrice incompresa smette di essere una cacciatrice."

 

"Non sarà il tuo caso." - replicò impacciato Wes. Lo sguardo di Helen si era perso, sull'acqua appena increspata del laghetto. Il grigio dei riflessi si confondeva nei suoi occhi. Appariva distaccata, come se la superficie delle cose fosse svanita, portando a galla una sua nascosta paura.

Un grande segreto.

La sua frase la riscosse. E fu nuovamente Helen, sorridente, con lo sguardo verso di lui e le leggere rughe intorno agli occhi. "credo anch'io… per la prima volta so che non sbaglierò. Ho sempre creduto che, nelle mie spiegazioni, ci fosse un margine di rischio, un errore in agguato. Ora, invece, so che non posso sbagliare. Ogni parola che dico alla mia cacciatrice scaturisce dal cuore. E quando si segue il cuore, non si può sbagliare."

Ancora lo sguardo lontano. Perso.

"Helen…" - la voce di Westley suonò preoccupata. Anche il sole sembrava nascosto ed il laghetto appariva vuoto e già in penombra.

"Westley." - dio, come era stanca, d'un tratto, la sua voce - "promettimi che un giorno seguirai il tuo cuore. Abbandonerai gli schemi e le imposizioni e non avrai paura di imboccare la tua strada."

La sua strada? Di cosa stava parlando? Era un Osservatore, sapeva già qual era la sua strada…

"devi promettermi che non dimenticherai questo giorno, che non dimenticherai che sei nato per seguire la giustizia. Promettimi che amerai la tua cacciatrice più del tuo Ordine. Perché l'Ordine è effimero, innanzi ai pericoli che corre quella ragazza. E tu devi amarla come una figlia. E l'amore, quello che la cacciatrice ha bisogno, mai lo troverai dentro ai tuoi libri…"

non sapeva cosa dire, non sapeva cosa pensare. La contemplava in silenzio, senza badare al fatto che le mani che stringeva fossero fredde e dure.

"Promettimelo." - sussurrò ancora.

"te lo prometto Helen." - replicò Wes.

Ed Helen secondo un codice benedicente che non sembrava destinato a svanire, lo obbligò a chinare il capo, per deporre un bacio su quella fronte, scrigno di sapienza.

Senza sapere mai se le avesse creduto realmente.

 

Poi il sole tornò.

Varcò le nubi ed illuminandoli ancora, caldo e inaspettato. Helen si riscosse e gli sorrise, allontanando le mani per afferrare di nuovo il braccio che galantemente le veniva offerto.

Il suo Wes.

Null'altro che Wes e l'acqua del laghetto.

Giovani e trasparenti. Eppur così pieni della conoscenza del tempo.

"E' una ragazza minuta." - riprese, come se nulla li avesse interrotti - " ma vorrei che tu la vedessi muoversi. Agile come un gatto, sembra fatta di gomma…la mia Faith, la mia piccola Faith…"

"Faith? È così che si chiama?" - un brivido lo colse… forse avrebbe dovuto prendere la giacca…

"Faith. Spero che un giorno tu possa conoscerla." - Helen annuì, perdendosi solo per un istante nei suoi pensieri - "e' un peccato che il consiglio non voglia realmente accettarla, solo perché si è attivata con un'irregolarità gerarchica. È molto dotata. Senza contare che trascurarla potrebbe essere un enorme sbaglio."

"per me sarebbe un onore conoscerla." - replicò Wes. In cuor suo non sapeva cosa pensare del consiglio. Con correttezza lo riteneva infallibile, per quanto incomprensibile. Dopotutto, avevano dato a Faith un'Osservatrice che, agli occhi di Wes, era la migliore.

Avrebbe voluto aggiungere qualche altra parola. Ma sarebbero state parole di circostanza.

Rimase dunque in silenzio, mentre i passi di Helen lo riconducevano laddove si erano incontrati.

 

Tre mesi dopo, nel refettorio, Quentin Travers, freddo e irraggiungibile, annunciò la morte di un'appartenente all'ordine. Espresse il suo cordoglio per la cara Helen, deceduta mentre strenuamente affiancava la Seconda cacciatrice. Invitò tutti ad un attimo di silenzio e a raggiungerlo nella sala Grande, per un breve discorso.

Ad uno ad uno si alzarono ed uscirono.

Fino a quando rimase solo Wes.

Seduto.

Abbandonato contro lo schienale della sedia, le mani abbandonate sulle ginocchia.

Nessuno si fermò anche solo ad appoggiargli una mano sulla spalla.

E Wes si sentì solo.

Solo come non era più stato da molto tempo.

Solo.

Helen era morta.

Per amore.

Perché non aveva seguito le regole, si rimproverò mentalmente. Pentendosi di non averla messa in guardia innanzi alla sua impulsività, l'ultima volta che si erano parlati.

Senza ricordare la promessa, senza ricordare altro che il suo sorriso ed il suo sguardo brillante.

Dio, quanto era stata bella, nel parlargli della cacciatrice. Come se ne avesse tratto una certezza ormai sopita. Scioccamente persa dietro un sogno.

Se solo fosse stata più accorta.

Se solo fosse stata più distaccata.

Non bisognava affezionarsi in quel modo… cosa si poteva guadagnare, se non un pianto sincero?

Rimase seduto al suo posto, composto, a chiudere il suo cuore con un lucchetto, a cercare di porre un muro tra se ed il resto del mondo.

A disciplinare la sua anima.

Per incasellarsi.

Con la sottile contraddizione di non ricordare come stesse già disubbidendo, seduto da solo in un refettorio ormai vuoto.

 

Di Faith non si seppe più nulla.

Sparì, dopo la morte di Helen. E, nell'inverno di quello stesso anno, venne notificata la sua presenza sopra la bocca dell'inferno. Le due cacciatrici riunite!

Quale scalpore!

Nei corridoi i pettegolezzi si fusero con le maldicenze su Helen.

Wes, marciando più impettito che mai con i libri sotto il braccio, cercava di ignorare la spina nel cuore che gli provocavano quei sussurri.

Chi mai, se non l'Osservatrice, poteva aver educato la ragazza ad allearsi con un'altra sua pari? Era una prova di incompetenza, sotto molti aspetti… la ragazza non si era rimessa alle decisioni del consiglio, non aveva richiesto un nuovo Osservatore. E si era sentita libera di prendere contatti con l'altra cacciatrice, magari con l'ardire di accampare gli stessi diritti…

E ancora.

Ancora.

Molte cose si dissero su Helen e sulla sua morte. Ma nessuno sprecò mai un parola per la donna bellissima che era stata e che aveva camminato tra di loro avvolta nella seta leggera color del tramonto.

A gennaio, in un freddo e nevoso mattino, Westley Whydam-price venne designato a divenire Osservatore di entrambe le cacciatrici.

Ed i sussurri cambiarono soggetto.

Partiva per l'america.

Per sostituire l'illustre Giles, caduto in disgrazia per aver disubbidito agli ordini. Per mettere ordine in una situazione non troppo chiara.

Westley, con il cuore pieno d'orgoglio, preparò le valige e partì, con sogni ambiziosi e speranze.

Non si ricordò di mettere in valigia il suo cuore e l'amore. Partì con i suoi libri ed il suo buonsenso.

Lui, giunto da nulla ed ora Osservatore di entrambe… entrambe, senza distinzioni.

Senza comprender quanto grande fosse il bisogno di amore di una sola.

Tradendola, prima ancora di vederla varcare la soglia. Nel momento stesso in cui, sollevando un sopracciglio, la ragazza apostrofò il suo discorso di presentazione.

"Nuovo Osservatore?"

Eh già. Nuovo osservatore. Saggezza dei tempi , poco più di dieci anni di differenza e nessuna voglia di sottomettersi. Faith lo aveva squadrato, con un mezzo sorriso.

E sarebbe bastato poco per conquistarla.

Poco.

Poco. E si sarebbero ritrovati entrambi.

 

Westley aveva sbagliato.

Capendo troppo tardi.

Pagando i suoi errori. Amaramente.

Incapace di vedere la catastrofe all'orizzonte.

Fino a quando non fu evidente.

Ed ormai incontrollabile.

La notte del tradimento di Faith, irrompendo nella villa di angel, con Giles a fianco, le trovò entrambe, in ginocchio, una di fronte all'altra. Con le armi puntate alla gola.

La bilancia in equilibrio perfetto.

Le sue cacciatrici.

Le sue. Mai state sue.

Faith afferrò Buffy per la nuca e le baciò la fronte, sotto i suoi occhi.

Prima di svanire nella notte.

E Wes, impietrito, non seppe far altro che ricordare Helen e quel gesto che la contraddistingueva.

Helen.

Che con quel gesto riportava sempre la luce.

 

I suoi sbagli.

La sua promessa mancata.

Sentirsi responsabile di due Cacciatrici solo per averle ottenute da un consiglio di uomini.

Né cuore.

Né amore.

Calcolo.

Razionalità.

Rifiuto innanzi al dubbio.

Ancora sbagli.

E sbagli.

Ancora tradire Faith, con il ricordo di Helen piantato nella carne viva.

Capire e negare.

Perdersi.

Fino ad un'espulsione dall'Ordine.

Un danno liberatorio.

 

Fu il dono di quella calda ed umida estate. Alla presenza del consiglio, in piedi, innanzi al tavolo spartano.

Esposto, alla gogna.

Ed infine condannato.

Per poi uscire e camminare. Nel parco.

Da solo.

A braccetto con i ricordi.

Helen…

Mai svanita?

Helen, con i suoi attimi di lontananza, Helen che vedeva troppo lontano e viveva troppo intensamente.

Con lo sguardo pieno d'amore per Faith. Helen, sempre nello sguardo di Faith.

Helen, morta perché credeva in ciò che faceva. Helen, quasi invidiabile.

Westley camminò con le mani in tasca e la barba un po' incolta, sorridendo per il sole che lo stordiva, così inusuale sull'Inghilterra. Fino al lago, in mezzo ai moscerini… con un mazzo di fiori di ciliegio, da abbandonare sulla riva.

Giunto fin lì, per pensare.

Per appoggiarsi al tronco del vecchio cedro.

Ma anche il suo riflesso era svanito, dall'acqua del laghetto.

 

Fece le valige e ripartì. Ripartì per l'america.

In aeroporto, aspettando il suo volo, acquistò un piccolo portachiavi smaltato.

Un piccolo fenicottero rosa.

Chiavi e fenicotteri….

E la cosa non lo sorprese poi molto.

 

Parlavano ancora intorno a lui?

Wesley si riscosse, abbandonando l'agitato corso degli eventi, scoprendosi a giocherellare con il mazzo di chiavi ed il piccolo fenicottero ormai sciupato.

Tornando al presente.

A Faith.

Ora era la sua piccola Faith.

Non aveva più pensato ad Helen da molto tempo. Non aveva mai detto a Faith quanto le avesse voluto bene. Non aveva mai detto a Faith che la conosceva.

Perché…

Perché solo adesso, con la paura di non poterglielo dire mai più, ricordava tutto questo?

A capo chino come chi è sconfitto.

Lasciato ai suoi ragionamenti ed accompagnato da una pigra conversazione, regolare come la pioggia che aveva ripreso a cadere. Helen aveva amato Faith come si ama il proprio opposto.

Faith, nella pioggia. Faith come la pioggia, sempre in caduta.

Helen, come lo stagno, quieto e luminoso.

La stessa sostanze e le sue due forme.

Le donne di Westley.

E la paura di averle tradite entrambe.

 

Ora le voci non c'erano più. Angel e Cordelia non erano più nell'ingresso e Lorne, in piedi a fianco della poltrona, si stava silenziosamente infilando la giacca.

La notte era passata.

La notte era fuggita con Faith.

"Perdonami." - mormorò, alzando la testa e sbattendo le palpebre per la luce del lampadario - "Non sono di molta compagnia."

"Tutt'altro, Westley." - sorrise Lorne - "Tutt'altro. Lo sai, in certi frangenti, le parole sono superflue."

"Mi dispiace, Lorne, ma non sono d'accordo. Mai, come ora, mi pento delle parole che non ho mai detto…" - e di quelle che ho sprecato….

"forse hai ragione…" - Lorne chinò il capo un istante, prima di trovarsi Wes di fronte, in piedi.

"Era… ferita?" - domandò, quasi temesse di dare concretezza alle sue paure nel solo formularle.

"Un po' sbattuta. Niente che non sia fatta già altre volte." - era finalmente giunto il momento - "Wes, mi ha lasciato un messaggio per te."

Tacquero un istante, in attesa di essere pronti.

"Mi ha detto di dirti che ha con sé un ciondolo…" - Lorne avanzava cautamente tra le parole. Per essere certo di non sbagliare - "si tratta di una piccola rosa in ambra, con una fogliolina d'argento brunito. Me l'ha mostrata e ha detto che …"

"Mi ha detto che tu avresti capito…"

Capire…

Wes capirà…

Faith aveva realmente detto una cosa del genere? Lorne, non stai cercando solo di confortarmi?

Lorne…

Non poteva crederci. Non osava neanche domandare ancora. Tratteneva il fiato, fissando quel demone dritto in viso. Come se, per una volta sola, potesse essere lui a leggerne l'anima.

La rosa d'ambra… il regalo troppo da Osservatore…

 

"Faith…" - Wes la fermò, mentre varcava la porta. Anch'egli aveva radunato poche cose e la sua valigia di pelle stava già pronta, alla base delle scale, quando Faith era finalmente scesa - "Aspetta, ho una cosa per te…"

Le porse una catenina e, senza aspettare il permesso, le cinse il collo, per armeggiare con la chiusura.

Faith strinse il ciondolo tra le dita e lo portò al viso, per vederlo meglio.

"l'avevo comprato per il tuo compleanno, ma poi mi è sembrato un regalo così da… Osservatore." - le sorrise, un po' tirato - "E' un simbolo in ambra. Serve a proteggere dagli spiriti maligni e demoniaci. So che, con il mestiere che fai, la croce cristiana è più appropriata, ma un po' di superstizione non guasta…"

Faith tenne nel palmo della mano quella piccola rosa dai baluginii dorati. "E' bellissima, Wes, grazie. Non ho mai avuto nulla di tanto bello." Lo abbracciò. Di impulso, protendendosi sulle punte, per cingergli il collo, sentendolo chinarsi e sollevarla da terra, appena, per ricambiare.

Strappandole un sorriso.

 

Wes capirà… bambina mia… e se fosse che sei nei pasticci perché non ti ho capita? Oh, piccola, piccola.

Come è mai possibile tutta questa fiducia nei miei confronti….

 

Amore…

Helen…

Amore,carissimo, amore.

Non puoi sbagliare, quando parli con il cuore…

Non negare amore alla cacciatrice…

Ella non ti chiederà altro… Non troverai in nessun libro le spiegazioni per far funzionare l'anima di una Cacciatrice…

Oh, Helen, quanto ti fidavi di me…

Oh, Helen, quanto tempo per riuscire a capire…

Amore.

Solo amore.

 

"Non importa se adesso per loro sei una Cacciatrice." - le sussurrò,in un orecchio - "Per me lo sei sempre stata. Ed essere stato il tuo Osservatore, per breve tempo e commettendo un sacco di sbagli, è comunque stato un grande onore a cui non ero pronto."

 

È vero.

Ho capito Faith, ho capito veramente.

Ora so dove stai andando, cosa stai cercando. Ora so che non sei partita da sola.

Ci sono io con te.

Ho capito Faith, ho capito veramente.

Sono ancora il tuo Osservatore.

L'avevo promesso.

Me ne ero dimenticato.

L'avevo promesso.

Chiuse gli occhi, solo un istante. E gli sembrò di sentire ancora le labbra morbide sulla sua fronte.

 

Un istante lungo una consapevolezza.

Ma Lorne attese.

Attese, fino a rincontrare gli occhi profondi di Westley Whydam-Price.

Sorrise.

E attese ancora.

"Ho capito." - ricambiò il sorriso, spontaneo - "Grazie."

Grazie.

 

V

"Dimmi qualcosa…" - mormorò Spike.

"sei tu che dovresti parlare…"

"questo lo so anch'io, Doyle! Ma se tu dici qualcosa, io posso risponderti e…."

"e sbloccarti. Ok, capito l'antifona." - doyle sospirò, massaggiandosi le tempie -"Sai…"

"non prenderla alla lontana."

"non è nelle mie intenzioni. Stavo giusto dicendo che trovo buffo, il gioco delle parti. Angel che picchia buffy per Faith, tu che picchi Faith per Buffy…"

"Non ho picchiato Faith." - replicò pacatamente, ignorando la palese provocazione.

"Ma avresti voluto…"

"È lei che ha picchiato me…"

"E sai anche che ha fatto bene."

"Certo… puro masochista… picchiami, picchiami perché sono cattivo!"

"Hai ragione…" - rise doyle -"non è consono al tuo carattere. Del resto vivi con Angel, che di autolesionismo si intende…"

"Sempre quando non sono gli altri a cercare di stroncarlo…" - mormorò Spike -"E' per questo che sono arrabbiato. Di tutte le cose che potevo inventarmi, ho investito gli ultimi anni a perseguitare la donna della sua vita. E gli ultimi mesi ad ossessionarmi con il suo ricordo. E adesso… niente. Un bel niente."

"E di lei non sei innamorato." - con una punta di malizia, anche Doyle avrebbe voluto sentire la famosa ammissione che tanto sconvolgeva Angel. ma Spike era propenso a parlare d'altro.

Aveva ragione. Gli serviva solo un imput.

"tu sai come è andata. Mi sono sobbarcato sua sorella. Io adoro quella bambina. Chiamarla bambina non le fa onore. È cresciuta, è diventata bella e forte. Io… sono stato in paranoia, veramente." - riusciva pure a sorriderne - "Non mi spiego neanche il perché, ma ero terrorizzato dall'idea che avesse dei problemi, o che si chiudesse in se stessa, tanto da non riuscire a raggiungerla. E poi, c'era sempre lei, Buffy. ne abbiamo parlato tanto, non volevo che diventasse uno di quei tabù stupidi… solo che più ne parlavamo, più ricordavo cosa mi piacesse di lei. Angel ha ragione. Non sono mai andato tanto d'accordo con Buffy come in questi mesi che non c'era. Prima era tutto una lotta ed una discussione. Una gara a tirarci stoccate."

"Non avevi l'anima allora, Spike." - mormorò Doyle, per arginare quella punta di rimorso.

"Mi spiace contraddirti. Ma l'ho fatta piangere anche l'ultima volta che ci siamo visti. Per via di Faith. Una buona causa. Ci siamo fatti male a vicenda, tanto per cambiare, ma non mi pento. Vorrei solo che Angel…"

"Che Angel capisse?"

"No, quello non è un problema. Angel capisce troppo per i miei gusti."

Angel dice la stessa cosa di te…

"Vorrei capire, io. Ma non si tratta di Buffy. E'… Faith. Cioè… ma no, forse non è nemmeno lei… "

"E se non è lei…" - incoraggiò Doyle. Era vagamente deluso. La grande verità non gli era sfuggita di bocca per un pelo.

Iniziava quasi a dubitare delle sue supposizioni.

Delle sue poteva anche… ma Cordelia era dichiarata disposta a giocarsi metà stipendio, sulle intenzioni di quei due…

E cordy con i soldi non scherzava.

"E se non è lei… bhe, allora sono io!" - esclamò, tirando un calcio alla prima lapide sotto mano - "Sono io che ho detto delle cose tremende sul suo conto! Sono io che devo sempre incasinarmi la vita con le cacciatrici. Sono io che ho corso per tutto il mondo inseguendo tutte quelle che le hanno precedute nell'ultimo secolo! Io, sempre io, che non riesco a levarmele dalla testa! Io!"

aveva accelerato il passo. Camminava, girandosi a fissarlo in faccia, per sottolineare i concetti più importanti. Ma la sostanza non cambiava, frase dopo frase.

Spike aveva un grosso problema.

Le Cacciatrici.

Semplicemente.

"Sai chi è stata la prima a farmelo pesare? Drusilla! Dru mi ha mollato perché diceva di sentirmi addosso l'odore della Cacciatrice!"

"Stai scherzando, vero?" - doyle si fermò di botto e lo fissò, sbarrando gli occhi chiari.

"Scherzare? Io non ho nessuna intenzione di scherzare!" - Spike stava al centro dello stretto passaggio con le mani in tasca - "Ho portato Dru in Messico dopo aver lasciato Sunnydale e lei, a parte dare di matto come suo solito ed essere leggermente più … scostumata, mi ha accusato di essere cambiato, di essere ossessionato dalla Cacciatrice! Il suo odore addosso… io volevo fare il bagno nel suo sangue, non ritrovarmi in questa situazione!"

Sembrava esasperato.

E sembrava cullarsi nella sua oratoria per non lasciarsi andare.

Doyle lo fissò, mentre proseguiva a camminare e parlare, sventolando le mani e saltando su e giù dai muretti e dalle lapidi.

Non voleva ammettere nemmeno con se stesso ciò che gli bruciava il cuore.

E non voleva concedersi ancora il lusso di parlarne.

"Spike…" - lo chiamò, interrompendolo - "Perché adesso non mi dici realmente come stanno le cose?"

"C…cosa?" - domandò l'altro, perdendo il filo del discorso.

"Negli ultimi dieci minuti ho saputo di te molto più di quanto potessi sperare. Ma non era quello che volevo sapere." - si era fermato, ormai erano veramente vicini al quartiere di Buffy - "Perché non hai chiesto aiuto. Perché sei affondato così, senza che nessuno se ne accorgesse…perché, Spike."

come poteva rispondere ad una domanda del genere.

"Non ha importanza." - insistette testardamente Spike, focalizzando lo sguardo su un punto lontano - "Quello che veramente mi brucia è ciò che ho fatto a Faith."

"Spike… quella è la tua coscienza. È normale che si faccia sentire. Ma io ti chiedo cosa senti dentro al cuore. Cosa hai sentito, fino a stasera."

Doyle non sapeva se la strada percorsa fosse quella giusta. Non sapeva come mediare tra ciò che conosceva di Spike e ciò che realmente era.

Il problema erano i segreti, la stretta corrispondenza che sembrava intercorrere tra loro. L'anima di Spike, tornata da chissà dove era stata indirettamente la causa di ritorno di Doyle.

Era l'anima che sfidava ogni spiegazione ed ogni futuro.

Era il mistero che legava i misteri. Era un tassello indispensabile nella scacchiera, nella partita che Angel conduceva contro il male.

Tornata come quella di Angel, con una motivazione paradossale ma umana come può essere solo la vendetta?

No, forse no.

Ma era un quesito che conduceva troppo lontano.

E Doyle lo represse, con violenza, insieme ai ricordi che non poteva più avere.

"Io penso…" - Spike si appoggiò al sarcofago alle sue spalle, come se la risposta gli pesasse addosso come un macigno - "Penso che Faith lo abbia capito e che io l'abbia trattata male per questo… Il mio dolore imbastardito…"

Come sapeva sorriderne, cinico ed esasperato.

"ricordi la nostra conversazione, quel giorno, il giorno del funerale? Ti ricordi, mi hai detto che non l'amavo… avevi ragione, avevi dannatamente ragione. Non l'amavo. Ma la desideravo alla follia. E continuo a desiderarla, senza possibilità alcuna, a modo mio."

Camminava,lentamente, quasi in tondo. E non gli andava di interrompersi e dare spazio ad una risposta….

"Faith mi accusato di questo, dopo che io le ho urlato contro… ha detto che era la consapevolezza di non avere possibilità alcuna con Buffy che mi rendeva furioso…una verità che le è sfuggita di bocca, solo per ferirmi. Una verità che non era una verità, detta solo perché non riuscivamo più a controllarci…" - una cattiveria, non ci credeva nessuno dei due, ma faceva male ad entrambi - "Faith era già arrivata a bersaglio, Doyle. Perché sapeva che mi sentivo beffato semplicemente dal destino. La mia missione, Doyle…la mia missione…

C'è una sola domanda Doyle, una sola che non mi ha lasciato in pace, da quando è morta Buffy… fallirò? Fallirò nel mio compito? Ho fatto di tutto, ma era sempre in agguato. Fallire… non ho conosciuto pace per questo dubbio…"

"Il fallimento è una possibilità in ogni vita. Può succedere. Il suo peso può veramente schiacciare. Ma tu non potevi, perché non hai sbagliato nemmeno quando era poco probabile che tu riuscissi…"

Era una frase strana, piena di mistero. Ma Spike era un fiume in piena. Sapeva che se avesse interrotto il corso dei pensieri, sarebbe stato nuovamente solo. Seguitò a parlare, a ripetersi, gettando occhiate lontano.

Sembrava cosa da poco, ora, tra le labbra. Sembrava sciogliersi come neve al sole, la sua paura, il suo blocco, il macigno che gli premeva sul cuore. Non alfine la paura di sbagliare. Sotto di essa, la paura di essere escluso.

"Angel… angel ha così chiara in mente la sua Redenzione… ma io, io non sono come lui. Questa sembrava la mia occasione… sembrava una missione da affrontare da solo. Perchè no, io amo il posto al centro della ribalta. Io, le mie certezze finite in fumo per un'anima dannata…"

"Proteggere Dawn…" - Doyle annuì tristemente - "Lo so, Spike, ci ho pensato anch'io molto.

Il ritorno di Buffy stravolge tutto quello che ti dissi..."

"Non sono certo di voler tornare ad essere nessuno."- la paura era scivolata fuori dalle labbra, inarrestabile.

"Non succederà, Spike." - ribattè lentamente, ma con voce ferma - "Il tuo ruolo è assegnato. Parte del tuo destino si è compiuta. Sei il custode di Dawn. Lo sarai sempre. E se ne dubiti, basta che tu glielo chieda…."

Non si sarebbe mai aspettato una risposta del genere. Chiedere a Dawn. Il suo rapporto con Dawn si basava sulle risposte che sapeva darle, non su quelle che poteva ricevere.

"Il futuro di Dawn… Dawn è la Chiave anche per la tua vita." - Doyle soffiava le parole fuori, precipitosamente - "Io non so, non so se posso realmente dirti quello che vuoi sapere o se, a metà di una frase, le Alte Sfere mi trapaneranno il cervello per farmi tacere.

Ma questa risposta ti spetta Spike, al di sopra di ogni gerarchia ed ogni dovere. Il tuo ruolo non cambia, Spike. Nessuno solleverà dalle tua spalle questo peso che apparentemente ti trascina a fondo. Perché è parte di te."

Sentiva le labbra chiudersi a forza. Già sapeva che il resto non gli sarebbe stato permesso di dirlo. Tacque.

Tacque, continuando ad urlare disperato nella mente. Urlare le verità che avrebbe preferito non dover custodire.

"Ne sei certo, Doyle?" - Spike cercò di accendere una sigaretta.

Non riusciva a controllarsi.

La mano gli tremava.

Doyle gli sfilò l'accendino dalle mani e gliel'accese, senza un commento. Non disse nulla, per confortarlo, per minimizzare quell'attimo di debolezza.

Nel suo sguardo si sarebbe potuta leggere la determinazione ed il suo credo.

Avrebbe sfidato il destino ogni qualvolta fosse stato necessario, per la vita dei suoi amici.

"Non è tornata perché tu non eri all'altezza…" - sussurrò. Ignorando le fitte lancinanti che gli attraversarono il cervello. Le nascose per non spaventarlo, per non fargli comprendere cosa avesse appena fatto.

In fondo non gli importava del dolore.

Spike lo guardò, indecifrabile, prima di chinare il capo.

Rideva. Rideva asciugandosi gli occhi, scosso fin in fondo alla sua essenza, mentre Doyle prelevava una sigaretta e l'accendeva, girandogli la schiena.

Rimasero così, ignorandosi, ognuno con i suoi pensieri. Ognuno a fare i conti con ciò che doveva essere.

"E' tornata perché l'hanno richiamata indietro, Spike." - non si girò, riprese semplicemente a parlare - "Non perché avesse realmente un motivo. Dovrà ricrearsi il suo spazio e non c'è nulla di invidiabile in questo. Non c'è modo di sapere come andrà a finire la sua nuova vita… vivrà, Spike. Ma questo ritorno non era scritto."

"Cosa dovremo dare in cambio, Doyle? Ho stroncato Faith per rimettere in pari la bilancia? Ero il mezzo necessario al destino? Doyle, faith pagherà perché, come al solito, alla fine, sceglieremo Buffy?" - restava solo quest'ultimo dubbio.

"Qui non si tratta di poter scegliere, Spike. a quanto pare nessuno può farlo in questa partita. Nessuno, tranne una." - come suonava stanca la sua voce, come se il peso delle loro parole lo schiacciasse - "Buffy, buffy aveva chiaramente scelto, non credi? Era la sua vita, ne ha disposto come meglio credeva, probabilmente cambiando come suo solito le sorti del mondo. Come al solito non ha seguito un piano prestabilito. Ma questo non ha importanza. C'è sempre una possibilità di ignorare le paratie del destino, che dipende dalle nostre forze, da chi siamo.

Anch'io ho paura per Faith e non so quali saranno le conseguenze di questo ritorno. Ma la paura non ci darà risposte, Spike. faremo ciò che dobbiamo."

"E se fosse tutto senza un perché?"

"il perché non cambia ciò che faremo, Spike. Si scelgono le azioni, non i ruoli…." - si girò e gli sorrise - "Almeno, nel nostro caso, dobbiamo stare al gioco…"

 

"Io ho qualche difficoltà ad aiutare Faith, se mi trovo a Sunnydale…" - borbottò Spike, spegnendo il mozzicone con la punta dello stivale.

"Avresti le tue difficoltà anche a Los Angeles…" - Doyle tornò ad avvicinarsi - "Faith è fuggita da te, lo sai bene… non c'è modo di trovarla. Potrebbe riuscirci Wes… oppure Angel. Non io. Non Cordy. Non tu."

"Bella consolazione…" - sbuffò l'altro, tornando a esibire la sua faccia tosta - "Ma tu non eri il consolatore dei disperati ed il conforto degli afflitti?"

"Io? E da quando! Sono uno che sa farsi gli affari suoi ed ha tanto buonsenso." - ribattè per le rime, spalancando gli occhi - "Mi hai preso per un ente di sostegno?"

E poi gli sorrise.

Un'occhiata che valeva mille discorsi.

Come amava dire Angel.

"E con Angel?" - lo chiese senza pensare.

E per un attimo, diede per scontato che Doyle non capisse.

Come lo conosceva poco…

"Angel? a parte il fatto che potresti appellarti alla sua improba pazienza…" - replicò allegramente l'altro, prendendolo a braccetto e riprendendo la via - "Io penso che la tua storia con Buffy sia archiviata da parecchio tempo…"

"Però dovrei dirglielo." - continuò testardamente. Iniziava a prenderci gusto a scaricarsi la coscienza.

"Vuoi dirgli una cosa che già sa?" - gli chiese, fermandosi.

Stavano di fronte ad un'altra cancellata. Avevano attraversato il cimitero di Sunnydale da un estremo all'altro.

"Potrei anche…" - mentre già gli veniva il dubbio di averlo fatto, nello sproloquio di poche ore prima - "Oppure potrei dirgli che, a parte una sana attrazione fisica, non c'è nient'altro."

"Segui il mio consiglio… non metterti a rinvangare. Sei talmente ispirato che confesseresti pure il compio copiato in terza elementare…" - disse, arrampicandosi e saltando dall'altra parte.

"Ehi, Cantastorie! sfotti?"

"Non potrei mai." - si fermò, per aspettarlo - "anche se avrei voglia di vederti… angel, senti, la tua ragazza mi piace da palpare… oppure ciao Angel, la tua ragazza ha un fondoschiena da urlo."

"Non è la sua ragazza." - precisò l'altro con una risata e, voltandosi, nell'incontrare lo sguardo di Buffy, in un soffio aggiunse - "Non è mai stata la ragazza di nessuno…"

 

Trovarsela di fronte.

Non era mai stato realmente pronto.

Non ci aveva neppure pensato.

Buffy viva a parole, era un'altra cosa.

Eppure non era altro che Buffy.

Indossava un maglioncino nero, attillato, a maniche lunghe.

Come se la temperatura calda dei primi di settembre fosse troppo poco per lei.

Portava i capelli legati, in una lunga coda bionda.

Erano davvero così lunghi? Spike non ricordava.

Non ricordava quegli zigomi affilati, quegli occhi verdi… le braccia conserte ed il paletto tra le dita.

Come se fosse una penna, un pettine oppure un pennello da cipria.

Buffy, con la sua bellezza da ragazza normale.

Non più una ragazza normale, si corresse. Se mai era stata normale .

"Buffy." - più che un saluto era un riconoscimento.

E lei lo sapeva.

"Spike." - rispose, con voce neutra - "E Doyle, giusto?"

"Giusto." -annuì lui - "Piacere di vederti, Buffy. veramente."

"Grazie." - non sembrava disposta a dire più dell'essenziale - "Come mai qui?"

"Non di certo per ammirare il miracolo." - replicò Spike.

Era stato brutale.

Se ne rese conto troppo tardi. Buffy lo stava già intendendo come un disinteresse. Abbassò lo sguardo e, con un tono duro, ribattè per le rime.

"Sono di ronda. Devo andare."

Gli passò a fianco, con passo veloce. E Spike l'afferrò per un polso.

"Buffy, aspetta."

Si stava ancora voltando, ma il paletto era già a sfiorare il suo petto. Abbassò lo sguardo sorpreso, come se non ricordasse come poteva essere veloce. E letale.

Fissando il paletto, e la mano che si frapponeva tra la sua maglietta e la punta lignea.

Stringendola, serrandola come un fodero.

Anche Doyle sapeva realmente essere velocissimo.

Non amava sfoggiare i suoi poteri a demone.

E nessuno, fino a quando non li vedeva, si capacitava che non fosse solo un umano molto sensibile.

Adesso stringeva il paletto, lo serrava nel palmo, non curandosi affatto delle schegge che già gli erano penetrate nell'epidermide. E Buffy lo guardava con sorpresa.

Spike fissò quella mano. Non sapeva se e chi ringraziare. Non sapeva se buffy l'avrebbe veramente ucciso o soltanto minacciato. Come faceva una volta.

Era realmente la Buffy di sempre? Dawn aveva detto di sì. E sì avevano detto gli altri interpellati.

La guardò, dimenticando per un attimo il suo sguardo ironico, la sua espressione dura ed il suo contrastato rapporto con Buffy. Si sentì soltanto ferito. E quel dispiacere gli trasparì dal viso. Un'altra goccia in un vaso ormai quasi colmo.

Anche Buffy sembrò notarlo, prima che la durezza lo nascondesse. Abbassò la mano, mentre Doyle lasciava andare la presa. Lo guardò, mentre con un passo indietro e con il tono di sempre la fissava in volto.

"piacere di rivederti, Buffy."

non si erano capiti, ancora una volta.

Erano cambiati.

Ma tra loro tutto era immutato.

Odio.

E amore.

Scosse il paletto, come per liberarlo dal desiderio malvagio con cui l'aveva mosso. E lo ripose nella tasca dei jeans, per dimostrare, come poteva, le sue intenzioni pacifiche.

Ma non poteva chiedergli scusa.

Non poteva.

Lo fissò, sperando capisse.

Sperando di capirlo, almeno una volta.

Ma Spike abbassava lo sguardo e rifiutava di incrociarlo con il suo.

"Buffy." - la chiamò Doyle. Tranquillo, come se non avesse appena evitato un omicidio - "Io sono venuto a parlare con te."

Era pacato e sereno.

Buffy non ricordava di essere stata vicina ad una persona che emanasse una tale quiete.

Lo conosceva. Di fama, più che altro.

E l'ultima volta in cui gli aveva parlato, Doyle non era stato altro che il messaggero chiamato Cantastorie. Colui che le aveva posto in mano una spada e le aveva detto di uccidere il suo amore.

Anche se si sentiva morire dentro.

L'aveva detto con un sorriso.

Senza smettere di essere un calmo specchio d'acqua.

Colui che dispensava la morte come se fosse la pace tanto agognata, colui che condannava l'amore senza il rancore.

"No. Cantastorie. No." - Buffy fece un passo indietro, senza staccare gli occhi dal volto di lui - "Nessun messaggio."

"Nessun messaggio. Solo parlare." - Doyle era forte, armato delle sue certezze- "Non ci sarà sacrificio o vendetta, Buffy. Solo parole."

 

Di cosa stavano parlando?

Spike era stato fermamente convinto che non si conoscessero. Fino a quel momento non si era nemmeno posto il problema del perché Doyle volesse così tenacemente andare a Sunnydale.

Doveva parlare con Buffy. Mancava solo il perché.

Buffy, di fronte a lui.

Spike non voleva guardarla. Non voleva scoprire come fosse distorta nella sua mente. Scoprire che era ancora più alta e più bella che nei suoi sogni. O meno vibrante e ridente.

Buffy aveva chiamato Doyle Cantastorie. Possibili che quel pestifero demone irlandese avesse avuto a che fare con tutti loro?

No. Non con tutti.

Spike sapeva di non averlo incontrato prima della fondazione della Angel Investigation. Mai.

Mai?

Buffy non si fidava. Non poteva fidarsi.

"Devo andare." - ripetè.

"No." - sorrise Doyle- "Non puoi."

Poneva un veto alla cacciatrice! E con un sorriso perfetto!

Nessuno le poteva parlare in quel modo.

Gli occhi di Buffy divennero due fessure roventi. Le braccia incrociate, la posizione di difesa non lasciavano intendere che avrebbe accettato l'invito.

"Sono libera di rifiutare." - rispose glaciale.

"Ma non lo farai." - Doyle non arretrava un millimetro. E, quel che era peggio, non la prendeva realmente sul serio - "Buffy, possiamo stare qui fino all'alba e più ancora, a discutere sul perché dovresti ascoltarmi. Ma ci guadagneremmo solo un mucchietto di polvere di Spike. e non sono nemmeno se questo ti dispiacerebbe, visto che hai appena cercato di ammazzarlo."

Spike si mosse, inquieto. Poi, dopo un'esitazione, mentre la rabbia iniziava a prendere il sopravvento, si girò, incamminandosi.

"Vado da Dawn. Non mi faccio immolare per colpa di due testardi. Chiamatemi quando avrete finito di discutere."

Buffy lo guardò allontanarsi. Ma Doyle non lo degnò di un'occhiata. La fissò in viso e attese.

Attese.

Fino a quando Spike non svoltò l'angolo e l'attenzione di Buffy fu nuovamente sua.

"Possiamo parlare, Buffy?" - domandò ancora.

E non si stupì molto, quando la vide annuire.

"Andiamo." - aggiunse - "C'è un posto dove possiamo prendere un caffè?"

Le sorrise.

E le offrì il braccio.

Come nessuno aveva mai fatto.

Come un gentiluomo d'altri tempi.

Stupendola ancora. E stupendo se stessa, nell'accettare la gentile offerta.

 

VI

"Ciao Briciola." - borbottò, entrando dalla porta sul retro, senza aspettare invito.

Era andato e venuto così tante volte che c'era da stupirsi che non avesse scavato un solco nel prato di casa.

Dal nulla si materializzò Willow, armata di scopa.

La teneva alta sopra la testa e cercava di essere minacciosa.

"puoi volarci con quella." - replicò Spike, levandogliela di mano e lanciandola nel ripostiglio - "Ma come arma non serve a niente. Dov'è Briciola?"

"Ah, Spike. sei tu."

"Credevo che questa parte l'avessimo già superata. Ma fa lo stesso. Ciao Willow come va sono passato per caso sai dov'è Dawn?"

"accidenti… come parli in fretta." - replicò la ragazza con un sorriso ammirato.

Spike alzò gli occhi al cielo camminò spedito verso il soggiorno.

"Briciola!" - urlò, affacciandosi alla tromba delle scale.

"Arrivo." - rispose una voce dall'alto. Poi, in un turbinio di capelli castani, apparve dawn, affacciata alla ringhiera.

"Spike!"

Un urlo di pura gioia, percorrendo le scale di corsa. Poi una scivolata sul corrimano, dritta tra le braccia del suo eroe.

"Mi immaginavo che arrivassi, ma non così presto!" - esclamò, cingendogli il collo con le braccia - "Sono così contenta di vederti."

Era così esuberante e così sincera…

La strinse e seppellì il viso tra i suoi capelli. Non era certo di meritarsi qualcosa di così vivo e puro.

"Spike…"

"dammi solo un minuto, Briciola, uno solo…" - mormorò, assaporando quel calore con gli occhi chiusi, con il capo sulla sua spalla.

Fu così che li sorprese Tara, per un fuggevole attimo, prima di ritrarsi, imbarazzata.

Così.

Dawn ancora seduta sulla balaustra della scala, laddove il corrimano si allargava e curvava appena. Con i piedi a pochi centimetri da terra. E le braccia attorno al collo di Spike.

Erano abituati all'affettuosità di Dawn nei suoi confronti. Ma Spike non era mai stato così.

La sua testa bionda sulla spalla di Dawn, il viso seminascosto, così vicino al suo collo da far sussultare. Le braccia intorno al suo corpo sottile.

Tara strinse un po' più a sé i libri che aveva tra le mani, incantata da quella visione, da quei due corpi luminosi ed evanescenti, uniti.

Stretti.

Dawn alzò lo sguardo, come se un'ombra l'avesse attirata. E tara, con un sussulto, si ritrasse, tornando a poco a poco verso lo studio e la normalità.

"Spike…. devo preoccuparmi?"

Spike alzò la testa, arruffato, sorridendo.

"No. Solo una giornata molto faticosa. E tu?"

"La mia vita è sempre faticosa." - replicò lei, petulante, con un'alzata di spalle. Poi, con un cambio di tono, lo fissò negli occhi - "Spike, sul serio. Cosa ti succede?"

"Niente di cui dovresti preoccuparti." -replicò pacato. Dawn gli ravviava i capelli con entrambe le mani. Li tirava indietro, impigliando le dita. Aveva delle splendide mani da pianista, lunghe e sottili.

Il loro tocco era forte sul suo cuoio capelluto. Piacevole.

E Spike si sorprese a chiudere ancora gli occhi. Sentendo quelli di Dawn sul suo viso, brucianti di preoccupazione.

Era un tocco affettuoso, assolutamente innocente. Era così rassicurante…

D'un tratto sentì una di quelle mani sul viso. E spalancò gli occhi, sorpreso.

Dawn lo stava scrutando, con un'espressione mai vista.

"Spike…" - sussurrò - "Stai piangendo…"

sedettero sui gradini, sotto il portico. La via era tranquilla, deserta.

Sedettero vicini, come avevano fatto tutta l'estate.

Dawn l'aveva condotto lì, tenendolo per mano. Era rimasta in silenzio, cingendogli il collo con le braccia. E Spike, lasciandosi stringere, aveva perso lo sguardo nella notte.

"Mi vuoi raccontare?" - aveva sussurrato, dopo un po'. A quell'unica lacrima non ne erano seguite altre. Aveva serrato la mascella e non aveva ceduto, cercando un po' di conforto nell'oscurità.

"Che notte…" - rispose - "è così tranquillo, non avrei mai pensato che Sunnydale potesse essere così. A Los Angeles pioveva, non ti puoi immaginare…."

"Spike!" - gli teneva una mano. E non sembrava più la sua piccola Briciola - "non fare questo gioco con me, non far finta di niente, ti prego. Devi dirmi cosa ti succede… devi permettermi di aiutarti. Come tu fai con me."

spike si voltò a fissarla. E si sfilò il giaccone, per posarglielo sulle spalle.

"io sono un artista, Briciola. " - sorrise, nell'avvolgerla - "nessuno consola bene come me…"

"hai ragione. Ma lasciami provare…"

 

come erano grandi le parole… come potevano ostruire la gola. Scivolavano a fatica, facendosi attendere. Divenendo più fluide, poco a poco.

Una bella storia da ascoltare… oh, sì, gli sarebbe piaciuto…lentamente , come sorseggiare un liquore…

Dapprincipio…

 

"Non so di preciso come è cominciata… diamine, non è poi un grande inizio. Potevo inventarmi di meglio. E non so nemmeno se abbia importanza realmente.

È cominciata quando Buffy è venuta a Los Angeles. O forse no. Allora non ho dato molto peso al fatto. Ero solo furioso con lei, con il suo atteggiamento per via di… ma ci arriveremo con calma.

Buffy venne da me, per avvertirmi di Glory. Litigammo, io le dissi molte cose di cui forse mi son pentito.

Non pensavo di perderla così presto, non pensavo la perdessimo così presto.

Quando è morta… tu sei stata il mio pensiero. Tu ed Angel. tu ed Angel, come un rullo di tamburo nella testa, per non pensare ad altro.

Tu e lui, tu e lui, ininterrottamente.

Ininterrottamente.

 

Dapprima ci sono stati gli incubi.

Continui, non riuscivo a chiudere occhio senza che Buffy mi puntasse il dito contro.

Io, il mio senso di colpa…

Da lì, in poi, in certi momenti mi sembra di ricordare solo una discesa.

Sono stato male, male da impazzire.

E quando sono tornato a Los Angeles, dopo il funerale… è stato solo strano.

Ma sopportabile.

E quando mi sembrava di esplodere, venivo qui, dove potevo essere utile.

Venivo qui e parlavo con te. Poi andavo da lei, a raccontarle i miei casini. Le portavo i fiori e, grottescamente, mi sembrava fossimo una bella coppia.

Dio, che cosa macabra che ho detto…

Io e Buffy, senza litigare, lontani solo un paio di metri. Un paio di metri in profondità…

 

Si mise a ridere per questa descrizione. E non riuscì a fermare un'altra lacrima, strofinandosi furiosamente lo zigomo.

 

Andavo da lei, Dawn. Poi venivo da te. O viceversa, non ricordo.

La mia vita era perfetta.

Perfetta.

Tu eri la mia vita.

Lei la mia morte.

Ed io mi dividevo per entrambe.

A poco a poco il resto del mondo mi è sembrato svanire. E tua sorella è entrata nei miei sogni, lasciando i miei incubi… divenuta materia dei sogni… come diceva il vecchio William…

Avevo dovuto aspettare che uscisse di scena, per andarci d'accordo. Quando se ne è andata, io ho preso il mio posto sulla scacchiera. E sono divenuto tuo custode…

 

Dawn sentì un brivido lungo la schiena. Ma tacque.

Spike parlava, giocherellando come suo solito con quell'inseparabile accendino.

L'accendeva per fissarne la fiamma un singolo istante. Poi la spegneva, con uno schiocco del coperchio.

E così via, all'infinito.

 

Il tuo, soprattutto il tuo.

Verso Angel è sempre stata più una questione morale.. d'affetto, perchè no…pazzesco io che parlo di affetto, io, il Sanguinario…

Questa sì che potrebbe far ridere…

Il mio posto.

Il mio dovere.

I miei cari.

Ma non bastava. Non mi basta mai.

Mai.

Tua sorella, tua sorella mi è entrata dentro senza un motivo. Avevo un motivo per amarla nel rancore verso Angel… quando è cessato, ho perso anche l'amore per lei…

non so nemmeno quante volte l'ho ripetuto.

Il mio cuore appartiene alla stirpe delle Cacciatrici. Talvolta mi sembra di non aver mai amato nulla come la sete del loro sangue.

E Buffy… solo perché io non ero riuscita ad ucciderla, credevo che nessun'altro vi sarebbe riuscito…

Nulla.

Nulla come inseguirle, sentire il loro cuore battere più veloce… anche quello di tua sorella accelerava con me. E non ho modo di quantificare il gusto che provavo.

E quando non ha più battuto, mi sono illuso di poterlo sentire ugualmente.

Poi è arrivata la tua telefonata, Dawn… ed io sono stato il più idiota della terra.

Il più idiota.

Avevo fatto di tutto per colmare il vuoto lasciato da lei.

Tutto.

E nel farlo, ho abbandonato me stesso.

Ho smesso di suonare, ho smesso di scrivere…

 

Lo ascoltava trattenendo il fiato. Assimilando ogni parola ed ogni emozione.

Ogni ammissione…

 

E ieri sera il mondo mi è crollato addosso.

Buffy non è mia…

Tu hai lei…

Ed io, per non so quale bastardo scherzo del destino, ho perso Faith.

Faith, già. Faith.

Perché lei sola mi ha affrontato, viso a viso.

Lei sola, su quel terrazzo, sotto quella pioggia torrenziale.

Non so…

È un attimo, Dawn. Basta un attimo per uccidere una persona nel cuore.

Io ho ucciso il cuore di Faith perché lei stava uccidendo il mio.

Faith, la sua unica colpa è lo spirito d'osservazione.

Le ho detto che era una nullità.

Le ho detto che era una puttana.

E lei mi si è spezzata tra le dita.

E poi è volata via.

Non so dove sia, Dawn. Faith è da qualche parte. Ed io non posso fare altro che pregare un dio… un dio? Quale dio, Dawn?

Quale dio pregano i demoni?

Non so nemmeno perché sono qui…

Faith, la mia amica, la mia confidente…faith la mia cacciatrice…

Doyle mi ha trascinato. Ha detto che non potevo oppormi, che sarei andato ovunque mi avesse condotto.

Doyle è fatto così… non si impone mai. E quando ti contraddice, ti parla con la voce che avrebbe il tuo cuore, se solo ti degnassi di ascoltarlo.

Doyle ha questa brutta abitudine, Angel me lo aveva detto… ti guarda e ti dice qualcosa del tipo alzati e cammina, oppure prendi la mia mano e seguimi … così, biblicamente.

Non puoi fare a meno di farlo. Non puoi non fidarti di Doyle…

Lui è il custode di Angel. lo è, lo sai, lo sarà fino alla fine dei tempi.

Stasera ha dato una forma alle mie parole…

Ha detto l'unica cosa ce volevo sentirmi dire, l'ha detta in fondo ad un lunghissimo discorso… ma è sempre così, sempre. Ti porta lontano, prima di raggiungere la luce.

Ha detto che Buffy non è tornata per i miei fallimenti.

Mi ha detto che non ho sbagliato, non ho sbagliato, nemmeno quando mi sembrava di affondare.

Io non volevo altro, Dawn, mia Dawn.

Null'altro che farti felice…

 

Appoggiava la guancia alla mano. E la guardava, affettuosamente. E non c'era niente in lui che non fosse uno sconfinato affetto.

E non poteva immaginare nemmeno come agli occhi di Dawn, fosse anch'egli puro e sincero.

 

Volevo solo renderti felice.

E non mi rendevo conto come tu rendevi felice me. Così tanto da non poterne più fare a meno.

E Faith è l'altro rovescio della medaglia.

E la ragazza che mi chiama vampiro e fa a botte con me.

È la ragazza che mi urla contro, con gli occhi che brillano. Che urla e poi picchia… non come quella peste di tua sorella…

 

Buffy… buffy si accompagnava ad un sussulto nello sguardo. Ma non per le fantasie di un'estate fuori dal mondo. C'era altro. Qualcosa di palpabile. Qualcosa che Dawn percepiva come un alito freddo.

Qualcosa che Spike le avrebbe narrato a tempo debito.

 

Faith, faith. Lei è la bambina di Angel, un po' come tu sei la mia. Non vi potremmo mai toccare con un dito, tale è la nostra paura che vi spezziate… mai avrei pensato di farle quello che ho fatto.

Mai.

Proprio io, Dawn.

Conosco il segreto che si nasconde nell'uccidere una cacciatrice. E non è la violenza. L'amore Dawn, io le ho sempre uccise con l'amore… e faith… faith…

 

La sua voce perdeva d' intensità. Poi risaliva, scivolando dolcemente verso un altro significato. Ed un altro ancora.

 

Doyle doveva parlare con tua sorella, non so nemmeno di cosa. Ma era deciso a farlo. E ce la siamo trovata di fronte mentre venivamo a cercarla.

Oh, Dawn, certe volte sono proprio un animale…

Avevo voglia di abbracciarla, di chiederle scusa per quel dannato giorno in cui non ho saputo salvarla. Avevo voglia di buttarmi in ginocchio e dirle che non avevo fatto altro che inquinare il suo ricordo a mio piacimento, dirle tutto questo, e invece…

Invece è stato come cadere dalla torre, Briciola…

 

Si teneva la testa tra le mani. Poi stringeva i pugni, tra loro, fino a far scrocchiare le nocche, posandovi testardamente il mento. Non poteva fare a meno di parlare,senza guardarla.

 

Ho cercato di fermarla. Non volevo che andasse via. Volevo sapesse che era Buffy, anche se tutti probabilmente la trattano come un pezzo unico… come un caso paranormale… non deve piacerle, odiava che lo facessero con te. Ed ora è lei.

Lei è diventata un fenomeno, un miracolo…

Ho cercato di fermarla e lei… lei per poco non mi ha ucciso. Forse non saprò mai se voleva farlo o era un gioco, un gioco di quelli un po' pesanti in cui eravamo specialisti.

Non lo saprò mai. Non voglio saperlo.

È una verità che fa male.

Più del dubbio.

Doyle le ha fermato la mano.

Ha stretto il paletto ad un centimetro dal mio petto.

È stato come se stringesse il mio cuore.

Ha fermato il paletto, ma io l'ho sentito ugualmente affondare nella carne.

Buffy mi ha ucciso, a modo suo… un'altra volta…

 

Non potè continuare.

Le braccia di Dawn lo stringevano. Forti, possessive, come non avevano mai fatto. Dawn era un peso sul suo corpo. Una fonte di calore sopra la pelle fredda di Spike.

La sua voce. La sua voce era sale e miele, così vicina al suo orecchio.

 

"buffy non può averti ucciso come dici tu, non può essere così, perché tu sei qui, qui con me. non vedi? Ti abbraccio, ti abbraccio forte, ti sento qui vicino… io posso sentire il tuo cuore Spike. e non voglio perderti solo perché Buffy è tornata. Io vi voglio entrambi con me, così come tu vuoi me, e Faith, e Buffy… ricordi Spike, non aspettavo altro che la tua anima per dirti quanto ti volevo bene… tu ci sei sempre stato, sempre, sempre. Sei sempre con me… ed io sono sempre con te."

Si scostò per guardarlo. Si asciugò una lacrima dalla guancia, mentre già spike protendeva le dita per afferrarla. Poi gli posò una mano sul cuore.

"Io sono sempre con te. Io sono qui. Sempre. Qui, dove sta Angel, dove sta faith, e Doyle… dove c'è la tua famiglia, spike. qui."

Il suo cuore. Come batteva il suo cuore, quasi lo stordiva, pulsandogli nel capo. Come era caldo la mano di dawn, come infondeva amore dritto verso quell'organo…

Come in quel film… il cuore è un organo di fuoco…

E poi giunse la verità.

La verità tanto attesa.

 

"tu sei il mio custode… non te lo ha detto Doyle?"

che bel sorriso aveva la sua briciola… che begli occhi azzurri… che strano che era…

che strana meraviglia dentro a quell'attimo infinitesimale…

doyle… cosa ha detto Doyle… mi sembra di sentire ancora la sua voce…Il tuo ruolo è assegnato. Parte del tuo destino si è compiuta. Sei il custode di Dawn. Lo sarai sempre. E se ne dubiti, basta che tu glielo chieda….tu non potevi fallire, perché non hai sbagliato nemmeno quando era poco probabile che tu riuscissi…

chiedilo a Dawn….

Dawn può dirtelo….

 

"Briciola, io lo so che forse hai già risposto… ma io ho bisogno di sapere se… sono… il tuo Custode."

Quanto gli era costata quella domanda.

E quanto era semplice la risposta.

Un semplice cenno, un semplice cenno…

Non desiderava null'altro.

Ed ottenne un sorriso. Quei occhi grandi, capaci di levarsi verso di lui, ancora una volta.

"Dal giorno in cui sei entrato nella mia vita ed hai detto Sparisci Marmocchia." - rise, nel ripeterglielo, mentre gli occhi si riempivano di lacrime - " tu sei sempre stato il mio Custode. Ed io l'ho sempre saputo. L'ho sempre saputo, Spike. la chiave ti appartiene, dall'istante in cui è divenuta vita. L'universo ha fatto molto, perché potessimo incontrarci. La morte di Buffy ci ha semplicemente dato un pretesto… ma tu mi proteggevi già prima…"

Abbracciati. Abbracciati e nulla più.

"Oh, Briciola, Briciola…. Ma perché non me lo hai mai detto…"

 

perché anch'io avevo paura, Spike. tanta paura che tu mi rifiutassi.

Adesso anch'io so.

E nulla potrà più cambiare tutto questo…

 

"Aspetta…." - mormorò d'un tratto, sciogliendo l'abbraccio.

"Briciola, Cosa…"

"Dai, entra." - Dawn lo trascinava, gli teneva una mano e cercava di issarlo in piedi - "Vieni, dobbiamo fare una cosa molto importante."

"Dawn."

"ohhh" - sospirò, alzando gli occhi al cielo - "Non vorrai stare ancora qui a cambiarti smancerie con la tua pupilla! Alzati, Spike, andiamo!"

lo trascinava, facendolo sorridere.

Era bello sentire i pesi scivolare via, poco a poco.

Era bello.

Era come sentirsi amati.

Uno alla volta, in quella lunga notte, erano venuti a lui e l'avevano condotto fuori dal buio.

Angel, Doyle, dawn… ognuno di loro, senza un motivo apparente, gli aveva offerto una risposta tanto agognata.

Era come un sogno.

Un sogno tra coperte calde. Un sogno al sicuro.

Faith…

"resta qui." - ordinò imperiosa la ragazzina, correndo su dalle scale.

"Non devi andare a scuola?" - chiese automaticamente Spike.

"No, oggi, no, solo nel pomeriggio. Domani, andrò domani." - replicò Dawn, percorrendo il pianerottolo - "Aspettami, non scappare…"

"E dove vuoi che vada." - rispose, solo per se stesso, scostando un poco la tenda per vedere il primo raggio di luce filtrare impregnando la moquette.

Faith… dove sei faith?

Oh, faith, torna a casa.

Torna dalle persone che ti amano…

Credimi…

Non troverai nulla che non possano offrirti i loro cuori…

 

"Spike…"

Si girò, sentendosi chiamare e là, incorniciata dal primo mattino, stava Dawn.

Dawn, con una chitarra tra le mani.

"Briciola…" - si difese.

Ma dawn era irremovibile, come il suo sguardo.

"No. Manca solo lei, Spike." - sussurrò. Lei. La musica. Lei. Faith - "Devi suonare Spike. suona e ritrova del tutto la via di casa…"

la teneva tra le mani solo per tenderla verso le sue.

"avanti, spike non farti pregare…"

 

Uno di fronte all'altro. Sul tappeto, a gambe incrociate.

Uno di fronte all'altro.

Ad aspettare che giungessero le note.

 

Ad aspettare una nuova notte.

 

La via di casa… adesso la vedeva, nel librarsi del primo suono.

 

 

VII

"Caffè, nero, denso e forte." - chiese Doyle alla cameriera. E la ragazza lo guardò strano. Come se tutti quegli aggettivi fossero superflui. E meno soddisfacenti di una mancia - "Buffy? anche per te?"

"Panna e zucchero." - rispose lei, fissandolo con occhi al tritolo.

E la cameriera, senza fiatare, annotò e girò i tacchi.

Si sentiva aria di litigata, tra quei due…

"Andiamo… credi sul serio che me ne starei seduto a bere caffè, fossi venuto a chiederti di salvare il mondo e massacrare il mio migliore amico?" - Doyle si appoggiò comodamente allo schienale e allungò le gambe - "Rilassati…"

non era di certo amichevole.

Braccia incrociate, sguardo affilato e duro.

Buffy non cedeva.

La roccaforte inespugnabile.

Aveva ragione Spike, probabilmente. Buffy non era mai stata la ragazza di nessuno.

"Non ti stanchi mai di essere così forte?" - le chiese, pensoso.

"Non ho scelta." - sospirò lei, posando i gomiti sul tavolo - "Forse faresti meglio a dirmi perché sei qui…"

"Non c'è un motivo particolare…" - mentì con naturalezza - "Volevo parlare con te…. Quattro chiacchiere tra amici…"

"E da quando il messaggero degli dei si scomoda per così poco?"

"Messaggero degli dei?" - rise Doyle, inclinando un po' la testa - "Di' un po', Buffy, ti sembro un personaggio tanto eccelso? Guardami… posso anche essere uno con buoni agganci, ma da qui ad essere un tale fenomeno…"

"Allora cosa sei, Doyle?"

"chi può dirlo…" - replicò, con un'alzata di spalle - "Uno che capisce la gente, uno che è più di quello che sembra…. Un redivivo…"

l'aveva detto fissandola dritta negli occhi. Senza smettere di avere quel leggero sorriso stampato sui lineamenti.

Con quegli occhi sapeva bucarla da parte a parte…

"Allora, posso sapere chi diavolo sei?"

"Chiamami Cantastorie." - replicò l'altro, aprendo in serie gli sportelli della cucina e frugando, per niente disturbato dalla balestra che gli veniva puntata contro - "Ma il tuo osservatore non tiene alcolici?"

"Che cosa vuoi!" - la voce di buffy era quasi stridula. L'abrasione sulla guancia le dava un tremendo fastidio, come la costola rotta, del resto.

E quell'insulso individuo, in casa di Giles, nel cuore della notte, le provocava solo un tremendo furore.

"Devo parlare con qualcuno. Con lui, con te, non fa nessuna differenza. Meglio tu, pensandoci bene. In fondo sei tu che hai combinato questo guaio…"

come parlava veloce, spingendo indietro quel suo dannato cappello floscio. Era il tizio più male in arnese che avesse mai visto.

"Che guaio avrei combinato io?"

"Ragazza mia! Sarai anche bellina, ma non sembri molto sveglia…" - alla fine sembrava aver scovato qualcosa di suo gradimento. Lo stappò con i denti e ne bevve una sorsata, prima di continuare allegramente ad insultarla - "Non ti pare di avere qualche guaio in corso, al momento? Non sei alle prese con un affascinante vampiro che vuole distruggere il mondo? Sentiti in dovere di correggermi, se sbaglio…"

 

"Fanno due dollari e ottanta" - disse la ragazza, posando poco gentilmente le tazze alte sul tavolo.

"E' un furto!" - sbottò Buffy, frugando in tasca alla ricerca di qualche spicciolo.

"Allora non berlo." - replicò la cameriera, per niente intimorita dal suo sguardo.

Doyle si stava divertendo da morire. Pagò la cameriera per entrambi, senza eccellere nell'agognata mancia. E fissò sottecchi Buffy.

Annotando ogni reazione che passava sul suo viso.

Trovandolo assolutamente fortissima.

Che ragazza! Avrebbe fatto girare la testa a chiunque… chiunque non avesse avuto paura di farsi male.

Come Angel, che dichiara sempre di non avere niente da perdere. Oppure Spike, che senza un po' di rischio si sente menomato…

E se sommava quello che vedeva a quello che diceva Cordelia…

Ne usciva il quadro più disparato che pittore astratto avrebbe mai saputo dipingere.

"Dicevamo…" - riprese, conciliante.

"stavi cercando di convincermi che non hai una missione da compiere qui a Sunnydale…"

"sei proprio un osso duro… ma io non ho fretta. Non ho una missione, non ho nessun secondo fine."

"Sì, certo." - lo guardava sperando di vederlo dissolversi.

"santo cielo!" - esclamò, alzando gli occhi - "Ma sei proprio diffidente! Bevi il tuo caffè, prima che si ghiacci."

Come erano lunghi i preamboli…. Doyle guardò l'orologio fuggevolmente. La notte era ancora lunga, e spike doveva essere probabilmente già al sicuro… un problema in meno.

Se era con Dawn e le cose erano andate come dovevano, si poteva anche ritenerlo sereno… Gli sarebbe piaciuto concentrarsi e captare l'aura di dawn…scambiarsi due parole… ma entrambi avevano qualcosa da fare.

"allora. Pronta a fare quattro chiacchiere?"

Non aveva bisogno di usare la parola.

"Caspita… era meglio se ti offrivo una camomilla." - mormorò, senza abbassare lo sguardo innanzi alla sua testarda interlocutrice - "ma io non desisto."

"Mi spieghi perché dovrei parlarti? non ci conosciamo, non ci siamo quasi mai visti, non hai un motivo per essere qui, a quanto dici. Eppure hai interrotto la mia ronda, trascinato in un bar…"

"non ti ho trascinata…"

"…mi tormenti con le tue domande ed insistendo con l'essere affabile.

Tu devi dirmi cosa vuoi!"

"Niente! Non voglio niente" - gli veniva da ridere, da allargare le braccia e sbarrare gli occhi - "non voglio nulla. Voglio solo parlare con te, quattro chiacchiere! Non so più come dirtelo! Ma tu sai quanto tempo stiamo perdendo per la tua testardaggine? Non vuoi stare qui a parlare con me, ma non ti spiace per niente restarci per litigare! Ma ti sembra il modo di gestire un'amicizia nascente?"

"non siamo amici." - tagliò corto lei, con un notevole broncio. Poi aggiunse, con un improvviso cambiamento di idea - "va bene, diciamo che io ti credo. Non sei venuto qui per qualcosa di specifico. Ma ci deve essere un motivo per cui vuoi parlarmi a tutti i costi…"

"certo che c'è." - annuì deciso, incrociando le braccia e allungando ancora un poco le gambe.

Finendo con il dare ancora fastidio alla cameriera, intenta a passare lo straccio.

Un'occhiata di una che vuole solo finire il turno… magari con un omicidio.

Sempre che la ragazza bionda non lo uccidesse, perché le sarebbe piaciuto avere il piacere di farlo con le proprie mani.

"Se c'è, perché hai negato finora che ci fosse?"

"Buffy, Spike non ti ha sempre detto di fare domande precise?"

"E tu che ne sai?"

"So parecchie cose. Ma non distrarti, ti ho detto la verità. Non ho un secondo fine e non sono qui in missione. Sono qui per motivi personali."

"Personali? E che c'è di personale, qui a Sunnydale, per te?" - chiese, per poi mordersi le labbra, per il tono sgarbato che non era riuscita ad evitare.

Non voleva fidarsi.

Non doveva…

"non mi manda Angel, Buffy.."

lo disse dolcemente, dando forma alla sua paura. Guardandola abbassare lo sguardo, tra la delusione ed il sollievo.

Come quella notte…

 

Cercare un osservatore e trovare l'osservata.

No, decisamente una fregatura.

Che ragazza, però.

Bella, bionda, con quello sguardo…

Anni dopo l'avrebbe ammesso anche con angel. non si poteva resistere alla sua forza ed alla sua fragilità.

Buffy, risposta senza risposte.

"Quale guaio… se tu ed angel non vi foste tenuti caldo, quella notte, le cose starebbero in modo molto differente.."

Provava un malsano gusto a non addolcirle la pillola. Anche se non era solo colpa sua. Se la prendeva con lei, perché non c'era Angel da maltrattare.

Angel non c'era più. Angel era svanito in un bacio, in un fuoco di corpi intrecciati.

Svanito. Bruciato.

Uno scambio di parole violente. Fino alla verità ultima.

"Devi ucciderlo." - dio, l'aveva detto, ma quanto gli era costato! - "Sta a te riportare l'equilibrio. Versa il suo sangue, rispedisci Acathla da dove è venuto. E sarà tutto finito."

Sollievo e dolore. farlo perché qualcuno l'aveva ordinato. Non perché, al di là dell'amore, Buffy l'avrebbe fatto comunque.

 

"Lo so." - mormorò Buffy, nel presente - "Ma per un attimo ho sperato… come allora." Già. Anche Buffy si era persa nei ricordi, per un istante. La loro linea di pensiero si era fusa,

"Mi dispiace, Buffy. a dire il vero, non so se mi dispiaccia più per quello che ho detto nel presente o per quello che ho detto nel passato."- era assorto, giocherellava con lo sguardo fisso sul ripiano lucido del tavolo.

La vedeva riflessa, ne incontrava lo sguardo. Uno sguardo cupo come inchiostro. Lentamente si immerse nel riflesso, cercando di scorgere le profondità di quell'anima. L'anima della cacciatrice…

La vide sussultare.

Alzare lo sguardo, di colpo sulla difensiva. Fissarlo.

Anche se non se lo spiegava. La sua mente era forte e l'istinto la guidava.

Il riflesso di Doyle l'aveva fissata dritta nel cuore. Non poteva dubitarne.

 

I loro sguardi si incontrarono ancora. L'azzurro degli occhi di Doyle aveva una sfumatura metallica.

"perdonami. Non volevo spaventarti." - disse, con tono di voce piatto.

"chi sei…"

"un demone. Un demone con l'anima. Nient'altro." - una cruda verità che non gli era mai piaciuto ammettere - "Non volevo essere così invadente…"

non negava. Sapeva perfettamente cosa avesse percepito Buffy.

"E' una notte molto strana, Buffy. molte cose possono accadere…molte cose stanno accadendo." sorrise delle sue percezioni, senza dare spiegazione alla cacciatrice.

Sorrise, perché da qualche parte, in quel momento, aveva sentito scivolare una lacrima.

 

Una lacrima.

Buffo.

Si fissò nel suo riflesso. E la vide.

C'era una lacrima nera sulla sua guancia.

Faith si portò le mani al viso. Una lacrima, una lacrima piccola… bastava un dito per raccoglierla. Era piccola. Ma forte,sgorgata dal dolore.

Non significava nulla.

Non l'avrebbe salvata.

L'alba era veramente molto vicina… dopo tanto tempo riusciva a percepirla dal profumo. sapeva di poter restare alla luce. Sapeva che non sarebbe divenuta polvere, quando il sole fosse sorto.

Ma era buio dentro l'anima.

Ancora troppo buio.

Anche le sue lacrime erano fatte d'oscurità.

Il suo riflesso era muto. Non valeva la pena restare a fissarlo.

Un riflesso.

Occhi azzurri.

Doyle!

Faith spalancò gli occhi, in un sussulto. Un attimo, per un attimo c'era stato doyle, nel riflesso. Doyle parlava con la cacciatrice, che leggeva l'anima della cacciatrice.

Posò la mano sul vetro, laddove tutto era svanito.

"Doyle…" - sussurrò - "oh, Doyle, come hai fatto a trovarmi…"

 

"Doyle…"

Faith…

La sua voce gli attraversò la mente come una lingua incandescente.

Serrò gli occhi, portandosi le dita alla tempia.

"doyle…" - riaprì gli occhi, mentre buffy si protendeva sul tavolo, istintivamente, per afferrargli una mano.

Preoccupata.

"non è niente." - sussurrò sorridendo - "E' passato."

Passato.

E futuro.

"Nel presente, adesso, io sono qui per te." - disse, fissandola negli occhi - "E da questa nostra conversazione dipenderà il tuo domani, Buffy. il domani che ti è stato nuovamente concesso."

"Allora è questo." - sospirò buffy - "Solo questo…"

ne aveva abbastanza.

Un altro. Un altro in decoroso pellegrinaggio.

Come tutte le persone della sua vita. Vedere senza chiedere.

Null'altro che…

"Avanti, chiedimi anche tu se sto bene!" - sbottò.

"E' questo che fanno gli altri?"

"Certo. In qualche modo devono trovare modo di rivolgermi la parola."

"Inizi ad odiarli, Buffy?"

Non rispose.

Chinò il capo e stette in silenzio.

"chi odi di più, Buffy?" - insistette.

"nessuno. Non odio nessuno."

"Se è vero, allora lo farai. Prima o poi dovrai odiarli, odiarli perché non ti capiscono, perché ne parlano o perché fanno finta di niente."

"non è detto."

"eppure non lo neghi. Non puoi, vero Buffy?"

"Non posso odiarli. Mi hanno riportata indietro…"

"Non significa che ti abbiano reso la vita…"

ancora quella voce tranquilla… quanto aveva popolato i suoi incubi, dopo la morte di Angel. La sentiva, stringendo l'elsa della spada, preparandosi a brandire il colpo fatale. "Avresti potuto colpirlo anche quando aveva gli occhi aperti… ti avrebbe perdonata in ogni caso…"

"Come?" - Buffy alzò la testa di scatto. Come poteva realmente sapere cosa stesse pensando? "Angel, quella notte. È inutile fargli chiudere gli occhi innanzi al dolore… non smette mai di sentirlo." - increspava le labbra con un triste sorriso - "E' fatto così, non può farne a meno…"

"Come sta?" - un groppo le si era formato in gola.

"Gli manchi…e gli mancherai sempre. Ma lui è l'angelo della notte, avrà sempre qualcosa di cui riempirsi la testa."

"Sono tornata." - replicò buffy. come se questo ponesse fine alla loro separazione.

"Non è stato l'amore per Angel a ricondurti indietro…" - Doyle scosse la testa - "E' stata la magia. Una bella differenza…"

Come era in gamba a far sgorgare lentamente dalle sue labbra la fine delle illusioni. Senza alzare lo sguardo, come se fosse in ascolto di altro, come se provasse un intimo dispiacere a percorrere quella via.

"Ascolti... i miei pensieri?" - azzardò, facendosi forza con un sorso di caffè.

E lui, sorprendentemente rise, una risata pura e garbata.

"No, non ascolto i tuoi pensieri. Non sarebbe educato." - scosse il capo e la fissò in viso - "Le tue emozioni sono forti, non si fa fatica a percepirle. Non sei realmente vuota come ti senti…"

"Secondo te mi sento vuota?"

"Oh, sì, direi proprio di sì. Non si tratta dello spazio che non ti sembra di avere più, non si tratta della difficoltà di reggere, ora dopo ora, lo sguardo dei tuoi amici. Essi sanno di aver avuto un buon motivo per riportarti indietro ma non sanno come affrontarti. Tara, tara forse, parlasse di più, potrebbe aiutarti. Ma resta in disparte e non si fida della capacità nascoste…"

"Tara? Tu conosci tara?"

"non molto. L'ho vista al tuo funerale…"

quella frase la colpì più di ogni altra. Doyle era il primo che, con naturalezza, parlava della sua morte. Funerale. Era una parola così cupa… sapeva di scelta definitiva, senza ripensamenti. Sapeva di sale, lacrime e paura.

Paura della terra e del suo freddo umido.

Un brivido la scosse.

Si strinse le mani al petto, cercando di ricordare quelle sensazioni. Ma non c'erano, non c'erano. Non aveva provato freddo, non aveva avuto paura di soffocare, nulla, nulla. L'avevano salvata da qualcosa che non esisteva.

Dal pericolo che viveva solo nelle loro menti.

Buffy lo guardò, smarrita. E Doyle si protese, posando una mano sulle sue. Perché le allontanasse dal cuore, perché tornasse a posarle sul tavolo, nella posizione di chi ascolta.

"Lo so." - mormorò semplicemente.

 

Un attimo di calore. Poi Doyle sollevò la mano, tornando ad intrecciare le braccia sopra la testa.

"Buffy, posso fare qualcosa perché tu sia felice di questa seconda vita?"

che domanda strana. La risposta le giunse alle labbra automaticamente.

"Sono felice di essere viva."

"E quante volte l'hai ripetuto stamattina allo specchio per essere certa di essere credibile?"

"Quante basta." - rispose, stando al gioco, notando con piacere il tanto atteso cambio d'espressione.

"Bene, bene, facciamo progressi… adesso inizi a dirmi la verità."

"Stavo facendo sarcasmo." - ribattè seccata, buttando in fuori un po' le labbra - "sei assolutamente insopportabile."

"Lo dice sempre anche Cordelia. Ma mi ama ugualmente."

"Cord… lasciamo perdere, non sono affari miei."

Ma quanto avrebbe desiderato saperli lo stesso!

Quella sì che sarebbe stata una conversazione interessante. Quello era l'uomo di Cordelia? Quella era veramente l'uomo di Cordelia?

"ma perché mai nessuno pensa che lei sia la mia donna!" - sospirò drammatico Doyle, mentre l'impertinenza gli stropicciava già i lineamenti - "Mi sento un soprammobile… un piegaciglia!"

"Vuoi negare anche adesso di aver letto nella mia mente?" - l'accusò furibonda.

"No. Questa volta no." - replicò, dopo averci pensato su - "questa volta l'ho fatto proprio…"

"smetti di usare i tuoi poteri da demone su di me."

"Questi sono i poteri della mia parte umana." - la corresse - "Quelli demoniaci non sono altrettanto efficaci…"

sbuffò, esasperata. Tamburellò sul tavolo e infine si decise.

"Parlavi dell'aiuto che può darmi tara." - disse, dimostrando finalmente il suo interesse.

"tara è in gamba a comprendere le persone." - un flash… tara in un lago di sangue… quando? Perché? - "Non è forte, qualsiasi cosa potrebbe spezzarla. O almeno lei lo crede. Ti darà il suo aiuto non appena lo chiederai."

"Lei mi ha riportato indietro…" - come posso aspettarmi che comprenda realmente…

"Vero… ma non so perché, il mio istinto mi dice che non era la trascinatrice del gruppo."

"Dovrei prendermela con Willow, dunque?"

le era sfuggita dalle labbra.

Odio, rancore, perplessità in un'unica domanda….

Ora sì che vedeva il sentimento sul volto di Doyle. La tristezza di aver avuto ragione. Confusa. Si sentiva confusa.

"Non sentirti ingiusta, Buffy, per quello che hai detto. Ricordati che Willow non sa da cosa ti ha strappato…" - disse, cauto - "Per lei era solo dolore, perdita. Si è convinta probabilmente che fosse stato tutto uno sbaglio, una tragica fatalità… ma non è così, vero Buffy?"

"Cosa intendi dire?"

"Non sei caduta per sbaglio, vero? Lo sapevi, Buffy, non avevi bisogno di decidere all'ultimo minuto. Sei andata incontro alla morte, quel giorno…"

"Come fai a crederlo..." - la sua voce era rauca.

"Spike." - sospirò Doyle, come se in un nome si nascondesse la risposta - "Spike è arrivato molto vicino al capirlo. Non si dava pace, quando è tornato a Los Angeles. Per lui c'era stata una premeditazione, in tutto l'accaduto… si tormentava per non essersene accorto in tempo, per non averti fermato… come se ci fosse altra scelta…"

"Spike.." - Buffy teneva le pupille fisse, innanzi a quella sorpresa.

"Già, sempre lui. Il tuo sangue sulle sue mani, per usare un'espressione tipica di Angel. la tua morte sulle sue spalle. Per lui è difficile accettare la morte nella sua realizzazione pratica. La morte è qualcosa che accade agli altri. E mai a chi ami."

"io non volevo…"

"oh, lo so. Lo so bene. Ed infatti non c'è motivo per farti una colpa. La morte è un dono, vero Buffy?"

come poteva chiederlo, con quegli occhi, con quella voce, come poteva, dannazione, come poteva rinvangare in quel modo, rivoltandole l'anima, il cuore, la mente…

"Lo è." - rispose, senza esitazioni.

"Anch'io ho donato la mia vita, Buffy. l'ho fatto per salvare Angel da quella sua dannata propensione al martirio…" - sorrideva, come se parlasse di cose da poco - "Spike lo sapeva, in cuor suo. Lo sapeva così bene da essere furente, per il tuo ritorno…"

 

"Cosa?"

"dai Buffy, non fraintendere. Non ha a che fare con la gioia di saperti viva. Spike non riesce ad ammettere nemmeno con se stesso che le motivazioni della tua morte sono più solide di quelle della tua resurrezione! Ed io sono d'accordo con lui…" - mosse le mani, per sottolineare la rabbia che provava - "Qui non si tratta dell'ordine prestabilito, del destino e del cambiare le carte durante la partita con l'universo. Stiamo parlando del perché, del fine ultimo di ognuno di noi. Cosa può essere di te, se il tuo fine ultimo si è già compiuto? Esiste ancora il futuro dopo la nostra fine? Non è questo il problema, Buffy?"

"Io credo… io, non … so."

"tu sapevi perché dovevi morire. Ma non sai perché devi vivere adesso. Lo sapevi allora, sei morta con l'immagine di dawn e spike in fondo agli occhi. Hai voluto ricordarli, con il loro amore per te nella voce, stretti uno all'altro…" - Doyle parlava rapido, senza curarsi di nulla - "loro erano i testimoni della tua scelta.

Dawn la porta nel cuore. Vive per la tua morte. E spike… non è per questo che l'avresti ucciso stasera, se non ti avessi fermato?"

"Non volevo uccidere Spike." - mentì, come un automa.

"Certo che volevi. Lui sa qualcosa di troppo, non è vero, Buffy? spike è il tuo ultimo legame con la decisione presa, una pedina troppo importante nella tua partita con la morte. Con una sola mossa gli hai lasciato tua sorella ed il suo sire. Ucciderlo stasera sarebbe stata la via più semplice per giungere alla catastrofe. Ed un modo efficace per riprenderti ciò che ti appartiene. "

Era consapevole del dolore che le provocavano le sue parole. Sapeva perfettamente che la scure calava troppo rapidamente sul suo capo, che le frasi, dotate di vita propria, si susseguivano troppo concitate. Stava crocifiggendole l'anima…

"Buffy…" - la chiamò. Ma per lui si trattò di un prendere fiato - "Dimmi cosa pensi. Dimmi che mi sono sbagliato, che non avresti ucciso la tua umanità trafiggendo il cuore di spike. dimmi che non siamo a questo punto…"

chissà cosa avrebbe letto Spike negli occhi di Buffy se l'avesse vista. Cosa sarebbe successo, si fossero trovati soli, uno di fronte all'altro? Se non ci fosse stato Doyle a fermare la mano… non osava pensarlo.

Buffy si coprì la bocca, per non urlare. Spike, in polvere.

In cenere, insieme al credo di Buffy.

"Non devi lasciare che accada…"

cosa? Cosa non devo lasciare che accada, Doyle?

Si appellava a lui, disperatamente.

"Non perdere la tua umanità, Buffy. torna indietro realmente. Non è mai troppo tardi per trovare un perché alle nostre scelte.

Non vivere per poi scoprire che non avevi un buon motivo per farlo.

Non ucciderti dentro solo perché tutto è ormai compiuto.

Nell'universo c'è sempre qualcosa in cui credere, qualcuno da amare… chiedi a ciascuno di loro in cosa crede. Non alzarti ogni mattina cercando di convincerti che sei felice. Soprattutto se non lo sei…"

"Non riesco a scordare cosa ho abbandonato. Mi hanno strappata da…" - tacque, improvvisamente. Non voleva dirlo, non voleva sentire la sua voce che pronunciava quella parola. Non voleva ricordarsi, non voleva ricordare più.

"Non avevo motivo di lasciarlo…" - balbettò, chinando il capo, movendosi sulla sedia come una scolaretta mortificata.

Sentendo le dita sul mento, la mano tenera che l'invitava a rialzare la testa.

Gi occhi chiari che non smettevano mai di offrire qualcosa….

Quell'uomo aveva un che di… biblico…

"venite a me…"

sì, avrebbe potuto dirlo e sarebbe risultato credibile. Anche con quell'impossibile giacca addosso e quell'aspetto trasandato.

"No, non prendermi per più di quello che sono…" - le ricordò ancora, ridendo sommesso - " sono solo un demone, Buffy, un demone troppo uomo per non provare pietà per la miseria. Sono un redivivo, Buffy, anch'io ho varcato le porte del tempo e della razionalità… ma l'ho fatto per un buon motivo. E non c'è paradiso che io rimpianga."

Paradiso.

Non l'aveva detto scherzando.

Non l'aveva indovinato. Non aveva suggerito la parola, perché superasse le sue paure.

Sapeva a cosa si stava riferendo.

Il paradiso…

Perdere la perfezione e rimpiangerla in eterno…

"non va sempre così. Se così fosse, solo i dannati saprebbero cosa c'è di splendido nella vita. Non è così. Io ho rinunciato al paradiso. L'ho fatto con un perché. E di quel perché mi sono fatto scudo. La vita, l'amore, la fede… le mie armi."

Aveva rinunciato a tutto per andare incontro alla morte. Aveva rinunciato alle persone che amava, al calore, alle risate, al proprio corpo. Si era lanciata in quella sfera di luce a caccia della notte. E poca cosa le era parso quel turbine lucente in cui era precipitata, innanzi alla luce che l'aveva accolta.

Libera.

Finalmente libera.

Appena un ricordo della vita che aveva, della vita che le permetteva di respirare…

Al di sopra delle domande e delle risposte, al di sopra delle parti e dei sentimenti.

Per poi ricominciare a cadere. Cadere. Cadere e dovere scavare con le unghie, con le dita per riguadagnare la vita.

Combattere. Rinascere e già combattere per la propria sopravvivenza.

Nulla di romantico nella morte.

Non più.

Più nulla nella sua rinascita. Nulla del suo sacrificio.

Nulla.

Di nuovo viva, senza un perché.

"Il mio perché… io… l'ho perduto…"

"lo so. Ma sei sulla terra. Non all'inferno. Qui la speranza è di casa…" - non aveva più voglia di sorridere, ma lo fece ugualmente - "E non posso immaginare cosa sia nascondersi dietro la propria morte, possedere solo quella. Non voglio credere che esista solo questo nel tuo futuro… preferisco credere che sia solo una verità troppo in alto da poter essere solo intravista da tutti noi."

"La cacciatrice è sempre innamorata della morte…" - mormorò a se stessa, asciugandosi le lacrime con rabbia.

"E' vero… anch'io ho un amico biondo che lo predica. Ma in han detto che nel tuo cuore, la morte ha occhi scuri…"

come poteva sorridere, sorridere ancora. Come poteva alzare gli occhi verso di lei senza rabbia e disprezzo. Senza diffidenza, senza giudizio per le sue debolezze.

"Angel…"

"Già, potrebbe anche essere il tuo credo. Angel." - lo pronunciò come si sussurra una preghiera - " c'è mancato veramente poco che lo perdessimo, quando sei morta. Un soffio. Spike è giunto appena in tempo. Ma tu lo sapevi che ci sarebbe riuscito, vero? Alla fine ti sei fidata del tuo miglior rivale. Gli hai affidato tutto. Tutto."

Tutto.

La vide sbarrare gli occhi, portare la mano al collo. Stringersi la gola, schiacciando la stoffa, fino a scoprire appena la cicatrice.

Un viaggio nei ricordi, ancora uno? No, non cercava i segni del morso… ricordava…

Ma ricordava altro.

"Sì, buffy, non te lo ha lasciato. Non poteva pensarlo due metri sottoterra. L'ha lui. L'ha riportato a Los Angeles per ricordarsi il suo perché, mentre si addentrava nel buio. Ha salvato se stesso ed Angel con quell'anello…" - Doyle girava tra le mani la tazza ormai vuota, scrutando le ultime gocce che andavano asciugandosi sul fondo - "Potrai reclamarlo quando vorrai…"

"il mio Claddagh…"

"Già…" - come era strano, pronunciato con quel giovane accento americano… non perdeva la purezza del suo significato... chissà se anche Angel sentiva un brivido con quel leggero sbaglio di dizione - "Spike sa decodificare benissimo i messaggi."

"Qual è il tuo credo…"

"L'amore, Buffy. L'amore è la mia chiave di lettura. È qualcosa di molto difficile da imparare. Tu, ora, devi semplicemente amare… chi o cosa non ha importanza… limitati ad amare, mentre cerchi la tua strada…"

"Doyle… tu ami?" - avrebbe capito. Non sapeva da dove potesse venire questa certezza.

"Certo. Io amo. E l'universo non ha potuto nulla, quando ho deciso di riavere un cuore da far battere."

 

"un cuore da far battere… io non l'ho chiesto…"

"puoi sempre ucciderti…"

con che calma era riuscito a dirlo.

Con che calma aveva represso il suo essere che sobbalzava e gridava davanti a quella proposta. E con quale sollievo aveva fissato Buffy che sbarrava gli occhi e lo guardava, come se fosse una grossa lucertola col sombrero.

"E' una buona risposta." - concordò - "la migliore che abbia mai sentito.."

"non ho detto nulla."

"Appunto per questo." - Doyle si mosse e, senza scomporsi per niente, posò la sua tazza vuota sul primo vassoio di passaggio. Non curandosi affatto di aver per l'ennesima volta portato la cameriera sull'orlo della crisi isterica - "Ho un'opinione precisa sul suicidio. Se ci mettiamo a discutere, io proverò l'incontrollabile desiderio di mettermi ad urlare…"

"risparmiami, ti prego." - replicò Buffy. La caffeina e doyle stavano mettendo a dura prova i suoi nervi. Non tanto da impedirle un'ultima stoccata - "sei un tipo che urla?"

"Come no! Grido come una zitella isterica! Poi bevo molto whisky e canto… non so cosa faccia peggio…"

"Me lo chiedo anch'io…" - rispose buffy, appoggiandosi allo schienale. Finalmente più rilassata. Forse non si fidava ancora, ma erano finalmente due persone che si capiscono. Che non si limitano a parlarsi.

"Allora… Buffy." - le sorrise, tamburellando sul tavolo e scandendo bene le parole - "Abbiamo ancora qualche impressione sovrannaturale da scambiarci o vuoi qualche pettegolezzo sulla città grande?"

"Mmm, la tua offerta mi tenta..." - come fingeva scherzosamente di essere sensuale, con il mento appoggiato sulle mani. Delle belle mani forti…

Se ne ricordò troppo tardi per riuscire a nasconderle. Aveva le nocche pelate e le unghie corte, troppo corte. Come se avesse disperatamente cercato di rimediare un danno riuscendoci solo in parte.

Doyle si accorse troppo tardi di averle deliberatamente fissate. Erano finite nella sua visuale insieme al viso di Buffy.

"E' un po' presto per mettersi i guanti…" - mormorò, imbarazzata - "con il maglione attiro già abbastanza l'attenzione…"

Chissà cosa nascondevano quelle maniche lunghe…

"Hai delle splendide mani." - replicò doyle - "E quelle ferite guariranno prima del tuo cuore." Gli sorrise. Non sapeva come rispondergli, mentre posava di nuovo il mento sulle mani, nascondendole cautamente nelle maniche.

"Suvvia! Abbandoniamo per un istante i nostri crucci!" - la canzonò allegramente - "Parliamo di altro."

 

Decisamente non sarebbero riusciti ad avere una conversazione tranquilla…

Doyle portò le mani alla fronte e represse un gemito. Non voleva spaventarla, non era certo che sapesse delle sue visioni.

Frugò nelle tasche e recuperò una sigaretta ed i fiammiferi. Non si curò di offrire o di chiederle se le desse fastidio.

L'accese rapidamente, focalizzandosi sulla fiamma per non perdere la cognizione dei suoi sensi. Buffy lo fissava, senza che le sfuggisse un fiato.

E quando finalmente doyle si rilassò, scotendo il fiammifero per spegnerlo, domandò timidamente:

"Va meglio?"

era coraggiosa. E più pronta a capire di quanto non credesse.

Doyle annuì, aspirando un'altra boccata di fumo, con le sopracciglia aggrottate.

Non aveva messo realmente a fuoco la scena…

Una moto, una moto che slitta… una gara? Erano più moto?

C'erano i fuochi, dentro ai bidoni.

La ragazza con il vestito rosso era saltata sul cofano delle Mustang. Ballava, sensuale…e nel saltare a terra, finiva in polvere….

Strano. Veramente strano.

Visto con occhi non suoi.

Doyle resistette dalla tentazione di levarsi la cenere del vampiro dal viso. Con una mano avvolta nel nastro adesivo nero… nastro telato, da elettricista….

"Veramente molto strano…" - mormorò, più per se stesso, aspirando un'altra boccata dalla sigaretta.

"Cosa è strano?"

"Nulla, nulla…" - a dirla tutta, quella sigaretta gli stava dando la nausea.. e poi non si poteva fumare in quel locale - "Probabilmente ho avuto una visione incompleta…"

"Tutto qui?" - Buffy sbarrò gli occhi nella sua espressione più tipica - "Tu hai una visione e ti sembra cosa da poco?"

Come mai la ragazza della cassa lo fissava ancora? Aveva già spento la sigaretta…

No, forse era per la sua presunta compagna che si aggrappava al tavolo e urlava…

"Buffy… a me capita di continuo…"

"Che cooosa????"

"Buffy, buffybuffybuffy."- Cercava di interrompere quel fiume di domande che vedeva arrivare - "Qui dentro già mi odiano… puoi evitare di far creder a tutti che sono un pervertito?"

"Oh… sì… scusa…" - disse, zittendosi e sprofondando nella sedia. si arrotolava nervosamente un ciuffo di capelli sfuggito dalla treccia.

Come sarebbe a dire che ti succede di continuo…" - sussurrò, mentre Doyle eludeva un'occhiata, nascondendosi con una mano. Sperando di svanire tutto.

"Le visioni mi servono per prevenire i guai."

"premonizioni?"

"Non sempre…."

"vabbè, ok… e che cosa c'era di strano in questa?"

"Lo sapessi non sarebbe strana."

I loro visi erano vicinissimi, entrambi chini, uno verso l'altro a confabulare.

Buffy lo vedeva finalmente bene. Vedeva i suoi occhi azzurri e trasparenti, si sentiva un po' scivolare al loro interno, come se donasse un po' di se stessa, ogni volta che cercava di scorgerne il fondo.

Strano…

Com'era tutto strano…

Come era bello specchiarsi in lui.

Si sentiva finalmente pulita, le sembrava di non sentire più sulla pelle l'odore delle terra.

"Tu ami Cordelia?"

Strano il modo in cui l'aveva chiesto. Come se fosse di vitale importanza, come se quella confidenza, sulla bilancia della sua vita, potesse veramente fare la differenza.

"Come la vita." - gli sfuggì in un sussurro che increspò appena la calma dei laghi azzurri.

 

 

VIII

"Doyle, tanto vale che tu lo sappia. Se adesso varco quella porta e trovo spike che dorme con mia sorella… lo ammazzo."

"Va bene."

"Credimi sulla parola."

Sunnydale all'alba riluceva per l'asfalto umido.

Ed era tranquilla.

E silenziosa.

Nessuno in giro.

I pochi insonni, da dietro le loro tende, si sarebbero stupiti nel veder passare anima viva…

Ed avrebbero certamente pensato male della ragazza bionda con il maglione che s'accompagnava con un uomo malvestito.

 

"Ho detto va bene. Ah, Buffy?"

"Sì?"

"Se adesso, varco la porta e trovo spike che dorme con una minorenne…lo ammazzo."

 

"hai ragione, Doyle. È l'inizio di una bella amicizia."

 

E così, armati di buone intenzioni, salirono i gradini del portico.

E mentre Buffy armeggiava, cercando le chiavi di casa, Doyle, con uno sguardo distratto, si immergeva nelle sue riflessioni.

La visione era venuta e se ne era andata. Nessun altro tassello, niente di niente. Non un'immagine, un segno o altro ancora.

Inutile concentrarsi.

Nessuno spiraglio.

Nessun baluginio.

Solo molte perplessità.

"Ehi, non penserai di farmi qualche strano scherzo!"

"Come scusa?"

"Doyle! Io ti chiamo e tu non mi rispondi!cosa dovrei pensare, calcolando la tua predisposizione a… a quella cosa lì…"

muoveva le braccia per spiegarsi meglio.

Di colpo Doyle rivide la ragazzina che era stata. La ragazzina sui gradini di un liceo che aveva fatto saltare in aria.

Lui ed Angel, nell'ombra.

 

"Ehi, cantastorie…"

"Ma non si riesce mai a prenderti di sorpresa?uomo, uomo… ma dov'è il sale della tua vita, se niente ti stupisce?"

si fermò a fianco, gettandogli un'occhiata di traverso.

Stava fermo, con lo sguardo fisso. Il suo sguardo poteva perforare l'oscurità e attraversare la luce.

E questo bastava a perpetuare la sua condanna.

"Bene, bene." - mormorò il cantastorie - "Eccola là. La nostra pupilla. La bella cacciatrice…"

"Buffy…" - confermò Angel, senza distogliere i suoi occhi.

"Lo so. Buffy Anne Summers… trasferita qui dalla Grande Mela per donare un bacio alla Bocca dell'inferno. Ci sono molti progetti ambiziosi intorno a quella ragazza…"

"A me basta che non muoia."

A me basta che non muoia neanche tu…

"Infatti sei qui per questo." - mormorò allegramente, con una cameratesca pacca sulla spalla.

Restandoci quasi aggrappato, strofinandoci la scarna e ispida barba incolta.

Per tormentarlo.

Anche se Angel continuava ad ignorarlo.

"Ma guarda che delizia. È bella, ha l'aria simpatica…"

"E' felice."

"E' giusto. È troppo giovane per conoscere già il dolore."

"Non si è mai troppo giovani, Cantastorie…"

"Mmm. Mi sembra un discorso autobiografico. Me ne vado prima che il livello di autocommiserazione salga a livelli preoccupanti… stammi bene eroe."

Anche tu, Cantastorie. Anche tu.

 

"Ti sento Buffy." - rispose, senza smettere di tenere lo sguardo fisso - "Stavo solo ricordando… allora! Non ci aspetta un omicidio dall'altre parte del portone?"

 

il soggiorno era immerso nella penombra. Le tende erano state accuratamente tirate. In cucina qualcuno si stava movendo. Quando Buffy e Doyle entrarono, la testa bionda di tara fece capolino dal corridoio. Per poi venire loro incontro.

"Tara, già in piedi?"- sussurrò Buffy.

"Ho lezione presto… e non riuscivo più dormire." - teneva un tazzone colorato tra le mani, come per scaldarsi - "Ciao Doyle, piacere di rivederti."

"Il piacere è mio, Tara." - le sorrise, sinceramente ammirato. Ricacciando in fondo al cuore quella fuggevole visione… il sangue di tara, del colore delle ciliegie mature… "Dawn?" chiese Buffy.

tara la guidò con un'occhiata.

"Mi dispiace, ho preferito non svegliarla…"

dawn dormiva sul divano, avvolta in un'ampia coperta colorata. Teneva le mani vicino al viso, come fanno talvolta i bambini.

Se stava sognando, non lo dava a vedere.

Anche Doyle la stava guardando. Si era appoggiato all'arco, per fissarla meglio, per coglierne ogni particolare.

Poteva realmente essere, quella piccola bellezza, una forza per cui molti avrebbero ucciso? Un'arma, un mistero? era difficile crederlo, soprattutto mentre le ultime ombre della notte fuggivano. la coperta che ricopriva Dawn era decisamente grande,trasbordava dal divano, ricadendo a pieghe spesse sul pavimento.

"Buffy… dobbiamo calcolare che stiano dormendo assieme?" - domandò malizioso.

 

"come scusa? - chiese lei, tornando a girarsi, mentre Tara saliva le scale.

"Ti ho chiesto se una situazione del genere si può definire 'dormire insieme'…" - ripeté, indicando con il mento.

Indicando la coppia di anfibi che sporgeva da sotto il piumone.

All'ombra del divano, laddove i raggi di sole non l'avrebbero certo colpito, avvolto nella stessa coperta di dawn, sul tappeto, stava spike.

O almeno, calcolando che i suoi piedi sporgevano, ci si augurava che ci fosse anche il resto.

Senza aspettare che Buffy si riprendesse dalla sorpresa, doyle entrò nella stanza, girando intorno al tavolino, fino a trovarsi a pochi passi dal dawn e dal suo faccino tranquillo.

Si chinò, per scostare la coperta.

E là sotto, tranquillo e silenzioso, dormiva spike.

Lui e dawn si dovevano essere crollati tenendosi per mano. E se quelle di dawn non lo davano a vedere, quella di spike era ancora leggermente protesa verso di lei.

Ed il suo sonno era realmente profondo.

Doyle rise, nel tirargli nuovamente la coperta sulla testa.

Quella visione l'aveva messo di buonumore. Era andato tutto liscio, bene come aveva sperato di tutto cuore.

Tutto sommato non ci si poteva realmente lamentare

Visioni incomprensibili a parte (e questa era una costante della sua vita) non poteva lamentarsi del risultato ottenuto. Sia per Buffy che per spike.

"Allora Buffy, andiamo a dormire anche noi?"

"Purtroppo no." - buffy non si sbilanciava in commenti su quello che stava vedendo. Preferiva soffocare uno sbadiglio - "Vado a cercarmi un lavoro."

"Ma come…" - anche Doyle aveva imparato ad alzare un sopracciglio in pieno stile Cordelia - "Niente vacanze per i redivivi?"

"Se hai famiglia a carico, no." - sorrise. Le piaceva avere finalmente qualcuno disposto a scherzare sulla sua resurrezione - "Vado a farmi una doccia ed esco. Rimani quanto vuoi… se vuoi un altro caffè…"

"non penso mi serva un altro caffè." - obiettò lui, con un sorriso - "No, grazie, penso di uscire a fare due passi…"

"Ma non dormi mai?"

"Senti chi parla."

"Ti trovo ancora quando torno?"

"In media è una domanda che eludo… ma in questo caso farò un'eccezione." - ribattè lui, mentre Buffy già si avviava su per le scale.

 

Si attardò ancora qualche attimo nell'ingresso.

Poi, tornando sui suoi passi, rientrò nel soggiorno.

Un posto tranquillo, in legno chiaro.

Con una bella addormentata sul divano… ed una peste bionda sul tappeto.

"Allora Spike.." - mormorò, sprofondando in poltrona e sollevando il lembo di coperta - "Continui a fingere o vieni fuori da lì sotto?"

Un'occhiata di ghiaccio.

"si da' il caso." - replicò offeso - "che io stessi realmente dormendo, prima che tu e la cacciatrice vi deste ai gorgheggi sotto al portico."

"Certo, detto da una silenziosa creatura della notte…" - gli piaceva prenderlo in giro. Erano realmente ben assortiti. Antitetici sarebbe stato forse il termine più idoneo…

Doyle gli parlava, come se niente fosse, sottovoce, gettando occhiate oblique alle scale.

Fino a lasciare di colpo, a metà di una frase, il piumone, intrecciando le mani sullo stomaco.

"Ciao Buffy, buona giornata!" - esclamò cordialissimo.

La Cacciatrice lo guardava inquisitrice, allacciandosi i polsini della camicetta.

"Tu non eri quello che andava a fare due passi?" - chiese, mentre tara la raggiungeva, con i libri sotto il braccio.

"Tra un po'… è un posto così tranquillo." - mormorò, con aria innocente e svampita - "Ciao Tara, buona giornata anche a te."

Come era materno, nel salutarle così. Spike, immobile sotto una coperta che iniziava a tenergli troppo caldo, trattenne il suo disappunto a fatica.

Non sapeva nemmeno di preciso perché non ne usciva…

"Se ne sono andate… " - la voce lo raggiunse prima che il lembo fosse di nuovo alzato

"Inizio ad averne abbastanza…" - mormorò seccato.

"E di cosa?" - Doyle inclinò la testa, per guardarlo negli occhi - "Ha forse un motivo per essere seccato, un vampiro che sta nascosto sotto il divano per non incontrare la cacciatrice? Spike, sei dei buoni adesso… non ti farà male…"

"mi spieghi cosa ti è saltato in mente?" - ringhiò, strisciando fuori e schivando il braccio di dawn che gli scivolava addosso - "Ma ti sei sentito? Buona giornata Buffy… e anche a te cara Tara…"

Lo scimmiottava ancora, sedendosi quasi sui suoi piedi a gambe incrociate, quando la porta si riaprì.

"Doyle, senti, devo chiederti una cosa…" - Buffy ripiombò in casa.

E si fermò di botto.

"Oh. Sei sveglio."

Era un tono che non ammetteva repliche.

Avrebbe potuto risponderle in un sacco di modi.

Si limitò ad annuire colpevole.

"Dimmi.." - si intromise doyle, per far levare quello sguardo da basilisco puntato sulla nuca di spike.

"No, non importa…" - si stava di nuovo chiudendo a riccio.

Doyle non impiegò molto a decidere. Senza curarsi di dawn che dormiva in mezzo a quella confusione, si alzò e la raggiunse nell' ingresso, prima che uscisse.

Buffy era già fuori dalla porta, ma Doyle arrivò ugualmente a posarle una mano sulla spalla, prima che fuggisse ancora più lontano.

"Buffy…" - la fermò, accostandosi la porta alle spalle ed uscendo sotto il portico.

"No, Doyle, era una sciocchezza… lo chiedo a tara…"

"Buffy…" - le teneva di nuovo il mento tra le dita, per obbligarla ad alzare il viso - "puoi dirmi anche le cose stupide…"

buffy lo guardò. Voleva disperatamente credergli. Sul serio.

Si mosse, indecisa. Poi, con un sospiro, si rimise lo zainetto sulle spalle.

E gli tese le mani.

"Ho messo lo smalto rosa di dawn… dici che vanno meglio?"

Doyle le prese e le guardò, attento.

Non sarebbe bastato così poco a nascondere i segni lasciati dalle schegge di legno e dalla terra scostata a manciate. Probabilmente alcune di quelle cicatrici non si sarebbero mai rimarginate…

Forse non sarebbe bastato per gli altri. Ma per Buffy era molto, ed era questo ciò che contava.

E Doyle, tra le sue mille risorse, aveva anche la menzogna.

"Sono delle mani bellissime… nessuno noterà niente."

La vide sorridere, sollevata.

"Allora… vado…."

"ci vediamo presto. Ti saluto dawn quando si sveglia…"

 

"Che voleva?" - chiese spike. stava ancora seduto dove l'aveva lasciato, con la schiena appoggiata al divano.

"Dovevi origliare per scoprirlo."

"Bell'amico…" - replicò, alzandosi e spolverandosi i pantaloni - "vai a prendere la macchina, io scrivo due righe a Dawn."

"E dove andiamo?"

"Torniamo a Los Angeles. A meno che tu non abbia un'indicazione alternativa per la rotta."

"non possiamo ripartire…"

"E con chi devi parlare adesso? Di traumatizzati senza speranze resta solo quel lobotomizzato di Harris…"

"Sento un certo astio nel tuo tono…"

"E perchè mai… non ne ho motivo…" - mormorò, senza nessuna intenzione di essere paziente. Bloccato a Sunnydale, in pieno giorno e a casa della cacciatrice - "arriviamo al dunque?"

"non ci siamo ancora, al dunque. Le visioni sono frammentarie, poco chiare."

"tutto qui? Solo visioni?"

gli rispose con un grugnito. Senza nemmeno alzare lo sguardo.

"Dobbiamo tornare a Los angeles."

"No, spike. inutile che tu insista..."

guarda che non ho visioni di distretto…"

"Le tue visioni sono connesse ad Angel. E' lui l'eroe. E l'eroe sta a Los Angeles." - replicò testardo Spike.

"Spike…" - Doyle si impose di essere paziente - "Non possiamo ripartire. Qualunque cosa io abbia visto, accadrà qui. Di questo sono certo. E poi, devo insistere sul fatto che non fosse una visione."

"hai sentito il cervello trapanato in modo diverso dal solito?" - lo disse aspettandosi una risposta pungente. Ma Doyle era nuovamente sprofondato verso altre considerazioni.

"Non ne sono sicuro." - ammise. Si passò una mano sulla fronte, come per dissipare un dubbio.

 

"Willow è già scesa?"

"Io non l'ho vista…"

"Allora vado a svegliarla…"

"invece di spaccare le palle ad una ragazza che dorme, che ne dici di fumare una sigaretta con me di là in cucina? Dobbiamo parlare di una cosa…"

"Come dire che abbiamo un altro problema?" - chiese, fermandosi di botto.

"Non ne sono sicuro… so solo che vorrei un'aspirina."

 

"e' sempre un brutto segno." - constatò Spike, aprendo un cassetto del bancone e tirando fuori un flacone - "Quando vuoi un'aspirina…"

"E non ti posso nemmeno dare torto…" - mormorò lui, sedendosi su uno degli sgabelli, mentre Spike si voltava per riempirgli un bicchiere.

"Mi vuoi dire che ti è successo?"

"Spike…" - sbadigliò, appoggiando la guancia al mento, con un mezzo sorriso - "lo sai che ha quasi l'aria paterna stamattina?"

"Stai per ricominciare con la solfa che sono un ragazzino?" - lo provocò l'altro, cercando un fiammifero per accendere la sigaretta.

"E l'accendino?"

"Nella tasca della giacca. Non ho voglia di tornare di là…" - rispose, passandogli il pacchetto. Il pacchetto di doyle, fregato impeccabilmente dalla tasca.

"però, che mano da borseggiatore…"

"Angel dice che non sei da meno."

"Dovevo campare il lunario in qualche modo, mentre aspettavo che Angel aprisse l'agenzia…"

"Certo.. perché adesso campi da nababbo con quello stipendio da buon samaritano." - ribattè Spike, sedendo in quell'angolo che, negli anni, era divenuto il suo posto preferito.

Doyle tamburellava sul ripiano, mentre la preoccupazione rendeva evidente qualche leggera ruga d'espressione.

"Devo preoccuparmi?" - lo chiese pro forma. Era già preoccupato.

"No." - Doyle gli sorrise, prima di piantare entrambi i gomiti sul tavolo ed iniziare a massaggiarsi le tempie - "Sono solo un po' sbattuto. Non ero certo che Buffy sapesse delle mie visioni… "

"Così hai represso la crisi per non spaventarla. Bravo, Doyle, ottima idea." - grondava sarcasmo. Ed aveva un sano desiderio di picchiarlo.

"Ti prego, no, mi manca solo il naso rotto."

Aveva risposto prima di riuscire a fermarsi. Interruppe di botto il massaggio e fissò Spike che, con gli occhi sbarrati, rischiava di farsi cadere anche la sigaretta dalle labbra.

"Ti giuro che non volevo farlo!" - si affrettò ad arginare il disastro - "Le mie percezioni sono un po' eccessive, al momento. Credo sia dovuto alla discussione con… buffy…"

si interruppe. Sul viso di Spike era passato un lampo.

"oh." - mormorò, abbassando lo sguardo ed ignorando l'accaduto - "E come sta?"

Gli interessava realmente. Ed aveva preso al volo la prima occasione per chiederlo.

"potrebbe stare meglio." - non gli andava di mentirgli - "Ma è forte. troverà il modo di uscirne…"

"non sei riuscito ad aiutarla?"

"Difficile a dirsi… le ho dato una mano a chiarirsi le idee." - Doyle si accese la tanto agognata sigaretta - "Purtroppo è solo l'inizio. Ha bisogno di riprendere il giro… impiegherà un po'."

"Si perde l'abitudine a vivere, secondo te?"

"Non l'abitudine,Spike, il gusto. Si può perdere il gusto a vivere." - Doyle abbassò lo sguardo. Il piano era lucido, come era stato il tavolino in cui Buffy si era specchiata…

Il riflesso… Doyle si era immerso nel riflesso di Buffy sul ripiano del tavolino e…

Faith! Certo, gli era apparsa Faith, un'immagine registrata in una frazione di respiro.

"Oddio." - mormorò ancora - "Non ci sarei mai riuscito, mi fossi messo di impegno… e tutto questo non porta che ad una conclusione."

Faith è qui.

Faith è a Sunnydale.

"Di cosa stai parlando?" - Spike lo guardò, appoggiandosi al pensile alle sue spalle e lo fissò meglio.

Ma Doyle lo ignorò completamente.

Rimase a fissare il vuoto. Con la bocca aperta.

"Doyle! ohi, Doyle!" - Spike saltò giù dal mobile e gli diede uno scrollone - "Non farti venire un embolo per piacere!"

"Sì, no, non mi scuotere!" - esclamò, riprendendosi del tutto - "Ho capito, capito!"

"Se hai veramente capito, smettila di comportarti come un invasato e spiegati."

"Non ne sono sicuro. Ma è stata Buffy."

"Perfetto. È colpa di Buffy. finalmente una buona notizia."

"spike lascia perdere il sarcasmo." - Doyle lo fissò e cercò di esporgli i fatti in modo pacato - "Mentre parlavo con buffy, stanotte, mi sono concentrato per percepire l'aura... sai di cosa sto parlando?"

"L'aura della cacciatrice? Io l'annuso ad un miglio di distanza…" - spike sedette di fronte - "Va avanti."

"Nel momento in cui ho, diciamo, 'captato' Buffy, c'è stata una specie di interferenza, un disturbo…"

"Ne parli come se si trattasse di sintonizzare una radio…"

"Forse perché il meccanismo è quello." - Doyle afferrò il flacone ed ingurgitò un'altra pastiglia - "Un disturbo, spike. Buffy è stata come un catalizzatore…Ed ho captato Faith…"

Non sapeva nemmeno in base a cosa potesse essere giunto a quella conclusione. I pezzi del mosaico si erano di colpo disposti con una logica bene chiara.

"Ero preoccupato per entrambe." - ammise doyle - "L'emozione ha un certo peso, quando si tratta di entrare in contatto come ho fatto io. Il tutto complicato da una certa dose di metafisica… sia Buffy che faith sono cacciatrici e stanno cercando qualcosa che hanno perso…"

la fiducia… la fiducia in loro stesse… il loro…perché…

"Faith è qui a Sunnydale. Non credo di essere in grado di percepirla su una distanza più lunga." - aggiunse, perdendosi dietro pensieri che correvano troppo veloci - "La seconda visione potrebbe essere stato un semplice contatto involontario. Ma non mi stupirei la riguardasse."

Era piuttosto tranquillo. La sua mente registrava le parole di doyle senza sconvolgergli i lineamenti. Assimilava.

Si limitava ad assorbire le parole.

Solo se sue ciglia rivelavano qualcosa, adombrandogli leggere gli occhi. Spike abbassava lo sguardo.

"L'hai vista, dunque…" - gli sembrava la cosa più importante. Significava che era ancora viva.

Ma se non lo fosse stata, lui l'avrebbe sentito?

Un fulmine l'avrebbe colpito per quella morte di cui poteva essere il mandante?

Si era alzato, senza rendersene conto.

Stava in piedi, innanzi alla finestra.

La tenda era tirata, ma il suo sguardo era fisso verso ciò che avrebbe voluto vedere.

Non poteva varcare la porta.

Non poteva correre e chiamarla.

Non poteva sbirciare fuori, respirare e fissare il sole.

"Si sentirà almeno al sicuro, ora, alla luce?" - mormorò.

"chi può dirlo…" - doyle si mosse. Era ancora seduto al bancone, nella cucina di casa Summers. In silenzio, fissando la schiena che spike gli voltava - "Tu ti sentiresti al sicuro, là fuori?"

"Cosa?" - Spike si voltò, puntandogli addosso quei due neon azzurri - "Io sarei morto, fossi là fuori! Lo sai bene!"

"Io penso che anche faith si senta così, che sia come te, a modo suo... fugge la luce, ne ha paura. Sa solo che al mondo può essere al sicuro solo nelle tenebre… ha paura della luce."

Come poteva essere? Oh, quanto desiderava sbagliarsi…

Spike tornò a sedersi, di fronte a lui, appoggiandosi al bancone, nella posa di chi riflette.

"Spike…"

"sto bene, sto bene." - gli aveva risposto per tranquillizzarlo, come se avesse bisogno di sentire la sua voce dichiararlo - "Cosa dobbiamo fare?"

Si appellava a lui per non perdere il controllo.

"aspetteremo. E poi parleremo con Buffy."

"se le dici che faith è qui, quella mi ammazza."

"e perché dovrebbe ammazzarti?"

"Per due buoni motivi. Uno: abbiamo sempre di che discutere, io e Buffy, quando si tratta di Faith. Due. Non riuscirai a fermarla di nuovo se decide di farlo."

"tu mi sottovaluti…" - scherzò il demone - "pensi mica che mi faccia battere da una cacciatrice…"

"Stai parlando di Buffy. quella ti sbriciola le ossa senza pensarci due volte. Credimi, me ne sono prese talmente tante da Buffy.." - si interruppe, con un cambiamento di espressione - "Qualcosa mi dice che su di te non leverebbe un dito…"

cosa poteva fare se non sorridergli, per quel suo tono sospettoso?

"Possibile. Siamo riusciti ad accantonare le divergenze del passato."

"senti un po', Cantastorie, adesso che ci penso… da quanti anni ficchi il becco in tutta questa situazione?"

"non capisco…" - replicò Doyle, spalancando gli occhioni bugiardi.

"Oh sì che capisci… e ti assicuro che mi piacerebbe proprio sapere come facevi a conoscere Buffy…"

"Vuoi farti gli affari miei, insomma…"

"Io posso."

"Ed in base a cosa?" - voleva proprio sentire cosa si inventava.

Spike era un campione a trovare motivazioni veritiere e logicamente impeccabili.

"Io posso perché…"

"Lascia stare… te lo dico perché voglio dirtelo. Nessun' altra motivazione oltre a questa. Buffy mi conosce perché io sono venuto a sunnydale la notte in cui lei ha rispedito Acatlha all'inferno…"

"E non ci siamo incontrati?" - Spike alzò un sopracciglio - "Ha passato con me buona parte della nottata."

"spike…" - non era certo che l'avrebbe presa bene… - "io sono quello che ha detto a Buffy di ammazzare Angel…"

"Oh… anche tu? Prima o dopo che l'ho consigliata io?"

"Prima…" - parlare con Angel è stato inutile e straziante…

"io volevo Drusilla. E tu?"

"La stessa cosa che volevi tu…" - precisò doyle, guardandolo - "Salvare il mondo…"

"Scommetto che le tue motivazioni erano più nobili delle mie." - ribattè Spike, aprendo il frigo.

"Non è un po' presto per cominciare a bere?"

"Doyle… tu non ci crederai." - disse spike, voltandosi minaccioso, con il succo d'arancia in mano - "Ma ho fame…"

doyle aprì la bocca. Stava per esordire con un 'allora mangia!', quando si ricordò che non aveva a che fare con un umano.

"Molta fame?" - azzardò.

Ed il succo d'arancia si bloccò a mezz'asta.

"Tranquillo. Non ti mordo." - borbottò - "Dannazione, se ho fame…"

 

"Ciao Spike." - sbadigliò Willow, entrando un cucina. Aveva un pigiama a fiorellini delizioso.

Gli passò vicino, assonnata e lo baciò sulla guancia, afferrandolo per la maglietta.

Poi proseguì verso il frigo.

"ciao anche a te…" - aggiunse rivolta a Doyle. Non era propriamente sveglia, ma era molto socievole -"Spike, credo che ci sia un contenitore in frigo dawn ti aspettava e si è organizzata. Sai dov'è il succo d'arancia?"

"Sul serio c'è un contenitore per me?" - spike si precipitò a spalancare il freezer. E willow, per non restare decapitata, chinò prontamente la testa, tuffandosi quasi dentro il frigorifero.

Dei bei riflessi per una che dormiva.

"Ehi, will!" - spike sbattè lo sportello abbracciando i contenitori - "la spremuta è sul tavolo. Tieni."

Le aveva anche recuperato un bicchiere.

Doyle non credeva ai suoi occhi. In cucina, a casa della cacciatrice, c'era un vampiro che, frugando, a caccia di una tazza per il suo sangue mattutino, offriva cereali ad una strega dai capelli rossi con pigiama a fiorellini.

"Ti sei ambientato bene…" - constatò, dimenticando come, fino a pochi secondi prima, fossero stati presi da una conversazione seria.

"Certo." - willow, allegra e spettinata, si sedette, afferrando il cucchiaio che Spike le porgeva - "grazie. Ha passato qui tutta l'estate…"

"Io e Will facciamo sempre colazione insieme. Di me Tara non è gelosa." - replicò lui, sbattendo il suo pranzo o che quel che era nel microonde.

Di rimando, la ragazza si limitò ad alzare gli occhi al cielo. Probabilmente si era ormai rassegnata alle battute perfide del bellimbusto.

Lo sportello del microonde si era appena chiuso e già Spike ci batteva una mano sopra.

"E muoviti, muoviti, muoviti…" - ringhiava, fissando ossessivamente il timer.

"Spike, ma da quanto tempo non mangi?"

"E chi si ricorda…quando sono partito da qui?"

Willow lanciò un'occhiata interrogativa a Doyle. E lui scosse la testa con sopportazione.

"Non gli credere. Angel ha dovuto accendere un'ipoteca per riuscire a sfamarlo…"

willow sorrise, prima di tornare a rimestare i suoi cereali.

Era un gesto che univa il mondo…

Tutti, prima o poi, si sedevano arruffati al tavolo di cucina, con i corn-flakes ed il bricco del latte.

Persino Faith aspettava di non avere testimoni, per godersi una colazione del genere…

Willow e spike facevano colazione insieme…

Come Doyle e Faith…

Era il loro segreto.

Sedevano in cucina ed ogni mattina godevano del silenzio e delle tranquillità. Prima di tornare a letto o cominciare un nuovo giorno.

Una pausa.

Sì, tutto sommato anche il suo carattere tranquillo poteva sentire nostalgia. Ed una punta di preoccupazione.

"Ma tu guarda quello…" - disse, per scuotersi. E Willow si voltò a guardare ciò che Doyle le indicava. Spike, imperturbabile, continuava a picchiare il microonde - "Sembra uno che non mangia da settimane…"

"Sono sotto stress." - ribattè lui, senza neanche girarsi.

Un altro flash. Doyle sussultò e si afferrò al ripiano.

La schiena di Spike. Qualcosa calava inesorabile sulla schiena di Spike.

Lo vedeva inarcare la testa e reprimere un urlo.

Tra le braccia stringeva qualcosa…

O qualcuno?

"Doyle…"

Buffo… allora Willow ricordava il suo nome…

"Va tutto bene."

"Non gli credere… ormai lo dice senza neanche pensarci…"

Spike. Lo mise a fuoco a fatica. Aveva abbandonato la sua colazione ed era a lato del bancone. Ad un passo da doyle.

Non muoveva un muscolo.

Voleva sembrare incurante.

Ma gli sarebbe bastato un singolo attimo per afferrarlo. O aiutarlo.

Per fare ogni cosa necessaria.

Ed a stento nascondeva l'impazienza di sapere cosa avesse visto.

"Willow…" - Doyle si piantò quasi le unghie in mezzo alla fronte - "Ignoralo. Sto veramente bene. Spero di non averti spaventata…"

"Spaventata no… preoccupata, forse." - replicò, imbarazzata, riempiendogli il bicchiere di succo. Gli sarebbe piaciuto che spike si sbilanciasse a dedicarle un'espressione rassicurante.

Invece, da dove era seduta, poteva vedere solo il suo profilo di marmo.

Ed il suo sguardo fisso su doyle.

"Devo ricominciare a preoccuparmi?" - lo sentì chiedere, garbatamente. Inclinando un po' la testa, con quell'espressione con cui parlava con dawn, quando voleva a tutti i costi sentirsi dire la verità.

Accattivante….

"Se per te non è un problema, sarò io a preoccuparmi." - replicò, cercando di mettersi in piedi.

Era bianco come un cencio.

E spike per un attimo temette di vederlo scivolare a terra.

"Willow…" - sussurrò, cauto - "Non ti preoccupare, gli capita di continuo… è un esibizionista…"

"è tremendamente vero." -Doyle scosse la testa per snebbiarsi la vista definitivamente - "vivo con un eroe… devo ritagliarmi il mio spazio alla ribalta…"

"vedi? Adesso parlerà aulico per un po' e poi sarà a posto…"

"Spike… la tua colazione brucia…"

"cosa?" - si girò, dimenticando tutto - "Nonononono…."

"Vedi willow? Un vero samaritano…" - disse doyle, restando in piedi, per vederla sorridere, sollevata.

 

Era un tipo simpatico.

Willow l'aveva pensato dalla prima volta in cui si erano visti, anche se le circostanze non erano state le migliori per approfondire una conoscenza.

Anche Tara lo riteneva una brava persona. E difficilmente si sbagliava.

Di certo era più di quello che sembrava.

E per Willow quello era già un motivo di cameratismo. Tutta una vita, ad apparire meno di quanto valesse.

Senza riuscire mai ad emergere del tutto.

Solo adesso, con la magia…

Sì, la magia era il suo pensiero confortante.

Con essa sarebbe stata finalmente qualcuno…

Chissà se poteva fare qualcosa per Doyle e le sue visioni…

 

"Doyle, posso fare qualcosa per aiutarti?"

"no, grazie." - sorrise lui - "Niente code di rospo o simili, mi fanno venire acidità di stomaco. Sono obbligato a tenermi le visioni per contratto… e certe volte è meglio non discutere con il destino…"

Non era abbastanza stupida per non recepire. Quello sguardo sapeva scavare nella persona che fissava. E Willow si sentì tornare una ragazza come tante.

"allora vado a vestirmi." - mormorò, alzandosi - "Ma se cambi idea…"

"Non penso che lo farò, ma grazie…"

la seguirono entrambi con gli occhi.

"Sei incredibile." - commentò Spike, non appena Willow fu in cima alle scale - "hai trasformato un mal di testa in una morale…"

"chiamami pure il re della parabola…"

"Non ti sembra un po' biblico?" - lo punzecchiò, assaporando la prima sorsata del suo pasto.

"anche tu con questa storia?" - chiese doyle, voltandosi a guardarlo - "allora anche tu e Buffy avete qualche opinione in comune…"

Erano molto vicini. Ed anche se spike non faceva commenti, era preoccupato.

"Hai un motivo per fissarmi in quel modo?" - Spike gli puntava gli occhi addosso e leggeva una preoccupazione che era molto simile a quella che sentiva nel cuore. E non potè fare a meno di chiederlo, mentre Doyle tornava a sedersi.

Fece rotolare il flacone delle aspirine verso di lui. Sapeva che Doyle le inghiottiva come fossero caramelle.

"Hai visto me questa volta, vero?"

doyle alzò gli occhi verso di lui e posò le pastiglie senza prenderle. Annuì, senza un commento.

"E… morivo?"

non ne aveva realmente paura.

Aveva solo bisogno di saperlo.

"No. Non ti ho visto svanire. Ti ho visto soffrire…"

"Ho modo di contrastare tutto questo?"

Erano essenziali. Le voci basse, perché nessun'altro condividesse quel loro segreto.

"Sei abbastanza forte per riuscirci… non sarebbe la prima volta…"

"Raccontami cosa hai visto…"

E così fece Doyle. Ogni particolare, ogni minima cosa.

"Sei certo che fosse un cimitero?"

"No. Posso ritenerlo probabile. Ma non è questo il particolare rilevante. Venivi colpito alle spalle… stavi difendendo qualcuno."

"Qualcosa o qualcuno?"

"difficile a dirsi."

"intanto lo sapremo presto…" - concluse spike - "c'è solo una cosa che non mi è chiara…"

"sarebbe?"

"Una volta non avevi visioni solo sugli innocenti?"

Gli sorrise. Deliberatamente.

"Ancora adesso ho visioni solo sugli innocenti…"

 

"Mi consigli un testamento?"

"con il lavoro che fai dovresti averlo già…"

"Una frase confortante, grazie."

"Figurati…."

"Doyle…"

"Ti prego Spike, non affidarmi nessuno. Angel m'impegna anche nel tempo libero…"

 

Cercavano entrambi di convincersi che non valesse la pena di parlarne seriamente.

Dopotutto, avevano altro di cui chiacchierare.

 

"Stai pensando a faith?"

"Certo. Non capisco cosa ci faccia di nuovo qui…"

"E' qui che è cominciata la sua caduta." - considerò Doyle - "Penso che in questo momento.."

s'interruppe. E si voltò.

Dawn stava percorrendo il corridoio, strofinandosi gli occhi.

Nemmeno adesso, appena alzata, i suoi capelli erano aggrovigliati.

Cadevano lisci e lucenti sulle spalle.

"Ben alzata."

"Ciao Doyle… abbiamo provato a restare alzati ad aspettarvi ma si vede che qualcosa è andato storto…"

"Per l'esattezza stavamo ancora parlando dell'intenzione di restare alzati quando sei crollata." -Spike si alzò e le riempì un bicchiere di latte - Ti abbiamo svegliata?"

"No." - Dawn scosse la testa, e si sedette vicino a Doyle, allungando la mano per afferrare il bicchiere al centro del tavolo - "Buffy dov'è?"

"Ha parlato di annunci di lavoro ed è uscita con Tara. Willow deve essere di sopra, a studiare. Ha fatto una rapida apparizione e poi è sparita di nuovo."

"Deve avere un esame." - spiegò dawn. Ma non era particolarmente interessata all'argomento. C'era altro che le ronzava in testa - "Spike, ho pensato una cosa."

"Dormendo?"

"Bhe, sì, più o meno. Se Faith è in crisi, non è probabile che venga qui a Sunnydale per cercare di capire? In fondo è qui che sono cominciati i suoi guai…"

Doyle e spike si scambiarono un'occhiata.

Un'occhiata con la O maiuscola.

"la pensate come me?" - Dawn spostava lo sguardo da uno all'altro - "Non vi sembra possibile?"

"non solo è possibile." - commentò Spike, senza smettere di fissare doyle - "Ma è anche appurato…"

"Visto?" - Dawn era molto contenta della sua intuizione - "Chiamatemi pure Dawn, la Chiave dei misteri."

Non si poteva negarle un certo senso dell'umorismo. Spike sorrise, cercando di mantenere un contegno. Ma Doyle manifestava già un'ammirazione senza confini per quella ragazza che prometteva di divenire splendida… alla fine dell'età disgraziata…

"Non guardarla in quel modo." - che tono gelido il vampiro!

"Quale modo?"

"Quel modo. Tu sei accasato. Lei è minorenne." - scandiva bene le parole per essere capito senza dubbi - "Fine della questione."

"Accidenti quanto sei possessivo!" - Dawn lo apostrofò senza pensarci nemmeno troppo.

E per poco doyle non morì strangolato.

Dawn gli stava ancora dando grandi colpi sulla schiena, quando tornò Buffy.

"Bene… si banchetta a sbafo, qui." - constatò, sbattendo la borsetta sul tavolo e salutando dawn con un abbraccio.

"Ciao Buffy." - Dawn l'abbracciò, con l'aria di una gatta che fa le fusa. - "Ti trovo bene…"

"Mi sento bene." - replicò lei, ignorando Spike e girandole attorno.

Mentre Doyle rispondeva con un'alzata di spalle innocente all'occhiata di dawn. Non aveva intenzione di prendersi il merito per il buonumore della cacciatrice.

"Pranzate con noi?"

"Già pranzato grazie."

La voce di spike la fece sobbalzare. Sentì incrinarsi il bicchiere che aveva tra le dita. E lo posò, incurante sul lavabo.

"Meglio." - replicò tagliente - "Ci hanno già pensato tutti quei datori di lavoro a farmi venire la nausea."

Uno splendido inizio.

La mascella di Spike si irrigidì impercettibilmente.

Ed il lampo che gli passò negli occhi fece venire i brividi sia a doyle che a dawn.

"Meglio. Così non ci sarà un peggioramento in quel tuo culo flaccido…"

 

Al decimo minuto di litigata dawn si alzò. E senza un commento, passando in mezzo ai due che, uno di fronte all'altro, impegnavano al meglio le loro potenzialità canore, marciò spedita verso i pensili.

Ne aprì uno e vi frugò dentro. Quando finalmente fu armata di un enorme sacchetto di patatine, si voltò e parlò con Doyle.

"Preferisci i pop corn?"

 

La discussione era interrotta.

Per niente colpita da tutti quegli occhi che la fissavano, dawn rimase dov'era, con il bottino tra le mani.

"Ci ha fregato." - commentò Spike.

iniziava ad andare molto fiero del lavoro svolto quell'estate…

 

buffy fu più pronta a riprendersi. Non potendo andare fiera del fatto che Dawn l'avesse zittita, si appellò alla condizione di sorella maggiore.

"Non si mangiano schifezze prima di pranzo." - disse, levandole di mano i sacchetti e ritirandoli nell'armadietto da cui provenivano.

"Allora che si mangia?"

buffy sembrò pensarci un attimo. Ragionò, aprì un cassetto e sfogliò un quaderno.

Poi, chiudendolo con uno schiocco, si voltò, con la risposta a fior di labbra.

"Ordiniamo la pizza?"

 

 

IX

Un pranzo tranquillo.

Chiacchierando, ridendo, intrattenuti da Doyle, con il suo repertorio anti-situazioni spinose.

Chiacchiere.

Pure e semplici parole sopra ai cartoni delle pizze, seduti nella sala da pranzo di casa Summers.

Una breve parentesi prima tornare ognuno alla parvenza di vita normale che si era costruito. Willow aveva raggiunto tara in facoltà, Anya aveva chiamato per avvertire che il Magic Shop era aperto e che Giles sarebbe arrivato al più tardi domattina.

E dawn aveva promesso di raggiungerla. Xander sarebbe passato a prenderla.

Doyle, dopo l'ennesimo biscotto, si era addormentato sul divano, con la coperta di dawn come cuscino, mentre parlava con Spike.

Ed il vampiro, senza un commento, si era alzato e l'aveva lasciato ai suoi sonni che si augurava, di tutto cuore, fossero tranquilli.

In cucina si sentiva l'acqua scorrere.

Godendosi la pace della casa ormai vuota, Buffy lavava piatti e bicchieri.

Con movimenti tranquilli ed umani.

Aveva scostato le tende e sbirciava fuori, in giardino, sopra le piante aromatiche.

Il sole le illuminava il profilo, colorandola di orzo e bronzo.

I capelli le ricadevano folti sulle spalle. Li teneva legati con un elastico, perché non le dessero fastidio.

La luce addolciva le sue spigolosità.

Spigolosità di carattere più che di fisico.

Lavava i piatti e si attardava ad asciugarli. Uno ad uno, con lenti movimenti circolari.

Come se potesse scorgere nel loro riflesso i desideri più agognati.

"Buffy…" - la chiamò, avanzando, fino ad appoggiarsi ad uno dei mobili, uscendo appena dalla penombra del corridoio - "Ti disturbo?"

la vide interrompere la routine, come se dovesse soppesare la richiesta.

Poi annuire, senza voltarsi.

Protendersi a serrare di nuovo le tende.

"Entra." - mormorò.

Spike avanzò per la cucina. Buffy aveva ripreso a lavare i piatti. Sedette sull'angolo del mobile e prese lo strofinaccio.

Per un po' rimasero così, senza parlarsi. Buffy lavava i piatti e Spike, tendendo una mano, li asciugava.

Un silenzio destinato a divenire troppo pesante.

"doyle?"

Era un buon inizio, diplomatico, si complimentò Buffy con se stessa. Parlare di qualcosa che avevano in comune… ottima idea.

Come se fossero due estranei…

"Si è addormentato, sul divano."

"Aveva un brutto mal di testa…"

"Già. Lui e Cordelia sono tornati a Los Angeles ieri sera, poi io e lui siamo ripartiti per venire qui e…"

"E poi le visioni,no?"

"Già. Le visioni…" - Spike impilava i piatti, man mano che li asciugava.

"Sono brutte, non è vero?"

"Ne ha avute di peggiori…"

La conversazione stava già languendo.

"Ne ha avute ancora, stamattina?"

"Una volta sola. Ma era connessa con quelle di stanotte."

Non sembrava molto propenso a raccontarne i contenuti.

"Come mai vi siete precipitati a Sunnydale?" - il tono di Buffy suonava vagamente irritato, non apprezzava quella conversazione così stentata che aveva rimpiazzato la solitudine ed i suoi pensieri.

"Doyle non mi ha detto che venivamo a Sunnydale."

"E tu sei salito in macchina senza far polemica?"

"Si da' il caso…" - ribattè controllandosi a stento - " che io non abbia bisogno di mettermi a discutere per ogni cosa."

"E Doyle che motivo aveva per venire qui?"

"Buffy…" - lo irritava quel suo modo di indagare - "è venuto per parlare con te. Mi pare che te lo abbia detto fin dall'inizio."

"Già." - appariva riluttante ad ammetterlo.

"Tu non lo conosci bene, Buffy. Doyle ha il duro compito di saper sempre cosa deve fare… ha detto che doveva parlare con una persona. Ed è venuto qui a parlare con te."

"E tu? Che bisogno c'era che tu venissi?"

"Chi può dirlo…" - sospirò lui, aggiungendo un altro piatto - "Potrebbe essermi già successo qualcosa… oppure è qualcosa che deve ancora accadere…"

tacque. La visione di Doyle, così come poteva immaginarla, gli saettò nella mente.

Qualcosa l'avrebbe colpito alla schiena, in una notte a venire.

Qualcosa che l'avrebbe fatto urlare.

E chi, chi avrebbe protetto in quel frangente?

"Spike, da quando credi così fermamente al destino?"

"Da quando mi tormenta più del solito… e poi credo nel destino nella misura che mi serve a contrastarlo." - un altro piatto - "Come te, del resto."

"Non sono certa che il destino sia così facile da combattere."

"Non ho detto questo. Ho detto che, in ogni caso, bisogna contrastarlo. E cambiarlo, se non è il migliore per noi."

"Come dire che tu perderesti volentieri l'anima?"

Si mordeva le labbra. Aveva interrotto il suo lavoro, per fissarlo.

Per provocarlo.

Vergognandosene.

"Non ho voglia di litigare, Buffy. come ho già avuto modo di dirti una volta, l'anima mi ha portato certi vantaggi." - le levò il piatto grondante dalle dita e lo asciugò, con calma - "Non so dove mi porterà, ma non posso più farne a meno."

Non sapeva cos'altro aggiungere.

E nemmeno buffy riusciva più a riempirsi la testa di provocazioni.

Restava solo il godere ancora un po' della reciproca compagnia.

E superare il disagio.

"Mi spieghi perché abbiamo pranzato in quattro e laviamo piatti per dodici?" - chiese, all'ennesimo bicchiere che tirava a specchio.

Ho gli arretrati di ieri, sospirò lei.

"In certi momenti mi sembra di non fare altro…" - si interruppe. Si era sentita così bene per un attimo da averne paura.

La quotidianità, la quotidianità tanto desiderata…

"Anche a Los Angeles." - si affrettò a dire spike, per non spezzare quel condizione favorevole - "Figurati che Cordelia pretende di organizzare i turni per fare la spesa! E per spolverare! Mi vedi Buffy, mentre sbatto i tappeti?"

cercava di farla ridere. Di piacerle. Come faceva agli albori del corteggiamento. Quando gli bastava un chip, senza l'ambizione di un'anima.

E per quanti sforzi facesse, la cacciatrice lo fissava sempre con una vena d'acciaio nello sguardo.

Fino all'ultimo. Fino all'ultimo sorriso, nel librarsi giù dalla torre…

Il piatto le sfuggì di mano. E con una lentezza impressionante precipitò verso il pavimento. Senza arrivare a sfiorarlo. Fermato in tempo. Spike, in ginocchio di fronte a lei, con il piatto stretto tra le dita.

"Grazie." - mormorò.

Prima di ribellarsi alla propria freddezza.

Prima di afferrarlo per un polso.

"Grazie, Spike."

In un soffio, prima di pentirsi.

Per vederlo annuire. E capire senza equivoco.

 

"Ho parlato di molte cose, con doyle, ieri sera…" - esordì.

"Fa bene sfogarsi." - commentò, ritirandole i piatti su un ripiano più alto - "Doyle è un ottimo confidente."

"hai una grande opinione di lui, vero?"

"sono costretto ad averla. Ogni volta che provo a criticarlo mi dimostra quanto vale. E non è un santo."

"Un motivo in più per andarci d'accordo?"

"lo sai quanto odio la perfezione…" - richiuse il mobile - "c'è altro?"

"io devo rifare i letti."

"Vuoi una mano?"

"Perché no…"

non erano realmente convinti di essere amici. Era più simile ad una tregua armata. Ma poteva andare. buffy camminava d'avanti, con le lenzuola fresche di bucato. E dietro marciava spike, con la cesta in cui la cacciatrice, perfetta donna di casa, lanciava tutta la biancheria.

Magliette rosa di willow, canottiere striminzite di dawn, gonne lunghe di tara.

Tutto finiva in un unico groviglio.

Solo una volta l'espressione di Buffy divenne accusatoria.

"E' mia." - mormorò Spike, vedendosi sventolare una maglietta nera sotto al naso - "L'ho cercata tanto… non sapevo proprio dove l'avevo lasciata…"

 

e così via, stanza per stanza. Fino alla sua. A quella che era stata la sua stanza.

Buffy si fermò sulla porta. Era divenuta la stanza di dawn.

Non aveva un vero motivo per entrarci.

"Dawn deve imparare ad essere più ordinata." - mormorò, più per convincere se stessa - "Tutti abbiamo la nostra parte di lavori. Vieni, scendiamo."

La seguiva senza fare commenti.

Le guardava le spalle.

C'era stato un periodo della sua vita in cui nulla gli era sembrato migliore del seguirla, così, un passo più indietro.

Aspettare che si girasse, con occhi fiammeggianti.

Per rispondergli.

Per insultarlo.

Lo ferivano già allora, la sua rabbia, la sua freddezza.

Lo ferivano perché andavano contro il suo egoismo.

Buffy non voleva essere sua. Più si faceva desiderare, più spike la seguiva con tenacia.

E soffriva per il suo rifiuto.

 

Ora era tutto diverso.

Il tempo e, bisognava ammetterlo, Doyle gli avevano fatto comprendere il legame esistente tra loro.

La stretta corrispondenza delle azioni umane. Il loro disperato attrarsi inevitabilmente.

Le loro incrollabili capacità.

Capacità di far incontrare le strade parallele, come amava dire Lorne…

 

Ed uno che si convince di poter far incontrare le strade parallele… può arrivare anche a supporre di poter fare miracoli..

 

"Buffy. c'è una cosa che devo dirti."

Aspettò che si girasse, attese di incontrane lo sguardo.

"faith è a Sunnydale."

 

Si svegliò di soprassalto.

Qualcuno stava gridando.

No, inesatto.

Qualcuno gli stava urlando contro.

Si tirò a sedere, di scatto e li guardò, sbattendo le palpebre.

Buffy urlava, con le mani sui fianchi.

Ogni volta che spike, sempre con la cesta della biancheria sotto il braccio, cercava di farsi sentire, la ragazza alzava il tono della voce.

C'era da stupirsi che i vetri non vibrassero…

Rimase seduto sul divano a cercare di capire almeno una singola parola.

Quando infine, con un calcio, Buffy spedì la cesta e Spike lunghi distesi nell'entrata, la brutta piega presa della discussione gli sembrò evidente.

"Ok, frena!"

non sapeva quante ore avesse dormito. Ma non erano abbastanza da riuscire a captare al volo il nocciolo della questione. Saltò in piedi e si frappose tra buffy e spike.

"Qualcuno vuole dirmi cosa sta succedendo?"

ricominciarono le urla.

E Doyle, svegliato si soprassalto e ben prima della sua proverbiale pazienza, fu costretto ad imporsi.

Adesso si che i vetri tremavano.

"Ora che finalmente tacete entrambi, avremmo modo di metterci d'accordo."

Con sforzo enorme si sedettero in soggiorno, senza che volasse un altro singolo ceffone.

"Cosa hai fatto, Spike?"

"Come fai a dire che sono stato io!"

"Chiamalo intuito!" - ribattè,sedendosi di fronte ad entrambi.

Seduti vicini sul divano. Una cosa da non credere.

"Le ho detto che Faith è qui, a Sunnydale. Il resto non ho fatto in tempo a dirlo. Stava già urlando." - spiegò, fulminando la ragazza con un'occhiata.

La quale ricambiò, altrettanto grintosa. Senza muovere un muscolo, a braccia conserte e gambe accavallate.

Il ritratto dell'inespugnabile autodifesa.

"Credevo che non ci fossero dubbi riguardo alla mia opinione su faith." - commentò. "qui non si tratta del tua opinione!" - scattò spike, perdendo le staffe - "pensala come ti pare!ti comunicavo solo che Faith è qui a Sunnydale. Ed aggiungo che l'ho fatto per poi non sentir dire che ti avevo nascosto delle informazioni!"

buffy abbassò lo sguardo.

Un pensiero le sfrecciò rapido nella mente.

E Doyle lo captò con il gelo nelle ossa.

"Buffy. non ti ho mentito."

Li vide sussultare entrambi. Fissarlo.

Inorriditi.

"Ne sei certo?"

Buffy sentì gli occhi riempirsi di lacrime.

Voleva fidarsi, lo voleva così tanto da non riuscire neanche a respirare.

E se si fosse illusa?

"Oh, sì, sì, lo sono. Faith non sa che siamo qui. Ed io non lo saprei, non l'avessi vista nelle visioni, stanotte, mentre parlavo con te…"

anche Doyle si ribellava a quel malinteso. Buffy era così vicina al disastro… solo il suo corpo era tornato indietro. Ma la sua anima ancora vacillava, a cavallo tra due mondi entrambi divenuti rimpianto.

Doveva credere.

E se in quel momento se la sentiva di credere solo in doyle, lui l'avrebbe implorata di fidarsi.

Come poteva, come poteva essere così…

Lei, lei, Buffy, la cacciatrice.

Lo guardò, con occhi grandi e impauriti.

Lo guardò, inginocchiato innanzi a lei, sentì il proprio viso tra le sue mani.

E rifiutò di ammetterlo con se stessa. Si alzò, lasciandolo dov'era, asciugando rabbiosamente le lacrime che doyle avrebbe voluto raccogliere.

"Ti credo, Doyle." - mormorò, con la sua voce dura - "E sono calma. Voglio sapere perché faith è qui…"

Faith qui. Come sapere un serpente nel proprio giardino.

"Non sono affari tuoi."

"spike…"

"Spike un corno, doyle." - si era alzato, fregandosene santamente di quanto potesse incombere sull'amico, ancora inginocchiato sul tappeto - "Non le importa niente di faith. Assolutamente niente! Non mi serve il suo aiuto per ritrovarla."

"A te forse non serve." - replicò doyle alzandosi - "ma a me il suo aiuto può fare anche comodo…"

"per cosa? perché hai paura che io ci lasci veramente la pelle? Lei non ha intenzione di guardarmi le spalle, vuole sapere solo perché la fonte di ogni guaio, al secolo Faith, se ne sta così vicino…"

"Hai finito?"

"Non ho finito. Non ho affatto finito!"

"spike."

Si voltò a fissarla nel sentirsi chiamare. Si voltò per vedere la sua determinazione.

La sua capacità di passare sopra ad ogni cosa, per il bene di molti.

Non vide il suo odio per la rivale.

Buffy era focalizzata su altro.

"Spike… cosa ti fa pensare che morirai."

Per un attimo fu tentato di dirle tutta la verità, di appellarsi alla Cacciatrice che in lei risiedeva.

"trovare faith non è una passeggiata." - ribattè con un'alzata di spalle - "comporta certi rischi."

"Cosa te lo fa credere."

Adesso erano realmente vicini. E Buffy, riluttante, era costretta ad alzare la testa per incontrare i suoi occhi.

"Andiamo, Cacciatrice, i rischi sono rischi ed io non voglio il tuo aiuto. Perché si da' il caso che…"

"Che non siano affari miei. Lo so. Ho capito." -si sforzava di restare calma. E, per la prima volta da molto tempo, sapeva cosa doveva fare.

Spostò la sua attenzione su Doyle, alle spalle di Spike. il demone era fermo, in attesa che finisse lo sfogo. Le mani in tasca e lo sguardo assorto.

"Doyle."

Non era una domanda. Non era una preghiera.

Buffy lo avvertiva che era giunto il momento di dirle la verità. I fatti, l'accaduto presente e futuro.

Era pronta ad ascoltare.

Spike non prese bene neanche la fine della loro discussione. Tornò a sedersi sul divano, accendendo con rabbia una sigaretta e tirando pacchetto e accendino tra i cuscini.

"Vuoi dirglielo? Diglielo! Ma se inizia a pestarti, non aspettarti che ti soccorra."

Doyle non si girò nemmeno a guardarlo. Ma rivolse un sorriso a buffy.

Un sorriso che, se si fosse rivelato contagioso per Buffy, avrebbe provocato un'altra discussione con il suo antagonista di sempre.

Una cosa era certa.

Buffy non intendeva alzare un dito su Doyle. Ed in quella stanza, questa era un'informazione di dominio pubblico.

Iniziò a parlare, con calma.

Avesse proteso la mente, avrebbe potuto sentire la prima domanda martellante di Buffy.

Quella che traspariva dalla sua immobilità, dal suo sguardo da predatrice.

"Stamattina, in una visione, ho visto qualcuno ferire Spike. Non l'ho visto morire. Ho visto solo che veniva aggredito alle spalle. E che soffriva."

Parlava a frasi brevi, dosando le emozioni contrastanti. Avesse dovuto seguire il suo istinto avrebbe afferrato quei due marmocchi viziati e li avrebbe ficcati a testa in giù nella vasca da bagno.

Poi, sapendoli rinchiusi in un ripostiglio, dopo aver gettato la chiave, si sarebbe seduto tranquillo, a proseguire il suo sonnellino così malamente ininterrotto.

In certi momenti aveva l'impressione di chiedere così tanto…

"E quello che dovrebbe accadere a spike è connesso con faith?"

"Non ne ho la certezza."

"Ma non puoi escluderlo."

"No, non posso." - non posso. Dovrei dirti più di quanto vuoi realmente sapere.

Lo scoprirai fin troppo presto.

Lo saprai prima ancora di spike, quando sarà il momento…

"Adesso dimmi di faith."

"Non è venuta a Sunnydale con noi. Non sa che siamo qui." - ripetè.

"Ed è nei guai?"

Non le importava. Non le importava assolutamente se faith affogava nei suoi disastri. Le importava soltanto che non si estendessero a colpire le persone che amava.

"Faith al momento è un pericolo solo per se stessa."

"Come dire che è nei guai." - concluse, incrociando le braccia.

Spike la guardò e scosse la testa, mentre un sorriso cinico e arrabbiato gli increspava le labbra.

Doyle poteva dimostrarsi conciliante finché voleva.

In fondo non era la sua vita.

In fondo Buffy non era arrabbiata con lui.

In fondo Faith era da qualche parte e lui non si scomodava ad andare a cercarla.

In fondo…

In fondo poteva continuare ad urlare nella sua mente quanto di sbagliato c'era in Doyle.

Nulla avrebbe tolto quanto si sentisse carogna…

 

Spense la sigaretta con un movimento rabbioso. Ignorando deliberatamente il desiderio di appiccare fuoco alle tende.

Per ripicca.

Si alzò.

Voleva andarsene.

Fece in tempo ad arrivare nell'ingresso, prima di ricordarsi che non poteva uscire.

Che il sole non sarebbe calato ancora per alcune ore.

E, al colmo dell'esasperazione, si inginocchiò a terra, cominciando a raccogliere la biancheria sparsa sulla moquette.

Piegava ed impilava nella cesta.

Con cura quasi maniacale.

Con la facilità con cui, in un' epoca quasi dimenticata, spezzava colli e strappava arti. Le voci di Doyle e Buffy gli giungevano nitide.

"Sediamoci,ti va?" - Doyle lo sfiorò il braccio, indicandole le poltrone ed il divano.

E Buffy si era seduta, nel momento stesso in cui spike si era alzato.

Doyle , proteso verso di lei come era stato la notte prima, le riassunse sinteticamente i punti salienti.

Tralasciando il motivo per cui faith fosse fuggita da Los Angeles. Tralasciando la litigata sul tetto dell'Hyperion. Dopotutto rientrava nella privacy di spike.

"Stanotte, Spike ed io andremo a cercarla. Non credo valga la pena di cercarla, prima.

Faith si sta nascondendo certamente."

"Fa parte del suo stile."

"Ci si nasconde sempre, quando si ha paura."

L'aveva detto con tono quieto, senza neanche alzare lo sguardo.

Ma, per quel che lo riguardava, la conversazione era finita.

I tasselli mancanti li avrebbe dovuti fornire lui…

 

La guardò alzarsi.

E pensò che fossero impellenti due passi sul retro della casa, quando la vide inginocchiarsi ad aiutarlo a piegare magliette.

Era il suo modo di chiedere scusa.

Di dirgli che le dispiaceva fosse andata come al solito.

Sfiorargli le mani, nel passargli i vestiti, da aggiungere agli altri.

Senza dirsi nulla.

Nulla.

Non percependo nulla.

Fino alla rinuncia.

Buffy si protese ed afferrò la cesta. Prima di sentirsela sfilare dalle mani.

"Lascia, la porto io…"

 

Lo scantinato era un'oasi di disordine.

Scavalcando tutto ciò che era stato abbandonato nel coso dei mesi, Spike arrivò a posare la cesta incriminata al ripiano. E, senza neanche pensarci, si diresse verso lavatoio, cercare il detersivo.

"Come fai a sapere dove sia?"

"Ho vissuto qui, tutta l'estate." - commentò, recuperando il contenitore e passandoglielo - "Tara ha qualche problema di schiena e non le fa bene sollevare quelle ceste stracariche di roba."

"Come dire che sei l'uomo di casa…"

"Inutile che fai sarcasmo. lo sono sul serio. Qualcuno doveva prendere il tuo posto…"

buffy ignorò l'allusione a stento velata sul fatto che lei fosse l'uomo di casa e continuò la sua indagine.

"E tu saresti stato il più adatto a sostituirmi?"

"A quanto pare…"

"sì. Certo." - replicò Buffy, lasciando intendere quanto potesse credere a ciò che le veniva detto.

 

"Spike. vuoi il mio aiuto per ritrovare faith?"

"E da quando ti importa cosa voglio?"

si era voltato a fissarla. La bucava quasi, tanto i suoi pensieri bruciavano di rabbia.

Spike era furente con lei. Si dominava, si controllava, ma non c'era niente in lui che non fosse tensione.

Perché?

Perché le parlava in quel modo?

Buffy si sarebbe voluta proclamare vittima innocente. Ma in cuor suo sapeva di non esserlo.

E sapeva quanto spike fosse stato in gamba quell'estate.

Tutto in quella casa, parlava di lui. In un modo o nell'altro, tutti finivano con il menzionarlo, almeno una volta al giorno.

Tutti.

Willow che apparecchiava il tavolo chiacchierandoci, non sapendo come buffy potesse sentirla ridere dalla cucina.

Oppure anya, che aveva chiesto esplicitamente di parlargli quando aveva telefonato… Alla fine Spike era divenuto uno di loro.

E per Buffy era un mistero come fosse riuscito a conquistarli.

Come se, una volta svanita lei che sembrava il maggior legame tra Spike ed il gruppo, fossero cadute le tensioni.

Che Spike fosse divenuto realmente il loro capo ideale.? Che il loro istinto di banda li avesse portati ad aggrapparsi a quell'eterno ragazzo più solare di quanto non fosse mai stato il suo Angel?

Angel…

Di colpo si rese conto.

Angel non era venuto a Sunnydale.

Angel non aveva chiamato.

Angel…

Doyle, da qualche parte in un discorso, aveva detto che Spike l'aveva salvato per un soffio…

Ma chi, se non quello Spike che ora la fissava come se fosse in fiamme, avrebbe potuto raccontarle ogni particolare?

"Non lo faccio per Faith." - si impose di non pensare ad Angel ed ai suoi occhi…

addolorati, come li aveva ridotti l'ultima volta che si erano visti.

L'ultima, prima…

"Hai un altro motivo? La cacciatrice ha il dubbio di dovermi qualcosa?"

"No. Non ti devo niente."

Aveva risposto prima di riuscire a mordersi la lingua. Lo vide scuotere il capo, sorridendo e voltarsi.

"Spike, aspetta…io…"

"Dimmi Buffy…" - com'era pungente la sua voce - "lo fai per una stupida visione? Perché Doyle ipotizza che qualcuno possa farmi del male? Dovresti ignorarlo, è solo molto protettivo di carattere."

"Non vuole che ti accada niente."

"Che strano…lo dici come se fossi io che devo capirlo. Io so perché doyle si comporta in un dato modo, so di lui più di quanto tu possa immaginare. Non capisco una cosa… come mai non lo disapprovi?"

"Come scusa?"

"Ti ho chiesto perché non lo disapprovi.. in fondo gli è venuta questa strana fissazione di tutelarmi. Lui e le sue improbabili teorie." - la guardava, senza muovere un muscolo - "Anche fosse, quello che ha visto non riguarda te e la tua missione."

"Io non ho più una missione. E non sono più chi sono." - si voltò, sfiorandosi le labbra per quella verità che aveva gridato senza controllo.

Non voleva che si vedesse la sua debolezza.

Non voleva colpirlo.

Colpirlo… perché lui credeva in lei.

Nella lei che era sempre stata.

 

Erano cambiati entrambi.

Ma solo a parole.

Agli occhi di buffy, Spike era ancora l'improbabile alleato. Il vampiro senz'anima.

Per Spike, Buffy sarebbe sempre stata la cacciatrice incapace di amarlo e comprenderlo.

Amarlo…

Quale illusione, sfumata e morta nella loro passione.

Si portò una mano alla gola. Ancora, come poche ore prima.

Ancora, per ricordare il suo legame con i vampiri.

Il Claddagh.

Il morso.

 

E sussultò, quando sentì la sua mano posarsi sulla spalla.

Restò ferma.

Poi si lasciò guidare contro il suo petto.

Si appoggiò, posò la guancia sul suo cuore.

Come batteva forte e solenne, ora che non aveva più senso di farlo.

Come scandiva il tempo in respiri più lunghi…

Oh, quanto le era mancato quel suono… il suono del comprendere di Angel…

Ma non erano le braccia di Angel. Non era il corpo di Angel quello che la confortava.

Chiuse gli occhi e singhiozzò più forte.

I torti subiti e quelli seminati.

La sua vita perduta.

Perduta.

Così tante volte e da non poterlo credere.

Quante volte era morta… quante volte si era sentita morire.

Quante volte…

Quante volte senza volerlo. Senza ribellarsi.

E resurrezione era seguita a resurrezione.

Eppure le cadute non erano mai finite.

Nessuno poteva capire, nessuno. Nessuno poteva sapere quale liberazione fosse stata quel librarsi finalmente libera, tra cielo e terra.

Alla fine era diventata uno di loro… un demone sulla terra, aggrappato ad una vita ed un'emozione che non voleva.

Incapace a cedere.

Si sarebbe rialzata ancora. Anche senza forze e senza volontà.

Ma quale, quale prezzo!

"Oh, spike…"

lo sentì irrigidirsi,poi tornare a rilassarsi. E stringerla un po' più forte.

Sentì la mano tra i capelli. E sentì il suo capo chinarsi, fino ad appoggiarsi sulla sua testa.

 

Non l'avrebbe mai più abbracciata in nome di un amore che non esisteva.

Non si sarebbe più pentito innanzi ad angel per quell'amore profano che li aveva travolti.

Non avrebbe più ricordato le notti d'amore ed il suo corpo che solo quel nome sussurrato rendeva freddo.

Angel, angel, angel...

Probabilmente non se ne era mai resa conto. Buffy non aveva mai saputo di amarlo chiamando il suo Sire. Con la voce e con se stessa.

E spike mai l'aveva realmente piegata. Neanche con la vittoria in pugno, strappando trionfante la sua biancheria.

Ed era bastata un'anima. Un'anima dannata per perdere anche tutto questo.

Che non era amore.

Che non era nulla.

Se non l'incontro di due corpi con le mente ed il cuore pieni di qualcun altro.

 

Quanto aveva atteso di sentirsi chiamare per nome. Quanto aveva atteso quel riconoscimento.

Ma avrebbe pensato di ottenerlo in quel modo, con il puro istinto.

Per averla vista impallidire, per essersi sentito gridare contro una cattiveria.

Una cattiveria tornata indietro come un boomerang.

"Io non ho più una missione. E non sono più chi sono."

Oh, quanto si erano fatti male con quella piccola frase. Quanto…

Beffati dal destino. Entrambi tormentati oltre ogni umana comprensione, da loro stessi.

Quanti cocci da rimettere assieme, nelle vite di entrambi.

E fu stringendola che si rese conto quanto simili fossero i loro dolori.

Ricordava, ricordava l'anima che gli perforava il petto, che si insediava nuovamente in un cuore nero che mai l'avrebbe voluta.

Ricominciare da capo, una volta già raggiunta la completezza.

Non era forse questo il segreto della loro rinascita?

 

Come era strano…

Spike la stava abbracciando.

E non c'era più nulla di ossessivo e offensivo nei suoi gesti.

Chissà se confortava così dawn, nelle notti in cui non ricordava altro che essere orfana e fondamentalmente sola…

Abbracciati, a metà di una litigata.

"Sei una testona, cacciatrice." - lo sentì mormorare - "Non puoi dirmi le cose al posto che picchiarmi?"

 

X

 

*** La citazione in corsivo è tratta da The Gift(capIII).

Non le fu mai chiaro come fosse arrivata lì…

Seduta nella sua cucina.

Impegnata a soffiarsi il naso.

Con un vampiro affaccendato ed impegnato a riempire il bollitore del the.

The…

"Spike, lascia perdere. Non mi piace molto il the…"

"per lui invece è un rituale." - obbiettò Doyle da fuori casa, facendola sobbalzare - "Ricordati che è inglese…"

"Se vuoi fare umorismo sulle mie abitudini." - replicò l'altro, scostando la tenda quel poco che bastava - "Entra e siediti… Irlandese rompiscatole."

"Splendida giornata." - commentò, rientrando dalla porta di servizio con un poderoso sbadiglio - "Qualcosa mi dice che non vale la pena tornare a dormire."

Buffy sedeva su uno degli sgabelli del bancone, con un sano aspetto arruffato. Aveva gli occhi gonfi e pesti e stringeva ancora tra le dita quello che doveva essere un fazzoletto.

Guardò Doyle, abbozzando un'espressione imbarazzata.

Solo in quel momento doveva essersi resa conto che le si leggeva in viso come fosse andata a finire.

Senza ricordarsi che era Doyle quello che la stava fissando.

L'esperto delle risposte, più che delle domande.

"Ma che ci fai alle donne, William!" - lo apostrofò, spalancando le braccia e alzando gli occhi al cielo.

Imitando perfettamente Angel.

In un modo talmente impeccabile che spike, pur non avendo molti motivi per stare allegro, si ritrovò a sogghignare.

Buffy alzò la testa e lo fissò.

"William?"

Era vagamente interrogativa.

In un'epoca lontana, era stato proprio Angel ad avvertire Giles sul fatto che non sarebbe mai riuscito a trovare Spike negli annali degli Osservatori.

Forse perché Spike non esisteva. Esisteva solo un certo William il sanguinario.

William.

Non aveva mai sentito nessuno chiamarlo così…

Credeva fosse un nome ormai obsoleto, rimpiazzato dal soprannome che tutti conoscevano.

"Ti chiamano William, adesso?"

"Solo Angel. E Doyle stava imitando Angel." - non c'era motivo di dilungarsi , no?

E Buffy lo sorprese. Lo guardò, mentre un sorriso vagamente sarcastico le increspava i lati della bocca.

"Come dire che riesci ad esasperare anche Angel?" - era meglio importunarlo che chiedergli il perché di quel monopolio.

Stava già versando l'acqua bollente nei tazzoni. Finì il suo lavoro. Poi, meticolosamente, attento, posò il tutto e dosò le parole.

Ignorando Doyle che ridacchiava.

"Cacciatrice… esasperare Angel è la mia missione…"

"Come mai hai cominciato a farti chiamare Spike?" - domandò ancora, afferrando dalle sua dita la bustina del the.

Era curiosa.

E profondamente spossata.

Quei due demoni, in meno di venti ore, l'avevano messa di fronte a verità che avrebbe preferito non sapere.

L'aveva messa in contatto con le sue intime paure.

Confortata e ributtata in fondo al pozzo.

Per poi aiutarla risalire.

Restando con lei a camminare sul profilo del dubbio.

La disperazione e la quotidianità. Intrecciate insieme.

Una parvenza di vita, per legare il sovrannaturale che era in loro.

"Bella domanda." - commentò Doyle. Crollava dal sonno. Stava puntellato al bancone, impegnato ad immergere e sollevare la bustina con ritmo monotono.

"Diciamo che,molto tempo fa, a Praga ho fatto una grossa cazzata…" - rispose Spike, cercando di non dare alla situazione il peso che realmente aveva avuto - "Così ho dovuto poi far perdere un po' le tracce…"

"Cazzata grossa quanto?"

"Hai presente quando Xander ha fatto l'incantesimo per sopperire alle sue frustrazioni sessuali? Ecco, senza frustrazioni analoghe, io ho combinato pressappoco lo stesso casino."

"La furia collettiva ed il linciaggio? Sei stato proprio bravo…"

"See…" - ammise modesto. Guardandola con un sorrisetto fenomenale - "Ed il resto non te lo racconto… lì sì che sono stato veramente bravo…"

 

"Mi ci vorrebbe un altro caffè… altro che the…"

"Il risultato non cambia." - mormorò Buffy - "Siete così tesi che basterebbe un bicchier d'acqua per farvi venire le palpitazioni…"

erano rimasti soli in cucina. Spike stava cercando le sue sigarette, ribaltano i cuscini del divano.

E presto sarebbe tornato.

"Tu stai bene?" - le chiese Doyle, in fretta e sottovoce.

"Non ne sono sicura." - rispose Buffy, con un leggero sorriso - "Ma credo di non volerlo più uccidere…"

Sembrava una battuta.

E Doyle le sorrise, mentre l'intesa passava tra di loro.

Simbolica.

Era una frase simbolica.

Con il desiderio di uccidere Spike se ne era andato anche il rifiuto per se stessa.

Era scivolato via.

Facendola sentire meno sporca.

Meno sola.

Il tempo, sbiadendo il ricordo del paradiso perduto, l'avrebbe aiutata.

La memoria umana, nella sua inefficacia, sarebbe stata la sua chiave di salvezza.

Attendere…

E parlare, ammazzando il tempo.

 

"Da dove pensate di iniziare a cercarla?"

La domanda li colse di sorpresa.

La fissarono, entrambi.

Simultaneamente.

"Cavoli.." - commentò Buffy - "Ho avuto la vostra attenzione… allora, da dove si comincia?"

"Ti vuoi unire all'opera?"

Doyle lo fulminò con un'occhiata. Ma era mai possibile che attaccasse briga anche con le frasi con meno di dieci parole?

"Sì, Spike. per due buoni motivi. Primo: Non mi piace che nella mia zona ci siano traffici demoniaci di varia entità e senza la mia supervisione. Secondo: Se non la troviamo noi in fretta, piomberà qui tutto il Consiglio a cercarla. E nella settimana della mia resurrezione, non ho voglia di vedere anche tutti quegli inglesi barbosi."

"Concordo pienamente con il secondo punto." - annuì Doyle. Per poi tornare serio - "In effetti Buffy non ha tutti i torti. Se Giles sta già tornando indietro, il consiglio sarà allertato. Basterebbe un nonnulla per avere tutti i loro occhi puntati addosso."

"Quanto sa il Consiglio di Faith?" - chiese Buffy. Era strano, si sorprese a pensare, come del suo rapporto con Riley fosse restata solo la capacità di fare domande mirate e sintetiche.

Strano e triste, ricordare solo questa sua caratteristica. E più null'altro.

Un altro amore sparito.

"Sa che Westley la nasconde ed Angel la tutela." - disse Spike - "E' tutta l'estate che le stanno con il fiato sul collo."

"Hanno, a quanto sembra, un problema di successione." - aggiunse Doyle - "E' possibile che dopo la tua morte non si sia attivata un'altra cacciatrice. E faith non è quello che amerebbero definire un buon rimpiazzo."

"Un problema che io ho indirettamente risolto." - commentò Buffy - "saranno quasi stufi di vedermi resuscitare…"

"Può darsi che tu abbia ragione. Ma stanno stringendo il cerchio attorno a faith da vari mesi. Potrebbero non resistere al desiderio di liberarsene."

"Angel non può far nulla?"

"Lui e Wes hanno fatto anche l'impossibile." - concluse Doyle - "Le trattative vanno ancora avanti. Angel rimane in una posizione privilegiata agli occhi del Consiglio. Anche mettendosi di impegno non possono torcergli un capello senza ritrovarsi con un guaio a livello metafisico.

Su questo le Alte sfere sono state chiare. Con noi e con loro.

Angel non va toccato. E così tutti i Prescelti già identificati.

Faith resta in una posizione… equivoca. È l'unica che ancora ricade sotto la loro giurisdizione."

 

A metà della frase era suonato un campanello nella testa di Spike.

Qualcosa che non gli risultava. Qualcosa che, in più di un anno di scorribande con il suo Sire non aveva mai sentito neanche menzionare.

"Cos'è questa storia dei Prescelti?"

L'occhiata di Doyle sarebbe passata alla storia.

Come il suo unico commento.

"Oops."

 

"Lui non ne sa nulla?" - gli occhi di Buffy erano enormi - "Mi stai dicendo che Spike non ne sa nulla?"

Tenne per sé la profonda soddisfazione di vederlo spiazzato, per una volta.

Si limitò alla sorpresa.

Adesso non gli fregava più molto di sapere cosa fosse la questione dei Prescelti. Perché era peggio di quanto pensasse.

"Mi stai dicendo che buffy lo sa ed io no?"

 

Quanto gridavano quei due.

Ragazzi, che mal di testa…

Erano talmente presi a lamentarsi che non c'era spazio per rispondere alle loro accuse.

Pensandoci bene, se li lasciava parlare ancora un minuto avrebbero ricominciato a litigare dimenticandosi il motivo.

Bisognava solo scegliere….

Era meglio dire a spike quello che non sapeva o lasciare che ricominciasse a litigare con Buffy?

Quale era il male minore?

 

"Siiilenzio!"

Adesso che stavano zitti si poteva anche discutere.

E Doyle, dopo quell'urlo si sentiva decisamente meglio.

"Grazie." - mormorò, tornando a sedersi.

"Cos' è che lei sa ed io no?"

"Ti interessa di più sapere perché lei lo sa o cosa lei sa?"

"Sei pregato di non impegolarti in uno di quei tuoi soliti discorsi chilometrici. Fuori la verità e subito."

"Tieni, fuma." - rispose porgendogli le sigarette - "Ti farà bene."

"Ti ascolto."

"purtroppo ci atterremo ad informazioni generiche. Abbiamo già affrontato il discorso di predestinazione."

"Sì. E le parole a riguardo, cito testualmente, sono state: niente di ciò che è scritto non è immutabile. Altresì detto: la predestinazione non esiste se hai le palle."

"Cominciamo bene." - sospirò il demone. Buffy si era alzata e sbrigava alcune faccende. Preferiva tenere le mani occupate, pur non perdendosi una parola della conversazione - "Non stiamo parlando della predestinazione negli eventi, ma di quella nei ruoli. Mi cito testualmente:si scelgono le azioni, non i ruoli. Ti ricordi che ho detto anche questo?"

"Va bene." - tagliò corto - "Andiamo avanti fino alla parte che mi interessa."

"Io dubito che arriveremo mai alla parte che vuoi sentire. Non puoi saperla. Però posso spiegarti il contesto…"

Mordeva il freno. Lo guardava ed appariva visibilmente seccato. Stritolava il filtro della sigaretta con le labbra, ma non commentava. Aspettava che Doyle proseguisse nella spiegazione.

"Probabilmente sto per dirti qualcosa che sai già. È un argomento un po' inflazionato. Al di là delle profezie specifiche relative a certi eventi, esiste un possibile ordine stabilito per quanto riguarda le relazioni di certe persone. Una corrispondenza delle parti che va ben oltre ciò che siamo e come ci comportiamo. Qualcosa a cui non possiamo sfuggire. Ti serve un esempio?"

"Lasciami indovinare…" - ribattè rassegnato - "Io e la Chiave?"

buffy si voltò e lo guardò come se fosse un alieno.

Ma Doyle preferì ignorarla. E fornire, con un''unica frase la risposta ad entrambi.

"E' esatto. Tu sei il Custode della Chiave. Questo ruolo ti è stato probabilmente assegnato dalla notte dei tempi. Prima ancora che un singolo frate potesse anche sono concepire che la chiave divenisse carne. In un modo o nell'altro, prima o poi, sareste entrati in contatto. Ed al di là del vampiro che eri, pur essendo privo di anima, il tuo rapporto con Dawn era legato alla protezione che potevi fornirle."

"Questi legami implicano…" - cercava di dosare le parole, visto che sentiva gli occhi di Buffy impegnati ad incendiargli il cuoio capelluto - "… un senso di completezza quando si raggiunge l'obbiettivo?"

"Sì." - doyle annuì sorridendogli - "Quello che l'universo percepisce come un tassello al suo posto, per te equivale ad una sensazione di appagamento."

"Questo mi è chiaro." - il suo tono non ammetteva equivoci. Non voleva che si rivelasse altro, riguardo alle sue impressioni personali - "Per cui mi stai dicendo che esiste un insieme di persone inevitabilmente costrette ad incontrarsi."

"O a interagire senza incontrarsi." - puntualizzò - "Da questo punto di vista si tratta di un sistema molto elastico. Tutti hanno un ruolo. Solo che certi rimangono fissi più a lungo ed altri si riducono a brevi istanti. Anche in questo caso possiamo fare un esempio."

"Giles è la mia Guida. Ma in alcuni casi è stato temporaneamente sostituito." - lo interruppe Buffy - "In un caso è stato Doyle la mia Guida."

"E' esatto." - annuì, Doyle, riprendendo la spiegazione - "Un altro caso siamo io e Cordelia. Io sono la Guida di Angel."

"Ma lo è stata anche Cordelia." - concluse Spike.

Iniziava a capire.

Una rete di relazioni intricatissime.

"Tu sei portato di natura a comprendere certi aspetti. Sapere che esiste un possibile perché a certi legami non è una verità che ti coglie impreparato."

"Sicchè, se tu ora mi dicessi cosa sai sul mio ruolo, si riempirebbero tutti gli spazi vuoti delle conversazioni nell'ultimo anno?"

era la domanda a bersaglio.

Senza colpo ferire.

Diretta ed inequivocabile.

Doyle gli sorrise.

Da lui non si sarebbe aspettato di meno.

"Dritto al punto" - commentò - "Io non potrei dire di te assolutamente nulla. La mia non è scienza infusa, Spike. io posso fornire le informazioni solo quando finalmente sono slegate dalle loro limitazioni. Sono poche le cose che conosco e di cui non posso disporre liberamente. Ma in qui cadiamo in una situazione puramente soggettiva, che a che fare con altri ruoli che ricopro. Non a caso a Cordelia lasciai solo le visioni. E le visioni soltanto."

Spike annuì. Tamburellava sul tavolo. E la sigaretta ormai da lungo tempo giaceva spenta nel posacenere. Non aveva sentito il bisogno di una seconda.

"Per cui, concludendo, esiste una schiera di Prescelti connessi ad Angel." - azzardò.

"Già. Torniamo alla tua domanda iniziale. Angel è una figura molto forte sia nel contesto dei ruoli che in quello delle profezie. Non è un segreto. Angel è il catalizzatore di molte energie universali. Fino a quando non sei spuntato tu, la sua posizione privilegiata è stata anche connessa alla sua unicità."

"Il vampiro con l'anima." - mormorò Buffy. Dirlo le permetteva di raggiungere la consapevolezza di come anche adesso anche Spike avesse un'anima. Un pensiero su ci non si era mai realmente soffermata.

Nell'attimo in cui aveva visto andare via spike ed Angel, la sua mente era stata protesa al dolore di vederli partire entrambi. Non al grande cambiamento avvenuto.

Non al fatto che lo Spike che aveva di fronte non fosse più lo stesso che aveva conosciuto.

"A parte il fatto di avergli rovinato l'esclusiva, ho qualche altra incombenza?"

"Non sarà cambiando i termini alla domanda che potrai avere una risposta, Spike. il tuo legame con Angel è molto forte. e per molti versi ben al di sopra della comprensione che potremo mai averne."

"ottimo. Mi è appena stato detto che sono inspiegabile! E che ho pure scombinato le vostre elucubrazioni!"

"Le mie non tanto." - rise Doyle - "Ma quelle di Westley all'inverosimile! Puoi provare a chiedere a lui, quando torniamo a LA. Ti aggiornerà sui suoi studi."

"Non te lo consiglio…" - disse Buffy - "L'unica volta che ho avuto bisogno di una spiegazione sull'argomento, Giles mi ha sommerso di documentazione."

"pure Giles…"

"Non li chiamano Osservatori perché portano gli occhiali."

"Va bene. Veniamo al dunque."

"Siamo già al dunque."

"No. Non mi hai detto perché a Buffy l'avete detto e a me no."

Diamine! E perché gli ridevano anche in faccia?

 

"Oh, Spike…" - Buffy non riusciva a trattenere le lacrime - "Sei geloso…"

"Io gelos…" - Spike si girò a guardarla - "ma non diciamo scemenze!"

Era fondamentalmente vero. Non capiva perché, se c'era un grande e complesso disegno universale, tutti ne fossero a conoscenza tranne lui. Era…era razzismo!

"Non me lo avete detto perché sono indisciplinato e cattivo?" - li provocò.

"oh, signore!" - esclamò Doyle alzando gli occhi al cielo - "Non è che facciamo riunioni segrete per scambiarci complimenti. E di certo non parliamo di te alle tue spalle. Di tanto in tanto io e Wes prendiamo nota di alcune connessioni. Con animo da studiosi…"

"Non mi hai detto perché lei lo sa…" - insistette.

"Io lo so perché Angel me lo ha detto."

Spike la fissava con occhi che erano fessure.

E mentre già apriva bocca per uscirsene con un nuova perversione, Doyle lo interruppe.

"Buffy è, in una certa ottica, lo speculare di Angel. Ci sono molti ruoli che girano intorno al suo. Buffy è la cacciatrice. Questo non è un segreto. Le informazioni che lei ed angel si scambiano sono di altro genere. Non sono speculazioni. Loro devono necessariamente avere consapevolezza del loro ruolo."

Buffy abbassò lo sguardo.

Era consapevole del rischio che correvano… se lei era ancora realmente la cacciatrice, doveva raggiungere pieno controllo del suo ruolo nel minor tempo possibile.

Da questo dipendevano molti equilibri che stavano vacillando…

"Il mio ritorno sta provocando confusione…" - spiegò Buffy.

Le carte del destino si stanno rimescolando un'altra volta.

Si credeva fossero già disposte sul tavolo.

Ci sbagliavamo tutti.

"Willlow ha probabilmente rivestito un ruolo che non le competeva." - aggiunse ancora - "Riportandomi in vita ha complicato l'equilibrio."

"Niente che l'universo non rimedierà."

"E' questo che mi preoccupa, Doyle."

 

"Una cosa è certa." - aggiunse, riprendendosi - "Io sono la cacciatrice."

"E Faith?" - chiese Spike.

"Anche Faith è una cacciatrice. Il ruolo potrebbe essersi sdoppiato."

"Oppure Faith potrebbe avere un altro ruolo…"

"Questo non lo credo, Buffy. Ho motivi per pensare che tu e faith siate ancora intimamente legate."

"Che bello…"

Grondava sarcasmo.

E Spike adesso non poteva che sogghignare.

"Allora anche tu che sai tutto non apprezzi questo gioco delle parti…"

"Sta zitto Spike." - rispose, automaticamente, mordicchiandosi una ciocca di capelli - "Cosa ti fa pensare che tra me e Faith ci sia un legame?"

"Le mie visioni su Faith sono connesse alla tua vicinanza, Buffy. Su questo non c'è da discutere. È così."

"Non ti pare una spiegazione un po' scarna?"

"Anche a te non posso dire tutto." - la punzecchiò - "Le visioni, ringraziando il cielo, sono sempre e solo affari miei. Non condivisibili."

Ecco.

Avevano ricominciato a parlare contemporaneamente.

Volevano sapere.

E pretendevano che l'altro non sapesse.

Ed il the era ormai freddo.

Restò in silenzio, mentre quei due di discutevano a suon di supposizioni, recriminazioni e frecciate.

Erano snervanti.

Preferiva di gran lunga estraniarsi. Mentre attendeva la fatidica domanda.

Quella che prima o poi avrebbero fatto entrambi.

 

Eccola…

Eccola che arriva…

Ottimo… fregato.

 

"Forse dovresti dirci almeno che relazione intercorre tra noi!"

Spike aveva interrotto la discussione e l'aveva puntato.

In piedi, appoggiato al bancone, con la Buffy direttamente a fianco.

Doyle puntò il dito contro entrambi.

"Vampiro…" - disse, indicando prima lui e successivamente lei - "…e Cacciatrice. Non vi basta?"

 

No. A quanto pare non basta.

Ma quanto parlano…

 

"Ragazzi… ragazzi… mi dite come vi rispondo se non state zitti?"

"Vogliamo una risposta."

"Hai un Osservatore, Buffy. domani quando arriva glielo puoi chiedere."

"Lei ha un osservatore. E io?"

"Tu puoi chiamare Wes… oppure Angel."

Non funzionava. Non abboccavano alle sue soluzioni alternative.

Fino a quando, a metà di una lamentela, Spike si bloccò ed in lui si fece strada un ricordo.

Una conversazione…

 

Il suo silenzio era anomalo. Ed ottenne come risultato il silenzio di Buffy.

Anche il suo sorrisetto appariva presagio di una nuova trovata.

"Spike… che c'è?" - Doyle aveva quasi paura a chiederlo.

"Tu, hai già risposto a questa domanda." - esclamò trionfante.

"Come scusa?"

"Io so già la risposta. Tu me lo hai detto quando lei… bhe, sai quando me lo hai detto, no?"

Doyle aggrottò le sopracciglia, cercando di ricordare.

E quando infine gli venne in mente a cosa si riferiva Spike, scosse la testa.

"Beccato…" - ridacchiò.

Non poteva negarlo.

Aveva già risposto a questa domanda, non molto tempo prima.

Tipico di Spike ricordarlo nel momento più opportuno…

 

"Amore per lo stesso compito, non amore uno per l'altro… fino all'ultimo, intrappolati in questa ragnatela fatta di rabbia. Condividevamo lo stesso destino in due mondi diversi."

"Tu con Angel. lei con Dawn."

 

"Doyle.. di cosa sta parlando?"

Ecco. Buffy.

Buffy che lo fissava con occhi spalancati.

"Andiamo Buffy." - Spike osava addirittura passarle un braccio attorno alle spalle, per completare la sua vittoria - "Si tratta di informazioni riservate. Doyle non può dirtelo…"

Doyle scosse ancora la testa. Lasciando che ricominciassero a discutere. Intanto Spike non l'avrebbe mai detto a Buffy. aveva i suoi buoni motivi per farlo. oltre ad una certa malizia.

Li lasciò fare. Adesso sapeva che Spike non avrebbe più calcato la mano su di lei. Adesso per lui la situazione era definitivamente chiarita. Era bastato un ricordo, un semplice ricordo…

 

"Spike." - lo chiamò ancora.

Interrompendo la rissa. Buffy e Spike stavano muso a muso.

Più vicino di così, avrebbe potuto solo baciarla.

"La tua curiosità è soddisfatta?"

"Non lo fosse potresti aggiungere altro?"

"Non ne sono sicuro."

"Io voglio sapere cosa a che fare lui con mia sorella!

"te lo ha detto. È il Custode."

"Io sono il custode di mia sorella."

"Gelosa, cacciatrice?"

"Smettila se non vuoi che ti rompa il naso."

"Baciami bambina, ti condurrò in paradiso…"

Adesso basta.

Doyle sobbalzò innanzi all'ultima frase. Non era certo di quali potessero essere le reazioni. Spike non poteva nemmeno immaginare quale valore avesse una frase del genere per il cuore di Buffy.

Si preparò al peggio.

E dovette ricredersi.

La sua immaginazione non era abbastanza fervida.

Anche Spike non riuscì a capacitarsene. I suoi occhi divennero così grandi da rischiare di rotolare sul tappeto nel momento stesso in cui la bocca della cacciatrice violentò la sua.

Mosse le braccia come dei mulinelli, non sapendo dove mettere le mani.

Fino a rinunciare, a lasciarsi andare.

Fermo, le braccia lungo i fianchi.

Senza essere nemmeno certo di ricambiare, la strana impressione di essere totalmente inerte.

Fino a quando Buffy non si staccò da lui, lasciando la presa.

Con occhi brillanti e sorriso feroce.

Senza fiato.

"Mi spiace…" - mormorò - "Nessun paragone con il paradiso."

 

 

XI

"Possiamo comportarci da persone serie, adesso?" - domandò Doyle, senza fare nulla per nascondere il divertimento che provava.

"Certo!" - trillò allegramente Buffy. Da come si leccava le labbra sera più facile pensare che avesse appena ingoiato un canarino più che baciato un vampiro - "Stavamo dicendo?"

"Stavo offrendo, se mi era possibile, ancora qualche delucidazione…Spike?"

Spike aveva difficoltà di comprendonio. Se mai aveva avuto domande da porre, probabilmente, considerava, Buffy gliele aveva succhiate dalla testa.

"Ah… sì…" - rispose, prima di distrarsi di nuovo.

"però sei proprio in gamba." - si complimentò Doyle.

"Grazie." - rispose spicciativa Buffy- "Vediamo di capirci. Se faith è ancora una cacciatrice, il Consiglio ha un motivo per accampare diritti, giusto?"

"Purtroppo giusto."

"Se Faith non fosse più la cacciatrice, ci sarebbe già un'altra prescelta per sostituire te."

Si voltarono a fissarlo.

"Sei lento a riprenderti… ma quando lo fai,vai dritto al punto." - mormorò Doyle.

"Sì, certo. Ma era una cosa che già sapevi, immagino."

"E' la risposta che hanno dato a westley quando è andato in Inghilterra. Ma non ci aspettavamo niente di diverso."

"Come mai io non lo sapevo?"

"Avevi altro a cui pensare."

Non era un'accusa. Ma una pacata e affettuosa constatazione.

"Non mi sento meglio…" - rispose. Iniziava a mettersi insieme un mosaico che non aveva considerato. Mentre lui era preso dalla sua missione e dalle sua motivazioni, nella casa di Angel scorreva un intero mondo di emozioni e problemi.

"Westley ha triplicato gli studi anche per questo. Bisogna trovare qualcosa che confermi la posizione di Faith a fianco di Angel."

"Non è sotto la sua protezione?" - chiese Buffy. La feriva il sol pensiero, ma se così fosse stato, avrebbe dovuto salvarla per Angel, per ogni volta in cui lui l'aveva assecondata e protetta.

Perchè anche il suo orgoglio sentiva la necessità di una giustificazione.

"da un punto di vista affettivo, certamente. Ma questo definisce il ruolo di Angel più che quello di faith." - sospirò Doyle. Si sentiva veramente a pezzi. Ed il suo mal di testa non accennava a diminuire. Come una specie di disturbo di fondo.

"Perché non vai a dormire?"

"Come, scusa?" - domandò, alzando la testa.

"Ti ho chiesto perché non vai a dormire. Lascia che ti descriva la prospettiva: Faith è là fuori ed io probabilmente mi beccherò un colpo di mannaia in mezzo alla schiena nelle prossime ventiquattr'ore." - Spike descriveva meticolosamente - "per tanto, visto che il più delle volte sei costretto a rattopparmi, consigliandoti di andare a dormire, tutelo la mia persona."

"Come sei altruista…"

"Ma tu non stai mai zitta?"

"Comunque, mi spiace ammetterlo, Spike ha ragione. Vattene a dormire. Per le elucubrazioni c'è sempre tempo."

"Voto unanime?" - domandò Doyle, guardandola.

Buffy gettò un'occhiata al suo improbabile alleato.

"Voto unanime." - annuì.

"Non ho mai visto nessuno crollare così profondamente ed in così breve tempo."

"E non ti immagini quando ha le visioni per gli affari suoi." - commentò Spike - "Lì sì che viene mal di testa solo a guardarlo."

"Non hai l'impressione di girare in tondo?"

"Spiegati meglio."

"Litighiamo. Poi sembriamo persone normali. Poi litighiamo di nuovo. Ed in tanto Doyle ci scarica sulla testa una valanga di informazioni paranormali."

"Benvenuta nella mia vita…"

Ormai mancavano poche ore al tramonto. Ed erano certamente le più faticose.

Non restava che aspettare.

Spike misurava a grandi falcate la stanza e Buffy, rannicchiata in un angolo del divano, si tormentava pensosamente i capelli.

"Ti sei stancato?" - mormorò, quando lo vide sedersi in poltrona.

"No. Voglio chiederti una cosa."

"Spara." - sospirò. Di colpo le sembrava di ricordare di non aver chiuso occhio da un tempo infinito.

Del resto, aveva dormito tutta l'estate…

"Da quanto tempo sai della questione dei Prescelti?"

Non c'era più l'intento polemico nella sua voce. Nessuna recriminazione.

Una semplice curiosità.

"Angel mi ha chiamato, poco dopo essere andato via da Sunnydale." - spiegò, con calma - "Lo sapeva da tempo. Probabilmente da prima che ci conoscessimo. Mi disse che Giles avrebbe saputo darmi i particolari. E mi disse pressappoco quello che Doyle ha detto stasera a te."

"Dopo quella telefonata, non mi chiamò più. Probabilmente ritenne che era meglio non sentirci." - aggiunse, giocherellando con le frange di un cuscino - "Iniziò a passare informazioni a Giles. E poi lo fece Westley. E poi… smisi di interessarmene. C'era dawn. Dawn da proteggere. Mia madre… ed il resto mi sembrò irrilevante. Anche se di portata universale."

"Dawn. Almeno il suo è un ruolo lampante." - commentò Spike - "Lei è la Chiave…"

"E tu sei il suo Custode. Di tutto quello che potevano dirmi, questa è la cosa che più mi ha stupito…"

"Lo sapevi?"

"Certo. Giles me lo ha detto all'ennesima volta che ho dato in escandescenza perché dawn era sparita da scuola per venire da te." - Buffy gli sorrise - "Mi sembrava di avere finalmente un buon motivo per impalettarti ed è stato costretto a dirmelo."

"Allora cosa avevi tanto da sbraitare prima, di là, in cucina?"

"Il fatto che io abbia dovuto accettare questa situazione non significa che per me abbia un senso. Nessuno mi ha ancora detto perché proprio tu."

"Se cercavi un perché, hai chiesto alla persona sbagliata. Da quando abbiamo lasciato Los Angeles, mi sembra solo che Doyle si ostini a dire che non c'è sempre un perché. Un perché comprensibile, diciamo." - sorrise, riflettendo - "Doyle finisce sempre con il dire che, anche non si può capire, c'è un perché. Lui e Cordelia non fanno altro che discutere per questa filosofia. Non riescono a trovare un accordo…"

"Lui la ama?"

"Alla follia." - Spike avrebbe voluto aggiungere altro - "Alla follia."

"Sei felice a Los Angeles?"

"Felice… che parola grossa… comunque sì, lo sono. Ci sto bene, vivo con gente che non mi giudica. E poi c'è Angel… mi sento in famiglia."

Negli occhi di Buffy c'era un misto di perplessità e sorpresa.

"Non avevi mai parlato così di lui…"

"Buffy, la sostanza del legame tra me ed Angel, non cambia. Siamo noi ad essere cambiati, a vederlo con un altro approccio." - non sapeva nemmeno perché le raccontava certe cose - "Io non parlo dei rapporti e dei legami sovrannaturali. Quella è roba da Osservatori. Io mi riferisco alla vita di tutti i giorni. Lui è il mio Sire. E mi è mancato. Con un'unica differenza: prima dell'anima mi mancava Angelus, non Angel."

"Ho qualche difficoltà ad immaginare come possa mancare Angelus…"

"Angelus ha un pessimo carattere ed idee megalomani. Ma con lui ti diverti. E parecchio. Almeno, questo mi sembra di ricordarlo…" Spike allungò le gambe e buttò indietro la testa - "Del resto, mi diverto molto anche con Angel. Anche se è barboso e tormentato."

"Barboso… Angel non mi è sembrato barboso…"

"Solo perché era tua prerogativa baciarlo ogni volta che cominciava a gemere. Io devo subire, invece." - che tono falsamente melodrammatico.

"Non verrà qui, vero?"

Spike alzò la testa quel tanto che bastava per fissarla.

"Cosa preferiresti? Vederlo oppure no?"

"Non lo so. Vederlo, credo. Ma sarebbe peggio per tutti e due. Quando è venuto, dopo il funerale di mia madre, è stato come tenere in piedi un muro barcollante. Avessimo ceduto, non ci saremmo più rialzati."

Aveva abbassato lo sguardo. E la voce era suonata bassa e stanca. Il peso del mondo le gravava sulle spalle da un tempo che quasi non riusciva più a ricordare. Attraversava le vite degli uomini, nascendo e rinascendo, in attesa di un evento che determinasse la sua salvezza. Questo era la Cacciatrice. Questo era Buffy, assolutamente incapace di abbandonare la natura umana per seguire la sua predestinazione. Costretta ad essere anche quando non ne aveva la forza.

Nel desiderio di lasciarsi andare. E mai in pace.

Non aveva mai considerato questo punto di vista. Quasi poteva vedere le sue tre forme sovrapporsi.

Buffy…

La ragazza bionda e forte. Ma umanamente imperfetta.

La Cacciatrice letale e precisa.

Ed infine la Prescelta, il catalizzatore in un perpetuo contatto con il mondo dei suoi simili, ma sempre più separata da loro.

Chissà quante altre cose poteva essere Buffy.

Chissà quante…

"Sei preoccupato per Faith?"

"Io l'ho guardata negli occhi, Buffy. so bene cosa ho visto. Ed è per questo che mi preoccupo." - è colpa mia, Buffy. sarà solo colpa mia se accade qualcosa.

"Cosa le è successo?" - buffy non fece commenti riguardo a quello che Spike aveva appena detto. Anche lei, per quanto potesse discuterci, sapeva del suo legame con l'essenza delle Cacciatrici. L'aveva sentito sin dal primo istante in cui si erano visti.

Sapeva delle sua capacità. Ed anche se non l'avrebbe mai ammesso, le rispettava. Spike sapeva essere letale per il semplice fatto di esistere. Se Buffy non era morta, tra le sue braccia, era stato solo per quell'incomprensibile desiderio di giocare al gatto col topo che era la base del loro rapporto.

E perché forse, alla fin fine, non aveva mai voluto realmente ucciderla.

"Come mai non mi hai ucciso, Spike?"

la domanda gli corse come un brivido giù per la spina dorsale.

"E tu? Perché non mi hai ucciso?"

"Ho provato molte volte…"

"ma hai sempre fermato la mano."

"Come te, del resto."

"Non quante credi. E poi, mi sembra di averti già detto che io non vinco quando uccido le Cacciatrici. Sono loro che perdono." - continuava ad esprimersi al presente. In fondo le sfumature della morte della cacciatrice erano molte - "Ho i miei mezzi per portarle molto vicine all'orlo. Il metodo classico è eliminare uno ad uno gli individui che la circondano."

Adesso questa frase aveva un nuovo valore. Spike isolava la prescelta dal suo contesto, disturbandone l'equilibrio.

Diamine, che cosa complicata.

Iniziava a ripromettersi di parlarne con Westley. La cosa lo incuriosiva…

"Nel tuo caso, a questo punto, bisogna valutare il fattore dawn. Sembra dimostrato che su di lei non posso alzare un dito… e poi, bisogna tenere presente un altro particolare." - non aveva voglia di una conversazione seria. Il sole era quasi calato. Poteva sentirlo.

"E sarebbe?"

"Tua madre era un tesoro. Ed io le piacevo più di Angel…"

 

Un bottone dopo l'altro. Buffy aveva uno specchio in cui guardarsi pensosamente.

Rintanata in camera di Tara e Willow, lasciava scivolare a terra i vestiti uno ad uno.

Non si era mai permessa di farlo. quella era sempre stata la camera di sua madre. Non avrebbe mai potuto che essere una bambina ai suoi occhi…

Cosa avrebbe detto Joyce nel vederla adesso?

Le escoriazioni e le tumefazioni la ricoprivano ancora.

Il uso corpo era cosparso di segni violenti, bruciature e ferite profonde.

Per quanto fosse certa di aver levato ogni frammento che poteva provocarle infezione, le sembrava ancora di essere coperta di schegge di legno. Poteva quasi sentirle, come se strisciassero sottopelle, scavando tunnel inquietanti. Come… vermi…

 

"Per me sei morta. Con tutto quello che di marcio rappresenti."

 

Si girò di scatto, cercando la fonte di quella voce. Ma era la sua voce. La sua. Il suo cuore batteva all'impazzata, voleva fuggire dal petto in cui era compresso.

La voce, la frase… sì, certo. La frase detta a Faith.

Oh, sì. Aveva detto a faith proprio una cosa del genere.

E non se ne era mai pentita.

 

C'era Tara, sulla porta.

Scusami, la sentì balbettare, non sapevo fossi qui.

"tara…" - dopotutto era la sua camera adesso - "Perdonami. Entra, entra pure. Avevo bisogno di cambiarmi…"

"Dio, Buffy…" - Tara le guardava le braccia, il seno - "dovevi dirlo delle ferite…"

"Non ci ho pensato. Io e dawn le abbiamo medicate." - replicò con un'alzata di spalle - "Guariranno…"

"Ti resteranno delle cicatrici." - tara fece un passo avanti e protese la mano. Avrebbe voluto sfiorarla, ma non era certo di potere - "Se vuoi posso provare a farle sparire."

No!altra magia sul suo corpo! no!

Si girò, ostentando una normalità che non sentiva, buttando un'occhiata che avrebbe voluto fosse incurante alla propria immagine.

"No…" - rispose - "Non sono certa di volere che se ne vadano…"

"Buffy… le cicatrici sul tuo corpo non servono a ricordarmi cosa ti abbiamo fatto."

"vorrai dire ricordarti…"

"No, Buffy. a me basta guardare la tua espressione per sapere a che cosa ti abbiamo condannato…"

 

La voce di Tara. Doyle rallentò, passando davanti alla porta, mentre Spike finiva di salire le scale.

Gli fece un cenno di tacere.

Solo un attimo, per sentire con chi stava parlando Tara.

Aspettando la voce di Buffy.

Sentendola.

Per riprendere a camminare, con un sorriso soddisfatto. Fino a raggiungere Spike.

"Adesso origli anche?"

"No, si da il caso che mi accerti della disposizione dei pezzi sulla scacchiera…"

"Non puoi parlare come un normalissimo demone?"

"Guarda che non è delitto se ogni tanto stai zitto…"

 

"Cosa intendi dire?" - domandò, voltandole le spalle.

"Sapevo i rischi che Willow correva, a provare a riportarti in vita. Potevi non essere più tu… eppure siamo stati fortunati. Sei tu. Sei tu realmente…"

"Ne sei sicura?" - domandò, afferrando la dolcevita che aveva steso sul letto.

"sei tu, Buffy. sei tu, in tutto e per tutto. Non ha a che fare con il rimpianto che senti…"

"Cosa ne sai…"

Non voleva essere dura. Non voleva trattar male Tara. Voleva solo nascondersi…

Nascondersi…

Come fa solo chi ha paura.

Paura…

"Ho paura, Tara. Ho tanta paura." - si voltò e la guardò, scivolando a sedere sul letto, portando ancora la mano a stringere la gola - "Io non so più chi sono veramente. La mia vita è qualcosa che sfugge, così completa quando l'ho lasciata da…"

Non sapeva come spiegare quello che provava. Le sarebbe bastato confessare la completezza che aveva abbandonato. Ma non voleva, voleva serbare per se stessa almeno quel segreto, in una vita che ora più che mai sembrava pilotata da qualcun altro.

"Ho tentato di dirlo a Willow." - gli occhi di Tara erano sinceri e tristi - "Ho provato a dirle che non poteva essere certa di ciò che avevi trovato da… dall'altra parte. Ma Willow crede così tanto alla magia da non ricordare che c'è altro oltre lo spiegabile…."

Oltre lo spiegabile.

Per Tara era sempre stato così. La magia come caratteristica umana e naturale.

E poi il sovrannaturale.

La magia e il reale, come due componenti simili e mai in contrasto.

La magia era il suo più grande talento. Un talento da allenare, ma non da nutrire a suon di testi, come Willow.

"Io credo a molte cose. E più ancora a quelle che non comprendo. Io credo in te, Buffy. credo in te e non smetterò mai di pentirmi per quello che ti abbiamo fatto… perché intravedo il paradiso perduto ogni volta che ti guardo."

Tara piangeva.

Si copriva la bocca con la mano, come per fermare le parole. Con una mano tremante, come se di colpo di concedesse un'agitazione che provava ormai da tempo.

Avrebbe dovuto piangere Buffy. Invece i suoi occhi erano asciutti, colmi soltanto di stupore.

Povera Tara. Ancora una volta, dalla morte di sua madre, Buffy scopriva una profonda affinità con quell'eterea ragazza bionda che sapeva farsi amare da tutti.

E, per quanto fosse il suo amore, era incapace di negare i torti di Willow.

L'aveva assecondata solo per il loro legame. Non perché fosse giusto.

Perché era più brava a sopportare il rimorso che il rancore.

"Buffy… io potessi ti chiederei di perdonarmi. Ma la verità è che so di non meritarmi nulla, per quello che ho fatto… per quello che abbiamo fatto. Le mie colpe sono le stesse di Willow. E più ancora… perchè sapevo. Ti chiedo solo di accettare il mio aiuto. Lascia che ti aiuti."

Buffy annuì. Non aveva parole per fermare le lacrime di Tara. Egoisticamente non voleva sollevarle quel peso dal cuore.

Ma voleva il suo aiuto.

Non avrebbe mai saputo dire quanto desiderasse il conforto di quella ragazza.

Per non sentirsi più sola.

Perché mai più lei e willow si sarebbero parlate come un tempo. Willow era rimasta intrappolata nella vecchia vita di Buffy.

Adesso l'adolescenza era veramente finita.

Scoprendo la morte erano finiti i sogni.

Tara lo sapeva bene. Con sua madre aveva sepolto ogni dolcezza.

Mai nessuno avrebbe riempito quel vuoto nel suo cuore di bambina.

E Buffy avrebbe portato lo stesso nulla in fondo all'anima.

"Tara, aiutami."

Sì.

L'avrebbe aiutata. Si abbracciarono, unendo i loro battiti imperfetti. Cercando, una nell'altra, quel frammento di incomprensibile.

"Avrei voluto che ti ascoltassero, tara." - sussurrò Buffy - "Ma ormai non posso più tornare… là. Non potrò per molto tempo. Lo sento che torna… sta tornando il mio fardello. Sta tornando a me.

presto sarò nuovamente la cacciatrice."

 

Questo è il motivo di questa mia rabbia?

Tanto a lungo ho atteso di sentir scivolare via l'obbligo…eppure presto le vicende di Sunnydale lo poseranno nuovamente sulle mie spalle.

Le cronache parleranno ancora di me.

Il tempo scivolerà con l'inchiostro.

Riempirò ancora pagine con le mie avventure.

Perché sono la cacciatrice.

E sono la Prescelta.

Non si sfugge al proprio destino…

Angel…

Angel, tu eri il mio destino.

Eppure ti ho perso.

Ho perso te. Ho perso la mia morte.

Ed il girotondo mi imprigiona ancora…

 

Domerò questo caos.

Ancora.

 

"Anche Tara è una prescelta?"

"Sì, Spike. lo è. Hai visto quante stelle, questa notte?"

"Nuova tecnica per eludere le domande."

"No." - Doyle non smetteva di tenere lo sguardo alzato verso il cielo - "Credevo però che voi poeti ci parlaste con le stelle…"

"Seee… e da quando sarei un poeta?"

"Da tempo… cosa volevi sapere di tara? - tanto valeva accontentarlo… lasciare le stelle dove erano. Si voltò, con le mani in tasca e lo sguardo allegro.

"Niente. Solo se era una prescelta."

"Non vorrai fissarti a trovare una risposta in tutto…."

"Come no. Con te che prima dici che non abbiamo un perché e poi che siamo predestinati? Risparmiami il nuovo discorso. Ne ho abbastanza…"

"E come al solito smanii di tornartene a LA?"

"Più o meno. Guarda chi arriva…"

Dawn percorreva il vialetto con i libri sotto il braccio. Con lei arrivava Willow.

"Ciao. Le pecorelle tornano all'ovile…" - commentò Willow, fermandosi. Dawn stava sussurrando qualcosa all'orecchio di spike.

"sei sicura?" - mormorò, chinando la testa per guardarla annuire seriamente.

"Starai attento?"

"Come sempre…"

"Ti chiamo…"

"Ti chiamo io. Penso che andremo a dormire a casa di Angel."

"Siete in partenza?" - chiese Willow.

"Non ancora. Dobbiamo ancora aggiustare alcune cose." - commentò doyle - "Domani, forse. Comunque possiamo fare che salutarci."

"Ah sì?" - Spike si voltò a fissarlo, interrogativo.

Domani torniamo a Los Angeles?

"Direi di sì. Domani notte." - Doyle tornò ad alzare lo sguardo alle stelle, sempre più brillanti mentre calavano le ombre - "Se saremo fortunati, ci saranno ancora più stelle… ed ecco che giungono le comete."

Dapprima questo commento sfuggì a tutti loro.

Bastò veder voltare Doyle, per sapere a cosa si stesse riferendo. Tara e Buffy scendevano insieme le scale.

Affiancate, per la prima volta.

Tara aveva sempre camminato un passo dietro la cacciatrice. Willow fu la prima ad accorgersene.

La prima ad intravedere il cambiamento avvenuto in lei.

Era veramente luminosa.

Come se splendesse dall'interno.

Doyle le impresse nella mente, così come erano, così come erano ai suoi occhi. Cacciando quella agghiacciante consapevolezza ancora lontana dalla sua realizzazione. Il tempo.

Tara avrebbe avuto ancora il tempo necessario a completare la sua missione.

E nulla più.

Nessun dolore.

La risposta sfrecciò nello squarcio della sua angoscia.

Se ne sarebbe andata senza dolore.

Sarebbe scivolata via all'inizio di una nuova stagione d'amore. E le sarebbe stato risparmiato il disastro che già incombeva sulle vite di tutti loro.

Le guardò giungere sotto il portico.

La guardò avvicinarsi a Willow, sfiorarla timidamente. E conquistarla ancora, con la sua purezza.

Conquistare tutti loro.

"Stiamo qui tutta la sera?" . Buffy saltò giù da gradino e si girò a fissarli.

A fissare loro che la squadravano allibiti.

Era lei.

Adesso era veramente lei.

"Buffy… ti vedo bene." - sorrise Willow con quell'esitazione che la caratterizzava.

Grazie. Le rispose serafica la cacciatrice.

Era la prima volta che riusciva a guardare l'amica negli occhi senza sentirsi travolta da ricordi indesiderati.

Non si illudeva di dimenticare. Forse, a dire il vero, le illusioni erano rimaste in un'altra vita.

Ma aveva realmente avuto un'altra vita?

Non era sempre la stessa?

Non era la solita vita che continuava?

Spostò lo sguardo su Doyle.

E attese.

Attese il suo sorriso.

E Doyle diede una luminosa conferma alla luce che vedeva.

 

XII

Il cimitero di Sunnydale…

"Il più grande pregio della ronda con Angel è che non mi porta per deprimenti cimiteri."

"Avevi solo da non venire…"

"Se devo essere accoppato in un cimitero, è inutile girarci intorno."

"Io non ho mai detto che ti accoppavano."

"Giusto. Per cui non fare il drammatico."

"Taci cacciatrice. Socializza con Doyle e lasciami in pace."

"Spike, non essere teso. Non morirai."

"Un'altra visione?"

"No. La consapevolezza che se ti torcono un capello, Angel mi farà molto male."

"Non esserne certo. Gli ho perso la cacciatrice…"

"Allora è colpa tua…"

ecco fatto.

A forza di fare il duro, gli era sfuggito di bocca.

Si era dimenticato di Buffy che camminava dietro di lui, intrecciando le mani dietro la schiena. Tra le dita reggeva un sacchetto di carta scura, con il pranzo di Spike. Erano passati a recuperarlo prima di cominciare la ronda, ma il vampiro non si sentiva in vena di banchettare.

Tutto ciò che poteva accadere, non gli sarebbe piaciuto. Di questo era certo.

Desolatamente certo.

Passato prossimo e futuro immediato erano entrambi poco radiosi.

Notte.

N un cimitero

A cercare una cacciatrice.

In compagnia di un'altra.

Sotto lo sguardo indagatore del custode di suo fratello.

Suo fratello…

Si fermò di botto, aggrottando le sopracciglia. Da dove era venuto fuori quel pensiero?

Perché appioppare ad Angel quella definizione? E senza nemmeno ce avesse fatto nulla per meritarla…

Da qualche parte, nella sua mente, era sfrecciato un pensiero. Un pensiero svanito in un lampo.

Qualcosa che aveva a che fare con Angel.

Qualcosa…

"Allora! Cosa hai fatto a Faith?"

"Chettifrega." - le rispose, distrattamente.

Inutile, del tutto inutile. La cosa importante era svanita.

Tanto valeva rispondere a Buffy, che già si preparava a lavare con il sangue la lapide a cui si appoggiava.

Il sangue della sua cena.

Ed anche un po' di quello di Spike.

"Abbiamo litigato." - sbottò - "Ti basta?"

"Sono piuttosto curiosa di sapere cosa tu le abbia detto per provocare questa reazione."

"Per godere delle bastardate che sono riuscito a inventarmi?"

"Ho molta esperienza riguardo alle parole che usi per ferire la gente. Credevo solo che l'anima…"

"Ma che cosa credi!"

Nel momento stesso in cui si voltò, andando quasi a batterle contro. Doyle riprese a camminare. Non voleva più saperne niente del loro continuo cozzare.

Lontano….

Non troppo, però. Iniziava a trovarli curiosi.

"Mi dici cosa ti fa pensare che un'anima renda buoni e caramellosi? Ti sembro un cucciolone? Questa idea bacata ti è venuta fuori dal fatto che Angel sia un tipo molto educato? Ma guardati intorno!"

"E cosa dovrei vedere, se mi metto guardare intorno?"

"Potresti scoprire come anche i dotati di anima possano essere stupidi, bastardi o crudeli! Dimmi che non hai mai parlato a vanvera in vita tua! Oh, no, certo, quando mai la bionda e perfetta cacciatrice ammette le sue colpe! Mai! Eppure sale in cattedra, pontifica e trae conclusioni di cui non sa un beneamato nulla!"

"Ma vuoi prendertela con me? guarda che se continui così, io di persona ti darò una mannaiata tra le scapole!"

"accomodati! E fallo dal lato del manico, per favore. Così ti liberi di me una volta per tutte!"

"Ma si può sapere da dove tiri fuori tutte queste scemenze?"

"Dall'anima, ovviamente."

Lo disse con un tale tono esasperato, che Buffy ebbe, per la prima volta in vita sua, un moto di solidarietà nei confronti di Spike. Non aveva voglia di litigare, lo stava facendo solo perché era Buffy a volerlo.

Come se fosse più facile accontentarla.

 

Stava ancora brontolando qualcosa, ma Buffy aveva perso il filo del discorso.

Adesso era ben stufa di quel giochino idiota che portavano avanti da ore.

Fece un passo avanti e tese le braccia.

Posandogliele entrambe sulle guance.

Facendogli perdere il filo del discorso.

Le mani sulle sua guance.

Un gesto che Doyle le aveva insegnato.

"Spike, vogliamo piantarla una volta per tutte con queste litigate?" - chiese, fissandolo dritto negli occhi.

Senza neanche immaginare cosa passasse per la mente di Spike.

Sentendo solo i suoi occhi chiari sfiorarle le ciglia.

"Siamo abbastanza grandi da sapere quali sono i nostri torti, uno verso l'altro. Io dubito che smetteremo mai di discutere in questo modo, ma puoi lasciarmi, per una volta, provare a capirti?"

Attese una risposta, fissando le sue sopracciglia aggrottarsi. La stava soppesando.

Non era certo di volerle rispondere positivamente.

Questo poteva vederlo.

Il suo litigare era un modo di tenersi alla larga. Non gli andava per niente quella vicinanza. Si sentiva invischiato, un po' attratto ed un po' respinto.

Forza, Buffy, si incoraggiò.

Tanto a quanto pare, infinocchi benissimo anche il destino!

Nessuno ha detto che devi sempre litigarci, con spike…

Ed i vampiri con l'anima ti piacciono troppo.

Non riuscì a trattenersi dal sorridere, per quell'ultima constatazione.

Ed il risultato fu incredibile.

Spike la contemplò, mentre la luce, scaturendole da dentro, le addolciva i lineamenti.

"Che hai da ridere?" - le sussurrò.

Non c'era nessuna recriminazione nella sua domanda.

"Nulla. Solo un pensiero birichino…" - replicò, lasciando che una fossetta le si accennasse sulla guancia - "Allora, vuoi provare a fidarti almeno per un paio di minuti? Metto da parte le mie frasi pungenti su Faith e tu mi spieghi cosa è successo."

"E perché ti vuoi sforzare in questo modo?"

il suo tono era graffiante.

Ma non si muoveva. Restava immobile, stretto tra quelle mani calde.

E non riusciva a pensare ad altro che al fatto di vedere Dawn, per la prima volta, sui lineamenti di Buffy.

Era sempre stato l'opposto.

Buffy in Dawn.

A ricordargli un amore impossibile ed una morte ingiusta.

Quando viveva a Sunnydale. Ed anche quell'estate, quella lunga inutile estate di dolore. ed ora non c'era più la Buffy dei suoi sogni, la Buffy da amare e stringere appassionatamente.

C'era solo la sua piccola Briciola.

Forse c'era sempre stata Dawn scolpita in Buffy.

Dawn, creata dai monaci, creata dai geni di Buffy ad arte.

Oppure sempre rimasta nascosta in lei, in attesa che qualcuno unisse la luce alle tenebre.

Che strano pensiero…

La Luce della Chiave scritta nel sangue nero inchiostro della cacciatrice.

"Perché siamo amici."

"E da quando?"

Adesso le sorrideva. Senza levare le mani dalle tasche del trench.

"Da molto tempo, credo. Ma l'ho capito solo quando ti ho visto con la mia sorellina tra le braccia… lassù… mentre cadevo."

Solo adesso lo ricordava bene. Solo adesso lo ricordava, affacciato da quella torre. Aggrappato a fatica alla struttura metallica, con Dawn che si divincolava urlando.

"è la cosa che abbiamo in comune, non credi?" - constatò, pacato.

"Penso di sì. Posso non esserne molto contenta ma…" - aveva cercato di usare un tono leggero, ma la verità le stava di nuovo uscendo dalle labbra - "Ma non avrei mai saputo chi meglio di te poteva capirla."

Si è sempre fidata più di te che di me…

"Buffy." - rispose - "Non avere mai paura di quella che c'è tra me e Dawn. Non potrò mai farle del male. E… e non ho fatto nulla per allontanarla da te."

Nemmeno io avrei mai voluto allontanarmi da te.

"Vuoi veramente sapere cosa ho fatto a Faith?"

Posso veramente dirtelo?

Posso rischiare a spiegarti che ho messo Faith in pericolo per una stupida debolezza mentale?

Posso veramente fermare questo girotondo isterico di eventi che si ripetono con questa semplice realtà?

"Non mi sono mai perdonato di averti visto morire. E non ho accettato questo tuo ritorno. Dovevo prendermela con qualcuno e me la sono presa con Faith. Non importa realmente cosa le ho detto. Me ne vergogno, non c'è altro da dire."

Adesso che finalmente aveva iniziato a parlare, le mani di Buffy si mossero, scivolando sul risvolto, provocandogli un brivido come solo la calda pelle umana poteva provocargli.

Scivolarono e si posarono sulle spalle, lisciando la pelle della giacca.

Descrisse pacatamente la situazione incontrollabile in cui lui e Faith erano caduti.

E quando terminò, si avviarono in silenzio, per raggiungere Doyle.

Senza aspettare un vero commento o una frase pungente. Non c'era nulla d aggiungere a ciò che già era stato detto.

"Ti abbiamo fatto aspettare." - si scusò Buffy, affiancandolo e lasciando che Spike camminasse da solo qualche minuto, per smaltire le sue confessioni.

Si sentiva leggera.

Un altro tassello a posto, avrebbe commentato pacatamente Giles.

E la nostalgia per il suo Osservatore non rovinò quel senso di benessere.

Sorrise a doyle e si incamminò, sfilandogli di mano il sacchetto del macellaio.

Senza una parola, gustando ancora quell'attimo di intimità sincera in cui non aveva mai creduto.

"Tu credi nei miracoli, doyle?" - sussurrò, sperando che spike non la sentisse.

"Certo." - mormorò lui - "Soprattutto da quando mi capita così spesso di vederli accadere…"

 

"Ehi, ma certo!"

"Niente è certo…" - replicò una voce meditabonda alle sue spalle.

"Ti prego, risparmiami…" - si voltò alzando gli occhi al cielo.

Prima di fissarli meglio, su un punto alle sue spalle.

E scattando verso di lui.

Fulminea, prima ancora che Doyle finisse di ruotare su se stesso.

La polvere li investì entrambi, facendoli tossire.

"Fatto." - mormorò, spolverandosi i vestiti - "Due vampiri in meno, ma niente mannaia. Falso allarme."

"Come ne sono contento." - ribattè Spike, strofinandosi gli occhi per liberarli dalle ceneri dei suoi simili.

"Accontentati." - replicò Buffy, con un'alzata di spalle - "Stavo dicendo che credo di sapere dove sia Faith…"

Seguitò parlare ancora un secondo, prima di rendersi conto che stava camminando da sola.

Si girò, per vederli fermi.

Spike si era bloccato con lo spolverino a mezz'aria, mentre lo sollevava per ripulirlo.

E Doyle, invece, in posa maschilmente perplessa, gli stava a fianco, con le mani in tasca e l'espressione interrogativa.

"E come sei giunta a questa illuminazione?" - l'accusò Spike.

"Nel momento in cui mi hai detto da cosa fuggiva Faith, ho capito dove potrebbe essere andata. Se è venuta qui a Sunnydale lo ha fatto per un buon motivo. Giusto?" - e visto che entrambi annuivano - "Sunnydale è stata una tappa molto importante per Faith ma non il punto di partenza. La sua fuga è iniziata dalla morte della sua Osservatrice. Faith è scappata da là ed è venuta a Sunnydale. Ed è qui che ha cominciato ad avere quell'incubo…"

"Quale incubo?"

"Quello della fossa. Faith sognava di essere inseguita e di cadere dentro una fossa, in un cimitero. L'inseguitore cambiava sempre. Ma mai la fossa."

"Non capisco come tu possa saperlo."

"Non è un segreto. Si svegliava urlando. Chiunque abbia dormito con lei lo sapeva. Ed allora l'abbiamo fatto in parecchi." - aggiunse, pensando a Xander che strisciava i piedi ammettendo una galeotta notte fuori casa a metà di un'apocalisse - "Diceva sempre che un incubo del genere era un buon motivo per restare svegli."

"Non so quante volte ho sentito ripetere questa frase." - commentò Spike cupo. Avesse dovuto cedere ad un sentimento, si sarebbe sentito seccato per non essersene ricordato - "Diceva di aver sognato di uscire dalla fossa una volta sola, risvegliandosi dal coma."

"Lo so." - annuì Buffy - "Me lo disse Riley, dopo la notte in cui…in cui Faith era me."

non le piaceva dover rivivere quel momento. Ma lo fece ugualmente.

E Spike le fu intimamente grato di questo.

"Io chiesi a Riley tutti i particolari, per vedere se qualcosa poteva condurmi da lei. E tra i tanti, mi riportò questa frase. Per lui non aveva senso, ma io non impiegai molto ad associarlo alla questione degli incubi. Solo che poi accantonai l'informazione. Per me, non aveva significato. Non quanto ne aveva per Faith."

"Allora quello è stato il momento della risalita." - Doyle sfilò una mano dalla tasca per sottolineare il suo ragionamento - "Faith è tornata dal coma per avere la sua seconda possibilità. Dunque se Faith non è venuta a Sunnydale perché ritiene che qui siano cominciati i suoi guai…"

"Allora è venuta a cercare il perché che le aveva permesso di risalire." - concluse Spike. La sua mente stava viaggiando rapidamente su quella che sembrava la strada giusta - "Simbolicamente la fossa. Sunnydale doveva essere la sua tomba e non lo è stata. Faith è qui perché ha bisogno di credere che questo sia il posto da cui può risalire. Non quello in cui è caduta…"

Come Buffy, del resto.

Dannazione… ha fatto così tanto per risalire e guarda cosa le ho fatto…

Non si accorse di averlo detto, fino a quando non sentì i loro occhi puntati addosso. E si girò, per dominare l'imbarazzo con l'aroma di una sigaretta.

Una boccata. Una singola boccata prima che l'urlo spaventato di Buffy gli facesse dimenticare l'irritazione. Gettò la sigaretta e si protese.

Per un attimo temette di avergli spezzato le clavicole, nell'interrompere il suo barcollare per addossarlo al sarcofago alle sue spalle.

"Buffy, allontanati." - ansimò Doyle, cercando di comprimersi le tempie.

Inarcandosi indietro ed urlando.

Buffy ubbidì prima ancora di capire quale fosse la motivazione.

Arretrò, fino trovarsi a qualche metro da loro.

Nemmeno Spike toccava Doyle. Seduto sui talloni, a mani intrecciate, non gli staccava gli occhi di dosso.

Ma era impotente.

E non potè far altro che lasciare che quelle urla gli riempissero la testa.

 

Correva.

Correva cosi veloce da sentire l'aria bruciarle la gola.

Ancora un metro.

Ancora un metro e sarebbe crollata.

Ma lo raggiunse.

E le bastò un colpo per sfondargli la cassa toracica.

Cadde in ginocchio e sputò il sangue e le ciocche di capelli che le si erano incollate la viso.

Si voltò, senza neanche prendere fiato e sopportò il colpo che la sorprese sulla spalla, mentre si gettava a capofitto a colpirlo in centro al cuore.

I suoi alleati stavano arrivando. Ed anche se erano troppi, non aveva paura di loro.

Prima i vampiri. Poi i demoni.

Morivano tutti.

Prima o poi.

Urlò, forte.

E sentì la sua rabbia librarsi tra di loro come una stoccata.

Prima di cadere, sotto un altro colpo.

 

"No no no no."- gridò Doyle.

Si afferrò alla giacca di Spike e lo scosse , facendogli battere i denti, senza neanche vederlo, con lo sguardo vitreo. Sentì le mani gelide del vampiro serrarsi attorno ai suoi polsi.

E si bloccò.

Continuando a scuotere la testa.

Muto.

 

Il sapore del sale.

Il sangue che si mischiava alla terra.

Rialzò la testa quel tanto che bastava da smettere di raccogliere la sporcizia con le labbra.

Non subì un altro attacco.

Il torpore svanì, mentre Doyle la incitava a rialzarsi.

Lo sentì, limpido, urlare nella notte.

Sentì i loro dolori mischiarsi. E colpì, ancora, ancora.

Senza riuscire a rialzarsi, fino a battaglia finita.

L'ultimo massacrato cadde su di lei, facendola gemere. E temere di non riuscire a liberarsi.

Strisciò fuori da quella radura divenuta fossa comune.

E si afferrò ad una delle piante, capovolgendo il vaso in pietra grigia. Aggrappandosi al piedestallo ed issandosi in piedi.

 

"Se ne sta andando…" - singhiozzò. - "Spike, sta andando via."

"Doyle. Doyle, no. Non mi metto a correre in nessuna direzione." - ribattè Spike, posandogli un palmo aperto sulla fronte e spingendolo nuovamente ad appoggiarsi. Intridendo le dita di sudore - "Respira lentamente. Fa piano."

La mano sulla fronte gli strappò un gemito.

Il futuro. Ancora il futuro.

Spike, le sue braccia. Lo schizzo del suo sangue che si levava alto, incoronandolo di fuoco.

Spike levò la mano di scatto e si alzò in piedi. Arretrò, senza girarsi, fino a sbattere contro la lapide.

"Ma perché gli sta succedendo questo." - annaspò - "Non aveva mai subito…questo."

Si guardò la mano, disperato. Gli aveva fatto del male, con un semplice contatto della pelle.

Una mano calda strinse la sua.

Forte.

"Aspettiamo, Spike. aspettiamo insieme." - sussurrò Buffy, lasciando che i loro sguardi smarriti si incontrassero.

 

Minuti.

Minuti densi.

Doyle strappò un ciuffo d'erba con le dita, lasciando che il profumo gli risvegliasse la mente intorpidita. Aprì gli occhi, sbattendo più volte le palpebre.

Mettendo a fuoco la brace della sigaretta.

Come se fosse un piccolo faro.

Addossati ad una lapide, poco lontano, sedevano Buffy e Spike. le loro mani erano unite. Strette nella stessa angoscia.

Ma Doyle non poteva vederle. Poteva solo sentirle.

Non gli dissero nulla, mentre lo fissavano che inspirava aria molto lentamente, come se gli costasse fatica, tossendo e comprimendosi il torace.

"è …passato."

No ne era veramente certo. Ma voleva crederci.

Nessun dolore poteva far perdere alla voce di Doyle l'intonazione gentile.

Nemmeno adesso che, bugiardo evidente, dichiarava di stare bene.

"Spike, mi offri una sigaretta?" - aggiunse, tendendo la mano.

Spike avrebbe preferito di gran lunga tirargli il pacchetto e restare a debita distanza. Eppure si alzò, riluttante e camminò verso di lui, mentre Doyle si rimetteva in piedi.

Per completare la farsa del tutto finito.

Tese il pacchetto tenendolo in punta di dita.

E rimase paralizzato quando Doyle gli afferrò un polso e lo strinse con forza.

"Lo vedi?" - ansimò - "Non mi fai del male se mi vieni vicino. È tutto passato, Spike."

Congelati. Gli occhi di Doyle si fissavano duri in quelli di Spike. Non stava mentendo, questa era l'unica cosa certa.

Spike annuì, stringendo la mascella, prima di abbandonarsi ad un sorriso un po' tirato. Fece ancora due passi e lo sorresse, passandosi un braccio attorno alle spalle.

"Vale anche per lei?" - domandò, indicando Buffy con il mento.

"Lo spero…" - mormorò, sedendosi nella piccola radura dove Buffy li stava aspettando - "ragazzi, sarà meglio che io vi spieghi due cose…"

"Facciamo anche quattro."

 

Le tempie gli pulsavano. E la gola era secca.

La sigaretta non gli avrebbe fatto bene, ma era meglio di niente.

Si sentiva di nuovo un novellino, come i primi tempi delle sue visioni. Quando pochi secondi bastavano per metterlo fuori gioco per ore. Per fargli rivoltare lo stomaco e sanguinare il naso.

"Sto giocando con cose che non dovrei toccare." - mormorò, spingendo il fumo fuori dai polmoni.

"Del tipo?"

"Le cacciatrici. quello che faccio qui esubera un po' dalle mie incombenze…no, così no va… cerchiamo di renderlo più semplice."

"Ti ascolto." - sospirò rassegnata Buffy. sedeva di fronte a lui, piegando le ginocchia e stando ben attenta a non toccarlo neanche con un dito.

"Non sto per darmi alle grandi rivelazioni. Si tratta di mettere insieme tutte le informazioni che abbiamo. Tutte." - Doyle schiacciò il mozzicone contro il granito della lapide. In effetti il fumo non lo aiutava - "e buttiamola sul metafisico. Scommetto che troveremo più connessioni."

"Da capo dunque. Come è cominciata." - Spike sedeva dietro Buffy, direttamente sul sarcofago. Dondolando gli anfibi - "è iniziata con la telefonata di Dawn che mi avvertiva del ritorno di Buffy."

"perfetto. Stop. La tua resurrezione, Buffy, a quanto ne sappiamo, ha cause magiche ed è uno stravolgimento del destino contro natura. Tu non sei tornata con le tue forze, ma ti hanno riportato indietro. Ad ogni causa un effetto. Willow ha scelto per te e non si è posta questo problema. a lungo andare ci sarà qualcosa per bilanciare le sue azioni."

Oddio…. Tara. Adesso capisco…

"Faith potrebbe essere la conseguenza del mio ritorno? morirà per bilanciare?"

"E' possibile… ma non inevitabile. Se così fosse, i vostri destini divergerebbero. Tu stai andando verso la vita e lei verso la morte.

Ed il vostro legame si interrompe.

Invece tu e Faith continuate ad essere intimamente legate. State andando nella stessa direzione."

"Ovvero entrambe verso la risalita." - commentò Spike - "fatemi capire. Willow sceglie per Buffy. La riconduce qui. Io scelgo per Faith e la riconduco…"

"Anche lei qui. Nel posto in cui esiste una tomba per lei che si è riaperta quando probabilmente pensava di non poter più risalire. Proprio come me." - aggiunse Buffy. questa conversazione stava riacutendo il rimpianto che Faith era sempre stata nella sua vita. L'amica con cui dividere un peso troppo grande. La ragazza piena di esitazioni dentro una scorza dura.

In certi momenti le sembrava di non poter realmente provare per lei l'odio che credeva.

"Esatto. Willow e Spike hanno fatto qualcosa di grave senza essere veramente consapevoli. E sappiamo che nel loro futuro c'è una ritorsione per questo fatto."

"Ne sei certo? Hai parlato solo del mio futuro…"

"In effetti, Spike, ho parlato solo di te. Ma credo di aver intravisto qualcosa anche per Willow. Solo che per lei non posso fare nulla. Non mi permettono di fare niente." - pagherà un amaro prezzo. Più grande di quello che ognuno di noi può immaginare. Dolore per dolore. Morte per morte - "Mi dispiace Buffy."

La ragazza annuì, abbassando lo sguardo. Rimase in silenzio e pregò di tutto cuore di poter evitare a Willow la punizione.

Si fosse trattato di muovere cielo e terra.

"perfetto. Sono un carnefice."

"No." - Doyle sorrise nel sentire il tono con cui Spike si apostrofava - "E stato un errore di sopravvalutazione. Non ti sei ricordato che le Cacciatrici non sono dure come sembrano."

"Anche Willow tende sempre a credermi più di quello che sono…" - lo confortò Buffy, con un'alzata di spalle. Posandogli una mano sul ginocchio con una carezza confortante - "è normale… poi i fatti dimostrano che ci rialziamo…"

"E su questo, Buffy ha perfettamente ragione. Faith è qui in pellegrinaggio, per vedere dove è iniziata la risalita. Ha fatto cose di cui si vergogna, uscendo dal coma. Ma ciò non toglie che tutti, all'inizio della nostra redenzione facciamo cose sbagliate…."

Adesso Doyle parlava solo per Spike. con giri di parole, cercava di comunicargli ciò che Buffy stava rivivendo.

 

Solo Buffy poteva capire la situazione in modo innato.

In un gioco di botta e risposta.

Faith risale dal coma, risale da una fossa.

Buffy che risorge, scavando per uscire.

La pioggia per Faith.

Il fuoco per Buffy.

 

Entrambe a caccia delle loro origini.

 

Faith stava rivivendo la sua risalita nel riflesso di quella di Buffy.

Come aveva fatto Buffy, ritrovandosi nel corpo di Faith.

 

Era complicato. Continuava a sfuggirle il nesso. Il presente ed il passato si confondevano in una montagna di particolari.

Troppi, per una sola notte.

Sospirò e scosse la testa.

"Non riesco a venir a capo di nulla." - constatò - " ci sono troppe… relazioni."

"hai ragione." - concordò Doyle - "Vorrei anch'io rimanere alla superficie delle cose, ma ho qualche difficoltà. Parte di questo casino è colpa mia. Io sono connesso a questo sbalzo. mi sono relazionato a te, Buffy, e sono divenuto un tramite tra te e Faith. Ogni tuo passo nella risalita acutizza il tuo legame con faith. Ed io, se mi trovo abbastanza vicino, divengo un canale.

Tu e lei mi percepite allo stesso modo."

"mi stai dicendo che faith ti può sentire?"

"Credo di sì, Spike. questa volta ho provato a trasmetterle la forza necessaria per reagire, quando l'ho vista cedere. E questo mi ha reso più vulnerabile a te…"

"Perché sei entrato in contatto con lei. È possibile Doyle. Il contatto che hai avuto adesso con Spike…"

Doyle la guardò, mentre una nuova consapevolezza si avvicinava.

"Credo che tu abbia centrato il punto. Ho visto nuovamente Spike perché è in relazione con Faith. Come stamattina l'ho visto, in relazione con Willow. Ma certo! Come ho fatto a non pensarci prima!è un gioco di corrispondenze molto strette da cui

io traggo le visioni. Willow e Spike, Buffy e Faith. E poi ancora Faith e spike e Buffy e Willow…

io potrei collocarmi al margine del campo, con una funzione di guardiano. Con la possibilità di interagire con tutti i componenti…

A grandi linee potrei corrispondere a dawn… l'unica con cui non ho relazione diretta. Il mio opposto, in un gioco di equilibri del tipo lei e Spike…."

"tu ed io… oppure tu e faith" - concluse Buffy.

"non mi stupirebbe se dawn avesse anche un contatto importante con willow. Oppure che l'abbia già avuto…"

Dawn come guida per i carnefici e Doyle come guida per le vittime.

Adesso il gioco iniziava a prendere una forma.

Due vittime, due carnefici e due consolatori.

Spike socchiuse gli occhi, cercando di ricordare.

"In effetti Dawn mi ha detto qualcosa, stasera. Qualcosa riguardo ad una conversazione con Willow…" - aggiunse pensoso - "Non so di cosa abbiamo parlato. Mi ha detto solo di stare attento. Che le forze di sunnydale sembravano stranamente spaccate."

"Probabilmente perché stanno convergendo verso due catalizzatori." - commentò Doyle pensoso - "Due cacciatrici…

Possiamo quindi supporre che anche questa parte del gioco si sia completata…

Le azioni singole non contano realmente. Ma i nostri percorsi avvengono sulla falsa riga uno dell'altro. Tara è invece una radice per gli eventi futuri…"

"Per Buffy. E per faith, non vedi nulla?"

"Non sto vedendo nulla per nessuno Spike. Ma non mi stupirei che il corrispondente di Tara fosse il nostro Wes."

"perfetto. E adesso, dopo tutte queste elucubrazioni, che facciamo?"

"Ne sappiamo più di quanto immagini. Ad esempio, adesso è certo che si è compiuta una relazione anomala tra te e Buffy."

"Che tipo di relazione anomala?"

"Non mi fraintendere Buffy. una relazione nel senso di contatto. Tu e Spike vi state scontrando e riappacificando da quando vi siete rivisti. E con una ciclicità impressionante. Ma questo non sta accadendo tra Willow e Faith… come si può spiegare una cosa del genere?"

"Non si può pensare che debba ancor accadere?"

"Non penso. Una cosa è certa. Siamo riusciti a delineare solo le corrispondenze immediate. Ovvero tutti coloro che sono entrati in contatto da quando io e Spike siamo arrivati a Sunnydale. Dopo la caduta di Faith e quella di Buffy. Possiamo anche parlarne in questi termini…."

"La caduta dalla grazia, prima di cominciare a risalire." - commentò automaticamente Buffy, con lo sguardo fisso.

Spike non si mosse. Nulla trasparì dal suo atteggiamento. Solo l'impercettibile dilatarsi delle pupille trasmise a Doyle la nuova verità che Spike aveva captato.

Da lui non ci si poteva aspettare di meno. Adesso sapeva che Buffy non aveva conosciuto l'inferno dei dannati.

E serbava per sé quel segreto che nessuno gli aveva mai detto, soffocando il desiderio di esprimersi in un'altra boccata di fumo azzurrognolo.

"vediamo di capire…" - Doyle chinò lo sguardo e tracciò uno schema nella polvere - "possiamo rappresentarlo così…"

si protesero entrambi verso di lui, mentre applicava una delle tecniche migliori di Westley. Il disegno. Uno schema. Un esagono stellato, in cui ogni linea era una relazione ed ogni vertice una figura.

Al di fuori dell'esagono rimanevano collocati Wes e Tara. Come giocatori in attesa della loro mossa.

"Attorno potremmo tratteggiare un infinito insieme di connessioni. Ma questo esagono e quello che veramente ci interessa al momento. Tralasciamo anche la figura che è venuta fuori…"

"Non è casuale?"

"si ottiene spesso una figura di questo tipo nel caso di un influsso magico. E qui sappiamo già che la causa scatenante è stata la magia. Senza contare gli elementi come acqua, fuoco, terra o cielo…. Ma , se non ti spiace, adesso vorrei perdere meno tempo possibile."

"Ne parlerò con Giles un giorno che ho tempo da perdere." - commentò Buffy, protendendosi a correggere il disegno - "Per cui esiste, secondo te, una linea tra me e spike… così."

"Esatto. Questo esagono sarebbe perfetto se il destino avesse uno svolgimento regolare. Ma tutti sappiamo che il destino, con un buon gioco di carte, si può mutare. E che certe volte ha un vantaggio dall'autoimbrogliarsi… "

Si grattò la barba un po' lunga che iniziava a intravedersi. Spike era sceso dal sarcofago e, in piedi, guardava lo schema.

Gli bastò inclinare un po' la testa.

"Ma solo io vedo un triangolo in più?"

"Come scusa?" - Doyle alzò le testa, per fissarlo.

"La linea spacca l'esagono in due. Ora, non so se la proporzione si mantenga anche scambiando le persone e i vertici… ma c'è un triangolo che unisce me, Buffy e faith… e questo mi risulta quasi normale…. Il legame con le cacciatrici che non si smorza mai…" - si inginocchiò e mise a fuoco meglio lo schema - "Da sola non ha senso… ma letta con le altre…"

"Acquista un valore." - concluse Buffy - "Io capisco poco di queste cose, ma mi sembra una teoria giusta."

Doyle li guardò entrambi. Buffy, accoccolata sui talloni e Spike, con le ginocchia nella polvere. Vedendoli vicini la risposta gli si presentò chiara ed evidente.

"La linea tra te e Spike ha un valore anche letta da sola." - mormorò, fissando lo schema, fino a vedere solo le loro due iniziali - "Voi due insieme, siete la causa scatenante. Il vostro legame è precedente agli altri. Pensateci bene. La vostra corrispondenza. Se diamo importanza alla linea che unisce i vostri due nomi, gli altri sembrano divenire solo tramiti per farvi comunicare."

"Lo stesso destino in due ambiti diversi…" - ripetè Spike - "ma certo, io e Buffy abbiamo un'analogia di ruolo… ma come fai a seguire queste informazioni, mi fanno girare la testa!"

"Non parlarne." - Buffy aggrottava le sopracciglia, perplessa.

"Se adesso lo guardiamo da questa angolazione." - Doyle si protese sullo schema - "Otteniamo i due nuclei dei Prescelti. Da un lato Sunnydale: Buffy, Willow e Dawn. E Los Angeles: io, Faith e Spike. Pazzesco."

"Preparati Buffy." - borbottò Spike - "tra un minuto dirà la frase storica degli Osservatori…"

"Non potete nemmeno immaginare le complicanze di una simile scoperta!" - declamò Buffy, sventolando un paio di occhiali immaginari.

E visto che Doyle la fissava…

"Giles dice sempre così…" - spiegò, con un' espressione innocente quanto quella di Spike.

"non c'è legame tra te e dawn?" - domandò il vampiro, trattenendo le risate.

"In situazioni normali si potrebbe pensare di sì. Ma per altri ruoli che non hanno molta importanza nella situazione attuale." - rispose evasivo - "Ma ora bisogna parlare di un altro aspetto. Il tempo. A partire da questo istante abbiamo il tempo contro."

"Ne sei sicuro?"

"purtroppo sì. Adesso sappiamo come funziona la partita. Se abbiamo azzeccato il meccanismo, adesso girerà più in fretta. Non si gioca mai una partita ad armi pari in una situazione del genere. Perderemo il nostro vantaggio molto in fretta."

"parli una lingua che non capisco…"

"lascia perdere Buffy." - mormorò spike. ne sapeva qualcosa del tempo che passa - "La cosa più importante è sapere che ora dobbiamo agire in fretta."

"Perché proprio ora?" - insistette Buffy.

"Sai benissimo perché, buffy. tra te e spike esiste un equilibrio, adesso. Poco fa ha deliberatamente riposto in te una fiducia che non sentiva più. E tu hai chiesto sinceramente di aiutarlo."

Continuerete a discutere.

Ma lo farete perché siete amici.

Amici come nelle altre vostre vite.

"Adesso dobbiamo veramente muoverci." - aggiunse, alzandosi e cancellando con un piede i nomi ed i simboli - "Bisogna trovare Faith perché i demoni di mezza città stanno convergendo verso di lei. È in pericolo. Buffy…"

la ragazza era ancora a terra. Alzò lo sguardo e fissò la mano che Doyle gli tendeva.

"Adesso devi decidere. Vuoi aiutare faith? Non potrai più tornare indietro, Buffy."

 

Se non vengo, la linea con spike si spezzerà.

La linea anomala. La linea singola.

Come le possibilità che abbiamo contro il destino.

 

Buffy.

La tua scelta segnerà la vita e la morte.

Ti prego, Buffy.

Afferra la mia mano.

E non chiedere spiegazioni.

 

"Andiamo"

 

XIII

La fiducia tradita.

La schiacciava come un sasso. Non poteva fare altro che scivolare fuori da se stessa. Disperatamente rabbiosamente. La fiducia tradita.

Un po' come tradire se stessi.

Aveva tradito.

E si sentiva come se fosse la vittima e non il carnefice.

Ho tradito.

Tradito.

L'inquietudine mi scava un solco dentro il petto. Per quanto inarchi la schiena e cerchi di riempire i polmoni, qualcosa di lattiginoso mi stringe il petto.

Danno.

Ho fatto danno.

Ho fatto danno per ignoranza.

E non mi do pace.

Come posso, in questo battito di ciglia che è la vita umana, aver ancora sbagliato in questo modo.

Come posso essere consapevole di ciò fino all'autodistruzione?

Come può l'uomo sopravvivere con la consapevolezza dei propri sbagli?

È dunque forse meglio non comprendere?

È forse meglio non capire?

Come posso… cosa posso fare… "faith crede di aver sbagliato." - spiegò Doyle, accelerando il passo - "non si sta neanche ponendo il problema di aver subito un'ingiustizia. Sono tornati a galla troppi errori."

"ma è impossibile. Sono io che le ho fatto del male."

"Ti sbagli, Spike. tu sei solo stato una ferita che si riapre. Hai reagito ad un'accusa. E Faith si è sentita di nuovo aggressiva e respinta. Non se lo aspettava. E si è sentita ricadere dentro il baratro. Non ha mai imparato a spiegarsi, non è mai riuscita a dividere l'eccesso dalle sue paure.

Faith è terrorizzata dall'idea di restare sola…."

"Dobbiamo trovarla, Doyle." - ripetè Spike.

Dobbiamo trovarla.

E dirle che non c'è nulla di marcio in lei.

Dobbiamo dirle che tutti commettiamo degli sbagli.

E che gli sbagli non possono nulla contro i nostri forti legami.

Faith, sei parte di me.

Non sei più sola.

Pensa ad Angel.

Credi in Angel.

"Doyle…."

Doyle si era fermato. Respirava l'aria a pieni polmoni.

Le sue pupille si dilatarono oltre misura, nello scrutare il cielo, mentre il suo torace si espandeva.

Aria e luce.

Aria e luce.

Nella sua mente si appellava agli elementi, per trarre forza e conforto.

"Non riesco a sentirla." - gemette- "la terra di sunnydale è impregnata di troppo sangue di cacciatrici per percepire il suo. Le sue tracce sono antiche. Qui ha combattuto. Ma non oggi."

Non capivano.

Spike e Buffy lo guardavano, immobili.

Qualunque cosa stesse facendo doyle, andava ben oltre le loro conoscenze.

E le loro nature.

"le sue tracce… le sue tracce…" - chiamò a sé, chiudendo gli occhi e chinando il capo verso la terra - "Terra, polvere e sangue. I segni della lotta. I corpi dei demoni che svaniscono. Che si sciolgono.

Sangue di cacciatrice…."

Inalò profondamente la notte.

Poi riaprì gli occhi, tornando ad essere l'uomo minuto che era sempre stato.

"il percorso. So giungere dove ha combattuto. Ma difficilmente andrò oltre…"

 

scenario di guerra.

Un vaso di pietra rovesciato.

Impronte fangose di uomini e demoni.

"Non c'è che dire…" - Buffy scavalcò elegantemente un altro cadavere- "l'impronta di faith è sempre distinguibile…"

camminava con le braccia conserte, in cerchio.

Per quanto potesse dire Doyle, non sentiva realmente il passaggio di Faith. Poteva constatarlo con gli occhi. Ma senza nessuna reazione emotiva.

Palpabile era solo la profonda angoscia di spike.

Qualcosa che le mozzava il fiato, scaturendo dai suoi occhi fin troppo luminosi.

Il tormento dello sbaglio.

Della sciocchezza che può scatenare una concatenazione incontrollabile di eventi.

Litigare con faith.

Quante volte l'aveva fatto, probabilmente con gusto.

Ed ora. Ed ora il suo essere umanamente imperfetto gli si ripercuoteva contro.

Lasciandolo spompato.

Un dolore antico e incontrollabile. La paura di abbandonare le persone che si amano.

Senza un vero perché.

 

"dove sarà andata…" - lo sentì mormorare, mentre girava su se stesso, incespicando nei corpi sparsi a terra.

"Non lo so." - Doyle scosse la testa e si guardò intorno - "c'è troppo movimento demoniaco… li sta attirando tutti come una calamita. È quasi fuori controllo. Ed è debole."

"la uccideranno. Oddio…. La uccideranno doyle. Dobbiamo trovarla prima noi."

"Ma come, come…"

si interruppe.

Conosceva la risposta anche senza interrogarsi.

"Buffy, la tua mano." - ordinò, chinandosi ad afferrare una manciata di terra - "dammi la tua mano."

"cos… no, è pericoloso."

"Non lo è. Fa solo male."

"Doyle, non è il momento di fare scemenze."

"Faccio ciò che sono in grado di fare." - ribattè, sporcandosi il palmo con la terra dalla sfumatura rossiccia - "Buffy, devi stringere la mia mano e pensare ad Angel. lui è la forza positiva che vi unisce."

"Non posso, non posso pensare ad Angel per Faith. Non puoi realmente chiedermelo."

"io devo chiederti questo sforzo, Buffy. non puoi evitarlo. Angel è l'ultima cosa in sospeso nella tua vita. Ed è l'unica cosa certa in quella di faith. Devi pensare ad Angel, Buffy. Devi farlo, subito."

 

Angel.

Angel.

Strinse forte gli occhi e lo cercò, nella mente.

Angel. di lui era rimasto solo il nome.

Di lui doveva ricordare il viso, gli occhi.

L'amore.

L'amore di Angel.

Il Claddagh… dov'era il suo Claddagh?

Strinse più forte la mano di Doyle e spalancò gli occhi. La sua vista era vagamente distorta. Ma nella sua visuale c'era Spike. Uno Spike in attesa di un segnale.

Poco sotto la sua giugulare pulsante, le sembrava di scorgere un luccichio. Un luccichio azzurro.

"Cuore, mani, corona…" - sibilò, alzando lo sguardo al cielo - "Sotto questa luna di nulla mi pento…"

 

Come poteva accadere… come poteva buffy conoscere quel rituale?

L'antica formula perduta. La celebrazione dei legami eterni.

Buffy non stava cercando faith. Buffy doveva trovare prima se stessa.

"Di nulla mi pento. Di nulla serbo il ricordo… cuore, mani, corona. Il mio sangue, il tuo sangue."

 

Angel si girò inquieto. Si era addormentato sulla poltrona, nel grande ingresso dell'Hyperion, stringendo tra le mani una lettura che non si era rivelata poi così interessante.

Cuore, mani, corona…

Strinse le palpebre, per proteggersi dai lampi di luce che contenevano.

Occhi dentro agli occhi. Occhi verdi.

Buffy…

Un prato d'estate. La brezza della notte e le scogliere. Quanto aveva amato quel posto oltre gli sterpi. Quanto aveva amato la casa diroccata affacciata tra i rovi.

Avrebbe voluto viverci e strappare con le proprie mani le sterpaglie, fino a ritrovare i muri ormai crollati.

Avrebbe voluto non doversi accontentar del giaciglio di fieno che aveva approntato per smaltire le sbornie in santa pace.

Avrebbe voluto aggiustare il tetto e, a poco a poco, abbattere gli alberi solitari della radura. E costruire mobili. Un tavolo, una sedia… una cassapanca…

Una cassapanca piena di sogni.

E Kathie avrebbe intrecciato fiori per una corona da appendere sulla porta.

 

Fuoco?

Il fuoco bruciava nella depressione tra le roccia.

Illuminava Buffy vestita di azzurro.

Un tunica allacciata sotto il seno. I capelli scomposti e intrecciati allo stesso tempo.

Il suo sorriso.

Angel rabbrividiva. La camicia di tela non lo proteggeva dal freddo dell'oceano.

Ma le sue labbra si muovevano.

"Cuore, mani, corona… Sotto questa luna di nulla mi pento…"

Non avrei mai dovuto lasciarti.

Non avrei mai voluto lasciarti.

Ma dovevo andare… dovevo andare via…

Aiutami.

Aiutami.

Faith ha bisogno di me.

Io ho bisogno di te.

"Di nulla mi pento. Di nulla serbo il ricordo… cuore, mani, corona. Il mio sangue, il tuo sangue."

 

Il mio sangue, il tuo sangue.

Faith.

Trova Faith, Doyle. Trovala! Lo fissò con occhi pieni di fiamme.

Adesso!

 

Non le importava del dolore che stava provando. Le sue urla erano nulla.

Nel sogno le labbra di Angel si muovevano e la luna splendeva alta sopra di entrambi. Le stelle li additavano.

Il fuoco tra di loro li scaldava.

 

Fuoco.

C'era un fuoco tra quelle rocce. In quattro. Uniti per sempre.

Quattro anime.

Mai più nemici.

Amore.

Amanti.

Fratelli.

E sorelle.

 

Si svegliò, tremando.

C'era Kathie su quell'altura. E lo salutava, con occhi pieni di lacrime.

 

Corri.

Adesso sai dove andare.

Corri, dannazione, corri.

Io riposerò un po', qui.

A terra.

 

"Sta ricominciando a respirare meglio…resti tu con lui?"

"Non perdere tempo, Spike. adesso sai dove andare…"

 

si sarebbe voluta fermare.

Ma ormai era vicina.

Nulla del suo corpo taceva. Ogni centimetro di pelle stava pulsando.

Il dolore non suo le trapanava il cervello. Doyle. Doyle era apparso nuovamente, nel riflesso dell'acqua, sul fondo dell'acquasantiera in pietra.

Aveva teso le mani, come chi attende un abbraccio.

Aveva sorriso.

Ed era svanito.

Faith aveva sentito le gambe piegarsi. Ed era caduta, graffiandosi la guancia contro la pietra ormai abrasa dalle intemperie.

Non riusciva a respirare.

Chiuse gli occhi, con un rantolio.

L'odore salmastro dell'acqua… quanto le mancava…

Acqua di mare.. erba appena tagliata.

Il vento che faceva crepitare le fiamme.

Un'ondata di calore le investì il volto. Sopra le braci, i suoi occhi cercavano quelli di Spike.

"Cuore, mani, corona…" - sussurrò, senza capire le antiche parole - "Sotto questa luna di nulla mi pento…"

 

E c'erano passi di corsa verso di lei.

La battaglia.

Ancora la violenza.

Il legame si era spezzato. Restava solo la notte umida ed il sangue raggrumato tra le ciglia.

 

Urlò il suo nome. Urlò, nel momento stesso in cui la sua folta chioma scura svanì, sommersa dai corpi sudati dei demoni.

L'odore di rancido lo colpì con un moto di nausea, mentre si buttava nella mischia, liberandosi del giaccone di pelle che sembrava rallentare i suoi movimenti.

Uccidendo a mani nude. Afferrando armi e ritorcendole contro i loro legittimi proprietari.

La mente gli si frammentò in miriadi di pensieri.

Faith. Faith addormentata tra le braccia di Angel. Faith ed angel, che sapevano chiudere gli occhi e apparire indifesi.

Faith tra le sua braccia. La sua bocca, sopra un tetto e tra le lacrime.

Faith che rideva di Wes e dei suoi occhi alzati al cielo.

Faith che era capace di danzare e combattere.

Faith ed il suo profumo di libertà.

Ed infine faith, che piangeva nella pioggia.

 

Si sentì chiamare. Ma non poteva voltarsi. Non poteva affrontare la realtà dei fatti. Aveva fallito.

Fallito.

Un altro colpo la pese in pieno petto. Senza piegarla.

Rendendola ancora più disperata.

Perché non riusciva a cedere? Perché non si abbandonava?

Mancava ancora poco. Ancora qualche metro e sarebbe stata nel punto in cui convergevano i suoi incubi. E là avrebbe scelto. Di nuovo.

 

Ti voglio bene Angel…

 

Ma forse sarebbe stato meglio tu non mi avessi mai ritrovata.

 

Non importa se adesso per loro sei una Cacciatrice. Per me lo sei sempre stata. Ed essere stato il tuo Osservatore, per breve tempo e commettendo un sacco di sbagli, è comunque stato un grande onore a cui non ero pronto.

 

wes… wes crede in me.

Wes mi ha perdonato.

Perché?

 

Perché per me sarai sempre la mia cacciatrice.

Perché sei la mia faith. Ed io sono fiero di te. Lo sono sempre stato…

 

Westley, westley non mi lasciare.

 

"bene, bene, bene." - era un vampiro. Grande e grosso. Eppure veloce, tanto veloce da sorprenderla e strapparle un gemito nel bloccarla a terra - "Cosa abbiamo qui?"

dapprima faith non registrò realmente quello che il demone teneva tra le dita.

Nella mischia qualcuno urlava ancora il suo nome.

Ma tra quelle mani unte stava il fior in ambra. La rosa di wes.

"Ci piacciono le cose delicate, eh?" - gli mancavano i denti… - "Ed io so essere delicatissimo, non credi?"

Si dibattè, impotente. Ma l'energumeno, premendole sulla gola con l'avambraccio, riusciva a tenerla ferma, anche se la mischia non accennava a diradarsi.

"Portati avanti con il lavoro… inizia ad avere paura…"

"Restituiscimela…"

"Cosa, zucchero?"

"Ho detto che rivoglio la mia rosa." - ringhiò ancora, cercando di non pensare a come i suoi muscoli sembrassero bruciare e rattrappirsi, man mano che l'ossigeno nel sangue si riduceva - "E' mia."

"Certo che è tua." - rise ancora il suo nemico - "Per questo adesso diventa mia. Ti strapperò un orecchio per appenderla. Così avrò un trofeo memorabile della mia vittoria…."

"Non ne sarei così sicuro!" - urlò Spike, piantandogli un paletto nella schiena.

"stai bene?" - chiese precipitosamente. Prima di voltarsi e ricominciare a menare di santa ragione nella confusione.

Era ferito in più punti, dalla fronte alle mani.

Era il dio della guerra.

Orridamente incoronato con il suo stesso sangue.

 

"Doyle, fermati. Non ti reggi in piedi."

"Sto meglio di quanto sembra. Ci siamo Buffy, stanno combattendo, non siamo lontani."

Correva ed ogni tanto incespicava. Per poi rialzarsi e cominciare ad avanzare.

Saltava i muretti e aggirava le lapidi con passo spedito.

"Dobbiamo muoverci. Il tuo aiuto può fare la differenza, per lui."

La linea. La linea dentro all'esagono.

È l'unione della vita e della morte.

Se essa non sussiste… lui morirà.

 

Dolore per dolore…

Morte per morte…

 

"No, non adesso, non adesso." - gemette, cadendo a terra e portando le mani alle tempie.

"Doyle…"

Sentì le sue mani sulle spalle e si divincolò.

"Corri, Buffy, corri a salvarlo!" - sibilò, puntellandosi con le mani.

Corri…

 

Il destino…

Il destino non può reclamarlo in questo modo.

La linea che unisce la vittima al carnefice…. Che unisce la vita ritrovata alla morte necessaria.

La linea che divide i due mondi.

La bilancia dell'universo vuole tornare in equilibrio…

 

L'universo ha un'altra scelta per riequilibrare la bilancia: riportare indietro le cose.

Può riprendersi buffy.

Semplicemente annullare l'incantesimo.

 

Il colpo d'ascia è per lei.

 

Spike è l'alternativa che le stelle propongono.

 

La vita.

La morte.

Oh, no.

No…

 

Faith è in pericolo.

Faith è alle mie spalle, qualcuno le sta facendo del male.

Sento l'odore della sua stanchezza. Ed il suo sangue.

Il suo sangue si sta mischiando alla terra su cui camminiamo.

Il suo sangue sta scorrendo verso la fossa dei suoi incubi.

"Faith!"

gli sembrava di non urlarlo abbastanza forte.

Sembrava che non riuscisse a sentirlo.

Urlò ancora. Ancora.

Ed incontrò il suo sguardo, mentre si girava.

E nei suoi occhi lesse la furia.

Faith combatteva. E le luci della battaglia si allargavano a raggio sul suo viso.

Dalla violenza traeva la sua redenzione.

Le sorrise con disperato sollievo.

Le sorrise, lasciando le lacrime libere di scivolare.

E corse verso di lei, dimentico di ogni cosa.

Corse e la scaraventò a terra, levandola dalla traiettoria di un ennesimo colpo.

Stringendola tra le braccia. Le labbra vicine.

E soprattutto gli occhi.

Gli occhi neri di faith che cadevano nell'azzurro dei suoi.

Solo lei l'aveva sempre guardato in quel modo.

Solo Faith sapeva immergersi così nelle sue iridi, succhiando quasi ciò che trovava. Faith traeva una nuova consapevolezza dai suoi occhi.

 

E spike la lasciò fare.

 

Io annegherò in questo turchese. Cadrò dentro per non più risalire.

Giacerò sul fondo, dimentica di tutto.

Ed ogni cosa mi sarà perdonata.

I tuoi occhi chiari.

Adesso so che il mondo esiste ancora.

 

"Spike, attento!"

Buffy si librò in aria, usando una sporgenza della cripta come trampolino. Planando come un falco sui suoi avversari.

Uccidendo colui che alzava la mano su di loro.

Su Spike e sul corpo quasi esanime che stava proteggendo.

Polverizzando un possibile carnefice.

Uno. Uno ancora.

Credendo fermamente nella salvezza che poteva ancora portare.

Vita e morte.

Oh, sì, anche per spike avrebbe dato la vita. Non solo per Dawn.

 

Ed ora che la vedeva,sapeva che anche per faith sarebbe stata capace di dare la vita.

Per faith come per se stessa.

Perché lei e faith sarebbero sempre state la stessa cosa.

Ed essere due parti di uno stesso cielo significava solo essere degli opposti.

E non potersi mai capire.

 

"Due cacciatrici, una sola epoca…" - sussurrò doyle. Sdraiato nell'erba alta, le parole solo per le stelle.

"Una cacciatrice quando muore l'altra… una dietro l'altra.

E solo in quest' epoca due insieme. Gli opposti.

Ombre fatte di luce. Due vite insieme, due morti insieme. Cadute e risalite.

E laddove una vive…non potrà che vivere anche l'altra…"

 

"Reagisci faith, ti prego, reagisci." - singhiozzò Spike, scotendola - "Guardami, guardami cacciatrice…"

"gli occhi dell'uccisore…" - sussurrò Faith, stentando a restare cosciente.

"credi nel mio perché, faith, ti prego…"

Nel mio perché…

Credi… nel mio amore…

 

"Credo in te, spike…"

 

Un respiro. Le era bastato un singolo respiro per sussurrarlo. Un respiro. Ed un leggero curvarsi della labbra.

Ferita.

Nell'anima e nel corpo.

Si sentì sollevare, mettere a sedere.

E tutto ciò che di sbagliato c'era stato tra loro, iniziò a svanire. A perdere di lucentezza. A divenire opaco e vecchio, come capita talvolta anche alle cose importanti. Le sue braccia la stringevano.

La stringevano senza farle male.

Senza calore.

Ma erano la vita.

 

Si rimise in piedi a fatica. Le fitte alle tempie si stavano riducendo.

Non c'era tempo da perdere.

Doveva raggiungerli.

Si appellò a tutto ciò che amava. Si appellò a Cordelia. Chiuse gli occhi per vederla meglio, sdraiata di traverso sul letto. I suoi capelli sparsi, le sue caviglie accavallate.

Ti amo, principessa.

 

"ti amo doyle."

Che strano sussurrarlo al soffitto…

 

"Resta qui." - Spike la spinse contro la rientranza del mura, di modo che si appoggiasse - "Torno subito."

Non era successo.

Qualunque cosa avesse arbitrato l'universo, lui non aveva niente di anomalo piantato nella schiena.

Aveva stretto faith tra le braccia. Aveva esultato nel ritrovarla. E nulla aveva turbato questo equilibrio. Corse trionfante.

Ormai fuggivano, i pochi superstiti.

Restava solo buffy, impegnata a fronteggiare qualche temerario.

A colpo seguiva colpo.

Si voltò, per condividere la sua gioia. Si voltò, dimenticando le sua mani rovinate e la sua nuova vita.

Sul campo di battaglia, era ancora se stessa. Armata solo della sua forza era ancora la cacciatrice. Lasciò cadere il paletto e alzò le braccia in segno di trionfo.

Le correva incontro. E la sua gioia stava già svanendo.

 

Si sentì afferrare per la vita.

E ruotare.

Insieme al mondo stesso.

 

Doyle urlò, lacerando la notte.

 

Ma il grido di spike sovrastò ogni suono, riducendo tutto al silenzio.

 

Le stelle divennero intermittenti.

 

Tutto fu buio senza che l'umanità ne fosse consapevole.

Poi la luce tornò.

Nella notte risplendette la luna.

 

La polvere le faceva bruciare la gola.

Buffy tossì, ripiegata su se stessa, inalando ancora più cenere.

 

Per un interminabile atto.

 

Mentre doyle cadeva su ginocchia che non lo reggevano.

 

Un bicchiere in frantumi.

Dawn lo guardò sorpresa, come se non riuscisse a capacitarsi di non sentirlo più tra le dita.

Si era portata una mano al cuore.

Ed il semplice battito aveva scacciato ogni angoscia.

 

"Apri gli occhi, Buffy."

Dawn?

"Aprili, Buffy."

"Cosa…"

"Abbraccialo, visto che ci sei… la schiena gli fa veramente male…"

 

Spike.

Non è cenere di spike.

Sento ancora le sue braccia. Lo sento che digrigna i denti imbestialito.

"Come sono felice tu sia ancora vivo…" - rise, aggrappandosi al collo - "Nessuno può ucciderti senza il mio permesso…"

 

Alle spalle di spike, c'era Faith. In piedi. Con il paletto di Buffy nella destra e l'ascia nella sinistra.

 

Il sollievo era un dolore ancora più grande delle visioni.

Doyle si era sentito crollare, nell'istante in cui la scelta del destino si era compiuta.

Aveva visto il vampiro comparire alle spalle di Buffy. l'aveva visto alzare alta l'ascia. Un solo colpo per staccare di netto la testa della cacciatrice.

Per smembrarla in due.

E godere in eterno di quella gloria.

Ed aveva visto spike avvinghiarla al suo corpo e girare su se stesso.

Offrire se stesso.

Aveva sentito il rumore della carne che si lacera dentro l'urlo che gli era sfuggito dalle labbra.

La testa inarcata indietro e gli occhi socchiusi.

Il suo sangue, tra i capelli biondi.

 

E l'energia della mannaia si era interrotta, mentre il vampiro diveniva nuvola.

Mentre Faith gli passava attraverso, senza attendere la completa dissoluzione.

Facendosi strada nella cenere ancora radunata in una forma umana, fino ad afferrare il manico dell'ascia.

Bloccandone la caduta.

Impedendole di penetrare ancora nella schiena di Spike.

Sfilandola crudelmente da quello spazio che si era scavata nella sua carne.

 

Stringendola tra le mani.

Perché anche le cacciatrici possono godere di un trofeo di battaglia.

E di una vittoria.

 

"doyle?"

"Ciao dawn." - sorrise, chiudendo gli occhi ed inviandole un pensiero.

"Tutto ok, allora?"

"Come doveva andare, non credi?"

"Ho tremato fino all'ultimo. Non ero certa che Buffy capisse in tempo. Temevo che il suo rancore per faith prevaricasse sulla sua natura."

"E' una grande cacciatrice. Non poteva non comprendere."

"Lui sta bene?"

"è arrabbiato… credo sia un buon segno." - mormorò.

Gli piaceva sentire le risate di quella ragazza risuonargli nella mente.

Abbastanza da unire le sue, per qualche istante.

"Abbiamo rischiato parecchio." - mormorò ancora.

"Hai ragione." - concordò allegramente la ragazza - "Ma è troppo complicato da spiegare."

"Mi suggerisci di non dire nulla?" - domandò, con tono tollerante. E complice.

"Ovviamente. Non li conosci abbastanza da sapere che ti subisserebbero di domande e non sarebbero mai contenti delle risposte?"

 

Hai ragione, dawn.

Teniamo l'ordine cosmico fuori dalle loro vite.

Fuori dalle vite di tutti noi.

 

Convinciamoci che realmente non ci sia un perché. E godiamo di questa gioia in eterno.

Siamo liberi.

Liberi di decidere.

E non dobbiamo niente a nessuno.

 

"Vado a occuparmi di loro."

"Non dubito che tu lo sappia fare nel migliore dei modi."

"Sono molto allenato…"

"Stammi bene Cantastorie."

"E tu fila a letto, Piccola Chiave."

 

XIV

La supposizione di dawn era esatta. Quando tutto fu finalmente finito, Spike si sentì dedito ad un migliaio di domande che Wes e Doyle cercarono disperatamente di fronteggiare con schemi che, il più delle volte, si rivelarono incomprensibili anche per loro.

Anche faith voleva la sua dose di spiegazione. E giles, con lunghe interurbane diurne, si trovò ad ammetter che la sua cacciatrice si stava rivelando ancora più polemica di quanto non fosse mai stata.

Tutto sommato volevano sapere.

Anche se dichiaravano, a metà delle spiegazioni più astruse, il loro assoluto disinteresse per quelle idiozie.

Tutti e tre.

E separatamente.

Una valanga di domande con risposte che non sapevano apprezzare.

E che, nella sostanza, non mutavano mai.

La salvezza di tutti e tre era stata intimamente legata alla loro consapevolezza delle parti. Nel momento stesso in cui Faith e buffy avevano sentito la loro natura comune anche la vita di Spike era stata al sicuro.

Una sola esitazione e le sorti sarebbero state differenti.

Ed anche se Westley e Giles si erano rivelati come al solito pignoli sui particolari, la simbologia e la cabalistica, Doyle si era spesso ribadito fermamente convinto che tutto fosse stato una questione di fine dei rancori e buoni sentimenti.

Ovviamente, edotti su questo punto, tutti e tre i coinvolti si erano arroccati su vere posizioni di egocentrismo, con veementi spiegazioni che ognuno ascoltava con una punta di scetticismo.

In silenzio.

Pena: una litigata interminabile.

Tutto sommato non aveva realmente importanza…

Avrebbero fatto di tutto per credere di non centrare assolutamente nulla con il cameratismo che avevano provato uno per l'altro.

Un vampiro, una cacciatrice ufficiale ed una rinnegata.

Andare d'accordo per libero arbitrio…mai!

 

Eppure, in quella notte a metà strada tra l'onirico ed il miracoloso, nessuno di loro si soffermò realmente a riflettere all'accaduto.

Il possibile disegno metafisico non aveva importanza.

E se mai ne avesse avuta, a loro non ne sarebbe fregato niente.

 

 

Aveva sentito la lama penetrargli nella carne, schiantandosi su un paio di costole. Si era ripiegato su se stesso, con l'irrazionale paura che l'arma, trapassandolo da parte a parte, arrivasse a colpire Buffy.

E solo all'ultimo, travolto da un dolore che non si aspettava più di provare, aveva inarcato la testa, gridando. Tornando al suo volto umano, ai suoi occhi chiari.

Di rabbia.

E di dolore.

 

Ed era stato un istante di eterna ombra.

Prima di rendersi conto di poter ancora sentire il sangue pulsante delle Cacciatrici.

Il suo rimbombo nelle orecchie lo sorprese e lo stordì.

Sentì la risata di buffy e le sue braccia che gli stringevano il collo.

E sentì lo sguardo stanco e appannato di faith che contemplava il massacro interrotto.

 

Tutto questo, mentre il suo sano orgoglio maschile prendeva il sopravvento.

Salvato da due donne!

Colpito a tradimento!

Per una distrazione!

E per un incredibile senso di protezione nei confronti di una cacciatrice.

Non una a caso! ma Buffy!

Era una cosa da non credere!

 

Altro che gemiti di dolore.

Era un vero comizio!

 

"Faith." - la voce di buffy, così vicina al suo orecchio, gli raggiunse il cervello come un proiettile.

Prima ancora che di percepire il suono di un corpo che si accasciava a terra.

"No, no, no…" - si girò su se stesso, poco convinto di riuscire a rialzarsi e si mosse verso di lei, quasi a carponi fino a sollevarla e stringerla tra le braccia. In ginocchio, senza curarsi affatto del sangue che gli iniziava ad impregnare i vestiti.

Era un corpo freddo quello che stringeva. Un corpo che scottava e tremava, scosso sin dal profondo.

Provato da chissà cosa.

Un corpo che sapeva di benzina, asfalto e sangue.

Di battaglia.

E di ribellione alle regole.

Un corpo che sapeva di uomo e baci rubati.

E che lo riempiva di una fredda rabbia.

"dannazione, Faith, cosa hai fatto a te stessa." - ringhiò, trattenendo i lineamenti che iniziavano a stravolgersi di nuovo. Sentendosi invadere dalla furia.

Lasciandosi sorprendere da una mano che gli premeva forte sulla schiena.

"Sanguini come se ti avessero macellato." - replicò Buffy - "Sta arrivando doyle. Digli di sollevarla e andiamo."

"non ci penso nemmeno."

Adesso l'aveva ritrovata. Era solo sotto la sua responsabilità.

Si issò in piedi con un moto di pura collera, stringendo al petto faith, sentendola reagire appena, mentre gli cingeva il collo con un braccio e appoggiava al petto il viso arrossato dalla febbre.

"Spike, dalla a me." - disse Doyle arrivando di corsa. Se ancora stava patendo dei postumi da visioni, di certo non lo dava a vedere. E Spike lo ignorò senza rimorso. "La porto a casa di angel. E' più vicina."

Non si poteva discutere la sua scelta.

Doyle affiancò buffy e Spike li distanziò presto, avanzando nel cimitero con ampie falcate.

Nella sua mente esisteva solo faith. Faith che sapeva ancora della pioggia sotto cui si erano scontrati.

"Angel…"

Aveva una voce bassa e soffocata. Stava facendo di tutto per non perdere conoscenza. Spike poteva capirlo da come sentiva le mani di faith sfregare la stoffa della maglietta. Il movimento ritmico la teneva sveglia.

"Lascia che ti porti al sicuro e poi ti prometto che lo chiamerò. Lo farò venir da te a costo di pigliarlo a calci…"

Le avrebbe promesso di tutto.

"come facevi a sapere dov'ero…"

"non lo sapevo. Sono stati Doyle e buffy a scoprirlo. Avrei rivoltato fino all'ultimo sasso da una costa all'altra, fino a ritrovarti…"

"sei il solito esagerato… vampiro."

"senti chi parla. Quella che i demoni li affronta tutti insieme." - replicò, sorridendo.

Perché anche faith, con gli occhi chiusi, accennava un'ombra di ironia.

"non sapevo l'ordine di arrivo,altrimenti li avrei battuti uno alla volta…"

 

Quando l'adagiò sul letto di Angel ed arretrò di qualche passo per fare spazio a Doyle, gli sembrò che faith fosse piccola e sperduta.

Incredibilmente indifesa.

Si voltò, sperando che le gambe non cedessero e corse in bagno.

Fu lì che buffy lo raggiunse, mentre immergeva rabbiosamente una manciata di asciugamani nel lavandino traboccante d'acqua.

"che stai facendo?"

"è coperta di fango e schifezze varie. Non mi va che si infettino tutti i graffi e le contusioni che ha collezionato." - ringhiò, sentendosi afferrare per un braccio.

Omettendo quanto l'odore di quell'uomo sconosciuto che le sentiva sulla pelle lo irritasse e accecasse.

Non era odore di violenza.

Era odore di passione fatta di rabbia. Di ripicca.

E disprezzo contro se stessa.

E lui l'avrebbe cancellato. A costo di levarle la prima pelle.

"Ascoltami bene, Spike." - aggiunse buffy, dopo un attimo di silenzio senza mollare la presa - "se non te ne sei accorto, sei anche tu coperto di graffi e contusioni. E mi spiace farti notare che ti hanno anche piantato qualcosa di molto tagliente tra le scapole. Senza contare che…"

"senza contare che un corno, buffy!" - scattò, prima di spaccare un paio di piastrelle con la schiena e ritrovarsi seduto per terra, con la mandibola indolenzita.

Improvvisamente molto più snebbiato e calmo di quanto non fosse stato nell'ultima ora.

"Senza contare che io non ti lascerò spogliare una ragazza priva di conoscenza." - concluse Buffy, sovrastandolo - "Per cui adesso ti fai dare una mano da Doyle a levarti dai piedi e mi lasci fare ciò che devo."

 

Dal bagno uscì con i suoi piedi.

E sempre con la stessa espressione furiosa si sedette nel salone.

Ad impregnare di sangue il tappeto.

"Angel ne sarà estasiato…" - commentò Doyle, poco convinto, appoggiandosi alla mensola del caminetto.

"Angel riesce ad essere estasiato per un sacco di cose." - Spike stava provando ad accendersi una sigaretta. Ma anche il suo beneamato accendino non sembrava volerlo assecondare.

"Scarico." - borbottò seccato, lasciandolo cadere a terra.

"pensi di permettermi di dare un'occhiata alla tua schiena?"

"No."

"Ah. Perché?"

"Perché nel tuo tono sento un intento polemico."

"Spike."

"Adesso sei accondiscendente."

"Andrai avanti ancora per molto ad agonizzare sul tappeto?"

"Non sto agonizzando."

"D'accordo. Godi di ottima salute."

"Adesso ho deciso."

"Deciso cosa?"

"Ti meriti un pugno." - concluse, alzandosi. O almeno provando ad alzarsi.

Non gli piacque poi molto battere il naso sul pavimento…

"salvato in extremis." - sentì mormorare al demone, mentre già gli si inginocchiava accanto.

E preferì di gran lunga restare dove si trovava.

Ignorandolo.

Prima di ammettere che era uno sbruffone molto molto stanco.

 

"Potevi anche medicarlo…"

"Mi sarebbe piaciuto. Ma sono stato minacciato di morte. Due volte in gergo londinese ed una in cecoslovacco."

"e basta così poco a fermarti?"

"Capisci il cecoslovacco, Buffy?"

"No. In effetti no."

"Nemmeno io. Ma ti posso assicurare che suonava veramente inquietante."

 

In effetti era stato preferibile lasciarlo in pace. Se ne stava sdraiato su un fianco, fissando testardamente il caminetto che doyle aveva acceso.

La casa era umida, non avrebbe giovato a Faith. Tanto valeva soffrire il caldo ed accertarsi di non provocarlo un accidente maggiore di quello che già aveva in corpo.

E poi Spike non stava particolarmente patendo il caldo. La perdita di sangue lo stordiva. Ed il suo pasto aveva fatto una brutta fine, nella confusione del ritrovamento.

Non si mosse. I suoi sensi erano vagamente anestetizzati. Può darsi che Doyle non fosse più nella stanza. La sua era un presenza che si percepiva anche dormendo.

Del resto non gli sembrava proprio di essere solo.

 

E la pressione ghiacciata sulla schiena, facendolo rabbrividire, confermò le sue supposizioni.

"mandami a stendere in americano, se proprio ci tieni… intanto ho deciso di vedere questo squarcio." - mormorò Buffy, strappandogli direttamente la maglietta.

Spike strinse i denti e rimase immobile.

Buffy aveva un buon tocco sulle ferite. Questo gli sembrava di ricordarlo.

"lei come sta?" - chiese freddamente.

"è sbattuta. Ma non mi preoccuperei fossi in te. Il suo corpo si sta già riprendendo. Dorme sotto un paio di coperte. Ma non ha bisogno altro... a parte forse mangiare qualcosa…" - constatò con tono pacato. Quello che era successo dietro la porta chiusa era un affare tra Buffy e faith. E, se si poteva aggiungere, una questione femminile. Si era portata dietro alcuni asciugamani. I pochi rimasti dopo aver medicato faith.

Meticolosamente ripulì la schiena di Spike dal sangue raggrumato, fino a mettere a nudo la lunga scanalatura.

Penetrava di un paio di centimetri e probabilmente, a parte le costole che si stavano rinsaldando…

"hai la clavicola lussata." - disse, con tono d'accusa.

"Rimettila a posto." - replicò.

"Sei pronto?"

"Vai."

Decisamente non una cosa piacevole. Nemmeno per un crudele vampiro.

"potevi urlare…"

"Non volevo svegliarla."

"Non sei contento di averla ritrovata?" - domandò, tornando a strofinare i lembi della ferita.

"perchè me lo chiedi?"

"perché non sei tranquillo. Anzi, sembri furibondo."

"Odio la gente che si fa del male…"

"Capita a tutti, prima o poi, di avere poca stima di se stessi…."

"Hai ragione. Ma in questo caso, direi che non ci sono dubbi sul fatto che io sia il diretto responsabile."

"Allora adesso è il tuo turno di autoflagellazione?" - replicò, distendendo l'asciugamano freddo con le dita - "Perché faith si è fatta del male adesso tu ti dissangui per testardaggine?"

Non le rispose.

Appoggiò la testa sull'avambraccio e rimase in silenzio.

A guardare le fiamme.

Prima di rizzarsi a sedere.

"Bisogna aggiungere dell'altra legna." - mormorò.

"Non è necessario. La casa è ormai asciutta…" - Buffy allungò una mano, carezzandogli una scapola - "Ma tu guarda come sei ridotto…."

Rimase immobile, godendo della scia di tepore che ancora persisteva sulla sua pelle.

"Ce la siamo vista brutta."

"Soprattutto tu. Hai fatto una cosa molto pericolosa. Ed io volevo ringraziarti. Mi hai salvato la vita, stasera…"

"Ci tieni, Buffy?"

"Come?"

"tieni veramente a questa vita?"

Come era strano non vederlo in viso, mentre le poneva una domanda così importante. Proprio lui che come arma possedeva uno sguardo con cui trapassare le pareti.

"fino a ieri non ne ero così sicura." - ammise - "ma ora, è tutto diverso. Adesso ricordo bene chi sono…"

"Quando ho riavuto la mia anima, avevo paura che non si rendessero conto che ero ancora io." - Spike sorrise, abbassando lo sguardo a contemplarsi le mani - "Dovevo dimostrarlo a me stesso. Per gli altri ero sempre uguale, per la mia forza, per il mio aspetto… ma dentro… dentro mi sentivo come se fossi morto. O in agonia. Non mi piaceva, era come brancolare per la troppa luce… un controsenso."

"In fondo lo siamo entrambi. Dei controsensi. Torniamo dalla morte e riabbiamo le nostre anime sfidando le leggi della natura." - obbedendo ad un impulso irrazionale, si avvicinò e appoggiò la guancia alla sua spalla. Ripiegando le ginocchia, fissando pensierosa le ultime braci rossastre - "Ci danno un dono che ci sembra sprecato. Non capiamo, non vogliamo capire… chi può dirlo. Forse è solo la paura del cambiamento."

"tu hai paura di cambiare?"

"tu no? Io ho paura di scoprirmi cambiata… oppure di tentare e illudermi di essere riuscita. Non ho paura del cambiamento. Non lo conosco.

Nella mia vita sono così poche le cose cha cambiano. Io sarò la cacciatrice per sempre. Questa è l'unica cosa che devo tenere a mente."

"Non lo fai bene…"

"Come scusa?" - chiese, girandosi per guardargli il profilo.

"troppo sentimento. Te lo ripeto dalla prima volta che ci siamo visti. Sei immersa nel sentimento, ti offusca il cervello… e ti impedisce di essere solo una cacciatrice. Sei umana, Buffy, imperfetta…. E per questo bellissima."

"perchè mi dici questo?" - domandò, combattendo il groppo che le si era formato in gola.

"Perchè, in questo ultimo anno, ho molto ragionato su una cosa che Angel mi disse. Quando sei un vampiro con l'anima, sconti la tua imperfezione per il semplice fatto di sapere che non finirà mai. La consapevolezza dell'imperfezione dentro l'immortalità. Senza via di fuga." - sospirò - "la tua umanità è la mia innocenza perduta…"

"in certi momenti farei di tutto per riaverla…" - sussurrò. E cambiando tono - "Ringraziando il cielo, poi mi passa."

Buffy lo fissò stranita, prima di assestargli uno spintone amichevole.

"Stupido…"

 

Lentamente le fiamme languirono.

Lasciandoli serenamente seduti contemplare la cenere.

"spike…"

"Stai per chiedermi di angel…"

"Come fai a saperlo?"

"Pensi troppo forte."

"Volevo solo sapere se sta bene."

"Credevo proprio di avere risposto a questa tua domanda." - strofinando un rametto sugli ultimi monconi incandescenti, aveva finalmente avuto il fuoco necessario per una sospirata sigaretta.

Gli serviva a radunare le idee, come sempre.

Solo che…

Anche Buffy, con sua grande sorpresa, si stava accendendo una sigaretta.

Spike allungò una mano e, senza un commento, gliela sfilò dalle labbra.

E la spense, dopo averne tirato una lunga boccata.

"Non fumare. Ti fa male."

"E tu saresti l'uccisore delle cacciatrici?"

"Io. Non le mie sigarette. Devo andare fiero del fatto che il mio pacchetto di sigarette accoppi la cacciatrice che non sono riuscito ad uccidere?" - ribattè, prima di riprendere a fumare la propria.

"Comunque Angel sta bene." - disse - "E, tanto per la cronaca, gli manchi…"

"Non volevo sentirmelo dire." - replicò Buffy - "doyle ha detto che se non era per te, lui… bhe, sarebbe morto."

"Lo dicono in molti." - ribattè, con una pacata alzata di spalle - "ma io insisto sul fatto che nessuno di noi gli avrebbe lasciato commettere una simile sciocchezza. Devo dire che è stata una settimana un po' all'insegna del martirio. Hai quasi lanciato una moda…"

"Avevo un buon motivo per sacrificarmi." - spiegò, con un sospiro.

"Lo so. Ma non l'ho presa bene lo stesso." - commentò, sintetico. Decidendosi, finalmente - "buffy, devo restituirti una cosa…"

Armeggiando si snodò il cordoncino che portava al collo. E buffy, per la prima volta, mise a fuoco i ciondoli che vi erano appesi.

"Il mio anello…"

I Claddagh erano due. Spike tenne in mano un solo gioiello, sul palmo aperto.

E glielo porse.

"Sono stato ossessionato da questo tuo anello. Non ti avevo mai visto portarlo addosso. Non capivo perché l'avessi indossato, proprio quella notte… ho pensato molto al fatto di non averti salvata…

 

Penso sempre alla promessa che ti feci, la promessa di proteggere dawn.... fossi riuscito a mantenerla, tu non ti saresti dovuta buttare....

comunque sai, io ti ho salvata...

non quando contava, purtroppo, ma dopo. Ogni notte, nei miei sogni, rivivo tutto da capo, ma in modo diverso.

E sono sempre più veloce e reattivo.

Da quando sei mancata, ti sogno spesso...

E ti salvo ogni notte...

 

Buffy lo guardava, in silenzio. Lo guardava negli occhi e disperatamente cercava le parole per rispondergli.

"E adesso sei tornata." - concluse Spike - "Sono contento di questo, anche se è… strano. E non riesco ad essere del tutto convinto che sia stata la cosa migliore. L'anello è tuo, è molto importante. Riprenditelo…"

Buffy abbassò lo sguardo. Nella mano tesa di Spike brillava ancora quel cerchietto in argento, l'ultimo residuo della notte più bella di tutta la sua vita.

Lo fissò, con tristezza.

Quanto cose erano passate.

Quante illusioni perdute.

Quante realtà da ricostruire.

Scosse la testa, appena, con rammarico. E chiuse l'anello dentro la mano di spike, stringendola tra le sue.

"Non sono ancora pronta, Spike. Non posso ancora affrontare Angel." - sussurrò - "e' stato sempre troppo importante perché io riesca a farmene realmente una ragione. Forse sono cambiata, alla fin fine. O forse mi sono solo persa. Conservalo per me. Un giorno verrò a reclamarlo."

Aspettò che annuisse. Come solo lui sapeva fare, con impercettibile movimento.

E quando ebbe infilato l'anello vicino al suo compagno, annodò personalmente il cordoncino.

Per poi cingergli il collo con le braccia. Guancia a guancia.

"Custodiscilo per me, Spike." - ripetè, sentendolo accarezzarle le mani rovinate, in punta i dita.

E non provando vergogna, per la prima volta.

 

"ehi, ehi, Irlandese…"

"spike…mmm.. ma che vuoi?" - bofonchiò Doyle, stiracchiandosi un minimo.

Prima di capire che avrebbe potuto anche girarsi e continuare a dormire.

"Vattene in un letto vero. Resto io con faith."

"Mmm… Buffy?"

"Dorme sul divano. Ho avvertito dawn di non preoccuparsi. Vai, resto io con lei."

"Fai pure." - accondiscese, alzandosi - "non mi spiace l'idea di un materasso…"

 

"Doyle… scusami per prima."

Lo guardò un po' di traverso. Con un sorriso assonnato.

"Buonanotte, ragazzino…"

 

"spike?" - domandò, stropicciandosi gli occhi.

"Ben svegliata…" - sussurrò lui, protendendosi in avanti.

Era seduto sulla poltrona di Angel. la finestra alle sue spalle era socchiusa.

"Serra le tende… sta arrivando l'alba." - mormorò, fissando il rampicante del cortile, mosso dal vento.

"Lo so… ma c'è ancora tempo."

"Stai bene, Spike?"

"La schiena mi fa male." - replicò, con un sorriso.

"Dovresti sdraiarti un po'…"

"Preferisco restare qui, Doyle ha bisogno di riposarsi…"

"Spike…" - lo interruppe, girando la testa per vederlo meglio - "Io intendevo qui, con me… ti va?"

lo guardò alzarsi e girare intorno al letto. Ed allungarsi sul fianco, restando sopra le coperte.

"Non hai freddo?" - chiese ancora, sentendosi di colpo eccessivamente sfrontata.

"No, non ho freddo." - scosse la testa e tese una mano, per scostarle i capelli dal viso - "come ti senti?"

"bene." - rispose, girandosi sul fianco, per fissarlo meglio in viso - "Mi fa male tutto… ma questo è una costante…"

non aveva voglia di parlare. E decise di interrompere quella frase di circostanza, per fissarlo, proteso verso di lei.

Gli si leggeva ogni emozione in viso. Negli occhi aperti e ombreggiati dalle ciglia dorate, in tutte quelle ossa che lo disegnavano mettendosi maschilmente in mostra. Bello.

Stanco.

"Mi dispiace aver combinato tutto questo casino." - si scusò, alzando lo sguardo.

"Il casino, a dire il vero, l'avrei combinato io. Non per rubarti la scena, ma sono io quello che ha detto delle cattiverie gratuite."

"Hai detto cose vere… solo che era parecchio che non ci pensavo."

"Non ho mai basato il mio affetto per te sul tuo passato, faith." - abbassò la voce e la guardò dritta negli occhi - "Non sono nessuno per giudicarti. Ero solo molto… no, non ho scusanti. Posso solo dire che mi dispiace."

"Dispiace anche a me…"

" Faith, ti prego,non piangere." - implorò. Allarmato e contrito.

"Non voglio piangere. Io non piango mai. E che sono così stanca… non ho bisogno di essere consolata, spike, sul serio. Non mi sento triste."

Eppure piangeva.

Aveva grandi lacrime che le riempivano gli occhi, prima di decidersi a traboccare e scivolare lungo le guance. Provava a scacciarle, con le mani, ma non c'era verso… laddove ne cancellava la scia, subito ne scorreva un'altra.

"tutto a posto tra te e Buffy?" - chiese, precipitosamente, tirando su con il naso.

Guardandolo mentre si alzava ed armeggiava con il primo cassetto dell'ampio mobile di Angel.

Per porgerle poi un fazzoletto, in silenzio.

Prima di tornare a sdraiarsi.

Era realmente un po' rigido nei movimenti.

"Devo esserti pesata come un macigno, prima…" - mormorò, imbarazzata. Gli sembrava di ricordare come l'avesse sollevata tra le braccia e portata fin lì.

"Sei leggera, faith." - le sorrise, allungandosi meglio, e appoggiandosi ai gomiti - "Tra me e Buffy è tutto ok… siamo solo buoni amici. Adesso sappiamo che non c'è mai stato nient'altro."

"possiamo dire che è tutto ok anche tra noi?"

"Mi piacerebbe molto…"

 

Sorrisi. Si erano sorrisi, illuminandosi per quella possibilità.

Talmente presi dal desiderio di rivedere tutto come prima da non capire quanto e più ancora fossero legati.

Tutte e due accecati dalle loro paure…

 

"Amici come prima?"

"Amici come prima."

 

"Ci vorrà un po' per tornare alla normalità…" - sospirò Spike - "ma ci riusciremo. Una cosa devo proprio dirtela, Faith. Avevi ragione. Avevi proprio ragione."

"Riguardo a cosa?"

"Alla mia rabbia ed ai miei problemi. Ne ho parlato un po', in questi giorni…. E Dawn mi ha obbligato a ricominciare a suonare…"

"Sul serio?" - era la notizia più bella che avrebbero mai potuto darle - "Allora potrai insegnare anche a me…"

"E da quando vuoi suonare la chitarra?" - la punzecchiò.

"Da quando l'hai suonata in camera mia, quella sera… da allora…"

"Perché non me lo hai detto?"

Faith lo guardò, senza una risposta che non fosse nella sua espressione.

Chissà, forse avrei potuto…

Ma eri così lontano…

"Rimedieremo presto." - promise.

 

"Spike?"

"mmm." - non dormiva del tutto. Aveva solo chiuso gli occhi. Lui e faith avevano le teste così vicine che Spike si era deliberatamente preso l'autorizzazione di giocherellare con una sua ciocca di capelli. Così come si trovava, in diagonale sulle coperte, supino.

Attorcigliandola attorno un dito.

E se i suoi sensi non lo ingannavano, faith stava giocherellando con gli anelli ed il cordoncino che aveva al collo. Sdraiata sulla schiena, fissando il soffitto.

"Non dovresti restituire l'anello a Buffy?"

"Per il momento no…" - rispose. Le confidenze di Buffy erano sacre. Anche per Faith.

"Ho perso una cosa, stanotte…"

"Cosa?"

"Un ciondolino… una rosellina in ambra. Una cosa da nulla…" - spiegò, con un tono superficiale molto falso - "però mi dispiace…"

Abbastanza da non riuscire a dormire…

"A dire il vero ho io anche quello…"

"Di un po'!" - scattò, girandosi a fissarlo - "Non è che per caso sei cleptomane?"

"Cacciatrice…" - Spike aprì un occhio per fissarla - "mi è rimasto impigliato addosso quando ti ho presa in braccio. Probabilmente l'avevi attaccato ai capelli… o in mano, che ne so… è di là, sul tavolo. Vuoi che vada a prenderlo?"

"No, grazie. Va bene così."

"Sei una rompiscatole…"

"Senti chi parla…. Scommetto che hai tirato scemo Doyle."

"è vero. Ma se lo meritava. Mi ha trascinato qui senza curarsi della mia opinione." - ribattè.

E ha fatto bene, si disse.

Ti ha portato dove eri destinato ad essere. Senza Doyle, staresti ancora a languire con Lorne che ti sfotte.

"Spike…"

"Mmm…"

"Vuoi dormire?"

"tu no, immagino." - sospirò, alzando la testa e fissandola.

Con gli occhi come due fessure.

"Non ho sonno." - si lagnò. Con gli occhi luccicanti per la stanchezza. E profonde ombre scure a cerchiarli.

Non aveva una bella faccia.

"Sono giorni che non dormi, vero?" - chiese.

Guardandola che annuiva.

Sono stata un po' autodistruttiva, mormorò.

"Mi dispiace, faith."

"Lo so. Ma non credo che l'avresti fatto, avessi saputo che sarebbe andata così. È stato un incidente, Spike. Capita a tutti."

"consolante…" - constatò, con voce poco convinta.

Faith alzò un po' le spalle, scoprendosi indolenzita.

"Non ci pensare. Va bene lo stesso."

Ne aveva passate tante, negli ultimi giorni. Ma la verità che sapevano entrambi era che non ne avrebbero mai parlato.

Mai.

L'odore delle sue avventure era svanito.

Buffy, inconsapevolmente, aveva fatto un buon lavoro.

Non restava più nulla di quello sconosciuto, su di lei. Il suo marchio era svanito, portato via insieme al nastro adesivo che le aveva fasciato le braccia. Insieme al sangue raggrumato e all'alcool che le aveva impregnato i vestiti Anche se ancora lo portava dentro agli occhi. Insieme ai suoi sbagli. Insieme alle sue disperate reazioni.

Negli occhi.

Occhi che volevano vivere.

La fissò.

Con un moto di paura scrutò fin nelle profondità di quelle pupille.

Ma non vide nulla. Più nulla di quel lacerarsi improvviso. Nulla di quella sera sotto la pioggia, sotto un cielo senza stelle.

"Spike, che stai guardando?"

si riscosse appena. Chissà da quanto la fissava.

"Nulla, nulla." - sorrise.

Ed obbedì all'istinto.

Non voleva lasciare i suoi occhi.

"Ti voglio bene, faith."

Lo disse. Così, semplicemente. Non aveva bisogno di aggiungere altro.

"Ti voglio bene anch'io, Spike."

Gli rispose perché era tempo che attendeva di poterlo dire.

Lo disse affogandolo in un sorriso.

Un sorriso pulito.

E Spike la cinse con un braccio, posando la testa tra suoi capelli. E le labbra, poco lontane dalle sue.

L'abbracciò, sperando di non premere troppo sulle costole incrinate.

L'abbracciò perché era un'esigenza troppo grande.

E quando faith si mosse, per un secondo, ebbe paura di essere respinto.

Un secondo…

Un secondo prima di sentire le dita di lei sulla pelle.

Le dita di lei tra i suoi ispidi capelli corti.

Un ben strano epilogo per la loro discussione. Una risposta ben strana agli artifici dell'universo.

Solo due corpi doloranti. Uniti.

 

"E adesso dormiamo."

 

XV

Buffy era sveglia già da qualche minuto. Immobile sul divano, si attorcigliava pensosamente i capelli, con le ginocchia piegate, ancora avvolta nella coperta.

I sensi le dicevano come anche Faith e Spike fossero già svegli. Sentiva le loro voci appena bisbigliate… e si domandava quando Spike si fosse alzato dal tappeto e l'avesse raggiunta.

Sentendosi un po' più sola nel salone, su quel divano dove lei ed Angel parlavano guardandosi appena. Si sarebbe persa in quei pensieri…

Se Dawn non fosse entrata dalla porta d'ingresso.

Chiudendosela alle spalle, da cospiratrice. indossava un maglioncino attillato, che faceva risaltare la sua statura e la sua magrezza.

Sembrava una donna, in quei giochi di luce.

E se non fosse stato per lo zainetto che portava sulla spalla, Buffy non si sarebbe ricordata che…

"Non dovresti essere a scuola?" - chiese, facendola sobbalzare.

"Buffy….io… non ti avevo vista…" - replicò, con un sorrisetto imbarazzato.

"Dawn…" - Buffy si alzò, stiracchiandosi in modo studiato, camminando, fino trovarsi di fronte a sua sorella - "Non hai risposto alla domanda."

"Buffy, io… aspetta un secondo! Tu non hai dormito a casa…" - aveva cambiato idea. Non le andava di essere la sorella minore ripresa e bacchettata. Spalancò bene i suoi occhi azzurri, per fissarla…si concentrò e sperò ardentemente che Buffy captasse i suoi pensieri.

Se erano sorelle…

E se tra Angel e Spike i pensieri passavano come caramelle…

No, Buffy non captava un bel niente.. anzi, dopo un iniziale stupore, la sua espressione stava tornando severa.

Oh, oh….

"Non hai dormito con Spike, vero?" - chiese precipitosamente, per recuperare il vantaggio che andava rapidamente perdendo.

"Ma cos… no, certo che no! E questi non sono affari tuoi" - sbottò, incrociando le braccia - "Fila a scuola Dawn, e non fare storie!"

Dawn spalancò la bocca e la fissò. Per un attimo fu ancora la bambina che aveva lasciato in cima alla torre, in lacrime.

Per un attimo. Poi fu nuovamente la spilungona quasi sconosciuta che l'aveva ricondotta a casa.

"No." - la sfidò, raddrizzandosi e passandole vicino - "Sono venuta a sapere come sta Faith."

Per Buffy era troppo. Non aveva ancora assimilato il no deciso con cui Dawn si era imposta, che già una nuova affermazione le raggiungeva il cervello.

L'afferrò per un braccio e la obbligò a voltarsi.

Ma da chi aveva imparato ad avere quello sguardo…. Eppure Buffy non intendeva di certo sentirsi intimorita.

"come sarebbe a dire! Cosa ti importa di Faith… come sai che Faith è qui?"

"Me l'ha detto Spike, quando mi ha chiamato stanotte, per dirmi che ti eri addormentata sul divano. Ed ora" - aggiunse, liberandosi con uno strattone - "Lasciami andare!"

ed in quel mentre, Spike uscì dalla stanza, socchiudendosi,la porta alle spalle, come sua abitudine.

E Dawn marciò spedita verso di lui, abbracciandolo.

Buffy restò annichilita, innanzi al sorriso con cui Spike ricambiava l' affetto di sua sorella.

Spike era così uguale all'altro se stesso, quello senza … anima… eppure così…

No. Non si trattava di lui, dei suoi capelli troppo biondi e del suo solito abbigliamento da spaccone..

E non si trattava nemmeno di quell'anima con cui l'aveva stupita, la sera prima, chiacchierando pigramente di mille cose.

Si trattava di lui … e Dawn.

Erano legati. Lo erano sempre stati. Dawn andava alla cripta di Spike, per sentire i suoi racconti spaventosi, lo seguiva, ci litigava…

Eppure non c'era mai stato quel cipiglio adulto in lui, nel parlarle. Era sempre stato sarcastico e accondiscendente, divertito da tutto quel ronzargli intorno.

Come una primadonna sotto i riflettori…

E adesso… adesso, sotto i suoi occhi, Dawn gli abbracciava il torace e gli parlava con la testa alzata, per guardarlo in viso.

Non aveva importanza quello che si stavano dicendo.

Era il modo in cui lo facevano! eppure Buffy non si mosse.

Era la seconda volta in ventiquattro ore che Spike la stupiva, abbracciando le due ragazze più improbabili che il destino gli avesse fatto incontrare.

La Cacciatrice rinnegata.

E la chiave.

La sua nemica.

E sua sorella!

 

A metà di un concitato resoconto della nuova maglietta di Sheryl, l'amica di Dawn con i capelli rossi, lo sguardo di Spike, vagando per la stanza, si posò su Buffy.

In piedi dietro Dawn, a braccia conserte… impegnata a mordicchiarsi un labbro.

Brutto segno.

Decisamente un brutto segno.

"Dawn…" - disse, con un colpetto di tosse, sciogliendo l'abbraccio e piantandosi le mani sui fianchi - "Dawn, non dovresti essere a scuola?"

"Ti prego… non ti ci mettere anche tu…" - sospirò Dawn - "Ma volevo sapere come sta Faith…"

che aria innocente. Spike scosse la testa, massaggiandosi rassegnato il collo. Tutti gli occhi di casa summers lo puntavano…

se ne accontentava una, l'altra l'avrebbe polverizzato con lo sguardo e senza nessun ripensamento…

"ehi, già svegli?" - Doyle sbattè la porta e posò le scatole della pasticceria sul ripiano -"Ciao Dawn, ti ho vista passare… brioches appena sfornate per tutti!"

salvo.

Salvo!

Avesse potuto tirare un respiro di sollievo, quello sarebbe stato il momento ideale.

"Buongiorno Buffy…" - aggiunse passandole a fianco - "Ciao Spike! non ti sei ancora cacciato in nessun guaio?"

certo che ero nei guai, tappo irlandese. Lo sai benissimo!

"Tieni, il giornale, come va la schiena? Facciamo colazione assieme?"

"Faith è sveglia." - rispose Spike, ignorando tutte le domande e le ragazze, nell'aprire il giornale per dargli un'occhiata veloce.

"massacri, massacri, massacri…" - commentò, senza alzare lo sguardo - "Il mondo va avanti anche senza di noi… lo farà anche per il tempo della colazione. Indi per cui, Doyle, andiamo a cercare del caffè."

"Spike, che significa Indipercui? " - chiese Dawn, aggrottando le sopracciglia. Poi, cambiando idea,pensò di cogliere l'occasione al volo.

"Posso entrare a salutare Faith, intanto?" - azzardò. Non era certa della reazione di Buffy…. ma Spike l'avrebbe difesa… forse.

Anche se la squadrava, indagatore. Chiudendo lentamente il giornale. E piegandolo con cura.

"Buffy." - le rispose, senza staccarle gli occhi di dosso - "Hai qualcosa in contrario se Dawn entra e parla con Faith?"

Dawn si girò, per fissare sua sorella. Aspettando di vederle scuotere la testa.

no? no, non sembra un no.

Buffy non aveva niente in contrario.

Meno male, pensò Spike, perché lui avrebbe lasciato entrare Dawn in ogni caso…

"Perfetto." - concordò , spostandosi da di fronte alla porta - "Vi raggiungiamo subito. Buffy…"

"Io esco un attimo. devo fare una telefonata. "- l'interruppe lei. Di colpo sentiva la necessità della voce di Willow che la rassicurasse sulla sua posizione di leader….

E Dawn ne approfittò per mandarla ancora in confusione.

"Tieni" - rispose, frugando nella tasca dello zainetto - "Prendi il mio cellulare."

"Tu hai un cellulare?" - questo le sembrava inammissibile. Lei non aveva un cellulare!

Perché Dawn sì?

"Me lo ha regalato Spike…"

ecco, brava. Dille anche di crocifiggermi…

"… così può rintracciarmi in ogni momento e scoprire se mi sono infilata in qualche casino… anche tu lo facevi…"

prendile anche i chiodi nel cassetto…

"cioè, non con il cellulare, ma lo facevi…"

scelgo io la parete, Briciola? Vuoi scegliere tu?

"è chiaro, no?"

"Come no! Ti sei spiegata perfettamente." - l'apostrofò sarcastico - "adesso fila…"

Ed il suo sguardo incontrò ancora quello della cacciatrice, mentre Dawn, chinandosi, passava sotto il suo braccio ed entrava.

 

Povera Buffy…

Il pensiero si formulò prima che riuscisse a fermarlo. E lo fece andare in bestia.

Povera Buffy? povera Buffy?

Gli veniva voglia di sbattere i cassetti, al posto che cercare tazze e cucchiai…

"Mi spieghi come Angel faccia ad avere tutti questi servizi di piatti?" - chiese Doyle, emergendo da una stanza, con un vassoio tra le mani.

"Non credo che tu lo voglia sapere."- replicò secco l'altro, sbattendo il necessario sul tavolo - "diciamo che sono… un'eredità…"

Un'eredità poco spontanea delle vittime di Angelus…

"però." - ribattè serafico l'altro, contemplando un bricco di porcellana fine - "Il demone di Angel ha indubbiamente buongusto."

Spike si voltò a contemplare l'oggetto di tanta ammirazione.

"Spiacente." - ribatté- "Quello è il buongusto di Dru. Vivevamo qui insieme, quando l'anima di Angel ha preso il volo, qualche anno fa. Porcellana inglese, diciannovesimo secolo…"

"Ti intendi di antiquariato?" - lo punzecchiò Doyle, riponendo il pezzo sul ripiano.

"Io sono, un pezzo d'antiquariato." - precisò Spike, impilando dei tovaglioli di lino sul vassoio. Lasciandosi sorprendere dalla sua risposta involontaria e dalla risata di Doyle che ne conseguì.

Finì il suo lavoro di concetto, lasciando che un sorriso gli affiorasse spontaneo…

"Ma tu guarda che risposta…" - commentò, non riuscendo a trattenersi. Non riusciva ad essere di cattivo umore neanche mettendosi di impegno.

Alle sue spalle, Doyle, continuando a trafficare intorno al caffè, restava in silenzio a stento.

Lo faceva solo perché mesi di osservazione attenta gli avevano insegnato che Spike si impegnava in lavoro meccanici e risposte distratte solo se si sentiva la testa piena di pensieri da riordinare.

E quanti pensieri….

"Doyle…"

"Spike." - rispose girandosi, per fissargli la schiena.

"Le ragazze Summers stanno facendo il tiro alla fune con me…"- una frase del genere sarebbe suonata lamentosa sulle labbra di molti. Nel caso di Spike aveva solo il sapore di una pacata constatazione.

"Dawn è spaventata da Buffy. non è realmente sicura che si tratti ancora di sua sorella… e Buffy non si abitua alla Dawn che ha di fronte." - smise di armeggiare e si voltò. Doyle per ascoltarlo interrompeva qualsiasi attività. Angel, invece, lo ascoltava senza smettere mai di fare ciò che stava facendo, fosse combattere o leggere un libro.

Ma il risultato non cambiava.

Erano solo due modi differenti di focalizzare l'attenzione. E Spike, se decideva di parlare, apprezzava semplicemente una presenza capace di ascoltare.

"Prima, parlando con Briciola, è stato come essere sotto esame." - proseguì - "Buffy mi guarda come se fossi l'usurpatore di sua sorella. E Dawn si domanda se mi coalizzerò con Buffy come facevo quando vivevo a Sunnydale… quando pur di compiacerla avrei fatto carte false…"

Parlava tranquillo, finendo di aggiungere il necessario sopra il vassoio. E Doyle lo ascoltava, senza percepire nessuna vera preoccupazione in lui. Era solo irritato da ciò che gli sembrava una sciocchezza.

"Con Buffy è sempre tutto complicato, un vero pasticcio." - disse, appoggiandosi al tavolo a braccia conserte - "Se provo anche solo a spalleggiarla, mi si rivolta contro come una furia… non si fida."

"Ma dovrà fidarsi. Dovrà farlo perché Dawn si fida di te."

"La vede come una bambina. E dedurrà presto che io l'accontento in tutto e per tutto e che mi sono conquistato la sua adorazione con tutte le mie cattive abitudini…e non ci sarà modo di convincerla del contrario."

"Detto così, sembra un bel guaio."

"il guaio sarà quando sarà Briciola a ritrovarsi in mezzo." - commentò cupo il vampiro.

 

Faith stava seduta sul letto.

Dawn, attraversando la stanza in penombra si fermò, poco distante. E la cacciatrice la fissò, con occhi cupi come inchiostro.

"Guarda chi si rivede…" - commentò, senza lasciar trasparire nulla, con voce incolore ed un semplice incresparsi delle labbra.

"Già…" - annuì. Faith era già in prigione, quando la Chiave era stata innestata nelle menti di tutti loro. E, per uno strano scherzo del destino, ne era stata deliberatamente esclusa, almeno in parte - "Ciao Faith… mi fa piacere conoscerti."

"Io non so nulla di te, ma tu dovresti, ricordarti di me." - obbiettò Faith, squadrandola e restando sulla difensiva.

"In effetti potrei." - annuì Dawn. E , dopo un attimo di silenzio, proseguì - "La mia mente è piena di ricordi su un sacco di gente. Ma sono stati tutti messi lì, non vissuti. Ed io, da quando ne ho di miei, preferisco ignorarli deliberatamente."

Avanzò ancora di qualche passo, tenendo rispettosamente le mani intrecciate dietro la schiena.

"Tu per esempio… così di te so solo quello che mi ha detto Spike e..."

"e l'opinione di Buffy." - concluse la cacciatrice, domandandosi dove volesse andare a parare quella forza sovrannaturale che ai suoi occhi era solo una ragazzina. E chiedendosi, con innata crudeltà, se anche lei, dietro i morbidi capelli e gli occhi chiari, nascondesse l'acciaio tagliente di sua sorella.

"Sì. Di Buffy e degli altri. Xander, Willow… sembrano tutti avere un conto in sospeso con te…" - ancora un passo - "posso sedermi?"

Faith non rispose. Senza levarle mai gli occhi di dosso, con garbato cenno della mano, indicò il letto, grande per entrambe. E Dawn sedette, accavallando le gambe e guardandola con occhi cerulei enormi.

Cosa voleva?

Faith posò la testa contro la parete e desiderò poter chiudere gli occhi, cessare quel confronto.

Davanti a sé la Chiave. La bambina che Spike proteggeva.

Che non era una bambina.

Che sapeva e non voleva sapere.

Che ricordava e non voleva ricordare.

"Cosa vuoi Dawn?" - mormorò, con voce asciutta.

"Nulla." - Dawn scosse la testa e, per un attimo, i capelli le piovvero lungo i lati del viso - "Voglio solo conoscerti. Non sono una nemica, se è questo ciò che ti preoccupa. Ora sono umana. Ma un tempo non lo ero. Adesso sono libera. Libera di farmi un'opinione. Di credere, o negare, a mio piacimento. Crescerò ed avrò un futuro vero che diverrà un vero passato.

Ma non ho fondamenta. Ho un passato che qualcuno mi ha dato, che è stato costruito a tavolino."

Parlava, fluida. Dopo un avvio faticoso, infantile, per la scelta dei termini, si rivelava forte, per le motivazioni. Forte e antico. Sulle labbra di Angel avrebbe avuto la stessa inflessione, si sorprese a pensare Faith.

"Non può essere un passato in cui credere. È labile, montato con pensieri di altri scelti e assemblati. Sono stata inserita in un quadro in cui non ero. Sono un'aggiunta. Non ero reale. Ora lo sono. E devo analizzare tutto, da capo. tutto ciò che sta fuori dalla porta di casa mia."

"E quindi anche me." - concluse Faith, sottovoce - " ma io non sono una cavia, lo sai?"

"Ovvio che non lo sei!" - rispose, stizzita Dawn - "Nemmeno io lo sono. Però di te dicono molte cose incompatibili. E se Spike ha una buona opinione di te, voglio capire perché."

Ecco. Finalmente era venuto fuori. Le labbra di Faith si incurvarono in un sorriso di scherno. Era Spike, ancora lui, la causa di questo.

Lo fu per un attimo.

Poi le parole di Dawn la riportarono su un altro aspetto della questione.

"e poi, anche tu, come me, dimentichi il passato per avere un futuro. E forse sei l'unica a cui non hanno ficcato la mia immagine in testa. E poi, tutto quello che pensi di avermi fatto non esiste."

Faith la guardò, mentre l'ombra del dubbio le scivolava sui lineamenti.

Dimenticare il passato… oh, sì, non aveva fatto altro. L'aveva accantonato, nascosto nei recessi dell'anima sperando di non ritrovarlo mai più.

La solitudine, l'omicidio, la violenza della prigione, l'amore dell'Osservatrice morta per colpa sua… l'odio di Buffy, il Sindaco, la tortura di Wes ed il ferimento di Angel.

Tutto si fondeva, in una sfera lattiginosa di paura, pigiata, compressa.

Una sfera divenuta soffocante, mentre Spike, sotto la pioggia, levava il braccio su di lei, con gli occhi infiammati dall'odio. Lo stesso di Buffy, mentre inguainava il pugnale nella carne di Faith.

Il passato.

Ma il suo esisteva. Non come quello Di Dawn…

E poi intese.

Entrambe prigioniere di un'immagine.

Adesso le sembrava di poterla veder, Dawn, chiusa in un involucro creato apposta per lei. Studiata realmente a tavolino.

Dawn, che non poteva scegliere come essere perché non era.

E con questo barlume di comprensione, giunse un'altra verità.

Pura, e semplice.

Buffy aveva un buon motivo per morire. Buffy, che li aveva gettati nel torpore e quasi trascinati con sé nella morte.

Per amore.

Perché Dawn uscisse dall'involucro.perché Dawn smettesse di essere per vivere.

"Cogito. Ergo sum." - le sfuggì dalle labbra.

"Come?" - Dawn la fissò, nuovamente ragazzina, perplessa.

"Westley lo dice sempre." - replicò Faith, con un'alzata di spalle - "è latino. Significa Penso, dunque sono. Lo ripete spesso…"

"e così tu l'hai imparato." - sorrideva adesso, leggera. Ma Faith non dubitava che avesse capito - "Mi piace. È una cosa vera. Posso segnarla?"

"Certo. Non lo offenderà se prendi appunti sulle sue massime. Non credi Spike?" - lo provocò, vedendolo entrare con il vassoio, seguito da Doyle con la scatola rosa della caffetteria.

"le massime di chi?" - chiese lui, lasciando ben intendere come le avesse sentite parlare. Era leggermente arruffato, come se si fosse strofinato i capelli per disciplinare meglio delle idee che dovevano tormentarlo.

"Quelle di Wes. Quella che dice sempre… cogito.."

"ergo sum… si, ho presente. Ma non può reclamare i diritti d'autore, è una frase di Cartesio." - specificò, posando il vassoio e sedendosi. Stupendoli ancora una volta con una nozione.

"Sai anche come si scrive?" - domandò Dawn, allungando le braccia e tendendogli una penna ed il diario.

"il mio latino è arrugginito, ma fin lì arrivo ancora." - replicò il vampiro, afferrando la penna e riportando la frase in diagonale sulla pagina bianca.

"Non sapevo conoscessi il latino."

"errori di gioventù." - disse, accompagnandolo incurante con un'alzata di spalle . Poi alzando la voce - "Buffy, caffè!"

Sapeva che era sulla porta. Gliel'aveva rivelato lo sguardo di Faith. Ne sentì i passi, alle spalle.

Doyle le porse una tazza, tenendo la zuccheriera, mentre Spike apriva la scatola delle brioches e lasciava scegliere Dawn.

Buffy porse il cellulare a Dawn e si sedette sul letto, quasi a fianco di Faith, poggiandosi alla spalliera.

La presenza innocente di Faith tra quelle lenzuola la irritava. Per quanto cercasse di controllarsi, non riusciva a dimenticare Angel, seduto nella stessa posizione. Angel e le sue braccia.

Odiava quella casa, respirava un po' di loro in ogni centimetro. Quella casa, piena del loro amore e del loro odio.

Ed era la prima volta che vi si trovavano entrambe, dopo quella notte ormai lontana… solo ora, mentre le tende tenevano lontano il sole del mattino, i ricordi le sembravano realmente vividi.

Come se la notte li avesse celati, confusi nel sommarsi isterico delle ore.

Nulla di ciò che la colpiva adesso era venuto a trovarla la sera prima. Ben altra la sua angoscia, altrove la sua mente.

Adesso, per Buffy, su quel letto, sedevano persone che non riusciva a comprendere, con legami forti ed inconcepibili. Demoni non più malvagi, cacciatrici rinnegate e redivive, forze sovrannaturali fatte di carne.

Misteri e misteri.

Come i fili che li univano.

Come le cose che dovevano avere in comune.

Quante volte si erano rifiutati per ciò che erano ed avevano sfidato l'ordine delle cose per giungere a quella semplice tazza di caffè?

Come era arrivata a questa mattina, al sedersi vicino a Faith e di fronte a Spike, dando le spalle a Doyle?

"Buffy?" - la richiamò imperiosamente Spike, inclinando la scatola e lasciandole scegliere i dolci. Sapendolo benissimo che, se era ancora la Buffy che conoscevano, avrebbe afferrato quella morbida pasta spruzzata di cioccolata. L'unica, senza curarsi di chi potesse volerla al suo posto.

Per lui sarebbe stata un prova molto più di ogni altra.

"Che hai da sorridere?" - replicò lei, con profondo desiderio polemico, addentando il suo dolce e assaporandolo.

"Io? Niente." - esclamò l'altro - "Faith, fai colazione!"

era imperioso. Se non fosse stato per Doyle, appoggiato seraficamente al testile del letto, lo si sarebbe potuto per scambiare per un egocentrico sultano circondato dalle sue concubine.

La bionda, la castana, la nera.

Gli occhi scuri, azzurri e verdi.

Tre bellezze. Quale lui amasse di più… era mistero.

Oppure un maestro d'orchestra. Ecco, sì, è un maestro d'orchestra che corrompe con i croissant. E, quel che era peggio, costatò Doyle, trangugiando un altro sorso di caffè nero, quelle tre pendevano dalle sue labbra, da tre punti di vista differenti.

Quasi in risposta ai timori di Spike, la più ostile era Buffy.

Per un attimo pensò che, sopra la scatola rosa, stesse per scoppiare un litigio.

Ma Spike era nato per sorprenderli…

"Faith, fai colazione!" - ordinò, non aggiungendo commenti sul nervosismo di Buffy.

"Non ho fame." - replicò lei, con un tono che non accettava moine e imposizioni in egual misura.

Dapprincipio non fece commenti. Gli bastò un'occhiata e un sopracciglio alzato per essere eloquente.

Posò la scatola e pescò una brioches dorata, avvolgendola in un tovagliolo. Un fatto irrilevante, per tutti loro.

In barba al concetto di nutrirsi solo di sangue, Spike adorava mangiare di tutto. Una voragine che talvolta, per noia o per stress si apriva e veniva riempita con buona parte del contenuto del frigorifero.

Del primo frigorifero vicino a cui passava.

Cosicché nessuno badò a Spike, seduto in fondo al letto vicino a Dawn, con una tazza di caffè nella destra ed una brioche alla marmellata nella sinistra.

Nessuno badò a Spike che addentava la sfoglia fine.

Ma i begli occhi di Buffy e quelli di Faith si spalancarono per la sorpresa, innanzi a quello che seguì.

Spike allungò un braccio, protendendosi sul vassoio, ormai finito al centro del letto, a beneficio di tutti. Allungò il braccio, ed arrivò a tenere il dolce sotto al naso di Faith.

"Mordi. Facciamo a metà." - replicò, dolcemente.

Non voleva averla vinta.

Non voleva imporsi.

Era solo… carino.

Estremamente affettuoso. E troppo umano. Doyle evitò per un pelo di strangolarsi e si chiese come aveva potuto dire a Cordelia, tanto avventatamente, che non correva nessun pericolo.

Come poteva aver solo immaginato che le sorprese fossero finite? Solo Dawn non sembrò stupirsene troppo. Si godeva la scena, come se nascondesse un segreto che gli altri non immaginavano.

Faith non aveva parole. Lei e Spike si erano già riappacificati, questo era evidente.

Lentamente avvicinò le labbra e addentò.

Per un attimo, un fuggevole attimo, Spike sentì il suo respiro caldo sulle dita. E quando, con un sorriso, strappò la sua parte, anche il profumo di lei e delle sue labbra.

"Vedi?" - la canzonò, tornando lo stesso di sempre - "Non era poi così drammatico."

Doyle abbassò lo sguardo e sorrise, cercando il proprio riflesso nel caffè, poi pensò di aiutarlo a tornare verso la normalità.

"Faith, stamattina ho chiamato a Los Angeles e ho avvertito che sei con noi…"

"Vuoi sapere se ho intenzione di tornare?" - replicò lei, voltandosi a fissarlo - "Credo di sì. Penso di poterlo fare."

"Bene." - mormorò Doyle donandole uno dei suoi sorrisi - "In tal caso, dovresti telefonare a Wes e dirglielo."

"li sta facendo impazzire?" - chiese, con un sorriso birichino.

"Tutt'altro. È questo il preoccupante. È assolutamente tranquillo! "

"E che fa un Westley tranquillo?" - chiese Spike, come se stessero parlando di una specie rarissima da studiarsi. Dopo alcuni morsi alterni, aveva lasciato la brioche a Faith, molto più affamata di lui. Serbando per sé il caffè. E sdraiandosi più comodo vicino a Dawn.

"riordina la libreria. Toglie i libri dai ripiani, li impila a terra, li spolvera e li cataloga… metodico e serafico."

"ma lo tengono d'occhio, vero? Non lo lasciano solo?" - domandò Spike, fingendo una preoccupazione ostentata.

Buffy, guardando quella pantomima si mise a ridacchiare. E Spike le buttò una fuggevole occhiata, continuando a battibeccare con Doyle.

Lentamente giunsero a pianificare la partenza.

E seppero con certezza che sarebbe stata quella sera.

Venne spontaneo alle labbra di tutti loro.

Non potevano attendere.

Non ne avevano motivo.

Le loro vite avevano subito una battuta d'arresto. Senza un perché.

Le loro vite si erano incrociate. Ancora una volta.

Senza un perché.

Questa era l'unica domanda insoluta in mezzo alle risposte che avevano avuto senza chiedere.

Perché fosse accaduto tutto questo.

Perché.

Forse non aveva molta importanza.

Doveva succedere, prima o poi.

Non era finita, lo sapevano, ripartivano lasciando in sospeso molte cose.

Ma sarebbe stato così sempre, fino alla fine dei tempi.

Tombe, destinate a chiudersi ed a riaprirsi.

Vita, morte, rinascita e caduta. Solo attimi di vita normale, in cui affondare ancora un po'.

Con la fuggevole domanda.

Chi sarà, l'ultimo a partire?

 

La conversazione saliva a scendeva dalla scalinata degli argomenti disponibili. Imparavano a conoscersi, pigramente accampati sul letto.

A Cordelia sarebbe piaciuto, constatò doyle. Si parlavano, tranquilli.

Solo Faith e buffy si rivolgevano poco la parola. Ma tra loro non c'era un vero astio. Solo una tacita insofferenza.

Quel che era certo era l'azione delle due sorelle. Aveva ragione Spike.

Un tiro alla fune.

Spike, Spike, Spike.

E se Dawn cinguettava un poco, maliziosa, pronunciato da buffy era una notevole sferzata.

E quando sembrò averne abbastanza, si alzò per riportare il vassoio nell'altra stanza. Ma erano troppo testarde per piantarla.

E lui era troppo orgoglioso per starsene zitto.

"Adesso la finiamo!" - proruppe, riposando il vassoio sul letto, mentre gli interlocutori smettevano di parlare tutti insieme per fissarlo - "Tu, Buffy! io riparto e sarà meglio che, entro stasera, ti sia entrato nella zucca che briciola è cresciuta ed ha diritto di parola. Se ti fa impazzire telefona ed io ti darò una mano. Briciola!"

"Comandi." - rispose lei, saltando automaticamente in piedi. No, decisamente Spike non l'aveva cresciuta con le moine…..

"Tu rispetterai tua sorella e ragionerai su quello che ti dice prima di decretarlo sbagliato. Andrai a scuola e ti comporterai come eravamo d'accordo. Ogni volta che sarai veramente convinta di avere ragione e lei si ostinerà a ritenerti in torto, mi telefonerai e ne parleremo!"

afferrò il vassoio e ripartì verso la porta.

"Ed adesso sono veramente sicuro che l'unica donna Summers che non mi dava problemi era Joyce!"

lo guardavano allibiti, mentre usciva ed i suoi passi rimbombavano nel grande salone.

Con un'unica esplosione aveva rimesso le cose a posto, almeno a parole. Era stato razionale e sincero. Aveva offerto aiuto ad entrambe. E stava a loro accettarlo.

Faith chinò la testa, ridendo sommessa. Dio, come le era piaciuto! Lo Spike di sempre, quello che riusciva a far alzare gli occhi al cielo pure ad Angel nel liquidare grandi problemi con frasi schematiche che non ammettevano repliche.

Una cosa era certa.

Con Spike non si ragionava. O ci si capiva al primo colpo o non si arrivava a nulla.

Quando gli occhi di Buffy e quelli di Dawn si incrociarono, appena smarriti, il messaggio che si passarono fu simultaneo.

Ed all'unisono puntarono Doyle.

Il povero Doyle.

Che nel suo destino vedeva scritte molte cose… ma mai la possibilità di poter protestare con un deciso: "Ehi! Io non c'entro niente!"

Aspettavano una parola. O un'azione. Questo gli permettevano di sceglierlo.

"Il suo punto di vista è chiaro." - commentò, pacato - "Io, fossi in voi, lo prenderei in considerazione…"

Non sapeva perché gli dedicassero tanto rispetto.

Ed era consapevole che la sua approvazione era del tutto irrilevante.

Eppure, con quella semplice conclusione, seppe che avrebbero accettato la proposta di Spike.

Buffy e Dawn avevano molto da dirsi.

Ed andarono via insieme, camminando fianco a fianco.

 

"Non vuoi vederle, Spike?" - chiese doyle, buttando un'occhiata dalla fessura tra le tende.

"Non mi serve…" - rispose l'altro, lavando i tazzoni ed impilandoli - "Le conosco…"

"E…"

"E mi voglio godere queste ventiquattrore di pace, in modo assoluto… perché saranno le ultime per molti anni a venire…"

 

XVI

Doyle la scaricò davanti al cancello, mentre Spike, con la moto non sua, imboccava la discesa dei garages. Tranquilla, nel freddo della notte, attraversò il giardino. La pioggia non doveva essere cessata da molto, la terra profumava ancora dell'acqua che si era riversata in gran quantità.

E l'umidità aveva un sapore dolce.

Stringendosi tra le braccia, ignorando il male che le facevano i lividi, senza aspettare che Doyle parcheggiasse la macchina, si incamminò silenziosa tra le piante verdi.

Nessuno di loro si curava di tenerle in ordine. Crescevano un po' selvagge e venivano aggiustate solo quando invadevano i sentieri ed i piccoli spazi con le panchine in pietra.

Passando sotto l'arco che la palma disegnava, poco prima del portico, desiderò potersi sedere,con un bel libro e il ronzio dei moscerini.

Aveva avuto tanta paura, in quei giorni… tanta paura di non sentire più quel leggero pulsare del suo cuore…

Era strano. Faith, questo non riusciva ad ammetterlo neanche con se stessa…. Ma si era accorta di avere un battito cardiaco solo la notte in cui aveva desiderato che Angel lo spezzasse.

Sapeva che un cuore batte quando si è vivi. Ma non aveva mai creduto che il rumore del battito fosse nutrito dal sentimento, dall'affetto donato e ricevuto.

Era così…forse.

Forse Wes lo sapeva.

Frugò in tasca ed estrasse la Rosellina d'ambra. Quanto era stato importante averla, in quel viaggio che l'aveva portata a buttarsi tutto alle spalle…

Che strana, strana certezza…

Che pigra e spontanea considerazione… Wes potrebbe sapere. Ed io non gli ho mai chiesto…

Ma fu il porre la mano sulla maniglia del portone a darle l'ultima consapevolezza.

Poteva non tornare.

Per la prima volta, la prima volta in assoluto, ne fu dolorosamente certa.

Sarebbe potuta non tornare… era uscita da quella porta, correndo, piangendo. Era uscita e non aveva pensato a quanto fosse sicuro per lei quel grande albergo pieno di spifferi.

Spifferi… e persone. Sostò sulla porta, la mano sulla maniglia. Aveva paura di quello che era là dentro. Era realmente quello che voleva. Era davvero la casa dove c'era un posto per lei?

Forse non avrebbe dovuto abbassare la maniglia.

Non avrebbe dovuto.

E la maniglia le sfuggì di mano, le venne strappata dalle dita, mentre la porta si spalancava, inondando di luce il suo angolo buio.

Mentre le braccia di Angel forti e rassicuranti la stringevano, in una morsa di puro amore.

Non ci arrivava proprio. Protendeva le mani verso quel registro, come una bambina innanzi al suo albero. Si allungava tutta, protendendosi sulla punte dei piedi.

Ed arrivava a sfiorarlo solo con le dita. Inammissibile!

Inammissibile fino a quando non sentì due braccia forti afferrarla per la vita e sollevarla.

Afferrò il suo premio senza curarsi di chi fosse quel corpo caldo stretto a lei.

Lo riconobbe.

E girò su se stessa prima ancora di toccare terra con i piedi. Si girò, cercando di non colpirlo in testa con un gomito.

E Doyle si trovò abbracciato da Cordelia ed il registro.

La guardò, desiderando non posarla più a terra.

La guardò con occhi solo per lei. E si domandò se mai, ad un se stesso di un altro luogo ed un altro tempo fosse stato concesso di amare una tale donna.

Le sorrise, mentre sentiva il registro cadere a terra e le mani calde di cordelia sulle sue guance. Quel gesto che da lei aveva imparato. Quel gesto che aveva salvato la cacciatrice da se stessa.

Accolse le sue labbra. Bevve di lei, senza smettere di cingerle la vita, senza smettere di percepire i capelli di lei che lentamente scivolavano sul suo viso e sul suo collo.

"Ti amo. Ti amo per quello che sei, per quello che mi insegni."

Amo la fiducia, la lealtà e la purezza che emani. Amo la tua consapevolezza, il tuo cuore ed il tuo sapore…

Non smetteva di sussurrarlo, baciandola, allontanando le labbra dalle sue e tornando ad assaggiarle.

"Ti amo, Principessa." - mormorò ancora quando, finalmente appagata, la sentì cingergli il collo e seppellire la testa sulla sua spalla - "promettimi che amerai sempre questo amore…"

 

Volumi grandi a destra. Volumi piccoli a sinistra. Sul tavolo la magia nera e sul ripiano basso della scaffalatura l'alchimia….

E se nel settore magia devo mettere vicini un volume grande ed uno piccolo? Westley si grattò pensoso la testa con la matita, prima di tornare a spuntare i titoli dal suo elenco. Seduto a gambe incrociate, in mezzo alla confusione, non si curava molto del trambusto che gli sembrava di sentire.

Lo stereo a volume sostenuto, spingeva nelle sue orecchie il concerto per pianoforte di Chaikovsky, isolandolo dal mondo alla perfezione.

No, non aveva voglia di confusione…

Ma il volume scemò, d'un tratto.

"Dai, Angel, non ci credo che ti da' fastidio…" - mormorò, senza voltarsi.

"la cosa che può darmi fastidio, Price, è non trovare più il mio stereo in camera." - replicò tagliente una voce.

Facendolo sobbalzare. Facendolo voltare, lasciando perdere la matita e gli appunti.

Ancora con la mano sulla manopola dello stereo, stava Spike. Con un sorriso che gli riempiva il volto.

Come lo definiva Cordelia? faccia da paletto nel cuore…

"sei tornato…" - constatò, con un sorriso di benvenuto.

"quale perspicacia…" - Spike inclinò un po' la testa, guardandolo storto. Poi ripose il disco nella custodia di carta ed armeggiò con la presa.

"Ehi, ehi, cosa fai!" - Wes arrancava per mettersi in piedi, mentre i libri gli partivano da sotto le mani, le ginocchia ed i piedi.

"è mio, me lo riprendo."

"Spike, non ti sembra di essere un po'…precipitoso?"

"non ti lamentare." - ingiunse il vampiro, caricandosi il suo fardello tra le braccia e marciando verso la porta. Per poi fermarsi e spostarsi un po', voltandosi a fissarlo.

"Guarda cosa ti lascio in cambio." Mormorò, lasciando entrare Faith.

E Wes si fermò. Dimenticando che stringeva gli occhiali tra le dita, che aveva uno straccio per la polvere nella tasca dei jeans ed era a piedi nudi.

Dimenticando che non sembrava affatto un Osservatore, dimenticando tutti i rimproveri pieni di logica che sarebbero dovuti uscirgli dalle labbra e scordando che l'inventario dei libri era di vitale importanza. Dimenticando le cose carine che aveva pensato e ripensato, perché fossero esposte nel modo migliore possibile.

Faith lo guardò, poi gli sorrise, incoraggiante.

"non sei male, conciato così." - constatò.

Sembrandogli solo una ragazza giovane e piena di paure nascoste. Paure, lividi e strafottenza.

"Ehm… ti ringrazio." - rispose, aggrottando le sopracciglia, senza capire bene a cosa si stesse riferendo.

Cercò di levarsi gli occhiali dal naso per pulire le lenti. E scoprì che non li aveva.

Chinò la testa per chiarirsi le idee, mentre Faith, senza smettere di squadrarlo, nascondeva dietro una mano il sorriso ormai sfrontato.

Avanzando tranquilla, scavalcando tutto ciò che le bloccava il passaggio.

Fino ad abbracciarlo, con una lentezza che lo sorprese.

Come se volesse gustarsi quel gesto in ogni sua sfumatura.

Lentamente.

Posando il capo sul suo petto.

Respirando la polvere dei testi ed il profumo della sua camicia. Senza curarsi realmente se ricambiava. Prendendosi quel calore che desiderava.

Wes, la sua roccia.

"Lorne mi ha dato il tuo messaggio…"

si sentì sussurrare in un orecchio. E sorrise, chiudendo appena gli occhi.

"Sai, Faith, mi sono reso conto che ho da raccontarti una cosa molto importante…"

"sul serio?"

Gli aveva risposto per riempire un vuoto, un attimo di silenzio, come se fosse necessario.

E fu allora che Westley la strinse un po' più forte.

Perché Faith, per ciò che era, sarebbe stata sempre un po' sua.

Indipendentemente dall'amore.

Indipendentemente alle braccia a cui era destinata.

"Non adesso, piccola. Adesso voglio solo tenerti stretta stretta…"

 

"Tu…tu…."

"principessa, sembri un telefono occupato…"

"Doyle, io ti…"

"Fai quel che vuoi…" - Doyle scavalcò la poltrona e la strinse, guardandola negli occhi malizioso - "Ma rammenta che se mi spezzi le braccia non potrò stringerti così per almeno un mese."

"Doyle, non mi incanti….ohhhhhh…"

 

"Ciao Angel…"

"Ciao William." - rispose, fermandosi, sull'ultimo gradino del loro pianerottolo, con le mani in tasca - "Stai traslocando?"

"No, non ne ho bisogno." - replicò, entrando in stanza con il suo stereo in braccio - "la mia roba si sposta da sola appena giro l'occhio."

"se cerchi la tua raccolta di Poe, la sto leggendo io." - gli gridò dietro.

Per vederlo rispuntare dalla porta.

"Prendi ad esempio quell'impunito del tuo Osservatore?" - gli chiese, appoggiandosi con l'avambraccio allo stipite.

"No." - Angel scosse la testa - "Non avevo niente da leggere."

Si guardarono un istante eterno.

"è inammissibile" - borbottò l'altro, alzando prima gli occhi e poi le braccia al cielo - "uno si distrae un' estate…"

Riscomparve nelle sue stanze. Ed Angel, attraversando il pianerottolo, senza rinunciare alle mani in tasca, lo seguì.

"il letto mi serve.. e non portarti via i rubinetti perché voglio farmi una doccia." - si sentì apostrofare dall'interno di un armadio.

"Come ti senti?"

"Bene grazie."

"Tutto a posto con Faith?"

"Non mi ha impalettato. Me la sono cavata con un colpo d'ascia nella schiena."

"E con Buffy?"

Una domanda buttata a caso. Probabilmente sarebbe stato più d'effetto girarsi e lanciargli una penetrante occhiata per vedere se, come suo solito, avrebbe cercato con lo sguardo un tappeto sotto cui nascondersi.

Svelando la sua capacità di essere ancora umanamente vulnerabile.

Sarebbe stato più d'effetto. Ma Spike non si voltò e continuò a frugare tra i suoi vestiti.

"Allora sapevi dove eravamo…"

"No. L'ho scoperto stamattina, quando doyle ha telefonato a Cordelia."

Tacque.

E Spike si prese qualche istante per dosare le parole.

"Non le ho parlato molto." - ammise, lanciando sul letto una maglietta - "Doyle mi ha trascinato a Sunnydale, ma non ho quasi visto Buffy. era lui che doveva parlarle… a me, comunque, è sembrata la Buffy di sempre, solo…"

"Solo…"

non gli metteva realmente fretta. Non c'era una vera urgenza di sapere, nella sua voce.

"Solo un po' più triste del solito. Credo debba fare i conti con qualcosa che sa e non può dire a nessuno." - spiegò Spike, senza sapere quanto, con le sue supposizioni, fosse vicino alla realtà. Abbassando la voce, confidenzialmente - "le ci vorrà tempo per tornare alla vita di tutti i giorni… ma c'è già qualche segno."

"Del tipo?" - chiese ancora.

E fu allora che Spike si voltò, lanciandogli un'occhiata disgustata. Come se Angel non avesse recepito una verità perfettamente ovvia.

"Le brioches al cioccolato." - rispose seccato. Come se questo dovesse spiegare tutto.

Angel, ovviamente, non capiva. Lo guardava e aggrottava le sopracciglia.

Probabilmente.

Ma Spike poteva solo immaginarselo, visto che era tornato nuovamente a frugare nell'armadio.

"William…"

"See…" - un paio di jeans seguì la maglietta.

"Dovrei andare a Sunnydale?"

"Vuoi una risposta sincera o quello che vuoi sentirti dire?"

Beccato.

Senza neanche voltarsi.

Non c'era modo di imbrogliare Spike….

"Si vede così tanto?" - domandò ancora, senza alzare lo sguardo.

"Cosa? Che vuoi saltare sulla tua macchina e sbucare dalla notte? Se decidi di farlo, non entrare dalla solita finestra… quella è diventata la stanza di Dawn…"

"Deduco che la tua risposta sincera sarebbe di non muovermi da qui…"

"Flagello…" - Spike si girò, piantandosi le mani sui fianchi - "Non girarci intorno. Vuoi andare a Sunnydale? Andiamo. Lasciami fare una doccia e sono pronto…"

Angel lo guardava interrogativo.

"Vuoi andarci da solo? Prego, fai pure!" - gli rispose iroso.

"Guarda che non ho detto nulla…"

"Questo lo so anch'io Ma hai di nuovo la faccia da beagle…." - alzò gli occhi al cielo - "Io non ci casco negli occhioni sofferenti… prendi e vai!… perché non vuoi che venga?"

riusciva a passare da uno stato d'animo all'altro. Girava su se stesso, un po' ignorandolo, un po' dicendogli il fatto suo.

Perché andare da Buffy, perché non andarci…

Un fluire ininterrotto di parole, lamentele e prediche.

Lo Spike di sempre.

Non il ragazzo disperato che aveva lasciato a casa in una notte di pioggia.

"…In ogni caso, il mio consiglio è di non andarci. Non siete ancora pronti." - concluse, impilando i suoi vestiti puliti sullo sgabello del bagno.

"Ne hai impiegate di parole per arrivare a dirlo." - replicò Angel. aspettando l'occhiata inceneritrice.

"Sai una cosa? Vai dove ti pare…" - borbottò l'altro, tornando in camera già a torso nudo - "Anche se io avrei un'idea su dove mandarti…"

"te lo sei preso sul serio il colpo d'ascia…" - constatò Angel, notando una lunga linea rossa tra le scapole.

"Credevi che scherzassi?" - Spike iniziava a sentire un certo prurito alle mani - "Angel, vuoi litigare? Facciamo a botte?"

"Sei un violento." - lo punzecchiò - "Trasformi ogni sana discussione in una rissa…."

"Il tuo problema è non poter ammettere che ti batto sia a parole che a pugni… ignorando ovviamente il biliardo… in cui sei indescrivibile."

"Hai ragione."

"Come, scusa? In che cosa ho ragione? - adesso era il turno di Spike non capire.

"Possiamo giocarcela a biliardo. Fatti la doccia, ti aspetto di sotto."

Non sarebbe andato a Sunnydale.

Non avrebbe stretto Buffy tra le braccia.

Si sarebbe limitato a qualche dolce ricordo, seduto nella hall dell' Hyperion.

In fondo, potevano sempre incontrarsi nei sogni…

 

Era l'alba quando squillò il telefono. Spike rotolò tra le lenzuola, fino ad afferrare il telefono. I libri che aveva dimenticato sul letto, crollando per la stanchezza, scivolarono rumorosamente sul pavimento e Spike, puntellandosi sui gomiti, pancia in giù rispose con un 'Pronto' che era quasi un urlo.

"Ciao Spike." - era Dawn - "Non è che per caso dormivi?"

"Briciola, ti prego…." - si strofinò gli occhi per mettere a fuoco l'orologio - "Non ci crederai ma ho avuto una settimana tremenda…"

"Senti, devo chiederti un favore…"

"Dimmi." - si sedette sul letto e fece un cenno ad Angel, apparso sulla porta.

Con le labbra mimò la parola Dawn, aspettando che l'alto vampiro bruno annuisse, mentre Westley e Faith, allarmati dallo squillo inaspettato si affacciavano dal piano di sopra. "Dimmi, Briciola." - riprese - "E' successo qualcosa?"

la sua voce doveva avere un che di preoccupato, quando proruppe in un "Che cosa?".

Angel, che si era già voltato per andarsene, tornò sui suoi passi. E bastò quella semplice decisione per convincere Westley a scendere di un piano.

"Dawn…" - mormorò Spike, non convinto di aver sentito bene.

"Mi hai capito, Spike. Puoi, per piacere?" - c'era una certa impazienza nella sua voce.

"Sì, certo, certo." - borbottò questo. Poi, coprendo con una mano il ricevitore - "Angel…"

sembrava gli servisse un certo coraggio, per dire quello che Dawn voleva.

"Angel, mi puoi chiamare Faith?"

Faith era già dietro Angel. Gli passò a fianco ed entrò.

"Dawn vuole parlare con te." - disse Spike, tendendole il telefono. Restando a torcersi le mani, sdraiato a torso nudo sul suo letto, in un groviglio di coperte. Continuando a sospettare di non essere abbastanza sveglio per capire del tutto.

"Oh grazie!" - rispose allegramente la ragazza - "Me ne stavo scordando!"

Girò sui tacchi ed uscì.

"Ciao Dawnie! Si, stavo parlando con Wes, non mi sono accorta di che ore fossero. Sai…"

E rimasero inebetiti, sentendo la sua voce scendere di intensità, mentre saliva le scale.

Quella sì che era una novità…

Angel la seguì con lo sguardo fino a vederla sparire, fino a quando lo scattare della serratura non gli disse che era rintanata in camera sua.

Lui e Wes, come erano abituati a fare negli attimi di perplessità, si scambiarono un'occhiata.

Senza un commento. Senza che, a nessuno dei tre, passasse per la testa di dire qualcosa.

Qualsiasi cosa.

Non restava che una cosa da fare….

"Buonanotte William." - disse Angel, socchiudendogli la porta e lasciandolo solo con il suo nuovo guaio.

 

Silenzio.

L'alba era trascorsa da un pezzo.

Silenzio in tutti l'Hyperion.

Doyle, seduto in cucina, leggeva il giornale.

Aveva sentito il ragazzino tirarlo contro il portone. Era un ragazzino lentigginoso che prendeva il giardino del vecchio albergo come una sfida.

Un solo lancio per spedire il giornale fin sullo zerbino. A parabola sopra i cespugli. Più spesso dentro i cespugli.

Quella mattina gli era riuscito quel numero. Il giornale era planato contro le vetrate della porta principale. Ed era stato subito seguito da un grido di trionfo ed una sgommata di bicicletta.

Doyle era scivolato fuori dalle braccia di cordelia ed era uscito sotto il portico.

Che casa tranquilla.

Aveva sentito squillare un telefono, un paio d'ore prima. Si era svegliato quel tanto che bastava per sentire se scoppiava la terza guerra mondiale. E poi era tornato a girarsi ed abbracciare il profumo di Cordy.

Ma adesso, non valeva la pena di stare a letto.

Sedette in cucina, e respirò ancora quel silenzio.

Poi il rumore dei passi.

Alzò gli occhi e attese.

"Ciao." - che bel sorriso aveva Faith - "Sono tornata… sai se ci sono ancora dei cereali?"

 

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Capitolo 15
*** 15. Tra Ragione e Cuore ***


Tra Ragione e Cuore

 

I personaggi delle serie "Angel" e "Buffy, the vampire slayer", appartengono a Joss Whedon, la WB, ME e la Fox, l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

Nota dell'autrice: sono partita con l'idea di scrivere scegliendo tra un saggio per la sezione Coffee& Blood, oppure un capitolo breve per la mia saga. E non mi ci è voluto molto a capire che i due progetti volevano fondersi assieme. Per tanto, potete accettare questo brano che segue come un capitolo della saga di puro genere narrativo… oppure come una riflessione estemporanea su una piccole curiosità. Fate voi, io non mi offendo! E Buona lettura!

 

"Sei sicura che non abbiamo di meglio da fare?" - brontolò Faith, finendo di riempire una grossa coppa di pop corn - "Ti prego, Spike, andiamo a fare un giro…"

Aveva un tono implorante e lamentoso. E Spike si girò per vedere meglio questo ritratto di sofferenza, dopo aver posato meticolosamente altre due birre su un vassoio già stracarico.

"Cacciatrice." - mormorò, appoggiandosi al bancone - "L'osservatore è tuo. Siamo noi che possiamo andare via tutti mentre tu resti qui a fargli compagnia…"

"Bell'idea." - Si complimentò lei, con occhi fiammanti - "Magari lo lego e lo deturpo anche con la fiamma ossidrica… scherzavo, Cordy…"

Cordelia era spuntata dal sotto del bancone sfoggiando un'espressione inorridita che aveva dell'incredibile.

"Sul serio, Cordy." - Ripetè Faith, nel guardarla - "Scherzavo…"

"Ma spero bene!" - esclamò la ragazza, fermandosi nuovamente i capelli con un elastico - "Non sono cose che si fanno!"

spike aprì la bocca, pronto per ribattere. E faith gliela coprì, con una mano che sapeva di sale e granturco.

"Ti prego… qui, tu e Cordy, di sopra, Wes… dove vuoi che vada a nascondermi?"

Tra le sue dita, Spike emise un grugnito di assenso, lasciando con Cordelia terminasse di farcire qualche tramezzino.

Dall'ultimo piano si sentivano, attutite, alcune risate e gli accordi stonati di una chitarra.

C'era Lorne, e la sua voce ogni tanto sovrastava quel crepitio inconsulto di corde, accennando una strofa. E poi un'altra, casualmente.

E quando le canzoni degeneravano verso ballate un po' più esplicite, una seconda voce brillante e spudorata, dal vago accento irlandese, impostava il controcanto.

"Quei due si divertono proprio…" - disse Spike, voltandosi a parlare con Angel, che stava varcando la porta - "E Price? riesce comunque a studiare?"

"A dire il vero sta giocherellando con il caminetto.." -rispose Angel, prendendo il vassoio stracarico dalle mani di Faith - "Non avevo mai visto nessuno illuminarsi tanto per un'intercapedine abbattuta."

"Erano settimane che rimuginava." - si intromise Faith - "Ha contato i comignoli così tante volte da farmi venire la nausea. Era inevitabile che prima o poi lo trovasse…"

"Certo!" - Spike afferrò alcuni piatti - "ma tutto si può trovare, se si schiavizzano due vampiri e li si obbliga a spostare le scaffalature in un terzo della biblioteca…"

"Adesso è veramente molto inglese…" - Cordelia appariva soddisfatta per quella scoperta. Si era dimostrata abbastanza entusiasta da impugnare lei stessa il piccone per abbattere la parete, una volta appurato realmente il posto.

In effetti nella frase di Cordelia c'era un verbo sbagliato, pensò Spike, entrando. Cordy avrebbe dovuto dire: "Adesso sarebbe molto inglese, se non fosse per il mio uomo irlandese ed il suo amico verde…"

 

Forse non l' aveva detto, ma bastava vederle lo sguardo per sentirlo ugualmente…

 

In un soffio era giunto novembre. E la pioggia infinita di settembre si era mutata in freddo temporale.

Per quanto il clima di Los Angeles non fosse lontanamente quello duro e umido della sua infanzia londinese, faceva freddo. Ed il caminetto, oltre ad essere coreograficamente non disprezzabile, aveva una certa utilità.

Anche se per alimentarlo, con grande disperazione di Cordelia, avevano abbattuto una palma del cortile.

L'odore che si sprigionava era dolciastro, ma non fastidioso.

Doyle aveva trascinato un vecchio tavolino Chippendale sul tappeto, di fronte alle fiamme. Probabilmente per posare il bicchiere ed i propri piedi, e non tutte le vivande che ora la sua dolce metà stava accatastando.

Rinunciò per tanto alla comoda posizione, con le gambe allungate. Visto che la compagnia era ormai riunita, rinunciò anche alla chitarra con cui giocava, pizzicando talvolta le corde in assoluta incoerenza.

Anche Lorne era stato felice della scoperta del caminetto. Ed ora, beatamente in piedi, stava inaugurando la mensola con un gomito.

Per cui, quel pomeriggio inoltrato, tranquillamente riuniti e pigramente accampati, festeggiavano quella meraviglia di altri tempi, riapparsa inaspettatamente da dietro una libreria ed una frettolosa parete di cartongesso.

Non c'era voluto molto per riportare il caminetto al suo stato ottimale. La canna fumaria non era ostruita e il legno delle modanature era stato misericordiosamente risparmiato dai tarli.

E Wes, seduto a gambe incrociate sul suo tappeto, con le spalle al tavolino da cui tutti attingevano, famelici, contemplava quelle fiamme e quel focolare che, con orgoglio, riteneva suo di diritto.

Tutto attorno, quasi a dimostrare come il caminetto fosse parte della sua cornice ideale, libri e appunti, accatastati uno sull'altro.

"Allora, Price, con cosa ci delizi?" - lo punzecchiò Spike, accomodandosi nella poltrona lasciata libera da Angel.

"Hai voglia di annoiarti?" - rispose distrattamente l'Osservatore, inforcando gli occhiali e allungandosi a prendere un quaderno in pelle.

Un quaderno come il mio, considerò il vampiro biondo, guardando la rilegatura e la calligrafia sottile e nervosa che traspariva dalle pagine. Anche Wes aveva l'abitudine di annotare le considerazioni, questo era risaputo.

Ma ben poche volte aveva sfoggiato la confusione tipica del ricercatore, fatta di volumi aperti e pile e pile di quaderni.

"Sul serio,Wes, cosa hai in mente?" - domandò Doyle, guardandolo, intento a sfogliare le sue scartoffie. Conosceva parecchi degli argomenti contenuti in quel plico. Provava un vero piacere ad entrare silenzioso in quella biblioteca perennemente in penombra per ascoltare le sue teorie - "Per una volta che ci hai tutti qui…"

"O quasi." - lo interruppe Lorne, movendosi a malincuore - "Purtroppo la gloria ed il successo mi attendono….Wes, mi raccomando…"

"Tranquillo." - rispose di rimando l'uomo, con un sorriso - "A loro non lo dico di certo…"

"A loro chi? E non dire cosa?"

In quanti avevano pronunciato quelle due domande, accavallando una voce sull'altra? Angel, meno curioso di indole, scosse la testa rassegnato. Uno scambio di battute del genere poteva solo attirare tutte quei pettegoli come un barattolo di miele scordato aperto.

Lorne fece un cenno di saluto a tutti loro e scoccò un sonoro bacio sulla guancia di Cordelia. Era un periodo decisamente congestionato di impegni, per il povero lettore di anime. Faceva brevi e vivaci comparse all'Hyperion per poi tornare a volatilizzarsi con una scusa o una motivazione sempre accettabile.

"Allora? Staremo qui a non dirci nulla ancora a lungo?" - borbottò Faith, allungando nuovamente una mano verso il piatto dei panini.

Si sentiva scorbutica. Come una con un livido di troppo.

Wes la squadrò, con sopportazione. Negli ultimi tempi la sua Cacciatrice era decisamente ombrosa. Il Consiglio, con la ricomparsa di Buffy, era tornato alla ribalta. E c'era da domandarsi quanto tempo sarebbe passato, prima che decidessero di passare all'attacco.

Quentin Travers era giunto a Sunnydale mancando di un soffio Spike, Doyle e Faith.

Era piombato a casa Summers cercando di arrogarsi diritti che non aveva.

E per quanto, al momento, le sue fossero ancora insinuazioni senza fondamento, Wes, in cuor suo, iniziava desiderare di trovare al più presto una soluzione al problema.

Studiando.

Ricercando un particolare. Qualcosa che ponesse Faith all'interno delle leggende come molti di loro.

Mettendola nelle mani del destino, non sarebbe più stata nelle grinfie del consiglio.

Scosse la testa, pensieroso, abbandonandosi ad un sospiro.

"Premetto che" - esordì, sfogliando pensieroso i suoi appunti - "in quello che ho scoperto non c'è assolutamente nulla di scientifico."

"Cominciamo bene…" - sospirò Spike - "Angel, tu ti definisci scientifico?"

"Non penso che sia una definizione che mi si adatti…" - sorrise l'altro, occupando il posto di Lorne.

"Comunque…" - riprese Wes - "Non contento di ciò che ho scoperto confrontando le varie leggende in nostro possesso e metà del nostro patrimonio esoterico, ho pensato di tornare alle origini. Ovvero alla teoria dei Prescelti, quella che afferma che… che si possono scegliere le azioni, ma non i ruoli."

L'occhiata con cui Spike trapassò Doyle era decisamente eloquente. Ma l'irriverente irlandese tenne ugualmente lo sguardo fisso sull'Osservatore. In attesa.

Westley riusciva ad affascinarlo con ragionamenti sottili e inaspettati, sollevando dai libri lo sguardo finalmente illuminato della soluzione.

A Doyle capitava spesso di sorprenderlo con quella luce negli occhi, seduto alla scrivania, la matita tra le labbra.

I libri, con il loro profumi, sembravano dargli una sicurezza che non sempre traspariva in lui. Un assenza di disagio, di preoccupazioni…

Wes aveva un mondo segreto. E talvolta vi si rifugiava, a caccia di risposte per tutti.

"Dicevamo." - si ripetè ancora Wes, allungandosi a prendere un libro - "Se è vero che tutti noi nasciamo predestinati, allora devono esserci sin dall'inizio dei segni. Dei marchi. E dando per scontato che dovremmo risalire indietro minuto per minuto fino alla nascita per metterli tutti assieme, ho deciso di iniziare dall'aspetto più semplice…."

"Taglia corto, Wes." - esclamò Cordelia - "Inizio già a non seguirti."

"Mi riferisco al nome di battesimo, Cordelia." - accorciò Westley, guardandola fuggevolmente - "Ci sono moltissimi studi di fonetica e altro genere ancora, proprio riguardo ai significati dei nomi, lo sapevi?"

"Mi stai dicendo che il mio nome ha un significato come, che so, quelli indiani? Tipo Toro Seduto o Fiore nel deserto." - domandò nervosamente la Cacciatrice, infilandosi in bocca un'altra manciata di pop corn

"O Paletto Fulmineo." - concluse Spike - "Oppure Balestra Insensibile…"

"Avanti, sfotti pure… Chiodino…"

"Tralasciando i commenti di Mannaia Gentile." - proseguì il vampiro, magnanimo - "Devo ammettere che questo discorso si fa interessante. Per cui, Price, spara qualcuno di questi significati. E stupiscici."

"Mi sento in dovere, prima di iniziare, di ammettere che il merito di queste scoperte non è tutto mio. Doyle mi ha aiutato parecchio e mi ha indirizzato, per quanto possibile. Per tanto…"

"Taglia corto, Wes."

"per tanto taglio corto." - Annuì rassegnato, pulendosi gli occhiali nel lembo della camicia - "Il primo è il nostro Angel…"

"E qui non abbiamo dubbi. Lui è l'angelo giustiziere…"

"Esatto, Spike, sarcasmo a parte. Non ci voleva molto ed è stato il motivo per cui mi sono orientato in queste ricerche. Angel è sinonimo di protezione. Ed il suo nome, dal greco, significa anche Messaggero, colui che annuncia.

In un certo senso Angel, con la sua comparsa, ha portato l'apertura di una nuova era, abbandonando le tenebre e divenendo il Paladino della luce…"

"Sei tutto questo?" - chiese Spike - "E pensare che io ti ricordo giovane e spensierato tra i tuoi massacri… come sono vecchio…"

"Angel è tutto questo e più ancora." - aggiunse Wes, senza voltarsi a fissare il silenzioso amico, in piedi alle sue spalle. Poteva immaginare l'imbarazzo che stava provando. Sapeva essere consapevole del suo ruolo. Ma non poteva ammettere con se stesso l'importanza di quello che stava facendo.

Per Angel era Redenzione. Ma per tutti loro era leggenda.

"Del resto si potrebbe pensare che la sua missione sia iniziata quando Darla ti ha vampirizzato. Eppure già il tuo nome di battesimo, Liam, come quello di Spike, ha un significato ben preciso."

Adesso la cosa era interessante. E basilare. Spike si raddrizzò e si sporse, per fissare l'Osservatore.

"La vostra coincidenza di nome, permettetemi il gioco di parole, non è una coincidenza. E andrebbe anche analizzata meglio, a mio avviso… ma ci arriveremo." - Wes stropicciò alcuni fogli, fino a pescarne uno preciso - "William, e quindi la variante Liam, derivano dal tedesco WILLIHELM. La traduzione conosce qualche variazione, ma il senso non cambia… "uomo protetto dalla volontà", "volontà che protegge", oppure "colui che vuole protezione". Si può adattare a ciò siete senza nemmeno troppa elasticità… le due parole dominanti sono…"

"Volontà e protezione." - ripetè Spike, tornando a sedersi, rilassato. Mentre Angel, spostandosi, veniva ad incrociare le braccia dietro il suo schienale - "Hai sentito, Flagello? Price ha dovuto fare ricerche per scoprire che siamo testardi e possessivi."

"Possessivi? Vorrai dire protettivi." Lo corresse Angel, chinando la testa. E beccandosi una stoccata cerulea - "Hai ragione. Sono possessivo."

 

"E proseguiamo…" - adesso che iniziava a entrare nel denso della conversazione il suo tono era più imperioso - "Veniamo al soprannome, Spike."

"Questo so benissimo cosa significa, me lo sono scelto!"

"Allora non ti interesserà sapere che in simbologia il chiodo ha una sua rilevanza. Piantarlo in una statua, presso alcune religioni africane, significa invocare protezione e non ha significato malevolo. E questo è solo uno dei significati. L'ultimo, cronologicamente parlando, definisce il chiodo come sinonimo di azione ed intenzione."

"Fico…"

"Grazie del commento." - replicò, distrattamente, sfogliando le pagine - "mantenendo un ordine logico, si può parlare di Darla e Drusilla…"

"Perché!" - esclamò Cordelia, - "cosa ci può importare di quelle due!"

"A me importa." - replicò quieto Angel. Darla e Dru erano parte di lui, ancora, intimamente. Una la madre e l'altra la figlia.

Impossibilitato ad escludere la loro importanza in questa lunghissima partita che era la sua vita.

"Darla, significa 'Tenera Amante'… E Drusilla… 'Di grande bellezza'"

Questi sono proprio azzeccati, ridacchiò Spike, seguito da un cenno di sorriso del vampiro bruno. Erano nomi che definivano , in effetti, la caratteristica intrinseca che avevano sempre manifestato. Angel riflettè per un istante, su questo semplice studio, comune quasi da essere dato per scontato.

Darla, una tenera amante… lo era stata, eccome! E Dru… la sua bellezza li aveva ossessionati entrambi, irretendoli in un gioco in cui l'ultima parola sembrava spettare sempre alle stelle ed alle bambole dagli occhi di vetro.

Wes sfogliò le pagine, alzando la testa interrogativo - "angel, sai se fossero dei nomi che si erano scelte o se ne avevano altri?"

"Purtroppo no." - Angel scosse la testa - "Darla non me lo disse mai. E Dru… non me ne sono curato. Può darsi ne avesse un altro, Elisabeth… ma non ne ho mai avuto la certezza."

"E' possibile…" - sussurrò Doyle, assorto - "Elisabeth deriva dall'ebraico Elisheba. Significa 'Dio è il mio giuramento'. È un significato che ben si adatta a Dru…"

E fu allora, con quelle parole, che Doyle ebbe un'intuizione. E comprese, con un attimo di orrore, che il crimine di Angelus era stato ben peggiore di quanto potesse immaginare. Non aveva ucciso Dru per distruggere la sua purezza. Egli, in quell'istante… aveva colpito il bene ed il male, privandoli entrambi....

La sua mente si rifiutò di proseguire. Ora la follia di Dru era tragicamente motivata.

E doyle si sentì strangolare dalla paura. Una verità troppo grande…

Nascose quella verità. La ingoiò, come un boccone troppo amaro. E pregò, come non faceva da molto tempo, pregò perché mai, quell'attimo di orrore , si ripresentasse, all'interno di una visione.

"Comunque, visto che Angel non ne è certo." - concluse, protendendosi ad afferrare una birra non più tanto ghiacciata - "Se Angel non si ricorda non vedo perché insistere. Andiamo avanti. Ad esempio, il tuo nome, Wes…"

"Il mio nome è perfetto." - replicò, modesto, incrociando gli occhi chiari del demone - "Significa Spirito Prospero…"

"Vero… decisamente perfetto…"

"Attento Wes, il vampiro biondo ti sfotte…"

"Ti dirò Faith… me ne ero accorto…"

 

"Spirito prospero… questo si che è un nome da capo Sioux…"

"E Giles?" - chiese Cordelia. Si era accoccolata vicino alla poltrona di Doyle e adesso lasciava che le tormentasse il collo con dita fredde.

"non giles, ma Rupert. Solo il nome di battesimo. Significa luminoso… o illuminato. In entrambi i casi è sinonimo di sapienza…"

"Oppure divinità…" - commento Spike, sarcastico. Prima di tornare serio - "in ogni caso, nel sistema dualistico della lotta tra bene e male, la luce sta a significare bene. E nelle religioni iniziatiche, ed inizio a pensare che il Consiglio sia una setta del genere, la luce che discende tra le tenebre è sinonimo di lotta contro il male.. nell'induismo è sinonimo di sapienza…"

sarebbe andato avanti nel suo elenco se non si fosse reso conto che lo stavano tutti fissando allibiti.

"Bhe?" - li provocò, digrignando i denti - "Ancora con questa storia che sono un ignorante e bisogna strabiliarsi ad ogni sfoggio di cultura? guardate che, tra me ed Angel, è lui il campagnolo ignorante. Ahio!"

Si massaggiò la nuca, inarcando la testa per vedere in faccia il suo sire.

"Hai poco da picchiarmi, Flagello! Verrai dal paese delle fate, ma io sono un londinese di cultura ampia e cosmopolita! Ed è inutile negarlo."

"Mai messo in discussione questo punto." - commentò l'altro, provando il desiderio di rifilargli un altro scappellotto - "Ma vorrei una correzione sul campagnolo ignorante."

"Certo, certo, tanto l'eroe sei tu…" - brontolò Spike - "non si può dirti nulla, perché hai la luce, la predestinazione e la missione dalla tua parte…"

"Come mai sai tutte quelle cose sulla luce?" - domandò Faith, guardandolo.

E spike la squadrò, seduta sul tappeto e intenta a tormentarsi una ciocca di capelli.

"Perché so leggere…" - replicò, freddamente, arroccandosi sulle sue posizioni. Non gli andava di spiegare come fosse tutto un rimpianto, un rimpianto per la luminosità dell'universo. Dall'ombra aveva contemplato, per anni, albe e giorni lucenti, domandandosi se l'uomo fosse veramente capace comprendere che quella era l'unica cosa che separava la vita dalla morte. La luce, contemplata dalle tenebre, era un gioiello troppo lontano e troppo prezioso per non divenire parte di forti utopie - "Non ci vuole niente a sapere queste cose. Scegli un libro a caso qui dentro e sfoglialo."

"e su questo argomento, io saprei anche consigliarti…"

"No, grazie, Spirito Prospero. Va benissimo così, raccontami…."

 

"Proseguiamo con te, allora, Faith. Il tuo nome significa fede…. Oppure cuore fiducioso."

"Allora il mio è il nome con il significato sbagliato. Doveva esserci un'eccezione a confermare la regola…"

"Io non ne sarei così sicuro…" - replicò Wes, trapassandola con un'occhiata. E penetrandole dritto nell'anima - "Il tuo problema è un cuore fiducioso troppe volte tradito. Se veramente non ti importasse di nulla come dici, non saresti così triste…"

Faith si morse le labbra, cercando di non respirare per non dare sfogo all'agitazione. Abbassò lo sguardo, per la vergogna.

La voce di Wes era risuonata limpida, diretta e faith, disperatamente, la sentiva ancora risuonare nella mente, cercando una punta di ostilità.. una leggera intonazione che le permettesse di offendersi e non di chinare il capo, consapevole.

Fu un attimo, un vento gelido di sorpresa, ed una brezza leggera di preoccupazione.

Nel silenzio.

Un attimo di silenzio, quanto bastava a Spike per chiedersi se l'Osservatore non meritasse un naso rotto per quella sua insostenibile franchezza.

Ebbene sì, l'avrebbe picchiato per quella sua dannatissima dote. E soprattutto per quella verità che sembrava essergli sgorgata dritta dal sentimento più puro di umana comprensione.

 

Faith non rispose.

E Wes la fissò, con una punta di rammarico per quella frase venutagli fuori dal cuore. per Faith l'amore era una ferita insanabile, sempre pronta a riaprirsi. Ferita dalla vita e ancor di più da insperate gentilezze.

La contemplò, con i lunghi capelli attorno alle guance, mentre Doyle le accarezzava la testa fuggevolmente, protendendosi sopra Cordelia.

"Faith…" - mormorò, contrito, posando una mano sul tappeto - "Ti va di venire a sederti qui con me?"

non si aspettava realmente che lo facesse. E forse l'avrebbe stupito di meno vederla alzarsi per uscire da quella porta.

Invece, quando sentì il suo calore a fianco, la cinse con un braccio, possessivamente, senza una parole.

Lasciando che, dopo un istante di rigidezza, si rilassasse, posandogli la testa sulla spalla, per sbirciare il quaderno.

Erano stati molto vicini, da quando era tornata da Sunnydale e dai suoi incubi. Qualunque cosa fosse stata tra lei e spike, sembrava ormai appianata e scordata.

Eppure restava qualcosa in lei, qualcosa di informe e pauroso che talvolta l'assaliva. E la spingeva a venire da lui, ad addormentarsi nella biblioteca, sul tappeto. Faith cercava ancora qualcosa, che non poteva ammettere. E Westley Whydam Price era la sua guida.

"e Cordelia?" - chiese, buttando un'occhiata ai fogli.

"Ti dirò, Faith. Se proprio si doveva avere un'eccezione, direi che è il nome di Cordy… per quanto abbia cercato, ne ho trovato solo uno. Significherebbe Gioiello del mare… ma non ha senso…"

"Come sarebbe non ha senso!" - Cordelia scattò, posandosi le mani sui fianchi, come se uno spasimante le avesse appena detto che era mal depilata - "E' un bellissimo significato. E non mi importa se non è impegnato come i vostri, perché è splendido!"

era decisamente inviperita. E non propensa a farsi rabbonire.

"Principessa, aspetta…"

"Perché? Vuoi cambiarmi il nome? Non se ne parla nemmeno! Scordatelo!"

"Cordy, se mi lasci parlare, posso dirti che Wes ha sbagliato…"

"Certo! Io spero di no, perché a me piace, questo significato! E non vedo perché dovrei essere vincolato al destino, se al destino non credo…"

"In effetti potrebbe essere questa la spiegazione!" - azzardò Westley - "non è trascurabile, questa sua mentalità… e poi non credo proprio di aver sbagliato…"

"Wes, credimi… Cordelia può significare Colei che ha cuore…" - insistette Doyle, sovrastando tutte le voci.

"Ne sei certo?" - westley si era illuminato. Si gettò a capofitto sotto il tavolo, per afferrare la penna - "Ne sei veramente certo?"

"Direi di sì… è dal latino…"

Cordelia era rimasta senza fiato. Le guance le si erano imporporate.

"Mi piace… mi piace più dell'altro…" - balbettò, mentre la bocca le si inarcava in un sorriso - "Dio, quanto ti amo!"

Gli era saltata addosso, cingendogli il collo con le braccia. E baciandolo, con una furia passionale tale da mettere a rischio le sue coronarie.

Attenta, commentò Spike, inizia a gonfiargli la vena sul collo…

"Grazie." - ripetè Cordy, interrompendo il contatto, con uno schiocco - "Grazie."

"Non ti ho fatto un regalo." - commentò ansimando Doyle - "E' il tuo nome. L'hai dalla nascita…."

"Sarà. Ma adesso è meglio." - annuì convinta - "e dimmi un po', da quando conosci il latino?"

"domanda lecita." - incalzò angel, sorprendendoli tutti - "Dopotutto non sei anche tu un campagnolo ignorante della terra delle fate?"

"Ancora con questa storia? Flagello, sarai un eroe, ma non conosci l'ironia…" - Spike si accese una sigaretta, imbronciandosi.

"Infatti non lo conosco…" replicò candidamente doyle - "Ho un buon amico che ogni tanto mi racconta degli aneddoti…"

"E gli hai parlato di me?"

"Ovvio." - il demone sembrava quasi stupito di quell'ovvietà - "Sono poche le cose che non gli racconto…"

" come mai non lo conosco?" - chiese la ragazza, inquisitoria e minacciosa.

"Lo conoscerai." - ribattè Doyle, cingendola e donandole ancora un bacio dagli occhi brillanti - "Tornerà presto…"

 

"Si, certo. E non usare baci per corrompermi!" - ribattè Cordelia, sedendosi e fingendo di essere irritata - "scommetto che il tuo nome è Piccoletto dagli occhi brillanti…"

"Non proprio…" - Wes appariva vagamente perplesso - "vedi, Cordy, Doyle è il pezzo forte della serata…"

"Come sarebbe a dire, il pezzo forte?"

"è il sogno di ogni ricercatore. Nel suo caso… bhe, come dire… nel suo caso c'è un significato per ogni parola…"

"Cosa intendi, per ogni parola?" - domandò Angel. Doyle non gli appariva per niente colpito.

Anzi, quasi rilassato, come se fosse tempo che attendeva quella scoperta.

"Intendo dire che c'è un significato anche per il secondo nome e per il cognome… ed è inconcepibile!"

"Se la smetti di borbottare, potesti anche dirci questa scoperta da Nobel…"

"Ti accontento, Spike. Francis Allen Doyle… Francis, dal tedesco, significa uno e libero, Allen sta per ridente e Doyle… Doyle sta per Cercatore di Luce."

E a questa frase seguì un silenzio rotto solo dal crepitio delle fiamme.

E fu proprio il Fenomeno a interromperlo.

"Allora? Nessun commento?" - domandò, allungandosi a prendere un ennesimo tramezzino.

Non c'erano commenti.

Assolutamente nessuno.

Ognuno sembrava dover assorbire quell'informazione a modo suo.

E fu Angel a riprendersi, guardandolo.

"Lo sapevi, vero?" - domandò, lentamente, intrecciando le mani. Mentre Doyle, tornando ad adagiarsi comodo nella poltrona, ricominciava a giocare placidamente con il Claddagh.

"Da sempre." - replicò, essenziale, con un sorriso - "Ed anche non l'avessi saputo, non mi avrebbe di certo stupito.

Mia madre era decisamente un tipo da queste cose..."

"C'è solo una cosa che non capisco." - mormorò spike, seguendo con la coda dell'occhio Wes che aggiustava alcuni appunti sfogliando un testo - "Tra i tre significati, quello che definisce il tuo ruolo è il cognome. E non il nome..."

"in effetti hai ragione. Ma anche in questo caso la risposta è semplice." . rispose garbatamente Doyle - "Solo che non puoi saperla."

"Lo sapevo..."

"Mi spiace, Spike." - aggiunse - "Ma amo troppo la mia privacy..."

"Di certo tu sei quello maggiormente intrecciato con il destino." - aggiunse Faith.

E Doyle la fissò, stranamente.

"E' una definizione interessante." - mormorò. Osservando Wes che si girava, a contemplarla.

"Lo è veramente." - commentò, attento. Faith aveva centrato il particolare fuggente - "Dopotutto Doyle non è un demone comune"

"Grazie tante."

"Ma è intrecciato con la linea umana, ed indubbiamente ricopre incarichi unici." - Wes annuì, convinto, scarabocchiando ancora un'annotazione - "cercatore di luce..."

"Non ti immagini quanta se ne annida nell'ombra." - commentò Doyle, levando lo sguardo verso Angel.

Ai suoi occhi il vampiro era ancora la fiamma insaziabile che gli avevano detto di cercare nei sobborghi di Los Angeles. L'eroe nascosto sotto la propria cenere, l'uomo che ancora palpitava in lui... luce pura.

Ed ali piene di luce...

L'Angelo...

 

"E passato il colpo di scena.." - riprese allegramente - "Andiamo tutti a dormire?"

"A dire il vero, sul foglio c'è ancora una lista di nomi..." - commentò Faith, sporgendosi ad indicarli. Wes la teneva ancora stretta e, indulgente, spostò il foglio perchè leggesse meglio - "Sono i ragazzi di Sunnydale..."

"Sentiamo..." - disse spike, con gesto magnanimo della mano. Per quanto non lo desse a vedere, la sua mente macinava veloce le informazioni cercando di collocarle in quel gioco di equilibri che per poco non gli era costato la vita e le due Cacciatrici. "Abbiamo un po' di tutto." - commentò Faith, alzando solo un attimo gli occhi - "Xander è il diminutivo di Alexander, cioè protettore degli uomini... caspita c'è da stare tranquilli.. poi c'è Anya, che significa Graziosa.. oppure Grazia.."

"Nel senso di favorita da Dio..."

"Fa lo stesso, intanto si è beccata Harris...il che non fa di lei una favorita... a meno che non lo riferiamo al fatto che adesso è di nuovo demone e single...ragazza fortunata..."

spike preferì non commentare. Di colpo, si augurò anche di non arrossire.... sul fatto che Anya fosse graziosa non si poteva discutere. E riguardo al Favorita... gli venivano in mente alcune risposte... ma era meglio lasciar perdere...

"Attento..." - sussurrò impercettibilmente Angel - "Inizieranno ad arrossirti le orecchie..."

Spike alzò la testa per fissarlo, irritato.

"Come vedi, anch'io so fare della facile ironia..." - aggiunse, con un sorriso sarcastico. E vincente, ammise a malincuore Spike.

"Buffy, se veramente si chiama Buffy e non Elisabeth come nega sempre." - proseguì Faith - "Significa dal prato..."

esitò un attimo, prima di voltarsi, con espressione critica.

"Allucinogena come l'erba?" - azzardò. Con un sorrisetto, nel sentire le risate dei presenti.

"potrebbe essere una buona teoria." - commentò Wes, ridacchiando e guardando l'espressione divertita di Angel. Piena di autoironia - "Ma io penso che si possa andare per approssimazione. Come hai fatto notare tu, potrebbe chiamarsi Elisabeth. Ma se così non fosse, questo nome, Buffy, potrebbe essere un'allusione diretta al colore verde.

E, a quel punto, la simbologia si spreca. Il verde è il fiorire della speranza, la salvezza. Il verde smeraldo è il rimedio alla malattia, alle debolezze umane... ma può significare anche immaturità... oppure può indicare il lato del cuore in cui risiede la vita pulsante... ma qui ci addentriamo in troppe teorie tediose..."

"oh, se ne è accorto da solo..."

"Spike..."

"Si, lo so... taci Spike. Lo so. taccio."

Wes lo guardò, in un sorriso sorpreso.

Era vero. Lo diceva sempre...

"Bravo." - Si complimentò, senza contraddirlo.

Il peso di Faith era piacevole, come il buffo solletichio dei suoi capelli. Gli stava accoccolata a fianco, con le gambe ripiegate… ed era un tepore nel cuore, più ancora che sul petto.

"In ogni caso, la questione Buffy Summers è spettanza di Giles." - commentò, improvviso - "Mi spiace per lui se ha una Cacciatrice tanto complicata, ma se la sa cavare."

"Del resto, lui è la luce che discende tra noi..."

"D'accordissimo con te. L'Illuminato si occuperà al meglio di tutto ciò e ci farà sapere." - Wes girò la pagina, tirandosi ancora più vicino la sua cacciatrice - "Andiamo avanti."

"Restano tre nomi: Willow, Tara e... e Kate."

Faith alzò la testa, sorpresa. E nei suoi occhi sentì riflettersi la sorpresa di Angel.

"Kate?" - ripetè lui, senza accorgersi quasi di averlo fatto.

"Tutti quelli che hanno a che fare con te potrebbero essere..." - iniziò Wes. Prima di tacitarsi da solo - "A dire il vero, l'ho scoperto per caso... e ho pensato potesse interessarti. Significa Purezza, Angel."

 

Purezza... chissà perchè non me ne stupisco. Kate, la purezza.

Forse è realmente così.

Kate è la purezza della mia vita.

E nemmeno il mio marchio ha potuto macchiarla....

Il sollievo fu enorme.

Sentì il suo corpo rilassarsi, come se una grande tensione lo abbandonasse.

Non c'era nulla che veramente confermasse quel sollievo. Era solo una teoria strampalata, frutto del tempo libero di un amico.

Non era altro.

Oppure, paradossalmente, riflettè Spike, percependo quella gamma d emozioni, pochi centimetri sopra la sua testa, si tratta di un altro tassello a posto...

E la cosa non mi dispiacerebbe affatto...

 

"Tara significa Colei che compie" - stava dicendo faith - "e Willow… willow significa Salice..."

"Ed il salice è una pianta paragonabile alla fonte della sapienza, che allontana ogni male, ed i demoni. Ma c'è anche un'altra tradizione che lo ritiene un simbolo funebre... per via dei rami pendenti..."

 

Un simbolo funebre... Doyle ripensò, con un brivido, alla visione di tara, in un mare di sangue. Tara era colei che compiva.... cosa? Perché? Doyle poteva averne una vaga idea, ma non la certezza.

Non era il pensiero di Tara a spaventarlo. Era Willow che lo atterriva. Un salice piangente... per un attimo gli sembrò di vedere chiaramente le lacrime di Willow divenire nere, scaturire da occhi malvagi...

"Un salice..." - anche Spike stava seguendo un pensiero analogo. L'affermazione di Wes gli aveva provocato un brivido inspiegabile. Come se la tempesta già incombesse su di loro - "In effetti Buffy era sepolta sotto un salice.. ed un salice l'ha riportata indietro.. dannazione, che gioco di parole idiota..."

"Io non ne sarei così certo." - replicò Doyle, guardandolo. E ricordandosi come fossero stati compagni di viaggio in quella paradossale avventura dentro le anime della cacciatrici - "Ma ritengo sia meglio fermarsi qui..."

"Perchè la ruota del destino gira più veloce, se ne comprendi il meccanismo?" - domandò Spike. Gettandogli un'occhiata che la diceva lunga sul fatto che avesse tratto da quella serata alcune debite conclusioni.

Era pericoloso andare a caccia di questa verità... ed in quella stanza ne erano tutto rabbiosamente consapevoli.

Desideravano risposte che non potevano ascoltare. Saperle avrebbe fatto precipitare gli eventi.

Dovevano attendere.

E speravano di avere a lungo la pazienza che stavano dimostrando.

 

"Manca solo Dawn..."

"Ma qui non c'è..." - rispose Faith, inclinando il quaderno, per mostrare una pagina bianca.

"Westley, non hai dimenticato un pezzo grosso della partita?" - chiese Cordelia, iniziando a radunare i resti dello spuntino - "Non mi sembra che dawn sia proprio facile da dimenticare..."

 

Soprattutto perchè non potremmo ricordarla.

Come fai a dimenticare chi non ricordi?

 

"Gli appunti su Dawn sono in un altro quaderno..." - spiegò Wes, allungandosi ad afferrare un plico rilegato - "Ma anche nel suo caso, il gioco sembra riuscire. Cosa non stupefacente... dopotutto. Dawn è stata progettata a tavolino dai monaci. E le mie conoscenze non possono competere con le loro.

Hanno creato dawn come una scatola cinese, difficilmente può bastare una vita per arrivare a capo del mistero. Il suo nome, in ogni caso, ha un bel significato. Dawn sta per Alba del giorno. E simbolicamente, la chiave è il potere di sciogliere o legare. Nella rappresentazione del Giudizio Universale, poi, sarà una chiave a permettere di chiudere il diavolo in un abisso per mille anni."

"mi stai dicendo che briciola avrà un posto in prima fila nell'apocalisse?"

"Geloso, vampiro?" - domandò Faith - "La pupilla ti surclassa?"

"Tranquillo William, con i tempi che corrono, lasceranno qualcosa da fare anche a te..."

"Ma la piantate voi due?" - domandò, gemendo - "Ma ce l'avete con me?"

"Ohhh" - Cordelia sbuffò, alzando gli occhi al cielo - "potresti aiutarmi al posto di continuare a piagnucolare..."

"Piagnucolare io? Senti un po', tu! Trattami bene, sono un vampiro prezioso, io!"

"Addirittura…"

"E non metterti anche tu, Sgherro delle Alte Sfere."

"Carino…mi piace! Più adatto alla mia indole… meglio di Cercatore della luce…"

Si interruppero. E lo fissarono. Doyle era felice e appagato da quella descrizione così poco lusinghiera del suo stato.

E quel che era peggio… stava sorridendo.

"Ma come ci riesce!" - Spike si grattò furiosamente la testa e lo indicò, esasperato - "Qualunque cazzata dica, di colpo pendiamo tutti dalle sue labbra! Io…io non ci posso credere, con lui tra i piedi non si riesce nemmeno a litigare!"

era disperato.

E Doyle, più lo guardava, più rideva.

"E tu sapessi come serve con le ragazze…" - ribattè, difendendosi dai colpi poco misericordiosi che Cordelia gli rifilò all'istante.

 

"Dunque.. a questo punto vi illustrerò brevemente le mie debite conclusioni…" - riprese, inforcando gli occhiali… e sollevando, tra le mani, uno spaventoso volume rigurgitante di appunti.

"Oh no!" - Spike sbarrò gli occhi e saltò in piedi, afferrando i panini e le bottiglie vuote - "Scordatelo!"

Wes lo guardò, interdetto. Spike, preso dal sacro fuoco della casalinga, stava impilando tovaglioli e bicchieri sui vassoi, in maniera del tutto casuale.

Ma quel che era peggio… tutti lo stavano aiutando.

Chi sprimacciava i cuscini e chi recuperava piatti e contenitori, affannosamente.

"Un'altra volta, forse…"

"Oddio è veramente tardi…"

"Ma non è possibile che non ci siamo accorti dell'ora… chissà doveva avevamo la testa…"

"Buonanotte Wes!"

"Si, certo, buonanotte Wes…"

 

 

II

Buonanotte.

In un lampo erano fuggiti tutti. Angel, uscendo, per ultimo, si era chiuso la porta alle spalle.

I passi di tutti loro erano risuonati giù dalle scale. E la porta d'ingresso aveva cigolato.

Bisognerebbe oliarla, ragionò, distrattamente, impilando le scartoffie.

Fogli e libri, sparsi dappertutto.

E tutto, sommato, un certo qual tepore che ancora proveniva dal caminetto ormai spento.

Wes si sdraiò sul tappeto. Non gli andava di proseguire il lavoro di archiviazione.

Catalogare i fogli, ritirare i volumi…

Sollevò alcuni fogli, leggendo la sua calligrafia quasi in controluce.

I nomi… ed il loro destino.

Che strano gioco si era trovato, per il tempo libero!

Non gli bastava, dopotutto, quel continuo piovere di segni preziosi che già subivano nella vita quotidiana? Doveva per forza continuare ad andare a caccia di altro e altro ancora? Particolari nuovi per le inquietudini di sempre.

Perché doveva essere così importante? Ma certo, il Consiglio…

Al consiglio serviva una spiegazione teorica per non riprendersi Faith. Non bastava far notare come lì fosse a casa e compisse il suo dovere al meglio….

La Cacciatrice è sola, con un osservatore per aiuto. Non ha bisogno di famiglia.

Come suonava odiosa e viscida una frase del genere… eppure Quentin Travers sapeva dirla come se stesse succhiando un bastoncino di zucchero. Con un gusto immenso e le labbra dolcemente arcuate.

Avrebbe lasciato in pace Faith solo se il destino l'avesse reclamata. Il suo nome in una profezia, una teoria fondata e… puff! Il consiglio l'avrebbe lasciata a passare i suoi anni migliori in America, solo se Westley Whidam-Price si metteva di impegno a fornire loro almeno cinquecento pagine di tesi sul perché… e il per come….

Allungo le braccia e distese la muscolatura.

Come era stanco… come era stufo…

Era davvero così importante?

Forse.

"Gentili colleghi…" - mormorò, grattandosi la testa pensierosamente - "Stimatissimi Lords… La Cacciatrice non ha bisogno di una famiglia… e, se è per questo, non ha bisogno nemmeno di un Consiglio…no, questo è meglio non dirlo."

Era veramente stanco. Chiuse gli occhi, lasciando che la mano gli scivolasse dalla nuca al tappeto.

Non sapeva più da cosa cominciare.

Ormai gli stavano con il fiato sul collo. E non ci sarebbe stato modo di fermarli. Erano sei mesi che giravano attorno a Faith come squali… da quando la morte di Buffy aveva dato loro modo di ragionare. Quasi quanto la sua resurrezione….

Ma non bastava.

Ormai nulla bastava più agli squali.

Sentì la porta socchiudersi. E poi passi felpati sul tappeto.

Ed aprì gli occhi, per accennare uno stanco sorriso di benvenuto a Doyle.

 

"Che fai qui?" - domandò. Senza accennare a muoversi, mentre l'irlandese gli girava intorno e si serviva dal carrello di ottone.

"sarebbe tornato Angel." - spiegò Doyle, riempiendo due bicchieri - "Ma gli è passato un caso tra le mani. No, resta lì, sono andati gli altri…"

gli porse uno dei bicchieri, mentre Wes si sedeva, preoccupato.

"Sicuro non serva una mano?"

"Non serve, tranquillo. Dormi troppo poco per portarti in giro armato di balestra." - disse, tornando a sedersi in poltrona - "Non hanno voluto nemmeno me… e hanno tutti innocentemente mentito quando hanno detto che era una cosa da niente."

"E noi non ci preoccupiamo?"

"Questa volta no." - Doyle scosse la testa - "Non ci preoccupiamo per loro perché, in questo momento, preferiamo tutti preoccuparci per te."

Wes lo guardò, sorpreso.

E doyle, inclinò la testa, con un mezzo sorriso.

"E ovviamente per Faith…"

 

"Hai ragione ad essere preoccupato." - mormorò Wes, scostando un po' la cenere a caccia di qualche scintilla restia a spegnersi - "Per quanto mi impegni, non trovo la scappatoia. Se non metterò Faith al sicuro, cercheranno di prenderla con la forza…"

"E non pensi che la difenderemo a spada tratta?" - Doyle aveva allungato le gambe ed ora fissava la schiena dell'osservatore, accoccolato sul talloni davanti al caminetto. Impegnato a tormentare qualche tizzone in cerca di un'illuminazione.

"Fino all'ultimo respiro." - replicò sottovoce, senza voltarsi - "Ma il problema è quanto a lungo potremo fronteggiarli. Pure la lotta contro il male passa in secondo ordine, se si tratta del prestigio del Consiglio. E poi c'è la questione del Cruciamentum…"

"Sarebbe a dire?"

"Il Cruciamentum è la prova a cui vengono sottoposte le cacciatrici al compimento dei diciott'anni." - Wes si massaggiò il collo, chiudendo gli occhi un istante.

"Anche Buffy l'ha subita, vero?" - chiese Cordelia. E wes si voltò, sorpreso, appena in tempo per vederla sedersi sul tappeto, poco lontano.

"Oh, ciao."

"Non hanno voluto nemmeno me." - spiegò allegramente la ragazza, prima di sentirsi domandare qualcosa - "E va avanti, per piacere."

"Sì, anche Buffy. Una pratica vile e idiota, oserei aggiungere, e non mi capacito che Giles li abbia assecondati." - sospirò ricordando come, se non ci fosse stato proprio quel barbaro rito, lui non sarebbe mai giunto in America in veste di osservatore. - "Di quello di Faith non mi sono preoccupato. Ed ho fatto male."

"Faith abitava già qui, no? e non è successo nulla. Cioè, non ci siamo ricordati di festeggiare, ma a parte questo…"

"Non ne sono così sicuro, Cordy. Chiedi a Faith cos'è successo al suo diciottesimo compleanno. E ti dirà quello che ha detto a me. Buio. Buio totale. E mi pare strano che, per quanto si impegni, non riesca a ricordare nulla."

"Stai dicendo che potrebbero aver…Ma come è possibile…"

"Non lo so, Cordy. Ma adesso pensaci bene. Se volessero Faith solo per processarla e farla fuori discretamente, non si sarebbero preoccupati di saggiare le sue capacità. E se non la vogliono morta, allora, necessariamente, la vogliono e basta."

"E come pensano di domarla, se è lecito chiederlo?" - Doyle si accese una sigaretta e prese il posacenere che Cordy gli porgeva - "Non sarà più cacciatrice del consiglio. Come non lo è Buffy, del resto…"

"E poi, infine, c'è l'ultima ipotesi." - Wes si voltò. E la sua espressione sembrò terribile, ad entrambi. Wes ardeva di un fuoco buio e furibondo - "A mio avviso la peggiore. Se dichiari Rinnegata una Cacciatrice e neghi la sua efficacia… ma ugualmente ti ostini a saggiarne lo stato… "

non riuscì a proseguire. E si voltò, fissando nuovamente le fiamme che riprendevano lentamente vigore.

Mentre Doyle finiva per lui.

"…allora stai pensando di farla fuori, di sacrificarla. Ed aspettare che se ne attivi un'altra."

 

"Stai scherzando, spero!"

"Purtroppo no, Principessa." - Doyle premette il mozzicone tanto da ustionarsi leggermente le dita - "Temo proprio che le cose stiano così da tempo. Se Faith muore, il consiglio avrà una nuova cacciatrice da controllare. Faith sta bloccando la successione. È sopravvissuta a buffy, quando tutti speravano accadesse il contrario."

"Ma se aveste ragione, avrebbero già cercato di ucciderla…"

Cordelia, per quanto si sforzasse, non poteva assimilare quello che i due stavano dicendo. Di colpo la sua mente si era popolata di quegli uomini che non aveva mai visto. Uomini scuri che uccidevano Faith., senza curarsi del vuoto che avrebbe lasciato.

Senza curarsi della tragedia che si nasconde dietro una scomparsa.

Uomini… come Wes.

Come era possibile… Cordy posò lo sguardo sull'Osservatore. Come potevano persone con lo stesso condizionamento di Westley scegliere una soluzione del genere. Uccidere Faith… uccidere quella ragazza bruna dalla lingua troppo veloce ed il gergo spicciativo.

La ragazza che…

"Oh mio dio.." - mormorò, mentre gli occhi le divenivano innaturalmente grandi - "Per loro è solo un numero, una tra tante… come fanno a non capire…"

"Non possono, Cordy." - rispose Wes, incrociando le gambe e posando il mento sulle mani - "Non possono capire nulla. Faith è sempre stata un'anomalia, per loro. Un fattore seccante… o meglio, uno spiacevole disguido. Sì, lo definirebbero così. dopotutto sono inglesi."

Chinò lo sguardo, pensieroso.

Ricordava ancora la voce diffusasi quel giorno in Accademia.

Una cacciatrice, una cacciatrice di troppo! Non avevano ancora tirato un sospiro di sollievo per la morte di Rhonda che…

"…Certo, sapevano che se ne sarebbe attivata un'altra. Ma fino all'ultimo hanno sperato di essersi sbagliati. Speravano che l'anomalia si esaurisse in fretta, che non si andasse avanti oltre, con questa seconda linea…"

"Ma perché prendersela con Faith! Dopotutto è Buffy quella che muore e risorge!"

"Hai ragione. Ma l'unica prescelta di cui avevano sempre parlato le leggende era lei. E, a quanto pare, lo è tutt'ora." - aggiunse, passandosi per l'ennesima volta la mano sugli occhi.

"Non hai ancora trovato niente?" - chiese Cordy. La preoccupava vederlo in quello stato. Aveva l'aria stanca, gli occhi arrossati.

E Faith non era da meno.

Il suo nervosismo era cresciuto proporzionalmente alle occhiaie di Wes.

Quei due stavano combattendo una battaglia tutta loro.

E non si lasciavano aiutare.

Cordelia si voltò e Doyle ricambiò la sua occhiata, senza proferire una parola.

Condivideva la sua linea di pensiero, su questo non c'erano dubbi.

Con l'unica differenza che, come suo solito, ne era al corrente prima di lei.

"Non possiamo fare niente?" - gli chiese, d'un tratto, senza poter più resistere.

"Temo di no, Cordy." - replicò il demone, mentre Wes tornava ad alzare la testa da quelle centinaia di fogli che ormai sapeva a memoria - "Tu ed io non sappiamo neanche da che parte iniziare in questa stanza."

"Eppure noi aiutavamo Giles in biblioteca…"

"Giles è un direttore d'orchestra, in confronto a me, Cordy. Non provo nemmeno a competere con il quantitativo di informazioni che ha in testa. Il problema è che non posso nemmeno usufruirne…"

"Ma sei certo che non voglia aiutarti?"

"oh, sì. Ne sono certo eccome. Come sono certo che, se lo conosco veramente, non resterà a lungo a Sunnydale." - Wes sollevò il volume e lo posò sul tavolino, iniziando a raccogliere ed impilare quelle scartoffie inutili che iniziavano a irritarlo.

Fogli, fogli, fogli… ma nessuna risposta su di essi. Li aveva girati e rigirati, nel contenuto, nella forma. Ma senza trovare un'ombra di speranza.

"E perché dovrebbe fare una cosa del genere? Dopotutto è ancora l'Osservatore di Buffy…"

"Ed è di nuovo un Osservatore del Consiglio."

Questa sì che era una sorpresa. Pure Doyle sembrava non saperne nulla.

"E tu come lo sai?" - chiese Doyle, posando i gomiti sulle ginocchia per sporgersi verso di lui. E passargli, insolito ma vero, posacenere e sigarette.

"L'ultima volta che sono andato in Inghilterra, hanno usato lui per trovare un compromesso. Speravano che i nostri rapporti mi ammorbidissero." - ancora ricordava il breve incontro forzatamente formale. Come due sconosciuti. E come, sorprendentemente, lo avesse un po' ferito - "Giles, in effetti, non ha nemmeno provato a farmi cambiare idea. Ma non mi ha offerto aiuto. E credo preferisca restar fuori dalla questione. Anche perché il ritorno di Buffy mette di nuovo in contrasto mente e cuore…"

L'aveva detto con una punta di sarcasmo. Ma non poteva mentire a se stesso. Provava pena per il dissidio di Giles e per la soluzione che avrebbe dovuto scegliere.

Da un lato il consiglio, dall'altro la Cacciatrice. Una cacciatrice che mai, come ora, doveva sembrargli lontana e incomprensibile.

"Giles non resterà a lungo. Buffy è ancora una Cacciatrice. Ma non è detto che la loro vicinanza sia la scelta ottimale." - fece una pausa, decidendosi finalmente a sfilare una sigaretta dal pacchetto - "E questo, per quanto sia un caso di psicologia affascinante, non è in cima ai miei pensieri…"

L'accese, respirandone una lunga boccata. "Io devo trovare il modo di tenermi stretta la mia Cacciatrice. E sono disposto a qualunque cosa. Vogliono la mia testa? Se la prendano…"

"Ma non la vogliono…"

"Oh, certo che no, Doyle." - allargò le braccia e lo fissò, beffardo - "guardami bene. Tu non ci crederai mai ma si parla pure di me, nella cerchia degli aiutanti del nostro eroe! Di me! Come se fossi di questa importanza basilare! Non possono toccarmi. Mi odiano, mi disprezzano, ma hanno il sospetto di non potermi torcere nemmeno un capello. Per quanto io continui a mettermi sulla loro strada… niente! Assolutamente niente!"

Fece un respiro, per calmarsi. Tornando ad essere il loro Westley Whydam-Price… e non quel duro ed esasperato uomo che era stato, per un breve attimo.

"Non sono un guerriero e non sono mi sento più uno studioso. Che meraviglia." - sospirò, guardandosi le mani. Sembravano le mani di un carpentiere. C'era addirittura una nocca mal calcificata, ricordo di una frattura dei primi tempi da eroe.

Eroe… gli venne da sorridere, per quell'affermazione che era suonata sarcastica addirittura nella sua mente.

Eroe.

Non era l'eroe di nessuno.

Non era un Osservatore.

Ma soprattutto era un incapace.

Incapace di salvare la sua cacciatrice.

Oh, Helen, quanto ti sei sbagliata sul mio conto! E quanto poco serve l'amore, davanti ad una biblioteca vasta come quella del Consiglio.

L'amore non può nulla, se la salvezza risiede nella ragione…

 

Cordelia gli si era avvicinata. E gli aveva passato le braccia intorno al collo, posandogli la testa sulla spalla. Un gesto che riservava ad Angel, più che ad ogni altro.

Ma Wes non si era mosso. E non aveva spezzato quel silenzio che sembrava schiacciarlo, piegandogli la figura.

Non badava a lei. E non badava a Doyle.

Era come se il filo dei suoi pensieri fosse troppo forte per essere reciso.

"Se c'è una cosa che temo…" - mormorò ad un tratto, cercando di uscire da quel circolo vizioso di auto derisione - "è quello che non conosco. Per quanto avanzi non procedo. E per quanto io non faccio altro che pormi migliaia di domande, solo una mi ossessiona…."

Solo una…

Quella che mi tiene sveglio.

Quella che mi fa svegliare urlando…

Quella che mi fa temere di non potermi spingere oltre…

Wes aveva alzato la testa. Ed ora lo fissava, quasi con sfida. E Doyle sapeva bene cosa si aspettava.

Perché quello era lo sguardo che molti gli avevano rivolto nel tempo.

Lo sguardo di chi si aspetta una risposta, credendo di essere giunto innanzi ad un'onniscienza.

Io non sono un dio, Wes… e non sono la fonte di ogni verità….

Sono un messaggero. Un messaggero con la mente violata da decisioni altrui e superiori.

Non posso dirti ciò che tu non sai.

A meno che tu non debba saperlo.

Non c'è giustizia, in questo.

Non c'è speranza….

"mi dispiace, Wes. Io posso immaginare la domanda…" - mormorò, lentamente - "Ma non ho una risposta. Anche se penso che il libero arbitrio sia molto più forte di un pezzo di carta…non posso escluderlo."

"ma…" - Cordelia aggrottò la fronte cerando si seguire quella frase tanto contorta -"…io credo di non riuscire a seguirti."

Doyle abbassò lo sguardo, tamburellando sul bracciolo.

Appariva stranamente concentrato, tanto da rendere i suoi occhi decisamente densi. Ed ogni volta che accadeva, la superficie delle cose, le forme, le luci, si riflettevano al loro interno.

Soppesava le parole, cercando di renderle il più nozionistico possibile. Difficilmente avrebbe potuto far comprendere a Cordelia le complicanze a cui stavano andando incontro. E non perché la ragazza non avesse abbastanza testa per arrivarci… ma perché rifiutava alla base alcune cose in cui, invece, lui credeva profondamente.

"Vedi, principessa." - spiegò, con lentezza, senza smettere di fissare il pavimento e oltre alla materia, all'interno della sua testa - "il vero problema è che non abbiamo nulla che ci dica che stiamo facendo la cosa giusta."

"Proteggiamo Faith. Cosa c'è di sbagliato?" - chiese, senza capire.

"Nulla ci da' certezza che Faith sia al suo posto qui. Con noi. Può darsi che la sua strada in effetti sia un'altra. E che noi, a modo nostro, per affetto, la stiamo ostacolando."

"Che idiozia! Lei non ci vuole andare in Inghilterra." - Cordy lo guardò, senza capacitarsi di quello che stavano dicendo. O meglio, di quello che stavano cercando di dire - "Né tantomeno vuole essere uccisa."

"E può darsi non voglia più essere una Cacciatrice." - mormorò Wes, facendola voltare.

Nella sua voce, per un attimo, era risuonato un vago terrore.

Cosa poteva accadere ad una Cacciatrice che rinnega la sua natura? Cordelia sentì questa domanda balenarle nella mente. Come può Faith rinunciare a se stessa?

"Questa risposta probabilmente esiste, da qualche parte." - riprese Wes, approfittando del suo attimo di confusione - "può darsi che esista una profezia riguardo a Faith, così come ne sono esistite a migliaia nel corso della successione. Ma se dicesse l'opposto di quello che supponiamo? Se il consiglio fosse un passo innanzi a noi con una certezza che non abbiamo? Cosa accadrebbe, in quel caso…"

"Il Consiglio ti ha cacciato, Wes! Ha detto che eri un incompetente, ed ha sbagliato! Cosa ti fa pensare che siano realmente così furbi e così certi di quello che fanno? Se fosse vero quello che dici, la loro onniscienza e conoscenza degli eventi… allora si sarebbero serviti di te per controllare Angel! Ma non l'hanno fatto!"

era balzata in piedi per difendere meglio le sue teorie. Si era puntata le mani sui fianchi ed ora lo affrontava, bellicosa, sovrastandolo.

"Ed ora, dopo tutte le volte che hanno sbagliato, ti ostini ancora a credere che ne sappiano più di noi? Non siamo noi quelli con visioni, Apocalissi, maledizioni e redenzioni? Noi abbiamo vampiri con l'anima e demoni verdi da qualche tempo un po' sfuggenti? Non abbiamo… oh mio dio…"

demoni verdi da qualche tempo un po' sfuggenti….

"Lorne." - mormorò, risedendosi con un tonfo - "lui sta lavorando a questo, vero?" - li guardò, come se il solo pensiero potesse ferirla. Come lo sguardo colpevole di wes. "Lorne ti sta aiutando…" - mormorò, lentamente - "a farla andare via, vero?"

 

che silenzio. Era calato di colpo.

E faceva freddo, adesso, nella stanza.

Non c'era più il caldo crepitare della legna tra le fiamme.

Non c'erano più fiamme.

Westley guardò Cordelia, in silenzio. Rispondere alla sua domanda significava solo mentirle.

A lei.

E a Doyle.

Alzò gli occhi. E non vi lesse nulla. Se non una tacita e rassegnata sorpresa.

"Non potevo dirvelo." - disse, guardando lui e non riuscendo più ad affrontare il viso di Cordy e la sua condanna - "A voi come a Spike ed Angel."

"Ed hai deciso di fare di testa tua." - replicò, quietamente Doyle.

"Aveva gli agganci giusti…" - si difese. E, ad un tratto, gli sembrò solo una scusa che non reggeva. Abbassò la testa, in segno di resa e sentì ancora i loro sguardi bruciargli la nuca - "Io non voglio che se ne vada…"

Lasciar partire Faith… e c'erano stati persino momenti in cui aveva pensato di riuscire a lasciarla andare via.

"Io non voglio che se ne vada…" - ripetè, piano - "Ma non posso evitare di prendere in considerazione anche questo… la fuga. Se io non posso…. se Angel… non può proteggerla con altro mezzo che non sia la violenza… allora…"

"Non succederà, Wes." - Cordelia si morse un labbro, prima di riprendere a parlare. Pentita, di averlo aggredito, con i suoi atteggiamenti, più ancora che con le parole - "Ci sono migliaia di modi che non abbiamo ancora pensato.. e poi, può anche darsi che la lascino stare…"

"su questo non possiamo illuderci." - le rispose Doyle, facendo alzare ad entrambi la testa - "Concordo appieno con ogni parola che hai detto. Ma non su quest'ultima cosa. È un'utopia, Cordy. Faranno qualcosa."

Si interruppe. Un attimo soltanto.

"ma, Wes, voglio ti sia chiaro, qualunque cosa facciano, Faith non si muoverà da qui. Qualcosa l'ha condotta in questo posto… e ci vorrà ben più di una mazzetta di uomini a farla andare via."

 

 

III

Spike stirò i muscoli e fissò il soffitto.

Allungò bene le braccia dietro la testa, incrociando le mani.

E facendo scrocchiare le dita.

"Allora siamo d'accordo." - commentò, fissando il soffitto - "Adesso gli spezzo le gambe e nessuno mi ferma."

"Ti prego di non essere precipitoso…" - sospirò Lorne, studiandosi le unghie. Prima di urlare - "Angel, fermalo, fermalo!"

Non c'era bisogno di dirlo. Angel si era mosso quasi in contemporanea al suo consanguineo.

Lo aveva afferrato per la collottola e, con un movimento inspiegabile per la sua statura, gli si era posto di fronte, passando sotto il braccio alzato.

"Flagello!" - ringhiò Spike, quasi arrampicandoglisi addosso per scavalcarlo - "Non parlavo delle tue. Ma due o quattro, al momento, non fa differenza."

Aveva mutato il volto. E teneva i canini ben in vista.

Si illude di farci paura, pensò Cordelia, poco turbata da quello scoppio d'ira. Come se non avessimo mai visto un vampiro…

"William, o ti calmi, o è la volta in cui ti prendi quel ceffone che ti ho più volte promesso."- Rispose Angel, senza prendersi la briga di mutare i lineamenti. Ma con un tono decisamente anomalo tra le sue labbra.

Era arrabbiato, a modo suo.

Ovvio che sia arrabbiato, considerò Cordelia.

Con quello che Wes gli appena raccontato…

"Vuoi che mi calmi?" sbraitava ancora il biondo - "Il disonore d'Inghilterra ha appena ammesso di aver congiurato alle spalle di tutti perché non ci riteneva affidabili…"

"Non ho detto questo.."

"Taci, cartuccia! Non ti voglio sentire, a meno che tu non stia urlando di dolore." - si protendeva sopra la spalla di Angel, mostrandogli le mani ad artiglio - "Mi sono fatto prendere a mannaiate per questa ragazza, ho dovuto persino fare pace con Buffy per salvarla, tutto per quattro dannate visioni e per questo stupido gioco che tutti voi fate con il destino! Sono stufo, stufo marcio di queste vostre fissazioni!"

Saltò in piedi, dalla poltrona su cui era stato ribattuto di forza.

"E' un anno che vivo qui e nessuno mi ha mai detto che stavamo giocando con regole precise! Anche tu, Angel, dannato martire! Si, proprio tu. Dovresti essere furibondo… stiamo parlando di Faith, cribbio, di Faith!"

"Non pretendere di sapere come mi sento." - la risposta di Angel lo colpì come una frustata. E lo fece bloccare - "E, soprattutto, smetti di dare spettacolo."

No, non era una frustata. Era il coro ligneo di Sunnydale che gli cadeva nuovamente in testa.

Provocandogli rabbia. E dolore.

Non resistette al desiderio di dargli una spinta, di pura rabbia. Poi si risedette.

Con uno sguardo reso cupo dalla rabbia.

 

"Hai ragione, Spike." - disse Wes, prendendo la parola. Lo fissò con occhi stanchi. Ma con sguardo fermo - "Ho vagliato un piano alternativo a quello che avevamo elaborato. Ho preparato a Faith un'alternativa, nel caso la nostra intenzione si fosse rivelata sbagliata. E non farmi obiezioni… non ne vale la pena.

Cordelia è arrivata ben prima di te, a dire la sua."

L'aveva detto, con un sorriso tirato. E con imbarazzo.

Soffriva, per quello che stava accadendo. Ma era una sofferenza che si aggiungeva ad una stanchezza che ormai…

No! assolutamente nessuna preoccupazione per l'Osservatore! Spike si redarguì mentalmente.

"Rimane il fatto che dovevi discuterne con tutti gli altri." - borbottò, sprofondando maggiormente nella poltrona - "E soprattutto con Faith. Non è un pacco postale."

Sapeva di essere stato poco pungente e incisivo.

Ma non poteva fare a meno di spingere la mente un po' più lontano dal contesto.

A Faith che partiva, Faith che se ne andava. E alla paura di perderla che lo aveva colto così di sorpresa, non molto tempo prima.

Egoisticamente pensò a se stesso, a metà di quella che sarebbe dovuta essere una recriminazione disinteressata.

Cosa sarà di me senza di lei? Non gli importò nulla del pericolo che correva, dello stress a cui era sottoposta e, soprattutto, del fatto che lei fosse la Cacciatrice.

Che fosse stata la Cacciatrice per una lunga estate e lui non si fosse mai soffermato su questo fatto.

Sulla paura che probabilmente aveva provato.

La solitudine, esplosa infine in quell'incontrollabile disperazione.

Ma che importava di tutto questo!

Cosa mi succederà, se lei andrà via?

 

Wes, nel frattempo, aveva accolto il silenzio di Spike come un muto rancore. Si era passato una mano sugli occhi con un lungo sospiro imposto.

Poi, alzando gli occhi, aveva fissato Angel.

Angel ancora in piedi, ancora con la giacca di pelle indosso. E con un'espressione indecifrabile sul viso.

"Dimmi cosa pensi." - sospirò l'inglese, fissandolo, senza nessun tentativo di intenerirlo - "Non sono abbastanza lucido da arrivarci da solo."

Una frase che aveva il sapore della sconfitta. Eppure non c'era autocommiserazione in lui. Non si sarebbe arreso, Angel lo sapeva.

Indipendentemente da quello che gli avrebbero detto, Wes sarebbe andato avanti a fare la cosa giusta.

La sua cosa giusta.

C'era Faith in ballo. Nulla aveva più importanza per lui.

E fu per quello che Faith, proprio Faith, in quel momento, chiudendo il cuore alla fiducia che aveva in Angel, decise di prendere le sue difese.

"Wes l'ha fatto per me. E quindi non sono affari tuoi."

La sua voce risuonò così fredda e dura che tutti i presenti si voltarono a fissarla. Lorne, in piedi e non ancora sotto processo, Cordelia, seduta a terra e del tutto assorbita nel fare treccine con le frange del tappeto e Doyle, appoggiato al vecchio bancone della hall.

Ma soprattutto Angel, sorpreso da quell'affermazione prima ancora di essere ferito.

Negli occhi di Faith c'era ostilità. E, soprattutto, sfiducia nei suoi confronti.

Dopo molto tempo, ancora una volta, quell'espressione. La stessa con cui l'aveva guardato a Sunnydale, nel momento in cui si era resa conto di non aver irretito Angelus, ma di avere davanti semplicemente uno splendido commediante.

Angel non aveva parole. La guardò, sorpreso, la guardò stringere i pugni e, con un attimo di fredda consapevolezza, attese di essere colpito.

Ma non accadde.

Perlomeno, non a fatti.

Si era alzata in piedi, con l'impulsività e la rabbia che l'avevano contraddistinta nella sua adolescenza a Sunnydale, quando provava un profondo divertimento a vedere Wes, in maniche di camicia e bretelle, correrle appresso per redimerla. Quando con la passione per il pericolo si era fatta strada nel modo peggiore.

Quando avrebbe voluto tutto, visto che non aveva nulla, se non se stessa.

Erano cambiate molte cose da allora. Tranne una, a quanto sembrava.

Una sola.

Ma ora era stanca.

E stufa marcia che tutti pianificassero la sua vita.

E se l'aveva permesso, per un certo periodo, era stato solo perché non era certa di avere le forze per andare avanti.

Ma ora, ora che iniziavano a litigare, come un mucchio di cani concentrati sullo stesso osso…

"Non mi ha chiesto cosa volevo. Cosa pensavo di tutto questo. Ed è quello il suo sbaglio." - gli occhi le fiammeggiarono, nel puntarsi su Angel - "Eppure qui siete tutti sdegnati per essere stati tenuti all'oscuro.

Non per il fatto che stavate tramando, ognuno per conto suo, sul mio destino."

"Faith, io…" - cominciò Angel.

Ma Faith era ormai avviata a dire la sua. E nessuno avrebbe potuto rallentarla.

"Destino.. ho sbagliato termine, sbagliato, cazzo! Non si tratta del mio destino, quello so già quale è! Sono la Cacciatrice, contro il male in ogni sua forma demoniaca, sono l'anomalia del sistema, la rinnegata, la squilibrata…

sono tutto questo.

Ma qui si tratta della mia vita! Siete tutti così presi da preservare questo mio dannato compito da non preoccuparvi di me. Me ne frego del Consiglio e me ne frego delle profezie! ho fatto cose sbagliate e cose di cui mi vergogno… ma questo non conta nulla, nulla! Stiamo ancora qui a dibattere su quello che è meglio per il mio status di Cacciatrice… ma non su quello che sono diventata."

La voce si ruppe in un singhiozzo.

"Su quello che…" - tentò di aggiungere, con una voce che già le mancava - "Avrei voluto diventare."

Si voltò esasperata. Senza curarsi del silenzio, di Angel, in preda ad un dispiacere ben superiore all'irritazione che pensava di provare.

Non le importava nulla.

Per la prima volta, da molto tempo, si convinse che non le importava nulla di tutti loro.

"Fottetevi." - sussurrò, voltando loro le spalle.

E la porta dell'Hiperyon le apparve nitida, quasi luminosa.

E l'avrebbe raggiunta con poche falcate.

E si sarebbe lasciata abbracciare dalla notte.

Se non avesse incontrato un' altra stretta nata dal buio.

"E no, bella mia." - si sentì sussurrare, mentre già si aggrappava a quel corpo freddo e solido - "Questa volta non mi scappi."

 

Doyle fu il primo a muoversi, con un cenno a Lorne, che lo vedeva in viso. Il primo a posare una mano sulla spalla di Angel per spingerlo gentilmente verso un'altra stanza. Mentre Wes, silenzioso anche nel cuore, tendeva una mano a Cordy, per aiutarla. E si appoggiava a lei, per la prima volta in vita sua, nel muoversi come un automa.

 

Come era successo a Spike, pochi minuti prima, i radi pensieri che ancora percepiva gli sembrarono egoisti.

Aveva sbagliato di nuovo. E per quanto già prima fosse stato certo di dover rendere conto a Faith di quel suo sciocco 'piano alternativo', solo adesso vedeva la vasta portata della sua disattenzione.

Faith aveva passato un'estate come Cacciatrice in carica.

E l'aveva passata da sola.

Mentre lui stava in Inghilterra, in balia di vicende burocratiche e tediose udienza da Santa Inquisizione, Faith era stata nuovamente una Cacciatrice senza osservatore.

Ed ora non aveva più importanza tutto questo… perché Buffy era di nuovo in vita.

Buffy era ancora La Cacciatrice.

E Faith le aveva restituito, a modo suo, la corona e lo scettro.

 

Magari stava dando di nuovo spettacolo.

Ma non gli importava un fico secco.

Tutto stava andando male, se non peggio di quanto si potesse comprendere.

Faith gli si aggrappava addosso come se al mondo non fosse restato più nessun altro appiglio.

E non c'era bisogno di una grande sensibilità per saper che non piangeva, che non riusciva nemmeno a sfogarsi.

Tremava, per una tensione nervosa incontrollabile. E non era conforto che cercava.

Ma un freno alla sua rabbia.

Qualcosa che fosse più forte di lei, della sua disperazione, del rancore che provava verso il sistema.

Qualcosa di più antico dei suoi dolori.

Quello che voleva Faith era un perché. Ed una conclusione per quella lotta eterna che da sempre persisteva tra il cuore e la ragione.

 

Angel si sedette al bancone della cucina e, con una mossa insolita, si strofinò i capelli nervosamente.

Scompigliando quei capelli scuri e abitualmente diritti che lo contraddistinguevano. Poi intrecciò le mani e vi posò sopra le labbra, immergendosi in una riflessione ben più cupa di quanto non si aspettasse.

Aveva sbagliato.

Anzi, forse sarebbe stato meglio ammettere che avevano sbagliato tutti.

Ma Angel, proprio per indole, non era propenso a colpevolizzare nessuno se non se stesso.

 

Fu Lorne, il primo a rompere il silenzio. Ed Angel lo guardò, trovandoselo per la prima volta seduto di fronte.

"Penso di meritarmi anch'io la mia parte di strigliata." - commentò, inclinando un po' il capo, con un sorriso accattivante.

Dietro di lui, a braccia conserte, ma rivolto a fissare il mondo al di fuori della finestra, stava Wes.

Il suo profilo era reso più scuro dall'ombra della barba, che gli affilava i lineamenti facendo risaltare gli occhi.

Un profilo duro e pensieroso. Ma soprattutto silenzioso.

A suo fianco c'era Cordelia, di spalle, affaccendata. Impegnata a tenere le mani occupate, per riordinare i pensieri.

E, solo in quel momento, Angel si rese conto che Doyle non c'era. Che se ne era andato, probabilmente dalla porta di servizio, quella che mal si chiudeva.

Contrariamente alla sua abitudine a restare nei pressi, quando le cose si mettevano male… eppure così in linea con il suo istinto di immergersi tra la folla, ogni qual volta lo spirito desiderasse una risposta.

"Non so chi ha messo in testa, a te, a Wes ed a Faith, che io mi sarei messo a fare paternali." - commentò Angel, abbandonando Doyle alle sue scelte e puntando occhi color onice sul demone che aveva di fronte.

Non sono il patriarca di casa.

Né, tantomeno, il più adatto a recriminare sui sotterfugi altrui.

Credeva di averlo pensato. Invece, come gli capitava talvolta, quando i pensieri si facevano troppo densi per nuotarci liberamente, aveva pronunciato quelle fredde parole.

Fredde più per lui che per gli altri.

Fredde come aveva sentito sempre, sulle labbra, le cose che rinfacciava a suo padre e in cui finiva col riconoscersi, più volte di quante il suo cuore potesse ammettere.

Fredde come doveva averle sentite suo padre se mai, negli occhi, aveva visto il muto rancore scuro di un giovane ribelle.

Come erano state fredde, nei suoni e nello sguardo, quelle di faith.

"Non sono arrabbiato,Lorne. Né on te, né con Wes. Se è questo che ha importanza per voi." - aggiunse, stringendo le nocche per sentire maggiormente, a contatto con la bocca, la durezza ossea delle sue mani - "Se ho dato quell'impressione, me ne dispiace.

 

Io sono, semplicemente… inutile."

 

La sua affermazione era caduta nel vuoto. E non era parsa reale, per la voce, per gli occhi e per quel spasmodico stringersi le dita.

Come faith, Angel stava ardendo di una tensione senza pari. Angel, che sapeva addentrarsi nel profondo del male, nel buio di Los Angeles per demoni che non aveva mai visto, stava ancora fuggendo da loro.

Come faith sentiva il richiamo di una vita in solitudine, di una vita all'orlo della sua linea d'ombra.

La linea dove, per lungo tempo, Darla l'aveva condotto, nei sogni, con seducenti movenze.

 

"Tu non sei inutile.." - ripetè, con tono sorpreso Cordelia - "Come Wes non è un complottatore e Lorne un complice. Siete persone, è normale che abbiate dei limiti. E poi, io non la farei tanto lunga. Wes ha fatto una scelta, e allora? È una buona idea, non possiamo farne un caso di stato solo perché l'ha presa da solo… non siamo mica un gruppo di formiche! Ognuno pensa con la sua testa ed ognuno fa quello che crede giusto…"

"Io ho sbagliato, Cordy." -replicò Wes, senza nemmeno voltarsi a guardarla. Senza curarsi di Angel, che ancora fissava il tavolo, in preda a pensieri che nessuno poteva seguire - "Ed il mio sbaglio non sta in quello che ho deciso per Faith…ma in quello che avreste provato, se Faith se ne fosse andata. Mi sono preoccupato, stoicamente, di sopportare la mia parte di dolore. E non mi sono curato della vostra, né tantomeno, di quella di Faith. Non mi sono curato di nulla che non fosse semplice e pura soluzione razionale. Non mi sono preoccupato di te, che te ne resti qui sola, di Angel, che ha tirato fuori Faith da guai ben peggiori di quelli per cui è stato necessario il mio aiuto… né di Spike, che ne ricaverà un buco nel cuore che non sarà mai in grado di ammettere, se un minimo lo conosco.

E, sopra ogni cosa, io non mi sono preoccupato di Faith. Non mi sono preoccupato di lei come persona. Ho pensato da Osservatore e non da uomo. Ho negato me stesso e lei nello stesso istante. Destino, Profezie e Cruciamenta non sono più il mio pane quotidiano da tempo. Combatto il male e non mi curo di come lo facciamo, se il metodo è ortodosso oppure no.

E quest'estate, mentre me ne stavo in Inghilterra a respirare umidità e supposizioni ipocrite, per combattere per la mia Cacciatrice… faith stava qui, in balia di un titolo che non si ricordava nemmeno più di avere.

La morte di Buffy ha fatto questo, ha dato un nome ad un istinto. Ha incasellato Faith entro limiti che abbiamo sempre varcato. E l'ha resa sola.

Sola… perché io non c'ero."

Non aveva più voglia di continuare. Non era nemmeno certo di aver detto qualcosa di comprensibile. Era, semplicemente, esploso.

Con il suo modo pacato, aveva vomitato rabbia e dolore su tutti loro, su Lorne, ancora stranamente silenzioso, e su Cordelia, che ancora si domandava dove fosse finita la loro tranquilla serata al tepore del caminetto.

"Nessuno di noi c'era." - mormorò la ragazza, dando forma alla sua parte di colpa - "E faith su una cosa ha ragione…"

 

"Fottetevi. fottetevi tutti." - singhiozzò ancora, colpendolo sul petto. Spike incassò il colpo e alzò gli occhi al cielo, con fare seccato. Non che tenesse veramente alle costole, in quel momento.. ma non gli sarebbe dispiaciuto, con i tempi che correvano, averle intonse.

O,almeno, non così fastidiosamente presenti.

Ancora una volta, con le mani, corse tra i capelli di Faith, fino a stringerle le scapole. Faith stava tutta tra le sua braccia, senza ricambiare quella stretta.

A pugni stretti, il volto ostinatamente chiuso in un sottile e interminabile filo di parole dure e incoerenti.

Incoerenti come la sua vita, quella buffa altalena di rabbia, egocentrismo e solitudine da cui era più volte caduta.

Per poi risalire. E continuare a darsi una spinta, con un vigore che non sapeva di avere.

Che doveva bastarle.

Sola, sempre sola.

Non smetteva di ripeterlo, e non si curava del nervoso che ormai irrigidiva Spike. Sola, dannazione, sola eppur chiusa in un abbraccio tra i più forti mai nati.

Cos'è, Cacciatrice, ti manca il calore? Non mi senti solo per questo motivo? Non sai di essere con me perché la tua pelle non si scalda?

Buffo, forse hai ragione.

Me ne dispiace, cacciatrice. Ma non mi arrendo. E se non posso darti calore, ti darò ugualmente tutto quello che posseggo.

Per farti capire.

E per farti sentire.

E sai perché? Perché sei tu il mio calore. Qui, a centro del petto, dove posi la testa e mi copri di lividi.

Al centro del petto.

E ti dirò di più… questa è l'unica cosa che non ammetterò di certo. Neanche se mi ammazzano.

 

Il silenzio, in cucina, era quasi imbarazzante.

Lo sarebbe stato, se si fosse fatto largo tra le urla dei pensieri di ognuno.

È così strano, considerò Lorne, guardandosi le unghie accuratamente rifinite. Così strano …

"Voi pensate che il cuore vada in una direzione sempre opposta alla ragione." - commentò - "Vi autoaccusate in termini che vi fanno sembrare delle bilance ordinate, con i pesi ben o mal distribuiti.

Ma l'umanità che è in voi, non nasce da questa scissione. L'umanità che è in voi è unione, unione del cuore e della mente, fin nel profondo. Parlate di voi stessi, come di elementi separati.

Angel e il suo demone, wes e l'Osservatore, Faith e la cacciatrice.

Ma non è così che va il mondo. E non è così che si salva l'universo."

"Doyle la chiama la consapevolezza delle parti." - sospirò Cordelia.

"Consapevolezza delle parti… che definizione bellissima, musicale. Voi siete tutto, molto e tutto insieme.

Non potete accusarvi per le scelte di una parte di voi stessi perché non esiste solo quella parte, non dimenticate chi siete solo per quello che provate. O per quello che pensate." - aggiunse, dolcemente. Forse Doyle avrebbe saputo spiegarlo meglio, con quella sua esuberanza e quel suo incrollabile ottimismo. Ma lui, dopotutto, era solo un demone verde, con tanta musica nel cuore. E di più non poteva fare.

È già abbastanza. E Lorne ha ragione.

Non importa quello che abbiamo fatto, o che abbiamo pensato. Conta che siamo ancora noi e, in questo momento, che siamo ancora tutti insieme.

Non più così lontani….

"Sono stati mesi massacranti. Ognuno di noi ha avuto la sua parte di guai. E se abbiamo una colpa per cui guardarci in cagnesco, è stata di non averne parlato uno all'altro" - buon dio, lo stava dicendo sul serio? Proprio lui, signore del silenzio, si autoapostrofò Angel, domandandosi perché nessuno glielo facesse notare - "mi dispiace, non sono stato per niente d'aiuto a nessuno. Buffy è morta ed io.. io mi sono messo di impegno per sopravvivere senza preoccuparmi del fatto che avrei dovuto anche continuare a vivere.

Non mi sono preoccupato di voi, di nessuno di voi…."

Mi fido di voi.

Eppure, quando ho pensato di aver perso Buffy… che strano… ho pensato di aver perso tutto… ho perso tutti voi per una persona che forse non ha più una vera e reale importanza…

Che… disgusto…

 

 

IV

"La verità… è che vi odio tutti."

"Non è vero e lo sai." - ribattè, restando appoggiato al bancone della hall, con le mani in tasca - "comunque sei libera di autocommiserarti finchè vuoi."

Gli sarebbe piaciuto avere una sigaretta.. ma aveva il sospetto che il non trovarle implicasse l'intrusione di un irlandese dagli occhi chiari.

E allontanarsi, anche solo un passo, significa perdere di vista quella pantera. E non sapere più come ritrovarla.

Il soprammobile gli fischiò a lato di un orecchio, preciso e pericoloso.

Ma Spike, un po' per la sorpresa, un po' per quella sua capacità di aspettare fermo i treni in corsa, non mosse un muscolo.

E, ringraziando il cielo di non avere una contusione in fronte, rese i suoi lineamenti ancora più duri e, con un'unica occhiata, fece montare ancor più rabbia nelle vene di Faith.

Sentì il cuore accelerarle e pompare con violenza, infiammandole i tessuti.

Poteva quasi vedere la furia della Cacciatrice, come un'aurea rossa.

L'aveva vista in Buffy, così tanti anni prima da sembrargli un tempo remoto e solo inventato… e l'aveva rivista in Rhonda, se così si chiamava…....o forse Kendra...

"Io ho conosciuto la Cacciatrice che ti ha preceduta…" - mormorò soprappensiero. Non sapeva perché l'avesse detto. Eppure c'era qualcosa…

"E se non mi importasse?"

"magari dovrebbe." - si mosse, camminò verso di lei procedendo su una linea invisibile.

"E perché? Chi si autocommisera va punito con prediche e aneddoti?"

"Ti stai comportando come un'invasata. E, a parte questo particolare, che rende ben poco piacevole la conversazione, non sai più chi sei."

Faith si voltò, fiammeggiando.

"Ripetilo." - ringhiò.

"Ripeterlo?" - Spike spalancò gli occhi, alzando le sopracciglia il più possibile - "Ma io, Cacciatrice, lo urlo anche ai quattro venti tanto ne sono convinto. Non sai più chi sei. Ed è l'unica cosa che rimbomba nella tua testa."

Faith stette zitta, mostrandogli le spalle.

Non aveva voglia di lasciargli vedere il dubbio, in fondo allo sguardo.

E, soprattutto, non voleva cedere.

Cedere alle lusinghe di una splendida oratoria, oppure alla violenza che sembrava montarle da un angolo profondo dell'anima.

L'angolo in cui, giorno dopo giorno, aveva spinto ogni sua delusione ed ogni irritazione, dove aveva nascosto i dubbi e le decisioni sbagliate.

Stava tornando tutto a galla.

In maniera incontrollabile.

"Non voglio ascoltarti." - ribattè.

"E non mi ascoltare." - Spike allargò le braccia, rimpiangendo il fatto che non potesse vederlo, voltata com'era, nemmeno nel riflesso della finestra - "Non ascoltare me, Angel o chi ti pare. Hai deciso che non ti fidi? E non fidarti. Prendi la porta e vattene… oppure resta e cerca di capire chi sei, resta ferma dove ti trovi e scopri cosa hai perso.

E fallo, non aspettare che un altro lo faccia al tuo posto."

"Non ho chiesto nulla a nessuno." - Faith aveva una voce fredda e affilata come una lama - "Proprio un bel nulla."

"Brava. Riguardo a questo puoi avere la mia approvazione." - adesso, il battito furioso che sentiva non era più quello di Faith… ma il suo - "E tutto sommato, non sei tu che non ascolti me.. sono io che non parlo con te."

Sapeva di essere un idiota. La sua vocina lo diceva, in fondo alla mente.

Avere l'ultima parola in una partita già persa era stupido.

E lui, a modo suo, sapeva che Faith l'aveva sconfitto.

Faith era la Cacciatrice che l'aveva battuto.

 

Girò e tacchi e se ne andò.

Quella era decisamente una serata in cui tutti si convincevano di aver fatto buone azioni, serata in cui erano capaci di dire cose vere e poi volersele rimangiare con rabbia e presunzione.

Ma che stava succedendo?

Dannazione, qualcuno doveva pur saperlo!

 

La porta scorrevole non gli diede nessuna soddisfazione. Girò su se stesso, cercando una porta su cardini da sbattere.

E mentre ispezionava mentalmente le altre stanze del pianoterra, fece un altro giro su se stesso.

E si ritrovò di colpo, di fronte Angel.

E saltò, come un gatto.

Per lo spavento.

"Ma che cazzo… Flagello!" - soffiò, furente - "Finiscila di essere così silenz…"

Si ritrovò appoggiato alla parete, con una mano di Angel sulla bocca.

Lo guardò, sorpreso.. gli era sembrato che alzasse gli occhi, mentre partiva con le recriminazioni… ma non che fosse così teso.

 

Angel, con occhi scuri come inchiostro, si portò un dito alle labbra, intimandogli il silenzio.

Con una lentezza impressionante.

Spike lo guardò ostile. Poi, sentendo la sua mandibola ancora stretta in una morsa, annuì, imbronciato.

Ed Angel, con tutta la calma studiata di questo mondo, tolse la mano, mantenendosi, comunque, pericolosamente vicino.

"E' ancora di là?" - chiese, sottovoce.

Non voleva che faith lo sentisse.

"Potresti anche urlare." - ribattè Spike, sicuro di quello che stava dicendo, ma comunque sottovoce - "Tanto non sente nulla, nemmeno se stessa, tanto è arrabbiata."

"Lo so che è arrabbiata." - commentò Angel, fissando la porta come s potesse vederci attraverso.

È arrabbiata con me. E con Wes.

Non ci vuole molto a capirlo, solo che…

Ancora una volta, Angel pensò a suo padre. A suo padre che gridava e lo feriva. E a se stesso, impegnato nello stesso gioco. Un gioco che aveva distrutto entrambi.

Ed ora, per quanto, con cipiglio ancora filiale, Angel continuasse a ritenerlo in torto su molte cose… non poteva che chiedersi, con un attimo di dubbio, se fosse così oscuro e privo di scrupoli come l'aveva sempre visto.

Faith l'aveva accusato di non vedere veramente cosa fosse e cosa volesse… e lui, secoli prima, aveva respinto un uomo ormai polvere allo stesso modo e con la stessa dura disperazione.

Rimase in attesa, voltando la testa, ed ignorando Spike.

Fino a sentirsi chiamare.

"Io credo che non volesse veramente zittirti in quel modo." - gli disse Spike, mantenendo lo stesso tono confidenziale - "E' che.. non sa cosa vuole.. ma sa cosa sta perdendo."

Angel lo voltò, guardandolo veramente.

Esortandolo con lo sguardo ed il silenzio a continuare.

E Spike, con un gesto che sapeva di tolleranza, si concesse.

"si è sentita persa in un momento in cui avrebbe preferito essere seguita." - spiegò, gettando le parole fuori, in un soffio, come se fossero un segreto a stento confessabile - "Eravamo tutti con la testa altrove, quest'estate.. io manco c'ero…e tu…"

si interruppe. Qualcosa, per una volta tanto, gli diceva che non era una buona decisione aprire la bocca e dire la verità.

"Già. Io." - sottolineò, cupo, Angel.

Solo allora si accorse che teneva una mano appoggiata alla parete, molto vicino alla testa di Spike. Come quella sera, quando, per un soffio, per destino o imprecisione, non gli aveva disfatto il viso.. e forse anche il prezioso cervello.

Una mano sulla parete.. c'era stato sangue, allora. Un sangue prezioso che aveva versato, senza rendersi conto. Un sangue prezioso come quello che Faith aveva lasciato sui prati di Sunnydale, in una tiepida notte di settembre.

Sangue che forse non sarebbe scorso se lui non avesse avuto, come sempre, l'occhio puntato verso il suo dolore. Vivere, non sopravvivere.

Lui… lui aveva dimenticato di occuparsi dei suoi ragazzi. Di quei due delinquenti che lo seguivano passo dopo passo, litigando e discutendo.

Aveva dimenticato Wes, in un angolo buio di una biblioteca… l'aveva dimenticato per così tanto tempo da non sapere dove stesse andando. Aveva dimenticato tutti loro ed ora, poco alla volta, finivano per inabissarsi in loro stessi.

Tutto per colpa di un cuore dannato… un cuore che aveva ascoltato nel suo monotono battere, dimenticando quel pulsare irregolare delle loro esistenze, quel pulsare vitale…

"Non essere duro con te stesso."

Ancora una volta lo fissò, fin dentro alle profondità azzurre. Ancora una volta si stupì dell'intuizione che vi risiedeva.

 

Spike si era presto interrotto, nel rendersi conto di parlare inascoltato. Aveva seguito lo sguardo fisso di Angel, fino a focalizzare quella mano a palmo aperto, così vicina al suo zigomo. Avesse girato ancora un po' la testa, ne avrebbe sfiorato il pollice.

E così come era in grado di seguire una sguardo, si era addentrato dentro un pensiero, dentro un ricordo.

E non era poi stato così difficile capirlo, ancora una volta.

 

"come?" - Angel si riscosse, riprendendo coscienza di se e delle sue azioni.

L'aveva fissato, forse a lungo, dentro quegli occhi..

Aveva ricordato il desiderio di accecarlo, di non vedere più la sua offensiva e dannata consapevolezza, l'istinto del suo demone sopito di piegare e sottomettere quel giunco d'acciaio.. quel "chiodino"…

Spike lo fissò, accennando un sorrisetto ironico. Con il dispiacere di non poterlo servire con una battuta.

Ho detto, replicò, di non essere duro con te stesso.

"Quel che è successo a Buffy è stato orribile. Non contano le intrusioni esterne. Tu sai quanto me che la morte dovrebbe essere definitiva che non c'è nulla di più sbagliato che ritornare. Anche se, nel caso di Buffy, sono contento che sia successo. Ma allora, quando l'ho vista schiantarsi giù da quella torre, mi sono sentito bruciare dall'interno.

Un fuoco che non si spegneva…

E che è andato avanti un bel pezzo ad ardere.

Ancora adesso mi capita… e non sono abbastanza egocentrico da ritenere di provarlo solo io.

Tu senti questa pulsazione… l'hai sentita allora,intensamente , e lei è divenuta parte di te.

Non sei morto con lei… ma solo adesso stai tornando anche tu a vivere."

Si morse la lingua, seccato, interrompendosi.

Perché aveva detto tutte quelle idiozie.

Perché con quel trasporto… forse per ricambiare quel suo comprendere taciturno.. forse, per provare a ricambiare.

 

Angel non si era perso una parola. Le aveva sentite entrare e scendere giù per la gola, fino a fermarsi, in un unico impossibile nodo.

Aveva capito, sperava di aver compreso tutto.

E sapeva che, se avesse mai risposto a quelle parole con altre, dal cuore, lui e Spike avrebbero litigato, di brutto.

Rifiutandosi di ammettere, per una volta in vita loro, di essere andati, con il cuore e la mente nella stessa direzione.

 

Spike si appoggiò più comodo alla parete, con un gesto sbruffone.

E ruppe l'incanto, con una punta di sollievo.

"Allora." - esordì, piegando la testa divertito - "Ci vai a parlare o piangi un po' picchiando il tuo amico Spike?"

Bhe, un pugno… un pugno solo…

"Non ti picchio." - sospirò Angel, raddrizzandosi. Levando la mano da quella parete e dai ricordi scomodi - "E, soprattutto, ti comunico che non ero in vena di confidenze. Ho bisogno un favore."

"E sarebbe?"

"Devi parlare con Wes…."

"Ma manco per sogno!"

"William.. io devo occuparmi di Faith." - e, vista l'occhiata venefica che si beccò, aggiunse - "Posso farcela. Ma qualcuno deve parlare con Westley."

"Manda Doyle. È lui che ama le strade impervie."

"lo farei anche. Ma non posso. Per due motivi. Il primo è che non so dove sia ed il secondo…" - si morse le labbra, sperando che Spike non scegliesse come risposta un'ululante risata di giubilo - "che non mi sembra carino mandargli un irlandese a fargli la predica."

Non rideva.. ma solo perché la sua bocca si era animata di vita propria decidendo di restare spalancata a metà di una polemica.

Con occhi sbarrati per contorno.

"Stai dicendo sul serio?" - era sconvolto. Sbalordito.

E non era mai stato così in tutta la loro interminabile convivenza a suon di litigate e discussioni.

"Tu riconosci finalmente che noi inglesi abbiamo un modo civile di esprimerci e comprenderci che voi irlandesi non avete mai imparato?"

Decisamente una frase che solo un essere non respirante poteva pronunciare a quella velocità..

"Adesso non ti allargare." - replicò Angel, cominciando a sentire il Danny Boy suonargli così forte nelle orecchie da assordarlo.

Bel colpo.. tradisco la patria mia per una crisi di famiglia…

Se questo non è il trionfo della ragione sul cuore…

"William, me lo fai questo favore oppure no?" - chiese ancora.

"Ma penso proprio di sì." - replicò l'altro - "E mica per quel tuo casinista d'osservatore. Solo perché la tua motivazione è una delle cose più belle che abbia mai…"

"Spike. Finiscila." - Angel gli infilò a viva forza qualcosa in mano - "Abbiamo entrambi da fare."

"Che cos'è?" - chiese Spike,prima ancora di tastare e guardare ciò che teneva tra le dita. E che, alla prima pressione dei polpastrelli, esalò un lieve aroma di tabacco. Le sue sigarette.

"Erano in cucina. Te le stavo portando quando…Bhe, lasciamo stare." - Angel fece un movimento rassegnato con la mano. Quel breve interludio con Spike, come suo solito, li aveva allontanati dai problemi immediati. E, soprattutto, dalla loro rispettiva angoscia.

"Che pensiero gentile…" - commentò l'altro, rigirandosi in testa l'inno inglese per un ultimo attimo di tripudio. Prima di tornare serio. O quasi - "Credi che mi serviranno?"

Angel era ad un passo dal varcare quella soglia. E non aveva voglia di fermarsi, nemmeno per un istante.

"Credo proprio di sì." - commentò, senza voltarsi indietro. E sapendo perfettamente che, come lui, spike si era già avviato per la sua strada.

 

 

V

Resterò qui.

Ferma dove sono.

E aspetterò che mi passi, poi andrò via.

Andrò via.

 

Le ginocchia le si erano piegate. E, sotto il peso di quella decisione, finì, quasi con un tonfo, sul pavimento della hall.

Si sedette e piegò le ginocchia, stringendosele al petto.. come si era seduta quella notte, in preda al tremito incontrollabile.

Come quando, alzando la testa, aveva visto Angel saltare il cornicione e trovarla.

 

Angel.

Angel mi ha ritrovata sotto la pioggia.

Ma oggi non verrà più a cercarmi.

Perché… perché è come tutti gli altri.

 

Spike aveva ragione. Avrebbe potuto anche urlare. Non avrebbe sentito nulla.

A pochi metri da lui, del tutto ignara,c'era Faith.

Solo adesso, fissandola, non visto, si rese conto dei capelli lunghi, quasi in fondo alla schiena e di quanto fosse mutata la sua fisionomia..

Dalla prima volta che l'aveva vista, a Sunnydale, dalla prima volta che l'aveva baciata…

D' un tratto quel bacio estorto con l'inganno gli apparve incestuoso.

Incestuoso e falso.

Il sindaco si era rammaricato che tra lui e Faith non avesse funzionato. Ma la sua demoniaca mentalità limitata non avrebbe mai potuto immaginare epilogo differente.

Forse, anche, perché allora, il sindaco Wilkins aveva fatto per fatto ciò che ora era competenza di Angel.

Amore, protezione e senso di sicurezza.

 

Solo che, forse, Angel aveva sbagliato ben di più con Faith.

Così tante volte da non ricordarle neppure.

Eppure lei gli aveva sempre creduto.

Aveva sempre rialzato il viso illuminandosi, nel vederlo, nel parlargli…

Senza sapere quale dolorosa felicità gli provocasse.

 

Cosa sarei, senza di te…

Saresti Angel.. ed io non sarei nulla…

 

Ti sbagli, Faith. Senza di te sarei ancora soltanto Angel…

 

Si appoggiò alla libreria e incrociò le braccia. Nella biblioteca c'era ancora lo stesso identico disordine in cui l'avevano abbandonato, non meno di due ore prima.

Il buon vecchio William aveva ragione, dopo tutto… bastano poche ore per consumare un dramma…

Con gesti curati e perfezionati dal tempo, Spike si accese una sigaretta, facendo scattare l'accendino.

Aspirò e, con la prima boccata, soffiò fuori la sua ironia.

"Versiamoci un bicchiere e facciamo due chiacchiere, compatriota."

"Se sei venuto a spargere sarcasmo, sappi che non è giornata." - Wes gli dava le spalle, sistemando metodicamente alcuni libri.

"Ma quanto poco mi conosci… non sparo mai sulla croce rossa…"

Wes posò i libri sul tavolo, prima di appoggiarsi pesantemente, con entrambe le mani. "Io so molte cose di te, Spike." - commentò, girando appena la testa - "E so che è tua prerogativa essere convinto di portare grandi verità a spasso.

Ma quello che sto per dirti avrà per te dello sconvolgente… non sei il solo con le risposte."

Si era voltato, fino a trovarsi a pochi passi, ed aveva incrociato le braccia, prima ancora di finire la frase.

E Spike, con un sorrisetto beffardo si rizzò, andandogli di fronte.

"Price, a me sta bene. Se hai risposte per la questione anche meglio. Ne serviranno parecchie. Se non vuoi sentirmi parlare, tanto meglio, risparmio le mie forze. E se quello che vuoi è una rissa tra pari, intona 'Dio salvi la regina' e prenditi i pugni che ti meriti."

Wes non battè ciglio, davanti a quel vampiro poco più basso di lui e certamente più letale di quanto potesse immaginare.

"E da quando mi ritieni un pari?" - domandò, con durezza.

Sono solo quel bibliotecario di Wesley. Sono Whydam-Price, quello che inciampa nei suoi piedi. L'hai dimenticato?

Spike lo squadrò, dagli occhi chiari alle braccia conserte.

Prese una lunga boccata e sbuffò fumo, verso il basso, curandosi di non sembrare offensivo. Poi, rigirò la sigaretta tra le dita, pensieroso.

"Cosa ti fa pensare" - disse, alzando la testa per fissarlo, di sbieco - "di non essere un pari?"

e si mosse, passandogli a fianco, andando verso il tavolo per aprire uno dei testi che sarebbero dovuti tornare sugli scaffali. Lo aprì e lo sfogliò.

"Io, al contrario di quello che immagini, ho molto rispetto per gli intellettuali." - alzò la testa, scrutando le alte scaffalature di noce scuro, così Vecchia Inghilterra - "Avrei voluto passare la mia vita tra i libri. Avrei voluto finire nei libri, addirittura. Ma nella vita, non sempre si fa quello che si vuole…."

Lo disse senza amarezza, come una placida constatazione, un fatto ormai accettato. Senza alcuna ribellione.

"E tu, Price, volevi fare veramente l'Osservatore o è stata un'imposizione?"

Wes non si era mosso. Forse aspettandosi una nuova provocazione. Ed ora, girandosi in modo studiato, senza rinunciare alle braccia incrociate.

Spike si accorse, di quel lievissimo rilassamento del suo interlocutore.

E attese.

"Nessuna imposizione." - Wes scosse il capo, per sottolineare il fatto - "Scelta personale. Vocazione, se vuoi."

"In effetti, lo ritengo un termine appropriato." - concordò Spike - "fare l'Osservatore è una vocazione. Ma ci vuole fede… tu in cosa credi, Wes? Segni, libri o persone?"

"Credo nel comprendere." - commentò Wes, scrutandolo - "E questo direi che riguarda tutti i tre i campi."

Spike, sorrise di rimando, con un piccolo cenno di assenso. E si stiracchiò, allungando le braccia e andando a mettersi più comodo, in una della poltrone.

"E allora dimmi cosa hai compreso…" - aggiunse, invitante, con il suo solito sorriso. Era una vera sfida. Mai avrebbe pensato di poter avere un testa a testa con Mister Westley Whydam-Price.

Sapeva di non essere stato mandato lì per comportarsi in quel modo… ma sapeva anche di non conoscerne veramente un altro.

Non era un confidente, non lo sarebbe mai stato.

Era solo uno capace di prendere la vita senza scorciatoie.

"Spike, dimmi una cosa…" - chiese Westley, appoggiandosi allo schienale della poltrona di fronte, in una posa del tutto simile a quella di Angel - "Dove credi di andare a parare?"

Che stai cercando di fare?

Bella domanda, Osservatore… trova una risposta per entrambi, e poi fammela sapere. "Io? Oh, bella, sono qui per parlare…."

"Io ho ben altro di cui occuparmi." - commentò allora il suo interlocutore, raddrizzandosi e movendosi verso la porta.

Non scendere, gli intimò Spike. C'è Angel con lei…

E Westley si fermò. Ancora una volta.

"Tu pensi che la farà ragionare?"

Non c'era rabbia, o sarcasmo in quella domanda. Era la voce di chi vorrebbe avere un appiglio. O almeno una conferma.

"Non lo so." - ammise Spike, ricambiando la sua serietà - "Non so se si tratta di ragionare. Io credo che, come hai detto, si tratti di comprendere."

E poi, incontrando lo sguardo dell'Osservatore, per la prima volta, aggiunse: "E Faith, in questo momento, deve ripartire da zero. E comprendere se stessa."

Si sporse, spegnendo il mozzicone nel posacenere. C'erano i resti di un'altra sigaretta, accartocciata, spezzata con rabbia.

Era una delle poche cose che lasciavano trasparire l'inquietudine di Doyle, si soffermò a pensare Spike. Domandandosi dove potesse essere… prima di riaprire bocca.

"Come, del resto, lo dovresti fare anche tu." - aggiunse.

"Come, prego?"

"Ti ricordi veramente chi sei?" - Spike allungò le gambe e le braccia, nelle direzioni opposte - "permettimi i rinfrescarti la memoria. Tu sei Westley Whydam-Price, Uomo e Osservatore. Quando hai smesso di essere uno dei due?"

"Mai."

La risposta fu ferma e salda, quasi lo colse di sorpresa.

"Bravo. Risposta esatta." - bluffò, prontamente - "Ed allora dimmi perché adesso sei così duro con te stesso, se la risposta è così certa."

Esitò, davanti a quella constatazione.

"Tu non stai facendo lo sbruffone con me. Ma con te stesso. Ti stai convincendo che io ti sia ostile." - si sporse, posando studiatamente i gomiti sulle ginocchia. Per trapassarlo con un'occhiata delle sue - "Anche io so di te molto più di quanto pensi, Wes. E credo che tu sappia di aver tirato la corda… con te stesso, il consiglio e Faith."

Saltò in piedi e gli arrivò a pochi passi. Era a portata di pugno. Pregò sinceramente che scattasse per colpirlo, così da atterrarlo. E da sbriciolare le sue barriere.

"L'ubiquità non è tra le tue doti, Price. Dovevi accorgerti prima di questo fatto. Negli ultimi sei mesi abbiamo giocato tutti a nascondino, uno con l'altro. Ed ora paghiamo, chi prima e chi poi. E tu? Pensi di uscirne indenne?"

ma Wes non pensò nemmeno di rompergli il naso. Rimase dov'era, le mani intrecciate, appoggiato allo schienale della poltrona.

"Apprezzo quello che stai facendo." - mormorò, educato e pacato - "Ma non ho intenzione di scoppiare a comando."

 

Una frustata sul suo ego.

Ecco cos'era quell'uomo.

Spike inclinò la testa indietro e scoppiò a ridere.

"Sei impagabile, Price." - lo squadrò, vedendo apparire il sorriso soddisfatto di chi ha vinto una partita - "Allora nessun tracollo?"

"Assolutamente neanche uno." - Wes scosse la testa e sorrise, apertamente, rivelando quella tempra d'acciaio che teneva ben nascosta.

In altri frangenti, probabilmente, Spike sarebbe stato furioso. Del resto, era molto tempo che non incontrava un avversario degno della sua oratoria.

Scosse la testa divertito, mentre Wes tornava a impilare libri e a rimettere sullo scaffale quelli abbandonati.

Sicchè, rassegnato della sua sconfitta, Spike si sedette sul tavolo, passandoglieli di tanto in tanto e domandandosi se, al piano di sotto, se la sarebbero cavata così a buon mercato.

 

Camminò, lento, fino a trovarsi alle sue spalle. A pochi passi da lei.

E capì che adesso se ne era resa conto.

Era come se, in lei, tutto si fosse raggelato. Era come un gatto, a orecchie basse, in attesa del pericolo.

Immobile, tesa.

E fu per quel motivo che, resistendo al desiderio di inginocchiarsi e stringerla, rimase dove si trovava. In piedi, le mani in tasca.

Perché erano tornati quelli di prima. La cacciatrice ed il vampiro.

La storia non sembrava finire mai.

Pochi passi avanti, in mezzo agli uomini… e poi, nuovamente indietro.

"Io non so quando è salito questo muro tra noi. Ma non voglio che duri." - lo disse pacatamente, cercando di reprimere la nota ferrea che gli era risuonata nella voce.

Ma a Faith non importava. Che fosse implorante o rabbioso, non voleva rispondergli. Chiuse gli occhi, stretti, per impedire alle lacrime di traboccare. Poi inalò a fondo, e tornò ad essere Faith.

"Non so di cosa stai parlando. È solo una giornata no. Domani sarà passata."

Non si illudeva di aver nascosto il tremito della voce, ma solo di essere sembrata inavvicinabile.

Eppure, mentre si convinceva di non voler cedere, la memoria le giocò un brutto scherzo…

Si ritrovò, per un attimo, di fronte alla porta, a quel singolo attimo di esitazione…

 

Ma fu il porre la mano sulla maniglia del portone a darle l'ultima consapevolezza. Poteva non tornare.

Per la prima volta, la prima volta in assoluto, ne fu dolorosamente certa. Sarebbe potuta non tornare… era uscita da quella porta, correndo, piangendo. Era uscita e non aveva pensato a quanto fosse sicuro per lei quel grande albergo pieno di spifferi.

Spifferi… e persone. Sostò sulla porta, la mano sulla maniglia. Aveva paura di quello che era là dentro. Era realmente quello che voleva. Era davvero la casa dove c'era un posto per lei?

Forse non avrebbe dovuto abbassare la maniglia.

Non avrebbe dovuto.

E la maniglia le sfuggì di mano, le venne strappata dalle dita, mentre la porta si spalancava, inondando di luce il suo angolo buio.

Mentre le braccia di Angel forti e rassicuranti la stringevano, in una morsa di puro amore.

 

Non aveva mai saputo come avesse saputo di quell'esitazione…

L'aveva vista arrivare?

L'aveva sentita?

Come era…

 

"Angel…" - lo sussurrò quasi, acquistando parola dopo parola la coscienza della propria voce - "Come hai fatto, quella volta…"

si interruppe. Ed Angel si tese, cercando disperatamente un appiglio…quale?quale volta? E, se l'avesse chiesto, cosa sarebbe successo?

"Come facevi a sapere… quando sono tornata da Sunnydale…" - riprese, con lentezza, strofinandosi la faccia - " come sapevi che non sarei più entrata…"

Che mi sarei girata per andare via, già allora.

Che volevo andare via…

"Perché mi hai fermata…" - aggiunse, lasciando di nuovo spegnere la voce. E girando appena la testa.

"Perché…" - Angel chinò il capo, cercando parole di cui non aveva bisogno.

"Perché hai ripreso me ed i miei casini…" - singhiozzò Faith, girandosi a guardarlo - "Perché non hai lasciato che me ne andassi. Non saresti qui, adesso, non avresti problemi e non li avrebbe nessuno."

Si asciugava la faccia con forza, premendo la pelle, con le unghie e i polpastrelli. Seduta a terra, dov'era, lo fissava, dal basso.

Con lo sguardo bagnato di pioggia… come allora.

Ma che cosa stava succedendo… non c'era più controllo, nulla, assolutamente nulla.

Non faceva altro che sentire le urla di faith, come allora… anche se adesso c'era il silenzio tra loro.

"Faith…" - mormorò, accoccolandosi sui talloni. Non l'avrebbe lasciato avvicinare, lo sapeva - "io ero qui. Ero qui ad aspettarti e ti ho sentita. Ti ho sentita dietro la porta, ho sentito il tuo cuore…"

Tese la mano, fermandosi poi, con le dita leggermente protese.

"Eri tornata, ed io pensato che… di non poter aspettare che tu entrassi. Che eri troppo vicina, per non…"

e gli mancò la voce. Qualcosa l'aveva preso, al centro del petto. Come un dolore fisico, facendolo piegare su se stesso. Appoggiò una mano a terra, in cerca di un sostegno che fosse più psicologico che fisico.

"Quando ho perso di vista ciò di cui avevi bisogno. Quando mi sono perso nei miei pensieri tanto da non saperti più ritrovare. Perdere Buffy…"

Si interruppe. E lo sguardo di faith tornò ad asciugarsi.

 

Riacceso di quella rabbia.

 

Buffy. Ci sarebbe sempre stata Buffy tra di loro.

 

Scattò in piedi e per un attimo troneggiò su di lui, con il pugno alzato.

Tra loro passarono fuggevoli le immagini, i loro combattimenti, le loro guerre personali. Le loro guerre, uno contro l'altro.

Ed Angel prego, pregò di ricevere quel colpo. Di sbattere contro la realtà dei fatti.

Ma non accadde.

Faith distese lentamente le braccia, fino a farle ricadere contro i fianchi.

Angel, nuovamente in ginocchio di fronte ad una Cacciatrice.

Ma lei non era Buffy.

Non avrebbe avuto il perdono, per un colpo di spada nel cuore.

Poi Faith si voltò e corse.

 

E quel dolore, in fondo al petto di Angel, esplose, con una violenza tale da divenire urlo.

 

"Perdere Buffy è nulla in confronto al perdere te."

 

La vide fermarsi. Arrestarsi come se una barriera invisibile fosse sorta, tra lei ed il mondo esterno.

Sentì passi di corsa, alle sue spalle. E vide Wes, Wes saltare giù dall'ultima rampa di scale e passargli a fianco.

Il tempo si dilatò all'improvviso, spezzando il respiro a Cordelia, accorsa all'urlo di Angel.

 

Wes percorse con poche falcate l'entrata e sbattè con violenza la porta, strappandola dalle mani di Faith. Non preoccupandosi del crepitio di vetri rotti, sotto le sue mani, dietro la sua schiena, quando ci si appoggiò pesantemente.

Rimase fermo a fissare Faith, ansimando.

 

Ma Faith non lo vedeva.

Il suo sguardo era divenuto fisso.

Colpita.

 

Con una lentezza impressionante, voltò le spalle a Wes. Girò su se stessa e guardò Angel, ancora in ginocchio, spezzato.

Come se gli fossero mancate le forze all'ultimo, per seguirla.

Come se si fosse spezzato all'interno delle parole che non si erano dette, dentro quel silenzio cresciuto a dismisura sotto i tetti dell'Hyperion.

Angel stava immobile, con il viso alzato verso di lei.

 

"Perdere Buffy è nulla in confronto al perdere te." - lo sentì ripetere, rauco.

 

Con lo stesso controllo malfermo della voce… lo stesso che Faith sapeva di aver provato.

La stessa natura del loro dolore….erano uguali.

Per la prima volta, quella verità la colpì, facendo di lei una colonna di ghiaccio, diramandosi dal centro dello stomaco, come il dolore di un pugno ben assestato.

Lei ed Angel erano uguali.

Lo stesso silenzio, la stessa rabbia che consumava all'interno, due volti e due modi di reagire per uno stesso dolore.

 

Ti prego, Faith, credimi, per piacere…

 

Per piacere.

 

Angel implorava.

 

E adesso, per Spike, fermo ai piedi della scala, giunto all'inseguimento di Wes, quel fuggevole commento di Angel, di pochi momenti prima, assumeva un vero significato.

Posso farcela.

Posso farcela in che senso, Flagello.

Cosa, in cosa sentivi di poter fallire…

Non sapevi che lei è la tua bambina e non può lasciarti, non sapevi sul serio che non sempre dai genitori si fugge?

 

Faith era tornata indietro, con una lentezza impressionante…ed era scivolata a terra, di fronte a lui. Allungando le braccia, stringendolo, guancia contro guancia.

"Non mi lasciare, ti prego, non mi lasciare…" - singhiozzò, piegandosi finalmente al dolore e non più alla rabbia. Lei, lei che voleva fuggire, ora implorava per non esser lasciata sola - "Mi dispiace, Angel, mi dispiace tanto…"

Stretti. Il dolce ed essenziale ritrovarsi degli abbracci.

La Cacciatrice e il Flagello, un unico fagotto di vestiti e lacrime.

 

Wes non si era mosso. E rimase sorpreso, quando a fianco, si ritrovò il vampiro biondo. Lo fissò, mentre si fermava, scostando incurante i cocci a terra, con la punta dell'anfibio.

"Nei prossimi tempi, Price, avrai bisogno un alleato… e credo che mi offrirò volontario…" - sospirò, gettando ancora un'occhiata a quella scena struggente - "Ho sempre amato le sfide… e soprattutto i guai."

 

Cordelia si voltò, sentendo passi alle sue spalle. E vide apparire Doyle. Arruffato e silenzioso.

Lo guardò, mentre si avvicinava e la affiancava.

"Non possono separarli, Doyle. Non possono, dobbiamo impedirlo."

"Lo so, sto facendo l'impossibile. L'impossibile, Cordelia."

L'aveva chiamata per nome. Come non faceva da tempo. Con un tono di voce deciso, come se la loro difesa fosse già una realtà di fatto.

Non aggiunse altro, nel puntare gli occhi verso quelle due anime perse.

E rimase immobile con, nella mente, la voce pacata della loro salvezza d'oltreoceano.

 

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Capitolo 16
*** 16. Legami di Sangue ***


Legami di Sangue

 

I personaggi delle serie "Angel" e "Buffy, the vampire slayer", appartengono a Joss Whedon, la WB, ME e la Fox, l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

 

Colpi. Regolari.

Uno, due, uno due.

Spike si levò lo spolverino, abbandonandolo su una sedia. Spolverino che Cordelia recuperò, aggiungendolo alla pila di vestiti che portava in mano.

"Ma Angel è già tornato?" - domandò Spike, rendendosi finalmente conto della provenienza del suono dal seminterrato.

"Come?" - Cordelia aggiunse un altro paio di magliette alla pila e si incamminò - "Ah, no. No, Angel non c'è. È Doyle."

"Come sarebbe a dire 'è Doyle'!" - Spike le urlò dietro - "Ma stai parlando di Francis Allen 'pantofola' Doyle?"

Ovviamente Cordelia, diplomatica sotto il bucato, lo ignorò, avviandosi su per la scala.

E spike si dovette decidere a verificare di persona l'incredibile scoperta.

 

Al piano di sotto, con metodo, Doyle picchiava il sacco. Aveva un'espressione corrucciata, strana.

Di certo rifletteva. E non sulla tecnica migliore di pugilato.

"Sei anomalo che una mela su un fico." - commentò Spike, fermandosi alle sue spalle.

"Ciao Spike." - replicò Doyle - "Già tornato?"

"Là fuori è un mortorio… soprattutto dopo che sono passati Faith e Angel." - commentò, girando tra le mani un coltello da lancio, prima di riposarlo dove l'aveva trovato - "Sono ancora un po' tesi… Wes?"

"Ha telefonato. Dovrebbe essere atterrato circa venti minuti fa. Arriverà." - un altro pugno e un'alzata di spalle, per contornare l'informazione.

A quel punto, Spike gli girò attorno e cominciò a tenergli il sacco.

"Sentiamo, che ti succede."

"Nulla."

"Ah, nulla."

"Ho detto nulla."

"Lo so, ti ho sentito. Hai detto nulla. Nulla e poi?"

"Avevo bisogno di pensare." - tagliò corto Doyle, continuando ad alternare un destro e un gancio.

"Tu pensi con il Whisky. Chi pensa con i pugni è uno arrabbiato."

"La mia visione era esatta?" - ribattè il demone, ignorandolo e andando avanti nella sua opera di distruzione.

"Perfetta, con dovizia di particolari." - rispose l'altro - "Mi aspettavo più sangue, ma Angel ha detto che andava bene così…"

"Meglio." - spostò il peso e tirò un altro destro - "Meno sangue mi mette sempre di buonumore. Come mai sei qui?"

"sono andati a fare una ronda distensiva. E poi è bene che si parlino il più possibile."

"Giusto." - un altro colpo - "Più che giusto."

"Però, per essere un tappetto sei forte." - commentò, poggiando la spalla contro il cuoio per limitare il contraccolpo.

"Con il prossimo sbaglierò mira." - lo avvertì Doyle, colpendo di nuovo. Solo adesso Spike notò che tirava senza guanti, semplicemente con le fasciature - "Comunque grazie."

"Ma ti pare. Adesso, se finiamo con i preliminari, potresti dirmi cosa hai."

"Aspettavo una telefonata. Non l'ho ricevuta." - rispose, ermetico.

"In compenso ha chiamato Wes." - ricapitolò Spike, girando attorno al sacco.

"Sì." - un pugno meglio assestato degli altri - "Ha chiamato Wes."

"Ok. Adesso smettiamola." - con un movimento deciso si antepose tra il sacco e Doyle. Non era certo dei suoi riflessi, ma lo fece ugualmente - "Cosa ha detto Wes per farti imbestialire?"

Doyle si fermò un istante, ansimando leggermente e rivelandosi sudato fino ai mocassini. Non lo degnò di uno sguardo. Girò attorno a lui e al sacco e ricominciò a menar le mani.

"Nulla che già non si sapesse." - rispose - "E nulla per farmi imbestialire."

Spike girò gli occhi al cielo e ricominciò a bloccare il sacco.

"Nulla di nuovo sul fronte, allora?"

"Nulla. Di nulla. Di nulla." - tre parole, tre colpi - "Wes ha detto che ha un po' di materiale e deve lavorarci. Ha parlato di un legame di sangue e ha invocato gli avi di Travers in maniera poco ortodossa."

"Tutto qui?"

"Non c'è sempre qualcosa dietro, Spike." - sorrise Doyle, spostando di nuovo il peso - "Ogni tanto le cose stanno come stanno. Se vanno male vanno male, se vanno bene … vanno bene."

"Amen." - concordò Spike, annuendo - "E dove si mette in un contesto del genere un mezzo demone pantofolaio che finge di odiare un sacco di segatura?"

"Attento." - Doyle si fermò di botto - "Così mi offendi."

Per poi riprendere.

"E chi doveva chiamarti?"

"Come?"

"Hai detto che aspettavi una telefonata."

"Chi, io?"

"Si, Doyle, tu. Hai detto che aspettavi una telefonata." - ricapitolò diligente il vampiro - "Chi doveva chiamarti?"

"Mmm… sì, può darsi…"

Eccolo. C'era di nuovo Spike tra lui e il sacco. Era assolutamente impossibile.

"Mi hai dato una risposta senza senso." - lo accusò.

"Non mi sembra." - replicò, asciugandosi la fronte e posando le mani fasciate e doloranti sui fianchi. Indicò con la testa - "Che ho detto che non andava?"

"Hai detto può darsi." - ripetè Spike, come se spiegasse ogni cosa.

"Ah si. E perché?" - doyle si strofinò la nuca, aggrottando la fronte.

"Perché cosa?"

"Non lo so, sei tu..."

"Io, io cosa?"

"Spike! Ma si può sapere dove hai la testa?" - domandò Doyle, spazientendosi - "Parli, vuoi risposte… ma se non mi fai le domande in modo comprensibile come faccio a…"

"Ma per piacere!" - sbraitò Spike, con aria sbalordita - "Non mi stavi ascoltando, ammettilo e facciamo prima."

Doyle ci pensò su, guardò in alto le macchie sul soffitto. Poi annuì.

"E' vero." - rispose, ricominciando a pestare - "Non ti stavo ascoltando."

Basta.

Ci rinunciava.

Alzò le braccia in segno di resa e si girò, per tornare di sopra. Fermandosi solo quando si sentì chiamare.

"Ah, Spike." - Doyle lo fissò, appoggiandosi al sacco - "Che cos'era che volevi sapere?"

 

"Ma si può sapere che gli prende?" - domandò Spike, entrando in cucina.

"Non lo so. So che non gli si può parlare." - rispose Cordelia, continuando a pelare carote - "Gli passerà."

"E non ti preoccupi?"

Cordelia lo guardò sorpresa.

"E perché? Non è ubriaco e sta pure facendo un po' di moto… non posso volere di più." - spiegò, continuando la sua opera - "Certo, sarebbe meglio si applicasse con regolarità… ma non si può avere tutto dalla vita."

Concluse filosoficamente, trasportando tutte le verdure sopra il lavandino.

"Pazzi. Vivo con un branco di pazzi." - Spike scosse la testa e si servì abbondantemente dal freezer. Sbattendo poi il saccheggiato direttamente nel microonde.

"Ma parla per te." - lo mise a posto la ragazza, passandogli anche un tazzone - "Ecco, tieni."

In quel mentre si sentì sbattere la porta.

"E' Wes." - mormorò Cordy, con una punta di apprensione nella voce.

Ed anche se l'Osservatore stava venendo decisamente verso di loro, mollò lo strofinaccio sul tavolo, e gli andò incontro.

"Ciao, Cordy." - mormorò, dandole un abbraccio fuggevole nel mollare il borsone militare sul divano - "Ciao Spike."

"Price…" - salutò il vampiro, restando sulla porta della cucina.

L'Osservatore si doveva essere perso gli occhiali tra l'America e l'Europa. Insieme al rasoio, al pettine e alla giacca di lana inglese.

"Novità?"

"Nessuna di quelle che vorremmo noi." - replicò, sbrigativamente- "lasciatemi il tempo di fare una doccia, poi vi racconto."

 

Wes aveva raccolto i suoi bagagli ed era andato al piano di sopra. Spike e Cordy, invece, se ne erano tornati in cucina, lui seduto come suo solito sul ripiano, lei tristemente davanti ad una tonnellata di insalata da pulire.

Poi, ad un tratto, suonò il telefono e Cordy rispose, gettandosi in una conversazione piuttosto fitta con Lorne.

E, inevitabilmente, si materializzò Doyle.

"Lorne." - gli comunicò il vampiro, bevendo un sorso di sangue. E Doyle, con un moto di irritazione non nascosto, si diresse verso il frigo.

"Mi dici cosa devono dirti di tanto importante?" - domandò Spike, non resistendo alla curiosità, mentre il demone beveva direttamente dalla bottiglia del succo d'arancia.

"Lo saprò quando me lo dicono." - rispose, criptico, voltandosi, quando sentì rumore di passi.

Faith entrò correndo.

"E' arrivato?" - domandò impaziente, cercando di togliersi del giaccone.

"E' di sopra, si fa una doccia e scende." - le rispose Spike, saltando giù dal ripiano e aiutandola a liberarsi. Sotto la giacca, impigliato, c'era uno dei parabraccio che le aveva regalato. Ormai, sempre più spesso, Faith li indossava per andare di ronda.

"Ok." - Faith si spostò i capelli dal viso, prendendogli le cose di mano - "Faccio in tempo a portare giù le armi."

E corse via.

Aveva un'energia addosso…

Ne aveva fin in eccesso, da quella sera lontana poco più di tre settimane. La ragazza sfibrata dagli occhi cattivi era del tutto scomparsa.

Sparita in un fiume di lacrime e in quattro ore passate con Angel, senza testimoni. Spike le aveva trascorse tutte in camera sua, con l'immancabile chitarra sulle ginocchia. E Cordelia era venuta a tenergli compagnia…

 

Un altro accordo stonato. Era desolante.

Se lo disse da solo, prima che Cordy alzasse gli occhi.

Stava seduta alla sua scrivania e, per distendere i nervi, si era portata la contabilità da fare. Era come se da tutti quei numeri in fila traesse una nuova certezza, la sicurezza che il mondo non fosse solo casualità.

Lorne, insolitamente silenzioso, quasi esaurito dalle tre ore di cabaret ininterrotto, camminava inquieto, avanti e indietro davanti alla libreria.

Wes non era troppo lontano. Lo sentivano, affacciarsi dalla rampa delle scale e poi tornare indietro. Poi scendere, fino ad affacciarsi da loro. E tornare indietro.

Poi, quando meno se l'erano aspettati, Angel si era affacciato e l'aveva chiamato. Aveva l'aria scarmigliata, ma nel complesso era il solito Angel.

E la porta, si era richiusa dietro Wes.

Di nuovo nulla.

Doyle, sdraiato di traverso sul letto di Spike, leggeva una rivista. Con un bicchiere a portata di mano. Un bicchiere che di certo non conteneva del the.

Di tanto in tanto, attraverso la porta, lui e Spike si scambiavano un'occhiata. Uno metteva a disposizione l'udito, l'altro una splendida visuale sul pianerottolo.

E quando tutto ormai sembrava ormai definitivamente congelato, la porta si aprì e ne uscì Wes, portando Faith tra le braccia.

Nel momento in cui Doyle aveva cambiato espressione, vedendoli, Spike era saltato in piedi e si era presentato sul pianerottolo.

Ma l'Osservatore non l' aveva degnato di uno sguardo, percorrendo la rampa per il piano superiore. E mentre ancora li seguiva con lo sguardo, perdendosi a guardare la mano di faith sul collo di Wes e ricordando come avesse amato portarla in quel modo dopo averla ritrovata, vide anche Angel.

Fermo, come lui, con lo sguardo verso l'alto.

Si scambiarono una lunga occhiata. Ma Angel non fu eloquente nel suo silenzio. Aveva lo sguardo pesto, come chi ha affrontato troppi demoni personali. Occhi scuri e profondi.

Angel si portava la notte, dentro. Una notte che mai, come ora, aveva tentato di uscire, di travolgere tutti loro.

La stessa notte senza stelle che brillava in Faith.

Quella notte che tutti loro combattevano, per vocazioni o perché senza alternativa.

Quella notte che, a rigor di logica era anche dentro Spike. Troppe volte tendeva a dimenticarlo, troppe volte dimenticava di far parte di quel buio. E non era consapevole di come fosse pericolosa.

Lentamente, il vampiro anziano percorse i pochi metri che li separavano ed entrò, facendosi largo tra tutti loro.

Tutti in piedi, dietro Spike. Ma lui non se ne era reso conto.

 

Angel passò nello studio e si sedette sulla poltrona lasciata libera da Spike. C'era la chitarra, vicino ai suoi piedi, ma Angel non diede l'impressione di averla veramente notata.

Si sedette e si passò le mani sugli occhi, come per riordinare le idee.

E fu Doyle ad avvicinarsi.

Piegandosi sui talloni, per vederlo in viso. E porgergli il suo bicchiere.

Ed Angel, dopo un'occhiata e un attimo di esitazione, lo prese e ne bevve un sorso.

"Tutto come prima." - mormorò, fissando Doyle. Ricordandosi degli altri e alzando la testa, con un'espressione di nuovo vigore.

"Faremo come stabilito. Difenderemo Faith. Tutti insieme."

Breve. Eppure era il discorso degno di un generale innanzi alle truppe.

O forse, più semplicemente, era quello che volevano sentirsi dire.

 

Tutto come prima.

Era stato deciso e l'avevano fatto.

Ma niente era più come prima. Erano ancora più uniti, ancora più motivati. Su di tutti pesava l'impressione di aver contribuito a quella precarietà. Segreti, piccoli e grandi che si erano ammucchiati in quei mesi di confusione.

Preoccupazioni che non avevano condiviso, timori che sapevano di realtà.

Si erano resi conto di vacillare ed avevano trovato un motivo in più per sedersi intorno allo stesso tavolo.

Ed in mezzo a loro, risoluta e forte, si era seduta Faith. Fin dal principio.

Quella Faith tenuta all'oscuro della situazione ed ora pienamente in guardia contro ogni pericolo.

Wes aveva parlato loro, di ogni cosa. Ed anche se, come aveva più volte ripetuto, lui non era Giles, aveva saputo dividere i compiti e proporre le soluzioni.

Angel si era tenuto in disparte, lasciandolo fare.

Tranquillo e pronto a tutto, come sempre. Il confidente che sempre più spesso chinava la testa per lasciare cha Faith gli sussurrasse in un orecchio.

Inseparabili era un termine che iniziava ad adattarsi ad entrambi.

Taciturni e pensierosi, al limite della loro normalità.

Per il resto era stato, senza mezzi termini, soltanto Angel.

La situazione non lo preoccupava più di quanto non lo preoccupasse la Redenzione. Ogni cosa sarebbe stata a suo tempo, che si trattasse di una profezia o di una salvezza.

Sapeva cosa fare. E sapeva che ne avrebbe avuto l'occasione.

Il resto non contava.

 

E così, considerò Spike, versandosi una seconda tazza di sangue, erano giunti a quel punto.

Wes era partito di corsa, meno di 72 ore prima, per l'Inghilterra. Ed era già tornato.

Se era stata una trattativa, era stata breve.

"Non fin troppo breve?" - domandò sottovoce Cordelia.

"Non è detto." - spiegò Angel, facendosi passare il proprio pasto - "Wes ha fatto parecchie proposte prima di partire. Lo hanno convocato per la risposta."

"E sei convinto abbiano capitolato?" - replicò scettico Spike. Assiepati come erano, Doyle gli stava a fianco, appoggiato al ripiano. E beveva, silenziosamente, un caffè molto forte.

Angel gli gettò un'occhiata incuriosita.

Il suo connazionale aveva l'aria di uno che ha corso quindici miglia e le ha trovate abbastanza stimolanti da farsene altre quindici.

Soprattutto, cosa fuori dalla norma, taceva.

Dopo essersi impegnato in tutti i modi a parlare con ognuno di loro o con loro tutti assieme se il caso lo permetteva.

Ed ora…. Ora aveva uno sguardo cupo e fissava ripetutamente l'orologio.

"dannazione!" - sbottò all'improvviso - "Tipico di chi ha tutto il tempo del mondo, non essere puntuale."

Scusatemi, aggiunse, quando si accorse che tutti lo fissavano.

Ma non aggiunse nulla, per giustificare quel suo nervosismo.

Faith gli buttò un'occhiata, mentre aiutava Cordelia ad apparecchiare per Wes.

Ognuno aveva abbastanza pensieri da restare in silenzio, in ascolto.

E si sentirono tutti rianimare quando Wes apparve sotto l'arco e venne verso di loro.

Indossava un maglione scuro e aveva trovato il tempo di farsi la barba. Il colletto bianco della camicia, slacciato, faceva contrasto con i capelli ancora umidi e con la carnagione abbronzata.

Una cosa adesso era comunque evidente. Aveva il naso rosso. E spelato.

"Londra a Dicembre è deleteria per chi vive in California tutto l'anno." - commentò, soffiandosi il naso. E sedendosi.

"Allora." - sospirò, riordinando le idee - "Saltiamo i preliminari. Abbiamo la contro proposta. Ovviamente rimangono dell'idea che Faith debba presentarsi in Inghilterra ed essere debitamente giudicata. In alternativa propongono che Faith si affidi ad un loro rappresentante qualificato. O Rupert Giles, a Sunnydale, o ad un altro che disporrà come meglio crede.

Ovvero, deve avere un Osservatore. Io sono fuori."

L'aveva detto tranquillamente, prima che qualcuno puntasse il dito, disperatamente a caccia di una soluzione. O di un raggiro.

Perché ormai bisognava rassegnarsi all'idea di avere solo gli imbrogli dalla propria parte.

"Insomma non è cambiato niente." - commentò Faith, nel silenzio.

"Non è esatto. Hanno posto un'alternativa." - Wes la fissò. Non voleva negare l'evidenza, ma semplicemente mettere di puntini sulle i - "Accettano di lasciarti qui in America. Non sono certo che Giles si sia offerto spontaneamente, ma è una soluzione accettabile."

"La migliore delle peggiori." - commentò Spike, accendendosi una sigaretta e passando il pacchetto a Doyle - "Avanti con la prossima."

Doyle aspirò una boccata e si grattò una tempia.

"C'è già un nome per l'Osservatore?" - chiese.

"Anche ci fosse…" - Wes afferrò la cartelletta che aveva posato precedentemente sul tavolo - "Non darebbe garanzie. Potrebbero cambiarlo… e comunque sarebbe un Osservatore del Concilio."

"I fatti dimostrano…" - replicò Doyle, tendendo la mano e pretendendo i documenti - "Che c'è Osservatore e Osservatore."

Girò quei fogli alla ricerca di quello che sperava fosse un calcio dal destino, mentre Wes seguitava a parlare.

"Non si può contare sul fatto che si faccia avanti qualcuno per senso di giustizia. Tra gli Osservatori c'è brava gente, come ce ne è sempre stata, ma le voci sono tendenziose. Nessuno sa bene come vanno le cose.

Sanno del tradimento di Faith e che il vampiro con l'anima la protegge…"

"I….I vampiri con l'anima… cosa sono io, la ruota di scorta?" - brontolò Spike, leggendo sopra la spalla di Doyle.

"Ma danno per scontato che Angel l'abbia fatta evadere…non di certo che i loro capi abbiano cercato di farla fuori."

"E la questione dei legami di sangue?"

si voltarono tutti a fissarlo.

"Che c'è!" - ribattè Spike, fissandoli - "Me lo ha detto lui."

Aggiunse, indicando Doyle assorto nella lettura delle postille.

"Per legami di sangue di intende la connessione con un Prescelto." - spiegò Wes, strofinandosi i capelli e abbandonando gli occhiali sul tavolo - "Ovvero quello a cui lavoriamo da mesi."

"Un altro vicolo cieco."

"Non è esatto." - Wes scosse la testa e specificò - "Queste sono le loro proposte. E non cambieranno. È un fatto assodato che non ci siano punti di contatto espliciti e univoci che la mettano del tutto fuori dalla loro portata. Ma ne basterebbe uno, anche piccolo…"

si interruppe, fissandosi le dita, ravvicinate a descrivere quella piccolezza del particolare. Era così aggrappato a quella speranza da non aver ancora pensato dove trovarlo.

"Ne basterebbe uno per consolidare la posizione di faith."

"E resterebbe comunque da accettare un'intrusione del Consiglio."

"Quindi." - ricapitolò Cordelia - "O accettiamo un perfetto estraneo qui con il rischio che decida di prendere Faith e portarla via, oppure la spediamo da Giles a Sunnydale."

"Uh, che bello." - commentò l'interessata, accendendosi una sigaretta.

La fiamma dell'accendino non si era ancora estinta del tutto, che già si sentì gli occhi di Angel addosso.

"Solo una." - ribattè, mostrandogliela - "Ne ho proprio bisogno."

"E' vero, ne ha bisogno." - rincarò Spike, tenendo la sua tra le labbra.

Beccandosi la sua parte di occhiata.

"Tu me la travi." - constatò Angel.

"Certo." - assentì allegramente Spike - "Era un fiorellino di campo prima di conoscermi."

Faith lo guardò, sorridendo.

Prima di alzarsi.

"Andiamo." - disse, prendendolo per mano.

"Come scusa?" - Spke la guardò, come si fosse ammattita.

Sorrideva e lo guardava.

"Andiamo a farci un giro. Le scartoffie saranno ancora qui, quando torniamo. E loro avranno avuto il tempo di pensarci…"

spike la fissò, ancora. Era un'idea. Una buona idea.

Anche perché quel clima 'a grappolo' che vigeva in cucina iniziava ad andargli stretto.

Saltò giù dal mobile, senza lasciarle la mano.

"Ci vediamo dopo." - aggiunse, senza guardarli.

 

E fu in quel momento, che squillò il telefono. E Doyle, con una prontezza inaspettata, rispose al primo squillo.

E, dall'altra parte, il timbro di voce che sentì gli fece provare un tuffo al cuore.

"Sono io."

"Ce ne hai messo di tempo." - replicò, ringhiando. Prima di iniziare a ridacchiare coprendosi gli occhi - "Non sai proprio essere puntuale."

"Un disguido." - replicò l'altro, con fare serafico. Un attimo di pausa - "Whydam-Price è lì?"

"E' qui." - rispose prontamente, puntando gli occhi su Wes. E trovandosi ricambiato, all'istante.

"Bene. La proposta?"

"E'arrivata. La conosci?"

"Certo. Mi è costata un pacco di soldi." - rispose allegramente, non curandosi affatto della pericolosità di quello che stavano facendo - "L'accetterete, spero… oppure dovrai falciare prati fino alla fine dei tuoi giorni per risarcirmi…"

"Ne stiamo ancora parlando." - replicò, abbassando lo sguardo. E puntandolo poi, su Wes - "Hai garanzie per il nome?"

"Amico mio.. chiedilo al destino…"

"Il destino mi dice cosa accadrà… non come." - replicò.

"Al come penso io, infatti… e sono una garanzia ben più di quattro pergamene ammuffite."

"Lo so. Ci credo." - avrebbe voluto aggiungere qualcosa. Ma non riusciva più ad articolare una sola parola.

Eppure, dall'altra parte, non ci furono fraintendimenti. Sono un silenzio altrettanto intenso.

"Resterò qui, a finire il lavoro. Ti chiamo io. Ah, Doyle… lavorate sul legame."

E poi, il suono della chiamata interrotta.

Doyle rimase ancora un attimo con il ricevitore stretto nella mano.

Poi, dopo averlo posato, si voltò, fissandoli tutti.

"C'è riuscito… io, non ci posso.. credere."

Era sconvolto. Gli brillavano gli occhi e non faceva altro che guardarli.

E , quel che era peggio, non spiegava un accidente ai suoi coinquilini.

"Ma di cosa stai parlando!" - sbottò, ad un tratto Cordelia - "E' qui, è lì, ci stiamo pensando, ci è riuscito… non ci stiamo capendo niente!"

"E sarà ancora così per un po'." - replicò Doyle, così spicciativa che Cordelia rimase senza parole.

Sprizzava gioia da tutti i pori - "E' normale con lui."

"Lui? Ma lui chi?" - strillò.

"Wes, ascoltami." - aggiunse Doyle, ignorandola e afferrando il fascicolo - "Qui non c'è ancora il nome. Ma noi abbiamo buone probabilità di sapere quello che ci sarà domani. E adesso, mettiamoci al lavoro."

 

 

II

"Due passi sotto la luna…" - spike alzò lo sguardo, con il rischio di essere accecato dalla luce del lampione - "Che cosa romantica…"

"In effetti lo è…" - replicò, distratta, Faith guardando se stessa nella vetrina e vedendo riflesso un gruppetti di ragazzo, con parecchi pacchetti - "Con il Natale alle porte…"

"Non vedo neve. Non c'è neve, non c'è musica o atmosfera. Non è natale."

"Ok, non è natale." - gli concesse.

E lui si fermò, infilando le mani in tasca.

"Ti accontenti solo perché non hai provato il Natale europeo. Quello è Natale con la N maiuscola. Freddo, neve e tutto il resto."

"Ah, deve far freddo per essere Natale?" - domandò, guardandolo di traverso.

"Certo." - rispose Spike, con fervore - "Babbo Natale viene dal nord, ha la slitta e le renne… e la pelliccia sul bordo del berretto e…"

E lui magari non aveva la pelliccia, ma aveva una Faith piegata in quattro dalle risate. E si bloccò, a guardarla.

"Come mai quando parlo con te dico un sacco di cazzate?" - domandò, non riuscendo a nascondere un sorriso.

"Sarà il mio fascino." - replicò lei, con occhi brillanti.

Per un attimo, ebbe il sospetto che, non si fosse riscosso, sarebbe rimasto a guardarla per parecchio, parecchio tempo.

"Allora." - domandò, inclinando un po' il capo con fare accattivante - "Di cosa dovevi parlarmi?"

"Io? Di nulla, volevo solo fare due passi. E non mi andava di farli da sola…" - si strinse un po' nelle braccia, finendo la sigaretta e spegnendola con la punta dello stivale - "Sai, è una città pericolosa per una ragazza… ed è una città che mi mancherà…"

 

Avevano ripreso a camminare, in silenzio.

"Allora ha deciso che te ne andrai?" - domandò, pacatamente, cercando di non dare troppo peso a quella scelta.

"Può darsi di sì." - rispose, tranquilla - "Non sto pensando di fuggire… l'ho fatto troppe volte, negli ultimi tempi. Ma dovrò prendere atto che.. in ogni caso sarà una partita persa."

"Non mi sembra che Westley la pensi così…"

"Wes.. farebbe di tutto per evitarlo. Ma sa che ci sono limiti che non voglio superare.

Mi sono già costituita una volta, alla polizia, per fare la cosa giusta.

Se ora la cosa giusta è adeguarmi… bhe, lo farò."

Spike si voltò, e le sorrise. Assolutamente tiraschiaffi.

"Che c'è?"

"Sulla tua bocca, quella frase sa di eresia."

"Sarà." - ribattè lei, riprendendo la sua espressione di sfida - "Ma è quello che farò."

"Lo so. Come so che mi mancherai."

E fu lei a fermarsi. A fissarlo, con le braccia conserte.

"Sul serio?"

"Sul serio." - Annuì Spike, seriamente. Eppur senza rinunciare al sorriso.

Faith lo guardò, dritto negli occhi. In quegli occhi acquamarina che aveva notato la prima volta che si erano visti.

A Sunnydale.

E fu allora che ricordò di non averlo mai detto… a nessuno.

"quando ci siamo conosciuti, Spike?" - domandò, decidendo di tergiversare un po'.

"dunque, tralasciando le nomea che ci precede, le persone con cui tutti e due abbiamo avuto divergenze e che quindi parlano male di noi e aggiungendole a quelle che invece ammettono la nostra grandezza…" - enumerò, stando al gioco - "Direi che, di persona… qui, a Los Angeles. "

"Sbagliato." - scosse la testa, divertita.

"Sbagliato? non venirtene fuori con qualche questione strana, tipo sogni, visioni o simili, per favore."

"Non ci penso nemmeno. Il nostro primo incontro è stato… magico." - commentò, con aria sognante.

"Bhe, grazie. Anche io la penso in questo modo." - replicò modesto spike, schivando un paio di ragazze che si voltarono a guardarlo - "Ma io rendo magico tutto, con la mia bella presenza."

"Non sto parlando delle tue doti e del tuo testosterone, Spike." - Faith si fermò. Non riuscendo quasi a trattenere le risate - "La prima volta che ci siamo visti, tu ci hai provato ed io ti ho mandato in bianco…"

spike la fissò, come se le fosse dato di volta il cervello.

"Sei fuori?"

"No." - si avvicinò un po' di più, di modo che i sensi di Spike si tendessero, nel percepire il suo profumo e la sua figura. Poi gli ripetè, con un sorriso che si allargava sempre di più, le stesse parole di allora.

E lui la ascoltò, aggrottando le sopracciglia. Mentre le parole si facevano spazio nel suo cervello. Poi, per un attimo infinito, credette di avere le allucinazioni.

Eppure, per quanto quelle parole gli facessero venire in mente Buffy, continuava a non capire.

"Come sei tardo, Vampiro." - disse, ridendo - "Quando mi sono svegliata dal coma e mi sono presa il corpo di Buffy, tu hai parlato con me, non con lei… ero io, Spike."

Lui aggrottò le sopracciglia. Poi, quando la verità lo colpì come un fulmine, spalancò gli occhi.

"Oh, tu, brutta…" - esordì. Ma Faith era troppo vicino e troppo ridente per perdersi dietro le recriminazioni da copione. Era così vicina che sarebbe bastato un nonnulla per averla. E per perderla, allo stesso tempo.

Il suo cuore stava pompando in direzioni ben sbagliate. E la sola idea che lei veramente partisse gli balenò nella mente. Dolorosissima.

Accecandolo, più del suo sorriso e dei suoi occhi brillanti.

E per un attimo quasi cedette, prima di reagire, prima di perdere l'attimo presente all'interno di un dolore futuro.

Sorrise e scosse la testa, rassegnato.

"Fregato così, due volte, dalla stirpe delle Cacciatrici." - borbottò - Il corpo di una, il cervello dell'altra.. e la sostanza non cambia…"

Chissà che terzetto sareste state, se quella Kendra fosse sopravvissuta….

Di nuovo, il pensiero di quella cacciatrice intermedia lo distrasse.

Inspiegabilmente.

Ma Faith non se ne accorse. Continuando a ridacchiare, si incamminò. Ma da sola. E quando se ne rese conto, si voltò. E lo guardò.

Era come se fissasse un punto infinito, invisibile. E la sua espressione era stranamente concentrata.

Come quella di uno che insegue i propri pensieri con un retino per farfalle.

Allora, andiamo?" - domandò, vedendolo riscuotersi.

Lasciandosi poi raggiungere.

 

E fu allora che Spike, rispondendo ad un istinto mai sopito, le passò un braccio intorno alle spalle.

Senza sapere di essere osservato.

 

Camminarono ancora, tranquilli, così stretti. Faith ricambiava quel gesto, stringendogli la vita. Rallentavano davanti alle vetrine, indicando questo e quello, come una coppia impegnata in acquisti.

Fath si voltava, ogni tanto, a chiedere la sua opinione, alzando appena lo sguardo per vederlo in viso.

Scherzando e ridendo.

Sembrava veramente l'ultima sera che avrebbero trascorso insieme.

Poi Faith avrebbe fatto una scelta e sarebbe andata lontano.

Sarebbero cambiate molte cose e nessuno dei due riusciva a soffermarsi sull'idea che potessero essere catastrofiche. O definitive.

E' così strano, mormorò ad un tratto Faith.

"Cosa è strano…" - chiese Spike, con il vago sospetto di sapere già la risposta.

"E' tutto così semplice adesso, da accettare. Come se mi preparassi al peggio e questo non arrivasse." - Faith si tirò indietro i capelli - "Non ho né premonizioni né altro, ma è come se.. se non avesse più importanza."

"Eppure ne ha."

"Oh, lo so. Ma, forse, ho superato il punto di rottura. Non ho fatto altro che pensarci mesi, e mesi e mesi…" - diede un calcio a una lattina - "E adesso non voglio più farlo. Serviva una mano dall'alto che non è arrivata. Sono fuori dal gioco, almeno in questo caso…"

"Ma che cazzata… anche tu, con questa storia. Siamo vissuti tutti senza quest'ombra della predestinazione e adesso, a momenti, non ci faremmo più nemmeno una birra senza una visione di Doyle. Impossibile."

Faith, in cuor suo, sapeva di dovergli dare ragione. Stavano esagerando con le loro teorie. Stavano affogando la loro vita dentro schemi che forse non esistevano. E lei, mai come ora, aveva la necessità di aggrapparsi al grande libero arbitrio per andare avanti.

La sua volontà, le sue scelte.

Niente al di fuori del mondo reale dei fatti.

"Doyle. Ma che aveva stasera…"

"Assolutamente non lo so. Ho provato a scoprirlo in tutti modi. Niente da fare."

Si fermò, per accendersi una sigaretta. E fu quel breve gesto, immobile,lontano dalla luci della strada principale,a permettergli, finalmente di sentirli.

Alzò lo sguardo, senza stupirsi troppo di vedere Faith già allertata.

"Ci hanno seguiti." - dichiarò, in tono neutro - "E tu ed io siamo disarmati…"

"Non mi dichiarerò mai disarmato solo perché sono uscito di casa come ero." - replicò Spike, tirando fuori dalla tasca del giaccone un serramanico.

"Bello, che ci facciamo?" - commentò Faith, cercando con lo sguardo qualcosa di ligneo - "Loro portano le bistecche e tu affetti il pane per il barbecue?"

"Meglio di niente." - ribattè l'altro.

Tre, cinque, sette…

"Sette. Possiamo farcela."

"Confortante. Attacchiamo o aspettiamo?"

"Ti lascio scegliere…."

"Sempre galante Spike, prima le signore…" - Faith spostò il peso e scattò - "E le signore non si fanno attendere…."

Era iniziata.

Picchiavano e picchiavano duro.

Schiena contro schiena, ignorandosi senza perdersi mai di vista.

"Tutto ok?" - urlò, quando lo vide andare a terra.

"Certo, cacciatrice, che domande. Pensa ai tuoi, io penserò ai miei."

Era talmente sicuro di quello che aveva detto, da non rendersi conto di aver fatto un madornale errore.

 

Li stavano allontanando.

Faith se ne accorse con un attimo di ritardo.

I vampiri non erano più solo sette. Erano di più.

Poteva farcela comunque, ma doveva giocare sul loro terreno. E se loro la stringevano, non poteva che spostarsi.

Non ebbe più tempo di urlarsi battute con Spike. Doveva combattere per la propria vita. E, in cuor suo, sapeva che lui avrebbe fatto altrettanto.

Si sarebbero ritrovati, questo era certo.

 

Quando l'ultimo fu in polvere, Spike realizzò l'accaduto.

La via era vuota. Si mosse, tendendo al massimo i sensi, per sentire rumori di lotta.

Ma non c'era nulla.

 

Polvere. Anche l'ultimo era andato.

Faith si appoggiò al muro studiò la situazione. Non sapeva dove si trovava, se non che era un viottolo, più che una strada. A stento ci sarebbero passate due persone affiancate. Come fosse sopravvissuta in una trappola del genere era un mistero anche per lei.

Si mosse, finendo di ripulirsi la giacca e sbucò in una strada secondaria. Non era andata veramente lontana… ed anche il tempo non era stato veramente così lungo. Semplicemente interminabile.

Si toccò la fronte e, trovandosi le dita macchiate di sangue, iniziò a fare il conto delle contusioni e dei dolori sparsi lungo tutto il corpo.

E fu finendo di ripulirsi, voltando su se stessa, che i suoi sensi la misero in guardia. E quando si voltò, la vide, dall'altra parte della strada.

 

 

III

Era bella.

Angel aveva ammesso più volte questa realtà, ma Faith non era stata pronta a una cosa del genere.

Non era appariscente come Darla.

Era una bellezza aristocratica, un volto in cui gli occhi erano padroni indiscussi.

Dal colore indescrivibile, quasi viola.

Anche da quella distanza poteva rendersene conto.

Sembrava una lunga e aggraziata bambola, con i boccoli sulle spalle. Lunghi e pesanti boccoli neri, acconciati per non incorniciare il viso, candido come la lunga veste.

Ondeggiò leggermente, tormentandosi le unghie. Aveva un sorriso strano e gli occhi luminosi.

Faith sapeva chi era. Non aveva bisogno di presentazioni. Un brivido le corse giù per la schiena. E, dopo quel singolo attimo di appassionata ammirazione, le parve abominevole.

Ripugnante.

Qualcosa in lei si risvegliò, ferale.

Eppure non si mosse, attese.

E Drusilla, ondeggiando, camminò verso di lei.

Mi hai riconosciuto, allora.”

Avrei dovuto?” – chiese, guardinga.

Sì, mi hai riconosciuto.” – ridacchiò Dru, coprendosi la bocca come una bambina.

Cosa vuoi, Drusilla?”

Io voglio….te.” – sussurrò lei – “Ti voglio e ti avrò io, io su tutti… contesa dagli eroi e dagli studiosi… le stelle… anche le stelle ti vogliono. Adesso anche l’Antico giungerà per te. Tu, il mezzo e la causa, tu…”

il suo sguardo era spiritato, ben diverso da quello di pochi attimi prima. Aveva alzato gli occhi al cielo, come in ascolto. E poi l’aveva guardata.

Una bambola. Una bambola minuta e di bianco vestita.

Con occhi viola ed il viso di un cherubino.

Le si era avvicinata.

Ma Faith non si mosse, restando immobile, in ascolto.

E fu allora che Drusilla scattò. Faith si spostò, ma sentì ugualmente gli artigli penetrarle il mento e segnarle la spalla.

Barcollò, arretrando, sentendo il suo sangue scaldarle i vestiti.

Un passo più lenta e le avrebbe aperto la gola.

 

Mai nessuno l’aveva colpita così. Mai nessuno, se non Buffy, per amore e disperazione.

La scarica di adrenalina la fece ansimare, piegandola. Non voleva la sua morte. Voleva la morte della Cacciatrice e lo voleva con un’incredibile tenerezza.

La dolce luce che le illuminava gli occhi la faceva sembrare ancora più pericolosa. Perché c’era amore, in lei.

Si preparò ad un secondo attacco, ma Dru restò ferma, leccando le lunghe unghie. Smaltate con il sangue della Cacciatrice.

Buono, buono come l’ultima volta… oh, cara bambina, quanto mi sei mancata… finalmente una Cacciatrice, una cacciatrice solo per me…”

 

Ma cosa stava dicendo…

Faith strinse gli occhi, cercando di focalizzare cosa stesse nascondendo Drusilla. C’era una seconda presenza, le dicevano i suoi sensi. Una presenza che confondeva, come un eco o una vibrazione… una vibrazione di entrambe.

Com’era possibile, che scherzo era mai questo.

La sentiva alle spalle e la sentiva compagna e nemica, allo stesso tempo.

E quando la sentì più vicina, un’ondata di nausea la colse, facendola cadere in ginocchio.

 

Passi. Passi ritmati alle sue spalle. Lenti, come quelli di un predatore…

Non osava voltarsi.

Drusilla, batteva le mani, gioiosa. Guardava sopra la testa della Cacciatrice.

Poi i passi cessarono. Ed anche l’espressione di Dru mutò insieme al ritorno del silenzio.

Oh si, si, è vero.” – mormorò, annuendo vigorosamente – “Non qui, non lei, non vuoi lei…lei è la causa e il mezzo… ma tu vuoi il fine, lo so, lo so.”

Avanzò lentamente, sempre tendendosi verso quella figura ancora nell’ombra del viottolo da cui era uscita Faith.

Ma la presenza si stava allontanando. Faith lo poteva percepire dai mutamenti nel suo corpo. La nausea e il senso di soffocamento si stavano riducendo.

Qualunque cosa fosse, la privava delle forze, la indeboliva nella sua essenza di cacciatrice.

E, presa da questo sollievo fisico, si accorse troppo tardi della sua nemica reale.

Il colpo la mandò lontano.

Faith rotolò sull’asfalto e si tirò su, ansimando.

Ma, ancora una volta, Drusilla non aveva approfittato.

Si era fermata, con gli occhi nelle stelle, congiungendo di nuovo le mani.

Come se necessitasse di un grande bacio con l’universo ogni volta che la Cacciatrice versava del sangue.

Giusto così…adesso lei è con me, ma sa di non essere mia… adesso ne avrò una tutta per me…”

Faith sputò il suo sangue direttamente sull’asfalto, stupendosi di non vedere anche i denti.

Era stato un colpo ben dato e decisamente violento.

Una persona normale si sarebbe ritrovata come una bambola di pezza, con il collo fratturato.

Ma lei, la cacciatrice, avrebbe potuto semplicemente lamentarsi di alcuni lividi estesi.. e di un paio di costole incrinate.

Drusilla le sorrise. Poi, sotto i suoi occhi, il volto cominciò lentamente a deformarsi in quel del demone che era in lei. Con lentezza impressionante, stravolgendo le ossa e le cartilagini, piegandole e inarcandole fino a formare le prominenze caratteristiche.

Senza che il colore dei suoi occhi mutasse realmente.

Gli occhi, i miei occhi, ti piacciono, lo so… piacevano a lui, piacevano all’universo. Erano occhi per vedere, non per morire… occhi per guidare…”

si era persa di nuovo nei suoi deliri. E faith questa volta ne approfittò, per rimettersi in piedi e spostarsi. Ancora non sapeva se voleva colpirla.

Lei era parte di Angel e di spike. Qualcosa, nel suo essere, le impediva di alzare la mano su di Drusilla.

Con darla era stato semplice. Era bastato pensare a Spike… era bastato lo sguardo di Angel…

Ma ora, lontana da entrambi, non era certa sul da farsi.

Ma ora…

Ora il pensiero di Spike la frenava. Lui amava Dru. L’aveva amata e l’amava ancora.

Talvolta la chiamava, nel sonno. Faith lo sapeva, l’aveva sentito, nel delirio e nei primi tempi, quando gli incubi di Spike erano vere e proprie grida.

Tu esisti per causa mia, sciocca ragazzina – soffiò Dru.

Faith la fissò, senza capire. Ma non si soffermò, a riguardo. Se Dru stava per partire con un altro dei suoi vaneggiamenti, bisognava approfittarne.

Bilanciò il peso sulle gambe e si spostò.

Tu lo ucciderai…” – Drusilla le sorrise, provocandole un’ondata di panico – “Il sangue non potrà nulla, tu sarai la sua morte. Ti chiamerà vita… come ha chiamato me…”

Sarebbe ora che la smettessi di sparare stronzate.” – si spazientì Faith, fissandola con occhi brillanti. Le faceva paura, con quelle ametiste incastonata nel cranio e quella bocca perennemente in un ghigno delirante.

 

Non le credere….” – spike camminò tranquillo, uscendo dall’ombra, fino a frapporsi tra loro.

E si era avvicinato con lentezza, ascoltando. Sapeva di Dru e sapeva di essere sempre stato in grado di percepirla con un istante di anticipo.

Avanzare lentamente gli avrebbe permesso di coglierla di sorpresa.

Ma le parole, dalla bocca della sua Regina come fiumi di potere, lo avevano obbligato a fermarsi.

Non le credere, faith.” – ripetè, fissando il loro nemico – “Qualunque cosa dica, è menzogna…”

No…” – Drusilla lo guardò, tornando lentamente al suo viso normale. Quello di una bambina ferita, con il labbro tremante – “Non puoi pensarlo sul serio, amore mio… io non potrei mai mentirti…”

A me no…” – Spike scosse la testa, finendo di avanzare, fino a frapporsi tra le due. Faith, vedendogli le spalle illuminate, vide anche che aveva l’impugnatura del serramanico che sporgeva dal collo dello spolverino.

Era un posto pericoloso… ma avrebbe colto si sorpresa la vampira.

E fu quel lieve baluginio di un’arma insolita che fece comprendere a Faith la semplice verità.

Non l’avrebbe uccisa.

L’avrebbe ferita, forse, ma non era ancora pronto.

E forse, non lo sarebbe mai stato.

A me non puoi mentire…” – Spike si sarebbe volentieri acceso una sigaretta. Ma le mani avevano un tremito impercettibile.

Drusilla e faith. Era un incontro che aveva immaginato solo nei suoi incubi peggiori, quelli popolati di vittime innocenti riverse a terra, con gli occhi ormai perennemente aperti verso il cielo.

Gli occhi vuoti dei morti. Erano gli occhi Dru, occhi viola pieni di risposte non dette.

Ma a lei sì…” – aggiunse, sapendo di aver preso una pausa troppo lunga, prima di terminare la frase – “A lei puoi mentire, vero Dru?”

No…” – scuoteva la testa, con lo sguardo fisso – “No, io non posso mentire… io devo guidarla, lei è mia…”

Tua? Di cosa stai parlando, Dru.” – si avvicinò, lentamente. Aveva gli occhi dilatati e scuoteva la testa, come in preda ad una di quelle crisi a cui Spike era abituato.

E fu per quell’abitudine che, quando la vide barcollare, balzò in avanti e la strinse.

 

E Faith sentì male. Come una fitta, a vederli così stretti. Lui l’aveva afferrata allo stesso modo, a Sunnydale, nella mischia. Aveva piegato la testa, preoccupato, nel sorreggerla.

Ed ora Drusilla, gli stava accarezzando il viso, con la testa reclinata indietro e le labbra dischiuse.

Mio amato.” – sussurrò – “Quanto ti ho atteso, per queste strade. Quanto ho atteso di rivederti… mi ucciderai, come lui ha ucciso lei… mi farai uccidere da lei?”

aveva l’aria innocente, nello spalancare gli occhi. Come lui ha ucciso lei… si riferiva a Darla, ed a Angel, questo era certo.

La morte di Darla ti ha ridotto in quel modo?” – sussurrò, appassionato – “Oppure quello che hai accettato mi facesse…”

si sciolse dall’abbraccio e indietreggiò.

Lentamente, in modo studiato.

Ti appartenevo, Dru. Sei stata parte della mia rovina, ed io ho amato la morte in te come ogni romantico.” – aggiunse, sentendo una nuova energia, ora. L’attimo in cui l’aveva stretta, il desiderio di baciarla era stato forte. Così forte da fargli provare paura – “Ma ora, ho ben altre ambizioni.”

Ambizione… ero un’ambizione?” – Drusilla lo implorava – “Ero solo questo?”

Eri molte cose… ma ora non sei cosa mia.” – concluse, affiancando Faith e guardandola, per la prima volta – “Tutto bene?”

la cacciatrice annuì, strofinandosi via dalla fronte il rivolo di sangue.

Tutto come sempre.” – replicò, beffarda – “Benvenuto in America. Qui le ragazze non svengono così facilmente.”

Spike le sorrise, divertito.

Perché siete meno sensibili.” – puntualizzò, con un lampo nello sguardo – “Tutta colpa del vostro Natale in spiaggia.”

E faith gli sorrise, sollevata. Lo Spike che era stato, per pochi attimi, era svanito. la poesia, la follia di Drusilla sbiadivano lentamente, in confronto alla forza e allo spirito di quello che era stato il suo compagno.

Andiamo via?” – domandò.

Sorprendendolo.

 

Faith sapeva. Sapeva quali erano le sue intenzioni.

E sarebbe venuta meno al suo dovere di Cacciatrice, lasciando andare Dru. L’avrebbe fatto per lui, senza aspettare di sentirselo chiedere.

Perché no…” – rispose, tranquillo.

Per quello che lo riguardava, era finita.

Ma Dru, come suo solito, avrebbe voluto l’ultima parola… su questo avrebbe anche potuto scommettere.

 

Fermati.”

Non c’era nulla di implorante in lei. La voce era dura, irritata senza essere stridula.

Fermati… stai portando via una cosa mia…” – aggiunse, mutando il volto.

Ottenendo soltanto un’espressione perplessa ed un sopracciglio alzato.

Di tuo non vedo un bel niente. Me ne vado sempre così, Dru, ogni volta che ci lasciamo… una volta mi porto via la mia macchina e, una volta…” – sospirò, posando una mano sul fianco di Faith e spingendosela dolcemente dietro la schiena – “mi porto via anche qualcosa di più prezioso…”

faith sorrise e decise che, se voleva giocare la partita…

Più preziosa della tua macchina…” – sibilò, sensuale, percorrendo con pochi passi lo spazio che li separava. E appoggiandosi alla sua schiena, con le braccia sulle sue spalle… quel tanto che bastava da vedere Drusilla fissarla con odio… e, soprattutto, quel tanto che occorreva per sfilare il serramanico dalla giacca di Spike – “Allora è vero amore il nostro…”

Ma come, Cacciatrice…” – sorrise – “Ne dubitavi, forse?”

L’adrenalina che Faith aveva in circolo, le faceva battere il cuore, con un ritmo irresistibile, per Spike.

La lama fredda, sfilata da quella mano salda, gli provocò un brivido di eccitazione. Faith la teneva tra due dita, stretta tra i loro corpi.

Ed era impegnata a provocare Drusilla, con occhi da gatta.

Dru era agghiacciata. Come se credesse a quella messinscena. Strano, pensò Spike, credevo fosse più acuta…

Crede che io e Faith… pazzesco…

Lei è mia, tu sei mio…” – sibilò, con occhi fiammeggianti – “E se non posso avere uno, avrò l’altro. Ho creato entrambi, entrambi posso distruggervi.”

Creato entrambi? Ma che cosa stava dicendo. Spike aggrottò le sopracciglia, cercando di contrastare la marea di supposizioni che stavano facendo vacillare la sua concentrazione.

Aveva creato Spike, questo era vero… l’aveva condotto dritto nella notte… ma Faith, cosa poteva centrare con Faith.

Io l’ho condotta nelle tenebre, lei è mia, è la mia Cacciatrice, solo mia.” – gridò, piegando le mani ad artiglio, e fissandole - “Io uccisi la cacciatrice… io le squarciai la gola e leccai la sua calda essenza.”

Uccidere la Cacciatrice… Drusilla non aveva mai ucciso una Cacciatrice, mai finchè erano stati assieme.

Eppure… oddio, gli stava sfuggendo di nuovo…

 

Poi comprese.

Un passo indietro…

Doveva solo fare un passo indietro.

Faith… tu sai di cosa sta parlando?” – mormorò, voltando appena la testa.

no.” – Faith mosse impercettibilmente le labbra, senza interrompere la sfida di sguardi con la donna – “Speravo me lo spiegassi tu…”

Nessuno può interrompere un legame di sangue…” – Drusilla avanzò verso di loro, ondeggiando, come una marionetta dai fili recisi – “E se non volete credere a me, crederete all’uomo dagli occhi trasparenti…”

Doyle?” – mormorò, sorpresa, subito interrotta da Dru, finalmente all’attacco.

Faith e Spike si separarono, rapidissimi ed il pugnale rimase a lei. Si spostarono, in laterale e verso due direzioni opposte. Senza perdere l’occasione di scambiarsi un’occhiata, ritrovandosi uno di fronte all’altro, a pochi metri.

Spike sanguinava copiosamente. Per quanto veloce, aveva voluto essere certo che faith non fosse più in traiettoria, prima di levarsi del tutto.

E Drusilla lo aveva artigliato alla fronte, penetrando con le unghie nelle tempie e nelle guance.

Aveva cercato di strappargli il viso, ma non le era riuscito.

Ed era caduta in avanti, macchiando il lungo vestito bianco. Faith non si sarebbe stupita di vederla piangere, per ginocchia e mani sbucciate. I capelli le erano ricaduti intorno al viso e, come i bambini che si stupiscono del male, era rimasta immobile, in ginocchio.

Solo per un istante, prima di voltarsi a guardarli, dal basso.

Io l’ho condotta nelle tenebre, l’ho portata nel buio, io ho fatto nascere la cacciatrice che dormiva in lei, scaldando il suo guscio.” – urlò – “Io… uccidere la cacciatrice con le illusioni…. Quali infimo sistema…. Qual sublime follia e quale passione, mio amato… ti ho compreso, ora, ora ho compreso…”

e fu in quell’attimo che Spike capì.

La verità lo colse, raggelandolo.

Rimase immobile, mentre il sangue gli ribolliva e il suo cuore, con una violenza inaudita, lo assordava.

E, non riuscendo a controllarsi, gettò la testa indietro e rise, rise così forte e gioioso che Faith ne fu colta di sorpresa. Rimase bloccata dove si trovava e fissò Spike cha guardava il cielo e… parlava alle stelle.

Grazie…” – urlava – “Grazie, grazie grazie…”

Così forte che Dru si voltò a fissarlo, come se vedere la follia di un altro potesse farla rinsavire.

Lo fissò, mentre si zittiva e abbassava lo sguardo verso di lei, senza rinunciare a quel sorriso aperto. E davanti a quel sorriso, il suo volto di demone, instabile come la sua mente, tornò a svanire, mentre lei scivolava un po’ di più a terra, battendo le braccia e puntellandosi appena, con i gomiti.

Hai ragione Dru... le stelle parlano anche quando non vorremmo ascoltarle.” – sibilò – “Ma non sempre sentire la loro voce significa che siano nostre alleate…”

Drusilla lo guardò, cercando di capire.

Spike era così vicino che gli sarebbe bastato ancora un passo per schiacciarle la gola con un anfibio. Invece si chinò, sgocciolando il sangue dal viso , giù, sui suoi capelli e sul vestito. Sorrise, come un demone.

Lei non è tua. Sarà per sempre mia…” – sussurrò – “Mia, finchè avrò vita per esprimere ed espiare. Mia. Tu l’hai legata a me, Dru, non a te stessa…”

Dru sembrava ad un passo dal tracollo. Le pupille, dilatate a dismisura, rendevano i suoi occhi neri come pece. Sembrava in preda ad un tremito incontrollabile.

Devo finire l’opera…” – balbettò – “Allora sarà mia, totalmente. Le tenebre, le tenebre che ha dentro devono essere liberate.”

Si era mossa, era strisciata verso di lui, protendendosi, per afferrarlo, per la giacca.

Spike continuava a perdere sangue vistosamente, ma questo non nascondeva il suo viso.

Un viso duro, ma umano.

Libererò le sue tenebre… tu lo sai.. tu mi hai svelato il segreto…”

e allora, Faith sussultò.

Sotto i suoi occhi, Spike colpì Dru. Un manrovescio così forte da farla rotolare. Gli schizzi di sangue caddero a pochi centimetri dai suoi piedi, e Faith ebbe la visione del polso di Drusilla girarsi in modo innaturale, nel tentativo di non abbandonare la presa.

Spike si avvicinò nuovamente e Faith, per un’inspiegabile sensazione, gli fu a fianco. L’avrebbe protetta, se Spike si fosse solo azzardato a tirarle un calcio.

Ma Spike era troppo signore per fare una cosa del genere e, per molto tempo, si era ritenuto uno che non picchiava le donne.

Il tempo gli aveva dato modo, constatò amaramente, guardando Drusilla, di fare ben di peggio.

Quel segreto è morto, Dru.” – ringhiò, nel sovrastarla – “E morirò io, prima che venga sfruttato un’altra volta.”

Anche le sue pupille erano dilatate. E lui ansimava, quasi gli mancasse il fiato.

A qualunque cosa si stesse riferendo, era ben peggio degli incubi, del rimorso e della paura.

Era disgusto, misto a terrore.

Era qualcosa del passato. Qualcosa che, con tutto cuore, Faith sperò essere realmente morto.

Drusilla li guardò entrambi, in piedi di fronte a lei. Poi crollò.

Crollò piangendo e rannicchiandosi su se stessa.

E spike si voltò afferrandola per mano e trascinandola via.

Dando a faith l’impressione di fuggire da qualcosa di più grande di un amore sbagliato e perduto.

 

 

IV

Corsero a perdifiato, fino a ritrovarsi in uno di quei vicoli che davano sul retro dell’Hyperion. Pochi minuti e sarebbero stati a casa.

Ma spike volle fermarsi ugualmente.

Si appoggiò al muro, ansimando, come se potesse mancargli il fiato.

Fiato che, del resto, mancava a Faith, appoggiata vicino a lui.

Stai bene?” – domandò lei, più pronta nel riprendersi.

Lui annuì, scostando appena il giaccone. Drusilla, nel tentativo di sfregiarlo, doveva essere rimasta impigliata nella sua catenina e, con uno di quei dannati artigli, era penetrata nel collo.

Il sangue aveva intriso buona parte della maglietta, ma la ferita era già quasi richiusa.

Tutto ok. E tu?”

le guardò con preoccupazione la faccia. Come lui, perdeva sangue da una tempia ed era sporca e impolverata.

Una meraviglia.” – rispose lei, passandogli il serramanico.

Era intriso di sudore, constatò Spike, chiudendolo e infilandoselo in tasca. Era colpita ben più di quanto volesse dare a vedere

Che cos’ha quella tizia, unghie inox?”

Con Dru, tutto è possibile.” – ribattè lui, sbattendo nuovamente gli occhi e appoggiando la nuca al muro. Poi, come ricordandosi qualcosa, la fissò.

E ricominciò a ridere.

Non ci posso credere, non ci posso credere…” – singhiozzava.

E Faith, incurante dalla preoccupazione che le dava tutto quel suo sangue che andava ancora perdendo, gli diede uno spintone.

Ancora con questo giubilo? Non è che per caso sei masochista?”

Lui scosse la testa, cercando di trattenersi malamente. Alzò una mano, stringendosi un po’ nelle spalle mentre Faith, per la tensione e per il nervoso, lo tempestava di pugni sulla spalla.

Ok, ok, piano Faithy, piano o vado per terra.” – ridacchiò, guardandola e chiamandola con il suo nomignolo, per la prima volta in vita sua.

E Faith pensò che era talmente felice che l’avrebbe abbracciata e baciata.

Cosa che, tutto sommato, non le sarebbe dispiaciuta affatto.

Invece Spike si raddrizzò, assumendo un’espressione improvvisamente seria.

Dobbiamo dirlo agli altri, prima che sia troppo tardi.” – e l’afferrò per la mano, ancora, senza rendersi conto del rossore che ora, imporporava le guance della sua Cacciatrice.

 

Radunati nella biblioteca di Wes, Cordelia, Doyle e Angel cercavano disperatamente di stare dietro ad un Osservatore invasato.

In piedi sulla scala, Wes tirava loro bracciate di libri, segnalando rapidamente cosa e dove cercare.

Si ricominciava tutto da capo. Avevano poco tempo e sarebbe dovuto bastare a trovare il legame tra loro e Faith. Quel tanto che bastava da tenerla almeno in America, per quanto in balia di un altro Osservatore.

Ovviamente, a riguardo del suo collega e futuro sostituto, Westley non faceva commenti. Doyle non gli aveva svelato il fatidico ‘nome di domani’ e a lui, tutto sommato, poco importava.

Faith non sarebbe stata più a sua Cacciatrice. E quel legame intenso e clandestino tra loro si sarebbe allentato.

Per sempre.

Una parola troppo breve per un periodo troppo lungo.

Lanciò un altro libro ad Angel e non si preoccupò di aggiungere indicazioni. Angel sapeva benissimo cosa cercare, non gli sarebbe sfuggito nulla.

Doyle stava alla scrivania di noce, tra gli appunti. Sfogliava, con o senza permesso, le annotazioni di Wes, a caccia di un punto slegato. Avevano parlato a lungo, in quei mesi e, spesso, doyle si era trovato, con le sue nozioni del tutto istintive, a disfare nodi gordiani.

Cordelia apriva i testi uno ad uno e poneva segnalibri a tutto spiano. Il tappeto e i tavolini ne erano stracarichi.

Ma la ricerca e la catalogazione, fino a quel punto, non aveva portato frutti.

E fu in quello scenario di desolazione che irruppero Faith e Spike, dopo aver sbattuto la porta d’entrata così forte da far tremare le fondamenta.

Dobbiamo dirvi una cosa.” – urlò lui trascinando Faith, stritolandole quasi la mano, urtando quasi contro a Angel nel frenare in mezzo alla stanza.

Ohmmioddio la sposa! a quel pensiero, Cordy lasciò cadere a terra tutto e balzò in piedi, seguita da tutti gli altri.

oh mio dio.” – sussultò Wes, saltando giù dalla scala senza pensare di scendere canonicamente.

Faith era una maschera di sangue, raggrumato e sparso ovunque. I suo vestiti erano tagliati, come se l’avessero presa a rasoiate. E Spike perdeva sangue dal viso, fin giù ai jeans, probabilmente da varie ferite.

 

Smettete di cercare…” – ansimò – “Il legame, ho trovato il legame, siamo salvi.”

Lo guardavano senza capire.

E lui, perdendo la pazienza, afferrò Angel e avvicinò i loro visi.

Siamo noi. Noi siamo i legami di sangue. Io e Angel.” – ripetè, scotendolo e macchiandolo di sangue. Angel gli posò una mano sul petto, per accertarsi che non cadesse in avanti e si protese, cercando di toccare anche Faith.

Spike tremava irrefrenabilmente.

spike.” - cominciò Wes, cautamente, guardando la sua espressione da invasato e quella stranita di Faith – “Non per contraddirti ma ho studiato e ristudiato…”

Hai studiato male!” – sbraitò Spike, mentre Doyle si incuneava a forza e lo separava da faith per farla sedere. Per quanto lui fosse plateale con le sue escoriazioni, lei era di certo messa peggio. E scossa.

Faith non oppose resistenza e Spike non pensò nemmeno a discutere, nell’avventarsi su Wes. Gli girava la testa. E Wes, ritrovandoselo quasi addosso, e bloccandolo per le spalle, fu preoccupato da sentire quel cuore battere così forte.

Ad un passo dallo scoppiare.

Il legame, Wes.” – ansimò Spike, aggrappandosi alla sua camicia e macchiandola – “Il legame non sta in faith, ma in Kendra.

Kendra è morta per mano di Drusilla.

Lei può rivendicare Faith. E noi con lei.”

Wes lo fissò senza capire, sorreggendolo. Spike lo fissava, con occhi grandi e disperati.

E’ questo il legame di sangue…” – ripetè, aspettandosi una conferma e cominciando ad aver paura di aver sbagliato.

C’era Angel dietro di lui, con occhi sbarrati per la sorpresa. A capo chino, lasciava che le informazioni gli girassero in testa, vorticosamente.

 

Ti prego…” – sussurrò Spike, guardandolo ancora. E Wes fu certo di essere stato l’unico a sentire quella preghiera. Lo guardò in viso e si domandò da dove gli venisse tutta quella passione nell’infilarsi in guai più grossi di lui.

E fu allora che tutto divenne più chiaro. Quella era la pista. Ci sarebbero stati tasselli da mettere a posto, ma Spike aveva ragione.

E d’istinto lo abbracciò, forte, facendogli scricchiolare le ossa. Sentendo un peso scivolargli dalle spalle, provando un sollievo così forte da pensare di morire.

E’ giusto.” - esclamò, guardandoli tutti – “Abbiamo vinto.”

 

La notte che io mi alleai con Buffy, Angelus irruppe in biblioteca e si prese Rupert Giles. Non sapevo che Kendra fosse morta per mano di Dru, non mi sono ricordato e comunque mi sembrava irrilevante…”

Parlava a raffica, da dentro i vestiti che Angel cercava di sfilargli a viva forza dalla testa. L’avevano seduto in una delle poltrone della biblioteca e Cordelia era corsa a prendere disinfettante per ripulire le ferite di Faith.

Il sangue raggrumato ed il suo muoversi come un’anguilla continuando a spiegare, non rendevano di certo facile il compito ad Angel.

Il quale, con gran divertimento di Faith, aveva abbandonato le sue elucubrazioni per stringere le labbra, in segno di irritazione, nel continuare a tirarlo per le maniche.

Doyle era stato più spicciativo con i suoi vestiti. Aveva finito di strapparli e li aveva ammucchiati a terra, passandole poi, cavallerescamente, il maglione che Wes aveva lasciato in giro.

La spalla le faceva male, ma nessuno aveva pensato di ricucirgliela. Cordelia, con pazienza, aveva applicato dei punti-cerotto e l’aveva meticolosamente disinfettata. Doyle, seduto sul bracciolo, stava facendo altrettanto con la sua fronte.

Ve la siete vista brutta…” – mormorò, abbassando lo sguardo.

E Faith, non trovando parole per spiegare il terrore provato, si limitò a sorridergli.

Adesso sono qui.

E va tutto bene.

Non aveva bisogno di dirglielo. Gli occhi di Doyle si erano addolciti un attimo, con lo stesso sorriso appena accennato. Poi erano tornati a fissare la piccola e appariscente escoriazione.

Certo che ce la siamo vista brutta! Ci hanno circondato e separato… poi sono arrivato e lei e Dru se le stavano dando di santa ragione e quella farneticava…”

Era spaventosamente su di giri. Euforico, o quasi, constatò Wes mentre usciva dalla sua camera finendo di abbottonarsi una camicia pulita.

Era stato lui trascinare di peso Spike su quella poltrona, preoccupato che non ci arrivasse da solo. Quel cuore impazzito che gli si era appoggiato addosso gli rimbombava ancora nelle orecchie, insieme alle sue parole.

Mentre Wes inforcava gli occhiali, Angel e Doyle si scambiarono il posto. Angel si sedette, sul bracciolo, cingendola con le braccia.

Stai bene?” - Mormorò, baciandola sulla nuca, in un punto che in effetti non faceva troppo male.

Ora si, grazie.” – replicò lei, soddisfatta, tenendogli il braccio con entrambe le mani. Ed appoggiandosi contro il suo torace. Era stanca… ma serena, così serena da pensar di poter cominciare a piangere e non smettere più.

Se Spike aveva ragione, se Spike aveva veramente ragione… allora lei gli avrebbe anche perdonato di essere stato un pazzo che rideva guardando le stelle.

 

Calmati.” – Doyle fu meno garbato di Angel, nell’incastrare Spike seminudo tra l’alto poggiatesta della poltrona e il suo braccio.

Spike cercò di divincolarsi, ma Doyle gli si sarebbe seduto anche addosso, pur di guardare bene quelle ferite da taglio.

Non hai bisogno di essere ricucito.” – commentò il demone, limitandosi a passargliele con un po’ di cotone, per levare il sangue raggrumato. In piedi, dietro di lui, Cordelia passava l’occorrente, ma gli toglieva la visuale.

Non mi sembra che il tuo umore sia migliorato…” – constatò, mentre Doyle armeggiava sulla sua guancia. Con una tale grazia da pensare che, date le dimensioni dello squarcio e il suo garbo, gli avrebbe anche strofinato i denti.

Al contrario.” – sorrise Doyle, facendogli piegare la testa e guardando meglio – “Sono di ottimo umore.”

Adesso più di prima, aggiunse, sfilandogli qualcosa dalla faccia.

Oh, le hai rotto un’unghia.” - commentò, neutro.

Ben le sta…” – borbottò lui, cercando di toccarsi il tagli. E finendo respinto, gentilmente.

Adesso, seduto e bloccato, iniziava a sentirsi più calmo. Come se si fosse tolto un peso che lo opprimeva.

Alzò gli occhi verso Doyle e le parole, prima che fossero controllabili, gli sfuggirono di bocca.

Non riuscivo a focalizzarlo.” – mormorò – “Ho la soluzione in testa da giorni… ma continuava a sfuggirmi, a sfuggirmi…”

Doyle lo fissò e poi, contrariamente alla sua abitudine di non irritare Spike, compì uno di quei gesti che lui odiava.

Gli appoggiò una mano sulla guancia, come una carezza.

E lo fissò dritto negli occhi.

Sei stato bravo, William.” – sussurrò – “Sei stato molto bravo.”

E spike gli sorrise, grato, rilassandosi del tutto.

 

Allora.” – aggiunse Doyle, alzando il tono di voce e se stesso – “Dobbiamo lavorarci?”

Certo. E molto.” – ribattè Wes, afferrando alcuni fogli e scrivendo rapidamente – “Drusilla ha provato a rivendicare Faith. Se l’ha fatto lei, possiamo farlo anche noi con le stesse carte.”

Drusilla è matta.” – ribattè senza giri di parole Cordelia – “Vogliamo veramente fare come lei?”

Il Consiglio starà zitto, Principessa.” – Doyle appariva stranamente freddo, una volta ancora – “Hanno buoni motivi per non contraddire le premonizioni di Drusilla.”

Era un’affermazione ben strana. Ma quando Doyle aggiungeva la parola ‘credetemi’ dietro una frase, non si poteva fare altro che obbedirgli.

Involontariamente, Faith pensò a quello che aveva detto Dru di lui. Aveva detto di chiedere all’uomo dagli occhi trasparenti.

Anche Spike doveva aver ricordato, visto che l’aveva cercata con lo sguardo.

E si erano scambiati un’occhiata, decidendo di tacere.

Anzi, Faith, per quel che la riguardava, sarebbe stata zitta su tutto. Non voleva più pensare a quella ragazza così bella e così folle, né a quello che era intercorso tra lei e Spike.

A nulla. Nemmeno a quel senso di inquietante paura connesso a un’ombra mai svelata che le aveva camminato alle spalle.

Doyle ha ragione.” – aggiunse Angel, quietamente, senza smettere di tenere la sua cacciatrice tra le braccia – “Le premonizioni di Dru sono esatte. Spesso. Se lei ha detto che Faith appartiene alla nostra famiglia,allora è vero.

Sussiste un legame molto stretto tra l’uccisore di una Cacciatrice e la successiva. Sei d’accordo, Spike?”

Lo sono. Le cacciatrici lo sentono.” – spiegò, con uno sguardo fermo e tranquillo, mentre Cordelia li passava una maglietta, sigarette e accendino che era andata a prendergli – “Grazie. Sono certo di questo, infatti ho sempre cercato di scoprire dove si fossero attivate le Cacciatrici successive alle mie uccisioni.”

Era una cosa discutibile, moralmente parlando, pensò Wes. Ma tra la morale applicata e l’efficacia di una nozione, spesso, passava un abisso.

Spike era una fonte ricchissima, sull’argomento. Eppure Faith si sentì ugualmente di intervenire.

E’ vero. Drusilla mi mette i brividi addosso…”

Posso garantirti che è un effetto che fa a molti.” – scherzò Angel.

La presenza di Drusilla in città, dopo aver perso le sue tracce per così tanto tempo, lo preoccupava. Dove fosse stata, perché avesse deciso di svelarsi… nella mente di Drusilla stavano tante risposte impossibili a queste domande… e tante letali soluzioni.

Alzò la testa e non si stupì di vedere Spike fissarlo. Ha sofferto la morte di Darla tanto quanto noi? Domandò con lo sguardo.

Pensi che tornerà?

Sì, a entrambe le domande.

Spike annuì, impercettibilmente.

Si sarebbero dovuti preparare.

Ma ora, paradossalmente, avevano con Drusilla un debito di riconoscenza.

cosa facciamo ora?” – domandò Cordelia, restando in piedi vicino alla poltrona di Spike.

Raccogliamo materiale a riguardo. Tutto quello che possiamo trovare.” – Wes non aveva mai smesso di scrivere. Alzò la testa dolo per fissarli, con una determinazione che ormai sembrava ardere di continuo – “E poi li freghiamo, sul loro stesso terreno.”

 

Lavorarono tutta la notte, o meglio, per il tempo che restava.

E tutto il giorno successivo.

A metà del pomeriggio squillò il telefono.

Doyle, di ritorno da alcune commissioni, afferrò il ricevitore in camera di Spike, senza curarsi del vampiro che, con i capelli umidi si affacciava dal bagno.

Sono io.” – rispose, prima ancora di sentire con chi stava parlando. Poi armeggiò, per levarsi la giacca e non perdere le fotocopie.

Dall’altra parte gli rispose una risata.

Bel colpo, Francis. Hai barato.”

Non scherzare… sono ore che aspetto, come al solito.” – alzò lo sguardo. Spike, avvolto nell’asciugamano e grondando sulla moquette, lo fissava sospettoso. I graffi sulle guance e sul collo apparivano meno scavati. Si stavano rimarginando, come era del resto inevitabile.

Hai qualcosa da dirmi?” – replicò l’altro, ignorando le lamentele.

Certo. Abbiamo il legame.”

Dall’altra parte gli rispose il silenzio.

Ottimo.” – la risposta si era fatta attendere. Ma Doyle aveva una vaga idea del motivo.

Lo immaginava, in una cabina, con un piede appoggiato alla porta. E lo sguardo perso. Probabilmente era sul fiume… e vedeva il Big Ben. Fissava l’orologio e si domandava quanto tempo avrebbe dedicato a questa nuova avventura.

In altre parole, pensava alla fregatura che stava per prendersi.

Ehi. Ci sei ancora?” – domandò Doyle.

Certo. Certo.” – sospirò – “Bhe, a questo punto, allora, vado a ungere l’ultima ruota.”

Bravo, ottima idea.”

Ci vediamo presto…”

Lo so.” – sorrise Doyle. A modo suo, avrebbe guadagnato qualcosa da tutta quella storia.

Qualcosa che per lui era importante quanto faith.

Mise giù. E fisso Spike, sempre fermo.

Che c’è?”

Spike fece per dire qualcosa. Ma Cordelia, affacciandosi dal piano di sopra, lo chiamò con premura. Prima di sparire in biblioteca.

Spike gli puntò un dito contro e fece per aprire bocca di nuovo. E cordelia gridò di nuovo.

Va bene, ho capito, arrivo!” – sbraitò lui, stringendo l’asciugamano con entrambe le mani e facendo di corsa le scale,a piedi nudi.

 

Presente.” – mormorò, frenando a lato della scrivania e chinandosi a guardare gli appunti che Wes stava ancora segnando.

Sei certo di questo?” – domandò lo studioso, puntando con la matita un paragrafo e non degnandolo di uno sguardo.

A differenza di Cordelia.

C’era un ragazzo molto biondo e molto nudo nella sua biblioteca.

Anche Angel aveva interrotto i suoi studi, all’altro tavolo. Ed ora lo guardava, aspettando di vedere quanto tempo sarebbe servito a Wes per accorgersi che Spike stava lasciando impronte sul suo pregiato tappeto persiano.

Certo. Questo è giusto.” – mormorò, sbrigativamente Spike, tendendo una mano e trascinando più vicino un altro tomo – “Qui è espresso lo stesso concetto, ma in modo meno esplicito…”

Seguitava a parlare, rapidamente, afferrando appunti e libri.

Ricordava il nome di ogni edizione gli fosse passata tra le mani nelle ultime quattordici ore. E, con buona approssimazione, ogni riga letta.

Faith.” – urlò – “prendimi quel libro che chiami ‘schifido’ dallo scaffale quattordici.”

Si sentì un certo tramestio e apparve Faith. Dolorante o no, odiando il contenuto dei libri, faceva la sua parte come manovalanza.

Gli porse il libro, tenendo in bilico su una mano sola tutti gli altri.

Poi lo sguardo le si focalizzò sull’asciugamano, risalendo su dalla schiena, verso le spalle ampie e umide.

E i volumi caddero tutti.

Spike si voltò, sorpreso.

E fu allora che Wes, buttandogli un’occhiata, perse la matita.

Spike aveva fatto un passo indietro, stringendo ancora il tomo che aveva afferrato.

E fece per chinarsi, ad aiutarla con gli altri.

Per carità, non lo fare!” – urlò Cordelia, buttandosi in ginocchio e afferrando i volumi a manciate.

Lo sguardo di Wes passò da Cordelia a Faith, trovandole entrambe decisamente colorite in viso. Poi tornò a Spike, ancora fermo, con un libro in una mano e l’asciugamano stretto nell’altra.

Con un sorriso che prometteva una rissa.

William.” – disse Angel, con un colpo di tosse – “Sarebbe meglio che ti vestissi…”

Spike alzò lo sguardo nella sua direzione. E poi tornò a fissare Faith.

Era rimasta inebetita e lo fissava, con un rossore uniforme su tutto il viso.

Sul serio, Spike.” – rincarò Wes – “Posso aspettare per quella delucidazione… vai pure a vestirti…”

adesso era il suo turno beccarsi un’occhiata.

Spike posò studiatamente il libro sulla scrivania, con l’espressione soddisfatta del gatto che ha mangiato il canarino.

Se puoi fare a meno di me per qualche minuto…” – mormorò, compito – “Altrimenti mi posso fermare…”

a quel punto a Cordelia caddero di nuovo i libri.

Posso fare a meno di te.” – replicò precipitosamente Westley – “Ma tu infilati qualcosa addosso, prima che la concentrazione delle mie collaboratrici sia definitivamente evaporata.”

Spike gli sorrise, scanzonato e si avviò alla porta.

Gonfiando con il suo ego.

Con permesso signore, tornerò il prima possibile.” – aggiunse cerimoniosamente. Scambiandosi con Doyle, che entrava scotendo la testa.

Angel rideva da dietro il libro.

E Cordelia, con aria disperata, sempre seduta sul pavimento, guardò Doyle. Con tanto amore.

Poi gemette.

Non riuscirò mai più a vederlo con gli occhi di prima.”

Allora saranno tempi duri.” – replicò rassegnato Doyle, chinandosi e baciandola. E sentendosi afferrare per il collo e ricambiare con un trasporto che lo mise di buonumore.

 

Faith rimase abbacinata, dove si trovava.

Faith, per piacere…” – chiese Wes, per trarla di impaccio – “mi prendi il terzo volume dell’enciclopedia?”

La ragazza annuì, risparendo tra le scaffalature.

E Wes la seguì con lo sguardo, prima di voltarsi a fissare Angel.

Adesso è certo, sembrava dire Angel, con una punta di divertimento. Anche le roccaforti imprendibili prima o poi vacillano…

Wes sorrise e, scotendo la testa, tornò ai suoi appunti.

 

 

V

Vestito di tutto punto, Spike si rivelò un utile aiutante e una distrazione limitata.

Sapeva parecchio, riguardo a come ci si muove in una biblioteca. E non abbandonò più la stanza, dopo esserci tornato, per oltre sei ore.

Avevano deciso di alternarsi, per poter dormire qualche ora ciascuno. Ma la verità pura e semplice era che nessuno voleva andarsene, prima di sapere come sarebbe finita.

 

Alle tre del mattino successivo, Wes, finalmente, posò la penna e si alzò dalla scrivania.

Si stirò e scavalcò Doyle che dormiva, allungato sul tappeto, con le braccia dietro la testa. Aggiustò la coperta in cui si era arrotolata Cordelia, un tutt’uno ormai con la poltrona, e proseguì, fino alla finestra.

Fuori, nella luce artificiale della strada, non si muoveva nessuno.

Wes si grattò pensosamente la barba che già di nuovo gli ombreggiava le guance. Non ricordava di aver dormito, se non in aereo.

Non ricordava di aver dormito, da ben più di tre giorni.

Non dormiva da una vita, tutto sommato.

Buffy era morta ed era ritornata.

Faith aveva percorso una strada dura e in solitudine che, per un soffio, non era sfociata nel rancore. Angel aveva avuto un estate di silenzio e Spike era andato tanto lontano da smarrire quasi la via di casa e se stesso.

Ben più di una vita, allora… forse.

Si strofinò gli occhi e si spostò, per fare spazio a Angel, all’ombra della stessa tenda. “Ciao.” – mormorò Angel, sedendosi sul davanzale. Era andato a fare due passi, per distendere i nervi. E per avere qualche minuto di solitudine. Una necessità molto simile alla respirazione degli uomini - “Ci siamo?”

Siamo quasi pronti.” – Wes annuì, appoggiandosi alla finestra – “Mi prendevo due minuti, prima di iniziare a fare i bagagli.”

Girò la testa, abbracciando la stanza con lo sguardo. Gli sarebbe mancata, fu il primo pensiero.. ed il secondo che, dopo tutto il tempo che vi aveva trascorso, si sarebbe fatto addirittura cambiare di stanza per non doverla nemmeno attraversare.

Poi la sua attenzione fu attratta da Faith, addormentata nella poltrona, in una posa simile a quella di Cordelia.

Appariva piccola e inerme, come non mai.

La proteggi tu finchè non torno?”

Angel gli sorrise.

La proteggo anche quando torni.” – commentò.

Wes lo fissò, con l’ombra di un sorriso stanco e chinò il capo. Si strofinò la nuca, pensosamente e gettò di nuovo un’occhiata in strada.

Sei preoccupato per Dru?”

Non l’ho incontrata. E credo sia un male. Avrei preferito avere subito io un raffronto... non loro.”

Se la sono cavata bene. Tutti e due.” – Wes guardò una macchina solitaria transitare – “Meglio lui di lei. Lividi a parte.”

Forse.” – rispose Angel, evasivo.

E Wes si voltò.

Pensi con non abbiano raccontato tutta la verità?”

Penso che quando due si sono amati per oltre un secolo, ci sia sempre qualcosa di nascosto.” – sospirò Angel. La macchina aveva svoltato e la scia dei fanali stava lentamente svanendo – “Se è importante, verrà a galla. Spike non metterà in pericolo nessuno, se può evitarlo.”

Nessuno. A meno che non si tratti di se stesso.”

Wes aveva ragione, Angel lo sapeva. Sapeva che Spike si sarebbe tenuto per sè i segreti se avessero riguardato solo lui.

starò attento.” – rispose. E Wes gli sorrise.

Vorrai dire staremo.” – replicò, tranquillo.

Guardava di nuovo Faith, appoggiandosi con la nuca all’intelaiatura di legno.

Già lo sento.. sarò una suocera.”

L’aveva detto con una tale rassegnazione che Angel non potè fare a meno di ridere.

Addirittura.”

Temo di sì, amico mio. Sono geloso. Molto geloso.”

Puoi stare tranquillo. È un bravo ragazzo, sotto sotto.” – disse Angel, decidendo di stare al gioco – “Dopotutto, l’ho cresciuto io.”

L’aveva detto con un tono tale che Wes si ritrovò presto a ricambiare le risa.

Senza la sua folgorazione, non saremmo giunti a capo di niente…” – aggiunse, tornando serio – “e l’avremmo persa.”

Lo so. Non faccio altro che pensarlo, fin da quando sono entrati da quella porta. Ho temuto il ritorno di Drusilla, fino alla nausea. E invece…”

E invece, ottimisticamente parlando, al posto che dire le disgrazie vanno due a due, possiamo ammettere che una arriva, risolve la precedente e si insedia.” – Wes si lisciò il maglione, raddrizzandosi – “Così non perdiamo l’allenamento, tra un’apocalisse e l’altra.”

Giusto.” – anche Angel si era alzato – “Scendo a cambiarmi. Se ti serve qualcosa…” “Niente, grazie. Raccolgo le mie cose e ributto tutto in valigia. Passo a salutarti, prima di andare.”

 

Angel fece stancamente le scale. Un’altra volta. Ormai non contava più i gradini, li percorreva fiaccamente, andando in una direzione o nell’altra.

E, giungendo sul suo piano, prima di andare in camera sua, aveva preso un’altra strana abitudine.

Attraversava il pianerottolo e bussava.

Giorno dopo giorno, anno dopo anno, bussava.

Anche se spike, per principio, piombava non invitato, sorprendendolo con nuove proposte o lamentele, Angel non smetteva mai di rammentare quanto odiasse le intrusioni nel suo spazio.

E allora bussava.

Non gli costava nulla.

E gli dava il piacere di aver fatto una cosa gradita.

Avanti.”

Anche la risposta era divenuta un’abitudine. Spike lo urlava da sotto la doccia, da dietro la scrivania e per passare sopra il volume assordante dello stereo.

Talvolta lo bofonchiava nel sonno. Ed Angel apriva la porta, per poi richiuderla subito, prontamente.

Quella volta, invece, gli aveva risposto una voce tranquilla.

Angel aprì la porta ed entrò, lentamente. Spike spuntò in quel mentre dallo studio, con un paio di libri in mano.

Sul letto, c’era una sacca.

Dove vai?” – domandò Angel. La vista di quella valigia semipiena con i vestiti appoggiati intorno l’aveva lasciato perplesso.

Lo sai dove vado.” – sorrise, infilando i libri e le magliette – “A Wes serve un supporto.”

Vai in Inghilterra, allora?”

già. Ne so parecchio di Cacciatrici che si attivano e di Cacciatrici che muoiono. Posso dare una mano.”

Gli voltava le spalle, proseguendo a riempire la sacca. Ed Angel gli girò attorno, sedendosi sul letto e allungando le gambe.

Sei certo di quello che fai?”

E spike si fermò, lasciando andare quello che teneva in mano.

L’Inghilterra non mi fa né caldo né freddo.” – mormorò, fissandolo – “Mi manca, tutto qui. Ma non vado per un viaggio di piacere. Vado perché posso essere utile.”

Sei utile anche qui.”

Non mi dirai che stai soffrendo di solitudine.”

Non io, Faith.” – ribattè Angel, così prontamente che Spike ne fu assolutamente colto di sorpresa – “Senza contare che Drusilla tornerà a cercarla.”

Spike non rispose, rimase in silenzio, a raddrizzare i cd, sulla mensola, dandogli le spalle.

Tu la proteggerai. Lo sappiamo tutti e due.” – rispose, dosando lentamente le parole. Ed i gesti, per voltarsi – “Ed io so che non tornerà per lei. Finchè sarò lontano io…”

Allora è anche questo. Sei tu il prossimo bersaglio.” – mormorò Angel, allungando un braccio e giocherellando con un libro rilegato – “Perché non io?”

Non le interessi abbastanza.” – rise forzatamente Spike – “Non te l’ho già detto una volta?”

Angel sorrise. Sapeva che stava mentendo. Come l’aveva saputo la prima volta.

Erano una famiglia, lo erano stati, loro quattro. Indipendentemente dalla realtà dei fatti, i loro legami erano sempre stati perfettamente bilanciati.

E se ora Spike si comportava in quel modo, era per qualcosa che non avrebbe svelato facilmente. Qualcosa solo suo e di Dru.

Ma Spike doveva essere stanco di quel gioco. E parecchio.

Angel.” – aggiunse, cambiando espressione. Con lo sguardo ancora più in risalto tra le cicatrici ormai quasi scomparse – “Non sono tanto stupido da credere che resterai fuori dalla questione. Prima o poi, o io, o Dru, ti tireremo in ballo. Ma fino ad allora ti prego, fa finta di non averci mai conosciuti.”

Mi chiedi una cosa impossibile, William.” – replicò guardandolo, ai piedi del letto, le mani sui fianchi. E l’aria di chi si aspetta qualcosa – “Tu e lei siete troppo importanti nella mia vita. Non ne ho mai fatto mistero. Ma c’è una cosa che è meglio tu sappia. Se Drusilla toccherà Faith, Cordelia o uno di voi… io la farò fuori. Senza alcun rimpianto.”

Spike lo fissò, un momento interminabile.

Poi si voltò aprendo l’armadio.

Saresti stato credibile.” – ammise – “Non avessi detto una cazzata madornale proprio sul finale…”

 

Scesero le scale insieme. E sentirono il taxi frenare, davanti al cancello.

Anche Wes doveva averlo sentito, perché discese, con la giacca già indosso, e la sacca sulla spalla. Aveva anche una valigetta in cuoio, di quelle solitamente in mano ai professori.

Inverno londinese, eccomi.” – mormorò, con un luccichio negli occhi.

Voleva essere allegro, ma era solo stanco. Tanto stanco.

Non si stupì di vedere spike pronto per un viaggio. Probabilmente già lo sapeva, ammise Angel. Ne avevano parlato, nei ritagli di tempo. Oppure l’avevano sempre saputo, dal momento in cui Spike si era appellato a lui per avere conferma delle sue supposizioni.

Andiamo.” – disse l’osservatore, affiancando Angel. Fuori, il taxista dava segni di impazienza, con il bagagliaio già aperto.

Spike si attardò a spegnere una sigaretta. Poi afferrò la sacca e se la pose su una spalla.

E si voltò, risolutamente.

Tornava a casa. Tornava in Inghilterra. Come tante altre volte.

Solo che, adesso aveva un’anima. Occhi nuovi e ricordi vecchi per assaporarla.

Belli o brutti che fossero.

Era già alla base dei gradini, quando sentì sbattere la porta dietro di lui.

E, sotto il portico, scarmigliata e a piedi scalzi, apparve faith.

Dove stai andando?”

A casa.” – le rispose Spike, sorridendo, voltandosi e alzando la testa, per guardarla.

Casa è qui, Spike.” – gli rispose Faith, con occhi bui e tristi.

Allora tornerò.” - aggiunse irriverente il vampiro – “Ti mancherò?”

E lei annuì, guardandolo.

Mi mancherai. Sul serio, Spike. Mi mancherai.”

La fissò ancora, per imprimersela nella mente. Sul cancello, lo sapeva, Angel stava già allungando un paio di banconote mancia per il disturbo extra.

E si voltò per andare via.

 

Gli bastò un attimo per cambiare idea.

 

La sacca non era ancora caduta sul sentiero, ma Spike era già di fronte a faith, in cima alla breve gradinata.

E prima che lei potesse dire qualcosa, o appena rendersene conto, la baciò, afferrandola per le braccia.

La baciò con forza e possesso. E lei, sorprendentemente, ricambiò, infiammandosi su quelle labbra gelide e umide.

Quando si separarono, trovandosi ancora abbracciati e ansimanti, Spike le sorrise, e alzò la testa.

Guarda lì.” – mormorò – “Vischio.”

E faith con la paura nel cuore per quel bacio rubato, gli sorrise. E annuì.

Avrebbero avuto tempo. Adesso ne erano certi.

Anche noi americani ne sappiamo qualcosa di tradizioni natalizie…” – aggiunse, sorridendo. E carezzandogli le labbra, in punta di dita.

Meno male.” – replicò lui – “Buon Natale, Cacciatrice.”

Buon Natale, Vampiro.” – rispose, mentre Spike si allontanava, per afferrare la sacca e andare via.

Lo vide passare veloce vicino a Angel, senza una parola, ma rallentando il passo, in una breve occhiata.

E fu Wes, a salutarla con un cenno, ancora, dal finestrino del taxi già in movimento.

 

 

VI

Erano rimasti solo loro, sotto al portico. E Faith, improvvisamente consapevole del vento freddo del primo mattino, si strinse un po’ di più le braccia.

Rientriamo?” – propose Angel, guardandola.

Solo un attimo, ancora.” – gli rispose Faith, fissando il punto in cui la macchina aveva svoltato.

Prima di tornare ad essere semplicemente Faith.

Lo tirò per la manica e gli diede un bacio, sulla guancia. Ed Angel la guardò, con un sorriso.

Sapeva di Spike, quel bacio. Ma Faith, probabilmente, non aveva badato a questo particolare.

Vischio, Angel. Si usa anche in Irlanda?”

Ormai è tradizione di buona parte del mondo, Faith.” - Replicò, ricambiando il bacio e stringendola un po’ tra le braccia. Mentre seppelliva un nasino gelato tra i suoi pettorali – “Oh, bimba,bimba…”

Dimmi, Angel.” – sospirò lei, alzando la testa per vederlo e piantandogli il mento dove prima teneva il naso – “A cosa stai pensando?”

A nulla in particolare…” – replicò, cercando di sembrare svagato. Malamente.

Ma Faith non insistette. Aveva una vaga idea della linea di pensiero che stava probabilmente seguendo. E aveva il vago sentore che, in taxi, fosse in atto un terzo grado piuttosto inquisitorio.

Sono successe così tante cose.” – sospirò, riappoggiando la guancia la maglione ruvido. E abbracciandogli il torace – “Sono così stanca…”

Anche io, Faith. Ma ora so che abbiamo ben più di una speranza. Abbiamo una certezza che ci farà dormire tranquilli.”

Tu lo credi? Lo credi veramente?”

Sì, lo penso sul serio. Spike ha ragione, cercavamo nella direzione sbagliata. Analizzavamo il tutto a partire dalla tua Iniziazione, non dalla morte della Cacciatrice precedente.

Tecnicamente la cosa peggiore che possono dirci è proprio che abbiamo liberato le tenebre che erano in te…”

Uff, tremendo…” – sospirò lei, melodrammatica.

“…e che quindi è colpa nostra se hai qualche defaiance ogni tanto…” – aggiunse, prendendola vagamente in giro.

Ti rendi conto, Angel, dell’idiozia di questa affermazione? Come dire che ogni Cacciatrice ha uno spazio interiore di pura ombra, solo perché si attiva ogni volta con un bagno di sangue…” – si interruppe. Parlare di ombre le aveva riportato alla mente quella sgradevole sensazione che Drusilla non fosse sola. Reale o fittizia che fosse quella presenza, la ricacciò in fondo alla mente.

Angel non rispose.

Rimase a fissare un punto sconosciuto.

E non disse nulla, per non lasciar sfuggire dalle labbra il peso che di colpo aveva inspiegabilmente sentito al centro del petto.

 

Quando si svegliò, l’Hyperion era ancora immerso nei sogni.. L’aria fredda e nitida della notte, dalla finestra aperta, era un balsamo per i suoi pensieri.

Spike e Wes avevano telefonato. La loro permanenza in Inghilterra era cominciata. Spike gli aveva parlato, lamentando il tempo, le luci, la folla e i giapponesi in soprannumero. E mai Angel l’aveva sentito così felice di lamentarsi.

Wes, invece gli era sembrato tranquillo, quasi nauseato dalla sua capitale. L’aveva vista così tante volte, negli ultimi mesi…

Doveva essersi addormentato, dopo la chiamata tanto attesa. Ed addormentarsi sul divano, ragionò, movendo le membra intorpidite, non era stata una buona scelta.

Se non per la presenza di quella splendida cacciatrice bruna, insediata sul suo stomaco.

Il cuore di Faith, vicino al suo, batteva tranquillo. Se mai aveva battuto forte, in quel bacio rubato, sotto il portico, Angel non lo seppe mai.

Il cuore di Spike l’aveva sovrastato e coperto all’attenzione dei sensi di Angel. Era stato una vibrazione forte e piena.

Il cuore di Spike era un gran organo, si fermò a pensare. Era uno scrigno per miriadi di emozioni, la maggior parte delle quali priva di nome.

E incomprensibile ai più.

Spike si portava all’interno un mondo.

E non era per niente selettivo all’entrata, rise Angel, silenziosamente.

Come gli sarebbe piaciuta quella metafora. Il suo cuore era una stamberga in cui tutti entravano… e parecchi sfasciavano mobili.

Doveva essere un bel problema… povero, povero William…

A cosa stai pensando?” – domandò Faith, inarcando un po’ la testa, per appoggiarsi meglio.

A tante cose.” – replicò Angel, allentando un po’ l’abbraccio per lasciarla libera di muoversi – “E, andando avanti con questo ritmo, saranno sempre di più.”

Soprattutto con Drusilla tra i piedi.”

A dire il vero, non stavo pensando a lei… ma tu sì, a quanto pare…

Angel piegò la testa, intrecciando le mani tra i suoi capelli. Gli facevano il solletico e gli scaldavano le mani.

Non è stata una bella esperienza, vero?”

Decisamente no, non delle migliori della mia vita.” – replicò Faith, con una breve alzata di spalle. Poi finì di assestarsi, posando il mento sulle mani e distribuendo il suo peso sul corpo di Angel.

E guardandolo, sospettosa.

Da quando ci concediamo così tanto al contatto fisico?” – domandò.

Non le era quasi mai capitato di stare così addosso ad Angel. Aveva dormito con lui solo un paio di volte, da quando vivevano insieme.

Un paio di volte in cui la stanchezza aveva avuto la meglio su entrambi.

E mai, prima di allora, lui l’aveva tenuta così stretta, perennemente in un abbraccio.

Ho avuto così paura di perderti da decidere di fare il pieno di ricordi.” – replicò lui, stirando le labbra in un leggero sorriso.

parli della paura già al passato.” – mormorò, appoggiando la testa, presa da un attimo di angoscia – “Come fai ad essere così certo che andrà tutto bene…”

Non ne ho la certezza… ma il tuo Osservatore e il rinomato William the Bloody si occupano del tuo caso… Londra sarà presto in fiamme.”

L’aveva fatta sorridere. Non era molto, ma sarebbe bastato per far cominciare la giornata in modo positivo.

 

Quando Faith decise di alzarsi, pochi minuti e qualche parola più tardi, con sua grande sorpresa, lo scoprì nuovamente addormentato.

La testa gli era scivolata da un lato e, nel sentirsi più libero, senza il suo corpo indosso, si era mosso, alla ricerca di una posizione più comoda.

Faith lo guardò assestarsi, cercando di ravviare con le mani i capelli scarmigliati. E cercando poi una coperta da mettergli addosso.

Riteneva che potesse essere un gesto carino, come quelli con cui Angel si occupava di lei.

Ma non c’era nulla, in tutto il salone.

Si mosse piano, in giro per la stanza, facendo di tutto per non svegliarlo. E fu nel silenzio che sentì un leggero tramestio sul pianerottolo. E Doyle apparve.

Con un coperta tra le mani.

Ma sei provvidenziale.” – mormorò, sorridendogli e tendendo entrambe le braccia. Doyle la guardò perplesso, impiegando un attimo a capire. Poi le sorrise, indulgente e le tese il plaid di Cordelia.

Grazie, mormorò lei, tornando rapidamente verso il divano.

E coprendo il suo vampiro con una cura ed un’ attenzione tale che Doyle non osò dirle che sarebbe bastato chiudere la finestra.

 

Scesero le scale insieme, Doyle appoggiandosi pigramente al corrimano, Faith stringendosi nelle spalle, come per scacciare gli ultimi residui di sonno.

Era Natale.

O, almeno, Natale era finito da qualche ora, senza che nessuno lo ricordasse.

L’Hyperion era stato un mondo a parte…e solo Spike, con quel suo augurio nato per riempire uno spazio vuoto in una strana conversazione, aveva dato tempo al loro vivere.

Buon Natale.

Era stato realmente Natale.

Solo che, l’avevano semplicemente scordato.

Fuori, da qualche parte, un vecchio disco gracchiante trasportava ancora qualche canto appassito.

Probabilmente era stato dimenticato acceso… ed ora, inceppandosi, la puntina arrancava verso la fine.

Non hai sonno?” – domandò Doyle, guardandola.

ma Faith si limitò a scuotere la testa, distratta da quei ragionamenti.

E tu?” – domandò.

No. direi proprio di no.” – sospirò Doyle – “Preparo del the, ne vuoi?”

Perché no…” – mormorò, seguendolo in cucina.

C’era un cestino, in salotto. Un cestinetto rosso con alcuni pacchetti dentro. E Faith si fermò a fissarlo, sorpresa.

Cordelia. Sono i suoi regali…” – spiegò Doyle, affiancandosi.

Non sapevo li avesse comprati. Io.. io non ne ho comprato nessuno…” – Faith abbassò lo sguardo. Un’altra festività dimenticata.

Poco importa.” – replicò il demone – “Credo che Cordelia non li distribuirà fino a quando torneranno quei due…”

Preferì non aggiungere altro. Non si sapeva quando Spike e Wes avrebbero varcato quella porta. Né, tantomeno, con quale risposta.

E per quanto il destino tramasse e Doyle spingesse verso l’imbroglio, un margine di rischio c’era…

Che Natale freddo…” – mormorò Faith, guardando fuori dalla finestra. Il tempo si stava guastando. Sarebbe stata una giornata grigia… ma Faith di certo non si riferiva al clima.

Ma alla vita.

Era snervata.

Certo, le cose erano migliorate, negli ultimi tempi. Aveva dimostrato pazienza e coraggio da vendere… ma dentro continuava a sentirsi vacillare.

Che vita grama, la mia…” – sospirò, comicamente. Si girò, incrociando le braccia – “ti sembro una martire della causa?”

Eccome. La sofferenza fatta a persona.” – rispose prontamente Doyle, porgendole la biscottiera già aperta.

E’ vuota.”

Come?”

La biscottiera.” – Faith gliela prese dalle mani e la girò – “Vuota.”

Bene.” – borbottò Doyle, strofinandosi la testa. Aveva persino un’ombra di barba. E, come nel caso di Westley, bastava a far risaltare ancora di più gli occhi.

Come se a Doyle servisse un espediente del genere…

Lascia, faccio io.” - aggiunse Faith, rovistando negli armadietti. E disponendo, con una certa rapidità, di tazze e bustine.

Doyle la fissò, restando in piedi, mentre dal nulla appariva tutto il necessario.

Faith gli si affaccendava attorno, silenziosa.

Sei molto cambiata…” – constatò, guardandola di sbieco.

Sul serio?” – si girò, per afferrare il bollitore – “non mi sembra.”

Oh, certo… perchè tra un massacro e l’altro nella tua giovinezza, ti impegnavi nella cerimonia del the..”

Bhe…” – considerò Faith, con una lucina pestifera nello sguardo – “Al Sindaco non dispiaceva…”

Doyle sorrise, mentre Faith finiva di mescolargli il the e ci buttava dentro ancora un paio di zollette.

Fece per darglielo, poi si fermò.

Non pensi di correggerlo, vero?”

Doyle, rimase fermo, con la mano protesa, pronto a ricevere la sua bevanda.

Poi scosse la testa.

No, grazie. Sto ancora smaltendo i postumi di ieri.”

L’aveva detto seriamente. Ed era stato convincente.

Solo che, non era un segreto, Doyle non aveva toccato un goccio di alcool da giorni. Aveva fumato come un turco, imprecato a non finire… ma non aveva preso nulla che potesse annebbiarlo. E, per grazia ricevuta, non aveva avuto visioni.

Ok. Tieni.” – approvò Faith, finendo di offrirgli il the. E sedendosi a fianco, con il proprio davanti.

Da chi hai preso quegli occhi?” – mormorò, infilandosi in bocca il cucchiaino –“Mamma o papà?”

nessuno dei due…” – rispose tranquillo, come se si aspettasse quella domanda da sempre – “Mio padre non lo ricordo… mia madre, la mia parte umana, aveva i più begli occhi verdi che si potessero immaginare. E tu?”

E io cosa?”

Da chi hai preso quegli occhi.”

Faith replicò con un’alzata di spalle. Tornando ad essere la solita Faith.

Non sei obbligato a ricambiare il complimento.”

Sto parlando sul serio.” – Doyle girò un’altra volta il the e ci sbattè dentro un’altra zolletta. Meglio abbondare…

Penso mio padre. Del resto l’ho visto così poco.. lui lavorava ed io stavo dalla vicina di casa.. ecco, li avrò presi da lei gli occhi scuri. Era più parente di tutti gli altri…” – sospirò, bevendo un sorso. E posando studiatamente la tazza – “In effetti è un argomento avvilente. Parliamo di tua madre, è meglio.”

Doyle le sorrise, senza fare commenti. E riprese a parlare, con una sigaretta spenta già tra le labbra.

Mia madre… con mia madre c’era sempre da divertirsi. Era una splendida irlandese da manuale, con la testa dura come un mulo.” – frugava nei cassetti, a caccia di un accendino – “Certe volte era come vivere con un generale. Se Sinead Doyle prendeva posizione… c’era solo da mettersi l’anima in pace.”

Sinead… è un nome bellissimo. Fa pensare alle fate.”

Doyle sorrise, senza contraddirla. Dalle sua parti, Sinead Doyle era sinonimo di strega…

In inglese sarebbe Jenny, oppure, se vuoi mantenere la poesia, Ginevra.”

Che significa…” – Faith accennò un sorriso.

Se vuoi saperlo, dovrai chiederlo a Wes quando torna…”

Avanti… tanto lo so che lo sai…” – lo punzecchiò ancora. Inclinando la testa e guardandolo in viso – “Doyle, dimmi cosa significa…”

Doyle sospirò, con sopportazione. Senza ammettere nemmeno con se stesso quanto gli piacesse parlare di sua madre.

E di quanto, invece, uno dei pochi che l’avevano realmente amata e conosciuta, odiasse sentirla anche solo nominare.

Può significare molte cose... ma una delle migliori interpretazioni è ‘Elfo luminoso’, oppure ‘Splendente tra gli elfi’.” – tirò una boccata e stette zitto.

Scusami…” – disse Faith, notando la sua espressione – “non è un buon argomento.”

Tutt’altro.” – Doyle si affrettò a contraddirla – “In effetti, non pensavo a lei da molto tempo… mi hai aiutato a ricordare…”

Faith gli sorrise, con una traccia di imbarazzo.

E prese coraggio.

Ti manca?” – domandò. Il concetto di madre, nella sua testa, era una vaga accozzaglia di luoghi comuni, quali profumo, calore e protezione. Una descrizione da manuale, o da romanzetto rosa.

Naaa…” – Doyle enfatizzò l’affermazione, con il gesto della mano. Nascondendosi magistralmente – “Adesso ho Angel…”

 

Faith rideva ancora per quella battuta sciocca e Doyle approfittava per finirsi la sigaretta in silenzio.

D’un tratto la casualità degli eventi gli sembrò piacevole.

Parlava con Faith di suo madre mentre suo.. bhe, il suo ‘coso’ si affannava per divenire l’osservatore di Faith.

Buffo gioco delle parti…

C’era veramente da ridere.

Purtroppo, indipendentemente dalle chiacchiere piacevoli, c’erano discorsi che gli sarebbe piaciuto affrontare.

Faith…senti…”

E Cordelia dov’è?” – domandò Faith, senza accorgersi del suo tentativo di prendere l a parola.

Credo a dormire…erano quelle le sue intenzioni. Io ero di sopra cercare di riordinare la biblioteca… abbiamo lasciato un accampamento…”

Vuoi una mano?” – domandò prontamente, alzandosi. Si sentiva piena di energie.

Con l’adrenalina ormai perennemente in circolo.

No, no, a dire il vero.” – replicò, agguantandola e facendola risedere – “a dire il vero, vorrei parlare con te.”

Ok. Spara.”

Vorrei parlare di Drusilla.”

La vide cambiare espressione.

E capì di non aver premuto un buon tasto.

Oh. Di quella…”

Già.” – Doyle annuì, dispiaciuto – “Lo so, non è un buon argomento. Ma vorrei lo stesso che mi raccontassi.”

Non c’è molto da dire.” – alzò le spalle e giocherellò con le bustine del the – “Mi ha aggredito e continuava a dire che le appartenevo, che mi voleva.. ma non credo fosse d’accordo con quelli che ci hanno attaccato. È stato casuale. Ci seguiva…”

era una descrizione da guerriero. Il come dell’attacco, le parole… non avrebbe tirato fuori molto di più, se non faceva le domande giuste.

Cosa hai provato?” – chiese, diretto.

All’inizio fastidio. Era troppo bella… mi dava i nervi.” – Faith si alzò, con un moto di nervoso – “non aveva idea fosse così… nemmeno in quel ritratto, quello che ha Spike sulla libreria… nemmeno lì è così bella. E poi, quegli occhi…”

Faith si voltò, a fissarlo. E fu tentata di dirgli della nausea, dell’ombra… ma no, era una sciocchezza.

Quegli occhi, Doyle, sono incredibili. Erano quasi viola… era come se.. come se ci tenesse il mondo dentro…”

si fermò. E lo fissò.

Più attentamente di quanto non avesse mai fatto.

I suoi sensi di Cacciatrice si tesero, fino allo spasmo, come mai le era successo.

Ma cosa stava capitando? Lei si fidava di Doyle, si fidava…

Ma il mondo… il mondo negli occhi…

Faith…” – la chiamò il demone, alzandosi – “Faith, guardami…”

C’era una strana apprensione, nella sua voce, un’emozione che la rendeva roca.

Gli occhi di Drusilla… gli occhi di Drusilla assomigliano ai miei?”

C’era stata paura nella voce. E Faith, deglutendo, scoprì di avere le labbra secche. Ed il fiato mozzato.

Lo guardò, dritto in viso, dritto nello sguardo. Ma Doyle non le sorrise, come sua tremenda abitudine.

Rimase fermo, con gli occhi negli occhi e sopportò quell’esame. E poi, con un sollievo che gli provocò una fitta al petto, la vide chinare il capo e scuoterlo.

No…” – Faith si tirò indietro i capelli e lo fissò – “Sono occhi bellissimi.. ma c’è qualcosa di sbagliato all’interno…e come se, tutta quella bellezza divenisse ripugnante, d’un tratto. È questo che ho provato, ribrezzo…”

Doyle si era riseduto sullo sgabello. Ed ora la guardava, sapendo che avrebbe continuato a parlare.

Dapprincipio non te ne rendi conto…” – spiegò, come se fosse un fatto assodato. Come se non si rendesse conto che era la sua elevatissima percezione del pericolo a permetterle di scomporre le sensazioni – “è affascinante, bellissima. Parla e non puoi fare a meno di ascoltarla. Poi è come se la vedessi realmente per quello che è... una cosa sbagliata…”

E’ giusto.” – replicò Doyle, appoggiando la schiena contro il bancone, le mani abbandonate sulle gambe – “Drusilla è una cosa sbagliata.”

Tu la conosci?” – chiese, cautamente, sedendosi sul ripiano, come aveva visto fare migliaia di volte da Spike. Come faceva Spike, quando restava a discutere con quel demone dagli occhi chiari.

Doyle annuì, prima di prendere la parola.

L’ho intravista, parecchie volte.” – ammise – “Prima che Angel venisse qui, a Los Angeles. E poi in qualche visione…”

no, non era stata una buona idea.

Ma ormai doveva parlare anche lui.

Si accese una sigaretta, rabbiosamente. E poi, dopo un attimo di esitazione, offrì a Faith. Protendendosi cavallerescamente ad accendergliela.

Grazie.” – mormorò lei, distendendo la schiena contro il pensile. E chiudendo gli occhi un secondo, con un profondo respiro.

Drusilla non è di certo una di quelle pedine facili da ignorare. Parla troppo e sa troppe cose…” – sospirò Doyle, aggirando l’ostacolo, almeno in parte. Senza illudersi che Faith non arrivasse da sola alla fatidica domanda. Una domanda di cui ancora non poteva garantire la risposta. Se non attraverso la sensazione che gli provocavano i suoi pensieri – “E Spike, come l’ha presa?”

Il ritrovarsela di fronte? Dapprincipio bene…” – fin troppo bene – “Poi Dru deve aver detto qualcosa... qualcosa che non ho capito… e lui l’ha colpita. Non l’aveva mai visto così furente… figurati, per un attimo ho pensato di difendere Dru…”

era un’affermazione strana. E preoccupante.

Faith l’aveva ammesso con una mezza risata. Ma il fatto l’aveva disturbata. Glielo si leggeva in faccia. Difendere un vampiro.. per giunta Drusilla…

Chissà cosa mi è preso…”

Già…” – annuì Doyle, alzandosi – “Inspiegabili fatti della vita…”

non aveva intenzione di andarsene, ma Faith lo fraintese.

E Doyle si sorprese, nel sentirsi afferrato per un braccio.

Doyle, aspetta. Devo dirti una cosa.” – Faith aveva lo sguardo preoccupato – “Drusilla ha detto…”

allora c’era qualcosa.

C’era qualcosa che non era stato ammesso, fino a quel momento.

Si appoggiò con una mano al ripiano e rimase vicino a Faith, in attesa.

dimmi tutto.” – disse, semplicemente. Aspettandosi una confessione, un particolare tralasciato per un valido motivo.

Ma quello che Faith disse fu ben di più, fu una conferma alla paura più oscura che avesse mai provato.

Drusilla ha detto qualcosa, riguardo a legami di sangue. Ha detto che non si possono spezzare. E che, se non le credevamo, dovevamo chiedere all’uomo dagli occhi trasparenti.”

Doyle rimase zitto.

Così raggelato da quell’affermazione che Faith, impaziente, pose subito la domanda.

Come faceva a conoscerti, Doyle? L’hai detto tu, vi siete intravisti, lei non può sapere chi sei o cosa fai per noi…” – insistette – “Che cosa le fa credere che t sappia… l’avessi saputo ce lo avresti detto…”

si stava lasciando sviare. Doyle, tornando presente, focalizzò Faith, non ascoltando più le parole che stava dicendo. Faith si stava lasciando sviare.

La vera domanda non era cosa potesse dirle Doyle.

Ma perché Drusilla fosse certa che avrebbero chiesto a lui…

Faith.” – la chiamò. Con una voce così seria che Faith interruppe le parole e si voltò, scrutandolo in viso.

ora devo farti una domanda. Una domanda molto importante.” – scandì, senza perdere di vista un solo battito di ciglia della sua interlocutrice – “Drusilla ha notato che le guardavi gli occhi? Ha detto qualcosa, a riguardo?”

Faith abbassò il viso, fissandosi la punta dei piedi. E si concentrò, disperatamente, per cercare nella memoria le parole esatte, in quel delirio…

 

Fino a trovarle.

 

Gli occhi, i miei occhi, ti piacciono, lo so… piacevano a lui, piacevano all’universo. Erano occhi per vedere, non per morire… occhi per guidare…”

 

E le ripetè. Lente, con voce quasi sepolcrale, per separarle una dall’altra.

 

Doyle la stava ancora fissando. Ma ora c’era una pena infinita nel suo sguardo.

 

VII

Adesso sono io che devo chiederti come ti senti…” – mormorò cautamente Faith, versando una seconda tazza di the per entrambi.

Dopo quella lunga, singola, occhiata che le aveva messo i brividi, Doyle si era riseduto.

Ed ora era in silenzio, come una marionetta abbandonata su un alto sgabello. Le gambe allungate, le braccia mollemente scivolate.

Solo il lento fumare una sigaretta, tradiva la sua inespressività.

Con una lentezza evidente, Doyle portava la sigaretta alle labbra, per poi ricondurla verso il basso.

Non curandosi della cenere che cadeva sul pavimento immacolato della cucina.

Con un silenzio che sapeva di pensieri ed uno sguardo tempestoso.

Buio.

 

Sto bene.” – mormorò, scandendo bene le parole e girando su se stesso, per posare le mani dove fino a poco prima aveva posato la schiena.

Di nuovo seduto al bancone e Faith, a fianco a lui.

Come se non sapesse se le era permesso di sedersi di fronte a quegli occhi e quei ragionamenti.

Sto bene.” – ripetè, con un tono che lasciava intendere il contrario – “Avrei preferito non avere quella risposta, tutto sommato.”

Faith non sapeva cosa rispondere. La prima frase venuta in mente, quella istintiva e sincera, le sembrò subito eccessivamente dura. E petulante.

Avevi da non chiedermelo.

Tu non volevi saperlo. Io non volevo parlarne.

Eravamo costretti a infilarci in questo guaio?

Oh, si. Risponderai di si. Ne sono certa.

 

E avanti. Pensieri in abbondanza, a migliaia, dentro la sua testa e dentro quella di Doyle.

Un continuum di dubbi, incertezze e repulsione.

A cui potevano sfuggire solo mediante la parola.

 

A questo punto…” – azzardò infine la Cacciatrice – “Dovremmo parlarne… e andare fino in fondo.”

Doyle si voltò a guardarla. E sorrise. Faith non aveva realmente voglia di finire quel discorso. Così come non ne aveva avuta nell’iniziarlo.

Ma se, da principio, aveva accettato per rispondere ad un esigenza del demone, ora, nel farsi avanti, si rivelava combattiva e determinata.

Come avrebbe dovuto essere sempre, fin dalla sua Iniziazione.

Solo ora, Faith iniziava a splendere di una luce constante. Quelle luce a lungo attesa e talvolta intermittente.

Solo ora.

Nel rivelarsi pienamente forte delle sue scelte.

 

Sei figlia di Angel fino in fondo, Faith…

Il vostro legame di sangue sarà sempre più vasto di quanto mai un Consiglio ed un pugno di uomini potranno immaginare.

Basterebbe che sapessero cosa si prova a stare sotto un temporale in lacrime, mentre tuonano dai loro tribunali. E basterebbe che capissero cosa accade quando dalle ombre la luce ci abbraccia.

E ci salva da noi stessi…

Ma tutto questo, in questo mondo, non ha realmente importanza.

Quello che conta, per me, nel mio cuore, è l’onore.

L’onore che provo, a sedere qui, con te. E a parlarti.

 

Faith attese pazientemente quella lunga e prolungata parentesi silenziosa.

Vide gli occhi di Doyle tornare trasparenti, come accade all’acqua in cui le increspature lentamente rallentano e scompaiono allargandosi verso nuovi orizzonti.

E attese ancora.

Fino a vedere finalmente un pallido sorriso adornargli appena i lineamenti.

 

Hai ragione.” – mormorò Doyle – “Andiamo fino in fondo. Ma voglio che tu sia consapevole di quello che sto per dirti.

Perché alla fine, Faith, io ti chiederò un consiglio. E dovremo fare una scelta molto importante. Tu sai che cosa siano i rimorsi e la redenzione. E non faticherai a capire… ma andiamo con ordine.”

Si era trattenuto. Istintivamente, avrebbe voluto saltare quei preliminari e mirare al punto. Ma erano necessari.

Su questo non si poteva discutere.

Faith.” – riprese, dosando bene le parole e giocherellando nel posacenere con la sua sigaretta quasi spenta – “Ricordi quello che hai detto di me, quella sera, quando Wes ci ha illustrato la teoria dei nomi?”

Faith aggrottò la fronte. Ricordava quella sera... ma tutto in forma nebulosa e grigia. E, a malapena, soprattutto, la tranquilla conversazione che aveva preceduto, e presagito, la tempesta.

Wes ha parlato del tuo nome…” – ricapitolò, lenta – “E ha detto che c’era un significato per ogni sua parte, fino al cognome. Ed io allora, ho detto che…eri il più intrecciato con il destino. È a questo che ti riferisci?”

Proprio a quello.” – annuì lui, bevendo un sorso di the ormai appena tiepido – “E io ti dissi che era un’interessante osservazione. Io ho, in effetti, che lo voglia o no, parecchi ruoli.

Ma il più importante che ricopro, da tempo, è quello di Cantastorie.”

Si interruppe e prese un grande respiro.

Faith aspettava, ma dava anche segni di impazienza, stringendosi le mani, fino a far sbiancare le nocche.

Non sono abituato a parlare di questo.” – ammise, in un soffio – “Mi è capitato poche volte, fino a oggi. Io sono il Cantastorie dell’Universo. Non ne vado fiero. Ma devo farlo, sono nato per questo. Sono un tramite per le Alte Sfere, la guida per i Guerrieri della luce. Giorno dopo giorno, le visioni mi trivellano il cervello ed io traccio la via, o almeno ci provo.

E per fare questo, sto a cavallo tra la luce e le tenebre.

So cosa è il Bene… e conosco il Male.

Ma la mia forza è continuare a camminare in bilico tra entrambi. Una natura demoniaca ed un obbiettivo umano.”

però sei fondamentalmente buono.” – mormorò Faith, fissandolo.

Oh si. Io devo esserlo.” – Doyle le sorrise, con gli occhi lucidi – “non posso essere malvagio, stravolgerei l’universo. E ti assicuro che, già così, è un peso piuttosto grande.”

Perchè mi stai dicendo questo…” – Faith sentiva l’angoscia tormentarla.

Perchè vedi…” – disse, con lentezza Doyle, fissando il liquido scuro dentro il tazzone di ceramica – “Io credo che più di due secoli fa, qualcuno abbia condannato in eterno uno come me.”

 

Il silenzio fu rotto solo da un leggero crepitio. Doyle aveva acceso un fiammifero ed ora tirava confortanti boccate da una nuova sigaretta, imponendosi di continuare.

Angelus ha fatto ben più che distruggere una fanciulla, quando ha vampirizzato Drusilla. Drusilla aveva la Vista e questo lo faceva impazzire dal desiderio.

E, come per molte altre cose, Angelus legava spesso desiderio e distruzione.

Drusilla, sotto questo aspetto, è il suo capolavoro. Se aveva la Vista, era per un buon motivo… non per una coincidenza…”

Lei era…” – s’azzardò Faith, non certa di avere parole giuste per dare forma al sospetto – “un Cantastorie?”

ecco.

Finalmente uno di loro l’aveva detto.

Era così piccolo, quel termine, in un mare di altre parole.

Così piccolo e insignificante, così inadatto al gelo che provocava a Doyle il solo pensarlo.

E giusto.” – mormorò, cercando di aggiungere colore a quella grigia affermazione – “Drusilla aveva il dono necessario per guidare un Guerriero della Luce. Angelus non le portò via la Vista. Ma, vampirizzandola, la costrinse ad entrare nelle tenebre, a rinnegare la sua natura.”

Fino alla follia.” – concluse Faith.

Il gelo, la ripugnanza, ora avevano un nome ed una spiegazione. Ma Doyle diede ugualmente forma a quel pensiero scontato per entrambi.

Quello che hai provato di fronte e a Drusilla è legato a questa sua natura deviata. Tu, per quanto ti senta in bilico e abbia alle spalle scelte sbagliate, servi la luce. Sul momento, istintivamente, ti rendi conto di non avere di fronte un semplice vampiro. Ti affascina, ti attira. Poi la tua natura ha il sopravvento. E ti rendi conto che sei attratta dal male… e lo rifiuti.”

Una nuova boccata. Profonda.

E’ orribile.”

Oh, lo so. Non faccio altro che pensarci da quando ho cominciato a capirlo. La mia natura… io sarei come lei, se qualcosa fosse andato storto. Sarei condannato in eterno alle mie visioni, del tutto in trappola nella mia testa. Tutto quello in cui credo, la vita, l’amore… tutto sarebbe un’unica grandissima distorsione. E faccio fatica già solo pensarlo… immaginarlo non sono capace.”

Doyle, tu sei… tu sei la nostra Guida. Non c’è nulla in te che sia andato male. Sei la persona più solida che conosca. Angel si affida a te, sempre. È normale che tu non possa immaginare… tutto questo.” – Faith si sporse verso di lui. Ed i suoi capelli gli scivolarono sulla spalla – “Tu sei dalla parte giusta. Sai cosa sono le tenebre, ma non hai provato sulla tua pelle cosa significa varcarle e perdere se stessi.

Io l’ho fatto. Ho ucciso un uomo e non ho provato rimorso. Ho torturato Wes, avvelenato Angel e fatto del male a Buffy perché non riuscivo ad essere come lei.

Ero una Prescelta ed ho fatto di tutto per allontanarmi dalla luce che dovevo difendere. Follia. Follia pura.”

Tacque.

Di colpo.

Sapeva benissimo di aver perso il filo del discorso.

E che non aveva importanza.

Doyle l’aveva ascoltata, in silenzio.

E, dolcemente, le aveva sorriso.

Io apprezzo gli sforzi che stai facendo, Faith. Ma fai male a preoccuparti per me. Tra le molte incertezze che ho non rientra la mia vocazione. So chi sono, so in cosa credo. E non mi sono mai allontanato, per mia fortuna, dalla mia strada. Non nel modo ortodosso, per lo meno.” – sorrise, scanzonato. La resurrezione era meglio non menzionarla – “Ma quello che mi distrugge è il pensiero di quanto dolore possa provare Drusilla. Era un’innocente, Faith. Molto più di quanto io non sia mai stato, in effetti. E il dolore… il dolore che mi atterrisce, io lo sopporto perchè ho un buon motivo per farlo…”

Ma Dru non ha niente di questo.” – aggiunse Faith, senza neanche rendersi conto di averla chiamata come erano soliti fare Spike e Angel – “Dru sa di aver perso il suo perché, sa di veder cose e che questo non è più utile a nessuno. E il dolore la rende folle.”

Per combatterlo usa il demone.. e non a caso il demone è stato rinvigorito con il sangue di Angel non molti anni fa.” – Sospirò Doyle – “Ma questo non ha importanza… stiamo naufragando in una valanga di teorie e inutili. La verità è più semplice.

Io avevo bisogno di sapere. Questo dubbio… Drusilla è la mia nemesi. Lei è… ciò che io non sono.”

Faith abbassò lo sguardo. C’erano tante domande che le passavano nella mente, una più assurda dell’altra.

Paradossale.

Andava a caccia di una verità che le dava solo emozioni sbagliate.

E che continuava, come un tamburo ossessivo, a riportare a galla quella sensazione.. la sensazione di un’ombra che avanza alle spalle. E svanisce, un attimo prima di riuscire a voltarsi.

 

Quello che conta, in tutta questa storia, è l’importanza che ha ancora la parola di Drusilla.” – concluse Doyle – “Lei vede comunque la verità, per quanto distorta. Ed è per questo che la teoria del legame di sangue di Spike e Wes è così solida.”

tu credo che Spike sappia di questo ruolo mancato di Drusilla?”

No. Non credo. Ma sa che Drusilla è attendibile.. e che molte volte ha fatto cose inspiegabili ma lungimiranti.” – Doyle spense un’altra sigaretta ancora e si soffermò a ragionare. Alla luce di questa nuova consapevolezza, per Wes sarebbe stato affascinante ricostruire molte di quelle decisioni sorprendenti.

E questo, infine, portava un’ultima domanda.

Ed ora veniamo al consiglio che ti ho preannunciato.” – sospirò, incrociando le braccia e guardandola dritta in faccia – “Ora dimmi, Faith… lo devo dire ad Angel?”

 

La domanda la colse impreparata.

O, meglio, le diede la certezza di non essere pronta ad una richiesta del genere.

Dire ad Angel di Drusilla… e del compito che non aveva mai potuto assolvere.

Uccidere la sua purezza e abbattere un baluardo delle forze benigne.. e se già il primo era bastato a creare un rimpianto senza limiti… cosa avrebbe provato scoprendo la coincidenza con il secondo?

L’hai detto tu stessa, Faith. Tu sai cosa significa uscire dalle tenebre dopo averle attraversate e vissute. Tu sai cosa significa il peso delle proprie azioni. Cosa devo fare? Devo dire ad Angel quello che ha fatto?” – Doyle la fissò, scostandole i capelli dietro le spalle per riuscire a vederla ancora in viso. A vedere il profilo assorto – “Cosa proveresti? Angel ama Drusilla, è sua, gli appartiene. Ed ora sa cose che allora ignorava…”

Diglielo.”

Doyle si interruppe.

La risposta era arrivata così rapida e decisa da fargli credere di avere immaginato.

Faith si era voltata. Ed aveva negli occhi la forza della consapevolezza.

Devi dirglielo.” – ripetè, scandendo le due parole – “Angel deve saperlo. Nasconderglielo non fa parte del gioco.”

Il gioco?

E fu in quel momento che la sorpresa lo ammutolì.

Il gioco.

La redenzione.

La partita che Angel e Faith stavano conducendo, gomito a gomito.

Non c’era nulla di teorico, predestinato e prevedibile.

La redenzione era solo una strada che andava percorsa senza chiudere gli occhi. Una partita ben giocata con le proprie carte, con i propri mezzi e con regole inequivocabili.

Angel sta pagando per i suoi sbagli. E la prima volta che ha cercato di mettere me su quella strada… mi ha detto che avrei dovuto domandarmi se mi dispiaceva.

Se mi dispiaceva di quello che avevo fatto.

Io ho avuto modo di pensare ai miei rimorsi, in galera.

E posso dirti che c’è un solo modo per pentirsi... sapere cosa è giusto e cosa è sbagliato.”

Esitò. Come se le fosse improvvisamente chiaro di aver detto una cosa stupida, scontata per una persona sempre con la luce negli occhi.

Ma si stava parlando di Angel. Non di se stessa e delle sue difficoltà a comprendere i fatti della vita.

E per Angel… avrebbe dato ben più della sua reputazione.

Deve saperlo, Doyle.” – ripetè, fissandolo dritto negli occhi – “Non possiamo nasconderglielo.”

Doyle annuì. Gli sarebbe piaciuto afferrarla e darle un bacio in fronte.

Per il coraggio, per la bellezza… e per ogni giorno che arrancava su quella via che sapeva in salita.

E ora rispondi tu a me.” – aggiunse Faith, abbassando lo sguardo per un attimo quasi impercettibile – “Dobbiamo dirlo a Spike?”

 

 

VIII

Bella domanda.” – sospirò Doyle, alzandosi e allungando le braccia sopra la testa, in uno stiracchiamento riflessivo – “Bella, bella… bella domanda.”

Una bella domanda che sembra colpirti meno della precedente.” – commentò Faith, sbattendo tazze e cucchiaini nel lavandino.

In effetti, vista dal lato di Spike, la situazione ha tutta un’altra prospettiva. Angel ne soffrirà… Spike si incazzerà come una bestia.”

Dici?”

Eccome!” – Doyle si voltò e allargò le braccia – “Drusilla ha scelto Spike e l’ha vampirizzato. Delle miriadi di ragazzi che poteva incontrare per le notti d’Europa… Spike. Unico e inimitabile.”

Tra un po’ mi dirai che erano fatti uno per l’altro…” – commentò, acida. Cosa era quella fitta rabbiosa allo stomaco? Era… forse… gelosia?

Oh, no.. non mi spingo così lontano con le supposizioni..” – commentò Doyle, sorridendo appena per quella reazione umana e poco sorprendente – “Oh, certo, sarebbe un bel romanzo. La Guida rinnegata che cerca ugualmente il suo Prescelto e lo vampirizza non riuscendo più a separare la missione e la perdizione… dio, che storia sarebbe…”

Rise, di quell’evenienza, a cuor leggero. In chissà quale mondo e quale epoca era stata realtà e non solo ballata.

Eppure Faith fu colpita da quella teoria romantica quanto oscura.

Come puoi scartare questo legame…” – commentò, lentamente, appoggiandosi al lavandino. E cercando il suo riflesso nell’acciaio lucido.

Il riflesso.. era la prima di molte cose che la separavano da Spike, si sorprese a pensare.

Spike non sa come è il suo sguardo, quando è pensieroso…

Io non posso scartarlo.” – replicò Doyle, improvvisamente serio – “Ma non voglio nemmeno considerarlo. Già da parecchio tempo cerchiamo di dare una spiegazione paradossale ai fatti della nostra vita. Guarda te, Faith… è stato necessario tirare in ballo morte, sangue e paranormale per giustificare l’affetto. Agli studiosi l’amore non basta, servono parole, sempre più parole. E poi leggenda, destino, predestinazione…

ma tu lo sai che il mondo non è così geometrico. E lo so anche io.”

Faith piegò la testa e sorrise.

Per sfotterlo meglio.

Ma ti sei sentito, Doyle?” – lo punzecchiò – “Sei il destino fatto a persona e, un attimo dopo, il difensore del libero arbitrio. Mi dici come puoi?”

Io sono semplicemente io. Ho un perché e un tempo.” – replicò indicandosi e avvicinandosi – “Sono un pezzo sulla scacchiera. Ma sono soprattutto vivo. Amo, respiro, soffro… questo non sta scritto nei libri, ma è più forte di ogni altra cosa. Faccio quello che devo, perché ho un perché che non ha a che fare con l’universo. Ma con persone. Persone con un cuore che batte, dolori e sorrisi. È poi così difficile da capire?”

No, non lo è.” – Faith scosse la testa – “Sembra più semplice quando sei tu a parlarne.”

Grazie del complimento.” – sorrise Doyle, fermandosi. E tornando ad essere il demone minuto, non più l’oratore appassionato, il Cantastorie dell’universo – “per cui, a fin della predica, abbandoniamo la questione. Lo dirò anche a Spike. O, più probabilmente, sarà Angel a dirglielo. Sono sempre affari di famiglia…”

 

E proprio perché erano una famiglia, saranno loro a trarne le conclusioni che vogliono.

 

Se l’era ripetuto, dalla cucina all’entrata, su dalle scale, fino alla porta di Angel.

Ma ancora non era certo di poter liquidare la questione in un batter d’occhio del genere. Non era giusto, non era abbastanza, come amico… e come demone.

 

E gli sarebbe piaciuto portare avanti le sue riflessioni… ma gli mancava solo un passo per essere di fronte al problema.

Anzi…

Il problema aveva spalancato la porta.

E ora lo fissava.

 

Problemi?” – domandò Angel, snebbiandosi la vista.

Ma no!” – sbottò Doyle, guardandolo e trattenendo a stento una risata che gli saliva dal cuore – “Sei paranoico, per caso?”

L’eroe che il tempo aveva impazientemente atteso si stava strofinando la testa e la faccia, per mettere a fuoco la situazione.

Ho sentito i passi.” – ricapitolò, indicando a ripetizione le scale, la porta e se stesso – “E Faith non c’era e poi non ho sentito più nulla e….”

E hai deciso di saltare giù dal divano, di scapicollarti fino al pianerottolo e poi, infine, di svegliarti?”

Sì, pressappoco…”

Allora, hai bisogno un consiglio.” – replicò allegramente Doyle, facendolo girare su se stesso e spingendolo nella stanza – “Per cui, torna a sederti sul tuo divano e ricominciamo con calma.”

 

Guai in vista…”

Cosa te lo fa pensare?” – domandò distrattamente Doyle dandogli le spalle e continuando ad armeggiare.

Forse il fatto che stai riempiendo due bicchieri…”

e…”

Doyle, tu non mi offri mai da bere…”

E allora? Dovresti essere abbastanza grande da reggere l’alcool… forza, tutto d’un sorso! Te ne preparo un altro?”

No, grazie.” – rispose compitamente il vampiro, stringendo il bicchiere tra le mani e restando fermo. Senza quasi respirare l’odore stordente del liquore di ottima marca. Immobile, a rigirare quel blocco di vetro freddo, mentre Doyle si lasciava cadere sul divano e poggiava i piedi sulla pregiata Historia che stava leggendo. Diciassettesimo secolo, nervatura a vista, rilegatura…

Meglio non pensarci…

Doyle.. da quanto tempo ci conosciamo?” – mormorò, sovrappensiero. Non sapeva nemmeno perché domandarglielo… dopotutto non era una risposta quantificabile in giorni, anni, minuti… era un numero, non significava nulla, se paragonato alla comprensione che avevano uno per l’altro ogni giorno della loro vita.

Ormai è qualche anno.” – rispose evasivamente il demone, allungandosi e scivolando un po’ di più nel divano ormai quasi sfondato.

Gli piaceva quel salone… era nato dalla mente ordinata di angel... ed era divenuto il rivale dell’ex appartamento di Doyle per quanto riguardava la confusione.

Ma quella sera, stranamente, lo irritava. Era sbagliato, tutto quel disordine, era troppo reale…

Doyle.” – Angel posò il bicchiere intatto sul tavolino. Se Doyle si fosse soffermato su un altro particolare con quello sguardo buio… avrebbe provato veramente il desiderio di tracannarlo. Seguito da un altro… e un altro ancora.

lo so… non diventa più facile se rimando…” – borbottò il demone, sfregandosi la testa – “Ma sinceramente non mi va di… bhe, si, di ricominciare a menar rogna.”

Era visibilmente seccato. E Angel si sorprese a sorridere di quel pessimismo.

Andiamo…tu non meni rogna. Se hai avuto una visione dobbiamo muoverci… e se non l’hai avuta… ma hai una di quelle risposte che io cerco sempre… allora spara.” – si mise comodo. C’era una triste tranquillità nel sentirsi sempre così pronto alle catastrofi. Una rassegnazione pacata, che sentiva di potersi concedere – “Riguarda solo me, immagino…”

E questo da cosa l’avresti dedotto?” – Doyle smise di arrotolarsi un ciuffo di capelli e lo fissò.

Come sopra.” – spiegò – “Dal fatto che tergiversi, stai qui seduto a addolcirmi la grana con il whisky e… non so, chiamalo sesto senso…”

si sforzava di essere divertente. E doyle gli sorrise, per quegli sforzi. Angel sapeva benissimo che stava per sentire cose che non gli sarebbero piaciute ma, come Faith, non si tirava indietro.

Sai cosa ho fatto stasera?” – si sorprese a raccontare Doyle – “Sono andata da una bella e fortissima Cacciatrice e le ho chiesto un consiglio.”

Hai fatto bene. E scommetto che ti ha dato una risposta degna di lei.”

A dire il vero ha dato una risposta degna di te” - ribattè Doyle, ritrovando la sua abituale faccia tosta – “Mi ha detto che sapere le cose, belle o brutte che siano, fa parte del gioco.”

Angel sorrise, con un lampo di tristezza negli occhi.

Oh, si, essere consapevoli… essere consapevoli e provare vergogna, dolore, rimpianto… quante regole aveva questo gioco… quante ne aveva imparate in quasi un secolo…

Spike ha ragione, quando dice che sono tonto….” – ridacchiò con un pizzico ironia – “A me è servito un secolo per iniziare anche solo ad avere il sospetto di dovermi redimere… più un sacrosanto scrollone da parte dell’Universo sotto forma del Cantastorie. A faith è bastato ben meno tempo, per capire veramente come funziona…”

si interruppe, perplesso. Con le mani a mezz’asta, nella posa di uno che spiega e cerca di trasmettere un concetto che non ha a che fare solo con il cervello. Ma anche con il cuore.

di’ un po’… “ – replicò Doyle, interrompendo il silenzio – “Hai perso il filo del discorso?”

In effetti si.”- ammise, Angel, intrecciando le mani, rassegnato – “e’ che stavo divagando. E tu hai qualcosa da dirmi. E che devo sapere.”

Brutta cosa il senso dell’onore…” –sospirò Doyle – “Potevi risparmiare ad entrambi questo patimento, ma non l’hai fatto. Sei peggio di me, alle volte…”

o forse, sei semplicemente come me. La verità è la nostra droga, uomo. Possiamo alzarci ogni mattina, con il senso di vuoto e l’angoscia… ma non siamo capaci ad accettare di poter non essere consapevoli…

 

Ma si…

 

Angel…” – Doyle soppesò le parole, radunando le forze nel pronunciare quel nome. Un nome breve e intenso, una delle risposte del bene al male – “Io credo che i ragazzi abbiano scoperto una cosa importante, ieri, riguardo a Drusilla…”

si interruppe. Importante… è importante per me… ma per te cosa sarà?

Me lo immaginavo, ammise Angel.

Non ne avevo la certezza… una sensazione, forse.”

Può darsi che sia stato istinto, Angel.” – rispose Doyle – “Ma non hanno capito di cosa si trattasse.”

E tu?”

Avevo qualche mezzo di più per arrivarci.” – chinò la testa e si massaggio pensosamente la nuca. Drusilla era come sua madre. Bella, fragile e dagli occhi fiammeggianti… ma quanto, quanto dolore in più, doveva aver provato… Doyle rialzòla testa e intrecciò le mani – “Drusilla ha vaneggiato parecchio, a quanto sono riuscito a capire. E tra una profezia e l’altra, ha detto a Spike e Faith di chiedere a me, se proprio non volevano crederle…”

E…” – lo esortò Angel. Non capiva cosa potesse esserci di così importante, in quel fatto.

Drusilla non mi ha mai visto, Angel. E chiede ai ragazzi di parlare con me, riguardo ad una visione. Non ti sembra strano?” – lo stava conducendo a tentoni, su quella strada… e non sapeva nemmeno se fosse il metodo migliore – “E’ da tempo che penso a lei, almeno da quando Wes se ne è uscito con quella questione dei nomi e dei loro significati. Il fatto che le potesse chiamarsi Elisabeth… le sue visioni… ho sperato a lungo di essermi sbagliato…”

Doyle…” – Angel non capiva, aggrottò la fronte, cercando la domanda giusta. E dalle labbra gli uscì solo un banale – “Cosa stai cercando di dirmi?”

Sto cercando di dirti… dannazione, più che dirti, sto cercando di darti una botta in testa! Ma è possibile che tutto quello che riguarda te sia così complicato?” – sbottò, fissandolo dritto in faccia e facendolo sobbalzare.

Bhe, scusami, io…”

Oh, lascia perdere! Non ce l’ho con te, ma con l’idiozia del destino! Ricordi quel discorso fatto e rifatto sulle persone che non incontri per caso, delle cose che devono accadere e che non accadono a causa delle interferenze?”

Certo. È il discorso che regola il mondo. Lo ripetiamo tutti i giorni…”

e poi c’è il discorso della Redenzione.” – il suo tono si abbassò, tornando ad essere quello confidenziale e pacato di sempre – “Quello è un discorso che non affrontiamo tanto spesso… la giusta causa… e via dicendo. Vedi, oggi, parlando con Faith, ho scoperto una macchia, nel tuo passato…”

Una? Doyle, non è un po’ riduttivo dire che c’è una macchia nel mio passato?” – Angel lo guardò, come se fosse ammattito – “Ho ucciso, depredato, violentato quel tanto che bastava da meritarmi il soprannome di Flagello d’Europa. Sono una leggenda… se proprio vogliamo nobilitare il tutto… e per quanto io proceda a tappe forzate nell’espiare, mi serviranno ancora un paio di secoli... e qualche millennio, se proprio mi mantengo in salute e non mi immolo durante un’Apocalisse…”

Doyle lo squadrò, perplesso.

Uomo… possibile che tu abbia deciso di parlare e fare umorismo proprio stasera che ho qualcosa da dirti?”

scusami, è che… è che mi stai rendendo nervoso!” - adesso era Angel a strofinarsi la testa. Si era svegliato di soprassalto ed ora, per ingannare l’attesa, per aspettare la telefonata dall’Inghilterra, doyle approfittava per tirar fuori dal cilindro una nuova verità – “Hai un tempismo…”

io!” – Doyle sbarrò gli occhi. Non ci poteva credere, stava discutendo con angel – “Ma è la tua figliastra isterica quella che …”

si trattenne. Angel lo fissava torvo.

parlavo di Drusilla.” – specificò, temendo un equivoco con Faith.

Lo so.” – replicò, ermetico Angel, mentre il suo demone e tormento personale gli portava via il bicchiere e lo vuotava d’un fiato – “A questo punto ho capito pure io che è lei il problema. Fammi capire… hai avuto una visione su quello che io ho fatto a Drusilla?”

era andato così vicino alla realtà da sorprenderlo. Si riferiva a qualcosa di fisico e reale, al male concreto che sapeva di averle inflitto… già quello era abbastanza per la sua coscienza…ma il resto… non riusciva a immaginarlo…

Cosa puoi dirmi più di quello che già so, di questa famosa macchia?” – proseguì implacabile il vampiro. Aveva uno sguardo buio e profondo.

Lo stesso che…

 

ehi, uomo.” – doyle accese la luce senza tanti complimenti. Rimanendo deluso quando si rese conto che angel non era alla scrivania, intento a cercare di ricomporsi dopo quella brutale intrusione.

Si guardò intorno, strofinandosi pensosamente l’ombra della barba. La grande finestra gli restituiva l’immagine di un ragazzotto trasandato con la camicia stropicciata.

Ma sei davvero così giovane?” – domandò al suo riflesso, vedendolo impegnato a lisciarsi la maglietta per metà fuori dai pantaloni – “Dovresti avere i capelli grigi, a questo punto, a forza di corrergli appresso…”

scosse la testa. Ed il riflesso gli rispose con una rassegnata alzata di spalla. Indicandogli, con lo sguardo, la porta socchiusa per il tetto.

 

Ce ne vuole, per trovarti…” – commentò, sbucandogli alle spalle – “Non è che, per caso, mi hai visto arrivare e sei scappato?”

Se lo facevo, non mi trovavi.”

toh… ma allora parli! Vivi qui da ben una settimana e già mi parli. La città ti fa bene…”

E’ solo una città.. ne ho viste a migliaia…”

Ma nessuna è come questa, uomo.” – si sedette sul cornicione, con naturalezza… cercando di non pensare alle sue vertigini. Fissando questo alto e bel vampiro che gli era capitato tra capo e collo… un incontro deciso in chissà quale partita a carte tra il destino e le stelle.

Aveva degli occhi neri e profondi, come inchiostro.

Le luci cadevano al loro interno, come lucciole. E vi affogavano.

Nessuna è come questa…” – ripetè, cercando di non farsi distrarre dalla sensazione che Angel non lo stesse ascoltando.

Nella notte, le città sono tutte uguali.” – mormorò, interrompendo il monologo che Doyle stava già preparando nella mente – “C’è il male, il desiderio... e il nulla. Quando sei parte della notte, talvolta, quel nulla diventa insostenibile. Faresti tutto per interromperlo…”

Oh, mio dio, allora parla. Il pensiero gli sfrecciò rapidissimo nella testa provocandogli una certa vergogna.

Era la prima volta, veramente…

Quanto l’aveva aspettata…

E cosa accade, quando provi a combattere il nulla?” – azzardò.

Angel accennò una smorfia, un leggero sorriso di autoderisione.

Distruggi. Tutto ciò che ha un senso, tutto ciò che non puoi capire.” – replicò, conciso – “Uccidi, massacri… oppure rimani intrappolato nella tua testa, senza riuscire a…”

si era interrotto. Con una breve alzata di spalle, come se non fosse poi così importante.

Era questo che provava… Angelus?” – azzardò Doyle.

Angel si voltò a fissarlo, come se solo ora si rendesse conto di non aver parlato solo a se stesso. Quel buffo tizio, quel… Cantastorie… aveva un modo diretto e limpido per porgli le domande. Lo guardava con occhi appena sgranati… c’era quasi la luce in quegli occhi chiari. Brillavano…

Angelus voleva per sé ogni bellezza.” – mormorò, come se questo spiegasse tutto – “Voleva la vita, l’incomprensibile… tutto.. e poi di nuovo da capo… solo una volta si è sentito… totalmente appagato…”

La sua voce si spense, per un attimo. Gli scivolò dentro i lineamenti, indurendoli.

L’apice della sua passione è ora il più buio dei miei incubi.” – sussurrò, a denti stretti – “E ora andiamo. La città ci chiama.”

 

L’apice della sua passione è ora il più buio dei miei incubi.”

 

Come?” – Angel lo fissò. Doyle si era perso a fissarlo… e poi quella frase. Quella frase che gli sembrava di riconoscere…

Era a lei che ti riferivi, quella volta…” – commentò Doyle, più per se stesso, che per il suo perplesso interlocutore – “Drusilla. Lei è stata la più grande passione di angelus, vero?”

Sì.” – annuì Angel, soppesando le parole – “Era solito definirla così.”

E ti sei mai chiesto perché?”

Doyle… il fatto che io parli di me stesso in terza persona non significa che io non ricordi. Drusilla è la cosa più pura e limpida che io abbia mai incontrato. E poi c’era il fatto della Vista.”

Drusilla era una ferita ancora aperta. E profonda. Angel altenava frasi al presente con frasi al passato, come se non sapesse come collocare quella sua splendida accolita…

o quel suo grandissimo abominio.

Ed avrebbe seguitato a parlarne, ancora e ancora…

Drusilla era destinata ad essere un Cantastorie.”

 

Ecco. L’aveva detto.

La verità gli era uscita dalle labbra ad una velocità impensata, interrompendo violentemente le confessioni di un povero vampiro tormentato.

Interrompendo una triste ammissione… per infilargli una spada infiammata nel cuore.

 

Doyle…”

Angel…”

 

Adesso credo di volerlo, quel whisky.”

 

Adesso che sapeva di avergli scagliato il ‘macigno’ in testa, paradossalmente, si sentiva pronto ad andare avanti. Come capita talvolta, per le parole importanti, che stentano a sgorgare e divengono poi, all’improvviso, un fiume in piena.

Assolutamente incontenibile.

Tutto.

Tutto dentro un unico silenzio.

Le supposizione, l’inizio del dubbio, la paura che Drusilla fosse ben più di quanto si narrasse… e la certezza che il Consiglio lo sapesse… un mare di parole, la conversazione con Faith… e infine l’istinto. Il riconoscere in lei una parte di sé e non poter che inorridire.

Tutto. Tutto quello che sapeva. E che provava.

 

Ed infine…

 

Mi dispiace.” – mormorò.

Angel era rimasto seduto dove era. Fermo, immobile.

L’aveva ascoltato, dalla prima all’ultima parola.

Nelle mente, ad ogni frase, si sommava un’immagine, un fotogramma di pura e nitida perversione.

La lenta deformazione del volto di Dru dominava ogni scena.

Dalla tranquillità alla paura, dalla paura al terrore, fino alla consapevolezza… fino a trasformarsi nel volto della caccia.

Freddo e lontano.

La maschera che ci separa dal resto del mondo.

Perché siamo assassini degni di rispetto.

E inattaccabili. Sempre e comunque irriconoscibili, nel portare la distruzione.

Io ho fatto venire in superficie una maschera per Dru.

Ti rendi conto, Doyle? Non sapeva mentire. Io le ho insegnato la menzogna.

Angelus ne sarebbe deliziato.” – commentò, quasi in trance, lo sguardo di una fissità che terrorizzò Doyle – “Si è perso un trionfo piuttosto grosso.”

Angel.” – non ricordava di essersi alzato. Non ricordava quando era caduto in ginocchio, appoggiandogli le mani sulle ginocchia – “Guardami.”

Nulla. Lo sguardo di Angel era ancora fisso, un punto buio, tra le mani di Doyle, un ghirigoro del tappeto che lentamente si andava sfuocando.

Angel, guardami subito.” – ripetè, cercando di dare una sfumatura perentoria alla voce –“Non farmi pentire di quello che ti ho detto…”

Dovresti pentirti di quello che hai fatto.”

Ecco. Quello era un tono duro.

Freddo e puro come una lama.

Angel si alzò, passandogli a fianco. Non stava andando da nessuna parte.

Aveva solo bisogno di allontanarsi.

Doyle chiuse gli occhi, frastornato, un singolo istante.

Prima di riaprirli, con consapevolezza. Non era rancore…

Dovresti pentirti di aver dato la vita per salvarmi… di aver sprecato le tue giornate con me. Non sono l’eroe che pensavi… alla fine è venuto fuori.” – si era fermato, dandogli le spalle. C’era un muro, tra loro, lo sentiva chiaramente.

Levati dalla testa questa puttanata del muro.”

Si voltò, senza nascondere la sorpresa.

Doyle era in piedi. Ed era… arrabbiato.

Ma, soprattutto…

Oddio…

Oddio?oddio un corno, Angel! Non comportarti da paranoico! L’hai sempre saputo che tipo sono. Sono un baro, un casinista e so mentire senza problemi. Credevi che sarei stato tanto onesto da aspettare che mi dicessi queste cose? No, uomo, non se ne parla nemmeno.

In questa casa si è giocato un po’ troppo al gatto col topo, in attesa di crolli emotivi e grandi confessioni.

Adesso mi interessava sapere cosa ti passava per la testa e me lo sono preso! E se questo gioco non ti piace… apri la bocca e parla.”

Non l’ho apprezzato, Doyle.” – replicò duro, incrociando le braccia.

Io non apprezzo la tua autocommiserazione Angel! E non apprezzo che tu metta in dubbio la nostra amicizia per quella che ritengo una cazzata.

Credi che ai miei occhi ciò che hai fatto a Drusilla sia peggio di quello che hai fatto a tua sorella? Oppure a Spike? Lo credi veramente?”

Pazzesco… Angel aveva fatto un passo indietro. Che espressione poteva avere per far arretrare l’Angelo del buio?

Credi che mi importi più di quella folle che delle migliaia di innocenti che hai trucidato? Credi che io non pensi mai a cosa hai probabilmente fatto alla zingara per meritarti la maledizione?”

Doyle…” – balbettò. Il passato gli premeva tra le tempie e la voce di Doyle lo manovrava, come solo il rimorso e la realtà erano capaci.

Credi di essere meno un eroe ai miei occhi. Per ogni goccia che sangue tuo che versi adesso non tornerà nessuna di quelle vite! Ma lo fai, cazzo! Lo fai eccome. Ed io sono fiero delle scelte che ho fatto, di tutte le scelte che ho fatto. Per cui fammi il favore di non demolire la tua Redenzione e il mio Compito in un colpo solo!”

c’era Faith sulla porta. E, dietro di lei, c’era Cordelia. Spettinata, con solo una camicia addosso e i piedi nudi. Doyle si voltò, dando le spalle a tutti loro e cercando le sigarette.

Sono calmo!” – sbraitò – “Nessuna tragedia in atto!”

 

Faith aveva fatto due passi indietro. C’era qualcosa che non andava in quella stanza.

C’era Angel, con aria avvilita a centro stanza, in piedi. E c’era un rarissimo esemplare di Doyle esasperato che camminava in cerchio.

Abbastanza da optare per una fuga. Oppure, si disse giustificandosi, c’era da rispettare la loro privacy…

Seee, raccontatela Cacciatrice.

E in contemporanea con la vocina di Spike, le giunse una bella spinta da dietro.

Cammina!” – sussurrò Cordelia, facendola entrare nella stanza – “Questo spettacolo non ce lo perdiamo.”

 

Doyle.. tesoro…” – Cordelia si stava avvicinando, torcendosi le mani, leggermente sulle spine – “Permettimi…scusami… ma sei certo di stare bene? Fai sport, ti arrabbi… non è normale…”

Sto benissimo.” – replicò secco, il demone – “Sono solo molto stufo. Angel, mi dispiace, sul serio. Per tutto quello che ti ho detto e in tutti i sensi. Ma dovevo. E l’ho fatto.”

Faith era di fronte a Angel.

Gli si era avvicinata in modo studiato. Ed ora, con le mani in tasca e la sua solita espressione, aspettava di incontrarne lo sguardo.

E quando finalmente accadde…

Te l’ha detto, immagino…” – constatò.

Ed Angel annuì, con aria afflitta.

Già.” – gli sarebbe piaciuto aggiungere quanto si vergognasse, o fosse dispiaciuto.. ma aveva il sospetto che Doyle avrebbe ricominciato ad urlare.

Poi gli venne il sospetto che ‘quello’ gli stesse ancora leggendo la mente.

Lo fissò, preoccupato.

Ma Doyle gli fece un cenno, con mano, bicchiere e sigaretta.

No, grazie, dei tuoi casini mentale ne ho abbastanza, per stasera.”

Aveva risposto senza sentire la domanda. Ma non c’era dubbio che l’avesse intesa semplicemente guardandolo. Lo conosceva bene, dopotutto. E, indipendentemente dalle sue affermazioni, non aveva poi realmente questa totale dedizione alla menzogna.

Angel, cosa sta succedendo?” – Cordelia si era voltata, interrogativa. Apparentemente in quella stanza erano tutti informati di quello che stava accadendo. Tranne lei.

Lei e chi altri?

Solo lei?

Principessa..” – Doyle vuotò il bicchiere in un fiato – “Te lo spiego io, dopo. Andiamo a dormire, adesso.”

Doyle, aspetta…” – Angel fece un passo avanti, arrivando molto vicino a Faith, ancora immobile – “Cordelia… Ti racconto io…”

Una parola sull’altra. Ripetendo quasi fedelmente la versione di Doyle. Facendo rivivere, in parte, a Faith, la situazione e le sensazioni.

Tutto, tranne la paura di Doyle.

E questo, in quel racconto fedele, fu per lei una sorpresa.

Per quanto qualcosa trapelasse dalle parole di Angel, faith si rese presto conto di essere l’unica testimone di quel dispiacere intimo che il demone aveva provato innanzi a quella realtà

Una singola occhiata che, come sempre nel caso di Doyle, valeva più di ogni discorso.

 

Una confessione in piena regola.

Senza abbassare mai lo sguardo, senza rinunciare ad un singolo particolare.

E più andava avanti, più le nocche di cordelia divenivano bianche per il troppo stringere.

Ascoltava, senza accorgersi più del freddo. In piedi.

Doyle si era riseduto in poltrona, rinunciando all’atteggiamento bellicoso.

Aveva finito con calma la sua sigaretta. Ed ora attendeva tranquillo.

Faith, dapprima timidamente, si era mossa verso di lui, per poi cambiare idea e sedersi sul divano. In attesa che Angel finisse quella storia nera di cui lei già conosceva la maggior parte dei passi.

Sembrava una lunga e ossessiva litania, vissuta, raccontata, capita, spiegata e poi di nuovo raccontata e ripetuta.

Si domandò quante volte fosse già successo, quante volte Dru dovesse tornare e andar via perché finalmente Angel conoscesse un po’ di pace personale a riguardo.

Ora la sua ombra oscura e folle si stendeva come un manto sul Cantastorie e l’Eroe. Faith, per quanto poco si considerasse, riusciva chiaramente a percepirlo, istintivamente. Sapeva che si trattava di una cosa passeggera, un ultimo sussulto di quella caduta libera che negli ultimi mesi li aveva coinvolti tutti.

Come una spirale, in rotazione su se stessa, quasi giunta all’epilogo. Ancora un passo, e sarebbe finita.

Di colpo quella speranza le provocò un fuggevole sorriso. Finita… si parlava di una redenzione, non di un periodo no! Non si poteva realmente vederne la fine, ma solo confidare in un precario equilibrio e nella forza d’animo, per non arredersi.

Anche Angel sapeva questo… se ora confessava apparentemente in modo pacato, l’incubo di un’eternità, il suo obbiettivo restava sempre quell’equilibrio.

Nitido, lineare, semplice.

Realtà.

Non negarla mai. E domandarsi se si è veramente dispiaciuti del compiuto.

 

E lui lo era.

E molto.

Già prima.

Ora si trattava solo di aggiungere altra benzina su un fuoco mai sopito.

E lasciarlo divampare.

 

 

IX

E adesso?” – chiese Cordelia, quando Angel concluse il racconto.

Lentamente, per il modo tranquillo con cui le veniva narrato, aveva smesso di percepirne solo l’orrore.

E l’aveva ascoltato, attentamente,in ogni sfumatura, in ogni possibile deformazione o espressione. Fino a rendersi conto, di poterlo accettare… ma non immaginare.

Non è cambiato nulla, rispetto a prima.” – ammise Angel – “è un problema mio. Le azioni di Drusilla non hanno mai avuto una vera coerenza. Se è qui in città è per via di quello che ho fatto a Darla.. e perché voleva Faith, per un motivo che non so realmente spiegarmi…”

cordelia non aggiunse nulla. Nella mente le si era formulata la risposta più naturale della terra.

Gelosia.

Pura e semplice gelosia femminile. Dopotutto… si trattava di quello splendido esemplare biondo tutto nudo in biblioteca!

E fu così che d’un tratto, si vergognò di quello che stava pensando… in mezzo ad una certa confusione, tra Angel in crisi e Doyle arrabbiato, lei non riusciva a levarsi dalla mente quella schiena e quell’asciugamano.

Principessa..stai arrossendo…” – borbottò Doyle. Non riuscendo a trattenere un sorriso… non voleva eseguire il filo dei pensieri della ragazza.. gli era successo. E basta.

Oh, lo so..” – ribattè distrattamente Cordelia – “Ma è più forte di me…non riesco proprio a levarmelo dalla testa.”

Eccola. Nata per sorprenderlo, senza dubbio.

Doyle abbassò lo sguardo, dimenticandoli tutti e seppellendosi per un istante dentro al proprio sorriso.

Sapeva che lui l’aveva percepito. Ma la cosa non la colpiva, affatto. Per lei, per Cordelia, era la cosa più naturale del mondo.

Doyle poteva sentirla, doyle leggeva in lei come un libro aperto.

E non c’era nulla di male, solo amore, amore senza confini reali.

E non c’era coscienza da nascondere.

Tutto era pulito, in Cordelia… c’erano segreti, ma non macchie.

Per Angel era diverso.

Per Angel il buio era una sfera al centro della mente. Era ciò che nella vita non si confessa, era ciò che non si dice mai, ciò che si nasconde perché non si può negare.

Per Angel era il corridoio dei morti e delle loro grida.

 

Tutto sommato Angel ha ragione a dubitare… non deve essere facile sentirsi dentro tutto quel male.

Non deve essere facile sapere di averne goduto tanto a lungo…

Probabilmente ho sbagliato a voler violare così i suoi baluardi. Ma so perché l’ho fatto.

E so che era un buon motivo.

 

Rialzò lo sguardo, verso di loro.

E, per un singolo istante, quell’occhiata li raggelò.

Era uno sguardo pulito e freddo come un cielo di inverno.

Era lo sguardo dei guerrieri.

E sul volto di Doyle era strano. Quasi paradossale.

Per un attimo non sembrò lui. Divenne un altro, quasi il tempo gli fluisse intorno.

 

Poi torno ad essere se stesso.

Francis Allen Doyle, demone visionario.

Con pessimo gusto in fatto di vestiti.

E spalle troppo esili per essere un vero combattente.

 

Cordy…” – chiamò Faith, alzandosi – “Io credo che sia meglio se ce ne andiamo di sotto…”

e, visto che la ragazza la guardava, interrogativa, aggiunse, spazientita.

Sai benissimo che questi due non ci vogliono tra i piedi. Cammina, potrai fare il terzo grado a me preparando la colazione.”

 

Possibile che pensi a mangiare in un momento del genere?” – la sentirono lamentarsi, scendendo le scale – “E poi, perché tu lo sapevi e io no? Perché a te l’hanno detto e a me no?”

 

Doyle sorrise, giocherellendo con il bordo del bicchiere, sfregandosci un dito sopra senza che ne uscisse melodia alcuna.

Già, in effetti, avevo considerato di non dirglielo…”

Perché…” – momrorò Angel, in imbarazzo. L’amico gli sembrava calmo, quasi la tempesta l’avesse attraversato senza sconvolgerlo. Lasciando solo a lui il dispiacere di quel diverbio – “perché non volevi lo sapesse?”

perchè ogni tanto mi piacerebbe proteggerla… passa la sua vita immersa in situazioni poco piacevoli… avrei voluto risparmiarle questo nuovo aneddoto… dopotutto, nessuno di noi vorrebbe mai veramente sapere quanto male si annida nel mondo di tutti i giorni…”

Credi che non lo sappia?”

Credo non ci sia bisogno di ricordarglielo.” – ribattè, fissandolo. E capendo il suo dissidio interiore, ancora una volta – “oh, andiamo, uomo. Tu dovevi saperlo. E mi dispiace essermi messo a sbraitare. Veramente… non era la strada migliore… io non posso spiegarti il mio punto di vista. Non posso. Non mi aspetto che tu possa accettarlo.

Quello che voglio che ti entri chiaramente in testa è che.. che non avrei fatto quello che ho fatto, se non ne fosse valsa la pena.”

Si era sporto in avanti, apoggiandosi con i gomiti alle ginocchia. Un mazzo di carte e sarebbe tornato ad essere il tizio irriverente che l’aveva accolto a casa quel giorno, per trascinarlo fuori, per convincerlo che c’erano umani da salvare e in cui credere.

Andiamo, mi conosci benissimo. Sai che non sono un eroe, che non ho mai avuto la costanza e lo spirito di sacrificio necessario. Quando ci siamo incontrati campavo il lunario, con un matrimonio naufragato alle spalle e più debiti che capelli in testa. Non fingevo di certo per fare scalpore.

Ero così ed ero io.

Avevo solo il mio Compito, un sacco di forze del bene che bussavano al mio cervello rifilandomi informazioni di cui avrei fatto a meno. E poi ho incontrato te… e mi sono impegnato, certo. E non perché mi avevano detto che dovevo farlo o perché ero quel che ero… Io mi sono impegnato perché ci credevo. Ci ho sempre creduto.

Ho creduto in te e in lei dal primo minuto.”

 

In te e in lei… me ne ero scordato.. eravamo solo noi, all’inizio…uno scantinato, un ufficio con schedario e i biglietti da visita di Cordelia.

Non c’era nient’altro.

Quanto tempo è passato, quante cose sono cambiate…

 

Mi dispiace, Doyle.” – mormorò, perdendosi dietro quei ricordi. C’era Buffy dentro al petto, allora, c’era solo lei e nient’altro.

E fuori, tra la luce e l’ombra tuttto il resto. La Wolfram&Hart, Kate, il buio e le paure delle persone….

Era tutto così lineare, così semplice.

Combattere il buio, nel buio. Null’altro.

Ed ora…

 

Ora è tutto diverso…”

Certo che lo è, uomo. Adesso è vita, è amore, amicizia, discussioni e opinioni. C’è ancora da combattere, la fuori, ma ora la vita scorre anche qui dentro. È tutto cambiato perché siamo andati lontano.. bhe, sì, io un po’ più del necessario… ma questo è il posto dove si torna.. non dove si aspetta una nuova battaglia.

Questo è il posto in cui vogliamo tornare…. Questo.”

Che legame ha, tutto questo, con Drusilla…

Cosa può negare ciò che le ho fatto..

Nulla.

Nulla può cambiarlo…

 

..Per ogni goccia che sangue tuo che versi adesso non tornerà nessuna di quelle vite!…

 

Doyle… angel si voltò a fissarlo, preoccupato per una nuova intrusione. Ma non era lui. Non era lui ch eora lo guardava e attendeva una risposta…

 

Ma lo fai, cazzo! Lo fai eccome…

 

non sei tu.. è a tua voce, ancora nella mia testa..un’altra voce tra mille voci… solo che la tua… sa di speranza…

 

Tu credi in me, Doyle?”

 

L’aveva chiesto, senza nemmeno soffermarsi a pensare.

E doyle aveva alzato lo sguardo verso di lui, fino a entrare in quegli occhi scuri e profondi.

Certo.”

E poi, come se non fosse già abbastanza…

 

Da sempre.”

 

***

 

Ed eccolo.. un altro giorno in arrivo.

Al momento non è altro che una riga perlacea all’orizzonte.

Ma diverrà ampia e trasparente entro poco…

Ed oggi, come ieri, quel momento… mi manca…

 

Allora, eroe… passata la crisi?” – Doyle si appoggiò al parapetto. L’aveva raggiunto già da qualche minuto, ma si era fermato, un istante.

Era come allora… solo che era un’alba, non un tramonto.

Già…” – Angel sorrise, seduto su quel parapetto. Anche lui, ricordava.

Oggi come alllora, sapeva che avrebbe scelto le tenebre.

Allora aveva rinunciato alle Gemma di Amarra… adesso avrebbe rinunciato al rimorso e alla voglia di morire.

 

Del resto non potevo mica continuare a rimuginarci sopra…” – ci scherzò, forzatamente.

vedi, non è poi così difficile prendersi poco sul serio..” – ridacchiò Doyle – “Anche se, mi tocca ammetterlo.. con l’umorismo sei un disastro…”

Ed Angel ne sorrise.

La striscia all’orizzonte aveva il colore delle pesche… presto, presto sarebbe stata di fiamma.

E’ ora…” – mormorò Doyle raddizzandosi. Era venuto per parlare, ma alla fine non ne aveva avuto bisogno.

Lo so.”

 

Angel saltò giù dal parapetto e si incamminò, verso la porta metallica.

Un altro giorno, un altro giorno assordante stava per cominciare. Freddo e limpido.

E ad esso sarebbe seguita un’altra notte.

L’avrebbero attesa. E braccata, con i suoi neri angoli infiniti.

Perché ci fosse un’altra alba. E un’altra ancora.

 

Albe che Angel non avrebbe visto.

Che non l’avrebbero più tentato con un sonno eterno e senza sogni.

Albe per chi aveva ancora sogni e non solo rimorsi.

 

A me è riservata la zona d’ombra che passa tra la vita e la vita. E, dopotutto, se Doyle ha ragione, non è poi così strano che la normalità, talvolta, si faccia strada in questa terra di nessuno…

 

Sai se Cordelia ha preparato del caffè?”

Certo. Bruciato alla perfezione… ma Faith ha comprato i croissant… ah, Angel.. quello con l’uvetta è mio…”

 

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Capitolo 17
*** 17. conversazioni ***


Conversazioni

 

I personaggi delle serie "Angel" e "Buffy, the vampire slayer", appartengono a Joss Whedon, la WB, ME e la Fox, l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

 

Desiderava quella brioches con tutto il cuore.

Il suo essere la reclamava, con forza… quasi urlando.

Ma non è così grave, Doyle.” – continuava a ripetere Cordelia, levandosi le briciole da intorno alla bocca – “Possiamo fare a metà…”

No. Lei era mia…”

Andiamo Doyle, non fare il bambino…”

Se il bambino sono io dimmi perché non me la restituisci al posto che continuare a morsicarla…”

Perché possiamo fare a metà.” – ripetè Cordy, come se questo spiegasse tutto.

Io non voglio fare a metà perchè…” - cominciò a enumerare petulante, quando suonò il telefono.

E tutti si bloccarono. Faith e Angel, seduti vicini e entrambi ridacchianti per quella discussione, lo fissarono. Immobili.

In silenzio.

E il peso tornò rapidamente sulle spalle di tutti loro.

Aspettavano una telefonata.

Da due giorni.

Ed ora, che quasi iniziavano a dimenticarlo.. eccolo, il telefono…

 

A giorni dalla partenza di wes e Spike.. ecco il telefono finalmente squillante.

Già… quattro giorni, volati e strisciati in egual misura.

Quattro giorni dall’affare Drusilla, da quell’alba sul tetto.. e adesso…

 

E adesso?

 

Adesso chi dovrebbe rispondere?

 

Doyle non lasciò neanche che quel quesito gli si insidiasse nella mente. Saltò in piedi e afferrò il ricevitore.

Mister Doyle? Chiamata a suo carico dall’Inghilterra.”

Dannazione, pure la centralinista…

Ma non erano una specie estinta?

Ciao Francis.” – era una voce allegra ed esuberante, quella dall’altra parte.

E non era Wes.

E non era Spike.

sicchè adesso pago anche l’intercontinentale?” – sbraitò Doyle.

Io non pago forse la tua Cacciatrice? E ti assicuro che gli interessi non sono vantaggiosi né tantomeno a tasso fisso!” – ribattè la voce dall’altra parte.

Doyle strinse i denti e bloccò una recriminazione che stava salendo spontanea alle labbra.

Emise un basso ringhio, dominandolo fino a farlo diventare un sospiro.

Cercando di disperdere il nervosismo che gli aveva dato quel telefono trillante… e che gli davano quei tre individui che si torcevano le mani alle sue spalle.

E, consapevole di quel suo stato d’animo, dall’altra parte gli rispose una risata. Bassa e modulata.

stappa una bottiglia, Francis… ci vediamo tra qualche giorno…”

 

Silenzio.

Doyle non gli aveva risposto…

 

Methos aggrottò la fronte e smise di giocherellare con il cavo del telefono.

Tolse i piedi dalla scrivania e si appoggiò con i gomiti.

Che gli fosse venuto un infarto?

Avrebbe potuto dirglielo con più garbo…

Forse era meglio ripeterlo…

Francis…” – scandì bene – “Ho avuto l’incarico…mi mandano in America…”

Mi mandano… voglio andarci e mi danno un pretesto…

Ho… capito…” – rispose Doyle, con voce metallica – “Mi stai dicendo che il Consiglio ha deciso….”

Certo che ha deciso. Ti lasciano la gatta da pelare… anzi, mi danno la gatta da pelare perché con i soldi che ho scucito se ne andranno tutti in crociera ai Tropici con mogli e figli.” – spiegò, perplesso, da quel prolungato silenzio.

Che gli fosse veramente partito un embolo?

Doyle, ti prego, dimmi qualcosa…

Mi stai dicendo che è finita…”

methos emise un sospiro. E, finalmente, capì in cuor suo che quell’angoscia che aveva attanagliato a lungo il demone se ne stava finalmente andando.

Sì, Francis. È finita.” – disse. Lentamente. Lasciandogli il tempo di capire – “Faith resta a Angel. Ci sono i presupposti. E sono solidi. Il Consiglio ha accettato di inviare me perché sono risultato… idoneo… anche se non è il mio settore di osservazione…”

Altro silenzio.

Poi una breve risata.

idoneo.. bel termine…”

Gli affari sono affari…” – sorrise Methos, finalmente sollevato – “Quei due che avete mandato sono in gamba. Soprattutto il ragazzino…”

ragazzino. Doyle sobbalzò nel sentirlo definire così. Ragazzino.

stai parlando dell’Uccisore delle Cacciatrici..” – replicò. A quell’affermazione Angel venne un passo più vicino.

si, lo so, me l’han detto…” – replicò assolutamente incurante l’immortale – “Comunque non ho parlato con nessuno dei due. Ci sono stati incontri separati, per mantenervi sulla corda riguardo al nome dell’Osservatore… cioè me…”

Ed allora perché ne parliamo così tranquillamente al telefono?”

Perché adesso hanno il nome. E stanno tornando negli States.. saranno lì con l’anno nuovo…”

Questa sì che è una buona notizia…”

Ah, perché? L’altra no?”

Certo, che domande…”

“…”

“…”

Francis.. non che a me importi.. ma stai pagando una bolletta a suon di silenzi…”

 

Riagganciò lentamente. Con calma riposò la cornetta sul sostegno e rimase a fissarla, pensoso.

Era come avere la testa sott’acqua.

Contemplò in silenzio il muro, poi si voltò.

Sorprendendosi che fossero ancora lì, tutti e tre.

Talmente in silenzio da non riuscire a sentire nemmeno i loro respiri.. o perlomeno quelli dei respiranti.

Allora?” – sbottò Cordelia, fissandolo.

Come? Oh, sì…” – doyle le rispose distrattamente – “è finita, abbiamo vinto…”

rimasero tutti bloccati. E lo fissarono, abbacinati.

E fu allora che, finalmente, con uno scatto da centometrista, il neurone intelligente di Doyle colpì gli altri.

Lasciandolo bloccato, con la mano già impigliata nel ciuffo che si stava scompigliando.

ommioddio.” – esclamò, mentre gli occhi gli diventavano perfettamente rotondi – “Abbiamo vinto! È finita, gente, ci teniamo Faith!”

Stava saltando. Se ne accorse mentre ancora stava urlando ‘ci teniamo faith’... Lui e Cordelia stavano saltando, abbracciandosi.

E anche faith…

E Angel… oh cielo.. bhe, non saltellava.. o quasi…

Quel che era certo era il suo sorriso.

Andarono avanti così per un bel pezzo. Come dei pazzi, intorno al bancone della cucina, saltando e abbracciandosi, all’infinito.

Poi, quando finalmente si sentirono la testa leggera e i polmoni prossimi a scoppiare, si sedettero e doyle cerò di mettere assieme le scarne informazioni che aveva per la sua personale e famelica platea.

Poche informazioni… pochissime informazioni… a partire dal fatto di non rivelare chi fosse il misterioso interlocutore.

Proposito impossibile da mantenersi.

Sì, ma se non era Wes al telefono, chi era?” – si intestardì Cordelia.

Te l’ho detto, un amico…” – replicò, con l’aria più innocente possibile.

Un amico che ha che fare con il Consiglio…” – aggiunse Faith. Non metteva in dubbio la buona fede di Doyle.. ma… ma non le piaceva questo tizio.

anche Wes ha a che fare con il Consiglio… ogni tanto.” - rispose garbatamente Doyle. Presagiva, per quanto sollevato, tempi duri.. duri come lo sguardo che Faith intendeva sfoggiare con il nuovo Osservatore.

Non è la stessa cosa..” – borbottò faith. Il sollievo infinito che provava, stava rapidamente naufragando nel pensiero di avere un nuovo Osservatore. Che probabilmente sarebbe stato vecchio, pomposo, seccante, tradizionalista… caspita quanti aggettivi aveva imparato stando con Wes…

Wes.. il pensiero del suo inglese dell’animo tranquillo le fece male al cuore.

Era stato destituito. Non era più il suo Osservatore. Non lo sarebbe mai più stato.

Verrà a vivere qui?” – borbottò, scocciata. L’unico vantaggio di averlo come coinquilino era potergli avvelenare il caffè con puntualità.

conoscendolo, manco se lo paghiamo…”

la frase gli era uscita così veloce dalla bocca…

disastro.. o quasi…

Cioè, non credo che nessuno lo voglia qui!” – rimediò, alzandosi precipitosamente e sbattendo piatti e briciole nel lavandino – “Io no di certo…”

E su questo siamo d’accordo!” – Cordelia impilò il resto della roba e gli passò vicino – “Ho già tanto da fare così…”

Si alternavano a smantellare il tavolo… continuando a elencare i motivi per cui non volevano il nuovo intruso tra i piedi.

Poi iniziarono a lavare i piatti ed a asciugarli… senza interrompere la discussione.

E fu a metà di una nuova ipotetica teoria che faith sentì il gomito di angel urtare il suo.

Facciamo due passi?” – mormorò sottovoce il vampiro.

Ma è giorno, Angel…” – obbiettò lei, sorridendo suo malgrado.

E allora?” – Angel brillava di una gioia sincera e tranquilla – “Andiamo per gallerie.. ma facciamo due passi…”

 

Spariti. Cordelia se ne accorse quando si voltò a caccia di un ultimo piatto, con lo strofinaccio tra le mani.

Doyle, girato verso il lavandino e con le mani nella schiuma continuava imperterrito la sua farsa.

Prese il piatto che Cordy gli porgeva e, facendolo scivolare insieme agli altri, rimase voltato a fissarla.

A fissare Cordy che appoggiava strofinaccio, mano e tutta se stessa sul ripiano della cucina.

E lo fissava con occhi fiammeggianti.

Francis Allen Doyle... Piantala di mentire e vuota il sacco. Subito.”

 

 

II

Quattro passi… per quanto lenti e leggeri, come quelli di due esseri nati predatori, erano comunque rimbombanti nella gallerie.

Le tubature cave e la poca acqua raccolta negli scoli amplificavano i rumori e i rintocchi delle loro suole.

Faith si passò le mani sulle braccia, per scaldarsi. Non aveva realmente freddo.. era più il rumore dell’acqua a provocarle un brivido.

Come la consapevolezza di quello che era appena accaduto.

Un perfetto sconosciuto, al di là dell’oceano, per un singolo istante, aveva pensato a lei. Aveva chiamato e… avevo detto, probabilmente con noncuranza, la cosa più importante della sua vita.

Aveva dato alla sua vita un’altra possibilità.

Chissà se si era reso conto di quanto potesse essere basilare quello che stava per dire. Faith va, faith resta… spostata e trattata come un pacco postale. Nessuno diceva cose del tipo, ‘dove è, fa del bene’ oppure ‘ se se ne va, chi si occuperà delle cose qui’..

Nessuno aveva considerato che lei potesse essere utile nella lotta contro il male. E questo, sinceramente, la irritava ancora.

Meglio non pensarci, dopotutto…

L’hai detto a Spike?” – domandò. Non c’era bisogno di aggiungere il soggetto…. Drusilla era il centro dei pensieri di Angel, da quando era venuta fuori la questione… Già, quella questione…

La Questione.

Alla fine mi sono deciso…” – commentò ermetico, Angel – “Ieri sera. Ho preso il coraggio a quattro mani e…”

 

E a questo punto devo considerarmi il risultato di un esperimento andato a male o un prodotto del destino?”

Pazzesco, aveva trovato un altro modo per dirlo… angel spostò la cornetta e inclinò la testa. Parlare con Spike in intercontinentale non toglieva nulla al piacere di una litigata faccia a faccia.

L’effetto dolby restava comunque.

E le lamentele di Spike restavano le stesse, anche se le parole cambiavano, di frase in frase.

Ma Angel era un tipo paziente. Lo sapevano tutti. Per cui…

Attese.

E attese.

Adesso ti decidi a dire qualcosa?”

Eccolo. Finalmente pronto ad ascoltare veramente.

Non ho niente di particolare da aggiungere, William.” – mormorò, riportando il ricevitore vicino al viso – “Questa è la teoria di doyle. E io credo che sia vera.”

tutto qui? Non pensi che si possa essere sbagliato? Magari è una congettura eccessiva…” – la voce si spense in un silenzio perplesso, dall’altra parte del filo.

Spike era fermo di fronte ad una finestra aperta sulla città. Teneva il telefono con una mano, appoggiato alla coscia... e la cornetta bloccata tra il mento e la spalla. Per avere una mano libera con cui strofinarsi la testa, rabbiosamente.

Attorno regnava un allegro caos, fatto di vestiti e libri, appunti spiegazzati e confusione.

Per quanto il Consiglio avesse insistito ad ospitarli, lui e Wes avevano optato per un paio di stanze in piena Londra. Era un bilocale con la tappezzeria fiorata alle pareti e gli archi in legno scuro al posto delle porte.

Una piccola dependance all’ultimo piano, in una pensione in stile, in cui Wes era certamente conosciuto da più tempo di quanto volesse ammettere.

Era tutto altamente appassito, in un posto del genere, a partire dalle stampe a tema botanico, sbiadite, lungo le scale, fino il corrimano dal profumo di cera d’api.

Era tutto tranquillo e stridente con l’esterno, con la Londra moderna ed esuberante del duemila.

Ma a spike piaceva.

Ed ora, fermo a fissare i palazzi e le luci così diverse da quelle americane, protetto da un tenda appositamente aggiustata, Spike ascoltava i fantasmi del passato.

Là, in un quartiere ormai rivoluzionato dal gioco del tempo, là, da qualche parte, c’era ancora il vicolo in cui aveva incontrato Dru, Angel e Darla.

Poteva essere la fine, invece era stato l’inizio di un viaggio… un lungo viaggio pieno di sorprese…

Aveva pensato di poter essere superiore alle riflessioni sul proprio destino e il proprio passato... e quanto si era sbagliato.

Il passato non smette mai di inseguirci lungo la strada che percorriamo…

Angel attese un attimo. Ma Spike non sembrava intenzionato a terminare la frase iniziata.

Andiamo, William.” – rispose, riempiendo quello spazio vuoto e ricco di pensieri – “Lo sappiamo entrambi. Sappiamo tutti e due che è vero. Lo… sentiamo. Almeno, io posso sentirlo. È la verità, quella che non ho mai ammessa…”

già.” – Spike tamburellò sull’intelaiatura in legno. Poi buttò fuori le parole una sull’altra. Rapidissimo e colpevole – “E se ti dicessi che lo sapevo?”

 

E come l’ha presa?” – domandò Faith, notando il rallentamento nel racconto di Angel. Si era quasi interrotto, seguendo quello che doveva essere stato lo svolgimento della telefonata.

Tutto sommato… ben, direi… bene.” - rispose Angel – “Talmente bene che ho provato il desiderio di ammazzarlo.”

 

Silenzio. Un attimo di silenzio.

William.” – la voce gelida gli colpì i sensi come lo scoppio di una granata – “Mi rallegro che ci sia un oceano tra noi…”

Non ti sarai arrabbiato veramente.” – Spike sbarrò gli occhi incredulo, quasi Angel potesse vederlo e credere nella sua espressione – “Non è che proprio lo sapevo… è che Drusilla di tanto in tanto ha farneticato qualcosa a riguardo. E adesso, che so la teoria di Doyle… bhe, mi sembra valida…cioè…”

Prego, va’ pure avanti..” – l’incalzò il suo sire – “Sento le tue unghie stridere mentre ti arrampichi su dagli specchi…..”

Avanti Flagello, sai benissimo che non c’era bisogno ti dicessi quanto Dru ha delirato in decenni di convivenza!” – Spike allargò le braccia, continuando a mantenere la presa sull’apparecchio... europeo e retrò all’inverosimile – “Non ho stenografato tutto… e ogni tanto non l’ascoltavo.. facevo solo cenno di si con la testa! Solo che una volta mi ha detto che se lei non fosse entrata nelle tenebre…”

si interruppe. Un pensiero gli era passato così veloce nella mente da stordirlo.

Cosa.” – Angel si protese, istintivamente – “William, cosa ti ha detto…”

Nulla di importante.” – era cambiato il suo tono di voce. Era divenuto duro. E limpido – “probabilmente sto facendo confusione. È per questo che non te l’ho raccontato… non ne avevo certezza.”

Stava ritrattando.

Si rimangiava quello che aveva ammesso.

William…” – Angel tornò a distendersi, cercando di decontrarre le spalle – “Veramente non vuoi dirmi cosa ti ha detto Dru? Dopotutto, è un affare di famiglia.” Gli bastò un attimo, per capire lo sbaglio madornale appena commesso.

Un affare di famiglia.” – ripetè Spike, con una risata – “Allora di’ ad Angelus di chiamarmi… ne parlerò con lui.”

 

E poi ha riattaccato.”

Scusa, Angel.. ma io quest’ultima frase non l’ho capita…” – obbiettò Faith, scostando la carcassa di un topo con un piede. La passeggiata non era molto romantica…ma l’argomento era decisamente interessante… - “Perché ti ha fatto quella battuta su Angelus?”

perché mi sono comportato come un mafioso… io e la famiglia…” – borbottò Angel, ficcando le mani nel profondo delle tasche – “Per Spike, Dru è sempre stata solo affar suo. E su questo punto, lui ed io… lui ed Angelus non sono mai stati d’accordo. Ieri sera volevo estorcergli un’informazione.. e invece di farlo con bel garbo…”

si interruppe. E Faith lo guardò. Se ne stava piantato al centro di una fognatura, nella posa dell’oratore romano.. la stessa di quello stupidissimo poster d’affresco che Wes teneva sulla parete. Forse era un greco, non un romano…

Ed Angel, con lentezza, fece ricadere la mano.

Sto diventando matto.” – commentò – “Mi senti come parlo?”

Oh, andiamo!” – Faith gli sorrise, prendendolo a braccetto – “Non vorrai mica deprimerti! Frequenti pessime compagnie… dovevi prendere qualche cattiva abitudine… solo che per raggirare uno come Spike, ti serve una mente criminale, come me.”

Ed Angel, controvoglia, ridacchiò di quell’evenienza.

No, grazie. Penso che mi terrò la curiosità. Tanto, ormai.. non cambia più nulla….” – aggiunse, fissandosi la punta dei piedi.

 

È complicato da spiegare ma, in barba all’egocentrismo di Spike, lui è sempre stato il punto di incontro tra me e Dru.” – riprese, quando finalmente furono per strada. Uno dei passaggi di Angel sbucava direttamente in un passaggio coperto. Lì sotto, lontano da occhi indiscreti, si poteva restare seduti a chiacchierare.

Lontano dagli occhi e lontano dal sole.

Era un posto tranquillo…

Dru l’ha trovato… e se ne innamorata. Ma voleva fosse… mio. Voleva fossi io a vampirizzarlo, che bevesse il mio sangue. E non mi hai mai dato una vera spiegazione a riguardo. Non faceva che ripetere che sarebbe stato più forte… lei me l’ha affidato. Anzi, lei l’ha donato ad Angelus. Per una vita, Spike ha pensato che fossimo io e lui a dividerci Dru… non che fossimo io e Dru a spartirci lui…”

E poi c’era Darla…”

Già.” - Angel sorrise, tornando a sederle vicino – “Lei l’ha sempre saputo. E non è mai andata d’accordo con Spike anche per questo motivo. Non riusciva a possederlo, ad averlo per sé… lei voleva solo me. Ma questa sua intenzione implicava che io non avessi nessun altro. Dru poteva essere tollerata.. ma che io mi tenessi un antagonista così vicino…”

Non le andava giù…”

Una donna respinta, Faithy, è tra le cose più pericolose sulla faccia della terra. Una vampira poi…”

Una vampira respinta significa guai. Tanti guai.” – sospirò la ragazza – “Comunque torniamo al punto cruciale. Credi che Spike sapesse realmente di Drusilla?”

Credo che Spike, da quando doyle gli ha spiegato la faccenda dei prescelti, a sunnydale, abbia messo assieme molti più particolari di me. Gli sono sempre piaciuti i legami con l’eterno. Sono la sua fissazione…quello che so per certo, anche senza sentirmelo dire… è che c’è qualcos’altro che lo distrae.”

Faith rimase in silenzio.

Non sapeva a cosa potesse riferirsi Angel.

Per un istante, uno solo, sperò di essere lei, la distrazione di Spike.

Dopotutto, era andato in Inghilterra per proteggerla, per tutelarla.. era andato per difenderla innanzi al Consiglio.

Come Wes.

E come Wes doveva essere votato a questa causa.

Ma perché, allora, non aveva chiamato per dirle del verdetto?

E se non era lei… allora cosa?

 

In un altro mondo, con otto ore di ritardo rispetto al rolex di Angel, Spike si stava ponendo altrettante domande.

Alla fine, dopo molte discussioni, infatti, avevano deciso cosa fosse meglio.. ed il meglio si era rivelato che Wes andasse da solo a quella che doveva essere l’ultima udienza. Si era alzato presto ed era uscito, lasciando Spike da solo, a rimuginare.

Non sapeva della telefonata di angel, avvenuta dopo…

 

Drusilla Cantastorie. Era vero, a modo suo lo sapeva da tempo. Aveva ragione Angel, potevano percepirlo. Accettava quanto fosse vera quell’informazione.

E quanto all’averlo sempre saputo… col senno di poi poteva capire molte cose…ma c’erano troppe parole sussurrate nelle notti di luna perché Spike potesse dare loro un vero filo logico.. troppe parole e una vita eterna e fragile insieme.

 

Solo ora, nel ricordare e nell’aggrapparsi a qualche certezza, tornava il dubbio…

Angel aveva portato Faith sulla strada giusta. Come Angelus aveva condotto Drusilla lontano.

Senza essere consapevole realmente di entrambe le cose.

Poteva dire altrettanto di se stesso? Aveva realmente fatto qualcosa di orribile… oh, sì, certo. Sapeva benissimo cosa aveva fatto.

Ma aveva rimediato?

No.

Il suo cuore non aveva dubbi nemmeno su questo.

La colpa non era stata ancora perdonata.

E la Redenzione, la sua, tornava a pesargli.

Quella dannata Redenzione in cui non riusciva mai a credere del tutto. Che non era tutto nella sua vita, perché veniva dopo la Angel Investigation, dopo tutti loro che amava troppo.

Nulla era più importante di queste persone. Nemmeno la sua anima che reclamava giustizia. Nemmeno il suo passato di sangue da rimediare.

Nulla.

 

E quanto ad Angel... Ma si, che si impiccasse con i suoi sensi di colpa ed i suoi martiri. Erano solo affari suoi…e non erano una giustificazione al suo tono.

Dare un nome alle proprie paure le rende peggiori? Era una bella domanda…

Angel soffriva per Dru oggi come ieri? o ancora di più?

Poteva soffrirne più di prima?

In cuor suo, Spike dubitava. Drusilla era la stella spenta di Angel. Come tutti gli eroi da manuale, anche lui ne aveva una.

E quella di Spike? Così buia da essere inconfessabile. Spike sorrise amaramente, pensando a quegli occhi di smeraldo. A differenza di Angel non aveva avuto bisogno di un’anima per pentirsene. Pochi minuti di eccitazione e poi era giunto il disgusto per se stesso e per il risultato ottenuto…

 

Ed ora Dru. Il bene dalle ali strappate. Il Messaggero privo del senno.

Perfetto… mi mancava solo questa…

 

Si accese un’altra sigaretta, rabbiosamente. Alle sue spalle sentì lo scatto netto della serratura. E poi, rilassandosi, i passi di Wes.

Si era fermato. Spike alzò lo sguardo e lo vide riflesso nello specchio. Si era tirato a lucido, intrappolandosi nuovamente in un abito di tweed ed un paio di bretelle. Reggeva un paio di plichi sotto il braccio.

Solo che… che teneva le mani in tasca ed appariva stranamente rilassato.

Spike non si mosse. Un’espressione del genere poteva dire guai come pace. Rimase fermo, seduto al tavolo, con i piedi sul piano e le mani a coppa intorno alla sigaretta.

Ne aspirò una boccata, con lo sguardo alzato.

Si fissavano nel riflesso.

Abbiamo finito qui, Spike.” – mormorò con voce piatta – “Faith resta in America. Il suo nuovo Osservatore arriverà tra un paio di giorni. Ed ora, se non ti spiace, vado a piangere sotto la doccia.”

Si voltò, lentamente, e posò i fogli nella piccola entrata.

Wes…” – spike si era alzato, lasciando cadere la sedia su cui stava precariamente sdraiato – “Non mi nascondi nulla?”

Nulla.” – l’Osservatore si voltò per parlargli guardandolo in faccia – “Quelli sono i verbali di seduta. Me li hanno dati perché mi ricordi di onorare il patto. Cosa che farò…per il resto sono sfinito. Vorrei dormire qualche ora. Poi possiamo tornarcene a casa…”

Aspetta…” – Spike si appoggiò all’arco e lo fissò – “Preferisci adesso la seccatura o dopo?”

Westley lo fissò e soppesò cautamente la domanda.

Dopo.” – rispose, sillabando quasi. Almeno una doccia…

 

 

III

Non so di cosa tu stia parlando.”

Il candore fatto a persona. Due occhi splendidi e assolutamente innocenti.

Falso come Giuda.

Doyle, non mi incanti.” - Cordelia tamburellò con le unghie sullo strofinaccio e lo fissò, decisa – “Cosa devi dirmi a riguardo del tizio con cui parli al telefono?”

Nulla. È un informatore. Un caro amico, immigrato in Inghilterra e casualmente…” – mosse le mani, cercando di sembrare convincente… finendo con il farle ricadere e poggiarsele sui fianchi… indipendentemente dal fatto che fossero umide di detersivo per i piatti – “Principessa, senti… ecco…”

come andava avanti quella frase? Come era la nuova balla che stava per rifilarle?

Mistero.

Non riusciva proprio…

Non so di cosa tu stia parlando.” – borbottò.

L’hai già detto…”

niente.

Doveva fare l’avvocato… con uno sguardo del genere le avrebbero confessato tutto. E più ancora.

Sospirò, guardandola. Contrito.

Mi hai mentito.”

Eccola. Implacabile era giunta la condanna.

Ma no, cosa dici… io ti ho… omesso delle informazioni… irrilevanti.” – aveva ricominciato a gesticolare, come un mulinello. Ed iniziava ad avere il sospetto di aver perso il suo tocco magico per la menzogna.

Gli veniva in mente solo un altro paio di occhi a cui non si sfuggiva in quel modo…

Sembri mia madre, quando mi fissi così.”

Oh, ti prego!” – Cordelia gli puntò un dito sottile e con unghia laccata in mezzo agli occhi – “Non mettere in mezzo tua madre! Siediti, subito, e dimmi cosa stai nascondendo!”

 

Diamine.

Si era veramente seduto…

Forza.” – commentò Cordelia, sedendosi a fianco e appoggiandosi al ripiano, a braccia incrociate – “Sentiamo queste informazioni irrilevanti…”

Credi nella predestinazione, Cordy?” – domandò, speranzoso di riuscire a prenderla alla lontana.

No. Assolutamente. Per cui tralascia i preliminare. Dritto al punto, per favore.”

Era molto educata... ma ferrea.

Doyle la guardava, di traverso, perplesso.

Non mi piace che tra noi ci siano segreti.” – commentò, sulla difensiva, la ragazza.

Non era mia intenzione… è solo che non c’era nulla di certo.” – spiegò lui, abbassando il tono, confidenziale – “Non volevo darti un’illusione prima del tempo.” “E adesso?” – si mordicchiava le labbra - “Perché non vuoi dirmi la verità?”

Ma io voglio dirti la verità.” – Doyle era quasi sorpreso – “Non pensavo ci fosse tutta questa premura… non prenderla come una prova di scarsa fiducia.”

Si interruppe. E tirò un bel respiro. Con un sorriso, aspettando di essere ricambiato.

Poi si girò del tutto verso di lei, ruotando lo sgabello e prendendole le mani. Scivolando con i pollici sulle sue mani, godendo di quel contatto.

Il pomeriggio in cui faith ed Angel hanno litigato, io sono uscito, ricordi? Me ne sono andato a fare un giro, perché avevo bisogno di riflettere.

Non sono andato in nessuno posto in particolare… solo che camminando sono arrivato piuttosto lontano. E mi sono ricordato una cosa, a cui non pensavo più da molto tempo. Ora, tu sai che io sono visionario sotto molti punti di vista, per cui ho preso quello che mi stava succedendo come un segno.”

Non capisco cosa centri questo…” – cominciò Cordelia. Interrompendosi, quando Doyle, con mossa fulminea le pose un dito sulle labbra.

Sst.. lasciami terminare, per favore.” – chiese, gentilmente – “Il fatto è che quando sono tornato… tornato dalla mia morte, intendo.. avevo qualche informazione in più di cui non sapevo come disporre. Una mi riguardava, seppur indirettamente. Riguardava una persona molto importante della mia vita con cui Faith era destinata ad entrare in contatto.”

Sarebbe la persona con cui parli al telefono di tanto in tanto?” – domandò Cordelia, incapace di resistere.

Proprio lui. È un vecchio amico di famiglia, un amico… molto intimo di mia madre.” – spiegò, vergognandosi di dichiarare una cosa del genere. Methos l’avrebbe strangolato, avesse saputo. Non perché non fosse verità.. ma perché era una deliberata violazione dei suoi segreti – “quel pomeriggio ho pensato telefonargli. Lui ha gli agganci giusti… è un Osservatore…”

A quell’ultima affermazione gli occhi di Cordelia si allargarono, per la sorpresa.

l’amico di tua madre è un Osservatore?” – sbottò.

A quel tempo non lo era… o quasi.” – si difese il mezzo-demone – “si sono conosciuti in Irlanda, quando lei era giovane… e lui non è un Osservatore per le Cacciatrici… diciamo che è un Osservatore…”

oh, lascia stare! Sento già che stai per rifilarmi una variante della verità. Risparmiamela, per piacere!” – commentò Cordelia, sfilando una mano da quelle di Doyle, per appoggiarsi al tavolo – “ Non ti faccio domande in più riguardo alla sua professione. Ma va’ avanti.”

Io gli ho telefonato.” – riprese, con un sospiro – “E gli ho spiegato la situazione. Lui sapeva che prima o poi l’avrei fatto, perché l’ultima volta che ci siamo visti, io gli ho detto che avrebbe avuto a che fare con una Cacciatrice…”

E lui?”

era una domanda curiosa. E Doyle le sorrise, divertito.

Lui ha reagito come te.” – la punzecchiò – “Ha detto che la predestinazione non esiste e che me lo faceva come favore personale.”

allora è una persona di buonsenso.” – commentò la ragazza, iniziando ad abbozzare un’opinione per questo anonimo. Amante della madre di Doyle, Osservatore, razionale e mafioso. Uno che con la magia e l’esoterismo sembrava non avere niente a cui spartire… come lei, del resto.

A esclusione di…

Questo tizio sa che sei un demone?” – domandò, socchiudendo gli occhi, sospettosa – “E di Angel, o Spike..”

Sa abbastanza. Di tutti noi.” – annuì, serio – “E quanto a me... sa semplicemente tutto.”

Sa anche di me?” – domandò, senza sapere si preciso nemmeno lei a cosa si stesse riferendo.

Sa che ti amo. E che sei la mia vita.” – rispose Doyle, sincero ed essenziale come sempre. Guardandola mentre, con un attimo di improvvisa timidezza, abbassava lo sguardo, incurvando le ciglia su delle guance lievemente arrossate.

E d’istinto, la baciò. Prima che scivolasse in un altro quesito.

Veloce e intenso.

Osservandola riaprire gli occhi e fissarlo.

Grazie.” – sorrise.

 

Che tipo è?” – domandò Cordelia, immergendo gli ultimi piatti nella acqua saponata. Doyle, seduto sul ripiano, li asciugava e li posava, impilati.

E’ simpatico. Odia tutto ciò che ha a che fare con la magia e il soprannaturale. Odierebbe anche me, se non fosse che mi ha tra i piedi ormai da più di vent’anni…”

Allora come pensi che se la caverà.. con tutti noi, intendo… con Angel…”

Andrà d’accordo con tutti. E si terrà fuori dai piedi.” – replicò Doyle, posando un altro piatto – “Sarà in città, vedrà Faith per non avere rogne con il Consiglio… ma non intralcerà la missione di Angel. Sarà semplicemente qui. E la cosa non mi dispiace per niente….”

Gli sei veramente affezionato.” – sorrise lei, presto ricambiata.

Certo. Vedi, Principessa… lui è la mia famiglia. Lui è mia madre avevano un rapporto d’amore e odio incredibile.. ma lui non mi ha mai lasciato. C’è sempre stato… sempre.” – si interruppe un secondo. Era così difficile ammettere quanto fosse legato al suo serafico immortale – “Non si tratta di predestinazione o incontri programmati… sono solo contento di averlo conosciuto… tutti abbiamo bisogno un mentore nella vita.”

E lui è il tuo?” – Cordelia si asciugò le mani e lo fissò – “Allora è meglio se comincio a preoccuparmi.. con tutti i vizi che hai…”

Doyle la guardò, colto del tutto alla sprovvista. Poi gettò la testa indietro e rise. “Mi sa che hai ragione…”

Avevano quasi finito. Cordelia si asciugò le mani nello strofinaccio che usava da grembiule e si sporse per afferrare i piatti. Pensierosa.

Dovresti dire tutto questo a Faith, l’aiuterebbe parecchio.”

Invece non sono d’accordo. Non voglio si senta influenzata dalla mia opinione. È combattuta, al momento…”

Già. E poi c’è Wes…” – Cordelia si aggiustò i capelli, tirando indietro le ciocche sfuggite dalla treccia – “Non credo che questa storia del nuovo Osservatore gli farà piacere.”

E come dargli torto… faith è una delle sue ragioni di vita. Il mio amico ha detto che si conoscono, almeno di vista… purtroppo dovranno scendere a compromessi…”

E Faith sarà di nuovo un osso da contendersi…”

Mi auguro di no…” – Doyle le tenne la vita, mentre si allungava per recuperare alcune scatole sull’ultimo ripiano del mobile – “E poi non credo che faith resterà passiva a riguardo. Credimi, Principessa.. meno ficcheremo il naso prima si distenderà il clima…”

Ma sentilo… guarda,mio caro, che è tua la prerogativa di andare in giro a spargere solidarietà.. sei tu quello che appiana le divergenze.” – puntualizzò, additandolo e tamburellandogli con un’unghia sulla spalla – “Non io.”

Si era seduta sul ripiano e Doyle le aveva cinto la vita con le braccia. Ed ora la guardava, lasciando che la ragazza provasse ad aggiustargli i capelli.

Era una splendida posizione per chiacchierare.

E Doyle le sorrise, alzando appena la testa. Gli piaceva da impazzire sentire le mani sulle tempie.

Soprattutto quando…

Con un gemito le si appoggiò pesantemente contro.

E cordelia non impiegò nemmeno una frazione di secondo, a comprendere. Sperò di non lasciare nemmeno una costola in briciole tra le dita del suo demone. E attese.

Passato?” – quando lo sentì grugnire seccato, contro la sua spalla.

Certo. Passato.” – borbottò, tirandosi indietro e fissandola – “Passato come il nostro attimo di tranquillità.”

Riprenderemo poi…” – rispose, rassegnata la ragazza, con una lieve alzata di spalle. Si attardò ancora un attimo a ravviargli i capelli – “Allora, chiamo io Angel? O chiami tu?”

Chiamo io…tu chiama Wes…”

Perché adesso? Hai avuto una visione, non dovremmo correre fuori a salvare innocenti?” – domandò, perplessa, mentre l’uomo l’aiutava galantemente a scendere.

appunto…” – sospirò Doyle – “Chiami adesso perché sai che hai poco tempo… e quindi la bolletta ne trarrà un beneficio…”

 

Una visione. Tutto come sempre, allora. Doyle si strofinò il viso, per schiarirsi le idee.

Una visione come le altre… un innocente in pericolo ed un eroe che compare dal buio.

Si appoggiò un attimo al lavandino, fissandosi, riflesso nel vetro della finestra.

Tutto come sempre.

Tutto come era cominciato così.. e tutto proseguiva così.

Scosse la testa, divertito all’idea. Nella sua vita aveva progettato di fare altro. Aveva studiato, aveva deciso di insegnare a sua volta… e poi aveva semplicemente accettato questo compito.

E ora…

Ora c’erano momenti in cui lo dimenticava. Talmente preso da quell’attimo di intimità con Cordelia, talmente assorto a parlare.. da non ricordare.

 

Fatto.” – sospirò la ragazza, rientrando in cucina. Aveva la giacca addosso e portava quella di Doyle ripiegata con cura, su un braccio – “Wes ti saluta. Spike gli stava raccontando della faccenda di Dru…”

Uh, e come l’ha presa?” – rispose, riscotendosi dai suoi ragionamenti.

Una meraviglia… stava iperventilando…” – Cordelia lo squadrò – “Hai parlato con Angel?”

Si, certo.. lui è Faith stanno tornando….” – scosse la testa e aprì il rubinetto – “Quanto odio il mio mestiere…”

Ma no.. non prenderla così male…” – lo consolò la ragazza, afferrandolo per il mento con la mano libera e schioccandogli un sonoro bacio – “Dopotutto lo fai per la causa…”

doyle la guardò… seriamente. E Cordelia si perse ancora un po’ in quelle iridi limpide.

Ancora una volta, come la prima volta, come alla loro prima conversazione.

Tutto come era cominciato così.. e tutto proseguiva così.

Ed era semplicemente perfetto.

Per la causa…” – mormorò l’uomo, senza cambiare espressione – “Ed io che pensavo lo facessimo per soldi…”

 

Quindi, ricapitolando le cose che tu hai detto a me e che agli altri non devo dire… tu l’hai chiamato e lui si è interessato della questione di Faith perché ottenessimo questa proposta e gli venisse affidato l’incarico…” – Cordelia, enumerò i punti sulle dita, mentre Doyle si lavava la faccia direttamente al lavandino della cucina – “E che ci guadagna in cambio?”

Nulla, direi. L’ha fatto perché gli andava di farlo… o perché secondo l’universo non poteva farne a meno. A te la scelta…”

Indubbiamente preferisco la prima ipotesi. Mi da’ maggior fiducia nel mio prossimo.” – rispose Cordelia, voltandosi e andando verso l’uscita mentre Doyle si infilava la giacca, seguendola – “E ha un nome o dobbiamo continuare a chiamarlo ‘Lui’?”

Adam.” – mentì, spudorato, il demone – “Adam Pierson.”

 

 

IV

Quando rincasò erano soltanto le undici. Gli era bastato un giro veloce, per distendersi i nervi e chiarire le idee.

La pensione era tutta buia e silenziosa. Silenziosa o quasi.

C’era una saletta, con un divano foderato in chintz e una televisione, dall’altra parte della sala da pranzo.

E da lì proveniva il suono gracchiante e scordato di un pianoforte.

Spike si incamminò quietamente verso quella porta socchiusa, di legno scuro come molte delle rifiniture.

La maniglia, in ottone, era lucida nel punto in cui più mani si erano posate nel corso del tempo. Per il resto, la sua brunitura era ancor più evidente lungo il motivo a conchiglia.

E Spike vi rimase appoggiato, discostando appena la porta, per sbirciare all’interno.

La luce gialla e calda della lampada di riflesse sui suoi anfibi lucidi, attirando la sua attenzione.

Poi, lentamente, Spike alzò lo sguardo e osservò l’interno, il famoso divano, fiorato e consunto, prima di visualizzare, nel fondo della sala, lo strumento e l’uomo che, pensierosamente, soppesava ogni nota.

Entrò piano, riaccostandosi la porta alle spalle.

E si avvicinò con calma, abbandonando lo spolverino su una poltrona di velluto verde.

Il pianoforte…” – commentò, prendendo atto.

Già.” – Wes mosse le mani seguendo uno spartito rimastogli impresso nella memoria – “l’ho sempre odiato… ma i miei volevano imparassi… adesso mi piace, però…”

E magari ti aiuta a pensare…” – commentò Spike appoggiandosi. Non era un pianoforte a coda, ma uno alto… perfetto per puntellarsi con i gomiti e guardare il musicista. O meglio, frugarlo con gli occhi – “… e direi che di cose che non vanno giù…”

wes lo ignorò, deliberatamente, continuando a spostare le mani per sprigionare lentamente le note.

Parecchie.” – ammise – “Dov’eri finito?”

A fare un giro. Io penso così.” – sospirò – “Non avevo voglia di essere sommerso di domande su questa storia di Dru…”

E così hai approfittato della chiamata di Cordy per defilarti…”

Verissimo. Ho tagliato la corda.” – stava armeggiando con una sigaretta. E Wes si sporse, recuperando un posacenere dal tavolino. Senza che la musica si interrompesse – “E ora sono pronto. Spara, Osservatore…”

Non sono più un Osservatore….”

E solo adesso ne prendi atto?”

Solo adesso mi hanno chiesto di rientrare in consiglio e ho detto di no…”

l’aveva detto pigramente, quasi fosse una sciocchezza. Ma, dopotutto, era un’offerta che avrebbe potuto cambiargli la vita. E che aveva deliberatamente rifiutato.

Un rifiuto che ora ammetteva, con la tranquillità ed il candore con cui si confessa quante zollette di zucchero si mettono nel the.. Spike lo guardò e, per la prima volta, in vita sua, in quella vita lunga solo due anni ma ricca come un’eternità, ebbe la certezza di essere di fronte ad un grande uomo.

Stanco, avvilito.. e con gli occhiali un po’ inclinati sul naso. Ma un grande uomo che con lentezza e riflessione forgiava note limpide e dal sapore antico. Guardò le mani muoversi sui tasti d’avorio e ebano.

Non sei pentito di questa scelta.” – mormorò, senza chiedere.

No. Non lo sono.” – rispose, ermetico, Westley.

E sai che per noi sarai sempre l’Osservatore, vero?”

Certo. Non dirò agli altri di questa offerta. Non ha più importanza. Lasciamo le cose come stanno…” – ed evitiamo che un’altra ferita si riapra.. le cose che furono e non saranno sono le peggiori da gestire…

Certo.” – Spike annuì, allungandosi per tirare più vicino il posacenere.

E tu?” – incalzò Wes – “Come stai?”

non era la domanda che si aspettava. Era pronto a ogni quesito, ma non ad uno di questo genere…

Perché? Come dovrei stare?” – domandò, fissandolo.

Tu amavi Drusilla, Spike.. lei ti ha scelto… ti devi essere posto qualche domanda in merito…”

Riguardo alla Predestinazione?” – spike sorrise storto – “Certo. Drusilla, messa dalla casualità sulla strada sbagliata ha scelto me… sbaglio pure io, dunque?”

Pessimista…” – commentò Wes, sorpreso, a sua volta.

E perché no… una teoria valida come il caos.” – ribattè Spike afferrando il posacenere e sprofondando nella poltrona alle sua spalle. Obbligando lo studioso a girare su se stesso, a cavalcioni dello sgabello rettangolare – “Non sarebbe interessante? In una famiglia votata al paradosso e all’eccezione.… solo io sono uno sbaglio, figlio della causualità e dell’errore… ed Angel, Darla…Dru… ognuno di loro un destino e un futuro. E poi, io…”

wes non rispose. Aveva abbassato lo sguardo, pensieroso, giocherellando con la fodera dello sgabello.

Andiamo, Price, non dirmi che non l’hai considerato… ti aspettavi che me ne uscissi con una profezia ricordata per caso?” – Spike sembrava divertito. Divertito anche dall’idea di essersi scervellato per ore a trovarla – “Preferisco slegarmi subito da questi giochetti. Il ruolo di Drusilla mi va bene nella dose in cui si è rivelato utile a tenerci faith. Ovvero come un imbroglio ben costruito.”

Stai negando la realtà dei fatti, quindi.” – wes aveva finito di sistemarsi, con le spalle alla tastiera. Senza smettere di strimpellarci, in punta di dita.

Può anche darsi… ma non credo sia mia abitudine.”

E’ questo che mi sorprende… da quando ti conosco, hai sempre chiamato le cose con il loro nome. E ora non puoi accettare che ci sia in te quel legame che da sempre stai cercando.”

Il mio legame con l’eterno…” – mormorò Spike, soprappensiero, facendo scattare l’accendino – “Mi sono bruciato, credendoci così ostinatamente. Mi fossi accontentato di meno sarei vissuto, mi sarei sposato e sarei morto. E la mia vita non sarebbe fuggita così lontano da Londra e non sarebbe stata piena di abominii. Sarebbe stata solo vita… e mi sarebbe bastata.”

Ma non ti bastava…” – incalzò Wes.

Oh, no. Mai. Mi sono illuso che fosse nell’amore la risposta. In quell’amore che per me era cecily. E sai cosa ci ho guadagnato? Sono morto. E mi sono risvegliato. Ed ho ucciso… amato…odiato… e mai trovato quel legame con l’eterno. Mai. Nemmeno nello stare dentro l’eternità stessa. Sempre a caccia, sempre alla ricerca di qualcosa. Ed ora dovrei credere che nella mia caduta ci fosse tutto? Che Dru… buon dio, Dru, proprio lei… possa essere tutto questo?”

Era amore, Spike. E sono d’accordo con te. Non è abbastanza, non lo sarà mai. Ma tu devi prendere in esame l’evenienza che…”

No.” – la sua risposta fu così lapidaria da troncare il ragionamento di wes. Si alzò e si incamminò, fino a tornare ad appoggiarsi al piano – “Non ne ho l’intenzione. Tra me e dru passano ancora migliaia di cose inspiegabili… il destino sarebbe solo di intralcio. Ora come non mai.”

Wes poteva non approvarlo. Ma lo capiva.

E capiva la sua sofferenza e che fosse forte come quella di Angel, anche se di diversa natura.

Il fatto che dru fosse un’assassina folle oltre che una vampira non era veramente così importante, per Spike. Come amava dire Angel.. era una della sua vita.

Una definizione per passare sopra ai gradi di separazione.

Come preferisci.” – si arrese.

E in quel momento si aprì la porta. E una testa ingrigita ma ancora folta sbucò, almeno in parte.

Westley… dopo le undici niente confusione. Molla il piano.” – mormorò la donna, in un inglese che riportò Spike indietro di un secolo e mezzo. Puro londinese, un balsamo dopo il gracchiare d’oltreoceano. Lo aveva mandato in visibilio nell’istante stesso in cui la stessa donna, alla reception, gli aveva dato le chiavi e augurato buon soggiorno.

si, zia, scusami.” – rispose l’uomo. E la testa riscomparve. Spike si voltò e lo guardò, esterrefatto.

Zia?” – ripetè, senza rinunciare ad un sorriso bastardissimo.

La sorella di mio padre.” - replicò, sulla difensiva Wes - “Vengo sempre qui perché è come stare a casa… di solito dormo di sotto, da lei... ma visto che c’eri tu…”

E non potevi dirmelo?”

A dire il vero non ci ho pensato, ammise, massaggiandosi la nuca, con gesto imbarazzato.

E non hai una casa, qui, a londra?”

Oltre a questa? In effetti si, ma non ci vado volentieri.” – accettò la sigaretta che il vampiro gli porgeva – “Qui sto bene, c’è un calore… bhe, è aria di casa. E tu? Niente proprietà in England?”

Qualcosa… ma le ho liquidate pressochè tutte negli ultimi anni.” – se ne accese una seconda e la fece ruotare dentro il posacenere, guardando la cenere sgretolarsi – “Non ho mai amato gestire gli affari, le case… ho sempre demandato volentieri. Più pratico…”

Oh, senza dubbio.”

Era una conversazione tranquilla. Non aveva nulla dei problemi che avevano risolto e delle grane che si profilavano all’orizzonte. Era una conversazione normale e preziosa. Unica.

Tra amici.

Alla fine, sorprendentemente, Spike non provava nessuna difficoltà a sentirlo come tale.

Un amico.

Si erano seduti sulle sfondate poltrone di velluto della zia ed avevano chiacchierato. Per quanto Wes fosse un tipo restio a dire la sua, Spike non poteva che trovarsi bene con la sua enciclopedica personalità.

Spike… non è cominci a scoprire che abbiamo qualcosa in comune?” – lo provocò, d’un tratto, l’uomo, con un mezzo sorriso. Il poco di alcool che aveva in corpo lo stava rilassando… al pari delle storielle del vampiro.

Ti dirò, Price,… lo temevo.” – sorrise, di rimando – “a secoli di distanza, tu hai ricevuto un’educazione che è prodotto di quella che ho avuto io..”

Non esagerare.. passi quella vena di mentalità in comune.. ma da qui alla stessa educazione…”

Io sarei potuto tranquillamente diventare un Osservatore.” – insistette Spike, con un sorriso indulgente per il se stesso che era stato. Ed una punta di tenerezza per la sua incoscienza perduta – “Te l’ho già detto una volta. Ero nato per vivere in una biblioteca… era la mia ambizione.”

Stento a crederlo…” – lo schernì Westley, guardandolo. E ottenendo da Spike un’occhiata tale da rendersi conto di un particolare così importante da scordare tutto il resto – “Sai che non ho mai veramente pensato agli anni che abbiamo di differenza?”

E come mai adesso? Tutto d’un colpo…”

Te ne stai lì seduto, a parlare di rock… hai i capelli ossigenati e il pessimo gusto per il vestiario tipico di questi tempi... non hai niente che sia del tuo secolo. Assolutamente nulla. Eppure hai più di un secolo, dietro questa facciata. Un secolo di vita di cui nessuno sa nulla… perché non ci ho mai pensato prima…”

Non è una cosa veramente importante. Ho solo viaggiato di più.” – mormorò, pensieroso. Anche egli, talvolta dimenticava quanti anni scorrevano tra lui e le persona che amava. Tanti, troppi. Forse era anche per questo motivo che, istintivamente, lui e Angel facevano fronte comune, per quanto con tante incomprensioni.

A modo loro, senza poterlo veramente ammettere, erano parte del passato. E le persone che erano a loro fianco, quelle persone che erano le loro ancore… erano solo di passaggio, dirette verso un futuro incognito.

Ma chi voglio prendere in giro…” – sorrise, interompendo l’angosciante pensiero del domani – “Ci sono giorni in cui questi miei tempi passati mi pesano come macigni. La mia vita se ne è andata, Wes. L’ho persa in un bagno di sangue. L’ho persa a ventidue anni, per pura disperazione. E quando mi sono svegliato… erano passati quasi due secoli. In mezzo non è vita… sono solo giorni…”

Aveva un sorriso strano. E wes si trattenne dall’alzarsi e posargli una mano sulla spalla.

Non sapeva realmente cosa dirgli a riguardo… cosa? Che l’importante era che l’incubo fosse finito? Ma quale incubo… era vita, senza morale e senza un fine… era l’esistenza utopica che tutti prima o poi desiderano. Perfetta, priva di un dovere e di un obbiettivo da conseguire con la fatica. Eterna…

E’ difficile, per un uomo mortale, comprendere tutto questo, spike.” – commentò, abbassando lo sguardo – “Io combatto i vampiri. Combatto la tua razza e ciò che c’è di sbagliato in lei… ma tu… ed Angel… io vi conosco e non credo di accettarvi solo per la vostra anima… ma anche per le persone che siete… e credo che le persone siano forgiate dalle loro esperienze.”

Hai ragione. Ma solo in parte. Le esperienze ci hanno reso ciò che siamo perchè erano sbagliate. E perché le rifuggiamo. Certo, possiamo chiamare vita anche la non-vita. Ma è così strano, quando, appena sveglio, ti rendi conto di quanto ti sei separato dalla tua esistenza umana. Quello che ero, quello che non mi piaceva, quello che volevo diventare.. le persone che amavo, i miei sogni.. sono rimasti tutti in una vita di cui per anni non mi è importato nulla.” – Spike si allungò, lasciando scivolare le mani sulle gambe – “ Avevo tutto il tempo del mondo.. ma non avevo più i sogni…solo miraggi…”

Ed ora è tutto diverso…”

Certo. È diverso.” – Spike lo fissò, con un lampo divertito nello sguardo – “Lo è eccome.”

Credo di capire questo tuo rifiuto nei confronti del ruolo di Drusilla.” – aggiunse Wes, non resistendo al desiderio di tornare all’attacco. E sentendosi infantile, davanti a quel ragazzo che non era un ragazzo e che si portava appresso un bagaglio di esperienze che, giuste o sbagliate, erano sempre frutto dell’immortalità – “Quello che conta è adesso, per te. Non prima.”

Già. Questa è una buona spiegazione…” – concordò, Spike, spegnendo la sua ultima sigaretta – “Io ed Angel ne abbiamo parlato, una volta… e io ho detto che il bello di adesso era non vivere più in un eterno presente. Voi mi fate provare il desiderio di cambiare… ma si, di crescere… ancora un po’.”

L’avevo detto con un’occhiatina storta. E Wes gli sorrise, come se fosse un’altra storiella, o una bella battuta. Ma lo sentiva come un complimento.

Bhe, andiamo a dormire?” – concluse, alzandosi.

Non è una cattiva idea…” – disse Spike, stiracchiandosi vistosamente.

Domani devo sbrigare ancora qualche faccenda burocratica, ma se per te va bene, possiamo prendere l’aereo dopodomani sera… o al più tardi tra un paio di giorni…”

Spike non gli rispose. Si limitò ad alzarsi, silenziosamente.

Soppesando i propri pensieri.

Con calma.

Lasciando che le parole di Wes, fatte di preparativi e considerazioni, lo calmassero. E lo allontanassero da quel quesito ormai cronico riguardo alla sua vita ed alle sue scelte.

Si incamminarono tranquilli, per il corridoio, attarverso le salette comunicanti. Passando, Wes spegneva le abat-jours e le appliques, lasciando il buio dietro di loro. Lungo le scale scricchiolanti, fino a giungere alla loro stanza. A quelle due stanze, poste una di fronte all’ altra, separate solo da un salottino caotico in cui campeggiava, maestoso, il tavolo rotondo attorno a cui avevano discusso ogni più piccolo particolare della strategia e delle ripetute riunioni a porte chiuse con i membri del Consiglio.

E anche questa è finita…” – sospirò Spike, radunando qualche foglio e un paio di raccoglitori. Scompostamente, in mezzo, giacevano gli ultimi verbali. E, in cima, quasi a simbolo,. Il foglio che comunicava il nome del nuovo Osservatore.

Adam Pierson.” – lesse Spike, con occhio critico – “ Con un nome del genere,sarà certamente dell’altra sponda…”

A dire il vero credo di ricordarmelo…” – commentò Wes, accostandosi e imitandolo nel riportare ordine – “un tipo simpatico, solitario… ma potrebbe essere cambiato, con il tempo. Non studiava per divenire un Osservatore per la Cacciatrice…”

Ah no? Per hobby allora?”

Diciamo che si occupava di un altro settore…” – rispose, evasivo, il suo interlocutore – “Abbi pazienza Spike, dovrai tenerti la curiosità…”

Oh, certo, non vorrei mai violare il vostro esoterismo.” – Spike allungò le braccia, scuotendo le mani – “Per carità, non darmi questa croce da portare…”

Tranquillo, ti risparmio volentieri.” – rispose Wes, finendo di impilare precariamente gli appunti – “Quando sarò a casa, brucerò tutto…”

Prima fanne una copia, allora..”

buona idea…” - l’osservatore sbadigliò, vistosamente – “Credo che andrò veramente volentieri a dormire… anzi, mi alzo per salire in aereo…”

E mi abbandoni in balia dei tuoi simili? Scordatelo, finisci ciò che hai iniziato…”

Va bene, va bene… dormirò quando saremo tornati a casa…”

ah,Wes, a questo proposito…volevo dirti che io… io…” – Spike si appoggiò all’arco e lo fissò – “Io non torno in America.”

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Capitolo 18
*** 18. Supposizioni ***


Supposizioni

 

I personaggi delle serie "Angel" e "Buffy, the vampire slayer", appartengono a Joss Whedon, la WB, ME e la Fox, l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

 

Come poteva fare di colpo così caldo?

Come poteva la città, tutto d’un tratto, divenire così rovente e poi, sempre senza preavviso, tornare al vento freddo?

Ma non è la California questa?

Non c’è il sole sempre e comunque?

Cordelia si asciugò, seccata, la fronte. Dopo un pomeriggio passato a crogiolarsi sotto un sole inaspettato non poteva capacitarsi di aver corso su quelle strade lucide di pioggia.

Così… in sandali, minigonna… così, con i capelli appena aggiustati, dannazione!

Quanti climi aveva attraversato?

Aveva smesso di contarli.. ma i capelli… cavolocavolocavolo…

Percorse correndo l’ultimo tratto di marciapiede. La giacca con cui si proteggeva la testa era ormai zuppa e grondava implacabile acqua nella scollatura della camicetta. Lungo il collo, fredda e sempre inaspettata.

I suoi tacchi sottili ticchettarono furibondi sulle piastrelle del cortile e su dai pochi gradini. Davanti a lei la porta si era spalancata e Cordelia entrò, senza rallentare la sua corsa.

Santo cielo…” – commentò Doyle, richiudendo il battente alle sue spalle e fissando la ragazza – “Ma tu guarda come sei ridotta…”

Avevo proprio bisogno che me lo facessi notare.” – ribattè lei, furibonda, scotendo la giacca, ormai ridotta a uno straccio irrecuperabile. Scosse la testa, irritata e, finalmente, Doyle notò il particolare.

Hai qualcosa di diverso…” – constatò, vago, girandole attorno.

Impegnati, oh uomo.”

Dai, Principessa, dammi ancora un attimo! Dunque… hai qualcosa di diverso… hai…”

Se dici un vestito nuovo, giuro che dormirai sul divano per i prossimi vent’anni!” – ribattè, prontissima, con gli occhi fiammeggianti.

Doyle la squadrò ancora una volta, osservando i vestiti ormai semitrasparenti, gli occhi dal trucco sbavato e le ciocche che le si incollavano al viso.

Le ciocche…

Nere…

Nere?

Lisce?

Oddio…

Principessa…che hai fatto?”

la domanda era uscita prima ancora del complimento. Avrebbe potuto dire ‘diamine! Come stai bene!’ e invece…

Invece…

E invece non aveva ancora terminato di dirlo che già arrancava in cerca di un rimedio.

Risposta sbagliata.

Orrendamente sbagliata.

Neanche l’amore può, contro un taglio di capelli…

Devo ricordarmelo, la prossima volta…

Dai, Principessa, lo sai che per me sei splendida…” – incalzò, correndole dietro mentre, con passo da divinità offesa, attraversava la hall – “Non è una questione di capelli, è che sei la mia luce, sei…”

Ma finiscila!” – Cordelia girò su se stessa e gli puntò un dito in mezzo agli occhi – “Sei uno spasimante da quattro soldi. Cuore fa rima con amore sarà la tua prossima frase!”

In effetti…” – concordò lui, dopo una breve e silenziosa riflessione. Prima di tornare a seguirla, schivando le pozzanghere che lasciava – “Però devi ammettere che sono sincero… e romantico… e sempre fedele…”

Bla, bla, bla…” – Cordelia era sparita dentro un asciugamano – “Tu parli troppo, Doyle. Veramente troppo…”

I capelli le piovevano dritti e umidi ai lati del viso. Ma quel colore, a cui lentamente iniziava ad abituarsi, le donava parecchio, facendo risaltare l’incarnato e gli occhi.

Si era avvicinata, senza proseguire la predica. Era rimasta in silenzio, a fissarlo, mentre si incantava nei particolari.

Doyle non aveva bisogno di parole. E non lo sapeva. Gli bastava quello sguardo con cui si fermava a contemplarla per dire tutto.

Di tanto in tanto Cordelia sentiva un sano nervoso davanti a certe frasi, a certe scelte di vita del suo demone.. ma bastava quello sguardo, quegli occhi calmi e la bocca appena dischiusa in una frase scordata per sentirsi il centro di un mondo unico.

Doyle…” – sussurrò. Prima di ricordarsi i capelli bagnati e tutto il resto. E assestargli uno spintone- “Oh! Sei impossibile!”

E adesso che ho fatto?” – domandò lui, cingendole la vita, con un sorrisetto divertito. Adorava le contraddizioni di Cordelia, così semplici e spontanee, il suo non ricordarsi sempre di dover essere una donna sofisticata – “Tu ti approfitti del fatto che io sia un povero demone ormai incatenato al tuo fascino… schiavo ai tuoi piedi… come…”

Wes!”

No, Cordy… “ – la corresse, guardandola stranito – “Non come…”

ma si, Wes!” – insistette Cordelia, svincolandosi dall’abbraccio e correndo verso l’uomo alto e bruno che varcava la soglia.

Cordelia, ciao.” – esclamò l’uomo, lasciando il borsone e stringendola. La ragazza aveva qualcosa di diverso, si sorprese a constatare, senza capire cosa fosse…

ringraziando il cielo, Cordelia gli venne involontariamente in aiuto.

Sei tornato. Come sono contenta di vederti.” – disse, tutto d’un fiato, afferrandosi i capelli ai lati del viso – “Allora, ti piacciono?”

wes la squadrò, fissando le ciocche bagnate e troppo diritte. E decise di mentire.

Bellissimi. “ – commentò, precipitosamente – “Ti trovo bene… e gli altri?”

E spike? Dove lo hai lasciato? Arriva con l’aereo della notte, perchè non avete viaggiato insieme?” – continuò Cordelia, ignorando la domanda. E aggrottando la fronte davanti all’espressione dell’Osservatore.

E capendo al volo che qualcosa non andava.

 

E così mi ha detto che restava in Inghilterra. E la mattina dopo era sparito.”

 

Wes aveva concluso con questa frase il suo racconto.

Ha aspettato di sapere Faith al sicuro, si domandò Doyle, oppure ha deciso all’improvviso?

Doyle schiacciò, pensieroso, la sigaretta consumata nel posacenere. Fissando la città e tornando a posare il mento sulle mani intrecciate.

Si era scelto un posto tranquillo per riflettere, sul grande terrazzo dell’Hyperion. Si era seduto, incrociando le gambe e posandosi meticolosamente a fianco sigarette, posacenere, bicchiere. E fregandosene del fatto che il cemento fosse ancora umido, e lucido di pioggia.

 

Wes ha l’espressione sconcertata, di chi si ritrova a confessare un peccato non suo, eppur si sente colpevole, aggiunse alle sue considerazioni.

 

E aveva cercato di riordinare i suoi pensieri.

Con scarso successo, in effetti.

 

Spike se ne era andato.

Aveva voltato le spalle a tutti loro ed era svanito.

 

Spike non era tornato.

Era un adulto, poteva comportarsi come preferiva… eppure Doyle non si sentiva del tutto rassicurato da questo fatto.

Spike da solo, a Londra. Per sua stessa scelta.

Ma lontano da chi? Da Dru oppure da…

Lo sguardo di Doyle si spostò, con lentezza, lungo la via. E, soprattutto, lungo la sequenza dei ricordi.

Faith…

Faith, seduta in fondo al tavolo. Composta.

E impassibile.

Non era trapelato nulla dalla sua espressione.

Vado a fare due passi, aveva commentato, asciutta, alzandosi.

 

E, dopo quella frase, si erano dispersi.

Non c’era nulla da aggiungere, al reale.

Si poteva solo prendere atto della scelta di Spike.

Possiamo ripeterci all’infinito che non abbiamo diritto di giudizio sulla sua vita.” – momrorò, a sé stesso – “Ma porco Giuda, che desiderio di ucciderlo…”

Stai parlando da solo, Doyle.”

Eccome, Angel.” – replicò, sfilando una nuova sigaretta dal pacchetto – “Un’altra mia pessima abitudine nascosta….”

Il vampiro avanzò silenziosamente, fino ad affiancarlo.

non sapevo nemmeno venissi qui a riflettere.” – aggiunse. Il profumo della giacca di pelle si mischiò con l’esile aroma del liquore contenuto nel bicchiere, divenendo un tutt’uno con la città e le sue essenze.

E Doyle inspirò, tranquillo, godendosi quel nuovo segnale di vicinanza.

In effetti non mi piace per niente. Soffro di vertigini e trovo assolutamente inutile mettere a rischio il proprio collo per quattro ragionamenti.”

E allora cosa fai qui seduto?”

Cerco di entrare nella testa di un vampiro.” – ribattè. Osservando il sorriso sbieco di Angel affiorare – “Tu adori sederti qui a riflettere. E Spike altrettanto. E allora mi son detto, perché no, proviamo. Chissà che non mi venga una buona risposta.”

Aveva quasi borbottato quel commento, sentendosi sinceramente di cattivo umore e la risata sottile di Angel lo colse del tutto impreparato.

Bhe, Doyle. Direi che facevi prima a chiedermi.” – rispose il vampiro, abbassando gli occhi sulla via. E nascondendo il loro buio nelle luci della strada – “ti saresti risparmiato l’altitudine…”

Spiritoso… comunque rimane il fatto che non capisco. Questa volta non lo capisco proprio.”

Tu che non capisci Spike. Questo si che è strano, veramente. Molto più della sua fuga…”

Doyle ruotò la testa, in modo studiato, e fissò il profilo dell’eroe. La linea allungata delle sopracciglia, lo sguardo verso la vita sotto di loro… i tratti del viso assorti.

Me prego, uomo.” – commentò, grondando sarcasmo – “dammi anche una botta in testa, visto che ci sei…”

pazzesco.

Non ho mai visto nessuno fuori posto come noi adesso.

Angel conforta me.

Io tormento Angel.

Se questo non è un serrare i ranghi…

Va bene. Finiamola.” – sospirò, scendendo dal cornicione e appoggiandosi saldamente a uno dei lucernai – “Torniamo nei nostri ruoli. Come l’hai presa?”

angel sorrise, senza un commento, girandosi e intrecciando le braccia, in una delle sue pose più tipiche.

Ne prendo atto.” – rispose, pacatamente – “Spike è vissuto qui quasi due anni. prima o poi se ne sarebbe andato, lo sai bene.”

Perché adesso.”

perché se avesse deciso di tornare, ora, l’avrebbe fatto per sempre. C’è un motivo in più qui, per lui, adesso.”

Andiamo Angel! Spike non sta lontano da una cosa che vuole, mai. Arriva e se la prende! Lo hai sempre detto…”

Lui non la vuole, Doyle, lui la ama. C’è una bella differenza. Può essere confuso, perché no, magari spaventato. Ma ciò non toglie che starle vicino lo uccide.”

Non ha motivo per starle lontano…” – borbottò, seccato.

Faith è una Cacciatrice, Doyle. Significa morte, pericolo… la cacciatrice è il tempo che passa, per Spike.” – fece una pausa, guardandosi la punta delle scarpe, prima di riprendere – “Spike non ha mai tollerato il perdersi nella sua immortalità. Ha scandito il tempo a suon di emozioni e ha usato le Cacciatrici per ricordarsi chi era, giorno dopo giorno. Loro passavano… e lui restava.

Ma questa volta è diverso…”

Poco tempo.

Tutto qui il problema.

E prima di avere poco tempo con lei, preferisce non averne affatto?” – Doyle scosse la testa – “Si vede che su questo argomento la pensiamo proprio in modo differente…”

Io credo che William ne sappia più di tutti noi di amori perduti.” – sospirò Angel – “Non ho mai conosciuto nessuno con una passione del genere… penso di poterlo capire…”

Certo. Anche tu sei famoso per le tue ritirate strategiche.”

L’aveva detto senza polemica, tranquillamente. Nuova frase e nuova sigaretta.

E dito sulla tempia.

E se ci sbagliassimo?” – azzardò, fissando il vampiro – “Se non fosse questo il motivo?”

E’ possibile.” – ammise Angel – “Ma si tratterebbe comunque di una donna. E prima di pensare che si tratti di Dru… io mi auguro che sia Faith il problema.”

 

 

II

benissimo…” – ricapitolò Doyle, scendendo le scale e finendo la rampa scivolando sul corrimano – “Preso atto del principio di non-intervento sul fronte Spike, cosa facciamo di lei? O di tutti noi?”

Quello che facciamo di solito. Andiamo avanti. E ci prepariamo ad accogliere il Nuovo Osservatore.”

Angel si fermò, studiatamente, al centro della hall.

Hai qualcosa da dirmi, a riguardo?”

perché tu e Cordelia siete così in malafede nei miei confronti?” – si lamentò il demone, afferrando giacca e cappello – “Stesse domande e stesso sospetto. Mi ferite…”

Se vuoi lo chiedo a Cordelia.” - replicò l’uomo, infilandosi la giacca.

Doyle lo fissò, piantandosi le mani sui fianchi. E stando al gioco, innanzi a tutta quell’insensibilità ostentata.

Angel aveva quel che si suol definire ‘un gatto vivo nello stomaco’. Probabilmente due, conoscendolo.

Da un lato il suo pupillo fuggiasco.. e dall’altro la sua Cacciatrice, corredata di mal d’amore e Osservatore nuovo.

Forse i gatti erano tre…

Tanto valeva assestare un colpo al suo io.

E’ il mio patrigno.” – ribattè, come se niente fosse – “Non dirlo a Faith, per piacere.”

Per Bacco…

Ad Angel è caduto il paletto di mano…

Puoi ripetere, per piacere?” – rispose, fissandolo stranito.

Pensavi sul serio che ci mettessimo uno sconosciuto in casa?” – ribattè Doyle, prendendosi il deliberato gusto di tormentarlo. E scuoterlo dai suoi pensieri – “Mi sembra che ci manchi solo una spia del Consiglio…”

E’… irlandese?” – azzardò Angel, del tutto impreparato alla rivelazione.

Assolutamente no.” – ma come si stava divertendo… - “Nemmeno inglese, se è per questo. Sa bene a che giochi giochiamo, ci darà modo di stare tranquilli.”

Angel lo guardava in modo stranissimo. Il patrigno d Doyle era un Osservatore. Era l’Osservatore scelto per controllare Faith.

Da perplesso, divenne sospettoso.

Quanto potere aveva il suo trasandato amico?

Non era certo che le parentele fossero parte del corredo di un Cantastorie…

Sei nato per sorprendermi?” – chiese.

sorprenderti, guidarti e tenerti allegro.” – rispose. Prima di tornare serio. E avvicinarsi – “Non scherzavo, prima. Non dirlo a Faith. Voglio che decida da sola. Non è casuale questa scelta, lo sai benissimo. Diciamo che ho mischiato un po’ il caso e il destino a nostro vantaggio. È liberissima di non andarci d’accordo…”

Tanto prima o poi dovrà farlo comunque?” – rispose, automaticamente, Angel.

pressappoco.” – doyle afferrò il cappello e se lo calcò in testa – “Quanto a Wes, gli spiegherò con calma il tutto quando torniamo.”

Qualunque cosa sia, puoi spiegarmelo strada facendo.” – replicò Wes, sbucando da uno dei corridoi – “E comunque sì, stavo origliando…”

 

Si sarebbe potuta definire una notte tranquilla e limpida, dopo l’improvviso acquazzone. Si sarebbero potute guardare anche le stelle, non fosse stato per i demoni, i vampiri e il rituale satanico dall’altra parte della città.

Corri, sgozza, ammazza, esorcizza.” – brontolò Doyle, cercando di ridare una forma al suo cappello.. scotendolo dal liquame rossastro che lo impregnava – “ E poi corri, sgozza, ammazza, esorcizza. Ma la classica birretta con gli amici?”

Dopo aver corso, ammazzato ed esorcizzato.” – ribattè Wes, chiudendo accuratamente il libro che si portava appresso. E sfilando dalla copertina la stelletta ninja che non gli si era piantata in mezzo agli occhi.

Hai dimenticato lo sgozzare…” – ribattè Angel, scrollandosi di dosso una ragazzina impaurita dalle vistose branchie blu – “Fatto. Torna a casa, Fidelle…”

Oh, grazie, signor Angel. Porterò i vostri saluti alla mamma. Ciao Doyle…” – ribattè compita la bambina, con un tono perfettamente in linea con la sua faccetta rotonda e le treccine… prima di trasformarsi e sparire rapidissima, strisciando.

Andiamo?” – domandò Doyle, senza smettere di fissare, vagamente inorridito il rettile bluastro che attraversava la strada – “Odio incontrare i parenti quando lavoro…”

Angel non rispose. Guardava desolato l’ammasso fumante che una volta era stata la sua macchina.

 

A questo punto cerchiamo la fermata dell’autobus più vicina… o chiamiamo Cordelia…”

 

Cordelia era nella vasca da bagno. Il suo vociare seccato e sognante allo stesso tempo sapeva di bagnoschiuma alle fragole e crema per il viso.

La musica di sottofondo e il tintinnio dei bicchieri lasciò intendere come lei e Faith avessero preso in mano la situazione.

Pettegolezzi e lamentele riguardo al mondo maschile e ai suoi misteri.

I ragazzi sono a piedi.” – spiegò Cordelia, sporcando il ricevitore di schiuma e allungando una gamba fuori dalla vasca – “Vai a prenderli?”

passameli.” - replicò Faith, posando la boccetta dello smalto e porgendole un bicchiere di spremuta in cambio del telefono – “Wes? Oh, ciao Doyle. A meno che non siate in pericolo di vita, o inseguiti da un’orda infernale… ah, potete cavarvela? Ottimo, splendido. Ciao a dopo…”

Si arrangiano?” – domandò Cordy, posandole su un ginocchio il piede umido e con le unghie solo in parte laccate.

A quanto pare..” – commentò Faith, tornando alla sua opera – “Non sono proprio dell’umore…. Stavamo dicendo?”

Ah, si, ti stavo raccontando di come quel Carlton mi mollò dopo... “

 

Quindi il mio antagonista non è poi così antagonista.” – commentò Wes, appoggiando al palo della fermata.

Una fermata che avevano impiegato circa un’ora a trovare.

Un’ora che Doyle aveva abilmente usato per riversare una tonnellata di parole su Westley Whydam Price. Il quale iniziava ad essere parecchio stanco di uomini logorroici, vampiri e cacciatrici.

Presenti esclusi, ovviamente…

Non troppo esclusi, pensandoci bene…

Adam Pierson, tuo patrigno.”

Legalmente lo sarebbe potuto diventare. Era nelle disposizioni di mia madre.” – spiegò il demone, giocando con un mazzo di carte che sembrava apparire dal nulla nei momenti più inaspettati – “ma quando lei è morta io avevo già sedici anni. Ero abbastanza grande per arrangiarmi e non avere problemi. Così abbiamo mantenuto i contatti ma non ci siamo imposti una convivenza. Sarebbe stata deleteria… ognuno per la sua strada…”

E perché proprio ora, per faith?”

Meglio di un estraneo.” – rispose Doyle – “E, soprattutto, inevitabile.”

Sarebbe stato lui in ogni caso?” – domandò, con tatto, l’inglese.

Non c’era un’altra forma?

Doveva necessariamente prendersi il mio posto per incrociare la strada di Faithy?

Wes prese un lungo respiro e si voltò a fissare il demone. Non stupendosi affatto nell’incontrare il suo sguardo.

Adam non ha nessuna propensione al metafisico, Wes.” – spiegò Doyle – “Non ha interesse per l’inevitabilità dell’incontro con la Cacciatrice. Se viene in America, se accetta questo posto… lo fa solo per farmi un favore. Non sente obblighi verso nessuno. Tantomeno per il Consiglio.”

Confortante.” – commentò Angel. Era rimasto in disparte tutto il tempo, riflettendo. Un passo indietro, fino a quando avevano camminato. Ed ora a un paio di metri, seduto sullo schienale della panchina, seguitava ad ascoltare. E a pensare.

Era troppo.

Decisamente.

Un nuovo Osservatore e un vampiro di meno.

La bilancia non gli sembrava poi così in equilibrio.

Non gli piaceva l’idea del rimpiazzo.

Come probabilmente non piaceva a Faith.

Bisognava prenderne atto… ancora una volta, lui e la ragazza avevano un motivo di rabbia in più.

Forse Doyle non avrebbe dovuto dirgli dei suoi rapporti con questo Adam. Forse avrebbe dovuto dargli la possibilità di trovarlo antipatico e non poterlo sopportare. La stessa che offriva a Faith.

Si impose di restare calmo, di non farsi prendere dai pregiudizi.

È tutta colpa di Spike, si disse. Pentendosi all’istante... e dandosi da solo del mulo irlandese.

 

Angel…”

Wes…”

Stai sospirando…”

 

Io non respiro.” – commentò il vampiro, guardandolo. Come se questo spiegasse tutto.

Non ho detto che respiri.” – l’uomo si voltò, senza abbandonare il palo, mentre la testa di Doyle sbucava da dietro di lui – “Ho detto che sospiri. E te ne stai nelle retrovie in silenzio. Sei certo di non volerne parlare?”

Di cosa?”

Di quello che vuoi. Direi che abbiamo parecchio di cui discutere.”

A dire il vero, non mi sembra.” – Angel si fissò le mani – “Spike è libero di fare quello che vuole.”

Hai perfettamente ragione.” – annuì l’Osservatore – “Se non fosse che stavamo parlando di Adam Pierson…”

Angel non rispose. L’aveva colto in fallo. Su questo non c’erano dubbi.

Le sue riflessioni, per quanti fossero i tentativi di disciplinarle, continuavano a seguire l’inconscio. E si portavano appresso, a quanto sembrava, anche la sua attenzione.

Su questo argomento ho ancora meno dar dire.” – commentò, lapidario – “Ritengo di potermi fidare di Doyle a riguardo. E, in ogni caso, i fatti non cambiano. Non vivrà all’Hyperion e avrà il controllo di Faith solo se riuscirà a imporsi.”

Le parole di Angel avevano fatto sembrare tutto sotto controllo. E avevano concluso bruscamente la lunga conversazione.

Nessuno dei tre aveva sentito realmente il bisogno di aggiungere altro all’argomento. Perché Angel, a modo suo, aveva sostanzialmente ragione. Anche se, con una certa brutalità, negava quella corrente di emozioni di fondo che aveva percorso quella vicenda quasi burocratica del Consiglio e delle sue decisioni.

Wes, dal canto suo, nutriva una preoccupazione di fondo che non poteva ignorare. Il suo rapporto con Faith, per quanto contrastato e a volte pieno di silenzi, era intimo. E sentito.

Wes aveva paura di questa consapevolezza. La identificava con il loro rapporto di Osservatore e Cacciatrice. Non come il trovarsi di due persone. E temeva.

 

Temeva.

 

Seduti in autobus, sulla via di casa, occupando i sedili di fondo, i tre si rivolsero ben poche volte la parola.

Era una notte strana.

Innegabilmente. Ognuno di loro aveva qualcosa a cui pensare e una profonda gelosia per i proprio ragionamenti.

Una forma di solitudine, alla fin fine.

Doyle piegò il ginocchio, puntando il piede sul sedile. E rilasciò i muscoli delle spalle. Angel, un paio di posti più in là, aveva fatto lo stesso, attirando l’attenzione di un gruppetto di ragazze.

Con gli occhi chiusi, i capelli tirati indietro e le labbra leggermente dischiuse, si avvicinava molto ad una foto d’autore.

Era decisamente bello. E del tutto inconsapevole, anche se in lui permeava ancora qualcosa di quello che doveva essere stato lo studio edonista di Angelus.

Nulla era forzato, in lui. Ma il suo corpo tendeva a rilassarsi e disporsi secondo linee sinuose e pose che lo valorizzavano.

Qualcosa che Spike coltivava ancora. Il senso del colpo di scena, della posa a effetto. Come un predatore che caccia senza muovere un muscolo. Perché la vittima ha più sapore se ama il suo assassino…

Ecco. Stava per succedere. Una delle ragazze si era alzata e camminava verso di lui, ancheggiando.

A cavalcioni del sedile davanti, cercando di essere il più procace possibile, si era sporta verso di lui.

Verso Angel che, aprendo con lentezza gli occhi, la stava squadrando.

Uno sguardo liquido. Ma del tutto freddo.

La ragazza, qualunque cosa stesse dicendo, si interruppe. Il suo sorriso si sgretolò lentamente e lei si tirò indietro, retrocedendo.

Un passo, un altro ancora, prima di fuggire, con un’ombra di seccata sconfitta sui lineamenti. Doyle la guardò battere la ritirata. Poi tornò a guardare il suo eroe, impegnato a girare la testa verso di lui, con un movimento lento. E quasi languido.

Ma che ci fai alle donne, uomo?” – sussurrò, cercando di sdrammatizzare.

E ottenendo, in cambio, un sorriso bieco e rassegnato.

 

Quella ragazza…

Aveva un profumo tropicale e intenso. Era bastato il minimo desiderio di movimento per farlo giungere ai suoi sensi.

Era bella, di una bellezza stereotipata e sicura.

Era l’opposto del suo tipo, in effetti. Eppure, allo stesso tempo, aveva sentito di desiderarla. Aveva desiderato quel profumo e quel calore giù, per la gola, dentro le vene.

Aveva desiderato berla. Sentirla afflosciarsi contro di lui, sorso dopo sorso.

E, nel sentirla vicina, nel guardarla finalmente, nello smettere di immaginarla… aveva cercato di trasmetterle quel desiderio.

Con violenza.

Con crudeltà.

Reprimendo tutto l’amore che implicava una passione del genere.

Amore. E sangue.

Non si possono mischiare due cose che coincidono.

E la ragazza, da umana e mortale quale era… aveva capito, con quell’istinto che è sopito in ognuno di noi. Aveva saputo scindere…

Scindere, come i vampiri non erano più in grado di fare.

Angel lo sapeva questo. Il sangue, l’amore, il possesso… la coincidenza delle parti… se c’era un motivo per cui Spike non era tornato…

Già.

Spike.

Prima o poi si doveva tornare a battere quella via.

Spike e il suo non-ritorno.

Spike e le sue donne.

Di colpo quella bionda insignificante che lo guardava con rancore assunse un altro significato. Angel si mosse, massaggiandosi la fronte con due dita.

Possibile si trattasse di un problema di istinto? Dopotutto, apparentemente, Spike sembrava avere un maggior controllo del suo rimorso e del suo demone.

Apparentemente.

Ecco la parola chiave.

Possibile che da due anni Spike combattesse…

Ma no, certo.

Allora cosa?

Cosa aveva fatto scatenare in Spike una crisi del genere?

 

Era decisamente troppo per una mente sola.

Angel si alzò e andò a sedersi vicino a Doyle.

Ascoltami bene un secondo.” – spiegò rapidamente, sedendosi e facendolo sobbalzare – “Supponiamo che Spike abbia un problema nel desiderare Faith. La vuole troppo e sa che potrebbe non resistere. Perché non gli è successo prima?”

Ehi, frena un secondo.” – esclamò il demone, mentre Wes, alzandosi, si appoggiava con le braccia sopra la sua testa – “Ho capito, stiamo parlando di Spike come al solito, ma non ti seguo… ricomincia da capo…”

Io…” – Angel muoveva le mani, cercando di stare dietro al ragionamento e parlando come un mulinello– “Quella ragazza. Ho cercato di farle capire che l’amavo e la volevo per il suo sangue, ma lei ha recepito il pericolo. Faith invece, come Cacciatrice, ha sentito anche l’amore. Non si sarebbe rifiutata e Spike ha capito che non può trattenersi, anima o no, per cui sta lontano. Perché non gli è successo prima?”

Mi stai dicendo che hai desiderato mordere quella ragazza?” – domandò Wes, indicandola e beccandosi un’occhiata inviperita.

Lascia perdere, intanto non l’ha fatto.” – Doyle si girò verso entrambi, movendo rapidamente gli occhi da uno all’altro – “Fammi capire. Secondo te, qualcosa impedisce a Spike di controllarsi nei confronti di Faith? Ma non ti sembra un po’ vago come concetto?”

la desidera come un vampiro, Doyle. Spike è un vampiro, anche se crede che le sue emozioni siano umane in tutto e per tutto. Tutti subiamo il nostro demone, lui resta in noi, per quanto lo domiamo… il tempo che abbiamo passato, guidati solo da lui e dall’istinto ci lascia nozioni, istinti ed emozioni. Qualcosa ha scatenato questa parte, in Spike. E lui lo sa. Sa che, se torna adesso, ci sarà tutto questo tra lui e Faith.

Il sangue e l’amore.”

La renderebbe una di noi...

Senza poter resistere.

Io l’avrei fatto. Io avrei vampirizzato Buffy, non me ne fossi andato. Non era solo una questione di sicurezza per Buffy ma di difesa, di sopravvivenza per me.” – ammise. Lasciandoli in silenzio. Quasi di stucco.

Va bene.” – commentò Doyle, rompendo quel gelo, con prontezza – “Supponiamo tu abbia ragione. Possiamo fare qualcosa?”

No. A Spike ci vuole tempo. Saprà lui quando tornare.” – Angel scosse la testa – “La domanda è un’altra. Che cosa l’ha scatenato?”

 

Ci volle un attimo per capire.

A entrambi.

Poi fu la volta di Wes, prendere la parola.

Faith? – azzardò – “Non può essere stata lei?”

No. Vive con lei da troppo tempo. Anche se solo ora inizia ad ammettere con se stesso il loro legame.” – con che diritto violavano così i suoi sentimenti… - “Qualcos’altro. Deve esserci stato qualcosa. Io.. e Buffy… nel nostro caso è stato il suo sangue, prima dell’Ascensione. Io l’ho assaggiato. E ho compreso.

Ma William… e Faith?”

Facciamo un passo indietro.” – Wes cercò di prender in mano la situazione. Si appellò a tutto ciò che Spike aveva detto, trovando in effetti ben poco di quello che Angel stava ipotizzando – “abbiamo detto che tra Spike e Faith c’è più che attrazione. E che Spike si rifiuta di accettarlo. Questo è un problema suo e non possiamo farci nulla. Ma c’è qualcosa che ha risvegliato in lui questi, diciamo, istinti?”

Qualcosa... o qualcuno.”

L’aveva detto. Abbassando gli occhi e sentendosi di colpo un imbecille.

Tanto rumore per nulla.

Ecco cosa stava facendo.

Tanto.

Rumore.

Per nulla!

 

Lasciamo perdere.” – commentò, tornando ad appoggiarsi allo schienale – “Probabilmente mi sto solo impicciando di affari non miei.”

dalle mie parti il tuo impicciarsi si chiama istinto.” – replicò Doyle, buttando un’occhiata a Wes – “Se ti ostini su una cosa del genere è possibile che sia veramente importante.”

Non ti fidi troppo?” – domandò, veemente Angel, fissandolo dritto in faccia – “Ti ho appena detto che è un problema di istinto, di desiderare la coincidenza tra morte e amore. E tu ti fidi ancora di una mia intuizione?”

Angel, possibile che con te si approdi sempre a discussioni di questo tipo?” – ribattè Doyle, senza riuscire a celare un sorriso – “So quali sono i tuoi limiti. E so cosa significhi avere un demone da domare. Ma questo non toglie che tu abbia un grande intuito per il pericolo e per il male. Tu li conosci e conosci la tua natura. Te l’ho già detto una volta, stasera… io non posso entrare nella mente di un vampiro. Posso capire, ipotizzare.. ma ci sono cose a cui non posso arrivare. E se tu dici che esiste una realtà del genere, un possibile movente, una causa pericolosa.. io ti credo. E mi fido.”

Demone o non demone.” – aggiunse Wes, appoggiando il mento alle braccia e fissando il vampiro – “Io sono d’accordo con doyle. E aggiungo che non ti stai limitando a Spike e ai suoi possibili ‘ormoni impazziti’. Ti stai riferendo a qualcosa che potrebbe essere ben più pericoloso. E, correggimi se sbaglio… sei convinto che questo qualcosa l’abbia portato Drusilla.”

 

 

III

Per un attimo lo fissarono come se fosse sbarcato da Marte.

Poi, fu evidente che aveva centrato in pieno il bersaglio.

Non sbaglio, vero?” – domandò, sottovoce.

Eh no, non sbagli.” – confermò Doyle, lasciandosi andare contro il finestrino, sorpreso. E pensieroso.

Tu ed io, angel.” – aggiunse l’Osservatore – “Ne abbiamo parlato, ricordi? E tu hai detto che spike ci avrebbe nascosto una cosa importante solo se avesse riguardato strettamente lui. Avevi ragione. Ha decretato che fosse solo un problema suo…”

ma Drusilla non lo è mai.

Dru non è mai problema solo di Spike.

Mi ha detto che ne avrebbe parlato con Angelus… ed io non ho compreso…

Dannazione.

Ecco.” – sospirò Doyle, afflitto – “E’ tutta colpa di spike.”

Lo sapevo…” – aggiunse, rassegnato Angel.

E Wes, fissando quei due affranti, non potè che nascondere un sorriso divertito tra le braccia.

 

E adesso?” – domandò poco più tardi, scendendo dal mezzo e infilandosi le mani in tasca.

Erano a pochi isolati da casa, e sentivano il desiderio di camminare. Ancora.

Il cielo, rimasto sgombro e terso per ore, stava tornando a rannuvolarsi. E minacciava di nuovo di pioggia la Città degli Angeli.

Ma l’idea di prendersi un diluvio sulla testa non li turbava quanto il pensiero che Spike avesse fatto uno sbaglio. E fosse sparito, con informazioni che potevano tornare utili.

Oppure, più semplicemente ancora, si erano lasciati travolgere da una preoccupazione affettiva nei confronti del loro irriverente vampiro ossigenato.

Adesso lasciamo le cose come stanno.” – commentò Doyle, riparando con le mani l’accendino e la sigaretta – “E ci preoccupiamo di tutto ciò che abbiamo sotto mano: faith, Met… Adam & company. Tutti d’accordo?”

 

Lo erano.

Oppure non lo erano affatto. Ma annuirono comunque.

 

penso di andare a fare ancora quattro passi.” – aggiunse angel, quando si ritrovarono a poco più di un isolato di distanza.

Ancora non sei stanco?”

Mi hai insegnato tu a riflettere camminando, Doyle.”

Certo. Ma tu pensavi seduto in poltrona. Come facevo a sapere che avevi l’animo del podista?”

Le ultime parole lo raggiunsero mentre svoltava l’angolo. Si era incamminato, senza perdersi in altri commiati. E l’aveva fatto con la fredda consapevolezza di mentire.

Non dovette andare troppo lontano.

Adesso non ne percepiva più solo la presenza, ma addirittura il profumo. E la voce sottile, canticchiante.

Un vecchio parco, con la recinzione quasi a pezzi. E alcune altalene arrugginite, che dondolavano al ritmo del temporale.

Su una di loro, cigolante per quanto il peso fosse leggero, sedeva una figuretta dai lunghi capelli bruni.

Mani bianche e sottili che tormentavano la catena, senza interrompere il canto. “La tua bambola stenta ad addormentarsi, Dru?” – domandò, arrivandole alle spalle e fermandosi.

Aspettando di sentire la risatina, sapendo benissimo che non si sarebbe voltata. Non l’aveva colta di sorpresa. Lo stava aspettando.

Da chissà quanto.

E per molto tempo, lui si era rifiutato di accettare quel richiamo.

 

Le bambole non dormono, amore mio… sognano i sogni degli altri. Per questo hanno occhi spalancati e rigidi.” – spiegò paziente, senza smettere di dondolarsi, con la punta dei piedi.

Sei più matta di quello che ricordavo.” – commentò lui, aggirando gli ostacoli, fino ad esserle di fronte. Cercando di essere spavaldo, ma correndo con lo sguardo allo sguardo, a caccia di una prova per la verità di Doyle.

E lei gli sorrise, divertita.

Dimenticando la bambola, lasciandola scivolare a terra, carezzando le catene con entrambe le mani.

Offrendosi, tentatrice, mimando i movimenti della ragazza sull’autobus.

Lui te l’ha detto. I suoi occhi trasparenti non hanno saputo tacere.” Lo canzonò – “Povero amore mio, un altro peso sulle tue spalle. Il mio peso su di te… povero, povero amore mio…”

Perché sei qui.” – ribattè, ignorando i brividi che gli dava quel pensiero.

Sono qui per te… sei la mia famiglia.” – replicò, spalancando gli occhi – “Tu, il mio angelo biondo, la mia cacciatrice… vi voglio tutti per me…”

Mia cara…” – sorrise il vampiro, lasciando emergere Angelus dalle profondità – “Eri meno ambiziosa, quando volevi solo le stelle…”

Drusilla gettò la testa indietro e rise, dondolando appena sull’altalena.

Angelus, eccoti… anche tu torni a me, come il mio Spike.”

Cosa hai fatto a spike, Dru.” – Angel avanzò di un passo, tornando ad essere se stesso. Percependo, con orrore, il demone ritrarsi recalcitrante.

Nulla che lui non fa da solo a se stesso.” – sibilò lei, passando le labbra rosse sugli anelli della catena – “ Vuole amore, prende amore, dona amore… cosa posso fare per lui che già non faccia?”

Ma non per te, vero Dru?” – Angel piegò i suoi lineamenti, in un ghigno sarcastico quanto falso – “Le Cacciatrici lo posseggono.. e tu non hai mai potuto nulla, rispetto a loro. Non è mai stato tuo, con il suo animo. Non hai mai accettato il fatto che lui fosse ancora quello che tu non eri più, vero? Lui è una leggenda…”

Drusilla rideva. Si slanciava indietro, con la schiena, allungando le gambe. Lasciando che l’altalena girasse su se stessa. Inarcandosi,libera, a pochi passi da terra.

Tu parli di cose che non sai.” – rise – “tu imiti le mie parole e pensi di impressionarmi. Oh, amore mio… l’amore per le Cacciatrici non è purezza, l’amore per le Cacciatrici è perdizione, sbagli nel passato, disgusto… cosa sarà più forte? L’amore o la memoria?”

Si interruppe. E interruppe le sue rotazioni. Apparendo rigida e statica, quasi scolpita nella notte.

Mio povero angelo…” – sospirò, posando la guancia alla mano, con occhi grandi e vuoti – “Tu lo temi. Non hai paura per lui. Ma di lui.”

 

Aveva mosso un passo indietro. Se ne accorse dopo averlo fatto. Un passo, indietro, innanzi alla verità.

Un passo nel puro panico.

Troppo tardi per negare quelle parole.

Ma Drusilla non rise. Lo guardò, con una tristezza velata nello sguardo.

non è puro, non lo sarà mai più.” – sospirò, scotendo il capo e tornando ad appoggiarsi alla mano e alla catena – “abbiamo bevuto la sua innocenza a lunghe sorsate, gli abbiamo donato la nostra notte. E la notte lo chiama, quando meno se lo aspetta. La notte, la notte non cesserà mai di urlargli nella mente.

Dentro di lui c’è la notte… non può fuggire in eterno.”

Ti sbagli.” – ringhiò Angel – “Lui può. La combatterà senza cedere.”

Solo perché pensi di potercela fare non significa che lui farà altrettanto.” – spiegò Dru, increspando appena le labbra sottili – “Tu sei l’eroe. Ma lui? Se io non sono.. lui cosa è?”

Stava giocando.

Angel poteva capirlo dalla rabbia che si sentiva montare. Dal demone che si inerpicava sui baluardi del suo controllo.

Drusilla sapeva quali corde toccare e non faceva nulla per nasconderlo. Non le serviva insinuare il dubbio, s poteva nutrire quelli già radicati.

Spike, scelto da Drusilla. E Drusilla, per sua stessa ammissione, un’anomalia nel sistema, nell’equilibrio dell’universo.

Tu mi dirai la verità anche se non la chiederò, vero?” – momrorò. Allontanandosi a ritroso ancora di un passo, fino ad appoggiarsi all’intelaiatura dello scivolo.

Drusilla lo guardò, bramando quel tono colloquiale con cui si rivolgeva a lei.

In Angel non c’era nessuna ostilità, rivolta verso l’esterno.

La tua tempesta…” – sussurrò, addolcendosi – “Infuria, distrugge, ma mai invade la terra… hai ragione, ti dirò comunque, che tu voglia o no… ti parlerò di lui e del suo sangue, se vuoi. Ma le risposte non ti basteranno mai.

Come il passato.. il passato è come le parole… mai abbastanza…”

Le parole si dimenticano, Dru.. come il passato.” – replicò Angel, incrociando le braccia.

Il vento stava diventando più freddo, spazzava intorno a loro, creando vortici di polvere smorzati dalle prime gocce di pioggia.

Drusilla si era alzata, lisciandosi la gonna, accuratamente, giocando con i riflessi sulle lunghi unghie madreperla.

Con lentezza, si chinò, a raccogliere la bambola.

La strinse tra le mani, riavviandole i capelli e i pizzi. Poi, con lo stesso movimento delicato si accarezzò il viso, tirando indietro i capelli scomposti. E lo guardò, incantata.

Non si dimentica mai, Angel.” – sorrise, lasciando che i capelli si librassero sul vento e avviandosi, lentamente – “Si può fuggire… o tacere… ma non si può dimenticare.”

 

La pioggia ricominciò a cadere. Regolare, fitta.

Ma Angel non si mosse. Immobile, a capo chino, laddove la sconfitta lo aveva colto.

 

 

***

 

 

La pioggia aveva lavato la città senza alcuna misericordia. Fitta, persistente.

Poi, d’un tratto, era cessata.

Di colpo, come se qualcuno avesse chiuso il rubinetto.

Dove fosse Angel, era un mistero. Cordelia, affacciata da una delle finestre dell’albergo, attendeva di vederlo spuntare, aspettava di vedere apparire la sua fisionomia, le spalle strette nella giacca, l’aspetto grondante di chi ha perso il mondo inseguendo un pensiero.

Non avrà avuto il cervello di ripararsi da qualche parte, vero?” – domandò, senza voltarsi.

Probabilmente no.” – Doyle si stiracchiò – “Non è nel suo stile.”

Non so perché debba fare scemenze del genere solo per il fatto che non può ammalarsi.” – brontolò, fissando insistemente l’angolo della via, prima di voltarsi, risoluta – “vado a cercarlo.”

Adesso?”

E quando se no, domani?” – ribattè lei, aggiustandosi la giacca e i capelli, tornati perfetti come appena aggiustati dal parrucchiere.

Sta bene, principessa. Ha solo bisogno di pensare.” - Spiegò, pazientemente il demone, seguendola, mentre cercava le scarpe. Cercando di ignorare le voci concitate di Wes e Faith che, dalla biblioteca, salivano rimbombando nella cupola.

Oh, Doyle, cerca di capirmi.” - Rispose lei, finendo di prepararsi – “Qui tutti hanno qualcuno per cui preoccuparsi. E io ho deciso di preoccuparmi per Angel. Fine della discussione.”

Si, lo capisco, ma…” – doyle si interruppe. Cordelia gli aveva messo in mano la giacca – “Bhe, ma questa che significa?”

Che vieni con me.” – spiegò lei, con naturalezza, imboscando il cappello di modo che non avesse il desiderio di metterlo – “Non vorrai mica che vada da sola…”

 

Cordelia si era preparata a varcare catene montuose e attraversare deserti.

Si era dichiarata disposta a immani sacrifici.

E non apprezzò del tutto il doversi limitare a percorrere cento metri, prima di incontrare la fonte delle sue preoccupazioni.

Angel girò l’angolo, lentamente. Aveva rialzato il bavero della giacca, come se provasse freddo.

I capelli gli si incollavano addosso, come i vestiti. E il suo sguardo, abbassato, nascondeva la pioggia che ancora gli pioveva dentro all’animo.

Guardandolo, si provava solo il desiderio di scuoterlo, fino a mischiargli i neuroni.

O, almeno, questo era il desiderio di Cordelia.

Ma guarda come ti sei ridotto.” – esclamò, andandogli incontro e levandogli dalle spalle la pellicola acquosa che brillava – “Sei fradicio, grondante.. sei.. “

Sei un vero schifo.” – concluse candido Doyle, fermandosi. Con un mezzo sorriso di conforto.

E mi sento uno schifo.” – replicò Angel, lasciando che Cordelia gli strofinasse i capelli con un mano – “Ho visto Dru…”

Cosa?” – Cordelia sbarrò gli occhi. Poi gli assestò un vero e proprio spintone – “Tu avevi un appuntamento con quella matta e ci sei andato da solo?”

Non ho detto questo.” – ribattè lui, sulla difensiva.

Ma è così.” – Doyle aggrottò la fronte, mentre il vampiro gli passava a fianco, cercando di troncare il discorso – “Oh, Angel…”

Oh, Angel, cosa.” – esclamò il vampiro, voltandosi e guardandoli entrambi – “Sapevo che mi avrebbe cercato. Non era un evento così imprevedibile. Ci siamo visti, ha farneticato qualcosa e se ne è andata.”

E se invece fosse stata una trappola?” – Cordelia arrancò, per sincronizzarsi alla sua camminata. Invano – “Se ti avesse aspettato assieme a qualche decina di scagnozzi? Come te la saresti cavata?”

Non è successo.” – fu la risposta.

Ma poteva succedere.” – rispose lei, afferrandolo e obbligandolo a girarsi. Fregandosene beatamente della differenza di stazza tra loro e dello sguardo nero dell’uomo – “E dovresti iniziare a pensare a questa evenienza. Perché Drusilla vuole qualcosa, e non si fermerà fino a quando non l’avrà ottenuta.”

Lo so. E so anche cosa vuole.” – Angel la fissò dritta in viso, stringendo la mascella, con ira repressa – “Se solo si avvicinerà a voi, farà la fine di Darla.”

Non prenderà noi.” – sussurrò Cordelia, con la preoccupazione nella voce – “Se potrà avere te…”

 

Ma Angel non le aveva risposto.

Aveva ripreso a camminare, senza aspettarli, ed era rientrato all’Hyperion.

 

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Capitolo 19
*** 19. Per Strada (crossover Highlander) ***


Per strada

 

I personaggi delle serie "Angel" e "Buffy, the vampire slayer", appartengono a Joss Whedon, la WB, ME e la Fox, l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

Crossover con la serie televisiva Highlander. Anche in questo caso, i personaggi appartengono ai legittimi proprietari e l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

 

E’ tutta colpa di Spike.”

A dire il vero, principessa, è un paio di giorni che non sento dire altro…”

 

Altri tre giorni passati nel più totale silenzio stampa.

Anzi, nel più totale silenzio.

I coinquilini dell’Hyperion, almeno su una cosa, si erano trovati in accordo.

Non si parlavano.

Non che ci fosse attrito, anzi… come aveva sottolineato Cordelia con al sua tipica linearità, ognuno aveva un altro di cui preoccuparsi.

E tutto questo rimuginare uccideva facilmente le conversazioni.

Loro, i maestri della parola,… tacevano.

 

Avessero mai chiesto a tutti loro di sintetizzare in una singola frase il problema, la risposta sarebbe stata immediata.

E’ tutta colpa di Spike.

 

Di Spike.

 

Era quasi il paradosso, come aveva sottolineato, senza misericordia, Lorne.

Siete senza risposte perché Spike non è tornato qui a cercare le sue.

Non vi sembra una forma di dipendenza?

 

Ovviamente dalla bocca di Faith era uscita una risposta non riportabile in questa sede.

E poi era ripiombato, a ragion veduta, il silenzio.

Al pensiero di Faith, non mancava nulla. Efficace e sintetico.

Inutile sciuparlo con aggiunte più educate.

 

Come inutile, del resto, aderire a quella deprimente politica.

Cordelia non aveva impiegato molto a capire che quel sistema non era il più adatto a lei.

Quel che ci voleva, per distrarsi e schiarirsi le idee… era lo shopping.

Shopping, spiaggia e mezza giornata libera per unire questi due programmi.

Un pomeriggio solo per loro.

Possibilmente senza sorprese.

Loro, ovviamente… Perché era sottinteso che Doyle andasse con lei.

D’altro canto, il sottinteso Doyle non aveva accolto quel programma come un’imposizione, visto che i suoi tentativi di portare un po’ di colore alle loro riflessioni erano miseramente falliti.

Confidava come sempre che Cordelia, come ogni sole che si rispetti, portasse a lui, misero demone-satellite, un po’ di luce e calore.

E così, nel bel mezzo di un gennaio tra i più matti che si ricordassero, Doyle e Cordelia si ritagliarono un giorno da passare per strada.

Senza l’ambizione di lasciare a casa i loro problemi.

 

Ma certo che è colpa sua! È colpa di spike, che si fa gli affari suoi e non si da’ pena di dare sue notizie. È superficiale, menefreghista…” – Cordelia si fermò, distratta da una vetrina – “E costoso.”

Costoso?” – Doyle ebbe un attimo di perplessità – “Ah, forse parlavi del vestito.”

uh?” – rispose la ragazza, mordicchiandosi il labbro innanzi al cartellino del prezzo – “Ah, già, Spike. Menefreghista e viscido. Partito con l’inganno…”

Cordelia, ho capito il concetto.”

No, si vede proprio che non ti è chiaro!” – rispose la ragazza, entrando nel negozio e tastando un paio di borsette – “Altrimenti faresti qualcosa…”

Tipo?” - domandò Doyle, spostandosi e lasciandola frugare su un ripiano di sciarpe. “Tipo… che so… parlare con angel… oppure scoprire dove si trova quell’altro…”

Principessa… fai prima a chiedermi di disegnare la nuova linea di Gucci.” – replicò lui, strofinando tra due dita il tessuto di un abito da sera – “Non posso sapere dove sia Spike… e parlare con Angel. A questo direi che pensa già Drusilla.”

I cappelli avevano perso tutti il loro fascino. Cordelia si girò e fissò il demone.

Tu credi che l’abbia vista ancora?”

Non ha bisogno di vederla. Probabilmente non fa che girarsi in testa le parole che ha sentito.” – con aria distratta, le passò una camicetta da provare – “Preferisco lasciarlo stare…”

Questa frase da te non me la sarei mai aspettata.” – commentò lei, restando impalata con la gruccia tra le mani.

Cordy, io e Angel non possiamo parlare di Dru senza litigare. Credimi.” – Doyle girò il pacchetto delle sigarette in tasca, sapendo di non poter fumare nel locale – “angel ha bisogno di capire cosa gli detta l’istinto. Non posso mettermi ad intralciare solo per il desiderio di risparmiargli il calvario.”

Uff.” – Cordelia stava riappendendo una giacca e tornando ad afferrare le borse dei suoi acquisti – “Con te è veramente tutto complicato. Predestinazione, casualità, legami… e adesso anche l’istinto. Al prossimo giro vaglieremo anche il concetto di immortalità.”

 

Bhe… quel che si dice l’istinto femminile.

Doyle sorrise, seguendola fuori dal negozio e dentro quello successivo.

Cordelia aveva ragione. Presto avrebbero vagliato il concetto di immortalità.

Anche se Methos non aveva più chiamato, Doyle era certo che stesse per arrivare. Le sue proprietà in città, gli ampi appartamenti moderni, risultavano affittati o ancora chiusi. Alcuni addirittura erano stati venduti, ma Doyle non dubitava del fatto che l’immortale avesse già disposto per la sua sistemazione.

E nel migliore dei modi.

Methos non amava il lusso. Ma aveva un certo amore per l’eclettismo. A differenza di molti suoi simili, non si circondava di cose antiche e non aveva intrapreso la carriera dell’antiquario.

Apprezzava le mode dei tempi passati, anche se non in stretto contatto con il quotidiano.

I suoi appartamenti si rivelavano sempre variegati, ma proiettati verso un uso e un abuso di neon e acciaio. Vetro, librerie ultraleggere e tecnologia d’avanguardia.

Indubbiamente aveva un innato senso di adattamento.

E, del resto, a ben pensarci, si era evoluto insieme all’umanità.

 

Chissà com’è…

Crescere con il mondo…

 

Mi stai ascoltando, Doyle?”

Assolutamente, Principessa.”

 

Vedere la mente umana evolversi e giungere a confini destinati ad essere ancora superati.

Sapere che nulla è stato raggiunto, ancora. Oppure nutrire sempre speranza…

Viaggiare… e in un mondo che lentamente perde i suoi segreti…

 

Sapere che tutto può mutare…

 

Doyle?”

Certamente quello rosso.” – rispose, automaticamente il demone. Prima di rendersi conto che i due capi di abbigliamento che la ragazza stringeva in mano erano boxer – “A dire il vero non mi sembra il tuo genere…”

Infatti.” – sottolineò lei glaciale – “Tutto questo negozio non è il mio genere.”

Uno spaccio maschile. Non si era nemmeno accorto di esserci entrato.

Aprì le braccia, cercando una scusa.

Poi decise di optare per la migliore.

La verità.

perdonami.” – disse, con un sorriso aperto – “Stavo pensando ad altro.”

Non c’era nulla che la disarmasse in quel modo.

Me ne ero accorta.” – sospirò Cordelia, consegnando alla commessa i boxer azzurri e posando quelli rossi disegno caschmere – “Vuoi dirmi a cosa stavi pensando?”

A tante cose.” – replicò l’uomo, senza rinunciare a quel sorriso da monello che lo faceva sembrare più giovane – “E soprattutto al fatto che, quando arriverà il nuovo Osservatore, avremo tutti una distrazione.”

Di certo non può farci male.” – concordò la ragazza, afferrando l’ennesima busta e mettendola vicino alle altre. Lasciando che Doyle le prendesse tutto dalle mani, come un gentiluomo dei tempi andati.

Per quel che mi riguarda, sarà divertente.” – aggiunse l’uomo.

 

Methos.

Se il prezzo da pagare era semplicemente ricordarsi di chiamarlo Adam… cosa poteva esserci di meglio?

 

Come hai detto che si chiama?”

Methos.”

 

No.

Non è possibile.

L’ho detto sul serio.

 

Strano.” – Cordelia aggrottò le sopracciglia – “Mi ricordavo un altro nome…”

Si erano fermati, in un piccolo chiosco sulla spiaggia. Alcuni tavoli, degli ombrelloni di paglia ormai bruciata dal sole… ma un profumo di frutta da far girare la testa.

Era un posticino famoso per i suoi frappè. E per le sue cameriere, avrebbe aggiunto Doyle.

Non fosse stato accompagnato da Cordelia…

E non fosse stato appena colto in fallo.

 

Aspetta un momento.” – gli occhi le divennero sottili come fessure – “Mi avevi detto Adam… Adam Pierson.”

Se te lo ricordavi.. perché me l’hai chiesto?” – ribattè, ignorando la domanda e cercando di mettersi sulla difensiva.

Francis…”

Alt! Non dire il mio nome per esteso, ho capito l’antifona.” – si era lasciato andare stremato su una sedia e ora la fissava, dal basso, con aria rassegnata – “Il suo nome è Adam Pierson. Ma io lo chiamo Methos. Da sempre.”

E perché?” – domandò Cordelia, sedendosi a sua volta

Perché… ma non c’è un perché! Diciamo che per tutti è Adam… e per me è Methos.” – Perfetto Doyle, fin qui regge. Vediamo come vai avanti – “E non ama particolarmente essere chiamato in questo modo, per cui cercherò di chiamarlo anche io Adam perché si senta a suo agio.”

Ma l’udito di Cordelia era troppo sottile, perché non si accorgesse del raschiare delle sue unghie sugli specchi…

Capisco.” – commentò afferrando una lista e scorrendo l’elenco dei frullati – “Quindi non devo pensare che Pierson sia uno pseudonimo e che il suo vero nome, se venisse fuori, potrebbe causare dei problemi…”

Assolutamente no.” – ribattè sicuro. Abbassando poi la testa e appoggiandosi al tavolo, con aria di chi si confessa – “Assolutamente si.”

Cordelia alzò la testa dal menu e sorrise del suo imbarazzo. Un sorriso lieve, appena aleggiato sulle labbra.

Caspita. Credevo avessi più resistenza agli interrogatori…” – commentò, tornando a scegliere, prima di rivolgersi alla cameriera – “Per me un tropicale, grazie.”

Anche per me. Corretto con del gin.” – aggiunse, immusonito, il demone.

Cordelia, con movimento elegante, si stava sfilando la giacca. I capelli, più scuri del suo colore naturale, rilucevano, facendo risaltare la carnagione e i lineamenti.

La sua espressione era rilassata, tranquilla.

Non prendeva come un vero affronto il periodico mentire del suo uomo. Talvolta lo faceva per obbligo, altre per necessità del momento.

E, talvolta, anche per proteggerla.

Era fatto così, non avrebbe mai potuto cambiarlo. Tutto strano e perfetto con Doyle.

Cordelia si lamentava, cercava di disciplinargli la dieta, aggiustargli i vestiti. Stirava le sue terribili camicie sperando di bruciarle per comprargliene di nuove.

Desiderava una folata di vento per vedere quel buffo cappello finire in mare.

E gli nascondeva anche le sigarette.

Ma il Doyle che amava restava sempre quello che sedeva di fronte a lei con quell’espressione, tra l’esitante e il colpevole. Quello dalle camicie fiorate, l’aspetto poco aitante e il mozzicone tra le labbra. Quello dagli occhi puliti e…

 

Ma no. Non c’è nient’altro da aggiungere.

 

Perchè mi sorridi, adesso?” – domandò lui, ricambiando il gesto.

Non so.” – ribattè lei, tranquilla – “Forse perché mi andava..”

Mi sembra un valido motivo.” – concordò Doyle, resistendo al desiderio di rovesciare il tavolo e pavimentare le assi con i loro vestiti – “E hai il mio permesso di farlo quando vuoi.”

Grazie caro.” – disse, accostando la cannuccia alle labbra e guardandolo armeggiare per trovare il portafoglio.

Attese che la cameriera si fosse allontanata, per tornare seria.

Stavamo dicendo…”

Ti lamentavi del fatto che vengo in spiaggia vestito come tutti i giorni” – rispose lui, speranzoso di dirottare la conversazione anche verso una predica.

Non mi imbrogliare.” – commentò, implacabile, la ragazza – “Torniamo alla nostra conversazione. Ovvero Spike.”

Pericolo scampato. La risposta su Methos le era bastata….

Senza considerare il fatto che questo Osservatore si sta rivelando a dir poco sorprendente. È magari anche un ex galeotto, visto che ci siamo?”

Che hai contro i carcerati?” – sospirò, rassegnandosi all’impossibilità di fuga – “Ti sentisse Faith…”

Hai fatto bene a nominarla. Perché sono preoccupata anche per lei. Ha litigato con Wes…”

Lo so. Li ho sentiti anche io, la sera in cui è tornato. Credo che Wes abbia cercato di disciplinarla. E non abbia usato i termini giusti.”

Non esistono termini per disciplinare Faith. E non posso darle torto. Avere un Osservatore è come avere un capo, certe volte. Almeno, con Giles era così. Aveva le risposte… e, senza di quelle, le faccende sembravano irrisolvibili.”

Faith si abituerà alla nuova situazione il giorno che rinuncerà a prenderla di punta.”

Su questo hai ragione. Ma siamo di nuovo tutti un passo avanti a lei. Si arrabbierà per questo.. non potremmo dirle quello che sappiamo?”

Vedi, Principessa, per come la vedo io, Faith è abbastanza grande per scegliere. Non intendo nasconderle il fatto che conosco Adam. Voglio solo che non abbia troppo tempo per rifletterci e approntare una linea di difesa.

Meno sa, meno si prepara.”

E più si chiude in se stessa.” – Cordelia girò pensosamente il frappè – “Credevo fosse una cosa da evitare.”

Nei limiti del possibile, certo.” – Doyle vuotò il bicchiere con una sorsata e lo riposò sul tavolo – “Ma Adam è un uomo dalle molte risorse. Saprà sorprenderla e ritengo anche capirla, a modo suo. E poi, possiamo stare certi del fatto che ci penserà Angel.” “Se Drusilla gli lascerà del tempo libero.” – si bloccò, posando il bicchiere con gesto secco – “Tutta colpa di Spike.”

Non hai nemmeno un po’ di preoccupazione per lui?” – la punzecchiò, divertito – “Solo soletto, nelle nebbie londinesi…in preda a chissà quale tormento…”

Assolutamente no. I veri tormenti sono quelli di Faith. L’ha illusa ed è scappato in un momento difficile.” – replicò, lapidaria – “e tutto perché ha lo stesso dissidio di Angel. Sono cattivo e non posso amare nessuno bla bla bla…”

Si interruppe, chinando il capo.

Come vorrei fosse così semplice.” – ammise, tormentandosi una ciocca di capelli – “Almeno potrei capirli. Ed essere di qualche aiuto. Ma non riesco a immaginarmi come possa essere…”

Nessuno può.” – rispose Doyle – “Possiamo essere vicini, possiamo aiutarli. Ma rimangono soli innanzi a tutto questo. La redenzione, l’amore… e soprattutto quel demone che urla perennemente.”

Ma Spike è diverso da Angel.” – lo contraddisse la ragazza.

In fondo sono molto simili. Spike appare più concreto, più equilibrato solo perché ha un rapporto, diciamo, più colloquiale con il suo demone. Lo combatte, certo. Ma credo che, inconsciamente, l’abbia sempre fatto. Il demone di Angel è tutta un’altra cosa.” – tacque un istante – “Credo che talvolta Angel si senta affogare. E faccia fatica a restare a galla, quando sarebbe semplice lasciarsi trascinare sul fondo. Non ha mai pace…e, per quanto forte…”

Tu pensi che possa cedere?” – Cordelia era preoccupata, tesa di fronte a quell’evenienza.

Io credo di no.” – la rassicurò in un sorriso – “L’istinto di combattere è più forte di lui. Non può rinunciare al bene, per nessun motivo. Ha provato, tante volte. Ma non può. Senza alcuna spiegazione. Non può e basta.”

Forse un giorno sarà stanco.

Troppo stanco per andare avanti.

Ed è per questo che ci siamo noi.

È per questo che ci sei tu, Principessa.

Tu puoi, dove molti possono fallire.

 

E non mi stancherò mai di ripetertelo.

 

E Spike… allora è lontano perché è stanco di combattere?”

Non lo so.” – ammise – “Penso sia quello che teme Angel. Spike sta evitando il confronto con tutti noi, con Faith in primo luogo.” – si passò una mano tra i capelli corti – “Ma io credo che ci sia qualcos’altro. Qualcosa che Drusilla ha riportato a galla, del loro passato insieme.”

In effetti, c’è una cosa che non capisco.” – aggiunse Cordelia, concordando con quell’ipotesi – “Drusilla è piombata tra i piedi perché voleva Faith. Eppure, secondo me, Spike è convinto che, se resta lontano, Dru non le torcerà un capello.”

 

Era vero.

Paradossale ma vero.

Anche Doyle aveva avuto un pensiero del genere. Ma l’aveva scartato, nella certezza di esagerare con le supposizioni.

Eppure, da quando Spike era partito, solo una volta Drusilla si era fatta avanti. E per Angel, non per Faith.

Non per Faith, che faceva le sue ronde in perfetta solitudine e che poteva essere vulnerabile.

Per Angel. E solo per parlare.

Devo ammettere che è strano.” – commentò, con un cenno di assenso – “Ma penso sia un altro buco nella questione.”

Buco?”

Già buco. Spazio vuoto. Informazione mancante.” – enumerò Doyle – “è una storia che non combacia mai. Ma una cosa è sicura…”

Che è tutta colpa di Spike.” – concluse, trionfante, Cordelia.

 

II

Badava realmente ai tramonti solo da quando conosceva Angel.

Il sole calava lentamente e cambiava la luce. Poi mutava la temperatura, appena.

E infine iniziava la notte.

Quando ancora frequentava il liceo, la fine del giorno significava solo abiti alla moda e ragazzi. Non c’era nient’altro da desiderare, men che meno osservare quella striscia rossa all’orizzonte.

Ma ora tutto era diverso. E non c’era giorno, o tramonto, che non portasse a Cordelia questo stupore. Persone solo nella notte, persone del tutto prive di giorni, giorni come quelli che lei e Doyle potevano passare abbracciati sul pontile.

Ci sono momenti in cui penso a Buffy.” – mormorò, scendendo dalla macchina nel garage dell’Hyperion – “lei amava molto Angel. .. ma non posso che domandarmi se non le mancassero giorni come questi. Io neanche li immaginavo,allora…”

Credi che, a lungo andare, sarebbe diventato tutto troppo pesante da sostenere?” – domandò il demone, aprendo il bagagliaio – “io penso che l’amore sopravvive anche senza certe cose, se è vero.”

può darsi. O può darsi di no.” – ribattè criptica, la ragazza. Aveva nominato Buffy, ma il suo pensiero era corso a Faith. Se mai tra lei e Spike fosse sbocciato qualcosa.. cosa sarebbe potuto essere, nel tempo?

Tutto sommato non era un bel discorso…

Si chinò per prendere un po’ di borse, poi chiuse la macchina con la mano libera.

Doyle, carico di pacchi, con la giacca appallottolata su un braccio, stava cercando di forzare la porta di comunicazione con il piano superiore.

Niente da fare.” – ansimò, dopo l’ennesima spallata – “O chiusa o bloccata. E non credo ci sia nessuno nei paraggi.”

Allora facciamo il giro.” – sospirò Cordelia, avviandosi su dalla rampa – “Non ho la chiave di questa porta.. e tu non hai più ossa da usare…”

Potrei forzare la serratura…”

Doyle, il fatto che tu sappia fare certe cose non significa che io voglia necessariamente saperlo…”

 

la rampa dei garage aveva una scala pedonale, breve e irta di erbacce. Utilizzabile solo per disperazione, visto che, per giunta, sbucava in un vicoletto sul lato dell’albergo.

Risultato inevitabile, dato che il garage era stato una modifica certamente successiva all’albergo, tipicamente anni venti.

Vasto e umido, si stendeva per una buona metratura sotto il pianoterra, invadendo, probabilmente, anche qualche cantina del vicinato.

Non c’era da sorprendersi che Angel riuscisse ad arrivare ovunque passando dallo scantinato.

Già.” Concordò Doyle, passandosi tutti i pacchi su un braccio solo per afferrare Cordelia e aiutarla a salire la scaletta – “Devono aver trivellato in ogni direzione. Da stupirsi che l’albergo non sia sceso di un piano…”

Il discorso sulla fondamenta dell’albergo, del tutto basilare e preoccupante fino a un secondo prima, sfuggì completamente all’attenzione di Cordelia, quando una mazza da baseball colpì Doyle alle spalle, facendolo franare a terra.

O meglio, su di lei.

Cordelia lo afferrò al volo, mentre sbattevano contro la porta metallica del garage, nella rientranza in cemento della scala.

I suoi acquisti e la tranquillità di un pomeriggio sereno finirono sparsi intorno a loro, mentre Doyle, prontamente, infilava una mano nella borsetta di lei e recuperava un paletto.

E una matita per gli occhi.

Tieni.” – urlò passandole l’arma e tenendosi il trucco.

Ma tu sei fuori testa.” – rispose lei, di rimando, guardandolo impugnare l’oggetto quasi fosse una spada e polverizzare uno dei due che li sovrastavano.

Me lo ha insegnato dawn.” – replicò il demone, saltando sopra il muretto e chinando la testa per un pelo, mentre la mazza da baseball fischiava nuovamente in modo sinistro.

Il vampiro ci sapeva fare. Doveva decisamente essere uno del mestiere, con quella maglietta da riserva degli Yankees anni trenta e le spalle larghe come un armadio degno di nota. La mazza compiva perfetti semicerchi che Doyle non intercettava per un soffio.

Coraggioso, con aria determinata e trucchi in pugno, schivava il più possibile, schiena contro schiena con Cordelia, impegnata a difenderli entrambi con il coperchio di una spazzatura.

Uno…due..tre….

Bhe, poteva andarci peggio.” Commentò allegramente la ragazza, colpendo con un pugno in mezzo agli occhi il più mingherlino dei tre. E finendolo, velocissima.

oh, certo! Potevo morire con indosso quel completo che volevi comprarmi e invece sono vestito come al solito.” – ribattè Doyle, sollevato da terra e scagliato contro un cumulo di rifiuti.

Il vampiro, la versione demoniaca di Joe Di Maggio si mosse verso di lui, trionfante. Anche l’altro vampiro aveva perso interesse per Cordelia. Era un tipo dall’aria malaticcia, del tutto privo di denti, a parte due lunghissimi canini gialli come i suoi occhi.

Per la miseria.” – Doyle cercò di puntellarsi, slittando con le mani, movendosi più in fretta possibile, mentre la mazza calava su di lui, a più riprese.

Ringraziando il cielo, se si doveva trovare un difetto in quel vampiro, si poteva parlare di lentezza.

Ogni colpo era paragonabile alla calata del martello di Thor, ma il tempismo lasciava a desiderare.

Con grande riconoscenza della testa di Doyle.

Ma è possibile che uno non possa uscire dal garage senza incontrarvi?” – sbraitò Cordelia, saltando sulla schiena di ‘senzadenti’ e piegandogli il coperchio di lamiera in testa, prima di polverizzarlo.

Senza attendere risposta.

E senza fermarsi, proseguendo la sua corsa fino a caricare il bestione. Con una forza e una precisione tale da mandarlo lungo disteso.

principessa, mai pensato al football?” – ansimò il demone, riuscendo finalmente a rimettersi in piedi.

E mentre il vampiro, quasi inciampando nei suoi piedi, cercava di recuperare la sua preziosissima mazza, corsero fuori dal vicolo.

Non mi sembra si sia stancato di giocare.” – ansimò la ragazza, sentendo i bidoni rovesciarsi alle sue spalle.

quello vuole fare un HomeRun con la mia testa.”- rispose, senza fiato, Doyle, senza lasciarle la mano.

Tirandola verso di se, mentre un altro colpo andava a vuoto.

Questo aveva la divisa dei Dodgers, ma di vent’anni più recente.

Una serata da pieno campionato.” – commentò Doyle, cercando di snebbiarsi. Questa volta la mazza l’aveva colpito in pieno. Le sue costole aveva scricchiolato, risentite, comunicando con quelle dalla parte opposta, impegnate a non frantumarsi contro il muro. Cordelia, d’altro canto, aveva i capelli bagnati, come una che, spostandosi, è stata investita dal getto di una grondaia rotta.

A differenza dei suoi compagni, questo appariva un po’ più veloce. Ma altrettanto arrabbiato.

Cordelia, decisa a ripetere la performance precedente, si era presa un ceffone, senza tanti complimenti. Un colpo che l’aveva seduta in un angolo, la guancia contro il muro.

Quanto bastava ad accecare del tutto Doyle.

Adesso basta.”

Con uno scatto, e mutando in contemporanea, placcò l’armadio che usciva dal vicolo, spedendolo contro la mazza del collega.

Poi afferrò la ragazza per un braccio, e si mise a correre.

Venti metri dalle porte dell’hyperion.

Quindici…

Dieci…

Troppo tardi.

Con una scivolata da casa base, il più agile dei due li fece cadere.

E passò rapidamente a miglior vita.

Ahio.” – urlò Doyle, mentre le schegge della matita gli si infilavano nel palmo – “Ma fa male!”

In effetti anche le costole iniziavano a fargli male, rendendogli più difficoltosi i movimenti.

Doyle, andiamo.” –gridò Cordelia, tirandolo per un braccio, ignorando i fari gialli che le investivano la schiena.

Fari che distrassero Doyle.

Angel in arrivo, pensò, in un attimo, esultante.

Mentre l’ultimo superstite del mondo demoniaco, atterrava Cordelia con una spallata. “No!” – ringhiò, tendendo la mano verso di lei, a terra. Vedendola uscire dalla sua visuale, mentre lo Yankee gli si poneva innanzi, la mazza alzata e il piede sullo stomaco, per tenerlo fermo.

Il dolore secco delle sue ossa gli strappò un urlo di impotenza e la concentrazione per riuscire a mutarsi nuovamente in demone.

 

La mazza calò inesorabilmente su di lui. Colpendolo, in un rimbalzo, e rotolando più lontano.

Mentre il resto finiva in polvere, facendolo tossire.

 

Sopra di lui, in piedi, stava Methos, con il suo braccio ancora alzato.

E l’espressione vagamente seccata.

 

Possibile che non faccia in tempo ad arrivare e mi tocca già fare.. questo?” - Borbottò irritato, scuotendo il giaccone per levare la polvere. E mandandola tutta su doyle. Fissandolo, con aria inquisitrice, con le mani sui fianchi – “Di un po’, Francis, è questo che fai quando le offri una serata romantica?”

Il nostro amore è cominciato così, mi piace rimembrare.” – ribattè il demone, afferrando la mano tesa e mettendosi in piedi.

 

Dietro di lui, seduta per terra, Cordelia si massaggiava una caviglia e si metteva a posto i capelli.

Aveva visto un’ombra, con un lungo giaccone scuro pararsi dietro il vampiro e ucciderlo. E, per un attimo, aveva creduto fosse Angel.

Ora, fissandogli la nuca sottile, i capelli castani e soprattutto movimenti, non aveva dubbio di essersi sbagliata.

L’uomo stava aiutando Doyle ad alzarsi e… e lo stava rimproverando.

Ti prego, non dirmi che questo è il vostro stile di vita! Vampiri sulla porta di casa, armati di buone intenzioni! Perché se questo è il trend, faccio i bagagli e me ne vado. Mi sembra evidente che non mi hai raccontato tutto...”

La sua voce aveva una bella modulazione, calda. E Doyle, che si massaggiava il torace con aria seccata, non sembrava per niente intimorito da quella valanga di lamentele.

Aggrottava la fronte e discuteva.

E non sembrava muoversi per venire ad aiutarla…

Ehi!” – esclamò Cordelia, aggrappandosi alla cancellata e cercando di mettersi in piedi. La testa le girava, dopo l’ultimo sonoro colpo. E la caviglia la faceva soffrire, alla sua ennesima innegabile slogatura.

Al suo richiamo, i due si voltarono. E lo sconosciuto la squadrò un attimo, lasciando passare Doyle.

Era un bell’uomo, constatò la ragazza, quando lo vide in piena luce.

Alto e dal viso allungato. Aveva occhi grigi stranamente cangianti, mani e gambe lunghe e sottili.

Era vestito di scuro, con un lungo impermeabile.

Stai bene?” – domandò Doyle, sfiorandola.

potrei sentirmi meglio.” – ribattè Cordelia, vacillando e restando aggrappata alla ringhiera.

Permetti?” – domandò sbrigativamente l’uomo, chinandosi e toccandole la caviglia. Strappandole un urlo. E prendendosi uno scappellotto.

ohi!” – commentò Methos, alzando la testa di scatto e massaggiandosi la nuca.

Guardandola finalmente da vicino.

La ragazza aveva capelli scuri e lisci, un’aria decisamente combattiva. La contusione che iniziava a trasparirle sul viso non riduceva la regolarità dei lineamenti e la determinazione.

leva subito le mani, chiunque tu sia!” – ringhiò, guardandolo inviperita.

Methos la fissò del tutto stranito, poi sorrise.

Piacere.” – disse, tendendole la mano – “Adam Pierson, il nuovo osservatore.”

Lei.. tu… ” – Cordelia aveva perso la sua ostilità – “cioè… doyle, lui è…”

Si, lui è.” – replicò sbrigativamente il demone, continuando a massaggiarsi le costole – “Ma consiglierei di darsi dopo alle presentazioni. Sarebbe meglio rientrare, prima che arrivino anche i Giants.”

Su questo non ti si può dare torto.” – concordò Methos, alzandosi. E tendendo le braccia a Cordelia – “Garantisco di non avere cattive intenzioni. Mi permetti di aiutarti?”

Era stato garbato. Ma soprattutto accattivante. E Cordelia, mordicchiandosi un labbro e ignorando le indecisioni, annuì, posandogli una mano sulla spalla. L’uomo la sollevò, senza tanti complimenti, percorrendo il vialetto con la sua falcata.

bhe.. grazie.” – mormorò lei, con una punta di imbarazzo.

Ma non c’è di che, signorina.” – replicò allegramente l’uomo, mentre Doyle apriva la porta ed entrava, zoppicando.

Cordelia. Mi chiamo Cordelia.”

Splendido nome. In latina significa Colei che ha cuore, lo sapeva?”

per Cordelia fu una sorpresa. Lo fissò stranita, mentre Methos la adagiava sul divano. Poi si voltò, come una furia, verso il suo demone.

Francis allen Doyle! Altro che sapere il latino! Te l’ha detto lui!”

Doyle, impegnato a correre come meglio poteva con la cassetta del pronto soccorso, si fermò di botto.

Ma Principessa.” – obbiettò – “Ti avevo detto che l’avevo saputo…”

Oh, lascia perdere.” – ribattè lei, rassegnata, con un gesto della mano – “Grazie, signor Methos, è stato molto gentile ad aiutarmi.”

 

Oh, porco Giuda.

Doyle rimase in piedi dove si trovava, con la cassetta in mano. Cordelia, si era distratta, massaggiandosi la contusione sul viso. Ma Methos, il ‘signor Methos’, si stava voltando a fissarlo.

Un’occhiata omicida. Molto simile a quella con cui l’aveva accolto la prima volta che gli aveva distrutto la macchina.

A undici anni.

So tutto.” – commentò, compiaciuta, la ragazza. Adorava cogliere di sorpresa gli uomini – “Ma non si preoccupi, resterà tra di noi…”

Tutto quanto?” – sillabò Methos, continuando a fissare il suo figlioccio.

Tutto… non tutto tutto.” – Doyle prese l’espressione più stranita del suo repertorio, avanzando verso il divano – “sa che sei il mio non-parente, che abbiamo lavorato un po’ al caso di Faith… che ci conosciamo da tempo…”

Qualcos’altro?” – che so, la mia immortalità, i miei cinquemila anni di età, la lista di persona che vuole la mia testa…

Nient’altro.” – assicurò Doyle, mentre l’uomo gli sfilava la cassetta dalle mani e l’apriva. Nemmeno quelle simpatiche storie sui Cavalieri dell’Apocalisse e il tuo Lord Byron – “A parte che hai questo nomignolo che non ti piace e preferisci essere chiamato Adam.”

Cominciamo bene, pensò l’uomo, valutando il contenuto della cassetta. Poi si voltò e fece per toccarle di nuovo la caviglia.

Fermandosi appena in tempo.

Mi picchierà di nuovo se provo a visitarla?” – domandò, con un mezzo sorriso.

Oh, è solo una slogatura.” - Ribattè Cordelia, continuando a massaggiarsi la fronte. I capelli, umidi, stavano tornando ondulati – “E non mi dia del lei, per piacere. Sono Cordelia, semplicemente.”

E io sono semplicemente Adam.” – si presentò nuovamente lui, tendendole la mano – “Mi fa piacere conoscerti, ho sentito parlare di te…”

Ah si? Spero in modo consono, commentò lei, mentre l’uomo le sfiorava la caviglia, massaggiandola appena.

Mi sembra abbia detto solo cose che rispecchiano la realtà dei fatti.” – rispose lui, gettandole un’occhiata sbieca.

Era oltremodo affascinante.

Parlava americano, ma senza alcun accento. E solo ora, osservandolo così da vicino, Cordelia iniziava ad accorgersi di quanto fossero irregolari i suoi lineamenti. Non era bello, se ci si soffermava sui particolari. Era strano, con quel viso ossuto e gli occhi penetranti. L’espressione assorta, il profilo con il naso importante, non richiamavano affatto l’atteggiamento leggermente compassato degli Osservatori.

Anche Wes, ormai ammorbidito dalla convivenza, non aveva perso quell’espressione da studioso che condivideva con Giles.

Questo Adam invece…

Bhe, certamente non era inglese.

E Cordelia iniziava a sospettare che avesse parecchio in comune con il suo bugiardissimo uomo. Probabilmente, competeva con lui e con tutti gli abitanti dell’Hyperion in campo segreti.

Allora?” – Doyle stava in piedi, dietro il divano. E iniziava a dare segni di preoccupazione. C’era la sua Principessa sdraiata, dopo un combattimento accanito. E Methos non diceva nulla!

calmati, Doyle.” – ribattè, bonario, l’immortale – “Non si muore per una caviglia slogata. Basterà un po’ di ghiaccio… a meno che qui da voi non si facciano sortilegi per far passare i lividi.”

L’aveva detto che un certo sarcasmo, assottigliando la bocca in un sorriso irriverente. Ma in fondo alla sua battuta, Cordelia non potè che sentire una nota preoccupata.

Su questo Doyle non aveva mentito: quel tizio, quel Methos o comunque si facesse chiamare, odiava la magia in ogni sua espressione.

Di colpo comprese quanto quell’uomo le stesse simpatico.

E non potè che scoppiare a ridere, scotendo la testa.

No, si usa il ghiaccio anche da noi.” – commentò, sedendosi meglio e afferrando dalla cassetta un tubetto di pomata – “E un po’ di questa, anche…”

Meno male.” – replicò Methos, sollevato. Doyle si stava allontanando, sempre zoppicante. E la ragazza, impegnata a svitare un tappo troppo duro, si voltò a fissarlo. Preoccupata.

 

E fu in quell’occhiata che Methos vide l’amore.

Quella ragazza aveva una luce dentro che splendeva ben oltre la comprensione. Quella ragazza era tutta luce.

Era un palpitio di sentimento, e starle vicino doveva essere inebriante. Methos chinò il capo, nascondendo un sorriso. Doyle era fortunato. Si meritava quell’amore, fino in fondo alla sua ultima cellula.

Ma non aveva mai visto nessuno fissare Doyle in quel modo. Cordelia doveva avere paura per lui. E doveva capirlo molto più di quanto mai nessuno avrebbe mai compreso, per stargli così, a fianco, senza mai un’indecisione.

Senza mai un moto di rabbia.

Lui non era mai stato altrettanto bravo.

Aveva contrastato Sinead, l’aveva esasperata nella misura in cui lei l’aveva fatto imbestialire.

Non aveva mai accettato il suo ruolo di Cantastorie. Tutti i suoi secoli passati non avevano potuto nulla contro lo scontrarsi delle loro testarde opinioni.

E con Doyle, dopotutto, era stata la stessa cosa, molte volte.

 

E’ andato a prendermi il ghiaccio.” – spiegò Cordelia, vedendo il suo sguardo perso in quella direzione. Si era seduta, piegando il ginocchio, per massaggiarsi la parte dolente.

I capelli le erano scivolati intorno al viso. E si sentì colta di sorpresa, quando una mano gentile li scostò.

Che botta.” – commentò l’uomo, fissando critico il livido – “senti nausea, capogiri?” “Nulla. Solo un gran mal di testa.” – Cordelia li fissò, stranita – “perché?”

bhe, potresti avere una commozione cerebrale.” – rispose, con naturalezza, alzandosi e prelevando il ghiaccio dalle mani di Doyle – “Se inizi a sentirti strana vai in pronto soccorso…”

Te ne intendi parecchio di ferite…”

Solo un poco.” – ribattè lui, con una mezza risata.

Non si dichiarava medico solo perché i suoi studi sarebbero risultati datati. Gli mancava la laurea, quel pezzo di carta che avrebbe dato uno status alle sue conoscenze. Methos era cresciuto insieme alla medicina.

Lo chiamavano anche Doc, sai?” – commentò Doyle.

Sei medico?” – domandò la ragazza.

Diciamo una specie.” – sospirò Methos, posandole cautamente il ghiaccio sulla gamba. Si era tolto il giaccone, ed aveva arrotolato le maniche del maglione di lana sottile. Non sembrava avere caldo, a differenza di loro.

Era gentile.

E disarmato. Doyle buttò un’occhiata al giaccone, incurantemente piegato sulla poltrona. Non c’era spada.

Methos si ostinava ad andare in giro senza…

Come fosse passato indenne agli agguati per così tanti secoli…

Doyle tralasciò il pensiero, tornando a fissare la sua Principessa, beatamente al centro delle cure di Methos che ora le stava passando galantemente un cuscino.

E a Cordelia non spiaceva stare così al centro dell’attenzione. Gli sorrise, grata. Poi il suo sguardo, inevitabilmente, tornò a posarsi su Doyle. E Methos lo seguì, voltandosi, a braccia conserte.

Che c’è?” – domandò il demone, sulla difensiva.

 

Gli era bastato meno di un minuto per capirlo.

Si sarebbe volentieri difeso da quelle attenzioni, ma lo sguardo sollevato di Cordelia era troppo per poter essere trascurato.

Sicchè, vittima di quella nuova associazione a delinquere, Doyle si era ritrovato seduto su una sedia, a torace nudo.

Con Methos impegnato a tastargli le costole e contargli i lividi.

Dal tuo lato quanti?” – domandò, finendo di passargli il disinfettante.

Qui sette.” – rispose Cordelia, ancora seduta sul divano – “ma il segno dello scarpone conta per tre, viste le dimensioni.”

sono d’accordo…”

Ah. Ah. Ma quanto siete spiritosi…” – Doyle tirò a fatica un respiro incrociando le braccia sullo schienale della sedia – “Ahio, e fa piano!”

Spiritosi noi? Siamo solo attenti Osservatori della realtà.” – ribattè Methos, sfottendolo blandamente, nel finire di controllargli la spina dorsale.

Alzando gli occhi appena in tempo per vederlo.

 

In piedi, davanti alla porta.

Uno sguardo scuro e pacato.

Una bellezza oscura.

 

Ed eccoti, finalmente.

Sicchè tu saresti l’eroe…

 

Methos si alzò, pulendosi le mani, in modo studiato.

 

Angel ricambiò lo sguardo. L’uomo non era ostile. Era serio, perfettamente chiuso in se stesso. Non trapelava nulla, non una variazione cardiaca o respiratoria.

Nulla.

Sapeva di fissare un vampiro.

Ma la cosa non aveva nessun effetto su di lui.

Né fascino.

Né ripugnanza.

Eppure…

 

Per la prima volta in vita sua, Angel si domandò come fosse il suo, di sguardo.

 

Che succede qui?” – domandò, lentamente. Bel colpo, si complimentò con se stesso. Hai detto la frase del marito geloso.

Abbiamo fatto un brutto incontro.” – spiegò Cordelia, sedendosi sul divano e provando a posare a terra il piede contuso – “E lui ci ha aiutato.”

Angel spostò la sua attenzione su di lei, che continuava a spiegare. E Doyle ne approfittò, per voltarsi appena.

Come Cordelia.

Non l’aveva detto. Ma Methos aveva capito ugualmente. Sapevano qualcosa. Ma troppo poco perché l’occhiata del vampiro nascesse da conoscenza.

Era intuito.

Come la prima volta, si erano riconosciuti per quello che erano.

Loro, entrambi, non avevano l’odore del tempo.

E’ meglio che io mi presenti.” – mormorò, posando il panno e avanzando verso Angel a mano tesa – “Mi chiamo Adam Pierson…”

Il nuovo Osservatore.” – concluse Angel, stringendogliela.

Un tono senza repliche.

Del tutto neutro.

Qualcuno sa di chi sia il fuoristrada di traverso sulla strada?” – domandò Wes, entrando, con il pollice puntato alle spalle.

Era vestito sportivo, con la sua amata balestra nell’altra mano.

Gli bastò arrivare alle spalle di Angel, per bloccarsi.

La macchina è la mia. La sposto subito.” – mormorò Methos. Accennò un sorriso, sperando di non risultare strafottente –“Ciao Wes.”

Gli occhi di Wes erano chiari. E freddi.

E lui era decisamente diverso dal ragazzo incontrato negli anni di studio. Non era una questione di età…

C’era ben altro.

Adam.” – lo salutò.

Si sforzava di non essere ostile. Ed il suo motivo era in piedi, sulla soglia.

Methos non le disse nulla. La fissò, come l’ultima volta. Aspettando quell’occhiata con cui Faith l’aveva messo al suo posto.

Aspettando di vedere se l’avrebbe riconosciuto. E non restando affatto deluso.

 

Doyle si drizzò lentamente, prendendo la camicia che Cordelia gli porgeva. Anche lei si era alzata, venendogli vicino. Il silenzio che si era creato era opprimente.

E nessuno si sforzava per interromperlo.

Forse…”

Quando la voce di Methos si librò tra di loro, anche quelli che non volevano dimostrarsi amichevoli nei suoi confronti, lo fissarono con evidente sollievo.

E Methos esitò un attimo, sotto i loro occhi.

Prima di accennare un sorriso.

Forse, oltre che spostare la macchina, sarà meglio che me ne vada.” – commentò, facendo un passo indietro e afferrando il giaccone.

Senza cercare lo sguardo di Doyle. Ma salutando Cordelia.

Mi raccomando, sorrise, se la testa ti fa male…

Si, lo so.” – Cordelia annuì – “Vado dritta in ospedale.”

Brava.” – si complimentò lui, infilando la giacca e cercando le chiavi – “e spalma quella crema anche sulla sua schiena.”

sarà fatto.” – rispose. Prima di decidersi a fare la cosa giusta – “E’ stato un piacere conoscerti, Adam. Grazie di tutto.”

L’aveva detto tendendogli la mano.

E Methos la fissò, del tutto colto di sprovvista. Prima di stringerla.

E’ stato un piacere.” – mormorò – “Ciao Doyle.”

Doyle alzò una mano, in cenno di saluto, lasciando stare i bottoni della camicia. Prima di cacciarsi le mani in tasca.

Buffo. Quella situazione gli faceva male…

 

Methos si avviò verso la porta, giocherellando con le chiavi.

Wes… Angel…” – salutò, passando.

Angel non si mosse.

Nessuno pronunciava il suo nome con quell’inflessione.

 

Non vuoi fermarti?”

la domanda di Wes lo raggiunse un attimo prima che affiancasse Faith. Nell’attimo in cui incontrò il suo sguardo ed il suo mutismo.

La ragazza alzò la testa, in segno di sfida, fissandolo dritto in viso.

E Methos la studiò una frazione di secondo, prima di lasciar venir fuori il nervoso che provava. Trattenendo a stento il desiderio di dire quattro fatti della vita a quel gruppetto di eroi.

Oh, andiamo Price.” – replicò voltandosi con un sorriso scanzonato – “Siete troppi.. non posso affrontarvi tutti insieme. Ci sentiamo. A presto.”

 

III

Un’uscita in grande stile.

Angel dovette ammetterlo, finendo di cambiarsi.

Quell’uomo gli piaceva già solo per il fatto che lo rifiutassero.

E poi, considerò, sentendosi stranamente fiducioso, l’intuito di Cordelia parlava chiaro.

A lei, Adam piaceva.

E questo sua palese opinione le aveva già procurato una bella occhiata da parte di Faith.

Una Faith abbastanza pacata da decidere di ritirarsi al piano di sopra. Senza alcun commento.

Senza alcun commento in particolare su Doyle.

Era difficile per Angel, arrivare a capire come la Cacciatrice si fosse resa conto di quello che tutti loro già sapevano: Doyle conosceva Adam. E piuttosto bene.

Tutto in lei inneggiava al tradimento, considerò il vampiro, uscendo dalla camera. Non si dovrebbe mai sottovalutare l’intuito di una Cacciatrice…

Qualunque cosa tu stia pensando.” – commentò Cordelia, salendo faticosamente le scale – “Io sono perfettamente d’accordo.”

Dove stai andando?” – domandò, guardandola arrivare sul pianerottolo.

Vado a parlare con la ragazza.” – sospirò, restando in bilico su un piede solo – “Questa volta tocca a me sedare i bollenti spiriti.. anche perché, se vede Doyle…”

Si, ho notato.” – Angel si appoggiò alla balaustra, a fianco di Cordelia – “E mi spiace. Questa è una sciocchezza, rispetto a quello che Doyle ha fatto per tutelarla.”

Lo so. Ma nel rapporto di fiducia, tra loro…” – Cordelia tamburellò con le dita, prima di raddrizzarsi – “Penso che tu sappia come vanno certe cose… non occorre che ci dilunghiamo.”

Già.” – commentò il vampiro – “So come vanno certe cose.”

Rimase un attimo immobile, prima di fermare la ragazza, per un braccio.

Cordelia…”

Dimmi, Angel.”

Vuoi un passaggio fino in mansarda?”

 

Doyle si calcò il cappello in testa. Poi aprì e chiuse il cassetto, nervosamente.

Passando a quello successivo. E a quello ancora dopo.

Eccolo, finalmente.

Il mazzo di carte. Lo tolse dalla scatola e si voltò, spalancando l’armadio e tirando fuori la giacca.

Le carte finirono disordinatamente in tasca, insieme ad accendino e sigarette. Venti dollari spiegazzati, due gettoni e qualche caramella.

I quattro passi fino al letto furono niente in confronto allo sforzo che gli costò sdraiarsi sul tappeto e cercare le scarpe.

La schiena non gli faceva male… Di più.

Si allungò, sbuffando contro qualche fiocco di polvere sfuggito all’occhio rapace di Cordelia, e afferrò i mocassini per le stringhe.

Poi si sedette, armeggiando per infilarsele.

presi tutti gli attrezzi del mestiere?” – domandò Angel, appoggiato allo stipite della porta, a braccia conserte.

Quasi. Manca il Whisky.” – replicò l’irlandese, senza voltarsi, finendo con calma la sua opera – “Ma penso che me lo procurerò strada facendo.”

Hai una meta?”

Assolutamente no.” – si tirò su, con l’aria irritata di chi ha male dappertutto – “Vado a fare due passi e rispolvero qualche vecchia pessima abitudine. Poi, quando avrò voglia di assecondare il malumore di Faith e dimostrarmi conciliante e saggio, tornerò qui.”

Mi sembra un buon piano.” – annuì il vampiro.

Lo è.” – tagliò corto. Prima di fare un respiro, strofinandosi una mano sulla faccia – “Ti prego, esprimiti.”

Stai chiedendo la mia opinione?”

Si, Angel. Chiedo la tua opinione. Ma non so a riguardo di cosa.” – si posò le mani sui fianchi – “dimmi quello che vuoi. Qualcosa da dire o da fare… fai tu. Dimmi cosa può essere più utile del mio andare a far quattro passi.”

Trattandosi di te…” – Angel annuì, senza fissare un punto preciso – “Assolutamente nulla.”

Grazie.” – commentò l’uomo – “La prendo come una manifestazione di fiducia.”

Infatti è così. Io mi fido di te...”

L’aveva detto con quel tono pacato che lo contraddistingueva da tutti loro. Una voce che non aveva bisogno di essere forte, per farsi sentire.

Doyle fece un respiro, prima di rispondere.

Io mi fido di te.” – ripetè – “ma…”

Nessun ma.” – rispose Angel, fissandolo dritto negli occhi - “Ritengo che Faith non abbia del tutto ragione a sentirsi tradita.”

Non mi aspetto che capisca perché l’ho fatto. E non intendo pentirmene.” – Doyle si infilò una sigaretta in bocca – “Mi fa rabbia la casualità.”

La.. casualità?”

Già, la casualità. Ho dato una spinta al destino chiamando Adam e obbligandolo a interessarsi. Ho accelerato il loro incontro perché Faith potesse restare. E in tutto questo mio piano non mi sono ricordato che si erano già visti.”

Angel aggrottò le sopracciglia, interrogativo.

E Doyle proseguì a spiegare il fatto.

io mi sono scientificamente impegnato a omettere particolari perché Faith potesse essere imparziale e non ho pensato a quella sera che mi ha incontrato per strada, con lui.” – aspirò una lunga boccata, prima di continuare – “Era venuto in America e ci siamo visti. Mi ha riaccompagnato qui e l’ha incontrata. Fine della storia.”

Ecco come l’ha scoperto…” – commentò Angel, più per se stesso che per partecipare alla conversazione.

Già. E io mi sento uno stupido. Ho visto un problema dove non c’era. Faith era già decisa ad essergli ostile, prima ancora di vederlo. Ora sa pure che non le ho detto la verità. Aveva ragione Cordelia…”

Cordelia ha spesso ragione.” – costatò Angel, con un mezzo sorriso – “E adesso è impegnata in un match con l’interessata.”

Come dire che per me ci sono ancora speranze.” – Doyle si strofinò la testa, poi un sorriso affiorò spontaneo – “Forse sto esagerando. Sono un po’ teso…”

Lo siamo tutti.” – concordò il vampiro – “Senti…”

doyle lo guardò, fisso.

No, non era possibile… imbarazzo?

Adesso non dirmi che vuoi invitarlo a cena.” – sbottò. Guardando Angel tirar su la testa di scatto e fissarlo.

Ehi! Ma come…”

Lascia perdere come ho capito.” – doyle mosse la mano, spazientito – “Lo faccio da sempre e ancora ti sorprendi. Comunque, se volevi il mio parere, ti dirò lasciar perdere. Lascia che si arrangino.”

 

Doyle!”

 

Quello non era un urlo. era un ruggito.

E Doyle, promotore della linea neutrale, alzò la testa e rispose.

Che cosa c’è!” – sbraitò, puntando un punto immaginario oltre la testa di Angel, verso il lucernaio.

 

Faith saltò l’ultima rampa di scale, senza troppi complimenti, atterrando come un gatto sul divano. Cordelia, dall’alto della mansarda, saltellando su un piede solo, era già arrivata ad affacciarsi alla balaustra. Come wes, quasi speculare, un piano più in basso.

Portamici.” – ordinò, secca, la ragazza.

Come?” Doyle la fissò aggrottando le sopracciglia. E Faith, con un moto di irritazione, avanzò ancora di un passo verso di lui.

Ho detto ‘portamici’. Da quello, da Adam o come cavolo di chiama. Perché immagino che tu sappia dove si trova.”

No, non lo so.” – doyle non amava essere trattato come un tappeto. Gli provocava un rimescolio in quei cromosomi che erano stati caratteristici di sua madre – “Posso impegnarmi, se ne vale la pena… ma qui vedo solo una bambina che trattiene il fiato. E io odio i capricci.”

Non era certo che fosse la mossa giusta.

Ma Faith era una ragazza tosta e molto più ancora.

E, nella gamma infinita di reazioni che avrebbe potuto avere, si limitò ad abbozzare un sorrisetto sarcastico, infilandosi le mani in tasca.

Adesso che abbiamo chiarito le nostre posizioni, e ci siamo dichiarati guerra.” – commentò – “Possiamo andare?”

doyle la squadrò, con un certo qual cipiglio.

Prima di fare un cenno vero la porta.

Prima le signore.”

 

A volte Doyle era costretto ad ammettere che una delle cose più inebrianti di Los Angeles risiedeva nell’odore che emanava.

Forse esistevano pochi posti sulla terra dove il profumo costoso di fondesse irrimediabilmente con il marcio.

Un aroma dolciastro e penetrante capace di impregnare i capelli, certo.. ma soprattutto l’anima.

Doyle alzò il naso verso la cima dei grattacieli e aspirò profondamente.

Inebriante, già…

E, forte di questa percezione, buttò un’occhiata incurante alla ragazza che gli camminava a fianco, rigida come un palo.

Dammi un pugno.” – disse.

Come, scusa?”

Ho detto, dammi un pugno. Ti sentirai meglio e potrò dirti che ti stai comportando in modo irrazionale.”

Ah, grazie tante!”

Faith, non mi va di andarci leggero. E la cosa non dovrebbe sconvolgerti. Sarai anche diventata un cestino di sentimenti mielosi, da qualche tempo, ma io ritengo che tu sia sempre la stessa Faith che ho conosciuto.”

Un cestino di sentimenti mielosi?” – ripetè Faith, fissandolo. E accennando un sorriso – “Sono veramente così noiosa?”

No, non noiosa.. solo trattata con troppi guanti. Hai dato in escandescenza, sei stata vulnerabile.. ma ora andiamo avanti. E torniamo a qualche vecchia abitudine. Compreso il non mentirci.” – Doyle si fermò e la guardò, dritta negli occhi – “per tanto, potrei cominciare io raccontandoti perché non ti ho detto che conoscevo adam.”

Oh, lo so, perché non me lo hai detto.” – sospirò lei, tirandosi indietro i capelli – “Mi sarò rammollita ma non sono scema. Avevi ragione quando hai detto che faccio i capricci. È vero. Mi sono ripetuta un sacco di volte che sarei stata pronta a tutto, pur di restare.

Ma non mi va di tollerarlo.”

Non servirebbe a nulla dirti che non è come pensi?” – domandò, camminandole a fianco, le mani in tasca impegnate a giocare con gli spiccioli.

Probabilmente no.” – sospirò lei – “Del resto è qui. E devo tenermelo. Tanto vale abituarsi all’idea.”

Brava! Stoica al punto giusto.”

Speriamo…” – concluse, dubbiosa, la Cacciatrice.

 

Era molto tempo che non si sentiva così scombussolata.

Incasinata alla massima potenza.

Schifosamente male. un vero disastro.

Spike non era tornato. In compenso era arrivato un altro tizio.

Come dire che questo nuovo anno faceva doppiamente schifo.

Per la prima volta in vita sua, Faith sperimentava un fenomeno che alcuni chiamano ‘farfalle nello stomaco’.

Una definizione paradossale, per definire qualcosa che più che un leggiadro insetto sembrava un macigno.

Bloccato, insidiato sul suo cardias. Se chiudeva gli occhi, poi… peggio ancora. Il macigno si sgretolava e ne uscivano infiniti fotogrammi di un vampiro biondo e un osservatore alto e ironico.

Già lo odio… anzi, li odio entrambi.

Faith sbattè le palpebre e tirò un calcio alla lattina accartocciata che aveva tra i piedi. Poco più in là, Doyle parlava animatamente al telefono, giocherellando con un vetro spaccato della cabina.

Discuteva, cercando di annotarsi un indirizzo su una mano, mentre Faith, svogliatamente, seguiva la lattina ancora rotolante e polverizzava un vampiro ignaro di tutto.

Un povero vampiro seduto su un gradino, con un giornale in mano.

Povera bestia, ragionò Doyle, fissandolo svanire. Ucciso in un momento di ozio…

Che beffa deve essere per un demone come te votato all’onnipotenza… Doyle giocherellò pensosamente con il filo, primo di riagganciare.

Trovato.” – commentò, sventolando la mano macchiata di segni indecifrabili – “Non è lontano e sta disfando le valigie.”

E mi ha detto di stargli lontano o mi ammazza… ma non gli ho creduto…

Methos si era trovato un posticino tranquillo, in una via non troppo larga e piuttosto buia.

La luce che proveniva dalle ampie finestre di quella che era stata probabilmente una palestra, illuminava i marciapiedi larghi e sconnessi, con una luce dorata e soffusa.

Davanti alle finestre correva un terrazzo ampio, in muratura.

Ma dalla strada non era visibile nient’altro. Faith alzò lo sguardo, studiando quel lungo piano luminoso, in mezzo a caseggiati stranamente bui.

Sicuro sia questo il posto?” – domandò, dubbiosa.

Certo.” – doyle annuì – “L’indirizzo è proprio questo. Per giunta, è proprio come dovrebbe essere. Nessun vicino di casa e molto spazio a disposizione.”

megalomane, dunque…”

Certo. E noi non riusciamo a concepirlo, vivendo in sei in un modesto albergo da duecento stanze…”

Cinque, ci abitiamo in cinque, doyle. Non ti sbagliare…”

“”Ehi, frena.” – Doyle l’afferrò per un braccio e la guardò, divertito – “Non sarai anche tu di quella corrente di pensiero ‘Spike se ne è andato e mai più lo rivredremo’…”

Come no!” – ribattè lei, piccata – “Io sono della corrente di pensiero ‘personalmente darò fuoco a ogni sua proprietà al centro del cortile’ . Giusto per non avere esitazioni, ovviamente…”

Ovviamente.” – Doyle scosse la testa e incrociò le braccia – “Non ti ha mollata, Faith…”

E perché avrebbe dovuto mollare solo me? Ci ha mollati tutti! Tra me e Spike non c’è stato nulla, se non qualche bella rissa e un po’ di birra. Nient’altro! Nulla! Nada!”

Così nada che lo smalto saltò via dal lampione colpito dal suo anfibio. Faith si tirò indietro i capelli, rabbiosamente.

Come odiava quel dannato vampiro, quei suoi occhi, quelle sue spalle larghe… oh, come lo odiava!

 

E magari lo chiama pure odio…. Doyle la fissò mentre calciava le cancellate e i lampioni.

Poi alzò lo sguardo.

 

 

IV

E lo vide.

Le braccia conserte sulla balaustra, l’espressione rassegnata…

Con un mezzo sorriso gli fece un cenno di saluto, a cui Methos rispose scotendo appena la testa.

Non c’era speranza. Inchiodato. Inchiodato da un demone e una cacciatrice isterica. Con un enorme desiderio di diventare pigro e non curarsi per niente di tutti questi eventi basilari che a Los Angeles sfociavano in vere e proprie missioni.

L’avevano spedito a tenere a bada un manipolo sgangherato di eroi…. Un vampiro taciturno, una ragazza bruna e luminosa, un demone chiacchierone, una cacciatrice buia e un ex osservatore ostile ma educato.

C’era di che mantenere in bilico la bilancia dell’universo, tante erano le contraddizioni di quelle persone.

Capaci di avanzare e retrocedere, di soffrire e amare, odiare, gioire… il mondo in piccolo, ancora una volta, come i regnanti, come gli eletti.

 

Certo.. una visione un po’ troppo raffinata per quella piccola zotica che stava demolendo la via…

Qui su ho molte cose delicate.” – commentò, rivolto a Doyle, alzando studiatamente la voce – “Salite quando i bollenti spiriti scendono a temperatura ambiente.”

Ovviamente per Faith si trattò di una doccia fredda. Si bloccò, i pugni serrati e l’espressione tesa.

Ricordando incredibilmente Spike, in quel suo memorabile eccesso di rabbia nel cimitero di Sunnydale.

Sono passati meno di sei mesi… eppure sembra un periodo eterno. Doyle la seguì, pensosamente, mentre saliva i tre gradini consunti e entrava dal portone accostato. Un vecchio portone in vetro satinato e metallo, dal pomolo d’ottone lucido e ammaccato. In cima alla seconda rampa di scale, la porta dell’appartamento, per quanto solida e di buona fattura, fatta apposta per difendere, risultò essere accostata.

E dentro, vestito di una semplice felpa grigia con il cappuccio e un paio di jeans, stava l’austero Osservatore.

Che metodicamente sballava oggetti e libri, allineandoli sulle scaffalature ultra leggere di acciaio satinato e vetro.

Va meglio?” – domandò, posando un volume a fianco di uno identico. Faith aveva lasciato spalancata la porta ed era entrata, fermandosi. Doyle, alle sua spalle, si dispiacque di non poterla vedere in viso. Chissà se la sorpresa le era trasparita dai lineamenti oppure era stata smorzata e nascosta.

Methos sembrava propenso a volerla spiazzare, notò.

La stava considerando appena, continuando a estrarre dagli scatoloni la sua roba, spostandosi verso altre stanze e tornando nell’ingresso.

 

Ingresso.. Faith buttò un’occhiata circospetta a quell’ambiente, rallegrandosi di non dover formulare frasi di circostanza, visto che, in tutta sincerità, si sentiva senza parole. L’ambiente, in effetti, doveva essere stato una palestra.. o una scuola di danza. Era enorme, integralmente pavimentato con un vecchio parquet ponte di nave, con pochi mobili e troppi scatoloni.

Qualcuno, un inquilino precedente probabilmente, aveva sfruttato parte dello spazio ricavando una zona notte e, subito sopra, un ballatoio diviso in più ambienti.

Un amante delle strutture moderne, sottili e indeformabili, quali le scale metalliche e le ringhiere tubolari. Pareti in cartongesso, ambienti affacciati su un enorme spazio illuminato a giorno.

E, in fondo a quella confusione, oltre le cataste di bagagli, una cucina munita di bancone, moderna e lucida.

E tutto questo, agli occhi di Faith, strideva. Non poteva essere la casa di un osservatore.

Non c’era una poltrona di velluto in stile, non c’erano librerie, boccali con fondi di caffè, appunti e lampade dalla luce giallognola.

Quel posto.. era un’esplosione di luce bianca da nuovo millennio! Niente vecchia Inghilterra, nemmeno la più piccola stampa paesaggistica alle pareti! Niente! Un bel niente!

Scatoloni pieni di libri e oggetti strani, certo! Ma il padrone di casa aveva indosso una felpa sdrucita e camminava a piedi nudi senza nessun problema! Non possedeva una vestaglia né tantomeno una giacca di lana, di questo Faith iniziava ad essere sconvolgemente certa!

Non c’era nulla di vecchio in lui da sfottere… nulla che Faith avesse già incontrato in Giles o Wes.

Era la casa dei suoi sogni quella!

E questo la disorientava.

Di lì adibirai lo spazio per allenarmi?” – domandò, con sfida, puntando il dito verso la sala sconfinata.

Assolutamente no.” – replicò lui, finendo, con uno scrollone, di estrarre una coppa in cristallo – “Mi piacciono gli ambiente luminosi e sgombri. Non metteremo mai né una pertica né un materasso per la tua voglia di calmare i nervi.”

Si era voltato, e stava studiatamente disponendo la coppa in mezzo al piano in cristallo del tavolo. Fece alcuni passi indietro, per valutare l’effetto, seguitando a parlare.

Puoi continuare ad allenarti a casa, Faith, come preferisci. Scommetto che avete uno scantinato con tanto di sacco della box. Ma qui non ci sarà nessun round di lotta. Almeno per il momento.”

sei un pacifista, quindi.” – ribattè lei, con tono di disprezzo. Doyle sembrava stranamente attratto da alcuni libri e se li stava godendo, seduto su una cassa da imballaggio.

Ormai sì.” – replicò l’uomo, impugnando un piede di porco e schiodando una nuova cassa – “preferivi un tizio che si facesse gonfiare di lividi?”

No, sarebbe stata troppa grazia.” – sputò lei, velenosamente.

 

Nulla sembrava irritare quel tizio. Nulla.

Adesso la ammazza. Doyle alzò gli occhi dal libro e sbirciò l’immortale. Ostentava un’espressione tranquilla e menefreghista… ma quella ragazza gli stava risvegliando qualche istinto omicida.

Eppure, l’istinto lo stava guidando sulla strada giusta. Sapeva prendere Faith nel modo migliore. Facendola imbestialire.

A lungo andare, Faith gli avrebbe voluto bene già solo per questo motivo. In lei, il desiderio di provocare era troppo forte e troppo ignorato dai suoi coinquilini.

Siamo così stanchi di battaglie, pensò, da non volerci più portare la guerra in casa. Nemmeno per gioco.

Girò una pagina, senza fissare le parole, senza perdere di vista la schiena sottile della ragazza. A quanto pare qualcuno ne risente…

Senza Spike non ha nemmeno uno sfidante…

 

Fino a ora… almeno…

Visto che sei in vena di sfogare le tue energie.” – commentò Methos, avvicinandosi – “Puoi spostare gli scatoloni.”

certo.” – replicò lei, sempre a braccia conserte, per niente intimorita dal fatto di dover alzare la testa di parecchio per guardarlo – “poi mi metterai in castigo a rincollare i cocci che contengono?”

Che conterranno, vorrai dire…” – ribattè lui, con un mezzo sorriso. tendendole a sorpresa la mano – “Piacere di conoscerti, Faith. Io sono Adam.”

il mio Osservatore?” – scimmiottò lei, guardando la mano e il viso del suo interlocutore.

così dicono.” – replicò lui, continuando a mantenere la mano tesa verso di lei.

Vedendo la sua espressione mutare, da ostile a diffidente. Prima che la mano, forte e piccola, si insinuasse nella sua.

E’ già qualcosa.” – constatò, sorridendole e voltandosi nuovamente verso le scatole. “fatte le presentazioni, possiamo non vederci per sei mesi?” – domandò lei, ritrovando in parte la sua belligeranza. Quel tizio la spiazzava, con la sua incuranza e il suo sorriso sbieco.

Per me si può anche fare.” – replicò methos, senza voltarsi e porgendole un libro. Libro che Faith istintivamente afferrò – “Ma non sai cosa ti perdi….”

Ma che sano senso dell’io…” – commentò doyle, senza alzare gli occhi.

Oh, Francis, ciao!” – Methos si sporse verso di lui, affacciandosi oltre una pila di scatoloni – “Visto che non stai facendo nulla, portami quella sacca su cui appoggi i piedi.”

Questa?”

Quella. Un arazzo del quinto secolo che voglio appendere sopra, nel mio studio…”

Finalmente un vecchiume…”

Uno ogni tanto, Faith.. troppi tutti insieme è ostentazione. Uno solo… uno solo non smetterà mai di sorprendermi.” – spiegò, serafico, l’uomo - tu cosa sai del concetto di unicità, Faith?”

Unicità?” – la bocca di Faith si inarcò in un sorriso beffardo. Afferrò uno scatolone e lo seguì su dalle scale. Senza nemmeno rendersi realmente conto del fatto che lo stava aiutando – “Ne so qualcosa…”

il piano di sopra si confermava valido come quello inferiore. Era un ballatoio in metallo traforato, quasi una terrazza interna su cui si affacciava una stanza quadrata piuttosto grande. Anche in questa erano presenti alcuni mobili moderni e una scrivania degna di essere immortalata su ArchitecturalDesign. Methos era già in piedi su una sedia, intento ad appendere una consunta scena di caccia.

quello è il tuo concetto di unicità?” – domandò Faith, puntando il dito contro i fili sbiaditi e i punti danneggiati.

credi ne possa esistere un altro identico? Questo ha attraversato i tempi da solo.. mai più esisterà qualcosa che gli assomigli minimamente, credimi.” – ribattè, finendo di distenderlo, in punta di dita – “L’unicità non è mai bellezza scontata, Faith. È solo potenza. È un messaggio dal nostro passato…”

Ne parli come se potessi immaginare cosa ha provato chi l’ha fatto.” – borbottò Faith, cercando di sminuirlo.

Methos sorrise, finendo di scacciare alcuni granelli di polvere.

 

Infatti è così, mia piccola. Teodora aveva delle mani splendide e amava tessere… e io adoravo restare ore a guardarla…

Lei era unica, per me… ed ora di lei, al mondo, non resta che questo arazzo.. e il ricordo che posseggo…

Ed entrambe, sono cose destinate a sfilacciarsi e usurarsi…

 

Si può anche fantasticare su certe cose.” – replicò, tenendo per sé il ritratto della sua splendida moglie bizantina – “Ma non ti distrarre. Parlavamo di unicità. Tu sei unica, come ti senti?”

Era una domanda spiazzante. Faith lo fissò, mentre saltava giù dalla sedia e tornava ascendere le scale.

Poneva domande sconvolgenti e non attendeva le risposte!

Ma era un essere immondo!

Faith strinse i denti e gli corse dietro. I suoi anfibi fecero risuonare la scala molto più dei piedi nudi di methos.

Come mi sento?” – ringhiò – “Come un pacco postale!”

E’ più azzeccato dire che sei un jolly nel mazzo… oppure un asso pigliatutto.” – replicò lui, estraendo una vecchia panoplia e voltandosi ad appenderla ad una coppia tasselli.

Perfetti per sorreggerla.

Doyle si drizzò, aggrottando le sopracciglia. Quella roba era già lì da un pezzo. Era imballata per evitare l’usura, non per resistere alla traversata di un oceano.

Da quanto tempo era titolare di quell’appartamento?

Era una domanda che sembrava sottintenderne altre. Ma era indubbiamente meno interessante della conversazione di quei due.

Tutti ti vogliono, Faith. E sono convinti che tu non sia consapevole del tuo potere. Ma si sbagliano, vero?” – aggiunse, lisciando il legno che ancora conservava un leggero aroma di cera.

E’ possibile.” – replicò lei, ricorrendo inconsciamente al cipiglio ombroso di Angel – “Tu ritieni si sbaglino?”

Si, in effetti lo penso.”

Dallo scatolone ai suoi piedi, in mezzo ai vari oggetti, si trovava una piccola scatola in noce. Allungata, sottile, come un portapenne. Methos si chinò a recuperarla.

Le sua dita scivolarono sulla superficie riaccendendo la luminosità del legno.

Vieni con me.” – disse, facendole un cenno – “Anche tu, Francis, per piacere.”

Methos fece strada ad entrambi fino al bancone della cucina. E quando furono entrambi vicini, posò la scatoletta sul ripiano lucido, poco lontano dal lavandino cromato.

E la aprì.

Al suo interno c’erano una coppia di siringhe, diverse per particolari che né Faith né doyle riuscirono a identificare.

Queste, Faith, sono la garanzia che il Consiglio ritiene di avere.” – commentò – “la prima è una soluzione, per una pratica che si definisce Cruciamentum. La seconda è un potente sedativo molto simile al primo ma in grado di stenderti, nel caso io dovessi decidere di portarti in Inghilterra contro la tua volontà.”

Le nocche di Faith divennero bianche, nello stringere spasmodicamente il bordo del ripiano. Gli occhi di Doyle erano enormi. E del tutto sbalorditi, nell’incontrare quelli di Methos.

Non credevi mica che mi mandassero qui in veste di soprammobile.” – commentò, velenoso, guardandolo dritto in faccia – “Hanno preso le loro precauzioni, come vedi. Se non per un picolo particolare…”

Methos aveva afferrato una delle siringhe e l’aveva alzata.

 

Faith, istintivamente, fece un passo indietro, sulla difensiva.

Prima di doversi ricredere.

E sentire, inconsciamente e irrazionalmente, un piccolo sollievo nascerle dal cuore.

 

Senza mezzi termini, methos aveva svuotato la siringa nel lavandino. Il getto trasparente era uscito fulmineo, nella rapidità con cui lo stantuffo era stato premuto. Piccoli schizzi avevano macchiato l’acciaio lucido, presto seguiti da altri di un secondo liquido.

Entrambe le siringhe erano vuote, adesso. E Methos, aperto il rubinetto, le stava nuovamente riempiendo.

Ma con acqua.

Adesso sapete entrambi che sono inoffensive.” – commentò – “Se mai un giorno ci ritroveremo nei guai e costretti a usarle, Faith, mi appello alle tue capacità di recitazione. Voglio che tu spieghi questo fatto anche a Wes.”

Non puoi dirglielo tu?” – domandò la ragazza, cercando di barricarsi dietro un fiacco tono di sfida.

Di me non si fida, ma di te si. Crederà a quello che gli dirai. Siamo pratici, Faith. Questo gesto è plateale e del tutto privo di reali garanzie, per te. Interpretalo come preferisci. Ma non nasconderlo a Wes.”

Stava tornando ai suoi scatoloni, con flemma.

Senza aspettarsi un intervento da doyle, stranamente taciturno.

E dolorante, si ricordò l’immortale, aprendo un’altra valigia e porgendo al demone un flacone.

Solo un paio, Francis.” – mormorò – “Sono per la tua schiena…in frigo c’è dell’acqua.”

Methos aveva visto giusto. Doyle non voleva intromettersi in quella schermaglia. Fissava ancora le siringhe asciugate e nuovamente riposte nel loro pregiato astuccio.

Faith lo squadrò, come se gli fossero spuntate le antenne.

Il suo tono, per un attimo, era stato diverso. Più gentile, comprensivo.

Aveva offerto a doyle il piccolo astuccio a metà di una conversazione importane, quasi la sua mente contenesse mille ragionamenti in corsa.. ma tutti perfettamente sotto controllo.

Come poteva fare una cosa del genere? Faith lo fissò, cercando di carpirgli il segreto. Perché lei non riusciva a focalizzare un singolo particolare per tempo? Perché quell’uomo continuava a fuggirle un passo oltre?

Ho parecchie istruzioni da quella gente.” – commentò l’Osservatore, richiamando la sua attenzione – “e ne parleremo con calma. Come ti ho detto, non sei obbligata a venire qui. Ma, se lo farai, saremo credibili. Io non posso escludere il fatto di essere sorvegliati, per cui dobbiamo adattarci a mantenere almeno le apparenze.

A quanto pare sei più preziosa della Cacciatrice in carica.”

Buf…” – Faith si voltò a fissarlo – “Cosa ti hanno detto di lei?”

Di non impicciarmi. Ritengono di non avere problemi su quel fronte. E, se ti può consolare, so per esperienza che finiscono nei guai ogni volta che si convincono di essere in una botte di ferro.” – Methos immerse le mani in mezzo agli imballaggi – “Comunque il loro precetto è valido. Non mischiamo gli affari delle due Cacciatrici. Io non intendo farlo. E tu?”

Non ci penso nemmeno.” – ribattè, sarcastica, sedendosi su una delle casse e guardandolo dritto in faccia, per la prima volta – “Di un po’, Osservatore, da che parte stai?”

Come scusa?” – domandò lui, divertito.

Ho chiesto da che parte stai. La scenetta delle siringhe, il messaggio per Wes, le frecciatine qua e là…” – Faith aveva degli occhi scuri bellissimi, magnetici – “sono americana, non stupida. E non mi faccio mettere i piedi in testa da un altro inglese.”

Non sono inglese.” – replicò l’uomo, sorridendole del tutto insopportabile – “E quanto alla parte… patteggio solo per me stesso.”

Si era interrotto. E gli occhi gli si erano dilatati. Faith lo fissò, attratta dalla sua espressione. Era come... in ascolto di qualcosa.

Methos sentì una scarica percorrergli la schiena e la classica sensazione attraversarlo. Reminiscenza.

Un immortale si stava avvicinando.

Studiatamente, da dove si trovava, fece alcuni passi verso un divano appena visibile sotto parecchi bagagli.

Si chinò, insinuando la mano tra i cuscini e stringendo l’elsa di una spada.

L’attenzione di Faith si spostò da quei gesti che non capiva a Doyle.

Il demone si era stava avvicinando, con atteggiamento guardingo. Tra lui e Methos, sopra la spalliera del divano, era intercorsa una lunga occhiata esplicativa.

 

E fu in quel mentre che, lungo il corridoio, oltre la porta aperta, risuonarono passi. Passi sopra tacchi tintinnanti.

Le spalle di Methos si rilassarono e un sorriso tornò a mutargli i lineamenti. Sulla soglia, appoggiata sensualmente alla porta spalancata, c’era una splendida creatura.

Elegante oltre ogni immaginazione.

E così bella che sia Faith che Doyle si ritrovarono, ancora una volta a brancolare in un mare di emozioni contrastanti. E, nel caso di doyle, anche in una sostenuta tempesta ormonale.

Bentornato, straniero.” – mormorò la donna, fasciata in un tubino rosso fuoco, sollevando due flutes e una bottiglia.

Methos le si avvicinò, ridendo. E la baciò, senza mezzi termini.

Prima di voltarsi, le labbra colorate dal rossetto di lei.

Riprenderemo l’interessante conversazione in un altro momento.” – dichiarò, congedandoli con un’occhiata – “Come vedete, adesso sono occupato.”

 

Era un arrivederci bello e buono.

Come un automa, del tutto annichilita, Faith saltò giù dallo scatolone e si avviò verso la porta, attraversando una nube di costosissimo e inebriante profumo in cui Methos si stava pascendo con aria deliziata.

Anche Doyle si era avviato alla porta. Più pronto di Faith, ma non di molto, aveva riacquistato il suo classico sorriso complice e la prontezza per scambiare un’occhiata con il padrone di casa. Trovandolo,in effetti, decisamente distratto dalle indiscutibili grazie del suo comitato di benvenuto.

Il quale, constatò il demone, ha delle gambe talmente lunghe e belle…

 

La porta si richiuse alle sue spalle con rumore sospetto.

E Doyle si fermò un attimo, reprimendo una risata.

Faith era già in fondo alle scale, con i segni dell’impazienza dipinti sul volto.

Era irritata.

Ma sotto quelle prime emozioni facili da identificare, già si agitava ben altro.

Methos aveva colpito nel segno. In tutto e per tutto. E la bella donna che aveva fatto il suo inaspettato ingresso, aveva completato una memorabile performance di teatralità e gioco d’azzardo.

 

L’aveva confusa, spiazzata e offesa.

Aveva fatto tutto ciò che Faith non si aspettava.

Ed è solo l’inizio, bimba, pensò Doyle, guardandola scendere i gradini e avviarsi speditamente verso casa.

Camminandole tranquillo alle spalle, godendosi le prime luci del nuovo giorno.

 

Quell’uomo non smetterà mai sorprenderti…perché vedi… lui è come la vita.

Nel bene e nel male, fa sempre battere il cuore.

E, consolato dal pensiero dei tempi imprevedibili che erano finalmente giunti, doyle si accese una sigaretta celebrativa. E salutò il primo raggio di sole con una risata.

 

Trecento metri più indietro, in mezzo a scatoloni e vecchi ricordi, due bicchieri tintinnarono, complici.

 

Ti dirò, Benedetta…” – sospirò lui, sfilandole pigramente un’ autoreggente – “Tutto sommato, questo posto inizia a piacermi...

 

mi sento quasi a casa.” 

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Capitolo 20
*** Atto I - Eternità ***


ETERNITA’

 

I personaggi delle serie "Angel" e "Buffy, the vampire slayer", appartengono a Joss Whedon, la WB, ME e la Fox, l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

Crossover con la serie televisiva Highlander. Anche in questo caso, i personaggi appartengono ai legittimi proprietari e l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

Ovviamente non accampo diritti nemmeno sull’attore scelto per impersonare il personaggio inedito.

Si è trattato di una scelta legata a molti fattori di stampo soggettivo. Senza lucro, calunnia o altro.

 

E Edward non appartiene a nessuno… tranne che alla sottoscritta (e micia si accontenterà della dedica…;)

 

***

 

So che il disclaimer di solito non serve per i ringraziamenti, ma qui ne va uno, rigorosamente. Io ringrazio una Lupacchiotta che, giorno dopo giorno, ha investito questo ultimo anno nel tentativo di tirarmi fuori dalla testa (con minacce e moine) un Immortale molto propenso a farsi gli affari suoi.

Per tanto, a questa ragazza unica, dalla lingua affilata come una Toledo, dedico una battuta a scelta del nostro Methos.

Scegli tu quale, amica mia.. e portatela sempre dietro.

Un abbraccio, MJ

 

 

A Micia.

Perché Edward è cresciuto con la nostra amicizia.

Perché ci volevano due sorelle per crearlo.

E perché c’è quel mare della vita, o quel tetto che scotta, su cui amo vagare con lei.

Un abbraccio, come sempre, MJ

 

***

 

Nota dell’autrice: ritenevo sarebbe passato molto più tempo, prima che io mi decidessi a scrivere questo capitolo della saga. Ma, si sa, alle idee non si può dare una scansione. Quando ti vengono, ti vengono. Questa è un’idea nata così tanto tempo fa da farmi pensare che sarebbe andata perduta, insieme a molte altre.

Ma mi sbagliavo. È cresciuta, poco a poco, insieme a molte altre cose. Forse non sarà più importante di tante altre parole che ho buttato su un foglio. Ma è, ancora una volta, una storia fatta di perché e risposte che nella vita non sempre si hanno.

Per tanto, indipendentemente dalla pubblicazione, ho cominciato a scrivere questa fanfic adesso.. a metà dell’arrivo di Methos, prima di aver deciso cosa fare di molti episodi.

Molte le avventure in sospeso.

 

Ma questa, più di altre, mi preme di narrare oggi.

 

*** La comprensione di questa fanfic è strettamente connessa al capitolo ‘Tempo, ricordi e Brindisi’.


Per chi non fosse molto ferrato sulla questione immortali, alcune semplici regole. Ci sono persone che nascono destinate a divenire immortali. Ma questo accade solo se si va incontro a una morte violenta. Essi sono, in tutto e per tutto simili ai vivi e sono coinvolti in un gioco che prevede l’uccisione di altri immortali mediante il taglio della testa.

Come dice la memorabile frase, ‘Alla fine ne resterà soltanto uno.’

Nel momento in cui un immortale ne uccide un altro, ha inizio la Reminiscenza, ovvero un fenomeno inspiegabile in cui parte delle conoscenze delle ucciso viene assorbita dal vincitore. Viene, inoltre, definita Reminiscenza la percezione della vicinanza di un altro immortale.

 

In un futuro imprecisato….

 

Primavera.

E un che di magico nelle sue mattine fatte di un azzurro morbido, appena visibile.

Qualunque fosse il clima, qualunque la latitudine, Methos portava con sé il sospetto che la primavera fosse unica. Per i colori e gli odori, ma soprattutto per il senso di placido benessere che dava.

Una sensazione pacifica che molti associavano alla spossatezza e al malumore. Ma che restava comunque una innata sensazione di risveglio.

Methos non poteva negare la sua indiscussa passione per le prime luci del giorno. Subito dopo l’alba, quando la luce, senza tanti eclatanti effetti speciali, si limitava a diffondersi, con calma, sul mondo.

Alzarsi presto, nel buio, gli aveva sempre provocato un fastidioso senso di nausea. L’alba era uno spettacolo a cui lui, ormai avvezzo ad un giorno sull’altro, rinunciava volentieri. Nei suoi primi secoli l’aveva colpito questo suo scarso entusiasmo. Si era sorpreso, in uno strano invecchiare, ormai distaccato da quello stato di grazia che l’alba rappresenta per l’uomo.

E aveva abbandonato, dapprima a malincuore e poi con sempre maggior serenità, la luce che si innalza, tagliando netta all’orizzonte.

Un colpo di spada recide la testa del buio, mormorò a se stesso, finendo di preparare il caffè.

Il sole stava sorgendo. Lo sapeva perché la luce saliva piano, alle sue spalle, scaldandogli la schiena.

Ma non provava il desiderio di voltarsi.

 

Finì con calma le sue incombenze.

Più tardi sarebbe arrivata Faith, ma ora il momento della colazione, del romanzo che stava finendo di leggere e delle sue camicie da stirare.

Gli piaceva vivere da solo. E gli piaceva anche ripeterselo, quando lavava i vetri o piegava le lenzuola.

La sua relazione con Corinne era finita. Una parentesi breve, piacevole e stuzzicante, come la cioccolata al peperoncino che avevano gustato insieme.

Dolce, ma piena di fuoco.

Corinne era ripartita per la Francia, con una punta di rancore nei suoi confronti per quell’arrivederci che non aveva avuto voglia di ammettere di essere un addio.

E Methos, di nuovo solo e con un cattivo umore neanche dei peggiori, era tornato alla sua Cacciatrice.

Ottenendo un’occhiata che diceva molto di lei e del suo disappunto per le vacanze finite così in fretta.

Faith e Methos si allenavano insieme. E Methos, con lei, riscopriva e assaporava, già da tempo, il gusto della battaglia come arte.

Niente sangue. Solo un’arte pulita, di muscoli tesi e movimenti tersi.

Faith era una gran Cacciatrice. Non si poteva che concordare con Westley Whydam Price. Il quale aveva le doti per divenire un immortale ma, purtroppo, non la natura.

Methos cercò la zuccheriera, senza dare troppo peso a quella realtà. La vita non ha importanza nella sua durata, ma nella sua sostanza. La vita di wes era piena e ricca. E sarebbe stata piena, ricca e completa, fino alla fine.

Di questo non si poteva dubitare.

Un buon amico…

Valeva la pena di ammetterlo, in effetti.

Wes era un buon amico.

E Faith, la Faith che magnanimamente divideva con Methos, era una perla a lungo nascosta. E che non sarebbe mai appartenuta a nessuno.

No. Inesatto.

Faith apparteneva ad uno solo.

E ormai non si prendevano più neanche la briga di nasconderlo. Più che amici. E più che amanti.

Quei due fondevano l’impossibile.

Ed era un bel paradosso che lui, dalle sue tenebre, fosse la luce tra loro.

“Un gran bell’elemento.” – ammise Methos, gettando due abbondanti cucchiaiate nella tazza.

Lo stereo suonava Bad Day dei Fuel, perfettamente in linea con la sua vita.

Corinne e un caffè.

E la vita, da prendere storta, per quello che è.

Per quanto eterna possa sembrare.

 

Stavamo dicendo?

Ah si, Spike.

Mi piace. Mi è sempre piaciuto. Dalla prima volta che l’ho visto. Il tempo ci cambia, ma non è detto che ci peggiori.

Un vampiro con molti segreti. Segreti che forse aveva già da vivo…

Methos mischiò pensosamente il suo caffè, in piedi, davanti al bancone. Un giro, un altro giro. Un gesto meccanico con un che di ipnotico, fatto dei riflessi lattei del caffè alla luce del neon.

Il caffè di fine secolo. Più nulla dell’aroma inebriante e dell’energia dei primi del novecento. Ne sarebbe bastato uno, allora, per ballare e ballare ancora, fino a notte fonda. Inebriante, come un buon liquore.

Potevi continuare a zuccherarlo, ma il sapore ti avrebbe ugualmente perforato il palato e scaldato l’esofago, come un Bas Armagnac.

Ora… bhe, americani a parte, il resto del mondo manteneva una parvenza.. ma a Los Angeles il caffè era lungo, pallido e dedito a farti gemere ‘ancora ancora’, più che a farti ansimare per il piacere intenso.

Amore e caffè.

Quella mattina andavano decisamente di pari passo…

 

Methos si mosse, andando verso il suo divano sfondato.

Gli piaceva il nuovo assetto di casa, con tutti i mobili su metà della superficie… e il resto adibito a palestra.

Il picchiatoio, come lo definiva Faith.

Si erano rifiutati entrambi di oscurare le finestre, anche se sarebbe stato parecchio sensato, per una questione di sicurezza.

Faith aveva recriminato a riguardo.

“Per la sicurezza ci sono i materassi a terra.” – aveva commentato la cacciatrice, indicando l’attrezzatura – “ e i guantoni. Ma non starò al buio anche quando combatto per piacere personale.”

Wes l’aveva guardata con aria sbalordita. Mai, in tanto tempo, aveva pensato che Faith potesse odiare il combattere di notte.

La sola idea lo aveva sconvolto.

E l’aveva fatto precipitare a casa, in biblioteca.

 

Riassumendo, sarebbe venuta solo Faith.

Methos si concentrò sul loro incontro per un minuto, prima di bere un altro sorso di caffè. E prima di sprofondare di nuovo nella lettura del suo libro.

 

Piedi nudi sul bracciolo, sole caldo in ascesa..

Perfetto.

Semplicemente perfetto.

 

Con l’unico problema di non aver ancora imparato che, chi ha a che fare con la congrega dell’Hyperion, non può avere un pensiero del genere senza tirarsi addosso dei guai.

 

Methos chiuse il libro, perplesso. Bussavano alla porta… strano, si ricordava che Faith sarebbe arrivata nel pomeriggio…

Poi capì.

“Francis.” – esclamo alzandosi e andando ad aprire – “Ma non hai proprio mai niente da fare?”

Un paio di passi gli bastarono per sentire il classico disturbo. La sensazione profonda gli tese tutti i sensi.

Immortale.

Non Doyle. Ma un immortale.

Continuò a camminare verso la porta, fingendo noncuranza. E nascondendo la spada. Non sapeva perché lo stesse facendo. Così come lo percepiva lui, lo percepiva anche l’estraneo.

Ma Methos non rinunciò alla sua finzione, fino ad afferrare la maniglia e aprire.

“Sei sempre il solito.. scommetto che Cordelia ti ha detto di andare dal barbiere.. oppure che passavi qui per caso.. o che un allibratore per caso ti insegue…”

Quando aprì la porta, si ritrovò di fronte una chioma bionda e degli occhi azzurri incredibili.

“Niente di tutto questo.” – commentò allegramente l’uomo. Aveva un sorriso aperto e una leggerissima ironia nello sguardo.

E Methos, appoggiando la tempia alla porta e fissandolo. Dopo più di un secolo, ancora si stupiva per quell’espressione limpida e quel modo di rendere ogni parola.

E del piacere che provava ogni volta che lo vedeva.

 

Inghilterra 1855

 

Per tanto, amico mio, mentre si libra su di me ancora una volta il freddo fiato dell’esistenza..”

Methos ripiegò la lettera, vagamente annoiato. Per quanto presuntamene morto e realmente osannato in tutti i cenacoli dell’Inghilterra, Byron rimaneva comunque un insoddisfatto. Amava i paesi in cui si trovava nella misura in cui poteva immaginarli decadenti, scarni e ormai soggiogati ad abitudini noiose.

Methos si alzò, camminando fino alla panoplia dei coltelli. Saggiandone uno con un polpastrello, con fare pensieroso.

Non si voltò nemmeno sentendo i due colpetti educati alla porta.

Signore…” – il maggiordomo si era inchinato comunque. un lieve accenno, nel caso il dottore lo potesse vedere riflesso nella grande specchiera – “Il signor Coventry chiede di essere ricevuto.”

Oh, certo, in un giorno di pioggia, solo lui poteva decidere di uscire di casa.

Fallo passare.” - Mormorò, finendo di saggiare il filo della spada.

Non mi dirai che hai rovinato anche quella lama di Toledo…” – gli disse una voce, dal timbro morbido, alle sue spalle.

Methos si voltò sorpreso. E lo fissò mentre si avvicinava a testava di persona l’arma.

Un collo è veramente così duro da tagliare?” – domandò, con un mezzo sorriso. Aveva occhi apparentemente verdi, sotto le brume londinesi. Ma Methos, che lo conosceva bene, sapeva che alla luce del sole sarebbero stato occhi azzurri e limpidi.

Mi fai quasi pentire di avertelo detto.” – commentò, tornando a sedersi alla scrivania, mentre Edward si accomodava su una delle poltrone innanzi al camino.

Lo studio da medico di Adam, Doc per gli amici e Methos ormai più per nessuno, era caldo e confortevole. Più simile a una biblioteca, con quadri alle pareti e armi, appese in mostra.

oh, andiamo, non sai più stare agli scherzi?” il ragazzo accavallò aristocraticamente le gambe, guardandolo beffardamente di traverso – “A noi mortali piace fare umorismo…”

Se tu questo lo chiami umorismo…” – commentò Methos, appoggiandosi alla scrivania – “allora, a che devo il piacere della tua visita?”

Mi annoiavo.” – replicò con sincerità l’altro, guardandosi intorno – “A casa non c’era nessuno e mio fratello è rintanato non so dove.. per cui..”

Per cui non ti restavo che io?”- concluse il medico, divertito.

Tu hai tutto il tempo del mondo.” – ribattè il giovane, – “Dividilo con i meno fortunati, suvvia…”

Methos gli sorrise, tollerante.

Gli piaceva qual ragazzo. Una mente unica, brillante come poche che aveva avuto il piacere di conoscere. Un futuro immortale, poteva chiaramente percepirlo.

Un ragazzo che aveva buone probabilità di non morire di morte violenta, l’unica che potesse attivare questa sua natura. E quindi di vivere una vita vera.. e non ai limiti del tempo.

Potresti essere un immortale, amico mio… ma io prego che questo non ti accada mai…

 

Un attimo, prima di far mente locale.

E aggrottare la fronte.

Il ragazzo lo guardò ancora, allargando appena le braccia con aria interrogativa.

Indossava un completo di pelle e, a terra, tra i piedi, teneva una sacca da viaggio e un casco da moto.

“Mi fai entrare?” – domandò, senza rinunciare al sorriso e all’espressione divertita.

“Sai, stavo pensando che sono felice di vederti.” – commentò Methos, ignorando la domanda. – “Anche se so per certo che questa volta mi porterai guai… Edward.”

 

***

 

Fuori era ancora primavera. La città era ora illuminata da un bel color paglierino che la faceva sembrare caldo e viva come non mai.

Methos stava già inaugurando il pieno giorno con il suo quarto caffè. E l’atmosfera non era solo calda… ma incandescente.

“Tu mi stai dicendo una cosa che non posso accettare!” – urlò Edward.

Quel che restava di lui dell’epoca in cui era nato e cresciuto gli impediva di lanciare i soprammobili, nel miglior stile dei tempi moderni. Ma la sua rabbia travalicava i decenni, pura e semplice.

E si trasmetteva, attraverso i suoi occhi e la sua voce, tutto intorno.

In questo era tale e quale a Spike.

Con l’unica differenza che il vampiro aveva preso la pessima abitudine di spaccare oggetti e pigliare a calci i mobili.

Methos si versò un altro caffè, guardando con aria afflitta il suo libro, ancora abbandonato aperto sul divano. Quel finale che si prospettava tanto avvincente avrebbe dovuto attendere.. era iniziata la stagione del dramma...

Il giovane inglese stava camminando nervosamente avanti e indietro, tirandosi i riccioli biondi.

Giovane inglese.

Oh, certo, paragonato a se stesso… Methos guardò l’immortale, domandandosi se preferisse parole o silenzio. Edward non era un tipo tendente all’ira. Se ora si comportava in quel modo, lo stava facendo per dolore.

William… il suo William…

La gioia di saperlo vivo era sfumata nella spiegazione tecnica che era seguita a questa ammissione.

Methos gli aveva detto tutto, senza preamboli. Aveva riversato implacabilmente su di lui tutto ciò che c’era da sapere sulla vampirizzazione in ogni sua forma. E aveva ucciso il ribrezzo e la felicità incontrollata con la paura della realtà dei fatti.

Suo fratello William, il poeta, il timido indifeso, era stato ammazzato in un vicolo. E aveva vissuto per secoli, del tutto privo di coscienza morale, uccidendo e depredando, fino a un inspiegabile ritorno dell’anima.

Un demone.

 

Eppure, Methos conosceva abbastanza Edward da sapere che non aveva un problema etico di ritrovarsi un demone in famiglia. La sua rabbia nasceva dalle limitazioni che William stava subendo.

Il sangue… e la notte.

“Non posso accettarlo.” - ripetè Edward, con tono spento.

Facendo sobbalzare Methos che, tanto assorto nei suoi pensieri, non l’aveva visto avvicinarsi al bancone.

Con il viso tra le mani, prima di appoggiare il mento sulle braccia, con aria avvilita.

Methos lo fissò, aspettando. Edward aveva un naso sottile e diritto e capelli biondo scuro. I suoli lineamenti erano decisamente più nitidi di quelli di Spike che, in certe angolazioni, apparivano solo un enorme ammasso di ossa desiderose di bucar la pelle.

C’era un’indiscutibile somiglianza, tra loro. E Methos, che già da quasi dieci mesi aveva il fu William Coventry tra i piedi, non poteva che ritrovarsi, ancora una volta, a paragonare i due ragazzi.

Edward era decisamente più aristocratico, in ogni suo movimento. Nemmeno gli atteggiamenti bruschi della gioventù del duemila con cui si trovava in sintonia avevano inquinato i movimenti puliti dell’uomo che era stato, abituato alla vita nella campagna inglese fatta di raffinati pic-nic e cacce alla volpe.

Edward proveniva dalla miglior società inglese. Appartenere a una famiglia borghese non l’aveva privato della compagnia dei migliori aristocratici e della possibilità di frequentare i migliori ambienti. Come suo fratello, era stato educato alla vita in società, senza la tensione disperata che i poeti della generazione precedente la sua, capitanati da Byron, avevano reso arte. E distruzione.

Edward, come del resto anche William, era cresciuto credendo fermamente in cose che la maggior parte dei suoi coetanei aveva amabilmente ignorato, preferendo perdersi in una vita leggera e spensierata, piena di obblighi apparenti e frivole regole.

Cosa sarebbero potuti essere entrambi, fossero vissuti… spezzati entrambi troppo giovani, come capita talvolta a chi brucia troppa in fretta dall’interno.

 

Methos lo guardò, con un sospiro. Non sapeva cosa dirgli, sinceramente.

L’aveva accolto e aveva spento quel sorriso, senza alcuna sensibilità.

Perdonami. Avrei voluto dirtelo in altro modo.

Ma non ne sono capace.

Edward aveva raddrizzato le spalle. E ora era seduto in silenzio, le mani strette una nell’altra, si fissava le nocche, bianche per l’eccessivo stringere.

“Edward…” – esordì.

“Lui non lo sa, vero?” – lo interruppe, quasi tremando. Fissandolo dritto in viso – “Non gli hai detto nulla, spero…”

“Nulla.” – Edward si stava trattenendo solo perché sapeva di non poter essere arrabbiato con lui. Nemmeno ora, accecato in questo modo, perdeva quel senso di giustizia che l’aveva sempre contraddistinto.

E che Spike emulava, un giorno sull’altro, senza più neanche rendersene conto.

“Non farne un caso, Edward.” – commentò, seguendo quei ragionamenti – “Il passato è passato. Vi siete persi da troppo tempo. Lascia le cose come stanno.”

“ma sentitelo.” – Edward era riuscito a sbarrare gli occhi e a spalancare le braccia quasi nello stesso istante in cui era saltato in piedi – “E mi dici allora perché cazzo me lo hai detto?”

Mmm… si poteva iniziare a considerare che avesse perso un po’ del suo smalto…

“Perché sei arrivato qui con l’intenzione di fermarti. E gradivo comunicartelo io prima che te lo trovassi di fronte.” – replicò Methos, perdendo le staffe come suo solito, sbattendo il resto del suo caffè freddo nel lavandino. E iniziando energicamente a lavare i piatti – “Prendila per una gentilezza, così da evitarti l’infarto che non puoi avere… stupido inglese.”

Edward lo fissò, stringendo i denti. Sbattendo in fuori la mascella volitiva che si ritrovava. I suoi occhi divennero color dell’acciaio, indipendentemente dall’azzurro di cui erano. Strinse i pugni e divenne così simile al suo metropolitano fratello da fargli interrompere il lavoro.

Lo fissò, pensosamente, continuando a strofinare l’interno di un bicchiere.

 

“E’ cambiato, Edward.” – commentò, quasi dolcemente – “per molti aspetti non è più lui.”

“Nessuno di noi lo è più.” – commentò seccamente il ragazzo, girandogli le spalle. Certe volte Methos lo irritava. Era come non si rendesse conto che i cambiamenti non sono solo visibili.

Ecco. Non aveva fatto in tempo a pensarlo che già si era pentito.

Methos sapeva veramente cosa significa cambiare e veder cambiare. Se lo diceva…

“Non mi ricorda più, vero?” – mormorò, senza voltarsi.

Mi ha perso così tanto tempo fa… era quello che volevo, volevo avesse una vita felice, senza turbamenti…

Non ho mai rimpianto altro, tanto quanto lui. Non gli ho detto nulla, perché potesse riprendersi e andare avanti da solo, senza un fratello maggiore così in gamba da aver anche scoperto come non invecchiare.

Methos finì in silenzio di asciugare le posate. Quella schiena, rigida per la tensione, era peggio di ogni domanda. Sapeva molto delle rinunce di Edward, anche se tra loro non vi erano mai state confessioni e ammissioni. Tra loro persisteva ancora, per molti tratti, l’amicizia decorosa e corretta dei tempi andati, quella che, per etichetta, impediva talvolta il sentimento. Anche sotto il loro discutere d’avanguardia, il loro litigare senza mezzi termini, continuava a vivere quel sostrato che li portava a nascondere il dolore e a sminuire le scelte veramente difficili.

E William, così chiaro nella sua importanza, era sempre solo stato un respiro in un mare di altre parole.

 

Inghilterra, 1857

 

Forse è la cosa migliore.” – commentò Methos, osservandolo. Gli dava la schiena, contemplando pensoso il marciapiede di fronte e la gente che camminava tranquilla.

Lo so. Infatti non farò nulla.” – replicò, piatto, senza muoversi assolutamente.

Methos cominciava a stancarsi delle spalle di Edward. Ormai aveva più dialogo con loro che con i suoi occhi. Si rizzò a sedere, ponderando l’idea di girargli attorno. Poi lasciò perdere.

Edward si era voltato, molto lentamente. Come accadeva talvolta agli immortali appena ‘nati’, il suo corpo aveva perso alcune imperfezioni. Il suo aspetto era sano, molto più di quello che era stato negli ultimi mesi. Riacquistava vigore rapidamente e forse il suo prolungato silenzio nasceva anche dalla consapevolezza del cambiamento.

Lentamente lo vide respirare, osservò il suo petto alzarsi aritmicamente, espandendo la cassa toracica. Edward assaporava l’aria e Methos, ogni volta che vedeva in lui quel gesto umano così a lungo negato, provava un’emozione forse molto vicina al sollievo.

Non dirò nulla a William.” – commentò, con voce tranquilla, intrecciando le mani dietro la schiena e percorrendo la stanza, lentamente – “I miei sono anziani, non reggerebbero il colpo. E mio fratello… capirebbe, credimi. È in grado di accettare molto più di quanto non sembri… ma io non voglio. Ha già troppe illusione che si spezzeranno…”

Eppure hai deciso di non dirlo, pensò Methos, mentre tra loro cadeva nuovamente un silenzio denso di ragionamenti. Credi veramente che possa comprendere o lo dici per convincerti?

Methos non conosceva realmente William Coventry. Come molti, tendeva a ritenerlo l’ombra del primogenito, l’astro pallido vicino a quel giovane sole. Alcuni, addirittura ritenevano fosse un semplice raggio, che le doti nascessero dal saperlo fratello di Edward e da nient’altro.

No, Methos non arrivava a questa opinione così dura. Ma riteneva il ragazzo troppo fragile. E gli occhi di Edward, semplicemente accecati da un affetto enorme.

 

Centocinquant’anni dopo, Spike gli avrebbe rotto due costole e fatto fare due rampe di scale con la testa.

Per Methos la forza non era un questione di violenza. E, più ancora dei colpi figli di rabbia, aveva apprezzato gli occhi color calcedonio e le risposte affilate che avevano reso il loro incontro unico e memorabile.

Spike, dotato di una bocca irriverente e di una vena dura d’acciaio in ogni sua certezza, avrebbe definitivamente catturato la sua attenzione, E, cancellando la sua opinione ormai datata, si sarebbe rivelato un fulmine, più che un raggio di luce, in barba a tutte le chiacchiere ottocentesche.

 

“Non lo so.” – ammise, tornando al presente – “Di certo con me non parla. Ma, se ti basta la mia opinione, si ricorda. E anche molto bene.”

Ancora adesso sente il bisogno di un fratello. Ed è stato abbastanza fortunato da trovarne uno che vale quanto te.

“C’è Angel, adesso?” – domandò l’uomo, girando appena la testa.

Angel… non sapeva nulla di lui. Se non che era il carnefice.

L’assassino di William. Lui e una vampira bruna di cui Methos non aveva una gran opinione. Un assassino raffinato e ora redento da un’anima ingombrante. E da un bagaglio di profezie che avrebbero fatto impallidire anche il più scafato degli eroi.

Un assassino ammantato dall’armatura luccicante di un paladino.

“Oh si, Angel è molto importante.” – commentò Methos. Edward era geloso… sotto la scorza delle sue motivazioni batteva lo stesso cuore impulsivo di sempre – “E’ una personalità forte e Spike ama gli scontri.. e poi credo sia uno dei suoi legami più duraturi.. se ci capisco qualcosa di rapporti tra vampiri, ovviamente.”

Edward aveva smesso di ascoltarlo.

Spike ama gli scontri.

Quella frase da sola era un vero paradosso. Dal soprannome all’azione. William si faceva chiamare Spike. E amava discutere.

Chiuse gli occhi un istante, riassaporando le vertigini della sua giovinezza.

Che strano.. quante cose emergono dal passato, insieme ad un fantasma….

 

Inghilterra, 1851

 

“William, conterò fino a tre, poi dovrai dare spiegazioni per un materasso bagnato.”

William aprì un occhio, stropicciandosi la faccia. C’era Edward, vicino al letto. Incorniciato dalla luce del mattino, con le braccia sopra la testa.. e una brocca tra le mani.

Un po’ d’acqua gocciolava giù, sui riccioli biondi.

E William fissava quei riflessi. Edward lo guardò, mentre si sedeva sul letto, dimenticando le minacce. Fissando la rifrazione infinitesimale nell’acqua. E null’altro. Non c’era nulla da fare.. quando prendeva quello sguardo.. ogni partita era persa.

Lentamente abbassò la brocca, posandola sul tavolino ovale. Spostando di libri, per non bagnarli.

Fogli spiegazzati, cartellette di pelle consunta piene di appunti… un calamaio e qualche macchia di inchiostro anche sulla tovaglietta ricamata.

“Uh, queste sono peggio..” – commentò, indicandole.

“Dici che non andranno via?” – domandò, sporgendosi e mettendo le lunghe gambe a penzoloni dal letto. Era alto per i suoi quattordici anni, già gli arrivava quasi alla spalla.

“Ah, non lo so.” – Edward scosse i capelli, con un mezzo sorriso – “Ma non ti preoccupare. Con te bisogna abituarsi ad avere inchiostro dappertutto.”

Era stato allora che William gli aveva sorriso. Alzando la testa verso di lui, con quell’espressione adorante che illuminava il mondo.

 

Ricordare William poteva essere il più profondo dei paradisi o il più ampio degli inferni.

Ma, in quel momento, era solo un attimo di oblio.

Si riscosse, quando sentì una mano sulla spalla.

“Spike si ricorda di te.” – ripetè Methos, scotendolo appena – “E puoi andare da lui in qualsiasi momento. E’ qui, adesso. In questa epoca, in questa città… devi solo decidere.”

 

No…

La verità, Methos.. è che ho paura…

Il passato è così poco potente, rispetto al presente.

È soltanto più buio e insidioso…

… e intenso…

e mio fratello si chiamava William, non Spike.

 

“No.” - Edward scosse la testa, spostandosi, lasciandosi andare sul divano – “Non lo farò. Lasciamo le cose come stanno.”

 

***

 

Tra il lasciare le cose come stanno e il mettersi il cuore in pace passava, come si suol dire, un mare.

E un mare in tempesta, si sarebbe potuto specificare, osservando Edward esercitarsi nell’ampio spazio a disposizione.

Methos, senza troppi rimorsi, aveva congedato Faith.

Una telefonata suonata pressappoco in questo modo.

“Perché, hai di meglio da fare?” – l’aveva provocato la cacciatrice.

“Di meglio no. Non mi va di averti tra i piedi.”

E Faith, ovviamente aveva apprezzato quella risposta.

Methos era per lei uno spirito amabile con cui essere perennemente in disaccordo. In una famiglia in cui la comprensione per lei sembrava infinita, il suo istinto la conduceva talvolta verso vecchie adrenaliniche abitudini.

Picchiare, provocare e sedurre.

E sentirsi in aperta battaglia con le idee degli altri.

“Ma bravo, Osservatore. Se lo sapesse il consiglio…”

“E tu di’a wes di fare la spia. Gli farà guadagnare punti.” – aveva ribattuto.

Prendendosi il telefono sul naso.

Senza troppo stupirsi della risata di Faith che aveva accompagnato la caduta della linea. Con Faith fuori dalle scatole, la sua giornata sarebbe stata a disposizione di Edward.

Finché il sole batteva, implacabile, sulle loro teste, non avrebbero corso il rischio di incontri ‘imbarazzanti’. A meno di due isolati da loro c’era l’Hyperion. Ma Edward aveva comunque sbattuto la sua sacca in un angolo, senza aspettare un invito ufficiale. Era sua intenzione fermarsi, almeno un paio di giorni.

 

Era ombroso e di scarsa compagnia, almeno per il momento. Aveva domande che non avrebbe riportato a casa senza risposta.

E forse, nel profondo del cuore, non gli andava nemmeno di restare solo.

In centocinquant’anni di vita, Edward aveva condotto un’esistenza libera, senza abbandonarsi mai agli eccessi e all’onnipotenza. Aveva vissuto come voleva, come riteneva che fosse giusto.

I primi anni, lontano dall’Inghilterra, con Methos, era serviti per realizzare gli impellenti sogni che si portava dentro, l’indispensabile bagaglio di ognuno di noi.

Aveva respirato l’Asia e Methos aveva scoperto in lui un appassionato storico e un attento esploratore. L’aveva educato, perfezionando il suo talento nell’uso dell’arma bianca, lasciandolo libero di sperimentare le sottili e letali katane giapponesi e tecniche di combattimento più adatte alla sua corporatura.

Edward era veloce, molto più agile di quanto non fosse Methos, ed aveva presto rinunciato ad una spada che gli impegnasse entrambe le mani. Spade dall’impugnatura cesellata, armi europee quanto orientali avevano finito con il divenire parte del loro bagaglio.

A differenza dei suoi simili, non aveva una lama prediletta, bensì un culto per l’arma nelle sue svariate forme. E amava girare armato, indipendentemente dal perenne gentilissimo rifiuto che opponeva alle richieste di duello poste da coloro che desideravano, senza alcun segreto, aggiungere la sua splendida testa alla lista dei trofei.

Uno tra loro, addirittura, si era beato all’idea di poterla rimpicciolire e portare sempre con sé, per onorare quell’aspetto fiero e nobile. E i suoi occhi avevano continuato a manifestare quella brama nella testa ormai staccata dal corpo.

Lui e Methos si erano separati nei primi anni del 1860. La loro convivenza si era protratta ben oltre il periodo necessario per garantire la sopravvivenza di un novellino. Per puro piacere, Methos aveva continuato a viaggiare con lui, senza troppo rimpiangere le brume londinesi. E senza mai stupirsi di quei silenzi che talvolta cadevano tra loro.

Le ferite di Edward erano fresche e ci sarebbe voluto ben più di una manciata di desideri realizzati per iniziare a rimarginarsi. Il tempo passava e il desiderio di sapere cosa fosse successo a casa, cresceva, innegabile.

Eppure, per quanto il richiamo talvolta divenisse insostenibile, Edward aveva voltato le spalle al passato. E puntato verso un futuro in cui il raggiungere un obbiettivo implicava averne già uno nuovo.

Nel corso dei decenni successivi si erano visti ben poco.

Methos era difficile da rintracciare e Edward aveva sfruttato la sua abilità di adattamento per entrare perfettamente in sintonia con le epoche che attraversava. E questo gli aveva permesso di godere di una certa tranquillità. Dapprima si erano limitati a incontro voluti dal caso. Poi, nel ventesimo secolo, attraverso le rivoluzioni sociali e le nuove tecnologie, avevano iniziato a programmare i loro incontri.

Da un anno all’altro, in posti del mondo dove si sarebbero attesi solo per poche ore, prima di riprendere la loro strada.

Essere forti con una arma in mano significava sopravvivenza, ma non certezza. Ed entrambi, diversi per età e carattere, erano comunque uniti dalla consapevolezza che, un giorno, uno di loro avrebbe atteso l’altro invano.

 

A metà degli anni novanta, Edward l’aveva raggiunto a Parigi.

Si era presentato, inatteso, per comunicargli che il Nuovo Mondo lo attendeva.

Desiderava stabilità. Aveva viaggiato molto. Ed ora voleva fermarsi e vivere.

Semplicemente.

E poi era ripartito, perdendosi nuovamente nel vasto mondo.

Disinteressandosi di Methos, fino al giorno in cui un’amica in comune non gli aveva detto dove avrebbe potuto trovarlo.

E Los Angeles non era poi così lontana…o, perlomeno, era nello stesso continente…

 

Edward fece un altro giro in cerchio, tornando a mettersi in posizione. Indossava un paio di pantaloni morbidi, grigi e si allenava a piedi nudi. Il sudore gli dorava la pelle e faceva risaltare maggiormente una lunga cicatrice sul braccio che nemmeno l’immortalità avrebbe potuto cancellare.

I capelli umidi erano buttati indietro, in riccioli scomposti. Il lieve accenno di barba che Methos non aveva prontamente notato al primo esame, conferiva allo sguardo una maggior profondità.

Laghi infiniti, concentrati in una nuova serie di parate e affondi.

“Vuoi un avversario?” – domandò Methos, abbassando il libro.

 

Alla fine era tornato alle sue letture, lasciandolo riflettere in pace. Ed anche se leggeva più volte la stessa riga e non provava più interesse a sapere chi fosse l’assassino, si sentiva calmo.

E pronto ad un nuovo round.

“No, grazie.” – Edward stava compiendo un’ampia rotazione, fendendo l’aria con la spada. Un movimento liquido e controllato.

“Sei decisamente migliorato.” – si complimentò.

Facendolo inaspettatamente sorridere.

“Ma meno male. Con un secolo di allenamenti giornalieri!” – replicò, ironico – “Non ci fosse miglioramento potrei anche deprimermi…”

“In effetti…” – soppesò Methos, chiudendo il libro e lanciandogli l’asciugamano – “allora, che ne dici se violiamo il nostro accordo e parliamo un po’ di questa storia?”

Edward si strofinò la faccia, lasciando scivolare la spada su uno dei materassi

Il nostro accordo…

Me ne ero dimenticato.

 

Egitto, 1857

 

Risparmiami i commenti.”

Non intendevo dire nulla.” – replicò Methos, restando in piedi, le mani nelle tasche dei pantaloni.

Edward, in tenuta coloniale, con la carabina tra le mani e i piedi sul tavolo, lo fissò.

In tal caso.” - rispose, senza smettere di essere vagamente ostile – “Ti ringrazio.”

Methos fece due passi verso di lui, togliendogli il fucile dalle mani.

Vedi, Edward…” – spiegò, aprendolo e poi impugnandolo per controllargli le diottre – “Io ritengo che tra le persone intercorrano sempre dei taciti accordi. Il nostro implica che io attenda che sia tua a parlarmi degli affari tuoi. E non il contrario.”

Edward non era abbastanza stupido da ritenere che Methos si credesse una prima donna. Per quanto quella frase fosse stata scarna e leggermente pedante, aveva ugualmente compreso.

E apprezzato.

 

“Cosa vuoi sapere?” - domandò, sedendosi a terra, a gambe incrociate, con l’asciugamano sulle spalle.

“Se mai, cosa vuoi sapere tu…” – rispose Methos, allungando le gambe sul divano.

“Io assolutamente nulla. Ho già fatto la mia scelta… no?”

“Certo. Ma ciò non toglie che tu abbia ancora qualche domanda senza risposta.” – spiegò, fissandolo. A quanto pare, i Coventry avevano la provocazione e l’ironia anche come armi di difesa, direttamente incise nei cromosomi.

E lui che si stupiva ancora di questo fatto…

“Sei sicuro che non ti abbia riconosciuto?” – domandò Edward, cambiando improvvisamente idea.

“Ne sono sicuro.” – sospirò, alzandosi. E anche fosse che si ricorda, non gli importa.

Non sono io quello che sono morto, nel suo cuore… potevi essere in una stanza piena di gente. Ma eri l’unico che William vedeva.

“Ma come, te ne vai alla prima domanda?” – sbraitò Edward, torcendosi per vedere dove stava andando.

“Oh santo cielo, Eddy!” – replicò Methos, sbattendo lo sportello del frigobar. E aprendo un lattina – “Birra! Ne vuoi una?”

Edward si morse le labbra. E scosse la testa, in segno di diniego.

“Stavamo dicendo..” – riprese Methos, ignorando il suo nervosismo – “Non mi ha riconosciuto. E io ho impiegato parecchio a riconoscere lui. Ti assomiglia ancora parecchio.. ma quei capelli…”

“Perché, che hanno i suoi capelli?”

“E’ biondo…”

“E’ sempre stato biondo…”

“No, Edward. Intendo dire che è biondo platino. Ossigenato.”

Il ragazzo aveva sbarrato gli occhi. Si era dimenticato l’agitazione e le mani, che poco prima si erano strette una sull’altra, erano abbandonate sulle ginocchia.

“Stai scherzando!” – boccheggiò.

“Oh no, per niente! Lo si vede benissimo al buio!” – ribattè, ridendo – “Li porta tagliati a spazzola. Da qualche tempo li tiene sparati verso l’alto, modello Billy Idol.

Il quale, da quanto dicono, ha preso da lui già negli anni ottanta e…”

“Aspetta, così è troppo, non ti seguo!” – e siamo solo ai capelli…– “come sarebbe a dire che Billy Idol ha preso da William?”

“Io non so se sia vero, ma così racconta lui. Ma andiamo avanti. Fuma come un turco, non le manda a dire a nessuno ed è un combattente come pochi.”

“William combatte?”

“In qualche modo deve difendersi dai suoi nemici che il più delle volte hanno tentacoli e tendono al verde.” – Methos bevve un sorso – “E’ veramente bravo. Lui ed Angel si allenano spesso nel corpo a corpo e sono un gran bello spettacolo. I suoi sensi sono molto sviluppati, come i suoi movimenti. Ma ho l’impressione che talvolta se ne dimentichi. Per certi aspetti, è molto umano. Per altri.. bhe, per altri diciamo che c’è l’inconscio demoniaco.”

Edward aveva abbassato gli occhi, a questa frase. Le ciglia color miele erano lunghe e gettavano una leggerissima ombra sugli zigomi.

“cosa intendi per inconscio demoniaco?”

“Non è facile da spiegare. L’esempio più lampante è la mutazione dei lineamenti. E del colore degli occhi. Il suo organismo si potenzia, diviene più veloce ancora. E forte. Certe volte è una perdita del controllo. È come se in lui vivesse un altro, così potente da poterlo dilaniare.

Credo sia per questo che è divenuto così forte. Combatte con se stesso, ora più che mai, per via dell’anima. Eppure è equilibrato, almeno in apparenza.”

Edward era tornato a stringersi le mani, pensosamente.

“In lotta con se stesso.” – mormorò, quasi soprappensiero – “ non so se posso immaginare quanto sia devastante questo fatto. È più forte di me domandarmi se non lo fosse già in vita…”

“Anche lo fosse stato, ora è una cosa diversa. Il demone è una cosa diversa da un dissidio interiore umano. Ci sono molti studi noiosissimi a riguardo, ma se semplifichiamo il tutto, possiamo dire che il demone, quando subentra, è abbastanza forte da scacciare l’anima, ma non da ucciderla. Il che implica che questa, con sistemi non meglio definiti, possa tornare… con una piccola, irrilevante, manciata di sensi di colpa…”

“Piccola e irrilevante quanto?” – domandò Edward, alzando un sopracciglio e stando al gioco.

“Proporzionale all’esistenza, Edward.” – replicò Methos, interrompendo il sarcasmo e abbassando la voce – “Si può impazzire per la consapevolezza di un delitto. Ma se i delitti sono centinaia… no, è un discorso inutile. Quello che passa per la testa di Spike è incalcolabile. Tu sai quanto può essere lunga un’esistenza. Ora prova immaginarla senza coscienza. E con malvagità pura.”

Non era una cosa facile da accettare. Edward non riusciva a far coincidere le informazioni con i suoi ricordi. Non c’era più nulla, nulla.

Methos, senza curarsi delle sue riflessioni, stava seguitando a parlare.

“Lui e Angel sono casi unici, sulla terra. Per cui non basta il loro rimorso. C’è anche la Redenzione, sommata ad una valanga di profezie, mezza tonnellata di leggende e una punta di Predestinazione… ma questo discorso te lo risparmio. Intanto suppongo che tu abbia qualche decennio a disposizione, per sviscerare l’argomento.”

 

Era vero.

Forse più ancora della crescita di William, si sentiva attratto da quel mondo. Un mondo fantastico, a un passo dalla fantasia. Un mondo oscuro, di regole che gli sfuggivano.

Per la miseria, fratellino.. ci sei riuscito a finire in uno dei tuoi libri…

“vorrà dire che studierò.” – commentò, asciutto, sdraiandosi e puntellandosi sui gomiti – “dimmi qualcosa che non troverò in biblioteca.”

“tutt’altro. Ti dirò proprio una cosa che troverai in biblioteca. Perché è basilare.” _ Methos accartocciò la latina, provando a fare canestro – “Spike è famoso tra i vampiri. È conosciuto anche come William il sanguinario.. o come l’uccisore delle Cacciatrici.”

Sanguinario…

Uccisore…

Aspetta un momento….

“E cosa sarebbero le Cacciatrici?”

 

e Methos, pazientemente, gli aveva raccontato del grande amore di William per le Cacciatrici. Della morte che aveva donato loro, della passione con cui l’aveva fatto.

Come se avesse riflettuto a lungo, a riguardo. Un po’ per volta, in quella grande storia che aveva a che fare con gli opposti del mondo, con il bene e il male, i vampiri e le Cacciatrici, Spike aveva trovato il suo posto.

Dalle tenebre da cui proveniva, aveva radunato la forza necessaria per combattere contro quella singola fanciulla predestinata. A modo suo, aveva ucciso la sua morte, in lei.

Con quel trasporto che da vivo aveva coltivato nella bellezza. E che ora ritrovava nella lotta pulita.

Ballare con le Cacciatrici. Un pensiero romantico, che lo aveva distinto da vampiri ben più anziani di lui. Una passione che aveva fatto di un predatore un artista.

Questo è sbagliato, sussurrò Edward.

Spike è l’opposto. È colui che, nato artista, è divenuto predatore.

Su questo posso garantire io stesso.

Comunque sia, riprese Methos con l’aiuto di un nuovo caffè, Spike è stato sopra le aspettative di molti.

Due cacciatrici morte. Una in Cina, l’altra a New York. E, tra le due, si possono ricostruire i suoi spostamenti in base all’attivazione delle prescelte.

Sanno che le uccise sono queste. Ma non sanno su quali altre Spike abbia saputo metter mano, in un modo o nell’altro.

“Una frase interessante.” – rise Edward. Quel quadro del suo imberbe fratellino lo deliziava nella misura in cui gli faceva male.

La società di cui avrebbe dovuto far parte lo aveva scartato, come un esemplare di seconda scelta. E lui, in cambio, si era preso il mondo, in molte sue forme.

Chissà quanto c’era di sbagliato e terrificante, nelle sue avventure. Ma Edward, con la parzialità con cui l’aveva sempre amato e la difficoltà a immaginarlo come un malvagio puro, non poteva che pensare alla rivincita che William aveva avuto sui pregiudizi.

“Ora è un eroe. E anche se non può cancellare il suo passato, ha un presente che ti renderebbe fiero di lui.”

“io non ho mai smesso di essere fiero di lui.” – commentò Edward, piantandogli addosso quegli occhi – “nemmeno un istante.”

“Forse non immagini la portata di quello che ha fatto tuo fratello come vampiro. Ha ucciso, Edward, con la miglior freddezza. Ha bevuto sangue come se fosse sangria, senza trovare mai un motivo per fermarsi.” – Methos non poteva tollerare le illusioni. E non voleva, soprattutto, che Edward ascoltasse una storia horror ritenendola una fiaba – “So benissimo come tu stia pensando a quanto si è riscattato dalle prese in giro dei suoi compagni di giovinezza. Ma credo anche che tu sappia fermarti a riflettere sul fatto che è un demone. E che non puoi negare questa evidenza.”

“perché, solo i demoni massacrano per la gloria?” – ringhiò Edward.

Era un colpo basso, come quello che gli era appena stato inferto.

E Methos sapeva di esserselo meritato.

 

Istambul, 1860

 

Ti aspettavi che te lo raccontassi?” – Methos provava il desiderio di strangolarlo – “credevo che sapessi che non è mia abitudine tirare fuori episodi delle mie vite passate. Non capisco cosa ti stupisca.”

Forse questo mi sarebbe piaciuto me lo raccontassi tu, piuttosto che scoprirlo in questo modo.”

Scusami tanto, Edward, se non mi andava di raccontarti uno dei miei massacri preferiti.” – Methos piantò entrambe le mani sul tavolo, fissandolo in viso – “E non mi andava di raccontarti i tempi della mia vita in cui mi tenevo la gloria come amante… stai pur certo che non si regalano gioielli ad una femmina del genere.”

Methos.” – Edward si passò una mano tra i capelli e lo fissò – “mi dici che c’è che non va? Non ti sto giudicando. Ripeto: avrei solo voluto saperlo da te.”

oh, ma smettiamola! Tu non vuoi capire. Tu vuoi che io ti racconti le mie avventure. Ma sono sbagli, puri e semplici. Sbagli. Uccisioni. Distruzione. Staccati da questo mito dell’eroe, per favore! A voi europei basta uno squillo di tromba per chiamare in causa l’onore. In battaglia si muore, Edward. E quelli che non muoiono possono sfruttarlo a loro vantaggio.”

Si era mosso, ed aveva spalancato la porta. Era già con un piede fuori dalla soglia, quando si voltò, la mano allo stipite.

Ho cinquemila anni, Edward. Metà degli immortali che incontrerai avrà una storia su di me. E quando sentirai magnificare la mia arte della guerra, ricordati che era solo violenza.”

 

Quel giorno l’aveva invitato a giudicarlo. A ricordarsi che si può assecondare il male o il bene. Che il libero arbitrio è connesso a una forma di giudizio.

Aveva visto troppi immortali adorare il dio che vedevano allo specchio. E non poteva accettare che Edward perdesse la sua linearità di pensiero. E il suo senso di giustizia.

Oggi, il problema si ripresentava.

“Non ragionare con il cuore, Edward.” – brontolò Methos – “Non negare mai le decisioni che Spike ha preso. E le conseguenze che ci sono state. Lui è il primo che non accetta di farlo. Chiama le cose con il loro nome, anche quando vorrebbe nasconderle. Lui è un demone. E ci sono momenti in cui ne va fiero. Ma non verrà mai a raccontarti con orgoglio dei bambini che ha trucidato e delle feste in cui si é servito ma non dal buffet!”

Si era alzato, affacciandosi da una delle ampie finestre. Poi si era voltato, appoggiandosi al davanzale.

“Pertanto, se lui è il primo che cerca di avere un po’ di obbiettività, fammi il piacere di averne anche tu.” – accennò un sorriso – “l’unica debolezza dei tempi andati che Spike continua ad avere, comunque, sono proprio le Cacciatrici.”

l’aveva detto con un tono divertito, abbandonando quel rimprovero mosso tanto prontamente.

Edward, tralasciando per un istante il pensiero di Spike e della sua dannazione, si domandò cosa potesse importare al suo mentore di tutto questo. Era assolutamente intollerante nei confronti della magia. I riti asiatici e africani a cui aveva assistito insieme gli avevano dipinto sul volto un’espressione di freddezza e rispetto che rasentava il disinteresse.

Allergico. Ecco come si definiva, allergico.

 

“dapprincipio mi viene un gran nervoso… poi il desiderio di spaccare tutto.. poi non riesco più a muovere un passo…e poi, se proprio non posso andarmene, cerco di calmarmi e pensare hai fatti miei.”

“Deduco che ne hai visti, di riti magici.”

“oh certo, ci sono giorni in cui non ho altro sotto agli occhi. Ma se posso li evito… come la peste…”

 

Edward non ricordava dove avessero avuto quella conversazione. Quello che era certo, era il vago disgusto di allora che Methos stava tirando fuori adesso.

“E poi c’è Wes, che potrebbe piantarla con quei suoi dannati libri. C’è un incantesimo per questo… E uno per quello… esorcizziamo il ragazzino dei giornali, così la pianterà di spaccarci i vetri.. imprigioniamo in una dimensione infernale la barista che mi ha mandato in bianco… no, in effetti non è a questi livelli… ma credo tu abbia capito.”

“oh si.” – Edward annuì, serissimo. Passando dalle sopracciglia aggrottate al sorriso – “A parte chi è Wes, il resto è ok.”

“Wes è un Osservatore. Si occupa di una Cacciatrice.

Cioè, si occupava, adesso sono io l’Osservatore.”

Edward lo fissava, indecifrabile. Aveva inclinato la testa da un lato, con aria perplessa.

 

Se i suoi zigomi fossero stati più affilati, e di colpo si fosse acceso una sigaretta, Methos l’avrebbe chiamato Spike.

E ci avrebbe litigato.

“Senti un po’…” – mormorò il ragazzo, alzandosi e piantandosi le mani sui fianchi – “Tu ti stai divertendo a confondermi.”

“Io? e come sarei riuscito in questo?”

“Vampiri, Cacciatrici, Osservatori.” – enumerò alzando la mano sinistra e dando modo a Methos di vedere un tatuaggio allungato sul polso e sul dorso – “Incantesimi, Redenzione, Omicidi.”

“Se hai elencato sei punti, come fai a enumerare ancora con una mano sola?”

Edward lo fissò. Gli occhi divennero due fessure e lui si voltò, andando spedito verso la sua sacca.

Ecco.. mi sono giocato la testa..

Lo sapevo…

 

Lo scatto di un accendino.

 

Methos si sentì come colpito da un fulmine. E lo guardò, sbalordito.

“Ricominciamo.” – ringhiò Edward, stringendo il filtro tra i denti – “E con ordine.”

 

***

 

“Adesso.” – commentò, sei sigarette dopo – “Mi è tutto più chiaro.”

Edward, come sempre, non si era smentito. Aveva ascoltato, senza un commento, le motivazioni che avevano spinto Methos ad accettare quel compito ingrato. Si era sorbito le spiegazioni su cosa fossero gli Osservatori e un paio di teorie metafisiche.

Aveva schematizzato i pro e i contro.

E, dulcis in fundo, aveva focalizzato l’aspetto base.

“perché Doyle ti ha ficcato in questo casino?” – domandò, incrociando le braccia. Lui e il demone non si conoscevano di persona. Ma Edward aveva conosciuto Sinead e aveva avuto una parte dei segreti di Methos in dono, molto tempo prima.

Per molti aspetti, Methos era la sua famiglia. Edward, cresciuto in una casa serena e arricchito da questa fortuna, non concepiva la vita senza legami. A modo suo, nel suo piccolo, si sentiva legato a quell’irlandese che Methos aveva tutelato e cresciuto.

“Perchè è il suo dovere di figliastro.” – ribattè Methos, ridacchiando.

“Non hai l’aria del martire…”

“Se non mi andava, non lo facevo.”

“Giusto, me ne ero scordato.”

Methos appoggiò la testa alla mano, fissandolo.

“Altre domande?”

“No. Mi sembra di aver capito abbastanza.” – commentò, spegnendo l’ultima sigaretta nel posacenere – “Finiamo solo la storia…”

“E’ finita. Sono qui, c’è Faith… fine.”

“Non me la bevo.”

“Non me la porto a letto, se è quello che vuoi sapere.”

Edward lo fissò, appoggiando il mento alle mani intrecciate. Sorridendogli, dapprima con lo sguardo…

“perchè, è riserva di caccia di qualcun altro?” – lo provocò.

“Sei impossibile.” – boccheggiò l’immortale – “Sono passati centocinquant’anni, Edward. Non puoi violare la privacy di tuo fratello. È nei suoi diritti tenere per sé certe cose.”

“Infatti non ho chiesto a lui ma al mio amico immortale. E questo mio amico immortale, permettimi il gioco di parole, essendo un buon osservatore…”

“Si, certo. Un buon Osservatore, con la O maiuscola rispetta i segreti della sua Cacciatrice.”

Edward gli sorrise, con aria da monello.

“perfetto. Ho saputo quel che volevo.” – commentò, stiracchiandosi – “Grazie.”

E Methos, suo malgrado, ammise la sconfitta con una risata.

 

“Doyle dice sempre che era nel destino di Spike farsi sconfiggere da una Cacciatrice.” – aggiunse, più tardi, mentre Edward impilava i piatti del pranzo e li posava in cucina.

“E William come gli risponde?”

“Fatti i cazzi tuoi, tappo irlandese.”

Edward rise, aprendo il rubinetto.

“Bella risposta.” – si soffermò un attimo, poi prese il coraggio per chiedere – “E dimmi un po’.. qualcuno lo chiama ancora William?”

“Solo Angel. Ma per gli altri è Spike.”

“Perché solo lui?”

“Spiacente, non ho risposta.”

Angel. Per quanto provasse a tenere sotto controllo le sue emozioni, tutto quello che stava accadendo non gli dava pace.

William non distava più di due isolati. Mai, nel tempo e nello spazio, erano più stati vicini come ora.

Eppure si trovava dannatamente lontano.

E in mezzo a loro, insieme a tutti il resto.. Angel.

Spike viveva sotto lo stesso tetto del suo assassino.

No, non riusciva a capire.

“Edward.” – canticchiò Methos, passandogli accanto – “ Angel non è quello che pensi.”

“Devo porre mio fratello sulla bilancia della morale e della giustizia.” – commentò Edward mantenendo lo sguardo fisso – “E usare un altro metro per Angel? Mi sembra un controsenso.”

“Non ti sto dicendo di usare un altro metro per Angel. Ti sto parlando del beneficio del dubbio. Se Spike lo rispetta, un motivo deve esserci.”

“Non ne dubito… ma non condivido.”

“ne sei veramente certo?”

Il tono di Methos era risuonato strano.

Edward non si mosse. Sapeva che c’era dell’altro.

E attendeva.

“Sei sicuro che non si possa andare d’accordo con il proprio carnefice?”

Edward si voltò lentamente. Methos era a braccia conserte, appoggiato contro il frigo.

Ed era serio.

E del tutto privo di emozione.

 

Londra, 1857

 

Lo seguiva da quando era uscito di casa. Passo dopo passo, cercando di mantenere la sua andatura, cercando di non raggiungerlo. Guardandolo rallentare, come se stesse per cadere, e poi riprendere a camminare.

Nell’osservare quella figura, alta e fragile, Methos si sorprendeva a trattenere il fiato. Il cuore gli martellava, fin dentro le tempie, dandogli l’impressione che il mondo fosse un unico mormorio indistinto.

 

Camminava lento, assorto nei suoi pensieri.

E per quanto fosse diritto come giunco e elegante, come sempre, ogni passo gli costava una fatica immensa.

Londra era tiepida, quella notte. L’aria era dolce, e il ragazzo la inalava piano, senza rimpiangere la brezza di mare che aveva respirato nelle settimane precedenti.

Era tornato a casa. E non se ne sarebbe più andato.

 

Aveva pregato che non accadesse mai, che una morte violenta non gli si parasse sulla strada.

Era ad un passo dalla certezza che questo non sarebbe mai successo… e ora…

Ora…

 

Ancora pochi passi, e sarebbe stato troppo tardi.

 

Era il momento di decidere.

L’ultima via buia… l’ultima prima che fosse a casa.

L’ultima…

 

Accelerò l’andatura, raggiungendolo. La sua mano, al di sotto del mantello, aveva già trovato quello che cercava. Senza esitazione.

Il giovane lord era fermo, a pochi metri dal lampione successivo. La sua mano guantata stava sfiorando i mattoni impregnati di umidità, macchiando i polpastrelli di una tonalità quasi nera.

Era languido, nell’inclinare la testa, cercando di catturare ancora più aria.

Nemmeno il leggero rantolio che ora Methos sentiva, interrompeva quel dialogo silenzioso con il mondo circostante.

 

Una notte pura, con poche stelle. Una notte indimenticabile…

 

Sapeva cosa fare.

 

Aveva smesso di porsi quella domanda. Non voleva più sentirla, prepotentemente al centro del cervello. Non voleva più porsi problemi, a riguardo.

 

Non c’erano che un paio di metri, tra loro.

Adesso gli stava alle spalle.

Vicino.

 

la mano ancora contro il muro…

gli occhi socchiusi, la testa indietro, in attesa di una risposta dal creato…

 

Edward.”

Lo chiamò e attese si girasse, l’espressione interrogativa, nel riconoscere il timbro della voce.

Poi fece fuoco.

 

Edward finì di impilare i piatti, in silenzio.

E Methos, dopo un attimo, si mosse, passandogli a fianco, e salendo veloce le scale del ballatoio.

 

***

 

“Permesso?” – Edward si affacciò alla porta. E Methos, con aria ossequiosa, abbassò il libro e lo fissò.

“Avanti.” – rispose.

Edward era in piedi, davanti alla scrivania, con le mani in tasca.

“Facciamo pace?”

“Dai, siediti…”

Edward sprofondò nella poltrona di pelle nera, scompigliandosi pensosamente i capelli.

“Non ce la faccio, Doc.” – mormorò, tornando all’appellativo del passato – “Per quanto mi sforzi, non riesco a venirne a capo. Mi sembra che la testa possa esplodermi da un momento all’altro.

Mio fratello… l’ho perso così tanto tempo fa… lui è uno di quei volti che ci lasciamo alle spalle, quelli che dobbiamo perdere inevitabilmente. E ora… cosa sarebbe stato, se le cose fossero andate come dovevano? Sarei morto solo io, Methos? Era inevitabile quello che gli è successo?”

“Non lo so, Eddy. Nessuno lo sa. Quello che so, è che tu non ne hai colpa. Tu sei morto. Per tutti loro, sei morto comunque. E William… può darsi fosse destino, realmente. Ma credere nel fato è una scelta, non una realtà assodata.”

“Gli immortali nascono predestinati. Cosa ci distingue dai mortali? Solo noi abbiamo un destino?”

“La nostra è una possibilità, non un dogma. Possiamo vivere e morire nel nostro letto, secondo le leggi di natura. Solo una morte violenta ci dona l’eternità, lo sai bene. Anche noi siamo guidati dalle coincidenze. O dalle scelte altrui, nel tuo caso.”

Edward abbassò gli occhi, assecondando la battuta, con l’ombra di un sorriso.

 

Non ne avevano mai parlato.

Mai, in tanti anni, Edward aveva chiesto Methos il perché di quella decisione. Anche se poteva immaginarlo e forse, nel suo intimo, esserne addirittura lusingato.

Methos l’aveva ucciso. Gli aveva puntato contro una elegante pistola intarsiata e aveva sparato, guardandolo fisso in viso. L’aria si era riempita dell’odore di bruciato della polvere e, un istante dopo, tutto era divenuto caldo.. e poi troppo freddo…

E poi il mondo era cambiato.

Per sempre.

E in quel mondo ormai diverso… c’era ancora Methos.

Con i suoi difetti e la sua vita caotica. E la sua saggezza, svezzata dal tempo.

Ed Edward che, come William, si svegliava la mattina sorpreso di quanto la vita l’avesse portato a vite ignote, non aveva mai immaginato diverso un singolo minuto che aveva passato, correndo, alle spalle di Methos.

 

Eppure restava sempre la domanda, insidiosa. Il giusto e lo sbagliato, ancora una volta in gioco.

Perché.

Perché farsi carico di una scelta che Edward avrebbe potuto rifiutare?

Con quale diritto?

Secondo quale incomprensibile piano?

Perché... perché andare contro le proprie idee in questo modo…

 

Methos, a modo suo, stava seguendo gli stessi ragionamenti.

Le sue concezioni dell’esistenza… e il non essersi mai pentito di avergli sparato.

Aveva avuto un motivo ben più valido di qualsiasi credo.

La vita, contro la morte.

Il dolore…

 

No.

Non intendo tornare sui miei passi. Ripercorressi la mia strada un’altra volta.. anche solo con il pensiero… sarebbe una volta di troppo.

Quel che fatto è fatto.

Senza rimorso.

E senza pentimento.

“Già.” – commentò, incrociando le braccia e dandosi ragione. Prima di ricordarsi che c’era Edward seduto dall’altra parte del tavolo.

E che, con uno spettatore, è meglio non mettersi a parlare da soli.

“Che c’è!” – domandò, infastidito, allargando le mani – “Mai visto uno che pensa?”

“Come no.. ne ho visti a migliaia… ma che adesso tu voglia far parte della categoria…”

“Non mi provocare, Eddy.” – Methos gli mise un dito sotto il naso, protendendosi sulla scrivania – “Perché se dici un’altra parola poco gentile, ci rivedremo nel ventiduesimo secolo.”

“Chissà che pace…”

“Guarda che ho sentito…”

“Ma se non ho detto nulla…”

 

E fu in quel mentre, che suonarono alla porta.

“Resta qui.” – ordinò Methos, alzandosi.

E non passò molto, che Edward potè sentire Methos parlare. E poi lo scatto della porta che si chiudeva.

“Ti avevo detto di non venire….”

“Si, lo so.” – replicò una voce femminile – “Ma me ne sono fregata.”

Una bella voce rauca e beffarda.

Edward si sporse, inarcandosi sulla poltrona.

Cercando, con addirittura i piedi puntati sulla scrivania, di vedere con chi stava discutendo Methos.

“Faith, ti ho detto che oggi ero impegnato.”

“No, hai solo detto che non avevi voglia di vedermi. E io ho deciso di non prenderti sul serio.” – replicò la ragazza, scivolando scompostamente sul divano – “Allora, osservatore, mi alleni?”

A queste parole, Edward decise che la posizione non lo favoriva. Rotolò giù dal bracciolo e fece il passo del giaguaro fino alla porta, affacciandosi sul ballatoio.

 

Osservatore sulla bocca di una ragazza uguale cacciatrice.

Un’equazione semplice.

Cacciatrice uguale Faith.

Mia cognata.

 

Da dove si trovava, vedeva solo due gambe vestire di nero con in fondo degli anfibi lucidi.

Continuava a sentire la sua voce roca, impegnata a ribattere a quella di Methos e a grondare sarcasmo. Si stava divertendo, alla follia.

E l’uomo, a metà strada tra l’istinto omicida ed il divertimento puro, le rispondeva per le rime, citando il suo seno grosso e le sue spalle da lottatrice.

Ma la ragazza non sembrava ugualmente prendersela a male.

Anzi, più lui sottolineava con bel garbo i suoi difetti, più lei svelava un nuovo epiteto che avrebbe fatto arrossire i frequentatori dei bassifondi londinesi.

Edward non credeva alle sue orecchie. Quella era la ragazza di William… e non aveva niente in comune con i grandi amori della sua adolescenza! Era concreta, dura, terribilmente disincantata. Probabilmente non conosceva preamboli e risolveva le discussioni collezionando le otturazioni dell’interlocutore.

E quanto gli piaceva!

Sentire Methos alle prese con quella tipa indomabile gli stava provocando ripetuti attacchi di risate che lui cercava di sedare, in qualche modo. Trattenendo il fiato, o pregando di restare serio e concentrato.

Forza, Edward… puoi farcela…

“Oh, va bene.” – commentò infine Faith, alzandosi – “Me ne vado. Tieni.”

“Che cos’è?” – domandò Methos, prendendo il foglio ripiegato che la ragazza gli porgeva.

“Non lo so.. una comunicazione di qualcosa. Westley mi ha detto di portartela.” – Faith si mosse verso l’ampio tavolo sotto il ballatoio, annusando distrattamente i fiori al centro, nella grande coppa di cristallo.

E, con quello studiato movimento incurante, entrò nella visuale di Edward.

Però…

Appoggiato alla parete, ruotando la testa il più possibile, poteva ammirare i capelli lunghi e scuri, le spalle ben disegnate e, tanto vale va ammetterlo, anche il seno.

Quella ragazza aveva delle…

“Da lì vedi anche dentro la scollatura fino all’ombelico?” – domandò Faith, parlando al tulipano che teneva tra le dita. E alzando gli occhi verso il ballatoio.

Edward appoggiò la testa alla parete, dandosi dell’emerito imbecille. E segnando, mentalmente, la capacità di ricezione di una cacciatrice.

È come un predatore, aveva specificato Methos, si può dire che veda sempre e comunque, al buio. Il che, tradotto in termini più concreti, significava stare sempre all’erta. Quella ragazza, Faith, era una parabola puntata sul pianeta terra.

 

Non poteva tirarsi indietro, senza attirare la sua attenzione.

E, a dire il vero, la cosa lo intrigava, parecchio.

Passare sotto il naso di Faith, non lasciar intendere chi fosse e fare, della possibile attenzione, un punto di forza.

“Non è mia abitudine spogliare le ragazze con gli occhi” – replicò, uscendo a appoggiandosi alla ringhiera – “Ma una conversazione come la vostra era tutta da ascoltare.”

Faith alzò lo sguardo, registrando l’alta figura, sospesa qualche metro sopra la sua testa. Aveva occhi chiari, e una corona di riccioli biondi a stento trattenuti dagli occhiali da sole che portava come un cerchietto.

Porca puttana…. E Methos tiene questo belvedere in studio…

Mmm… e bravo Methos…

Si voltò, con un’eloquentissima occhiata ammirata all’immortale. E Methos, prossimo ad un attacco di nervi o a una sincope, si domandò se non fosse anche il caso di arrossire.

Coventry… gli anni passano, ma tu resti sempre uno stupido dandy…

“Posso presentarvi?” – domandò… Faith, ti giuro che se lo guardi un’altra volta così, ti regalo la sua testa.. dopo avergliela staccata a morsi – “Faith, questo è un mio vecchio amico, Eddy. Eddy, lei è Faith...”

ecco.. cosa dico di Faith… se dico Cacciatrice capirà cosa sa Edward… se dico…

taglia corto.

Lei è Faith. Punto.

“Piacere di conoscerti.” – replicò il ragazzo, scendendo le scale e tendendole una mano sopra la balaustra. Stava parlando un americano perfetto, del tutto privo di accento.

Dove era finita l’intonazione che dava alle parole? Adesso, senza ombra di dubbio, sarebbe passato per un perfetto californiano.

“Piacere mio.” – replicò lei, apprezzando la stretta forte e il sorriso aperto. Quel tipo aveva un savoir faire che la mandava su di giri – “ Adam, amico vecchio quanto?”

“Come scusa?” – commentò Methos, aggrottando la fronte e facendo finta di non capire.

“No.” – sorrise lei, enigmatica – “Niente.”

Non era convinta. Ma poco importava. Niente le dava fastidio in quello sconosciuto. Anzi… lo fissò, come era solita fare con tutto ciò che incontrava, percorrendone la statura, dai mocassini fino al collo delle camicia slacciato. Focalizzando una giugulare pulsante e i segni della respirazione. Era perfettamente rilassato.. ma soprattutto era certamente umano. L’istinto non aveva nulla da obbiettare a questa conclusione.

 

Solo per un istante, soffermandosi sugli occhi e sullo sguardo con cui ricambiava, si sentì percorrere da un brivido. Un millesimo di secondo, non abbastanza per registrare un’intuizione mancata.

Era tutto a posto. E lei, contrariamente all’ intenzione di provocare il suo Osservatore ufficiale, dovette ammettere con se stessa che la sua presenza era inopportuna. Era ora di levar le tende.

Faith accennò un sorrisetto per chiudere quell’esame rapido ma quanto mai efficace.

“Vi lascio ai vostri discorsi.” – commentò, calcando la parola discorsi e provocando in Methos un’altra ondata di bile.

“Piacere di averti conosciuto.” – ripetè quell’Eddy, sorridendole di nuovo. Gli occhi gli brillavano decisamente, di un’ilarità repressa che Faith non sapeva spiegarsi del tutto.

 

Un vero dispiacere sapersi già innamorate e ritrovarsi di fronte quel dono dal cielo…

 

Quel tipo era agli antipodi del suo vampiro… dal sorriso ai movimenti. Eppure…

 

Eppure Faith, per essere una Cacciatrice, mancava a volte della fantasia necessaria. I suoi forse e i suoi eppure, figli dell’intuizione, tendevano a finire nel reparto pensieri scartati.

Sicchè, il possibile punto di incontro tra Spike ed Edward, venne sbattuto nella categoria ‘ effetti di luce’.

Così vicino alla realtà da essere sorprendente.

Perché la luce che Faith aveva identificato su Edward, non proveniva da fuori... ma da dentro…

 

***

 

Venti minuti più tardi, rientrando all’Hyperion, avrebbe trovato Wes sotto il portico, intento a prendere una boccata d’aria.

“Fatto tutto.” – disse, scavalcando la panchina e andandogli incontro – “Ha detto che si farà vivo per parlarne. “

Ottimo, rispose l’Osservatore, girando le pagine del giornale. Interrompendo la lettura, nel notare la sua espressione pensierosa.

“Qualcos’altro?”

“No, niente di particolare.” – Faith scosse il capo. Poi, visto che non aveva nulla da perdere in dignità, azzardò – “Wes, posso farti una domanda?”

“Penso di si…”

“Ti è mai successo di incontrare qualcuno a cui si addica il termine ‘ rifulgente’?”

Questo si che era strano, detto da Faith.

Wes si trattenne per un pelo dal chiederle come diavolo sapesse una parola così forbita. Sarebbe suonato offensivo, gli ricordò il suo sangue inglese.

“Ma no, è un sciocchezza.” – aggiunse, subito dopo, la ragazza, movendosi per entrare in casa – “Lascia stare… si vede che frequento troppo Spike e le idee bacate.”

 

***

 

“Per la miseria, che ragazza…”

ecco, l’aveva ripetuto di nuovo. Passava dal tono entusiasta a quello ammirato, per tornare al perplesso e di nuovo allo stupito.

Methos alzò gli occhi al cielo, prima di infilare le mani nel cassetto e continuare a frugare.

Non che il foglio portato da Faith fosse di vitale importanza… ma cercare la documentazione relativa lo teneva occupato. E gli impediva di commettere un temporaneo omicidio sulla persona di Edward Coventry, inglese purosangue e idiota fin nel midollo.

“Pensi che questa tua esaltazione da pericolo scampato durerà ancora a lungo?” - domandò, sbattendo un raccoglitore sul tavolo e strappandogli l’elastico – “Perché passati i primi seicento modi di dirla, la tua esclamazione diventa piuttosto monotona…”

“Tu non lo pensi? Quella è nitroglicerina.” – Edward era tanto allegro da sembrare scimunito – “Ed è mia cognata per giunta!”

A quella frase, il sistema di autocontrollo di Methos si disinserì.

“La tua…” – si voltò, fissandolo – “Ma fammi il piacere! Spike non si sposa Faith!”

“Perché?”

“Perché… per le croci sull’altare, che ne so! O perché sono tutte due prodotti del ventesimo secolo! Quei due vivono insieme, si amano, si odiano e non si mettono di certo le manette!”

“Methos, data la tua passione per il matrimonio, non mi sembra il caso che le chiami manette…”

“Ma proprio perché so di cosa sto parlando, so per certo che non se la sposa! Ma dico, da dove vieni per avere un’idea del genere?”

no.. questa non era una frase geniale…

“Nell’ottocento ci si sposava, Methos.” – replicò Edward, tallonandolo – “c’erano i principi morali, l’astinenza, il rispetto reciproco…”

“Certo, tre cose che ai tempi attuali mancano. Anzi, no, è cambiata l’impostazione: ti astieni dall’avere rispetto per i principi morali. Hanno gabbato il mondo con le parole, amico mio. E sono andati direttamente ai fatti!” – ribattè Methos, portando la sua bracciata di fogli al piano di sopra, salendo le scale così baldanzoso da far vibrare la lamiera sotto i loro piedi.

“Credevo che anche ai tuoi tempi funzionasse in questo modo.”

“A quali miei tempi ti riferisci? Perché sai, colleziono epoche come cartoline.” – aveva posato tutto sul ripiano in cristallo – “comunque, adesso, il matrimonio serve solo per vestirsi di bianco. E visto che Faith non ama i vestiti e tuo fratello non ha uno specchio per raddrizzarsi il papillon, non ci sarà cerimonia.”

“Aspetta! Mi stai dicendo che è vera anche la questione del riflesso?” – Edward aveva un buonumore incrollabile.. oppure un esaurimento nervoso – “magari anche quella delle bare…”

“No, quella no. Una bara sciuperebbe il suo trench di pelle. E questo è inammissibile.” – si accasciò sulla sua sedia, prostrato da quella discussione. E guardò quel ragazzo che gli rideva in faccia.

“ma che ho fatto di male.” – gemette, mentre Edward afferrava una sedia e si accomodava, a cavalcioni – “E chissà perché mi prendo così a cuore la questione…”

“Già.” – annuì Edward, ridendo – “Chissà perché.”

 

Methos lo fissò. Forse il perché stava tutto in quella risata. In quel modo di essere sereno che in Edward l’aveva colpito fin dal primo istante.

Quell’essere, senza ombra e senza esitazioni.

Quel vedere troppo lontano, quel non temere le sue responsabilità…

Edward, a differenza di molti, era nato per vivere.

E avrebbe vissuto a lungo. Non per la sua abilità nel maneggiare una spada. In lui l’eternità esisteva da sempre.

 

“Se mi fissi ancora così, finirò con il concordare con Faith.”

“Eh?”

“Vergogna Doc.” – Edward gli scosse un dito sotto al naso, con disapprovazione – “Tenere un maschio bello come me nascosto qui…”

Ancora con questa allusione. Methos lo fissò a bocca aperta, prima di riprendersi del tutto.

“ma non ti ci metterai anche tu adesso!” – esplose – “Ho avuto più di sessanta mogli e non sono arrivato al ventesimo secolo per sentirmi dire che sono stato sedotto da te!”

“Credevo fossero settanta…”

“sessantaquattro per l’esattezza. E chi sopravvive a sessantaquattro mogli sviluppa una pazienza impareggiabile.”

“Visto da qui, non si direbbe che tu sia paziente…”

“Vorrà dire che con le mie mogli ci sapevo fare!” – dichiarò. Prima di bloccarsi – “Ma che cosa sto dicendo…”

“me lo stavo chiedendo anche io…”

“Taci Edward…”

 

Taci, Edward.

E taci Spike.

Methos soppesò quel comando, riflettendo. Era la frase tipica di Wes.

Taci, Spike. Wes lo pronunciava distrattamente, fregandosi beatamente del secolo abbondante che il vampiro aveva più di lui.

E Spike non se ne aveva a male, mai. Come Edward.

 

“però.” – riprese Edward, stirando le braccia sopra la testa – “Che donna…”

No, era decisamente una partita persa.

“poteva riconoscerti…”

“No che non poteva. Per due motivi: potrebbe non sapere nulla di me.. e anche sapesse, non può associarmi direttamente con gli immortali solo perché mi trovo qui.” – Edward si complimentava ancora per se stesso, per quel trabocchetto – “Non devi necessariamente vedere una cosa che sai di non poter vedere…”

“Il ragionamento non fa una grinza. Ma sull’ultima occhiata ho temuto…”

Temuto per cosa, poi… cosa ci sarebbe di male, se lo scoprisse? Cosa potrebbe accadere, se questi due si incontrassero di nuovo…

Cosa, se non una gioia infinita…

 

Edward era lo stesso di allora. Per quanto fosse in grado di entrare nella mentalità della società in cui risiedeva, amarne i costumi e assaporarne le mode, restava comunque uguale al se stesso mortale.

Era maturato, ma questa non contava nei sentimenti.

Amava William nello stesso modo impareggiabile con cui l’aveva sempre amato.

Che non fosse più umano, che avesse centosettant’anni… non importava. Edward stava compiendo questa scelta con lo stesso spirito dei suoi ventiquattro anni.

Non gli importava il suo dolore.

Gli importava solo di non turbare William con la realtà.

 

“Sei certo di non volergli parlare?” – domandò, pensieroso, aspettandosi una qualsiasi risposta, compreso l’alzarsi e andarsene, sbattendo la porta.

“No, non ne sono certo. Ma non mi porrò il problema.” – Edward non sentiva il bisogno di preamboli – “William era pronto alla mia morte. Lo sapeva e non lo accettava. Può darsi che non lo abbia accettato ancora adesso. Ma adesso, in ogni caso, è una partita chiusa.

Mi ha lasciato nel passato, come io ho lasciato lui. Non torneremo indietro….”

 

Ti stai sbagliando…

Non ti ha lasciato nel passato.. ti ha portato con sé, fin nel mondo moderno…

Ti ha portato con sé da sempre…

 

Los Angeles, Hyperion

 

“Cordelia, questa torta è impareggiabile.” – commentò galantemente Methos, masticando con più tenacia del solito, ma con un sorriso tutto fascino.

Doyle stava bevendo un sorso di caffè. E ci stava affogando la risata beffarda con cui avrebbe volentieri accolto quel complimento.

“Grazie. È una ricetta mia.” – sospirò, orgogliosamente la ragazza – “Ne vuoi un’altra fetta?”

“No, grazie.. se no rischio di perdere la testa…” – ribattè Methos, senza perdere il suo sorriso ed una certa qual ironia a riguardo.

Ironia che Cordelia, ringraziando il cielo, non colse.

Come darle torto, del resto. La porta della cucina era esplosa e un demone le era passato sui piedi.

“Scusa amore.” – commentò Spike, saltando il bancone e finendolo con una coltello prelevato al volo.

“però…” Methos spostò i piedi, per non interrompere la corsa della testa staccata – “Avresti un futuro nel mio settore..”

“Spiritoso.” – ringhiò Spike, mentre dietro di lui spuntava Angel, con un machete.

Ed era furibondo.

“William, credevo di averti detto di lasciar perdere.”

“Credevo di averti risposto che non ti stavo ascoltando…”

“William…”

“Oh, andiamo, Flagello.” – Spike gli diede una pacca sulla spalla – “E’ una partita persa, smetti di discutere, tanto non serve a niente.”

Angel fece per ribattere. Poi cambiò idea, mentre la sua rabbia evaporava, posando rassegnato l’arma nel lavandino.

“mi toccherà anche darti ragione…” – commentò, aprendo l’acqua e lavando la lama, sotto gli occhi affranti di Cordelia.

“Io ho sempre ragione.” – sospirò il biondo, buttando anche il suo coltello sotto il getto dell’acqua.

E schizzando Angel.

“Ehi!” – scattò lui, prendendo una manciata d’acqua e tirandogliela in faccia. Afferrando poi, con un improvviso colpo di fulmine, il braccio staccabile del lavandino.

E puntandogli il getto contro, con un raro sorriso.

Spike buttò indietro la testa e rise, mentre Doyle si spostava per evitarsi la doccia.

“Ok, ho capito!” – urlò Spike, cercando di ripararsi la faccia – “Smettila, hai vinto! Smettila, Edward!”

Il sorriso gli si spense di colpo. Rimase immobile, mentre Angel si affrettava a chiudere l’acqua. Guardandolo, sbalordito.

Era calato il gelo.

Nessuno aveva più fiatato.

Tutti lo fissavano.

E Spike, rimasto immobile per un attimo, si era voltato, andando verso il piano di sopra.

“A questo punto dovrò cambiarmi…” – aveva detto, con tono tranquillo – “Dammi un paio di minuti, e possiamo andare… Angel.”

 

“…Per questa volta sarà così…” – Edward stava ancora parlando – “E poi, se è vero che abbiamo un’eternità innanzi… avremo tempo….”

 

***

 

“In ogni caso.” – aggiunse, finendo di impilare i fogli sulla scrivania – “sono contento di aver visto Faith.”

“Perché sei un curioso.” – gli rispose distrattamente Methos, leggendo un incartamento. Odiava la burocrazia del consiglio. E gli sfuggiva perché il settore Immortali fosse tutto multimediale e quello Cacciatrici tutto cartaceo. Non si dovevano più essere evoluti, dai tempi dell’Inquisizione – “e non potevi resister all’idea di ficcare il naso nelle faccende di tuo fratello, comunque, anche da lontano.”

“Vero.” – concordò Edward, ritirando il tutto in una cartelletta e afferrando un paio di fermafogli – “Io e William non abbiamo avuto tempo di parlare seriamente di ragazze. Volevo vedere com’era il suo tipo ideale.”

“Gli piacciono le brune.” – commentò Methos, passandogli altri due fogli – “Anche Drusilla, quella squilibrata, è una bruna con gli occhi brillanti.”

“Anche Cecily era bruna…”

“Cecily?” – Methos voltò pagina. Poi alzò la testa di scatto – “Non starai parlando di Cecily Dashwood!”

Edward si tolse la graffetta dalle labbra e lo fissò.

“Ti ricordi di lei?” – domandò, mentre gli si accendeva la classica lucina in fondo allo sguardo.

“Oh certo! Aveva una nonna con l’artrite che mi faceva chiamare una notte su due! Non ho mai dormito poco come nel novembre del 1853…” – Methos gettò la penna sul tavolo e si appoggiò allo schienale – “Inverno particolarmente umido.”

“Doveva essere un anno più giovane di Will… credo fosse lei quella per cui scriveva tutte quelle poesie…” – Edward tamburellò sul tavolo, cercando di ricordare – “non mi andava molto a genio, era troppo sicura di sé. Però era indiscutibilmente bella. Ed elegante. William ha sempre avuto un debole per le ragazze sofisticate.”

“Direi che si ricreduto, nel tempo.” – rispose, poco convinto, Methos. Definire sofisticata Faith era un po’ come dare per certa l’esistenza della vita su marte.

“Ho sempre pensato che sarebbe rimasto scottato a crederle tutte ragazze Angeliche.” – Edward si tirò indietro i capelli, tornando a bloccarli con gli occhiali da sole – “Del resto, al cuore non si comanda… indubbiamente rimane una predilezione per le personalità graffianti.”

“Su questo non ci piove.”

“Solo delle brune quindi?” – insistette.

“Sei un pettegolo, Eddy.” – sospirò, tornando a fissare i suoi fogli – “comunque, per la cronaca, mi risulta che una bionda debba esserci stata. Faith la rinfaccia tutte le volte che discutono. E capita spesso.”

“Sai parecchio di loro, per essere uno che non li frequenta…”

“Cordelia ha istituito il pranzo della domenica, da quando sono arrivato.

Invita me e un tizio tutto verde con gli occhi rossi che non fa che cantare.

E poi Spike viene qui ogni tanto ad allenarsi con Faith.”

“Tira di spada?”

“Poco. Quello bravo è Angel.”

Ecco. L’aveva nominato di nuovo. Ed Edward, senza premurarsi di nasconderlo, lo fissò di nuovo ostilmente.

“Oh signore! Ma sei veramente così geloso?”

“Non sono geloso.” – ringhiò Edward, mettendo in mostra una fila di denti bianchissimi – “Sono uno che disapprova.”

“Sai che ti dico?” – Methos abbassò di nuovo gli occhi e tirò una riga sulla pagina – “Fai pure.”

 

***

Fai pure.

Ma che cavolo di risposta…

 

Edward si era attrezzato. Uno sgabello alto e i piedi sulla ringhiera di ferro battuto del terrazzo. La sua sigaretta, ormai consumata, stava ancora planando, e già Edward si chiedeva se ne servisse una seconda.

 

Ancora un’ora, al massimo.

Poi Los Angeles sarebbe divenuta la sua zona di guerra.

Il sole sarebbe calato e Spike avrebbe ricominciato a muoversi libero.

 

A detta di Methos, prendeva molto seriamente la sua Redenzione. Non aveva esitazioni, faceva quel che doveva, con una punta di cinismo in più rispetto a Angel.

Non si trattava specificatamente di non uccidere. Si trattava innanzitutto di non abusare del proprio potere. Perché, senz’anima, quello era il primo autocontrollo che svaniva.

Il controllo del desiderio, in ogni sua forma.

Ancora una volta, Edward ripercorse mentalmente quella che doveva essere una caduta spirituale.

Il concetto non gli era del tutto estraneo.

I poeti che leggeva a sedici anni, i suoi contemporanei, addirittura i coetanei dei suoi genitori, avevano coltivato questo mito della caduta dal paradiso.

L’uomo intrappolato, l’uomo condannato che si libera dal giogo e da’ sfogo ai suoi istinti.

E torna cacciatore.

Lupo tra i lupi.

Edward non aveva mai condiviso questo elevarsi attraverso la dannazione. E William, di indole tranquilla, si era spesso rapportato agli altri come un’anima sensibile: senza credere in sé, ma nutrendo l’innocente certezza di capire e interpretare la realtà in modo oggettivo.

Eppure si era dannato l’anima.

Aveva accettato questa sua dannazione.

Ingannato?

Tradito?

Consapevole?

No, non riusciva a immaginare in che termini fosse giunta la sua scelta.

Di dolore?

Di vendetta?

Amore?

Perché no, amore…

Trattandosi di William, non se ne sarebbe stupito poi molto. William aveva sempre creduto che per amore si può morire…probabilmente l’aveva creduto sino all’ultimo.

E, con una certezza del genere, Edward non riusciva a immaginarlo nuovamente sveglio e privo di anima.

Ti è rimasto il senso d’amore, da demone, fratellino?

Credevi ancora in questo sentimento, quando sei uscito da quella bara? Posso immaginarti senza morale, ma non senza amore…

E senz’anima… non eri tu.

Ma un altro.

Ora, vampiro o no, saresti ancora tu. Diverso, ma sempre tu.

 

Come puoi resistere, senza il sole…

Edward chiuse gli occhi, lasciando che il sole del tramonto lo scaldasse, tingendolo d’oro. Vivere senza luce… forse era vivere come senza aria.

Già, senz’aria… dopotutto ne so qualcosa…

Vivere senz’aria…

 

Londra, 1856

 

Finì di abbottonarsi con lentezza la camicia. La testa china, concentrato su ogni bottone.

Ascoltando i battiti del cuore… che strano, nemmeno una donna l’aveva mai fatto battere in quel modo, dentro la gola…

Strano… batteva così forte da quando sapeva di doversi fermare…

Alle sue spalle, Doc si stava lavando le mani. Con lentezza, facendole scivolare una sull’altra, piano.

Per riflettere.

Per tenere gli occhi chiusi ancora un poco.

Per imprecare.

Per cercare di calmarsi.

Doc…”

Lentamente Methos riaprì gli occhi e cercò l’asciugamano, voltandosi. Guardandolo, mentre finiva di abbottonarsi i polsini.

quanto tempo…”

no..

non poteva averlo chiesto.. non con quella voce… non con quella tranquillità…

Doc…”

Sei mesi.” – rispose, scotendosi da quel torpore. Guardandolo, risoluto come sempre – “Un anno… forse…”

Edward era pallido. E solo ora, sapendo quello che strisciava nei suoi polmoni, Methos notava i lineamenti scavati.. e quella fiamma buia in fondo agli occhi.

Eppure, gli stava sorridendo.

Stava sorridendo.. e Methos provava solo il desiderio di sedersi e piangere.

Va bene…” – annuì, voltandosi a prendere la giacca.

Fermandosi, piegandosi per un altro eccesso di tosse. Methos camminò verso di lui come un sonnambulo. Ma Edward aveva alzato una mano, imperiosamente.

Sto bene.” – ansimò. Con una voce roca che non gli apparteneva.

Edward…”

Sto bene, Doc.” – ripetè, raddrizzandosi e guardandolo – “Ma adesso voglio andare a casa. Mi aspettano per cena…”

 

Anche allora c’era stato Methos.

E Methos aveva pronunciato la condanna…

William l’aveva ascoltata.

 

Una statua di sale.

Fermo, in piedi, le mani lungo i fianchi.

E quelle lacrime che continuavano a scendere.

Non muoveva un muscolo.

Piangeva, con gli occhiali sul naso e il libro che stava leggendo in una mano.

Senza una parola.

Senza fare nulla.

William…” – sussurrò – “ti prego…”

Devo ancora dirlo a mamma e papà… ho bisogno di te…

Edward… dimmi…”

Non riusciva a controllare la voce. Ma la domanda era chiara.

Ed era la più spontanea.

No.” – rispose Edward, scotendo la testa. Si era seduto su un bracciolo e il calore del camino gli faceva girare la testa – “Doc ne è certo. Sei mesi, un anno. Potrò viverli normalmente… voglio… voglio viverli normalmente, William. Voglio sia un anno splendido.”

Ma non lo sarà…” – William chinò il capo e il libro finalmente cadde. Edward si alzò, sentendo aumentare i singhiozzi di intensità

Oh, William, ti prego…” – sussurrò, stringendolo – “E’ questo che non possiamo permetterci, questo dolore.

È per questo che non voglio avere tempo…. Perché non cambierà nulla. Tu devi accettarlo. E io devo accettarlo. Perché, credimi… io non voglio morire…”

A quelle parole, il corpo di William si tese, tra le braccia di Edward. Come se fosse stato attraversato da una scossa.

E i suoi singhiozzi si interruppero.

Con lentezza, Edward sentì le mani di William passargli sulle braccia.

E, quando queste giunsero alle braccia, si sentì spingere indietro.

Senza che ci fosse il desiderio di respingerlo.

 

Non aveva mai lesinato abbracci a suo fratello.

Si era stretto William al cuore anche quando questo gli creava imbarazzo.

L’aveva tenuto stretto, davanti al camino, durante le loro conversazioni…

Se l’era tenuto vicino sempre.

 

Eppure, in quell’istante, mentre William lo spingeva indietro, per fissarlo dritto in viso, seppe che mai erano stati così uniti.

E che non avrebbero mai più avuto tempo per esserlo.

 

William aveva occhi enormi, rossi per il tanto piangere… eppure ancora azzurri.

E forti.

Si era morso le labbra, per smettere, per controllarsi.

Ed ora lo fissava, con un’espressione che non aveva mai avuto.

Va bene.”- mormorò. Ed Edward, nel sentire quell’acciaio, si chiese se non fossero allucinazioni – “Sarà l’anno della nostra vita.

Lo vivremo insieme.

Ma promettimi che, quando ti mancherà la forza… prenderai la mia…”

 

Edward posò una mano sulla ringhiera. Aveva rischiato di cadere. Per un attimo aveva percepito di nuovo quella fiammata, dentro ai polmoni.

Ansimò, poi diede un colpo di tosse. E un altro.

Idiota…ti sei suggestionato…

“Edward…”

“Sto bene Doc….”

“No, non stai bene.” – Methos gli arrivò accanto e lo obbligò a risedersi sullo sgabello – “Respira.”

“Scoppio di salute…”

“Non ti dico respira in quel senso. Hai un attacco di panico.” – replicò secco, ponendosi alle spalle, tenendolo fermo, mentre gli si appoggiava contro – “Sai bene che non hai nulla ai polmoni, adesso. Respira e calmati.”

Il sole stava scendendo. Ma Edward non lo vedeva.

Lui che amava i tramonti, aveva chiuso gli occhi e inarcato la testa indietro, per posargliela sulla spalla.

La sua cassa toracica si dilatava lentamente.

“Mi aveva detto che mi avrebbe dato anche la sua forza…” – lo sentì sussurrare, all’improvviso – “E io l’ ho fatto. Ho attinto da lui ogni volta che mi mancava… e poi l’ ho lasciato. L’ ho abbandonato, Methos… l’ ho lasciato solo…”

Methos non gli rispose. E non si mosse. In piedi, dietro lo sgabello, guardava quel sole che Edward non voleva vedere.

E cercava di portare chiarezza in quella situazione.

I fantasmi del passato stavano giungendo.

E con la notte sarebbe stato peggio.

Edward aveva il controllo della sua scelta… ma non delle sue emozioni. Provava paura, quella paura incontrollabile che non aveva mai ammesso, nemmeno mentre si riduceva all’ombra di se stesso e avanzava verso la sua fine annunciata.

Lo cinse con le braccia, senza incontrare resistenza, seguitando a pensare.

Senza curarsi del fatto che non erano mai stati così vicini.

Sotto il suo realismo e la sua punta di freddezza, Methos sapeva perfettamente cosa fosse la sofferenza. Solo un folle avrebbe attraversato l’umanità senza provare almeno una volta, in vita sua, un dolore incontrollabile, un terrore puro, tanto freddo da agghiacciare.

Un dolore che l’aveva atterrito, ogni volta come la prima.

Anche lui aveva lasciato. Si era finto morto, abbandonando le persone che amava. Per salvarsi, per preservare il suo segreto, perché non iniziasse una caccia alla streghe o perché non cominciassero gli esperimenti.

Aveva abbandonato, prima o poi, tutte le persone della sua vita.

E, lentamente, aveva iniziato a pregare di non avere più legami.

E si era sbagliato.

Ogni volta sempre di più.

E aveva continuato ad amare, con la stessa insistenza.

E a soffrire, nello stesso modo.

“E’ il peso dell’eternità, questo?”

“Penso di si.” – Methos non si mosse, rispondendo istintivamente, dal profondo mare dei pensieri – “In parte è questo. Noi perdiamo chi amiamo e, talvolta, li abbandoniamo, prima che siano loro ad andarsene. In ogni caso, rimangono sempre solo i ricordi… e, con loro, ogni più piccola emozione provata.

La mente umana non è fatta per sopportare questo bagaglio.

Può resistere decenni… ma quando ai decenni si accumulano altri decenni.. quando la polvere viene spazzata via con altra polvere… a noi resta il peso di ricordare. E di cercare di capire.”

“Ed è più facile, quando il passato non torna?” – domandò Edward, aprendo gli occhi e fissando il cielo ormai arrossato.

“Io credo di no.” – respirò Methos, lasciandolo andare. E appoggiandosi alla balaustra – “Oddio, non mi sono mai trovato in un caso come il tuo, ma penso che sia che torni sia che scompaia, il passato è sempre passato. È un peso, certo…

E bisogna andare avanti.”

 

Il passato che torna ci uccide di nuovo…

 

Aveva magistralmente mentito.

Aveva sorriso e detto una verità parziale.

 

E non gli era spiaciuto quando Edward, non del tutto convinto, aveva comunque ricambiato, unendosi alla sua risata.

Dopotutto, erano poche le cose che potevano salvarsi dalla follia.

Ma tra queste poche, rimaneva sempre la felicità, per effimera che fosse.

 

***

 

“E adesso?”

“Adesso cosa?”

“Direi che potremmo uscire…”

“Edward… tu sei matto.”

“No. Amo il rischio, tutto qui.”

“Ah, il rischio…”

“Già.” – Edward annuì, facendo spuntare quel suo incontrollabile sorriso, il suo marchio di fabbrica – “Hai detto che anche noi siamo legati al caso, no? E allora giochiamo con il caso.

Se è destino, incontrerò William.

E se non lo è…”

“La meccanica mi è chiara.” – Methos rimise a posto i volumi che Edward gli stava porgendo – “Un po’ meno dove tu abbia lasciato il cervello.”

“Lo sai benissimo che non ho problemi di cervello.” – commentò, infilandosi le mani in tasca – “Ma di cuore.”

Era vero.

Non era la mente.

Era il cuore che voleva una risposta. E la voleva dal mondo, da quella stessa terra che, con le sue regole e le sue inesattezze, era eterna come lui.

Methos lo valutò, con attenzione.

E Edward sostenne quello sguardo, accendendosi quasi di sfida. I suoi occhi erano metallici, come accadeva talvolta a quelli di Spike, quando combatteva con Faith e riviveva, nella lotta, quello che era la sua vita. La vita in corsa, contro gli sbagli e le perdite.

“Sono stufo di stare a casa.” – lo sentì mormorare.

Non posso più attendere.

Ho bisogno anche quest’ultima risposta.

 

Methos guardò il libro che aveva in mano. E, rassegnato, lo riposò sullo scaffale.

“Andiamo…”

 

***

 

Los Angeles, di notte, era come il cielo riflesso nell’acqua. Le luci erano lattiginose, capaci di incantare la vista e dare un’ apparente serenità.

A Edward piacevano quelle luci di notte. La sua intolleranza per il buio era rimasta la stessa, nel tempo. E lui, con crescente sollievo, aveva accolto il 1900 e la sua politica di illuminare ogni via e ogni strada.

Poche cose l’avevano incantato come le immagini dal satellite, le immagini della terra ricoperta di filamenti luminosi. Le luci, le luci degli uomini erano la risposta alle stelle che brillavano nell’universo.

E Los Angeles era una stella, incandescente per coloro che la respiravano.

“Non sei stanco?” – domandò Methos, bevendo un altro sorso di birra.

Camminavano così, tranquillamente, ognuno con la propria bottiglia ghiacciata tra le dita. Ed anche se il piano di Edward era abbandonarsi al caso, Methos aveva insistito per percorrere almeno un tratto di quella ricerca del destino in macchina.

Per cui, dopo essere scesi a patti riguardo al numero dei chilometri da compiere, Methos aveva parcheggiato in un quartiere tranquillo.

E, con il suo tormento inglese al fianco, si era addentrato in una delle strade più illuminate e frequentate. Ed avevano cominciato, secondo Methos, a girare intorno.

 

Senza meta.

 

Due come tanti, come amava dire doyle.

 

In questo mondo non è male, talvolta, essere nessuno. Un paio di volte la settimana dovrebbe bastare a ricordarci come siamo infinitesimali…

E questo vale anche per te, mio immortale amico…

 

La voce del suo irlandese era sempre una buona compagnia. Come sua madre prima di lui, aveva l’enorme capacità di farlo sentire dannatamente mortale.

A doyle non importava se gli anni erano trenta o tremila.

Per Doyle esisteva una gerarchia nel mondo che implicava persone più giovani e persone più anziane. Ma solo in base all’emozione, alla complessità di sentimento che potevano emanare.

Un discorso che Methos stentava a capire. E che Doyle cercava di spiegargli ogni volta, con lo stesso entusiasmo che ci aveva messo, la prima volta, all’età di nove anni.

“ma non capisci?” – aveva esclamato, mostrandogli delle mani nere di polvere e cioccolato mischiati – “E’ una cosa facilissima.”

Forse hai ragione, Francis.. ma le cose semplici sono sempre state un po’ fuori dalla mia portata.

Eppure, un giorno, dovresti parlarne con Edward… lui ti darà soddisfazione, credimi…

 

“Con chi stai dialogando?”

“Come?”

“Quando prendi quell’espressione, so per certo che stai parlando con qualcuno, nella tua testa. Questa volta, chi era?”

“Doyle.” – rispose, suo malgrado divertito – “Parlavo con Doyle di una vecchia teoria che dovrebbe esporti.”

“A me? Perché?”

“Mmm.. ti riconosco una certa elasticità mentale.” – borbottò, finendo la bottiglia e posandola su un gradino – “doyle tende a imbarcarsi in discorsi troppo sentimentali.. e dopo un po’ mi stufo di seguirli. Tu saresti un interlocutore più adatto…”

“Perché sono un quasi coetaneo di Dorian Gray?”

“Anche…” – rispose – “ma più per una questione di attitudine personale…”

“Grazie del complimento.”

“Ma prego, Coventry.”

 

***

 

“Sei certa di stare bene?” – Spike si piantò le mani sui fianchi e la fissò.

Languidamente sdraiata sul suo letto, impegnata nella degustazione di un gelato e con una rivista di armi in mano, Faith sembrava una novella Lara Croft in vacanza.

“Benissimo.” – rispose, tra una leccata e l’altra, senza alzare gli occhi – “Sto solo scioperando.”

“Ah, tu scioperi. Per cosa?”

“Emancipazione.”

“Faith, come puoi essere più emancipata di così?”

“Rivendico il mio diritto al vagabondaggio solitario.

In altre parole, quando sarete usciti e avrò finito il mio gelato, andrò nella direzione opposta alla vostra.”

“Questo si chiama manifestare… non scioperare.”

“E’ lo stesso. La motivazione non cambia.”

“Ottimo.” – Spike si infilò la giacca – “Adesso convivo con una Cacciatrice sindacalista.”

“E questo ti provoca dei disturbi?”

“Certamente. Ero un borghese inglese. Ai miei tempi il diritto del lavoratore non era contemplato….”

“Male, era tuo dovere cambiare il sistema.”

“Non ho fatto in tempo.” – Spike indicò con la testa Angel che saliva le scale – “Ci ha pensato lui a darmi nuove opzioni di vita.”

“Faith…” – chiamò Angel, fermandosi sulla porta – “Sei certa di voler uscire da sola?”

“certo.”

“Non vuoi proprio venire con noi?”

“No.”

“Complimenti papà.” – commentò Spike, fissandolo – “Loquace ed efficace.”

Angel lo squadrò, prima di gettare un’altra occhiata alla ragazza, impegnata ad assaporare con aria estatica il suo calorico spuntino.

In effetti, con una punta di autocritica, non poteva darle torto.

Le ultime tre volte che erano usciti assieme di ronda, lui le aveva levato ogni piacere con assillanti interventi sui suoi avversari.

Non poteva farci niente.. era teso.

Anzi, tesissimo.

E non per un motivo particolare. Provava solo un eccessivo desiderio di combattere. E di trovare un avversario degno.

Il demone in lui urlava troppo forte. E l’incubo di Angelus si affacciava, ancora una volta, nelle sue riflessioni.

Non era facile da spiegare... non se la sentiva.

Per la sua famiglia desiderava avere un solo volto. E combatteva, come sempre, il suo doppio, nel silenzio.

Esagerando, talvolta, nel non considerare come anche Faith usasse lo stesso sistema per tenere a bada i suoi fantasmi. Faith esigeva spazio per la sua rabbia.

E nessuno poteva negarglielo.

Nemmeno con le migliori intenzioni.

 

“Andiamo.” - Sospirò il vampiro bruno, tornando a scendere le scale.

 

***

 

“E mentre continuiamo ad attendere un segno da questo destino mai puntuale, possiamo parlare d’altro?”

Edward si voltò a fissarlo, perdendo le sue cupe riflessioni per strada.

“E di cosa vorresti parlare?” – domandò, garbatamente. Methos aveva l’aria del martire per la causa. Soffriva decisamente molto a mettersi nelle mani della coincidenza.

“Visto che abbiamo parlato tanto di me e del passato, ora parliamo di te e del presente.”

“Dimmi che vuoi sapere.” – rispose, Edward, infilando le mani nelle tasche del giaccone. Aveva un cappotto lungo, spuntato misteriosamente dalla sacca. Un vecchio cappotto da ufficiale russo, con tanto di martingala, lungo fino alle caviglie.

Un cappotto eccessivamente pesante che però adempiva perfettamente all’obbiettivo di nascondere la spada.

 

Per quanto disapprovasse l’abitudine di Edward di non affezionarsi alla spada, doveva ammettere che sapeva scegliere. La sua ultima prediletta era una lama italiana.

“Sciabola a lama dritta del Piemonte Reale, un reggimento di cavalleria pesante.” – aveva detto, porgendogliela con un sorriso – “1833”

Bella. Non leggerissima, contrariamente ai suoi gusti.

“L’ho usata una volta sola... non male.” – aveva aggiunto, ritirandola nel fodero, quando Methos gliel’aveva restituita.

“Non rischi troppo a continuare a cambiare?”

“Non rischio troppo a fidarmi di una cosa datata?”

E, ovviamente, la conversazione era morta sul nascere.

 

“Ad esempio dimmi dove sei stato negli ultimi sei anni…”

“E’ da così tanto tempo che non mi vedi?”

“Giorno più, giorno meno…”

“Per un po’ ho fatto il nomade anche qui. E ho vissuto in Canada. Poi mi sono spostato e mi sono cercato un posto a San Francisco. Gestisco un poligono di tiro.”

“Una scelta interessante…”

“Per il momento non mi spiace. Sto studiando gli esplosivi.”

“Finita la passione per la macchine da corsa?”

“Tutt’altro. Stavo meditando di finanziare una scuderia per i rally…”

 

Si prospettava come una conversazione interessante.

Ma non ci volle molto, per rendersi conto che, non molto lontano, c’era un altro immortale.

E non era detto che fosse amichevole e in pace col creato come loro.

 

***

 

“Dammi tre motivi per cui non potevamo venire in macchina.” – ansimò Doyle, appoggiandosi alle ginocchia e smettendo di correre dietro a Spike.

“La macchina serviva ad Angel, quei tre che andavano in questa direzione meritavano di morire e correre tonifica.” – rispose Spike, ricaricando la balestra e puntando a uno dei fuggitivi – “Ti serve altro?”

“No, può bastare.” – Doyle si raddrizzò, fissando il parco cittadino, buio e tranquillo. Niente, nemmeno una coppia impegnata a rotolarsi abusivamente sul prato. Niente. Solo lampioni rotti e silenzio – “Da che parte sono andati gli altri?”

“la domanda è ‘da che parte ci assaliranno?’” – replicò il vampiro, girando su se stesso a caccia di un appiglio – “A quest’ora Angel sarà dall’altro lato. Non vale la pena tornare indietro. Cerchiamo di raggiungerlo…”

“Certo… torniamo indietro dopo a cercare i miei polmoni…”

“Porgi i tuoi reclami a Angel… io non c’entro…”

“Certo. Sei saltato giù dalla macchina in corsa e Angel ha detto di seguirti. Mi dici cosa potevo fare?”

“ Ti dirò una novità, doyle. Ti ha detto di seguirmi per restarsene da solo… non per tutelarmi…”

“Cosa?”

“Credimi, Cantastorie. Il tuo eroe ha sete di sangue. E stanotte vuole vederne scorrere a fiumi…”

 

Spike non aveva bisogno di riflettere molto. E non aveva bisogno nemmeno di parlare con Angel.

I loro metodi di reggere il demone erano diversi.. ma i sentimenti erano uguali.

Il senso di giustizia di Angel cresceva nella proporzione in cui il demone premeva sull’anima. In una notte del genere avrebbe ucciso creature demoniache e umani peccatori senza distinzione. E, se poteva,voleva farlo senza testimoni.

Attendeva un’occasione del genere da giorni.

Combattere e uccidere.

Senza Wes, il più morale tra loro.

E senza Faith, la più impulsiva.

Tra demoni.

O in solitudine.

 

Solo tu ed Angelus…

 

Bhe, mio caro Flagello, ti sbagli.

Spike saltò giù dal muretto e proseguì risoluto.

Se troverai pane per i tuoi denti, dovrai lasciar dare un morso anche a me…

 

***

 

“Amico o nemico?” – domandò sottovoce Edward.

“Non chiedere a me…” – ribattè, poco convinto Methos, guardandosi intorno.

Uomo o donna…

Giovane o anziano…

Ma, soprattutto… dove?

 

Eccolo, commentò con voce piatta, Edward.

E Methos si voltò, guardando nella stessa direzione. Edward stava bevendo con calma la sua birra ormai tiepida. E l’uomo che avanzava verso di lui stava prendendo quel gesto come un affronto personale.

Era tarchiato e baldanzoso. Per essere certo che non ci fossero equivoci, giocherellava con il pollice sull’elsa della spada.

“Dio, un idiota che la tiene nella cintura dei pantaloni.” – commentò disgustato Methos – “Possibile che la parola fodero non faccia presa su tizi del genere?”

Il tizio del genere si era fermato. Ed Edward lo squadrò, con movimento studiato delle sue ciglia.

Aveva un innato senso dello spettacolo. Era d’effetto, in piedi, con una mano in tasca e l’altra impegnata a far l’amore con la birra.

E lo sconosciuto iniziava a provare un certo quel nervosismo.

Rabbia, era rabbia. Decisamente.

“Carlos Suarez.” – ringhiò – “Con chi ho l’onore?”

“Con me.” – si impose, il giovane inglese, con un passo noncurante verso di lui.

Quanto bastava perché quello, nervosamente, ne facesse uno indietro.

Idiota, pensò Methos, squadrandolo mentre Edward si frapponeva, se avevi così paura potevi andare per la tua strada… e non attaccar briga…

“E tu chi saresti?” – stava insistendo l’altro. Portava un orecchino e aveva l’aria incolta. E sembrava un pirata innanzi ad un ufficiale di marina, nel suo confrontarsi con il biondo inglese. Edward, così sassone e così elegante, lo faceva sembrare ancora più dozzinale. E insignificante.

“Il tuo avversario. Non sei qui per combattere?”

“Qui?”

era una domanda sciocca. Sulle labbra di Edward aleggiò un sorriso soddisfatto, da predatore.

“No.” – spiegò il più dolcemente possibile – “ Qui non mi sembra il caso. Se proprio dobbiamo farlo, dovremmo spostarci… per dare meno dell’occhio…”

Forse fu in quell’istante che l’uomo si sentì provocato e sbeffeggiato. Oppure, più semplicemente, decise che era ora di mostrarsi veramente guerriero.

“Allora andiamo. Non vedo l’ora di avere la tua bella testa in trofeo.”

Edward alzò gli occhi al cielo. Poi si voltò verso Methos che, a quanto sembrava, non aveva nessuna attrattiva per il bifolco.

“Mi spieghi perché ce l’hanno tutti con la mia testa?” – domandò, sottovoce – “Ma minacciano anche te in questo modo?”

“Oh no, mio giovane leone.” – ridacchiò Methos, senza muoversi, mentre l’avversario di Edward marciava verso una strada secondaria – “Io ho il naso grosso e le orecchie a sventola. Tu invece sembri l’angioletto dell’albero di natale…”

“Ma che spiritoso.” – Edward gli sorrise – “Ci vediamo dopo?”

“Certo. Faccio quattro passi, poi passo a recuperarti.”

“Ottimo.” – Edward si era già voltato, quando una mano lo trattenne per un braccio.

“Senti.. in fondo a quella strada c’è un parco. È un posto tranquillo.. nessuno vi darà noie.”

“Ricevuto.” – Edward annuì, sorridendogli ancora.

E si addentrò nelle tenebre, sfilando la spada dal giaccone.

E Methos si voltò, percorrendo il marciapiede nel senso opposto e fingendo di non essere preoccupato.

 

***

 

Lo schizzo di sangue si levò alto e nitido. Quasi trasparente, come un raggio di luna.

Ed Angel si spostò, per non essere centrato in pieno, prima di riaccostarsi al cadavere del demone e pulire la lama della spada.

Avesse potuto, avrebbe sospirato, per il dispiacere di aver già terminato.

Del resto, la notte era ancora lunga…

 

Spike e Doyle ancora non si vedevano. Ma, conoscendoli, Angel sospettava che stessero già venendo verso di lui.

Attraversare il parco richiedeva tempo… ed era tempo anche quello che voleva Angel.

Tempo per scovare altro con cui combattere.

E una buona causa per farlo.

 

Non ebbe tempo di crogiolarsi in quei ragionamenti.

La battaglia era ricominciata.

E Angel si gettò nella mischia.

Dopotutto, erano solo cinque…

 

Nello stesso momento, Edward stava compiendo gesti identici, ma contro un solo nemico.

Misurati, impeccabili e senza dubbio più precisi di quelli del suo avversario. Il quale, palesemente, mirava a mutilare per poi decapitare.

Edward, d’altro canto, non condivideva questa politica. Amava combattere ma non uccidere. Se doveva farlo, era misericordioso, rapido e senza esitazione.

Nessun trucco. Si limitava a disarmare e decapitare.

E, di certo, non si sarebbe lasciato tagliare a fette da un tizio che non era al suo livello.

Da quel punto di vista, Edward era veramente ancora un dandy. Se doveva morire, aveva la pretesa, di essere ucciso da un nemico onorevole. Un immortale disposto a dimostrargli rispetto anche nello staccargli la testa. Uno che non volesse i suoi capelli biondi, i suoi occhi o il gusto di dimostrare che chi ha i lineamenti delicati è un debole.

Perché Edward non era un debole.

E questa era ancora una delle poche certezze della sua vita.

 

Non si illudeva di essere veramente immortale. Mentre combatteva, parava e attaccava, poteva solo pensare alla vita piena, alle donne e alle passioni che aveva avuto.

All’amore.

Già, l’amore…

Si scostò, rapido, cercando di non pensare a William. A Spike che combatteva per quelle stesse vie e, come lui, forse, combatteva la sua ultima battaglia.

Oppure una tra altre mille.

 

Si mosse, correndo su dalla parete. Rapido, senza una vera fatica. Carlos Suarez iniziava a dare segni di fatica. Ma Edward non aveva voglia di smettere.

Ormai la battaglia era decisa… non sarebbero più tornati indietro.

Un minuto, forse due di troppo erano trascorsi.

Adesso giocavano per la vita, adesso non c’era più solo il desiderio di provocare.

Edward schivò un altro colpo, correndo con la mente a quel fratello che forse non avrebbe più riconosciuto. Un fratello così cambiato da essere ormai uno sconosciuto per strada.

E la rabbia lo accecò. Pura, come il dolore ai polmoni che temeva ancora, nei suoi incubi peggiori.

E, con urlo, separò il capo del suo avversario dal resto dell’esistenza.

 

Un urlo.

Angel riaccostò i lembi della camicia sul taglio ormai rimarginato e si voltò, guardandosi intorno, cercando di scoprire da dove provenisse.

Cento metri più in là c’era un’uscita del parco, un cancello perennemente aperto e ormai invaso dai rampicanti.

Era un posto strano, quasi gotico, nel cuore di una città come Los Angeles. Tra due ampi caseggiati, il cancello si apriva su un piccolo spiazzo, leggermente più basso del livello della strada.

Da questo lato il cancello, con la sua gradinata e, dall’altro, illuminata dai lampioni, una strada lunga e stretta.

 

E, in mezzo a quelle due strade.. l’inferno.

 

Nell’attimo stesso in cui la testa si era separata dal corpo, era cominciata la reminiscenza.

Violenta e dolorosissima.

Le luci dello spiazzo lampeggiarono, prima di spegnersi. E poi di esplodere, con violenza. Una pioggia di schegge e scintille inondò il cielo, coprendo con il frastuono i rumori del traffico.

La colonna di luce si mutò in bagliore bianco e accecante.

Le tubature dell’acqua, sulle facciate dei palazzi e appena sotto l’erba del prato, si piegarono, scoppiando.

Edward allargò le braccia e sentì la forza del suo avversario investirlo, come un tir in corsa.

 

Angel, istintivamente, strinse gli occhi e non si mosse.

Al centro di quella luce c’era una figura. Un maschio, potè intuire, dal torace, dalle braccia lunghe e aperte verso l’esterno.

La forza della corrente lo avvolgeva e lo stava sollevando da terra.

Sotto i suoi piedi, si stava lentamente diffondendo dell’acqua, dalla fontana e dalle tubature ormai scoppiate. E, in essa, si rifletteva tutta quella luce, in un gioco di rifrazione inarrestabile.

Un metro, quasi due.

E l’uomo vi si abbandonava, la testa indietro, la schiena inarcata, come se quell’energia potesse sorreggerlo e portarlo fino al cielo.

 

Poi, d’un tratto, tutto finì.

La luce finì.

Come la forza.

Come il suono.

Il ragazzo, un giovane biondo, alto e sottile, con un lungo capotto scuro, ricadde a terra, in ginocchio.

 

***

 

Qualunque cosa fosse… era magia.

Angel strinse l’impugnatura della spada e si avviò, circospetto verso quello spiazzo ormai in penombra.

Alcuni lampioni si erano salvati ed ora, con intermittenza, illuminavano la scena. Ed Angel, scendendo con lentezza la scalinata, studiò i segni di quello che, per intuito, sapeva essere un campo di battaglia.

Poi si fermò, un piede ancora sull’ultimo gradino. E attese.

Con gesti studiati, il ragazzo si stava rialzando. In apparenza dimostrava venticinque, forse trent’anni al massimo. La spada, nella sua mano, era come un prolungamento naturale. Un’arma europea, con una lama tanto lucida da impressionare.

Il bagliore che emanava era appannato da un liquido rossastro dal profumo inconfondibile.

Sangue.

Sangue fresco.

Quell’uomo aveva appena ucciso. E, qualunque fosse la motivazione, aveva ucciso un umano.

Poco lontano da lui, riverso, c’era un corpo senza testa.

Angel non si mosse, sotto il suo sguardo freddo. Aveva occhi azzurri e il sudore gli imperlava la fronte, come se fosse stato vicino ad una fiamma troppo calda. Le labbra screpolate, le guance arrossate.

Forse tremava, impercettibilmente.

Ma non aveva paura.

Angel protese i sensi, movendo alcuni passi in diagonale, per arrivare più vicino.

Il cuore dello sconosciuto batteva, irregolare. Per lo sforzo, ma senza alcuna agitazione.

 

Fermo, sguardo nello sguardo.

 

Edward si rialzò, cercando di non barcollare. La reminiscenza lo aveva svuotato, assorbito del tutto. In lui si agitava ancora lo sgomento dell’ucciso. Una manciata di sentimenti residui, dell’ultimo istante, che presto sarebbe evaporata.

Di Carlos Suarez sarebbero rimasti un istinto alla sopravvivenza e qualche mossa di scherma. Il resto, la sua conoscenza in particolare, si sarebbe fusa con quella di Edward e sarebbe svanita, all’interno del suo modo di essere e vivere.

Edward era forte.. mai il vinto avrebbe occupato il vincitore.

 

Dapprima era stato concentrato solo su questa battaglia interiore. Con William ancora nella mente, William, a cui doveva quella vittoria, William che aveva in sé perennemente una lotta del genere.

Poi si era reso conto di non essere solo.

 

Non immortale.

Ma armato di spada.

 

Ora, dritto di fronte a lui, si prese tempo per studiarlo. E per riprendere il controllo del suo corpo.

Era un uomo, bruno, dalle spalle larghe. La spada che stringeva tra le mani non era quella dello sconfitto.. il che significava che era stato armato prima ancora di giungere in quello spiazzo. Aveva la camicia strappata, proprio all’altezza del cuore. Ma la pelle, subito sotto, era intatta e perlacea nel colore. Aveva combattuto, c’erano segni di terriccio sulla giacca e sulle scarpe.

Veniva dal parco… il posto che Methos aveva definito tranquillo.

 

Il suo esame non portava lontano.

L’uomo, scuro anche di iridi, lo fissava, senza muovere un muscolo. La posizione incurante dl polso era voluta. Era pronto a scattare, ma del tutto privo di ostilità.

I suoi occhi correvano da lui al decapitato, con lentezza.

Non si stupiva di quello che vedeva, doveva essere avvezzo alla morte. La spada, tra le mani, faceva di lui ben più di un semplice testimone.

Ed Edward sapeva di essere sotto processo.

Non si poteva fuggire ad uno sguardo del genere.

 

Ed Edward decise che, dovendo scegliere, era meglio giocare in attacco.

“Non sei uno di noi.” – disse, ad un tratto, per provocare una reazione.

L’uomo lo fissò dritto in viso, smettendo di studiare la scena.

“Voi chi…” – chiese, senza modulazione, senza apparire uno che chiede.

Un accento strano. Edward rigirò rapidamente quelle due parole in testa, cercando un appiglio. Nessuno pronunciava più le parole in quel modo…

Ma non era abbastanza.

“Non sei uno di noi.” – ripetè, giocando al suo stesso gioco. Non più una domanda, ma una constatazione. Eliminando, come aveva fatto poche ore prima, innanzi a Faith, ogni sfumatura d’accento.

E l’uomo gli rispose, con un sorriso sbieco.

Non era ostile, non era un nemico. Ma aveva voglia di combattere. Poteva sentirlo, come poteva percepirlo negli immortali che incontrava, quelli desiderosi di battaglia e quelli propensi alla parola.

Tutto, nel corpo, poteva comunicare le intenzioni. Ed Edward faceva di questo luogo comune una strada per sfondare le barriere dell’avversario.

Ricambiò dunque l’occhiata, prima di spostarsi sulla sua figura. Fino a terra.

L’acqua stava rendendo lucido lo spiazzo. E tutto di rifletteva al suo interno. I lampioni accesi, le fronde degli alberi del parco, in leggero movimento.. se stesso…

Ma nessun nemico.

 

La mente di Edward impiegò un attimo a registrare questo particolare.

Nella scena capovolta e bidimensionale, a terra, non c’era l’uomo bruno.

Non c’era il suo riflesso.

 

“Aspetta! Mi stai dicendo che è vera anche la questione del riflesso?”

 

Oh, cazzo…

 

Il ragazzo biondo ci sapeva fare. Non dimostrava paura, ma semplice circospezione.

Con un rapido movimento delle pupille, denunciava la continua registrazione di dati.

Ma non lasciava trapelare alcuna decisione.

Per Angel, solo una cosa era certa.

 

Il corpo ai suoi piedi era umano.

E morto.

Barbaramente ucciso.

 

Poi, quando Angel meno si aspettava di aver trasmesso un’informazione, accadde qualcosa di strano.

L’uomo biondo fece un passo verso di lui, sempre ad occhi bassi.

Poi un altro passo.

E uno ancora.

E quando si fermò, Angel ebbe la netta impressione che il suo cuore avesse accelerato i battiti. Ovunque volesse arrivare, era giunto. Quando rialzò gli occhi chiari, Angel vide che un sorriso gli era affiorato sulle labbra.

Un sorriso studiato, senza alcuna crudeltà.

E decise di agire.

“meritava questa morte?” – domandò, movendosi in semicerchio. Ammirando la sua decisione di restare fermo, con l’arma in pugno distesa al fianco.

“E’ stata una scelta consapevole.” – commentò Edward, freddo.

 

Vampiro.

Quello era un vampiro

Niente riflesso.

 

“Vendetta?”

“Può darsi.” – annuì, continuando a seguirlo col capo, nel suo lento girargli intorno.

Il vampiro giocava al predatore. Ed era dannatamente bravo a celarsi.

Oscuro e forte, come un immortale antico. Un avversario degno…

“Può darsi che fosse un innocente…”

“Ne dubito.”

“Tu ne dubiti…”

“Già.” – Edward si voltò fissandolo beffardo – “Conosci per caso un vero innocente su questa terra?”

“Qualcuno.” – avanti, rivelati…

“Qualcuno.. ma che vampiro fortunato…”

 

Touchè.

 

“tu sai cosa sono…” – Angel sorrise, dondolando la spada divertito. Pregando fervidamente che, giunti a quel punto, nessuno li interrompesse – “allora sarebbe ora di presentarsi…”

“Non credo sia necessario.” – lo provocò Edward, spostando il peso, con atteggiamento provocatorio – “Decidi se vuoi combattere con me…”

“Non è mia abitudine andare in giro a duellare.. ma devi sapere che non mi vanno a genio gli uomini che decapitano altri uomini per le strade della mia città.”

Le strade della sua città…

 

Perché, in lui, a rigor di logica privo d’anima, percepiva un lotta di sentimento e non crudeltà pura?

Possibile…

 

Fu in quell’istante che Edward ebbe consapevolezza del sospetto tanto atteso.

Un vampiro.. bruno ed enigmatico.. disposto a interessarsi di un corpo decapitato…

Una forma di morale, stretta in un desiderio di combattere a malapena represso…

 

“E tu cosa saresti? Un paladino?”

La frase gli era sfuggita di bocca, più veloce dell’intuizione.

Se era vero quello che Methos predicava, quella doveva essere la frase chiave. Il fulcro di ogni ricerca… prima di giungere al sentirsi redento.

 

Angel sentì una risposta degna di Angelus salirgli alle labbra e represse l’istinto di pronunciarla, con violenza. Quello sconosciuto lo stava provocando con un’ostilità che prima non c’era, ma ora stava aumentando di intensità, secondo dopo secondo.

 

Ma la sua domanda era lecita. Così lineare, così provocatoria da sembrare pronunciata dal destino.

E tu cosa saresti? Un paladino?

Ed Angel si rese conto che, per pochi istanti, aveva dimenticato.

Lui era un paladino.

E non un vendicatore.

Era un guerriero. E lo sarebbe stato, fino alla fine delle sue colpe.

“Una specie.” – rispose, senza un sorriso. Senza ironia nella voce.

Solo con consapevolezza.

 

Una specie…

 

Fu in quello sguardo tormentato che Edward ebbe la sua risposta.

Un demone, in lotta con se stesso. Un’anima perennemente tesa per reprimere la violenza…

Una volontà di redenzione.. un senso di giustizia…

 

Il segno del destino era giunto. Finalmente.

 

“Allora ritengo che dovremo combattere…” – commentò, con un elegante passo indietro – “Angel.”

 

***

 

Per un attimo pensò di essersi sbagliato. Di aver sentito male.

Lo sconosciuto l’aveva chiamato per nome. L’aveva appena sussurrato, per se stesso.

 

Lo osservò spostare il peso sulle gambe. E prepararsi, a spada tesa verso di lui, invitando alla lotta.

Istintivamente si pose in difesa.. e attese la prima mossa.

 

“E’ una cosa indispensabile?” – domandò, mentre Edward percorreva a grandi passi il suo stesso semicerchio, in direzione opposta.

“No.” – lo sconosciuto biondo aveva un’espressione assorta – “Non è necessario. Ma credo che lo faremo comunque… mi hai giudicato e, sulla bilancia della giustizia, quel corpo pesa, ai tuoi occhi, quanto le tue vittime…Angel.”

Adesso l’aveva pronunciato con la voce della condanna.

Quell’uomo lo conosceva.

“Condanni anche te stesso con la stessa volontà?” – domandò ancora, ruotando la spada nella mano – “Condanni ogni notte come vorresti essere condannato?”

Aveva una voce chiara e limpida.

Del tutto priva del desiderio sfacciato di sangue che talvolta avevano i suoi nemici.

Si muoveva, rilassato, senza rinunciare a quella spada tesa, puntata al suo cuore. Ma sapendo che, prima dell’acciaio, l’avrebbe potuto colpire con le parole.

Angel si mosse, seguendo l’orbita contraria.

“Fa parte del gioco…”

“Ah! Il gioco…” – lo sconosciuto accennò un sorriso – “Certamente. Tutti abbiamo una partita da condurre… ma come ci si sente ad aver combattuto su entrambi i fronti?”

 

Dannazione…

Angel si voltò, esponendo il torace. Abbassando l’arma.

Non voleva combattere con quell’uomo.

Perché quell’uomo, con quello sguardo e quella voce, parlava senza intonazione della sua esistenza.

L’aveva chiamato Angel.

Non Angelus.

Riconosceva la differenza tra le due parti. E lo sapeva al servizio del bene. Eppure cercava la lotta.

Perché?

 

“Non combatto più per l’oscurità.” – commentò, rinunciando a nascondersi – “il mio demone è domato… se è lui che ti ha portato via qualcosa, sappi che ora sta pagando per le sue colpe.”

“Lo so, Angel.” – l’aveva pronunciato con un’inflessione strana. E aveva accompagnato quel consenso con la spada tesa, alzandola, fino alla sua gola – “So della tua Redenzione. Come so dei tuoi delitti. Ma ora dimmi… chi dei due può vincere, se entrambi abbiamo ucciso? Chi di noi sta servendo la giustizia, ora…”

un sorriso soddisfatto aleggiò sulle labbra di Angel.

Passo falso, amico mio…

“C’è differenza.” – spiegò, andando incontro a quella lama stesa – “Tra vendetta e giustizia…”

Edward aggrottò le sopracciglia, concentrandosi. Era dannatamente forte, anche nello spirito. La sua fede nel giusto non vacillava,

Se solo il suo demone fosse emerso…

Sarebbe stato tutto più facile…

Edward fu veloce a decidere. Quando Angel si trovo finalmente a pochi passi, si mosse con l’arma. E, con una semplice rotazione, lo costrinse a portare l’arma dalla difesa all’attacco. Ora che le loro lame si incrociavano, tra i loro visi, Angel era veramente a pochi passi da lui. In un avversario normale, avrebbe avvertito il respiro.

Avrebbe potuto addirittura percepire il calore, il sudore della tensione.

Ma da Angel non trapelava nulla. Era semplicemente… freddo.

“Tu non vuoi questo combattimento come non lo voglio io.” – mormorò il vampiro, fissandolo dritto negli occhi – “Sai chi sono, sai che non sono Angelus… ma non vuoi lasciarmi andare… perché?”

“Perché ti considero degno…” – replicò Edward, prima ancora di rendersi conto – “Nella proporzione in cui ti vorrei morto.”

Angel era l’avversario che attendeva da sempre.

Colui che avrebbe potuto ucciderlo, senza lasciargli rimpianti. Ucciderlo con onore.

E, in quel momento, ad Edward non importò nulla della reminiscenza perduta, della sua vita ancora da vivere, o del suo passato.

Desiderò solo non mancare l’occasione unica di avere una morte onorevole. Anche se giungeva prematura.

Angel lo studiò nella gamma di emozione che gli trapelò dai lineamenti. C’era addirittura ammirazione, in quello sguardo complesso…

Era equilibrato e del tutto privo di zone d’ombra. Angel poteva percepire un’intelligenza pronta e sottile, da ogni sua parola, da ogni modulazione che impostava, nel parlargli.

Quell’uomo leggeva nelle persone.

E non dispensava la morte per soddisfazione personale.

Anche ora, intimamente concentrato in quel duello che desiderava combattere, non provava il desiderio di uccidere.

 

Vuoi combattere e prevaricare…

Ma non mi vuoi uccidere.. buon dio, non stai nemmeno desiderando di punirmi.

Che cosa stai cercando, se non vuoi la mia vita e non vuoi la mia morte?

 

“Perché vuoi combattere…” – provò a chiedere, ancora.

la forza con cui lo travolse gli fece perdere il senso della frase. E lo fece arretrare, incespicando.

Il suo nemico si era spostato, rapido.

Per un attimo, Angel si concentrò sul fruscio di quel dannato cappotto. Un suono pieno, pesante, delle pieghe una contro l’altra, nel movimento.

Ma la concentrazione di Angel non tardò a ritrovare il suo punto focale. Il ragazzo era fermo, sotto uno dei lampioni ancora accesi.

La luce precaria sopra il suo capo lo incoronava d’oro, disegnandolo con ombre scure… e rendendo ancora più profondi gli occhi.

Enigmatico.

Come se fosse travolto da un infinito rimpianto, da un intimo dispiacere nel sapere ormai scritto il seguito.

Un attimo.. un gioco di luce…

Quell’espressione… quell’affrontare il proprio destino senza paura…

Quegli occhi…

Dove potevano già essersi incontrati.. dove poteva averlo ferito così profondamente.. cosa poteva avergli strappato… cosa…

 

“Avanti” - lo incitò Edward, senza proseguire l’attacco con un affondo. Facendo un passo avanti, tornando in piena luce – “Rispondi alla provocazione…”

 

Per quanto Angel si dominasse, per quanto ritenesse di aver di fronte una personalità unica, il desiderio di lotta si impossessò di lui.

Dimenticò quell’esitazione, dimenticò il pensiero inconscio, il ricordo che non voleva emergere e si concentrò sul presente.

Sulla rabbia che dominava a stento ormai da giorni… sul suo demone, che urlava, forte come non mai.

 

Era uscito di casa cercando qualcosa del genere.

Cercava la lotta.

Voleva la pace.

 

E quell’uomo, si ricordò, era un assassino. Quella testa mozzata che giaceva lontano dal suo corpo d’origine, era un monito.

Non importava chi fosse… o da dove venisse.

Non importava nemmeno perché lo conoscesse.. e sapesse parlargli in modo così efficace.

Era giunto fin lì e aveva ucciso.

Ed ora, avrebbe pagato.

 

Hai ragione, Angel, considerò Edward, rispondendo al primo attacco.

È solo vendetta.

Ti sei preso mio fratello…

Con entrambe le tue forme…

Ed io voglio vendetta… e se non potrò avere Angelus… avrò almeno te…

 

***

 

“Sei certo della direzione?” – domandò Spike, lasciando che doyle lo superasse.

“certamente. Sono la guida degli eroi… so sempre dove andare…”

“Peccato io non veda eroi nei paraggi.” – commentò Spike, accendendosi una sigaretta – “So che siamo due demoni in un parco cittadino che corrono in direzione di un’esplosione.”

“Dove c’è un esplosione di luce c’è anche, matematicamente, un vampiro con l’anima che combatte.”

“Ah si?”

“Oh si, credimi.. Angel non resiste alla tentazione di un evento soprannaturale.. se solo ha visto.. ed era difficile non vedere… sta già correndo lì…”

 

Methos era quasi alla macchina quando uno strano nervoso si impadronì di lui.

Un brivido lo percorse, nella sua interezza.

E il lampione che illuminava il fuoristrada crepitò, affievolendosi, prima di tornare luminoso.

In sequenza, quasi a indicare la direzione da cui proveniva l’energia, scricchiolarono anche gli altri, allontanandosi.

Reminiscenza…

Chiunque fosse il vincitore.. era finita.

Methos si concesse il lusso di un respiro profondo, poi salì in macchina e mise in moto.

Non prima di aver posato la sua spada sul sedile a fianco.

C’era Edward da recuperare… oppure una vendetta da compiere.

 

***

 

Il piacere della spada è un amore antico.

L’estendersi delle braccia, l’allungarsi del busto…il piacere del volo nella furia della caccia.

Edward si piegò sulle gambe, scattando verso di lui. Angel, riusciva a muoversi in un modo liquido e rapido.

Era un buon schermidore, preciso e fantasioso. Non sviluppando il suo mondo e la sua esistenza come una linea retta, ritrovava nell’arma bianca una realizzazione armonica e vibrante della battaglia.

Le regole e la disciplina fuse nell’istinto.

 

L’uomo biondo sembrava condividere questa sua filosofia. La spada, l’espressione ridente nel sentire la lama fischiare.

E l’assoluto controllo.

Non si era lasciato prendere dalla furia, aveva invitato la battaglia con la determinazione di chi combatte per un buon motivo.

Determinazione.

Credo.

I suoi gesti erano precisi… ma la sua forza stava nello sguardo.

 

Il buon motivo… quasi amore…

 

Angel si arrestò, studiando il prossimo attacco.

Di nuovo quella sensazione.

Lo strano sospetto di conoscerlo e non averlo mai visto. Il suo avversario gli era famigliare, ma troppo giovane per avere un conto in sospeso con Angelus.

A meno che…

 

Un avversario con il capo mozzato…

 

La spada di Edward fendette nuovamente lo spazio tra loro e aprì con maleducata impazienza la manica della giacca di Angel, del tutto assorbito dalla riflessione. La lama risalì rapida lungo la pelle e poi, giunta alla giugulare si discostò.

Inaspettatamente.

Rinunciando alla vittoria.

Edward stava camminando a ritroso, con aria divertita.

“Angel, attento…” – Edward fece ancora un passo indietro, e poi uno di lato – “Sei distratto… a cosa stai pensando? A dove ci siamo conosciuti?

A cosa mi hai fatto?

Mi spiace, non c’è redenzione per la tua colpa nei miei confronti…”

“Se ne sei così sicuro, raccontami.” – lo provocò Angel, con una nuova parata – “Perché è così grave da non riuscire a ricordarlo…”

“Non ti serve sapere… basta a me. E poi, dopotutto, tu temi il motivo per cui io combatto con te…”

 

Angel lo fissò, dilatando le pupille.

Ancora una volta si rese conto che quel ragazzo non voleva ucciderlo. Stava combattendo… per difendersi.

Tu temi il motivo per cui combatto con te…

Non c’era mossa che potesse essere perfetta, non c’era azione che potesse essere ancora più precisa. Non c’era nulla che valesse come un buon motivo.

Credere.

Soltanto credere.

 

"Hai perso perché hai dubitato. Hai smesso di credere in quello che facevi. Probabilmente hai avuto paura del perché io combattessi con te…"

 

Il credo di Spike. Nitido, lineare, come era stato allora, nell’insegnare a Faith. Il perché.. perché senza una causa non avrai mai un effetto.

Perché c’è proporzione d’intensità tra il volere e l’ottenere.

Il credo… quegli occhi…

 

“Fermati.”

 

Angel si era raddrizzato, abbandonando la posizione di battaglia. Immobile, poco discosto dal centro dello spiazzo.

“Non intendo proseguire questa stupida sfida.” – commentò, implacabile – “Hai motivazioni che non vuoi dirmi ed io non potrò mai vincere su un peccato reale.

Vuoi vendetta? Mi spiace, non ne avrai.

Sto espiando.

E non mi farò uccidere fino a quando avrò forza di continuare la mia missione.

E ancora oltre…”

 

Edward camminò verso di lui, la spada dietro la schiena, nessuna intenzione di attaccarlo.

“Continua ad espiare, allora.” – commentò, arrivandogli vicino, riuscendo finalmente a scorgere il buio che si annidava nei suoi occhi – “Ma ora combatti, perché il mio sangue che hai versato reclama questo diritto. Se non combatti per la tua vita, allora combatti per la tua missione.”

 

Ed Angel lo attaccò. Incontrando resistenza, arretrando e tornando ad avanzare, senza più fermarsi.

Ridendo, della stessa risata liberatoria del suo avversario.

“Dimmi, Angel…” – insistette Edward, in ginocchio, usando la spada come un’asta, la mano sinistra sulla lama – “Ha mai letto Chu Yuan?”

Angel non gli rispose che con lo sguardo, saltando indietro e osservandolo rialzarsi.

“E un poeta cinese…” proseguì Edward, asciugandosi il sangue di un lungo taglio sul palmo.. nascondendo la mano, mentre si rimarginava – “del IV secolo avanti Cristo… scrisse di una battaglia del genere…”

si interruppe, per colpirlo, per calare la lama sulla sua testa.

Esultando, nel trovare resistenza, nell’essere ancora cosi vicino alla sua attenzione e non ancora riconoscibile.

“In mano i lisci brocchieri,” – sussurrò, a pochi centimetri dalle sue labbra – “In dosso le nostre corazze di pelle,

Gli assi del carro si toccano,

Le corte spade si incrociano;

Gli stendardi oscurano il sole,

…”

 

Angel lo respinse, con foga. Ed Edward, impossibile da far cadere, arretrò, girando su se stesso e tornando a colpire.

 

“ In mano i lisci brocchieri, In dosso le nostre corazze di pelle,…” – ripetè, canzonandolo, per quel loro continuo inseguirsi e replicarsi.

 

Un’ampia rotazione, aggrappato al lampione. E un calcio ben dato, al centro del suo stomaco.

Edward si piegò su se stesso, con un colpo di tosse, poi scattò nuovamente, spingendolo, prima di tornare a colpire di spada.

Seguitando a parlare.

 

“ Gli assi del carro si toccano, Le corte spade si incrociano; “ – ringhiò, costringendolo a muoversi e a difendersi – “ Gli stendardi oscurano il sole, I nemici son come nuvole, …”

 

ad ogni parola seguiva un colpo. Angel si difendeva e, quando attaccava, era pericoloso, ad un passo dall’essere mortale.

Ma Edward, ormai, si sentiva risucchiato come da un vortice…

E del tutto intenzionato a non smettere.

 

“Dove vuoi arrivare…” – gli sussurrò Angel, al loro ennesimo incontrarsi – “Non vuoi morire e non vuoi uccidermi. Dove vuoi giungere, in questa tua impresa…”

“Da nessuna parte… e non mi importa assolutamente niente.” – rispose, prima di tornare a declamare, con rabbia – “ Spesse, spesse le frecce cadono,

I guerrieri premono avanti,

Minacciano i nostri ranghi, spezzano le nostre linee; “

 

Stava diventando tutto troppo veloce. Angel ruotò su se stesso, colpendolo di nuovo con un calcio. Avanzando verso di lui, mentre scivolava a terra. Combattevano sull’acqua da ore, senza fermarsi, senza badare al mondo circostante.

Edward alzò la testa, fissandolo.

“Il trapelo sinistro è caduto, quello di destra è colpito;” – rispose, a quel sostare di Angel che lo sovrastava – “ I cavalli atterrati ci bloccan le ruote, Intralciano i nostri cavalli aggiogati.”

 

“Ti prego, smettila…”

lo sapevano entrambi. Uno di fronte all’altro, Edward ancora in ginocchio, il viso alzato verso di lui.

Stava per succedere.

Uno di loro sarebbe morto.

E nessuno dei due voleva realmente colpire.

Ed Angel si sorprese a pregare, perché qualcosa, o qualcuno, ponesse un limite a quella follia.

“Hai paura, Angel?” – domandò, rialzandosi e passandogli a fianco – “Hai paura di fare una cosa che non vuoi?”

“La stessa che hai tu.” – ribattè, senza voltarsi. Quasi schiena contro schiena, lo sguardo perso nella notte. Nemici leali.

“Ora non possiamo più fermarci….” – Edward strinse le labbra, fissando la vegetazione del parco.

Ora so chi sei…

E ti ammiro…

Perdonami, Angel.. ma avevo bisogno di capire…

“Ti prego.. chiunque tu sia…”

 

Non poteva lasciarlo terminare. Ancora una parola del vampiro e avrebbe svelato tutto.

E quindi, senza più attendere, attaccò.

Ed Angel rispose.

 

***

 

Ancora rumore di battaglia. Methos percorse la strada con la spada in pugno. Qualcuno stava ancora combattendo. Il clangore era forte, serrato.

In quel combattimento c’era una foga incontrollata, ad un passo dall’esser violenza.

Superò l’ultimo ostacolo della sua visuale.

E li vide.

La testa bionda…

Le spalle ampie e i movimenti rapidi…

 

E, con un attimo di ritardo, la sensazione che uno solo fosse immortale… ma che in due fossero dentro l’eternità.

E non potè trattenersi dall’imprecare.

 

“Da quando i maghi cozzano di spada?” - Domandò Spike, arrivando dietro Doyle e preparandosi alla lotta.

Doyle si era fermato, pochi metri prima di attraversare il cancello.

Angel stava combattendo con uno spadaccino longilineo come l’arma che teneva in pugno.

Un cappotto lungo, ormai datato e una tecnica superba.

Registrò rapidamente i particolari, mentre Spike, al suo fianco, seguitava a parlare.

Ignorandolo.

Fino a renderlo partecipe delle sue scoperte.

E della sua comprensione.

“Merda.” – mormorò, fissando la testa recisa e abbandonata nell’aiuola.

 

Ancora un attacco.

Sappiamo entrambi che sarà l’ultimo…

 

Ora.

 

In ginocchio, la lama puntata alle reciproche gole.

Come Faith e Buffy, pensò Angel, quel giorno…

E, come loro due, anche noi dobbiamo avere qualcosa in comune.

Per la prima volta, dall’inizio di quel combattimento onirico, smise di guardarlo come nemico.

E lo vide semplicemente come una persona.

Con un’unica occhiata ne percorse i lineamenti puliti, gli zigomi affilati e le labbra. Ancora una volta ebbe l’impressione di andare a caccia di qualcosa che doveva essere appena sotto la superficie.

Lo guardò, ne respirò l’essenza maschia e il battito rapido del cuore. E capì, nell’attimo in cui vide le sue pupille dilatarsi e lo sguardo farsi, per un attimo, assente.

 

Conosceva quell’espressione.

L’aveva già vista.

 

Ma certo…

 

Methos. La percezione dell’immortalità di Methos.

E quindi… la luce di poco prima… reminiscenza.

 

“Sei un immortale” - Mormorò, senza interrompere la pressione della spada sul suo collo.

Guardandolo sorridere, in una beffarda conferma.

E poi dischiudere le labbra. E rispondergli.

“Al fianco hanno ancora le spade, in mano i loro archi neri.

Ma se hanno staccate le teste i cuori non ebber domati;

Furono più che valenti: da morti restano sempre guerrieri.”

 

Angel era divenuto indecifrabile.

La verità gli era evidente, almeno in parte.

Ed Edward, tutto sommato, ne fu felice. L’odio che aveva provato per lui era finalmente sfumato. Non c’era più nessun vero rancore, nei suoi confronti.

Adesso l’aveva conosciuto e aveva compreso cosa, in lui, potesse esserci di così speciale.

Aveva capito cosa portava a William ad accettarlo e forse, a modo suo, secondo regole che Edward non poteva capire, a perdonarlo.

Angel era un guerriero della luce.

E la sua vita era preziosa, per il creato.

Peccato averlo compreso così tardi…

 

E fu quell’ultimo sorriso, aperto e gentile, che Angel fece la sua mossa.

E pose la parola fine in fondo a quell’incontro.

 

***

 

Edward rotolò lontano.

Angel l’aveva colpito ma non l’aveva ucciso. Aveva la lama posata sul suo punto debole, con una minima torsione avrebbe potuto staccargli la testa. Ma non l’aveva fatto. E non aveva temuto Edward, quasi suo speculare, con la spada appoggiata sul suo collo…

Un immortale si stava avvicinando. Il percepirlo, repentino, l’aveva distratto ed Angel l’aveva atterrato, approfittando della sua percezione.

Con un ceffone.

Un colpo seguito da un calcio in pieno petto.. e da un altro, per spingerlo lontano.

 

Edward non aveva mollato la spada. Ed Angel, rialzandosi, non si curò di disarmarlo.

Il suo istinto gli diceva che il ragazzo non aveva più interesse a combattere.

E lui, in piedi, vincitore senza gloria, non poteva che essere d’accordo.

 

Edward tossì, cercando di puntellarsi sui gomiti.

Ed un altro calcio lo centrò in pieno stomaco, facendolo girare, facendogli sbattere anche le scapole.

 

Quest’ultimo attacco lo sorprese più dei precedenti.

Angel l’aveva colpito per allontanarlo.

Ma quest’ultimo.. bhe, quest’ultimo calcio gli era sembrato decisamente irritato.

E gratuito.

Aprì un occhio, cercando di riprendere il controllo della sua respirazione.

E non gli piacque affatto sentirsi una punta acuminata appoggiata subito a lato della carotide.

“Muoviti.” – sussurrò Methos facendo pressione – “E giuro che faccio quello che Angel non ha fatto.”

 

Doyle e Spike avevano seguito tutta la scena. Senza intervenire.

C’era qualcosa, in quella sfida, di tangibile.

Né Angel né lo sconosciuto volevano essere interrotti.

Ed entrambi i demoni, con la sensibilità che li contraddistingueva, avevano compreso di non poter far nulla.

Se non guardare, resistendo al desiderio di accendersi anche una sigaretta.

Guardare quelle due figure in penombra, ferme, in attesa di un passo falso.

 

Doyle aveva continuato a fissare l’avversario. Come Spike, per quanto si sforzasse, non riusciva a scorgerlo nitidamente. L’avvicinarsi avrebbe distratto i due combattenti, con il rischio di ribaltarne le sorti.

Ma, anche da lontano poteva constatare che quel giovane uomo biondo era abile, determinato quanto Angel.

Anche da qui, nel silenzio della notte, nel non sentire le parole che si scambiavano sottovoce, poteva comunque visualizzare la sua forza di volontà e la sua personalità forte.

Non era un avversario comune.. ma le Alte Sfere non gli avevano dato mezzi in anteprima per comprendere chi fosse.

Eppure Doyle, con un fiuto raffinato da anni di predestinazioni, non dubitava del suo istinto.

Quell’uomo era importante.

Era un tassello nell’universo.

E quando Angel si mosse, si sorprese a pregare che non lo uccidesse.

Perché conosceva abbastanza il vampiro da sapere che non si sarebbe mai perdonato di aver spento una luce del genere.

 

Un attimo dopo, con sollievo, aveva osservato Angel limitarsi a respingerlo.

E poi, quasi a conferma dei suoi sospetti, aveva visto Methos emergere dall’ombra, silenzioso, spada in pugno. E quando aveva notato anche la sua espressione, aveva capito che stavano per cominciare i veri guai.

 

Per Spike l’arrivo di Methos era stato come un urlo.

Alla carica!

Se lo era risentito risuonare nelle orecchie. E non aveva perso tempo.

Con passo spedito aveva percorso gli ultimi metri, comparendo alla luce dello spiazzo. E, senza preamboli, aveva puntato la sua balestra contro l’immortale e lo sconosciuto.

 

Methos lo fissò spuntare dalla boscaglia. E si trattenne dall’imprecare.

Doveva agire. E in fretta.

Ruotò appena la spada, usandola per mascherare i lineamenti di Edward. E premette sul suo collo.

Il ragazzo lo stava fissando con occhi infiammati. E, ringraziando il cielo, aveva occhi solo per lui.

“Angel.” - Chiamò l’uomo, guardando il vampiro, ancora in piedi dove al battaglia si era conclusa – “Questo sarebbe il mio settore. Chiudiamo qui la faccenda. Il mio campo, il tuo campo.. ricordi?”

Angel annuì.

“Non mi interessano le questioni di voi immortali.” – commentò, senza muoversi – “Si è trattato di un malinteso.”

“Oh, immagino.” – concordò Methos, premendo ancora un po’ la lama, prima di toglierla. E sostituirla con un piede – “Questi giovani tendono da essere parecchio litigiosi…”

“E ora…” – aggiunse poi, guardando Edward – “Alzati e levati dai piedi…subito.”

 

“Io non avrei così fretta…”

 

Quella voce.

Gli occhi di Edward divennero enormi.

Quella voce, a pochi passi da lui…

Resistette al primo impulso di voltarsi. Si impose di restare calmo, lucido.

 

Era lì.

E lui non se ne era accorto.

 

Era lì…

 

Methos lo fissò, pregando che mantenesse il controllo. Levando il piede, con evidente sollievo, quando lo vide annuire.

Calmo.

E alzarsi, dando le spalle a Angel.

E a Spike.

 

“Oh andiamo, Spike.” – commentò Methos, allargando appena le braccia – “Si sono sfidati ed è finita pari. Se non da’ fastidio a Angel…”

“Ma non mi da’ fastidio, amico mio.” – commentò il vampiro, avanzando ancora di un passo e affiancando Angel, sempre con la balestra puntata – “Trovo solo discutibile la faccenda…”

 

Spike stava seguitando a parlare. Ma Angel, pur avendolo così vicino, aveva smesso di ascoltarlo.

La voce di Spike era divenuta soffusa, quasi un rumore di fondo.

Sopra ogni fruscio, c’era un battito cardiaco.

Forsennato.

Incontrollabile.

Il suo avversario era nel panico più puro. E lo era solo ora, come se fosse accaduto qualcosa di ben peggiore che rischiar di morire.

Ma cosa?

 

Stava diventando tutto troppo strano…

Doyle si mosse, ignorato, spostandosi lungo il perimetro dello spiazzo.

Studiando la disposizione.

Angel e Spike, uno immobile, l’altro all’erta.

Poi lo sconosciuto, fermo, di spalle. E, di poco discosto, in grado di vederli tutti in viso, Methos.

Sul suo viso i sentimenti trapelavano sovrapponendosi. Doyle poteva percepire una certa tensione anche da parte sua. E questo era strano…

Methos difficilmente prendeva a cuore una questione. Ed era strano questo suo rivendicare gli spazi, quando non gli era mai occorso farlo.

Era come se sapesse qualcosa più di tutti loro, pur essendo arrivato per ultimo.

Cosa aveva percepito, in quel biondo che aveva denunciato come immortale, per preoccuparsi di difenderlo?

 

Edward rimase fermo. Non ascoltava veramente le parole, ma soltanto l’inflessione.

Il tono morbido di suo fratello si era riempito di una sicurezza che non aveva mai avuto. Ogni parola, ironica e efficace, denunciava una piena comprensione dei propri limiti e delle proprie capacità.

Così raro, da ascoltare, dalle sue labbra…

 

Inghilterra, 1854

 

Lo porta con sé ovunque…”- sussurrò Emma, sventolandosi un po’ più rapida per nascondere il movimento delle labbra – “Non c’è stato modo di evitarlo…”

Edward fece finta di non sentirla. Sapeva benissimo a cosa si stesse riferendo e non si sentì in dovere di offendersi.

Era vero, dopotutto. Dove andava… andava con William. Ed Emma poteva incapricciarsi quanto voleva.. ma non sarebbe riuscita a portarsi appresso solo il cugino grande per motivi di lustro.

Emma era di poco più piccola di entrambi. E, a quattordici anni, prometteva già di divenire un’oca giuliva di qualità. Adornata di pizzi, appassionata di mode e mondanità, era tutto l’opposto di William. Il quale aveva l’unico torto di reputarla sempre una bambina e di perdonarle tutto.

Anche la cattiveria.

 

Era uno splendido pomeriggio di giugno e la campagna inglese chiamava a gran voce i ragazzi annoiati di Londra, infreddoliti dal lungo inverno e desiderosi di luce e tranquillità

Una gita informale, di alcuni giorni e un pic-nic, sulle sponde di quel laghetto che di certo non era avaro di insetti. Erano più o meno una decina.. i soliti ragazzi di buona famiglia, impegnati ad assecondare con galanteria le loro civettuole ex compagne di gioco.

William, in mezzo a queste amorose baruffe, stava leggendo un libro.

Perfettamente assorto, con i capelli sugli occhi e gli occhiali di traverso. Si sarebbe potuto scommettere sul fatto che non avesse sentito la cugina, impegnata a spargere malignità con il ventaglio.

Edward, seduto poco lontano, si godeva il tepore e la luce sull’acqua.

E non si perdeva una parola…

Una…

Un’altra ancora…

E una di troppo.

Si voltò gettandole un’occhiata.

Si stava intrattenendo con un’amica e un ragazzetto dall’aria impertinente, ridendo dell’ennesima battuta di cattivo gusto.

Andrai avanti ancora molto, Emma?” – domandò, senza rinunciare ad un bel sorriso.

 

Emma, smettila, ci hanno sentito.” – esclamò la sua amica Shirley, agitata, tirandole la manica. Arrossendo più per l’esser notata da Edward Coventry che per la possibilità di offendere William.

Oh, andiamo, non sente nulla tanto è svanito” – ribattè il ragazzo, sfidando Edward con gli occhi. Senza curarsi di essere inopportuno.

Edward si preparò a ribattere. Odiava le persone di quel genere. L’unico modo di batterle era apparire più forte.. e non più efficace.

Il ragazzo stava aggiungendo qualcosa, sottovoce. E non doveva essere più riguardo a William. Ma su Edward. Lo poteva capire dall’espressione contrariata di Emma e da quella vergognosa di Shirley.

Si stava alzando. E aveva l’aria di uno che vuole una rissa.

Edward lo fissò avvicinarsi, senza mettersi in piedi. Non meritava risposta.. ma la voleva… E voleva dimostrare con la violenza di valere molto, per far colpo su Emma.

Non gli importava né di William né di lui. Ma solo di Emma e dei suoi occhioni.

E questo lo rendeva divertente…

Edward accennò un sorriso. Poi, un cambio di luce, lo costrinse a voltarsi.

Tra lui e il sole, in piedi c’era William.

Dopotutto, la sua lettura non doveva essere così interessante…

Ritengo non sia il caso di rovinare questa bella giornata.”- disse William, con aria compita.

Il ragazzo assunse un’aria divertita e cattiva, Emma alzò gli occhi al cielo, disgustata.

E Edward si appoggiò sui gomiti, godendosi la scena.

Come, scusa?” – ringhiò il tipo. Era più alto di suo fratello e doveva essere un buon picchiatore. Le nocche spelate lo denunciavano.

Credo che abbiate capito perfettamente.”- insistette, gentilmente William.

Non prendo ordini da te…”

Gli occhi di Edward passavano da uno all’altro: suo fratello aveva aggrottato la fronte, perplesso. Non aveva ordinato nulla, aveva dato un buon consiglio…

Era disarmante, con la sua buona educazione.

Il ragazzo si stava facendo scrocchiare le mani, come un ubriaco da osteria.

E questo lo irritò più della risposta incomprensibile. William sapeva di essere un po’ diverso da tutti gli altri. E, per quanto lo ferissero le battutine e le risate al suo passaggio, era disposto a non ribattere.

Non avrebbero capito…

Solo pochi avevano la sensibilità per comprendere come fosse…

Ma non poteva tollerare che si parlasse male delle persone che amava.

Quel ragazzo voleva Emma. E questo non gli andava.

E non gli andava che cercasse di prevaricare su Edward per dimostrare che era un uomo.

Qualcuno doveva fare qualcosa.

Emma, vieni qui, per favore.” – domandò, scostandosi e passando oltre il bellimbusto.

Oh, scordatelo.” – ribattè capricciosamente la ragazza.

E questo atteggiamento, decisamente, sembrò avere su William l’effetto di una scossa.

Emma.” – disse, con un tono che la lasciò a bocca aperta – “Non umiliarti oltre e vieni qui.”

E lei, sorprendentemente si alzò e si sedette vicino a Edward. Imbronciata, ma soprattutto perplessa. William si era imposto e la sua voce era risuonata affilata, mettendo in vista qualcosa del suo carattere che non traspariva tanto facilmente.

Eppure, per quanto orgoglioso di lui, Edward si mosse, per intervenire, quando il ragazzetto afferrò William per una spalla. Per obbligarlo a voltarsi.

Una frazione di secondo dopo, lo stesso ragazzo si toglieva il fango dalla faccia.

Vi prego di scusarmi.” – mormorò William, con un tono che diceva tutto il contrario, facendo un passo indietro e massaggiandosi la mano contusa – “Mi auguro di non avervi rotto il naso. Ma vi invito a non importunare più mia cugina. Non è abituata a gente del vostro livello. La vostra educazione lascia parecchio a desiderare.”

Erano rimasti tutti a bocca aperta.

William Coventry aveva appena picchiato un ragazzo. Ed Edward non aveva mosso un dito per aiutarlo.

Il ragazzo era sbalordito e assolutamente incapace di ribattere.

Quanto bastava per farli chiacchierare almeno qualche settimana.

William si girò, con l’aria infastidita di chi si sente le dita dolenti. E guardò il fratello.

Ti disturba se resta con te?” – domandò, con voce tranquilla, indicando Emma – “Vorrei finire il mio libro.”

Fai pure.”- Rispose Edward, ridendo apertamente.

William stava recitando. E gli occhi gli brillavano.

Grazie.” – rispose, trattenendo un sorriso che non riteneva opportuno. E tornando all’ombra del suo albero.

Con Emma alle calcagne.

Non sono più il suo eroe, constatò Edward, guardando la ragazzina e lo sguardo adorante. Ma, Dio, se ne è valsa la pena…

 

Dio.. anche adesso vale la pena…

Edward non si era mosso. Spike aveva seguitato a parlare, tenendolo sotto mira.

Non gli andava a genio quella lotta senza di lui. Non gli andava a genio non saperne la motivazione.

E non approvava l’essere rabbonito da Methos o sconsigliato da Angel.

 

Angel… adesso faceva veramente male…

“Oh, andiamo, Flagello!” – lo sentì esclamare, spazientito – “ ci hai combattuto e adesso voglio farlo io. Doveva avere dei gran begli argomenti per fare quello che ha fatto…”

“Li aveva, William.” – disse Angel, fissando i due immortali… e in particolare quelle spalle indecifrabili – “ma erano tra me e lui. Smettila, andiamo.”

“Scordatelo…”

 

Ecco.. aveva perso di nuovo la frase. Quando Angel l’aveva chiamato per nome, Edward aveva dovuto chiudere gli occhi, frastornato. Il modo in cui l’aveva pronunciato, il tono confidenziale e tranquillo…

 

C’era Angel, adesso.

Ed era Angel quello che William difendeva.

Il suo sangue non gli aveva svelato nulla.

 

Sei uno sciocco, Edward.. pensavi sul serio che ti riconoscesse?

Ti ha dimenticato… non sei più tu…

Non ha più bisogno un centro per il suo mondo.

È cresciuto… e ha dovuto farlo senza di te…

 

È questo, dunque, il morir dentro…

 

Londra, 1856

 

L’odore del sangue gli provocò un’altra ondata di nausea. Il medico, quel Doc, si stava lavando le mani.

C’era una scia, dal letto al catino, lasciata dalle gocce che eran cadute.

Ce ne era sul tappeto, poco lontano dal divano, dove era cominciato l’attacco.

William si appoggiò alla parete, cercando di afferrare il profumo di velluto delle tende. Si fece forza. E avanzò, fino a porgergli un asciugamano.

Grazie.” – mormorò l’uomo, senza voltarsi. Era un tipo di poche parole. Ma Edward si fidava di lui e questo a William bastava.

Fissò il letto e la figura sdraiata sul fianco.

E’ sveglio.” – disse il dottore, avviandosi verso la porta – “vado a prendere alcune cose in studio. Resta con lui.”

Non aveva bisogno di sentirselo ripetere. Provò il desiderio di respirare profondamente e lo troncò sul nascere.

Edward non poteva più farlo. Ogni qual volta la sua necessità d’aria diveniva così umana, il sangue tornava ad aggredirlo, a invadergli la gola e, in un certo senso, lo sguardo.

I suoi occhi divenivano immoti, e lui si piegava su se stesso, coprendosi la bocca. E la sua schiena sussultava…

William si sedette sul letto, alle sue spalle.

Com’era magro… Doc gli aveva tolto la giacca, e aperto la camicia, strappando direttamente i pochi lacci. Aveva lividi, dove avevano posato le mani per tenerlo fermo.

E ora, qualunque cosa Doc gli avesse dato, era calmo.

E anche il respiro appariva più lieve.

Ti va di venirmi più vicino?” – lo sentì mormorare, senza muoversi.

E ubbidendo, trattenendo le lacrime, gli si era sdraiato a fianco, cingendolo con le braccia. Facendo aderire i loro corpi.

Posando il viso tra i capelli biondi di Edward.

sai…” – Edward aveva gli occhi aperti. E fissava la parete – “Quando mi succede cerco di pensare ai libri che ho letto…alla musica dei concerti che abbiamo sentito… e mi domando se sarà il mio ultimo pensiero. Mi piacerebbe morire con qualcosa di bello in testa…”

William non gli rispondeva. Non con la voce, almeno. Le sue braccia lo stringevano, e i loro cuori distavano solo poche dita. Sentiva il suo respiro, affrettato, sul collo.

Ed era caldo.. e vivo…

Morire non è come morire dentro… è quello che temo…”

Morire dentro?” – ripetè William, cercando di trattenere i singhiozzi.

Già… perdere me stesso, prima della fine. Perdere anche solo un minuto di quello che mi resta. Come quando provi un dolore enorme… o sei ancora vivo e non vorresti più esserlo… io voglio morire tenendo la mia vita sotto gli occhi…”

ripercorse la stanza, con lo sguardo.

Voglio la mia splendida vita… tutta davanti agli occhi…” – ripetè.

 

Methos lo scrutò in viso.

Edward aveva gli occhi pieni di lacrime.

 

“Adesso sarebbe ora di voltarsi.” – aggiunse Spike, in quel mentre – “E fare le presentazioni.”

 

E fu allora che Edward portò una mano alla vita.

 

Doyle stava seguendo più l’espressione di Methos che il resto della scena.

Lo vide abbassare gli occhi. E poi rialzarli, sorpreso.

 

Methos fissò Edward, inorridito, e scosse impercettibilmente la testa..

Le lacrime si erano asciugate e i suoi occhi brillavano.

Duri. Duri con se stesso.

E arrabbiati.

 

“Non farlo.” – mormorò l’immortale, stringendo più forte la spada – “Ti prego… non farlo.”

Anche Angel vide quell’espressione. E non comprese.

L’aria era fredda e tesa.

Sentiva i suoi nervi tendersi allo spasimo, il suo demone lottare, per intromettersi in quella suspence.

E quello di Spike, vibrante e nitido, a pochi passi.

“William.” – lo chiamò.

Ma era troppo tardi. Spike stava camminando verso lo sconosciuto.

E, se veramente non voleva svelarsi, ci avrebbe pensato lui.

 

Ed Edward si voltò.

La sua mano sinistra compì un arco perfetto e il cappotto ruotò insieme al suo corpo, quasi al rallentatore.

Doyle vide distintamente le gocce d’acqua che si separavano dai suoi capelli e il profilo terso. Seguì, incantato, quell’ampio movimento di rotazione e condivise, con un attimo di ritardo, l’urlo di Methos.

 

Angel scattò verso Spike, nell’attimo stesso in cui la punta del pugnale emerse dalla sua schiena. Uno schizzo di sangue lo colpì in pieno viso, mentre lo afferrava, prima che si accasciasse a terra.

 

La balestra, ormai scarica, cadde a terra, poco distante, partendogli di mano.

Il suo suono rimbombò sulla pellicola d’acqua, sollevando qualche spruzzo leggero.

 

Edward lo fissò cadere, tra le braccia di Angel. E, nell’abbassare gli occhi, vide la freccia sporgergli dal torace.

Subito sotto il cuore.

 

Che ironia… colpiti a vicenda…

Hai una buona mira, William… mi hai spezzato il cuore…

 

Methos era rimasto immobile.

Raggelato.

Quando aveva visto la mano di Edward stringere quella seconda lama, nascosta nell’interno del giaccone, aveva sperato di aver capito male.

Ed aveva sperato un attimo di troppo, per riuscire a impedirgli di farlo.

 

Era stato il sangue di entrambi, alto sotto la luna, a riscuoterlo dal torpore.

Non si era nemmeno reso conto di gridare.

E anche ora, fermo, immobile, sentiva solo risuonare dei passi.

 

Passi di corsa, incespicanti… di Edward che finalmente fuggiva.

 

***

 

Methos aveva quasi inciampato nei suoi piedi, arretrando, prima di voltarsi e andarsene.

Al centro dello spiazzo, mentre uno degli ultimi lampioni funzionanti si spegneva, rimasero Spike ed Angel.

E Spike, imprecando, puntellato contro il torace del suo sire, afferrò l’impugnatura dell’arma, senza dargli il tempo di aiutarlo. Era un coltello lungo, malese. Un Kriss, con l’impugnatura diritta, di corda. Lo afferrò con entrambe le mani e lo sfilò dal petto.

Il sangue scendeva a impregnargli i vestiti, rendendogli la testa evanescente.

Ma era acciaio, e non legno.

E questo significava che sarebbe passato.

Che avrebbe solo fatto male.. come molte altre ferite.

“Bastardo.” – mormorò, furibondo, inarcandosi indietro e finendo con la testa sul ginocchio di Angel – “Ti prego, dimmi che l’ho colpito.”

“Più di quanto pensi, William…” – rispose Angel, mentre Spike chiudeva un attimo gli occhi, stordito – “Più di quanto pensi….”

Lo disse guardando lo spiazzo piombato nel buio.

E domandandosi dove fosse Doyle.

 

Methos corse come un forsennato, sbucando sulla via illuminata, ruzzolando quasi contro ogni ostacolo, prima di afferrarsi alla portiera della sua macchina ed entrare.

Ovunque fosse Edward, stava morendo.

E sarebbe stato meglio trovarlo, prima che ci pensasse un vampiro biondo e furibondo, desideroso, a ragione, della sua testa.

Non poteva credere a quello che aveva visto. Sotto i suoi occhi Edward aveva estratto un pugnale e colpito suo fratello.

Perché fermasse la sua camminata verso la verità.

Perché non lo vedesse in viso.

 

Che si fotta il destino, dunque!

E tutte quelle belle parole, Eddy?

Se lo incontrerò sarà stato il destino, farò quello che deve accadere?

Non mi verrai a dire che questo doveva accadere!

Non mi dirai che sei uscito stasera con l’idea di accoltellare William!

Sei un idiota, Coventry!

 

Percorse le strade circostanti. Si infilò in ogni singola via o vicolo intorno. Dove poteva essere andato, con una ferita del genere…

 

I fari illuminarono vicoli a ripetizione. Un altro.. e un altro ancora.

In preda ormai a una rabbia furibonda, svoltò in un’ennesima strada, larga appena come la sua macchina. Fregandosene dello stridio della fiancata contro una scala antincendio.

E lo vide, finalmente, appoggiato ad un muro.

La spada ancora in pugno.

E la mano insanguinata ancora stretta intorno alla freccia.

 

Doyle saltò la cancellata facendo leva su una panchina e schivando per un pelo le punte lavorate.

Tornando al suo viso umano nell’atterrare a terra. Aveva visto il fuoristrada di Methos percorrere a velocità una delle vie.. aveva quasi cercato di corrergli a fianco, separato solo dal perimetro chiuso del parco. E l’aveva visto svoltare in una via.

E non si era fatto problemi a proseguire il suo inseguimento sui tetti.

 

“Lasciami andare.” – Spike cercò di divincolarsi dalla presa di Angel.

“Vuoi sul serio fare il segugio e seguire le tracce?” – Angel non intendeva lasciare il suo braccio – “hai perso parecchio sangue e quel ragazzo non intende combattere con te. Mi sembra che te l’abbia fatto intendere più che chiaramente.”

“Smettila Angel!” – si era voltato, furioso – “Mi è sembrata una chiara e vigliacca dichiarazione di guerra, questa!”

Stringeva ancora in una mano il lungo coltello. Un’arma che non aveva nulla in comune con la sciabola italiana con cui combatteva il suo proprietario.

Due armi discordanti.. come le reazioni di quel tizio.

“Aveva un conto in sospeso con me.” – ringhiò, impedendogli di rialzarsi. Erano ancora inginocchiati nel punto in cui Spike era caduto. Nello stesso punto in cui quella dannata sciabola gli aveva striato il collo senza misericordia.

 

Si vede che questo punto di Los Angeles è perfetto per farmi litigare con qualcuno, pensò distrattamente Angel, tirando Spike verso di sé con uno strattone.

Non faccio altro che stare qui inginocchiato a discutere con ragazzi biondi e tenaci.

Quel pensiero fuggevole, gli provocò un brivido. Un’interminabile vibrazione lungo la spina dorsale. Osservò Spike, come aveva fatto poco prima con Edward.

Cercò nuovamente la fonte di quell’ostinazione. Ma vide solo Spike, impegnato a cercare di respingerlo.

“William, adesso ascoltami.” – scattò, non riuscendo più a trattenersi – “Voleva combattere con me ma non uccidermi. Non ne ha mai avuto l’intenzione. Voleva solo sapere chi ero veramente!”

“Cos…” – Spike aggrottò la fronte e fissò Angel. Stava parlando seriamente – “Mi vuoi spiegare cosa stai dicendo?”

“Io non so chi fosse, non l’ ho mai incontrato.” – spiegò Angel, fissandolo in viso – “Ma qualunque cosa gli abbia fatto, l’ ho colpito nel profondo. Mi chiamava per nome, mi ha chiamato Angel, non Angelus, sapeva chi ero.. e io non riesco a immaginare in quale vita gli ho portato via qualcosa di così importante da venire meno ai suoi principi.

Quel ragazzo, chiunque sia, ha un senso dell’onore come non ne ho mai visti.

Ne ho avuti pochi di avversari degni come lui…”

Spike lo fissò, interdetto. All’improvviso si sentì sciocco e inopportuno in quel suo accanirsi.

Scivolò, sedendosi a terra. E sentendo la presa di Angel allentarsi, prima di lasciarlo andare.

E lo scrutò in viso. Angel aveva schizzi di sangue fin nelle ciglia. E di nuovo, a nudo, quel fuoco che lo divorava dentro.

“Sapeva che..” – stava seguitando a dire Angel – “qualunque cosa gli avessi fatto, non era importante come la mia Redenzione. Credeva in me e nel mio combattere per il bene, sapeva che la sua vendetta non valeva altrettanto. Si è preso quel poco che poteva reclamare…era pronto a morire, se necessario.”

Spike non aveva percepito nulla di tutto questo.

Solo un enorme vuoto, in quella schiena, in quella nuca bionda ancora priva di volto.

Solo il vuoto.

“Era tra me e lui.” – ripetè il vampiro, guardandolo – “Non avrebbe mai permesso a nessuno di intromettersi… se ti ha colpito è stato perché non ti voleva tra noi. L’ha fatto solo perché tu non lo potessi seguire…”

Spike era combattuto.

Angel poteva intuirlo dalla mascella contratta e dal silenzio. Rifletteva, come sempre, su quello che aveva sentito.

E, alla fine, sembrò arrendersi, prima ancora di rialzarsi.

Angel lo fissò, mettersi in piedi sulle sue gambe, mentre dalla ferita quasi chiusa usciva un’ultima goccia di sangue.

“Non so dove tu abbia la macchina.” – commentò Spike – “ma io andrei volentieri a casa…”

Angel annuì, raccogliendo da terra la sua spada e, dopo un ripensamento, anche il coltello malese.

E sentendosi una mano poco gentile sulla fronte.

“E levati il mio sangue dalla faccia.” – commentò Spike, utilizzando un lembo della manica per strofinargli la pelle – “Mi irriti…”

 

Methos frenò a fianco di Edward. Ed il ragazzo, con una leggera rotazione, appoggiò entrambe le spalle al muro. E lo fissò, come se non lo vedesse.

Aveva gli occhi vitrei e perdeva sangue, in quantità minima. La freccia, ancora conficcata, bloccava l’emorragia.

“Sali.” - mormorò Methos, sporgendosi ad aprire una delle sicure.

Ed Edward, come un sonnambulo, scivolò sul sedile posteriore.

Chiudendo gli occhi, un mano ancora su quel cuore che doveva fargli ben più male di quanto una freccia avrebbe mai potuto.

 

Le gomme del fuoristrada stridettero, come bloccate.

E Methos, con un piede repentinamente sul freno, sentì il desiderio di picchiare a sangue qualcuno.

Ad esempio, un mezzo demone irlandese con le mani in tasca, illuminato dai fari, in piedi davanti alla macchina in accelerazione.

 

“Io non ci posso credere.” – esclamò Faith, nel giardino dell’Hyperion.

Stava percorrendo la strada con aria pacifica, quando aveva visto la macchina fermare innanzi all’albergo. Aveva intravisto Cordelia, dietro la cancellata, seduta sulla panchina e intenta a mangiare una mela, leggendo una rivista. Cordelia che, quando aveva visto Spike scendere dalla macchina, con la maglietta resa rigida e scura dal sangue, si era alzata e gli era andata incontro. Avevano sostato in giardino, parlando animatamente e, dopo pochi attimi, lei ed Angel li avevano raggiunti.

Non avevano valutato l’idea di rientrare. Mancavano alcune ore all’alba e l’aria della notte era rasserenante ben più di un the in cucina.

Con calma, Angel e Spike avevano raccontato la loro notte.

E Faith non aveva preso per niente bene quel romanzo fatto di demoni, parchi gotici e spadaccini introversi.

“Per una volta che me ne vado da sola.” – cristonò – “Vi beccate tutto il divertimento. Ma certo, si capisce, dovevo esserci quando abbiamo avuto l’assalto di quei mollicci gialli, ma se c’è l’occasione per combattere fieramente…”

“Non dirlo a me.” – borbottò Spike, massaggiandosi il torace nudo – “Pare che questo essere eccelso sia riserva di caccia di Angel… in tanti anni di degenerazione, non mi sono mai guadagnato un antagonista tanto complicato. E liberale, oserei pure dire, visto che lo lascia andare per il bene dell’umanità.”

Infatti non me lo spiego, pensò Angel, in piedi appoggiato a una colonna del portico. Aveva posato le due armi sul bordo della vecchia fontana.

 

La sua spada e quel coltellaccio.

Un appassionato d’oriente, il nostro sconosciuto.. capace di citare un poeta cinese e combattere allo stesso tempo.

“E che tipo era?” – domandò Cordelia, sedendosi quasi sui piedi di Spike.

“Chiedi a lui.” – disse Spike indicando l’altro vampiro – “Io non sono riuscito a vedere un bel niente.”

Ma Angel non degnò d’attenzione né Spike né Cordelia. Era completamente assorbito da quel combattimento che stava ripercorrendo passo dopo passo, nella mente.

Era stato un colpo anche per il suo demone. Quel ragazzo di cui non sapeva nemmeno il nome, l’aveva portato fuori dal conflitto che, per giorni, aveva combattuto.

Gli aveva ricordato chi fosse veramente.. con le parole, con quel sorriso…

Ad una personalità del genere ci si poteva aggrappare .. e sentirsi tratti in salvo…

“Quindi era un immortale….” – commentò Wes, studiando il coltello – “Sei riuscito a capire quanto antico?”

“No.” – Angel scosse il capo – “Non me lo ha lasciato intendere. Aveva un che di famigliare, per cui posso pensare che sia di un’epoca che ho vissuto… ma è una teoria un po’ labile…”

“Avrei proprio voluto sentirlo.” – commentò ancora spike, finendo di strofinarsi via le ultime scie rossastre e rivestendosi – “non faccio altro che sentirne parlare con tanta ammirazione…”

“Sul serio, Angel?” – domandò Faith, rinunciando alle lamentele e sedendosi a terra – “Era veramente così ammirevole?”

“Era un guerriero, Faith.” – commentò criptico, Angel. Non sono poi così comuni…

“Va bene, è chiaro.” - Concluse Cordelia – “Noi ci siamo persi un fenomeno. Però mi interesserebbe anche sapere dove voi vi siete persi Doyle.”

“Bella domanda, Gattina.” – commentò una voce, da dentro una maglietta – “Proprio una bella domanda.”

 

***

 

“Dannazione!” – sbraitò Methos, picchiando una mano sul volante.

I mezzi demoni come quello andrebbero affogati da piccoli.. prima che scoprano di potersi vestire disordinato ed andare in giro a spargere guai.

 

Doyle non accennava a muoversi.

Anche se il cuore stava cercando di scappargli dal petto per lo spavento.

Fermo, davanti a una macchina quasi in corsa.. la macchina di uno che, anche schiacciato, calpestato o buttato giù dal trentacinquesimo piano, si sarebbe rialzato comunque.

Uno per cui i riflessi buoni erano importanti ma non indispensabili.

Methos lo fissava attraverso il parabrezza. Ed era talmente amichevole che Doyle si dispiacque di non essere stato investito.

Si fissarono, con sfida, ancora qualche istante.

Poi Methos, con un gesto seccato, gli indicò un posto a fianco del guidatore.

 

“Ce ne hai messo per deciderti.” – esclamò, salendo e guardandolo. Cominciando a parlare e gesticolare nel suo stile – “Ti sto inseguendo da quando te ne sei andato, perché credo che tu….”

“Ora basta!” – scattò, frenando di nuovo e fissandolo – “Francis, ascoltami bene. È una serata schifosa, non mi parlare.”

“Non mi parlare?” – esclamò doyle – “Non devo parlarti dopo tutto il casino che hai fatto? Ascoltami Methos, Io…”

E le parole gli morirono sulle labbra, mentre si voltava.

Methos gli buttò un’occhiata, giusto in tempo per vederlo protendersi verso il sedile posteriore.

“Doyle, immagino…” – mormorò Edward, accennando la smorfia di un sorriso.

 

Così quello era il demone di Methos. Si stava sporgendo tra i due sedili anteriori, puntandosi quasi contro il cambio. Aveva capelli corti e scuri, occhi trasparenti e calmi.

Non sarebbe mai riuscito a immaginarselo così, constatò, nel vederlo chino su di lui.

E preoccupato.

“Eddy, Doyle… Doyle, Eddy.” – presentò, sbrigativamente Methos, sterzando con furia – “E adesso, doyle.. afferra quella freccia e levala.”

“Ma tu sei matto! Se faccio una cosa del genere lo ammazzo!”

Sentendosi molto stupido, dopo averlo detto.

“L’obbiettivo è quello, Francis!” – Methos fermò al semaforo – “Quella freccia prolunga l’agonia. Se muore, la ferita si rimargina. Non provo nemmeno a curarlo, con un’emorragia del genere…”

“E fai bene.” – replicò Edward, cercando di ridere di quell’affermazione – “Come medico sei un tormento…”

L’aveva detto scherzosamente. Come se, dopotutto, avere una freccia nel torace potesse essere cosa da poco.

“Sei un immortale sul serio, quindi…” – commentò il demone.

“Non mento sempre…” – borbottò Methos, risentito, tamburellando sul volante – “E’ un immortale. Molto idiota, ma pur sempre immortale…”

Doyle fissò il profilo dell’uomo. Finalmente lo vedeva in viso poteva valutarlo. Aveva occhi chiari e ombreggiati da ciglia bionde come i capelli. Non era americano, lo poteva intuire dai lineamenti, i capelli color miele e la forma delle labbra. Tutti particolari irrilevanti, nel percepirne la confusione e la sofferenza.

Non era un dolore fisico che sentiva al centro del petto.

Paradossalmente Doyle aveva l’impressione che quella freccia fosse più un monito che un dolore… il monito di una realtà dura da affrontare.

Ed Edward stava per confermare questa sua teoria.

 

Per quanto brutale, Methos non aveva torto.

E doyle, non appena la macchina ripartì, si sporse nuovamente su di lui.

“Mantieni un’andatura costante.” – consigliò, colpendo quasi in testa il guidatore con un gomito.

Non appena posò mano sulla freccia, gli occhi di Edward si riaprirono e lo fissarono.

Occhi che non ammettevano discussioni.

Non estrarla, mormorò, posando le mani su quelle del demone.

Non ancora.

 

Per piacere…

 

Doyle strinse le labbra, preoccupato.

“Methos ha ragione, lo sai.” - spiegò, pazientemente.

“Può anche darsi.” – riusciva ancora a sorridere, mentre il sollevarsi del suo petto diveniva sempre più aritmico – “Ma tu aspetta comunque…

Non è così che muoiono i vampiri?”

L’aveva sussurrato, tornando a chiudere gli occhi, mentre Doyle si risiedeva al suo posto. Osservandolo, con una punta di risentimento per quell’ultima battuta.

“Oh, si.” – rispose – “Ma finiscono in polvere, all’istante. Non soffrono di certo in questo modo.”

 

E fu allora che accadde.

Edward aveva gli occhi socchiusi, l’azzurro appena visibile.

Quando doyle gli rispose, prendendolo così di punta, per niente disposto a fargliela passare liscia, Edward gli sorrise, senza guardarlo.

Un sorrise forzato, eppure luminoso.

 

Quel sorriso.

 

Doyle sbattè le palpebre, sorpreso. Dove aveva già visto quel sorriso velato di tristezza…

Dove…

 

Improvvisamente gli parve di sentire un profumo di gelsomini.. un giardino in ombra e una testa inarcata indietro, per il dolore e la debolezza… un’espressione fragile, lineamenti puliti, come quelli di un cherubino…

Sangue… e dolore…

 

La mente talvolta gioca brutti scherzi.

Quella di doyle, in quell’attimo in cui avrebbe potuto percorrere una via senza risposta, come Angel e come Faith, ebbe un sussulto.

 

E si riempì di immagini confuse. A centinaia, prima che una riuscisse a imporsi sulle altre.

 

Buon dio…

 

"Edward…Come molti re inglesi e nessuno in particolare…"

 

Edward… Eddy… la freccia…

 

“Edward.”

Methos rallentò e si voltò, smettendo di guardare la strada.

E incontrando all’istante l’espressione sconvolta di Doyle.

 

“Non è possibile…”

“Detto da te, Francis, suona decisamente strano…”

 

***

 

Nell’attimo in cui doyle aveva raggiunto la verità, Methos capì che si era illuso di potergliela nascondere.

Edward aveva ragione. Non è detto che si possa realmente vedere quello che si ha sotto gli occhi, se si è convinti di non poterlo vedere.

Era un discorso che reggeva.

Per tutti. Ma non per gli occhi trasparenti di doyle.

 

Edward poteva provare a gabbarli.. Angel, Faith.. persino Spike.

Ma Doyle…

 

“Complimenti.” – sentì commentare, flebilmente, dal sedile posteriore – “Allora parla ancora di me…”

Doyle lo fissò, senza parole. Ora che aveva compreso, i tasselli andavano al loro posto, con una velocità impressionante.

Tutto, fino all’ultimo fotogramma, acquistava un senso.

 

Edward girò la testa, seppellendo il viso nella tappezzeria ruvida della macchina. Avrebbe voluto ridere di quella situazione, ridere liberamente.

Perché non poteva che concordare con Methos: si era realmente comportato come un idiota. Aveva fatto di tutto perché lo riconoscessero, per poi tirarsi indietro.

Ed ora, a tragedia consumata… ora, ad un passo dal sentirsi fuori dalla vita di William, arrivava lui.

Che di eroico non aveva niente.

 

Complimenti, Doyle…

 

Adesso mi ricordo anche io di te…

 

Irlanda, anni Ottanta

 

“Ciao, amore.” – Sinead Doyle non si era nemmeno voltata, continuando a pulire verdure – “Francis, porta fuori la spazzatura.”

Però… diceva amore e spazzatura nello stesso modo. Edward fissò quella chioma fiammeggiante stretta in una treccia e fece, rispettosamente, un passo indietro.

Era meglio se entrava prima ‘Amore’…

Methos, del resto, non condivideva questa opinione. Lo fissò, con aria risentita.

“Vigliacco.” – mormorò mentre, in senso contrario, usciva un bidone metallico – “Ciao Francis.”

“Ciao Methos.” – il bidone si abbassò e spuntò un naso sottile e due grandi occhi chiari- “E’ molto arrabbiata, stai attento…”

L’aveva detto con il tono del cospiratore. Ed Edward aveva sorriso, divertito.

“Oh, lo so.”- annuì Methos, guardando il bambino – “Lo è sempre.”

“Sono stato buono oggi…

così è arrabbiata solo con te.” – aggiunse, orgoglioso.

Ed Edward ebbe il sospetto che la frase non fosse stata costruita nel modo giusto.

“Intende dire che non è più arrabbiata di quando si è alzata.” – spiegò Methos all’amico.

“Le piace dire che siamo della stessa pasta.” – sospirò il bambino. Per poi voltarsi e guardarlo – “E’ meglio che resti con me, tu. La mamma potrebbe arrabbiarsi anche con te…”

“E’ possibile.” – mormorò, ermetica Sinead, spuntando sulla soglia – “Ciao Edward.”

“Ciao Sinead, scusa per l’intrusione…” – le sorrise gentilissimo. Sinead aveva un’espressione talmente amichevole che Edward, pur di non discuterci, si sarebbe anche proclamato irlandese.

“Nessun problema.” – replicò la ragazza, sempre a braccia conserte – “E ora, se non ti spiace, dovrei parlare con lui.”

Methos guardò con desiderio il bidone della spazzatura. E il bambino dietro.

Ed Edward sentì, in contemporanea una mano attaccarsi ai suoi pantaloni.

“No, no.” – Francis scrollò la piega dei jeans di Edward e la testa con la stessa veemenza – “Mi aiuta lui, grazie. Parla pure con la mamma.”

“Vigliacco pure tu…”

“Methos, entra. E chiudi la porta.”

 

“E ‘ proprio arrabbiata...” – constatò Edward, ancora fermo con le mani in tasca.

“Te l’avevo detto.” – sospirò Doyle, in piedi al suo fianco.

 

Avevano vuotato il bidone. Poi si erano seduti sul muretto e avevano aspettato.

La casa di Sinead in Irlanda era decisamente meglio del suo appartamento in America. Era in una depressione naturale, verde e irta di cespugli, non molto lontana dalla strada principale.

Gli alberi la nascondevano ai curiosi e agli estimatori delle case basse in pietra tipiche di quella zona. Un posto tranquillo e profumato delle erbe che crescevano ancora disordinatamente nell’orto.

Sinead l’apriva regolarmente, qualche mese all’anno. Nel pieno dell’inverno e all’inizio di torride estati.

Non si curava molto della stagione, per decidere di tornare alle sua radici. Lei e Francis tornavano in Irlanda con l’incostanza con cui poi ripartivano per l’america. Quando Sinead decideva che fosse il caso.

Indipendentemente da questo approccio nomade alla vita, Francis era proprio di buon carattere. Adesso, mentre dalla casa le urla salivano e crescevano di intensità, era impegnato a seguire una lucertola, sdraiato in mezzo alle erbacce.

Ed Edward si godeva il paesaggio.

Fino a che, con aria afflitta, Francis non emise un sospiro.

“Che ti succede?” – gli domandò, gentilmente.

“ma li senti? Sono impossibili.” – Francis prese un’aria sofferente impensabile e allargò le braccia – “E pensa che l’altra volta si lanciavano pure le cose!”

“Lo fanno perché si vogliono bene…”

“Oh, lo so… ma lanciano proprio di tutto.” – Francis si arrampicò sul muretto e si sedette. Aveva delle ginocchia pelate e polverose. Ed era… buffo – “però la mamma mi ha promesso che non gli taglierà la testa nemmeno se la fa arrabbiare troppo.”

Ah… credevo che fosse lui il tagliatore di teste…

“perché, la tua mamma va in giro a tagliare teste?” – domandò, non resistendo.

“Oh, no.”- rispose Francis, lasciandolo senza parole – “Quello lo fa Methos. La mamma vuole farlo solo a lui…

A te piace tagliare le teste?”

Cosa poteva rispondergli… era piccolo perché Methos gli avesse già detto una cosa del genere…Edward si domandò se non stesse riferendo una conversazione sentita per sbaglio. Oppure se, come molti bambini, stesse semplicemente inventando.

“A me puoi dirlo.” – aggiunse francis guardandolo con occhi allegri – “Non mi fate paura.”

“Hai ragione.” – Edward gli sorrise, chinandosi un po’ verso di lui e ammettendo, sottovoce – “In effetti ai bambini non facciamo nulla.”

Francio dovette trovarla divertente come idea. Rise e saltò giù dal muretto.

La porta di casa si era aperta e Methos era uscito le braccia verso il cielo come uno che invoca il fulmine.

“Devo andare.” – disse allora il bambino, tendendogli la mano – “la mamma avrà ancora voglia di discutere.”

“Allora vai e fa il tuo dovere.” – rispose Edward, stringendogli la mano.

Il bambino gli sorrise con gli occhi.

“Mi prometti che non ti farai tagliare la testa così ci rincontriamo?”

la grammatica non era il suo forte... ma non sarebbe importato a nessuno che si fosse trovato, anche solo per un istante, al centro di quel sorriso.

gli sarebbe piaciuto promettere…

“Ci proverò…” – rispose, lasciando andare quelle dita appiccicose.

 

Come vedi, Doyle, pensò, non mi hanno tagliato la testa… e ci siamo rivisti…

E, d’istinto, strinse più forte quelle dita che si erano insinuate tra le sue.

 

“Siamo quasi arrivati.” – commentò doyle, voltandosi a vedere le sue condizioni.

Aveva percorso l’ultimo miglio senza dire una parola, cercando di riordinare i pensieri. La mano di Edward, stretta nella sua, era sempre più fredda e cedevole.

Non c’era stato modo di convincerlo a sfilare la freccia e porre fine a quella forma di autolesionismo.

“Fai come ti pare.” – aveva sbraitato Methos – “Ti prometto che aspetterò che tu sia crepato per strappartela io di persona, insieme a tutti i capelli!”

“Ottima idea.” – aveva ribattuto l’inglese, riacquistando un filo di voce. Prima di rinunciare alla discussione e risprofondare in un torpore pieno di allucinazioni.

Non c’erano più insegne luminose e abbaglianti… solo luci, semplici luci da strada.

Un cellulare stava suonando. E Doyle, senza abbandonare la presa, infilò una mano in tasca e rispose.

“Doyle…” – la voce di Cordelia era tra il preoccupato e il bellicoso – “Dove sei?”

“Uh, ciao Cordy.” – dannazione, si era proprio dimenticato di chiamare e mentire – “Avevo una cosa da fare e allora…”

“Allora te ne sei andato di corsa lasciando Angel e Spike in mezzo a una strada... e Spike era pure gravemente ferito…”

Oddio, sto parlando con la Florence Nightingale che è in lei…

“Principessa, non l’ho lasciato solo.. c’era Angel con lui…” – protestò, spostando rapidamente gli occhi su Edward. Cercando di dosare le parole.

Aveva inteso che si stesse parlando di spike e stava cercando di sedersi, protendersi verso di lui.

Doyle scosse il capo, posandosi un dito sulle labbra. Spingendolo di nuovo gentilmente contro il sedile.

“sta benissimo, intanto, adesso.” – commentò, guardandolo fisso in viso – “Scommetto che sta sfogando il nervoso nello scantinato.”

“No, invece.” – replicò Cordelia, coprendo il ricevitore, perché il suo demone non potesse sentire il cozzare di lame nell’entrata dell’Hyperion.

Non aveva propriamente mentito.. spike non si stava sfogando ‘nello scantinato’…

“Cordy, verrò a casa più tardi.” – riprese doyle – “Per cui non preoccuparti, non aspettarmi alzata e non venirmi a cercare. Passo da Methos, tornando indietro.

devo parlargli…”

“Riguardo al biondo immortale?” – il tono di Cordelia si era acceso di curiosità – “Sei riuscito a vederlo? Che tipo è?”

“Da’ l’idea di essere testardo.” – replicò Doyle, fissandolo così intensamente che Edward, intontito e stravolto, riuscì comunque a capire che non si stava più parlando di Spike – “Mi è sembrato uno in gamba…”

Certo, ragionò Methos, tenendo la bocca ben chiusa. Peccato non abbia un cervello ancora attivo…

Doyle parlava ancora al telefono e Methos si sentiva sul punto di esplodere.

 

Era troppo. Decisamente c’era di che esplodere.

Demoni, immortali, redivivi e traumatizzati… c’erano sentimenti per tutti gusti. Si spaziava dalla rabbia al dolore passando per una certa dose di incoscienza.

Eppure, se Methos avesse dovuto scegliere.. si sarebbe definito solo stufo.

Stufo di non aver ancora imparato a star fuori da certi casini.

“Maledizione, maledizione, maledizione!” – urlò nella testa, a denti stretti, picchiando ancora sul volante.

Alle sua spalle, Edward si stava lasciando morire dissanguato. Niente di irreparabile, si sarebbe potuto dire… ma per Methos non era abbastanza. No, errato.

Per Methos era sbagliato.

Come era sbagliato quello che Edward aveva fatto a Spike.

E sbagliato quello che si era lasciato fare da Spike.

Certo.. perché ad aggiungere rabbia a rabbia… Spike non aveva colpe.

E Methos, istintivamente, avrebbe tanto voluto che quel rapporto tra fratelli fosse un concorso di colpa. Ma non poteva. Spike, William… non sapeva.

Perché sapere lo avrebbe devastato, secondo l’ottica di Edward.

 

Tze…

Edward, vero e unico signore dell’autolesionismo.

 

Maledizione…

 

“Stai borbottando.” – commentò Doyle, dopo essere riuscito faticosamente a salutare la sua ragazza. Giocherellando con l’antenna del cellulare, fissò il guidatore, impegnato ad infilare la macchina in garage.

“Non è la cosa peggiore che potevo fare stanotte.” – commentò, criptico l’immortale, slacciandosi la cintura di sicurezza – “E ora, se non ti spiace, aiutami a portare il cadavere.”

 

***

 

Il cadavere respirava ancora. Impercettibilmente, forse, ma ancora troppo per essere dichiarato, finalmente, morto.

Methos l’aveva afferrato per le spalle, senza tanti complimenti e, aiutato da Doyle, l’aveva adagiato su uno dei materassi da palestra di Faith.

“Niente sangue sul mio divano.” – aveva commentato, all’occhiata di Doyle.

Tornando, istintivamente, a cercare il battito di Edward.

“Non capisco come possa essere ancora vivo…”

“E’ una tempra forte…” - replicò, senza levargli le dita dalla giugulare. Lo è sempre stato…

Fosse stato più fragile… non l’avrei mai ucciso…

 

Faith aveva dimenticato un paio di asciugamani, appoggiati sulla sua amata cassapanca intarsiata. E Methos, allungando un braccio, arrivò a prenderli.

Si passò una mano sul viso, riflettendo.

Doyle era in piedi dietro di lui, e non fiatava. Lo fissò, mentre li appoggiava vicino alla testa di Edward. Questo movimento sembro riscuoterlo, ben più del fatto di essere stato trasportato fino in casa.

Aprì gli occhi, ancora una volta, e Doyle si ritrovò a pregare, pregare che qualcuno facesse qualcosa per quell’anima dilaniata.

 

E fu allora che Methos, senza troppe indecisioni, strappò la freccia da quel cuore. Edward si inarcò, in un roco singulto, mentre il sangue cominciava ad uscire copioso.

Methos, così pronto a prendere una decisione, dimenticò il motivo per cui l’aveva fatto e premette sulla ferita, per bloccare il flusso.

Ed Edward, spalancando gli occhi, ancora paradossalmente lucido, quasi rise di quella sollecitudine.

 

“Avevi promesso…” – mormorò, posando una mano sulle sue, su quel mare di sangue, senza riuscire a terminare la frase.

“Ho mentito.” – replicò l’immortale.

 

Adesso se ne stava andando rapidamente.

Nell’attimo in cui Methos aveva estratto il dardo, Edward aveva sentito la bocca riempirsi di sangue.

Ora, mentre lentamente perdeva coscienza, si ritrovò a fissarsi la mano.. le dita arrossate… come allora…

Avrebbe voluto riderne.

Avrebbe voluto ammettere, almeno con se stesso, di aver sperato di non dover mai più sentire il proprio sangue tra le labbra.

Se solo ne avesse avuto ancora… la forza…

 

E Methos comprese.

Comprese quello sguardo, quel modo di contemplarsi una mano sporca di sangue.

E gliela strinse, protendendosi a sfiorargli la fronte.

“Sono qui adesso… e sarò qui quando tornerai.” – sussurrò.

Rinsaldando il loro legame, una volta ancora, mentre il cuore di Edward si fermava.

 

Londra, un vicolo, 1857

 

Quando il proiettile gli penetrò in petto, Edward provò un senso di sorpresa. Il contraccolpo lo aveva fatto appoggiare al muro e gli aveva riempito le narici dell’odore di muffa e di bruciato.

Dovette guardare la ferita che si allargava, per rendersi conto.

Alzò lo sguardo, senza risentimento, verso il suo assalitore.

Un uomo che ora stava correndo ad afferrarlo.

Doc…” – gorgogliò, scivolando a terra.

I capelli gli caddero indietro e il sangue si allargò sui suoi vestiti, rendendo rosso il selciato. Methos si era piegato su di lui e l’aveva tenuto per le spalle, parlandogli concitatamente.

Ma Edward aveva continuato a fissare il cielo, tramortito da quel creato che stava abbandonando.

Non c’era la musica, non c’era più il sole.

Non ricordava più nulla.

Non era mai esistito, non aveva mai vissuto.

Tutto naufragava nel morire.

Ed Edward avrebbe tanto voluto provare almeno paura.

 

Methos era chino su di lui, i sensi allo spasmo, per paura che giungesse qualcuno.

Non temere, Edward, non aver paura…” – stava mormorando. Gli aveva tolto un guanto e gli stringeva le dita intorpidite, spingendole nella sua visuale – “Sono qui, mi puoi sentire Edward.. puoi sentire che non sei solo…”

Sono qui…

Edward si riscosse per un attimo. Le pupille si stavano dilatando, il sangue sgorgava ancora.

E i polmoni, i polmoni che bruciavano già in vita gli riportavano altra vita.

Consapevolezza di dolore…

 

Che buffo… la mia morte è ciò che resta della mia vita…

I miei polmoni.. e l’aria… non ha mai avuto questo sapore…

Un altro spasmo…

 

Edward si mosse, come in preda a convulsioni.

Soffriva… Methos gli strinse più forte le dita. Non era stato nemmeno capace di ucciderlo sul colpo. L’aveva fatto soffrire…

Ti prego perdonami… perdonami perdonami….” – si sorprese a ripetere, come una litania – “Non potevo accettarlo, non potevo… ho tentato, Edward, ma non potevo farti morire, non in quel modo, senza speranza, senza futuro…”

 

Edward non lo sentiva più.

Anche i polmoni stavano lentamente lasciandolo. Ora respirava, respirava come quel giorno d’estate nel grano. Respirava e non c’era più il freddo dell’inverno e la nebbia…

C’era la luna…

 

È finita…

Ti ho tanto attesa… ti aspettavo… sono pronto…

 

C’era un peso, sul suo petto.

Ma Edward non lo sentiva più…

 

Sono qui adesso… e sarò qui quando tornerai.”- sussurrò ancora Methos, la guancia appoggiata su quella ferita e su quel sangue ormai freddo.

Ancora un battito.

E uno ancora.

 

E poi…

Più nulla.

 

E Methos chiuse gli occhi, senza riuscire più a trattenere i singhiozzi.

 

Methos chiuse gli occhi un attimo, prima di lasciar andare quella mano ormai inerte. La adagiò con cura sul suo petto e si rialzò, con calma.

 

Doyle non aveva detto nulla.

Era rimasto in piedi, immobile, in attesa.

In attesa poi di cosa…

Methos si voltò a fissarlo.

“Impiegherà un po’ a svegliarsi.” – spiegò, conciso. – “Se vuoi un Whisky, versatelo. E preparane uno anche per me. Mi lavo le mani.”

 

Si era appoggiato al lavandino della cucina, con le mani sotto al getto freddo.

Da lì, con lo sguardo fisso, poteva vedere il corpo senza vita, la mano sul petto e quell’altra, abbandonata, giù dal materasso. I capelli umidi avevano il colore dell’oro scuro e l’ombra della barba spiccava ancora di più sulle guance pallide.

Edward era morto, il capo reclinato da un lato, il sangue che finalmente aveva cessato di scorrere.

Methos se lo sentiva sulla pelle, denso e appiccicoso. E fin dentro l’anima.

Doyle gli era venuto vicino, sedendosi su uno degli alti sgabelli.

Senza un commento, aveva posato i due bicchieri sul ripiano lucido.

Era stranamente silenzioso, quasi quella morte lo opprimesse, con un senso di irrimediabilità che non le era consono.

“La morte di un immortale è breve come un caffè, Francis…” - pensò, guardando ancora un attimo quel corpo scomposto e fragile.

“Edward non ha il risveglio veloce.” – commentò, sedendosi e stringendo il bicchiere con mani ancora umide – “Abbiamo tempo per parlare. Hai domande da farmi?”

Doyle annuì.

“Stai bene?” – chiese, cogliendolo di sorpresa.

Una domanda da Doyle, sorrise Methos, guardandolo.

Con mille perché nella testa, andava a caccia di quelli degli altri.

“Sto bene.” – rispose, seguendo con un dito le cesellature del cristallo – “immagino che tu voglia sapere di lui.”

“In effetti immagini giusto.” – aveva una voce tranquilla e bassa – “Da quanto tempo lo conosci?”

“Da molto.” – soppesò le parole e le menzogne un istante, prima di affrontare la verità – “Sono io che l’ho ucciso. Che l’ho reso immortale.”

“Ah.”

“Ah.” – ripetè Methos, fissandolo – “Tutto qui?”

“Tu non vuoi essere giudicato per quello che hai fatto.” – replicò Doyle, sostenendo il suo sguardo – “Per cui non ho nulla da dire. Raccontami.”

“Non sapeva di Spike. L’ha saputo stamattina.” – ringhiò Methos, abbandonandosi a quella rabbia non sfogata – “E’ stato un caso, stasera. Non vi stavamo cercando. Spike non lo sa e non lo deve sapere. Soddisfatto?”

Doyle lo valutò, mentre tracannava il contenuto del bicchiere.

“Ti senti meglio, adesso?” – domandò, senza recriminazione nella voce.

E Methos, senza un commento, annuì, alzandosi e camminando avanti e indietro sulle lucide piastrelle della cucina.

“Sì. Tutto sommato mi sento meglio.” – ammise, voltandosi verso il demone – “Ne avevo bisogno… e ora ricominciamo da capo.”

aveva un tono più tranquillo. E, per quanto stesse ancora in piedi e in preda ad una certa tensione, era nuovamente razionale. E non più insondabile come poco prima.

“E’ successo dopo la presunta morte di Byron. Sono stato per un po’ in giro per l’Inghilterra e poi sono tornato a stabilirmi a Londra. Doveva essere suppergiù il 1854…”

 

1854, Kensington

 

oh, ma mio caro dottore, cosa dite mai…” – il ventaglio accelerò la sua oscillazione e la bella bocca di lady Charlotte divenne intermittente – “Suvvia, vi sentisse mio marito…”

Mia cara…” – rise, impeccabile Methos – “Noi staremo attenti che questo non accada…”

Dietro il paravento cinese faceva piacevolmente caldo: le guance si arrossavano, gli spiriti si scaldavano… e delle risatine sospette si propagavano nell’aria.

Nascondendo i rumori, rumori come porte aperte e richiuse con attenzione.

Edward si spostò lungo la parete, sfogliando le coste dei libri con lo sguardo.

Lord Cabborough aveva una biblioteca ricchissima e di grande importanza. Testi rari e antichi a fianco di pubblicazioni ancora profumate di stampa e carta asciugata al sole.

L’angolo di uno spirito eccelso, innamorato della vita.

E di una moglie un po’ troppo vivace. Edward aggrottò le sopracciglia bionde, iniziando a farsi un’idea della provenienze di quei fruscii.

Fruscii che potevano, effettivamente, portare guai.

Fece due passi a ritroso, allontanandosi dalla splendida tiratura d’importazione che avrebbe voluto consultare. Schivò un tavolino, salì sul tappeto e proseguì la sua camminata silenziosa all’indietro verso la porta in noce a doppio battente.

E arrivò a posare la mano sulla maniglia, nell’attimo stesso in cui lo stimato medico della buona società londinese sbucava da dietro il paravento, aggiustandosi lo sparato.

Edward rimase immobile, guardandolo. E, quando si ritrovò ricambiato, da uno sguardo sorpreso e circospetto, non potè trattenersi.

Perché mi sento io, colto sul fatto?” – domandò, mentre un irrefrenabile sorriso lo illuminava.

Methos, d’altro canto, lo fissò sbalordito, sentendo un’improvvisa simpatia per quel giovane sconosciuto. Elegante, del tutto privo di quell’arrivismo che contagiava molti londinesi in quell’epoca.

Diverso. Methos, con una prontezza nata da secoli di scontri continui con gioventù arrabbiate o idealiste, ne fu subito colpito. Prima ancora che una nuova sensazione lo raggiungesse.

Una sensazione istintiva, quasi un riconoscimento.

Un profumo di immortalità…

Quel ragazzo avrebbe percorso la strada dell’eterno.

Si impose si restare presente, di trascurare il particolare, mentre Charlotte approfittava di quei pochi attimi per infilare una porta secondaria e svanire.

Un ospite del marito.. un giovane con libero accesso alla biblioteca privata…

E, nell’ambiente, si vociferava che nessuno potesse competere in prontezza di battuta e stile con…

Lord Coventry, suppongo.” – mormorò Methos, avvicinandosi e tendendogli amichevolmente la mano – “desideravo proprio fare la vostra conoscenza…”

 

“…andai subito d’accordo con Edward. Era impossibile non trovarlo brillante e piacevole. Ma c’era di più. E molto. Edward credo che rientri tra le dieci persone più intelligenti che abbia mai conosciuto.

Non è solo una questione di quoziente intellettivo. È un fatto si sentimenti, intuizioni, prontezza… mi colpì, fin dalla prima volta che lo vidi.

E, a poco a poco, cominciammo a frequentarci regolarmente. Era un’amicizia solida, senza pretese. E fu così che gli rivelai la verità.”

“Lui sapeva della tua immortalità?”

“Già. Glielo dissi e di certo lui non mi fece pentire. Quello che non gli rivelai era la sua natura. non sapeva di essere uno di noi e io confidavo che non lo scoprisse mai, che avesse una bella vita e morisse circondato da figli e nipoti.”

“Poi cambiò qualcosa…”

“Certo. Ci si mise l’ottocento con il male del secolo. Tubercolosi. Tisi, se preferisci. E fui io a diagnosticargliela.”

Si era nuovamente riempito il bicchiere, per il piacere di poterlo ruotare ancora tra le mani più che per il gusto del suo pregiato liquore.

“Quel pomeriggio rientra senza dubbio tra i momenti peggiori della mia esistenza.” – commentò, abbandonandosi ad una confidenza – “Una della persone che più stimavo al mondo sarebbe morta prima di arrivare ai venticinque anni. Tutto quello che di meglio possedeva del suo tempo e del suo essere umano, sarebbe finito sotto due metri di terra.

Per un po’ resistetti.. resistetti quasi un anno. Poi decisi che non potevo attendere come stava facendo lui. Avevamo superato il tempo limite entrambi…

E intervenni.”

“E lo uccidesti.”

“Un colpo di pistola in pieno petto. Ed Edward svanì nel nulla.” – Methos alzò gli occhi, fissando ancora quel corpo, con aspettativa – “Il resto è un interessante romanzo di occultamento del delitto. Te lo risparmio volentieri.”

Doyle bevve un sorso, riflettendo.

Poi, posando il bicchiere sul tavolo, espose i suoi dubbi.

“In questo quadro che hai fatto” – commentò – “Non c’è William…”

“Ed infatti è questo che lo rende realistico. Il mondo di William non è mai stato il mio. E viceversa. Ci conoscevamo di vista.” – Methos soppesò le parole – “O, meglio, io conoscevo di vista lui. William aveva occhi solo per Edward. Il resto del mondo non esisteva. E dopo la mia diagnosi il loro legame divenne un dogma. Non ho mai visto due persone tanto legate…

La decisione di Edward di non dirgli nulla mi sorprese. Ero pronto a insistere a riguardo, ma non ce ne fu bisogno. Scelse di restare morto ai suoi occhi….”

Ancora adesso non comprendo…. Ma, del resto, quanto cose non ho ancora capito, dopo cinquemila anni…

“Sai, Francis…” – riprese – “…”

 

Methos si era interrotto, distratto da mille pensieri. E, dopo un attimo di era alzato.

Perdonami, aveva mormorato. Dopotutto, ho bisogno di farmi una doccia…

 

Doyle rimase seduto, bevendo, un sorso alla volta, quel liquido caldo e forte.

Aveva così tante domande senza risposta…

Si alzò, affacciandosi alla porta della camera da letto.

L’acqua correva nella doccia, ma Methos stava ancora cercando alcuni vestiti nell’armadio.

“Questi sono per Edward.” – mormorò, per nulla sorpreso di essere stato seguito – “ormai non dovrebbe più mancare molto…”

“Da quanto hai capito chi è spike?” – domandò, lo stipite piantato nella schiena e il bicchiere ancora in mano.

“Non ho impiegato moltissimo, se è questo che vuoi sapere.” – rispose, prelevando un maglione – “solo che il mio inconscio non è veloce come il tuo. Per cui ho dovuto anche accorgermi di quello che avevo visto.”

“E non l’hai detto ad Edward…”

“Non fosse venuto a trovarmi, non glielo avrei nemmeno detto.” – Methos stava appoggiando il necessario in bagno – “Se l’ho fatto, è stato per evitare quelle belle scene strappalacrime che capitano dalle tue parti. E, quanto al dirlo a William, non era mia pertinenza.”

“Su questo siamo d’accordo.” – commentò doyle.

“Anche non lo fossimo.” – ribattè Methos, sbucando dal bagno già a torso nudo – “sarebbe l’unico fatto non discutibile. Sta ad Edward decidere. Nessuno deve intromettersi.”

“Nemmeno Angel?” – domandò Doyle, fissandolo con una vaga sfida.

“che cosa intendi dire?” – Methos lo fissò, notandone il sorriso divertito.

“Intendo dire che non dirò nulla a Spike. E a tutti gli altri. Ma dai tempo ad Angel… la partita sua e di Edward è appena iniziata.”

 

Niente aveva impedito a Methos di sbattere la porta del bagno sul suo muso irriverente.

E Doyle, consapevole del suo sarcasmo, non se l’era avuta a male.

Methos aveva ragione a imbestialirsi. Dopotutto quello di cui Doyle si stava impicciando non era affar suo. Sempre se non si considerava il fatto che stava diventando una questione di famiglia. Anzi, di famiglie.

Quella di Doyle, quella di Methos, dell’Hyperion…

William ed Edward si collocavano al centro di questo turbinio.

E tra loro, paradossalmente, sembrava collocarsi l’ombra di Angel.

E quella di Angelus.

Con chi aveva combattuto Edward quella notte? Con l’assassino di suo fratello o con il suo sostituto?

Qual era il fantasma che temeva?

 

Doyle camminò con lentezza verso di lui.

La sua ferita era ormai richiusa. Restava solo il sangue, sul materasso e sui vestiti.

Dovremo bruciarli, ragionò Doyle. E anche gli asciugamani.

Puoi mentire a un vampiro, ma non ai suoi sensi…

 

Rimase in piedi, a fissarlo.

Adesso lo ricordava bene.

L’amico di Methos, il ragazzo biondo che percorreva tranquillo il viottolo verso casa di sua madre con una bracciata di legna o che appariva con un mazzo di margherite nei momenti meno probabili.

Nei suoi ricordi di bambino si associava sempre ad un sorriso amichevole e a pochissime parole. Taciturno, forse propenso ad ascoltare i bambini più che a narrare. Così diverso da Methos, capace di avere sempre un aneddoto sulle labbra.

Era così strano, vederlo immutato.

Con Methos era diverso. Methos era sempre stato grande.

Ma questo ragazzo, questo Edward che lo seguiva, gli era sempre sembrato giovane. Ed ora, ritrovandosi adulto, a fissarlo, doyle percepiva, per la prima volta, la sua mortalità.

Edward non sarebbe invecchiato. In un modo diverso da spike, o da Angel, era destinato a restare così. Lo stesso viso, la stessa espressione…

Doyle abbassò gli occhi, permettendosi il lusso di scacciare quella fastidiosa sensazione, fissando le dita lievemente inarcate.

 

Spike ha le tue mani, Edward.

Non so ancora cosa ho visto in te, per capire chi eri… proprio non lo so.

 

E non mi va di pensare che sia stato destino.

 

Forse avrei preferito non capire…

 

E fu in quel mentre, mentre l’ultimo quesito si vibrava ancora tra loro, che Edward aprì gli occhi e, con un rantolo, cercò il primo respiro.

 

***

 

Quando finalmente l’aria gli penetrò nei polmoni, Edward sentì le spalle rilassarsi e tornare a contatto con il materasso.

Aveva le membra intorpidite e mille pensieri nella mente.

Ed era di nuovo vivo.

Senza fretta, quasi pigramente, iniziarono ad affiorare alcuni fotogrammi di quella notte. Poi, sempre più concitati, gli ultimi attimi di lotta….

E William.

Istintivamente cercò con le dita la ferita, pur sapendo di non poter trovare nemmeno una cicatrice. Methos non si era premurato di togliergli nemmeno il maglione. Aveva strappato la freccia per accelerargli l’agonia e l’aveva lasciato morire.

Armeggiando, a fatica, Edward si sfilò l’indumento, irrigidito dal sangue essiccato.

E tornò a scivolare sdraiato, gettandolo lontano.

“Dio, come la odio…” – mormorò, riferendosi alla sua morte e alla sua resurrezione indiscriminatamente.

Aprendo gli occhi, nel sentire dei passi.

“Lo vuoi un po’ di caffè?” – domandò Doyle, porgendogli una tazza – “Non c’è niente di meglio, appena svegli…”

 

Edward lo guardò perplesso, prima di alzarsi, appoggiandosi sui gomiti.

 

“Grazie.” – mormorò, prendendo il boccale tiepido dalle mani del demone.

“Figurati.” – gli sorrise l’uomo, di rimando – “Resta pure sdraiato.

Methos sta facendo una doccia.. credo che ne avesse abbastanza di tutto il tuo sangue…”

“Non posso dargli torto.” – replicò, sentendosi improvvisamente calmo, nel parlare così normalmente… così lontano dalle emozioni – “Ho fatto un bel casino, stanotte…”

“Vero.” – rise Doyle, accendendosi una sigaretta – “Proprio vero.”

“Me ne offri una?” – chiese, speranzoso, Edward, tendendo una mano.

“Certamente.” - Doyle gli porse il pacchetto – “Intanto non sono mie. Le ho fregate a Spike.”

La mano che stringeva la sigaretta si bloccò a mezz’asta. Poi Edward la portò verso la bocca, accettando l’accendino già acceso.

“Lui... fuma?” – domandò, quasi rispettosamente.

“Come un turco.” – ribattè doyle. Edward si era illuminato di una curiosità che faceva quasi tenerezza.. ed era difficile, come gli succedeva con spike, ricordare la sua età reale - “Anche se, certe volte, ho l’impressione che gli piaccia più il gesto che il vizio. Si gode il movimento meccanico…”

Edward abbassò gli occhi, con aria assorta.

E Doyle, rispondendo a quel suo innato intuito, si sentì in dovere di dire qualcosa.

“Chiedimi quello che vuoi Edward.” – mormorò, sedendosi a cavalcioni di una sedia – “Se vuoi sapere che tipo è, io credo di conoscerlo… almeno un poco…”

 

Edward lo fissò, con un’inconfondibile tristezza negli occhi.

Era strano farsi raccontare il proprio fratello da altri, da persone ad un passo dall’essere estranee.

Doyle conosceva Will… Spike molto meglio di lui…

“Mi piacerebbe.” – rispose, cauto – “Ma non credo sia una buona idea.”

“Credi sia veramente troppo cambiato, per riconoscerlo quando ti parlerò di lui?”

Edward sorrise, incassando il colpo e sedendosi. Gettando quel che restava della sigaretta dentro il caffè.

“E’ questa la famosa sensibilità che ti contraddistingue, doyle?” – domandò, piegando le ginocchia e constatando che il suo amato cappotto era da lavare molto bene – “Il famoso sesto senso di tua madre…”

“non sono così in gamba.” – replicò doyle stando al gioco – “Ma da mia madre ho indubbiamente preso la testardaggine. E tu dimmi, Edward…. Spike ha preso da te il suo amore per la musica?”

 

Sai, doyle, inizio a capire cosa intende Methos quando dice che il tuo dovere è portare confusione…

 

“No.” – replicò provando a mettersi in piedi – “Io non suono nemmeno il triangolo. Da me ha preso l’abitudine a impicciarsi di affari non suoi.”

 

Le gambe mi reggono… grazie al cielo…

 

Poco convinto di quello che stava facendo, cercò di riacquistare un equilibrio che non avesse a che fare solo con la posizione eretta.

Fermo.

La testa china.

 

Doyle scrutò quei riccioli biondi e scomposti così adatti a nascondere.

Chissà se anche Spike, sotto quell’abuso di acqua ossigenata…

 

Adesso, nel vederlo nuovamente in piedi, notava i piccoli particolari che aveva in comune con spike. Era interessante ricercare i pro e i contro di quel legame tanto intenso quanto irreparabilmente fonte di problemi.

Si domandò come avrebbe reagito Spike, al posto di Edward… e poi cosa avrebbe detto, ritrovandoselo di fronte.

“Pensi che ti avrebbe colpito, avesse saputo chi eri?” – domandò, senza giri di parole. Beccandosi una singola occhiata, eloquente più di ogni risposta.

Edward è una persona decisamente tollerante, annotò, mentalmente. Prima di rispondergli preferiva astenersi.

Stava camminando e sciogliendo i muscoli. Doveva provare una fastidiosa sensazione di intorpidimento, più psicologica che reale.

“Toh, guarda chi si rivede.” – mormorò Methos, spuntando con i capelli ancora umidi – “Tornato a miglior vita?”

“Chiamala migliore…” – borbottò, scoprendo, nello specchio, di avere sangue fin nei capelli – “Ho male dappertutto.”

“Possibile. E puzzi di battaglia.” – Methos si appoggiò le mani sui fianchi e lo guardò, disgustato – “Lavati. Subito.”

“Si, mamma.” – replicò Edward, mostrando tutti i denti – “A meno che tu non voglia uccidermi un’altra volta. In quel caso preferirei aspettare…”

Methos non sapeva se ridere o ammazzarlo.

Altro appunto mentale, ragionò doyle. Quello che vale per tutti gli altri, non vale nei confronti di Methos.

A lui si dice tutto, senza appellarsi alla calma…

“No?” – stava aggiungendo Edward, la testa leggermente inclinata – “Allora vado a farmi la doccia.”

“Ehi.” – mormorò Methos, afferrandolo per un braccio e guardandolo negli occhi – “Non sono intenzionato a litigare. E se può interessarti.. non sono nemmeno arrabbiato.”

Edward lo guardò dritto in viso.

Prima di allargare la bocca in un memorabile sorriso.

“See… raccontatela, Doc.”

 

E Doyle, frenando a stento una risata, scoprì in cosa Spike assomigliasse realmente a Edward.

 

***

 

Methos aveva palesemente fame. Lo si poteva intuire dal fatto che, nel cuore della notte, avesse tirato fuori metà del contenuto del frigo e si fosse messo a spalmare mostarda in quantità su fette di pane.

Una catasta di panini, ecco cosa voleva.

“Aiutami. E non farmi una domanda che non sia di ordine pratico.”

“Come dire che posso solo chiederti dove sono i bicchieri?” – precisò Doyle, avvicinandosi.

“Pressappoco…”

 

Nel frattempo, Edward si era rintanato in bagno. E ora, sotto il getto bollente, anelava una pace che non ricordava di aver provato.

Chiuse gli occhi e, con calma, si impose di pensare al combattimento con Carlos Suarez, ricordare gli assalti e separare le emozioni della reminiscenza dalle mosse di scherma.

Fermo, i capelli incollati al viso e le mani in lenti e limitati movimenti, a mimare le sequenze degli assalti.

Un esercizio spirituale, per fare chiarezza. Lentamente riaprì gli occhi e si fissò nello specchio appannato. I capelli fin sugli zigomi, la barba decisamente in vista. Aveva occhi iridescenti…

C’era stato un tempo in cui questo particolare era tipico di William. Non suo.

Gli occhi di William mutavano in balia della luce e dell’umore… i suoi avevano cominciato stranamente a farlo con l’immortalità. Uno strano effetto collaterale.

Poteva succedere, aveva ammesso Methos, già allora.

Mutiamo appena.. ma certe nostre caratteristiche si acuiscono…

Si toccò uno zigomo, cautamente, come se temesse di essere contuso e dolorante.

Aveva l’impressione che la testa potesse esplodergli, che gli occhi potessero bruciare. La verità, pura e semplice, era che non si riconosceva.

L’uomo nello specchio era un estraneo.

 

Methos aveva acceso la musica. Ora l’opera di diffondeva da una stanza all’altra, senza rimbombare, con voce limpida e pura.

Era piacevole..e ipnotico.

Era stato strano, ricordò, una sera, comprendere che non sarebbe mai più potuto andarci.

L’opera… la Londra bene che frequentava il teatro non avrebbe apprezzato i suoi colpi di tosse, il suo respiro pesante… perché la morte che bussa deve farlo silenziosamente e non disturbare le nostre feste…

Altrimenti è disdicevole…

 

Edward si tirò indietro i capelli e chiuse l’acqua calda. Il getto gelido lo colpì in pieno, facendolo sussultare ma allontanandolo, finalmente, dai ricordi scomodi.

Sei andato all’opera, ancora… e ancora, si rammentò, mentre il gelo si propagava in brividi giù dalle spalle. La morte ha cambiato porta…

Quasi per istinto, seguendo un dolore che non percepiva più, si massaggiò il torace, nel punto in cui la freccia l’aveva trapassato.

E quel semplice gesto, gli scatenò in testa immagini confuse.

Strinse gli occhi, cercando di scacciarle.

 

“Francis…” – Methos alzò gli occhi e lo guardò, mentre si dirigeva verso il bagno – “Lascialo stare.”

A questo comando, il demone si voltò. E lo fissò interrogativo.

“Lo senti anche tu?” – domandò, riferendosi ad una precisa sensazione, una percezione definita di pura confusione.

“Non ho bisogno di sentire nulla.” – ribattè l’immortale – “E’ normale che sia sconvolto. E ha bisogno di farsene una ragione. Lascialo stare.”

“Sei certo che invece non abbia bisogno di aiuto?”

“E come vorresti aiutarlo? Lo tiri fuori dalla doccia, di peso, per cosa? Riportare indietro il tempo? E di quanto? Centoquarant’anni o un’ora?

Cosa preferiresti evitargli? La scelta di abbandonare William prima di vederlo morire di vecchiaia o la decisione di piantargli un coltello in petto per mantenere il segreto?” – Methos stappò una bottiglia di rosso e ne versò il contenuto color rubino nei calici alti – “L’immortalità ha un piccolo difetto… è eterna. E bisogna saperci convivere. Edward ne è perfettamente in grado…”

Credimi…

 

India, 1883

 

La sensazione della reminiscenza gli fece quasi piegare le gambe.

E’ qui dietro.” – mormorò sbrigativamente Damodar, dando un altro colpo alla parete sconnessa e sollevando ancora polvere.

Methos annuì. Damodar aveva percepito come lui la vicinanza. Edward era sotto quelle macerie e non troppo lontano.

Muoviamoci.” – ribattè, sollevando altra polvere con colpi decisi di piccone.

Ormai da giorni quella zone della costa era piombata nel caos. Una piccola isola, Krakatoa per gli occidentali, si era inabissata, in seguito a ripetute scosse.

Le onde, i sussulti successivi della terra, violenti come non mai, si erano propagati fino all’India. Solo in seguito Methos avrebbe scoperto come questi fossero stati percepiti addirittura dagli australiani.

Ma allora, in quel momento, non era una catastrofe memorabile, da ricordare. Era solo morte. Morte per strada, morte sotto le macerie, morte e basta.

Da giorni si scavava in cerca di sopravvissuti. Methos e damodar, ritrovatisi dopo qualche secolo, avevano vissuto i giorni precedenti il disastro nella pigra certezza di attraversare un’epoca tranquilla. E si erano sbagliati.

 

Quando la prima ondata di panico si era spenta, si erano ritrovati per strada, insieme ad altri mille, ad aiutare, a cercare di salvare.

E, per una volta ancora, a cercare amici e conoscenti in quel deserto desolante.

Anche Edward era svanito. A tre giorni di distanza, non ancora tornato, aveva cominciato a destare qualche preoccupazione. Nulla, non un cenno.

Lentamente, entrambi avevano iniziato ad avere un sospetto. E, precedendo i soccorsi, ma seguendo i saccheggiatori, si erano spostati in quella parte di città più danneggiata.

Il giorno del terremoto, Edward era uscito di casa di corsa. E Methos sapeva senza dubbio dove stesse correndo.

Se ci muoviamo.” – ripetè, assestando un altro colpo con maggiori risultati – “Abbiamo una possibilità di salvare Mayuri.”

Gia.

Mayuri.

Edward doveva essere andato da lei, quel giorno. Doveva aver corso come un pazzo e doveva aver cercato in tutti i modi di portarla al sicuro. Se veramente erano lì sotto, Methos e Damodar potevano ringraziare solo la reminiscenza, che aveva permesso di trovarli, laddove nessuno stava cercando.

Con un ultimo colpo la parete crollò, sollevando una nube rossastra.

Methos non aspettò nemmeno che si diradasse, infilandosi nello spazio. Il soffitto aveva retto e lo spazio risultava ancora agibile con poche difficoltà. Methos, tallonato da Damodar, percorse le poche decine di metri della galleria, quasi correndo, fino a quando non lo colpì, indescrivibile ma sempre nitido, l’odore di morte.

Imprecò, sottovoce, accelerando il passo.

Reminiscenza, di nuovo.

E ancora, nell’attimo in cui la torcia li illuminò.

Abbracciati, rannicchiati uno sull’altro.

Occhi chiusi per sempre.

E occhi azzurri, sbarrati su quello scenario di desolazione.

 

Methos si bloccò. Edward piangeva.

I singhiozzi lo scotevano, mentre ancora seppelliva il viso in quei capelli che ormai sapevano solo della polvere che vi si posava. Stringeva un corpo rigido, probabilmente da ore.

E Mayuri riposava con la testa sulla sua spalla. La luce rossastra delle torce non l’avrebbe più svegliata. La sua voce non si sarebbe più levata limpida sulle sponde del Gange.

Mayuri se ne era andata.

Ed Edward, morto con lei, viveva ancora.

Alla fine era successo. Methos l’aveva dolcemente messo in guardia, giorno per giorno. Abbracciare la morte, vedere la propria ragione di vita sfiorire, e svanire.

E poi, come nel peggiore degli incubi,addormentarsi insieme.. e svegliarsi soli.

Damodar fu più pronto a riprendersi. Si avvicinò a entrambi, inginocchiandosi e tendendo le braccia.

Sotto gli occhi di Methos, Edward sembrò riscuotersi. Come se non avesse atteso altro, lentamente, lasciò che il suo amore scivolasse lontano da quell’abbraccio che non l’aveva protetta. Damodar era il suo popolo. L’avrebbe onorata e rispettata, donandole gli onori, quegli onori che per lei erano così importanti.

Quegli onori che mai più sarebbero stati vita e calore.

Damodar raccolse quelle spoglie quasi con reverenza. E si alzò, trasportandola lungo il cunicolo. Le braccia allungate, inerti… la testa reclinata e le labbra dischiuse.

Methos si avvicinò piano a Edward, ancora scosso da un tremito che gli proveniva dal profondo dell’animo.

Senza chiamarlo.

Senza poter far altro che esserci mentre, con lentezza impressionante, l’eternità gli donava una nuova definizione di se stessa.

 

L’acqua era ancora aperta. Edward, la pelle gelata, le mani tremanti, si appoggiò alla parete. Il viso premuto contro le piastrelle.

Ecco.. adesso lo vedeva…

Non si era aspettato una reazione del genere. I suoi occhi si erano dilatati nel vederlo voltarsi così veloce. E, da lontano, gli erano apparsi grigi e uniformi.

Il coltello, tra loro, aveva ruotato su se stesso, velocissimo. William aveva alzato la balestra proprio mentre il kriss lasciava la mano. E la freccia era passata tra le sue braccia, conficcandosi vicino allo sterno.

Edward ricordava di essersi piegato, premendosi una mano allo stomaco e di aver alzato la testa.

Ed aveva visto quella di William, veramente tropo bionda, inarcarsi all’indietro. Aveva lasciato andare la balestra e la luce del lampione aveva illuminato l’incarnato chiarissimo e la linea del profilo, mentre cadeva indietro, tra le braccia di Angel.

Indossava una maglietta nera… jeans… Edward strinse gli occhi, cercando di catturare più particolari… nero, era integralmente vestito di nero…

Ma cos’altro..

No, non ricordava nulla, nulla.

Fece un respiro, rivide la sequenza una volta ancora.

No, non lo vedeva.

Non l’aveva visto in viso.

Erano colori, solo colori. Ombre, luce… la mano con la balestra…

Nulla.

Perfetto, William, non volevo mi vedessi, volevo vederti… ho sbagliato anche questo...

 

Ti ho guardato in viso…e non ricordo nulla. Occhi, capelli… sei accecante al buio.. probabilmente lo sai.. ma io mi sento che se non ti avessi visto…

Eppure fa male… anche se la ferita non c’è più… Edward si massaggiò il torace, reprimendo un gemito.

Era come se l’idea di William amplificasse le sensazioni dei ricordi… oggi i polmoni.. adesso il cuore…

Riempi la mia mente, divori il mio essere.. eppure non sei più un fantasma del mio passato…

È come allora… sei vivo e lontano…

 

Le piastrelle erano ancora fredde, sotto la sua fronte. Ma non bastavano. Non bastavano. Si appoggiò con tutto il corpo, pesantemente, cercando di respirare a fondo.

Frugando nella mente, rabbiosamente. La reminiscenza di Carlos, la sua vita ancora in circolo, Angel e il suo mistero, William..

Il sangue…

WilliamWilliamWilliam…

 

Il box doccia si era aperto.

E una mano si era insinuata, portando dentro, paradossalmente, il calore umido del bagno.

“Cena pronta.” – aveva commentato Methos, chiudendo i rubinetti – “Asciugamani e vestiti sono sul ripiano. Li avevi dimenticati…”

 

Si voltò e uscì, senza aggiungere altro.

Lasciandolo nuovamente solo.

Ma, sperava, salvo da se stesso, una volta ancora.

 

In salone, Doyle stava accendendo un candeliere. Lo scatto dell’accendino era quasi ritmico, in contrasto con le fiammelle diritte e statiche.

Il demone alzò lo sguardo, vedendolo rientrare.

Con un sorrisetto saccente.

“Che c’è!” – Methos si mostrò seccato, ritrovando in quel sorriso i sentimenti di Sinead che più lo irritavano. La comprensione, ad esempio – “Ho fame, non mi va di aspettare!”

 

***

 

Dove passava, Methos aveva il potere di spargere una forma di cinismo.

Edward, lasciato solo e finalmente consapevole del freddo che provava, si sentì pronto a riacquistare un minimo di calma.

Con un respiro profondo, battendo i denti, si vestì, strofinandosi i capelli con un asciugamano. Gesti monotoni, capaci di distrarre.

Quando uscì dal bagno, Methos stava ancora armeggiando in cucina.

“Il tuo difetto.” – commentò, indicandolo con il coltello che stava usando – “E’ di essere ancora troppo giovane e pieno di passione.”

Edward lo squadrò, con cipiglio. Poi guardò Doyle, che gli porgeva uno dei bicchieri.

“Lo dice anche di te?” – domandò, accettando – “Di me non fa che ripeterlo…”

“Di continuo.” – annuì il demone con aria fintamente affranta – “Bisogna capirlo.. alla sua età ogni passione è sopita…”

“Ah, questa poi…” – borbottò Methos, mentre i due brindavano e lo fissavano con le loro facce innocenti – “chissà dove è finito il rispetto per gli anziani…”

“Insieme ai principi morali.” – replicò Edward, sedendosi a tavola – “Sotto gli anfibi.”

“Un ottimo posto per tenere gli scrupoli superflui…”

Se quei due fanno tintinnare ancora una volta i loro bicchieri in segno di intesa, ponderò Methos, portando il vassoio in tavola, sarò io a mettere da parte gli scrupoli superflui…

“Passioni sopite.. io” – borbottò ancora – “Sono solo diventato bravo a convogliarle nella giusta direzione.”

“Beato te.” – sospirò Edward, afferrando un panino – “Io sono lungi dall’essere infallibile. E, per giunta, mi sento come se mi fosse passato un tir sopra…”

“Quei due fanno spesso quell’effetto.” – Doyle bloccò la bottiglia a mezz’asta – “Si possono nominare ‘quei due’ o facciamo finta di non conoscerli?”

“Possiamo nominarli.” – rispose Edward, con tranquillità – “Non sono paranoico…”

“In effetti non dai quell’impressione.”

“Grazie.”

“Ma prego, Eddy.” – doyle si accese una sigaretta, spargendo un po’ di cenere sul tavolo mentre Methos spingeva verso di lui il posacenere di cristallo.

“Stai laggiù in fondo...” – domandò il demone, vedendolo seduto a capo tavola – “O ti aggreghi alla gioventù?”

“Ancora un commento sulla mia splendida età…” – Methos puntò il dito minaccioso – “No, lasciamo perdere… è una partita persa. Resto qui, grazie. Ho un’ottima visuale.”

“Perfetto.” – concluse, passandogli un piatto – “Allora, di che parliamo?”

 

***

 

Mentre Doyle cercava di stordire il suo recalcitrante pubblico, all’Hyperion regnava il silenzio.

E tutti sentivano, palesemente, la sua mancanza.

Tutti tranne Angel.

Perché Angel, a dirla tutta, si era dimenticato di Doyle.

E di tutto.

Seduto sui gradini nell’entrata dell’albergo, con le mani intrecciate, non vedeva nemmeno Faith e Spike, impegnati in una lezione di scherma.

In testa aveva solo un tarlo fisso. La sua vita, fotogramma dopo fotogramma, a caccia di quel viso. I capelli biondo miele, gli occhi chiari, lo sguardo irriverente.

Era una descrizione famigliare.. solo che non era spike.

Uno in meno.

Angel l’aveva scartato, proseguendo la ricerca della risposta, come capita talvolta nella vita.

Era fuggito dalla risposta perché sarebbe stata azzardata… perché sembrava più una battuta ironica che la cruda realtà, perché sarebbe stato troppo, anche per un vampiro con l’anima addetto ai miracoli di LA.

 

Come stava compiendo negli stessi istanti Edward, anche Angel portava avanti una disincantata analisi del combattimento.

Innanzitutto la tecnica. Umano, ma dannatamente in gamba. Anni, decenni di allenamento e perfezionamento. Uno stile interessante, frammisto. Oriente, senza dubbio. Lama di cavalleria europea, metà ottocento…non troppo leggera, in effetti.

Elegante, ma molto corretto. Qualcuno che, per quanto abbia fatto, non ha perso l’idea di considerare la spada un’arte e non una difesa.

Coetaneo della sua lama, dunque?

Angel si appoggiò sugli avambracci e fisso i due schermidori che gli stavano passando sui piedi. Faith impugnava la Toledo che le avevano regalato, con lo stesso spirito con cui afferrava ogni corpo contundente. Sapeva maneggiarla nella misura in cui la faceva sembrare uno spadone a due mani.

Ampie rotazioni.

William, in risposta, era decisamente più oculato. In vita doveva aver tirato ben poco, soppesò Angel, osservandolo e ricordando le loro prime devastanti e discutibili lezioni.

L’aveva svezzato Angelus, portandolo verso uno stile eccessivamente elegante e rapido. Non umano, non paragonabile con nulla. Comprensibile quindi, che Spike la usasse frenando l’istinto.

“William.” – lo chiamò, interrompendo la sfida. E sperando che Cordelia non se ne avesse male per lo stipite irrimediabilmente scheggiato – “Avrei bisogno un piacere.”

“Fa in modo di meritartelo.” – ribattè l’altro vampiro, pro forma, avvicinandosi comunque.

“Dovresti metterti in posa di affondo.” – Angel si sporse in avanti – “Se possibile, nella prima che ti hanno insegnato nella tua vita.”

“Come, scusa?”

“Diciamo una posa ancora priva di stile.” – semplificò Angel. L’arma bianca era la sua indiscussa passione, non poteva negarlo.

Senza fare tante domande, Spike eseguì. Il braccio allungato, il peso distribuito, la mano perfettamente in linea.

“Adesso puoi farlo anche tu, Faith. Senza guardare William.. come ti è stato insegnato.”

“Che stai facendo?” – domandò Wes, sbucandogli alle spalle.

“Un confronto tra epoche. Hai insegnato tu la posa a Faith?”

“In effetti si.” – replicò Westley, fissando i due schermidori e cercando di vedere le differenze – “Ricordavo solo i fondamenti per cui ho lasciato il resto a te…”

Angel si limitò ad annuire e a lasciare i ragazzi liberi di continuare il loro rendez-vous.

“L’immortale deve essere nato nell’ottocento.” – commentò, mentre l’Osservatore gli si sedeva a fianco – “le differenze sono minime, in una posa ferma. Ma quando poi si arriva al movimento, diventa più evidente. Ottocento, ne sono quasi certo.”

“Qualche altro particolare?”

“L’accento. Può darsi sia inglese.” – Angel girava vicino al bersaglio, molto più di quanto non pensasse – “Riesce a forzarlo, lo modifica… potrebbe essere un emigrato delle colonie indiane… questo spiegherebbe la variazione e la sua discreta conoscenza della cultura orientale.”

“Come fai a sapere che conosce l’oriente?”

“Innanzitutto il coltello. E poi, una citazione… mi ha citato un poeta cinese.. ma non credo andremo molto lontano, battendo quella via. Dopotutto è un immortale, ha avuto tempo di viaggiare... la domanda è dove l’ho incontrato io nel suo peregrinare.”

“Possibile sia una tua vittima?”

“Sinceramente lo escludo. Una vampirizzazione è una morte violenta, senza dubbio. anche se non so quali potrebbero essere i risultati di un incontro del genere, tra natura immortale e sangue demoniaco… Forse l’ho ucciso… Ma sarebbe venuto a cercarmi subito. Oppure mi avrebbe comunque trovato prima.” – Angel stava tamburellando sul gradino – “Non so, c’è qualcosa che mi sfugge. Non mi stava cercando, ma quando mi ha trovato mi ha riconosciuto. E sapeva anche dell’anima. Dove ha raccolto queste informazioni?”

“Trovare informazioni su di te non è la cosa più difficile del mondo.” - Ribatté Wes, divertito suo malgrado – “Comunque è vero. Fosse stato ucciso da te avrebbe cercato vendetta molto prima.”

“Già. Tanto più che, Wes, posso assicurarti che reperire informazioni su Angelus e la sua famigliola non era per niente difficile. Dritto lungo la scia di sangue e poi subito a destra!” – Angel gli indicò questa via metaforica, grondando di sarcasmo. Sorridendo, un attimo più tardi, di quello che aveva detto – “Sto veramente troppo con Spike…”

“E bene che ti fa…” – replicò il vampiro in questione parando una stoccata e saltando oltre il divano.

“Bisogna ammettere che è bravo.”

“lo è.” – concordò Angel, guardando i due sfilare a suon di assalti – “Ma non farti trarre in inganno… ci sono spadaccini molto superiori.”

“Questo mi sembra un complimento indiretto al tuo avversario…”

“In effetti è la prima volta che combatto con un immortale. È interessante. Vedi, Wes, per la mia esperienza, l’arma bianca è l’unica cosa in grado di mettere sullo stesso piano un umano e un demone. Ha a che fare con una velocità e una prontezza di decisione che non vengono necessariamente acuite dai sensi demoniaci.

Puoi essere veloce e sovrumano quanto vuoi, fisicamente. Ma quando hai una spada in mano devi saperti confrontare. Quell’immortale era abile con la spada. Non c’è stato un singolo attimo in cui abbia perso concentrazione, o si sia agitato. “

“per lui è una questione di sopravvivenza.” – rispose Wes. Prima di azzardare una domanda – “Sei certo che fosse ottocentesco? Dopotutto potrebbe aver modificato anche lui lo stile nel tempo…”

“Può darsi.” – considerò Angel, mentre Spike e Faith interrompevano e si avvicinavano – “Ma Methos ha detto che era giovane. E, comunque, non aveva del tutto l’odore del tempo.”

“Cosa intendi per ‘odore del tempo’?” – chiese Wes, con tono interessato.

“Non è proprio un odore.” – specificò il vampiro, giocherellando con la spada appena posata dalla Cacciatrice – “E’ una percezione. Methos, i primi tempi, mi faceva uno strano effetto anche per questo.. non riuscivo a collocarlo. Era vivo, palpitante… ma del tutto estraneo al tempo. Non so come renderlo… William, tu lo percepisci?”

Spike si appoggiò alla balaustra, aggrottando la fronte.

“In effetti c’è qualcosa.” – mormorò, lentamente – “E’ come se, in certi momenti, si potesse sentire l’eternità che c’è in loro. È diversa dalla nostra ma è comunque una particolarità che si può riconoscere. Del resto, gli immortali si percepiscono anche tra loro.. e noi possiamo riconoscere i vampiri in mezzo alla folla, con un minimo di attenzione.”

“Questo perché non respirano…” – domandò Faith, sedendosi per terra e massaggiandosi un polso indolenzito – “hanno battito, ma non respirazione…”

“Non solo per quello, Faith. Probabilmente è una percezione per simpatia, per similarità, intendo. Riconosciamo qualcosa che c’è anche in noi…. Il demone… l’eternità… chi può dire quale delle due maggiormente.” – Angel tacque un istante, prima di proseguire – “Lo sconosciuto di stasera era un immortale, ma non era antico. Non me ne sono accorto fino a quando non sono stato vicinissimo ed è giunto Methos… deve essere servito da catalizzatore…”

Fu in quel momento che una scintilla innescò il cervello di Faith.

“Aspetta un momento… biondo, immortale, Methos… doyle non ha detto a Cordelia che passava da Methos?” – esclamò, saltando in piedi.

“Si, ma…”

“Lui è sicuramente là.”

“Aspetta un momento.” – Spike la fissò di colpo illuminato – “Lui il bastardo? Da Methos?”

“Lo era anche oggi, quando sono passata.” – spiegò lei, omettendo gli ormoni per evitare che la bile vendicativa di Spike si sommasse alla gelosia – “Doyle doveva saperlo…”

“Pazienza, anche che Doyle lo sapesse poco importa!” – Spike sfregò l’impugnatura della spada con entrambe le mani – “Andiamo a prenderlo, vero?”

Non vedeva l’ora di saltare in macchina. Ma Angel, si rese conto in quell’istante, non aveva mosso un muscolo. Tanto Wes si era dimostrato interessato a quello scambio rapido di battute, tanto il vampiro bruno non aveva battuto ciglio.

“Angel.” – lo spronò Faith – “Non ti interessa?”

“Lo sapevo già.” – commentò, con tono piatto. Lasciandoli tutti senza parole.

“Come sarebbe a dire che lo sapevi?”

“Faith, conosci abbastanza Methos da sapere che si lava le mani delle beghe che non lo riguardano. Poteva avere due motivi per interromperci stasera. Il primo è volere quella testa. Il secondo volerla lasciare attaccata al collo.” – Angel tornò ad appoggiarsi sugli avambracci, pensieroso – “E direi che ha optato per la seconda soluzione. Lo voleva vivo. Altrimenti avrebbe finito il lavoro sotto il nostro naso.”

In effetti era vero. Spike soppesò la spada, fissando il vuoto. Tra Methos e lo sconosciuto c’era stata una lunga occhiata inspiegabile…

“Methos è un’ottima lama.” – replicò, soprappensiero, tornando ad appoggiarsi alla balaustra – “l’avrebbe decapitato prima che uno di noi facesse un solo passo, fosse stato quello l’obbiettivo… “

“Senza contare che l’hai ferito.. e che Methos l’ha seguito. È certamente a casa sua, adesso.” – Angel fissò entrambi i suoi pupilli desiderosi di vendetta – “Ed è per questo che nessuno di noi muoverà un passo in quella direzione.”

“Che cosa?”

l’urlo era esploso all’unisono. Persino Wes, silenzioso spettatore fino a quel momento, si unì al coro di proteste.

“Si da’ il caso…” – ribattè Angel, alzando la voce – “Che io l’abbia battuto e che quindi non voglia una rivincita. Io. Voi, invece, con questa storia, non c’entrate un bel niente.. per cui non ficcateci il naso.”

Ecco… ho detto la mia… e ovviamente li ho fatti urlare ancora più forte…

Ogni via di fuga era ovviamente preclusa. Wes dietro di lui, le due furie davanti … e, immancabile nel suo tempismo, Cordelia in arrivo dai suoi appartamenti.

“Avete scoperto qualcos’altro?” – domandò, sventolando le mani appena smaltate.

“Certo. Abbiamo scoperto che Angel sta applicando tutte le regole di cavalleria che riesce a inventarsi, che il suo avversario conosce Methos e che io, come al solito, non ho il permesso di pelargli il culo!” – replicò, seccato, Spike.

“A chi? All’avversario di Angel o a Methos?” - domandò Cordelia, escludendo consapevolmente un demone doppiogiochista dall’elenco.

“Che Methos faccia quello che vuole è risaputo.” – ribattè Faith, rimuginando un poco su quel casuale incontro del pomeriggio – “Ma che tu, Angel, voglia tenerti i dubbi al posto che andare a parlare con questo tipo…”

“Io non ho detto questo. Ho detto solo che Noi, sottolineo Noi, non ci andremo. Chiunque sia è ferito. Se ha intenzione di riprendere a combattere, adesso non ne è in grado. Se non ne ha intenzione…” – ed è quello che spero – “Allora se ne è già andato.”

Era una risposta che faceva acqua da tutte le parti. Se ne era reso conto nell’attimo in cui aveva terminata di pronunciarla.

“senza contare che ho detto a Methos che non mi sarei impicciato.” – aggiunse, poco convinto. C’erano tanti motivi.. ma non era intenzionato a renderli oggetto di discussione.

“Io non mi capacito di quello che stai dicendo.” – il tono di Spike risuonò sopra le recriminazioni di Faith e Wes. Non per l’irritazione che sarebbe dovuta trapelare.. ma per l’incredulità – “Non sei mai scappato innanzi a niente, da quando ti conosco. Adesso è come se non volessi sapere… cosa c’è in quel tizio, da renderlo diverso da tutti gli altri?”

“Non lo so, William! È questo il punto. Io devo scoprire chi sia, perché non so per quale motivo abbiamo combattuto. Lui aveva una motivazione.” – replicò, con veemenza – “Io devo trovare la mia. E, mi spiace dirtelo, non sono certo di poterne avere una.”

Si era raddrizzato, e si era dimenticato di tutti. Lo guardava dritto in viso, con una durezza inaspettata.

“Il motivo per cui non te l’ho lasciato inseguire è lo stesso di adesso. Il conto in sospeso è tra me e lui. Ed io ho una missione che vale più della sua vendetta. Non andrò nuovamente a cercarlo, con questa consapevolezza.

Perché non è malvagio, non è da combattere e perchè non vuole combattere. Può non andarmi questa situazione in sospeso, ma non ricomincerò a versare sangue innocente per il piacere di sapere.”

“E’ questo che ho fatto io, secondo te?”

“Si. E’ quello che hai fatto tu.”

Una replica secca.

Da lasciare tutti di sasso.

“Ti sei intromesso, William.” – ripetè Angel, senza addolcirgli la pillola – “Come ha fatto Methos. Ed è stato un bene, perché altrimenti ci saremmo ammazzati a vicenda. Tu e Methos avete salvato le vite di entrambi... stanotte. Ma adesso voglio che tu ti metta in testa che io e quel tizio possiamo essere molte cose.. ma inspiegabilmente non siamo nemici. Non del tutto. E, nella nostra sfida, esistiamo solo noi.

Immortale o no, è un innocente.

Nessuno di noi lo toccherà con un dito, finchè la mia opinione, qua dentro varrà qualcosa.”

Aveva salito le scale, rapidamente, mentre ancora la sua affermazione aleggiava nell’aria. Ed aveva sbattuto la porta, chiudendosi in camera.

Lasciandoli tutti senza parole.

“Cavolo.” – affermò Faith, la prima a riprendersi – “Questa storia gli sta veramente sullo stomaco…”

Wes e Cordelia si scambiarono un’occhiata perplessa. Spike era in piedi tra di loro, in perfetto silenzio, la mascella contratta e lo sguardo cupo.

Angel li aveva tutti indiscriminatamente redarguiti. Tutti loro, nel prendersela con spike in modo quasi eccessivo e plateale.

Non era da Angel…

“Bene.” – Spike ingoiò il rospo e si voltò, gelido – “Il capo ha detto la sua. E noi rispettiamo la parola del riverito capo. Vado a farmi la doccia…”

 

***

 

Angel si fermò nell’attimo in cui giunse al centro della stanza. Quando gli fu chiaro che era tardi per fare dietrofront e tornare indietro.

Si passò furiosamente una mano sulla testa e provò il desiderio di prendere a calci il tavolo. In mancanza di un respiro profondo, avrebbe volentieri usato le mani.

In fondo alla testa c’era una vocina che gli sussurrava quanto fosse stato ingiusto. E come quella sua ultima affermazione sulle motivazioni di spike, non avesse sminuito la sua accusa.

Aveva accusato Spike di aver ferito un innocente. Un innocente che gli aveva appena piantato un coltello malese nel cuore.

Già.. aveva proprio detto così.

Innocente. Ferito.

E aveva appena accusato di un delitto del genere un vampiro con l’anima a caccia di Redenzione.

 

Qualcosa gli diceva che non l’aveva presa bene…

 

Angel si buttò sul divano, passandosi le mani sul viso.

Non era possibile che avesse fatto una cosa del genere! Sapeva benissimo qual era la sensazione di risvegliarsi con il sangue di centinaia di vite sulle mani! Spike aveva attaccato per difendere la sua famiglia, con un istinto così vicino a quello animale da poter essere quasi scusato.

Il suo senso della famiglia.. il suo dannato senso della famiglia!

Un cuscino volò attraverso la stanza nell’attimo in cui la porta si apriva.

“so che di solito Doyle aspetta che tu sbollisca.” – commentò Faith, affacciandosi – “Ma io preferisco prendere il toro per le corna. Sappi però che, se lo ritieni indispensabile, puoi lanciarmi addosso i soprammobili.”

“Dai, entra.” – ringhiò Angel, facendole un cenno – “Nel peggiore dei casi ti morderò.”

“Posso correre il rischio.”

Si era fermata a pochi passi dal divano, per vederlo bene, sprofondato in tutta la sua lunghezza, i piedi sul bracciolo.

“Mi spiace.” – disse, incrociando le braccia – “Non ho pensato fosse il caso di dirtelo in separata sede.”

“Cosa? Del fatto che l’hai conosciuto?” – Angel la fissò, intrecciandosi le mani sullo stomaco – “Non è veramente importante. E non è il motivo per cui sono arrabbiato con Spike.”

“Sei veramente arrabbiato con lui?” - domandò la ragazza, continuando a restare immobile.

“Non del tutto.” – ammise Angel – “In questo periodo sono arrabbiato per molte cose. Certo, mi ha irritato la sua belligeranza. L’avesse visto, ci avesse combattuto, capirebbe… non so nemmeno come rendere veramente il concetto…”

“penso di aver capito..” – Faith fece un passo verso di lui – “sostanzialmente non vuoi che faccia casino. No?”

“Bhe, si, detto così è in effetti più chiaro.” – Angel aggrottò la fronte e si rassegnò all’idea che quella potesse essere la definizione migliore – “E’ una situazione che mi lascia perplesso, per molte cose. Non voglio che Spike ci metta mano…. Intanto è palese che lui non ha partecipato a questo mio peccato.”

“Da cosa l’avresti capito, questo?” – domandò, sedendosi sul bracciolo, mentre Angel spostava i piedi.

Si era avvicinata con calma, fissandolo negli occhi, con circospezione. Conquistandosi la sua fiducia... più che una Cacciatrice si sentiva un domatore.

E, dovendo scegliere, con una punta di sincerità ed egoismo, preferiva lasciare che Spike affrontasse il problema in solitudine. E focalizzarsi su Angel e il suo comportamento stranamente aggressivo.

Faith era stata la prima a percepirlo. Le ultime ronde con Angel erano state insopportabili. Il vampiro le passava sui piedi, pur di massacrare il maggior numero di esseri.

Un fuoco lo bruciava dentro, irrefrenabile. Ed era quel fuoco che Angel teneva a bada, subito sotto la superficie di ogni giorno.

Un fuoco che divampava nella mischia, un volto che non mutava, nell’uccidere senza misericordia.

Un volto umano e un demone all’interno… qualcosa di troppo aspro e solido per poter essere frenato.

Angelus assumeva maggior concretezza in ogni suo gesto, in quei momenti. Non il demone nella sua forma più pura... ma quello nelle sembianze di un uomo forte. Quello che faceva paura a Faith… quello che lei stessa sentiva di dover ancora combattere, anche adesso che molte barriere sembravano cadute.

“Lo straniero non gli ha detto nulla.” – rispose Angel distogliendola da quelle riflessioni – “Non si è curato di Spike fino a quando non si è sentito minacciato. Non aveva intenzione reale di attaccarlo… l’ha fatto per una forma di difesa che non comprendo…”

In effetti era strano… Angel fissò il soffitto, cercando di portare chiarezza. L’immortale era rimasto immobile, mentre Spike cercava di provocarlo. Assolutamente statico, voltandogli le spalle. Una rapida rotazione, quanto bastava per colpirlo… quasi senza mirare.. e poi la fuga…

Alla sequenza mancava qualcosa. Un particolare sfuggito… quel qualcosa che gli aveva accelerato il battito e fatto abbassare le difese, tanto da essere ferito.

Il suo sangue si era levato all’unisono con quello di spike, un flusso netto, preciso, libratosi in aria tra i due, snodatosi in modo macabro alla luce della luna.

Il tiro di spike era stato istintivo. Una reazione all’arma che lo avrebbe colpito. Aveva probabilmente focalizzato il punto, senza vedere il bersaglio nella sua integrità.

Come diceva quello scrittore? Chi ha mira è perché si sdoppia e spara a se stesso…

Quest’ultima ragionamento lo fece alzare di scatto. Un’intuizione sfrecciò rapidamente sotto i suoi occhi, per perdersi nuovamente.

 

Angel non era uno stupido.

Per quanto Spike continuasse ad affermare che era lento nel capire, la verità era ben altra.

Angel avrebbe compreso molto prima, se il demone non fosse stato così attivo.

Al suo demone non importavano le connessioni, né tantomeno i sentimenti contrastanti.

Voleva solo sangue e potere, nel modo più raffinato possibile. Seguire il demone avrebbe significato uccidere lo sconosciuto, nel peggiore dei modi. E far pagare a Spike quell’intrusione tra lui e il suo divertimento.

Tenere e bada questo istinto che gli urlava in petto era già abbastanza. L’intuizione non aveva spazio.

Ed era per questo motivo che la verità tangibile sotto i suoi occhi, così trasparente nei suoi pensieri, continuava a nascondersi.

Là dove il cuore si batteva con il demone… la mente non trovava pace.

 

“Angel? Tutto ok?” – Faith lo guardò sedersi di scatto sul divano.

“Si... certo.” – Angel chiuse gli occhi e si toccò il viso. Per un attimo aveva temuto di sentire le cartilagini stravolgersi, di ritrovarsi il volto inconsapevolmente mutato.

“E’ il demone, vero?”

Era stata una domanda sommessa, quasi intima. Angelus l’avrebbe addirittura trovata deliziosamente reverenziale.

Ma Angel ne fu soltanto sorpreso.

“Già.” – annuì, non riuscendo a mentire – “Si vede così tanto o hai usato qualche particolare istinto da Cacciatrice?”

“A dire il vero.” – mormorò lei, sedendosi a fianco – “Mi sono basata su quanto ti conosco.”

Aveva una voce dolce e morbida. Spike, in quei mesi, aveva fatto emergere una parte nascosta di Faith e l’aveva resa più donna, più completa.

Non era più la ragazza persa, né tantomeno la bambina dura che era stata. Era una splendida donna sbocciata. Era cresciuta, sotto i loro occhi, aveva attraversato la sua vita complicata, ricominciando ogni mattina.

Ventidue anni… lei, condannata a morte con esecuzioni sommarie, così tante volte da aver smesso di contarle. Ancora viva, per poterlo raccontare.

 

Gli si era seduta a fianco senza sfiorarlo.

Senza toccarlo con un dito.

Voltata verso di lui, le labbra appena dischiuse.

“C’è niente che posso fare?” – domandò, senza alzare il tono della voce. Quasi quella solidarietà fosse un segreto per pochi eletti.

Angel scosse il capo, con un mezzo sorriso.

“Nulla. Non è la prima volta. Sopravvivrò anche a questa…”

“Ti è successo, stanotte… contro quello?”

“No. È stato come se quel suo appellarsi a me, quel suo sfidarmi… fosse verso di me, non verso il mio demone.” – Angel giocherellava con il claddagh, facendolo ruotare – “Riusciva a distinguerli, in modo perfettamente chiaro. Ho conosciuto pochissime persone, in grado di farlo… e ancor meno tra le persone che volevano una forma di vendetta.

E’ stato quasi un balsamo. Voleva me, non il mio demone, non faccio che ripeterlo e ripetermelo di continuo. Gli ho detto che non volevo combattere e lui mi ha risposto di farlo per la mia missione, se non volevo farlo per la mia vita… ed è stato allora che ho sentito di avere il demone sotto controllo.”

“La tua missione… “

“Già.” – si era alzato e aveva fatto alcuni passi, prima di incrociare le braccia – “Non dimentico mai i miei peccati.. ma talvolta scordo il mio difendere il bene, le Alte sfere e tutto il resto. So come farlo, so perché… ma non ricordo chi sono.”

“E senza la consapevolezza di noi stessi…”

“Non possiamo realmente essere.” – concluse Angel – “E, soprattutto, non possiamo reagire. Certo, la regola non cambia… quando quel ragazzo mi ha chiesto se ero un paladino, ho avuto una chiarezza che mi manca da giorni.”

“Credi che sia consapevole di questo fatto?”

“Io credo di no. Voleva provocarmi.. e voleva saggiarmi, vedere se ero veramente quello che dicevano. Tutto ciò che sa di me gli è stato raccontato.”

“Methos?”

“Se è stato lui, mi ha descritto veramente bene.” – sorrise Angel, girandosi – “E’ riuscito a dare una cesura netta tra il prima e il dopo, tanto ben delineata da attecchire senza dubbi o esitazioni. Parla di me, ferma il mio avversario… sta diventando decisamente una figura interessante.”

“Buffo, credevo che tu ritenessi Methos ‘interessante’ già da un pezzo…”

“Non mi sento di avere un vero giudizio su di lui. Ho meno di trecento anni, e mi pesano oltremodo. Methos ne ha cinquemila. Anche una vita condotta rettamente ad un passo dalla santità può essere faticosa da portare, dopo così tanto tempo.

Posso concordare con lui per molti aspetti… oppure dargli contro senza scrupoli. Ma non posso avere un giudizio reale. A mio avviso, implicherebbe un’opinione sull’umanità…”

Stava divagando. E si allontanava nuovamente dal nocciolo della questione.

Avrebbe potuto chiedere a Methos.. oppure andare direttamente a caccia del suo antagonista…

Ma tra loro c’era ancora quel demone desideroso di avere campo d’azione.

“Comunque, non intendo andare a cercare quel ragazzo. Almeno per il momento. Devo ritrovare il mio equilibrio, prima. Quel ragazzo… è come se fosse fatto di luce…”

“E’ una cosa che si potrebbe dire anche di Spike, non trovi?” – domandò Faith. Anche lei aveva provato quella sensazione, innanzi a quel tipo, quel.. come aveva detto di chiamarsi?

“Spike…” – Angel camminò, lentamente, le braccia conserte – “Spike è sempre stato fatto di luce. Buttarlo in pasto alle tenebre è stata un’ambizione troppo forte perché Angelus e Drusilla potessero resistere.

Aveva l’odore dell’eternità appiccicato addosso…”

“E l’ha mai saputo?”

“Tu lo conosci, Faith.” – replicò Angel, passandosi una mano sul viso – “Tu pensi che Spike possa accettare un’affermazione del genere senza tirare su un polverone?”

 

“A dire il vero, non sono poi così polemico.”

 

Aveva replicato a bassa voce, senza muoversi.

Ed Angel aveva alzato gli occhi, del tutto colto alla sprovvista.

Era giusto silenziosamente, senza farsi annunciare. Nemmeno la porta aveva cigolato, nel lasciarlo passare. Nulla.

Angel non aveva sentito nulla.

Accecato del tutto.

Lo squadrò, sentendosi colto in fallo. Quasi in imbarazzo per quell’ammissione, così spontanea, in un momento in cui, a ragion veduta, si sarebbe dovuto sentire furente nei suoi confronti.

Aspetto della questione che non era di certo sfuggito al vampiro biondo.

“Devo dedurre.” – commentò,con un sorrisetto – “Che non sei poi così arrabbiato con me… il che è un peccato, perché ero venuto a farti le mie scuse…”

“Ma che occasione perduta!” – replicò Faith, sarcastica, alzandosi – “Taglia corto, tu sei venuto qui per riprendere la discussione.”

“Forse… di certo per rendere del tutto vana la tua missione, Cacciatrice.” – replicò, passando a fianco di Angel e mirando a Faith. Arrivando a cingerle la vita, gli occhi negli occhi – “Quale attività migliore se non ostacolare un’ammazzavampiri?”

“ma che spiritoso….” – commentò lei, mantenendo le braccia abbandonate e fissandolo con sfida – “Hai interrotto una conversazione, sentito cose che non dovevi sentire e…”

Niente e.

Spike l’aveva baciata a zittita.

Per non sentire la predica.. e per dirle grazie. Grazie di non aver avvertito Angel del fatto che stava ascoltando.

Gli occhi della ragazza si erano posati su di lui molto prima che Spike aprisse bocca. E, con quel piccolo inganno, aveva donato a Spike, ancora una volta, con le parole che Angel stava pronunciando, un frammento di quel mosaico tanto difficile da comprendere.

Una nuova via da percorrere.

 

E si sarebbe volentieri abbandonato a considerazioni poetiche di questo tipo, se una procace ragazza non lo avesse afferrato per il collo della maglietta e scosso.

“Tu e la tua lingua da serpente levatevi dalla mia bocca.” – ringhiò, le labbra rosse e luminose – “Se sei qui per parlare con angel, fai pure. Altrimenti, levati dalle palle.”

“Si dice biforcuta, tesoro. E smetti di esprimerti in questo modo… non ti dona…” – replicò, sorridendole, bastardamente innocente.

“So io cosa ti donerebbe…”

“Amore.. non qui, davanti a Angel. Lui è diventato casto e puro…”

“Spike…”

“Luce mia…”

Era una partita persa. Faith fece un respiro e si rassegnò. La dialettica non era un campo in cui potesse confrontarsi con il letterato. E quindi, di necessità, optò per le vecchie maniere chiarificatrici.

E Spike volò oltre il divano, mentre Angel le si avvicinava.

“Scusaci.” – disse, spolverandosi le mani e rispondendo al suo silenzio – “Ma volevo essere certa di avere ragione.”

“Ho notato.” – commentò il vampiro, rassegnato. Spike era spuntato da dietro lo schienale e, apparentemente senza essersela presa, li stava fissando.

“A questo punto.” – aggiunse Faith, spostando lo sguardo da uno all’altro – “Credo siate in grado di parlarvi. Per cui vi lascio.”

Aveva fatto già qualche passo verso la porta, quando decise di tornare indietro.

“Angel.” - Sussurrò, avvicinandosi e alzando gli occhi verso di lui.

Sentendosi, ancora una volta, come in ogni singolo attimo della sua vita, persa in quello sguardo scuro e triste. Tornando a fissarlo in viso, con lo stesso identico trasporto di sempre.

“Dovresti dirlo a spike. Lui può aiutarti.” – aggiunse ancora. Non sapeva nemmeno bene perché si fosse sentita così libera di dare un consiglio del genere a angel.

Forse perché tra loro intercorreva ancora quel patto.

Un santuario. Un santuario uno per l’altro.

E tra loro la Redenzione.

 

Non aveva bisogno di una risposta concreta. Angel non aveva mosso un muscolo, eppure Faith si era voltata, soddisfatta, e se ne era andata, con i suoi anfibi e la sua andatura caracollante.

“Che donna…” – commentò spike, vedendola sparire dietro la porta accostata.

Ed è tutta mia…

Poi, guardando Angel, dovette correggersi.

No, non tutta mia.

 

Angel era a braccia conserte, al centro della stanza.

E cercava le parole.

Sicchè Spike decise di semplificarsi l’attesa.

“Io penso di sapere a cosa si stesse riferendo Faith…”

“William.” – lo interruppe Angel, alzando una mano come per fermarlo – “Per piacere. Evitiamo il nostro solito show in cui tu dici quello che io penso e io rimango sorpreso.

Mi manca solo questo, al momento.”

“Oserei dire che il problema di oggi è che non riesco a capirti.” – replicò, appoggiando le mani allo schienale del divano – “Sei chiuso in te stesso. E sei difficile da raggiungere.”

“E’ questo che senti?” – domandò il vampiro bruno, usando Spike per ottenere risposte che continuavano a sfuggirgli – “Non sono più io, è questo che mi stai dicendo?”

“No, quello che sto dicendo è che sei proiettato a far uscire dalla tua bocca una valanga di stronzate.” – Spike non era in vena di avere peli sulla lingua. Come al solito, del resto – “mi dici come potrei non riconoscerti? Sei Angel e sei Angelus. Normalmente o c’è uno o c’è l’altro... in questo periodo non so mai con chi dei due sto parlando.. ma proprio dire che non ti riconosco…”

Per la miseria.

Angel lo guardò del tutto esterrefatto. Spike lo stava sfottendo. Gli rideva proprio in faccia, dicendogli delle cose terrificanti.

Ma non era possibile! Gli stava rendendo lo sgarbo di prima, ed era deliziato dal risultato che gli vedeva trasparire dai lineamenti.

“Ero serio.” – borbottò, cercando di ricomporsi.

“Io no. E il fatto che tu non mi abbia ancora massacrato di botte dimostra che controlli il demone meglio di quanto non pensi.” – Spike inclinò la testa con un mezzo sorriso – “Ed ora siamo seri. Non ho mentito prima. Non riesco a raggiungerti, anche se, a rigor di logica, so cosa significa domare un demone quotidianamente.”

Angel si sedette, le braccia conserte e l’espressione assorta.

“Cosa fai, William, quando ti succede?”

“Io? semplicemente mi sfogo.” - Spike scavalcò lo schienale e si sdraiò sul divano – “Mi dedico agli eccessi. Alcool, rabbia, lotta… quello che fai tu, del resto. E so che lo faccio per ammazzare il tempo, in attesa che l’equilibrio torni.”

Angel lo fissò, con l’ombra di un sorriso.

Era una spiegazione tutta da Spike.

Ed era decisamente una verità.

“Sai, William… ogni volta è la stessa storia. Ed ogni volta non ricordo come sono sopravvissuto la volta precedente.” – Angel tamburellò sul rivestimento consunto della poltrona – “ combatto ogni giorno con qualcosa, con i miei istinti, con il male a cui appartenevo… e poi vengono giorni in cui non ricordo come si fa a farlo. Combatto e sento che il sangue mi eccita troppo. Mi manda su di giri, mi inebria... e ne desidero ancora. Stasera, per un singolo attimo, sono tornato ad avere il controllo della situazione… ma riuscirò a mantenerlo?”

“Cosa dovrebbe esserci di diverso dalle altre volte?” – domandò, poco rispettoso, nascondendo la sua preoccupazione.

“Non lo so… probabilmente nulla.” – Angel scivolò nell’incavo della poltrona, allungando le gambe – “Forse sono solo un po’ più stanco del solito.”

“E’ possibile. Ma se quello fosse il motivo, dovresti dormire, al posto che parlare con me…”

“E perdermi il piacere di una nuova divergenza?” – sorrise – “sarebbe uno sbaglio imperdonabile.”

“potresti anche accettare il mio consiglio e picchiarti di santa ragione con un essere che possa capirti.” – Spike si guardò distrattamente le unghie – “Diciamo un essere antico, con una raffinatissima percezione del reale, che sembra conoscerti bene…”

“Parli di te o del mio antagonista misterioso?” – scherzò Angel, alzandosi.

“Ma per piacere!” – il tono di spike risuonava offeso, mentre scendevano le scale diretti allo scantinato – “Non vorrai paragonare me a quel biondino slavato…”

 

***

 

 

“Una, due, tre….” – Doyle, con aria assorta e da vero matematico, raddrizzò la quarta bottiglia della riserva privata di Methos. E spostò il piede di Edward per allinearla con le altre – “ Sai, Methos, la tua riserva è memorabile…”

“Era, vorrai dire.” – mormorò l’uomo, senza alzare la testa dalle braccia incrociate – “Memorabile, più che altro, l’alcool che abbiamo in circolo…”

“Non me ne parlare…” – Edward aprì un occhio, continuando a mantenere la nuca saldamente appoggiata alla parete – “Ci vorrebbe un caffè…”

“O una dormita…” – borbottò il demone guardando l’orologio e la luce del giorno imminente – “Ma preparo comunque la colazione.”

Si alzò, a tentoni, contemplando la devastazione del loro spuntino notturno. Piatti, bottiglie e posacenere accatastati alla rinfusa. Ognuno aveva di che pensare e ognuno sembrava aver qualcosa da dimenticare con qualche artificio.

I pensili della cucina, aperti e rinchiusi con poca grazia, rimbombavano nella testa di Edward senza nessuna misericordia.

Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, tornando ad appoggiare la testa contro il muro. Ancora una volta, all’interno degli occhi, rivide la scena, quasi al rallentatore.

 

Il pugnale partiva dalla sua mano…

Seguiva una traiettoria perfetta…

E si piantava… dritto… nel cuore di suo fratello.

Nel cuore troppo fragile di quel fratello che non sapeva più di avere.

 

Un pugnale, una traiettoria, un cuore.

Nient’altro.

 

Ridotto ai minimi termini. Non c’era nient’altro. Né dolore, né rabbia. Nulla.

Nulla, se non suo fratello che rispondeva all’attacco.

 

Edward strinse gli occhi.

 

Occhi grigio azzurri… un viso ossuto… zigomi pronunciati… la bocca, in una piega rabbiosa, nel seguire la mano che alzava una balestra.

 

Edward si drizzò, rovesciando una bottiglia, ansimando.

Si passò le mani sul viso, tirando indietro i capelli.

Anche Methos si era rialzato di scatto, sentendo il tramestio. Dall’altra parte del tavolo, Edward si teneva la testa tra le mani.

“Ho bevuto troppo.” – lo sentì mormorare, mentre si alzava incespicando e si dirigeva al terrazzo.

 

Doyle non fece commenti, quando lo vide uscire e tirarsi la porta scorrevole alle spalle.

Con la coda dell’occhio, continuando metodicamente a riempire il filtro, lo vide sedersi, le spalle contro il muro, lo sguardo alzato alle ultime stelle della notte.

“Mmm…. Sei certo che non posso ficcare il becco?” – domandò, chiudendo il coperchio – “In fondo sono bravo a parlare con chi ha dei fantasmi…”

“Francis… lui non ha i canini, e non ha nemmeno un massacro alle spalle.” – commentò Methos, incrociando le braccia e guardandolo storto – “Non ha mai perso l’anima, non ha sterminato la famiglia e non ha una missione che lo lacera dal profondo. Sei certo di poter capire veramente?”

“Non è tua abitudine dubitare delle mie capacità…”

“Non sto dubitando. Ti sto domandando se puoi realmente capirlo. Tu non lo conosci, Doyle. Lui non è Spike. E Spike non è lui. È un immortale, Doyle. Ha vissuto la vita con un’intensità e una consapevolezza che persino Angel ammette di non aver avuto per molto tempo. Ha vissuto secondo i suoi principi, secondo il suo credo e il suo istinto. Non si mai sentito un estraneo in se stesso, non ha mai dovuto fare i conti con un passato che sente come non suo. Questo è Edward. Non William.”

“Lo so.”

“No, non lo sai. Ed io voglio che tu l’abbia chiaro in testa, quando varcherai quella porta e partirai per la tua missione…”

 

Edward stava seduto dove Doyle l’aveva visto accasciarsi. Si era portato le ginocchia verso il petto ed ora fissava un punto imprecisato oltre la ringhiera.

E, paradossalmente, si massaggiava la ferita scomparsa.

“La cosa strana…” – disse, sorprendendo il demone che si stava accostando – “E’ provare dolore per qualcosa che non si ha… “

“Quella freccia ti fa male per quello che ti ricorda, non per il buco che ti ha fatto.” – replicò, bonario, Doyle – “ma credo che tu lo sappia già…”

Edward inclinò la testa, accennando un mezzo sorriso.

“E’ un bel problema.” – commentò – “Che io veda tua madre in te.. e tu veda mio fratello in me…”

 

Irlanda, 1989

 

Ben sveglio.” – Sinead alzò la testa, senza smettere di imburrare la sua fetta di pane – “E che brutta faccia…”

Grazie.” – sbadigliò Edward, grattandosi una guancia e sedendosi con un tonfo – “Gli altri?”

Io non ti basto?” – domandò lei, addentando la sua colazione e versandogli il caffè con la mano libera – “Comunque in giro…”

Edward le sorrise, afferrando la tazza e bevendone un sorso. Prima di sbadigliare di nuovo.

Ma sei veramente un rottame…”

Non ho dormito.” – replicò il ragazzo, godendosi il vento. Quella terrazza in pietra gli dava un gran senso di pace… anche in pieno ottobre, battuta dal vento del nord – “cambiando discorso, come fai a far le valige, mollare un posto del genere e tornartene in America?”

Tre parole: Francis Allen Doyle.” – Sinead attinse generosamente dal barattolo della marmellata, gestendo i toast di entrambi – “E, ricambiando discorso, perché non mi dici il motivo della insonnia?”

Tanti pensieri…”

Qui li chiamano incubi.”

Vada per incubi.” – ridacchio Edward, conciliante, girando pensosamente il caffè e fissandone le profondità – “Per la precisione, qualche volto di troppo…”

La tua famiglia?”

Mio fratello.” – Edward bevve un sorso, con una smorfia. Sinead era una gran donna.. ma il suo caffè era mostruoso – “Oggi compie centocinquant’anni… cioè, li avrebbe compiuti, fosse stato immortale.”

Si interruppe, fissando gli alberi scossi dal vento.

Di’ un po’, Sinead.” – domandò, senza guardarla – “Pensi mai a come il nostro destino cambi, nelle mani di un altro? Io dovevo morire e sono vivo in eterno.. mio fratello aveva le stesse probabilità di divenire immortale, ed è morto.

Perché io, tra noi… sarebbe potuto essere lui, qui con te, stamattina…”

Sinead lo fissò, masticando pensosamente, strofinandosi le mani per togliere le briciole.

Tu mi piaci.” – commentò, senza mezzi termini – “Hai cervello, oltre ad essere bello.”

Grazie.” – replicò lui, scoppiando a ridere, del tutto di sorpresa – “Ma questo cosa…”

Cosa ha a che fare con quello che hai detto?” – lo interruppe la donna, passandogli una fetta grondante di marmellata – “Assolutamente nulla. Ma mi andava di dirtelo. Vedi, Eddy, io credo che la maggior parte delle persone perda la parte migliore di sé senza nemmeno accorgersene. Non è da poco ricordare il proprio fratello con questa intensità, dopo tutto questo tempo. Soprattutto tenendo presente che potresti sentirti il mondo ai tuoi piedi.”

L’affetto è affetto, Sinead.” – protestò – “Il tempo non lo dissolve, lo sai.”

Hai perfettamente ragione. Il tempo lo cambia e lo frantuma. E non possiamo farci nulla. Tuo fratello è immortale, a modo suo. Talmente eccezionale da avere ancor oggi un compleanno, per te.

Lo so, non è abbastanza, non è come parlargli, stringerlo o saperlo vivo. Ma è qualcosa che molti non hanno.

Un ricordo.”

Edward la fissò, pensosamente. Talvolta era così difficile capire quella donna. Aveva così tante risposte e una dolcezza impagabile sotto quella scorza dura.

Certe volte è strano, non possedere più nient’altro.” – il vento era tornato a scompigliargli i capelli – “Un ricordo pieno di emozioni, profumi, luce…così vivo da mettere in discussione la propria esistenza. William viveva fuori dal mondo…eppure io sono certo che, dopo la mia scomparsa, abbia avuto una vita intensa. Non ne ho dubbi. Anche se talvolta vorrei solo avere la certezza che non ha sprecato tempo.. e che io ho speso al meglio tutti quei giorni in più che io ho avuto.”

Insomma vuoi la luna.” – replicò la donna, alzandosi e impilando alcuni piatti su un vassoio – “Tu non puoi averne la certezza. E, dopotutto, poco importa. La vita, in ogni sua forma, è intensa solo per chi la vive. Nessun altro dovrebbe giudicarla.”

Era splendida.

Edward le fissò i capelli infuocati e l’espressione volubile.

Anche tu sei bella, Sinead.” – le disse, dedicandole uno di quei sorrisi scanzonati che lo contraddistinguevano – “E mi andava di dirtelo e basta.”

E il mio cervello?” – ribattè lei, voltandosi con le stoviglie in bilico – “Non vogliamo parlarne?”

 

“Mia madre…” – Doyle si sedette a fianco – “Non parlo di lei con nessuno. E non passa giorno in cui non mi domando se non avrei potuto imparare di più, da lei. L’ho persa troppo presto…”

Si voltò a guardarlo, con quel sorriso monello negli occhi chiari e calmi.

“E non c’è giorno che non mi renda conto che passerà un tempo eterno prima che la riveda. Molto più tempo di quello che abbiamo trascorso insieme.” – concluse.

Edward si morse un labbro, pensosamente.

“Io non so se la conoscevo realmente.” – ammise – “Ma le cose che mi ha detto, le risposte che sapeva darmi… aveva un suo concetto di eternità che non sono mai riuscito ad afferrare veramente. Anche con William era la stessa cosa…. è.. la stessa cosa.”

La voce gli era morta in gola. Aveva alzato lo sguardo a quel cielo, lentamente più chiaro, quasi scolorito, sopra la città degli Angeli.

“Le persone che amiamo di più sono quelle che comprendiamo meno.” – riprese, senza voltarsi verso il demone – “William aveva uno spazio suo in cui non sono mai riuscito a entrare. Sogni, paure… c’era così tanto, in lui… cose che nessuno si curava di scoprire. Mi sono tormentato fino a oggi, con questo quesito.. mio fratello.. la sua vita…”

“Fino a oggi…” – ripetè Doyle – “Ma oggi cambia tutto.”

“Già… oggi la mia vita cambia di nuovo…” – Edward intrecciò le dita, posandovi le labbra. Un gesto che ricordò incredibilmente Angel, nei suoi momenti di riflessione – “Sono stato molti anni lontano dall’Inghilterra, sono tornato a metà di questo secolo, non prima. E della mia famiglia non c’era più nulla. La casa venduta, la tomba dismessa… nulla, nemmeno all’anagrafe. Hanno perso tutto durante i bombardamenti.

Più nulla. William, è stato bravo a buttarsi tutto alle spalle. Non ho trovato neanche il più piccolo indizio. Mi è rimasta solo la fantasia, immaginarlo, per come lo conoscevo.

Ed ora…”

Si era interrotto di nuovo, quasi gli costasse troppo ammetterlo.

“Stasera non ho saputo che fosse presente fino a quando non ha parlato. E poi, quando l’ho colpito… quando lui ha colpito me… speravo di avere un singolo attimo..

ma non sono certo di quello che ho visto…”

 

Non so…

Forse ho chiuso gli occhi…

Forse non ho voluto vedere…

 

“Non l’hai riconosciuto, vero?”

Edward scosse la testa, mentre con i denti tornava a tormentarsi le labbra.

“Io non so come fosse da vivo.” – commentò Doyle, porgendogli le sigarette – “Ma so che ora è forte, ironico e, mi dicono, decisamente affascinante. È una calamita ambulante, a dire il vero… la sua vita non è facile.. né tantomeno sicura.

Ma, per sua stessa ammissione, molte cose non possono immaginarsi diverse.”

 

Era strano stare lì seduto a parlare con quel giovane uomo biondo.

Nel cercare di offrirgli risposte, Doyle provava un profondo disagio.

In parte, ciò da cui l’avevo messo in guardia Methos era reale.

Edward portava sulle spalle un tempo più chiaramente percepibile di quello di Spike, come se il vampiro avesse imparato a meglio nascondere la sua età reale.

Quel ragazzo, per certi versi simile ad Angel, per altri lontano da qualsiasi persona che Doyle avesse mai conosciuto, aveva negli occhi un’esistenza piena, ricca. Aveva vissuto vedendo ben oltre il suo raggio d’azione e la sue aspettative.

 

“Se c’è una cosa che rimpiango, è non aver realmente speso la mia esistenza. Ho preso, senza costruire… ho plasmato me stesso e la realtà, perché tutto, alla fine, tornasse a mio vantaggio.” – Angel era rimasto seduto sul parapetto, lo sguardo all’orizzonte, nel pronunciare quelle parole – “Talvolta dimentico il numero di anni, dimentico i giorni.. ricordo solo che il tempo è fuggito ed io, più che la vita, ho amato intensamente la morte.”

 

Ora, parlando di Spike, cercando di rendere il meglio di lui a parole, Doyle tornò a sentire la voce di quell’eroe silenzioso, assolutamente incapace di farsi aiutare. Ciò che Angel ammetteva era una lacrima di inchiostro su un mare di oscurità.

Il suo passato era buio.. invisibile nel buio.

 

E quello di Edward gli brillava negli occhi.

Il dolore di Edward stava nel veder scorrere gli anni, nella morte delle persone che aveva amato, come quello di Methos. Ma il dolore di Angel, quello di Spike, era nel sapere di avere plasmato il tempo e proprio piacimento e di averlo, così, irrimediabilmente perso.

“Spike ha un’ossessione per il tempo.” – aggiunse, quasi soprappensiero – “Non si stanca mai di ripetere di sentire solo adesso, nuovamente, il peso del dei cambiamenti. Non è esistito a lungo, nella sua vita… e quando il tempo non esiste, scompare anche la crescita… l’evoluzione…”

“E’ una sciocchezza… Ogni giorno ci arricchisce, Doyle. Anche quando stiamo immobili, anche quando non siamo in noi. Ogni giorno ci lascia sempre qualcosa… ed è il solo saperlo che ci rende più ricchi…”

Aveva risposto con una spontaneità e una prontezza sconvolgenti.

Le parole gli erano fluite dalle labbra senza esitazione, accompagnate da quello sguardo improvvisamente luminoso.

Aveva quella luminosità che talvolta emergeva inaspettatamente da Spike, dai suoi strati di ironia, dai suoi molteplici scudi. Quegli occhi splendenti con cui baciava Faith, l’espressione con cui talvolta amava la sua vita, il combattimento pulito e un passato di battaglie che avrebbe desiderato più onorevoli.

 

E’ così, dunque, Edward? Si domandò Doyle, fissandolo.

Sei tu la rifulgenza di Spike? Sei sempre stato tu, in quel suo contatto inspiegabile con l’esistenza in sé?

Sei sempre stato tu il principio e il fine ultimo di quella sua luce in cui finiamo tutti con il cadere, prima o poi?

 

Ancora oggi cerca te, quando desidera un appiglio. Il suo mondo sta in equilibrio tra la tua luce e l’oscurità di Angel…

 

Ed io… non sono parte di questo equilibrio…

 

“Methos può continuare a dire che non sei Spike.” – mormorò, alzandosi – “Ma lui ti assomiglia in modo sconvolgente, questo posso garantirtelo. Hai ragione.. abbiamo un problema… se io assomiglio a mia madre la metà di quello che Spike assomiglia a te… sono un uomo fortunato. E molto più completo di quanto non mi senta.”

Gli aveva posato una mano sulla spalla. E gli aveva sorriso, prima di andarsene.

“E’ ora che vada.” – aveva spiegato, affacciandosi alla porta finestra appena varcata – “Buonanotte, Eddy.”

 

“Molli già la presa?” – domandò Methos, a braccia conserte, appoggiato al tavolo che stava finendo di riordinare.

“E’ tardi e sono stanco.” – replicò il demone, avvicinandosi, con la mani saldamente piantate in tasca – “E poi hai ragione. Non posso comprendere del tutto.”

“Affermazione sorprendente….”

“Non sono io quello che può far accettare certe cose a Edward. Ma non ho di che preoccuparmi…”

si era avviato alla porta, con aria tranquilla.

E poi si era voltato, con un’ultima occhiata irriverente, tanto da far desiderare a Methos di lanciargli dietro un piatto.. come ai bei tempi.. con Sinead…

“Non ho di che preoccuparmi.. perché ci penserà Angel…”

 

***

 

“Allora.. il vecchio sistema….” – spiegò Spike, infilando un cd nello stereo di Cordelia – “e le mie regole.”

“E cosa hanno di diverso dalle precedenti?” - domandò Angel ruotando l’asta metallica tra le mani e fissando la schiena nuda di Spike.

“Prima di tutto, sono regole del ventesimo secolo.” – Spike si voltò, stringendo in una mano il telecomando e nell’altra la sua asta – “E, secondo motivo.. funzionano meglio delle tue.”

“Ah si?” – Angel ribattè blandamente, stando al gioco.

Spike lo stava provocando senza ostentazione, con un mezzo sorriso e un passaggio dell’asta tra una mano all’altra.

“Spike.” - Lo chiamò la voce di Cordelia dalla cima delle scale – “Ne ho trovato uno.. guarda se può andare…”

il vampiro salì le scale, prendendo l’oggetto che la ragazza gli porgeva. Era un lungo nastro rosso, alto non più di dieci centimetri. Pesante, quel tanto che bastava da non essere trasparente.

“E’ la fusciacca di un vestito” - spiegò lei, fissandolo – “Non ti chiederò a cosa serve, ma lo voglio indietro senza macchie e senza strappi. Siamo d’accordo?”

“Siamo d’accordo, grazie gattina.” – ribattè lui, ridiscendendo la scala.

In palestra, Angel si stava allenando. Passava l’asta sopra la testa, flettendo le braccia e piegandosi in posizione di attacco.

Si era finalmente spogliato ed ora, nell’attesa, aveva già raggiunto una notevole concentrazione.

Spike armeggiò levandosi gli anfibi, gettandogli alcune occhiate in tralice, considerando che, per molti vampiri, doveva essere un deterrente già vederlo apparire all’improvviso.

Era muscoloso, con delle spalle ampie e una struttura ossea imponente. Vicino a lui, talvolta, Spike tornava a provare il senso di disagio della sua giovinezza… anche se, il più delle volte, doveva ammettere che la sua immensità non stava nella corporatura, bensì nello sguardo. Angel non amava ostentare questa prestanza.. non tanto quanto Angelus, in effetti.

Molte volte, parlando, tendeva a piegare le spalle, o ad appoggiarsi a pareti o ripiani, quasi questo potesse ridurre quel suo troneggiare sulle teste degli altri.

All’Hyperion, solo Wes lo eguagliava in statura. Ma nessuno aveva la sua camminata e i suoi movimenti concreti.

Wes era troppo umano, Doyle del tutto insensibile all’idea di esercitare un colpo di scena.

Cordelia camminava come al centro di un palco e Faith era un gatto, nel senso migliore del termine.

E di se stesso? Cosa si poteva dire? Spike soppesò l’asta, cercando di buttarsi un’occhiata di insieme.

Non era alto, ma sapeva di avere un fisico invidiabile. Diciamo che se gli mancavano spalle e statura, sentiva di aver comunque compensato alla grande…

“Hai finito di ammirarti?” – gli domandò Angel, puntando l’asta a terra e girandola nel palmo della mano – “Aspetto di sentire le nuove regole.”

“Regola uno.” – Spike tese con uno schiocco la fascia rossa e si avvicinò – “China la testa, per favore….”

“Seta rossa?” – domandò incuriosito Angel, prima di sentirsela premere sugli occhi e stringere strettamente – “credevo ne sapessi fare usi migliori…”

“Certamente.” – ribattè Spike, facendo un secondo nodo – “ma non con te.”

Si spostò di alcuni passi, lasciando Angel bendato a centro stanza.

“E adesso.. regola due.” – aggiunse, premendo un tasto del telecomando.

E finendo assordato da Britney Spears.

Imprecando, si precipitò a spegnere. Dentro lo stereo, assieme al cd inserito, ne era rimasto uno di Cordelia, probabilmente per qualche elaborata e incomprensibile lezione di step.

Quando finalmente la musica si interruppe, i sensi di Spike furono colpiti da ben altro suono.

Alle sue spalle, Angel rideva.

Appoggiato all’asta, a testa china, ma sempre bendato, rideva.

Ed era un suono bellissimo, tanto era raro.

Per un attimo, Spike restò immobile, ascoltandolo.

Angel non rideva spesso. Sorrideva, certo… Angelus non aveva mai avuto una risata di quel tipo. Aveva riso, di una libertà e una felicità che ora sembravano a Spike decisamente sinistre. E paurose.

“La regola due è interessante.” – commentò Angel, raddrizzandosi, mentre un sorriso ancora gli aleggiava sulle labbra – “Ma mi sfugge il nesso tra l’essere bendato e Britney…”

“e a me sfugge come tu la conosca, visti i tuoi gusti musicali.” – ribattè Spike, accertandosi che il cd fosse quello esatto – “Comunque di questo parliamo dopo. Preparati…”

“Mi preparo, a cosa?” – domandò ange, tenendo l’asta con entrambe le mani, orizzontale, di fronte a sé.

“Fai un sacco di domande inutili, stasera, Flagello.” – sospirò Spike, camminando verso di lui. E avviando le stereo, prima di lanciarne il telecomando sul ripiano.

La musica che usciva ora dallo stereo era forte.. quasi rimbombante, nelle fondamenta dell’albergo. Il ritmo.. le parole…

 

Angel ascoltò il testo, senza muoversi. Spike gli stava girando intorno, fendendo l’aria con l’asta. Angel lo seguiva, con brevi movimenti del capo, leggere rotazioni, per continuare a coglierne la posizione.

Non capiva il perché di quel gioco.. ma erano poche, dopotutto, le volte in cui Spike si imponeva per condurre.

Se adesso aveva deciso di farlo… bhe, si meritava, almeno il beneficio del dubbio.

Dopotutto, considerò Angel, con una punta di cinismo, non ho niente da perdere…

 

No, la scelta di Spike non lo stupiva.

Last Resort.. ecco qual’era il titolo.

 

Glielo aveva detto Faith.

 

Doveva essere la terza volta che il cd ripartiva da capo.

Angel abbassò il libro e tese l’orecchio, seguendo un’altra volta le parole.

Una canzone senza mezzi termini sulla perdita di se stessi.

Una canzone, a modo suo, in grado di strappare il velo dell’autocontrollo.

Anche Wes aveva smesso di prendere appunti. Ed ascoltava.

“Indubbiamente non ci vanno per il sottile, quei due…” – mormorò, con una punta di imbarazzo – “Non voglio immaginare cosa stiano facendo.”

“In effetti…”

Pur essendo dall’altra parte del pianerottolo, Angel poteva sentire Faith saltare. E il fatto che ci fosse una seconda chitarra dal vivo, sopra la registrazione, lasciava intendere che le mani di Spike stavano suonando uno strumento e non il corpo della Cacciatrice.

Spike aveva ammesso più volte, la stretta connessione che può esserci tra la musica e l’anima. E, perché no, anche tra la musica e il demone.

Con una testardaggine che non aveva pari, andava professando come l’adrenalina in circolo potesse battere lo stesso ritmo di una canzone, o esprimersi attraverso parole gridate o sussurrate.

Angel doveva ammetterlo, anche in quel frangente: Spike aveva costellato la loro convivenza con canzoni e armonie, suonando la chitarra o fischiettando. Ascoltando musica o regalando dischi a tutti gli abitanti dell’Hyperion, arrivando addirittura all’acquisto di singoli che riteneva aberranti, se non per il significato che talvolta predicavano in una sola singola strofa.

 

Poi una voce si sovrappose al frastuono dello stereo.

Era Faith, che cantava le parole a squarciagola, stonando, gridando per il piacere di gridare.

Poi, d’un tratto, cessarono, sia la voce che la chitarra.

Ed Angel, abbassando precipitosamente gli occhi sul paragrafo che stava vagliando, non potè che domandarsi se avessero trovato un modo migliore per esorcizzare il proprio demone… un modo migliore di una manciata di parole scritte da un altro.

 

Quella notte, stava compiendo dunque un gesto per lui usuale. Immergeva Angel, senza chiedergli un’opinione, in un ritmo che riteneva adatto.

Eppure, in questa sua decisione, c’era qualcosa di discordante. Ed Angel, con il suo intuito e la sua percezione distorta degli ultimi tempi, iniziava a preoccuparsi. E a tendersi come una corda di violino.

 

E il volume continuava a salire…

 

Cut my life into pieces

I've reached my last resort, suffocation, no breathing

Don't give a fuck if I cut my arms bleeding

Taglia la mia vita in pezzi
Ho raggiunto il mio ultimo rifugio, soffocando, non respirando  fottitene se tagli le mie braccia sanguinanti

 

La musica lo assordava,e lo confondeva. Pungeva i suoi sensi, come un fischio troppo acuto. Ma questo Spike doveva saperlo…

L’aveva bendato.. e ora lo privava dell’udito…

Cosa si stava inventando?

 

Would it be wrong, would it be right

Sarebbe sbagliato? sarebbe giusto?

 

Le parole si erano snodate nell’aria, poi si erano interrotte, ed erano nuovamente iniziate. Le parole lo trapanavano, penetrandogli al centro del cervello.

Poi, quando meno Angel se lo sarebbe aspettato, lo aveva raggiunto il primo colpo.

Preciso, sul alto del collo.

Quanto bastava ad atterrarlo.

 

If I took my life tonight, chance are that I might

Mutilation out of sight and I'm contemplating suicide

Se ho preso la mia vita stanotte, le possibilità sono che io possa
essere mutilato fuori di vista e sto contemplando il suicidio

 

Poi un secondo, al centro della schiena.

E un terzo.

Angel appoggiò le mani a terra, incontrando nuovamente la sua asta. E sentendo le braccia piegarsi, e fitte, lungo tutto il corpo.

Ruotò su se stesso, istintivamente tese le braccia in avanti, senza riflettere nemmeno sull’evenienza di chiedere spiegazioni, di parlare con Spike.

 

Dentro di sé, per quanto la musica lo soffocasse, vigeva un silenzio inattaccabile. Quel frastuono gli impediva di parlare, nella misura in cui Angel stesso desiderava rinunciare ad esprimersi.

 

Cause I'm losing my sight, losing my mind

Perchè sto perdendo il mio senso della vista, sto perdendo la testa

 

 

Silenzio, un terrificante silenzio all’interno di quella musica.

 

Wish somebody would tell me I'm fine

Desidero che qualcuno mi dica che sono perfetto

 

Si tese, cercando di capire dove fosse il suo avversario. E un altro colpo lo raggiunse, iniziando a spiazzarlo, a confonderlo.

Non vedeva.

Non sentiva.

Ma, quel che era peggio.. non riusciva a percepire.

 

Nothing's alright, nothing is fine

Niente è apposto, niente è perfetto

 

Nessun battito…

I'm running and I'm crying

Sto correndo e sto gridando

Nessuna emozione.

 

Nulla. Spike aveva cessato di esistere. Eppure i colpi lo raggiungevano ancora.

Disperatamente, si rese conto che questo eccitava il suo demone.

Si stava nutrendo della sua confusione. Le sue barriere, i suoi legami con l’esterno, la continua sollecitazione dei suoi sensi, la luce e i volti della gente con cui aveva parlato, l’avevano distaccato dal dissidio interiore.

 

I never realized I was spread too thin

Till it was too late and I was empty within

Hungry, feeding on chaos and living in sin

Non mi sono mai reso conto che stavo diventando troppo delicato
Finche non fu troppo tardi ed ero vuoto dentro
Affamato, nutrendomi di caos e vivendo nel peccato

 

Svaniti loro, svanita la realtà, avvolti nel buio, il demone e l’anima stavano nuovamente combattendo.

Downward spiral, where do I begin

Spirale discendente, dove comincio?

 

Spike saltò come un felino sul bancone, senza il minimo scricchiolio.

Camminando sul profilo del ripiano si spostò, lungo la parete.

Angel aveva menato alcuni fendenti, tagliando l’aria con l’asta. Ed ora era di nuovo fermo, all’erta.

La piega della sua bocca, la posizione delle mani sull’asta… Spike lo studiò, silenziosamente.

Stava funzionando. Lo stava spingendo nell’angolo da cui sarebbe emerso solo il suo demone.

E, senza attendere oltre, scattò verso di lui, colpendolo nuovamente.

 

It all started when I lost my mother

No love for myself and no love for another

E' cominciato tutto da quando ho perso mia madre
Niente amore per me stesso e niente amore per gli altri

 

Angel sentì i battiti del cuore accelerare, oltremisura. Cercò di riprendere il controllo, ferocemente, tirando a vuoto ma riuscendo, perlomeno, a tornare in piedi.

Ovunque fosse, Spike stava ben attento a non svelarsi.

Girò la testa, impercettibilmente, distribuendo il peso e iniziando provare il desiderio di fargli pagare quella costola che sentiva già irrimediabilmente rotta.

“questo gioco non mi piace.” – mormorò, a denti stretti.

Comprendendo, in quel singolo istante, di star mentendo.

Quella confusione lo eccitava.

Dentro al suo petto, il demone si agitava, in preda a un’estasi furiosa… e avanzava, inesorabile.

Istintivamente si portò una mano alla benda, deciso a strapparsela dagli occhi, a riacquistare un contatto con la realtà.

E un colpo lo frenò, calando senza preavviso sul suo avambraccio.

 

Searching to find a love upon a higher level

Cercando di trovare un amore sopra un livello superiore

 

Angel sentì il gomito scricchiolare, ad un passo dal disarticolarsi.

E ringhiò. Un suono basso, quasi gutturale.

 

Ci siamo… Spike fece due passi indietro, rapido.

Angel si era piegato su se stesso, ma il vampiro biondo, pur non vedendolo in viso, intuì chiaramente che la trasformazione si stava avvicinando.

Strinse gli occhi, concentrandosi, preparandosi a un nuovo attacco.

 

Finding nothing but questions and devils

Non trovando niente tranne domande e diavoli

 

Nelle profondità dell’essere di Angel, quella parte che egli era solito definire ‘demone’, iniziò ad emergere, senza conoscere ostacoli reali.

L’anima, mutilata dai sensi, priva di una realtà distinguibile, si stava indebolendo.

 

Cause I'm losing my sight, losing my mind

Perchè sto perdendo il mio senso della vista, sto perdendo la testa

 

Ancora pochi attimi.. e saremo di nuovo insieme.. uno, di fronte all’altro… Angelus…

 

Wish somebody would tell me I'm fine

Desidero che qualcuno mi dica che sono perfetto

 

Un altro colpo lo prese al centro dello sterno, piegandolo. Una nuova fiammata si irradiò da quel punto, diffondendosi lungo gli arti, fin dentro al cervello.

Adesso lo sentiva, quasi incontrollabile.

 

Nothing's alright, nothing is fine

Niente è apposto, niente è perfetto

 

Spike gli girò attorno, velocissimo, prima di atterrarlo, con tutto il suo peso e sedersi sul suo stomaco, rapido e implacabile.

Le loro aste cozzarono, ma Spike riuscì ugualmente, nel vederle allineate, a bloccarle, stringendole entrambe tra le dita. Ed Angel sentì le mani scricchiolare, intrappolate in quella morsa di metallo sovrapposto.

Fulmineo, Spike si insinuò nello spazio tra le braccia di entrambi, portando le aste al di sopra della testa e, nella foga del movimento, le sentì appoggiarsi al suo collo, premere, rivelandosi una trappola, e non solo una mossa azzardata.

Si maledisse, per quel calcolo sbagliato… nella consapevolezza di non poter più modificare la situazione.

Non gli restava che gettare tutto al vento… e fidarsi, semplicemente, dell’istinto.

Chinò la testa, aderendo con il corpo al torace di Angel, con decisione repentina.

Mutando i lineamenti.

E piantandogli le zanne nella giugulare.

 

I'm running and I'm crying

Sto correndo e sto gridando

 

Angel si rese conto di essere a terra nell’attimo in cui quella bocca famelica lo schiacciò contro il pavimento.

Un morso, deciso, gli fece inarcare la testa indietro. il sangue quasi esplose, zampillando dalla lacerazione e ricadendo, caldo, sul torace.

Facendolo rabbrividire… ed eccitare, con il suo odore.

Spike stava avidamente succhiandogli linfa vitale. L’aveva atterrato, come al loro primo incontro… Spike lo reclamava, una volta ancora.

 

I can't go on living this way

Non posso andare avanti vivendo così.

 

Spike… stava… avendo il sopravvento.

E questa non era cosa che Angelus potesse realmente accettare.

 

I can't go on living this way

Non posso andare avanti vivendo così.

 

La rabbia istintiva per quella irrispettosa prevaricazione emerse furiosamente, spegnendo ogni forma di raziocinio e controllo.

Nel buio di quella sua cecità obbligata, Angel sentì il viso divenire una contorta massa di cartilagini mentre il demone emergeva nella sua perfezione.

Lottò, per fermarlo. Spike era troppo vicino, rammentò, in un’ondata di panico.

 

I can't go on living this way

Non posso andare avanti vivendo così.

 

Non riesco a controllarmi.

I can't go on living this way

Non posso andare avanti vivendo così.

 

 

Non riesco…

 

D’improvviso avvertì qualcosa lacerarsi, nel suo intimo. Uno strappo, netto, irreparabile.

Provò vertigine e perse il contatto con il reale, con la bocca di Spike piena del suo sangue, con la musica frastornante.

 

E si rialzò, tremando, trovandosi in una cripta… un posto buio, fatto di catene agganciate alle pareti.

E, monumento a se stesso, in questo scenario di desolazione, lo vide.

Un sorriso crudele.

Occhi iridescenti.

 

Angelus…

 

In preda ad un orrore che rasentava la paura, lo vide aprire le labbra, con movimento liquido, e parlare.

 

Ciao, stupido me stesso…

era un po’ che non ci si vedeva…

 

E, sguardo nello sguardo con la persona che più temeva, Angel sentì le catene bloccargli le braccia.

 

(Ringrazio un traduttore anonimo per il testo dei Papa Roach. Ho cercato, senza alcun risultato, di risalire al sito di provenienza. Per tanto, non potendola attribuire a nessuno, preciso che questa traduzione non mi appartiene e che ne usufruisco senza scopo di lucro.)

 

***

 

Universo.

Sistema solare.

Pianeta Terra.

America.

Los Angeles.

Hyperion.

 

Scantinato.

 

Un posto microscopico, parte di una vastità incalcolabile.

Eppure, al suo interno, una forza e una storia così grandi da coinvolgere il destino di molti, se non dell’umanità intera.

 

Un eroe.

Il suo demone interiore.

La sua anima quasi sottomessa.

 

E un vampiro biondo impegnato a giocare con tutto questo.

 

Chino sul suo sire, avvinghiato con il corpo al suo corpo, le braccia tese allo spasmo dietro la testa, a bloccarlo. Uno sguardo sensuale quanto pericoloso.

E una mente impegnata ad urlargli il pericolo che sta correndo senza alcuna garanzia sul risultato.

 

In uno spazio privo di tempo, nato per una lotta senza precedenti, Angel fronteggiava lo stesso essere che stava lentamente prendendo possesso del suo corpo.

A poco a poco, le catene che lo intrappolavano, divenivano più strette, annebbiandogli la vista, facendogli bruciare i muscoli.

Una mano gli premeva la carotide, obbligandolo ad alzare il mento.

“Allora..” – Angelus gli sorrise, carezzandogli il viso con un dito – “Non sei contento di vedermi?”

 

Sotto il suo peso, la risata di Angelus salì di intensità, cancellando il ricordo di quella spontanea e sincera che era risuonata poco prima.

Spike sentì la gola invasa da un fiotto di sangue, forte tanto da provocargli un capogiro.

Il sapore di un demone trionfante.

 

“Angelus…”

“Precisamente.” – annuì il demone – “come nei tuoi incubi migliori…”

 

Già…

 

Non era sua abitudine, negare l’evidenza….Sotto di lui, ora, si muoveva Angelus o, almeno, qualcosa che gli si avvicinava molto.

 

Tra le sue labbra, in un palpito, andava spegnendosi il sapore di Angel, ormai quasi sconfitto. Ed era un sapore che faceva paura.

Eppure Spike, con gli occhi socchiusi, ne bevve un’ultima sorsata.

La perdita di sangue l’avrebbe indebolito.. ma, soprattutto, avrebbe dato a Spike un appiglio.

Per non dimenticare…

 

Angelus si passò una mano sul collo, con aria perversa.

“Un demone con l’anima sta bevendo dal nostro collo.” – mormorò, sornione –“ E questa non è una cosa accettabile…”

Angel sbattè le palpebre, cercando di mantenere il contatto con il suo corpo.

Percependo i denti di Spike, il suo succhiare spietato.

Cosa…come era accaduto?

“Smettila, William…”

“oh, mia caro Angel…ma è tardi, ormai. Niente potrà più fermarmi…”

 

“Allora, Spikey.” – sussurrò il demone di Angel al suo orecchio – “Contento di vedermi?”

Spike non gli rispose, piantando profondamente i denti nella carne. E sentendo, allo stesso tempo, le zanne del suo nemico penetrargli nel torace.

Angelus, senza aspettare inviti, gli ricambiava il favore. Inclinando appena la testa, provando un gusto immenso nel lacerargli la carne in un punto più doloroso che succulento. Sopra il cuore, scalfendogli le ossa, investendolo quasi, con la sua aura demoniaca, sentendo il demone di Spike desiderare raggiungerlo. E la sua forza, la dannata forza contraria della sua anima, avere ancora la meglio.

 

“Spike mi teme.” – commentò, con un certo autocompiacimento, accarezzando i capelli di Angel, quasi in ginocchio. Lo sovrastava, senza ostentare forza – “non vede l’ora di tornare da me… mi respira, come se fossi aria di montagna.”

Angel sbattè le palpebre, raddrizzandosi. Rialzandosi, a fatica, fino a guardare, viso a viso, Angelus.

Voleva combattere.

Non avrebbe lasciato che toccasse Spike.

Angelus lo guardò, con affettuoso disprezzo. Senza far nulla per fermarlo.

“Tranquillo.” – sussurrò, battendogli una pacca sulla spalla – “Una cosa alla volta.”

 

Questa lotta interiore, lo portò a staccare le labbra insanguinate e accostarle all’orecchio del suo assalitore.

“Bene, bene… e dimmi, Spike.. se l’anima che bloccava me ha ceduto… cosa pensi possa fare quell’inetta dell’uomo che eri?”

Quella domanda, appena sussurrata all’interno di una risata, ebbe su Spike l’effetto di una scossa, o di un soffocamento.

Inarcò la testa, cercando di immaginare gli occhi neri e bui del suo sire, ancora nascosti dalla fascia di seta. Sentendo il sangue rigargli il mento, mentre tornava ai suoi lineamenti umani.

“Non sentirti così padrone.” – ringhiò, cercando di non retrocedere innanzi alle sue paure – “Non sei il signore del castello…”

 

“Non sei il signore del castello…”

 

La voce rimbombò sopra la sua nuca. Ed Angel, le spalle tese e intrappolate fino allo spasmo, alzò la testa, nel riconoscere la voce.

“Già, già.” – Angelus compì un giro intorno alla sua nemesi, con una risata mal contenuta – “Il nostro Spike crede in te… si illude di sapere…ma non vede cosa c’è qui dentro. Vero, piccolo Liam? Non hai detto al nostro William cosa nascondi…”

Fece un ampio gesto, indicando il buio a distesa…

“L’oscurità.. le catene.. la prigione…” – elencò, annoiato – “Che posto tetro… a quale castello si riferisce, il nostro biondo sognatore?”

 

In un attimo fu di fronte a lui, stringendogli la gola.

“E dimmi, Angel…” – ringhiò Angelus, stringendo forte – “Come pensi di rispondere senza voce in capitolo?”

 

Angelus non aveva bisogno di ricambiare l’occhiata.

Il demone gli dava nuove forze e nuove risorse.

Anche la vista, dopotutto, era superflua. Il suo nemico era lì, tra le sue braccia. Ignaro, sprovveduto innanzi al risultato di quella lotta nata per distrazione. E, in un attimo, si ritrovò a sovrastarlo, bloccandogli le braccia, con la sua stessa tecnica, tra le aste.

Fermo, sul pavimento.

“Rovescio della medaglia.” – rise, mentre il sangue gli gocciolava dalle labbra e cadeva sul viso di Spike – “A che gioco stai giocando, William? Veramente credevi di potermi controllare? Credevi che ti avrei lasciato prevaricare? Sono un’essenza troppo pregiata per te…”

“Mi spiace contraddirti.” – Spike strinse i denti, di modo che l’odore del sangue che li arrossava colpisse i sensi di Angelus – “Ma non è la prima volta che ti sorseggio… e comunque, non sono sorpreso.

 

Al contrario… ti stavo aspettando.”

 

Dalla sua prigione interiore, spettatore del tutto privo di forze, Angel si sentì colto di sorpresa.

Spike stava ridendo e ripeteva le parole appena dette.

“Ti stavo aspettando, Angelus…”

E diede uno strattone furibondo alle catene.

Stupido, stupido che non sei altro! Ma cosa credi di fare, William!

Angelus lo fissò, divertito dai suoi sforzi, senza smettere di camminargli intorno, in una lenta e inesorabile condanna.

“Ma lo senti? È contento di vedermi…secondo te cosa ha in mente… qualche rimpianto giovanile? Qualche astruso incantesimo per spodestarmi?

Peccato che la sua memoria sia così breve…altrimenti saprebbe… di non avere più un futuro… a partire da ora…”

 

Spike rimase immobile, sotto il peso della sua decisione e sotto il corpo di Angelus.

Era vero.

Non attendeva altro, dall’inizio della lotta.

Il demone di Angel era veramente troppo forte e disturbante… già da troppo tempo. Spike aveva fatto di tutto, per ignorarlo, per lasciare a Angel lo spazio necessario da agire, a dominare.

Invano.

A poco a poco, era divenuto più forte il sospetto che a Angel occorresse una mano. Che questa volta, sotto la superficie del controllo, iniziassero a formarsi piccole incrinature, piccole esitazioni da cui il demone fuoriusciva, insidiosamente.

Angel non avrebbe mai ceduto.. ma stava soffrendo troppo.

Lo sforzo di tenere a bada quella furia lo assorbiva, facendogli perdere la concentrazione, il senso della misura.. la percezione del reale.

In atto da troppo tempo perché Spike si mantenesse al di fuori dello scontro.

La posta in gioco era troppo grande.

 

Angel sentì le ginocchia tornare a piegarsi, sotto lo sforzo di sostenere lo sguardo di Angelus. Quasi la sua espressione assolutamente tranquilla e divertita potesse risucchiarlo, e renderlo polvere.

Al di fuori del loro conflitto, del loro faccia a faccia, il combattimento stava continuando. E non gli piacque quando, con aria compiaciuta, Angelus gli mostrò delle mani arrossate da sangue.

 

I colpi lo raggiungevano in viso, facendogli ripetutamente battere il capo a terra.

E a Spike ci volle ben più della forza fisica, del demone o della tecnica, per riprendere in mano la situazione.

Gli ci volle semplicemente Faith, apparsa alle spalle di Angelus.

E abbastanza furiosa da spedire il suo assalitore contro la parete, senza curarsi delle clavicole di entrambi che, per lo strappo, finivano fuori sede.

 

“Ma che sorpresa…”

Angel si rizzò, molto più determinato. Faith.

Poteva sentirla.

E poteva sentire la sua tensione.

 

Dopo aver lasciato i due vampiri, impegnati in un chiarimento, Faith era uscita. All’Hyperion tutto era tranquillo. Cordelia, alle prese con un brutto mal di testa, aveva deciso di andarsene a dormire. Probabilmente non si era nemmeno accorta della battaglia che le infuriava sotto il letto, avvolta nel silenzio che solo i tappi potevano procurarle, a dividere il sonno con un demone russante.

Demone che, peraltro, nessuno sapeva dove fosse.

Wes, al contrario era partito proprio mentre Faith si avviava per le strade del circondario. Già da tempo, infatti, era programmata una sua visita presso un famoso collezionista di codici rari, deciso finalmente a contrattare per il costo di un testo che poteva rivelarsi utile nella lotta al male.

E nemmeno le vicissitudini di quella notte era sembrate tali da dover rimandare.

L’aveva salutata con un colpo di clacson, continuando a guidare tranquillo, un braccio indolentemente allungato sullo schienale del sedile a fianco.

Ed era sparito, in direzione del raccordo.

 

Faith aveva girovagato, contrariata dal non incontrare nemmeno un vampiro ritardatario.

Poi, annoiata, era tornata verso casa.

Ignara del fatto che la battaglia che tanto anelava si stesse svolgendo tra le sue fondamenta.

 

“La tua deliziosa Faith.” – Angelus intrecciò le mani dietro la schiena – “Il tuo capolavoro, sotto molti aspetti. Le hai dato una casa, una famiglia, una missione e qualcuno della tua vita da amare. Sarà un vero piacere, offrire il mio contributo…”

“Io non ti permetterò di farle del male.”

“Ma sentitelo.” - Angelus si rivolse al loro pubblico immaginario, spalancando le braccia – “Incatenato, sottomesso e ancora strafottente.

Mi spiace quasi contraddirti, mio caro Angel.

Ma non hai potuto far nulla per Jenny.. né tantomeno per le altre tue vittime.

Eppure c’eri.

Ed ora io mi prenderò Faith. E mi riprenderò Spike. E tu non potrai assolutamente impedirmelo.”

“Io sono qui. Non me ne sono andato.”- Angel fece leva sulle catene, allontanandolo con un calcio – “Non è come allora.”

“Ma lo sarà presto…”

 

“Spiegazioni?” – mormorò, afferrando Spike per una mano e aiutandolo a rialzarsi.

“Visto che Angel non si spiegava, ho deciso di parlarne con Angelus…” – ansò lui, imbrattandosi con il sangue che ancora gli scorreva dalla ferita aperta, mentre Angelus si muoveva, riportando la clavicola al suo posto con un colpo deciso.

 

“Bene, bene… la Cacciatrice…” - Angelus si sfregò le mani, soddisfatto –“Comincerò da lei… è più divertente spargere sangue.. che cenere…”

Angel cercò nuovamente di liberarsi, con un nuovo passo verso il suo demone.

“Non riuscirai…”

“Ah, no? E chi me lo impedirà? Loro? Tu? Tu pensi veramente di poterti ancora opporre?”

“Io posso…” – Angel si tese, ancora - “Sono ancora qui…”

 

“Sono ancora qui.” – canticchiò Angelus, rialzandosi e voltandosi. Leccandosi vogliosamente un dito coperto di plasma – “A che gioco vogliamo giocare?”

 

“Bla, bla, bla… io sono ancora qui, io sono ancora qui…” – scimmiottò Angelus, colpendolo – “Ma non sai dire altro? È così che funziona? Un eroe di poche parole? Frasi storiche e memorabili, da giornaletti?

Dio, come mi hai trascinato nel fango…”

 

“Mi vuoi spiegare cosa sta succedendo?” – domandò Faith, gli occhi dilatati dal terrore di quell’incubo che le si ergeva di fronte.

Angelus.

Solo Angelus, bendato, con il sangue di Spike sulle labbra. Fermo, languidamente appoggiato al bancone. Un’asta ancora in rotazione, nella mano sinistra.

Più nulla di Angel e del suo combattere concreto. Solo un demone che voleva morte. E sorrideva, di quel pensiero.

“Hai presente il problema di Angel?” – replicò, sottovoce, Spike – “Questa è una soluzione. Il demone voleva uscire? L’ho fatto uscire.”

“Ma sei fuori di testa?” – domandò quasi istericamente la ragazza.

“Fidati di me… qualunque cosa accada…”

 

Angel interruppe i suoi sforzi. Come Angelus, aveva libero accesso ai suoi sensi. E percepiva i sussurri di Spike e Faith.

La frase di Spike lo colpì, con effetto contrario a quello che ebbe su Angelus. Il suo demone rise, di quell’affermazione, dell’esuberante spacconeria del vampiro biondo. Ma Angel ebbe paura. Paura che William non ricordasse più veramente chi era Angelus.

E cosa, soltanto, potesse eccitarlo in quel modo…

 

“Allora, Angelus…” – Spike fece un passo verso di lui. Il sangue che gli imbrattava i vestiti, permetteva al demone di sapere dove si trovasse. Inutile celarsi – “A questo punto, potremmo guardarci negli occhi…”

“Oh, no, grazie.” – ribattè Angelus, facendo un passo sicuro ed elastico verso di lui. Distruggendo, con un’estremità del bastone, lo stereo ancora acceso – “La vista richiama il contatto, non è vero, William? L’anima diviene più forte se non è disorientata… la realtà… la ridicola quotidianità stampata sui vostri visi… non concediamo nulla al mio inetto me stesso….”

Scattò, colpendo Spike in pieno stomaco, mentre Faith scartava di lato.

“Perché anche così.” – sibilò, tornando a ergersi sul vampiro biondo – “Posso avere tutto…”

 

Come attraverso un vetro convesso, Angel potè visualizzare Spike. L’odore del sangue, il sudore sulla sua pelle.. il cuore di Faith…

Spike era nuovamente a terra: i suoi sensi tradussero le percezioni in un’immagine inequivocabile. Provocando in Angel un senso di urgenza.

Ancora uno strappo, ed una catena sembrò cedere, mentre Angelus, dandogli le spalle, assaporava la visione come una piccola vittoria.

 

Faith vide Spike volare al tappeto, scompostamente, mentre Angelus portava un secondo attacco, tramortendolo, con un colpo preciso alla tempia.

Nella sua mente, al lavoro come non mai, si iniziava a formare un quadro di insieme.

Angel non aveva il controllo del suo demone. I suoi lineamenti erano mutati, la sua voce molto più ridente. Il suo corpo appariva avvolto in movenze più feline e pericolose. Tutto in lui si stava spostando verso una chiave di lettura più infida, equivoca. Il contrasto luce-ombra sembrava perdersi in un’oscurità sinistra come il riflesso dell’onice.

Spike aveva agito sulle sue inquietudini, distaccandolo dalla realtà. La musica per disturbare l’udito, l’assenza della vista… aggrappato ai sensi che maggiormente subivano l’influsso demoniaco, il gusto, il tatto, l’olfatto, Angel doveva essere retrocesso, quasi anestetizzato, innanzi alla forza dilagante di colui che un tempo era conosciuto come Angelus.

Qualcosa di molto simile all’effetto ottenuto con un calmante… si, certo, era già successo… wes aveva raccontato ad entrambi quell’episodio.

In quel caso era bastato attendere la fine dell’effetto del farmaco, ragionò Faith, afferrando un’arma alle sue spalle, e scattando, in un invito alla lotta.

Ma qui?

Cosa dovevano fare?

 

“Credi veramente che bastino una coppia di catene a fermarmi?” – lo provocò Angel, cercando di farlo voltare – “credi che non mi renda realmente conto di quello che sta succedendo? Perché ti ostini a restare bendato? Credevo non amassi la mutilazione…”

“Taci.. stai perdendo il tuo tempo…”- rispose, con un cenno distratto della mano, immergendosi maggiormente nel combattimento con Faith.

 

Spike girò la testa, vedendo Angelus rispondere all’attacco della Cacciatrice. Faith aveva mirato alle gambe, con l’intento di spezzargliele, di rendergli i movimenti difficoltosi.

E gli aveva dato il tempo di spostarsi, rimettersi in piedi e compiere lo stesso terrificante gesto di Angelus, nel riassestarsi la spalla. Con un risultato decisamente migliore di quello ottenuto dal suo sire, troppo frettoloso, ma per niente impacciato da quell’articolazione ancora innaturalmente collocata.

Combatteva con gusto e non per la sua vita. Aveva su entrambi, il vantaggio di sapere che non l’avrebbero ucciso. E la consapevolezza di non essere vincolato allo stesso modo.

 

“Puoi crederti libero.” – urlò Angel, combattendo ancora la prigionia – “Ma non uscirai mai da quello scantinato. Spike può provocarti, può combattere e può aver compiuto il peggiore sbaglio della sua vita. Ma non ne farà un secondo, lasciandoti libero.”

Angelus si voltò un sorriso sardonico sui lineamenti.

“Non confidare nei suoi sentimenti.” – aggiunse ancora, Angel – “Lui è un eroe… lui sa scegliere per il bene…”

 

Angelus non li avrebbe risparmiati.. e nulla garantiva che Angel riuscisse a fermarlo prima dell’irreparabile.

Il solo pensiero che potesse nuocere a Faith lo distrasse dalla preoccupazione della lotta interiore di Angel, divenuta tanto forte da risucchiare la sua anima, nel profondo di quella realtà parallela che Spike non stentava ad immaginare.

Una realtà in cui l’anima e il demone, uno di fronte all’altro, in contatto con il reale, ma con percezioni differenti, stavano combattendo per il predominio.

Unito da un filo di solidarietà, dunque, con quell’anima martoriata ed ora in svantaggio, Spike colpì il loro nemico comune, affiancando Faith nella lotta.

 

Il colpo di Spike si trasmise con una violenta fiammata nel fianco. Angel si sentì indebolito, quasi il livello fisico potesse ripercuotersi su quello spirituale… ma Angelus non batté ciglio, nell’assaporare sadicamente il dolore che provava.

Il contatto con il corpo, dunque, rifletta Angel, in preda ad un nuovo sospetto, è veramente la chiave…

 

Contrariamente a quanto si era aspettato, Faith non negava il fatto che quello fosse Angelus. Non un’esitazione, nulla.

 

“A differenza di quell’imbecille di Spike.” – mormorò lei parando un colpo di risposta – “Io rivoglio indietro Angel. E subito.”

“Sbagliato, bella mia… sbagliato.” – Angelus aspirò il profumo inebriante dei suoi capelli, spostandosi, guidato dal semplice fischio della spada in movimento – “Angel al momento è… come si può dire… occupato…”

 

“Ma che meraviglia, questa Cacciatrice…” – Angelus si voltò interrompendo i tentativi di Angel di liberarsi – “tutto quel potenziale.. devo ammettere che sei in gamba, amico mio…la tua anima si impegna a tenere a bada me, le paure di Faith…e nutre la fiducia di Spike.

Già.. il nostro Spike ha ragione. Sei il signore del castello… ma di un castello di carte. Nulla li terrà, se tu non ci sarai…”

“Ti sbagli di grosso.” – Angel strinse i bordi delle polsiere, sentendo le schegge rugginose penetrargli nelle mani – “E non chiamarmi amico… non lo siamo mai stati…”

 

Un nuovo colpo magistrale, spedì Angelus contro la parete, facendo crollare a terra tutto ciò che era appoggiato sulle scaffalature. Oggetti di qualsiasi genere rotolarono per la stanza, rendendo ancora più pericoloso lo spazio di lotta.

Faith approfittò del frastuono per scambiare un’occhiata e poche parole con Spike.

“Hai un piano?” – domandò, mentre il vampiro si massaggiava il braccio contuso.

“Nessuno.” – spiegò rapidamente lui – “La mia esperienza consiglia di continuare a combatterci. Angel deve riprendere il controllo.. noi possiamo solo aiutarlo…”

“Dimmi come.” – insistette Faith, senza perdere di vista il vampiro bruno – “e soprattutto spiegami perché non si leva la benda…”

“Non è privo di anima, e lo sa. E l’anima predomina, sul coordinamento corporeo.

Se ci vedesse, si sentirebbe vincolato al non ferirci…”

“Ne sei sicuro?”

“No. Ma non mi viene in mente altro…” – concluse Spike, mentre Angelus tornava ad attaccarlo senza incertezza alcuna.

 

“esatto, mio Spike, esatto.”- Angelus applaudì, atterrando con un calcio al ginocchio il suo prigioniero – “Ho sempre saputo che quel ragazzo mi poteva dare grandi soddisfazioni. Dopotutto, io l’ho generato, io l’ho cresciuto…”

Angel rise, rispondendo all’ autocompiacimento del suo antagonista.

“Così fosse…” – replicò a denti stretti – “Avresti dato vita alla tua condanna…”

 

Il combattimento li stava assorbendo. Ma non c’era schermaglia verbale, ma solo colpi. Precisi e violenti.

Angelus era temibile anche senza l’uso di un senso. Come se potesse, effettivamente bastare il suo demone, incrollabile.

Spike considerò questo fatto, senza smettere di attaccare.

Quel silenzio serviva a cosa?

Perché Angelus, sempre così loquace, non li stava provocando?

 

Avanti, lo incoraggiò silenziosamente, non ti mancano i mezzi per ferirci.

Fallo, dannazione…

 

“Sei taciturno.” – lo schernì Angel, sputando altro sangue e tornando a rialzarsi – “Ti stanno dando filo da torcere, o sbaglio?”

“Non ho bisogno di parole. La sola vista di te che combatti contro di loro li uccide.

Tu, mio caro, sei il mio biglietto da visita.” – Angelus tornò a voltargli le spalle – “E non preoccuparti.. stiamo per avere grandi soddisfazioni…”

 

“E se fossimo noi, a togliergli la benda?” – domandò ancora Faith, rotolando sul fianco e rialzandosi. Non abbastanza in fretta, purtroppo.

Angelus la travolse, come un treno in corsa , bloccandola con le braccia, usandola come scudo.

Afferrandole i capelli con la mano libera.

E aspirando.

 

“Oh… William…” – rise – “E’ proprio destino, che io stringa donne con capelli bruni che sanno di te…”

Spike non rispose, guardandosi intorno rapidamente.

“Avanti… rispondi.” – incalzò il demone di Angel, senza allentare la presa, scendendo con le labbra lunga la linea sottile del collo – “Potrei anche decidere di ampliare la famiglia…”

“Io appartengo alla famiglia di Angel…” – ringhiò lei, piantandogli le unghie nel braccio.

Si sentiva soffocare, in quella morsa.

“E pensi che ci sia differenza?” – la voce di Angelus era dolce e appena sussurrata. Gli occhi, sotto la seta, cercavano istintivamente in direzione di Spike – “Guarda Spike.. si allude di appartenere alla luce. Ma Angel non è luce.. Angel è un mio pallido riflesso….

È me che segui, quando siamo di ronda.. non lui….

È con me che dividi l’ebbrezza della battaglia.”

“Stai mentendo.” – ansimò la Cacciatrice, mentre dietro le palpebre iniziavano ad apparire macchie colorate. La pressione stava aumentando – “Angel…”

“No, no, mia cara. Diglielo anche tu, William.. dille la verità. Tu appartieni a me.. non hai mai smesso di cercare me….”

“Tu mi hai ucciso.” – replicò il vampiro, mentre la bocca gli si inarcava in un sorriso di scherno. Se solo Faith avesse aperto gli occhi…. – “Ma questo non ha mai fatto di me una cosa tua… se mai.. il contrario…”

 

Angel afferrò un’ultima volta la catena e tirò, sradicandola dal muro.

Con una rotazione rapida, usando il moncone come una morningstar, colpì Angelus in volto. Un braccio libero non era abbastanza… ed Angel, ignorando il dolore della spalla lussata, sapendolo irrazionale, si tese, per liberarsi del tutto.

 

“Ah, William, ancora con questa storia.” – Angelus rise, scendendo delicatamente ad afferrare uno dei seni di Faith – “I tuoi capricci da giocattolo trascurato…l’anima eccelsa, che nessuno può comprendere… non sei un po’ cresciuto per continuare a inventarti mondi che non esistono?”

“Io non ho bisogno di inventarmi mondi…” – ribattè, avanzando di un passo – “A differenza di te, io ne posseggo uno…

senza il bisogno di chiudere gli occhi…”

 

Angelus barcollò, per la rabbia e la sorpresa.

La catena che Angel faceva girare rapidamente sopra la testa fischiava, irritandolo.

“Credi che basterà così poco, a mantenermi lontano?” – ringhiò, asciugando un rivolo di sangue sulle labbra – “Quattro anelli arrugginiti non ti salveranno. Quando avrò finito con te, non ci sarà più alcuna lotta…”

 

con lentezza, cercando di resistere alla mancanza di ossigeno, Faith aprì gli occhi.

Di fronte a lei, Spike manteneva lo sguardo fisso.

L’ultima frase era stata un segnale.

Spike voleva essere visto.

Voleva che Faith sfruttasse il vantaggio che poteva avere sul suo carnefice, impegnato in un viaggio immaginario di polpastrelli e parole lungo il suo corpo.

Gli occhi di Spike, ignorando la propria bocca che ancora ribatteva prontamente alle provocazioni, le comunicarono il piano, finalmente ideato.

Le dissero di pazientare, di usare il corpo come un’ arma. Il suo respiro, il suo battito…

E Faith con un semplice battito di ciglia, gli comunicò la sua approvazione.

 

Angel percepì il suono della catena che si scardinava prima ancora di riacquistare la sensibilità completa al braccio libero.

 

Senza attendere altro, si avventò su Angelus, atterrandolo e colpendolo.

Trovandosi nuovamente in lotta con se stesso.

Con la malsana sensazione di avere tra le braccia una vita condannata a spegnersi.

 

Faith sussultò, quando il bicipite di Angelus le premette più deciso sulla trachea.

Per un attimo aveva avuta l’impressione che la presa si fosse allentata, quasi Angelus avesse… esitato.

Riaprì gli occhi, sperando che l’istinto di Spike, lo stesso che li aveva infilati in questo casino, entrasse in funzione.

 

“Non sei stanco di continuare a combattere?” – rise Angelus, sotto i suoi colpi – “Non fai altro, sempre e comunque… pugni, risse da bar.. Ti sei ridotto a fronteggiarmi con questi metodi rozzi. Non hai più armi, stupido, non puoi vincermi.

Non hai prevaricato su tuo padre, fino a quando non sono arrivato io…

Non hai fatto nulla, nella tua vita, senza di me…

Rassegnati… senza di me non sei nulla…

E non potrai mai, vincere…”

“Sono stanco di dirti che ti stai sbagliando.” - urlò Angel, quasi fuori controllo – “Stanco di ricordare, stanco di farmi una ragione di ciò che succede. Ma una cosa posso garantirtela, Angelus… che siano pugni o armi, la nostra lotta non finirà mai con te vincitore.

E non importa se avrò forza… oppure se non avrò più buoni motivi.

Questo conto resterà aperto fino a quando entrambi avremo vita…”

 

Non accadeva nulla. Spike immobile, si morse le labbra.

Prima di fare ancora un passo, verso di loro.

“Muoviti ancora…” – ansimò Angelus – “E lei, se è fortunata, sarà morta prima che tu te ne accorga.”

“E se non lo sono?” – domandò Faith, con un filo di voce.

“Cosa, amore?”

“Se non sono fortunata?” – rise lei, roca.

“Allora, cara la mia bimba… Spike assisterà a uno spettacolo interessante.”

 

“E tu osi chiamarla vita.. questa esistenza senza sapore, senza ebbrezza. Dove hai perso la nostra passione, quando hai scordato quello che si prova ad uccidere.”- Angelus l’aveva spinto contro il muro, parando i suoi ripetuti colpi – “Devi arrenderti alla tua natura.

sei un debole.”

 

Spike strinse i pugni, trattenendosi dall’aggredirlo. Angelus giocava con la respirazione della ragazza, permettendole di inalare quanto bastava da mantenerla viva.

E ancora non accadeva nulla.

Maledizione, Angel… fa’ qualcosa..

Non è tua abitudine, rimediare ai casini che combino?

 

“Lo sarai sempre.

Smetti

Di

combattere.”

L’aveva detto scandendo le parole, accompagnandole ai colpi.

Ed Angel ripiegato su se stesso, con la fastidiosa sensazione di non riuscire a respirare, sentì le lacrime salirgli agli occhi.

Stava… perdendo…

 

La fascia rossa di Cordelia che copriva gli occhi di Angel, aveva cambiato tonalità.

Spike strinse gli occhi, cercando di capire.

Prima di fare un passo, quasi in preda all’esultanza.

“Allora, Angelus.” – rise – “Chi è il signore del castello?”

 

Angelus si rialzò, fissando il suo avversario, abbandonato ai suoi piedi.

Un essere fragile, coperto di sangue.

Sangue senza aroma e senza intensità.

Ma pur sempre del colore della vittoria.

“Avresti dovuto arrenderti.. non potevi che guadagnarci…”

Si voltò, allontanandosi di qualche passo, ravviando le maniche della camicia con fare aristocratico. Ignorando, certo del suo predominio, il sussulto di quelle dita spezzate.

 

“Mi sembra che sia chiaro…” – ribattè il vampiro, accarezzando il labbro inferiore di Faith – “Ho qualche idea purtroppo irrealizzabile per questa bambina… ma sto ancora conducendo il gioco…”

“Io non ne sarei così sicuro.” – Spike si infilò le mani in tasca e avanzò ancora di un passo – “E adesso, perdona la mia scortesia, voglio parlare con Angel.”

“Impossibile.”

“Angel, so benissimo che puoi sentirmi….”

“Sei uno sciocco, William….”

“E’ ora di smettere con questa lotta. Sappiamo entrambi chi è il più forte. Sappiamo benissimo quanto vali.”

“Sciocco…”

“Io e Faith ci fidiamo di te.” – ancora un passo – “Io e Faith non vogliamo perderti….”

“Ma sentitelo, che cuoricino tenero…”

“Avevi ragione.” – mormorò. Ancora un passo – “Sono in gamba a complicare tutto. Non so farmi gli affari miei e il mondo non è poi questa grande perfezione. Hai sempre ragione, Angel, anche se mi piace troppo contraddirti.

Ma al mondo, senza il poterti irritare, io sono ben poco.”

Spike avanzava, senza smettere di parlare. Di parlare con Angel anche se era Angelus a rispondergli, con nuovo veleno e nuova ilarità.

“Non sei tu, la mia famiglia, Angelus.” – ringhiò, fermandosi, a meno di un metro – “Io ti disprezzo… perché non avrai mai la forza di Angel.”

“Il tuo Angel se ne è andato.” – gridò il vampiro, strattonando la ragazza, facendola gemere – “e questa volta per sempre, senza maledizione. Si è arreso.”

“Ti sbagli.” – il sorriso di Spike brillò, quasi sinistro – “Perché così fosse… tu non staresti piangendo.”

 

Un suono obbligò Angelus a voltarsi.

Di fronte, a meno di un passo, era in piedi Angel.

Immobile.

Insanguinato.

Con occhi di fiamma.

Ed ora era lui, a sovrastarlo.

 

“Menti.”

Era un suono basso e gutturale, furente.

Faith fissò Spike e la speranza di cui riluceva. E si mosse, cercando uno spiraglio per divincolarsi.

Decidendo di agire d’astuzia, di interrompere quell’attesa e quella sopportazione che Spike le aveva consigliato, con lo sguardo.

“No.” – sussurrò – “non sta mentendo. Angel ha vinto, non c’è bisogno di essere un vampiro per saperlo. Solo tu, non te ne sei reso conto…”

“E come?” - Replicò il vampiro, accostandosi alla sua pelle, con ira – “sono qui, ancora. Sono un vampiro, un demone, non sono un complessato debole, con manie di onnipotenza. Sono Angelus.”

“Ti sbagli.” – Spike si mosse, leggermente in diagonale – “Tu sei Angel…”

 

Lo sei da quando il cuore di Faith si è appoggiato al tuo.

Faith non sarà mai solo mia. Quel cuore batte per entrambi.

Batte per me.

E batte per te, indicando la strada.

 

Nell’attimo in cui i colpi di Angelus erano cessati, Angel aveva avuto l’impressione che il mondo non esistesse più.

Il profumo dell’aria, il dolore del suo corpo reale, la voce di Spike si erano affievoliti e allontanati. Non c’era più nulla a contrastare quell’oscurità.

Angel provò il desiderio di rannicchiarsi, di svanire al centro di una posizione fetale eterna.

Chiuse gli occhi, sopraffatto dal dolore delle ferite, dei ripetuti colpi che continuava a sentire, anche se Angelus, ormai padrone indiscusso, si stava allontanando.

Poi… dolcemente.. come passi di corsa, sentì una nuova percezione raggiungerlo.

Un rumore forte, sicuro.

E vi si aggrappò, scotendosi dal torpore.

 

Lacrime… per uno sforzo superiore ad ogni energia.. per un dolore che non conosceva forma. Lacrime, per il passato di sangue e il futuro di lotta.

Lacrime di forza, cocenti e fredde.

 

Non gli importava da dove provenisse. Il suo essere si proiettò verso quel suono, verso quel rombo che scacciava le nuvole con la sua minaccia di tempesta.

Quel suono forte.. dal sapore di pioggia.

Un suono che nasceva dall’oscurità….

 

Un suono capace di fargli posare i palmi aperti a terra, nell’issarsi nuovamente in piedi.

 

È questo il piano.

L’amore.

Ancora una volta, non è servito nient’altro.

 

Angelus attraversò la stanza, sbattendo contro il muro con violenza inaudita.

Ed Angel fu subito sopra di lui, a colpirlo, a rendergli il dovuto.

“Dov’è dunque, la debolezza?” – replicò, alzando il pugno reso vischioso dal sangue.

Dal sangue di entrambi – “dove, Angelus? Non vedo debolezza tra noi.”

Si bloccò, rialzandosi. Allargando le braccia e sorridendo al suo demone.

“Tra noi non finirà mai.” – disse, con un sorriso, mente le catene tornavano a imprigionare Angelus.

 

Quando il braccio si allentò Faith barcollò in avanti e Spike la prese al volo.

“Angelus mi ha lasciata andare.” – ansimò, stupidamente, posandosi una mano sulla gola e tossendo.

“Non Angelus.. ma Angel.” – sussurrò Spike, sorreggendola per la vita e baciandole il viso, in preda ad un sollievo senza confini, nel guardare, con apprensione, il suo sire scivolare in ginocchio.

E poi a terra, riverso.

 

Angelus era in catene… ed ora, l’ombra lo stava inghiottendo.

Nascondendolo.

Celandolo, senza che la sua presenza svanisse del tutto…

A presto, amico mio…

 

***

 

L’abbraccio dei due giovani si interruppe, repentinamente.

Faith corse verso gli interruttori, armeggiando, per fare più luce.

Avevano combattuto in una penombra soffusa, senza quasi rendersene conto. Spike era già chino su Angel, quando lo raggiunse.

L’aveva afferrato per le spalle e voltato, dolcemente. Ed ora, sorreggendogli la testa con un mano, stava provando a snodare la benda.

“Faccio io.” – sussurrò lei, armeggiando con il nodo – “Due mani sono meglio di una…”

Il nodo oppose resistenza, sotto le sue dita, dandole il tempo di fissare quei lineamenti e la ferita, alla base del collo. La fascia, dapprima di un color carminio era mutata di tonalità, macchiandosi. Quelle stesse lacrime che avevano imbevuto la stoffa, gli rigavano ancora le guance, rendendogli la pelle lucida.

La mano di Spike, dietro la nuca, era ferma, anche se il vampiro biondo appariva scosso. Quasi solo ora si stesse finalmente rendendosi conto dell’accaduto.

Faith lo vide deglutire, con la coda dell’occhio, mentre accompagnava i suoi gesti, nel riutilizzare quella striscia di stoffa per tamponargli la ferita.

Il volto di Angel era nuovamente umano. Una profonda riga verticale gli segnava la fronte, quasi i pensieri lo stessero facendo impazzire. Spike non diceva nulla, passandogli una mano sulla spalla nuovamente slogata, e lo sguardo di Faith correva da uno all’altro, in attesa che Angel aprisse gli occhi.

Con lentezza impressionante, Angel si mosse, piegando leggermente la gamba, puntandosi con un piede. Distendendo una mano a terra, quasi a caccia di un contatto con un reale concreto che non era più così scontato. Il movimento lo fece ruotare appena, in direzione di Spike che, concentrato in se stesso, percepiva finalmente che il dissidio si era attenuato. Angel stava vivendo un momento di pace, uno dei pochi concessi.

Il suo viso, la sua espressione, le ultime lacrime che si stavano asciugando tradivano la lotta immane che doveva essere stata. Un pallido riflesso di quella esteriore, condotta con lui e la Cacciatrice.

 

“Io sono un paladino.” – sussurrò, cogliendoli di sorpresa. Immobile, un braccio innaturalmente lungo il fianco. Pallido ed esanime come non mai.

“Oh, lo so.” – rise Spike, divertito, premendogli una mano sul morso che andava rapidamente rimarginandosi.

 

Lo so…

Ne dubitavi, forse?

 

“William.” – lo sentì mormorare, d’un tratto, con una voce che le parve venire da lontano.

 

“Dimmi…” – rispose il vampiro biondo, con una leggerezza studiata, che non tradiva la sua espressione intensa.

“Che cazzo ti è saltato in testa?”

 

Con movimento forzato, Angel ruotò la testa verso di lui. Fino a sentire, per casualità, la sua mano. Una mano che, dopo una leggera esitazione, gli si posò su uno zigomo.

“Guardami, Angel.” – ordinò Spike, costringendolo ad aprire gli occhi. Incontrandoli, calmi e lucidi. Sorridendogli, quando comprese che la vista gli si stava snebbiando – “Ti sembra questo il modo di parlarmi?”

Angel lo fissò, mentre emergeva dalla luce abbagliante del neon alle sue spalle.

E la sua vista si confuse, ancora un attimo.

Battendo ripetutamente le ciglia, Angel ebbe l’impressione che un altro volto si sovrapponesse a quello dell’amico.

Occhi chiari, capelli biondi, la stessa bocca irriverente.. lo stesso… sorriso triste.

 

Ma se hanno staccate le teste i cuori non ebber domati;
Furono più che valenti: da morti restano sempre guerrieri.

 

La mente di Angel, sollevata dalla fine della battaglia, si librò libera, per un solo istante, prima di sprofondare nuovamente nel proprio corpo pieno di dolori e nelle prime indispensabili parole.

 

“Voglio sapere che cosa ti è venuto in mente, prima di romperti tutte le ossa.” – scherzò, cercando di sembrare tranquillo, tremendamente normale. Ancora sdraiato a terra, con un dolore pulsante a tutto il corpo, con l’anima lacerata da quella guerra che non conosceva fine, respirava la presenza di quei due come un balsamo.

I suoi ragazzi…

I suoi adorati ragazzi…

“Ti posso garantire, Angel, che dopo questa nottata, le romperò io le sue ossa…”

La voce di Faith lo percorse come una scossa. Era roca, come chi ha troppo gridato, chi sa bene cosa significa restare senz’aria. Si voltò verso di lei, cercando di mettersi seduto.

“Stai fermo.” – replicò, brusco, Spike – “Hai una clavicola lussata.”

“E allora sistemala.” – ribattè Angel, battendo la nuca sul pavimento – “Sai come si fa, no?”

“Sicuro?”

“Fallo e basta.” – ansimò Angel, chiudendo gli occhi. Il sudore gli inumidiva il labbro superiore, con piccole gocce.

Spike, senza particolari scrupoli, fece scattare l’articolazione, con un suono secco provocato dalle ossa sfreganti una sull’altra. Ed Angel, ancora indebolito dal conflitto, non riuscì a reprimere un gemito, mentre i suoi lineamenti mutavano involontariamente.

Per qualche secondo, tornando normali al contatto di un paio di mani che gli si posarono sulle guance.

“Ehi.” – lo chiamò Faith, guardando le iridi cambiare colore e tornare brune – “Resta qui con noi…”

 

Angel la guardò, disorientato, prima di sorriderle. Timidamente, quasi ci fosse sempre un motivo per sperare in un perdono.

Così sperso, indifeso, che Faith si concesse il piacere di accarezzargli uno zigomo, dolcemente, con il dorso della mano, mentre Spike gli piegava, con cura, il braccio sul torace.

Prima di scostarsi appena, e sentire una di quelle mani eternamente fresche e forti afferrarle le dita.

“Ti devo delle scuse, Faithy.” – mormorò, guardandola, fissando il segno violaceo che le si stava formando sulla gola. Protendendo le dita, per sfiorare quel livido, peggiore di ogni cicatrice spirituale – “Perdonami…”

“E di cosa...” – scherzò lei, lottando contro un’improvvisa emozione – “Potevo liberarmi senza nessuna fatica… ma servivo lì…”

Già, pensò, carezzandogli il petto con una mano, sfiorando il suo battito.

Servivo qui.. ancora una volta, sopra il tuo cuore…

 

“Mi spiace interrompere il vostro idillio.” - commentò Spike afferrando Angel e mettendolo seduto. Sostenendolo, mentre questo borbottava, contro la spalla dolente – “Ma consiglierei di darci una sistemata e andare a dormire. Opinioni contrarie?”

“La mia.” – borbottò Angel, accettando tutto quell’aiuto mal coordinato – “Mi devi ancora una spiegazione…”

 

Angel si rassegnò a metà della scala a non avere risposta.

Quei due, strattonandolo e portandolo quasi di peso, non lo degnavano di attenzione.

Troppo impegnati a corrergli intorno, come due ragazzini intorno all’albero.

Faith aveva segni violacei sulle braccia e sul collo, fino alla vita, come se una morsa l’avesse compressa senza misericordia. E, per quanto ostentasse sicurezza, portava negli occhi l’umiliazione che le mani di Angelus dovevano averle fatto provare, sporcando tutto quello che in loro era sempre stato un contatto pulito.

Spike, d’altro canto, stava nuovamente collezionando tagli e abrasioni.

Angelus lo aveva letteralmente scarnificato, all’altezza del cuore, coronando quel segno di possesso con colpi violenti.

“Se mi dici che ho il claddagh tatuato sugli addominali.” – commentò Spike, all’ennesima occhiata contrita di Angel – “Ti farò veramente male…”

“se vuoi farmi veramente male.” – replicò Angel, da sdraiato sul divano – “Sfondi una porta aperta…”

Spike lo fissò, divertito, finendo di infilarsi un maglione. Faith li aveva medicati entrambi, demolendoli a colpi di ironia. Ed ora stava tornando, con due bicchieri da bibita, colmi fino all’orlo di un liquido che certamente non era vino.

“Adesso sfamatevi e parlate.” – ordinò, porgendo ad entrambi il proprio – “Io mi vado a cambiare.”

“Sei arrabbiata, cacciatrice?” – la provocò blandamente Spike, facendo ruotare il contenuto del bicchiere.

“Quel tanto che basta e solo con te.” – replicò, fissandolo storto – “Angel, ti serve ancora qualcosa?”

“nulla, grazie.” – Angel la guardò, avvilito. Si sarebbe volentieri alzato, in imbarazzo, per poi inginocchiarsi a implorare perdono. Ma non aveva il controllo di un singolo muscolo.

Angelus li aveva conciati per le feste.. ma anche loro due non dovevano averlo trattato come un pezzo di cristalleria.

 

Angel ricordava il combattimento, come un episodio sfuocato. Nitido per alcune parole, per alcuni movimenti. Per il dolore e per l’atroce senso di impotenza.

Ma sapeva di non essere stato realmente presente. Almeno, non del tutto…

“Allora, buonanotte.” – concluse Faith, concedendo un mezzo sorriso ad entrambi, prima di andarsene.

Spike bevve un sorso, restando in piedi, una mano infilata in tasca.

Allora, come ti senti?

“Come, scusa?” – Angel alzò gli occhi verso di lui. Aspettandosi una battuta pungente.

Guardandolo scuotere la testa e sedersi, sul bordo del divano, tenendo il bicchiere tra le mani.

“Ti ho solo chiesto come stai.” – ripetè, mentre l’altro si spostava appena, per fargli spazio. Allungando un braccio sopra Angel, per puntellarsi allo schienale.

“sinceramente.” – rispose il vampiro, aderendo con il braccio dolorante al ginocchio dell’altro – “Non so cosa rispondere. Malissimo. Si, forse mi sento malissimo…”

“la cosa non mi stupisce.” – commentò, spietato, Spike – “Ti sei preso una mano di botte…ma non mi riferivo a questo…”

 

“Senti il demone sotto controllo?” – insistette, andando al sodo – “E’ almeno servito a qualcosa?”

Angel rimase in silenzio, fissando il sangue che non aveva ancora toccato. La sola idea di berlo, in questo momento, gli dava nausea.

Per la prima volta, da giorni, il corpo pareva unicamente suo, arreso alla stanchezza umana, privo di quella pulsione inquieta che l’aveva fino ad allora divorato.

“E’ come sopito…” – sussurrò, a se stesso – “Ma non so per quanto…”

“Non esiste nulla, che duri abbastanza.” – replicò Spike, intuendo, e sfilandogli il bicchiere dalle mani e voltandosi, per posarlo sul tavolino – “ma direi che adesso le cose sono almeno al loro posto…. non sei più così confuso…”

Spike aveva addosso il suo odore.. ed Angel, sotto i fiumi di disinfettante sprecato che Faith gli aveva spalmato indosso, sentiva ancora l’odore di Spike.

Quello scambio di sangue, quel morso con cui si erano reciprocamente marchiati, gli correva ancora sottopelle, come un antico legame rinsaldato.

Anche Spike doveva sentirlo. Il suo sguardo si era perso, scivolando lungo i mobili della stanza, quasi in attesa di una frase, di una risposta. Angel lo fissò, mentre beveva un altro sorso. Tornando alla carica con i suoi quesiti.

“Mi vuoi spiegare cosa hai fatto?” – domandò, rompendo il silenzio. Sentendosi prontamente in colpa. Se c’era uno che aveva fatto qualcosa.. bhe, non era certamente Spike.

“Per l’esattezza ho fatto fare tilt al tuo demone.” – spiegò il vampiro, allegramente – “voleva avere il controllo e ho fatto in modo che lo avesse.”

“Credevo sapessi che con certe cose non si gioca…”

“certo, papà. Lo so benissimo.” – ribattè – “Ma voglio finire la mia spiegazione prima dei commenti. Il tuo demone ha preso il sopravvento, cosa che doveva accadere ormai da giorni. E, nelle condizioni migliori per lui, hai vinto comunque tu.

Questo non ti dice nulla?”

“che siamo stati fortunati?”

“No. Che non stavo mentendo quando ho detto che, tra i due, sei tu quello forte. Hai vinto Angel… forse con un metodo tra i meno ortodossi… ma in una situazione in cui potevi perdere.” – Spike inclinò la testa, in uno dei suoi modi più tipici – “Non credere che mi sia piaciuto farti questo. Ma era quello che avevi bisogno. Una bella scossa.”

“Potevo fare del male a Faith.” – e a te. Ma non lo disse, guardandolo dritto in faccia.

“Non te lo avrei permesso, Angel.” – replicò Spike, improvvisamente serio – “eppure dovevo rischiare. È stato il battito di Faith a riportarti indietro. Angelus poteva mantenerti distaccato dal reale, plagiarti. Ma non ci sarebbe mai riuscito del tutto, se solo tu fosse venuto in contatto con lei. Il contatto, Angel, è stato quello che ti ha salvato.

Il valore che dai ora ad una vita tra le braccia è molto diverso da quello che possedevi…”

 

Il corpo di Faith era la via per la salvezza.

Era l’amore, dentro la forza.

 

“Ti sei fermato già una volta, con Buffy morente tra le braccia. Potevi farlo nuovamente, per Faith.” – spiegò, con semplicità – “Se lei non fosse arrivata.. probabilmente avremmo avuto i nostri problemi.”

“Mi avresti fermato.” – rispose Angel.

“Non esserne così certo.” - Spike buttò un’occhiata incurante al suo bicchiere quasi vuoto – “Non sono io quello forte tra i due…”

“Ti stai sottovalutando, William.” – Angel lo fissò, cercando di puntellarsi su un gomito – “Avresti potuto cedere anche tu, oggi. Angelus aveva i mezzi per convincerti. Se non ti sei lasciato andare, non è stato perché non ha fatto in tempo ad attuare i suoi piani…. Ti sei difeso…”

Spike sorrise. Senza rispondere. Era una discussione persa in partenza. Angel poteva anche essere uno spirito complicato in cui le contraddizioni si sommavano alle scelte per forza…Ma, nel suo intimo, restava un mulo testardo.

Tutto da contraddire.

Ma non in quel frangente. Spike si sentiva stanco, spossato da quella notte di contrasto.

Stanco, come gli accadeva talvolta, di combattere con cose destinate a seguire il loro corso.

La vita, come la morte, con le sue regole e le sue regole non mutabili.

Vivere…

Morire…

Le scarse speranze di vittoria…

E le volte in cui, senza possibilità di uscita, le verità pesavano come condanne. E, nei ricordi, sanguinavano ancora.

“Se la pensi così, promettimi solo una cosa.” – sospirò, chiudendo l’argomento e alzandosi – “Promettimi che, la prossima volta, quando ti mancherà la forza… prenderai la mia… senza aspettare che sia troppo tardi…”

 

***

 

Doyle rientrò, cercando di non far rumore. Gettò la giacca sul divano, controllando se, per caso, avessero già consegnato il giornale.

Erano le sei passate.

Il sole era già sorto da un pezzo.

Doyle sfogliò la posta, dimenticata dal giorno prima e si buttò un’occhiata distratta intorno, prima che i suoi senso demoniaci fossero colpiti.

Odore di rabbia.. battaglia… sangue…

Aggrottò la fronte, facendo un passo in direzione della scala. Giusto in tempo per veder apparire Spike e guardarlo.

“Tranquillo.” – replicò il vampiro, con un cenno distratto che mise in risalto i tagli sulle braccia e il livido che aveva sul collo – “Tutto ok. Buonanotte.”

 

Non gli andava di raccontare. Entrò in camera senza accendere la luce e si arrampicò sul letto, dal fondo.

Finendo dritto nelle braccia di Faith.

“Mmm… bell’idea Cacciatrice…” – borbottò, strofinandole il naso sul collo, perfettamente appagato.

Finendo investito dal cono di luce della lampada, improvvisamente accesa.

“Dobbiamo parlare.” – replicò, implacabile, la ragazza, sedendosi.

“No, ti prego.” – Spike sprofondò il viso nel copriletto – “Non anche tu… ho appena schivato Doyle…”

“Quello che gli hai fatto non ha nome per essere definito.”

“Quello che ho fatto se lo stava già facendo da solo.” – replicò lui, sedendosi e appoggiandosi al testile del letto – “Io ho solo ficcato il naso.”

“Certo, una vera soluzione geniale.”

“Poteva accadere in ogni momento. Poteva succedere durante un’azione, o parlando, come se niente fosse! poteva succedere anche stasera, contro quel suo pregiato spadaccino!” – Spike stava iniziando a sentire il nervoso – “Io mi sono premurato di esserci.. e di creare un momento in cui poteva accadere.”

“Poteva ucciderti.” – replicò lei, con un filo di voce. La gola le doleva, ricordandole a ogni respiro, il pericolo corso. Protese la mano, abbassandogli il collo del maglione, fino a portare in vista il segno del morso - “Quando sono arrivata, eravate entrambi fuori di testa…”

“Lo so.” – Spike annuì, perdendosi un istante nei ricordi – “Era un rischio che sapevo di correre. Vedi, Faith, Angel ha bisogno del mio aiuto, ogni tanto. Eppure non me lo dice. Non riesce a spiegarmi come stargli vicino.. figurati se mi permette di intromettermi nella lotta con il suo demone…”

“E così hai deciso di prenderti da solo questo diritto? Mi sembra una spiegazione sciocca…”

“Ma non lo è.” – Spike le accarezzò i capelli, posandole una mano sul collo – “Io non so se puoi veramente accettare quello che sto per dirti. Ma io so cosa si prova ad avere un demone dentro. Lo so bene quanto Angel. Ed ho i miei modi per sfogarmi, per fermarlo e, perché no, anche lasciarlo libero. Sono sceso a compromessi con me stesso molto più di quanto non immagini.

Ma Angel non può farlo.

La sua lotta è continua, non conosce tregua. Combatte, minuto dopo minuto, sempre con la stessa forza e sempre con la stessa posta in gioco.

Io so cosa significa avere un attimo di quiete.. ma ad Angel non è mai concesso…”

“Quindi il dolore che gli abbiamo provocato stasera era necessario a dargli un attimo di pace?” – domandò, amareggiata.

“Anche se ti può sembrare paradossale, si. È così.” – Spike abbassò lo sguardo, domandandosi dove poteva trovare le parole giuste. Tornando a fissarla – “Mi spiace, non ho saputo inventarmi di meglio.”

Faith sospirò rassegnata, tornando a sdraiarsi e abbracciandolo, mentre la raggiungeva.

“Sei impossibile, vampiro.” – borbottò, giocherellando con i suoi capelli corti e godendo del peso del suo corpo indosso.

“Fa parte del mio personaggio.” – commentò lui, desiderando addormentarsi.. e non svegliarsi più.

Tutta l’eternità in quell’abbraccio…

Ed un sonno che tardava a giungere.

 

Rimasero così, sdraiati, ognuno immerso nei suoi pensieri.

Gli occhi socchiusi e i nervi ancora tesi, in attesa di un segnale.

Tutta una vita al limitare di un campo di battaglia li aveva resi insofferenti, pronti ad abbandonare tutto e alzarsi.

Verso nuove mete.

Contro nuovi pericoli.

Le mani di Faith percorrevano pensosamente le braccia di Spike. I suoi occhi, aperti, fissi nell’oscurità, non vedevano altro che i fotogrammi di quella lotta.

“Non riesci a dormire?” – domandò lui, senza aprire nemmeno gli occhi.

“Già.. e direi che non ti ho nemmeno svegliato.”

“Infatti.” – Spike rotolò sulla schiena e si girò verso di lei – “Ho parecchie cose che mi girano per la testa.”

“Tipo?”

“Ricordi, pensieri…” – rispose, svagato, il vampiro – “Io e Angelus non ci parlavamo da parecchio tempo.”

“E’ veramente così netta la demarcazione?” – domandò Faith, scivolando tra le sue braccia e baciandolo. La frase di Angelus, riguardo alla lotta le rimbombava ancora in testa.

“Abbastanza.” – replicò lui, ricambiando quel contatto – “Quando c’è Angelus, cambia tutto in lui. Le parole, le percezioni… può sembrare Angel.. ma non lo è…”

“E viceversa.” – replicò Faith – “Eppure ci sono volte in cui Angel combatte con il demone.”

“Certamente. Ma è presente. Combatte mantenendolo sotto controllo, bloccandone le pulsioni. Per quanto sia forte, o impressionante, il demone di Angel non è mai libero.”

“Se lo fosse.. sarebbe come stasera?”

il buio non li celava realmente uno all’altro. Forse, entrambi, in quell’attimo, si illusero di non potersi vedere. Di essere solo voci e non immagini.

“No, piccola.” – sussurrò, stringendola – “Non come stasera… molto, molto peggio…”

 

promettimi che se mai un giorno dovesse accadere, starai attenta ai suoi inganni.

E sarai consapevole, che la malvagità non ha limiti…

 

Io… te lo prometto… Spike…

 

***

 

Il giorno, celato fuori da quelle quattro mura, accompagnò le loro parole.

Il sole sorse, come ogni giorno, senza che nessuno si sorprendesse.

E Spike e Faith celebrarono quell’evento, seguitando a parlarsi, nell’ombra di una stanza tiepida.

Ignari.

Ignari di Edward.

Ignari del sonno profondo in cui Angel si riposava, ancora sdraiato sul divano. E dell’amore sotto il loro pavimento, di Doyle e Cordelia.

Lontani, per riuscire solo a immaginare Wes, ancora al volante su una strada battuta dal vento della costa… e Methos, impegnato in un’eterna intercontinentale, fuso orario permettendo.

 

Solo loro.

E la luce, dietro le imposte chiuse.

 

“Per cui.” – commentò, d’un tratto il vampiro – “Mi stai dicendo che tu lo trovavi affascinante?”

“Certo.” – Faith annuì, serissima – “Un gran bel pezzo di figliolo.”

E Spike, come se si fosse scottato, si scostò, intrecciando le braccia dietro la nuca.

“Inammissibile.” – borbottò, seccato – “Già lo odiavo.. ma adesso…”

“E dimmi.” – domandò maliziosamente la ragazza – “lo odi perché io lo trovo bello o perché Angel lo trova nobile?”

Da un argomento all’altro, erano tornati a discutere dello sconosciuto. Il ragazzo biondo senza nome che Faith aveva visto a casa di Methos e, con buone probabilità, lo stesso che Angel aveva, se così si poteva dire, battuto a scherma.

“Tu ed Angel potete decantarlo finchè volete.” – replicò il vampiro, ignorando la domanda – “Ma per me resta il vigliacco che non mi ha guardato nemmeno in viso mentre mi accoltellava. Non mi importa se ha gli occhi luminosi o il senso dell’onore. È un bastardo.”

“Non hai risposto alla domanda.”

“Non aveva i requisiti per essere degna di una risposta.” – ribattè implacabile.

“Dici così perché non sai cosa rispondere..” – Faith si mordicchiò un labbro, con aria maliziosa – “Sei geloso…”

“Io g…” – Spike alzò gli occhi al cielo – “Ma fammi il favore! E di cosa dovrei essere geloso?”

“Quel tipo piace a tutti tranne che a te…”

“E allora? Sanno tutti che io sono molto più intuitivo di tutti voi messi insieme. Quel tipo non mi piace, fine della questione.”

“Come vuoi.” – sospirò lei, alzandosi. E sentendosi afferrare per un polso e strattonare.

“Dove stai andando?” – Spike la cinse con entrambe le braccia, portandosela contro il petto.

“Mi sono stufata di stare a letto. Se non ho sonno, è inutile insistere.” – ribattè lei, inarcando la testa quel tanto che bastava per vederlo – “vado a fare colazione. Dormi.”

“Vengo anch’io.”

“No, Spike.” – Faith scese dal letto, iniziando a infilarsi i jeans – “Tu dormi. E senza far storie.”

“Perché?”

“Spiacente, la domanda non ha requisiti degni per meritarsi una risposta.” – tagliò corto lei, sporgendosi sul letto e baciandolo – “E ora dormi.”

 

Spike non si sarebbe alzato.

Di questo era certa.

Avrebbe poltrito ancora qualche minuto, indeciso sul da farsi.

E poi sarebbe semplicemente crollato.

Il minimo che poteva succedere, dopo una nottata del genere.

La caccia, la lotta, l’accoltellamento, le discussioni, di nuovo la lotta… Faith abbinò un’avventura di Spike a ogni gradino che scese.

E scoprì, arrivando all’entrata, che una rampa non era bastata a enumerare tutte le vicissitudini.

 

Ed ha avuto una sola notte a disposizione…

 

Chissà cosa avrebbe potrebbe inventarsi, disponendo anche del giorno.

 

Faith si stiracchiò, allungando le braccia verso l’alto e camminando fino alla vetrata.

Era una giornata assolata, limpida.

E a Faith piacevano le giornate luminose. Aprì la porta e uscì sotto il portico.

Quella luce…

Chissà com’era, un’ eternità senza la luce.

Faith non amava porsi problemi del genere. A volte, non sentiva nemmeno l’esigenza di avere una risposta. A volte sentiva le proprie tenebre interiori avvolgerla e separarla dal resto del mondo.

Eppure, nella sua vita, esistevano mattine in cui poteva sentire il calore naturale del sole colpirle i capelli. E allora tornavano i quesiti, i quesiti su una vita priva di tutto questo.

Un’eternità senza luce… Faith chiuse gli occhi, alzandoli verso il sole. Godendo delle palpebre illuminate di luce infuocata.

Era così facile dimenticarlo… nella notte…

 

“ehilà… e tu da dove spunti?”

“Dal giardino.” – replicò Faith, chiudendo la portafinestra – “Ero in vena di riflessioni filosofiche…quelle baggianate sulla luce, la vita, il tempo…”

“uh.” – Doyle annuì, raddoppiando la dose di caffè nel filtro – “Si vede che stanotte non hai dormito. Non è da te cadere in tentazioni simili.”

“Hai ragione.” – sospirò la ragazza, cercando il latte in frigo – “E quando hai ragione…”

“Ho ragione.” – concluse il demone, recuperando la scatola delle brioches e disponendole in un piatto.

 

Anche per lui era stata una notte senza sonno. Si era tuffato nel letto, con la gioia di scoprire che Cordelia soffriva di mal di testa con risultati opposti al resto dell’universo femminile.

Nessuna parola preliminare, soltanto amore allo stato puro.

Amore, tanto da naufragare.

 

Ed ora, calmo, appagato e rassegnato a non dormire, Doyle spargeva zucchero e riflessioni in egual misura sul ripiano di cucina.

Una notte come quella appena trascorsa nascondeva in ogni secondo un mistero passato e un mistero futuro.

E,a rendere incompleto quel quadro frammentario, c’era l’accaduto tra le quattro mura dell’Hyperion.

Qualcosa che Cordelia aveva riassunto con ‘fascia rossa, Armani, speriamo…’

Frase che, del resto, Doyle aveva scartato, convinto di aver capito male.

 

“Porti tutta questa roba a Cordelia?” – domandò Faith, sedendosi e gettando ampie cucchiaiate di zucchero in fondo a un tazzone vuoto.

“Direi di no.” – rispose il demone, finendo di disporre il piatto e il caffè su un vassoio – “però ero dell’idea di prendere far colazione sotto il portico.”

“E da quando senti necessità di certe finezze?” – lo provocò Faith, guardandolo posare il vassoio sul davanzale esterno uscire dalla porta da cui era appena rientrata.

“Stanotte mi sono ricordato che a casa mia si faceva sempre colazione sul terrazzo, o almeno, all’aperto. E mi è venuta nostalgia…”

Faith sorrise, alzandosi senza ribattere. E lo seguì, portandosi appresso lo sgabello su cui si era appena insediata.

“Senti un po’, Doyle.” – esordì, scegliendosi un punto assolato vista vegetazione incolta – “Non sei mai stufo di tutto questo?”

“Questo cosa?”

“Questo! Notti in cui succedono cose strane, conversazioni importanti sin dal mattino.. non dormire, rendersi conto che non c’è mai normalità, che tutto è sempre al limite della comprensione…. Sentirsi mortali e vulnerabili…”

Doyle bevve un sorso, riflettendo. Oh, si. Talvolta era stanco.

Eppure…

“Anche tu una brutta nottata…” – sorrise, cercando di essere presente. Cercando di lasciar fuori dalle loro parole tutte le emozioni senza nome.

“Non c’è nemmeno da dubitarne.” – Faith lo fissò dritto in faccia, con un lampo di sfida negli occhi – “Ci credi che quel pezzente di Spike ha risvegliato Angelus?”

Per un pelo, Doyle non si rovesciò il caffè integralmente sui piedi. La guardò sbarrando gli occhi, assolutamente ammutolito.

“Ma si è rimbecillito?” – domandò, senza trattenersi. Cercando di riprendere una parvenza di calma – “No, andiamo con ordine… come ci sarebbe riuscito?”

“Dubito che mi crederai…” – sospirò Faith, appoggiandosi al davanzale.

 

Invece, con grande sorpresa pure per se stesso, Doyle credette ad ogni singola descrizione di Faith.

La tecnica di Spike poteva non definirsi raffinata… ma affondava le radici in una forma di tormento mentale antica come il mondo.

Disorientare il torturato fino a fargli perdere il controllo. Fargli temere tutto, a partire dalle sue stesse pulsioni.

Poteva funzionare, certo, considerò Doyle, appoggiandosi alla colonna e giocherellando con un polsino. Ma su Angel? Angel era maestro di autocontrollo… possibile che il confine tra i due se stessi fosse divenuto così debole?

“Hai detto…” – l’interruppe, alzando un dito – “Che Spike l’ha morso?”

“Si sono morsi a vicenda.” – replicò la Cacciatrice – “E non chiedermi in che ordine…”

proseguendo il suo resoconto, senza più interruzioni.

Doyle, con aria assorta, non si sentì più in dovere di interromperla.

Con voce calma e distaccata, rauca solo in certi momenti, la Cacciatrice seguitò a descrivere, tenendo per sé solo il disgusto crescente che le avevano provocato quelle mani forti e ciniche lungo il corpo.

Un contatto che aveva risvegliato in lei la verità a lungo ignorata.

Demone.

Il secondo volto di Angel.

“E’ così facile dimenticarlo…” – ammise, d’un tratto, in un attimo di silenzio.

Doyle la guardò, inclinando leggermente la testa.

“Cosa, Faithy…” – domandò, lentamente – “Cosa è facile da dimenticare…”

“Talvolta dimentico da dove viene la conoscenza di Angel riguardo ai dissidi e ai sensi di colpa.” – replicò, voltandosi a fissare la città assolata oltre le recinzioni del giardino – “Dimentico che questa sua saggezza è stata pagata con il sangue, con torture e violenze che farebbero impallidire persino i miei peccati. Dimentico quello che è … che è stato… non so, forse è stupido, da parte mia, ma uccido vampiri ogni notte. Li uccido perché sono malvagi, non significano nulla. Ma Angelus… è concreto.. reale come… come Angel…”

Doyle non disse nulla. Faith parlava dell’oscurità nascondendola dentro altri termini.

“So che non si può renderlo facilmente a parole.” – sospirò, decidendo di parlare, indipendentemente al desiderio di tacere – “È vero, Faith… Angel è un demone. Lo sono io.. lo è Spike.. e abbiamo sentimenti, anche se li teniamo celati, sentimenti così esasperati da sembrare aberranti. Ma li abbiamo.. è questo che ti ha spaventato?”

“Forse. Mi ha più spaventato la mia capacità di dimenticare. Angel non ha mai nascosto nulla, a riguardo. Eppure stanotte mi sono resa conto che, per quanto non mi abbia mai addolcito i fatti, io non ho mai voluto realmente vedere. È stato come se, per la prima volta, incontrassi un demone.” – Faith si tormentò le unghie, pensierosa – “Come se non avessi mai realmente pensato a quanto eccezionale fosse Angelus, quanto superiore dovesse essere… Buffy ne sa qualcosa di avversari degni di questo nome. Ma io.. dopotutto non ne ho mai avuti.”

“escludi anche Drusilla da questo discorso?” – le domandò, provocandola affettuosamente – “Dimentichi quello che hai passato? Secondo me ti stai sottovalutando…”

Faith alzò la testa di scatto. E quando lo fissò dritto negli occhi, Doyle sentì scaturire da lei la forza della sua stirpe.

 

“Doyle, in quello scantinato, stanotte, non esisteva il tempo.” – ribattè, dolorosamente intrappolata tra la sua forza e la sua mortalità – “Giocavano secondo regole inafferrabili ed io ero in trappola. Non potevo combatterli secondo la mia natura.. non potevo accettarli seguendo i miei sentimenti. Erano lontani…”

 

Eppure io ero presa nel vortice…

Ero parte di quel gioco pericoloso e senza risposte…

 

Nemmeno il Sindaco mi ha mai fatto respirare quella forza malvagia…

 

Faith tacque e Doyle, questa volta, preferì fare altrettanto.

Sapeva bene a cosa si stesse riferendo la ragazza.

Sapeva bene di essere colpevole, come lei, di aver dimenticato.

Dimenticato quella seconda natura, nascosta appena sotto la prima, nei loro due eroi.

Quella sensazione di buio in cui cadere che Angel gli aveva sempre trasmesso e che solo ora riusciva ad accettare…quel rumore di fondo che Spike si portava appresso, in ogni sua singola battuta…

E quell’impressione che vicino a loro tutto rallentasse.

La loro eternità… come un pugno nello stomaco…

Diversa.. eppure terrificante come quella di Methos…

 

Irlanda, anni Novanta

 

Piovigginava. E ci sarebbe stato da stupirsi, fosse stato il contrario.

Doyle spostò il peso,molleggiando da una gamba all’altra. E si strofinò i capelli fradici.

In ritardo.. in ritardo anche questa volta..

Sinceramente potevi risparmiartelo, lo ammonì, mentalmente, scorgendolo percorrere il viottolo e accelerare il passo, nel vederlo fermo, a malapena riparato dalla vecchia tettoia in legno.

Da quando fumi?” – domandò Methos, fermandosi.

Non molto.. Tre giorni ieri.” – ribattè Doyle, con voce spenta, fissando un punto imprecisato alle sue spalle. Sapeva di avere i vestiti zuppi ma, solo in quel momento, si rese conto di aver freddo e di tremare.

Methos scosse la testa, posando la sacca a terra e sfilandosi il giaccone. Quando lo posò sulle spalle del suo figlioccio, notò, ancora una volta, quanto fosse esile rispetto a se stesso. Lo sovrastava di quasi tutta la testa.

Doyle alzò gli occhi, mentre l’uomo gli sfilava la sigaretta dalle dita e la gettava in una delle tante pozzanghere.

Il funerale è domattina.” – disse, come se fosse un’informazione indispensabile in quel momento – “non fanno che dirmi che non ha sofferto, per farmi sentire meglio.”

Ma non fa sentire meglio, vero?” – domandò Methos, non curandosi della pioggia che cadeva sempre più forte, di traverso, colpendogli la schiena. Aveva freddo dentro, non avrebbe cambiato nulla.

No, decisamente.” – scosse la testa, cercando di sembrare tranquillo, e più grande dei suoi quindici anni – “non cambia nulla. Non ha sofferto .. ma non soffrirà più.. e non gioirà nemmeno. È soltanto svanita… forse non è mai esistita.”

Oh, si, invece.” – Methos se lo attirò contro il petto, carezzandogli i capelli e posandovi il mento – “esisteva… i suoi capelli divenivano di fiamma alla luce del sole…. E sapeva dire cose che ti entravano dritte nel cuore. Ti amava con passione… e litigava con me come se fosse la cosa più importante al mondo… è esistita, Francis, credimi…”

Doyle aveva la guancia posta sul suo petto. Ed era fermo e lontano. La sua eredità gli pesava sulle spalle, schiacciandolo.

Per te non è nulla, vero?” – domandò, senza intonazione – “Quante ne hai viste di queste cose… quello che dici è per farmi sentire meglio, anche tu… ma per te non significano nulla, tu non conosci la morte.. e il nulla che segue…”

Methos si irrigidì, sentendo come una lama penetrargli nel respiro. Rimase immobile, con quell’accusa crudele tra le braccia.

Fermo.

L’eternità pesa su di me, Francis.” – sussurrò, senza respingerlo.. senza smettere di tenerlo contro il suo corpo – “Ed ora pesa anche su di te che la desideravi per Sinead. Io l’ho avuta in dono, tu la senti irraggiungibile. Ma questo non rende diverso il nostro dolore… l’abbiamo persa entrambi.”

Doyle sentì le mani dell’uomo sfiorargli la schiena e intiepidirgli la pelle nel portar via il velo dell’acqua.

Restò in silenzio, in quell’abbraccio che sembrava aver perso la sua forza protettiva e il suo profumo di casa. Non c’era il tempo, tra quelle braccia, c’era il vuoto dell’assenza di cambiamento in quel cuore.

Avrebbe voluto divincolarsi e fuggire da quel buio… eppure si ritrovò a rannicchiarsi ancor di più contro di lui.

Lo sentì ricambiare, sfiorargli la fronte con il respiro e chiuse gli occhi, stordito. La sua mente si aprì, lentamente, a quell’uomo così poco propenso a spiegarsi. Le sue emozioni fluirono, senza il dolore delle visioni a cui non era ancora abituato. Percepì soltanto il suo animo, il suo dolore sordo.. e la solitudine.

Una solitudine infinita…

Una paura oltre i limiti della fine, sepolta sotto mille incertezze ormai fondate.

Respirò a fondo il suo profumo e ascoltò il suo cuore che non smetteva di battere. Il cuore di Methos batteva anche se lui desiderava sentirlo fermo.

Come batteva quello di Doyle.

Io ho te, pensò… ma tu non hai nessuno…

 

Le braccia di Francis si mossero e Methos attese di vederlo allontanarsi, ferito.

Poi le sentì stringerlo, forte, aggrappandosi alla sua schiena.

“Ti voglio bene, Methos…” – sussurrò, con voce soffocata dal dolore e dalla paura – “Ti voglio tanto bene… papà…”

E Methos chiuse gli occhi, su quella parola che mai aveva sentito e su quelle lacrime che adesso potevano condividere.

 

Già... eternità... Doyle si mosse, cercando un’ultima sigaretta.

 

Dopotutto, cos’è l’eternità, se non il prolungamento delle nostre possibilità.. o dei nostri incubi?

 

***

 

Con un sospiro, Methos interruppe la comunicazione. Lo fece con gesti studiati, quasi meditabondi. Rimproverandosi mentalmente per quella caduta di stile.

Oddio.. così l’aveva definita Corinne… ma lui avrebbe preferito optare per ‘tentativo di riconciliazione’.

Non che amasse Corinne, a dire il vero. Gli piaceva, era bella e divertente. Erano stati bene insieme e si erano lasciati poche cose insolute alle spalle.

A parte la definizione del loro rapporto.

“A dire il vero.” – mormorò a se stesso Methos, giocherellando con una matita – “Non mi ricordo se ho chiamato per lasciarla o dichiararmi.”

La motivazione di partenza, comunque, non aveva più importanza. Deliziosa con quel suo accento un po’ troppo marcato, Corinne gli aveva dato del bifolco e dell’inopportuno, assestando un beneamato calcio a qualcosa che si profilasse più nobile della spensierata avventura.

“Oh mia cara.” – tuonò, ridendo a guardando il soffitto – “E io che volevo far di te una donna rispettata!”

“Che hai tanto da gridare?” – domandò Edward, arrivando sul soppalco, a piedi nudi, con una maglietta sdrucita degli AC/DC dalle manche strappate.

“sofferenze d’amore.” – ribattè, suo malgrado divertito – “Del vecchio stampo. La donzella mi ha infinocchiato.”

“Buon per te…” – bofonchiò, sprofondando nella poltrona – “Ancora libero…”

“Oh, certo.” – sorrise Methos, sentendosi comunque poco convinto. Guardando il ragazzo strofinarsi la faccia, arruffarsi i capelli e stortarsi il naso con le mani.. senza sembrare realmente sveglio – “Come ti senti?”

Edward lo fissò, con gli occhi chiari a fessura.

“Come ti senti tu.” – ribattè, soffocando uno sbadiglio.

“Non era un grande amore.” – commentò, tamburellando – “Mi riprenderò. Ma tu non eludere la domanda. Come stai?”

“Come l’ultima volta.” – sospirò Edward, gettando la testa indietro e allungando le gambe – “Respiro.. e mi sento morire.”

“Eppure sai che sopravvivrai.” – lo schernì, cinico, l’amico. Facendosi violenza, per la frase seguente – “Sei certo di non volerglielo dire?”

Edward si bloccò, con la mano a mezz’asta e un ciuffo di capelli ancora stretto tra le dita. Gli occhi avevano perso la sfumatura assonnata. E se non fosse stato per quella mandibola che si stava irrigidendo, Methos l’avrebbe classificato ‘sorpreso’.

E non ‘furibondo’.

Sotto i suoi occhi, il ragazzo mutò espressione. come se stesse trattenendo il fiato e cercando di dominarsi. Come se non volesse cedere a quel moto di rabbia improvviso, così anomalo per il suo carattere.

Lentamente si rilassò, tornando a poggiare la testa. E a fissare testardamente l’arazzo sopra la testa di Methos.

“Deduco di no…”

“Deduci bene.”

“Eppure dovresti pensarci. Sei ancora in tempo.”

“Certo. Dove sei stato finora Edward? Dov’eri mentre distruggevo la mia vita? Dov’eri ieri sera mentre mi accoltellavano? Bhe, sai, Willy.. stavo dall’altra parte del kriss!”

“Secondo me non riuscirà a dire una singola parola.” – ribattè Methos, seguendolo tranquillamente sulla via del cinismo – “E puoi stare tranquillo del fatto che non gli verrà un infarto.”

“Certo.” – sospirò Edward – “E a me? A me può venire un infarto?”

Methos lo fissò, con cipiglio.

“In effetti non lo so.” – ammise – “Del resto, se il tuo cuore ha retto ieri sera…”

“Già.. a parte la freccia…” – e il lacerarsi metafisico…

L’improvviso silenzio gli sembrò anomalo. Edward alzò appena la testa, quel tanto che bastava per guardare veramente il suo interlocutore.

Methos gli sorrise, scanzonato.

“No.” - Soffiò dolcemente – “Mi sono sbagliato. Il tuo cuore non ha retto per niente…”

 

Edward impiegò un attimo per decidere se rispondere.

Poi preferì optare per un mezzo sorriso, chinando la testa.

Era vero.

Cos’altro si poteva dire?

 

“Allora.” – riprese Methos, tornando alla carica – “Cosa pensi di fare?”

“Parto. Me ne vado tra qualche ora.” – replicò, tranquillo, afferrando i braccioli con le mani – “Ero venuto a vedere come ti eri sistemato… ed ora posso ripartire…”

“Ti preferivo quando cercavi le risposte prima di metterti in viaggio.” – replicò l’immortale, senza peli sulla lingua – “Mi davi meno l’impressione di uno che fugge.”

Edward lo fissò, pensosamente.

“Tu non sei un saggio.” – commentò, mettendosi in piedi e voltandosi – “Sei uno stronzo.”

 

“Oh, andiamo.” – insistette Methos, correndogli dietro giù dalla scala – “sai benissimo che ho ragione, è inutile che ti comporti in questo modo.”

“Oh, certo!” – Edward si voltò così veloce che Methos rischiò di investirlo – “Tu hai ragione, hai sempre dannatamente ragione. E dimmi, mia indispensabile fonte di perfezione, dimmi cosa dovrei fare, qui subito e ora, perché io…”

Non si voleva controllare. Non pensava di riuscirci. Eppure le parole gli morirono in gola quando Methos, in piedi sull’ultimo gradino gli afferrò la nuca e lo tirò verso di sé, posando le labbra sulla sua fronte.

Edward si sentì proiettare verso quell’uomo e, improvvisamente, la sua rabbia svanì. Gli afferrò un braccio, stringendo disperatamente e Methos sentì i riccioli scivolargli sul viso.

“Voglio solo che tu sia quello che sei sempre stato.” – replicò Methos, senza smettere di premergli con le dita sulla nuca – “Non fare scelte di cui potresti pentirti solo per paura di sbagliare…”

Sbaglia, se è necessario…

 

Lo lasciò andare, con la stessa incuranza con cui l’aveva afferrato e travolto con quella frase. Con la stessa tranquillità con cui talvolta decideva di osservare i disastri.

Come se non lo riguardassero veramente.

Come se ci fosse sempre di meglio verso cui andare.

E tanto da lasciarsi alle spalle.

 

Edward rimase fermo dove si trovava, soppesando i suoi ragionamenti con un leggero tamburellare sul corrimano satinato della scala.

Immobile, mentre il calore di quel contatto inaspettato si disperdeva.

E sentì solo distrattamente lo scatto leggero della serratura e la porta di casa che si chiudeva, alle spalle di Methos.

 

***

 

Di nuovo giorno.

Di nuovo luce.

Tanta, traboccante da sopra i palazzi, sempre deliziosamente ignara di ciò che metteva in vista.

Luce.. luce innocente…

Methos alzò la testa, stringendo gli occhi per guardare il sole. E si fermò, le mani piantate in tasca, una leggera brezza sui lineamenti.

Di colpo si sentì molto ispirato e romantico. E gli venne da ridere.

Da ridere irrefrenabilmente per quella strana alchimia che l’universo aveva sui suoi esseri: un filo di luce, per sentirsi eterni e in pace.

Un’altra favola che l’umanità ancora si tramandava da una generazione all’altra, senza mai smettere di crederci.

Riprese a camminare, con quella sua andatura dinoccolata e flemmatica.

All’angolo, tra un hot dog e un poliziotto impegnato ad alzarsi il colesterolo, recuperò un caffè.

Un finto ma indispensabile caffè, si corresse, nel rigirare il cartone nella mano e nel proseguire.

Non troppo lontano, c’era uno dei tanti cancelli del parco. Continuò a camminare, senza che niente lo potesse smuovere dalle sue comuni e pigre riflessioni.

La mente faceva come i piedi. Vagava, senza una reale attenzione.

 

Attenzione o no, ad un certo punto, nell’alzare gli occhi, Methos notò un particolare.

I suoi occhi, bassi e persi nel pensiero, si spostarono da quel singolo particolare, fino alla visione di insieme.

E lo obbligarono a fermarsi un attimo. E a bere un sorso, studiatamente, soppesando la situazione.

Fissando, con un pizzico di rassegnata ironia, quegli occhi scuri e ostili che gli stavano scavando la fronte.

 

Lo odiava.

Oh, si, lo odiava proprio.

Brutto, fetente… m.. m… matusalemme, matusalemme, ecco!

Quando Methos di bloccava per fissarla in quel modo, Faith provava il desiderio di ucciderlo.

Di mettergli le mani attorno al collo e tirare.

Un desiderio che si perdeva all’istante in un quesito enorme.

Cosa avrà visto questa volta? Di cosa si sarà accorto?

 

Lo fissò, caparbia, mentre percorreva gli ultimi due passi che gli servivano per riavvicinarsi al chioschetto dove si era appena servito.

“Latte o zucchero?” – lo sentì chiederle, distrattamente, senza voltarsi.

Faith si mosse, togliendo il piede dall’inferriata a cui si stava appoggiando.

“Zucchero.” – replicò, adattandosi al tono incurante del suo osservatore.

Methos pagò passandole educatamente il bicchiere di cartone, quasi le stesse offrendo la Sindone. Poi si girò, per vederla in faccia e sorriderle.

 

E per riprendere a camminare.

“Niente di meglio che quattro passi.” – disse – “Mi fai compagnia?”

 

Se Methos avesse potuto scegliere, se ne starebbe stato in silenzio a sorseggiare il suo caffè guardando la poca gente che, a quell’ora del mattino, di beava del sole e del verde del parco.

Ma anni di convivenza con il gentil sesso gli avevano invece insegnato che un uomo in silenzio viene spesso recepito come un insulto personale. Faith, a riguardo, si distaccava in parte dalla categoria solo perché percepiva l’affronto personale in molte più cose.

Già il caffè le sembrava, con buone probabilità, una beffa.

Ed era il momento di correre ai ripari.

“Allora.” – commentò, andando dritto al sodo – “Come stai?”

“Come scusa?” – ribattè lei, sobbalzando.

“I lividi.” – replicò, indicandole il collo dove spiccata, violacea, la linea dell’avambraccio di Angelus – “Si vedono…”

“Non è niente.” – rispose, precipitosa, sfiorandoseli con le dita – “Un incidente.”

“Certo. E dimmi.. ci siamo incontrati per caso?”

Eccolo. Il Methos che conosceva. Faith gli sorrise, vagamente beffarda.

“No.” – ammise, senza rinunciare al suo sarcasmo – “Ero quasi sotto casa tua e ti ho visto uscire. E visto che hai l’andatura di un uomo avanti con l’età…”

“Un uomo avanti con l’età.. però, Faith. La sostanza non cambia ma il costrutto si raffina.” – Methos bevette un sorso, senza degnarla di uno sguardo – “ti fa bene frequentare persone con almeno un secolo sulle spalle…”

“Da che pulpito…”

“Miglioriamo, addirittura! E dimmi, sai anche cosa sia un pulpito?”

“Vagamente.” – ribattè la Cacciatrice, iniziando a perdere la sua noncuranza – “Ma so per certo cosa sia un doppiogiochista…”

“Ah si? E dimmi, quali sono le sue caratteristiche base?”

“Semplice… solitamente si tratta di immortali con parecchi segreti, grande menefreghismo e facce tiraschiaffi.” – replico, caustica, incrociando le braccia.

“E immagino che tu ne conosca parecchi di immortali…”

“Qualcuno. E, se non erro, da ieri ne conosco uno in più.”

L’aveva detto con il tono di chi sta per denunciare uno scoop. Eppure Methos aspettava questa frase già da un pezzo. Era ovvio che Faith collegasse il visto al raccontato. Anzi, se l’era addirittura presa comoda prima di farglielo notare.

Non commentò. Non disse un bel niente, sorseggiando il suo caffè e fissando il laghetto desolantemente grigio.

Iniziava a essere stufo di quella tragedia, in tutti i sensi. Il cast era ormai completo. Il parente ritrovato e ignaro, il giovane esule del tempo dai nobili sentimenti, l’eroe osteggiato e destinato a grandi cose, l’amata fanciulla…

E se stesso? Methos si sarebbe insignito volentieri del titolo di narratore, avesse potuto. Li avrebbe seduti attorno ad un tavolo e si sarebbe preso la briga di dire quel che pensava.

Il quadro era già completo così… se non si considerava quel Grillo Parlante impazzito che Doyle interpretava così bene…

“…E visto che Doyle non mi ha detto un bel niente, ho pensato di tornare alla fonte dei miei problemi.” – concluse Faith, compiaciuta di un monologo che Methos non aveva per niente ascoltato.

“Eh?” – Domandò Methos, voltandosi verso di lei. E ricadendo nel vecchio cliché dell’uomo distratto – “Doyle non ha detto che?”

“Niente.” – ringhiò la ragazza, cercando di stritolare il suo già martoriato bicchiere – “E tu non mi stavi ascoltando.”

“Avevo altro a cui pensare.” – tagliò corto l’uomo. Fece una pausa, si concesse un respiro e si tuffò nel nuovo atto di quella pesantissima trama – “Non giriamoci attorno. Che intenzioni avete?”

“Come scusa?”

“Voi, The Hyperion Group o Gang che dir si voglia, che intenzioni avete?” – domandò, pacatamente l’immortale – “Tu arrivi in avanscoperta e al calar della notte gli altri vengono a cercarlo?”

“Toglimi una curiosità.” – adesso era Faith a sorseggiare il suo caffè con aria flemmatica – “Sei nato scimunito o lo sei diventato?”

per un attimo, sotto quello sguardo fatto per intimorire i demoni, Methos si chiese se la domanda di Faith fosse poi realmente così infondata. Dopotutto si stava comportando da scimunito… dopotutto era stato frettoloso…

Methos si abbandonò a un breve grugnito contrariato facendo sparire il suo naso importante dentro il bicchiere e Faith approfittò di quel silenzio per scendere a compromessi.

“Non verrà nessuno.” – sospirò – “Angel ha detto chiaramente che dobbiamo farci gli affari nostri. Se sono venuta a parlarti era solo per mia iniziativa personale.”

“disubbidendo a Angel?”

“Angel non da’ ordini.” – mentì la ragazza. Lui forse non direttamente, ma Angelus… - “E comunque tu non sei stato menzionato. Lo sconosciuto è intoccabile.”

Methos la squadrò, mentre soppesava un sassolino e lo tirava nel laghetto.

“Io so solo che ieri c’era un tizio biondo da te… e che un tizio biondo ha attaccato Angel, ieri notte. Posso essere poco raffinata, ma non sono scema.” – continuò Faith, camminandogli a fianco e gettando i sassi nell’acqua appena increspata – “L’ho detto a Angel.. ma mi sarei potuta risparmiare la fatica. A quanto pare, sei stato prevedibile…”

Vero.

Anzi, verissimo.

Methos ridacchiò, senza trattenersi. Lo era stato, eccome! Ma se avesse aggiunto tutti i pezzi mancanti di quel puzzle, Faith avrebbe dovuto ricredersi… non era Methos il vero prevedibile.

A mancare di fantasia, in quel contesto.. era l’universo.

I legami, gli intrecci, le spaventose coincidenze…

Come poteva spiegare a Faith che di tutti i promettenti immortali che poteva incontrare era incappato nel fratello di Spike?

Come poteva spiegarle che di tutti gli inglesi che poteva vampirizzare, Angelus aveva scelto un ragazzo timido destinato a diventare un predatore e un amante di cacciatrici?

Come poteva dare un senso a tutto questo senza che suonasse strambo, o grottesco…

 

Il caso, il destino… lo stesso che fece incontrare Angelus e William secoli fa.. lo stesso che ieri sera ha lasciato che Edward incontrasse Angel…

 

“Non è colpa mia…” – sospirò, senza curarsi di Faith che lo ascoltava. Solo per se stesso.

“Dipende dai punti di vista.” – fu la risposta. E, alle orecchie di Methos ebbe un suono vagamente inquietante.

 

Camminarono per un po’ senza parlarsi. Methos con quel vago sorriso stampato in viso, gli occhi bassi a contemplarsi la punta delle scarpe. E Faith impegnata a fissare le persone normali. Quelle che portavano a spasso il cane, o leggevano una rivista. Persone che probabilmente non avrebbero mai avuto il piacere di entrare nella propria cantina e trovarci due vampiri in lotta.

Persone senza lividi intorno alla gola… e con un buio sostenibile nel petto.

Dio, mormorò, ad un certo punto, come odio la mia vita….

“Ogni tanto succede pure a me.” – concesse, consolatorio, l’immortale – “Qualche motivo particolare?”

“Certo. La mia vita. Mi sembra un motivo abbastanza particolare. Odio la mia vita perché è la mia vita.”

“Quindi fosse la vita di un altro andrebbe bene?” – domandò Methos, seguendola per quel tortuoso ragionamento. E trattenendo a stento il desiderio di ridere.

“Esattamente. Così potrei vivere senza interessarmi mai di chi protegge la mia comunissima esistenza.” – schivò un ragazzino in bicicletta, tornando a camminargli a fianco – “Potrei lamentarmi di cose banali, preoccuparmi delle mie indecisioni e la sera potrei stare davanti alla televisione pensando quanto sono stanca.”

“Certo…” – concordò Methos, cingendole le spalle con un braccio – “E staresti tutta la vita a dieta, lamentandoti dei tuoi vicini che fanno bordello e del fatto che vorresti un po’ di emozione ogni tanto. Spike porterebbe a spasso il cane…”

Faith non riuscì a reprimere un risolino, e gli tirò un pugno nelle costole. Anche Methos rideva.

“Fammi indovinare…” – domandò, d’un tratto, senza rinunciare all’espressione allegra, pur addolcendosi – “Wes è partito e stamattina non hai nessuno con cui scambiare due chiacchiere…”

“Pressappoco.” – sospirò, rilassandosi – “abbiamo avuto qualche problema, stanotte. In effetti, detto così è un po’ riduttivo. Comunque, visto che non c’era nessun altro.. in mancanza di meglio…”

“Ma grazie tesoro.” – replicò Methos – “Un uomo adora sentirsi dire certe cose. E stamattina sei pure la seconda…”

e fu così che le raccontò di Corinne. Per filo e per segno. Ogni particolare.

L’espressione di Faith coprì una rapida gamma di emozioni,. Dalla sorpresa iniziale, alla comprensione, fino a scivolare in una risata leggera e spensierata, innanzi ai commenti decisamente brillanti in cui Methos si produsse.

A poco a poco, quella vita normale di cui Methos sembrava godere divenne parte della sua. E Faith, che mai l’avrebbe ammesso volentieri, provò gratitudine per quel suo Osservatore improvvisato e ammirazione, per quel tentativo di distrarla. Gratitudine e ammirazione quanto bastava da tollerare quel braccio ancora sulle sue spalle

“Decisamente un bel risveglio.” – sospirò, ad un certo punto.

“Già. E come ben sai, la notte non è stata decisamente tutto risposo.” – replicò lui, rassegnandosi al fatto di parare su quel discorso.

“Immagino.” – Faith gli gettò un’occhiata di traverso – “Anche se mi hanno detto che tu sei arrivato giusto in tempo per sventolare il tuo spadone e metterti in mostra.”

“Esatto. Ho gonfiato i miei bicipiti e fatto la ruota.” – ribattè l’immortale – “Tutti hanno detto ‘ohhhhh’ e si sono inchinati. A quel punto abbiamo deciso che potevano andarcene a casa a dormire.”

“A me l’hanno raccontata diversa.”

“Si vede che non volevano ammettere la mia inevitabile superiorità.” – concluse Methos, sentendosi un imbecille. Ogni volta che si attaccava con Faith, cominciava a parlare una lingua incomprensibile e a dire cavolate.

“Certo.” – ribattè Faith, fermandosi e sfuggendo da sotto il suo braccio – “Perchè tu sei un… un…”

Incredibile. Methos la guardò, sbalordito, mentre perdeva il filo del discorso e alzava le braccia in segno di nervosismo, prima di tirare un calcio a una panchina.

In quei semplici movimenti, Methos vide i lividi che aveva sulle spalle e sul collo… e quelli sulle braccia. Ed anche se continuava a sfuggirgli perché Faith fosse a corto di parole, iniziava a farsi strada in lui che la nottata della ragazza fosse stata decisamente peggiore della sua.

E forse anche di quella di Edward, se si poteva arrivare a concepire qualcosa di peggio.

Nel fissarla, mentre sfogava il suo stress a spese della panchina, Methos intuì che a Doyle sarebbe bastata una semplice occhiata per capire l’accaduto e dire la cosa giusta. Ma lui non era un demone con grandi doti umane.. era solo un povero immortale, tutto sommato reso un po’cinico dal tempo.

E quindi più bravo a gettare frasi lapidarie, che parole di conforto.

“Lascia perdere.” – disse, scotendo una mano- “E’ chiaro il concetto. Sono UN, punto e basta. Senti, prima che mi dimentichi, puoi portare un messaggio a Spike?”

“Sentiamo.” – Faith incrociò le braccia e lo fissò.

“Digli…” – se Edward lo scopre mi ammazza sul serio – “che siamo spiacenti della coltellata che si è preso. È stato un incidente…”

 

Gli sarebbe piaciuto finire la frase. Ma dovette spostarsi in fretta, prima che il colpo della ragazza lo mandasse lungo disteso nel laghetto.

“Quando sei arrivato in città.” – ringhiò la ragazza, quando Methos, comunque toccò terra con la schiena – “Ho promesso a Wes che non ti avrei incrinato neanche una vertebra. Ti prego di non provocarmi…”

Lo minacciava, puntandogli un dito contro. E tutti lo stavano guardando. Tutti, constatò Methos, e uno di troppo.

Prontamente l’afferrò per quella mano accusatoria e la tirò su se stesso, sul prato, senza lasciarle il tempo di replicare.

“Poliziotto a ore nove.” – sussurrò, prima di esplodere in una risata falsa quanto piacevole – “Tesoro, io ti adoro!”

Sorrise, da ragazzino e fece un cenno di saluto allo sbirro che stava camminando nella loro direzione. E questi, togliendo la mano dalla radio e rinunciando alla segnalazione con cipiglio sospettoso, proseguì per la sua strada.

“Per un pelo.” – sospirò, posando la testa indietro - “Tu ed io dovremmo cominciare a litigare in luoghi privati.. o finiremo nei guai.”

Faith non gli rispose. Era ancora sdraiata in parte su di lui, una gamba attorcigliata alle sue, in una posizione quanto meno equivoca… quel tanto che bastava da convincere le forze dell’ordine del loro rapporto.

Alzò la testa, nascondendo l’imbarazzo per quella loro vicinanza. E lo fissò dritto negli occhi.

“Io non ti piaccio, vero?” – domandò, minacciosa.

“Eh?”

“Piacere in quel senso.” – sottolineò, con vigore, la ragazza.

“Ma neanche un poco.” – ribattè lui, passandosi un braccio dietro la testa e guardandola – “Sei troppo bassa, troppo muscolosa e troppo collerica. Carina, grande forza, sono ormai abituato ad averti tra i piedi. Ma niente di più.”

L’aveva detto, con un mezzo sorriso che presto Faith si ritrovò a ricambiare.

Riusciva sempre a smontarla, a litigare con lei in modo superbo.

“E poi…” – sospirò lui attorcigliandosi una ciocca di capelli intorno a un dito – “Sei pure troppo giovane per me.”

“Su questo non ci piove.” – ribattè lei, rotolando su se stessa e sedendosi, con le gambe piegate – “Comunque , sappi che non darò il tuo messaggio a Spike. La sua reazione sarebbe decisamente peggiore.”

“Probabile. In ogni caso, puoi credermi. È stato un incidente.”

“Ma non lo è stato l’attacco a Angel, vero?” – insistette, implacabile – “Lo stava aspettando.”

“A dire il vero, no. Paradossalmente si sono incontrati per caso.” – mondo e paradosso stanno diventando sinonimi da queste parti – “Ma ciò non toglie che ne hanno approfittato per discutere.”

“E lo faranno ancora?” – domandò lei, abbassando inconsciamente la voce – “Si cercheranno ancora?”

Methos la squadrò.

Pensieroso.

“Francamente, non lo so.” – mormorò – “E devo ammettere che la cosa un po’ mi preoccupa…”

 

***

 

Restarono fermi, a parlare per un bel pezzo, senza dirsi realmente qualcosa di importante.

Methos non intendeva svelare i reali fatti riguardo alla notte trascorsa, Faith non era propensa a raccontargli la sua esperienza nello scantinato.

Rimasero solo sdraiati, a contarsi un po’ dei loro guai, a discutere e battibeccare su mille argomenti.

Per un po’, solidali uno verso l’altro, sfuggirono alle loro grane e alle loro incertezze, rifugiandosi insieme in quel loro mondo in cui uno sfotteva l’altro senza troppi problemi.

Eppure, per quanto impegnati in quella loro litigata ormai codificata, agli occhi dei passanti erano solo due amici, con tanto da dirsi. E tante parole, in un mondo ormai ad un passo dalla comunicazione essenziale.

 

Come si addice ai migliori cavalieri, Faith riaccompagnò Methos fino alla porta di casa.

E, sul portone, con aria tra il divertito e il perfido, Methos le fece la proposta.

“Vuoi salire?” – chiese, domandandosi appena le conseguenze di quel suo gesto. Lasciando ancora una volta tutto in mano al caso.

“No, grazie.” – replicò lei, con una voce impostata e udibile. Tanto da beccarsi un’occhiata sorpresa dal suo osservatore – “Andrò a casa, a vedere come vanno le cose…”

“Come preferisci.” – sospirò l’uomo, cercando le chiavi e voltandosi. E sentendosi afferrare per un braccio.

“Methos, ascolta…” – sussurrò la ragazza, costringendolo a piegarsi accostandosi con le labbra al suo orecchio. E strappandogli un ultimo sorriso, prima di andarsene.

 

Methos fece le scale ridacchiando e aprì la porta senza annunciarsi, per coglierlo sul fatto.

Edward non se ne era andato. Se ne stava seduto sul divano, arrotolandosi un ricciolo di capelli tra le dita, con una rivista chiusa su un ginocchio.

E i piedi rigorosamente sul tavolino di fronte.

“Ciao.” - Lo salutò con voce neutra – “Hai fatto quattro passi?”

“Si, dovevo pensare.” – replicò Methos, appendendo il giaccone e passando una mano sulle macchie d’erba lasciate dalla colluttazione con Faith – “E tu?”

“Ho pensato anche io, qui, seduto.” – replicò, il ragazzo, sventolando la rivista.

“Bravo.” – si complimentò l’immortale, voltandosi a guardarlo. E avvicinandosi al divano – “Comunque ho una cosa importante da riferirti…”

“E sarebbe?”

“Faith mi ha detto di dirti…” – sillabò Methos, non trattenendo più le risate – “Che uno che si nasconde non prende il sole sul terrazzo. E che, da persona educata, potresti affacciarti e salutarla.”

Edward lo guardò tra lo stranito e il colpevole, prima di alzarsi e tornare sul terrazzo, dove ancora troneggiavano, a terra, i resti della sua colazione e il libro che stava leggendo.

Fece un respiro e mosse un passo, fino ad appoggiare le mani sulla ringhiera.

E guardò dall’altra parte della strada, dove una ragazza bruna e sarcastica attendeva, appoggiata a una ringhiera.

Con gesto studiato, edward alzò una mano, in un cenno di riconoscimento. E venne ricambiato, con la stessa solennità.

 

Faith lo fissò, divertita, mentre accettava la sua provocazione. Là, in piedi, su quel terrazzo, le sembrò ancora più aristocratico ed elegante, anche se indossava una maglietta da concerti, come un ragazzo normale. Lo guardò, come si fissa un quadro che proviene da un secolo perduto. Lo fissò come qualcosa di unico e irripetibile.

 

Quel tizio, in qualche modo, aveva ottenuto il rispetto di Angel. Ne aveva guadagnato la stima a prezzo del sangue, al di là del suo senso di giustizia, al di là della stessa incolumità di Spike.

Nulla avrebbe più cambiato le cose.

Quel ragazzo era parte di Angel, adesso.

Parte dei suoi enigmi, parte della sua moralità, parte del suo mondo.

Che lo volesse o no, ora era nel suo mondo.

 

Già…

Faith dischiuse le labbra in un sorriso, alzando la testa verso di lui e avanzando, verso il cento della strada.

Non puoi più nulla, adesso. Non potrai più fuggire da questa consapevolezza, e lo sai.

Sai di Angel. Sai chi è, cosa può fare.

Sai cosa significa combattere contro di lui e perdere.sai cosa significa conoscerlo.

Non potrai più sfuggire a questo onore…

 

Faith lo guardò ancora, perdendosi in quella consapevolezza.

E nella sensazione che sarebbe passato del tempo, prima che si svelasse il suo mistero.

Prima che lei sapesse…

Prima che lui potesse varcare le porte dell’Hyperion.

Prima che tornasse.

“Fai buon viaggio.” – mormorò, senza staccare gli occhi dai suoi.

 

Ed Edward annuì, colto alla sprovvista.

Quella ragazza sapeva.

Per la prima volta nella sua vita, Edward percepì il potere, in una forma sconosciuta e primitiva. Il potere che andava oltre alla saggezza creata nel tempo, tipica degli immortali, oltre la forza dell’innaturale di Angel, o di Doyle.

La voce di Faith, in quella singola affermazione, gli parlò di solitudine e doveri, cose che vanno fatte contro la propria volontà.

Forza.

Amore.

E legami con esseri così forti da sconvolgere la vita e la mente.

 

Annuì, in un attimo di comprensione.

E la sua voce risuonò forte, nella via poco affollata.

Sotto la luce gialla del giorno.

 

“Grazie. A presto.”

 

Ed erano parole che sapevano di notte.

 

***

 

“Allora, Doc.” - esordì Edward, rientrando – “Potevamo offrirle un caffè, visto che c’eravamo…”

“Già fatto.” - replicò l’immortale, fingendo di essere occupato – “E poi, se non la invitavo a salire, si sarebbe insospettita… cioè, avrebbe potuto insospettirsi se non avesse avuto la certezza…”

“Si, lo so, ho fatto una cavolata!” – sbottò il ragazzo, tornando a sprofondare nel divano – “Ma mi sento in gabbia. E i vampiri non escono di giorno, hai detto. E quindi….”

Si era appoggiato con i gomiti alle ginocchia. Ed aveva sprofondato il viso nelle mani, interrompendo la frase.

Per poi rialzare la testa, furioso.

I capelli biondi lo incoronavano di una furia e una bellezza senza limiti.

Era fatto di luce, luce allo stato puro, anche adesso, in un momento in cui era più simile al fulmine che alle stelle.

“Non posso fare altrimenti.” – mormorò, senza spiegazioni, tornando a posare le labbra alle mani – “Devo andarmene.”

 

Non c’era nulla da aggiungere a quella frase.

Methos lo fissò, imperscrutabile.

 

Peccato… io ho sperato fino all’ultimo…

 

“Allora preparo il pranzo.” – sospirò, fissando la sua cucina che ancora portava segni della devastazione notturna – “Che non si dica che ti lascio andare famelico…”

 

***

 

Nel frattempo, all’Hyperion, come nelle migliori tradizioni, la vita era tornata nel suo ritmo.

Quel ritmo serafico che hanno le cose prima che scatti la scena di pathos.

O, almeno, così pensava Doyle, in contemplazione di Cordelia che passava l’aspirapolvere.

Seduto su un mobile con una tranquillità che avrebbe fatto impallidire il più pacato degli antiquari, osservava la sua fanciulla, impegnata a debellare gli acari del tappeto di Angel.

Di un Angel che, dal suo studio, non emetteva il più piccolo monosillabo per chiedere un po’ di silenzio.

Se ne stava sprofondato nella poltrona di pelle nera e tamburellava sul tavolo, disegnando, a tratti distrattamente e a tratti con concentrazione.

Il suo albo rilegato in pelle era magicamente riapparso. Ed ora, su quelle pagine ruvide e opache, Angel stava facendo scivolare le sue perplessità

La fronte aggrottata, la leggera espressione di fastidio nello sciogliere l’articolazione della spalla raccontavano di lui molto più della sua voce.

Rifletteva. E per quanto sembrasse più sereno delle sere precedenti, appariva ancora concentrato in un sospetto.

Schivando l’ennesima passata, Doyle scese dal ripiano con cigolio sinistro e si intromise nel santuario dell’eroe.

“Stamattina, una bella ragazza bruna mi ha detto che nello scantinato si sono decise le sorti del mondo…” – esordì, appoggiandosi alla porta accostata.

“L’hanno detto anche a me.” – sospirò Angel, tenendo gli occhi bassi – “ma io non c’ero…”

“Mi hanno detto anche questo.” – replicò Doyle, sedendosi e appoggiando le braccia conserte sulla scrivania – “ma possiamo parlarne comunque, anche se non c’eri…”

la matita di Angel si bloccò un centimetro sopra il foglio. I suoi occhi, senza abbandonare lo schizzo che stava eseguendo, cambiarono di tonalità, divenendo ancora più bui.

“Spike?” – domandò.

“Dorme.” – Doyle si lasciò andare contro lo schienale e sparò alzo zero – “Per cui puoi raccontarmi bene l’accaduto solo tu.”

“Dimentichi Faith.”

“No, con Faith ho già parlato.” – rispose, catturando finalmente la sua attenzione – “Lei indubbiamente c’era…”

“E cosa ti ha detto?” – insistette il vampiro.

“Parecchie cose.” – Doyle annuì, soppesando le parole – “Parlale tu, se vuoi saperle.”

“Si, certo.”

Angel, avesse potuto fare la cosa che preferiva, sarebbe tornato a sprofondare nella sua arte pittorica. Come i primi tempi a Los Angeles, avrebbe provato a ignorarlo, a seguire la propria strada.

Un tentativo, inutile.

Doyle non si può ignorare.

Doyle è … Doyle è Doyle.

 

Rassegnato, Angel posò blocco e matita. E lo guardò.

“Parlerò con Faith quando avrà voglia di parlarmi.” - sospirò – “Per quanto riguarda quello che vuoi sapere tu… ieri notte ho semplicemente perso il controllo. Era parecchio tempo che non mi succedeva.”

“Probabilmente ti ha fatto bene.”

“può darsi. Anche se non sono così certo. Ha rimesso le cose in prospettiva, questo è sicuro. Ma dire che sia stato un bene, mi sembra una cosa azzardata.” – fece una pausa, scivolando nella sua posizione più tipica, le labbra alle mani – “Non faccio che pensare a quello che mi dicesti tu, appena arrivato a LA. Il contatto con l’umanità in grado di salvarmi… l’indispensabile contatto con l’umanità. Tu credi mi abbia riportato solo questo, indietro?”

si stava riferendo alla questione del battito cardiaco di Faith. Eppure non osava dirlo. Tra loro doveva essere intercorso veramente qualcosa di oscuro, se anche Angel stentava a parlarne. Il loro contatto aveva attraversato una zona oscura… ed Angel sapeva di essere stato lui a condurvi Faith, tenendola quasi per mano.

“Io penso…” – commentò Doyle, senza cercare di sondare oltre – “Che Faith sia servita decisamente da ancora di salvezza…. Ma so anche che non vado sempre in giro a dire verità assolute. Il contatto umano è importante perché è uno stimolo continuo a migliorare, a credere. E tu ne hai bisogno.. ti serve molta forza per sopravvivere alla tua vita.”

Angel sorrise, concorde.

Ci voleva coraggio, certo. ma non era tutto…

“Non ti deprimere, uomo. Nessuno ti sottovaluta mai. Lo so bene che le parole sono riduttive.. eppure è meglio dirle, che non dirle affatto.. no?”

“Può darsi.” – concordò Angel, appoggiando la testa allo schienale e riafferrando la matita, per ruotarla tra le dita.

Eppure non voglio parlarne. Ci sono stati attimi, oggi, in cui non avrei nemmeno voluto ricordare...

Istintivamente i suoi occhi corsero al disegno.

E lì si fermarono.

Anche Doyle aveva fissato la sua attenzione su quello schizzo brunito. Uno sguardo casuale, improvvisamente attento.

La piega della bocca, i capelli appena mossi… Edward.

 

Angel l’aveva tracciato con poche linee appena ombreggiate. Quasi non volendo annerire i contorni di quegli occhi, e quegli occhi stessi.

Aveva infuso in quel ritratto molto più di quanto si potesse realmente immaginare. L’aveva colto nella sua espressione dolente, così come doveva essere stato in quel combattimento che, a modo suo, aveva cercato tanto quanto aborrito.

“Sei un vero artista, uomo.” – sussurrò, del tutto rapito da quel bozzetto.

“Ho avuto parecchio tempo per osservare quel ragazzo.” – commentò Angel, tamburellando con la matita e girando il blocco, perché Doyle potesse osservarlo meglio – “non riesco a togliermelo dalla testa… c’è qualcosa, in lui…non me lo spiego, veramente. Ieri sera non ero abbastanza in me per accorgermi… e oggi temo mi sia definitivamente sfuggito.”

“Non esagerare.” – e non esserne così sicuro – “Probabilmente ti verrà in mente quando arriverai a mettere insieme tutti i tasselli. L’unica cosa certa è che si tratta di un tipo piuttosto complicato…”

Angel buttò un’occhiata a Doyle che pronunciava quella frase con tono incurante. Non era rientrato con loro e, francamente, Angel non si era posto il problema di dove fosse andato.

In giro, probabilmente. Oppure verso una meta precisa che non voleva svelare.

“Tu sai qualcosa di lui?” – domandò, senza pensare troppo al fatto che una risposta diretta di Doyle era probabile come un lingotto d’oro sotto lo zerbino di casa.

“come scusa?”

“ti ho chiesto.” – Angel lo guardò divertito mentre prendeva l’aria più assente e bugiarda del suo repertorio – “se tu sai di lui qualcosa che io non so.”

“Io…” – Doyle prese un respiro più profondo del necessario e… - “No. Mi spiace. So che se ne è andato dopo che è stato ferito. Tutto qui.”

Angel non gli rispose, mentre si allungava a prendere nuovamente il blocco da disegno. Fissò quegli occhi appena stilizzati e si chiese cosa avesse portato le loro strade a incrociarsi, ancora una volta.

E quando, in una vita passata…

“Non c’è redenzione per la tua colpa nei miei confronti…”

“Come, scusa?”

“E’ quello che mi ha detto.” – rispose Angel, fissando un punto imprecisato nella grana della carta – “e che io temevo il motivo per cui combatteva con me. Penso che avesse ragione… non c’è Redenzione…”

“Non dire sciocchezze, uomo. Lo sai benissimo che cosa sia la redenzione.. e poi, come fai ad essere certo che non stesse bluffando?”

Forse perché non stava mentendo. Doyle strinse le labbra e soppesò quella frase. Edward aveva visto veramente giusto. Come Drusilla, come Spike stesso prima di lui, Edward riportava ancora una volta alla ribalta la realtà dei fatti.

Angel aveva dannato William.

E l’aveva fatto con coscienza di distruzione.

 

“Forse.” – rispose il vampiro, scotendolo da quelle riflessioni – “Ma non potrò esserne certo fino a quando non sarò andato a fondo in questa faccenda. Cosa posso avergli portato via… come.. quando… non ho una singola risposta. È come correre dietro al Bianconiglio…”

Bhe, inglese è inglese… Doyle pregò ardentemente che dalla bocca di Angel non uscissero altre domande.

Non poteva fare altro che mentirgli. Perché almeno su una cosa Methos aveva ragione… non riguardava nessuno di loro, se non i diretti interessati.

E, su almeno una cosa, Doyle sapeva di avere ragione.

La partita tra Angel e Edward era appena iniziata. E presto uno dei due avrebbe fatto una mossa.

E, quel che era peggio, lo sapevano entrambi.

Edward, ancora in città. Ed Angel, così fermamente convinto ad attendere un segno.

“Toglimi una curiosità.” – domandò Doyle – “a quanto dice Cordelia sai benissimo dove si trova questo tizio. Eppure non vai a parlargli…che cosa aspetti?”

“Non lo so. Davvero, non lo so.” – Angel stilizzò un’ultima ombra su quel ritratto.

Mi manca la chiave per risolvere l’enigma…

 

“Fatto.” – si complimentò Cordelia facendo il suo ingresso – “tutto in ordine. E ho levato pure le ultime macchie di sangue. Mi resta solo questa da sistemare…”

in mano teneva la sua fusciacca rossa. Una povera piccola cosa raggrinzita e maculata.

“Non mi fiderò più di un vampiro biondo che dice che me la restituirà in perfetto stato.” – commentò, sollevandola e accomodandosi sul bracciolo della poltrona di Doyle – “Non voglio nemmeno immaginare di cosa sia macchiata.”

“Lacrime.” – borbottò Angel, riprendendo a disegnare.

“lacrime? Lacrime di chi?”

“Mie.” – Angel non alzò nemmeno gli occhi nell’ammetterlo – “Angelus mi ha fatto piangere.”

Era un’affermazione tragica. Eppure Cordelia si trovò a ricambiare il sorriso di Angel.

“A stare con te impara a sdrammatizzare.” – si rallegrò, dando una leggera gomitata a Doyle.

“Vero. Sono un ottimo maestro.” – concordò il demone.

“E’ stato così brutto?” – chiese, tornando a voltarsi verso il vampiro.

“Abbastanza, Cordy.” – un altro tratto di matita – “Ho fatto e detto cose di cui sono vagamente pentito.”

“Vagamente…”

“E’ironico, principessa.. significa che…”

“Doyle, guarda che ho capito.” – Cordelia si voltò, lanciandogli un’occhiata seccata – “Vagamente in Angelslang sta per moltissimo.”

“Angelslang?” – domandò lui, alzando gli occhi dal disegno.

“Ma si, certo. parli talmente poco che bisogna interpretarti!” – Cordelia avvolse la fascia su se stessa e la posò sul ripiano della scrivania, prima di alzarsi – “Io non voglio forzarti come questo qui, ma se vuoi parlarne….”

“Lo so, Grazie Cordy.” – Angel accennò un sorriso, guardandola.

Il suo contatto con l’umanità in carne e ossa. Fino all’ultimo capello e all’ultimo soffio di cipria. Cordelia, fino all’ultima particella.

La ragazza lo fissò per un attimo, prima di tirare un sospiro rassegnato e fare il giro della scrivania.

Fino ad arrivargli alle spalle e sfiorarlo.

In modo semplice ed essenziale. Ma unico.

Angel ricambiò quel gesto con lo sguardo. E osservò Cordelia sporgersi per vedere il disegno, prima di recuperare la sua fusciacca e avviarsi alla porta.

“Quel ritratto di Spike è veramente bello. L’hai addirittura migliorato.” – commentò, sostando sulla soglia – “Prima o poi dovrai fare anche il mio…”

 

E fu allora che accadde.

Angel, ad un passo dal negare che fosse Spike, si bloccò.

E Doyle, con un brivido, seppe che la mossa era stata fatta.

 

Gli occhi di Angel si abbassarono con una lentezza impressionante sul disegno. La sua mente, per giorni ottenebrata dal demone, si riempì di immagini.

Quasi con sorpresa e tormento, carezzò quelle linee di matita con gli occhi. E dal disegno sorse ancora una volta quel viso affilato ed enigmatico.

E parole, parole sussurrate, parole urlate… parole dette….

 

“Parli di te o del mio antagonista misterioso?”

 

“Ma per piacere!Non vorrai paragonare me a quel biondino slavato…”

 

No…

Non è possibile…

 

“Comunque, non intendo andare a cercare quel ragazzo. Almeno per il momento. Devo ritrovare il mio equilibrio, prima. Quel ragazzo… è come se fosse fatto di luce…”

 

“E’ una cosa che si potrebbe dire anche di Spike, non trovi?”

 

Spike… William….

 

“Spike è sempre stato fatto di luce. Buttarlo in pasto alle tenebre è stata un’ambizione troppo forte perché Angelus e Drusilla potessero resistere.

Aveva l’odore dell’eternità appiccicato addosso…”

 

L’eternità.. questo peso che ci coglie nel pieno della vita.. l’eternità… l’eternità che ci allontana dai nostri sogni.. dai nostri ricordi…

 

“a cosa stai pensando? A dove ci siamo conosciuti? A cosa mi hai fatto?

Mi spiace, non c’è redenzione per la tua colpa nei miei confronti…”

 

Sotto gli occhi di Doyle, Angel sembrò trattenere il fiato. La consapevolezza si fece strada in lui prepotentemente, costringendolo a stringere tra le dita il piano del tavolo, fino a far divenire bianche le nocche…

 

"Più grande di quattro anni…"

 

Può darsi sia inglese…

 

"Gli volevi bene?"

"Molto. Perché? Tu non volevi bene a tua sorella?"

 

L’immortale deve essere nato nell’ottocento…

 

Chi sei… perché solo ora mi rendo conto…

perché non l’ho saputo nell’istante in cui ti ho visto…

Perché William non ha compreso…

 

"Credo di doverti delle scuse."

"E… per cosa?"

"Per averti mentito. E per averti detto, per più di centocinquant' anni che ero figlio unico. Se l'ho fatto è perché quando Dru mi ha trovato, ero, di fatto, figlio unico. Ed il prima… l'avevo dimenticato. "

 

Non l’hai mai dimenticato….

Ti proteggi, ti proteggi da te stesso, giorno dopo giorno.

 

E tu, Edward? Stai facendo altrettanto?

 

“Non ti serve sapere… basta a me.

E poi, dopotutto, tu temi il motivo per cui io combatto con te…”

 

Non ti ho voluto credere…

 

“Ha mai letto Chu Yuan?”

 

“ Gli stendardi oscurano il sole, I nemici son come nuvole, …” – Angel fissò il ripiano della scrivania, perdendosi in quel sussurro, e andando oltre, oltre ancora, lungo il corridoio dei ricordi – “Avevi un conto in sospeso con me…”

 

"Edward aveva un solo difetto… era perfetto."

"Un difetto che hanno moltissimi fratelli maggiori."

 

“Allora ritengo che dovremo combattere…Angel.”

 

"E non ho dubbi sul fatto che tuo fratello Edward stravedesse per te.

Lo si legge nei tuoi occhi…"

 

Ti ha sempre amato, non ha mai smesso di cercarti..

Perduto, perduto nel tempo come noi….

 

“So della tua Redenzione. Come so dei tuoi delitti. Ma ora dimmi… chi dei due può vincere, se entrambi abbiamo ucciso?

Chi di noi sta servendo la giustizia, ora…”

 

"L'avrei seguito in capo al mondo…"

 

Come se quelle informazioni gli portassero visioni dolorose, Angel si strinse le tempie con le mani. Compresse la pelle, fino ad aver impressione di incrinare le ossa.

Doyle era impietrito. Mai, come ora, aveva visto Angel nel vortice del passato, delle immagini del passato, in ginocchio.

Innanzi a lui, ora brillava l’eroe, nella consapevolezza della sua caduta.

 

“Cosa hai fatto a Spike, Dru.”

“Nulla che lui non fa da solo a se stesso. Vuole amore, prende amore, dona amore… cosa posso fare per lui che già non faccia?”

“Le Cacciatrici lo posseggono.. e tu non hai mai potuto nulla, rispetto a loro. Non è mai stato tuo, con il suo animo. Non hai mai accettato il fatto che lui fosse ancora quello che tu non eri più, vero? Lui è una leggenda…”

cosa sarà più forte? L’amore o la memoria?”

 

“Mio povero Angelo…Tu lo temi. Non hai paura per lui. Ma di lui.”

 

Quella notte…e un’altra notte ancora… notti, e notti nel buio dei mie peccati.

Buio, oscurità… luce nell’ombra….

 

"Andiamo Dru, non puoi volerlo veramente…"

"perché no… è dolce… è buono… perché no, perché non un fratellino…."

"Se lo vuoi veramente, arrangiati. Perché dovrei farlo…"

 

Oh, Angelus.. non potevi evitare di farlo.

Come io, oggi, non posso fare a meno di amarlo.

Drusilla l’ha sempre saputo. Ha dato a te e me lo stesso faro nell’eternità.

 

Angelus strinse gli occhi e lo fissò meglio.

La vita lo stava abbandonando, rapidamente.

Eppure in lui restava ancora qualcosa di ardente, di incomprensibile.

 

La luce, in lui…

 

La luce precaria sopra il suo capo lo incoronava d’oro,

disegnandolo con ombre scure… e rendendo ancora più profondi gli occhi.

Enigmatico.

Come se fosse travolto da un infinito rimpianto,

da un intimo dispiacere nel sapere ormai scritto il seguito.

Un attimo...

un gioco di luce…

Quell’espressione…

quell’affrontare il proprio destino senza paura…

Quegli occhi…

Dove potevano già essersi incontrati.. dove poteva averlo ferito così profondamente... cosa poteva avergli strappato… cosa…

 

Come allora, dal buio è sorto il guerriero. I volti sono diversi, gli spiriti sono forti.. ma gli occhi… gli occhi…

 

Non provava paura.

Lo fissava, forse senza vederlo.

Senza temerlo.

Senza lasciar svanire la consapevolezza.

Non lo temeva, non aveva paura del suo destino, non aveva paura della partita che si stava giocando senza il suo permesso.

Non gli importava.

 

“E tu cosa saresti? Un paladino?”

 

si, lo sono. Lo so, nulla cambierà mai questa realtà.

La chiamano Redenzione….

 

Fissava, con occhi grandi e luminosi, i suoi carnefici, con la bocca intrisa di sangue. Era forte, per essere quasi morto. Era forte, mentre irrigidiva i muscoli nel tentativo di muoversi ancora.

Non cercava di scappare. Voleva…Voleva capire.

 

Redenzione…

 

“Condanni anche te stesso con la stessa volontà?

Condanni ogni notte come vorresti essere condannato?”

 

“Tu non vuoi questo combattimento come non lo voglio io.

Sai chi sono, sai che non sono Angelus…

ma non vuoi lasciarmi andare… perché?”

 

“Perché ti considero degno…

Nella proporzione in cui ti vorrei morto.”

 

Vuoi combattere e prevaricare…

Ma non mi vuoi uccidere.. buon dio, non stai nemmeno desiderando di punirmi.

Che cosa stai cercando, se non vuoi la mia vita e non vuoi la mia morte?

 

Edward, perché volevi me, se potevi riavere lui?

 

“Continua ad espiare, allora.

Ma ora combatti, perché il mio sangue che hai versato reclama questo diritto.

Se non combatti per la tua vita, allora combatti per la tua missione.”

 

I ricordi si accavallavano istericamente, senza fermarsi. Parole, volti, movimenti si mischiavano in una folle corsa alla verità. Angel non riusciva a controllarli. In balia delle parole, come lo era stato di Angelus, mischiando i fotogrammi della sua vita a quelli della sua esistenza demoniaca, avanzava verso una meta ormai troppo vicina per sfuggirgli ancora.

Come sconvolto da quella luce, si abbandonò contro lo schienale, gli occhi ancora persi sul disegno, la mente ancora invasa dalle parole.

 

“Dove vuoi arrivare…Non vuoi morire e non vuoi uccidermi.

Dove vuoi giungere, in questa tua impresa…”

 

"Hai perso perché hai dubitato.

Hai smesso di credere in quello che facevi.

Probabilmente hai avuto paura del perché io combattessi con te…"

 

"Ed è giusto tutto questo?

Me lo sono chiesto così tante volte…

cosa avevo di particolare per ottenere questa immortalità?

Perché io, Angel? perché… cosa c'era in me da rendermi così adatto?

E' ancora come allora… lui è morto… io sono sopravvissuto.

Avevamo le stesse probabilità…"

 

Le stesse probabilità…

Le stesse probabilità…

Le stesse probabilità…

 

Aveva un unico difetto.. era perfetto….

 

“Non mi interessano le questioni di voi immortali.”

 

“Sei un immortale”

 

"Ho sempre pensato che Edward…volevo credere che potesse vedermi,

anche se non c'era più.

 

Non sapeva nulla…

 

Ed ora , se veramente mi sbilancio a credere che esista qualcosa oltre la morte…

non posso far altro che pensare allo spettacolo che ho messo in piedi in questi secoli.

 

Non poteva trovarti.. ti credeva morto…

 

Diceva sempre che mi avrebbe appoggiato, qualunque fosse la mia strada...

 

Anche ora, ti lascerà andare…

 

ma ho difficoltà ad immaginarlo concorde con alcune mie scelte di vita."

 

“oddio, William William…” – balbettò, appoggiandosi alla scrivania, come schiacciato da un inaspettato peso – “Che cosa ho fatto…”

 

"Hai lo sguardo di una persona che è stata amata, William.

Sei uno che per amore sarebbe capace a fare di tutto. A rischiare tutto.

E non solo per l'amore di una donna.

Avresti veramente seguito tuo fratello in capo al mondo.

Perché non sarebbe mai stato capace di farti del male."

 

Perché non sarebbe mai stato capace di farti del male… farti del male.. farti del male…

 

“Adesso sarebbe ora di voltarsi.

E fare le presentazioni.”

 

“Non farlo. Ti prego… non farlo.”

 

“Ti prego, dimmi che l’ho colpito.”

 

“Più di quanto pensi, William…Più di quanto pensi….”

 

Il vuoto in lui.. e quel battito impazzito. Era amore… amore e dolore. Ed io non ho compreso…

Non ti ho salvato nemmeno questa volta, William…

 

“Era tra me e lui.

Non avrebbe mai permesso a nessuno di intromettersi…

se ti ha colpito è stato perché non ti voleva tra noi.

L’ha fatto solo perché tu non lo potessi seguire…”

 

Uno, due, tre colpì ritmati sulla scrivania. Doyle si sporse e gli afferrò il polso, per fermarlo.

Angel sembrava impazzito.

Con uno scatto, si liberò della sua stretta e lo fissò, raggelandolo.

 

“Non lo so, William! È questo il punto. Io devo scoprire chi sia, perché non so per quale motivo abbiamo combattuto.

Lui aveva una motivazione.

Io devo trovare la mia.

E, mi spiace dirtelo, non sono certo di poterne avere una.”

 

Edward era nel giusto, William. Stasera avrei dovuto pagare per le mie colpe…

Invece sono stato accecato, una volta ancora, dalla luce che non posso avere, dalla luce che non posso raggiungere.

Raggiungere raggiungere raggiungere….

 

Chi ha mira è perché si sdoppia e spara a se stesso…

 

“Lo straniero non si è curato di Spike fino a quando non si è sentito minacciato.

Non aveva intenzione reale di attaccarlo…

l’ha fatto per una forma di difesa che non comprendo…”

 

“Ti sei intromesso, William.

Ma adesso voglio che tu ti metta in testa che io e

quel tizio possiamo essere molte cose..

ma inspiegabilmente non siamo nemici.

Non del tutto.

E, nella nostra sfida, esistiamo solo noi. Immortale o no, è un innocente.

Nessuno di noi lo toccherà con un dito, finchè la mia opinione, qua dentro varrà qualcosa.”

 

Colpiti a vicenda…

 

“Io non avrei così fretta…”

 

Il buon motivo… quasi amore…

 

Amore, ancora…

 

“Io non so chi fosse, non l’ ho mai incontrato.

Ma qualunque cosa gli abbia fatto, l’ ho colpito nel profondo. Mi chiamava per nome, mi ha chiamato Angel, non Angelus, sapeva chi ero..

 

e io non riesco a immaginare in quale vita gli ho portato via qualcosa di così importante da venire meno ai suoi principi.

 

Quel ragazzo, chiunque sia, ha un senso dell’onore come non ne ho mai visti. Ne ho avuti pochi di avversari degni come lui…”

 

Degni come lui.. tanto forti da bucare le tenebre, con gli occhi, con il credo, con la forza….

Solo uno, come lui.. solo uno in tutta la mia vita…

Solo uno….

 

"L'inferno è in terra, hai ragione.

Ed ognuno di noi ne porta una frazione sulle spalle, ogni giorno.

 

Io sono qui, perché tu hai bisogno di me.

E tu sei qui perché io ho bisogno di te.

E so che non mi lasceresti mai."

Mai.

Mai.

Mai.

"Come due fratelli."

"Come due fratelli."

 

"Non andrò via, William. Né ora, né mai."

 

"No, te lo prometto. Te lo prometto, Angel."

"Lo so."

 

Così leale… così fiducioso…

Lui si fida di me.. si fida di me da sempre….

 

Angel, perché ci hai messo tanto a trovarmi? Tu sai sempre dove sono…"

 

"Io adesso so… che è vero…

anche tu hai le ali, come gli Angeli veri. Piene … di luce."

 

Cosa ho fatto per meritarmi questa fiducia. Come puoi fidarti di me che cammino nell’ombra, quando nei tuoi occhi c’è ancora la luce di quel guerriero…

Quel guerriero….

 

Era un guerriero, Faith. Non sono poi così comuni…

 

Edward….

 

Era fatta.

Doyle lo guardò, mentre i suoi occhi tornavano alla realtà. Guardò le sue labbra sillabare quel nome e sentì il peso del destino schiacciarli con forza.

Il destino si era avvolto su se stesso, una volta ancora.

 

Con lentezza, eppure senza condanna, gli occhi di Angel salirono fino a incontrare i suoi.

Inchiostro. Iridi di inchiostro.

E una piega quasi dura sulle labbra, nel pronunciare la frase di Spike, di quel giorno, contro Faith.

"Scacco matto alla Regina."

 

 

 

***

 

Il cassetto sbattuto con violenza fece sussultare Doyle.

“Non mi importa se mi hai mentito.” – disse Angel, sbattendo anche la porta dell’armadio in preda ad una tensione inusuale – “Ma se adesso provi a fermarmi sarà peggio per tutti e due…”

nell’attimo stesso in cui era riuscito a domare i suoi ricordi ed il volto dello sconosciuto si era sovrapposto a quello di Spike in una conferma senza incertezze, Angel si era alzato e se ne era andato.

E a Doyle non era restato che tallonarlo fino in camera.

Come se per prendere tempo, per riordinare i pensieri, Angel era già a torace nudo, impegnato a cercare un maglione, il portafoglio, chiavi… qualsiasi cosa lo potesse separare per qualche minuto dalla sua missione senza farlo sentire in attesa di un nuovo segno.

“Non voglio fermarti.” – ribattè Doyle, restando comunque al centro della porta – “Voglio solo sapere se sai cosa stai facendo.”

“No, questa curiosità dovrai tenertela. Adesso ho da fare.” – commentò, recuperando anche la giacca e caricandolo come un toro.

Con un’espressione tale da far spostare Doyle prima della colluttazione.

Accidenti, mi ha fatto paura più della macchina di Methos…

“Angel, aspetta.”

“No.” – ribattè secco, scendendo le scale rapidamente.

“E’ pieno giorno, dove credi di andare?”

“Sai benissimo dove vado e sai che ci andrò passando dalle fogne.” – erano già nel seminterrato – “se proprio vuoi renderti utile, tieni qui Spike.”

“oh, certo. una cosa da niente.”

“Se sei riuscito a non dirgli di Edward.” – ringhiò, voltandosi – “saprai anche convincerlo a stare qui.”

A questo punto il sangue irlandese di Doyle si sciolse all’interno di quello demoniaco. E la sua proverbiale pazienza ebbe fine.

“perchè invece tu ti sei precipitato a dirglielo.”

Angel si bloccò. La mano sull’anello della botola, il ginocchio già piegato, pronto a scendere.

Senza un commento si rialzò, lasciando che il varco si chiudesse con un tonfo. E si voltò.

“dimmi cosa dovrei dirgli.” – chiese, pericolosamente vicino – “Che suo fratello voleva testarmi e vedere se potevo sostituirlo veramente? Che, ops, guarda che caso, è un immortale e potevano rivedersi molto prima? Dimmi solo una cosa, lo troverò ancora o è scappato di nuovo?”

“Edward non è il tipo che scappa.” – ribattè Doyle, prendendone le difese – “E non ho detto nulla a Spike perché mi ha chiesto di non farlo.

Io ne ho viste persone soffrire nella mia vita, ma il dolore che sta provando in questo momento non conosce paragoni con nient’altro. Che ne dici, andiamo di sopra e facciamo lo stesso servizietto a Spike?”

Incurante della spanna di differenza in statura che li separava, Doyle fece un passo avanti, quasi a sfiorare il torace di Angel con il proprio. Trattenendosi dal desiderio di tirare il primo pugno.

“Come credi che l’abbia scoperto?” – sibilò – “Nello stesso modo in cui l’hai scoperto tu. Hanno gli stessi occhi, lo stesso sorriso. Chissà, forse William sarebbe potuto divenire così, se tu non l’avessi trovato. È questo che ti rende così furioso? Non è da tutti trovarsi di fronte l’altro volto del destino.”

Forse un pugno avrebbe fatto meno male. Angel non si mosse, eppure sentì il suo cuore stringersi e perdere un battito, innanzi a quella verità.

Il passo indietro, a sorpresa, lo fece Doyle. Si appoggiò alla Desoto parcheggiata. E lo fissò, mortificato.

“Non volevo, perdonami. – mormorò – “Ti giuro, mi è sfuggito di bocca…”

“Forse le tue non sono verità assolute.” – replicò Angel, voltandosi e scivolando giù, nell’entrata dei cunicoli – “ma hanno la loro validità… credimi…”

 

Doyle rimase fermo, appoggiato alla macchina. Sopra la sua testa risuonavano gli anfibi di faith, appena rientrata. Ma sotto i suoi piedi, gli sembrava di poter sentire il rimbombo dei passi di Angel, lungo le lamiere dei condotti.

Non riusciva a immaginare cosa potesse pesare o fare Angel in questo momento. Senza neanche soffermarsi su quanto aveva appena scoperto, correva verso la fonte di ogni risposta, verso quell’antagonista che tanto l’aveva tormentato nelle ultime ore.

Doyle si ritrovò, con sorpresa, a ringraziare intimamente Spike, per quella follia ideata la sera prima. Forse, senza neanche saperlo, aveva salvato suo fratello.

Si pentì all’istante di quel pensiero. Ipotizzare che angel cedesse al suo demone, per un moto di rabbia…per quale motivo, poi…

 

Già…

Di colpo questa storia mi sembra assurda. Incomprensibile, connessa a leggi che non comprendo.

Come, perché negarsi all’affetto delle persone che si amano. Perché fuggirne di continuo, perché dover giungere a semplici soluzioni per strade tortuose.

 

“Che succede all’eroe?”

La sua voce lo fece sobbalzare. Si voltò e lo guardò, in piedi illuminato dalla luce del piano superiore che gli pioveva alle spalle.

Nel buio gli occhi di Spike brillavano quasi come quelli di un gatto. Era a torso nudo e stringeva tra le dita una maglietta.

 

“Niente. Doveva verificare una cosa.” – rispose Doyle, prima ancora di formulare un pensiero coerente.

“Oh.” – il sopracciglio di Spike stava già innalzandosi verso l’alto – “E questa ‘cosa’ implica che lo seguiamo?”

“No.” – Doyle scese dal cofano della macchina e si avvicinò – “Direi che può sbrigarsela da solo.”

“Immagino ti abbia detto che sa quello che sta facendo.”

No, non si nemmeno preso la briga di fare una cosa del genere.

Ma, dopotutto, io gli ho mentito.

Direi che siamo pari.

“Bhe, Angel è uno che di solito sa quello che fa.” – replicò, incrociando le braccia e alzando la testa, per guardarlo, in cima a quei pochi gradini.

“e non c’è niente che vuoi raccontare a zio Spike?” –insistette quell’altro, finendo di vestirsi.

A dire il vero, un mare di cose…

“Nulla.” – tranquillo. Dovrei sconvolgerti la vita, mandarti in confusione, farti infuriare. In questo caso, penso di preferire lasciarti nell’incoscienza…

In quell’attimo di riflessione, Doyle si domandò cosa restasse in lui del fratello di Edward. Il fisico, gli occhi, il gergo,.. spike aveva nascosto William nelle profondità del suo essere.. e William rare volte emergeva nei movimenti e nelle reazioni istintive.

Forse le parole, la tenerezza che metteva in alcune attenzioni…

Ma era cambiato.

E così come Angel non era più Liam, Spike non era un William semplicemente cresciuto.

Spike riemerse dalla maglietta e lo guardò, con sospetto. Doyle lo fissava come se lo vedesse per la prima volta, come se nella mente gli sfrecciassero rivelazioni mai avute.

“Ehi, sono sempre io, il vecchio e affascinante Spike.” – commentò, scotendo una mano per distrarlo – “Si può sapere che hai da guardare?”

“io…” – doyle lo fissò con sorpresa, mentre i suoi occhi passavano da un azzurro perso alla tonalità di sempre – “Nulla. Guardavo i lividi.”

Si mosse sicuro, superando i gradini.

“Allora, piccolo inglese.” – esclamò, con aria tranquilla – “Non hai nulla da raccontarmi? Mi hanno detto che hai progettato un’apocalisse in cantina, ieri notte….”

 

Pagheremo tutti questo nostro silenzio.

Ma ce ne preoccuperemo, il giorno che accadrà.

 

***

 

Quando Methos aprì la porta e si trovò di fronte Angel, gli parve di sentire la cavalcata delle valchirie.

Lo squadrò, sfoggiando la sua espressione più ermetica.

Ma Angel ricambiò, con muta sfida.

Non c’era molto da dire o da fare… sarebbe giunto al suo obbiettivo comunque.

“Resta dove sei.” – mormorò Methos, con voce piatta, allontanandosi e lasciando la porta aperta.

“Non ho bisogno dell’invito.” – commentò il vampiro, con voce piatta – “Una volta ottenuto.. e tu non avrai comunque il tempo di avvertirlo.”

“Intendevo solo tirare le tende.” – rise methos, voltandosi a guardarlo – “Mi sembra il minimo, come padrone di casa. Ma se vuoi essere sospettoso, fai pure.”

Angel non rispose. E quando l’appartamento fu finalmente in penombra, con pochi risoluti passi si pose al centro.

Aleggiava ancora, in quell’ampio salone, un vago sentore di sangue. Voltandosi di poco, Angel potè intuire che la fonte di quell’aroma fosse in uno dei materassi da palestra.

Una macchia più scura gli diede conferma del fatto.

Guardingo, tendendo i sensi verso il ballatoio alle sue spalle, si domandò dove fosse, mentre Methos si accomodava sul divano.

“Non sei venuto a parlare con me, immagino.” – sospirò l’immortale, allungando le braccia lungo lo schienale. E guardandolo, in attesa di una replica.

“Infatti.” – ribattè, con un vago sorriso - “E dimmi, lo tieni nascosto da qualche parte?”

“Assolutamente no.” – scosse la testa – “Si sta preparando a partire. Vuoi che te lo chiami?”

“No, grazie.” – adesso l’aveva individuato, nella camera da letto dietro di lui –“Faccio da solo.”

“Fai pure. Ah, Angel… Gradirei che tu non lo toccassi nemmeno con un dito….” – per quanto noncurante, Methos aveva accompagnato quelle parole da un leggero movimento del braccio. E la spada, apparsa da dietro il divano, servì a sottolineare la sua opinione a riguardo – “Vedi, potrebbe spiacermi, rovinare così la giornata ad entrambi…”

Angel rimase immobile un attimo. Poi, con studiata provocazione sfilò le mani dalle tasche e le mostrò, aperte, alzandole.

“Sono disarmato.”

 

“Io no.”

 

Edward era appoggiato allo stipite della porta. La sacca era ai suoi piedi. Usava la spada per giocherellare con i manici e la tracolla.

Si era cambiato. Ora indossava un maglione chiaro e un paio di jeans. Quei colori tenui, quasi opposti al nero e al mimetico della sera precedente, mettevano in risalto la verità nuda e semplice. Edward era una creatura diurna. E il sole di cui godeva, in ogni istante della sua vita, risaltava nel colore della sua carnagione e dei suoi capelli irregolarmente schiariti.

 

Nell’attimo in cui aveva sentito Methos parlare. Edward aveva saputo chi fosse l’interlocutore.

Quella voce pacata, dall’accento ormai quasi sparito, sarebbe stata riconoscibile anche nel frastuono. Edward aveva posato i suoi bagagli e la giacca da motociclista. E aveva sfilato dalla custodia la sua spada. Pronto a ricominciare, se era necessario.

Alzò gli occhi, con studiata sfida, incontrando lo sguardo del vampiro.

Ora, nella penombra luminosa del giorno, poteva valutarlo meglio. L’incarnato eccessivamente pallido, le spalle larghe e esaltate dal giaccone di pelle.

Era eccessivamente monocromatico, nei suoi abiti scuri. I capelli corti e fermati con il gel, i lineamenti regolari. Era indiscutibilmente affascinante senza essere appariscente. Semplicemente, era un magnete allo stato puro.

Anche adesso, senza l’eleganza di un’arma bianca tra le mani, da lui trasudava lo spirito del combattente. Ed Edward, nel valutarlo e soppesarlo, e nel subire lo stesso trattamento, si domandò dove sarebbero andati a parare, nella loro sfida.

Poi, improvvisamente, si rese conto dell’espressione con cui lo stava valutando. Aveva un profondo sguardo scuro, assolutamente insondabile.

 

Deglutì, e i suoi occhi divennero ancora più azzurri.

“Io no.” – ripetè – “Io sono armato. Ma non credo tu voglia riprendere il combattimento. Di giorno… senza una reale motivazione…”

Era abile. E stava imboccando la stessa via della sera prima. Ma ora, valutò Angel, si stava sbagliando.

Questa volta era lui, senza una reale motivazione.

 

“Questa volta, Edward…” – replicò, con voce assolutamente tranquilla – “Il mio perché è più forte del tuo.”

 

Il silenzio sa essere freddo, considerò Methos, come poche cose al mondo…

 

Per un attimo, Edward non credette al suo udito. Tutto il suo essere ebbe l’impressione che il tempo fosse rallentato un’altra volta, dilatandosi. Quella singola frase, detta con calma, gli penetrò al centro del petto, con un dolore simile a quello della freccia.

Resistette a stento, stringendo i pugni, al desiderio di portarsi le mani al torace.

Resistette al desiderio di replicare, di urlare, di prendere a calci la parete.

Resistette al desiderio di sfogarsi. E solo alla fine, all’apice della sua tensione, si rese conto di non aver provato rabbia nei confronti di quel vampiro oscuro e silenzioso.

Ma solo contro se stesso.

 

Poi, con mossa fulminea, Angel infilò una mano in tasca e lanciò qualcosa a Edward. E lui, per quanto sbalordito e raggelato da quel riconoscimento, reagì d’istinto e afferrò l’oggetto.

Un cellulare.

“Se ritieni che non abbiamo nulla da dirci.” – la voce di Angel era tagliente – “Chiama quel numero e parla con tuo fratello. Come vedi, ti permetto pure di scegliere.”

Si mosse, di un passo, e poi di un altro, avvicinandosi, chiudendolo lentamente in quell’angolo, contro quella parete.

“Puoi scegliere tra me e William.” – spiegò, nel fermarsi perfettamente nel raggio della spada di Edward – “Ma con uno dei due dovrai scambiare due chiacchiere.”

Gli occhi di Edward lo fissarono, alzandosi con lentezza. E quando furono viso a viso, Angel sentì una morsa allo stomaco.

Quella luce in fondo agli occhi. Angelus era stato attratto da quella luce. Se oggi William era Spike.. era per quel colore puro. Per quei cristalli azzurri in cui si muovevano tutte le emozioni più forti del mondo.

Per un attimo si sentì quasi male, fisicamente.

Doyle aveva ragione… questo era un altro volto del destino. Era il monito per uno dei suoi peggiori delitti.

Se ci fossimo incontrati prima, nessuno avrebbe potuto salvarti da me.

Io ti avrei distrutto.

Ed ora, rendi solo più forte e deciso il mio futuro.

 

Doyle non ha mentito. La Redenzione esiste. Ed io la cercherò, fino a quando non l’avrò ottenuta.

 

Edward lo fissò, raddrizzandosi. Poi, con studiata lentezza, la destra ancora stretta all’impugnatura della spada, tese una mano.

E, senza un commento, gli restituì il cellulare.

 

“Methos.” – annunciò, senza perdere quel contatto visivo – “Penso che tu possa ritenerti congedato….”

 

***

 

“Siete pregati entrambi.” – commentò poco più tardi l’immortale, già con un piede già sul pianerottolo – “Di non distruggermi l’appartamento.”

Mentre la porta si chiudeva, methos ebbe ancora una fugace visione di quei due, in piedi, al centro di una stanza. E, pur impegnando al massimo le sue capacità intuitive, non riuscì nemmeno a ipotizzare cosa sarebbero stati in grado di dirsi.

O di farsi…

 

Scese le scale, con calma. E la vibrazione del cellulare lo distrasse dal tendere ancora l’orecchio.

“Ciao Francis.” - sospirò, varcando la porta di casa e scendendo nuovamente in strada – “No, non mi son potuto fermare a origliare… si, ti credo.. se dici che non glielo hai detto tu…”

Si fermò, sull’ angolo, ascoltandolo.

Alzò gli occhi al cielo, poi si voltò, nuovamente verso qual terrazzo da cui Edward, meno di un’ora prima, aveva salutato Faith.

Ma da dietro le tende non gli giunse nulla.

 

“Risparmia la bolletta.” – commentò – “Sto venendo lì…”

 

***

 

Quando finalmente Methos chiuse la porta, la tensione parve improvvisamente mutare di sostanza.

Con un sospiro, Edward si mosse, cercando di apparire tranquillo.

Dopotutto, si era appena ricordato che stava per conferire con un vampiro. E, delle tante esperienze che già poteva vantare, quella gli sembrava una delle più surreali.

Si tratta, considerò, di sapersi comportare.

Come due esseri civili, due veri gentiluomini.

Si spostò verso la cucina e aprì il frigo.

Per poi fermarsi, in dubbio.

“I vampiri bevono birra?” – chiese, mostrando due bottiglie rese opache dalla sbalzo di temperatura.

“Dipende dai gusti.” – replicò Angel, afferrando la sua. Svitò il tappo e bevette un sorso, sedendosi al bancone.

Edward fece altrettanto, prendendo posto di fronte. Come approccio sembrava funzionare…

Angel lo stava nuovamente fissando.

“Se stai cercando le somiglianze.” – sospirò, quasi stanco di quei continui esami – “Risparmiati la fatica…”

“Da giovane ti assomigliava molto.” – replicò, Angel – “E’ per questo che ieri sera non me ne sono accorto… non pensavo a com’era da molto tempo…”

“Hai detto giusto. Come era. Il che, direi, chiude la nostra conversazione.”

“Non essere frettoloso, Edward. Spike è famoso per quello che nasconde sotto la superficie. E con l’anima, sono probabilmente tornate molte caratteristiche di…”

“Di quando era vivo?” – domandò a bruciapelo Edward, incrociando le braccia e fissandolo.

Angel ne fu sorpreso. Forse quella reazione, in frangenti diversi, l’avrebbe divertito.

Ma la verità, semplice e lineare, era che quel ragazzo lo disorientava. Paragonarlo a Spike era riduttivo e deviante. Dare per scontato che potesse capire ogni cosa della loro vita demoniaca poteva essere uno sbaglio madornale.

“Lui è, a modo suo, ancora vivo.” – replicò, con lentezza, dosando i termini – “Io l’ho ucciso. Ma lui è sopravvissuto. Di lui dicono che è più vivo di molti vivi…”

Edward non accennava a interromperlo. Lo ascoltava. Fermo.

Con la stessa espressione assorta che aveva avuto Spike quel giorno.. il primo giorno passato a Los Angeles…

Angel rischiò di perdere il filo del discorso. Era spaventoso.

“Adesso ha un’anima.” – riprese, con lentezza, intervallando con un sorso di birra – “E per quanto io ne sappia qualcosa delle sofferenze che ne derivano, so per certo che, nel caso di William, questo ritorno ha dato delle risposte che io, come suo Sire e come suo assassino, non ho mai saputo dargli.”

Il silenzio che ne seguì fu interminabile.

Angel abbassò gli occhi per un istante, domandandosi cosa stesse pensando. Imperscrutabile eppure terso, come il cielo d’estate.

“Da quanto tempo sai di lui…” – chiese, tornando a guardarlo. Edward si era appoggiato al bancone, le braccia ancora conserte.

“Trenta ore.” – replicò, senza neanche fissarlo, facendo ruotare la bottiglia – “Sono arrivato ieri mattina…e, se vuoi sapere tutta la verità, ieri sera non ti stavo cercando.”

“Questo l’avevo intuito.” – ribattè, accennando un sorriso – “Eri parecchio impegnato, quando sono arrivato…”

 

Gli occhi di Edward lo squadrarono, freddamente.

 

La Reminiscenza è un sentimento privato e spesso devastante. Non esistono parole per spiegarla, né emozioni con cui compararla.

 

Ma questo, probabilmente, si poteva anche dire di altro.. come del bere il sangue…

“Dove vuoi andare a parare, Angel?” – domandò, tralasciando i preamboli – “Vuoi spiegazioni, informazioni o sei venuto ad accertarti che non me ne vada più in giro ad accoltellare mio fratello? Sono stanco, me ne voglio andare…”

“E saprai dimenticare? Io non ti conosco, ma non credo che tu sia capace di gettarti alle spalle questa storia.”

“Quella che tu chiami ‘questa storia’ è mio fratello. Un fratello che non sapevo di avere ancora è che era la luce dei miei occhi. Probabilmente, se io ci fossi stato, tu non avresti avuto una singola possibilità.”

“Non esserne certo, Edward. Angelus non è mai stato propenso a chiedere.” – con gesto studiato, Angel spinse verso di lui il pacchetto di sigarette, dimenticato in un angolo del bancone – “E, comunque, tu non c’eri.”

Non sapeva perché l’aveva detto.

Anche se era la verità, era suonata come un’accusa.

Angel aspettò una reazione.

“E’ vero.” – confermò Edward, celando abilmente ogni pensiero, senza muoversi – “Io non c’ero. Ma, se è vero quello che dici.. se è tanto vero da farti parlare di Angelus come di un’altra persona.. nemmeno tu c’eri a salvarlo. Nemmeno tu puoi fuggire da questa realtà. Tu, mio grande eroe.. l’hai condannato.”

Forse, amico mio, era meglio quando ci affrontavamo con la spada in pugno.

Le ferite sanguinavano meno.

Amico mio…

Quel nomignolo gli colorò l’ombra di un sorriso sulle labbra.

“tu ed io, Angel.” – proseguì – “Non abbiamo niente in comune. Io non voglio vendetta, su questo sono stato palesemente chiaro ieri sera. E non voglio che William sappia di me. Per quel che mi riguarda, questa conversazione non ha motivo per esistere.”

Si era alzato, con il garbo e l’educazione che la sua epoca gli aveva insegnato. Un congedo, preciso e letale.

 

“Ti sbagli.” – la voce di angel risuonò chiara e netta, mentre Edward già gli volgeva le spalle. Ancora seduto al bancone la bottiglia di birra a metà strada tra le labbra e il ripiano – “Spike ti cerca ancora adesso. Ancora oggi cerca te, quando desidera un appiglio. Il suo mondo sta in equilibrio tra la tua luce e la mia oscurità.”

Si era girato, ruotando sullo sgabello. Seguendo, ironia della sorte, gli stessi pensieri di Doyle.

“Io forse sono il buio che lo ha accolto e l’ha salvato.” - Aggiunse, mentre Edward si voltava di scatto, quasi scottato da quelle parole – “Oh, si, è così…. Ti rendi conto della differenza che passa tra Angel e Angelus. Ieri sera stavi combattendo con me…Tu non stavi combattendo con l’assassino di William. E lo sai bene.”

Edward tornò verso di lui, le braccia conserte. Tutto il suo corpo comunicava una profonda stanchezza.

“Angel…” – tirò un respiro superfluo, cercando di dosare la rabbia. E la paura di quell’ammissione - “Sei un animo forte, e sei quello che credi di essere. Un paladino. Sei stato un avversario nobile, come non ne ho mai avuti, se questo può valere a qualcosa. Ma ti sbagli quando credi che questa sia una bilancia in equilibrio.”

Si interruppe, fissandolo.

Dichiarandosi, in un certo senso, vinto innanzi a lui.

“È a te che Spike è legato, non a me.” – disse, scandendo quell’ammissione, con lentezza quasi ossessiva – “William era mio fratello. Era. Adesso c’è Angel. Solo Angel.”

 

Adesso c’è Angel. Solo Angel.

 

Già… ci sono io.

 

E, contrariamente a quanto poteva pensare, quella realtà dei fatti gli diede fastidio.

Non sono te.

E non sono il tuo sostituto, si ripetè, cercando di convincersene.

 

Los Angeles, ottobre 2000

 

Spike si rizzò a sedere sul letto. E fissò la porta, appena accostata..

Permettimi di farti notare.” – sussurrò, tagliente – “Che non amo essere guardato mentre dormo.”

Lo so.” – sospirò Angel, aprendo del tutto la porta e facendo capolino – “Non ti stavo guardando.. bhe, si, anche.. ma stavo cercando di vedere se eri sveglio.”

No. Dormivo.” – ribattè il vampiro, appoggiando le spalle al testile, accendendo la luce e infilandosi una sigaretta in bocca allo stesso tempo – “Ma visto che il danno è fatto, entra pure e infilati nel mio letto.”

Grazie, Spikey.” – commentò, chiamandolo con il vecchio nomignolo e sdraiandosi..

In diagonale, sul letto. Le braccia ripiegate e la testa inarcata verso di lui.

Mi hai preso in parola.” – ribattè Spike, senza trattenere un sorriso, guardando il suo sire mettersi veramente comodo.

perchè, scherzavi?” – Angel assunse un’espressione stranita e lo guardò.

No, no, fai pure.”

Lo fissò, sorprendendosi e sentendosi quasi a disagio per quel mezzo sorriso e per quella posizione stranamente famigliare. Lui e Angel, sdraiati sul letto

Bhe, che c’è?” – insistette.

Sono venuto a chiederti le tue intenzioni…”

Bhe, Angel, non so.. mi guardi dormire, ti sdrai sul mio letto, mi osservi concupiscente.. le tue intenzioni sono chiare, ma le mie…”

Parlavo di oggi.” – lo interruppe con occhiata tollerante Angel - “Sai che giorno è, vero?”

Certo che lo so.”- per ammetterlo gli servì una boccata di fumo più lunga del previsto – “Ma non intendo farci nulla. Assolutamente nulla.”

Benissimo.” – Angel annuì, serio- “Per cui non vuoi nemmeno un regalo….”

Non mi hai già fatto un regalo? Ricordi, a giugno, Cacciatrice da festeggiare.. brindisi…”

mi ricordo. Ma è passato del tempo...”

Si, certo…”

E poi non sapevo che intenzioni avessi….”

Angel, ho capito l’antifona.” – lo interruppe, porgendogli un pacchetto di sigarette. Un’ottima soluzione per quell’espressione vagamente imbarazzata che iniziava a modificargli i lineamenti – “Fuma e tranquillizzati. Non ti tratterò male.”

Grazie…”- replicò il vampiro bruno, accettando il tabacco – “Che pensiero gentile…”

Torniamo all’argomento.”- disse Spike, con tono professionale – “Non intendo fare nulla. E non voglio dirlo a nessuno. Per cui passa la voce anche a Faith. Niente baldoria, fine della questione.”

Fece una pausa, allungandosi a prendere il posacenere.

Del resto” – aggiunse – “Se mi hai comprato un regalo, è inutile che lo riporti indietro…”

Su questo sono d’accordo.” – replicò Angel, estraendo dalla tasca posteriore una busta.

Che cos’è?”

Non fai prima ad aprirlo?”

Voglio sapere che cos’è…”

William.” – Angel lo fissò, tenendo ancora la busta tra due dita – “Non funziona così. Ripeti con me:’grazie Angel’ prendi questa busta e aprila.”

grazie Angel, prendi questa busta e aprila.”- scimmiottò, ubbidiente Spike, strappandogliela letteralmente di mano. E sbriciolandola quasi – “Contento?”

Abbastanza.”

Gli occhi di William si spalancarono, davanti al contenuto della busta. Avesse potuto, gli sarebbe anche mancato il fiato.

Fissò i due cartoncini e Angel, ripetutamente. Lo guardò, mentre si alzava dal letto e si avviava alla porta.

Il concerto è stasera alle nove.” - precisò, afferrando la maniglia e voltandosi, per finire la frase– “Il posto lo sai. Il secondo biglietto è di Faith. Due moto e due biglietti. Buona serata…”

si fermò, poi riaprì la porta.

Ah, William, dimenticavo.” – aggiunse – “Buon compleanno.”

 

“Edward, cosa ti fa credere che William abbia la memoria più breve della tua?” – domandò, quasi soprappensiero – “Non sei il solo che è andato avanti da solo per una strada inaspettata. È la particolarità che avete entrambi. Vampiro e immortale. Avete persone che amate, una vita propria. William non dipende da me, in nessun modo. Siamo legati, io e lui, da un legame di sangue e, a quanto pare, da un destino comune. Ma non esiste solo questo….”

Edward non si voltò. Lo ascoltava, questo era certo. Ma gli volgeva le spalle.

William ha Faith. Wes, Doyle, Cordelia, Dawn…” – enumerò Angel – “La metà di questi nomi per te non significa nulla. Ma sono le persone che tuo fratello ama, quelle per cui darebbe la vita. Sono la famiglia che si è creato, in questa epoca e in questa esistenza. Le persone che lo tengono aggrappato alla realtà, che gli permettono di combattere i suoi fantasmi e i suoi rimorsi.

Sono le persone che gli danno un motivo per andare avanti, quelle che non lo condannano e credono in lui.

Forse hai ragione, ci sono io.

Ma la vuoi sapere una cosa?”

Si fermò, soppesando quello che stava per dire. Poi gettò alle spalle quell’attenzione.

E pensò a Spike. Ai suoi occhi che divenivano grigi e fiammanti, quando ascoltava frasi che non voleva accettare. E, soprattutto, a come fosse in grado di sopravvivere alle più inaspettate verità.

 

“E ci sei anche tu, Edward. È il tuo nome quello che Spike urla nel sonno…” – prese fiato, nel vedere quella schiena improvvisamente irrigidirsi – “E’ il tuo nome quello che gli fa male dire. E voglio dirti un’altra cosa…

Angelus non ha mai saputo di te.”

Edward si era voltato. I suoi occhi azzurri tradivano una sorpresa che non sapeva spiegarsi. Fissò il demone, mentre si alzava e si avvicinava.

“Spike non ha mai parlato di te. Se l’ho saputo, è stato solo per caso. Per puro caso. Tu sei quel passato che Spike non può più avere, quello di cui non si sente più degno. Tu eri una cosa troppo pulita perché il suo demone osasse anche solo rammentarti.” – lo disse spietatamente, attendendo una reazione – “Il suo demone, non la sua anima. Ed è stato un bene che fossi morto. Perché altrimenti ti avrebbe ammazzato, come ho fatto io con mia sorella, con tutta la mia famiglia.

Un demone distrugge il meglio dell’uomo, senza remore.”

Si sarebbe aspettato una reazione. Un pugno alzato, una risposta fisica a quelle frasi. Invece Edward non si mosse. Lo squadrò, immobile, ed Angel sentì altre parole sfuggirgli dalle labbra.

“Ma tu non c’eri.”- soffiò –“Eri un’assenza, già quando era vivo. Eri la parte mancante di lui, il vuoto che si aggiunge a quello cosmico, quello degli artisti e dei poeti. E l’abbiamo trovato noi, seduto, in quel viottolo, in lacrime…”

 

Un viottolo.. una stradina secondaria, sulla via di casa….

 

“C’era stata una ragazza, che l’aveva respinto…

…infelice, come se gli avessero portato via anche l’ultimo appiglio…

…avrebbe seguito Drusilla ovunque.. e lei gli promise chissà quali dolcezze…

io giunsi poco dopo. Volevo morisse, volevo distruggere quel suo dannato tenermi testa…

e non ho potuto….

È stato l’inizio….”

 

Le parole di Angel gli giungevano intermittenti. Ma Edward le seguiva appena. Nella sua mente, vorticosamente, rimbombavano solo poche frasi, frasi su cui si soffermava, quasi contenessero realtà antiche e celate.

Quante cose in comune, William, quante ancora senza saperlo…

La mano di Angel sulla sua spalla lo fece sussultare. Alzò la testa, lo fissò dritto in viso.

Con quella fierezza leonina che aveva fatto innamorare e ingelosire senza distinzioni, le persone della sua epoca e quelle delle epoche venute in seguito.

Con occhi azzurri senza ombre.

E luce.

“E’ stato un guerriero da quando è rinato.” – Angel ricambiò quello sguardo, con l’intera notte che si portava nell’anima – “Anche se non aveva una missione, anche se non aveva morale. È un uomo forte. Ed ora è anche un eroe che si domanda se sei fiero di lui.”

 

Basta.

 

Decisamente troppo.

Con movimento rapido, Edward lo respinse. Spinse lontano quella mano dalla sua spalla, con un passo indietro.

“Tu non sai niente.” – ringhiò – “Non sai cosa c’era tra me e lui. Non sai un accidenti di niente del perché l’ho lasciato, di quello che l’ho fatto soffrire in vita. Non sai un beneamato nulla. Nulla.”

Scattò in avanti e insieme volarono oltre il bancone, picchiandosi.

“Non sai cosa gli ho fatto passare, non sai quanto ha pagato avere un fratello come me.”– gridò, picchiando duro, direttamente in viso – “Gli volevo bene, lo adoravo, l’avrei protetto da tutto. Ma non ho potuto far nulla per quello che la gente pensava, non ho potuto far nulla… lui era troppo per quel dannato mondo. Non lo capivano, non lo accettavano, lo denigravano. Ed io lo mettevo in ombra, sempre. Non me ne fossi andato, lui sarebbe stato tutta la vita sempre e solo ‘il fratello di Edward Coventry’.”

Angel, con una spinta ben assestata, lo spinse contro il bancone. Le ossa di Edward scricchiolarono, quando i suoi reni si compressero contro il bordo del ripiano e lui sbattè gli occhi, per il dolore.

E’ umano, si ricordò Angel, in un attimo di apprensione. Immortale, ma umano… il suo corpo si rigenera, ma la sua resistenza è orrendamente mortale.

 

Edward si chinò in avanti, tossendo. E lo caricò nuovamente, a testa bassa.

“E tu vieni a parlarmi di William.” – ansò, sputando la rabbia dominata – “Cosa sai di lui, cosa rimane di lui dopo un secolo e mezzo. Te lo dico io, niente, quel niente che mi ha impedito di riconoscerlo quando l’ho visto ieri sera. Quel niente che mi ha impedito di sentirlo avvicinarsi. Quel niente che non gli ha fatto riconoscere me….”

Angel si ritrovò a sbattere contro il frigorifero, mentre le bottiglie in bilico sopra precipitavano su di loro, intorno a loro…

Il vino rosso si diffuse in un’ aroma pungente, su di loro, colpendo i senso sottili di Angel, arrossando i capelli del suo aggressore.

Una furia bionda, rapida ad arretrare. Aggrappato al tavolo, il corpo scosso da una tosse incontrollabile.

Pronto a riscattare.

Angel non se lo fece ripetere due volte. Ed Edward volò a centro stanza, disarticolandosi quasi nel giungere a terra scompostamente.

E rialzandosi, perdendo sangue dal naso, sottili rivoli dalla bocca.

“Smettila.” – ringhiò Angel, scavalcando il bancone e avanzando. Pressoché incolume.

Ed Edward gli sorrise, un sorriso sarcastico. E spietato.

Con lentezza si carezzò le labbra con la lingua, raccogliendo sangue e vino.

“Dimmi…” – sussurrò – “Adesso assomiglio a Spike, vero? Cosa farai se non mi fermerò? Mi ucciderai? Fallo, così potremo andarcene entrambi. Oppure, se vuoi restare…. Tagliami la testa. E finiamo questa farsa amici-nemici.”

“Sei stato tu a decidere per l’essere nemici.” -. Gli ricordò Angel, fissandolo, mentre si rialzava. Era vero... incoronato di sangue e vino, sembrava il novello Bacco che era stato Spike durante la rivolta dei Boxer.

E, come allora, Angel provava disagio innanzi a quella bellezza feroce e unica.

Edward si rialzò, barcollando. La vista gli si annebbiava, il suo corpo era di nuovo invaso da fiammate di dolore.

Si chinò in avanti, tossendo e sentì due mani afferralo, per sostenerlo.

E si divincolò, finendo a terra.

Rialzando la testa, verso il suo assalitore.

Guardandolo.

E sorprendendosi per quell’espressione contrita.

Contrita e.. disarmante.

Era vero.. angel non aveva scelto la via della guerra.

“E ora tu vieni a parlarmi di lui..” – ringhiò, da terra, cercando di rialzarsi – “ Un eroe, un guerriero.. ai miei occhi lo è sempre stato, non mi racconti nulla di nuovo. La sua forza.. la forza che avrei dovuto prendere per sopperire alla mia… lui era la mia forza, lo è sempre stato e non ho mai potuto dirglielo.

Non c’è stato tempo, non c’è stato tempo per nulla.”

Era di nuovo in piedi, con una resistenza che non aveva nulla di fisico.

Angel lo guardò sbalordito. Poteva sentire quel cuore pompare in direzioni nuove, poteva rendersi addirittura conto di come stesse inondando tessuti e cavità sbagliate.

Emorragia.

E lo sapeva.

“Edward, sdraiati.” – ordinò – “Non me ne frega nulla della nostra discussione. Non ho dosato la mia forza, sei…”

“Sono cosa…” – rise il ragazzo, togliendosi il sangue dalla bocca – “Moribondo? Si, lo so, ne so qualcosa di sangue e morte, anche io. Questo te lo ha detto William? Ti ha detto in quanto mio sangue ha immerso le mani? Sapeva che sapore e profumo avesse ben prima di divenire demone.”

Angel non capiva.

Di cosa stava parlando?

Di cosa…

 

Los Angeles,Hyperion, 2002

 

Colpi di tosse. Ripetuti, netti e rauchi.

Angel si riscosse dalle sue riflessioni. E si alzò, percorrendo il ballatoio a piedi scalzi.

William? Tutto bene?”

Nessuna risposta. Ancora colpi di tosse.

William?” – Angel si affacciò alla porta del bagno.

Spike stava appoggiato al lavandino. Quando la voce di Angel lo sorprese, alle spalle, si raddrizzò con lentezza, pulendosi la bocca.

Fissò un attimo lo specchio, forse sperando di vedersi, di poter dominare la propria espressione.

Tutto bene, non ti preoccupare.” – rispose, lasciando scorrere l’acqua. E cancellando le piccole macchie rosse dalla superficie di porcellana.

Non abbastanza in fretta perché a Angel ne sfuggisse l’odore.

Sicuro di star bene?”- insistette, avvicinandosi e porgendogli un asciugamano. E accorgendosi solo in quel momento del fatto che ci fosse Faith nel letto di Spike.

Dovrò perdere l’abitudine a entrare a tutte le ore.” – scherzò,appoggiandosi al mobile, mentre il vampiro biondo si asciugava la faccia – “William, senti…”

Non chiedermi di nuovo come mi sento.” – lo interruppe, vagamente esasperato, il ragazzo – “ho avuto un incubo. E mi sono morso le labbra. Fine della questione.”

Ok.

Ci credo.

Angel fissò la bocca e notò una piccola incisione già rimarginata.

Ok, ci credo.

 

Ma i colpi di tosse?

Lo fissò ancora, non sapendo bene cosa domandare di preciso. E notando solo allora le pupille leggermente dilatate e l’espressione cupa.

Un brutto incubo?” – chiese.

Si.” – annuì l’altro. In uno slancio di intimità, si appoggiò al mobile, al suo fianco, sempre l’asciugamano tra le mani – “Mi capitava quando ero giovane. Mi svegliavo la notte, con la netta sensazione di soffocare. Non mi succedeva da molto tempo…”

Capisco…”

No.” – Spike si voltò con un sorriso tranquillo sulle labbra. Apparentemente sereno – “Non penso. Diciamo soltanto che ero ossessionato. Mi domandavo cosa si provasse a morire nel sonno. A morire… soffocati…”

Si raddrizzò, gettando l’asciugamano in un angolo del bagno.

E per giunta odiavo il sangue.” – ammise, stiracchiandosi – “Mi faceva effetto già solo il vederlo, figuriamoci sapore e odore…guarda come cambiano le cose….”

Già.” – sorrise Angel di rimando, sempre fermo, le braccia conserte – “E chissà quanto ne hai visto, prima di essere vampirizzato…”

Quanto basta per una vita.” – replicò senza astio. Ma con una strana espressione sul viso - “Comunque, se sommi l’incubo al ritrovarsi di colpo la bocca piena di sangue,. ottieni un vampiro paranoico che tossisce nel cuore della notte.”

I fatti lo dimostrano…”

Infatti. Per cui, adesso, levati dalle palle e porta il tuo spirito missionario fuori da qui.. ho una donna che mi attende.”

 

“Tu non sai nulla…” – rise Edward – “Non sai di me, non sai della mia vita. E puoi fare a meno di preoccuparti. Può darsi che muoia… oppure no. Sta a te, adesso…”

Lo afferrò con tutto il suo corpo. Si aggrappò al suo torace e riuscì a mandarlo a sbattere contro una spalliera.

Per poi inarcarsi. E colpirlo ancora.

Un colpo fiacco, di pura disperazione.

Angel girò la testa, nel riceverlo. Non sapeva cosa inventarsi. Quel ragazzo non lo ascoltava, non lo lasciava nemmeno parlare.

“Edward, finiscila.” – esclamò, cercando di bloccarlo – “Non ero venuto per questo. Ero venuto perché volevo sapere, volevo capire. Non ti volevo morto ieri sera e oggi ancor meno.”

“Perché, questo delitto ti macchierebbe più di altri? Spike se la prenderebbe con te?” – questa frase venne sottolineata da un potente ceffone che lo mandò lungo e disteso. Angel aveva metodi chiarificatori per fornire risposte. Con un unico colpo si era liberato di lui.

E questo sembrò snebbiare Edward, almeno per un istante.

“Non stavi usando la tua forza.” – mormorò, con un filo di voce - “Potevi tenermi a distanza… eppure continui a farti colpire, perché….”

“Perché è prerogativa tua e di William.” – ringhiò Angel, inginocchiandosi per vedere in che condizioni fosse – “Portare la mia pazienza a dei limiti estremi. E quando date in escandescenza è meglio lasciarvi sfogare.”

 

Edward lo guardò, quasi sbalordito. E cominciò a ridere.

Piano.

Poi in modo sempre più sincero.

Poi, d’un tratto, la risata si spense del tutto.

 

***

 

Nell’attimo stesso in cui la sua amata collezione da enoteca finiva a terra e su due uomini impegnati a imporsi con le proprie idee, Methos stava varcando le porte dell’Hyperion.

E apprezzando, come sempre, l’assoluta incapacità di quella gente di praticare giardinaggio con criterio.

Quel giardino era uno sfacelo di piante troppo alte e piante troppo soffocate da altre piante ancora. Methos, sbuffando, scavalcò un rampicante che invadeva parte del vialetto e salì i tre gradini, allungando un braccio per spalancare la porta.

“Miei signori…” – salutò, cerimoniosamente, togliendosi il giaccone e posando la spada – “e mie signore…”

“Solo signore.” – lo corresse Cordelia, finendo di passare con un piumino le appliques ai lati del bancone – “Anzi, questo saluto vale solo per me…”

“Sei sola?”

“A lavorare, sono sola! A faticare, ripulire, spolverare…” – Cordelia scosse la sua arma con aria contrariata – “Ma se intendi se sono sola in casa, no, non lo sono. E se intendi cosmicamente parlando…”

“…allora siamo tutti soli” – concluse Methos all’unisono con la ragazza. Avvicinandosi e sfilandole il piumino dalle mani e passando, energicamente il punto troppo in alto per lei – “Dichiara finito questo lavoro e offrimi un ennesimo caffè della giornata.”

“Questa si che è una buona idea…”

 

Detto.

Fatto.

Un altro stereo che suona di sottofondo, un’altra tazza di caffè e un altro divano.

La mia vita sta diventando stranamente noiosa…e ripetitiva.

Methos si era accomodato, sedendo di fronte a Cordelia, cercando di non pensare a quei due che, a casa, stavano probabilmente sfogando i loro istinti.

Cordelia parlava, parlava… e tutto il suo chiacchiericcio nascondeva ogni altro rumore.

Compresi i passi di Doyle.

“Sei arrivato.” – commentò truce, entrando e franando nella poltrona rimasta libera – “con comodo, mi raccomando…”

“Ho detto che venivo qui.” – replicò l’uomo – “Non che mi precipitavo…”

“Certo.” – borbottò – “Bla, bla, bla… uh, ciao Cordy.”

“Ciao Doyle.” – Cordelia li squadrò entrambi. Poi si alzò – “Voi due mi sembrate avere qualcosa di cui parlare. E io inizio a essere stufa di persone che litigano. Angel e Spike, angel e Doyle, voi due.. no, grazie, basta.

Preferisco le pulizie.

Anzi, farò come Faith.”

“Ovvero?”

“Ovvero vado a farmi un giro!”

“Principessa, faith è rientrata. Credo sia andata a dormire…”

“E questo cosa c’entra! Io esco.” – Cordelia si avviò verso le sue stanze, con fare impettito – “Statemi bene.”

“Ciao bellissima.” – le urlò allegramente dietro l’immortale. Prima di accennare un gesto di brindisi con il caffè – “Hai litigato con Angel, Francis?”

“Si. Indovina per cosa.” – i suoi occhi azzurri apparivano sfumati. E la sua espressione… methos si mise comodo. Litigare con un Doyle era una gran esperienza.

Impedibile.

“Si dice per chi.” – replicò allegramente – “Non per cosa.”

“Impiccati.”

“Non è una bella esperienza. Passo, grazie.”

“Methos, se non la pianti, io…” – gli puntò un dito contro. Poi, con un certo qual nervosismo, si mise in piedi, alzando le braccia al cielo – “Dio, come capisco la mamma!”

“Fortunato.. per me resta ancora adesso un mistero.” – bevve un sorso, con flemma. Assaporandolo sulle labbra – “Allora, Francis, come l’ha scoperto?”

“Non da me.” – Doyle si stava massaggiando il collo, quando si voltò – “sono tendente alla frode, bugiardo e amante dei vizi… ma non manco mai la mia parola.”

“Lo so.” – methos gli sorrise, tranquillo – “Ma mi incuriosisce veramente. Come ci è arrivato?”

“Dopo secoli…” – domandò Doyle, le mani in tasca e l’espressione seccata – “Non ti sei preso la briga di guardarlo?”

“Una somiglianza notevole.” – ammise l’uomo, senza perdere il suo buonumore – “Tutto qui?”

“Serve altro?”

“Sono vagamente deluso.” – sospirò, con aria dispiaciuta. Poi, incurante – “Lui c’è?”

“Certo. Prima porta a destra al primo piano.” – replicò Doyle – “La strada la conosci.”

“Ti aspetti che possa fare qualcosa?”

L’aveva chiesto con fare accattivante, inclinando lievemente la testa.

In modo assolutamente irritante.

Eppure Doyle non riuscì a portare avanti quel suo desiderio di litigio.

“E cosa potresti fare…” – borbottò – “Avevi ragione già ieri, quando mi hai detto di non impicciarmi.”

“A volte sono proprio saggio…” – si complimentò l’uomo – “Resta il fatto che adesso le cose si stiano complicando…”

“E resteranno complicate, immagino.” – stava di nuovo semi sdraiato in una poltrona – “L’unica cosa sicura è che nessuno si smuove dalle posizione prese…”

“Certo. E’ prerogativa degli eroi essere disgustosamente granitici nelle loro opinioni.”

“Ha parlato il tipo malleabile…”

“Seee, e ha risposto il conciliante irlandese.”

Doyle sorrise, fissando il vuoto.

“Questo è vero.” – concesse. Poi, una volta che si fu assestato, le gambe allungate sul bracciolo della poltrona accanto – “Del resto, questo non fa di me un eroe… se mai, una seccatura.”

Methos gli lanciò un’occhiata. Doyle aveva l’aria assorta, nel tormentarsi il ciuffo sulla fronte con due dita. Era veramente l’anti-eroe per eccellenza. Nulla dell’ombroso fascino di angel o della scanzonata furia di Spike.

Si vede che ha preso da me, si consolò, guardandosi le scarpe da ginnastica e le maniche sformate del maglione.

In effetti, potevo crescerlo più sofisticato…

Del resto anche Sinead non aveva puntato a farne un essere sublime. Anzi. L’aveva reso così umano e così empatico da non avere nemmeno termini per definirlo.

Riassumendo, sei stato rovinato dai tuoi…

“Non prendertela, Francis.” – sospirò – “Non c’è nulla da fare. Oddio, fossi in Angel, gli spaccherei le gambe e lo porterei qui di peso… ma visto che non sono lui…”

“Si, si è visto come lo hai convinto a venire qui…”

“Non ricominciare. Io gli ho detto cosa doveva fare, a mio avviso. Non parlo d’altro da almeno venti ore.” – Incrociò le braccia, facendo dondolare la sua tazza da caffè ormai vuota – “sono parecchio stufo.. non vedo l’ora che parta.”

“Bugiardo..” – inarcandosi ancora un poco poteva vederlo in viso. Ma al contrario – “sarà anche vero che odi le seccature e buona parte dei problemi mondiali, ma quel tizio non rientra in nessuna delle due categorie.”

“Su questo avrei di che obbiettare.”

 

La frase era da methos.

Ma la voce no.

 

Doyle si tirò su di scatto, rischiando di franare miseramente sul tappeto. Appoggiato allo stipite, con le mani in tasca e gli immancabili bicipiti in bella vista, stava la croce bionda di Angel.

Doyle, con panico allo stato puro, cercò di focalizzare cosa ci fosse di compromettente nella conversazione con Methos. Scoprendo di non ricordarne nemmeno una parola.

Spike, d’altro canto, lo fissava con aria ostica.

E Methos non faceva assolutamente nulla.

“Oh toh, l’inglese.” – commentò, allegramente, incrociando le mani sullo stomaco – “Ma che piacere vederti in salute…”

“Immagino.” – Spike, si mosse, con flemma, appropriandosi del posto lasciato libero da Cordelia – “da come sei corso dietro a quel vigliacco ho potuto intendere tutta la tua preoccupazione.”

“Priorità, Spike.” – replicò, senza concedergli nulla – “Bisogna prenderne atto. A ognuno le sue.”

“E dimmi…” – allungò i piedi, mettendo in bella mostra gli anfibi – “La tua Priorità sta bene?”

“ti manda i suoi saluti.”

Gli era uscito dalla bocca troppo veloce per essere fermato. E Methos, con disappunto, dovette valutare di aver sbagliato.

Gli occhi azzurri di spike si socchiusero leggermente, soppesandolo.

“Ignoralo.” – doyle si stava riprendendo dall’infarto abbastanza in fretta – “e’ vecchio e insopportabile…”

“Vero.” – concesse Methos con un accenno del capo – “ma pur sempre di grande fascino.”

“Modesto…” – il sorriso di Spike si aprì, quanto bastava per vedere la lingua saettare su quella parola. C’era in lui quella bieca sicurezza con cui metteva in difficoltà i nemici. Quella luce che, da giovane, aveva nascosto sotto ciglia abbassate e dentro occhi sforzati dalle ripetute letture.

“A modo mio, William” – pensò Methos, ricambiando l’occhiata – “Sono contento di averti rivisto in un secolo adatto a te…”

Sei veramente una sorpresa continua.

“Andiamo, Doc.” - disse il vampiro, provocandogli un sobbalzo – “Vuoi fissarmi ancora a lungo?”

Doc…

Doyle lo fissò sbalordito. Spike non l’aveva mai chiamato in quel modo.

Faith, talvolta.. oppure Cordelia, quando voleva litigare…

Ma non Spike. Mai.

Perché ora?

 

Un caso?

 

Un gioco?

 

Era calato il silenzio.

Doyle mosse rapidamente gli occhi da uno all’altro.

Da un sorriso all’altro.

Due sorrisi sottili e spietati.

 

Si stavano facendo la guerra, senza un singolo gesto.

 

E, a quanto sembrava, con profondo gusto, Spike stava addentando pane per i suoi denti.

Gli occhi di Methos saettarono sul suo viso valutando.

“Spike.” – lo chiamò, con una vibrazione simile a una risata – “Vale sempre la pena di osservarti… non te lo ha mai detto nessuno?”

“Qualcuno.” – ammise il vampiro, senza perdere il contatto visivo – “eppure il ragazzo biondo non mi ha voluto dare nemmeno un’occhiata, prima di sfondarmi lo sterno.”

“Non sempre si ha buongusto.” – adesso la sciarada iniziava a non piacergli. Spike avanzava a tentoni, solo in apparenza.

 

Ed era ora di finirla.

 

“Non intendo proseguire questo gioco, spikey.” – tagliò corto, allungando le braccia sulla spalliera del divano, nella sua posizione tipica – “E’ un gran bel gioco, lo ammetto, ma è snervante. Dopo dieci o dodici secoli te ne stanchi… figurati dopo tutto questo tempo…”

 

“Ti prepari a dirmi quello che voglio sapere, allora?”

“No.” – scosse la testa – “Non ho nulla da dirti. Sono affari di Angel.”

“Gli affari di Angel sono anche i miei.”

“Non sempre. In questo caso, meno del solito. Le regole parlano chiaro. Uno contro uno, sempre.”

“Sono regole degli immortali.”

“Lui è immortale. Angel pure.” – Methos non si mosse, ma la sua frase pose fine alla questione – “E scommetto la mia amata testa riguardo al fatto che ti abbia detto di starne al di fuori, fino alla fine.”

 

“Sbaglio?” – rincarò, quando non ebbe risposta.

“No.” – si intromise doyle, in piedi, porgendo a spike una sigaretta – “E’ vero.”

Il vampiro gli lanciò un’occhiata omicida. Ma doyle reagì con tranquillità.

“La mia testa non vale quanto la sua.” – spiegò, serafico – “Ma la scommetto volentieri.”

“Due contro uno, quindi…”

“Fossi in te non la prenderei così male.” – lo consolò l’irlandese – “intanto lo sapevi già che non potevi impicciarti…”

“Vero.” – decisamente Spike non serbava rancore – “però ci ho provato…”

Accettava la sua pseudo-sconfitta. E lo faceva senza rinunciare a quel suo sorriso beffardo.

E questo era un altro motivo per cui Methos sentiva di ammirarlo. Spike, con tutti i suoi difetti, sapeva perdere con stile.

Cosa che non si poteva dire di Edward.

Lui, per uno strano destino, riusciva sempre ad avere ragione…

 

Methos inclinò la testa, fissandolo un’altra volta.

Era colpa di doyle se adesso si abbandonava a grandi riflessioni. Mesi sereni, senza nemmeno l’ombra di una congettura.. ed ora i Coventry a meno di un chilometro uno dall’altro.

Uno schifo.

Un vero schifo per chi vuole stare fuori da guai a tempi pieno.

 

Sbuffò, seccato. E spike lo fissò divertito.

“Qualcosa mi dice” – constatò – “Che da una certa ottica, tu ed io abbiamo la stessa opinione.”

“Forse perché…” – Methos buttò un’occhiata a Doyle che vigliaccamente si defilava – “Siamo entrambi a bordo campo e scocciati di non poter prendere in mano la situazione?”

“Possibile.”

“Perché ci è chiaro che la sapremmo risolvere decisamente meglio?”

Spike lo fissò, visibilmente divertito.

 

Il tappo irlandese batte la ritirata e ci lascia ai nostri giochetti…

Forse è più saggio di quanto non sembri.

 

***

 

L’aria gli entrò nei polmoni fredda come ghiaccio.

Tossì, si voltò sul fianco, ansimando.

E si accorse che aveva le mani legate. Si sentiva la pelle fresca, umida. Qualcuno doveva avergli lavato il viso, cancellando il sangue. Non ne sentiva più nemmeno il sapore salato sulle labbra. E questo non gli spiacque affatto.

Sbattè le palpebre, strofinando il viso sul cuscino di velluto.

Aprì gli occhi, cercò di mettere a fuoco la stanza.

E vide Angel, in piedi, la sua spada in pugno.

Lo fissò, in un attimo di stordimento. Poi, nella confusione del risveglio, disse la prima cosa passata per la testa.

“Non sei credibile. Non mi sento minacciato.”

“Come, scusa?” – Angel si girò, sorpreso. Capendo con un attimo di ritardo come poteva sembrare preoccupante, per un immortale una scena del genere. Sdraiato, legato, con un nemico dotato di spada.

La posò quasi precipitosamente sul tavolo.

“La stavo solo guardando.” – si spiegò, girandosi. E avvicinandosi al divano su cui il ragazzo era sdraiato – “Non è stato un risveglio tranquillizzante, immagino.”

“Immagini bene.” – Edward girò la testa, cercando di radunare le idee – “Posso sapere perché queste?” – insistette, mostrando le mani bloccate con il nastro adesivo.

“Perché, Edward.” – sospirò angel, sedendosi nella poltrona di fronte – “Volevo avere una conversazione normale con te, senza farmi gonfiare di botte e senza ammazzarti un’altra volta.”

“Ah.” – la bocca di Edward si aprì e si richiuse come quella di un tonno. Iniziava a ricordarsi.. – “Sono morto…”

“Si, sei morto. Mi stavi ridendo in faccia e sei morto.” – Angel annuì, solenne – “E non ho apprezzato. Anche perché ci siamo comportati come due matti.”

“Sbagli.” – Edward sospirò e voltò la testa, per fissarlo meglio – “Il matto sono io. sinceramente vorrei dire che non so cosa mi sia preso. Ma non sarebbe realistico.”

“Per piacere non ti scusare.” – gemette Angel, scivolando un po’ di più nella poltrona. E massaggiandosi le tempie – “O giuro che ti prendo a schiaffi…”

Quando riaprì gli occhi, quello che vide lo colse inaspettato. Edward era ancora sdraiato, le mani legate vicino al petto. Ma gli stava sorridendo. Un sorriso spontaneo, e quasi comprensivo.

“Di un po’…” – domandò, senza perdere quell’espressione ridanciana – “Ti ho fatto venire il mal di testa?”

“Un’emicrania.” – replicò angel – “Sei pieno di segreti. Ogni volta che ti incontro, penso a te, o cerco di chiarirmi le idee, finiamo con il combattere. E siamo sempre al punto di partenza…”

Edward strinse le labbra.

Non che gli piacesse, ma iniziava a sentirsi solidale con quel vampiro bruno.

“Si può dire la stessa cosa di te.” – commentò, sedendosi, lentamente. E tendendogli le braccia – “Per favore… prometto solennemente di non metterti più le mani addosso.”

“Non ti offendere.” – ribattè Angel senza muoversi – Ma prima di slegarti voglio la risposta ad alcune domande.”

“Puoi provare…” – rispose il ragazzo, guardandolo dritto in faccia – “ma non ti garantisco nulla.”

“E’ già un passo avanti comunque.” – teneva il capo appoggiato al testile e aveva un’espressione assorta – “Vediamo di fare il punto della situazione. Con un colpo di genio e una certa dose di aiuto insperato, ho scoperto chi eri… no, facciamo un passo indietro…”

“Fai pure, intanto mi si blocca la circolazione….”

“Ieri sera ti ho incontrato, per puro sbaglio.” – continuò, ignorandolo – “ E tu sapevi già chi ero, o l’hai capito, non importa. Abbiamo combattuto e non credo di sbagliarmi se dico che hai anche accarezzato l’idea di farti ammazzare.”

“Non è esatto, ma non importa…”

“Rimane il fatto che, finito il nostro combattimento, secondo la migliore tradizione dello stratagemma cinese, hai rallentato il tuo avversario per proteggerlo. O per proteggerti. Entrambe le interpretazioni mi sembrano valide. E sei scappato.” – allungò una mano e tamburellò sul bracciolo - “Eppure, tanta era la fretta di andartene, che oggi sei ancora qui.”

“Certo. Forse perchè me ne sto su un divano, legato e in balia di un vampiro.” – ribattè Edward, piegando i gomiti e mostrandogli le mani. Piantando entrambi i piedi sul tavolo, sul romanzo di methos – “Ti faccio notare che me ne sarei andato, ma mi hai bloccato qui.”

“Perché non ieri sera?”

“Perché quando sono resuscitato, mi sono preso una sbornia in compagnia.” – ribattè secco – “doyle non te lo ha detto, quando ti ha aiutato?”

“Doyle non mi ha aiutato.” – replicò Angel – “E’ stato ben attento a non fornirmi nemmeno un piccolo indizio. E, andiamo, pensi veramente che ti creda? Sei rimasto per un buon motivo.

E, sinceramente, mi spiace che tu sia rimasto deluso.”

Fece una pausa, fissandolo.

“Mi spiace aver bussato io a quella porta.” – ammise – “sarebbe stato veramente meglio per tutti, fosse stato Spike. Non credi?”

“Certo.” – Edward grondava sarcasmo – “decisamente. Soprattutto se è veramente bellicoso come mi è sembrato ieri.”

“Lo è.” – ridacchiò Angel – “Ha una certa tendenza a prendere a calci i mobili e a sbattere le porte. E ad essere dannatamente calmo e lucido quando tutti gli altri danno di matto. Come in questo caso.”

“Sul serio?” – Edward si era acceso di curiosità.. con l’ombra di un sorriso.

“Già.” – annuì Angel – “Faith gira come un leone in gabbia, Doyle è ombroso, Methos è sfuggente, io.. bhe, io sono io… e lui mette una parola sarcastica e lapidaria in ogni frase. Così quello che ha di fronte si sente un perfetto imbecille.”

Era una descrizione deliziosa di Spike. Ed Angel ne rise, piano, sentendo che stavano condividendo, senza riuscire a dirselo, un attimo di vicinanza.

Anche Edward ridacchiava.

Iniziava a insinuarsi in lui il sospetto che pure Angel, talvolta, fosse in balia di suo fratello.

Magari al vaglio di quella sua incrollabile attenzione per il particolare…

 

Londra, 1852

 

Ma sei sicuro?” – insistette Edward, finendo di annodarsi la cravatta. Alle sue spalle, William, con aria affranta era sprofondato in una poltrona.

Gli occhiali gli stavano pericolosamente in bilico sul naso, con un’inclinazione che lasciava intendere come non stesse guardando nulla di preciso, visto che non permetteva alle lenti di essere del tutto allineate con gli occhi.

Ne sono certo.” – replicò, funereo, il ragazzo. Era lungo, magro e pallido. Aveva passato l’intero inverno chiuso in casa, vittima di un’infreddatura sull’altra.

E ora, alle prime uscite ufficiali, nuovamente beneficiario di una vita mondana, riscopriva, con l’improvvisa crescita dei quindici anni, che il resto del suo mondo si era popolato di persone desiderose di conoscerlo e impegni da adulti.

Per cui non vuoi venirci….” – concluse Edward, voltandosi e allargando le braccia, di modo che il fratello potesse valutarlo.

Esattamente.” – William accennò la sua approvazione, poi tornò alla sue espressione stranamente corrucciata - “Odio gli sciocchi.”

Non ti pare un po’ eccessivo?”

No. È uno stupido, con scarso rispetto per le persone che lo circondano.” – replicò con veemenza – “Non è giusto disprezzare ciò che non si conosce, che sia cosa o persona.”

Su questo sono d’accordo.” – mormorò, divertito Edward. Sentendosi orgoglioso di quel fratello ancora imberbe e già così certo di alcuni fatti della vita.

 

A sorpresa, l’adolescenza l’avrebbe reso timido, e riservato, accentuando quell’indole tranquilla che in lui riposava sotto pelle. Il disagio delle persone che non si sforzavano di capirlo, i loro giudizi disattenti, eppur così certi, avrebbero fatto di lui un insicuro.

Eppure, in quel presente, nell’alzare gli occhi verso suo fratello e cominciare a caratterizzare le sue opinioni con un’espressione forte, William dava del mondo un’analisi attenta e mirata.

Ed Edward, dall’alto dei diciannove anni, coltivava, in cuor suo, la speranza che quella dote, così forte in William, fosse patrimonio di entrambi.

 

“Già.” – sorrise, guardando il soffitto, lasciando che i riccioli scivolassero scompostamente indietro – “Non mi sarebbe spiaciuto accadesse…. William che spalanca la porta e…”

si interruppe. Non aveva una frase da mettere dopo quella congiunzione. Non immaginava nulla.

Nulla.

Non vedeva William varcare la porta, furibondo o felice che fosse. Non lo immaginava, né sperso né sicuro dei passi da muovere. Non vedeva nulla.

 

E, infatti, non è successo…

 

Angel non disse niente. Lo lasciò riflettere, gli occhi ancora puntati verso il soffitto, la bocca leggermente contratta. Edward aveva lineamenti puliti e regolari. Si fosse stati critici, si sarebbe potuto anche ammettere che Edward fosse la versione bella di William. Lo stesso fisico sottile ed elegante con dieci centimetri in più di statura.

Gli occhi chiari e profondi, ma più limpidi…

Edward era un eccesso di William. E William, d’altro canto, quasi in risposta alla somiglianza e all’assenza, era un’esasperazione di Edward.

Capelli ancora più biondi, fisico più scolpito, occhi più attenti…

No, ad essere sinceri la somiglianza era naufragata veramente da tempo. Restava nei giochi di luce, permaneva per la gioia dell’osservatore attento. E sorgeva, inaspettata, dalle espressioni e dalle parole.

Dall’anima, direttamente.

 

Senza un commento, Angel si alzò e gli andò vicino, si chinò e gli afferrò le mani. Con movimento sicuro, fece scivolare la lama del coltello tra i polsi, fino a tagliare i nastri.

“Come mai questa decisione?” – domandò l’immortale, liberandosi e massaggiandosi la pelle.

“Mi sembra che adesso ci sia un dialogo.” – spiegò Angel, andando a posare il coltello sul piano del bancone – “E poi, ho bisogno di una mano…”

La cucina sembrava dissestata nuclearmente. Bottiglie rotte, vino ovunque.

“Oddio.” – mormorò una voce alle sue spalle – “non la prenderà per niente bene….”

Entrambi fissarono le etichette di quelle che erano state pregiate bottiglie di importazione. Tra le tante ne spiccava una, ormai di un fine tinta seppia.

E i due si ritrovarono a scambiarsi un’occhiata.

Un’occhiata preoccupata.

“Tu non hai bisogno che ti dica cosa era quella…” – mormorò Edward, apprezzando finalmente il piacere di condividere l’eternità.

“No.” – Angel scosse la testa – “Ho presente…. E anche io mi arrabbierei parecchio…”

 

***

 

“Sigaretta?”

“No, grazie. Per quegli affari si deve essere morti a priori.”

“O Immortali…”

“No, grazie.” – replicò Methos, accavallando le gambe e assestando i piedi sul tavolino – “Non intendo abusare della mia fortunata condizione.”

Iniziava a notare il paradossale scambio di coppia. E le complicanze di quel gioco.

Edward contro Angel.

Spike contro Methos.

Un confronto di eternità. Le assenze del tempo, una di fronte all’altra, come la luce e l’oscurità.

 

Luce e oscurità…

Si, anche questo è un paragone efficace…

 

In quel silenzio fatto per scegliere cosa dire e come dirlo, spike continuò a fumare la sua sigaretta, imperturbabile.

Le parole gli si radunavano sulle labbra… e lui le mutava in fumo, a ogni boccata.

Spingendo con polmoni morti quell’aroma intenso di tabacco nell’aria.

 

C’era qualcosa…

Qualcosa che non riusciva a comprendere…

Methos alzò gli occhi, spostandoli lungo il perimetro della stanza, prima di tornare a fissarli sul vampiro.

 

“Dimmi, Spike…” – lo esortò.

Bluffando, impeccabilmente.

Non riusciva nemmeno immaginarsi cosa gli stesse passando per la testa.

 

Spike inclinò la testa, con un mezzo sorriso.

“Lui com’è.” – chiese, con aria divertita.

E Methos, per quanto fosse pronto a ogni cosa, fu colto di sorpresa.

“Come, scusa?” – borbottò, aggrottando la fronte.

“Lui.. questo puro che tu difendi.” – e che Angel stima, più di quanto ammetta – “Sono molto curioso…”

methos lo valutò, con lo sguardo. E con il fastidioso sospetto. Mi chiedi una cosa.. perché già sai qualcosa…

“Avanti.” – lo incoraggiò il vampiro – “Età. Epoca, brutte abitudini.. dammi qualcosa su cui meditare…”

Methos gli sorrise.

E Spike ebbe la netta impressione di doversi tenere, ancora una volta, le sue curiosità.

“Si è fatto tardi.” – commentò, educatamente, alzandosi.

E passandogli a fianco.

 

E Spike comprese che avrebbe dovuto scoprire parecchie carte per ottenere.

 

“Ti sono sempre piaciuti i ragazzi puri, vero Doc?”

 

Eccola.

Adesso Methos aveva un buon motivo per fermarsi.

Dannazione, Eddy.. dannazione…

 

“Ragazzi brillanti..” – proseguì spike, giocherellando con l’accendino – “con troppo senso dell’onore…”

 

Edward ti sentisse, ti ritroveresti steso… mancargli così di rispetto…

 

“Ti sei ricordato…” – mormorò, con tono incurante.

Non ci volevano particolari sensi, per saperlo in piedi, alle sue spalle.

“Oh, si.” – spike annuì, infilandosi le mani in tasca – “Non mi ci è voluto molto.”

Inaspettatamente per Spike, Methos non si voltò con calma, come suo solito.

E non lo fissò.

“Sei molto cambiato…” – commentò, asciutto, guardando di fronte a sé – “Ma questa epoca moderna ti dona molto.”

“Grazie.” – replicò, con noncuranza Spike – “Lo so. Tu, invece, a mio avviso, avevi più stile allora.”

“Sono sempre stato vagamente retrò.. un’epoca indietro, sempre e comunque.” – Methos chinò le testa, appena, in un mezzo sorriso – “Comunque, non ti offendere, non sono in vena di revival…”

 

Ti ci vorrà bel più di un effetto sorpresa, piccolo Coventry, per incastrarmi…

 

Si era incamminato, lasciando Spike in piedi, del tutto senza parole. Ma con l’espressione corrucciata di chi non può ammettere con se stesso il sollievo che prova a vedere evitato lo scontro.

Era stata una provocazione bella e buona. Su un argomento che non voleva assolutamente affrontare.

Dannazione… io e la mia linguaccia…

Ha ragione Wes… taci Spike, taci!

 

No.. non ne sono capace…

 

In quattro falcate fu nell’ingresso, dove Methos di stava infilando il lungo cappotto, e aggiustandosi il colletto.

“Permettimi una domanda…” – accusò, in tono vagamente bellicoso – “ dimmi quando ti sei ricordato…”

“E’ importante?” – chiese Methos, distrattamente. Sperando che Angel tornasse…

Non sei colui che protegge gli innocenti dai soprusi?– “Suppongo mi sia capitato per caso. Niente di più.”

“Vuoi sapere quando l’ho scoperto io?” – domandò ancora. Disposto a concedergli tutto, per bloccarlo, valutò Methos, divertito.

 

Allora è vero, quando dicono che assomigli a Edward…

 

“Non vuoi dirmelo?” – spike si appoggiò allo schienale di un divanetto. Prendendosi mentalmente a calci per quell’ostinazione. Ultima domanda, poi smetterò.. fa troppo male….

L’immortale aveva le mani in tasca e l’aria bonaria.

“Mi sono ricordato…” – iniziò lentamente – “Il giorno in cui sei venuto a prendere Faith…”

 

Sei mesi prima…

 

“Stoccata, parata..”- methos ripetè la sequenza ancora una volta, cominciando a sentirsi idiota. E faith lo guardò in cagnesco – “E poi seconda. Tutto chiaro?”

“Mi è chiaro che voglio andarmene.” – replicò lei, incrociando le braccia.

“Ti hanno mai detto che sei capricciosa?”

“No. Sei il primo.” – faith dondolò sulle gambe – “Adesso posso andare?”

“No.”- Methos scosse la testa, strofinandosi i capelli umidi di sudore. E lui odiava sudare – “Sono io che ti caccio. Levati dai piedi.”

“Grazie capo.” – commentò Faith, voltandosi a cominciando a spogliarsi.

“Ehi, che fai!” – methos fissò con un principio di orrore la schiena nuda e il reggiseno slacciato.

“Mai visto una donna che si spoglia?”

“Non permetto mai che una donna si spogli da sola.” – replicò lui, appoggiandosi a uno dei tavoli e sfilandosi i guanti di daino – “In questo frangente, visti i nostri trascorsi, dovendo escludere che i nostri rapporti prendano questa piega, valutando…”

“Ma non taci mai?” – domandò Faith voltandosi, cercando di infilarsi una maglietta scollata. E obbligando Methos a coprirsi prontamente gli occhi con una mano – “Sei un seccatore. Mi cambio qui perché spike mi porta a ballare.”

“Una doccia?” – domandò lui, sbirciando tra le dita – “Posso offrirti anche quella?”

“No, grazie, non ho tempo.” – replicò la ragazza, pescando dal borsone un paio di pantaloni attillati – “però approfitterò della tua camera. Voglio privacy.”

“Prima no?”

“prima quando? Apri a Spike, sono pronta in un attimo.” – ordinò, sparendo al primo suono di campanello.

“Agli ordini.” – sospirò l’immortale, afferrando l’asciugamano e la bottiglietta dell’acqua. E aprendo la porta sul passaggio – “Ciao vampiro.”

“Methos…”

Anche spike aveva messo cura nel vestirsi. Pantaloni scuri e maglietta, come sempre.

E l’immancabile trench di pelle.

“aperitivo?” – domandò l’uomo, tirando fuori una bottiglia di bianco – “Diamo tempo alla signora di cambiarsi.”

“Perché no…”- spike si sfilò il lungo cappotto, buttandolo sulla poltrona – “Intanto Faith non è mai puntuale…”

“Talvolta accadono i miracoli.” – replicò una voce urlante, dall’altra stanza. E Spike, ignorandola, e scotendo la testa, si sedette.

“Certo.” – annuì, accettando il bicchiere dall’immortale e lasciandolo tintinnare un fuggevole brindisi - “Quando nevicherà in California…”

“Evento non troppo raro, a dire il vero…”

“Solo uno che misura il tempo in secoli può dire una cosa del genere.” – ribattè il vampiro – “E comunque, ti prego di ricordare che sono inglese.. ho ben altri concetti di inverno e nevicate…”

“In quest’ottica, non posso darti torto.” – sorrise Methos – “Ma non ti facevo amante della neve…”

“Come mai?” – domandò Spike, aggrottando la fronte. E bevendo un altro sorso di vino. Aveva un modo molto studiato di sostenere il calice, valutò Methos, guardandogli la mano bianca e venata. Una posizione delle dita, quasi femminea per il decennio in cui stavano parlando.

Ma perfetta… in un’altra epoca…

Si riscosse, guardandolo in viso.

“Dicevi, scusa?”

“Che stavi guardando?”

“Nulla.” – a quanto sembrava, Spike sapeva giostrarsi la curiosità tra una domanda improvvisa e una studiata – “Una vera sciocchezza.”

“Rendimi partecipe…”

“Come vuoi.” – alzò un sopracciglio, squadrandolo – “Guardavo il modo in cui tieni il bicchiere… è particolare.”

“Quando me lo hanno insegnato non lo era per niente.” – replicò Spike, con un lampo sardonico nello sguardo. Non aveva per niente stentato a intuire a cosa si stesse riferendo – “Epoca interessante la mia.. ottima per imparare a reggere calici, fumare sigari e speculare in vari campi…”

“ottocento, giusto?” – Methos dondolò sullo sgabello – “Non si direbbe per niente…”

“Mi sono disintossicato.”- Rispose, divertito, inclinando la testa. Non si era ancora abituato alla realtà dei fatti su Methos. Quella sua immortalità, venuta a galla solo da qualche mese, continuava a sorprenderlo. E a irritarlo.

Possibile fossero sempre tutti più antichi di lui?

Insomma…

Forse fu in quella pausa, per quel modo di inclinare la testa che Methos sentì esplodergli nella mente un altro fotogramma.

E sentì un brivido scuoterlo, incontrollabile.

“è proprio perché ti sei disintossicato così bene…” – riprese, lentamente, osservandolo come se fosse un quadro da identificare per fattura e colori. Un capolavoro da datare, inequivocabilmente – “Che mi sorprendi…”

faith era apparsa sulla porta, vestita, truccata e con l’aria di chi non vuole perdere tempo.

“Cosa vuoi che ti dica.” – Spike finì il suo vino con una sorsata e si alzò – “Si possono dimenticare molte cose. Ma l’educazione, quella vera…”

“o l’impari da piccolo, o è troppo tardi.” – finì Methos, sottovoce, perdendosi nella declamazione sicura di spike.

Non visto, perché il vampiro si era voltato, afferrando il cappotto e incamminandosi verso la porta.

Si.

Conosceva un’altra persona che diceva quella frase. Con lo stesso sarcasmo e lo stesso orgoglio

 

Ricordava, ora.

 

Con fin troppa chiarezza.

 

Methos allungò le braccia e si strofinò il collo improvvisamente rigido.

Se lo sentiva fin nelle ossa…

Guai in arrivo…

 

“Tutto qui?” – Spike lo fissò, con ostinazione – “Il giorno in cui sei venuto a prendere Faith…Tutto qui?”

“Cosa ti aspettavi.. non ti conoscevo quasi..” – ribattè, svalutandolo con una mezza verità. Nel breve tratto di esistenza mortale che avevano condiviso, non si erano mai scambiati più di tre parole... eppure per Spike stava divenendo una questione di concetto.

Methos doveva tassativamente ricordarsi di lui!

 

E se questo non è il motivo, pensò, guardando il vampiro, cosa vuoi da me?

Altri ricordi che ti fanno male?

Oppure vuoi la certezza che Edward viva ancora nel mio cuore?

 

 

Hai veramente ancora così paura del tempo, William?

 

“Devo andare.” – aggiunse, brevemente, voltandosi – “Ci vediamo…”

“Aspetta.”

Methos posò la mano studiatamente sulla maniglia. E si voltò appena, per gettargli un’occhiata interrogativa.

E vederlo valutare la situazione, con la mascella sempre più rigida.. e gli occhi fiammeggianti.

“Di’ al tuo protetto.” – scandì – “Che la prossima che ci vedremo il suo conto in sospeso sarà con me.”

Methos non rispose. Non disse nulla, nella certezza matematica che Spike volesse pronunciare ben altra frase.

Uscì, semplicemente, lasciandolo solo nella penombra dell’entrata.

 

Ma Spike.. anche adesso il suo conto in sospeso è con te…

 

***

 

Se angel si fosse veramente soffermato su quello che stavano facendo, avrebbe trovato il tutto vagamente paradossale.

Ma la verità era che si sentiva stanco. E che, per giunta, di cose paradossali ne aveva subite parecchie, nelle ultime quarantotto ore. Aveva scoperto l’identità del suo antagonista, aveva nascosto cose importanti a spike dopo averci litigato, era stato in balia di Angelus e di se stesso… e, fuggevolmente, aveva avuto rimpianti, brevi eppur così forti da piegarlo quasi.

Per tanto, non si sentì vagamente fuoriposto in casa di Methos, in ginocchio a lavare il pavimento, mentre Edward finiva di raccogliere i vetri sparsi ovunque.

“Fatto.” – sospirò, finalmente, venti minuti dopo, sbattendo anche l’ultimo collo di bottiglia in un sacco – “tutto sommato poteva andare peggio. A Lorne abbiamo raso al suolo il locale…”

“Certo, poteva andare peggio.” – ribattè Edward, ritrovando le sue sigarette – “Io sono morto, ma poteva andare peggio.”

“Non vorrei contraddirti un’altra volta, ma ti sei comportato da kamikaze.” – commentò Angel, riprendendo posto sul suo sgabello. E ritrovando la sua giacca in condizioni mortificanti – “E credo che, a questo punto, sia ora di riprendere i nostri discorsi seri.. pugni a parte…”

“Proviamoci…” – sospirò, sedendosi. E rammentando di colpo dove fossero arrivati con la loro litigata e di come le loro divergenze fossero di colpo cessate, mentre Angel, con aria infastidita, si massaggiava una clavicola – “Non mi dire.. ho ammaccato l’eroe…”

“Spiacente.” – commentò il vampiro, movendo il braccio – “puoi prenderti solo il cinquanta per cento del merito.. dividi questo onore con William…”

“William ti ha lussato una spalla?”

“Lasciamo stare, è una storia veramente troppo lunga. Abbiamo cose più serie di cui parlare.”

“Del tipo?” – Edward tirò una boccata alla sigaretta e si spinse indietro i capelli, infastidito dal loro odore di mosto – “risolviamo insieme qualche problema mondiale? Confederiamo immortali e vampiri sotto un'unica bandiera?”

“E meno male che le bottiglie ci sono volate in testa, immagina a che punto saremmo se le avessimo bevute…” – bofonchiò Angel, stupendosi per primo di una battuta del genere così in linea con l’umorismo di doyle. Già, Doyle.. doveva ricordarsi di dargli la sua spettanza di pugni… - “Sai benissimo a cosa mi sto riferendo, Edward…”

“Certo che lo so.” – Edward annuì, prima di gettargli un’occhiata – “Ma la risposta è sempre no. Non ripiomberò nella sua vita. Non fate altro che girarci tutti intorno. La domanda è sempre la stessa, cambiano solo i vostri punti di vista.

E non cambia la risposta.

No.

Ha una sua vita, probabilmente un destino molto più importante del mio.”

“Quindi te ne vai, senza nemmeno averlo visto… senza parlargli…”

“Esattamente. Me ne vado, Angel. Torno alla mia vita. Sarà un bene per tutti.”

“Per tutti tranne che per te…” – Angel si protese quasi senza accorgersi, verso di lui – “Edward, ti rendi minimamente conto di quello che stai facendo?”

 

“Non farmi la paternale.” – tagliò corto l’immortale – “non sono un ragazzino. Ho più di centosessanta anni e me ne infischio se ti sembrano pochi, o se William tollera la tua saggezza plurisecolare. Farò quello che ritengo giusto. Giusto per chi mi pare.”

“Non ti parlo per una questione di vecchiaia.” – ribattè Angel, appellandosi all’autocontrollo con muta preghiera – “Ti parlo per affetto…”

Si interruppe. Quasi sbalordito da quello che aveva appena detto. Edward lo fissò, sottolineando quell’ammissione con una leggera sfumatura delle iridi.

Occhi cangianti….

“Io… io ero un fratello maggiore, Edward.” – riprese Angel, forzando le parole. Truccando la verità quasi a malincuore – “E per quanto so che non sia una carica onorifica, so anche che ci sono cose che solo un altro fratello maggiore può capire. Io ti credo… se dici che non vuoi sconvolgergli la vita… ma…”

“Ma cosa?”

“Mi domando fino a che punto potrai mantenere il segreto. Cosa accadrà il giorno in cui spike lo scoprirà.” – per un attimo Angel provò un brivido, quasi premonitore – “Cosa accadrà il giorno in cui inevitabilmente lo scoprirà…”

Edward teneva gli occhi puntati su di lui.

E, per quanto si fosse chiuso in un’espressione del tutto indecifrabile, le sue iridi azzurre sembrarono avere un guizzo davanti a quell’affermazione.

Anche lui, in cuor suo, sapeva e temeva ciò che Angel aveva tanto faticato ad esprimere. Per quanto non riuscisse realmente a capire e immaginare cosa fosse divenuto William, vedeva nitidamente la possibile reazione che avrebbe avuto, nello scoprire… nel…

 

No.

Con uno sforzo profondo, Edward scacciò quel pensiero.

In modo deliberato, appoggiandosi al bancone, con un sospiro.. un sospiro profondo che Angel, per un fuggevole secondo, gli invidiò profondamente.

Abbassò lo sguardo, senza attendere che il ragazzo si esprimesse realmente.

Senza attendere nulla, prima di rispondere a quella frase non formulata.

“quindi mi costringi a mentirgli…” – sussurrò, senza osare guardarlo in viso.

Guardando le mani di Edward protendersi istintivamente verso di lui. E fermarsi, come memori dell’abisso che li separava, a pochi centimetri dalle sue.

Angel fissò quelle dita lunghe e solide. Le vide stringersi, una all’altra, quasi vittime di un’indecisione che le percorreva, nella loro interezza.

 

“No. Non ti costringo.” – la voce di Edward suonò solida. E orrendamente simile a quella di William – “ Io ti prego, ti imploro… te lo chiedo per favore.”

Angel alzò gli occhi e lo guardò dritto in faccia. Dal primo istante, viso a viso, avevano giocato solo partite finite nel sangue. Spade, lame, pugni, parole… rabbia… e soprattutto sguardi.

Angel era naufragato in quegli occhi nella misura in cui la sua tenebra aveva risucchiato Edward.

Sguardi.

 

Con le loro anime e le loro scelte, erano slittati lungo il pendio dell’eternità, faccia a faccia.

Isolati dal resto del mondo, in una totale assenza di tempo.

Con demoni e fantasmi per compagni.

Eppure, solo ora, Angel prendeva atto dell’enorme e irrazionale solidarietà che intercorreva tra loro.

Legati a doppio filo.

Senza nulla in comune.

 

Nulla in comune.

 

Se non un altro paio di occhi chiari in cui il mondo naufragava da quasi centocinquant’anni.

 

Angel non rispose.

Non aveva bisogno di farlo.

Gli bastò guardare dentro quegli occhi.

E vedersi riflesso.

Lui, che il riflesso l’aveva perso, ormai da tempo.

Lui, privo della vergogna di doversi fissare allo specchio, per scoprirsi di sangue arrossato.

 

Si vide.

E non gli servirono parole.

 

Tra te e me c’è William…

Ed ora, per quel nostro stupido senso di protezione, gli faremo del male.

 

***

 

il cuore è uno spazio infinito. Infinito per capienza e memoria.

Uno spazio che talvolta si espande dentro al petto, diventando incontenibile. E soffocante.

Quello di Angel, per quanto morto, non faceva eccezioni. Innanzi a quella scelta, compiuta da Edward e che il vampiro viveva come un’imposizione, il cuore di Angel aveva deciso di divenire enorme. E pesante.

Gli aveva rallentato l’andatura, e intristito lo sguardo. Ed aveva reso i suoi passi più umani, nei cunicoli sotto la città.

Il rimbombo lo aveva accompagnato, come un tamburo, fino all’Hyperion.

 

Insieme alle parole di Edward, nitide e precise.

“Ripartirò entro stasera.”

Stasera, domattina…il domani, Edward, non cancellerà i giorni passati, non porterai via con te quel tuo sguardo e quella tua forza.

Non potrai mai fuggire, credimi.

Io ne so qualcosa… credimi.

“Probabile.” – Edward aveva sorriso, appoggiato alla porta, una mano in tasca – “Ma non mi sento uno che fugge…”

“Questa scelta ti peserà.” – dichiarò Angel, appoggiandosi all’altro stipite. Era strano, starsene lì, fermi, a chiacchierare come vecchi amici.

“E allora?” – Edward incrociò le braccia e lo guardò, con quel sorriso che lo contraddistingueva – “Non ti sei ancora rassegnato alla testardaggine dei Coventry?”

“Dote di famiglia?”

“Assolutamente.”

“Perfetto… mi chiedevo proprio da chi avesse preso Spike…”

“Segui il mio consiglio, Angel… non impegolarti mai a discutere sul nostro albero genealogico …”

angel, di risposta, sospirò. E lo fissò, con rassegnazione.

Edward sostenne quello sguardo, con espressione tranquilla. Poi le labbra si inarcarono in un sorriso sottile.

 

Da ogni angolazione, appariva sempre e comunque più dolce di William. Su Spike le ossa sporgenti e i tratti affilati si sprecavano. Edward appariva stranamente più adulto, eppur più levigato nell’espressione e nei tratti.

Una versione non rovinata dalla vita nell’ombra.

“Da quando in qua respiri?” – chiese, interrompendo quello studio.

“Io non respiro.” – Angel infilò le mani in tasca e piegò la testa – “Ogni tanto mi succede di sospirare.. quando devo controllarmi.. o devo rassegnarmi all’evidenza.”

“E ti capita spesso?”

“Di rassegnarmi? quasi mai, a dire il vero…” – ondeggiò, guardando il corridoio deserto – “Anche adesso…”

vago, quasi distratto.

“Fai pure.” – gli concesse magnanimo l’altro. – “Io intanto vado a finire di preparare i bagagli.”

“E io vado a casa… sicuro di non volerci venire?”

Edward non gli rispose. Soppesò la domanda, con lo sguardo fisso, una mano ancora sulla porta.

“No, grazie.” – replicò, con educazione. Prima di accennare quel suo insopportabile sorrisetto.

“Lasciamo stare.” – concluse Angel, voltandosi, con un cenno di rassegnazione e incamminandosi.

 

***

 

Si.

Era finita così.

Con assoluta semplicità.

Sotto un sole che diveniva sempre più cocente, in una giornata che avanzava verso il suo apice e in una città in grado di nascondere paure, esitazioni e follie umane.

Tutto questo sopra la testa di Angel, avvolto dall’umida frescura dei corridoi sotterranei, e impegnato a trovare una linea conduttrice in quella sciarada.

 

Tutto questo, anche mentre varcava gli ingressi dell’Hyperion.

 

E tornava alla sua normalità.. e alla semplice ironia di definirla tale.

“Doyle.” – salutò, proseguendo su per le scale.

E sentendo i passi seguirlo.

“Fermati, voglio scusarmi.”

“Sei scusato.” – replicò, entrando in camera, senza voltarsi. E fermandosi.

“Scusato di cosa?” – domandò Spike, abbassando il giornale e guardandoli entrambi.

Se ne stava pigramente sdraiato sul letto di Angel, i piedi contro il testile. E li guardava, curandosi poco del fatto di vederli capovolti.

Le espressioni erano comunque memorabili.

“Litigato?”

“No.”

“Si.”

“Vi vedo in accordo….”

 

Preferirono ignorarlo.

Angel puzzava di vino lontano un chilometro. Aveva enormi macchie rossastre sulla camicia.. e una giacca ridotta a uno stato penoso.

Si strappava i vestiti di dosso dandogli le spalle.

Ed era seccato.

E questo, a spike, sembrava divertente.

Piegò con cura il giornale e lo fissò. Spostando poi lo sguardo su Doyle…. Doyle, che si tratteneva a stento dal dire qualcosa.

“Su” – lo esortò, lisciando maniacalmente le pieghe della rivista– “Come se io non ci fossi…”

“Ma ci sei.” – replicò il demone, senza stare al gioco – “Quindi io e Angel rimanderemo a dopo.”

Si era già voltato ed avviato alla porta, quando Angel, a torso nudo e ancora di fronte all’armadio aperto, si decise a parlare.

“Spike, fuori.”

 

Le sopracciglia di Spike sfiorarono improvvisamente l’attaccatura dei suoi capelli.

 

Spike.. fuori?

 

Spike… FUORI?

 

Ma, dico.. siamo matti?

 

“Salta le obiezioni.” – lo interruppe Angel, senza lasciargli aprire bocca – “E fai quello che ti ho detto.”

“Aspetta un secondo.” – non solo Spike obbiettava.. ma era saltato pure in piedi con fare bellicoso – “Passi che l’altra notte eri Angelus, ma adesso non tollero quel tono!”

“Male.” – ribattè implacabile Angel, facendogli perdere il filo del discorso – “perchè adesso sono piuttosto nervoso. E ho da fare. Fuori.”

 

“E non sbattere la porta uscendo.” – aggiunse.

 

Ovviamente il rimbombo della porta della camera di Spike si sentì fino al piano di sopra e riecheggiò per i corridoi vuoti.

Angel non era stato specifico, riguardo alla porta da non sbattere…

Testardamente voltato, seguitava a raccogliere i suoi vestiti puliti. E a impilarli in bagno.

“Prendertela con Spike non servirà a niente…” – commentò Doyle, seguendolo.

“Ti stai offrendo volontario?”

 

Doyle fece un bel respiro e si appellò alle Alte Sfere per tenere a mente i suoi doveri.

Consigliare.. supportare… no, uccidere no…

“Non è necessario.” - Replicò, con calma – “Non ti serve permesso, direi…”

angel si era voltato. E lo fissava. E sul viso aveva una strana espressione, a metà tra il colpevole e il sorpreso.

E prima che potesse anche solo pensare di scusarsi, doyle fece un passo avanti.

“Frena.” – commentò, alzando una mano in segno di resa – “Sono io che ti devo le scuse.. e oggi hai diritto di essere di cattivo umore…”

un leggero sorriso gli passò sulle labbra, mentre, a braccia conserte, si appoggiava al ripiano alle sue spalle.

“Sul serio?” – domandò – “Ho un motivo?”

“Più di uno, per quel che mi riguarda.” – Doyle annuì, con aria rilassata. Angel non aveva voglia di litigare, non nel vero senso della parola.

 

Ogni tanto gli succedeva.. quando aveva troppi pensieri, partiva in quarta e si era costretti a inseguirlo…tutti prima o poi lo facevano.. Wes addirittura era campione della specialità ‘Angel ragiona’ correndogli appresso.

 

Questa volta, però, era toccato a Doyle, il quale aveva scoperto di non essere poi così bravo a gestire i monosillabi del vampiro.

Caspita... siamo nella settimana del dubbio…

“Allora…” – sospirò, infilandosi le mani sotto le braccia e facendo un passo – “Parliamo di…”

“Si. Parliamo di.” – concordò Angel, annuendo – “E posso ammettere che avevi ragione. Lui è l’altro volto del destino.”

L’aveva detto con calma, quasi con ammirazione.

Fissando un punto imprecisato, di fronte a lui.

Con mille pensieri incomprensibili nella mente.

“Ha detto che se ne va.” – quasi si riscosse, per aggiungere quell’informazione – “E di non dire nulla.”

“E questo ti sorprende?”

“No.” – scosse la testa – “No.”

 

“Ma…”

“Non c’è un ma, Doyle.” – Angel lo guardò dritto in viso – “In questa storia c’è un Se. E non hai bisogno che ti dica io a quale mi riferisco.”

 

Si. Era vero.

Doyle non aveva bisogno di sentirselo dire.

Rimase zitto, abbassando lo sguardo.

 

E toccò a Angel, prendere un’altra volta la parola.

Come se, all’improvviso, quelle poche parole gli avessero richiamato un altro particolare all’attenzione.

“Mi faccio una doccia.” – disse, congedandolo – “Ho ancora una cosa da fare, prima che se ne vada…”

 

***

 

“Tu sei fuori di testa.” – Methos non si capacitava – “Ma andiamo, a che gioco credi di giocare? Adesso è tardi perchè tu possa andartene.”

Se ne stava seduto sul divano, al centro del suo appartamento e guardava Edward, impegnato a sistemare i suoi bagagli.

Aveva svuotato la valigia, sul tavolo. E ora, con cura, impilava i suoi vestiti, piegandoli e ritirandoli nella vecchia sacca tinta castagna.

E Methos, glissando sul tanfo di vino e sull’assenza delle sua pregiate bottiglie, con ancora la giacca indosso, si domandava dove Edward tenesse il cervello.

 

Probabilmente in un posto difficile da rintracciare.

“Andiamo, Coventry, lo sai benissimo che non puoi farlo.” – si alzò, allargando le braccia e andando verso il tavolo – “Angel ha riconosciuto te, Spike ha riconosciuto me.. quanto credi ci vorrà a entrambi per parlarsi?”

“Angel ha detto che non gli dirà nulla.” – rispose Edward, infilando un’altra maglia nella borsa – “E io gli credo.”

“Certo.” – annuì l’altro, piantando i palmi aperti sul ripiano di cristallo – “Anche io mi fido di Angel. Ma Spike? Vogliamo parlare della sua attitudine a ficcarsi nei guai?”

Edward sorrise, tenendo gli occhi fissi su quello che stava facendo. Ma non gli rispose.

“Bravo.” – si complimentò Methos, togliendosi la giacca e tirandola su una sedia – “Mi complimento per la tua decisione di lasciarmi nei guai.”

“Non sei nei guai.”

“Eccome se lo sono. Cosa cercasse William stasera non mi è per niente chiaro. E tu non immagini nemmeno quanto Doyle mi tormenterà se ti lascio andare.”

“Allora fermami.” – Edward alzò gli occhi chiari verso di lui, con calma – “Oppure prova.”

“Certo.” – annuì l’uomo, con veemenza. Prima di voltarsi e tornare a centro stanza, con aria poco convinta – “Certo.”

“Bravo.” – si complimentò Edward, tirando la cerniera e afferrando la giacca – “Ottima scelta.”

 

Il suo cellulare stava suonando. E Edward, gettando un’occhiata divertita al suo borbottante mentore, rispose.

“Ciao.” – disse, fidandosi del nome apparso sullo schermo – “Stavo per chiamarti.”

Methos si era voltato, interrogativo.

“Si, riparto tra poco.” – stava dicendo Edward, finendo di riempire una sacca laterale. E abbassando il ricevitore – “Methos, Lizzie ti saluta.”

“Grazie, ricambia.” – replicò, immusonito l’uomo. Inammissibile la calma con cui prendeva il tutto.

“Ti saluta anche lui.” – stava aggiungendo il ragazzo – “No, non torno subito.. mi faccio un giro.. arriverò tra un paio di giorni.

Tutto ok da quelle parti? Saluta gli altri da parte mia.

Ciao bella… ciao.”

Fatto. Riattaccando Edward concluse i preparativi. Si posò le mani sui fianchi, valutando di aver preso tutto.

Poi si infilò il giaccone, frugando nelle tasche per cercare le chiavi.

“Sono a posto.” – spiegò, guardandolo – “Vado.”

 

Non era abitudine di Methos salutare coloro che partivano.. o quelli che restavano.

Prendeva un’espressione impescrutabile e restava fermo, quasi pensasse di poter rallentare gli attimi restando immobile.

Fingendo che fosse una cosa poco importante.

 

Era uno dei rarissimi casi in cui Edward provava tenerezza nei suoi confronti. Forse, era addirittura l’unico momento della sua esistenza in cui si rifiutava di pensare.. di accettare la realtà dei fatti.

 

Edward tamburellò con la mano in tasca, soppesando il da farsi.

Non si erano detti quasi nulla, da quando Methos era rientrato.

Nulla di veramente importante sull’accaduto, nulla di quello che Angel aveva detto.. o che lui aveva detto a Angel.

Methos aveva raccontato del breve scontro con William… ma Edward non aveva ricambiato quelle confidenze. In silenzio, riordinando i suoi oggetti come i suoi pensieri, aveva ascoltato.

Cercando una risposta che non riusciva a trovare, un viso che non sapeva realmente come fosse.

Un ricordo a cui aggrapparsi, capace di scaturire dall’eco di quella voce forte e sicura che lo aveva apostrofato nella notte.

 

William…

 

Willy…

 

O Spike?

 

Non aveva importanza… non doveva averne, se voleva veramente andarsene.

Sospirò, tirandosi indietro i capelli e inforcando gli occhiali da sole.

“Decisamente avrò una buona giornata.” – commentò, guardando le finestre e la luce quasi accecante della California.

“Non è vero. Lo sai.”

“Bad day, allora.” – sorrise, guardandolo un po’ storto – “Come nella canzone che ti piace tanto.”

Methos sembrò rifletterci, fissando il soffitto.

“Si.” – annuì, alla fine- “è possibile.”

E si avvicinò, tendendo una mano.

Vada per Bad day.” – concluse.

 

Ed Edward l’aveva fregato.

E gli aveva reso il favore del mattino.

Se ne era fregato della mano tesa verso di lui e gli si era aggrappato al collo.

Con la tenacia con cui affrontava ogni cosa.

Gli occhi chiusi e il cuore impazzito.

“Grazie di tutto.” – aveva sussurrato.

Poi, prima che Methos potesse replicare, aveva preso la sua sacca ed era fuggito.

 

Grazie di tutto.

Grazie di questa mia vita.

Grazie.

Come sempre.

 

Con un sospiro di tolleranza, senza preoccuparsi di sentire il motore della moto e l’inizio del viaggio di Edward, Methos si voltò.

E accese lo stereo.

Cd tre, canzone cinque.

Bad day.

 

Fai buon viaggio, Coventry.

 

***

 

Il cortile dietro casa di Methos era sterrato e in disordine. Ma andava bene, con quella vecchia tettoia, per la sua moto.

Una splendida Harley, solida e perfetta, nata apposta per le strade americane.

La luce degli occhi di Edward.

Il ragazzo armeggiò con le cinghie, bloccando i suoi bagagli. E la spada, nella custodia fatta apposta, nascosta ma comoda, in caso di necessità.

La lama, scivolando nel suono, sprigionò quel tipico suono, dandogli una percezione concreta di quello che stava facendo.

Partiva.

Se ne andava.

Abbandonava Wiliam un’altra volta. Ancora una volta sceglieva per entrambi.

E lo lasciava libero.

 

Si sedette sul sellino, decidendo di non mettere il casco, almeno per qualche chilometro. Per godersi il sole.

Si sfilò gli occhiali, infilandoli nella giacca. E si liberò anche di quella.

Una mattina troppo bella per sprecarla, valutò, alzando gli occhi.

Bad day, certo…

 

Tolse il cavalletto e si voltò, verso l’ombra, in fondo al cortile, verso un ingresso secondario e dismesso.. si poteva intuire dalle erbacce che vi crescevano sulla soglia.

 

E fu allora che lo vide.

Gli occhi nel buio. Scuri come la notte.

Eppure luminosi.

 

Lo guardò in silenzio, ponderando l’idea di mettere in moto. Poi si rassegnò all’evidenza dei fatti.

E scese dal suo mezzo, incamminandosi verso di lui, con l’ombra di un sorriso.

“immagino.” – commentò, fermandosi, con le mani in tasca – “Che liberarsi di te sia impossibile….”

“Quasi.” – concordò Angel, rimanendo al sicuro, sotto il vecchio arco che permetteva l’accesso alle cantine – “Ultimo tentativo per averla vinta.”

Edward rise, alzando gli occhi al cielo. E infilando le mani nelle tasche dei jeans.

“sei un vero irlandese.” – si complimentò, divertito.

Ed Angel lo guardò di traverso, mentre Edward lo raggiungeva, sulla linea di demarcazione tra luce e ombra.

“E questo come lo avresti scoperto?” – chiese.

“Sono più vecchio e saggio di quello che sembro…” – replicò lui, con un’alzata di spalle – “So parecchie cose… Angel…”

“Già.” – Angel annuì, prima di tornare a fissarlo – “Me ne son accorto.”

 

Edward gli sorrise.

In quel modo suo, unico. Poi gli tese una mano.

Protendendosi nell’ombra.

“Arrivederci Angel.” – mormorò – “prima o poi ci rivedremo.”

 

Fu un contatto strano. Per entrambi. Per quel contatto di due temperature e due mondi agli antipodi.

Per quella linea sottile su cui stava avvenendo.

Per quel protendersi, uno verso l’altro, pur restando su fronti differenti, su opinioni, su scelte opposte…

“Fai buon viaggio, Eddy…” – mormorò.

Lo vide annuire.

E lo chiamò.

“Aspetta.” – disse, quando lo vide voltarsi, interrogativo – “Non sono venuto solo per.. per salutarti. O per convincerti a fare tutto l’opposto di quello che hai deciso.”

Si interruppe, dosando le parole.

“Il fatto è che io.. ho una cosa che ti appartiene.. e volevo restituirtela.”

Edward aggrottò le sopracciglia, perplesso. E si avvicinò. Angel gli stava porgendo due cose. Un oggetto.. e una busta.

E l’oggetto era.. era splendido. Una fattura antica, che gli richiamò il ricordo degli oggetti di casa sua, degli argenti che sua madre manteneva maniacalmente lucidi.

Una scatoletta, allungata, leggermente incurvata.. quasi si dovesse adattare a una tasca.

“Spike me l’ha dato tanto tempo fa… “ – spiegò. Ma io credo che sia giusto.. sia giusto restituirtela. E l’altra è…”

si interruppe. E lo guardò. Edwrad aveva preso l’oggetto, il portasigarette d’argento con perplessità. Quasi non lo riconoscesse.

“Aprilo.” - Lo incoraggiò – “C’è una data.. e una scritta.”

L’argento tra le sue mani, aveva un’impronta leggera ma visibile di sudore, mentre armeggiava per aprirlo. All’improvviso capiva. Capiva molte cose.

E quelle parole cesellate non furono altro che una conferma.

 

La mia vita.. la mia meravigliosa vita innanzi agli occhi…

 

"A mio fratello. Per la strada che percorreremo assieme. William"

1857

 

Dalle labbra gli era sfuggito un singhiozzo. Strozzato, incontrollabile.

 

La bocca, quasi indecisa, in quel fiume di emozioni si era inarcata in un sorriso.

Ma gli occhi che si erano alzati verso Angel erano pieni di lacrime.

 

Edward si era posato una mano sulla tempia, quasi non riuscisse a resistere a un dolore pulsante.

 

Angel aveva fatto un passo verso di lui, prima ci capire che quella luce a cui Edward apparteneva li stava separando.

Che la sua natura, la sua natura dannata, non gli permetteva un passo oltre.

Edward, lo chiamò.

 

Ti prego… ti prego lasciati aiutare.

 

Era tutto come sempre. Come era stato con Kate e suo padre, come era stato con Joyce e Spike, una vita fa.. la sua natura gli impediva di andare oltre. La sua natura lo segregava, per l’eternità.

Nel buio.

Ancora troppo lontano dal dolore umano.. eppure così vicino.

 

Edward era tornato a voltarsi. E gli sorrideva. Le sue spalle erano nuovamente ferme, come la sua espressione.

Ma i suoi occhi.. quelli erano un mondo a parte.

“Gli avevo detto che volevo cominciare a fumare.” – disse, con voce malferma – “che quelle sigarette francesi mi incuriosivano… non pensavo mi avesse preso sul serio.”

 

Angel lo guardò, non sapendo bene cosa rispondere.

“Non l’avevi mai visto?” – azzardò. Guardandolo, mentre con un passo varcava la soglia. E entrava nel suo mondo.

Nel freddo umido dell’oscurità. E si appoggiava ad una delle paratie in mattoni, di fronte a lui.

“No.” – accennò con il capo, senza curarsi di quella lacrima solitaria che scivolava giù dalle ciglia – “Noi.. non abbiamo mai festeggiato quel compleanno… non insieme.”

Aveva alzato la testa. Edward, i suoi occhi e i suoi misteri.

“Me ne sono andato prima.” – aveva aggiunto, semplicemente, tornando a stringere quel piccolo oggetto, ricordo di un ricordo che non avevano – “Ho compiuto i ventiquattro anni oltre il confine… in pieno oceano… non ero mai stato così lontano da William in vita mia.”

 

Edward era nell’ombra. Ma il suo sguardo si spingeva nuovamente nella luce, con la stessa bramosia di quello di Angel.

Guardava lontano, nel sole, nel corridoio dei ricordi. Sentiva quasi l’oceano… come allora.

 

1857, coste del Portogallo

 

Se ne stava in piedi, sul ponte. E fissava il nord, cercando una costa che non riusciva a vedere più.

L’Inghilterra era svanita.

Da giorni, ormai. Ma Edward la cercava, sempre, ogni mattina.

Avvolto nel mantello che Methos puntualmente abbandonava su una delle panche, la sera, prima di imboscarsi in cambusa a caccia di un buon Brandy.

Mantello che Edward raccoglieva, all’alba, lievemente brinato, umido eppure ancora caldo. E confortante.

Avanzava fino al ponte.. talvolta persino su quello di manovra, per aggrapparsi al sartiame e fissare l’orizzonte.

L’orizzonte del nord, dove andava avanti la sua vita perduta.

 

Ventiquattro anni.

Meno di un mese di vita nuova.

Chissà da cosa si cominciava a contare…

 

Siamo ancora chi eravamo, quando il nostro cuore accetta l’eternità?

 

O siamo cambiati, nuovi…

Siamo troppo lontani, ormai.” – commentò, appoggiando la fronte alla mano, stretta a pugno intono alla fune – “Non è vero, Doc?”

Lo siamo già da tempo.” – commentò, serafico, l’uomo, al suo fianco. In maniche di camicia, quasi incurante del vento che iniziava a soffiare – “E’ perduta, almeno per il momento.”

Edward si voltò, verso di lui, incorniciato da un’altra alba.

Ti sbagli.” – si dissociò, con un sorriso – “E’ perduta per sempre.”

 

“Dio, quanto tempo è passato.” – mormorò, tornando al presente – “Non credevo sarei mai riuscito a tornare… la mia terra.. la mia vita…”

“Alcuni di noi rimangono esuli per tutta la vita, Edward.” – sussurrò, Angel, guardando lo stesso cortile e la stessa luminosità – “Ci alziamo un mattino e capiamo che siamo lontani. Troppo lontani per tornare. Che tutto è cambiato. Alcuni si illudono.. e alcuni…”

“Alcuni vanno avanti, non finisce così la storia?” – sorrise il ragazzo, girando ancora tra le mani il portasigarette. E badando, d’un tratto, alla busta che il vampiro ancora stringeva tra le mani – “E quella? Poesia per accomiatarti?”

angel lo fissò, di traverso.

Era impossibile capire veramente come sapesse risorgere, ininterrottamente, dai suoi dolori. Come se le paure, le angosce, i dispiaceri lo attraversassero con troppa forza prima di disperdersi nella sua comprensione innata dell’esistenza.

Si, impossibile.

Assolutamente.

“Non so scrivere.” – replicò Angel, ieratico, porgendogliela – “Ho disegnato una faccina con una mano che saluta però…”

“Scommetto che è un capolavoro.” – annuì l’immortale, aprendola e estraendo il foglio.

E dispiegandolo.

Con un tuffo al cuore. Incontrollabile.

 

Un profilo forte. E gli occhi alzati verso l’alto. Verso qualcosa di importante.

Le labbra dischiuse in un soffio di vita, quasi non potesse che rimirare un capolavoro intelligibile del creato.

Il rapimento che manifestava da bambino, in piedi innanzi alla cattedrale. Lo sguardo della sua adolescenza, l’improvvisa comprensione delle cose troppo grandi.

Quella sua incomprensibile innocenza.. quella sua dolcezza disarmante in una scorza maschia e ormai adulta.

Un uomo.

Un fratello di cui essere fieri.

La bellezza del guerriero con gli occhi del poeta.

 

Silenzio. Il silenzio era caduto tra loro.

 

E fu Angel a romperlo, con voce profonda.

 

“Tanto vale che te lo dica…” – commentò, mentre Edward fissava il ritratto – “Lui non è sempre così. Certe volte è indisponente, gli sporge il mento e gli occhi diventano grigi e ostili… diventa persino buffo, quando cerca di farsi venire l’espressione intimidatrice... ma io... io è così che lo vedo…”

Edward aveva alzato gli occhi verso di lui.

In attesa.

“E’ così che lo vedo.. dalla prima volta che l’ho incontrato.” – aggiunse – “Negli occhi si porta tutta la sua esistenza. Per William l’eternità non è mai stata un segreto… come per te, del resto…”

Sull’espressione di Edward passò la sorpresa, quasi Angel l’avesse colto in fallo.

C’era ben più di quel che si pensasse in quella frase, poteva sentirlo.

Poteva accettarlo.

 

Si, Angel sapeva.

Solo uno che avesse voluto veramente bene a William avrebbe potuto comprendere… vedere.. vedere oltre.

Si, Angel vedeva.

E non c’era nulla da aggiungere.

“Vai, prima di cambiare idea.” – aggiunse il vampiro, accettando il suo silenzio come la migliore delle risposte.

Guardandolo stringere gli oggetti tra le mani, riporre il foglio nella busta, come una reliquia.

“Noi Coventry non ci fermiamo mai a metà strada, Angel.” – commentò, raddrizzandosi – “Questo, almeno, dovresti saperlo…”

“Lo so, Eddy.” – Angel gli sorrise, guardandolo incamminarsi e svanire nella luce accecante – “Eccome se lo so…”

 

***

 

Non si erano salutati.

Se ne era semplicemente andato, uscendo dall’oscurità.

E, poco dopo, il motore della sua moto aveva detto il resto.

 

Anche Methos l’aveva visto. Veloce, alzando polvere nel derapare per uscire dal cortile. Capace di scendere quel gradino insignificante del marciapiede in accelerata.

E correre, i capelli biondi gettati indietro, qualcosa di luccicante nella mano sinistra.

Quel suo impossibile sorriso sulle labbra.

 

Bad day, amico mio… come ogni volta che te ne vai.

 

A presto, commentò, nel frastuono dello stereo a tutto volume.

Non mi deludere…

 

***

 

E così si era giunti alla fine della sciarada.

Angel accarezzò il ripiano del suo scrittoio e fissò, pensieroso, la consunta decorazione dorata impressa sul cuoio.

Si, era finita.. almeno per il momento.

Se ne era andato.

 

Quando era rientrato, Doyle era sembrato deluso.

Forse, come lui, si era abbandonato a qualche utopia di troppo. e anche se non aveva detto nulla, Angel aveva sentito i suoi occhi accarezzargli le scapole.

Cordelia, d’altro canto, non si era sentita in dovere di accorgersi di nulla.

Anzi, si era addirittura lamentata della noiosità delle sue giornate, sotto uno sguardo scettico che solo Faith poteva sfoggiare con quell’efficacia.

Eppure la cacciatrice, per quanto in disaccordo, non aveva commentato.

Era stanca e dolorante.

Non aveva fatto altro che andare avanti e indietro, dentro e fuori l’albergo per tutto il giorno. Come se ci fosse un particolare che le sfuggiva, un’inquietudine che non riusciva a levarsi di dosso.

Al suo ennesimo giro, un minuto dopo il tramonto, era stata aggredita.

Ed aveva riportato a casa la sua dura pellaccia non senza qualche escoriazione.

E, a casa, seduto vicino alla scatola del pronto soccorso, aveva ritrovato la sua adorata metà, con un’aria decisamente inferocita.

 

In effetti, considerò Angel, Spike non aveva tutti i torti ad essere tanto arrabbiato con lui.

Un po’ più problematico sarebbe stato ammettere, in caso di chiarimento, che i veri motivi per arrabbiarsi gli erano ancora del tutto sconosciuti.

Già.. sconosciuti per il momento.

Ma Angel non si illudeva.

Era un segreto immenso perché gli sfuggisse. Non fosse divenuto vampiro, Spike avrebbe avuto un futuro nel settore intuizioni. Su questo non ci pioveva.

E anche se, per ora, Spike gli serbava rancore per un ordine a cui aveva dovuto sottostare e che avvertiva come una prepotenza gratuita, Angel già si sentiva in torto per tutto il resto.

Giusto per mettersi avanti con i lavori.

 

E sarebbe andato avanti a flagellarsi, contemplando il ritratto incriminato di Edward se non avessero bussato alla porta.

“Avanti.” – mormorò , facendo sparire la cartella e il disegno in un cassetto.

E vedendo affacciarsi, dallo spiraglio, l’importante naso di Methos.

“Posso accedere al santuario?” – lo canzonò, sporgendo la testa.

“La parte preziosa che possiedi è già al suo interno…” – commentò il vampiro, intrecciando le mani sullo stomaco, managerialmente – “Per cui può accomodarsi anche il resto.”

“Grazie, tropo buono.” – rispose methos, accomodandosi in una delle poltroncine di fronte. E posando impunemente i piedi sull’angolo della scrivania.

A memoria d’uomo, era l’unico che si concedeva una libertà del genere nello studio di Angel.. a parte Angel, ovviamente.

“Noto che ti sei anche servito.” – commentò il vampiro, guardando il bicchiere in cristallo lavorato pieno di un corposo liquore ambrato.

“Certo. Sono venuto apposta.” – alzò lo sguardo verso il soffitto, con aria distratta – “Volevo festeggiare la fine della rottura di scatole con uno Chateau Latour d’annata ma, quando sono andato per stapparlo… sorpresa!”

L’aveva detto in tono assolutamente svagato.. e l’espressione colpevole di Angel lo aveva messo di ottimo umore.

“Ti devo un passaggio sulla mia collezione.” – sospirò il vampiro – “Ricordamelo…”

“Già fatto, grazie. Hai un ottimo gusto, vorrei aggiungere.” – replicò implacabile l’immortale – “Comunque vi ringrazio entrambi. A parte il colpo a cuore che mi ha provocato la vista del ripiano vuoto, cosa da cui non mi riprenderò più, le fondamenta del palazzo sembrano ancora buone.. e i mobili sono quasi tutti intatti. Siete stati bravi.”

“Quasi… tutti?” – ripetè Angel, perplesso.

“Quasi tutti.” – confermò l’uomo, annuendo e sorseggiando pigramente un Bas Armagnac valutato tanto quanto un brillante di buona caratura – “Ma ti risparmio i particolari. Manderò il conto a quell’altro. Mi sembrava sangue suo…”

“Stai diventando un esperto del campo?”

“Frequentando te assorbo nozioni.” – concesse, facendo spuntare da sotto la giacca l’inestimabile bottiglia di Angel. E un secondo bicchiere – “Gradisci? Non amo bere da solo.”

“Ma si, grazie.” – annuì, allungandosi ad afferrare il calice – “allora, ti ha detto gli accordi?”

“No. Ma me li immagino.” – Methos ponderò la situazione e decise di confessarsi – “anche se, in questo piano discutibile, potremmo avere un’ulteriore piccola rogna.”

E, in quattro parole, gli raccontò l’accaduto, tra lui e Spike. Il poco che si poteva dire, senza parlare della vita di Edward, della malattia e di William.

Quelli erano affari che riguardavano solo Edward.. e solo lui poteva narrarli.

Raccontò soltanto di come Spike l’avesse riconosciuto. E si fosse imposto, in parte.

“Perfetto.” – ironizzò Angel, bevendo un altro sorso corposo.

“Volevo lo sapessi… visto che è la giornata in cui ti sobbarchi i segreti degli altri…” – Methos gli sorrise, prima di tornare serio – “Però, se vuoi la mia opinione, non c’è di che preoccuparsi.”

“Certo. Sono d’accordo. Intanto i disastri non si evitano preoccupandosi…”

“Mai sentito parlare di Prevenzione?”

“Mi dici da che parte stai?”

“Ma dalla mia, naturalmente.” – replicò, con naturalezza. Prima di decidere di tormentarlo ancora un po’ – “Allora.. commenti?”

“Su cosa?” – Angel sembrava non capire.

“Ma che domande! Non su cosa.. su chi.” – sottolineò l’immortale – “Ammettilo.. farebbe venire mal di testa anche a un santo.”

Angel sentì un sorriso spuntargli involontariamente sulle labbra.

“Infatti.” – replicò – “Mi domando come tu riesca a reggerlo.”

“Ci si fa l’abitudine.” – rispose, con aria da cospiratore – “Il primo decennio lo passi a cercare di capirlo.. poi ti rassegni.”

“Non ci credo.” – negò semplicemente il vampiro, quasi soprappensiero – “Quel ragazzo è un interrogativo ambulante con la luce dentro.”

“Bravo. Bella definizione.” – sorrise, versandosi un altro bicchiere – “Già mi manca…”

Si bloccò, la bottiglia a mezz’asta.

“Non dire a nessuno che ho detto una cosa del genere.” – gli intimò, puntandogli un dito contro.

“Mmm.” – Angel alzò gli occhi sopra il bicchiere che stava accostando alle labbra, con aria svagata – “Detto cosa?”

“Ma allora sei veramente bravo a occultare informazioni.” – si complimentò, ammirato – “Siamo a cavallo! Non lo scoprirà mai.”

“Non so nemmeno se augurarmelo…”

“In una situazione del genere entrambe le scelte sono sbagliate. E lo sa anche lui.” – methos vuotò con una sorsata il bicchiere. E si stiracchiò, soddisfatto – “E’ il suo peggior difetto. Se deve scegliere, sacrifica se stesso.

Quando si tratta di William, poi…”

“E’ prerogativa dei fratelli maggiori mancare di obbiettività.” – commentò Angel. E dai meandri della mente emerse lei. Lei, con quel sorriso disarmante, le mani tese, piene di fiori.

 

Guarda Liam, ho fatto una corona.. una corona per te.

Mettitela, così giocheremo ad essere il re e la regina delle fate.

 

Oh Kathie.. spero solo esista un paese delle fate.. e che tu sia là, ora…

 

Methos lo lasciò perdersi.

Conosceva quello sguardo.

Era quello delle persone che hanno troppi ricordi in cui cadere.

Pozzi profondi di rimpianti e troppi volti da conservare.

Fratelli.. anche lui ne aveva avuti, a modo suo. Ma sarebbe stato difficile da spiegare. Kronos, Kaspian, Sylas… si, erano fratelli per lui.

Di guerra. Ma fratelli.

 

“comunque” – esordì, interrompendo gli scomodi pensieri di entrambi – “Per questa volta è finita. Alla prossima, vedremo il da farsi.”

“Perché, abbiamo voce in capitolo?” – lo punzecchiò Angel, abbandonando il passato per il presente.

“Ma assolutamente no.” – replicò, con naturalezza alzandosi. E facendo risparire la bottiglia in una tasca del giaccone – “Bhe, sarà meglio che vada. Grazie per il goccetto.”

“Ma ti pare..per così poco.” – poi, colto da un dubbio – “Eri venuto per qualcosa di preciso?”

“In effetti si.” – dalla tasca opposta a quella dell’Armagnac, Methos estrasse un libro. Un vecchio libro consunto, rilegato in pelle – “Qualcuno l’ha lasciato sul mio tavolo. E visto che io ne ho già una copia.. e che al suo interno c’è una dedica…”

Glielo porse, senza aggiungere altro, con un mezzo sorriso.

“Spero che la poesia cinese ti piaccia.” – aggiunse, dalla porta – “Stammi bene.”

 

E un attimo dopo, era sparito.

Lasciando solo Angel, con quel volumetto dall’aria vissuta posato di fronte.

Lentamente, quasi assaporando la curiosità irrefrenabile che sentiva, allungò una mano. E lo ruotò, nel verso giusto, prima di aprirlo.

 

Vergata in una calligrafia sottile e sicura, nella prima pagina, c’era un’annotazione.

Con la data di oggi.

 

Al mio avversario più degno. E.

 

Nient’altro.

Angel fissò la frase, la rilesse alcune volte, sollevando il libro.

Era antico, rilegato di fresco.

Un libro che, con buona probabilità, Edward si portava appresso da molto.

Sulla seconda pagina, ormai sbiadita,in inchiostro ocra, c’era una seconda frase, illeggibile.

Un’altra dedica cancellata dal tempo, quasi un dito l’avesse troppe volte percorsa.

E fu nel compiere nuovamente quel movimento, nel carezzare quella carta porosa che Angel notò il segnalibro di pelle.

E comprese che non era stato lasciato a caso.

 

Ed aprì, nel punto indicato.

 

Chu Yuan ( 332 – 295 a. C.) , lesse, in cima alla pagina.

 

“In mano i lisci brocchieri…” – scandì, correndo con lo sguardo alla riga subito sotto.

E non riuscendo a trattenere un sorriso.

Adesso si, capiva.

 

Non tutto si può lasciare in sospeso… vero, Edward? Domandò, voltando la pagina e scendendo con lo sguardo, lungo le righe.

 

Fino a trovarla..

Eccola.

L’ultima strofa.

 

Tennero fino alla fine;

Nessuno li seppe piegare;

Perirono i loro corpi,

Ma le anime loro saranno immortali

Fra le ombre saran condottieri,

Fra i morti saran eroi

 

Si, capì Angel.

Adesso è veramente finita.

 

 

Epilogo

 

Dall’altra parte del pianerottolo, del tutto ignari di quell’andirivieni, Faith e Spike si godevano una breve parentesi.

Altresì detto, dormivano, prima di uscire per l’ultimo giro della giornata.

Dormivano, abbracciati, apparentemente sereni, il respiro di lei, regolare, a cullare il sonno di lui.

Un sonno popolato di immagini.

Di situazioni vissute.

 

Di Angelus, nello scantinato.. di faith tra le sue braccia.

 

Spike si mosse, cercando un appiglio al reale, stringendola un po’ più forte.

E risprofondando.

 

Correva, con Doyle.

Attraversava il parco.

 

Angel combatteva.

 

C’era troppa luce, per essere notte.

 

E lo sconosciuto gli dava le spalle.

Poi si voltava, nell’attimo in cui la freccia partiva dalla balestra.

 

“No, no…”

faith alzò la testa, guardandolo. Spike stringeva le labbra, aggrottava le sopracciglia atterrito.

 

Il coltello ruotava su se stesso.

Gli veniva incontro.

E lui non poteva spostarsi.

Perché, di fronte, di fronte a lui, il braccio ancora teso per lo sforzo del lancio…

 

C’era Edward.

 

Edward.

 

“Edward no!”

si era seduto sul letto, quasi rantolando.

Faith lo aveva stretto, trascinata nel movimento.

Gli aveva accarezzato le guance, l’aveva abbracciato, afferrato per le spalle, mentre ansimava, in preda al terrore.

Spike tremava. Come una foglia.

E faith ne era impressionata. E troppo preoccupata per porre domande.. e per cercare risposte.

“Calmati.” – sussurrava, ripetutamene – “Era solo un incubo.”

 

Era solo un incubo.

 

Solo un incubo.

 

E spike, all’improvviso, sembrò riacquistare il controllo di sè. Rilassò le mani che si stringeva al torace, proprio sopra al cuore, dove sembrava sentire un male intollerabile.

E annuì.

“Si.” – sussurrò, con voce rauca – “Era solo un incubo.”

 

(08 Marzo 2005)

 

Nota dell’autrice:

mi è stato chiesto di aggiungere una nota in calce.

La trascrivo qui sotto, così come mi è stata dettata durante una conversazione,

di modo che sia visibile a tutti

e destinata a sempiterna gloria:

 

io margot volevo uccidere il protagonista,

ma pedistalite m'ha fermata!

 

(nota della dettatrice: sono fiera di averti persuaso a farlo campare... se nn era per me si piangeva il triplo)

 

E riporto qui a seguito un estratto dalla conversazione messenger avuta a riguardo di modo che i posteri sappiano come siamo giunti a questa decisione.

 

25/02/2005 22.46.10 pedistalite

suona biblico, vero?

potresti inciderla in legno

o fare una cosina discreta in marmo

e metterla sulla menzola di fronte alla scrivania, così mi penseresti ogni momento”

25/02/2005 22.46.50 MJ

ti prometto che si leggerà bene”

25/02/2005 22.47.01 pedistalite

Si, mi raccomando il mio nome

bello grosso

che si veda”

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Capitolo 21
*** Atto II - Bad Day (1) ***


 

Bad Day

Seguito di Eternita’

 

 

 

 

 

 

 

 

I personaggi delle serie "Angel" e "Buffy, the vampire slayer", appartengono a Joss Whedon, la WB, ME e la Fox, l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

Crossover con la serie televisiva Highlander. Anche in questo caso, i personaggi appartengono ai legittimi proprietari e l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

 

 

E Edward, in quanto personaggio inedito, appartiene all’autrice

 

***

 

Dedicato all'Inconscio di Chiara che sottolinea come Edward sia anche un po' suo 

 

E a Giulia, perché crede al destino che ci ha fatte conoscere.

 

Infine, un ringraziamento particolare ad Alessandra,

amica in cui l'eternità probabilmente esiste da sempre

 

***

 

Per chi non fosse molto ferrato sulla questione immortali, alcune semplici regole. Ci sono persone che nascono destinate a divenire immortali. Ma questo accade solo se si va incontro a una morte violenta. Essi sono, in tutto e per tutto simili ai vivi e sono coinvolti in un gioco che prevede l’uccisione di altri immortali mediante il taglio della testa.

Come dice la memorabile frase, ‘Alla fine ne resterà soltanto uno.’

Nel momento in cui un immortale ne uccide un altro, ha inizio la Reminiscenza, ovvero un fenomeno inspiegabile in cui parte delle conoscenze dell’ucciso viene assorbita dal vincitore. Viene, inoltre, definita Reminiscenza la percezione della vicinanza di un altro immortale.

 

*** La comprensione di questa fanfic è strettamente connessa ai capitoli

Tempo, ricordi e Brindisi’ ed ‘Eternità’. Presenti rimandi anche agli altri capitoli delle Cronache.

 

 

 

[PROLOGO]

In un futuro imprecisato…

 

Un urlo.

Prolungato, asessuato, informe.

 

Ed Angel si svegliò di soprassalto. Si era addormentato nell’entrata, sdraiato su uno dei divani. Stava parlando... sì, certo, stava parlando con qualcuno.

 

Ma... ma l’urlo?

Una luce si accese, nel corridoio alle sue spalle.

E la voce di Cordelia, concitata, gli diede altri particolari dell’accaduto.

 

Angel si alzò, scavalcando il tavolino e correndo verso la porta del ‘regno di Cordelia’. E aprendola, incurante della privacy violata, dei mille motivi che si hanno di urlare in una camera da letto.

Cordy, tutto bene?” – domandò, la mano ancora stretta alla maniglia.

Io sì…” – annuì lei, ancora seduta in mezzo alle coperte, tirando le lenzuola, fino a coprire il seno – “Ma lui…”

Già, lui…

Proteso verso un comodino, un braccio a terra per puntellarsi, l’aria stravolta.

E il telefono in mano.

Non risponde.” – mormorò, stralunato, riattaccando – “Non risponde.”

Chi.” – in un attimo Angel fu al suo fianco, in ginocchio, mentre il demone si raddrizzava e cercava di scendere dal letto. Pallido come un cencio, un vistoso tremito alle mani – “Doyle, chi…”

Sei pronto a uscire, Angel?” – domandò, ignorando a sua volta la richiesta – “Dobbiamo muoverci…”

Vado a chiamare gli altri.” – aggiunse Cordelia, scaraventando lontano le coperte e posando i piedi a terra – “Suppongo ci servirà aiuto, come al solito.”

 

No.”

 

Era stato pronto e incredibilmente autoritario.

Tanto da far bloccare la ragazza, la bocca semiaperta, lo sguardo interrogativo.

 

Nessun aiuto.” – aggiunse Doyle, senza smettere di puntarle un dito contro, una scarpa nell’altra mano.

 

Fermo. Improvvisamente lucido.

 

Nessuno.” – insistette, prima di voltarsi verso Angel, ancora fermo, a lato del letto – “Soprattutto Spike.”

 

Angel, per un singolo attimo, lo fissò senza capire.

Un urlo, probabilmente una visione…

Una telefonata…

 

No, nessuno.

Soprattutto Spike.

 

Soprattutto Spike.

 

William…

 

Forse fu quella variazione nel nome, all’interno del suo pensiero a provocargli chiarezza.

 

Angel si rimise in piedi.

E Doyle gli lesse nello sguardo la comprensione necessaria. E l’apprensione.

 

Abbiamo un innocente da salvare.” – mormorò, inumidendosi le labbra.

Aspettando che annuisse.

 

Principessa.” – aggiunse, cercando di allacciarsi i bottoni della camicia, con quelle mani non riusciva a controllare – “Ti prego, non dire nulla agli altri... fidati di me.”

Cordelia si era infilata una vestaglietta rosa e stava giocherellando con la cintura.

Gli si avvicinò, con aria perplessa. E insinuò le dita tra le sue.

Afferrando i bottoni e cominciando a chiuderli.

Dimmi perché.” – domandò, sentendosi vicino a un cuore forte ma molto irregolare. Ascoltando con preoccupazione quel respiro affrettato – “E’ una visione… è... è su qualcuno che conosciamo?”

Doyle la fissò, indeciso. Poi scosse la testa.

No.” – mentì, in un soffio – “Ma riguarda un segreto... e gli altri non devono saperlo.”

 

Un segreto.

 

Così grande da stupirsi che lo sia ancora.

 

Cordelia annuì, con rassegnazione. E, un attimo dopo, con le labbra ancora umide per quel bacio frettoloso, lo guardò infilare la porta e correre, ancora semiscalzo, verso il garage.

 

***

 

Methos girò la chiave nella serratura e la porta si spalancò, sbattendo contro la parete e mancandolo di un soffio.

E poi?”- Methos li fissò irritato, strofinandosi la testa – “Spacchiamo i vetri e rovesciamo i mobili?”

E’ un’emergenza, Methos. Sono ore che ti sto telefonando.” – ribatté Doyle, piombando al centro della stanza. Spettinato, pallido e con una camicia abbottonata male – “Dov’è Edward?”

Chi?” – lo sbadiglio si interruppe a metà, rischiando di soffocarlo – “Edward chi?”

Doyle lo fissò sbarrando gli occhi. Poi la pressione gli schizzò alle stelle, come può succedere solo a un demone svegliato di soprassalto nel cuore della notte da un messaggio delle Alte Sfere.

Ti spiace svegliarti per favore?” – sbraitò, mettendo in mostra tutto il suo pessimo carattere irlandese, mentre Angel, alle sue spalle, chiudeva la porta – “Non abbiamo tempo da perdere.”

Methos lo fissò, grattandosi il lieve accenno di barba, con aria pensosa. Era arruffato, a piedi nudi, con un paio di boxer e una maglietta. Se non fosse stato per la spada che reggeva nella destra, sarebbe solo sembrato uno interrotto a metà di un giusto riposo.

Mpfh.” – commentò, con l’aria di chi è da sempre avvezzo a sopportare gente che urla – “Caffè, Angel?”

Non so se abbiamo il tempo.” - rispose il vampiro, perplesso, guardando l’immortale avviarsi verso la cucina – “Doyle ha avuto una visione, Edward è in pericolo…”

Eddy è sempre in pericolo.” – fu la pragmatica risposta. Sul passaggio aveva afferrato il cordless e stava componendo un numero – “Comunque, quando ieri è partito, stava benissimo.”

Ieri… come sarebbe a dire ieri! Era qui? Cosa ci faceva qui!”

Fatti gli affari tuoi.” – ribatté l’immortale servendosi una generosa dose di caffè e continuando ad ascoltare il segnale di libero nel ricevitore – “Quanto zucchero, eroe?”

Niente, grazie.” – rispose, senza rendersi conto di averlo fatto. E beccandosi un’occhiata omicida dalla sua Guida – “Edward era qui?”

Ma avete problemi di udito voi due?” – chiese, puntellando il telefono contro la spalla e passando due boccali colmi di ‘discutibile brodaglia nera e americana’– “Lisie, ciao! C’è Coventry da quelle parti? No? Ok, grazie, chiamo sul cellulare.”

I due lo stavano fissando, inorriditi dalla sua tranquillità. E dal fatto che avesse appena parlato con una sconosciuta alle sei del mattino senza nemmeno scusarsi.

Sì. Pensavano persino alle buone maniere, tanto erano sbalestrati da quella inattaccabile flemma.

Io lo ammazzo.” – bofonchiò Doyle, tirandosi i lineamenti con le mani – “Lo ammazzo.”

Calma.” – replicò con naturalezza Methos, componendo un secondo numero e bevendo un sorso di caffè – “Mi racconti la visione, intanto?”

Angel mosse lo sguardo da uno all’altro, giocherellando con l’ascia. E sentendosi vagamente fuori luogo. In effetti, le visioni di Doyle si potevano prendere anche così... forse…

Eddy, ciao.” – Methos rovesciò il resto del caffè nel lavandino – “No, tutto bene, che stai facendo? Così, per curiosità…”

Chinati!” – urlò Doyle, aggrappandosi al bancone, stringendo gli occhi, prima di portarsi entrambe le mani alle tempie – “Alle tue spalle!”.

Methos lo fissò, sorpreso. La sua espressione mutò, improvvisamente, divenendo attenta. Ma non i suoi occhi. Angel ne fu quasi sorpreso, nel buttarsi in avanti per impedire a Doyle di cadere.

Eddy, abbassati.” - Lo sentì urlare, senza soffermarsi su altre spiegazioni –“Chinati, Edward, chinati!”

Lanciò il telefono a Angel, e si precipitò verso Doyle, aiutandolo, mentre, con un tonfo, si sedeva a terra.

Dall’altra parte della linea, Angel riconobbe il rumore della colluttazione, il suono del ferro sull’osso.

 

Urla inconsulte, confusione.

 

E poi un colpo.

 

Edward, dannazione.” – imprecò, a denti stretti - “Dimmi almeno dove sei.”

 

Alle sue parole seguì un attimo ancora di confusione.

 

Il silenzio.

 

E una fiumana di parolacce in accento britannico.

 

Allora, eroe” - sentì ringhiare dentro il ricevitore – “Mi spieghi cosa cazzo state facendo?”

 

Bad Day

 

[I]

 

La bistecca, gelida e umida, gli colpì la contusione con suono avvilente.

Mi accontentavo di uno straccio.” – bofonchiò Doyle, da sotto il pezzo di carne – “Sono abituato a battere la testa.”

Lo so.” – replicò una voce caustica – “Ho sempre detto a tua madre di legarti al seggiolone da piccolo, ma non mi ha mai ascoltato. Ed ecco i risultati.”

Methos si alzò, facendo scrocchiare le articolazioni delle ginocchia. Allungò un braccio e prese il maglione con cappuccio, infilandoselo direttamente sopra l’elegante tenuta notturna.

Angel, a cavalcioni di una sedia, con un caffè appena fatto tra le mani, li guardò entrambi.

Sai, Doyle.” – azzardò, rivolto al demone sdraiato sul divano – “E’ la prima volta che ci basta una telefonata.”

Non diventarmi ottimista proprio adesso.” – fu la risposta – “E poi ti stai sbagliando. Se mai è la prima volta che le visioni mi danno un colpo a salve e poi la mazzata finale.”

Come dire che hai visto due volte la stessa cosa?” – Methos tornò verso di loro, portandosi, per precauzione, la spada appresso – “Interessante. Le repliche non sono poi così male.”

Oh, certo, ho rivisto proprio volentieri qualcuno che maciullava Edward!”

Finché non gli tagliano la testa…” – replicò distrattamente l’immortale, ascoltando la nitida reminescenza. E la sgommata furiosa di una motocicletta nel cortile – “ed eccolo... lupus in fabula.”

Anche Angel aveva sentito il motore. E la variazione di sfumatura in Methos. Era strano, come potesse intuire la percezione reciproca in loro, pur non essendone partecipe.

Si alzò, andando verso la porta. Qualcuno stava correndo su dalle scale, con foga.

Senza aspettare, afferrò la maniglia e aprì, permettendogli, con ampio gesto del braccio, di irrompere nella stanza, secondo lo stesso schema attuato da Doyle meno di mezz’ora prima.

Piacere di rivederti.” – commentò richiudendo l’uscio.

 

Edward girò su se stesso, inequivocabilmente incavolato come una bestia.

 

Evitami battute umoristiche.” – ribatté, lasciando cadere a terra la spada e puntandogli contro un dito, con fare minaccioso. Aveva una ferita mal rimarginata sulla tempia e i pantaloni insanguinati e strappati.

Bistecca pure tu?” – domandò Methos, apparendogli alle spalle e sollevandogli un ciuffo di capelli per valutare il danno – “Ciao Coventry, quanto tempo…”

Ciao Eddy.” – si aggiunse una voce soffocata dal divano, interrompendo una litigata quasi certa – “E’ bello vederti tutto intero. Non pensavo mi capitasse un’altra volta.”

Edward mosse rapidamente il suo sguardo da uno all’altro, con occhi tempestosi, quasi grigi. Poi si scostò, senza commenti, ignorando Angel e Methos. E si chinò, vicino al divano, piegandosi sui talloni.

Ciao Doyle.” - Mormorò, alzando un lembo di bistecca – “Credo di dovere a te la mia testa ancora attaccata al collo…”

Così dicono.” – replicò il demone, sorridendogli di traverso. Aveva un grosso livido quasi formato, in mezzo alla fronte – “Tutto ok, allora?”

Sembrerebbe.” – Edward gli sorrise, in quel suo modo indescrivibile. Per quanto contuso, o arrabbiato, Edward Coventry rimaneva sempre un balsamo per i nervi scossi. I lineamenti perfetti, l’espressione terribilmente assennata e amichevole… e poi quella luce. Quella luce che gli scaturiva dal profondo dell’animo, senza spiegazione razionale.

Doyle lo respirò quasi a pieni polmoni, beandosi di avergli salvato la vita. Almeno in parte, si intende. Palesemente, la maggior parte del lavoro l’aveva fatta Edward stesso, con la sua spada.

Come stai?” – domandò, cercando di fare conversazione – “A parte la rissa, si intende.”

Bene, grazie.” – rispose, educatamente, lasciandogli ricadere la bistecca sulla faccia. E voltandosi a fissare Angel. Con aria omicida – “Sto bene anche se sono stato attaccato da una decina di vampiri, di cui due con il machete, che hanno cercato di ridurmi ad un hamburger e mi hanno ammaccato il serbatoio della moto.”

Non li ho mandati io.” – replicò Angel, aggrottando la fronte, nel trovarsi fissato da quegli occhi chiari e implacabili.

Chissà perché quando non ti conoscevo queste cose non mi capitavano mai.”

Suvvia, Coventry.” – si intromise Methos, mettendogli in mano un biscotto sul passaggio e andando a sedersi in poltrona – “Lascia in pace l’eroe. E’ molto sensibile in questi giorni.”

Io non sono sensibile…”

Edward fissò il biscotto che aveva tra le mani. Uno con l’uvetta, grosso quel tanto che bastava da fargli dimenticare, per un secondo, il nervoso.

Poi alzò la testa e guardò Angel, ancora in piedi, appoggiato al tavolo, le mani in tasca.

Non ho detto che li hai mandati tu.” – bofonchiò, morsicando il dolce e sedendosi, con un unico movimento fluido, sul bancone della cucina – “Ma non mi è piaciuto.”

Ci credo.” – rispose il vampiro, massaggiandosi il collo, con occhi socchiusi – “Però hai ragione. Essere attaccato così potrebbe anche non essere un caso.”

Sai che hai una brutta faccia?” – commentò il ragazzo, continuando a masticare pensosamente – “Dormi abbastanza?”

Sono pallido perché sono un vampiro.” – replicò, sbadigliando – “E dormo quando posso, per cui…”

Si bloccò, guardandolo. Edward gli stava sorridendo, con aria bastarda. Lo stava sfottendo, in modo amabile, senza smettere di far colazione.

E Angel, dopo un attimo di sbandamento, si ritrovò a sorridere, scotendo la testa.

Era impossibile. Quasi quanto suo fratello.

Dalla padella alla brace.” – sospirò, recuperando il suo caffè e tornando al suo posto. Poco distante, tra il divano e la poltrona, Methos e Doyle stavano parlando. Ed emanavano una tale aria di famiglia, che Angel non volle interromperli. Per tanto si girò, quel tanto che bastava da scambiare due parole con Edward.

 

Edward Coventry era una di quelle persone che ti basta incrociare una volta nella vita per sentirti già una persona fortunata. Dal loro primo incontro erano trascorsi circa cinque mesi. E, ad esser sinceri, era stato anche un inizio burrascoso, fatto più di discussioni fisiche e verbali che di chiacchierate.

Ma le colluttazioni nulla avevano tolto al reciproco rispetto.

E quando Edward era ripartito, tutto sommato, Angel si era sentito dispiaciuto.

Quel sorprendente fratello di Spike lo incuriosiva, per il modo diretto di porsi, per la sottigliezza di ragionamento, per la forza di volontà che si poteva percepire.

Sì, quel fratello di Spike era come Spike. Tutto da scoprire.

E, per giunta, era immortale.

Un fattore che provocava sempre, in Angel, una sensazione indescrivibile. Una sensazione simile al sollievo. Al sollievo di sapere che esistevano bellezze non destinate a sfiorire tra breve, forze capaci di travalicare il tempo senza dannazione.

Sì, l’eternità di Edward lo rassicurava.

Era un messaggio dal tempo, come un messaggio di speranza.

Chissà se su Spike avrebbe avuto lo stesso effetto?

In un certo senso Angel sperava di sì, di non sbagliarsi. Perché Spike aveva bisogno di trovare ancora qualcosa in cui credere fermamente, nel giorno in cui avesse scoperto la verità.

Una verità che, a torto, ormai gli tacevano in troppi.

 

D’improvviso, rispondendo a un’intuizione, Angel lo fissò in viso. Con un’intensità tale da obbligare Edward a ricambiare, con attenzione.

Angel era quasi la sua immagine in negativo, si sorprese a pensare. Oscuro, profondo e incomprensibile. Occhi neri d’onice, di una notte senza riflessi.

Angel.” – disse, quasi in riconoscimento, nel ricambiare quell’occhiata.

Guardandolo esitare, prima di rispondere.

Spike sta bene.” – disse, cercando di essere pacato. E non sentirsi fuori luogo – “Lui e Faith sono felici, tra una litigata e l’altra. Gli manchi, come sempre.”

Un’ombra passò veloce negli occhi cerulei dell’immortale. Presto diradata da un sorriso.

Grazie.” - Mormorò, semplicemente.

E quando chinò la testa, i capelli lo incoronarono d’oro.

 

Londra, 1855

 

Il salone era come un’immensa cupola d’oro in cui i ballerini si muovevano, rilucenti.

Edward alzò le braccia e la sua dama fece altrettanto, mentre i cerchietti che portava alle braccia tintinnavano. E lei sorrideva, inarcando la testa.

Carrol era la sua più vecchia amica. Sua e di William.

Le fece un ultimo inchino, nel calar d’intensità della musica. E non si sorprese di vederla ricambiare, con l’innata eleganza della sua casta, prima di voltarsi ed avanzare verso l’angolo più appartato del salone.

La seguì, accettando il bicchiere che gli venne posto in mano. Lo sparato e la giacca gli stringevano le spalle. Ma, per uno strano miracolo, quella notte l’aria aveva un sapore dolce e privo di dolore nell’attraversargli le labbra.

Dall’altra parte del salone, Methos stava parlando con una elegante matrona. Come suo solito, aveva abbandonato le belle e educate figlie della società a favore delle madri più procaci.

Il suo gusto per la donna già sposata era quasi spudorato. E tollerato solo perché nascosto dietro alcune conversazioni sollecite e professionali.

Edward volse la testa, giusto in tempo per vedere Carrol tender le mani a William, e trarlo fuori dall’ombra.

I capelli di suo fratello, schiariti dall’ultimo sole d’estate, splendettero sotto le lampade ad acetilene e le distese infinite di candelabri. Era incredibilmente magro. E, si sorprese a pensare Edward, quasi senza tempo. Alcune rughe leggere gli circondavano gli occhi, beffandosi della giovanissima età, dei suoi vent’anni appena raggiunti.

I primi segni della mia malattia nei suoi occhi, pensò Edward, osservandolo piegare la testa, imbarazzato, con attenzione solo per l’esuberante damigella.

Andiamo, Willie” – stava mormorando la ragazza – “Non sarò Cecily, ma ho anche io gambe per ballare. E bisogno di un cavaliere!”

Ma, per questo…” – si difese il ragazzo, alzando gli occhi verso Edward, il quale scosse la testa.

No, grazie.” – rispose prontamente la ragazza, senza lasciarlo intervenire – “Edward è stanco di me. Portami a ballare, Will, lasciamo che questo vecchietto si riposi.”

Ma… come vuoi, Carrol, come vuoi.” – si arrese. Le lasciò le mani e la omaggiò di un inchino, educato e preciso – “Mi permetti l’onore?”

Anche di pestarmi i piedi.” – rise lei, accettando il suo braccio. E sorridendo trionfante a Edward.

Non era un segreto quanto fosse innamorata di William. Non un segreto, se non per William stesso.

Ed Edward, guardandoli allontanarsi, sperò e pregò che, in un domani non troppo lontano, ritrovandosi William solo e ormai figlio unico, Carrol sapesse portarlo verso una nuova famiglia e una nuova felicità.

 

Allora.” – esclamò, riscotendosi e fissando nuovamente Angel – “Mi vuoi dire cosa stai combinando?”

Io niente.” – si difese, con pazienza, il vampiro - “E’ veramente colpa di Doyle.”

Io vedo. Mica faccio.”

Sarà. Ma sei un uccellaccio del malaugurio.” – commentò Methos, sdraiandosi sul divano e obbligandolo a sloggiare con una spintarella dei piedi. Allungò le sue gambe secche e sprofondò comodamente nei cuscini, bevendo una bella sorsata di brodaglia.

E lo chiamate caffè, brontolò, non smettendo comunque di berlo.

Doyle, nel frattempo, rimesso in piedi a forza, la stava prendendo sul personale.

A cui si deve la bella testa di lord Coventry!” – rispose l’uomo, sbattendo la bistecca sul lavandino e guardandoli – “E non mi direte che non ho preservato un capolavoro!”

Il capolavoro ringrazia ma gradirebbe qualche informazione.” – rispose Edward, saltando giù dal mobile e cercandosi del succo d’arancia in frigo – “Ero in città per ritirare dei pezzi di ricambio e sono ripartito quasi all’istante. Faccio in tempo ad arrivare alle porte di Los Angeles che un bel gruppo di zannuti mi salta addosso e cerca di spappolarmi mentre parlo al telefono con voi…”

Z-zannuti?”

Sì, certo.” – Edward bevve un sorso, riempiendone un bicchiere anche per Methos – “vi chiamate in un altro modo tra voi?”

Vampiri?”

Ma si, l’esperto sei tu…” – un altro sorso e un bicchiere anche per Doyle, scavalcando il disordine di casa – “Come funziona la questione delle visioni? Ancora con il principio vedo e salvo l’innocente?”

Di solito sì.” – rispose il demone. ‘vedo e salvo l’innocente’... la definizione di sua madre – “Il problema, in questo caso, è che ti ho visto due volte di fila. E qualcosa mi sfugge…”

Di che tipo?” – domandò, scivolando sulla poltrona rimasta libera e allungando le gambe.

Del tipo qualcosa non mi quadra.” – mugugnò, massaggiandosi la faccia – “Ho battuto la testa, dammi tempo… c’eri tu, la moto, un vampiro con un coltellaccio…”

Si dice machete.”

Fa lo stesso. Intanto il vampiro ti attacca alle spalle. E tu sei al cellulare. Ti pieghi e sfili la spada… hai una spada nascosta nella moto?”

Una spada corta.” – replicò il ragazzo, annuendo. La Harley era abbondantemente modificata. Un lavoro necessario per chi non tollerava l’idea di fuggire – “Ed ho usato quella. Poi?”

Il resto è nebuloso. Ma tu confermi quello che ho visto, per cui…” – Doyle si interruppe.

Certo. Quella però era la seconda visione. Ma la prima, quella avuta nel suo letto, tra le braccia di Cordelia? Era stata tale e quale?

 

Doyle non si sentiva, in tutta coscienza, di poterlo garantire. Ricordava Edward colpito alle spalle, il sangue, la mano che afferrava la spada. Ma era nebbia. E anche il cellulare… ma sì, c’era un cellulare, cadeva, andava in frantumi… possibile che si trattasse della stessa visione? Perché? Perché due volte?

 

Edward…” – domandò, soprapensiero – “hai notato qualcosa di particolare in loro?”

Poco. Anche perché si nuclearizzano quando li stendi.” – si girò verso Angel. E con una certa qual luce maliziosa negli occhi – “Si dice nuclearizzare?”

Dipende... Di voi immortali si dice che moriate per scissione?” – replicò il vampiro, con tono neutro.

Sentite un po’, voi due.” – li richiamò all’ordine Methos – “E’ così che avete distrutto la mia pregiata enoteca, l’ultima volta?”

I toni erano un po’ più sostenuti ma la sostanza non cambia.” – replicò Edward, accostando il bicchiere alle labbra e nascondendoci dentro un sorriso. Prima di tornare serio – “Comunque non avevano particolari tratti… a parte uno, ora che ci penso.”

Del tipo?”

Edward fissò un punto indefinibile, in silenzio.

Non sono sicuro che sia una cosa importante.” – riprese, con lentezza – “Ma credo si trattasse di una bambola. Una bambola…”

Senz’occhi.” – lo interruppe Doyle, lo stesso guardo perso – “Una bambola di porcellana senz’occhi.”

Esatto.” – Edward annuì, facendo coincidere le parole di Doyle alle sue - “Uno di loro aveva una bambola tatuata sul petto.”

 

Il silenzio era calato, scaturendo direttamente dall’occhiata che Doyle e Angel si stavano scambiando.

 

Doyle assimilò quell’informazione. E la obbligò a combaciare con la visione. Sì, una bambola c’era, indubbiamente.

Ma…

 

Oh, ti prego…” – borbottò Methos, finendo di assestarsi un cuscino dietro la testa e facendo riscotere il demone da quei pensieri informi – “Ci manca solo quella rintronata…”

Vuoi spiegare anche a me cosa sta capitando?”

La risposta non ti piacerà per niente.”

Nessuna risposta mi piace molto, quando si tratta di vampiri. Senza offesa, Angel.” – si sporse in avanti – “Del resto… si sta parlando della mia testa…”

Si tratta di Drusilla.” – rispose Angel, senza curarsi che questo nome fosse privo di valore per l’immortale – “L’ho creata io…”

La Drusilla di mio fratello?”

Angel si bloccò e lo fissò. Con attenzione.

Credevi sul serio che non mi documentassi, Angel?” – replicò Edward, innanzi alla domanda inespressa – “Basta avere gli agganci giusti e un paio di dritte per sapere cosa cercare.”

A quelle parole, Doyle si voltò verso Methos, rimasto fino a quel momento pigramente in silenzio.

Bravo… una nuova fuga di informazioni dal Consiglio?”

Come se non fosse uno dei tuoi giochetti preferiti…” – ribatté l’immortale, guardandolo. E con un lampo onice nello sguardo – “mi sembrava che fossi tu quello che predicava una maggior conoscenza dei fatti…”

 

Già.

 

Doyle abbassò gli occhi e, per mascherare la sua espressione, si accostò a Angel e si accese una sigaretta.

Methos non si stava riferendo soltanto all’interesse che Edward poteva nutrire ancora per il fratello. Ma, in particolar modo, al legame tra i due. Edward e William, a quanto sembrava, condividevano ancora un futuro comune. Perché, altrimenti, incrociarsi nuovamente nella loro esistenza, in quello schema intricato di legami e conoscenze?

 

Una consapevolezza che ormai da qualche tempo, era fonte di discussione tra Doyle e Methos.

 

Perché qui? Perché ora?

 

Nei mesi successivi alla partenza di Edward,2003

 

Te lo dico in termini più semplici.” – rispose, con garbo, Methos – “E’ una emerita scemenza.”

Però… hai depurato il linguaggio dall’ultima volta che ne abbiamo discusso.”

Devo pensare alla mia pressione. Non intendo farmi scoppiare un embolo urlando contro di te.”

Potrebbe accadere?”

Non voglio sperimentare. Birra?”

Ovviamente.” – sospirò Doyle, chiudendo il libro con un rumore sordo – “Ma non è possibile che ti ostini a fare il tonto in questo modo. Deve significare qualcosa.”

Ma non significa nulla.” – cantilenò l’uomo, porgendogli la bottiglia e risedendosi sullo sgabello di fronte – “Il mondo è più piccolo di quanto pensi. E io ho conosciuto i ragazzi Coventry per puro caso, nell’ottocento.”

Certo. Hai conosciuto un ragazzo destinato a divenire immortale che, sempre per caso, ha un fratello che entra ed esce dalle leggende e dalle profezie, con anima o senza.” – Doyle bevve una sorsata potente e fece una smorfia – “Non puoi veramente credere che non significhi nulla.”

Invece è così. Ne ho conosciuti a bizzeffe di personaggi famosi. Oppure possiamo metterla in questo modo: pur con ottiche differenti, io e Angelus abbiamo gusti simili.”

Questa era un’affermazione terrificante. Doyle lo fissò inorridito.

"Ehi, non guardarmi in quel modo. Sei tu che hai cominciato con le farneticazioni.” – Methos si tirò su le maniche e piantò i gomiti sul tavolo – “La predestinazione, i segni, il continuo intersecarsi dei destini… l’incredibile futuro che le profezie ci indicano… credimi, Francis. L’Apocalisse non è fato. E’ business.”

E tu ne sei uno degli inventori, immagino.”

Sì. Potremmo dire così.” – l’immortale annuì, con serietà – “Tu confidi negli eventi futuri… ma io prelevo le mie informazioni proprio dalla ciclicità della storia. E posso garantirti che nulla significa veramente qualcosa.”

Doyle abbassò gli occhi. E afferrò il pacchetto delle sigarette senza un commento.

C’era una logica inattaccabile nelle parole di Methos. Perfettamente opposta alle regole in cui Doyle credeva fermamente dalla nascita.

Anzi, così opposta da domandarsi perché sua madre avesse tenuto tanto a legarli per l’esistenza.

Prendi mia madre…”

Ti prego, non ricominciare!” – Methos si alzò e aprì il pensile, cominciando a tirar fuori i piatti per la cena – “Parla dei Coventry, se vuoi, ma non di tua madre e della sua solfa sul nostro predestinato incontro. Sono sempre venuto in Irlanda e ho sempre amato le rosse.”

Dopo anni continui ad essere convinto che sia stato un caso? Incontri un cantastorie, quasi la sposi, ti sobbarchi suo figlio che un paio di decenni dopo è un cantastorie con una carriera di tutto rispetto che ti procura una Cacciatrice da seguire, cosa che non ti succedeva da… diciamo…”

Millecentottantadue anni.”

Davvero?”

Davvero.” – Methos aprì un cassetto e tirò fuori le posate – “Ma va’ avanti. Non avrai pace se non finirai lo sproloquio…”

Non una Cacciatrice a caso, ma quella che cambierà gli eventi. E che vive con Angel, il vampiro con l’anima, l’eroe delle profezie. E con Spike, l’uccisore delle Cacciatrici, colui che…”

Fermati.” – Methos gli passò i piatti – “E apparecchia. Non voglio sentire di nuovo la questione di Spike. Risparmiamela.”

Non vuoi sentirla perché sai che ho ragione.” – ribatté l’irlandese, saltando giù dallo sgabello e facendo il richiesto – “E perché ci porta dritti al punto. Edward e William devono incontrarsi. E quello che abbiamo fatto è stato uno sbaglio di proporzioni cosmiche.”

Concordo sullo sbaglio, me ne frego del cosmico.” – rispose l’uomo, serafico, porgendogli i bicchieri e buttando le bistecche sulla griglia – “Non mi importa di aver sballato i calcoli cabalistici tuoi e di Whydam-Price. Sono però sempre più in disaccordo con Edward riguardo la sua scelta personale. Doveva dirlo a suo fratello.”

Non è solo una questione affettiva, Methos.”

Sì che lo è.” – Methos interruppe l’operazione di taglio dei pomodori e gli puntò il coltello in mezzo agli occhi – “Perché su questo sono sempre stato d’accordo con tua madre. Prima vengono le persone della nostra vita, poi tutte le altre beffe che la specie umana si è inventata per credersi sopra le leggi di natura.”

Doyle, che stava approfittandone per masticare un grissino, lo fissò, a bocca aperta.

Edward non è una pedina nei vostri giochi.” – dichiarò Methos, tornando a massacrare le sue verdure con furia – “E’ solo un uomo che ha sbagliato per troppo amore.”

 

Troppo amore.

Tale e quale a William. Troppo amore in corpo per non esserne prima o poi vittime.

E quanto al difendere le persone della propria vita… quella sera ormai lontana, senza nemmeno rendersene del tutto conto, Methos gli aveva dato una vera dimostrazione.

L’amore acceca.

Lo sapevamo già.

Ma fino a che punto siamo noi a non voler vedere?

Doyle spostò lo sguardo, da Methos a Edward, nuovamente. L’immortale biondo si era voltato verso di loro, inglobandoli entrambi nella visuale, per discutere meglio con Angel. E, con la testa lievemente inarcata contro lo schienale, era a malapena evidente la somiglianza con il fratello.

Spike aveva le movenze del predatore, Edward era l’eleganza dello spadaccino fatta a persona. Il tratto di unione che ancora persisteva stava in quel leggero sorriso sottile con cui entrambi si facevano amabilmente beffa di Angel.

Doyle si portò la sigaretta alla bocca e nascose con le dita il sorriso involontario. Angel, con le braccia conserte e la voce perennemente pacata, accettava di buon grado il dibattito sulle conoscenze del ragazzo in campo vampirico.

Questi giusto per farmi un’infarinatura della materia.” – stava dicendo Edward, bevendo con calma la sua spremuta – “Hai qualche altro libro da consigliarmi?”

Direi che possono bastare.” – replicò il vampiro – “E in tutti questi testi, i vampiri sono sul serio definiti zannuti?”

Angel, lo zannuto con l’anima.” – lo sbeffeggiò Methos. – “Non suona così male…”

Il vampiro gli lanciò un’occhiata penetrante. Methos, probabilmente, spargeva delle strane spore nell’aria. Quando c’era lui era impossibile restare focalizzati su un problema. Anche nel pieno dell’emergenza, e la loro situazione sembrava coprirne ampiamente i requisiti, la conversazione non restava sull’argomento per più di un attimo.

E anche Edward, a conti fatti, sembrava affetto da questa caratteristica.

Se non per il fatto che era un Coventry.

E quindi era nato con un certo talento per l’effetto a sorpresa.

E adesso dimmi la tua.” – pronunciò, guardandolo dritto in faccia. Con attenzione, serio, fino in fondo agli occhi chiari – “Che tipo è Drusilla?”

Angel, per un soffio, rischiò di restare senza risposta e la bocca aperta.

Bhe... Drusilla è…” – una pausa, per rendersi conto si essere finalmente arrivati al nocciolo della questione – “Dru è pericolosa. In tutti i sensi. E’ folle, assolutamente imprevedibile. Non sapevo nemmeno fosse tornata…”

Sembrerebbe non essere tornata da sola, come suo solito. E’ socievole, per essere così stramba.” – commentò Methos – “E comunque non c’era stasera, al rendez-vous con Edward.”

Se c’era una bambola, anche solo dipinta, puoi star certo che Dru non fosse lontana.” – ribatté Angel – “Il problema è un altro. Drusilla lo sa.”

Drusilla sa cosa?”

Sa chi sei, Edward.” – replicò, con crescente sensazione di malessere – “E questo significa solo che sei in pericolo.”

 

Ed ecco che finalmente qualcuno si era deciso a dirlo. Methos gettò un’occhiata a Angel, prima di tornare a chiudere gli occhi e a godersi il suo comodo divano.

Emise un bel respiro, a metà tra il soddisfatto e il rassegnato.

Già. Drusilla sapeva. E non era poi questa gran scoperta, se si ragionava con la testa di Doyle e del suo protetto.

 

Il fratello di Spike, di cui nessuno a rigor di logica sa l'esistenza, attaccato da un manipolo di vampiri. Chi può essere il mandante, se non qualcuno connesso con la faccenda e in grado di ottenere informazioni mediante poteri paranormali?

Drusilla, che domande.

 

Una volta escluso Doyle, infatti, la lista si assottigliava decisamente, riducendosi a quella vampira bruna e inquietante, con occhi viola e vuoti.

L'assassina di William.

E il cantastorie mancato.

Una volta appurato questo fatto.” – commentò, senza preoccuparsi di guardarli – “Ci sarebbe da chiedersi se lo volesse vivo o morto…”

Bell'osservazione.” – si complimentò l'interessato, prima di voltarsi nuovamente verso Angel – “Varrebbe quasi la pena di domandarglielo.”

Angel lo fissò, sorpreso. Quell’immortale era un incosciente. O forse, uno di quei rari esseri con il dono di andare dritti al punto.

Sai che questa non è una cattiva idea?” – si intromise Doyle, dopo averci riflettuto un istante – “Andiamo a cercarla.”

E come, puntando un dito sulla cartina?”

No, Methos.” – ribatté, cercando di non strangolarlo – “Partendo dall'ultimo nascondiglio.”

Ma certo… chissà perché non ci ho pensato… l’ho visto fare anche in un film poliziesco, l’altra settimana… eppure credevo avessimo appena detto che è imprevedibile…”

Methos ha ragione.” – rispose Angel, mentre Edward si alzava e si stiracchiava – “E’ inutile cominciare a correre intorno. Cerchiamo di ragionare.”

 

***

 

Ti giuro, Doyle, che quando ho detto ‘ragionare’ non intendevo questo…” – si scusò Angel, ancora in ginocchio sul tappeto, davanti al divano su cui l’aveva sdraiato.

Però ha i suoi vantaggi.”- rispose il demone, aprendo un occhio e continuando a massaggiarsi la fronte – “Pensa quanto abbiamo risparmiato in neuroni e benzina…”

Noi di sicuro. Ma parlare ancora dei tuoi neuroni come se fossero materia viva mi pare esagerato.” – ribatté Methos, seccato come suo solito, porgendogli un bicchier d'acqua. Visioni, odiava le visioni! – “Con questo fanno tre volte in meno di due ore. Non ti sembra di strafare?”

Non me ne parlare… hai qualcosa per il mal di testa?” – Doyle si voltò. E mise a fuoco Edward, appoggiato a braccia conserte allo schienale del divano – “Lo sai che, se l’ultima volta avessi fatto quello che dicevo io, adesso avremmo la metà dei casini?”

Edward lo fissò perplesso. E poi gli sorrise, soltanto con gli occhi.

Tranquillo.” – gli rispose, con quel suo accento appena udibile – “In quel caso, oggi mi sarei inventato qualcos'altro.”

Doyle lo fissò dritto in viso, con quei suoi incomprensibili occhi azzurri.

Sapeva che stavano tutti aspettando di sapere il contenuto della visione. Eppure si prese deliberatamente ancora un attimo, per ragionare.

E per osare.

Dovresti dirlo tu a Spike prima che lo scopra in altro modo.” – mormorò, sentendo i passi di Methos che tornava con le aspirine. Si girò, guardando Angel – “Angel, Drusilla non resisterà alla tentazione. Lo andrà a cercare.”

Lo so.” – replicò il vampiro, alzandosi – “Ma adesso preferirei scoprire fino a che punto sia in pericolo Eddy. Il sole sta sorgendo. Dru non cercherà Spike fino al tramonto. Cerchiamo di stanarla noi per primi.”

Doyle gli tese una mano, perché lo aiutasse a mettersi in piedi. E, pallido e barcollante, cercò di visualizzare qualche particolare.

Una strada, un’insegna, un pezzo di panorama…

Ecco. Questo mi sembra di riconoscerlo.” – rispose Edward, dieci minuti dopo, con la cartina di fronte ed Angel a fianco – “Quel tipo di caseggiato... ci sono passato di fronte, andandomene…”

Voltò appena la testa. E fissò Angel. Erano quasi alti uguali, ma Edward provava una strana tensione a stargli accanto, quasi Angel fosse una vastità in grado di schiacciare.

Il suo corpo non emanava il freddo, eppure Edward aveva la sensazione di sentirlo comunque.

Sarebbe stato così anche con William, si fossero trovati uno a fianco dell’altro? Anche William era freddo, incredibilmente distaccato?

Quando gli occhi azzurri dell’uomo cercarono i suoi, Angel ebbe la netta impressione di poter percepire quel disagio. Un disagio senza condanna, senza ribrezzo.

Edward capiva e accettava la natura vampirica senza forma alcuna di rifiuto. Ma la conosceva anche per il suo tratto più caratteristico: l’alienità rispetto a se stesso, l’assoluta assenza di luce.

Angel, per Edward, era la non vita. E forse, considerò Angel con una punta di tristezza, era l’ottica più giusta innanzi a cui si fosse mai trovato.

Allora comincerò da lì.” – rispose, ricambiando l’occhiata.

Vorrai dire ‘noi’” – ribatté Edward, con un mezzo sorriso – “E, nella fattispecie, Doyle, Methos e io. E’ giorno, non vale anche per te il discorso tramonto?”

Verrò comunque.” – solo ora, parlando con Edward, era consapevole della sua possessività nel discutere con William. Il riconoscerlo come un pari ma il voler comunque tutelarlo come se fosse un ragazzino. Solo ora, nel non poter attuare la stessa tecnica con suo fratello Edward.

Il quale lo fissò, in attesa.

Non incontrerai Drusilla senza di me.” – aggiunse. E mosse un passo indietro – “E adesso, se non ti spiace, dobbiamo scambiare due chiacchiere in privato.”

 

***

 

Noi facciamo altrettanto?” – domandò Doyle, guardandoli salire le scale – “Dimmi quello che pensi veramente.”

Cosa vuoi sentirti dire, Francis?” – domandò Methos, girando la cartina e fissando il percorso che Edward aveva tracciato, a matita. Il suo tratto si mischiava a mille altri segni, su quel foglio. Era quasi una metafora della vita, dal dolce sapore della beat generation. La strada, la vita, la pace… la ricerca…

Forse dovresti dirmi perché Edward si ostina a non voler incontrare Spike.”

Credevo che le motivazioni ti fossero entrate in testa, a questo punto.”

Io credo che ritrovarsi di colpo Drusilla alle calcagna dovrebbe farti capire che…”

Mi fa capire tutto il necessario.” – Methos si raddrizzò – “Cosa vuoi, Francis? Vuoi sentirti dire che questa adesso è la mia battaglia? Che è la guerra a cui ho preparato Edward quando l’ho ammazzato? Spiacente, non è il mio campo, non è il mio gioco. Io e Edward abbiamo un altro destino, l’hai sempre saputo.”

Non potrà ripartire, questa volta.” – ribatté Doyle, fissandolo con intensità – “Dovrà affrontare i suoi fantasmi.”

Ti sbagli. Lui se ne andrà. Come sempre.” – replicò, con voce pacata – “Però posso garantirti che Coventry, tra i suoi scarsi difetti, ne ha uno particolarmente irritante.

Sa fare la cosa giusta.”

 

Golfo del Tonchino, 1902

 

L’aria era calda, pesante. Il sole su di loro rendeva inguardabili le lamiere della ferrovia ancora in costruzione. File ininterrotte di operai vietnamiti arrancavano sotto la luce martellante, senza un riparo.

Methos allungò pigramente le gambe, stando ben attento a restare sotto la copertura di bambù e si fece aria con il cappello. Edward, a torso nudo, aggrappato a una fune, si stava sporgendo oltre il bordo della giunca. E con le dita sfiorava il pelo dell’acqua.

Portava i capelli lunghi. E nei paesini della costa lo conoscevano come il pescatore d’oro, per quella sua chioma ribelle, per quei tratti bruciati dal sole e gli occhi di acqua liquida.

E Methos non era del tutto certo che quel soprannome gli spiacesse.

Mosse il cappello con più decisione e si tirò indietro i capelli, corti e lisci, brontolando. La camicia bianca che indossava gli si stava incollando addosso. Era scandaloso.

Mi dici cosa trovi in questa vita, Coventry?” – il cappello smuoveva solo aria calda – “Caldo, insetti, puzza di pesce… ti stai per caso inselvatichendo?”

Edward si voltò. E gli sorrise. Appoggiò saldamente un piede e si issò, sul bordo consumato dell’imbarcazione. Il braccio con cui reggeva la fune si tese, delineandosi di muscoli. E l’uomo, incurante dell’oscillazione anomala, protese l’altro verso il vuoto.

 

Getto via la saggezza.” – recitò, ridendo – “ripudio il sapere.

I miei pensieri vagano nel grande vuoto.”

 

Ruotò il busto, salutando un’altra imbarcazione. E la luce lo colpì in pieno, esasperando il contrasto tra i capelli e la pelle. Gettò la testa indietro, e la sua voce scivolò sulle leggere increspature azzurre.

 

I miei pensieri vagano nel grande vuoto. Stare sempre a pentirmi del male commesso non porterebbe il mio cuore alla pace. Getto il mio amo in un ruscello solo

ma la mia gioia è come avessi un regno.”

 

Bella.” – si complimentò Methos, annuendo – “L’hai composta per me? Mi fa piacere vedere che conosci ancora rituali civilizzati come la scrittura…”

No.” – ribatté l’inglese, risaltando sul ponte e cercando di capovolgere l’imbarcazione, mentre Methos si artigliava come poteva fissandolo con odio – “Chih-kang, nel terzo secolo dopo Cristo. L’hai conosciuto?”

Assolutamente no. Mi tengo lontano dai matti, di solito.” – scrollò i piedi, cercando di liberarsi di un’alga – “Odio l’acqua. E odio le barche.”

E sei qui per…” – lo incoraggiò Edward, incrociando le braccia e guardandolo.

Per riportarti nel mondo evoluto. Sei sprecato in mezzo agli ami. E non mi importa se hai deciso di darti al taoismo, fai pure. Ma torna nel mondo dell’elettricità e dell’acqua corrente, per favore.”

Non penso. E’ ancora presto.”

No, Edward, non lo è.” – Methos lasciò cadere il cappello e si sedette – “Prima il tempio. E posso anche capirlo, la terra consacrata ha sempre una certa attrattiva. Ma questo no. Non sei al sicuro e non sei soddisfatto. Vieni via.”

Edward si voltò. Afferrò una rete e iniziò ad issarla.

Cosa ti fa pensare che io non sia soddisfatto.” – disse, senza intonazione interrogativa. – “E’ un bel posto, la pesca è buona. E ormai so bene anche la lingua. Mi piace, qui…”

Methos si alzò e fissò una delle funi al montante, prima di aiutarlo nell’opera di recupero.

Il tempo passa comunque, Edward, anche quando sembra fermo.” – rispose – “A questo punto dovresti averlo imparato.”

Un ultimo sforzo. E i pesci restarono a dibattersi sul fondo della giunca.

Credi che non abbia desiderato anche io un posto in cui fermarmi, in cinquemila anni? Non posso nemmeno descriverti a parole i luoghi come questo che non esistono più. Vieni via Edward, non aggrapparti a una sola terra. Sei rimasto fuori dal gioco per fin troppo tempo. Il nostro mondo non si dimenticherà di te. E’ ora che torni in campo. Adesso basta.”

Edward alzò gli occhi. E fissò le coste verdi, la luca accecante.

Era il paradiso, così come l’aveva sempre immaginato.

Era la sua casa.

Ma Methos aveva ragione. E stava dicendo parole che nelle notti terse e soffocanti si era sentito rimbombare in testa. Era presto per scegliere la pace e l’esilio. Troppo presto.

Ed Edward annuì. Senza guardarlo, voltandogli le spalle.

Fammi solo finire…” – mormorò, afferrando un’altra rete –“…quello che ho cominciato.”

 

Farà ciò che deve.” – e ciò che sente di dover fare – “E io non lo fermerò, Francis, tanto vale che tu lo sappia.”

E indipendentemente da quello che penso.

 

***

 

Si erano chiusi nello studio di Methos, sul ballatoio. Ma Angel non aveva osato usurpare il posto dietro la scrivania, sotto l’arazzo bizantino. Era rimasto in piedi, appoggiandosi al pesante mobile che veniva usato come archivio.

Ed Edward si era seduto nella poltrona che riteneva sua per le lunghe volte che l’aveva occupata, in conversazioni interminabili.

Mi preparo alla predica?” – domandò, piegando la testa e guardandolo – “Siamo arrivati al momento fatidico?”

Però... se sai di meritartela, risparmio le parole.” – commentò Angel, appoggiando un gomito su uno dei ripiani. Si era tolto la giacca, restando semplicemente con il maglione nero – “D’altro canto, forse dovresti dirmi che intenzioni hai… visto che siamo cospiratori insieme…”

“…E che tu non sei nemmeno d’accordo.”

Esattamente. E non mi capita spesso di fare una cosa perché obbligato da qualcun altro. Dammi una motivazione, Edward. Rinfrescami la memoria sul perché lo stiamo facendo.”

Edward non rispose. Abbassò gli occhi, fissando il bordo lucido della scrivania. Angel stava ponendo la domanda senza risposta degli ultimi mesi. Perché.

Perché fare a William una cosa del genere.

In cuor suo, Edward sapeva di avere una buona motivazione, di non volergli sconvolgere la vita, di non voler riaprire vecchie ferite. William aveva una natura diversa, una vita propria, una nuova famiglia. Ed aveva sepolto la vecchia, come era giusto, come Edward stesso, nel passato .

Aveva Angel.

Aveva Faith.

Ed Edward preferiva restare un’ombra, come Cecily, come Carrol, come i loro genitori e gli amici più cari. Nella cenere. E nelle nebbie del tempo.

Eppure, in quei pensieri, si nascondeva il dubbio. Il dubbio di fargli un torto, di non ritenerlo capace di capire, adeguarsi. Ed Edward non l’aveva mai fatto, in vita sua.

La comprensione di William innanzi a ogni cosa era un fatto assodato, quasi un dogma.

Ma, a quanto sembrava, non abbastanza da fargli rinnegare la decisione presa.

 

La mia idea non è cambiata a riguardo.” – rispose. E tacque - “Ma posso ritrattare solo ad una condizione.”

E sarebbe?”

In ogni caso, voglio che lo sappia da me. Solo da me. Nessun capro espiatorio, nessuna rivelazione. Solo io.” – respirò a fondo – “E quindi, se ritieni che ci sia una seppur minima possibilità che Drusilla gli parli oggi, fai che dirlo.”

Angel rifletté, tamburellando sul laterale del mobile. E nell’anticamera del cervello gli passò l’idea di mentire e farlo correre da William, il più veloce possibile. Poi scosse la testa.

Non è abitudine di Dru dire chiaramente le cose che scopre.” – replicò – Girerebbe intorno all’informazione… ma ritengo che William capirebbe ugualmente. Soprattutto dopo il loro ultimo scontro serio. Per poco lui e Faith non ci hanno lasciato la pelle, per colpa di una farneticazione non capita…”

Edward non batté ciglio. Ma il cuore gli si compresse, sotto lo sterno. William e Faith avevano rischiato di morire. E lui non c’era stato. Non c’era mai, nei momenti di pericolo.

E il tempo?” – domandò – “Fino a stanotte? Ne sei sicuro?”

Fino al tramonto.” – lo corresse Angel – “Drusilla rimane molto abitudinaria. E aggiungo che non avrebbe mai il cervello di mettersi una coperta sulla testa per attraversare la città di giorno ed essere ricevuta all’Hyperion in giardino...”

Era una visione carina. Soprattutto perché Edward aveva una vaga idea di che tipo fosse Drusilla. Ne aveva visto un dagherrotipo, emerso dai polverosi ripiani della biblioteca di Londra.

Una ragazza bruna, dallo sguardo inquietante. Non riusciva immaginarla in altra posizione che non fosse quella caratteristica delle ragazze inglesi di buona famiglia, della generazione di sua madre.

Allora sono quasi dieci ore.” – rispose, facendo un approssimativo conto – “Direi che possiamo farcela.”

E poi? Cosa farai? Se chiudiamo la faccenda prendi la moto e vai?”

Qualcosa del genere. Ti manco già?”

Da morire.” – replicò Angel, poco convinto – “William non la prenderà per niente bene…”

Se non saprà che sono stato qui…”

Non intendevo quello.” – rispose Angel, riafferrando la giacca e movendo un passo verso la porta – “Oggi probabilmente impaletterò Dru. Senza invitarlo. E senza potergli mai dare una buona spiegazione del perché gli ho tolto questo piacere.”

 

***

 

Cordelia disegnava fiorellini sul foglio che aveva di fronte. E sopportava, con pazienza, gli sproloqui bugiardi del suo demone.

Fammi capire.” – lo interruppe, all’ennesima spiegazione falsa – “Non posso sapere dove sei, cioè a casa Pierson, e non posso sapere dove andrai perché intanto sarebbe una cosa da nulla per cui non ti serve nemmeno venire a casa a prendere le armi?”

Esattamente.”

Allora passami Methos.”

Come scusa?”

Mi hai capito benissimo, Francis Allen Doyle.” – scandì, socchiudendo gli occhi e trasformando il fiorellino disegnato in un istrice – “Voglio parlare con Methos. Subito.”

Doyle abbassò il cellulare. E poi lo tese all’uomo.

Mi spiace.” – mormorò – “Non ho saputo salvarti.”

Cordelia ciao.” – ribatté con naturalezza l’immortale, afferrando l’apparecchio – “Io proprio non capisco come fai a sopportarlo. E’ un insulto alla tua intelligenza.”

E mi auguro che tu non sia complice.” – ribatté implacabile la ragazza – “Mi dici cosa sta succedendo? E dove è Angel?”

Di sopra… sta racimolando informazioni…” – replicò, vago – “tranquilla, è una cosa da nulla. Talmente vecchia da non essere più nemmeno attuale.”

Alzò gli occhi, vedendo Edward scendere le scale. E si portò un dito alle labbra.

Ma no, Cordelia.” – rispose, con naturalezza, ascoltando le recriminazioni – “Posso passartelo eccome. Vado subito a cercarlo...”

Angel era alle spalle di Edward. E, quando il ragazzo si voltò, ne intravide l’espressione da martire con cui prese il testimone.

Cordy, ciao.”

Silenzio. A una signora che sbraita bisogna dare spazio e tempo.

Posso garantirtelo. Senti, c’è Faith nei paraggi?”

No, Faith non c’era.

E Spike dormiva.

C’era Wes, però.

Allora passamelo.” – replicò, sollevato all’idea di liberarsi di lei.

Angel?” – il tono di Westley era così pacato da fargli venir voglia di piangere – “Serve qualcosa?”

Non ne sono sicuro.” – rispose – “Ho bisogno un favore. E non allarmare nessuno da quelle parti. Ho bisogno che tu faccia una verifica dell’attività demoniaca.”

In… in che senso?”

Vampiri.” – fece una pausa – “Tu e Cordelia stimate se ci sono segni di un aumento dei casi sospetti. Ho bisogno di sapere se c’è qualche sconvolgimento gerarchico in corso.”

Non hai altri indizi?”

No. Anche se uno…” – si interruppe, indeciso – “No, nessun altro segno. Ma potrebbero ritenersi un clan, una corte, provenire da fuori Los Angeles. Indagate. Mi faccio vivo il prima possibile.”

Doyle schioccò le dita, attirando la sua attenzione.

I fascicoli dell’East Protomac.” – sussurrò, guardandolo.

Angel annuì. Il caso Protomac, dal nome della vecchia fabbrica in cui si radunavano alcune famiglie, era stato un rompicapo nelle ultime settimane. Uno dei clan meglio radicati della città stava arretrando e lasciando libere ampie fasce di territorio. Il capostipite sembrava essere morto in un incendio. Avevano rinvenuto solo un paio di coltelli, conficcati in un seggio metallico e annerito. Conficcati all’altezza degli occhi.

Faith aveva stanato un buon numero di adepti, ma non aveva saputo racimolare informazioni sicure.

Qualcuno stava subentrando al controllo. E questo non era un motivo di buonumore per la Cacciatrice.

Poteva esserci una connessione.

Spero solo di non impantanarmi con la W&H.”

Non credo ti succederà.” – rispose il vampiro, poco convinto. Poteva confidare che almeno gli affari personali di Drusilla con Spike fossero rimasti tali – “Prendilo come un lavoro d’ufficio. Nessuna spedizione punitiva fino al mio ritorno. Sto seguendo una pista, non dobbiamo intralciarci a vicenda.”

Su questo son d’accordo.” – Wes alzò gli occhi, mentre Cordelia chiudeva con veemenza un cassetto – “Posso fare altro?”

No. Ci sentiamo dopo.” – chiuse la comunicazione e restituì il cellulare a Doyle.

Andiamo.”

 

***

 

Andare…

In meno di una notte, la sua vita sembrava aver preso una certa accelerazione. Dopo mesi di assoluta normalità, turbata solo da incubi intensi che lo facevano sobbalzare e afferrare il cellulare, con il desiderio di risolvere il problema, Edward si ritrovava un’altra volta nelle grinfie di Angel, il vampiro con l’anima.

Angel… parlare di grinfie non gli faceva onore. Era un eroe, in tutto e per tutto, dalla prima all’ultima parola. Fino all’ultima scelta personale.

O imposizione, in base all’ottica da cui lo si osservava.

Edward sospirò, allungando le gambe e giocherellando con il cambio. Seduto nella macchina di Methos, impegnato a mettersi e togliersi gli occhiali da sole, respirava un attimo di vera solitudine. Pura, semplice e assolutamente terrificante, visti i pensieri che gli affollavano la mente.

 

William.

E Drusilla.

 

Drusilla… la sola possibilità di incontrarla gli provocava un certa tensione. E non perché, molto probabilmente, la vampira in questione puntava alla sua testa. Bensì perché, una volta ottenuta, l’avrebbe spedita a William dentro un cestino.

 

E addio alla segretezza esasperata con cui stavano agendo.

 

Umorismo nero.

Era così avvilito da dedicarsi all’umorismo nero.

 

Sospirò e stiracchiò le braccia, guardando il tettuccio. A quel punto, Angel doveva essere nei paraggi. E Methos con lui, disposto a tutto pur di non sorbirsi tutte le sue paranoie.

Sono affari tuoi.” – era stata la risposta quasi testuale, nel lasciargli la macchina – “Io ti aiuto a restare vivo. Per il resto arrangiati.”

 

Bell’amico. Veramente un bell’amico.

 

Cento metri più in là, appoggiato ad un palo, indeciso su come comportarsi e alla sua terza sigaretta in un quarto d’ora, c’era Doyle.

Edward gli gettò una nuova occhiata, aggiustando lo specchietto. E tirando nuovamente su gli occhiali, per guardarsi meglio.

Negli ultimi mesi si era spesso domandato quanto gli potesse assomigliare William, a questo punto. Le occhiate di Doyle e quelle meno evidenti di Angel gli sussurravano che tra loro sussisteva ancora una reale parentela. Qualcosa, un filo che li univa... un filo che Edward, con tutta l’anima, stava cercando.

 

Oh, William… per quanto mi sforzi, per quanto mi aggrappi a tutto ciò che so di te, nel presente e nel passato… non ti percepisco.

Non ti sento, William.

Non posso sentirti… non so più chi tu sia…

 

So solo che…

 

Edward chiuse gli occhi, respirando a fondo.

Non so nulla. Se non che ho dannatamente paura.

 

L.A., circa cinque mesi prima.

 

Aveva frenato. E si era levato la maglietta, prima ancora di scendere. Poi le scarpe, le calze, la cintura.

E si era tuffato, dimenticando all’istante la sensazione della sabbia rovente sotto i piedi.

 

L’acqua dell’oceano gli era penetrata fin nell’anima. Ma Edward aveva continuato a nuotare, furibondo, fino alla scogliera. E si era issato a braccia, ansimando e tossendo, sentendo i polmoni a un passo dallo scoppiargli.

Si era sdraiato, chiudendo gli occhi, lasciando che il vento inesorabile gli raffreddasse la pelle.

E aveva fissato quel sole pallido, celato dalle nuvole. Respirando, respirando piano.

William… William aveva sempre amato il cielo in tempesta.

Si era girato sul fianco, tossendo ancora, cercando di scacciare quell’immagine che credeva in polvere.

William, con il vento gelido che gli incurvava le spalle e lo faceva comunque sorridere.

In ginocchio, lo sguardo volto verso la Francia, le mani immerse nell’acqua della Manica, l’espressione di chi prova a vedere oltre le sue possibilità.

Non amerò mai più nulla come questo cielo.” – aveva detto, respirando a fondo il profumo della salsedine.

Mai più nulla come questo cielo.

Questo cielo…

 

Edward aveva spalancato gli occhi, guardando le nubi muoversi rapide sopra di lui. E si era reso conto che quello era un giorno pieno della luce argentea che William non avrebbe mai più visto.

Un pugno contro lo scoglio, sentendo le nocche lacerarsi.

 

William, che amava il sole all’alba e le nubi nere fatte di luce.

William, che nella sua vita cercava soltanto una strada da percorrere senza doversi nascondere.

Senza ombre.

 

Le onde si infrangevano intorno a Edward.

A Edward, che spalancava le braccia inarcando la schiena e urlava, con quanto fiato l’eternità gli aveva lasciato in corpo.

 

Il cellulare stava suonando.

Ed Edward rispose, senza aprire gli occhi.

Coventry.” – sospirò, tornando a concentrarsi sulla loro missione.

Sai…” – esordì Doyle, guardando il fuoristrada – “Ho pensato che dovremmo farci compagnia…”

Edward sorrise, divertito.

Non è male come idea, commentò, guardando, nello specchietto, la figura sottile e trasandata, sempre appoggiata al lampione.

Vedi?” – Doyle piegò la testa, immaginando di vederlo in faccia – “So essere molto perspicace…”

Sono d’accordo…”

Bene. Di cosa vuoi parlare?”

Edward abbassò la testa. E fissò la mano, stranamente stretta all’impugnatura della spada. Aveva le nocche quasi bianche.

Edward…”

Doyle…” – si interruppe. E cercò disperatamente una sciocchezza da dire – “io…”

Edward… smettila e chiedimelo.”

L’aveva detto con calma. E con quel tono incredibilmente dolce e involontario con cui apostrofava le persone. Una caratteristica che non aveva preso da sua madre. Ma dal suo imprevedibile patrigno.

Edward rise piano.

E si domandò se, dopotutto, non fosse il momento di concedersi un’occasione.

Ok…” – respirò a fondo – “Comincio a caso… Musica che ascolta?”

 

***

 

Appostarsi intorno a una vecchia fabbrica dismessa può essere snervante. Soprattutto per un vampiro costretto a camminare per le fognature. E per l’immortale impaziente che lo accompagna.

Come per il demone irlandese che fa il palo in strada. O lo spadaccino biondo che sorveglia la seconda entrata parlandogli al telefono. E guardandolo, nello specchietto retrovisore del fuori strada.

Lo so, Doyle.” – rispose, pazientemente – “Miro al cuore... ho un paletto, certo. Ne ho trovato uno nel cruscotto. Oppure stacco le teste. Sono bravo a staccare teste…”

Fai meno lo spiritoso, è una cosa seria.”

Non farmi la predica.” – ribatté, mettendosi gli occhiali da sole – “Sono io quello più vecchio tra noi. Anche se non sembra.”

Stai dicendo che dimostro più della mia età? Che sembro vecchio?”

Non tutti possono portarsi bene come me.” – sorrise. Poi si raddrizzò – “L’ho visto, è passato un’altra volta.”

Quindi avevo ragione. Fanno la guardia.” – abbassò gli occhi, cercando di guardare sotto il cemento – “Dove saranno quei due…”

Non vicini. Me ne accorgerei, credimi.”

Da che distanza puoi sentirlo?”

Una ventina di metri, al massimo.” – Edward seguì di nuovo l’ombra dietro i vetri anneriti. E poi il movimento nello spazio circostante, aggrottando la fronte – “Devo farti una domanda però...”

Del tipo?”

Ho visto un bel film sui vampiri…”

Davvero?”

Sì. Blade.” – piegò la testa, guardando meglio. Sembrava che anche la vedetta si fosse distratta – “Hai presente?”

Un grosso tizio, armato come Rambo, che massacra tutti perché non è né uomo né vampiro? Si, ho presente... ma in media cerco di non vedere la vita di tutti i giorni sul grande schermo…”

Capisco.” – Edward aprì la portiera e allungò una mano per afferrare la spada – “E dimmi, la questione di mettersi la tuta da moto ed essere protetti dai raggi del sole? E’ possibile?”

No, non credo... oddio, non abbiamo mai provato… ”

Allora il motociclista con la balestra, in fondo alla strada, è dei nostri?”

Scusa?”

 

C’era una moto nera in fondo alla strada. Una moto sportiva, da corsa. E il tizio che la guidava, inguainato nella pelle, con un casco integrale, portava una spada sulla schiena. E stava armando un balestrino manesco. Aveva qualcosa che luccicava, sulle braccia, quasi dei bracciali da guerra.

E il casco aerografato, in argento.

Era un novello cavaliere, pronto alla carica.

 

La moto, Doyle!” – aggiunse Edward, saltando giù dalla macchina e infilandosi il paletto nella tasca dei jeans – “Quella che sta impennando per sfondare il portone principale!”

 

Il centauro in nero aveva fatto una bella inversione e preso la rincorsa. E Doyle, scapicollandosi come un pazzo per raggiungere Edward, ebbe solo una fuggevole visione di vetri e lamiera che partivano in ogni direzione al suo passaggio.

Un paio di vampiri sbucarono in strada, quando la moto atterrò all’interno del capannone. E finirono cenere con urla atroci.

 

Per Edward era abbastanza. Sfilò la spada dal fodero e cominciò a correre.

 

Prendi la jeep.” – urlò, lanciando le chiavi al demone. Le vertigini lo colsero, dilatandogli le pupille – “Methos non è lontano. Andiamo.”

Ehi, andiamo dove!” – urlò Doyle, alle sue spalle.

Secondo te?” – ribatté Edward, saltando il muretto e sparendo nel buio del magazzino.

 

***

 

Il capannone era una distesa sconfinata e pressoché vuota. Pochi mobili, raggruppati a simulare salotti, stanze, enormi saloni in cui erano addirittura stati appesi vecchi lampadari stracarichi di candele accese e gocciolanti. Una raccapricciante decadenza, resa ancora più macabra dalle gabbie e dalle catene annerite che pendevano dai soffitti.

Edward saltò oltre la moto, sdraiata al centro di una rampa di carico. E planò nella mischia.

Il motociclista solitario sembrava sapere il fatto suo e stava atterrando una vampira rossa di capelli come se niente fosse. Un colpo per stenderla e uno per polverizzarla.

Edward cercò di raggiungerlo, mentre prendeva la rincorsa e, con velocità inaudita, saltava e si aggrappava a una delle catene, passando sopra le teste dei suoi assalitori.

Sotto lo sguardo ammirato di Edward, impegnato nella miglior arte del corpo a corpo, si sfilò il casco e lo usò come arma impropria, per frantumare una mascella.

 

A quel punto, ormai a volto scoperto, il motociclista si rivelò essere una furia bruna dalla fisionomia conosciuta. I capelli scuri presero vita propria nello spargersi sulla schiena fasciata nella pelle. E quando si voltò, Edward ebbe l’agghiacciante certezza di essere fottuto.

 

Nello stesso momento, Angel aprì la botola ed emerse nel buio ostinato della vecchia fabbrica. E non impiegò molto a sentire odore di sangue e fumo, mentre un arto staccato volava oltre la sua testa.

Combattono senza di noi.” – borbottò, risentito, saltando fuori e segando prontamente un malcapitato che lo stava per aggredire – “Mai una volta che mi aspettino!”

Oh, certo, che affronto!” – commentò Methos, apparendogli alle spalle, con la spada già in pugno. Giusto in tempo per sentire l’orribile frastuono provocato dalla sua macchina che spalancava il doppio portone di carico.

I fari andarono in frantumi e Methos ebbe la terrificante visione del parabrezza che si crepava.

Questa me la paghi.” – ringhiò, guardando il suo fuoristrada frenare – “Aspetta che ti abbia tra le mani…”

Non gli importava nemmeno verificare chi lo stesse guidando. Ne aveva la certezza matematica. Girò su se stesso e si sfogò su un paio di vampiri. Pochi metri oltre, c’era Edward che menava le mani di santa ragione. Ed Angel, impegnato a fare altrettanto.

 

Non dovevi aspettare il mio segnale?” - stava urlando il vampiro bruno, battendo assieme due teste.

Lo avrei fatto.” – ribatté l’immortale, mentre schivava per un soffio il lancio di una sedia – “Ma sono corso ad aiutare un kamikaze in motocicletta.”

Come?”

Diciamo che ti sei dimenticato qualcuno.” – ringhiò Edward, passandogli a fianco e arrivando in scivolata a tranciare un paio di colli.

Angel girò su se stesso, giusto in tempo per vedere la ragazza sorridergli. E scuotere il casco come saluto.

Oh, no.” – gemette. Faith era la sua personale particella impazzita. Era stato così focalizzato su Drusilla da non considerare la libera e incontrollata attività della sua Cacciatrice.

Lei ti conosce?” – domandò, stupidamente, afferrandolo per il maglione e tirandoselo addosso per non vederlo squartato – “Sa di te?”

Sa che sono un amico di Methos.” – ribatté il ragazzo, ricambiando il favore nel trafiggere il demone alle sue spalle – “E sa che ci siamo battuti, l’ultima volta.”

Vattene, allora.”

Scusa?”

Vattene Eddy.” – Angel lasciò la presa, ma cercò di voltarsi per parlargli guardandolo in viso, sopra la mischia – “Vattene. Vuoi che resti un segreto, no?”

Non scappo.” – replicò iniziando a sentirgli salire un sano nervoso. E uccidendone un altro. Sembravano infiniti – “Avete bisogno una mano.”

Scordatelo.” – il vampiro si voltò. E urlò – “Faith, il lampadario.”

La Cacciatrice alzò gli occhi verso le enormi intelaiature di ottone e cristallo, ormai grondanti di cera bollente.

E annuì, correndo verso gli estremi del magazzino, sfilandosi la spada dalle spalle.

Edward corse nella direzione opposta e diede un colpo netto alla fune, facendo scattare il meccanismo con rumore sordo.

Uno dei lampadari precipitò, schiacciando almeno una decina di esseri e incendiandoli.

Angel, per un soffio, rotolò fuori dalla mischia, mettendosi al riparo.

Levati di lì.” – gli stava urlando Faith. – “Faccio saltare i pannelli.”

Cos…” – Doyle vide il braccio di Faith compiere un arco perfetto, mentre con la sinistra si afferrava saldamente alla fune.

Il lampadario, cadendo, fece da contrappeso, proiettando la Cacciatrice verso l’alto. La quale, approfittando dell’effetto balestra, sfondò il lucernaio, prima di cadere, con precisione matematica, su uno dei ballatoi.

La luce calda del mattino inondò lo spazio antistante e fece piazza pulita dei vampiri. Angel, rifugiatosi in una zona ancora protetta, continuò il suo raccolto, come si addiceva all’Angelo della morte.

Methos, a cavalcioni della botola, una delle poche via di fuga rimaste, fece altrettanto.

Faith li osservò dall’alto, prendendo fiato. E fu allora che lo vide.

 

Ti è mai successo di incontrare qualcuno a cui si addica il termine ‘ rifulgente’?”

 

C’era uno sconosciuto che si stava battendo, come un leone. Un ragazzo biondo.

 

Alzò lo sguardo, registrando l’alta figura.

Aveva occhi chiari, una corona di riccioli biondi a stento trattenuti dagli occhiali da sole….

Solo per un istante, soffermandosi sugli occhi e sullo sguardo con cui ricambiava,

si sentì percorrere da un brivido.

 

Lo spadaccino, ma certo!

 

Quel ragazzo era parte di Angel, adesso.

Parte dei suoi enigmi, parte della sua moralità, parte del suo mondo.

 

Il bellissimo sconosciuto che aveva dato tanto filo da torcere a Angel.

 

Non puoi più nulla, adesso. Non potrai più fuggire da questa consapevolezza, e lo sai.

Sai di Angel. Sai chi è, cosa può fare.

Sai cosa significa combattere contro di lui e perdere. Sai cosa significa conoscerlo.

Non potrai più sfuggire a questo onore…

 

Lo fissò, sbalordita, domandandosi come fosse arrivato in quel covo di dannati. Poi percorse la lunga pedana metallica, facendola cigolare. E saltò giù, atterrando come un gatto, non molto lontano da dove Edward si stava ancora battendo.

Si raddrizzò e polverizzò uno degli ultimi vampiri ancora in vena di attaccar briga. L’immortale biondo era in gamba, si difendeva bene, combattendo contro due energumeni in contemporanea. Soprattutto uno sembrava essere di suo gradimento, più antico, maggiormente esperto di scherma.

 

Faith continuò a fissarlo, ipnotizzata. Quel ragazzo aveva un leggero sorriso divertito, mentre lottava. E una fiamma inspiegabile dentro gli occhi azzurri.

 

Cosa aveva detto Angel quella notte?

 

Era un guerriero, Faith, non sono poi così comuni.

 

Già... lo aveva compreso anche lei, allora, con una semplice irriverente occhiata. Quel ragazzo era ben più di un immortale, di un vecchio amico di Methos, di un nemico-amico di Angel. Da quel giovane uomo scaturiva una forza fatta d’onore e carisma.

 

Faith sorrise, divertita. A modo suo sapeva che si sarebbero rivisti, prima o poi. L’aveva intuito nello stesso attimo in cui si erano salutati.

Ehi, che ci fai qui?” – urlò Doyle, assordandola, finalmente a piedi, dopo aver investito tutti quelli che riusciva con la macchina di Methos. Affiancandola, mentre l’attaccavano in tre – “Faith, come ci sei arrivata?”

Dovresti fidarti di più dei miei agganci.” – rispose la Cacciatrice, impalettandone un paio con la stessa asta mentre il demone si liberava dell'ultimo – “E tu? Ti è servita una visione?”

Non una sola.” – specificò Methos, comparendo alle loro spalle. Si era tolto il giaccone e arrotolato le maniche. Per lui i massacri si affrontavano come le pulizie di primavera. Con metodo e pazienza.

Metti i brividi.” – commentò Doyle, guardandolo mentre puliva la spada. E accendendosi una sigaretta – “Come hai fatto a insanguinarti?”

Sono volato in dispensa.” – commentò, continuando a pulire la lama in un drappo prelevato dai divani – “Ciao Faith, che ci fai qui?”

Che ci fate voi qui.” – replicò lei, incrociando le braccia e indicando Edward con il mento – “E cosa ci fa quello, soprattutto!”

Prego!” – urlò Angel, spezzando vertebre a piene mani e guardando i tre, impegnati a conversare a bordo campo – “Non sentitevi in dovere di dare una mano!”

Ma se ve la cavate benissimo!” – Methos si appoggiò alla spada, puntandola a terra – “Faith, ti ricordi il mio amico Eddy?”

Direi proprio di sì.”

Eddy, saluta Faith!” – urlò l’immortale, mettendo una mano a lato della bocca. Si divertiva come un pazzo a vedere lord Edward Coventry in difficoltà. E soprattutto a provocarlo, consapevole che, al momento, avesse le mani occupate.

 

Edward si voltò, fissandolo con occhiata omicida, descrivendo un ultimo arco perfetto con la spada. E obbligando Angel a fare un balzo indietro per schivarlo.

Ah, scusami.” – disse, mentre il vampiro constatava di avere un bello strappo nella camicia, all’altezza del torace – “Non ti avevo visto.”

E meno male che non sono una spanna più basso.” – commentò il vampiro, passandosi significativamente una mano sul collo. Edward lo squadrò, riprendendo fiato, ed Angel si sentì in dovere di dirgli qualcosa – “Edward, senti…”

Lascia stare.” – borbottò il ragazzo, con un cenno di sopportazione – “A questo punto…”

Angel richiuse la bocca, mentre lo osservava allontanarsi e marciare verso la ragazza, con una mano tesa.

In effetti, solo ora, riflettendo, si rendeva conto di non aver chiesto a Cordelia dove fosse Faith... non dove fosse andata.

 

Bello sbaglio. Bravo Angel. Tonto come dice Spike.

 

Ciao, Faith.” – disse Edward, arrivandole di fronte, con l’innegabile savoir faire di altri tempi – “Piacere di rivederti.”

Ciao... Eddy, giusto?” – replicò, ricambiando la stretta e domandandosi se era d’obbligo fratturargli due dita. Era bello, gentile e avevano combattuto insieme… ma Spike lo odiava… parlava con Angel come se fossero vecchi amici… ma Spike lo odiava... era…

 

Insomma, un bel problema per una ragazza di chiari e pochi principi basilari.

 

Soprattutto perché Faith sentiva di essere scesa a parecchi compromessi negli ultimi anni, tra crisi personali, redenzioni, osservatori, famiglie, vampiri da combattere e da amare. E non saltava di gioia all’idea di apprezzare tanto uno sconosciuto verso cui Spike era tanto prevenuto.

Per tanto, pensò di rivolgersi alla fonte di ogni sua garanzia.

Ciao, Angel.” - disse soave, vedendolo finalmente avvicinarsi, impegnato a scrollare la cenere dalla giacca – “E’ per lui che non hai chiamato nessuno di noi a divertirsi?”

No.” – rispose il vampiro, infilando le mani sotto le ascelle e sovrastandola come suo solito – “Non ho chiamato perché non mi serviva aiuto. E tu? Come mai qui sola?”

Era una giornata fiacca.” – replicò, con una leggera alzata di spalle – “Mi annoiavo. Allora, cosa stiamo cercando?”

Perché pensi che stiamo cercando qualcosa?”

Andiamo, Doyle.” – gli sorrise, divertita – “Passi trovare qui te ed Angel. Ma il mio osservatore in carica, famoso per il suo stare cronicamente sdraiato sul divano, e il suo pupillo biondo dai mille misteri…”

Non sono il pupillo di nessuno.”

Men che meno il mio.”

Però, che sintonia…” – si complimentò la Cacciatrice. Poi tornò a focalizzarsi su Angel – “allora, uniamo gli sforzi?”

Tu cosa sai?” – chiese Angel, recuperando nel frattempo l’arma che aveva lasciato cadere. E spostandosi nell’ombra, mentre un’altra parte di lucernaio precipitava a terra – “Come non detto. Consiglio la ritirata.”

Appuntamento a casa mia. Ah, Faith, sei ovviamente invitata.” – Methos afferrò Doyle per la collottola – “Vieni, ragazzo mio. Dobbiamo parlare della mia macchina. Ce l’hai un’assicurazione?”

Io vado a piedi.” – disse Angel, incamminandosi – “Ci vediamo dopo.”

 

Erano rimasti solo loro due. Uno di fronte all'altro. Ed Edward sospettava che si trattasse di una maligna rappresaglia dei suoi compagni di avventura.

Hai voluto la bicicletta? Pedala, Coventry, pedala!

Ti aiuto con la moto.” – disse, rompendo il silenzio, in lieve imbarazzo.

Grazie.” – replicò la ragazza. Si incamminarono insieme e Faith, sul passaggio, raccolse il casco. E imprecò, sottovoce – “Graffiato e ammaccato... che idiota che sono…”

Bello.” – si complimentò comunque l’immortale. Era aerografato in argento. Una coppia di draghi sottili e sinuosi, intrecciati.

E' un’idea del mio uomo.” – replicò lei, con noncuranza. Poi gli gettò un’occhiata, in tralice – “Quello a cui hai piantato il coltello nello stomaco... il vampiro biondo…”

Edward si fermò. E una strana sensazione gli si propagò, nel torace, simile ad una fitta.

Una fitta del tempo perduto.

 

Londra, 1857

 

Che ne pensi di questo?”- domandò William, passandogli un altro libro.

Non so” - Edward sfogliò alcune pagine, perplesso – “Non sono certo che le aquile mi piacciano sul serio.”

Allora siamo in due.” - sospirò il ragazzo, levandosi gli occhiali e strofinandosi gli occhi.

Di nuovo mal di testa?” – domandò Edward, posando il testo e voltandosi. Erano seduti al centro del letto, in mezzo a libri e schizzi.

Già…” – mugugnò, nascondendo malamente uno sbadiglio – “scusami.”

Leggi troppo… e dormi poco.” – sospirò, allungando un braccio – “Vieni qui. E smettiamo per stasera.”

William si avvicinò. E gli posò la testa sulla spalla, con un sospiro. Era piacevole starsene sdraiati, nella quiete della casa vuota. La servitù dormiva, i loro genitori erano a uno dei tanti ricevimenti della stagione londinese.

Un supplizio da cui, per una volta tanto, erano dispensati. E con una buona motivazione.

L’ultimo attacco di Edward non era stato dei migliori. Ed anche se ora iniziava a riprendersi, in società si iniziava a chiacchierare.

Edward Coventry, così giovane e promettente…

Sì, William strinse le labbra, risentito. Si parlava già di lui come di un caro estinto.

Eppure il suo corpo era ancora caldo e dannatamente vivo.

A che pensi.” – sussurrò Edward, piegando la testa e posando la guancia sui suoi capelli – “Non dovresti crucciarti tanto, Willie. E’ solo un intarsio. A papà piacerà qualunque cosa scegliamo. Anche un maialino con le ali.”

William si lasciò sfuggire una mezza risata.

Non sarebbe male come idea.” – commentò –“Un maialino con le ali… chissà cosa direbbero i suoi amici, a vederlo esposto sul camino, nello studio.”

Magari in sala da pranzo.” – ridacchiò Edward – “Una bella coppa in cristallo sorretta da due maialini con le ali…”

Due?”

Bhe… noi siamo due.” – considerò, guardandolo con quegli occhi chiari falsamente seri – “Non stavamo cercando qualcosa di allegorico?”

William gli sorrise appena. la sua bocca si inarcò leggermente, mettendo in vista una fila di denti bianchi e perfetti.

In tal caso.” – rispose, con lo sguardo brillante – “Per restare in tema di ali, suggerisco un bel falco ad ali spiegate e un gufo appollaiato.”

Uniti come bellezza e saggezza?”- chiese Edward, con una punta di dolcezza.

Oppure come il coraggio di vivere la vita.” – replicò, senza osare più guardarlo, tornando a posargli il viso alla spalla – “E il restare fermi in un solo posto, in semplice attesa.”

E’ così che ti senti, William?”

Talvolta…” – si interruppe. E il male al petto divenne incontrollabile. William si raddrizzò, scacciando quel dolore. La morte coglieva la vita in pieno volo… – "Torniamo al nostro pezzo d'argenteria…."

Edward lo guardò allontanarsi. E lasciò ricadere il braccio, appoggiando la nuca al muro alle sue spalle.

William, così pieno di problemi… e così poco tempo per aiutarlo ancora a trovare risposte…

Willie…” – lo chiamò, abbassando gli occhi verso la confusione sparsa tra le coperte – “Avrei appena avuto un'idea…”

Davvero? Una coppia di castori?”

No. Meglio.” - Allungò le dita, afferrando un libro rilegato, finito per sbaglio tra gli altri. Un romanzo cavalleresco, ennesima lettura di suo fratello – “Due draghi.”

Due draghi?”

Come quelli di Britannia.” – rispose, aprendo e sfogliando le pagine, fino a trovare l’immagine. Due draghi in lotta, uno proteso verso l‘altro – “Due draghi combattenti.”

Si voltò, guardandolo. In attesa.

 

Due draghi in eterna lotta, eternamente insieme.

 

Uno riflesso dell’altro, parte di uno stesso inspiegabile destino.

 

Due draghi…due draghi d’argento…” – ripeté William, piegandosi ad afferrare il libro. E illuminandosi – “Mi piace, Edward. Mi piace sul serio…”

 

Ho presente.” – rispose, neutro, chinandosi a ispezionare la moto. E afferrandola per il manubrio, raddrizzandola – “Spike... giusto?”

Giusto.” – sorrise, piegando la testa – “Mi risulta che non andiate d’accordo, voi due.”

Non lo so.” – prese fiato, cercando la forza di continuare a parlare – “Non lo conosco abbastanza.”

Si può sempre rimediare.”

Forse.” – la forcella non sembrava piegata. La moto, nel complesso, era in buono stato – “La prossima volta che verrò in città, magari.”

Come preferisci.” – Faith aggrottò la fronte. Era come se, per un istante, si fosse offuscato, colto da un pensiero scomodo. Lo fissò con maggiore attenzione, cercando di decodificare quell’intuizione che non capiva realmente – “Dici che è a posto?”

La moto?” – domandò lui, voltandosi, con un mezzo sorriso – “Direi di sì. Non ti preoccupare per quei graffi. Si sistemano senza problemi.”

Grazie.” – fece per infilarsi il casco. Poi cambiò idea – “Ti serve un passaggio?”

No.” – scosse la testa, compensandola con un sorriso bello più di qualsiasi ringraziamento – “Ho la moto anche io... non troppo lontano. Se vuoi però, facciamo la strada insieme…”

Ok.” – Faith afferrò il suo mezzo e lo spinse – “Guidami.”

 

***

 

Angel percorse la galleria ed emerse in uno spazio più vasto, sotto la città.

Era incredibile il quantitativo di punti cavi sotto Los Angeles. Quasi indescrivibile, non trattandosi sempre di fogne, bensì di enormi stanze vuote, buie o malamente illuminate da spiragli senza spiegazione.

Il posto in cui si trovava al momento era proprio di quel genere. L’umidità aveva annerito le pareti e solo un vampiro avrebbe potuto, privo di respiro, transitare e soffermarsi appena a esplorare lo spazio circostante.

Un vampiro.

O forse due.

Amore…” - gli occhi viola sembrarono balenare nel buio – “hai distrutto la mia reggia.”

E mi sento in dovere di ammettere che era pure bella.” – rispose, movendo un passo verso di lei – “Peccato tu non ci fossi…”

Mai io c’ero.” – rispose, con voce petulante – “Dovevi solo trovarmi.”

Sono vecchio per giocare a nascondino.”

No, non è vero.” – una risatina. Ed eccola apparire, vestita di rosso cupo, l’orlo del vestito inzuppato e una bambola per mano – “Non si è mai troppo vecchi…”

E tu ne sei la prova.” – rispose, guardando la bambola. Una bambola senza occhi – “Che fai in città, Dru?”

Amo il paradiso…” – cantilenò, sedendosi, incrociando le caviglie e i piedi nudi – “E’ il posto dove si incontrano gli Angeli…”

Piegò la testa.

Angeli biondi fatti di luce e Angeli bruni fatti di notte.” – spiegò, sedendo la bambola a fianco, con attenzione. Angel restò fermo, indeciso, poi avanzò. E prese posto, di fronte a lei. Nel buio totale, nel terrificante silenzio del sottosuolo.

Le nostre città si ergono su sconfinate cripte che sanno di morte e notte eterna.

Qui rimbomba solo l’oblio.

Non obbligarmi a chiederti di nuovo cosa fai in città.”

Non obbligarmi a risponderti di nuovo.” – lo sbeffeggiò, lisciando l’abitino spiegazzato – “Mio Angelus… lo vuoi tu? Non posso averlo io?”

Si girò, guardandolo con occhi luminosi.

Ed Angel tacque.

Sì, lo aveva sempre saputo.

Non ci voleva molta immaginazione a riguardo. Il Flagello e Drusilla amavano le stesse finezze. E le stesse cose, da sempre.

E’ immortale, Dru.” – replicò, stringendo meglio la spada, bilanciandola tra le dita – “Non puoi vampirizzarlo.”

Il suo sangue è come oro.”

Non escludo che tu abbia ragione.” – replicò, cercando di valutare il campo di battaglia – “Potrebbe piacerti il suo sapore, è sangue di buona annata. Ma è mio personale territorio di caccia.”

Drusilla rise, dondolandosi, giocherellando con i capelli.

Il mio Angelo nero rivendica la bellezza. Non gli basta quella che ha già.” – scosse la testa, con l’espressione di una bimba corrucciata – “No, Angelo mio. Hai avuto tutto. Il mio amore, la bella Cacciatrice… hai ucciso la mia amica… era strana, ma le volevo bene… l’immortale è mio. Voglio la sua luce tutta per me.”

La luce è tale se non diviene tenebra.” – replicò Angel, sottovoce, più per se stesso che per la vampira.

 

La sua spada scattò, precisa.

 

Drusilla fu altrettanto rapida. La testa indietro, quel tanto che bastava da non essere decapitata.

 

Per poi riavvicinarsi, baciare a fior di labbra la lama, carezzandola appena.

Angel non lasciò innervosire dalla mancata uccisione. Era inutile. Era sicuro che non fosse poi così facile liberarsi di lei. Ma aveva dovuto provarci. Strinse appena gli occhi. E la punta dell’arma si posò sulla gola di Drusilla.

 

Scegli. Adesso.” – comandò, con voce piatta e terribile.

 

Puoi avere Edward… oppure la tua vita.

 

Scegli.

E’ semplice.

 

La vampira non si mosse.

Lo fissò solo, senza sorpresa.

Io credo…” – rispose, senza battere ciglio. Fredda – “di avere già scelto.

E che sia tu che non l’hai ancora fatto.”

Angel alzò il braccio rimasto libero, proteggendosi il viso. E la bambola gli si frantumò addosso, con inaudita violenza. Quando scattò in piedi, maledicendosi per essersi lasciato cogliere di sorpresa, Drusilla era già sparita. E i suoi passi rimbombavano, da ogni direzione.

 

[II]

 

Faith ed Edward guidarono per le vie della città, inseguendosi e affiancandosi. La moto da strada di Edward aveva un motore più potente, un suono pieno e sempre riconoscibile. Ma Faith, che amava solo la propria e non capiva nulla di motori, la apprezzava soprattutto per una questione estetica.

E funzionale, visti i foderi da spada che vi erano fissati. Uno in bella vista. E un secondo, meglio nascosto, di cui non si sarebbe accorta se non gliel’avesse indicato l’immortale.

Dici che posso fare altrettanto con questa?” – aveva chiesto, mentre si preparavano a partire.

Qualcosa si può studiare.” – aveva risposto il ragazzo, carezzando ancora una volta il graffio sul serbatoio, quasi ad accertarsi del danno effettivo, guadagnando un altro punto in simpatia. E mettendola maggiormente in confusione.

Perché un tipo del genere avrebbe dovuto attaccare Angel e battersi all’ultimo sangue senza un reale motivo? Non era il classico attaccabrighe borioso che si era preparata a conoscere. Era un tipo taciturno, incredibilmente tranquillo.

Impossibile che il suo scontro con i vampiri, vecchio quasi di sei mesi, fosse stato frutto di uno sbaglio.

A meno che, come molti prima di lui, non si dilettasse di cacciare demoni. E fosse stato poco pronto a riconoscere, nella massa, quelli dotati di anima e attitudine alla redenzione.

 

Si, una spiegazione plausibile... purtroppo non abbastanza convincente. Anche perché Angel, le poche volte che aveva addotto questa zoppicante spiegazione, non era stato proprio incisivo.

 

Cacci spesso vampiri?” – chiese, una volta che furono sotto casa di Methos, per togliersi il dubbio.

Decisamente no.” – rispose lui, scotendo i capelli e tirandoli indietro con una mano. Era bello, aveva lineamenti regolari. Ma erano gli occhi a fare da padrone in quel viso – “Credo sia la prima volta che lo faccio.”

Allora te la cavi bene.” – ribatté la Cacciatrice, estraendo il cellulare vibrante. E aprendolo, senza smettere di guardarlo - “Ehi, vampiro.”

 

Edward rischiò di perdere di mano le chiavi. E di inciampare sul gradino.

Girò le spalle alla ragazza, battendo la ritirata e rispettando la sua privacy. E sentì la mano di lei afferrarlo per un polso.

Faith lo fissò dritto in faccia, con serietà. E scosse lievemente la testa.

Quell’Eddy non era un nemico. E se Angel non diceva nulla… bisognava soltanto fidarsi. E sperare che non fosse una cosa troppo grande da gestire.

Sì, tutto nella norma.” – disse, con tono incurante. Edward la fissava, interrogativo. E lei gli sorrise – “Sarò a casa penso in un’ora. Ho un paio di cose da sbrigare.”

Cose che ti impediscono di tornare qui a farti strappare tutta quella pelle nera di dosso?” – chiese Spike, allungando il tazzone a Cordelia perché lo riempisse – “E se io mi sentissi solo?”

Dovresti arrangiarti come puoi.” – piegò la testa, lasciando andare Edward. Non avrebbe detto a Spike chi aveva di fronte. Anche se non sapeva ancora perché lo stava facendo – “Ho massacrato anche per oggi la mia percentuale minima e sono stanca. Arrivo presto.”

Brava. E senza dividere! Sei tale e quale ad Angel.”

Che ci vuoi fare… io e il Flagello abbiamo gusti similari. L’ho anche visto, sai? Ma aveva da fare.” – cominciò a salire le scale, con calma. Ed Edward sentì un brivido partirgli dal centro della nuca. Quel cellulare… poteva quasi sentire la voce di William – “Suppongo che si darà da fare ancora per un po’…”

Allora lo chiamo. Magari riesco a raggiungerlo.”

Ma stattene a casa, tu che puoi! Sei fresco di doccia, probabilmente stai facendo colazione con Cordelia… cosa vuoi di più?” – Faith diede una spinta alla porta ed Edward, prontamente, la tenne aperta – “Grazie. Cercati un libro a sdraiati sul divano.”

 

Faith… grazie a chi?”

 

Come?”

 

Hai detto grazie.” – Spike bevve un sorso. E un sospetto gli passò nel cervello – “Con chi sei?”

Sono in un locale.” – rispose, precipitosamente – “E mi hanno aperto la porta.”

Sei in un locale in cui ti aprono la porta?”

Spike... mi stai facendo il terzo grado?”

Faith, tu vivi in un’epoca in cui la cavalleria è finita. Con chi sei?”

Faith respirò a fondo.

Sono con Methos. E lui è di un’epoca cavalleresca, non trovi?” – mentì, sfrontata – “Vuoi che te lo passi?”

 

 

Oddio… ecco l’infarto che giunge, pensò Edward.

 

Tutto sta a vedere se prima a me o a te, sembrava dire l’occhiata di Faith.

 

No, grazie.” – Spike si lasciò cadere sul divano – “Sai, prenderò in considerazione la tua proposta e me ne resterò qui.”

Ammiro la tua saggezza di altri tempi.” – replicò, caustica – “E ora vado. Voglio un caffè e una ciambella, visto che paga lui. Ci vediamo tra un’ora.”

Prendi anche da portar via.” – ribatté lui, allegramente – “Ciao bellezza.”

Ciao, ciao Spike.” – chiuse la comunicazione. E con una certa irritazione – “Tu, biondo ragazzo del mistero!”

Comandi.” – rispose Edward, voltandosi verso di lei, un piede già sul gradino.

Mi devi un favore così grosso che non posso nemmeno quantificarlo.”

Edward non resistette. E le sorrise.

Un caffè e una ciambella?” – domandò, mettendo in mostra una fila di denti perfetti.

Era così affascinante da essere irritante.

Faith lo squadrò, caparbia. E senza restare seria a lungo.

Andata.” – sospirò. E cominciò a salire le scale – “Forza! Ho fame. Voglio saccheggiare la dispensa. Ora.”

 

***

 

Sul pianerottolo, proveniente dalla direzione contraria, li raggiunse Angel. Così scuro in volto da non lasciare dubbi a Doyle, che aprì loro la porta.

Ciao a tutti.” – disse, vedendoli passargli sui piedi – “Forza, chi comincia?”

Si voltarono tutti a fissarlo. E Methos, con l’immancabile barattolo del caffè in mano, gli fece un bel segno di ok.

 

Vai così, Francis! Sei l’eroe degli autolesionisti.

 

Io ho fame.” – rincarò la ragazza, aprendo finalmente il guscio di pelle in cui era fasciata e mettendo in mostra tutte le sue curve – “Voi fate quello che volete.”

Io devo parlare con te, di nuovo.” – sottolineò Angel, puntando un dito contro Edward. Per poi spostarlo verso Doyle – “E poi con te.”

Con me no?” – chiese Methos, riempiendo il filtro.

Dipende quanto vuoi starne fuori.”

Allora passo. Parla con chi ti pare.”

Grazie.” – si voltò – “Andiamo Edw… EddWy.”

 

Spero che tu ti renda conto che sta diventando una commedia degli equivoci!” – esclamò il vampiro, chiudendosi la porta alle spalle.

Edward non sembrava in vena di discutere. Si stava controllando una grossa abrasione su un braccio.

Angel…” – domandò, soprappensiero – “Sai che ho sentito la sua voce?”

Angel lo fissò, come se di colpo non gli sembrasse più così sano di mente.

Edward aveva gli occhi velati di una tristezza infinita.

Faith gli parlava al cellulare. E io potevo sentirlo quasi alla perfezione. La sua voce, Angel, denuncia quanto sia cambiato.”

Si era lasciato andare, con un tonfo, nella poltrona. E aveva allungato le gambe, gettando indietro la testa.

Ma che ci faccio qui…” – sussurrò, posandosi un avambraccio sulla fronte.

 

E’ da quando ho sentito la sua voce non riesco a pensare ad altro…

 

Che ci faccio qui… se non è più William…

 

Edward…” – Angel si strofinò la nuca, rendendosi conto di aver perso il filo del discorso. E decidendosi, finalmente, a occupare il posto dietro la scrivania – “Ne abbiamo già parlato. Certo, è cambiato. E’ inevitabile. Non è concepibile però questo tuo ostinarti a ritenere impossibile incontrarlo.”

Angel…”

Non ricominciare con la questione degli anni perduti, Coventry. Abbiamo tutti tempo sprecato alle spalle, immortali, vampiri e non.” – Angel posò sul tavolo i paletti che aveva in tasca e si protese verso di lui – “Piantala di tormentarti. Esci, gira a destra e percorri tre isolati. E quando sarai di fronte all’enorme albergo che si chiama Hyperion, entra e chiedi di lui.”

Edward lo stava fissando, senza un commento.

E quando sarete faccia a faccia…” – si interruppe. E iniziò a sentirsi fuori luogo – “Bhe, scopri semplicemente chi è diventato.”

 

Perché io posso prometterti già adesso che sarai orgoglioso di lui.

Credimi, lo so.

 

Los Angeles, 2001

 

In un salto fu sulla piattaforma. C’era un ultimo vampiro… ma non ci volle nulla a nebulizzarlo.

Wes gli era già alle spalle. Il suo salto si era rivelato meno semplice del previsto, forse anche perché un altro demone aveva cercato di agguantarlo. Ed ora lottavano ferocemente.

Con la coda dell’occhio, indeciso se intervenire, Spike vide la Cacciatrice puntare la balestra e fare fuoco, evitando per un soffio l’osservatore e finendo rapidamente l’avversario.

Ormai non distava più molto. Era quasi arrivato.

Sotto di lui, con la stessa velocità, Doyle seguiva la stessa rotta, ma di terra.

Spike vedeva già sopra la paratia, Doyle ne stava forzando la porta metallica.

Scavalcò rapidamente la ringhiera tubolare e planò di sotto.

Alle sue spalle sentiva i colpi della battaglia rimbombare sulla lamiera.

Ma davanti a se c’era un altro massacro da compiere.

 

Rapidamente, si ripeté, sentendosi il volto mutare.

Dieci metri più in là, a terra, con le mani inchiodate insieme, congiunte come in preghiera, ed i vestiti scuri, stava una fisionomia nota. Impossibile sbagliarsi.

Non era solo la vista a denunciare la verità

Spike si era sentito infiammare il sangue, inaspettatamente. Adesso non erano più colpi sulla lamiera, ma tuoni di battaglia, come un rullio di tamburo incessante, sul diaframma.

Mai come ora aveva desiderato una spada. Si sentì sfilare di dosso lo spolverino, a forza, da mani che cercarono di artigliarlo.

Ma la sua corsa non conosceva fine. Avanti, ancora avanti.

Adesso distingueva anche il volto tumefatto, ripiegato, sulla spalla.

Non gli fregava più un accidente del resto, delle recriminazioni, dei buoni propositi.

Adesso li voleva tutti morti, umani o vampiri che fossero.

Li voleva morti, perché erano dei fottuti bastardi e non meritavano altro.

Uno, ancora uno. Chi non era in polvere stava in un lago di sangue.

Ma Spike non avrebbe saputo dire con certezza se qualche cuore stesse ancora battendo.

Un colpo all’altezza dei reni lo fece barcollare, un secondo lo fece rotolare violentemente contro una parete. L’attimo che gli sarebbe potuto essere fatale, fu interrotto dal crollo di quella dannata porta.

Dalla nube di polvere che si levò, con uno di quei salti che comunque lo contraddistinguevano, apparve Doyle, insolitamente con la sua parte demoniaca in superficie.

Veloce, velocissimo.

I pochi superstiti l’avevano già attaccato. Ma il suo volto era una maschera furente e non presagiva nulla di buono. I pochi arguti del gruppo abbandonavano la piazza. Quelli che restavano andavano a mischiarsi con la polvere ancora in sospensione.

Spike si rialzò, chinandosi quel tanto che bastava da sputare sangue in buona quantità.

In effetti, si rese conto in quell’istante, aveva qualche arma ancora conficcata indosso.

Se le strappò di dosso, con rabbia.

Sentiva delle urla… e solo dopo, medicandolo, Cordelia gli avrebbe pacatamente spiegato che… erano sue.

Le sue urla avevano riempito l’aria, nel corso di quella sortita.

L’avevano sentito, avevano pensato che lo stessero massacrando, non il contrario. Ed era stato allora che Doyle aveva accelerato la procedura di sfondamento con la parte di se che meno apprezzava.

 

Spike affrettò il passo, incespicando quasi nei piedi. Aveva un’ultima lama, da sfilarsi dal corpo. E lo fece cadendo in ginocchio molto vicino ad Angel. Con una mossa, con quell’arma ancora insanguinata, gli tagliò i legacci plastici. Poi, reagendo ancora ad un attimo di isterica esasperazione, sfilò il lungo chiodo arrugginito che gli bloccava i palmi.

Angel inarcò la testa indietro, in un gemito. E Spike, prontamente lo bloccò, afferrandolo per le spalle.

Angel sembrava privo di sensi, si rese conto, scotendolo leggermente.

Aveva le mani sporche del sangue di entrambi e se le pulì nervosamente nei pantaloni, nella maglietta strappata, prima di posargliele sul viso.

Come aveva imparato da lui, come faceva Angel, ogni volta che lo raccoglieva esanime su un campo di battaglia.

Gli tirò indietro i capelli, sostenendogli la testa, una mano sul collo.

Chiamandolo.

Ehi, Angel… Angel guardami… non farmi perdere la pazienza…”

Non sapeva cosa dire. Provava imbarazzo per il fatto di essere così, chino su di lui. Non era bravo ad essere rassicurante, non sapeva cosa fare per… per essere come lui.

Quali parole erano giuste? Oh, dannazione, ma perché non ti ascolto mai…

Allora non è semplice come pensavo… Angel, apri gli occhi… non sono rassicurante e mi irrita accarezzarti in questo modo. Svegliati e tagliamo corto con le sdolcinatezze.

Angel, ti prego…

 

Le palpebre di Angel ebbero un leggero tremito. E poi, con una lentezza impressionante, si aprirono.

Piano… piano…sono qui io.” – gli sorrise Spike, stupendosi di come quelle poche parole gli fossero uscite così spontaneamente dalle labbra. Sorprendendo se stesso, con quel sollievo e quella tenerezza.

Angel lo fissò, per un istante interminabile. Poi, con una leggera smorfia per il dolore che gli si irradiava lungo il corpo, gli sorrise. Un sorriso che nasceva anche dall’espressione sorpresa che gli si era dipinta sul volto, nello scoprirsi realmente preoccupato.

Ehi.” – ripeté Spike, passandogli una mano tra i capelli, prima di fermare con le dita in un altro rigagnolo di sangue – “Questa volta sono io che mi chino su di te…”

A quanto pare…”- mormorò Angel, chiudendo gli occhi e riaprendoli dopo poco – “ma se mi aiuti, interrompiamo l’idillio e mi alzo…”

Spike si bloccò, smettendo di togliergli sangue dalla fronte.

Lo guardò per un attimo perplesso. Poi cominciò a ridere, piano.

Ma ti sei visto? Pensi di essere credibile?”

Angel lo guardò, aggrottando la fronte. Prima di cominciare a ridere debolmente.

Temo proprio tu abbia ragione…”

 

William non potrà mai raccontarti per intero la sua vita, dall’ultima volta in cui vi siete visti.” -aggiunse – “Ma non ti mentirà, nel dirti che è divenuto ciò che desiderava.”

Edward voltò la testa. E cercò di perdersi nell’enorme arazzo alle spalle di Angel. Ciò che desiderava… desiderava veramente perdere se stesso, la luce del giorno…

La luce… una vita senza la luce.

Sospirò. E, istintivamente, premette due dita sulla ferita che non esisteva, quella provocata dalla freccia di Spike.

Non aveva mai smesso di fare male, da quella notte.

Ed Angel sembrò intuirlo.

Senti ancora dolore, Edward?” – domandò, guardando quella mano lunga ed elegante su cui le abrasioni andavano lentamente sparendo, sotto i suoi occhi.

Il corpo ricorda, Angel.” – rispose, l’uomo senza guardarlo – “Come la mente, come l’anima…”

Adesso gli occhi azzurri lo passavano, da parte a parte.

Non è così, Angel?” – domandò, con voce sommessa – “non ricordiamo sempre, con tutto noi stessi?”

 

Non mentiva.

Aveva ragione. Le ferite del passato potevano ancora far male.

Negli incubi peggiori, Angel sentiva ancora il sangue delle vittime arroventargli le vene. E il sapore vivo di Drusilla, di William, bruciargli le labbra con il calore dell’ultima mortale sorsata.

Oh, si. Nelle notti più buie, Angel cercava ancora i segni dei denti di Darla. E rammentava, con infinito rimpianto, le mani perennemente tiepide di Kathy.

 

Sì, il corpo ricorda.

 

Quella freccia mi ha trapassato, Angel.” – aggiunse, tornando a perdere lo sguardo sopra le loro teste – “In molti modi…”

 

***

 

Allora.” – esordì Faith, a bocca piena, cercando di protendersi verso la scatola dei biscotti – “Chi mi spiega cosa stia accadendo?”

Io no di sicuro.” – rispose, Methos, sottolineando per l’ennesima volta l’estraneità alla vicenda e rifilandole una botta sulla mano, per farla desistere – “E smetti di mangiare, o diventerai la Cacciatrice che rotola.”

Fatti i cazzi tuoi.”

Lo sono. Stai mandandomi in bancarotta con le sortite in frigo.” – e indicò Doyle – “Come lui.”

Non esagerare.” – replicò il demone, masticando – “Sono solo molto nervoso.”

Non è una buona motivazione.”

Doyle...”

Lo so, Faith. Vuoi spiegazioni.” – sospirò, guardandola imburrarsi un’altra fetta biscottata – “Ma non c’è molto da dire... ho avuto una visione e siamo andati a dare un’occhiata.”

Voi quattro, d’amore e d’accordo?”

Perché no?”

Perché non esiste un ‘per caso’, quando ci sei tu… e nemmeno quando c’è Angel.” – senza pensare, tese la fetta già pronta a Methos e ne preparò una seconda – “Ed è da stamattina che state ben attenti a non dire a nessuno quello che state facendo. Se non ci incontravamo…”

Per caso…” – sottolineò Methos, passandole la marmellata – “sottolinea per caso.”

Se non ci trovavamo per caso di certo non sarei qui, ora. Giusto?”

Giusto.”

E quindi continui a pensare che non serva una spiegazione?”

Andiamo, Faithy.” – si intromise l’immortale, bonariamente – “Lo sai che non intende dirtelo. Mi dici perché continui a ostinarti?”

Perché voglio sapere. Ho mentito a Spike, Doyle. Gli ho detto che non c’era niente in pentola, camminando fianco a fianco con quel tizio! Non credi che mi sarebbe più facile fare certe porcate, sapendo il motivo?”


No, non credo proprio. Doyle la fissò, imperscrutabile.

Se adesso ti dico perché nascondiamo Edward, tu ci spacchi le gambe.

Ed io mi trovo costretto a darti ragione mentre mi torturi.

 

Tu non tollereresti un inganno di questo tipo… perché conosci Spike.

E non conosci per niente Edward.

 

Prova a chiedere ad Angel.” – rispose, cercando come suo solito le sigarette – “Secondo me ti dice quello che ho detto io.”

Tu non mi hai detto nulla!”

Vero, non le hai detto nulla.”

Methos, piantala, per favore.” – esclamò. Prima di cambiare idea – “Anzi, no. Sai le stesse cose che so io. Se vuoi, raccontagliele! Io me ne vado.”

Methos si raddrizzò, mentre il demone saltava giù dallo sgabello.

Ehi, dove vai!”

A fare il giro dell’isolato, per godermi la sigaretta in pace.” – rispose, ingoiando altre due pastiglie per il mal di testa – “Dì a Faith ciò che credi debba sapere.

Io, sottolineo io, mi faccio gli affari miei.”

 

***

 

Immagino sia il momento di parlare di cose serie...” – sospirò Edward, cercando di scacciare il peggio del suo stato d’animo. E di concentrarsi.

Angel non si stupì di non avere risposta. Quel ragazzo era un mulo testardo come pochi ne esistevano. Lo sapeva dalla prima occhiata che si erano scambiati.

Ho incontrato Drusilla.” – disse, con tono svagato. Iniziava a desiderare di picchiarlo. Una bella botta intesta, me lo carico sulle spalle e lo scarico sui piedi di William.

Sono affari di famiglia, dopotutto.

 

 

 

della mia famiglia, ora che ci penso.

 

Edward lo fissò senza parole, per quell’affermazione.

Come sarebbe... hai visto Drusilla...” – si alzò in piedi, appoggiandosi alla scrivania e sovrastandolo – “Quando, dove e perché.”

Calma.” – replicò Angel, sorpreso – “Ci tenevi così tanto a conoscerla?”

Certo! Non vorrai togliermi il piacere di impalettarla!”

 

Oddio… mettiti in coda, Coventry… la tua non è un’idea originale.

 

Sa di me, potrebbe dirlo a William, vuole la mia testa e si è presa mio fratello.” – elencò Edward, con un’escalation di motivazioni – “Secondo te non la voglio nuclearizzare?”

Di nuovo quel verbo…

Ti farà piacere sapere che non vuole la tua testa.” – replicò, guardandolo dal basso. Edward stava appoggiato al ripiano, integralmente verso di lui. E aveva occhi elettrici.

Ah no?” – replicò il giovane leone – “Voleva che conoscessi i suoi amichetti?”

Voleva te, Edward.” – ribatté, con più calma possibile – “Nel senso più vampirico del termine.”

Edward si bloccò. E spalancò gli occhi. Se non fosse stato per la gravità della situazione, Angel l’avrebbe trovato memorabile.

Oh.” – commentò. Sembrava indeciso tra il lusingato e il perplesso. Si tirò indietro i capelli e lo fissò – “Davvero?”

Davvero.” – adesso il tempo della tolleranza era finito. Angel si mise in piedi e, d’un tratto, lo studio divenne piccolo – “Non stupirtene, è nella nostra natura voler distruggere tutto il meglio che esiste, cercare di farlo nostro con ogni mezzo. Drusilla ha perso Spike, in tutti i sensi. E, con la sua mente deviata, desidera ancora la luce. Sei un candidato perfetto. Per bellezza, follia e testardaggine!”

Modera i termini, Angel.” – ringhiò l’altro, assottigliando gli occhi – “Anche la mia pazienza conosce limiti.”

Tu non hai pazienza!” – esclamò – “Sei un immortale imprevedibile, che prende fuoco come un fiammifero, tutto onore fino al midollo, che sta qui quando dovrebbe andarsene veloce come il vento! Drusilla vuole vampirizzarti, se ne frega della tua immortalità! Familiarizza in fretta con questo concetto, perché fino a quando non la trovo e la faccio fuori, dovrai guardarti bene le spalle.”

Sempre che non la trovi prima io.”

Non riusciresti ad ammazzarla, Edward.” – rispose, tornando serio – “Credimi. Drusilla è più di quello che sembra. Muoiono tutti... e lei vive ancora. E’ il mio peggior abominio, sta a me porre fine.”

Edward lo fissò in viso, le mani posate sui fianchi. Anche se restava fermo, continuava a scaturire da lui un’incredibile tensione vitale. Non c’era muscolo che non ne fosse coinvolto. Nella perfetta immobilità, Edward pulsava, con tutto l’essere.

E stargli di fronte, freddi, privi di vita ma non di coscienza, era intossicante.

Io credo.” – rispose, sfidandolo – “Che sia tu quello che non può ucciderla.”

 

Sì.” – Angel si raddrizzò. E incrociò le braccia – “Forse stai dicendo la verità. Forse non potrò mai realmente farlo.

Ma continuerò a tentare, fino a quando non sarò pronto.”

 

Continuerò, sulla strada che percorro.

 

Oggi un motivo in più per farlo. Ho la tua vita. La vita nella sua essenza più pura.

 

Ha ragione Doyle. Tu sei l’altro volto del destino.

Le tenebre hanno già avuto parte di questa eternità di cui sei custode.

Lo so. So che espierò per questa colpa fino all’ultimo attimo della mia esistenza.

 

Ma ti salverò, Edward.

Te lo prometto.

 

Rassicurante.” – replicò Edward, incrociando le braccia – “Tu non sei certo di poterla ammazzare, io probabilmente non posso riuscirci. Oh, come mi sento sicuro.”

Angel alzò gli occhi al cielo.

Bhe…” – considerò – “possiamo sempre chiedere a Faith. E’ il suo lavoro…”

Edward scosse la testa, rassegnato. Andare d’accordo con quel vampiro bruno era uno sforzo titanico.

Certo.” – annuì, prima di passarsi una mano sulla faccia – “La ragazza che continua a puntarmi il dito contro e dire ‘tu che ci fai qui!’... Siamo già partiti con il piede giusto.”

Non ti sorprendere. Sei passato alla storia come l’immortale che mi ha pestato.” – replicò il vampiro, aprendo la porta e uscendo sul ballatoio.

Pestato, addirittura…”

Non battuto. Ho detto loro che ho vinto io.”

Ah sì? E in base a cosa?”

In base al fatto che hai ancora la testa.”

Certo.” – Edward annuì, seguendolo giù dalla scala – “Dovremo trovare il tempo per discuterne.”

A che pro. Intanto ho vinto io.”

 

Vinto cosa?” – domandò Faith, finendo il bicchiere di latte e pulendosi la bocca.

Il nostro duello. Quello di sei mesi fa.” – rispose Edward, arrivandole a fianco, in piedi, le mani in tasca.

Ah, già.” – la ragazza gli tirò un’occhiata beffarda – “Tranquillo, è normale prendersele dall’eroe. Capita a tutti.”

Methos alzò lo sguardo, divertito. Edward aveva l’aria arruffata e gli occhi tempestosi. L’aria di chi, insomma, è inciampato in un grosso guaio senza preavviso.

Faith lo stava blandamente sfottendo. E, come era inevitabile, lo guardava con simpatia, quel sentimento che scaturiva spontaneo nei confronti dell’uomo, a partire dal momento in cui si placavano gli ormoni.

Edward era una persona inevitabile da amare. Da inseguire per tutta l’esistenza, passo dopo passo, per molti. E Faith, ormai parte integrante della vita di Spike, non faceva difetto a questa regola.

Amava William. E si protendeva, nell’assoluta incoscienza, verso ciò che riconosceva di lui in Edward.

 

Allora, biondo.” – stava dicendo, nel porgergli il succo d’arancia – “Come ti butta dopo il colloquio con Angel?”

Butta male.” – replicò lui, cercando un bicchiere. E Faith, mentre Methos nascondeva una risata, gli guardò il fondoschiena – “E tu? Estorto qualche informazione?”

Ci ho provato. Senza risultati.” – indicò Methos con la testa – “La sua collaborazione è zero. E Doyle si sta facendo un giro.”

Forse l’unico che abbia avuto, a tuttora, una buona idea.” – commentò Methos, alzandosi. Edward stava cercandosi una mela in un’enorme coppa di frutta. E fischiettava, distrattamente. Come dire che stava pensando – “Senti un po’, pupillo, ci distendiamo i nervi?”

Edward si voltò, addentando la mela. E poi usandola per minacciarlo.

Chiamami ancora pupillo.” – disse, a bocca piena – “E giuro che ti mutilo.”

Perfetto… questo è il giusto spirito.” – ribatté, rifilandogli una pacca su una spalla, ben più simile a un gesto di conforto che a una presa in giro – “Allora, ci stai?”

Perché no.” – rispose, afferrando anche il bicchiere – “Recupero la spada.”

 

Edward sfoderò la spada e perse le scarpe nel tempo che servì a Methos per recuperare la propria.

Come al solito, Edward aveva cambiato arma bianca, optando per una lama spagnola solida e lucida, con cui al momento stava giocherellando, distrattamente.

Finisci di mangiare, prima?” – chiese Methos, tirandosi su le maniche, guardandolo masticare allegramente e posare il bicchiere su una mensola.

Per combattere con te?” – replicò l’altro, senza smettere di addentare la mela e sventolando la spada con la destra – “Ma per favore! Cominciamo, forza!”

Pivello.” – sputò l’uomo – “Non so chi ti abbia messo in testa certe idee…”

Dieci minuti con un buono spadaccino, uno vero, cambiano subito la prospettiva.” – rispose Edward, camminando in cerchio – “Io ho avuto buoni maestri... e sono bravo… tu… bhe, Methos, non possiamo essere tutti dei campioni.”

In effetti, al momento non ho voglia di scherma… mi stanno iniziando a prudere le mani.” – replicò l’immortale, tirando la prima stoccata – “Ti meriteresti una mano di botte… mancarmi così di rispetto…”

Parata. Stoccata.

Perdono, Methuselah.” – sorrise il ragazzo, arrivandogli vicino e storpiandogli il nome. Prima di mordere di nuovo la mela – “Lo sai, a noi ragazzini capita di essere irriverenti…”

Marmocchio.” – ribatté Methos, respingendolo, con gli occhi brillanti.

Cariatide.”

Methos sorrise. Edward era veramente bravo, i suoi colpi erano precisi, anche se incredibilmente rilassati. Aveva preso alla lettera la sua proposta, non tentava nemmeno di sfogarsi. Pensava, riallineava con calma la mente e il corpo.

 

Girava intorno, studiava la zona di lotta, valutava le mosse più giuste. E Methos lo lasciava fare. E si godeva, nell’identica maniera, l’arte della guerra.

 

Inghilterra, 1855

 

Bene così.” – sorrise Methos. Edward allungò il braccio e l’uomo gli sistemò la mano – “E' un tipo di spada che va impugnata in questa maniera, o rischierà di sfuggirti di mano. Allunga. Sì, meglio.”

Mosse un passo indietro. E ripresero da dove avevano interrotto.

Era piacevole tirar di spada senza alcuna tensione, per il puro piacere di confrontarsi.

Edward era dotato per la scherma, cosa che, del resto, contraddistingueva molti potenziali immortali. Quasi il possibile destino influisse sulle loro doti.

E, visto che era stato anche educato a riguardo, nel migliore dei modi, Methos si adoperava per imbastardirgli lo stile e aumentare la funzionalità.

Ma, con suo disappunto, certe suggestioni non si perdevano e Edward continuava ad avere un affondo pulito e aristocratico.

 

Troppo.

 

Era ora di fare qualcosa per smorzarlo. Per tanto, Methos si piegò e mirò alle caviglie.

Edward fu pronto a parare, ma finì ugualmente per terra, con Methos che gli puntava la lama alla gola.

Come nei migliori libri di cappa e spada.” – sorrise, appoggiandosi sulla carotide con incredibile leggerezza – “E qui l’eroe si salva, in extremis, con una mossa inaspettata.”

Davvero?” – rispose, con aria svagata, Edward, i capelli sparsi sul tappeto, gli occhi brillanti – “Io penso che resterò così, invece. E spererò nella tua misericordia.”

Methos sorrise. E gli tese una mano, tirandolo in piedi.

Sei troppo fiducioso…” – replicò, voltandosi e lanciando i guanti sul tavolo.

In quei mesi si era fatto crescere i capelli, decidendo di portarli legati, anche se contribuivano a dargli un’espressione corsara, smorzando lo stile patinato da medico. Forse sembrava addirittura più giovane, considerò Edward, mentre l’uomo si voltava. Oppure faceva risaltare ancor di più il suo essere senza tempo.

Basta per oggi?”- domandò, lisciando il guanto e giocherellando con l’elsa.

Io posso anche continuare, ma ho pietà di te.”- Methos piegò il collo, slacciandosi il colletto. E Edward lo vide. Un segno rosso, netto, subito sopra la clavicola. D’istinto, tese la mano.

Methos non capì al volo. Abbassò gli occhi e comprese, nell’attimo stesso in cui le dita arrivarono a sfiorarlo.

Ah, quello.” – esclamò, con un’alzata di spalle e un sorriso, allontanandosi – “Non è nulla.”

Era profonda, se non si è ancora rimarginata.”

Vero.”

Ecco cos’era la tua indisposizione.” – mormorò il ragazzo. E io che avevo pensato a una donna – “Come è successo…”

Nel metodo canonico. Mirava alla testa e ha sbagliato.”

Immagino che lo sbaglio gli sia costato caro.” – commentò. Ormai da tempo sapeva della sua immortalità e delle regole del gioco. Ma non si era mai posto il problema che Methos, effettivamente, incontrasse altri come lui per qualcosa di diverso da una bevuta.

Quella era la prima volta… la prima volta che restavano segni.

Era tardi per scappare.” – replicò allegramente l’uomo. E si voltò. Edward era pallido, incredibilmente serio. E Methos si preoccupò.

Ehi, Coventry…”

Non avevo mai capito, Methos.” – replicò l’altro – “Quando combattiamo, è un gioco. È sempre un gioco, per me. Non c’è sangue e non c’è…”

Morte.” – finì, per lui, l’altro – “Lo so. Ami il gioco pulito, è una sfida allo stato puro. Permette di parlare, di conoscersi… e fa pensare. Mi piace, sul serio. Ma ti ho sempre detto che non è così…”

Edward si avvicinò alla panoplia, mentre Methos sceglieva due fioretti e gliene porgeva uno.

E’ vero.” – ammise. Aveva ventidue anni, era un uomo a pieno titolo, per la società inglese. Eppure stentava a capire realmente – “Quando combattiamo… io penso ai duelli tra immortali. Ma non a quello che succede, alla fine. Uno muore sempre. E questa volta potevi essere tu, vero?”

Come centinaia di altre. Fa parte del gioco.” – rispose, sorridendo con gli occhi e incamminandosi per tornare a centro sala – “Ma sono bravo a tutelarmi… e non necessariamente con la spada.”

Lo so.” – Edward piegò la testa, riflettendo – “Eppure…”

Niente eppure Coventry. Non ci pensare. Continua ad amare la spada per ciò che è. Un’arte. Pura e semplice.”

Mantieni questa tua comprensione. La vita arriva troppo presto a infrangere le nostre barriere.

 

Poco lontano, con il rumore delle spade che cozzavano di sottofondo, Angel e Faith discutevano sottovoce.

Ti rendi conto minimamente di quello che stai facendo?” – domandò Faith, con inusuale durezza, per l’ennesima volta – “E’ Spike, per la miseria! E tu lo tratti come un imbecille qualsiasi incapace di capire la situazione.”

Non è così semplice, Faith.” – si difese. Era come provare a spiegare che sta arrivando un maremoto senza dire acqua – “Non è per via di ciò che è successo… cioè, sì… insomma, non è solo quello, è solo che…”

Ti prego, con parole tue.” – replicò lei, grondando sarcasmo. Incrociò le braccia e respirò a fondo – “Non lo faccio per colpevolizzarti, ma dovresti soffermarti sulla situazione in cui mi trovo.”

 

E in cui non ti ho messa io. Gli sarebbe piaciuto protestare, ma non disse nulla.

 

E’ il motivo per cui stamattina non ti ho detto di venire con me.” – rispose, dunque – “E’ stato un caso, Faith. Credi che non mi renda conto della situazione paradossale? Il problema è che…”

E’ che non posso dirti nulla. Se parlo…

Giusto. Che succede se parlo?

Angel alzò gli occhi. Quei due continuavano a duellare. E Doyle era sparito. Si posò una mano sulla bocca, riflettendo.

Forse era, in effetti, il momento che qualcuno si imponesse.

E in fretta.

 

Si alzò e marciò deciso.

Poi, decidendo di controllarsi, si fermò a bordo campo. Ma Faith non fece altrettanto, frapponendosi tra i due.

 

Perfettamente tra i fili delle due lame.

 

Bei riflessi ad entrambi, complimenti.” – disse, mentre le spade di fermavano, all’altezza della sua nuca – “Smettete di giocare, voglio risposte. Angel dice che posso averle.”

Veramente...”

Faith si voltò, interrogativa.

Li fermavi per portare loro limonata fresca?” – si girò di nuovo, verso Edward. Fissandolo dritto negli occhi chiari – “Senti, bellissimo. Risposte. All’istante.”

Fottuto.” – commentò Methos, passandosi la spada sulle spalle e intrecciandoci le braccia – “Adesso devi parlare.”

E tu ne sei contento. Vero?” – ribatté Edward, pungente, guardandolo, sopra la nuca della Cacciatrice.

Sì.” – replicò l’immortale, facendosi serio – “E’ ora.”

Edward lo fissò, quasi con rancore. E mosse un passo indietro. Afferrò il maglione e se lo infilò, senza un commento.

 

Adesso basta con i frammenti della storia.

Basta con le persone costrette a mantenere segreti.

Non Faith.

Faith non deve più mentire.

 

L’ha fatto una volta sola... ed è già troppo. Troppo.

 

Non si tratta più di me. Adesso non più.

 

Si tirò indietro i capelli, abbassando la testa. E respirando a fondo. Chiuse gli occhi, cercando di scacciare la sensazione orribile al centro del petto. E, quando rialzò il capo, incoronato di quella sua struggente eleganza, quasi involontariamente, cercò Angel.

 

Dritto in viso, in caduta libera dentro gli occhi scuri.

 

Mi dispiace.

Mi dispiace veramente.

Angel comprese, senza incertezza. E annuì.

 

Lo so, rispose, proiettando tutto il suo essere in quel vuoto.

So quanto fa male.

 

Faith si voltò verso il vampiro. E Methos mosse un passo indietro, voltandosi. Una doccia, ecco cosa ci vuole, pensò, posando la spada. Una doccia bollente.

 

Che fai... scappi?” – mormorò Faith, alle sue spalle. E Methos, sorrise.

 

I tuoi sensi sono sviluppati, Cacciatrice... ma non sai ascoltare il silenzio.

 

No.” – il ragazzo biondo scosse la testa, iniziando a infilarsi le scarpe – “Faccio ciò che devo.”

 

Ciò che dovevo fare sei mesi fa.

Ciò che voglio fare da tutta la mia vita.

 

Angel.” – chiamò, alzandosi e rinfoderando la spada – “Rispiegami la strada.”

 

***

 

Ehi, del maniero! Principessa? Wes?” – Doyle gettò la giacca su uno dei divanetti dell’Hyperion e si affacciò alle varie porte – “C’è qualcuno, vivo o non morto?”

Oh, ciao.” – Wes sbucò dal garage, con una pila di libri – “Avevo dimenticato questi in macchina. Mi aiuti?”

Certo.” – rispose, togliendoli dalle mani e posandoli sul tavolo più vicino – “Dove sono gli altri?”

Non intendevo questo.” – rispose l’uomo, fissando i suoi tomi – “Devi portarli di sopra…”

Allora chiamiamo Spike. Non è lui quello dai poteri sovrumani?”

Non c’è. E nemmeno Cordelia, la quale ha detto di cacciarti di casa se ti vedevo. Sarà meglio che ti cerchi una buona scusa…”

Non c’è?”

No.” – rispose Wes, aprendo il libro in cima al cumulo e sfogliandolo – “Ha detto che raggiungeva Faith...”

Il libro si chiuse con uno schianto. E Wes levò per un soffio le dita.

Ha detto che raggiungeva Faith?” – ripeté Doyle, la mano ancora sulla copertina vibrante.

Sì, ha parlato di una colazione e…” – Wes cambiò espressione – “Perché? Faith è in pericolo?”

Doyle lo fissò, senza parole. Gli occhi sbarrati.

 

Ho mentito a Spike, Doyle.

Gli ho detto che non c’era niente in pentola, camminando fianco a fianco con quel tizio!

 

Ma sì, certo… come aveva potuto essere così stupido… avesse solo ascoltato Faith! Non si preoccupava delle menzogne future... si era seduta a quel tavolo già colpevole.

Oddio…

Il castello di carte stava crollando, sotto i suoi occhi.

Devo raggiungerlo.” – mormorò, arretrando – “Devo fermarlo. Faith sta bene, Wes, non è lei il problema.”

Stava già correndo verso la porta.

Rischiando quasi di investire Cordelia. Senza nemmeno vederla.

 

Correva come un pazzo. Chi lo vedeva passare si scostava, incredulo.

I capelli scuri indietro, gli occhi ghiaccio così trasparenti da lasciar di stucco.

E quell’espressione.

L’espressione di chi corre per la vita.

 

Doyle abbassò gli occhi, il cuore martellante, e frugò in tasca, disperato.

Il cellulare!

Febbrilmente compose il numero di Angel, rallentando il minimo necessario per non uccidersi.

Libero.

 

Nessuna risposta. Dove, dove sei, maledizione!

 

Il cellulare suonava indisturbato, sulla scrivania di Methos, in mezzo ai paletti.

 

Ti prego, ti prego, ti prego…

 

La visione lo colse impreparato. Lo fece cadere. Rotolare, giù dal marciapiede.

 

Qualcuno urlò.

Ma l’urlo di Doyle fu più forte.

E pieno di disperazione.

 

***

 

Sei pronto adesso?” – domandò Edward, alzando gli occhi verso il ballatoio. Era appoggiato al tavolo, le mani nelle tasche dei jeans.

Ed era tirato in viso, pallido. I suoi occhi erano incastonati, quasi indaco.

Per la prima volta da quando si conoscevano, Angel sentiva il cuore di Edward battere in maniera strana. E percepiva il suo respiro come se si stesse scomponendo.

 

Non era un concetto facile da rendere... ma il corpo di Edward stava reagendo a un pensiero. E identificava quel malessere come qualcosa di già vissuto... ma cosa…

 

Avevo lasciato il telefono di sopra.” – spiegò, tenendolo tra le dita, mostrandolo – “Potrebbe servirmi. Vengo a casa anche io… passo dal sottosuolo.”

 

E io?” – Faith aveva accantonato l’irritazione. Angel le aveva detto che avrebbe dovuto pazientare per poco. Di aspettarli da Methos. Che sarebbero tornati in fretta.

Se arriva Doyle.” – aveva aggiunto l’immortale biondo – “Digli che vado a cercarmi le risposte da solo… che non gli farò più domande. Lui capirà.”

Certo. Lui sì.” – tagliò corto la Cacciatrice, troppo terra terra, troppo tesa per poter intuire fino in fondo il dramma.

 

Ed ora, Edward la stava guardando. In piedi, pronto a uscire.

Grazie, Faith.” – mormorò, con un accento strano, un accento che la ragazza riconobbe come qualcosa di già sentito – “Non volevo farti mentire. Non te lo avrei mai chiesto.”

 

Lui ti ama. E forse inizio a capire perché.

 

Faith fu colta di sprovvista da quelle parole, da quella tristezza velata.

Quel ragazzo portava un dolore nel cuore che non sapeva trasmettere, che non riusciva quasi più a celare. Ma, quando fu finalmente pronta a ricambiare, a parole, a gesti, sotto i suoi occhi vide mutare l’espressione.

 

Come succede in chi, dopo lunga attesa, finalmente affronta le sue paure.

E, paradossalmente, non teme più nulla.

 

Non ci si deve mai fermare all’attimo prima, Cacciatrice. La possibilità di salvarsi nasce dal saper dimenticare la frazione di secondo che precede la lotta. Dimentica l’attimo in cui sei ancora ferma, proietta il tuo cuore nella mischia.

Chi è nato per combattere ha paura solo mentre ancora non agisce.

 

Sì. Hai ragione, Spike.

Ma solo ora ho capito cosa intendi.

A dopo, Faith.”

A dopo, Eddy. Buona fortuna.”

 

Edward si era incamminato.

Ed Angel l’aveva affiancato, resistendo all’impulso di posargli una mano sulla spalla.

Il ragazzo non avrebbe apprezzato. L’avrebbe trovato un gesto vano, illusorio. Si preparava a muovere un passo che sapeva di dover fare da solo.

Non avrebbe mai voluto nessuno, per aiutare se stesso.

Se Angel lo seguiva... lo seguiva ora… era per Spike.

Per nessun altro all’infuori di Spike.

 

Esistono le scelte giuste per noi stessi… e quelle che compiamo per gli altri, senza nemmeno saperlo.

 

 

Io adoro mio fratello. E’ un problema che ho dalla nascita.”

William… ne hai parlato al presente…”

Come?”

Hai detto ‘adoro’ non” – si era interrotto, con imbarazzo – “non… adoravo…”

Spike lo fissò, con vago sarcasmo.

Accertati di avere il coraggio di arrivare fino in fondo alla frase, la prossima volta.”- commentò, asciutto – “non cercare altro a metà strada.”

 

Mio fratello” – aggiunse, alzandosi –” è nel mio cuore un passato perduto e un eterno presente. Ricordatelo, per la prossima volta.”

 

Angel non aveva risposto.

Lo aveva solo osservato allontanarsi, con la sua andatura dinoccolata.

 

 

Andiamo.” – sospirò Angel, seguendolo. E rispondendo al cellulare – “Pronto? Doyle?”

 

Edward aprì la porta.

E, in quell’attimo, Doyle apparve in cima alle scale.

E scivolò a terra.

 

Troppo tardi. Troppo tardi, ripeté, lasciando cadere pure il telefono che aveva tra le mani.

E rimanendo fermo, raggelato come Angel, nel realizzarsi della sua visione.

 

***

 

Un battito.

Forse due.

E il cuore che accelera. Un battito, ancora uno, l’ultimo che riusciamo a distinguere. E i pensieri muoiono, si accartocciano su loro stessi.

Soccombono al nostro corpo, ormai incontrollabile.

Nell’insopportabile silenzio, nella totale assenza di dubbio, nel riconoscersi con agghiacciante certezza.

 

Uno di fronte all’altro.

 

Occhi negli occhi.

 

Spike aveva ancora la mano alzata.

Le dita piegate, per bussare. E un sorriso beffardo, quello di sempre, che andava sgretolandosi con lentezza, insieme al ricadere della mano.

 

Spike.

 

Il sanguinario.

 

L'uccisore delle Cacciatrici.

 

William the Bloody.

 

William Coventry, il suo demone e la sua anima. L’ombra di se stesso.

 

Il viso era scarno, fatto di ossa sporgenti, non più celate dall’incarnato mortale, dagli occhiali, dai capelli sempre scomposti della sua adolescenza. Ora, in quei colori lattei ed esasperati, emergeva una bellezza maschia, univoca, da guerriero che Edward aveva potuto solo immaginare.

La bellezza del guerriero, con gli occhi del poeta.

No. Nemmeno il disegno di Angel gli aveva permesso di comprendere.

Non era preparato a tutto questo. Non era mai stato pronto a vederlo.

Mai, nei mesi, aveva provato a ricomporre quel viso nella mente e nel cuore. Mai.

Le labbra di Edward si dischiusero, senza che ne provenisse alcuna emozione.

 

Edward.” – pronunciò Spike, senza svelare nulla. Quasi fosse solo un suono, non un nome.

 

La sua voce era roca e profonda, piena, da uomo. E al di là di ogni sentimento descrivibile.

Edward attese, incapace di rispondere, di muoversi. Attese altre parole, di rabbia, dolore, gioia… esitazione. Attese parole, parole comprensibili che riempissero l’atroce nulla, pur essendo il primo tra loro incapace di esprimersi.

 

Cercò di respirare, di riflettere. Ma la sua mente gli sembrò vuota, un’immensa tabula rasa piena soltanto di echi del passato.

 

Londra, 1857

 

Ormai c’era abituato. Quando la fitta tornava, si limitava a respirare più piano. L’aria usciva a piccolissimi soffi, per provocare meno dolore possibile.

La sensazione dell’aria nei polmoni, gli aveva spiegato, è come lo strofinare una mano su una spazzola. Si, più o meno è così.

E William si era sentito rabbrividire, innanzi a quella spiegazione.

Non sempre.” – aveva aggiunto Edward, armeggiando con calma, con i lacci della camicia. Aveva enormi lividi sul petto. Bastava sfiorarlo, ormai, per lasciargli un segno. Edward era divenuto ciò che era sempre sembrato.

Un calice di cristallo colmo di luce.

 

Sei certo che non vuoi ti accompagni?” – domandò William, quando lo vide afferrare i guanti e posarsi il mantello sull’avambraccio. Edward si voltò, sorridendogli appena. Il soggiorno in campagna, conclusosi solo da un paio di giorni, sembrava avergli restituito un po’ di energia, un pallido miraggio di quella che l’aveva sempre contraddistinto.

Sicuro.” – rispose, avvicinandosi, obbligandolo ad alzarsi, abbandonando il libro che stava leggendo. Posandogli una mano sul collo e guardandolo – “Adam vuole solo chiacchierare, io ne approfitto per fare quattro passi. Al ritorno, se sarò stanco, mi farò riaccompagnare. Ti senti più sicuro, adesso?”

No.” – replicò, con testardaggine. La mano di Edward era a malapena tiepida – “Voglio venire con te.”

E invece starai a casa.” – sorrise, illuminando la stanza, con quegli occhi troppo vivi in un viso troppo pallido – “Perché sei un ragazzino e non ti voglio tra i piedi.”

Questa è una novità, Edward.” – William si sforzò di sorridere, riuscendoci a malapena. Era così stanco, così stanco di restare in piedi. Così stanco di non potersi abbandonare a quel mare buio di dolore. Così stanco, eppur così certo che, se si fosse lasciato andare, sarebbe stato per sempre.

Abituati.” – sussurrò, con leggerezza, suo fratello, baciandogli la fronte. E chiudendo gli occhi, ancora le labbra sulla sua pelle – “Voglio fare un sacco di cambiamenti, nelle prossime settimane.”

 

Settimane… William strinse gli occhi, con forza.

Forse è ora di iniziare a pensare solo in giorni… in ore…attimi…

Ma io non posso farlo… non posso… non posso se non lo fa Edward…

 

Ancora dell’idea di cominciare a fumare?” – lo sbeffeggiò, tenendo il viso premuto contro al suo corpo. Contro la gola pulsante, la pelle troppo sottile.

 

Edward sta svanendo, ricordò a se stesso, nello sfiorargli un braccio. Sta’ attento, attento a non fargli male.

 

Certo.” – Edward gli carezzò i capelli, con le dita – “Voglio provare quella novità francese… quelle sigarette. E ho in mente un altro paio di cose…”

Inizio a preoccuparmi.” – William si scostò, per guardarlo in viso. Con occhi azzurri, incredibilmente sereni, puliti – “Solo un paio?”

Magari un po’ di più. E tu dovresti fare altrettanto.” – Edward mosse un passo indietro e si infilò un guanto – “Comincia a fare una lista, Willie. Poi la confrontiamo, quando torno.”

Allora ti aspetto alzato.”

Guarda che la prendo come una promessa.”

Contaci.”

Allora a dopo, fratellino.” – aggiunse, voltandosi, a cavallo della porta – “E non ti preoccupare. Tornerò prima che tu riesca a sentire la mia mancanza.”

 

Non era mai tornato.

 

Non si erano mai più rivisti.

 

E la mancanza era divenuta oscurità senza fine.

 

Spike strinse i denti, e i suoi occhi divennero incredibilmente tersi.

 

Quello era un ricordo di William. E William, ciò che era stato, il ragazzo inglese fatto di utopie infrante, non esisteva più. La fiducia con cui guardava il mondo era morta, con lui, in quel vicolo, tra le braccia di Angelus.

William Coventry era morto, senza amore e senza luce.

 

All’improvviso, in quel silenzio, nella fissità del tempo congelato, Angel tornò a sentire il ritmo implacabile di un cuore sempre più veloce. E sapeva che, come lui, anche Spike avrebbe potuto sentirlo.

Poi comprese. Avrebbe potuto, non fosse stato il suo.

Non Edward.

Il cuore che batteva tanto forte da sembrar esplodere era quello di Spike, ancora immobile.

 

Spike, che ora lo fissava, come se non l’avesse mai visto.

 

Di fronte a lui, alle spalle di un fratello morto e sepolto da centocinquant’anni, c’era Angel. Edward ed Angel, insieme.

Gli sembrava di poter soffocare.

Era certo che, nel giro di qualche attimo, il suo corpo avrebbe cominciato a sgretolarsi, come nei suoi incubi, come nelle notti di terrore in cui la luce lo colpiva. E lo uccideva.

Edward.

Ed Angel.

 

Angel che sapeva...

 

Si impose di restare lucido. Mosse un passo indietro, barcollando.

Ed Edward, d’istinto, tese un braccio. E lo afferrò.

William, aspetta.”

 

La sua voce fu uno shock. Sotto lo sguardo ammutolito di Angel, Spike si divincolò, finendo contro il muro, gli occhi sbarrati, il terrore dipinto sui lineamenti.

 

La paura, un attimo prima di tramutarsi in furia.

Sei vivo.” – ansimò. Una voce aliena sulle sue labbra, troppo dura, il corpo contro la parete, per restare in piedi – “Immortale.”

 

Eri tu.

 

Eri tu, quella notte.

 

Si piegò su se stesso, cercando di stritolare la fiammata che gli si propagò dal torace, dal punto in cui il coltello malese l’aveva trapassato.

 

Inconsciamente…

 

Immortale.” – ripeté. E la parola ebbe il suono della condanna.

Mi hai lasciato solo. Ed eri vivo. Mi hai lasciato solo.

 

A mio fratello. Per la strada che percorreremo assieme.

 

Solo a morire.

 

Per la strada che percorreremo assieme.

 

Solo.

 

Promettimi che, quando ti mancherà la forza… prenderai la mia

 

Solo per oltre un secolo.

 

Voglio la mia splendida vita… tutta davanti agli occhi…

 

Tu non sei Edward.

 

I suoi occhi divennero dorati.

E Spike si raddrizzò, allontanandosi per il corridoio.

 

 

[III]

 

 

Il tempo divenne pietra. E l’aria scomparve. Edward chiuse gli occhi, accusando il colpo.

 

Tutto perduto, sussurrò a se stesso. Tutto perduto.

Che cosa ho fatto…

 

Abbassò la testa, cercando di respirare. Dietro di lui, nemmeno Angel osava muoversi.

 

Conosceva quello sguardo. Aveva sentito il demone di Spike emergere con assoluto tempismo. Ed ora, con quel battito terrificante ancora nella mente, con quel cuore fuori controllo nella memoria, non osava muoversi.

Faith gli era venuta a fianco. E lo stava fissando.

Ma Angel non osava guardarla.

 

Faith sapeva.

Faith adesso sapeva ogni cosa.

E, come Spike, non stava comprendendo.

 

Il vampiro biondo percorse con estrema calma il corridoio, quasi non ci fosse motivo per affrettarsi. Si sentiva la mente stranamente informe, priva di un equilibrio logico, di un miraggio di lucidità.

Pensava solo ai suoi incubi, all’inspiegabile scivolare dei pensieri a fianco di una realtà ignorata.

 

Pensava al Kriss malese, domandandosi perché non se l’era mai estratto dal petto.

 

Pensava alla paura di soffocare.

Una paura sciocca per chi è già morto.

 

In fondo al corridoio, faticando a mettersi in piedi, Doyle gli sbarrò il passo.

 

E Spike alzò occhi liquidi e algidi verso di lui.

 

Tu non vuoi che le cose vadano in questo modo.” – disse il demone. Sapeva di perdere sangue dal naso, di avere una grossa escoriazione sulla guancia, sulla fronte. Cose che possono succedere quando voli sull’asfalto, correndo come un dannato.

E sapeva che, in frangenti normali, Spike non lo avrebbe mai guardato così.

Perché non l’aveva mai fatto.

 

E mai, mai, gli avrebbe sorriso in quel modo.

 

Spike non si lasciò né intimorire, né preoccupare. E Doyle, con un brivido, fissò negli occhi il sanguinario. Il vampiro biondo senza scrupoli del loro primo incontro.

Non c’era William, in quel corpo.

 

Levati.” – gli disse l’essere. Il vampiro della gemma di Amarra, l’uccisore delle Cacciatrici.

 

Da qualche parte, nel fondo della mente, Spike si sentì ridere, divertito.

 

Doyle sapeva. Come stupirsi del contrario.

Come Methos.

Come Angel.

 

Già, come Angel.

E, dilatando le narici e aspirando, come Faith.

 

Sì, come Faith, valutò, con freddezza, fissando il demone, ancora stoicamente immobile.

 

Doyle, Angel, Faith. Doyle, Angel, Faith. Doyle, Angel, Faith. Doyle, Angel, Faith.

 

E io… che ti ho chiamato amico… fratello… amore…

 

Alcuni passi rimbombarono alle sue spalle, una mano lo afferrò, facendolo voltare.

Non oppose resistenza, sentendo il proprio corpo cedere a quell’energia.

 

Perché irrigidirsi, a conti fatti.

 

E perché scappare. Non aveva nulla da nascondere.

 

Alzò gli occhi verso l’uomo che lo tratteneva. Quasi studiatamente, le sue ciglia oro gli adombrarono le iridi, prima di svelarle del tutto.

 

E ritrovandosi di fronte suo fratello... quello che sembrava suo fratello.

 

Lo fissò, rendendosi conto di ricordarlo veramente, alla perfezione, quasi non fosse passato un giorno.

Edward portava i capelli più corti. E una barba appena visibile. Ma i suoi occhi erano ancora dell’azzurro perfetto del cielo di Provenza, di quell’estate in Provenza trascorsa insieme, da Carrol.

Era ancora di quella bellezza struggente e giovanile. La luce perfetta non più minata dall’agonia. Era ancora il calice colmo di luce delle sue fantasticherie.

 

Peccato sia trascorso del tempo, considerò, con pigro rimpianto, guardandolo.

Peccato tu non sia veramente Edward.

 

Voglio spiegarti.” – disse l’immortale, lo sguardo perso sul suo viso. Non c’era più somiglianza tra loro, tutti gli avevano mentito. Spike aveva occhi enormi, grigio azzurri. Occhi che William non aveva mai avuto.

 

Occhi che si doravano leggermente, facendogli pensare alla trasformazione.

 

Alla mutazione che non aveva mai visto.

Ma di cui aveva solo letto.

 

Le cartilagini si deformano, il naso ne viene quasi inglobato. Il demone ha un viso pronunciato, in cui gli occhi sembrano sparire, di un perfetto giallo oro. La bocca risalta, dotata di denti aguzzi…

 

Occhi gialli… forse una licenza del descrittore.

William aveva ancora occhi chiari, dotati forse di alcuni bagliori dorati.

 

E, in fondo, nel profondo, ancora la luce.

Edward ne fu quasi stordito, nell’attimo in cui la colse.

Eccola. La rifulgenza di William.

 

Visibile, per un singolo istante.

 

Ah sì?” – disse suo fratello, sorridendogli, movendo in una danza grottesca i lineamenti. E spezzandogli il cuore, con un sorriso duro, crudele – “Anche io voglio spiegarti.”

 

Mutò, prima ancora che Edward potesse rendersi conto, prima che potesse sentirsi preparato, mentre volava contro la parete, sbattendo la schiena con violenza.

 

Un dolore atroce presto sostituito da una fiammata indescrivibile, alla base del collo.

 

Un dolore capace di superare la resistenza umana. Ad un passo dal divenire piacere.

Inarcò la testa, quasi accompagnando quella pressione. E la fronte di William, la fronte su cui così spesso aveva posato le labbra, gli sfiorò il viso. Fredda e dura.

Lo cinse, nella promessa di un abbraccio. E divenne morsa.

Edward sussultò, con tutto il corpo. I polmoni, compressi dal peso e dalla sensazione sbagliata, si vuotarono, riempiendogli la visuale di luci e macchie.

Ombre scure, in una notte che avanza.

 

I denti di Spike gli penetrarono la giugulare senza esitazione.

La prima sorsata dette a Edward la sensazione di essere risucchiato, che tutta la sua anima stesse precipitando fuori dal corpo. Annaspò, artigliando la parete con le unghie, voltando la testa, mentre la visuale si riempiva di immagini confuse.

 

Il suo cuore accelerò, quasi scoppiandogli, al centro del petto.

Doyle, respinto senza sforzo apparente, volò verso il fondo del corridoio, evitando per un soffio di precipitare giù dalle scale. Faith, che aveva afferrato Angel per un braccio, nel tentativo di parlargli, si sentì respingere. E si voltò appena in tempo per vedere la scena.

Spike si stava cibando di Edward, in un abbraccio di morte.

Spike beveva il suo stesso sangue, senza remore.

Raggelata, lasciò andare Angel. Ma non osò muoversi, mentre l’immortale, con un ultimo sforzo, voltava il capo verso di lei. E la fissava, con occhi vuoti, come mille vittime per cui la Cacciatrice era giunta troppo tardi.

 

Methos le passò a fianco, correndo, ancora a torso nudo.

 

Edward perse il contatto con il reale. Un respiro gli uscì ancora dalle labbra, simile a un fischio, proprio nell’attimo in cui Spike lo lasciò andare, facendolo precipitare riverso, a terra. Con la testa inarcata, ebbe l’impressione di vedere Angel, di sentire la sua voce.

E, con una volontà che gli sembrava di non poter avere, si impose di restare cosciente.

 

Angel si fermò, le mani già protese verso Spike. Rendendosi conto solo in quel momento di aver urlato il suo nome, chiamandolo, chiamandoli entrambi, senza risposta.

 

Spike non si era voltato.

E non aveva lasciato andare Edward perché finalmente consapevole del suo gesto.

 

Angel colse quest’assenza di colpa. Come Doyle, seduto scompostamente, pochi metri oltre.

Come Methos, adesso immobile, dietro di lui, così vicino da investirlo con il suo calore corporeo.

No. In Spike, non c’era coscienza.

Ed Angel, con crescente paralisi, lo fissò. Immobile, impegnato a sovrastare suo fratello Edward, la bocca quasi schiumante di sangue.

 

E il volto della caccia, ancora in vista.

 

Guardami, immortale.” – lo sentì dire. Il tono del comando, tornando ai suoi lineamenti.

Al volto perfetto, da cherubino. E, constatò Angel, con orrore, gli occhi vacui di Edward ricambiarono l’occhiata del demone. Annientati – “Sono un vampiro. E mi chiamo Spike.

Stammi lontano. O io ti ucciderò.”

 

E Doyle non lo ostacolò più, quando gli passò a fianco.

 

***

 

Methos fu il primo a riaversi. Si piegò su Edward, premendo la mano sulla ferita ancora sanguinante.

Spike aveva fatto un buon lavoro, privandolo solo del sangue necessario per intontirlo, considerò Angel, abbassando gli occhi. Gli aveva donato il battito lento e ipnotico dell’agonia, lo stesso che Drusilla gli aveva fatto conoscere, la notte del loro incontro.

Spike aveva riprodotto la sua vampirizzazione, con precisione preoccupante. Per quel motivo non gli aveva parlato, non si era voltato, con una singola parola di disprezzo, per lui, per il suo sire.

 

Era Edward, il suo messaggio.

Edward a terra, ai sui piedi, così simile a William. Vittima di una morte lenta ad avanzare.

La luce che scompare, goccia dopo goccia.

 

Sì, quell’immagine parlava a Angel, ad Angelus.

 

Lo volevi, no?

Prendilo.

Prendilo ora.

Anche io so distruggere.

 

Sbatté le palpebre, sorpreso. Poteva sentirlo di nuovo. Di nuovo quel loro legame telepatico, inspiegabile. Non pensieri, ma idee informi, ancora sospese nell’aria, tra loro.

 

Lo proteggevi… hai scelto lui e non me, questa volta…

 

Prendilo, allora.

 

Perché tra noi…

 

Faith lo urtò, passandogli a fianco, senza che si sentisse in dovere di opporre resistenza.

Senza riuscire a badare a lei, alla sua Faith, che correva verso le scale.

 

Spike non gli aveva detto nulla. Nulla.

 

Condannati senza difesa. Condannati per tradimento. E, cosa peggiore, pensò Angel, veramente colpevoli di tutto questo.

 

Doyle, più pronto di lui, afferrò la ragazza.

Lasciami, Doyle, lasciami.” – ringhiò lei, senza osare atterrarlo. Doyle aveva una faccia spaventosa e Faith portava ancora negli occhi l’immagine della crudeltà di Spike e, buon Dio, ne provava ribrezzo.

Non voglio essere come lui, non voglio essere come lui…

Farà a te ciò che ha fatto a lui.” – rispose il demone, rendendosi conto di non poter controllare la voce. Di star quasi piangendo. E tremando – “Non dargli qualcos’altro di cui pentirsi. Angel…”

 

Il vampiro alzò gli occhi verso di lui. Verso il suo povero cantastorie, che teneva una mano aggrappata al corrimano, per restare in piedi, e un braccio intorno alla vita della Cacciatrice. Della ragazza di Spike, disperata.

 

Ti prego, uomo…

 

Si impose di restare lucido. E si mosse, passando oltre Edward, ancora riverso a terra.

Non ricordare, non ricordare ora…

 

Me ne occupo io.” – disse, tendendo le mani e afferrando il viso di Faith. Constatando, con sollievo, che non si sarebbe scostata – “Non era così che sarebbe dovuta andare.”

La ragazza annuì, sotto shock. Non era certa di cogliere veramente la valenza delle parole di Angel. Ma si calmò comunque, permettendo a Doyle di lasciarla andare. E voltandosi verso di lui, per sorreggerlo.

Ti aspetto qui.” – rispose, senza emozione.

 

Tornate insieme, ti prego... ti prego, Angel…

 

Vai anche tu…” – sussurrò Edward, mentre Methos si chinava verso di lui – “Anche tu…”

Quella voce flebile… e quel suo restare sempre attaccato alla vita, a un filo sempre più fine.

 

Oh, Coventry…

 

Io non posso fare nulla.” – ribatté l’immortale a denti stretti. I segni del morso di Spike non si stavano rimarginando. Il sangue continuava a scivolargli tra le dita.

Certo… non una ferita qualsiasi... questa è una ferita dell’anima…

 

Angel.” – Edward piegò la testa da un lato, mentre le lacrime si mischiavano al sangue - “Ucciderà Angel…”

Non lo farà.” – rispose Faith, riapparendo a fianco di Methos. Doyle sembrava stare in piedi da solo – “Non restiamo qui.”

Devo andare…”

No, Edward.” – rispose la ragazza. E Methos la lasciò fare, per quell’aura che di nuovo stava sprigionando. La forza della prescelta, mentre gli sollevava il capo e lo aiutava a sedersi, sostenendolo – “Non ora. Methos, aiutami.

Da sola non ce la faccio.”

 

La botola era ancora aperta. Ed Angel saltò, senza pensare.

Quando atterrò, se lo trovò di fronte.

E l’odore di sangue lo colpì, nauseante.

 

Spike era appoggiato alla parete, con entrambe le mani.

E stava rigettando quel suo pasto.

Rigettava il sangue di Edward, posando la fronte, senza smettere di tossire.

E piangere. Piangere, con la furia del demone.

Quella vista gli diede un improvviso e inaspettato sollievo. Perché quello, stravolto, senza una reale identità, sembrava comunque William. E non l’automa che aveva quasi dissanguato il fratello.

Mosse un passo verso di lui. E Spike ruotò su se stesso, posando le scapole al condotto.

Guardandolo, con occhi iniettati di sangue.

Stammi lontano.” – disse, senza una sbavatura nella voce. Il sangue gli rigò il mento, dandogli un aspetto sepolcrale.

Devi ascoltarmi.”

No.” – rise.

William, dovevo dirtelo. Lo so. E voglio...”

Troppo tardi.” – troncò. E si pulì la bocca con il dorso della mano – “Risparmiati la fatica di inventare. Quello che ho detto di sopra vale anche per te, figlio di puttana.

Tu ed io abbiamo chiuso.”

 

Chiuso.

 

Tra Spike ed Angel c’era sempre stato un tacito accordo, dal primo giorno.

Angel credeva a Spike.

Spike credeva ad Angel.

Senza esitazioni.

 

E quindi, per la prima volta da molto tempo, Angel sperò che Spike stesse mentendo. E fu tentato di convincersene, per combattere meglio quelle sue affermazioni.

Purtroppo, il freddo paralizzante che l’aveva investito insieme a quelle parole, gli impediva di affidarsi ciecamente a un’illusione di quella portata.

Rabbia o no, Spike non era mai stato come ora.

Perché solo ora, per la prima volta, quel suo cuore inspiegabile, immenso e potente, martoriato e spezzato all’infinito, conosceva l’assoluto dolore del tradimento.

 

Rimase in silenzio. Immobile.

Ma Spike non ne approfittò per andarsene. Restò fermo, piegandosi sul fianco. E continuando a stare male, con la mente piena di urla.

 

Londra, 1859

 

Quando finalmente scendeva la sera, poteva piangere.

Attendeva che si spegnessero le luci di casa e attraversava il corridoio, a piedi nudi.

E andava sul letto di Edward.

A volte restava in piedi, guardava il copriletto bianco, le rose appassite sui comodini, l’ultimo libro, interrotto, ancora abbandonato sulla poltrona, vicino a un altro, ancora da scoprire.

Guardava con attenzione di non lasciare nulla fuori posto, dopo aver chiuso a chiave, con attenzione, la porta.

Ai suoi genitori non avrebbe fatto piacere cogliere quella debolezza. Non avrebbero apprezzato l’intrusione di quello spazio dal tempo fermo, come un orologio rotto.

La stanza di Edward era piena di fantasmi.

E i fantasmi non dovevano uscirne mai.

Ma nulla poteva impedire a lui di restare lì, con loro, nel buio.

Il lampione ad acetilene della via gettava una luce soffusa, tra le tende scostate. Gli sarebbe piaciuto aprire la finestra, ma sarebbe fuggito il profumo della lavanda sparsa tra le lenzuola.

E nulla doveva mutare, in quello spazio.

Tutto doveva essere nuovamente a posto, all’alba.

 

Si sedeva nella poltrona. E piegava le ginocchia. Chiudeva gli occhi e respirava a fondo.

Tamburellava sul legno intarsiato. E attendeva.

Le lacrime non erano dame che si facevano attendere.

Bastava lasciarle libere e sarebbero scese, senza fermarsi mai più.

Bastava arrendersi.

E le notti in cui lo faceva, erano le migliori.

 

Ma quella… quella non era una notte per piangere.

Era una notte per urlare.

E le urla andavano represse.

Represse anche se rimbombavano dentro la testa, inesorabili. E spezzavano il fiato.

 

Quelle erano le notti in cui la tenebra lo chiamava. E William non sapeva resistere.

Dalle tenebre, si illudeva, avrebbe potuto cogliere ancora la luce.

Dalle tenebre, avrebbe saputo vederla, una volta ancora.

 

Aveva piegato la testa. Si era guardato nello specchio.

Aveva occhi che brillavano. E non riusciva a riconoscersi.

 

L’eternità… e la rifulgenza…

 

Buon compleanno, Edward.

Ovunque tu sia.

 

Si raddrizzò, barcollando. E quando Angel sembrò muoversi verso di lui, lasciò semplicemente emergere il demone.

Chiaro il messaggio?” – domandò.

Era strano, pensò Angel, strano quel volto da demone, con gli occhi azzurri…

 

Non del tutto.” – rispose, incrociando le braccia. Non sapeva nemmeno perché lo aveva detto. Non avrebbe fatto altro che aumentare la sua rabbia.

Restò immobile, in un certo senso al di fuori della sua portata – “Mi rifiuto di essere d’accordo sulla fine del nostro idillio.”

Spike scosse le testa. E la risata demoniaca divenne umana, mentre tornava a mostrare il suo viso.

Me ne frego, Angel. Me ne frego delle tue ragioni. Me ne frego di te, del tuo protetto e di tutta questa faccenda.”

Il protetto in questione è tuo fratello. Abbi almeno la decenza di chiamarlo con il suo nome.” – rispose. Con la fastidiosa sensazione di essere un ipocrita, su un alto piedistallo per predicare una correttezza che per primo aveva ignorato – “E lo sai benissimo. Per cui smettila.”

E’ il tuo stesso sangue.

Non esiste nulla al mondo di altrettanto forte, intossicante, per un vampiro.

E’ il sangue della tua famiglia.

Spike si appoggiò alla parete, con atteggiamento indolente. Ed estrasse il pacchetto di sigarette, prendendone una. Con mano perfettamente ferma. La accese. E il Dupont che teneva tra le dita gli sembrò rovente.

Lo fissò, sorpreso, prima di lasciarlo cadere nell’acqua stagna sul fondo del condotto. Guardandolo precipitare, con rotazioni quasi lente.

 

La fine… la fine di un altro idolo…

 

Da quando lo sai?” – chiese, con curiosità, mentre l’oggetto affondava nel buio. Con noncuranza, tirando una boccata e guardando il vampiro bruno. Era nuovamente senz’anima, in ogni suo gesto. Era nuovamente l’amore di Drusilla, nella sua massima bellezza e aberrazione.

Da quando abbiamo combattuto.” – rispose, con voce piatta – “Lui e Methos non si vedevano da parecchio. L’aveva appena saputo... saputo di te…”

 

Eccolo dunque… ecco dove inizia il mio viale dei sogni infranti…

 

Quindi fanno… suppergiù…” – alzò gli occhi, conteggiando – “sei mesi. Quasi sei mesi. Calcolando che la tua loquacità media è una parola al mese direi che siamo ancora nello standard delle informazioni che non hai ancora avuto il tempo di darmi. Pensi di tirar fuori qualche altro mio parente dal cilindro?”

L’aveva detto indurendosi, perdendo la facciata beffarda. E gli occhi erano diventati fosforescenti, al buio.

William.”

Io non sono William.”

Oh, sì che lo sei.”

Stronzate. E’ solo un nome.” - Si raddrizzò, per andarsene. E restò in piedi per miracolo, con la bocca nuovamente in fiamme, piena del sapore di Edward.

Il suo sapore, il profumo dei suoi capelli… non erano bastate l’eternità e la dannazione per cacciarli dalla mente.

Edward e la vita che scaturiva da lui.

 

Edward. Tu per me sei polvere più di quanto io stesso non sarò mai.

 

Addio.” – aggiunse, voltandogli le spalle.

E sentendo la sua voce seguirlo, per pochi passi, prima di fermarsi nuovamente.

 

Davvero non capisci, Spike? Guardalo meglio, pensa alla sua immortalità. E’ vivo, ha il giorno e la notte.” – lo seguì, sempre a braccia conserte, il passo tranquillo – “Puoi arrabbiarti con me, se vuoi… ma devi provare a capirlo.”

Si interruppe. E Spike non si mosse.

Ti ha rimpianto tutta la sua vita…” – riprese – “Eri morto, non ha mai sospettato cosa ti fosse accaduto. E quando l’ha scoperto, ha ritenuto fosse troppo tardi, per tornare.

 

Edward sa cosa sia la nostra oscurità.

Non ha voluto metterti innanzi al fatto... a ciò di cui sei privato.”

 

Tu lo conosci, meglio di chiunque altro.

Ma anche a un estraneo come me non è celato il suo amore per la luce. E per l’esistenza, quell’enorme rispetto che ha per la vitalità.

 

La vita, la luce... certo.” – Spike si voltò spegnendo la sigaretta. E guardandolo – “Stai in effetti parlando di una persona che conoscevo… una persona eccezionale. Peccato sia morta più di centocinquant’anni fa.”

Non è vero, smetti di difenderti dalla verità.”

Finiscila, Angel.” – ringhiò. E camminò verso di lui – “Smetti di girarci intorno. Tu lo sapevi, tu sapevi cosa pensavo… che cosa provavo…”

 

Forse non se ne rendeva nemmeno conto… ma non era più così calmo, così distaccato.

E, soprattutto, nel suo dolore, non era così demoniaco.

 

Lo sapevi, Angel. Sapevi che mi ricordavo di lui. E avresti dovuto dirglielo. Prima che mi accoltellasse, prima che io lo colpissi, prima che fuggisse... prima, Angel. Tu avresti dovuto, dannazione, tu avresti…”

Si interruppe, la mano alzata.

Ma cosa ti parlo a fare…” – aggiunse, con voce roca, piangendo – “cosa parlo con te, di questa cosa morta e sepolta.”

 

Non è morto, William.”

 

Sì, invece. Lui. E io.” – lo corresse – “Io sono morto. Io sono un demone, io! Edward non c’era, non c’era nessuno, non c’era amore, nulla! C’è una vita infinita tra me e l’attimo in cui ho perso mio fratello. Morto… vivo... non ha più importanza.

 

Edward mi ha mentito.

 

Tu mi hai mentito.”

 

Si interruppe. E rise, continuando a piangere.

 

Tu mi hai mentito, Angel.” – ripeté.

 

Perché.. perché l’hai fatto…

Camminò a ritroso, lungo il condotto.

 

E sai quale è la cosa più buffa? Che vi siete sbagliati, con le vostre cazzate filosofeggianti.” – aggiunse, sempre sorridendo – “Perché non mi è mai importato della luce del giorno quanto di lui.

Credimi.

 

In ogni giorno della mia esistenza non è mai esistita luce che valesse più di Edward.”

 

Non sono io che non capisco.

Siete voi che non mi conoscete.

 

***

 

Quando aprì gli occhi, la prima fastidiosa sensazione fu di déjà-vu.

Prima ancora dell’intorpidimento, ebbe la netta sensazione del ripetersi della storia.

E lo fissò, con cipiglio, seduto a lato del divano, le mani intrecciate, i gomiti appoggiati alle ginocchia.

Cosa ci fai qui.” - Domandò, senza preoccuparsi della voce troppo roca e bassa.

Non mi andava di andarmene.” – replicò Angel, senza muoversi. Teneva qualcosa tra le dita, qualcosa con cui stava giocherellando – “Come ti senti?”

Edward non rispose. Fissò il soffitto, senza espressione.

Ed Angel si era alzato, camminando con lentezza lungo il perimetro della stanza, fino a sostare in piedi, a centro stanza, senza un vero argomento da affrontare.

Poco lontano, seduto sull’alto sgabello, con Methos impegnato a ricucirgli la faccia, c’era Doyle.

Stai fermo.” – lo ammonì l’immortale, tirando il filo verso di sé – “Non intendo ricamarti tutta la fronte.”

Si è svegliato.”

Lo so.” – lo sapevo già – “E ha bisogno di stare in pace, almeno un paio di minuti. Ho il tempo di finire qui.”

Doyle spostò gli occhi, per guardarlo. Methos emanava una calma incredibile. Era la sua peculiarità, la più impensabile. Collerico e impulsivo, per niente propenso alla mediazione, l’immortale sapeva comunque essere rassicurante.

Quasi balsamico.

Methos…”

Uh?”

A cosa stai pensando?”

Methos sorrise, tenendo gli occhi puntati alla ferita. Stringendo gli occhi, continuando la sutura.

Non riesci a sentirlo?” – domandò, mettendo un altro punto.

No. Certe volte sei inattaccabile.” – ammise. E tornò a sentirsi il ragazzino irlandese di tanto tempo prima.

 

America, anni novanta

 

Io non mi capacito della tua idiozia.” – disse Methos, guardandolo – “Sei una disgrazia.”
Non è vero.” – protestò Doyle, abbassando lo straccio bagnato che si teneva premuto in fronte. Aveva il segno di quattro nocche e un anello al centro della faccia – “Mi ha preso alle spalle.”

E colpito in mezzo agli occhi?” – sottolineò l’uomo, afferrandogli il mento e palpandogli il naso – “Complimenti. E’ la prima volta che vedo uno colpito alle spalle con il setto nasale fratturato da un pugno. Prodigi dei tempi moderni…”

Mi tenevano in due…”

Perché non in tre, a questo punto? Tu non sapessi di birra potrei pensare che ti abbiano picchiato i bambini dell’oratorio…”

Methos!”

Francis!” – scimmiottò, immergendo di nuovo lo straccio nell’acqua e obbligandolo a restare fermo, continuando a medicarlo – “Tu non sai fare a pugni, impara a stare fuori dalle risse.”

Doyle.”

Come?”

Mi piace che mi chiamino Doyle. E’ meno stupido di Francis Allen.”

Methos finì di strofinargli una spelatura. E, con un cenno, lo obbligò a mostrargli le mani.

Nocche spelate in quantità.

Bhe, almeno so che le hai rese.” – commentò – “Quanto al nome, hai ragione. E’ un nome un po’ stupido. Ma è tuo e devi tenertelo… comunque cercherò di ricordarmi, Doyle.”

Grazie.” – quello che amava di Methos era il suo non discutere questioni superflue – “Ti sei mai cambiato il nome?”

E’ una domanda polemica?”

No.” – provò a scuotere la testa e venne bloccato, poi disinfettato senza misericordia – “E’ pura curiosità.”

Almeno un centinaio di volte.” – si prese una sedia e si sedette, di fronte al ragazzo – “Doyle, posso chiederti di tenerti fuori dai guai?”

Doyle abbassò gli occhi, guardandosi le mani.

In media lo faccio.” – ammise – “Ma questa volta non potevo.”

Perché no?”

Perché…” – adesso mi prendo un altro pugno sul naso – “ho avuto… cioè io… non so come mi sia successo ma…”

Methos lo fissò, indecifrabile. Poi, con un sospiro, si passò una mano sul viso.

Francis.” – disse, con sopportazione - “Mi stai dicendo che hai avuto una visione?”

Una sola. Non troppo lunga.” – si affrettò a spiegare il ragazzo – “E questa volta sono riuscito a capire che posto fosse e quindi… che volevi che facessi, insomma!”

Potevi telefonarmi…”

Non credo si possa.” – si interruppe, imbarazzato – “Cioè, io mi fido ma tu… tu non sei uno di loro.”

Uno di loro… intendi dire un eroe.

Methos non fece commenti. Non c’era molto da aggiungere. Aveva sempre saputo come quello fosse il destino di Francis. Non aveva occhi di quel genere per caso.

Aveva solo sperato che quel giorno non arrivasse tanto presto.

 

Se tu sei qui, ora… presto giungerà anche l’eroe che attendi.

Il problema è che tu sia ancora vivo quando sarà il momento di incontrarlo.

 

Oh, Sinead… sei veramente certa che sappia proteggerlo?

Io non so nemmeno da dove cominciare…

 

D’accordo.” – rispose, afferrandogli una mano e pulendogli il taglio – “Allora è il momento che tu prenda qualche lezione di boxe. Ho un amico che può aiutarci.”

Doyle annuì, restando in silenzio. E Methos non fece altri commenti.

 

Meglio così.” – rispose, sempre sorridendo, sempre senza fissarlo negli occhi. La mano con cui gli teneva il mento era salda, solida come tutta la sua personalità – “Credimi, Francis. In questo momento preferisco che tu non sappia cosa sto pensando.”

 

Prese la forbice e tagliò il filo.

Faith.” – chiamò – “Metti un cerotto a questo eroe, per piacere.”

La Cacciatrice era appoggiata alla cornice della finestra. E sbirciava in strada, in aria assorta, scostando la tenda con le dita. Non aveva più detto nulla, a nessuno di loro.

Più nulla, da quando aveva aiutato Methos a trasportare Edward sul divano dove ancora si trovava.

Nulla, da quando Angel era rientrato.

 

Si erano scambiati solo due parole, sulla porta, dove lei l’aveva atteso.

Quando Angel era apparso in cima alla rampa di scale, Faith lo aveva guardato, sperando che, con un attimo di ritardo, spuntasse anche Spike.

E non era servito molto tempo, per vederle negli occhi la cinica autoderisione di chi si illude.

Dove è andato?” – domandò, appoggiando la tempia allo stipite, obbligandolo a fermarsi.

Chi può dirlo… spero a casa.” – rispose Angel, guardandola – “Non farà sciocchezze... anche se non è del tutto in sé.”

Tu lo saresti?” – rispose, senza astio. Con infinita tristezza, guardandolo, con gli enormi occhi scuri – “E come fai ad essere certo che non farà qualcosa di peggiore…”

Peggiore di ciò che ha fatto a Edward?” – concluse Angel, mettendo le mani in tasca. E sentendo, duro, sotto le dita, l’accendino d’argento – “Peggiore di ciò che io ho fatto a lui non dicendoglielo? No, stai tranquilla.”

E come posso.” – rise lei, disperata – “Quando so che si farà del male a tutti i costi…”

Angel tacque. E, per quanto desiderasse abbracciarla, rimase fermo.

Mi dispiace, Faith. Non volevo coinvolgerti.” – disse. Ed ebbe l’impressione di farle un torto, nel continuare a ripeterlo.

 

Quasi Faith non potesse capire, intuire…

 

Perché no. Dopotutto lo pensavo.

Pensavo che non potesse capire.

Come Spike.

 

Lo so. Tu non vuoi mai coinvolgerci.” – sospirò lei, posandogli il viso sul petto. Sorprendendolo, in quel gesto di affetto – “Non vuoi mai farci soffrire, non puoi dirci tutto… e anche questa volta scommetto che ti sei sobbarcato un segreto del genere perché dovevi. Io la penso così. Perché non posso pensare che…”

Si interruppe. Non sapeva come dirlo.

Non sapeva come esprimerlo.

Non volevo, Faith.” – sussurrò Angel – “Non volevo nasconderglielo. Ma non potevo nemmeno essere io a dirglielo.

Non potevo. Non stava a me.”

Lo so.” – chiuse gli occhi. E pensò che il cuore può far male sempre e solo nel modo più imprevedibile – “Rispetto la tua scelta. Ma ora... cosa accadrà ora?”

Angel non aveva una risposta. Non una reale. Non una rassicurante.

Diamogli un po’ di tempo.” – rispose, mentre la ragazza di raddrizzava, rompendo il loro abbraccio – “E poi andiamo a cercarlo.”

Tu ed io?” – sorrise la ragazza, con aria avvilita.

 

Siamo la sua famiglia, Faith. Se non lo cerchiamo noi, non lo cercherà nessuno.”

 

Faith si avvicinò a Doyle, afferrando sul passaggio il richiesto.

E Methos andò verso il divano, piegandosi verso Edward.

Ciao.” - Disse, apparendo nella sua visuale – “Ancora vivo?”

Edward non gli rispose. L’avambraccio che teneva sugli occhi si spostò sulla fronte, permettendogli di incontrare gli occhi indefinibili di Methos.

Abbassa il braccio, fammi vedere.” – disse l’uomo, obbligandolo a voltare la testa e sollevando la garza.

Al di sotto, appena visibili, c’erano i segni rossi di una ferita quasi rimarginata.

Meglio di prima.” – commentò, pragmatico – “La testa? Ti gira ancora?”

Non sono morto?” – domandò Edward, guardandolo. Aveva una voce del tutto priva di intonazione. E occhi densi, quasi grigi di pioggia.

No.” – Methos scosse la testa – “Ti stai riprendendo comunque. Ti ci vorrà solo un po’ di più.”

Allora ammazzami.” – replicò, afferrando la mano che gli veniva tesa e sedendosi – “Per piacere.”

Methos non si prese la briga di rispondere. Si alzò, allontanandosi.

Ed Edward si massaggiò gli occhi, cercando di snebbiarsi. E intrecciò le mani, posandoci le labbra, tornando a fissare Angel.

Lui dov’è, ora?”

Non lo so.” – Angel scosse la testa – “Ho provato a parlarci. Ma non credo di essere la persona più adatta, al momento.”

Nemmeno io, se è per questo.” – rispose, tornando a massaggiarsi la fronte.

Non si illudeva di morire, di quel dolore. Il freddo della disperazione che provava si sarebbe semplicemente fuso con l’incomprensione, con il rimpianto, se non avesse posto un freno a quell’angoscia. Si impose di restare calmo, di ragionare, con il cuore, con la mente.

 

L’esistenza è una fitta trama, di legami indissolubili e sogni infranti. Mi sono illuso troppo tempo di non cadere, di poter restare in equilibrio dentro a quel segreto lacerante.

 

Adesso basta.

 

Chiuse gli occhi, cercando di snebbiarsi.

Non osava nemmeno sfiorare il punto in cui i denti di Spike gli avevano scalfito la pelle. La sua mente si rifiutava di realizzare, di prendere del tutto coscienza dell’accaduto.

No.

Ignorare quel fatto sarebbe potuto essere un ennesimo sbaglio. Non era il momento di abbandonarsi alla disperazione, anche se doveva ammettere di non desiderare altro.

William doveva sapere.

Edward voleva, a torto o ragione, parlargli.

Con cautela, quasi temendo di sentire nuovamente il freddo della bocca di William, posò le dita sulla cicatrice. E respirò a fondo, riflettendo.

Rivedendo, fotogramma per fotogramma tutto ciò che ricordava.

E ignorando il buco che questo riflettere gli scavava al centro del petto.

 

William gli aveva detto a chiare lettere che cos’era. Chi… chi era. Aveva avuto per se stesso una freddezza lucida e crudele che si staccava da ogni forma di riflessione.

Nell’attimo in cui il suo volto era mutato, gli occhi di William gli avevano comunicato qualcosa di diverso dalla rabbia e dal disprezzo. Era stato dolore. Dolore allo stato puro, del tutto privo di vendetta.

William non gli aveva nascosto la verità su se stesso. La sua natura demoniaca era stata anteposta a tutto il resto, quasi in difesa della disperazione che stava provando.

Respirò a fondo, quasi tossendo. E Faith, senza pensare realmente, si protese a riempire un bicchiere.

 

Ed Edward alzò il viso verso il vampiro bruno.

Fissandolo, come se fosse la prima volta che lo vedeva realmente. Angel, e quell’inspiegabile buio che si portava appresso.

Lo stesso che William gli aveva riversato addosso nel loro primo contatto.

E’ così, Angel?” – domandò, guardandolo con occhi attenti. Attenti e disperati – “Al di là di tutto, è così forte il disprezzo per se stessi, nell’essere vampiri con l’anima?”

 

Angel rimase di stucco.

E Faith, in piedi dietro al divano, altrettanto.

Quella frase, così semplice e perfetta nella sua linearità, svelava una sottigliezza di comprensione inaspettata.

Faith deglutì, fissando Angel.

Era questo, dunque, il potere di Edward sulle persone.

Edward intuiva e capiva, arrivava a notare le emozioni sotto la superficie. Ed ora, di quella reazione violenta di William, non ricordava l’assoluta crudeltà. Ma, semplicemente, l’emozione di fondo.

Angel lo scrutò in viso. E fece una cosa del tutto inaspettata. Si piegò sui talloni, restandogli perfettamente di fronte. E osando posare la mano sul morso di William. Lo stesso punto in cui aveva morso Angelus, la notte della sua rinascita vampirica. Lo stesso della notte in cui l’avevano salvato dalle mani di Darla e Drusilla, dissanguato e del tutto assente.

Angel passò un pollice su quelle ombre violacee, ragionando. Il suo legame con Edward aveva radici profonde, nemmeno spiegabili. Fili infiniti che attraversavano William, perennemente tra loro, negli scontri e negli accordi.

William è consapevole della propria natura.” – spiegò, in un sussurro – “ E’ l’unico mezzo che ha per domarla. Sa di doverla assecondare, in certi frangenti, quando urla troppo forte. Si abbandona, per trarne maggiore energia, quando è in difficoltà. E, come me, non vuole che qualcuno dimentichi ciò che siamo. Siamo demoni, Edward, anche se talvolta sembriamo umani.

Noi siamo demoni.

William voleva che tu lo capissi. In un certo senso, lo ha fatto anche per il tuo bene.

Qualunque cosa accada, a partire da ora, accetta questo aspetto della sua persona.

William, tuo fratello, esiste ancora, ma in una realtà ben più complessa.”

Edward annuì, con lentezza. E la presa di Angel divenne per un attimo più intensa. E rassicurante.

Non aspettarti di poterlo capire all’istante. Ma credimi, quando ti dico che sei sulla buona strada. E che, qualunque cosa accada, noi andremo a riprendercelo.”

 

***

 

Spike percorse le gallerie il più rapidamente possibile. A tratti, le gambe gli cedevano, obbligandolo a fermarsi. La testa gli girava sempre più forte, mentre si appoggiava alle pareti.

E i pensieri, martellavano, inesorabili e confusi.

Edward.

Edward vivo.

Vivo di fronte a lui, con gli occhi pieni di sorpresa. Di una gioia che era naufragata senza speranza nella rabbia.

Edward, vivo. Vivo.

 

Vivo. Fermo, con gli occhi pieni di un dolore senza limiti. Spike assestò un pugno contro il muro. E poi un secondo, piegandosi su se stesso.

Non gli importava del suo dolore. Non gli importava quanto a Edward non era importato del suo.

Edward, capace di vivere voltandogli le spalle e abbandonandolo.

No. Quello non era Edward.

Edward non l’avrebbe mai abbandonato.

 

Quello che hai fatto nega ciò che eri per me.

Tu mi hai ucciso quanto Angel.

 

Inghilterra, 1857

 

Non sono pronto. Non sarò mai pronto.

William emise un respiro profondo. E Carrol gli afferrò la mano. Aveva già gli occhi rossi. E fingeva comunque che fosse tutto a posto.

Dobbiamo entrare.” – sussurrò – “O girare e scappare.”

Non so se possiamo scappare.” – rispose, senza guardarla. Il portone era aperto. Gli sembrava una fornace, con tutta quella luce all’interno – “Personalmente, se non entro adesso, non entro più.”

Hai ragione.” – sospirò, stringendogli un po’ di più le dita. Era alta, con il fisico sottile e slanciato – “Dobbiamo.”

 

Avevano varcato quella soglia insieme. E i sussurri li avevano preceduti, poi accompagnati, sala dopo sala.

Li stavano aspettando.

Eccolo. L’erede dei Coventry, dopo la tragica scomparsa. E la carissima Carrol, così sollecita con quel povero ragazzo.

Povero, povero ragazzo… così delicato rispetto al fratello…

William strinse le labbra, non disse nulla. Sopportò stoicamente l’esagerata emotività delle signore, le cordiali e sollecite strette di mano. E le lacrime da ventaglio, ogni volta che qualcuno gli fissava il braccio, ancora fasciato a lutto.

Trovava stupida quella manifestazione esteriore impostagli dal costume. Perché il nero, addosso. Siamo già neri e bui dentro, quando perdiamo qualcuno.

Perché commuoversi, per una striscia di stoffa.

Cosa fareste, se io la bruciassi in quel camino? Urla e svenimenti?

Vi farebbe paura vedere la morte finire in cenere?

Gonfiò il petto, prendendo un respiro profondo. E Carrol, si strinse maggiormente a lui, voltando la testa.

Le sue amiche stavano bisbigliando qualcosa, dall’altra parte della sala.

Amiche… certo… amiche.

Quel tanto che bastava da considerare come il braccio di William non fosse quello di Edward.

E che il Coventry migliore sulla piazza fosse ormai spiacevolmente fuori dalla loro portata.

Sì. Perché anche la morte è un intoppo, per una ragazza da marito.

Reprimette un singhiozzo e William, si voltò, preoccupato.

Scusami.” – disse, coprendosi gli occhi con la mano guantata – “Non volevo. Credo sia questa… questa ipocrisia a soffocarmi.”

Allora siamo in due.” – sussurrò. E a Carrol sembrò di avere accanto Edward, con la sua forza, il suo sorriso – “Possiamo andarcene quando vuoi…”

No. Restiamo.” – scosse la testa. Non ci sarebbero state serate insieme, per lungo tempo. Lo sapeva. Una ragazza di buona famiglia non poteva uscire con uno scapolo senza che ci fosse una dicitura quasi legale al loro rapporto. Edward era stato anche questo, nella sua vita. La garanzia di libertà, innanzi alla buona società londinese.

Poteva uscire con entrambi. Ma non con uno solo dei due.

E quella sera era un’eccezione. La prima uscita ufficiale di William Coventry, figlio di cari amici di famiglia. Amici colpiti da un grande dolore…

William, quel caro ragazzo che tutti smaniavano di vedere. E di vivisezionare sul tavolo del giudizio.

Un ragazzo pallido e troppo magro, con lo sguardo indifeso e il cuore a nudo.

 

Solo, assolutamente solo.

 

William chiuse gli occhi, respirò a fondo. E accettò un bicchiere di liquore, con un mormorio di scuse.

Allontanandosi. Da tutti, compresa Carrol.

Carrol che lo capiva, meglio di chiunque altro. Ma che era già parte di una giovinezza perduta.

Uscì in terrazza e contemplò il Tamigi, immerso nell’oscurità.

Il Tamigi… chissà se era sul fondo che riposava suo fratello.

Sul fondo di quelle acque nere in cui Londra si specchiava senza fine.

Si impose di restare calmo. Strinse la mascella, sentendola quasi delinearsi sui lineamenti.

 

Solo.

Solo davanti alla vastità dell’universo.

Solo, per il resto della vita, con il vuoto nell’anima.

 

Edward era morto.

Le luci si erano spente.

 

Non più Angel.

Non più Edward.

 

Nessuna famiglia, nel presente e nel passato.

 

E Faith.

Ho perso anche Faith.

 

Un colpo. E un colpo ancora, rimbombante, nel silenzio del sottosuolo.

Cadendo in ginocchio, senza più freni per la disperazione.

 

***

 

Ehi.”

Edward aprì gli occhi. E, dopo un attimo di sorpresa, le sorrise con lo sguardo.

Ti sei addormentato.” – disse Faith, in piedi, con un tazzone di ceramica tra le mani – “Ma non per molto, non ti preoccupare. Mezz’ora, al massimo…”

Tacque. E si fissarono, con una punta di reciproco imbarazzo. Poi Faith si sedette al suo fianco.

Tieni.” – disse, tendendogli la tazza – “E’ the. Ho pensato che lo preferissi al caffè…”

Grazie.” – rispose Edward, accettando – “Anche a nome del popolo inglese.”

Faith accennò un sorriso, forzato quanto quello di Edward. E piegò la testa, pensierosa.

Non sei obbligato a essere galante. O divertente.” – disse, con gentilezza – “E’ nei tuoi diritti essere cupo…”

Nei suoi diritti.” - si intromise Methos, fermandosi a lato del divano – “Ma non nel suo carattere.”

Edward non rispose, bevendo un sorso, con aria pensierosa. E Methos si sentì autorizzato a proseguire.

Angel mi ha dato un messaggio per voi. La pista di Wes e Cordelia sembrerebbe buona e l’aggancio di Doyle ha cantato. Saranno qui tra non molto.” – si interruppe – “E di Spike nemmeno una traccia.”

 

Fine del comunicato. Libero dalle sue incombenze, l’immortale era sparito nello studio, lasciandoli in balia dei loro pensieri.

 

Angel si era imposto su di loro non appena aveva riacquistato chiarezza. Inaugurare una caccia all’uomo era inutile. Se Spike non intendeva farsi trovare, avrebbero solo girato in cerchio. Soprattutto in una città come Los Angeles. Senza contare che Edward aveva bisogno di riposare, di dare al suo corpo il tempo di autoripararsi.

 

In contemporanea, Westley si era fatto vivo. Le ricerche sue e di Cordelia iniziavano a dare i loro frutti, soprattutto dopo la sortita in quel che restava del covo ripulito la mattina.

I clan erano almeno due. Quello privo di guida, già identificato nelle settimane precedenti, si stava riversando in uno da poco rivitalizzato.

E immettere linfa nuova in un clan significava un massiccio numero di morti, considerò Faith, scura in viso. Morti sotto i loro occhi, una macabra pista da seguire, l’ennesima scia di sangue che li poteva condurre a Drusilla.

Perché c’era Drusilla di cui preoccuparsi.

Ora Faith sapeva anche questo. E, per sommi capi, era riuscita a estorcere anche altre notizie: come un piccolo manipolo avesse attaccato Edward poco prima dell’alba e come Doyle lo avesse salvato, avvertito da una visione.

Una visione che si era ripetuta anche più di una volta. Caso quasi memorabile.

 

Sospirò, riflettendo. Ed Edward girò la testa verso di lei, contemplandola.

Faith era una gran bella ragazza. Un fisico muscoloso, del tutto privo di spigolosità. Una figura femminea pronunciata e incredibilmente sinuosa.

I capelli scuri le ricadevano a onde sulle spalle, quasi indomabili. E gli occhi avevano lo stesso colore brunito, caldo e profondo.

Faith aveva occhi scuri incredibilmente intensi. E, quando Angel parlava, li puntava su di lui con un’attenzione che, probabilmente, riservava a ben poche persone.

Potevi leggervi una fiducia senza pari, anche in un frangente del genere, in cui le azioni del vampiro l’avevano innegabilmente messa in una brutta situazione.

Edward la osservò, mentre ricambiava alla sua occhiata. E si tirava indietro i capelli nervosamente.

Mi sento esplodere all’idea di aspettare.” – disse, appoggiando la tempia allo schienale del divano. E raccogliendo le ginocchia al petto – “Restare qui.. Vorrei tanto spiegargli…”

Si interruppe, sbirciandolo, mentre girava la tazza tra le mani, in perfetto silenzio, senza guardarla. Era pallido, per il sangue perso. Ma incredibilmente bello, e calmo, in apparenza.

Ho l’impressione di essere stata inopportuna.”

L’inopportuno per eccellenza sono io, Faith.” – rispose, senza voltarsi, lasciandola a contemplare il profilo sottile ed elegante – “Oggi ho sbagliato il luogo, il tempo, le parole e ogni decisione. Dubito che tu possa definirti ‘inopportuna’ se il metro di paragone sono io.”

Faith sorrise, sollevata da quell’atteggiamento. Edward, come Spike, non era tipo da arrendersi. Ne era pur sempre, sbagli madornali a parte, il fratello maggiore.

L’esempio irraggiungibile nell’immaginario di William.

Di colpo Faith fu colpita da quell’informazione. Quello era Edward. L’Edward dei racconti di Spike, dei suoi incubi. Il fratello perfetto che emergeva, rimpianto e mai dimenticato, da tanti suoi atteggiamenti, da tante sue parole.

Edward era l’eredità mai ammessa sulle spalle di William.

 

Fuori Los Angeles, 2002

 

Però non ti capisco.”

Pazienza.”

Mi bendi, mi carichi in macchina e poi? Mi abbandoni in aperta campagna?”

La tentazione è forte, Cacciatrice.” – rispose Spike, parcheggiando – “Ma questa volta sono propenso più a darti ciò che desideri.”

Legata e bendata? Ci bastava il letto a casa.”

Non mi tentare…” – rispose, togliendole la benda – “E poi la campagna non esiste, qui in america. Voi avete solo il nulla e la periferia quando non vivete in città.”

D’accordo. Allora dove siamo?”- non gli diede il tempo di rispondere. Erano alle porte di un maneggio. E poco, lontano, riluceva una spiaggia – “Oddio…”

Non servono santi per andare a cavallo.” – le rispose, allegramente, scendendo – “Basta salire in groppa e partire.”

Non ci voglio venire.”

Tu devi venire. Hai detto che avresti voluto provare…”

Ma provare nel senso che mi piacerebbe come è nei libri!” – si difese lei, mentre Spike le apriva la portiera e l’obbligava a scendere – “I cavalli non puzzano, non ti sgroppano, c’è la campagna inglese sempre verde con il cielo blu e la sella, il frustino… e ci sali e sai fare tutto, compreso saltare gli ostacoli…”

Sì, Faith.” – annuì Spike, afferrandole una mano e tirandosela contro il petto – “Ho presente. Tu vedi troppi film. Comunque ti cercherò un ostacolo da saltare. E ti farò dare un frustino, se mi prometti che non ci picchierai il cavallo che deve sopportarti.”

Spike, io ho paura dei cavalli.”

Sciocchezze.” – con un rapido movimento se l’era caricata in spalla – “E’ solo perché non ne hai mai visto uno.”

 

Vero, dannatamente vero. Non aveva mai visto un cavallo.

Non dal vivo, insomma.

E’ grosso…

Lo guardò, scettica, affacciarsi dal box, per socializzare con Spike, con simpatiche botte sul suo sterno.

E mangia le carote?” – domandò, curiosa. Spike rideva, lasciandosi spintonare, difendendosi a malapena. E passandogli qualcosa che continuava a tirar fuori dalle tasche.

Io lo corrompo con lo zucchero.” – replicò il vampiro – “Ma non dirlo a nessuno qui dentro…”

Faith si avvicinò un po’ di più. Sì, tre metri potevano andare.

Non sapevo ti piacessero i cavalli.”

La mia famiglia li allevava. Uno zio, per l’esattezza. Passavo le estati da lui.”

Davvero?” – due metri, suvvia. Sii coraggiosa – “E inseguivi anche la volpe?”

Sì. Ma evita di immaginarti la scena di Mary Poppins.”

Grazie della precisazione.”

Ma ti pare.” – Spike aprì la porta della stalla e, tenendo l’animale per la cavezza, lo condusse fuori – “Non scappare urlando. Potrei spaventarmi io più di lui.”

Spiritoso.”

Si era materializzato un ragazzino. E stava sellando l’animale, mentre Spike continuava a carezzargli il muso.

Saprò di stalla.” – pensò Faith – “Cordelia non mi farà entrare in casa. Mi laverà con la pompa in giardino.”

Spike si voltò, sorridendole. Con gli occhi brillanti.

Ti faccio una proposta.” – le disse, ridendo – “Se vieni fin qui, ti porto a cavallo con me e non ne faccio sellare un secondo. Fa abbastanza scena da film?”

Faith alzò un sopracciglio. Come al solito non si erano capiti. Lei pensava alla cavalcata furibonda da amazzone, alla Xena, per intenderci… non di fare la dama inglese in difficoltà.

Tu mi sfotti.”

No, sono serio.” – rispose, appoggiando la guancia al muso del cavallo. E sembrando incredibilmente giovane – “Fammi contento… vieni a conoscere il mio amico.”

Quando fu ad un passo, Spike le afferrò la mano. E la guidò sul manto nocciola dell’animale. Era strano, soprattutto per Faith che nella sua vita aveva accarezzato un gatto. E magari un paio di cani.

Questo tuo amico ha un nome?” – domandò, chiedendosi se rischiava di prendersi una zoccolata.

Promises. Il mio amico è una signora.”

Ah.” – Faith lo fissò, interdetta – “Quindi, quando scompari, mi tradisci con un cavallo.”

Vero.” – si protese, baciando la ragazza. Afferrandola per la maglietta e tirandola a sé- “E il bello è che vi farò andare anche d’accordo.”

Faith ridacchiò. Prendendosi il bacio e cercando di non respirare l’ignobile odore che già emanava.

Perché Promises?”

Era il cavallo di mio fratello.”- rispose, con tenerezza, carezzando il muso, guardando l’animale negli occhi scuri – “Dopo la sua morte, lo regalai a Carrol, perché non volevo più vederlo.”

E adesso?”- non chiedergli chi sia Carrol… prima o poi te lo dirà.

Adesso ho nostalgia.” – fu la risposta. Nitida, semplice – “Così tanta nostalgia…”

Faith non rispose. Sospirò, cingendogli la schiena con un braccio, posandogli la testa sulla spalla.

Procurami uno sgabello, vampiro.” – sussurrò, rassegnata, carezzandogli una scapola – “Ho capito che devo proprio salirci…”

 

Cosa farai adesso? Per farti ascoltare, intendo…”

Non lo so.” – ammise l’immortale, appoggiando la testa allo schienale – “Probabilmente inizierò a parlare e smetterò quando avrò finito le parole, le idee e le forze. A quel punto mi inventerò qualcos’altro.”

E’ un buon piano.”

Lo spero.” – si prese una pausa, scacciando l’angoscia – “E tu, Faith? Di tutti noi, tu sei vittima quasi quanto William.”

Il problema sarà farglielo capire.” – rispose lei, con finta leggerezza – “Ma so essere parecchio persuasiva, a riguardo.”

Non ne dubito.” – commentò Edward, donandole il primo sorriso sincero da quella mattina – “Hai tutta l’aria di una con poche remore.”

Mi hai inquadrato subito.” – si complimentò lei, ridacchiando. E poi fissandolo, con gli occhi stranamente illuminati di dolcezza – “Mi dispiace, Edward. Mi dispiace veramente.”

Edward la fissava. Ed aveva degli occhi azzurri in cui naufragare.

Io ho sbagliato, Faith. Il problema è che ci siate finiti tutti di mezzo. Quando ho deciso di non dirglielo è stato per un buon motivo. Io credevo lo fosse. E mi credevo fuori dalla sua vita, del tutto.” – non riusciva a smettere di parlare. Per quanto ci provasse, quel fiume di parole non voleva smettere di scorrere – “Pensavo che fosse inutile riaprire ferite vecchie di oltre un secolo… che era giusto restare fuori dalla sua vita, a questo punto.”

E tu, Edward? Non ti è importato di come ti sentivi?”

La bocca di Edward si stirò, con lieve scherno.

No. Ho pensato di poterlo sopportare. Che saperlo vivo mi sarebbe bastato. Ma non è così Faith.

Da quando so di lui.. io non ho pace. Non ho pace.” – si stava di nuovo tormentando il petto, massaggiando un punto imprecisato, sotto al cuore – “La sera che ci siamo incontrati, l’ho colpito. Non volevo mi seguisse, ero terrorizzato all’idea di incontrarlo.”

Faith divenne seria. Mortalmente.

E’ la natura demoniaca, Edward? Temevi questo cambiamento?”

Sì, Faith.” – la risposta la sconcertò. Quell’uomo era così forte da ammettere le proprie debolezze senza esitazioni. E senza scusanti – “Ho temuto anche questo fatto. William era un ragazzo disarmante. Aveva la poesia, la musica, capiva emozioni che i suoi coetanei non sapevano nemmeno esistessero. Notava cose che per me non avevano nessun valore. E non si fidava delle sue capacità, di quell’incredibile forza che aveva.

Era un ragazzo fatto per amare, per vivere. Io ho solo questo ricordo di lui. Mio fratello William.

E quando Methos mi ha detto… un vampiro. Senza luce... senz’anima… per me ha significato l’ignoto. Un ignoto di cui io non facevo più parte.”

Si interruppe, guardando un punto indeterminato.

Un ignoto in cui non esistevo più.” – mormorò ancora, per se stesso – “E in cui William si faceva chiamare Spike, era morto e rinato, era segregato nella notte. Sì, Faith, temevo la sua natura perché era fatta dei compromessi che mio fratello non avrebbe mai accettato.”

 

Spike è sempre stato fatto di luce.

Buttarlo in pasto alle tenebre è stata un’ambizione troppo forte perché

Angelus e Drusilla potessero resistere.

Aveva l’odore dell’eternità appiccicato addosso…”

 

Bussavano alla porta. E Faith si alzò, per andare ad aprire. Quasi sollevata di non dover rispondere a quello sfogo, inaspettato e complesso.

Edward coltivava nel suo cammino qualcosa che loro, Angel, Spike, lei stessa, avevano abbandonato da tempo. Coltivava la purezza, la vita nella sua positività. Le zone d’ombra in cui si muoveva la Cacciatrice esistevano perché persone come Edward continuassero a vivere.

Edward era un perché umano alla loro personale redenzione.

 

No. E’ stato come se quel suo appellarsi a me, quel suo sfidarmi… fosse verso di me, non verso il mio demone.” – Angel giocherellava con il Claddagh, facendolo ruotare – “Riusciva a distinguerli, in modo perfettamente chiaro. Ho conosciuto pochissime persone, in grado di farlo… e ancor meno tra le persone che volevano una forma di vendetta.

 

Ed ora, dopo avergli parlato, dopo averlo osservato e quasi analizzato, Faith iniziava a comprendere maggiormente le motivazioni di Angel, quel suo difendere a spada tratta un nemico sconosciuto, quel feroce comando con cui aveva impedito alla sua famiglia di torcergli un capello, probabilmente prima ancora di sapere chi fosse.

 

Io e quel tizio possiamo essere molte cose… ma inspiegabilmente non siamo nemici. Non del tutto. E, nella nostra sfida, esistiamo solo noi.

Immortale o no, è un innocente.

Nessuno di noi lo toccherà con un dito, finché la mia opinione, qua dentro varrà qualcosa

 

Le parole con cui aveva cercato di descriverlo, quella notte, apparivano ora troppo scarne, quasi irreali per essere veritiere. Edward, come la vita in sé, sfuggiva a ogni definizione, istintiva o matematica.

E Faith, con la mente in tumulto e l’agitazione nel cuore per gli eventi, non poteva fare altro che sostenere l’insopportabile martellare di quell’oggettivo, da sempre nel credo di Spike.

Rifulgente.

 

Methos apparve in cima al ballatoio mentre Edward si metteva in piedi e Faith apriva la porta.

Poi, inconfondibile, giunse la voce di Doyle.

E le urla di Cordelia.

Razza di irlandese senza cervello.” – stava sbraitando – “Non è niente, non è niente, è una cosuccia! Quanti punti, imbecille, quanti!”

Sette.” – rispose Methos, mettendo le mani a cono attorno alla bocca e scendendo poi rapidamente le scale – “Tesoro, quanto mi sei mancata. Avevo tanto bisogno di vedere una persona con il cervello. Ah, ciao Price!”

Sì, ciao Price!” – ripeté Faith, lasciandoli entrare. Doyle stava già, come suo solito, correndo dietro Cordelia. E implorando – “Che fai qui? Perché non sei all’Hyperion a fare la guardia? Devi avvertirmi se torna Spike!”

Non entro nelle vostre beghe da fidanzati.” – rispose l’uomo, sbrigativamente – “Sono qui perché mi serve un’informazione da Methos e a casa c’è Angel, al momento. Ti basta?”

Se Angel è là, vado pure io.” – rispose lei, infilando la porta.

Ne aveva abbastanza di confusione. Soprattutto perché ne aveva in esubero in testa – “A dopo.”

Faith, asp…”

Niente da fare, la porta del pianoterra stava già sbattendo.

Nel frattempo, Edward era restato immobile. In perfetto silenzio, sperando di essere invisibile. Impegnata a sbattere sacche di armi sul tavolo, vestita come una modella, senza un capello fuori posto, c’era una strepitosa e sanissima ragazza americana.

Aveva gambe lunghe un chilometro e capelli fermati ad arte con alcune mollette. Un top scollato a goccia e un paio di pantaloni attillati che mettevano in risalto ogni curva.

E urlava.

Come una furia.

Con Doyle, trasandato e per giunta incerottato, che cercava di difendersi.

Principessa, te lo giuro, sono solo caduto da un gradino.”

Un gradino da tre metri, idiota?” – stava recriminando lei – “Methos, dannazione, non eravamo d’accordo che mi chiamavi se si faceva più di una sbucciatura? Lo sai che va tenuto d’occhio!”

Ehi!”

Io lo so, ma ogni tanto non posso proprio seguirlo.” – ribatté distrattamente l’uomo. Lui e Wes erano chini su un’enorme planimetria della città. Primi novecento, a giudicare da colore e odore.

Edward aggrottò le sopracciglia bionde, fissandoli. La testa già gli girava oltremodo… non era pronto a un’invasione.

 

Dunque, ricapitolando.

 

Di William nemmeno l’ombra.

Angel lo sta cercando. Faith l’ha raggiunto.

La ragazza che sbraita si chiama ‘Principessa’ e ‘Price’ deve essere quello che chiamano Wes.

 

Giusto?

 

Coventry, vieni qui.” - Stava dicendo Methos, cavandolo inconsapevolmente dall’impaccio – “Primi novecento, la zona del porto. Cosa ti ricorda questo?”

Edward non se lo fece ripetere due volte. Tese una mano sopra la mappa con una sbrigativa presentazione e fissò il punto indicato.

La zona nord ovest. C’era uno scarico mercantile. E’ andato a fuoco negli anni trenta…” – rispose, dopo un attimo.

Allora coincide al punto che intendo io. Siamo sulla buona strada.” – rispose, trionfante, l’uomo. Inglese, pensò Edward, rassicurante aria di casa – “Piacere di conoscerti, sono Westley Whydam-Price.”

 

In quel mentre, le urla di Cordelia conobbero un calo. E lei si voltò mettendo di colpo a fuoco l’interlocutore, con un’occhiata tale da costringerlo a ricambiare. E a muovere un passo verso di lei.

Bello. Biondo. Occhi chiari incorniciati da lunghe ciglia, un sorriso bellissimo, malinconico. Talmente bello da farle perdere il filo di quello che stava facendo, persino della mega-predica in cui si stava lanciando. Completamente irretita.

 

Finalmente un’occasione per vederlo bene. E conoscerlo. Il demone sembrò intuire il flusso dei suoi pensieri. E l’affiancò, parlandole.

 

Cordy, ti presento...”

Doyle, a lui le presentazioni non servono” - lo interruppe, continuando a fissarlo. Percependo con precisione il dolore, la paura e la forza di volontà.

 

Era paralizzante. E Faith, che l’aveva definito belvedere non aveva nemmeno troppo esagerato.

 

Cordelia gli rivolse una tale occhiata che persino Edward cominciò a sentirsi in imbarazzo. E i restanti uomini della stanza smisero di parlare, in attesa di un suo gesto.

Ciao. Scusami, non ci hanno presentati.” – disse lei, d’un tratto, a sorpresa – “Io sono Cordelia. E’ un piacere conoscerti, Edward.”

 

Lasciandolo senza parole. Lasciandoli tutti, senza parole.

 

Cordy, scusami.” – azzardò Doyle – “Da cosa l’hai capito…”

 

Spike ha i suoi occhi.” – rispose lei, fissandolo dritto in faccia. Con un’intensità tale da fargli venire voglia di piangere – “E lo stesso sorriso, quando è felice.”

 

Il silenzio era calato di colpo. Cordelia. Colei che ha cuore.

Impossibile che si smentisse.

 

Edward sentì un groppo salirgli in gola.

E gli occhi gli divennero luminosi.

 

Lo pensi sul serio?” – domandò, come se la conoscesse da sempre. Aveva una voce morbida, meno profonda di quella di William. E anche l’accento non era più udibile.

Cordelia gli sorrise, comprensiva. E annuì.

Deve essere stato un bel trauma, trovarvi uno di fronte all’altro.” – aggiunse, senza lasciargli andare le dita – “E’ andato tutto storto vero?”

Si era indicata il collo, con un dito. Ed Edward si era reso conto di come il segno fosse ancora evidente. Istintivamente, tirò su il maglione, nascondendolo.

Peggio non poteva andare.” – rispose, con un mezzo sorriso, da ragazzino.

 

Sembri più giovane di Spike… e la tua eternità è così potente…

 

E Doyle non disse nulla, come tutti gli altri, del resto.

Quello era il potere di Cordelia. Sapeva tirar fuori il lato migliore dell’umanità dalle persone.

 

Allora dobbiamo cercarlo. Sarà furioso.” – disse la ragazza, prendendo in mano la situazione. E lasciandolo finalmente andare – “Bhe, che fate? Andiamo. Se ci dividiamo abbiamo maggiori possibilità.”

E’ ancora giorno, Cordelia.” – rispose Methos, mentre Wes, senza un commento, assimilando le informazioni, arrotolava la carta – “Ovunque sia, è nel sottosuolo. Zero probabilità di rintracciarlo.”

Non abbiamo tutti cinquemila anni a disposizione come te. Prima lo cerchiamo, prima lo troviamo.”

E oserei anche aggiungere che, al momento, tu e Price siete gli unici che non rischiano la vita ad avvicinarsi.” – aggiunse, con flemma – “E’ idrofobo.”

E come dargli torto.” – commentò Doyle – “Lo sapevamo tutti tranne lui.”

 

Ecco. Questo particolare a Cordelia era sfuggito. Prima che Wes arrivasse solo ad aprire bocca, la voce di miss Chase tornò a farsi sentire.

Mi stai dicendo che lo sapevi? Che lo sapevi tu? Ed Angel? Angel lo sapeva? Ma, dico, vi siete ammattiti? Cos’è, qualcosa che vi mettono nel whisky da bambini? E Faith? Anche Faith?”

Faith no.” – Doyle scosse la testa, difendendo la Cacciatrice – “Anche se Spike pensa di sì. E Methos, Methos lo sapeva.”

Ma lui non fa testo, si astiene sempre!”

E intelligente che mi dimostro!” – sottolineò, trionfante, l’immortale. Prima di girarsi in cerca di supporto – “Vero, Wes?”

Spiacente.” – l’ex osservatore scosse la testa, serio – “Dissentisco.”

Pazienza. Intanto, prima della fine, rimpiangerai di non avermi imitato.”

Finitela tutti. E lasciamo perdere.” – Cordelia alzò le braccia, quasi a fermare un incontro di boxe – “Ormai il danno è fatto. Cerchiamo di rimediare. E in fretta.”

 

[IV]

 

Spike incespicò ancora. E si fermò, in attesa.

Si appoggiò alla parete sconnessa alle sue spalle, premendo le tempie con le mani.

La testa sembrava esplodergli, gli faceva venir voglia di urlare, urlare e distruggere.

Se solo... se solo l’anima svanisse…

 

La sensazione del corpo di Edward tra le braccia lo colpì di nuovo. Il calore, la vita pulsante, la bellezza quasi sfrontata... e il suo cuore che lentamente si spegneva.

Era stato quel suono terribile a fermarlo. Il cuore di Edward che vibrava e si rattrappiva, come avevano fatto migliaia di cuori prima di lui. Mille e mille vittime che Spike aveva sedotto e ucciso con l’inganno più antico della storia umana. La bellezza.

E il miraggio di un’esistenza migliore, da cogliere nell’oscurità, nel casuale incontro.

Oh, sì. Aveva ucciso come era stato ucciso.

Con la speranza negli occhi.

 

Scivolò seduto, inarcando la testa, appoggiandosi alla parete. Istintivamente piegò le ginocchia, portandosele verso al petto.

Edward, immortale.

Edward, Edward, Edward...

Era come se la sua mente non riuscisse a procedere oltre questa parola. Oltre agli occhi chiari, alla bocca ridente… oltre al ricordo di quel corpo stretto tra lui e una parete.

Eri la mia unica certezza… eri tutto ciò in cui credevo, il mio migliore amico, l’unica cosa preziosa che possedevo in una vita da cui volevo solo fuggire.

Edward… perché lo hai fatto… perché mi hai lasciato…

Piegò la testa, soffocando l’ennesimo urlo.

E lo rivide, mentre apriva la porta e lo guardava fisso negli occhi.

La sorpresa, la gioia a malapena trattenuta, rivissute ad oltranza, mentre mutavano in assoluto orrore.

 

C’era orrore negli occhi di Edward.

Orrore per ciò che stavano vivendo. L’angoscia e la consapevolezza della deriva di ogni comprensione.

 

Un frammento di immagine. E di nuovo la sensazione del suo corpo contro il proprio. Ancora caldo, vivo come non riusciva a ricordarlo. Non più pallido e fragile, prossimo alla morte.

Vivo. Vivo in eterno.

Spike insinuò una mano sotto la camicia, le dita sul ricordo di una ferita.

A modo suo l’aveva sempre saputo. Aveva sempre saputo che si era trattato di Edward, quella notte. Il suo inconscio l’aveva sussurrato per mesi, ad oltranza, dentro agli incubi. Una rotazione, il coltello che parte, il volto che si svela… Edward.

Edward, dall’altra parte del coltello.

Edward, con una freccia piantata nel petto.

 

E io, con la balestra ancora in mano.

 

Rise, massaggiandosi la fronte, passando dalle risate disperate alle lacrime.

 

Con Angel che mi sorregge e mi impedisce di seguirlo.

Angel…

 

Il solo pensiero del suo sire fu un nuovo motivo di ribellione, per la sua mente, per il suo corpo.

Angel che smetteva di proteggerlo. Angel che l’aveva abbandonato restandogli accanto.

Angel e Edward. Perderli entrambi, nello stesso istante.

 

Adesso basta. Basta!

 

Si mise in piedi e camminò, senza una meta, lungo la galleria.

 

Io sono qui. Perché tu hai bisogno di me.

E si voltò, sobbalzando.

Come due fratelli.

Passi! Passi nel buio.

Angel.

 

Accelerò, correndo, correndo come un folle.

 

Basta.

Angel.

Basta parole, dolore. Basta con questa vita, quest’anima, questa esistenza illusoria.

Angel.

Basta.

Angel.

E precipitò verso il basso, a tradimento.

E fu cadendo, nel rallentare del tempo, con l’adrenalina tra le labbra, che ebbe l’impressione di vederlo.

Anche tu hai le ali, come gli Angeli veri. Piene… di luce.

 

Di vederlo protendersi, le mani tese verso di lui. Gli occhi scuri di Angel.

 

Sei reale?

E gli sorrise.

Angel, perché ci hai messo tanto a trovarmi? Tu sai sempre dove sono…

 

Lo sapevo… non si sfugge da uno come te…

Non…lasciarmi… dormire.

Poi il vuoto.

 

***

 

Angel si fermò. E la copertura della botola gli sfuggì di mano, con rumore assordante.

Per un attimo… Angel. Sbatté le palpebre.

Per un attimo gli era sembrato di vederlo. In fondo a un pozzo, un braccio proteso.

 

L’espressione inconoscibile di chi dorme senza sogni.

 

William... William che lo chiamava.

 

Riafferrò la maniglia, pronto a risaltare nel buio delle condotte sotterranee. Ma il rumore di una porta che si apriva e si chiudeva, alle sue spalle, nella hall dell’Hyperion, lo distrasse.

Un attimo più tardi lo raggiunse la voce di Faith.

Si mosse, veloce, svelandosi, spalancando la porta.

Faithy.” – la vide arrivare, correndo, libera della giacca, la pelle arrossata da una corsa in moto senza protezioni – “Che fai qui?”

Wes mi ha detto che eri….” – si fermò, respirando in maniera concitata – “non potevo... io non potevo…”

Angel le afferrò le spalle. E la sedette, quasi di violenza sul divanetto dietro di lei, piegandosi sui talloni e guardandola.

Faith, non mi servi a nulla se non ti calmi.” – le disse, con durezza, tirandole i capelli dietro le spalle – “Mi servi anche come Cacciatrice, stanotte.”

Faith spalancò gli occhi, per la sorpresa. Per quel tono duro, che non lasciava spazio a repliche e che la faceva sentire una donnetta isterica.

Inspirò ed espirò, accompagnando l’aria con tutto il corpo, come aveva visto fare a Cordelia, nei giorni delle visioni. E annuì, per dare una risposta sensata, prima di piegarsi su se stessa, coprendosi gli occhi.

Oddio, sono una stupida.” – gemette, mentre la mano di Angel le si posava sulla nuca, insieme a un bacio – “Sembro Rossella O’Hara…”

Avrei detto Ingrid Bergman in Anastasia – scherzò lui, forzatamente – “Ma è lo stesso… anzi… preferisco essere Clark Gable prima di Yul Brinner. Deve essere una questione di capelli…”

Faith trattenne a stento una risata, tra le mani. Odiava quei vecchi film, li trovava noiosissimi, con tutte quelle donne in crinolina. Ma Cordelia ed Angel non ne avevano mai abbastanza.

Scusami.” – disse, raddrizzandosi e guardandolo – “Credo di aver appena fatto di testa mia, venendo qui.”

Lascia stare.”

Non riuscivo più a resistere… chi ti dice che tornerà… non crede più a nessuno di noi.”

Tornerà. Perché ti ama. E perché non lascia mai nulla in sospeso.”

 

Lo credi sul serio?”

 

Io devo crederlo.” – replicò, sedendosi nel posto lasciato libero – “Spike deve capire che tu non ne sapevi nulla. Poi, le cose andranno come andranno. Ma per te tornerà.”

 

Per te tornerà.

 

Ed io…

Io salirò questa china con i denti e con le unghie.

 

***

 

Riaprì gli occhi, piantando le unghie nella terra, con le ossa doloranti.

Sei metri. Come minimo sei metri di volo.

Si aggrappò a quel che restava di una scaletta metallica. E si tirò in piedi, reprimendo un gemito. Cercò di mettere a fuoco il luogo in cui si trovava, tenacemente appeso al suo sostegno.

E, in quel momento, sentì la canzone. E vide il vestito bordeaux.

Ciao amore…” – sussurrò Drusilla, affacciandosi dal fondo del condotto – “Ti sei fermato, finalmente. Cattivo… correre veloce come il vento…”

Spike la fissò, interdetto. Poi cominciò a ridere, piano. E sempre più forte.

Mi mancavi giusto tu, oggi.” – singhiozzò, asciugandosi gli occhi – “Ne avevo già abbastanza… del mio passato.”

Il passato è luce... il futuro è ombra…” – gli venne incontro, le mani intrecciate dietro la schiena, l’andatura sognante – “intrappolato nel presente... sei intrappolato nel presente…”

Il presente non esiste. Questo è solo l’incubo. Di ciò che ero, di ciò che sono…” – si lasciò scivolare a terra. E la guardò, disperato – “è tutto come avevi predetto, Dru… tutto come avevi visto…”

 

Ti illudi, amore mio. Ti illudi ancora innanzi a miraggi che non esistono.

L’Angelo rimane nero anche quando spalanca le sue ali protettrici.

L’Angelo sa uccidere, in molti modi…

 

Torna da me…

 

Torna alle stelle e alla notte buia…

 

Amore…” – sospirò ancora la vampira, sedendosi al suo fianco e lambendogli il sangue dal viso, dalla tempia rimasta segnata nella caduta. Baci, lungo la cicatrice, sul sopracciglio.

Spike chiuse gli occhi, stordito, incapace di respingerla.

 

Era così appagante, quel contatto… così rassicurante…

 

Sapevi di lui, Drusilla?” – domandò, lasciandosi cingere il collo con le braccia– “Sapevi di Edward?”

Adesso… adesso le stelle me lo hanno detto.” – spiegò, come sempre – “Il flagello lo nasconde, il flagello lo protegge. Ma io lo avrò comunque, non ti preoccupare.

Vi avrò entrambi.

E staremo sempre insieme.”

Quelle parole lo percorsero come un brivido. Rialzò la testa, fissandola.

Lucido, per la prima volta.

Hai il suo sangue sulle labbra.” – aggiunse Drusilla, carezzandogli la bocca – “lo posso ancora vedere, sentire… è il sapore del passato, eppure è vivo… caldo…”

Lo baciò, tirandolo verso di sé, lacerandogli la pelle.

Le loro bocche si inondarono del reciproco sangue. E Spike si sentì morire, come la prima volta.

 

Drusilla lo aveva baciato, prima ancora di sapere il suo nome. Era stato il primo vero attimo di passione, il primo vero fuoco. Le labbra della vampira gli erano sembrate fredde e poi incredibilmente calde. Calde della sua vita più che del loro sentimento.

Un bacio. E poi la morte, come nei migliori racconti dell’orrore. Amore e morte, come sempre, giorno dopo giorno, secolo dopo secolo.

Lo stesso sapore che ancora permeava tra lui e Faith. La vita e la morte.

Il giorno e la notte.

Si ritrasse appena, guardandola. E Drusilla gli sorrise.

Sì. Come sempre.

La consapevolezza lo fece tremare. Drusilla, come Edward, era ancora la stessa di allora.

Era bruna, bellissima, gli occhi ancora pieni di luce.

Orrendamente sbagliata eppure così intossicante.

Fredda, morta, lontana da tutto.

 

Congelata.

 

Ma Spike non poteva dire la stessa cosa di se stesso.

 

Perché si sentiva vivo. E immerso nel mutamento, in una gamma infinita di cambiamenti ed emozioni contrastanti.

Era cambiato, era cresciuto, era forgiato dal dolore dell’anima. Ed era demone, ancora.

E’ Edward che vuoi, Dru?” – domandò, guardandola, con un mezzo sorriso – “E’ questo che mi stai dicendo?”

Drusilla gli passò le dita sulle labbra. E annuì, persa, senza guardarlo negli occhi.

E’ come te… c’è quella musica nel suo cuore… quella musica da ballare… mi manchi così tanto…”

Puoi avere me…” – rispose, esitando appena – “Non ti serve quell’impostore... tu puoi avere me…”

Oh, no…” – ridacchiò, piena di segreti – “io posso avervi entrambi. Posso riunire ciò che si è spezzato. Un solo cuore, un solo cuore…”

Ancora le sue labbra. Ancora quella passione.

E quel sapore.

Spike la respirò, dissetandosene. Un bacio intenso, cedevole, una mano sulla sua pelle d’alabastro.

Eppure la mente in tumulto. Confusa e informe.

Edward e Drusilla... Edward e Drusilla…

 

No…

 

Angel non ti lascerà nemmeno avvicinarti.” – rispose Spike, sottovoce, assaporando le sue stesse parole, gli occhi chiusi, la bocca nella sua – “Come l’ultima volta… con me…”

Drusilla si ritrasse, come scottata. Ferita.

E Spike la fissò, con gli occhi ghiaccio, dritto nelle sue ametiste.

Anche l’ultima volta mi volevi…” – sussurrò, colorandosi le labbra con un ghigno – “e non mi hai mai avuto del tutto. Angel è come Angelus.

 

Edward è già suo… non lo dividerà di certo con te.”

 

No.” – si era ritratta, di scatto. In piedi, i pugni stretti – “Non l’ha fatto, io lo so che non l’ha fatto.”

Ma che lo renda uno di noi oppure no è una cosa irrilevante.” – spiegò, con innocenza, provando a mettersi in piedi – “Edward è sotto la sua protezione. Per cui risparmia la fatica. E pensa a restare viva.

Perché non vedrai un’altra notte se gli torcerai un capello.”

 

Ed ora vattene.

 

O sarò io ad ammazzarti.

 

***

 

Bene.” - Disse Methos, alzandosi – “Appurato che il sole calerà tra meno di quaranta minuti, direi che è ora di muoversi. Ci vediamo da voi.”

Ottimo.” – rispose Westley, raccogliendo le carte e prendendo la matita che Edward gli stava restituendo – “Fate in fretta, o andiamo senza di voi.”

Perfetto.” – rispose, posando una mano sulla spalla di Edward, di modo che non potesse alzarsi. E premendo, con decisione. Fermo dove sei oppure saluta la clavicola – “Ciao Wes, ciao Cordy, ciao Francis.”

Vuoi che…”

No, Francis.” – rispose, con un bel sorriso – “Non essere inopportuno.”

Ricevuto.” – sospirò.

E, mentre la porta si chiudeva, fu ancor udibile, la voce di Cordelia.

Ma se si vedeva lontano un chilometro che devono parlare! Sei sempre il solito…”

 

Edward rimase fermo. E attese che la presa si allentasse.

E’ vero?” – domandò, senza voltarsi – “Dobbiamo parlare?”

Male non può farci.” – rispose – “Vieni con me…”

 

Angel aveva chiamato, dopo aver lasciato Faith a casa. Era nei condotti sotto la città, al momento. E li stava passando al setaccio, con la pazienza che possono avere solo gli esseri senza tempo con il dolore nell’anima.

Angel aveva parlato con Cordelia, qualche minuto. E poi con Wes, impegnato ad aggiornarlo sugli sviluppi della loro ricerca.

Se l’obiettivo restava continuare a cercare il rifugio di Drusilla, erano abbastanza vicini da iniziare a prepararsi.

 

Wes, l’hai conosciuto?” – aveva domandato Angel, fermandosi in un punto in cui la ricezione era migliore.

E l’amico, prontamente, si era alzato, uscendo sul terrazzo. Dal tavolo.

Se ti riferisci a Edward Coventry…” – disse, appoggiandosi alla ringhiera – “Ho avuto questo enorme piacere, a sorpresa, circa mezz’ora fa.”

Silenzio.

Angel…” – l’uomo respirò un attimo a fondo, fissando il movimento delle macchine in strada – “Non sono qui per farti la paternale, se è quello che stai pensando.”

Sto pensando che me la meriterei.”

Secondo me… no.” – si interruppe un attimo, riordinando le idee – “Ritengo che tu sia in questo guaio per puro sbaglio, come Faith. E posso anche aggiungere che mi spiace per questo ragazzo... se posso permettermi di avere un’opinione su un essere ultracentenario.”

Angel sogghignò, divertito.

Di me hai sempre un’opinione.”

Ma tu sei Angel.” – rispose, appoggiandosi, più rilassato, alla balaustra – “Niente notizie di Spike?”

Nulla.”

E’ fuori di sé, vero?”

Nella peggiore accezione del termine.”

Ottimo. Notizie di Faith?”

Sta mordendo il freno, all’Hyperion. Raggiungetela il prima possibile. E, se riesci, procurale qualcosa che la tenga occupata.”

Se i miei calcoli sono esatti, tra non molto saremo tutti occupati.”

Me ne rallegro. Adesso, se puoi, passami Edward.”

Subito.” – Wes si raddrizzò, riaffacciandosi dentro al locale – “Edward, scusami… Angel vuole parlarti.”

 

Il ragazzo si era alzato, con prontezza. E si era appartato, su quello stesso terrazzo, dandosi il cambio con Westley.

Dimmi.”

Stai bene?”

Sì.” – rispose, sbrigativamente – “Sì, sto bene.”

Allora vorrei che stasera venissi con noi.” – Angel saltò in un altro dislivello, sperando di non perdere la ricezione – “Preferisco saperti in un covo di vampiri con loro che da solo in quell’appartamento. C’è ancora Drusilla che ti cerca. Ricordatelo, anche se so che hai altre priorità, al momento.”

Vero. Hai scoperto dove sia la mia priorità?”

Non ancora.”

E mi dici perché non posso raggiungerti adesso, all’istante? Sto rispettando le tue richieste, Angel. Ma voglio che tu mi dica cosa sto aspettando.” – strinse con forza il parapetto, piantandoci le unghie – “Dimmi cosa aspettiamo, Angel, per favore.”

Gli rispose il silenzio.

E l’assoluta assenza di respiro.

Eppure Angel era ancora là, all’altro capo del filo.

E rifletteva.

Edward.” – sentì, in un sussurro – “Hai il mio rispetto. E non sto cercando di prevaricare. Ma, al momento, penso di avere qualche possibilità in più di te, per essere ascoltato. E voglio sfruttarla.

Non voglio più assistere a ciò che ho visto stamattina.”

Edward chiuse gli occhi. E pensò, per un singolo istante, di non riuscire più a trattenersi.

Io non voglio che ti faccia del male. Non lo voglio per te e non lo voglio per William. Io... io sono costretto a tenervi separati.” – si appoggiò al muro. E pensò che Edward, almeno, rispetto a lui, in quel momento, aveva la fortuna di poter restare in silenzio. Perché ogni parola era uno sforzo titanico – “Vorrei che bastasse trovarlo, per convincerlo che non l’abbiamo abbandonato.”

Edward chiuse gli occhi. E i polmoni si compressero, nuovamente.

Lo capisco.” – mormorò, pensando con orrore di non avere il controllo della propria voce – “Ma non… io non…”

Ti chiedo un’ora al massimo. Un’ora. Aspetta il tramonto, poi vai con gli altri.”

Va bene.”

Edward…”

No, sul serio. Va bene, Angel.” – si raddrizzò – “Fammi un favore… bada anche a te stesso.”

 

Edward si alzò, seguendo Methos malvolentieri. Angel aveva detto un’ora. E di raggiungerli al fantomatico Hyperion. Eppure adesso c’era Methos che lo frenava.

Methos! Ci si metteva anche Methos!

Sappilo.” – comunicò, fermandosi ed enumerando – “Non voglio farmi una doccia, non vado medicato o resuscitato, non intendo perdermi in conversazioni di concetto. Voglio solo che ti infili una giacca e ti prepari ad uscire.”

Chi ti ha detto che vengo?”

Non vieni? Ok, va bene, non venire. Vado solo io. Posso andare, adesso?”

No. Andremo insieme fino all’Hyperion. Poi deciderò cosa fare della mia testa.” – replicò, sedendosi sul divano. Anzi, lasciandosi cadere, con indolenza – “Adesso però ci dedichiamo alla mia attività preferita.”

Sarebbe?”

La conversazione di concetto.”

Oh, andiamo, Methos!” – esplose – “Non intendo perdermi in conversazioni sul giusto e sullo sbagliato! Ho da fare. Se per caso ti è sfuggito, c’è mio fratello là fuori…”

Edward. Seduto.”

Si era teso, con un tempismo perfetto. E il suo tono non aveva lasciato repliche.

Il problema era che Edward fosse un Coventry. Non stava nell’efficacia di quell’approccio.

Risparmia lo sforzo, Methos.” – rispose, restando in piedi. E sfidandolo come mai nella sua vita – “Non intendo sedermi e calmarmi.”

Dovresti. Tu stai fuori di testa quasi quanto William.” – rispose, implacabile, allungando le braccia lungo lo schienale. E accavallando le gambe – “Lui è più plateale, con i canini e tutto il resto. Ma tu sei altrettanto bravo a fargli del male.”

Edward pensò di non aver capito. E lo fissò, come se non lo conoscesse.

Torna in te.” – aggiunse l’uomo, fissandolo con durezza – “E prima di perdere il controllo. Qui c’è già abbastanza gente che si deve pentire.”

Io no, secondo te? Non ho già cose di cui pentirmi?”

E ci tieni tanto ad aggiungerne altre? Rifletti, Coventry, non comportarti come un cretino, visto che non lo sei!” – non intendeva muoversi. Lo guardava soltanto percorrere la stanza ad ampie falcate – “Tu lo sai che non hai sbagliato, nel 1857. Io c’ero, ti avrei consigliato nello stesso identico modo! E quanto a quello che hai deciso, sei mesi fa… bhe, sei partito sapendo che sarebbe successo. Che prima o poi, presto o tardi, William lo avrebbe saputo.”

Si interruppe, guardandolo voltargli la schiena, le braccia incrociate, per difendersi.

E si alzò.

Non sei giovane abbastanza per ignorare come vanno certe cose.” – aggiunse, avvicinandosi – “E non sei abbastanza superficiale per aver fatto tutto quello che hai fatto in assoluta incoscienza.”

Edward non gli rispose. Gli sarebbe bastato un singolo respiro per andare in frantumi.

E Methos fece come quel giorno, sul terrazzo. Semplicemente gli cinse le spalle, tirandoselo contro il petto.

Cosa farai quando l’avrai di nuovo di fronte, Edward? Crollerai? Hai accettato quello che ti è successo stamattina? Perché non credo che andrà poi così diversamente.

Io non conoscevo tuo fratello.

Ma conosco Spike, il vampiro con l’anima. Nel bene e nel male.”

E’ così che vuoi che pensi a lui? Come a un demone?” – domandò, sentendo il calore propagarsi a quel contatto. E restando comunque fermo, le braccia ancora intrecciate, gli occhi fissi di fronte a sé.

Ti chiedo di stare attento, qualunque cosa tu decida di fare.” – rispose, senza nessun imbarazzo per quell’affetto che non gli manifestava mai – “E ti chiedo di crollare adesso, prima di andare.”

Non posso.” – abbassò la testa, quasi ridendo – “Non posso, Methos.”

 

Non sono mai stato bravo a cedere.

 

India, 1884

 

La jungla bruciava. Bruciava ancora.

E le urla erano assordanti.

Tra le urla, anche quelle di Edward non erano da meno.

Sporco di fuliggine, stanco allo stremo, non si rassegnava all’evidenza dei fatti. E cominciava a sembrare un pazzo furioso, considerò Methos, vedendolo di nuovo correre verso la linea esterna, dove le fiamme iniziavano a superare i tre metri.

Fermalo!” – urlò Damodar, alle sue spalle.

Oh, certo, parli facile!” – rispose, di rimando, tirandosi sul viso lo straccio e correndogli dietro.

Lo placcò, sollevandolo quasi da terra per riuscire a trattenerlo.

Lasciami.”- si divincolava, furioso. Ed era solo un vantaggio che fosse sottile e slanciato. Methos, con le spalle e le braccia che si ritrovava, riusciva a malapena ad opporgli resistenza – “Lasciami, non lo vedi che serve aiuto?”

E tu non lo vedi che ci stanno andando a fuoco anche i capelli?” – rispose, di rimando, assestandogli un colpo ai reni senza misericordia e sollevandolo per la vita – “Finiscila con le utopie, idiota, dobbiamo andarcene!”

No. Non me ne vado, non me ne vado.” – Edward smise di scalciare e unì i pugni, per assestargli un colpo di gomito nel fegato.

Methos mollò ovviamente la presa, mentre i suoi organi si spostavano tutti a sinistra. Ed Edward ripartì, puntando ai secchi dell’acqua.

I contadini, attorno a loro, fuggivano in senso contrario. Il tempio che avevano provato a salvare, quel tempio millenario per cui Edward stava per immolarsi, sarebbe stato avvolto dalle fiamme in pochi minuti.

Senza possibilità alcuna di un miracolo.

Methos si rimise in piedi e gli corse dietro, ancora, imprecando e zoppicando.

Edward se ne stava da solo, davanti ai suoi fantasmi personali e al fuoco.

Aveva perso Mayuri. Ed ora anche l’unico posto in cui si era sentito a casa dopo la sua morte.

Methos lo afferrò, tirandolo verso di sé. E un’altra pianta in fiamme precipitò, di traverso, impedendo loro di proseguire.

Ma questo non sembrava bastare ad Edward.

Si tirò su, gli occhi azzurri pieni dei riflessi rossi che li circondavano. Il fuoco gli arrossava la pelle e le labbra. E lo faceva tossire, ma non smettere di correre.

Con Methos sempre alle calcagna.

Basta, Edward, basta.”

Mai.” - urlò, voltandosi – “Mai, fino alla fine.”

 

Methos sentì il cervello quasi esplodergli per la frustrazione.

 

Mai fino alla fine?

Non avevi che da dirlo, stupido idealista.

Non si fermò nemmeno, continuò a correre. E prese la mira.

E il kriss, il coltello malese che portava in vita partì, prendendolo perfettamente in mezzo alle scapole.

E uccidendolo sul colpo.

Ecco.” – ansimò, fermandosi a fianco del corpo, per prendere fiato – “Accontentato.”

 

Estrasse il coltello, pulendolo. E si caricò il corpo sulle spalle.

 

Stupido. Stupido e masochista.

Ricordami di regalarti il kriss. Gli hai rovinato il filo con le tue ossa.

 

Le pietre del tempio erano già lucide. E l’oro che le ricopriva ancora in alcuni punti si stava sciogliendo. Troppo tardi. Era stato troppo tardi sin dall’inizio.

Methos fissò l’alta cupola accartocciarsi.

E la bellezza umana che si protendeva verso il cielo tornare ancora una volta ad esser cenere e polvere.

 

Non sono mai stato bravo a rinunciare.

 

E’ vero.” - ammise Methos, lasciandolo andare – “Ma dovevo provarci.”

Apprezzo lo sforzo.” – rispose Edward, sorridendo, asciugandosi gli occhi. Ci siamo fermati, solo un passo prima. Si voltò, abbracciandolo, aggrappandosi al suo collo – “Però toglimi una curiosità... perché mi sopporti ancora?”

Bhe...” – Methos alzò gli occhi al soffitto, pensieroso, strofinandogli una scapola con una mano – “in cinquemila anni ci si può annoiare… è bene procurarsi qualche distrazione.

 

Altrimenti si invecchia… prima del tempo.”

 

***

 

Non era pronto a trovarla a casa.

Era stato così assorto dai suoi dolori da non percepirla nemmeno.

 

La guardò, ferma al centro dell’ingresso. E si appoggiò alla porta alle sue spalle, infilando le mani nello spolverino di pelle. Con sfida.

 

E Faith non disse nulla.

Spike era ridotto in uno stato spaventoso.

Aveva ferite, lacerazioni sul viso, sulle mani, viste solo fuggevolmente. E segni di graffi, su una guancia, lungo il collo.

 

In frangenti normali gli sarebbe corsa incontro. E l’avrebbe sostenuto, rimproverandolo senza mezzi termini per la sua incapacità a difendersi. Ma ora... ora non riusciva a muoversi. E lo fissava, del tutto terrorizzata.

 

Gli occhi di Spike, solitamente azzurri e sarcastici erano bui. E gonfi, come sul viso di chi ha pianto fino a sfinirsi.

 

Eppure non c’era fragilità. Nessuna debolezza. Da lui trasudava soltanto quella furia spietata emersa con l’aggressione di Edward.

Amore, ciao.” – disse, guardandola, facendo quasi le fusa – “Ti sono mancato?”

Le sorrideva, nel parlarle. E il sangue con cui era incoronato lo rendeva un terrificante dio della guerra.

Capelli biondi tinti di rosso. E occhi che portavano bufera.

Spike, credo che tu abbia diritto a una spiegazione.” – azzardò, restando ferma, i sensi all’erta.

Nulla… non emanava nulla. Spike, famoso per il divenire elettrico se furioso, era come una statua di sale.

Veramente no.” – rispose il vampiro, raddrizzandosi – “Sono venuto solo a prendere alcune cose. Puoi seguirmi, se vuoi…”

 

Si era mosso, con sicurezza. Zoppicava appena, trascinando un piede. Sembrava che la parte sinistra del suo corpo non rispondesse alla perfezione ai comandi della mente. Senza però essere un ostacolo ai movimenti.

 

Faith, totalmente in confusione, lo seguì, mentre scendeva nell’armeria.

 

Sai, ho avuto una giornata incredibile.” – le disse, una volta che furono nello scantinato. Stava a torso nudo, prelevando una maglietta da un cumulo di biancheria da stirare – “Lascia che ti racconti… magari dall’ultima cosa che mi è successa... che è proprio incredibile.

Pensa, stavo parlando con Drusilla…”

 

Faith trattenne il fiato. Spike le dava le spalle e il suo racconto aveva l’intonazione leggera di un resoconto qualsiasi.

Ero con Drusilla che mi spiegava i suoi progetti per il futuro, quando sono stato aggredito da sei dei suoi. Lo ammetto, ho provocato quella matta della mia ex... ma non pensavo che andasse in giro con la scorta.

E pensare che non avevo voglia di combattere, essendo caduto da un’altezza di sette metri in un pozzo... nelle fogne non sai mai dove metti i piedi.”

Faith non rispose. E Spike si strofinò via il sangue con un asciugamano inumidito. Via dalle braccia, dal torace.

 

Via, insieme all’odore di Edward, al suo inconfondibile profumo di umanità. Di pulito.

 

Via, con il sangue sparso dai baci tentatori di Drusilla.

 

Afferrò una bottiglia da sopra il ripiano. E bevve un sorso, cercando di scacciare il sapore della trasgressione.

 

Comunque non mi è chiaro cosa volessero.” – aggiunse, riavvitando il tappo – “Forse dovremmo indagare.”

Si bloccò e si girò, finendo di infilare le maglietta sopra a vaste escoriazioni bluastre.

Ah, già.” – le sorrise – “Scommetto che lo state già facendo.”

 

Faith incrociò le braccia. E, con gli occhi, valutò la distanza dagli oggetti che avrebbero potuto tramortirlo senza ucciderlo.

Non era certa che ci fosse un’anima in lui.

 

Può forse morire l’anima, per troppo dolore?

 

Sì, stiamo indagando.” – rispose, stando al gioco. Cercando di restare calma – “Doyle ha avuto una visione, stamattina e…”

E non mi riguarda.” – rispose lui, allacciandosi un anfibio e recuperando lo spolverino – “Comunque ti passo una dritta, in memoria dei bei tempi andati. Drusilla vuole Edward Coventry. Penso che sappiate anche questo... ma è meglio ripeterlo. Dopotutto, qui si parla di innocenti in pericolo…”

 

Ah giusto!” – aggiunse, beffardo, raddrizzandosi – “Questa è la cosa migliore della giornata, devo proprio raccontartela. Pensa che sono andato a prendere la mia donna dal suo osservatore, stamattina. E mi ha aperto la porta il mio defunto fratello!

 

Chiunque abbia detto che la vita è strana deve aver avuto un’esperienza del genere.”

 

L’aveva detto ridendo, con gli occhi spiritati, pieni di un’emozione inspiegabile.

 

Rabbia, rancore? Dolore? Follia?

 

Faith non riusciva a capire.

 

Parliamo di tuo fratello, allora, visto che l’hai nominato.” – rispose, pronta, la ragazza – “Varrebbe qualcosa ti dicessi che ho scoperto chi fosse quando l’hai chiamato per nome?”

Spike si voltò. E un lampo di sorpresa, presto dissimulato, gli transitò sul viso. Poi, gli occhi tornarono ad essere pietra.

Ah sì?” – esclamo, piegando la testa – “Eppure il tuo profumo su di lui era delizioso…”

Abbiamo combattuto insieme.” – rispose, innaturalmente sulla difensiva – “Lo conoscevo come amico di Methos... per quello che…”

Risparmiami il resoconto di ciò che è successo sei mesi fa.” – rispose, a denti stretti, perdendo improvvisamente smalto – “C’ero. Me lo ricordo.”

 

Non ho compreso.

Non ho visto.

 

Ma ricordo. Ricordo tutto il necessario.

 

Non sapevo chi fosse.” – ripeté la ragazza, con più convinzione. Era vero, doveva credere alla propria innocenza per convincere Spike – “Non ho intuito nulla, nemmeno parlandogli. Non lo sapevo, Spike, te lo posso giurare.”

Non mi riguarda.” – replicò, con un’alzata di spalle. Aprì un cassetto, prelevando l’immancabile pacchetto di sigarette. E un accendino – “E non mi sorprende questo tuo pensare di avere una giustificante. Sei la bambina prediletta di Angel, prima di essere la mia donna.”

 

Angel… Angel che ha una scusa per ognuno di noi. E mai per se stesso.

Quale? Quale si è inventato per appoggiare Edward?

 

E’ questo il motivo per troncare con me?” - domandò, spalancando gli occhi. Sconvolta – “Il fatto che io non stia condannando Angel? Che sia ancora qui e non in fuga da lui come te?”

Il cassetto venne richiuso, con violenza, facendola sobbalzare.

Calma Faith. Controlla i tuoi nervi.

No. Io non tronco con te. Sei tu che lo hai fatto. Eri lì, con lui, con Methos, Doyle… eppure non me lo hai detto. Mi hai mentito, Faith. Come il grande Angel.” – si era avvicinato, fino a fronteggiarla – “Tu… mi hai… mentito!”

 

L’ultima parola l’investì, come un’onda d’urto.

 

Faith chiuse gli occhi e, senza frenarsi, mosse un passo indietro.

Faith, che non aveva mai arretrato innanzi ai suoi nemici. Ai suoi fantasmi. A ogni incubo esistente.

Fai bene ad avere paura, Cacciatrice.” – concluse lui, avviandosi su dalle scale, alcune armi in pugno – “Fai veramente bene.”

 

Era rimasta immobile.

E aveva aspettato che il suo cuore finisse di cadere in frantumi.

Poi si era riscossa. E rialzata.

Era quella la differenza tra vampiri e Cacciatrici… le prescelte si rialzavano sempre dalle loro stesse ceneri.

 

E Faith sapeva combattere. Per scelta, destino, nelle apocalissi e in amore.

 

Spike non se ne sarebbe andato in quel modo. E, soprattutto, se proprio era deciso a fuggire, l’avrebbe fatto con delle risposte. E non con delle menzogne.

 

Si mosse. E scese in battaglia.

 

Spike!” – lo chiamò, raggiungendolo nell’ingresso – “Fermati, Spike.”

E il vampiro, semplicemente le ubbidì. Così come non aveva opposto resistenza a Edward che lo afferrava, adesso sostava, in attesa che Faith gli parlasse.

Ecco, l’Uccisore delle Cacciatrici in azione. Il vampiro che uccideva con il credo.

Dimmi.” – la esortò, con gentilezza.

 

Stupiscimi. Prova a darmi nuove illusioni.

 

Era bellissimo. La bellezza perfetta dell’alabastro e dell’eterna giovinezza. L’abominio e la forza dei predatori della notte.

Era un demone. In tutto e per tutto.

 

Eppure Faith non si lasciò intimorire. Chiuse gli occhi, innanzi a lui, senza celarsi. E respirò a fondo, abbandonandosi ai suoi sensi.

Prima di fissarlo, con sfida.

No.” – sorrise – “Sento la tua anima fin da qui.”

E ti sorprendi? Andiamo Faith… ragiona… non c’è bisogno di essere privi di anima per essere furiosi…”

Vero. Verissimo.” – replicò, incrociando le braccia – “E’ che questo tuo ostentare il lato demoniaco non ti si addice. E’... diciamo… stupido. Wes direbbe che è un meccanismo di difesa… che hai un… come si chiama? Disturbo post traumatico?”

Spike non le rispose. E Faith mosse un passo verso di lui.

Bella definizione. Ma io non sono fatta per i paroloni. Per me tu sei un uomo con il cuore spezzato. Sei così disperato da sentirti morire, ogni momento. Tu hai paura, Spike.” – respirò a fondo – “Quasi quanta ne ho io di perdere te.”

 

Silenzio. Silenzio tra loro.

 

Non abbandonarti alla rabbia per non provare dolore, Spike.” – riprese – “Io ti amo. E questo muro tra noi mi sta uccidendo. Non riesco a pensare... guardami, Spike. Hai fatto di me una ragazzetta in lacrime. Non tenermi lontana… lascia che io ti aiuti.”

Fai ancora un passo e non risponderò di me.” – replicò Spike, fissandola dritta negli occhi. Non un battito di ciglia, non una debolezza. Solo enormi pupille in un cielo indaco – “E questa lontananza che senti non mi riguarda. E non voglio dividere con te un bel niente.”

 

Niente.

 

William…”

 

Il vampiro abbassò gli occhi. E le sembrò stanco. E indifeso.

Quasi pentito delle sue parole.

 

E lo osservò, mentre si appoggiava a una delle colonne, per restare in piedi.

 

***

 

Spike imprecò, sottovoce, nel perdere nuovamente il controllo di se stesso.

Prima Drusilla… ora Faith.

 

A modo loro perfettamente in grado di fare breccia nelle sue barriere.

La vicinanza e i loro corpi, inebrianti e pieni di promesse. Il desiderio di abbandonarsi divenne irresistibile. Prossimo al terrore, Spike si impose di restare calmo. E si erse, facendosi disperatamente scudo dietro la realtà dei fatti.

 

Scelte.

Inganni.

Menzogne.

 

Tutti lo avevano tradito. Tutti gli avevano riservato false promesse.

La fiducia era morta, insieme a tutti loro nell’attimo stesso in cui Edward aveva aperto la porta e lo aveva fissato, uscendo dalle nebbie del tempo.

Morta, negli occhi di Angel che lo fissavano pieni di dolore, alle spalle di suo fratello. In quelli di Doyle, che aveva disperatamente cercato di fermarlo.

 

Morta.

Morta in Faith che ora si ergeva, ultimo baluardo prima del baratro.

 

Faith, come Dru.

La bellissima donna bruna che lo tentava con il miraggio della luce in fondo all’oscurità.

 

Ti amo anche io, Faith.” – rispose, senza osare guardarla – “Ti amo. Ma non credo abbia più importanza.”

Ne ha, invece.”

Ah sì? Dimmi perché. Dimmelo. Perché ha importanza? Amavo mio fratello, lo amavo e avevo il terrore di perderlo. Eppure mi ha lasciato. Amavo Angel... perché era la mia salvezza, la mia unica certezza… e amavo te, Faith. Ti amavo perché…”

Si interruppe. Non riusciva a controllare la voce, le lacrime di rabbia.

Sì, Faith!” – urlò – “Vi amavo tutti alla follia e non c’è stata comunque verità. Mai, nel passato, nel presente.. la storia a quanto pare si ripete da circa un secolo. Non sei la prima, non sarai l’ultima.”

Stai delirando e nemmeno te ne accorgi.” – ribatté, cercando di reprimere il dolore. E rinunciando alle distanze, camminando, per arrivargli vicino, per afferrarlo – “Rifletti, William, pensa a Edward. E’ vivo, non hai mai desiderato nient’altro…”

Io non sono William!” – urlò, mentre le lacrime, rosate dal sangue, gli scendevano sulle guance – “William era uno stupido all’ombra della perfezione, morto perché abbandonato a se stesso e incapace di difendersi! Io non sono William!”

Allora colpiscimi!” – urlò Faith, di rimando, le stesse lacrime incontrollabili – “Colpiscimi e dimmi chi sei!”

 

Il silenzio che seguì fu una nuova caduta libera nel nulla.

 

Poi Spike si mosse, abbandonando la scena. E uscendo, sotto al portico dell’Hyperion.

Lasciandolo, con la volontà di non tornarci più.

 

Faith non lo seguì. Immobile, al centro della hall, assaporò il sapore del distacco.

E l’aria divenuta muta e irrespirabile.

 

Faith? Sei lì?” – la voce di Wes rimbombò, preceduta solo dallo scatto della segreteria telefonica. Perché, c’era un telefono che suonava? – “Arriviamo tra non molto. L’abbiamo trovata. E’ al porto. Il covo è in uno dei capannoni della Protomac... tra dieci minuti saremo lì…”

 

E il suono della chiamata che si interrompeva.

 

Spike si raddrizzò, con lentezza, celato dalle prime ombre della notte.

Oh, sì.” – sussurrò, mutando i lineamenti e cancellando le lacrime con l’altro volto – “Perché non un po’ di caccia…”

 

Mi farà bene.

 

Sì. Mi farà bene.

 

[V]

 

Angel stava già risalendo in superficie quando suonò il cellulare.

Dimmi.” – rispose, sbucando da una galleria in un vicolo. Incredibile quante uscite esistevano, camuffate da porte, nei posti meno sospettabili.

E’ stato qui.” – gli disse Faith, finendo di allacciarsi il fodero della spada – “E’ stato qui, Angel.”

Non sei riuscita a trattenerlo?”

No.” – scosse la testa e prelevò una seconda lama – “E’ fuori di testa, furioso, farà qualche scemenza. Me lo sento.”

D’accordo.” – accelerò il passo – “Sto rientrando. Sarò lì tra poco.”

E’ inutile. Avverti Edward. Cordelia e Doyle sono già partiti. Io sono con Wes, vado al porto.” – spostò il cellulare e lanciò un’arma all’osservatore – “Se cerca rogne andrà là.”

Ne sei sicura?”

Respira l’aria, Angel!” – rispose, spazientendosi – “Puoi seguire la scia di sangue, se ti fa piacere.

Spike è andato. E io adesso vado a riprendermelo!”

Lanciò l’apparecchio a Westley e finì di allacciarsi un bracciale.

 

Si sentiva esplodere.

Ancora un minuto e avrebbe fracassato ogni cosa.

 

E non dubitava che Angel stesse per fare altrettanto.

Anche se non gli aveva ancora parlato. Anche se non l’aveva ancora visto.

 

Angel.” – la voce dell’uomo lo fece sobbalzare – “Ascoltami. Abbiamo un avvistamento di Drusilla, di circa un quarto d’ora fa. Era sulla…”

Angel aggrottò la fronte. La linea era disturbata, gracchiante. Ma le indicazioni geografiche di Westley gli sembrarono un colpo di cannone.

Sta andando a casa di Methos.” – rispose – “Va a prendersi Edward.”

Arriviamo.”

Me la posso cavare. Occupatevi del porto. Faith ha ragione. Spike andrà a sfogarsi.” – accelerò il passo, ed estrasse la spada, preparandosi a colpire – “Vi raggiungo il prima possibile.”

 

Ho un ragazzo da difendere.

 

Wes staccò la chiamata. E si voltò verso Faith

Cerca Doyle, aggiornalo.” – le disse, sfilando un’ascia dalla panoplia dell’ingresso e uscendo in strada – “Prendo la Plymouth e raggiungo Angel. Faith… non prendere decisioni avventate.”

Tranquillo.” – ringhiò lei, già a cavalcioni della moto – “Mai stata più lucida.”

 

***

 

Methos non ebbe tempo di prenderla nemmeno male. La freccia lo centrò in pieno stomaco, catapultandolo contro il muro al primo passo fuori dall’ingresso secondario di casa. E facendogli uscire dalla bocca una di quelle parolacce irripetibili in una lingua ormai inutilizzata sulla faccia della terra.

Edward, più pronto, messo logicamente all’erta, riuscì a schivare il secondo dardo e assestò una spinta all’uomo, rispedendolo in casa e piazzandosi al centro della porta.

Intanto, palesemente, volevano lui. E se ne sarebbero fregati dell’immortale, impegnato a rantolare e a strapparsi la freccia di dosso.

Sfilò le due spade che aveva nella sacca e si preparò a vender cara la pelle, proprio mentre la Plymouth si fermava, sbandando, nel cortile.

Westley non si fece spiegare nulla. Prese la mira con il balestrino manesco e ne atterrò uno, purtroppo senza ucciderlo, prima ancora di scambiare due convenevoli.

Methos?” – urlò, saltando giù e impugnando meglio l’ascia bipenne.

Preso. Gli ci vorrà un po’.” – gli urlò Edward, correndo verso la mischia – “Te ne servono di vivi?”

No, sfogati pure.” – rispose l’uomo, seguendolo e tirandosi addosso metà della marmaglia – “So già abbastanza, grazie.”

Ma ti pare.” – Edward usò la macchina di Angel come trampolino lasciandogli una bella ammaccatura. E atterrando ne ‘nuclearizzò’ un paio – “Era giusto per non complicarti l’esistenza.”

Apprezzo la gentilezza, sei il primo che ci pensa.” – rispose, assestando un bel calcio al suo avversario. La cara vecchia educazione inglese, come gli era mancata!

Avesse chiesto, Edward gli avrebbe riservato degli ostaggi con la stessa grazia con cui si porgono i vassoi di pasticcini nei salotti della buona società.

Si voltò, sorridendo, continuando a menar fendenti.

E vide un uomo furioso emergere dal corridoio delle cantine. Impolverato e già con la spada sguainata.

Methos valutò rapidamente la mischia. Poi vi si tuffò, impugnando a due mani la sua arma. E dando priorità di morte ai vampiri dotati di balestra.

A conti fatti, Wes ed Edward avrebbero potuto anche fermarsi a guardarlo. Da solo faceva il lavoro di tre.

 

Furioso.

 

Alla faccia degli assenti cavalieri dell’apocalisse.” – esclamò Westley, senza riuscire a trattenersi.

Poi una testa gli passò rotolando sui piedi – “Ed ecco l’altro che arriva.”

Anche Edward l’aveva sentito. Forse per l’incremento di urla. Angel arrivava direttamente dall’alto, come tutti gli eroi che si rispettano. E senza farsi annunciare.

 

Per la miseria…” – rise, senza riuscire a trattenersi – “Batman!”

 

Angel lo fulminò con un’occhiata e gli venne vicino. Schiena contro schiena, come quella mattina. Uno sincronizzato con l’altro.

E finalmente contenti entrambi di potersi sfogare.

Questo è il pregio di Drusilla.” – gridò Methos, sopra la mischia – “Procura sempre un sacco di distrazioni.”

Ah, certo, intanto è il mio collo che vuole mordere, mica il tuo!” – si girò, abbassandosi per un soffio – “Angel, notizie di William?”

Faith sta seguendo una pista. Finiamo qui e andiamo a dare un’occhiata.”

Allora muoviamoci. Sono stanco di girarmi i pollici.” – rispose, atterrandone un altro. E facendosi largo con la sua polverizzazione – “Avanti il prossimo!”

 

I loro avversari erano particolarmente eroici. O particolarmente stupidi, in base all’ottica.

E si fecero falcidiare tutti, prima di ponderare l’idea di una ritirata.

Quando fu passato attraverso l’ultimo aggressore, Edward si guardò intorno.

Poi fissò Angel. E la mano con cui gli aveva afferrato un braccio, tirandoselo vicino.

Non uscire dalla mia visuale.” - ordinò, mettendoselo dietro le spalle. Edward fu così sorpreso da non osare replicare. E rimase fermo, tra il vampiro e il muro.

 

Poi comprese.

 

E lei?” – domandò – “E’ qui?”

Sì.” – replicò lui, annuendo, spostando lo sguardo tutto intorno – “E’ qui.”

 

Posso sentirla chiaramente.

Vuole che la senta.

E ha l’odore di Spike addosso.

 

Dove.” – domandò Wes. E Methos lo tirò a terra, dietro la macchina, prima che potesse sentire una risposta.

E con questa sono due.” – rantolò, mostrando la scapola all’uomo – “Price, renditi utile. Era tua questa freccia, levamela almeno di dosso.”

Sono commosso.” – ribatté Wes, afferrando il dardo e strappando senza preavviso, mentre un secondo spaccava lo specchietto sopra le loro teste – “Hai suggerimenti?”

Solo uno.” – tossì l’altro, appoggiando la tempia alla fiancata – “Strisciamo fino alla porta, andiamo di sopra a farci un brandy e dimentichiamoci di quei due.”

Non mi tentare, per favore.” – ribatté Wes, lanciando la freccia lontano e guardando Angel. Angel ancora fermo, con Edward alle spalle.

Come in attesa.

Ci saranno stati sei metri tra loro. Sei metri pieni di cenere scomposta della loro ultima battaglia.

Cenere e armi, rimaste abbandonate.

Respirò a fondo. E scivolò un po’ più sdraiato.

Ok.” – sussurrò, cominciando a tirare verso di sé una balestra – “Organizziamoci…”

Methos sbuffò. E, sempre sbuffando, studiò come arrivare ad una seconda arma.

 

***

 

Nello stesso momento, Cordelia stava parcheggiando, nella zona del porto. E Doyle stava bevendo una bella sorsata dalla fiaschetta d’argento.

Vuoi?” - le offrì.

E lei, a sorpresa, accettò, con uno spicciativo grazie. E una smorfia.

Io non so come tu faccia a berlo…”

Fa girare la testa ma ti rende più leggiadro.” – ribatté lui, allungandosi ad afferrare le armi sul sedile posteriore – “E non è un male, quando devi correre.”

 

E Doyle era certo di dover correre, viste le stime con cui Westley Whydam-Price lo aveva terrorizzato nell’ora precedente, prima di farsi lasciare all’Hyperion a recuperare armi e macchina.

L’espressione dieci a uno era stata ripetuta un po’ troppe volte, per i suoi gusti e per quelli di Methos. L’unico soddisfatto era sembrato Edward. Ma, del resto, lui era il fratello di Spike. Non c’era da stupirsi che fosse dotato di molto coraggio e del tutto privo di cervello.

Il fascicolo della East Protomac era stato più volte aggiornato. Doyle ed Angel avevano visto giusto, nel seguire quella pista e nell’indicarla a Cordy e Wes. I due, lasciati liberi di indagare, avevano messo assieme tanti di quei particolari da lasciarli addirittura senza parole... non una ma ben due fabbriche, se non tre, che recavano quel marchio presentavano in contemporanea una certa attività demoniaca. Non ultimo il covo ripulito quella mattina.

Insomma, una proliferazione sotto i loro occhi.

Il problema stava nel fatto che fosse come cacciare le talpe. Se non le stanavi con metodo, fuggivano per chissà quanti condotti fino a nuovi nascondigli… un bel guaio, visto che la Cacciatrice su piazza, come molte della sua stirpe, era una fautrice del ‘trova e squarta in base all’umore’.

Di certo, unica consolazione, tutto quell’agitarsi non era reputabile al ritorno di Drusilla. E, quindi, con un certo sollievo, non implicava che la Angel Investigation arrivasse alla punta dell’iceberg in meno di trentasei ore.

 

Un problema alla volta.

Prima Spike.

Poi Dru.

Infine l’indistruttibile stirpe vampirica di Los Angeles.

 

Drusilla, infatti, con buone probabilità, guidava solo una fazione o due ed era in buoni rapporti con l’attuale gerarca. Fatto che avrebbe spiegato le truppe scelte di cui era fornita e il suo raggio d’azione apparentemente vasto.

 

Quanto al tatuaggio, probabilmente è un capriccio assecondato da alcuni particolarmente invasati.” – aveva concluso Westley, godendosi finalmente il suo the oramai freddo, seduto nella cucina di Methos.

Il fascino innegabile della follia.” – aveva commentato il cantastorie, cupo, spingendo lontano gli appunti, disgustato.

Con Edward che lo guardava, sottecchi.

E’ vero che lei…” – si era fermato, cercando di dosare le parole. E Doyle lo aveva tolto da ogni impaccio.

 

Sì.” – aveva annuito, senza guardarlo, appoggiandosi allo schienale e tamburellando sul tavolo – “Lei è come me... era. Era come me. E come mia madre. Membro onorario del club.”

 

Ed ora è tutto l’opposto. Folle e perduta, la mente piena di ombre e immagini che non saranno mai utili a nessuno.

Doyle si era portato le mani alle tempie, ragionando.

Ed Edward non aveva detto nulla, lasciandogli il tempo di pensare. E ripensare alla sua visione.

 

Non aveva fatto altro, tutto il giorno, tra un colpo di scena a l’altro.

La visione vissuta due volte... apparentemente identica, replicata.

Per quale motivo?

Possibile che nella sua realizzazione, quel mattino, fosse sfuggito un particolare tale da rendere necessario riportarla all’attenzione?

Possibile?

I vampiri attaccavano Edward... e c’era una bambola con gli occhi vuoti.

Una bambola tatuata, aveva detto l’immortale. Ma era stata realmente tatuata, nella visione?

Perché non ne era così convinto?

 

Certo.” – Cordelia interruppe la recriminazione e lo afferrò per un braccio, strattonandolo, riportandolo alla realtà – “Doyle, abbiamo un problema.”

Uno solo?” - chiese, stupidamente, cercando di scacciare, riflessioni, ricordi e considerazioni in un colpo solo.

La DeSoto.”

Cosa?” – Doyle saltò fuori da sotto il cruscotto. Era la DeSoto dai vetri anneriti, indubbiamente quella di Spike – “Allora è qui…”

Fermo dove sei. Nessuna crociata.” – replicò lei, tenendolo saldamente e afferrando il cellulare – “Non ficcare il naso.”

Ma cosa... Principessa, se Spike è qui, io devo parlarci!”

No che non devi. Non sei nessuno dei suoi due fratelli, tieni il naso fuor da questa storia.” – lo scrollò, perché le parole gli arrivassero al cervello un po’ più velocemente – “Senza contare che qui è venuto certamente a fare un massacro. Non a unirsi ad una causa persa!”

E mi dici come farebbe a saperlo?”

Ragiona! Io sono uscita di casa che la DeSoto era in garage! E’ passato dall’Hyperion, prima che noi ci lasciassimo Wes. E là c’era…”

Faith.” – concluse il demone, per lei. E dandosi dell’emerito imbecille, per un sacco di motivi differenti. - “Se Spike è qui da solo, non voglio pensare a lei…”

Lei quella?” – domandò Cordelia, mentre la moto nera svoltava l’angolo e li affiancava.

Cordelia abbassò il finestrino e Faith alzò quasi all’unisono la visiera del casco.

Aspettiamo un invito?” – domandò, guardandoli entrambi.

 

Aveva gli occhi stellati, pieni di rabbia. La disperazione della cacciatrice brucia come un fuoco nero, si sorprese a pensare Cordelia.

Davanti al dolore attingiamo tutti dal nostro intimo…

 

Los Angeles, 2000

 

Ho finito, ora?”

No, sono finita io, pensò Cordelia, spegnendo il video registratore. E voltandosi. Dietro di lei, in piedi, appoggiato alla porta, c’era Angel.

Da quando sei lì?”

Da quando… i ratti sono bassi.” – rispose, con voce incolore, fissando lo schermo spento – “Di tre volte fa.”

Cordelia abbassò gli occhi. Era vero. L’aveva fatto di nuovo…

Vedeva e riavvolgeva. E vedeva di nuovo.

Una, due… tre…

Allora potevi venire a sederti.” – sospirò, raccogliendo alcuni fogli. Giusto, stava riordinando quando… quando la videocassetta le era capitata tra le mani. E il mondo così come girava le era sembrato di colpo incolore.

E silenzioso.

Niente porte che sbattono… niente camicie improponibili… niente occhi color del cielo.

Niente, in questo ufficio…

Cordelia, forse non dovresti continuare a vederla.” – commentò il vampiro, guardandola aprire e richiudere lo schedario – “Non cambia niente.”

Mi manca la sua voce, Angel. L’avresti mai detto? Mi manca la sua voce e le sue frasi scoordinate. Mi manca…mi manca lui…”

Anche a me.”

L’aveva detto senza muovere un muscolo. Ma era la prima volta. La prima volta che ammetteva quell’assenza. E Cordelia si era voltata, fissandolo, in attesa.

Angel, immoto e incomprensibile Angel.

Mi manca, Cordelia.” – aveva ripetuto, con un’alzata di spalle – “E’ solo che… una videocassetta è riduttiva, per uno come Doyle.”

Già. Ma è tutto ciò che resta.” – rispose, sentendo male al petto. E sedendosi, con una mano sulla guancia – “Non c’è più nient’altro.”

 

Non voleva piangere. Piangendo avrebbe reso tutto ancora più reale e incolore.

Tutto più spento e freddo.

Il mondo cala di intensità, senza di te. Non sento più… non sento più i suoni della città.

 

Non sento più nulla.

 

Stupido, stupido irlandese. Piccolo stupido uomo senza cervello.

 

Angel aveva mosso un passo verso di lei.

Ma lei era Queen C. e nulla poteva farla desistere.

Con mano pronta aveva afferrato la borsetta. E lo specchietto.

 

Guardati negli occhi.

Ricorda chi sei.

 

Ricorda Doyle e il tuo modo di chiamarti Principessa.

E non cedere. Non cedere.

 

Passato.” – aveva dichiarato, alzandosi, un’ultima ravviata ai capelli – “E’ passato. Andiamo.”

 

Aspettiamo gli altri.” – rispose Cordelia, posando comunque le dita sulla sicura della balestra che teneva tra le ginocchia. E guardando Faith dritto negli occhi – “Sono veramente troppi.”

Uno dei nostri è dentro, da solo.” – non chiamarlo per nome… o ti verrà da urlare – “Angel è bloccato, hanno attaccato Edward. Wes ha detto che cercava di raggiungerlo.”

Quindi lei è là.” – replicò Doyle, senza attendere altri particolari, fissando un punto imprecisato, tra i magazzini – “Ha atteso il tramonto, come diceva Angel.”

Lei chi? Drusilla?” – Cordelia si voltò, come se si fosse scottata – “Allora andiamo anche noi, possiamo essere più utili.”

No, Cordy.” – la Cacciatrice scosse la testa, rimettendo in moto – “A Edward baderà Angel.

Noi occupiamoci di Spike.”

 

Perché Angel ha ragione, pensò, mettendo in moto e partendo.

 

Noi siamo la sua famiglia,

Puntò verso una rampa dismessa e una vetrata annerita.

 

Se non lo aiuteremo noi… non lo fara' nessuno.

 

Oh, no, non di nuovo!” – Doyle aprì la portiera, urlando, afferrando alcune armi – “Non come stamattina, pazza furiosa!”

 

E’ mio. E me lo riprendo.

L’impatto fu indescrivibile.

I vetri si infransero. E piovvero fino in strada.

 

***

 

Dove…” – Edward setacciò con lo sguardo tutta la zona. E strinse maggiormente le due spade tra le mani. Quel contatto con la pelle delle impugnature gli sembrò rassicurante.

 

L’intuizione di prelevarle dalla panoplia di Methos è stato un vero colpo di genio.

 

Devo procurarmi anche io due lame gemelle, quando torno a casa, pensò, distraendosi con pensieri normali, come aveva sempre fatto, per combattere la tensione, o il dolore.

La mente di Edward si allontanava d una sfumatura dal presente, dandogli tempo di riflettere, di riacquistare controllo. Come l’esercitarsi a tirar di spada, come il correre in moto.

Edward abbandonava il reale, per brevi frazioni di respiro.

E acquisiva maggior consapevolezza.

Tutto intorno.” – replicò Angel, sibillino. E una freccia gli si piantò nel torace, senza smuoverlo – “Resta dove sei, Coventry.”

Abbassò gli occhi e strappò la freccia, spezzandola, a pugno chiuso.

Il sangue gocciolò lungo la camicia, mentre la ferita iniziava già a rimarginarsi.

Qualunque cosa accada.” – sussurrò, immobile come una statua – “Non toccare il mio sangue, o quello di Dru… non toccare il sangue, Edward. E fidati di me.”

Ci son costretto.” – scherzò lui, sorridendo appena. Wes, ancora sdraiato e ormai a pochi centimetri dall’impugnatura di una balestra, lo fissò.

Illuminato dai lampioni intermittenti, a fianco di Angel, gli sembrò Spike. La feroce bellezza del combattente.

Non ti distrarre, Price.” – replicò Methos, studiando la situazione – “Siamo in un guaio. Questo non è un cortile… è una sacca…”

Era vero. Li circondavano, da ogni lato. Erano sui tetti, gli stessi su cui aveva corso Angel, per raggiungerli. Ed erano in strada, alle loro spalle.

Ci mancano solo i cespugli incendiati giù dalle pendici.” – borbottò, girando gli occhi allo spazio circostante.

Hai suggerimenti?”

La fuga?”

Altri suggerimenti?” – rispose Westley, allungandosi ancora di un palmo.

Diamo loro quello che vogliono.”

“…”

Sto scherzando. Sto scherzando, Price!” – alzò gli occhi al cielo. E si piegò sui talloni per scattare – “Torno subito.”

 

Methos percorse lo spazio con una velocità che da lui non si sarebbero mai aspettati. Quel corpo magro, fatto di muscoli sottili, dunque, non era solo di bellezza.

Methos sapeva anche muoversi, e senza tenere la mani in tasca, se solo voleva.

Con una capriola fu al centro dello spazio. Le frecce, puntate verso di lui, si piantavano nella sua scia.

Dritto, fino al primo riparo.

E poi di ritorno, altrettanto inaspettato.

Ecco, tieni.” – disse, lasciando cadere frecce e armi tra lui e l’osservatore – “Dici che bastano?”

Wes era senza parole.

Ma non stavi solo pensando a un piano?” – mugugnò, tornando verso di lui.

Che vuoi che ti dica… meglio fare che pensare, ogni tanto.” – rispose, con un’alzata di spalle. E con l’aria modesta – “E poi mi spiaceva saperti sdraiato nella polvere… anche se è una legge di natura…c’è chi striscia e chi vola…”

Methos, un giorno o l’altro, io ti spaccherò i denti.”

Sorriderò innanzi ai tuoi tentativi.” – ribatté, spicciativamente, stringendo la spada nella sinistra e impugnando la balestra armata – “Adesso che sembriamo Terminator che facciamo?”

Quello che stavamo già facendo. Aspettiamo la prima mossa.”

 

Già. Aspettiamo.

 

Angel strinse gli occhi, spingendo al limite i suoi sensi. La freccia tirata era stata un avvertimento, una beffa. Ma lei… dove era lei?

La leggera folata di vento gli portò alle narici il suo profumo. E l’aroma intenso del sangue di Spike, facendolo imbestialire ancora di più. E mutare.

Non ti ho insegnato che non ci si nasconde mai?” – domandò, alzando la voce, con il tono più beffardo – “Una cosa è demandare... ma il tuo è un comportamento vigliacco.”

Nulla.

Lui è qui… io, io sono qui.” – aggiunse, spalancando le braccia – “Eppure continui a startene rintanata. Mi deludi, Dru, mi deludi veramente.”

Silenzio.

Benissimo.” – sorrise. E incrociò le braccia. Dru poteva celarsi… ma li vedeva di sicuro – “Fai come vuoi.

Rimane il fatto che chi non si presenta in campo perde. E quindi…”

Angel fece due passi indietro. Ed Edward si appoggiò contro il muro, le braccia ancora lungo i fianchi, le mani tese sulle impugnature delle spade.

E quindi lui è mio.” – rise il vampiro, voltandosi e chiudendolo in uno spazio angusto. Fissandolo, con il volto del demone, prima di abbassare la testa.

Faccio che chiederti scusa.” – mormorò Angel, comprimendolo, bloccandogli i polsi con le mani, il corpo con il suo peso. E arrivando a posargli i denti nello stesso punto violato da Spike.

Edward non si mosse. Per un attimo il cervello gli fu attraversato dal flash di William che compiva gli stessi gesti, con rabbia, con disperazione. Ed rabbrividì, in quel ricordo, senza divincolarsi.

 

C’era stato qualcosa di selvaggio e inspiegabile in quel loro abbraccio. Anche ora, con la mente tesa allo spasmo verso la realtà, Edward non poteva sottrarsi alla sensazione orribile provata.

Non la vita che scivolava lungo la gola di William. Ma la disperazione di quella morsa inesorabile con cui era stato stretto.

 

William… William non andartene…

 

Angel, di risposta, gli sembrò incredibilmente freddo... e letale. Con incredibile lucidità, comprese il bluff. E, allo stesso modo, provò ugualmente paura.

Quello era il Flagello d’Europa, narrato nei libri con orrore e rispetto allo stesso tempo. Quello era il demone che aveva incatenato William alle tenebre.

I denti di Angel gli cesellarono la pelle, affondando appena, quanto bastava da rendere credibile la messinscena, e il sangue gli inumidì la bocca, provocandogli un senso di vertigine.

Sangue di Edward, eterno, eppur così simile ancora a quello di William, così forte da fargli desiderare di non fermarsi, nel bloccargli maggiormente i polsi. Nel sentirlo irrigidirsi senza potersi difendere.

 

Potrei, ora… sarebbe la stessa inebriante scelta di un tempo…

 

E Methos prese la mira, sotto lo sguardo di Wes.

Alla schiena di Angel, dritto al punto dove il cuore batteva.

Uno… due…

 

Fermo!”

 

Wes posò la mano sulla balestra dell’uomo, spingendola verso il basso.

Tranquillo.” – sussurrò – “Ha funzionato.”

 

Non so come… ma ha funzionato.

 

Puntuale come sempre.” – sospirò Angel, le labbra ancora sul collo di Edward, mentre altre due frecce gli si infilavano nel costato. Un dolore non dissimile al sollievo di tornare ad essere se stessi.

Meno male.” – borbottò l’immortale, teso come una corda di violino – “Iniziavo ad averne abbastanza di questo rozzo rituale.”

Angel girò impercettibilmente la testa. E i due si fissarono. Poi Angel, con un sorriso arrossato dal sangue, tornò ai suoi lineamenti di sempre.

La prossima volta ti bacio.” – lo sfotté, sottovoce, prima di voltarsi.

Provaci!” – replicò, senza riuscire a frenarsi, sentendosi allo stesso tempo sollevato e furioso. E presto distratto, dalla figura esile apparsa dal nulla.

 

Eccola, dunque.

Edward aggrottò le sopracciglia e, istintivamente, si raddrizzò, avanzando verso di lei, affiancando quasi Angel.

Quella era Drusilla.

Una bambola.

Una bambola di porcellana con occhi indefinibili.

 

Drusilla gli sorrise. E si portò le dita alla bocca, con aria estatica. Aveva labbra innaturalmente rosse e, si accorse Edward, con orrore, polpastrelli dello stesso colore.

Sangue…” – sussurrò.

Ed Angel non osò ribattere. Perché quello era ben più di sangue qualsiasi. Sangue prezioso.

Sangue di Spike, inconfondibile.

Eppure lui non c’era. Angel ne era sicuro. Non lo percepiva.

Drusilla si addolcì. Si avvicinò, superando la Plymouth. E si fermò, ignorando Wes e Methos, ancora seduti a terra, impegnati a tenerla sotto mira.

Sangue tuo.” – rispose, con gentilezza – “Sangue come il tuo.”

Le pupille di Edward si dilatarono. Ed Angel gli posò una mano sul torace.

Fermo.” – disse, senza voltarsi, spingendolo appena indietro con una nocca – “Ti sta provocando.”

Lo sai che non sto mentendo.” – ridacchiò lei.

Angel…” – pronunciò Edward, guardando la creatura dagli occhi viola.

Non l’aveva detto come une preghiera. Era quasi un ordine a denti stretti.

E’ sangue di Spike.” – rispose, senza mezzi termini e senza perdersi in menzogne rassicuranti – “Troppo poco per significare qualcosa. Serve solo a provocarci entrambi.”

Allora adesso fatti dire dove ha lasciato mio fratello.” – Replicò il ragazzo, premendo contro quella mano d’acciaio – “Oppure, tra un attimo, me ne occuperò io.”

L’aveva detto fissandola dritta in faccia. E sfidandola.

Uh…” – replicò lei, sbarrando gli occhi – “Tale e quale al fratellino.”

Allora dovresti sapere che farà quello che ha detto.” – commentò Angel, movendo un passo verso di lei. E tirandole sui piedi le frecce che si era tolto di dosso – “E quindi affrettarti a rispondere.”

Drusilla aggrottò le sopracciglia. E fissò il vampiro.

Spike ha detto che tu non mi lascerai prenderlo.” – lo accusò – “Che lo vuoi per te, come hai voluto lui.”

Dru, una cosa è essere pazzi e una cosa è essere completamente stupidi.” - Angel incrociò le braccia, trattandola come una bambina – “Mi sembra evidente che non ti lascerò vampirizzare nessuno. E indipendentemente dalle illustri parentele.

Se poi vogliamo buttarla sul personale… no. Non intendo cedertelo.”

Drusilla piegò la testa, guardandolo.

E, se non ti basta, usa i sensi.” – aggiunse – “Il problema non sono io. Qualcuno lo ha reclamato prima di me.”

Stai…” – soffiava come una gatta – “ mentendo.”

Mento quanto te. Edward è territorio di Spike. E’ marchiato.” – Angel si passò un pollice sulle labbra, mimando i suoi gesti di poco prima – “Un peccato, visto il sapore… questo ragazzo è fuori dalla portata. La mia e la tua.”

 

Adesso Edward perde la pazienza.” – sussurrò Methos, prendendo bene la mira – “Non tollera essere strumentalizzato.”

Se vuole uscire incolume da questa storia dovrà rassegnarsi.” – ribatté Wes – “E’ una trafila base tra Angel e Drusilla, questa. Digli di chiedere a Faith se ha dei dubbi. E smetti di puntare a lei.”

Lei è la fonte dei nostri problemi. Miro, tiro, risolvo. Tu passi l’aspirapolvere dopo.”

No. Tu miri, tiri, risolvi se ci liberiamo dei cecchini sui tetti.” – Wes puntò un dito verso l’alto – “Sacca… cespugli incendiati… rammenti?”

Sei un guastafeste.”

Spiacente, non mi ferisci. Spike mi chiama in un altro modo. Meno gentile. Ma il senso è lo stesso. Ed ora muoviti… abbiamo da fare.”

Methos non sapeva se picchiarlo o rassegnarsi. Come sempre, quando si trattava di Westley Whydam Price e del suo incrollabile buonsenso anglosassone.

Prego… dopo di te…” – insistette l’uomo, indicandogli l’ingresso dell’edificio – “Sei tu quello volante… no?”

 

***

 

Nessuno aveva detto loro che le cacciatrici sapevano volare.

Nessuno.

Ma da una come Faith ci si poteva aspettare questo e ben altro.

La moto era passata sopra le teste dei vampiri descrivendo un arco perfetto. La Cacciatrice l’aveva cavalcata quasi fosse un drago, sollevando scintille nel riatterrare, nel tenere dritta la moto il tempo che bastava da ammutolire i presenti, umani e non.

E cadendo di fiancata, aveva semplicemente lasciato andare il manubrio, artigliandosi al primo gancio di fortuna individuato.

Doyle e Cordelia erano apparsi giusto in tempo per distrarre la folla vampirica. E per capire che erano in guai… guai grossi.

E che, loro due, erano gli unici ad esserne consapevoli.

 

Perché Faith aveva ben altro per la testa, nel cominciare a combattere.

E Spike si stava divertendo troppo, votato a farsi massacrare.

Non guardarlo.” – sussurrò Doyle, vedendo la testa bionda del vampiro.

 

Non guardarlo.

O non potrai più fare a meno di guardarlo.

 

Spike combatteva, senza mutare i lineamenti. Combatteva con tutto sé stesso, sfruttando ogni risorsa a disposizione.

Ed era bellissimo, con quelle lacrime sul viso, con quell’espressione indefinibile di dolore e rabbia. Tutto intorno, mischiata ad urla e imprecazioni, c’era la musica.

La musica di uno stereo dimenticato.

 

Spike. Spike che uccideva sulle note di un pianoforte che non si sarebbe mai fermato.

 

Anche Faith lo vide. Lo vide alzare la testa, allungare la spada e urlare. Forte, senza modulazione.

E uccidere. Uccidere.

Cenere alla cenere... Polvere alla polvere, offrendo il petto ai colpi.

 

Cordelia gli stava correndo incontro. Armava la balestra e colpiva. E quando ebbe tra le mani l’arma scarica, semplicemente se ne liberò, gettandola alle spalle. E afferrando l’ascia, adoperandola come un mulinello.

Non ne usciremo vivi, non ne usciremo vivi.” – continuava a ripetere, come un mantra. E l’idea di morire giovane, prima di diventare incredibilmente famosa, la riempiva di rabbia. E le dava una carica incontrollata – “Non ne usciremo vivi… e quando sarà finita io ucciderò Spike. Ucciderò Spike e Faith. Spike e Faith.”

 

Spike e Faith, schiena contro schiena, al centro del disastro.

In sintonia perfetta.

Amore, ciao.” – le disse il vampiro, ridendo, nel vederla apparire – “Complimenti, bell’entrata ad effetto.”

Rideva. Rideva e piangeva senza fermarsi.

Ti stavo aspettando.”

Faith lo fissò, uccidendo con lui il vampiro che li separava. Sentendosi afferrare per la vita e baciare.

Baciare con violenza, il proprio sangue dalle labbra che si laceravano.

Morsa, morsa per amore e possesso.

 

Sono tua, pensò. Sono tua qualunque cosa accada.

Anche nel morire.

 

Allora.” – urlò lui, lasciandola andare, difendendola da un nuovo attacco – “Adesso sai chi sono? Lo sai, ora?”

 

No.

Non mi importa.

Tu sei Spike.

 

E io sono Faith.

 

Si piegò, schivando un colpo. E seguendo la scia di sangue che il vampiro si lasciava dietro.

 

Doyle allo stesso modo, si stava dando da fare, senza perdere di vista Cordelia. Colpiva, mutilando, atterrando e polverizzando, creando un’apertura nella folla demoniaca.

Vampiri vestiti come lui, o avvolti in abiti retrò. Splendide donne con chignon morbidi e lunghi guanti, visi stravolti dalle cartilagini prominenti.

Oh, sì... a Edward sarebbe piaciuto. Era questa la sua idea di clan vampirico, oltremodo cinematografica e inverosimile.

 

Ed altri corpi che divenivano cenere.

 

Edward.

Fu in quell’attimo che lo vide. Lo vide di fronte a sé.

 

No. Non è Edward. E’ William. William, si ripeté, sbattendo le palpebre.

 

Ed Edward si voltò, gli occhi azzurri che si dilatavano. La mano protesa, troppo lontana dalla spada.

E Drusilla. Drusilla che, in perfetto silenzio, gli lacerava la gola.

E beveva.

 

Beveva senza che nessuno la fermasse.

 

Doyle urlò, lasciando cadere le armi, portandosi le mani ala testa.

Urlò, cadendo in ginocchio.

 

E Spike, rispondendo all’istinto di sempre, in un attimo, gli fu a fianco.

 

***

 

Drusilla aveva un viso triangolare, sotto una grande massa di boccoli scuri, lunghi e pesanti, appena scomposti dalla leggera brezza della notte.

I suoi occhi, ora visibili, apparivano viola, del blu delle genziane.

E, cosa terrificante per Edward, quando rideva, assomigliava a Carrol. Non era nel colore degli occhi, o nei capelli, la somiglianza. Era qualcosa nella bocca, nel modo di sorridere, di muoversi.

Drusilla rendeva quei gesti insopportabili, inquietanti. Ora, innanzi a lui, farneticando in maniera quasi incomprensibile.

Ma la sensazione di vedere Carrol restava. Restava.

 

Chissà se William se ne è reso conto…

 

Chissà se sono io, che non distinguo più il passato dal presente…

 

Provenza, 1852

 

Carrol aveva urlato di riprenderle il cappello.

William non se l’era fatto ripetere. Ed era saltato giù dal ponticello, dritto nel torrente.

Senza restare in piedi. Riuscendo a cadere, probabilmente, nell’unica depressione profonda più di mezzo metro.

La ragazza, si era dovuta sedere, tenendosi il fianco per il gran ridere, dimenticando il cappello, perso per una folata di vento.

Edward aveva infangato gli stivali di cuoio da cavallerizzo e, ridendo senza controllarsi, come la ragazza, si era ripescato il fratello.

 

Edward, per favore.” – gemette William, mettendosi in piedi. L’acqua gli raggiungeva a malapena le ginocchia… ma lui era fradicio fino ai capelli, con il cappello incrinato tra le mani. Ritratto di quindicenne fradicio fino all’osso e ferito nell’orgoglio – “Non ridere…”

Non rido.” – aveva risposto, cercando di bloccare i lineamenti. Non sto ridendo, non sto ridendo – “Non sto ridendo.”

L’afferrò per un gomito, tirandolo fuori dal fiumiciattolo. E capendo troppo tardi lo sbaglio madornale.

No, no, Willie no!” – urlò, sbarrando gli occhi, mentre William inciampava.

E precipitava.

 

Gli precipitava addosso, con la fiducia inespugnabile di chi sa che sarà comunque preso al volo.

 

Adesso le risate di Carrol erano indescrivibili. E non c’era mano elegantemente sulla bocca che potesse celarle.

Edward inarcò la testa e la fissò. Bellissima, le guance troppo rosa, capovolta nella sua visuale. I capelli le ricadevano sulle spalle, dorando la giacca rossa da cavallerizza, il colletto rigido di velluto nero.

Per favore… non dire nulla.” – sospirò, sentendo l’acqua passare dai vestiti di William ai suoi – “Non dire nulla.”

 

Chi, io?” – la ragazza era rossa di labbra, gli occhi brillanti – “Io non ho visto nulla…”

 

Non ho visto nulla…

 

Carrol… morta anche lei in una vita perduta. Ed ancora così viva.

E così disperatamente distorta in quella vampira sorridente.

 

Spike non te lo ha detto?” – stava incalzando Angel, in quel presente oscuro – “Non ti ha fatto notare questo piccolo particolare?”

Lui…” - Drusilla piegò la testa. E gli occhi divennero vuoti, mentre muoveva le dita innanzi a sé – “Lui ha detto che è tuo… che mi ucciderà… che mi ucciderà…”

Angel sentì il cuore di Edward accelerare. Accelerare disordinatamente. Cosa provava? Paura per William, sollievo per quelle parole? Aveva forse la sensazione che il fratello volesse proteggerlo?

Chi poteva dire cosa significassero le parole riportate da Drusilla, con quello sguardo.

Drusilla, che ora avanzava, tendendo le braccia.

Io non gli credo.” – scosse la testa, arrivando incredibilmente vicina – “Non credo che mi farà del male. E di te, non ho paura. La tua anima... la tua anima… la tua anima ti incatena.”

Era ad un passo. Solo ad un passo.

La tua anima non mi toccherà.” – sorrise, di un sorriso folle, scotendo la testa.

 

E una freccia la colpì, penetrandole nel fianco.

Angel sobbalzò. E alzò gli occhi. In cima al tetto, con Methos a fianco, c’era Wes.

E come fossero arrivati lassù gli sembrò un mistero.

 

L’osservatore, nel frattempo, stava ricaricando l’arma.

Bel colpo, Price.” – si complimentò l’immortale, facendo dondolare la spada. Puntando la propria balestra al tetto di fronte e guardando un altro vampiro dissolversi – “Con questo dovremmo avere finito.”

Me lo auguro.” – rispose l’uomo, mirando di nuovo alla vampira. E osservando, con disappunto, il perfetto allineamento tra la testa di Angel e il cuore della vampira – “Dopo accetterei volentieri quel brandy…”

Qualcosa mi dice che non avremo tempo.” – rispose Methos, rabbuiandosi. E si voltò, correndo giù dalle scale.

 

Drusilla impazzì del tutto, sotto i loro occhi. La macchia rossa che si allargò istantaneamente sul suo vestito, la fece gridare. E scattare verso di loro, con i lineamenti già mutati.

Angel fu pronto ad afferrarla per la vita e scagliarla indietro, frapponendosi tra lei ed Edward. Dru volò scompostamente alcuni metri oltre ed il vampiro le fu subito addosso, in un furioso corpo a corpo.

La donna si divincolò, difendendosi con le unghie e con i denti. E, infine, afferrando una freccia, piantandola, con tutta la forza che aveva, nel corpo del vampiro, inchiodandogli assieme il braccio e il torace, fermandosi un soffio troppo lontano dal cuore.

Angel urlò e mutò, colpendola con violenza inaudita. E rialzandosi, barcollando. Preparandosi a colpirla nuovamente.

Le loro posizioni si invertirono, quando Drusilla lo atterrò, cavalcandolo.

E alzando il viso, colta di sorpresa, dal colpo che la prese in pieno viso, sbalzandola e facendola rotolare via. Edward lasciò cadere il tubo metallico e riafferrò la seconda lama, avanzando verso di lei.

Westley lo seguì, spasmodicamente, cercando di arrivare a prendere la mira prima che Edward raggiungesse la donna.

Ma Coventry, incredibilmente slanciato e esile, le due spade tra le mani, i capelli biondi gettati alle spalle, si moveva troppo veloce.

 

Per mio fratello.

Perché adesso voglio vedere questo tuo sangue velenoso, una volta per tutte.

 

Edward, no!” – urlò Angel, puntellandosi e cercando di rimettersi in piedi. Imprecò, sfilando la freccia e girando su se stesso, giusto in tempo per vederlo camminare, sinuoso e furibondo, verso di lei. Di lei, che si rialzava e lo attaccava, con gli occhi gialli e il viso demoniaco stravolto dalla rabbia.

 

***

 

Spike, nello stesso istante in cui vide cadere Doyle, si frappose tra lui e il primo assalitore, colpendo con la sua precisione leggendaria e dimenticando come il demone fosse un traditore spregevole.

Faith, qui!” – ruggì, facendola voltare e afferrando contemporaneamente Cordelia, per metterla al sicuro – “Mi serve una mano!”

Faith non se lo fece ripetere due volte. E, mentre lei e Cordy facevano fronte comune, Spike trascinò indietro Doyle, fuori dalla mischia.

Edward.” - disse il demone, alzando gli occhi vitrei verso di lui – “Edward, alle tue spalle.”

Cos…” – Spike lo fissò, sorpreso, prima di voltarsi. E combattere, per la sopravvivenza di entrambi.

Scivolò su un ginocchio e si protesse la testa.

Faith.” - Chiamò ancora, difendendosi con entrambe le braccia. E tornando da Doyle, non appena la vide subentrare alla lotta.

Guardami.” – ordinò, afferrandolo per le spalle – “Guardami bene. Cosa hai visto…”

Doyle scosse la testa, senza rispondergli. E Spike sentì montargli dentro qualcosa di molto simile al terrore.

Doyle!” – urlò, scrollandolo – “Devi dirmi cosa sta succedendo a Edward!”

 

1854, Kensington

 

Il maggiordomo che si era incaricato di annunciarlo camminava troppo lento. E William non aveva voglia di aspettare.

Allungò il passo, superandolo. E spalancò la porta.

Chiedo scusa.” – disse, con il suo tono più bellicoso – “Ma ho assoluta necessità di parlare con mio fratello.”

Doc, l’amico di Edward, lo fissò sorpreso.

Quello, dunque era il fratello minore di Edward. Ne aveva sentito parlare come di un topo di biblioteca… non come di un despota.

E Edward abbassò lo straccio con cui si tamponava la fronte.

Prima che cominci a urlare.” – disse, guardandolo – “Sappi che non ho fatto nulla.”

Quello lo chiami nulla?”- replicò William, puntando il dito al segno rosso, all’attaccatura dei suoi capelli – “Dimmi che è marmellata e non sangue, se hai il coraggio!”

E’ marmellata.” – rispose Doc, senza vergogna. Ed Edward lo fulminò con lo sguardo.

Se vuoi scusarci…

Ma certo.” – rispose allegramente Methos, obbligandolo a ri-piazzare la mano e lo straccio sul taglio – “Ma tieni premuto. E sappi che poi voglio darci un punto.”

Sì, dopo.”

Edward alzò gli occhi verso William, mentre il suo amico batteva alla ritirata.

Non mi sono fatto nulla.” – ripeté.

 

Suo fratello, per una volta tanto, non sembrava né remissivo né conciliante. Era appoggiato alla libreria. E a braccia conserte.

 

Adesso pensi di uccidermi, senza testimoni?” – domandò ancora, guardandolo da sotto lo straccio e il braccio alzato – “Non credi che dovrei almeno spiegare cosa è successo?”

Potresti.” – rispose William, senza muoversi – “Ma hai già detto due volte che non hai fatto nulla. Un nulla talmente insignificante che adesso quel Doc ti ricucirà la testa.”

Edward sospirò. Era una di quelle volte. Una di quelle rarissime volte in cui William prendeva in mano la situazione. E diventava il fratello maggiore.

Mi dici a cosa stavi pensando?” – esordì, lasciando che si avverassero le previsioni di Edward – “Non mi hai detto dove stavi andando, che intenzioni avevi e, sul più bello del mio romanzo, vengo informato che hai avuto un piccolo e irrilevante incidente. E mi sento ripetere quanto è piccolo questo suddetto incidente tante volte quante bastano da convincermi che sei già pure passato a miglior vita!”

Addirittura…”

Addirittura, Edward!” – scattò – “Scavezzacollo senza cervello!”

Ecco.

Adesso si era accorto della sua veemenza.

E si stava dominando.

Con profonda vergogna.

Edward abbassò lo straccio, con un sospiro. E lo piegò, cercando di ignorare tutte le macchie rosse che vi aveva lasciato.

Hai ragione.” - Rispose, senza guardarlo – “Sono senza cervello.”

Non… non sempre.”- replicò, impacciato, pulendosi gli occhiali.

Ma spesso.” – alzò gli occhi verso di lui – “E’ più forte di me. Mi piace rischiare, come ora. Ho ventun anni e tutta la vita per diventare ansioso e noioso. Oggi mi andava di saltare un muro troppo alto. E l’ho fatto… purtroppo senza prendere bene le distanze.

Mi spiace. Non volevo ti preoccupassi.”

Purtroppo mi sono preoccupato.” – replicò suo fratello, buttandosi a peso morto nell’altra poltrona – “Ma non è grave, è che… dannazione, Edward, ma che ti costa saltare solo quando ci sono io nei paraggi a raccoglierti?”

Edward lo fissò sorpreso. E gli sorrise, addolcendosi.

Vieni qui.” – replicò, battendo una mano sul bracciolo. E, una volta seduto, aggiunse, fissandolo dritto in faccia – “Non posso prometterti che ci sarai ogni volta che cercherò di rompermi l’osso del collo. Ma ti garantisco che non mi metterò più nella condizione interrompere in questa maniera le tue importanti letture.”

William lo fissò senza parole. Con la testa sanguinante, un livido enorme in fronte e un’escoriazione spropositata sulla mano sinistra, Edward aveva ancora lo spirito necessario per prenderlo in giro.

E per ridere, in quel suo modo assolutamente contagioso, di occhi e bocca.

Stupido.” – mormorò, ridacchiando rassegnato e assestandogli una spinta, mentre fingeva di ripararsi con entrambe le braccia – “Sei proprio matto, Edward.”

 

Il demone alzò gli occhi verso di lui. Vedendolo, finalmente.

C’era Spike, Spike che lo sosteneva, pieno di preoccupazione. Una visione quasi in grado di provocargli un sollievo senza definizioni.

Spike, devi… Drusilla.” – disse, con voce roca – “Edward… e Drusilla.”

 

E Spike lo lasciò andare, pronto a scattare in piedi.

Dove.”

Non… non lo so…”

Spike strinse la mascella. E gli occhi divennero di pietra.

Allora scoprilo.” – mormorò, tornando a combattere.

 

Scoprilo.

 

E in fretta.

 

***

 

Drusilla si proiettò in avanti, la bocca già aperta, pronta a ferire.

Edward, pronto a un attacco del genere, non se lo fece ripetere due volte, centrandole il viso con l’impugnatura dell’arma. Obbligandola ad arretrare, in piedi, ma barcollante, le mani sulla bocca violata.

Non ci riprovare.” – disse, tendendo la spada innanzi – “Ne ho abbastanza di questa storia dei morsi.”

Respingendola. Un’altra volta.

Ho detto cuccia!” – insistette, facendola cadere. E arrivando, questa volta, ad appoggiare la lama alla gola – “Non obbligarmi a…”

Drusilla non gli lasciò finire la frase. E le sue parole si persero in un gorgoglio quando una delle due lame le penetrò lo stomaco, inchiodandola a terra.

Ti avevo avvertita.” – sibilò, affondando, con tutto il suo peso nel corpo della donna, fin nella terra che si andava arrossando sotto di lei – “Ed ora dimmi dove hai lasciato William.”

Non posso.” – rise lei, inarcandosi lungo l’acciaio con suono indescrivibile – “Spike non vuole... Spike non vuole che te lo dica.”

Me lo dirai comunque.” – un altro giro alla lama. Un altro gorgoglio – “E anche in fretta. Per cortesia.”

Era bellissimo. Drusilla gli sorrise, al di là di ogni dolore. Era una bellezza paralizzante.

Quasi quanto il suo principe.

Rifulgente….” – tese una mano, cercando di carezzarlo – “Rifulgente, come diceva lui... voleva la luce, e la luce non c’era più, non c’era più…”

Smettila.” – i topazi azzurri con cui guardava il mondo si strinsero. E lui si piegò verso di lei, la mano ancora crudelmente sull’elsa dell’arma – “Finiscila con i tuoi giochetti.”

La luce... quanto dolore in lui. Ma io l’ho trovato, l’ho salvato, salvato.” – cantilenò. E le sue dita risalirono la spada cercando la mano dell’uomo – “Tu esiti, esiti perché lo sai. Io gli ho dato la vita che tu gli avevi tolto.

Traditore.

Traditore!”

 

Edward si raddrizzò, rischiando di lasciar cadere l’arma.

Sbattendo le palpebre, cercando di trattenere la furia che gli stava montando nell’anima.

E la disperazione.

 

Hai preso la sua forza.” – urlava Drusilla, cercando di rialzarsi, dibattendosi lungo l’acciaio – “Tu, tu gli hai insanguinato le mani senza rimorsi, prima di abbandonarlo. Tu, con il tuo corpo che sapeva di morte, che imputridiva innanzi a lui.

Tu, che lo hai condannato e sei fuggito.

Mostro, sei un mostro quanto me. Sei un mostro, un abominio, traditore del suo stesso fratello, assassino.

Assassino fra gli assassini.”

 

Piegò la testa e rise, mentre il sangue cominciava a uscirle dalla bocca.

 

Ed Edward, incapace di controllare la sua rabbia, fece uno sbaglio madornale.

Sfilò la spada da quel corpo. E alzò la destra, la seconda lama, ruotando il busto e preparandosi a decapitarla.

 

Drusilla scattò verso di lui, inaspettata, ancora troppo viva. In piedi, fronteggiandolo per un millesimo di secondo. E Methos placcò Edward con una presa perfetta, per la vita, passando quasi tra loro mentre Angel gli arrivava alle spalle, rallentato dalla ferita. Lo slancio di Drusilla, mancando l’immortale, lo centrò in pieno petto, facendolo arretrare.

Alzò il paletto, pronto a colpire.

Ma Drusilla lo morse alla gola, penetrando la trachea e stringendo, facendogli esplodere il dolore dritto nel cervello. E distaccandosi da lui, colpita da Wes alle spalle, correndo, quasi calpestandolo quando cadde.

In preda al terrore.

Ferita. E ormai sola.

Per fuggire, fuggire nella notte.

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Capitolo 22
*** Atto II - Bad Day (2) ***


 

 

 

[VI]

 

I vampiri incalzavano.

Da tutti i fronti, chiudendoli in un angolo.

 

La sola idea di poter abbandonare Doyle, Cordelia e Faith per correre dietro qualche nuova chimera venne rapidamente abbandonata. E Spike si ritrovò a combattere per la loro vita come per la sua.

Con la stessa concentrazione, l’assoluto assorbimento che non lascia spazio a null’altro.

Un colpo dietro l’altro.

Con le armi, con le mani, semplicemente con tutto il corpo.

 

Senza fermarsi.

 

E senza riuscire a trovare una via d’uscita alla situazione.

 

Siete stati dei geni, a infilarvi in questo posto.” – urlò, frapponendosi per l’ennesima volta, tra i non morti e Cordelia Chase.

E solo per seguire te e lei.” – fu la risposta implacabile della ragazza. Ormai impugnava l’ascia con entrambe le mani, cercando di non lasciarsela sfuggire. Stanca, ormai ad un passo dall’essere solo un automa da guerra, menava fendenti alla cieca, a rischio e pericolo anche dei suoi compagni di lotta – “Doyle, per favore, smettila!”

 

Doyle non la ascoltò. Non era mai stato tipo da accettare un ordine. E ora meno che mai, impegnato a picchiare, con il suo lato demoniaco a vista e le mani strette intorno a due coltellacci.

Tu cosa faresti al mio posto!” – rispose, secco, di rimando – “Te ne staresti in un angolo a guardare?”

Forse lo farei, mi avessero appena trivellato il cervello!”

Dobbiamo andarcene di qui. C’è da raggiungere Angel, potrebbe servirgli una mano.”

Potrebbe o può?” – sbraitò Faith. Si teneva un fianco, con una smorfia – “Cerca di scoprire questa sottile differenza un po’ in fretta.”

Stai troppo con Wes, Cacciatrice. Accontentati della soffiata!” – replicò. E Spike si interpose tra loro.

Cambiamo registro!” – comandò, mutando i lineamenti – “E leviamoci da qui!”

Senza attendere risposta, si avventò contro il primo malcapitato, lacerandogli la gola con i denti e dissetandosi del sangue di un suo simile, prima di spezzargli il collo.

E dopo il primo, ne afferrò un secondo, senza riuscire a trattenersi, senza dimostrare alcuna misericordia.

 

Il liquido lo inebriò, probabilmente arricchito di una qualche droga.

La testa gli girava, mentre i suoni continuavano ad amplificarsi.

Forse, avesse potuto respirare, Spike si sarebbe sentito soffocare, nel continuare il massacro, investito dall’aroma del sangue e dall’odore del terrore.

 

Voltandosi, a metà di quel banchetto, cercando Faith con gli occhi.

Andatevene.” – ordinò – “Raggiungete Angel.”

Faith esitò. E abbassò l’arma che aveva in pugno, guardandolo.

E Spike mutò i lineamenti, tornando a quella bellezza sua tipica, fatta di ossa sottili e zigomi troppo scavati.

Bello ed esasperato, come la prima volta che si erano visti.

Vai, Faith.” – ripeté, gli occhi azzurri pieni di emozioni – “Vi raggiungerò, te lo prometto.”

 

Te lo prometto.

 

La Cacciatrice annuì, riprendendo a menar fendenti e proseguendo verso l’uscita improvvisata, con Doyle a fianco, un Doyle abbastanza esasperato da mostrare il suo lato demoniaco e a tenere per un braccio Cordelia.

Quando emersero nella via, correndo a perdifiato, li seguirono in pochi. E Faith, operando da retrovia, se ne occupò nel migliore dei modi.

Andate.” - disse, raggiungendoli alla macchina – “Io torno dentro.”

Faith.”

Non me ne vado, Cordelia!” – replicò Faith, zittendola. Voltandosi cosi in fretta che i capelli si mossero, di vita propria – “Lo sai benissimo.”

 

Sì. Cordelia abbassò l’arma. Lo sapeva.

Lo sapeva benissimo che Faith non l’avrebbe mai lasciato solo.

Stai attenta.”

Come sempre.” – sorrise la Cacciatrice. E accettò una seconda lama da Doyle.

Meglio abbondare, non credi?” – commentò lui, senza aggiungere null’altro, affidandosi solo al potere dei suoi occhi.

 

Faith non rispose.

 

Semplicemente corse, lungo la direzione da cui erano venuti, incontro al suo destino.

 

***

 

Faith non credeva nell’amore narrato dagli uomini.

 

L’amore non era mai veramente esistito, nella sua vita.

Non fino a Spike, per lo meno.

Spike era stato il segno nella sua esistenza.

Amore.

Ma amore secondo regole mai scritte.

 

Spike aveva riabilitato quel sentimento che le si agitava nell’anima.

Quel sentimento che non aveva un vero nome, mischiato a una negatività che non sapeva spiegare. Era il buio, l’ansia delle corse nell’oscurità.

Era il cuore che batte senza ordine nel silenzio.

Era una forza che poteva ogni cosa, poteva distruggere e portare verso la luce accecante.

 

Sì. Era stato Spike a chiamarlo amore, per la prima volta.

 

E Faith aveva sentito di avere finalmente un posto.

Un posto nel grande schema delle cose.

Tutto era divenuto di colpo più lineare, incredibilmente afferrabile.

Faith era la Cacciatrice. Come Buffy prima di lei, e più ancora, la predestinazione si mischiava con l’amore per il proprio nemico.

E diveniva completezza, nel convergere degli opposti.

La Cacciatrice con l’oscurità nel cuore, il pezzo mancante di un vampiro con l’anima.

 

Quella notte, correndo per raggiungerlo, incerta sul loro futuro, Faith ebbe un’altra di queste sue inspiegabili intuizioni. Sarebbe venuto un giorno in cui nulla di tutto questo lottare avrebbe più contato.

Un giorno privo di battaglie, un giorno senza il peso del mondo sulle spalle.

In quel giorno, apparentemente così lontano, Faith avrebbe continuato comunque a correre. E lei e Spike sarebbero comunque stati insieme.

 

Quando irruppe nuovamente nel magazzino, lo trovò vuoto.

La battaglia si era spostata oltre, verso spazi più angusti, lungo i corridoi oscuri tra un capannone e l’altro.

Spike, probabilmente, cercava zone più idonee alla battaglia, più controllabili, trascinandosi dietro i suoi nemici.

Faith percorse lo spazio aperto, seguendo i suoni attutiti dei corpi contro il metallo, della lama contro la lama. Saltò giù da un dislivello, atterrando in una strada deserta, grigia e uniforme.

Il rumore dell’acqua in caduta attutiva gli altri suoni facendo rimbombare solo i passi.

E Faith corse, le due spade sguainate in pugno, il corpo proiettato già verso la lotta. Alcun vampiri della retroguardia improvvisata le vennero incontro, senza riuscire propriamente a fermarla, rallentandola di qualche centesimo di secondo.

 

Fu la freccia, trapassandola, a porre un freno alla sua corsa.

 

***

 

Cordelia inchiodò. E Doyle puntò entrambe le mani contro al cruscotto, per salvarsi la faccia.

Prima di voltarsi e valutare l’ostacolo a centro strada.

La Plymouth di Angel era piazzata di traverso e ne stavano saltando giù sia Wes che il vampiro.

Ed Edward, con quello stile di guida su cui si sarebbe potuto discutere ad oltranza, stava facendo slalom tra le due macchine.

Ed era, quel che si suol dire, un uomo alterato.

Doyle aprì la portiera e saltò giù, andando incontro a Angel.

Uomo, non sono mai stato così contento di vederti!” – esclamò. Angel era contuso, arrabbiato e sporco. Ma aveva la testa sul collo, proprio come Edward Coventry, il quale stava parcheggiando la moto con abbastanza foga da piegare e far stridere i cavalletti.

Non dirlo così in fretta.” – ribatté Angel, secco, massaggiando la spalla sinistra con una mano arrossata di sangue – “Sono qui per comportarmi male. Lui dov’è!”

Nei magazzini. Si sta tirando dietro gli ultimi. Faith lo sta raggiungendo, noi venivamo a cercare voi.”

Angel si voltò, fissandolo.

 

C’era un solo motivo per cui Doyle avrebbe lasciato un amico in pericolo.

Un pericolo maggiore per un altro amico.

 

Edward li raggiunse correndo, gli occhi azzurri spiritati.

Allora? Ci perdiamo in chiacchiere?” – domandò, irrompendo nella conversazione quasi fisicamente.

Che fosse furibondo, lo si poteva intuire già solo dai capelli. Non era più un’aureola bionda. Era una criniera leonina.

Taci Coventry.” – Angel gli scoccò un’occhiata incendiaria – “Doyle, cosa hai visto?”

Lui.” – Doyle puntò un dito verso Edward – “Morsicato, massacrato, molto morto. Successo qualcosa di simile?”

Assolutamente no.” – replicò l’interessato, facendo girare l’impugnatura della spada nella mano in cerca di un bilanciamento migliore – “Possiamo andare adesso?”

Allora o l’hai evitato, o succederà.” – concluse il demone, aprendo il bagagliaio e recuperandosi una balestra – “Muoviamoci… non c’è motivo per lasciare quei due soli ancora a lungo.”

 

***

 

Il sangue defluì rapidamente, dando a Faith l’impressione di scivolare via proprio corpo, insieme al calore. Istintivamente si coprì la ferita con le dita, respirando in maniera affrettata, sorprendendosi a pensare a Buffy, a quel coltello che le penetrava l’addome quasi a tradimento, gelandola.

Ad anni di distanza, dopo centinaia di ferite, la sensazione si ripresentava uguale, spaventandola. Il senso ineluttabile di dover morire, contro la propria volontà. La sensazione di non potersi arrendere, di dover combattere sino alla fine e forse ancora oltre.

Si raddrizzò a malapena, atterrando il primo vampiro che osò avvicinarsi, senza riuscire a ucciderlo. E dando quindi un margine d’azione e speranza ai pochi altri che lo seguivano.

Sbatté le palpebre ripetutamente, strisciando contro il muro, per mettersi in piedi, impugnando strettamente l’arma.

Non se ne attiverà una nuova, stanotte, sussurrò, cercando di concentrarsi. Nessuna nuova Cacciatrice.

 

Ho ancora troppo per cui vivere.

 

Per combattere.

 

E Spike mi aspetta, in fondo a questo corridoio.

 

Menò un fendente, cercando di essere precisa, non solo disperata. Barcollò, ma ebbe l’impressione di poter controllare la debolezza. E colpì di nuovo.

Piegò un ginocchio, poi si tuffò in avanti.

E un altro vampiro cadde.

Seguito da un secondo.

 

Sì, poteva farcela.

 

Il terzo fu più rapido nell’assestare un colpo, mancandola per pura sfortuna.

Il sangue di Faith sembrava mandarli su di giri, renderli euforici. Per quanto si difendesse, per loro era già morta, già buona solo per gli sciacalli.

 

Noi siamo mille… la Cacciatrice è una sola… abbiamo tutto il tempo del mondo…

 

Oh, Spike... portate questa consapevolezza dentro ogni cellula, vero?

Ve ne convincete, al momento della vostra rinascita, nell’istante in cui sentite parlare della Cacciatrice per la prima volta.

 

Ma una cacciatrice che ha qualcosa per cui lottare non può morire. Tu lo sai… ma loro no.

 

Loro no, ripeté, affondando l’arma fino al polso nel torace del suo avversario, imbrattandosi di cenere.

 

Sentendosi cadere. Svanire.

 

E finendo dritta tra le braccia di Angel.

 

Spike, rantolò la ragazza, Spike è poco oltre.

Ci penserà lui.” Rispose il vampiro, sbrigativamente, voltandosi a fissare il giovane immortale che gli aveva corso a fianco per quell’interminabile tratto.

Edward rallentò appena, uccidendo l’ultimo degli attaccanti. Il suo braccio si stese, in un arco perfetto che, agli occhi appannati della ragazza, lo fece sembrare un paladino.

Un brivido la scosse ancora, in quella visione. E le sembrò di poter vedere la furia dell’uccisore delle cacciatrici sui suoi lineamenti.

 

Coventry… L’arte guerriera vi scorre nel sangue…

 

Il sangue di Faith sgorgò rosso e cupo, tra le dita di Angel, macchiandolo.

Vai.” – ordinò Angel, guardandolo, un lampo di durezza onice negli occhi. Faith svanì contro il suo petto, tra le sue braccia – “Mi occupo io di lei.”

Pensa a lui.

Sei qui per questo.

Edward annuì. Faith, dalle braccia intrecciate di Angel protese le dita, indicandogli la via.

Là.” – sussurrò, pallida come un cencio – “Corri.”

 

Edward non se lo fece ripetere. Tese le dita, le sfiorò la mano resa appiccicosa dal sangue.

Poi si voltò.

E riprese la sua corsa, allungando le falcate, sentendo il cuore battergli disordinatamente.

 

Poco oltre, i suoni di battaglia si fecero più intensi, scomposti ed armonici allo stesso tempo. E, svoltando un ultimo angolo, Edward si parò innanzi a una visione di terrificante bellezza.

 

Spike combatteva, elettrico nell’oscurità. Lo spazio circostante era vasto, battuto da un leggero vento che apriva la cenere ad ampi ventagli intorno ai sopravvissuti. In mezzo a loro, incolume e furioso, Spike non smetteva di colpire, atterrare e infliggere dolore con i soli sensi demoniaci. Combatteva a mani nude, senza arretrare, senza cedere.

 

Era William. E non lo era più.

 

Edward si fermò, la fitta al petto di nuovo viva e bruciante, la lama abbassata, quasi a riposo.

William ruotò su se stesso, svelando il volto della caccia, uccidendo con un’elegante rotazione.

 

E fissandolo dritto in viso.

Occhi negli occhi.

Occhi che tornarono azzurri per la sorpresa.

 

La battaglia rallentò. E divenne macchia soffusa.

Entrambi immobili, in un respiro che nessuno dei due si concesse.

Di nuovo insieme, a meno di dieci passi uno dall’altro.

 

Il tempo scomparve. E furono solo loro, insieme, come erano sempre stati.

Da vivi, da morti, nel passato e nel presente, nei reciproci sogni e incubi.

 

Poi il nulla svanì. E fu dolore.

Nuovamente dolore.

E battaglia.

Cercando di ignorare il proprio torace e la gola bruciante per un morso ormai fantasma, Edward si lanciò, nell’attimo stesso che un colpo ben assestato allo sterno fece imprecare Spike.

Con pochi passi gli fu addosso. Pronto a spedirlo con una spallata fuori dalla mischia, a prendersi pure la sua parte di antagonisti, facendolo infuriare maggiormente.

Spike si rialzò, con lentezza, la mano premuta al fianco. C’era Edward, che combatteva, adesso, nel posto che fino ad un attimo prima era stato suo.

E combatteva senza smettere di guardarlo, di voltarsi, fendente dopo fendente, per saperlo al sicuro.

Con i gesti dolorosamente identici a quelli di un tempo, la stessa sollecitudine, la stessa discreta attenzione.

 

Le ginocchia gli avevano ceduto, era caduto rovinosamente a terra. Ed Edward, con la preoccupazione dipinta sui lineamenti, si era mosso, continuando a combattere, a contrapporsi tra lui e il pericolo.

Finiscila!” – urlò Spike, rialzandosi e uccidendo uno dei demoni, spezzandogli il collo senza esitazioni – “So badare a me stesso.”

Allora fallo!” – replicò Edward, deciso come una frustata, mentre gli aprivano uno squarcio su un braccio – “Non restare impalato!”

Non sapeva perché aveva osato parlargli in quel modo. Forse era stata l’agitazione di sentirlo così vicino, l’atroce sensazione del bagno di sangue che si consumava intorno a loro, ad entrambi.

Ritrovarsi, duecento anni dopo ogni sogno e ogni aspirazione condivisa con la consapevolezza di aver visto svanire tutto, il desiderio di William di studiare, di conoscere, la passione di Edward per quel mondo che amava e che voleva mantenere tale.

Tutto scomparso, William il poeta, Edward il sognatore.

Su quel campo di battaglia, tra la cenere e il sangue, i loro cuori battevano ancora, vicini, oltre il tempo, oltre il cambiamento. Ma erano il cuore di un immortale e di un vampiro.

Ed Edward, con il sangue martellante alle tempie e nel petto, non poteva che domandarsi cosa restasse realmente di loro.

Oh, certo!” – esplose il vampiro, posandogli una mano sulla testa e spingendolo verso il basso per salvare quel suo prezioso cervello in tumulto – “Me la cavavo benissimo anche senza di te!”

E quella frase gli fece quasi nuovamente piegare le ginocchia. Assestò un colpo deciso a un malcapitato, cercando di mantenersi coerente e lasciò andare il fratello, tornando al proprio cinquanta per cento di massacro.

Edward… Edward così vicino da poter essere sfiorato, toccato, afferrato.

Edward, così vicino da avere calore, profumo, sentimenti tangibili e potenti.

Edward, a cui aveva mentito per la prima volta in vita sua.

 

Me la cavavo benissimo senza di te.

Cazzate.

Tutte cazzate.

Come si poteva vivere senza un fratello di quel genere? Solo dannandosi, ecco come.

Solo dannandosi.

Senza luce.

 

Londra, 1857

 

Aveva rotto una vetrata. Aveva inferto il primo colpo quasi senza rendersene conto. E i successivi, sulla cornice, sui vetri, non avevano lenito il dolore.

Aveva lanciato tutto il contenuto del capanno, preso a calci le paratie, fatto quasi imbizzarrire i cavalli rinchiusi nell’altra ala della scuderia.

Poi tutto aveva cessato di avere un senso. Ed era svanito anche il poco di consapevolezza che restava.

Per ore, forse.

E quando si era risvegliato, le mani sanguinanti e intorpidite, era buio. E il profumo del fieno lo aveva investito, mischiato a quello dei gelsomini.

 

Nessuno era venuto a cercarlo.

 

Meglio così.

 

William si era alzato, zoppicando, ed era uscito. Aveva camminato con lentezza, fino a raggiungere la panchina in pietra. E si era seduto, fissandosi i piedi.

E il nulla gli si era aperto innanzi, come una voragine.

Edward era svanito.

Non restava nulla di lui.

Nulla, se non il ricordo di una promessa impalpabile.

 

Torno, torno presto.

 

Nulla. Il nulla inconcepibile della casualità, della presenza che muta in assenza, del tutto che diventa il vuoto.

Su una terra fatta di bellezza e poesia, di eterne lotte e inconsapevoli scelte. Su di una terra piena di vita, era scesa la notte.

 

Edward non c’era più.

Edward se ne era andato.

 

E William, nel ripeterlo ancora una volta, sottovoce, comprese. Comprese che mai nessuna vetrata rotta e nessuna parete presa a calci avrebbero cambiato la realtà dei fatti.

 

Era solo.

E non avrebbe mai più saputo cosa significava essere protetto.

 

Il pugno lo colse il pieno viso, facendolo quasi girare su se stesso.

I lineamenti mutarono prima che potesse fermarli e gli diedero nuove risorse, da demone.

Afferrò il suo aggressore e gli spezzò il collo, senza pensare troppo. Il sangue lo colpì, a schizzi, facendolo andare su di giri.

Ne afferrò un altro. E uno ancora.

Dimenticò tutto, divenne battaglia stessa.

Ed Edward gli fu subito a fianco.

 

Si aprivano un varco, senza smettere di uccidere, si lasciavano alle spalle una perfetta scia di sangue in cui tutto svaniva in nubi di polvere. Spike sorrise, di derisione, per se stesso e per quella situazione.

Occupati di quelli.” – urlò, alzando un braccio e indicandone alcuni, più defilati.

Con piacere.” – rispose Edward, deviando e falciando con le due lame – “Tu prendi l’altro fronte.”

Si parlavano. E non se ne rendevano realmente conto.

Spike aveva il volto della caccia in vista, Edward sembrava non averlo notato. Per lui era solo William. Un William adulto e deciso che sapeva cosa stava facendo.

Privo delle esitazioni e della timidezza della sua adolescenza.

 

Avevi vent’anni… ti ho perso prima di vederti divenire uomo…

 

 

Non potrò mai cambiare tutto questo.

 

Gli occhi gli si riempirono di lacrime, il respiro si fece pesante. Mosse la spada quasi alla cieca, cercando di snebbiarsi, incontrando la consistenza indescrivibile della carne, lacerandola.

E uno dei vampiri gli arrivò abbastanza vicino da colpirlo in pieno, ad atterrarlo.

 

Edward!”

 

L’urlo rimbombò per le gallerie, per i depositi deserti, giungendo fino ad Angel e Doyle, facendoli voltare. Ed era un urlo furioso e inorridito.

 

Edward allungò le lame di fronte a sé, trapassando il suo aggressore. Spike lo aveva già afferrato. Levandoglielo di dosso e finendolo.

Stai bene?” – domandò, mutando i lineamenti e tendendogli istintivamente una mano.

Tutto a posto. Ma è ora che leviamo da qui, che ne dici?” – rispose, afferrandogli le dita e sentendosi strattonare con decisione. Senza osare guardarlo – “Non stiamo risolvendo niente al momento.”

Inizi a sentirti carne da macello?” – ribatté, con prontezza, sorridendogli beffardo, mentre si rimetteva in piedi.

E rendendosi conto, in quell’istante, mentre gli occhi di Edward si posavano su di lui, che lo stava apostrofando come faceva con Angel, come si fa con una persona di cui ti fidi e a cui ti affideresti.

 

Come Angel.

 

Ma che non era Angel.

 

E che quello era Edward, era veramente Edward.

 

Lo contemplò, stordito, come se una impossibile verità gli fosse appena passata per la testa e penetrata nell’anima.

 

Edward.

Edward vivo.

 

E al suo fianco nella battaglia.

 

William!” – Edward gli teneva ancora le dita. E lo stava tirando verso di sé – “Attento.”

Lo aveva tolto dalla traiettoria, colpendo con decisione un demone alla bocca, con un pugno ben dato. E Spike, raddrizzandosi e fuoriuscendo quasi da sotto quel braccio protettivo, lo fissò con occhi sorpresi.

Bel colpo.” – si complimentò, senza riuscire a trattenersi, rapito dall’espressione determinata e dall’assenza di indecisione. Cogliendolo di sprovvista, per un solo istante.

Edward piegò la testa. E gli sorrise. Gli sorrise, osservando i suoi lineamenti fini, il sangue e i lividi che a malapena li nascondevano.

Grazie.” - rispose, con quella luce che Spike aveva lasciato in una sua vita passata – “Anche tu non te la cavi male.”

 

***

 

La battaglia si protrasse ancora, per un tempo indefinibile. E i ragazzi Coventry la vinsero, dimentichi di loro stessi, per l’istinto di sopravvivenza e il senso di giustizia che da sempre, volenti o nolenti, seguivano.

Combatterono, senza arretrare, portando i loro nemici su terreni più consoni allo scontro, dritti in trappole decise istintivamente, fino a ritrovarsi soli.

E nuovamente in compagnia dei loro fantasmi.

 

Il vento portò via le nubi e i resti della loro personale guerra, sorprendendoli insieme, sotto un cielo pieno di stelle, consci del fatto di essere ancora vivi. E incredibilmente soli, a nudo, con i loro rimorsi e i loro rancori.

Edward fece ruotare l’impugnatura della spada nella mano e si voltò, sorridente.

Ed il sorriso si spense nella consapevolezza.

 

Spike era in piedi, di fronte a lui, le mani lungo i fianchi, le armi a terra.

Lo sguardo di condanna fisso, assolutamente privo di una forma di lettura.

Nulla traspariva, dal suo restare fermo, elegante, dritto e composto, freddo e spietato nell’assoluta immobilità.

Bello e letale, come un predatore, delineato da muscoli sviluppati e sottili, da un look moderno e deciso, dalle tinte scure.

Il sangue gli macchiava i capelli eccessivamente biondi e gli marcava una tempia, segnando la linea della guancia e della mascella con una traccia carminia. Un grosso livido andava svanendo sotto i suoi occhi. Lungo un braccio, un lungo taglio si stava rimarginando con la stessa rassicurante lentezza.

Come stavano facendo i tagli di Edward.

Abbassò gli occhi, sorpreso, fissandosi il dorso di una mano, guardando la nocca tornare a rivestirsi di pelle, richiudersi su se stessa. E li rialzò, tornando a lui.

A suo fratello, che voltava le spalle e si incamminava.

 

E sentì la rabbia salirgli, nitida e sbagliata, dal centro del petto, mentre piantava a terra entrambe le spade e moveva un passo.

 

Finisce così, dunque?” – sferzò, nell’aria tersa della notte, obbligandolo, istintivamente, a fermarsi – “Te ne vai?”

 

Un sorriso cinico e crudele illuminò il viso di Spike.

Quello sei tu, Edward.” – rispose, voltando giusto la testa, una breve rotazione per donargli uno sguardo carico di disprezzo – “Sei tu quello che fugge, a quanto ne so.

Questa è la mia città

La città mia e di Angel.

Vattene.”

La morsa allo stomaco si fece ghiaccio. Ma Spike non si fermò. Deliberatamente, voltandosi e tornando verso di lui, continuò a parlare.

Non mi serve il tuo aiuto. E non mi interessa chi tu sia, ora. Stammi alla larga.

E se ora io vado in quella direzione” – aggiunse, indicando con un dito un passaggio coperto – “tu vai in quella opposta.”

Edward strinse le labbra, gli occhi gli divennero grigi. Come quando doveva combattere, come quando, in piena giovinezza, era costretto a imporsi su elementi non abbastanza educati da saper tacere a proposito.

Non avrei mai voluto lasciarti.” – disse, dopo un attimo interminabile.

Tutto comincia da questa verità.

Non ho mai voluto.

Non ho mai voluto lasciarti.

Sei mio fratello.

E il mio migliore amico.

Lo hai fatto.” – ribatté Spike, quasi serenamente – “E senza troppo rimorso. Non una… due volte.”

Alzò la mano, il segno della vittoria.

Due, Coventry.” – sputò, fissandolo. Denigrandolo nel rifiutare di chiamarlo per nome – “Interessante casualità, se già la prima volta è stato così doloroso…”

Edward non gli rispose.

Non provò a farlo ragionare, a parlargli.

Ricambiò semplicemente l’occhiata, lasciando trasparire a malapena il malessere che provava.

 

Ma Spike poteva sentirlo ugualmente. E non poteva ignorarlo.

Il cuore era forsennato, come il respiro che stava trattenendo a forza.

Era ferito, sporco del suo sangue e di quello demoniaco dei loro avversari. Eppure era ancora della bellezza di sempre, quella quasi disturbante per cui era divenuto leggenda nella sua generazione.

La bellezza pura della coerenza, interiore ed esteriore.

Era ancora Edward.

E faceva male fargli del male.

Lo sai benissimo che non è stato facile.” – replicò, quasi sottovoce, guardandolo – “Non sono mai stato pronto a lasciarti…”

Non si riferiva più all’inganno. Ma a ben altro, con quegli occhi, con quel cuore irregolare.

E Spike ebbe paura.

Una paura forsennata e irrazionale che credeva di non poter più provare. E si rivide.

Rivide se stesso, ed Edward.

 

E, senza riuscire a frenarsi, arretrò di un passo.

 

Kensington, 1857

 

Edward si alzò di scatto, tossendo, accasciandosi su se stesso. E il rumore di passi non si fece attendere.

Due mani lo afferrarono e lo fecero sedere, la schiena contro un torace magro e forte.

Due mani gli piegarono la testa indietro, fermandolo, tirandogli i capelli e sembrandogli comunque rassicuranti.

Calmati, sono io.” – sussurrò William, nell’orecchio. Una voce bassa e adulta, incredibilmente rassicurante.

Lo so.” – ansimò Edward, sbattendo le palpebre, allungando una mano indietro per afferrargli la nuca – “Tranquillo, non è nulla. Abbiamo passato di peggio.”

Sicuro?” – domandò William, afferrando la brocca sul tavolino, con il braccio libero e versando una generosa dose d’acqua nel bicchiere e sul ripiano.

Non tremare, dannazione.

Non tremare.

Lo sono.” –annuì, senza smettere di stringergli il collo tra le dita – “E’ stato un incubo.”

 

Rifiutò il bicchiere con un cenno e represse una nuova ondata di nausea.

Un incubo.

Un incubo da cui aveva temuto di non svegliarsi. Un incubo in cui William rantolava e non riusciva a respirare.

Ed Edward non poteva raggiungerlo. Gli tendeva le mani, invano. Urlava il suo nome.

E William moriva, nello spegnersi di un ultimo respiro, lasciandolo solo.

Oh, William.” – mormorò, sentendosi scuotere da un sussulto – “Oh, Willie…”

 

William si tese, quando la mano di Edward lo abbandonò e il suo corpo si protese in avanti, i gomiti sulle ginocchia, la testa tra le mani, lunghe dita sottili impigliate nei capelli biondo oro.

Oh, William…”

Lo ripeteva, senza smettere di piangere.

 

Edward piangeva.

Senza frenarsi, la sua schiena scossa da quel dolore che non riusciva a controllare, per quei colpi involontari di tosse, per quelle lacrime inattese.

Per la prima volta, in quei mesi di silenzio, di fitte traditrici che gli stravolgevano i lineamenti. Mesi trascorsi, con la rapidità ossessiva dei valzer di Chopin, dopo infinite sfide con la propria morte, resistendo strenuamente… Edward piangeva, per il dolore antico di chi sa di dover partire e mai più tornare.

Di chi sa cosa si lascia alle spalle.

 

Non posso perderti…” – sussurrò Edward, la testa alta, le mani strette in un unico pugno, contro le labbra. E gli occhi ancora pieni di lacrime – “non posso… non ne ho la forza…

 

Non posso lasciarti, William. ”

 

Non voglio morire.

 

Non voglio.

 

William rimase fermo, lontano meno di un respiro eppure con l’atroce consapevolezza del muro che ormai le separava.

Non potrò seguirti…solo ora lo so. Non potrò seguirti dove stai per andare.

 

Istintivamente si protese, lo abbracciò stretto. Chiuse gli occhi, cercò di dominarsi.

 

Veglierò io, se tu stanotte vorrai riposare.

Ti proteggerò io, come tu proteggi me.

 

Non voglio perderti nemmeno io…

 

Non succederà.” – rispose, imponendo alla voce di non tremare, stringendolo forte – “Tu non puoi perdermi… non me ne andrò mai…”

non andrò mai via…

e resterò, sotto questo cielo, in questo silenzio.

 

E avrò la tua morte, per compagna, fino alla fine dei miei giorni.

 

Non ho mai voluto perderti…” – sussurrò ancora l’immortale, fissandolo, con infinita pena – “avrei dato di tutto per restare con te. E tutto per saperti libero.

E non potevo avere entrambe le cose.

Ho scelto la tua libertà, William.

 

Non puoi condannarmi per questa mia decisione.

 

Sapevi che non ne avrei mai compiuta altra. ”

 

Gli occhi di Spike si riempirono di lacrime. E divennero cristallini.

Strinse i denti, quasi mostrandoli, nell’alzare il pugno e colpirlo.

Il dolore si propagò dallo zigomo, fino al centro del cervello, facendolo volare a terra, con i palmi dolorosamente a contatto con il cemento.

Tossì, senza riuscire a trattenersi, la schiena inarcata per alzarsi, anche se a fatica.

Il mio amore per te è immutato.” – replicò, cocciuto, in risposta a quel colpo, raddrizzandosi – “Lo stesso di allora.”

Cazzate.” – ringhiò il vampiro, cercando di non perdere del tutto il controllo, per non ucciderlo – “Tu ami solo te stesso, Edward. E la tua idea di perfezione. Solo scelte nobili, grandi decisioni, destini inevitabili. Tu ami solo te stesso e l’idea che hai di te, come il peggiore degli egoisti.”

 

Gli era arrivato vicino, passando dal sibilo alle urla.

Ed è per questo che te ne sei andato… era più adatto alla parte, non credi? Immortale e libero dal tempo, perché intristire gli altri con l’evidenza della morte inevitabile!” – denunciò, con un’atroce verosimiglianza con la realtà dei fatti, facendo rabbrividire Edward – “Perché è questo che hai pensato, vero?”

Un altro pugno.

Ma Edward, questa volta, riuscì a restare in piedi.

E prepararsi a parare un terzo colpo che non si sarebbe fatto attendere.

Sì, è questo.” – rispose, l’espressione seria e decisa – “Ero immortale. Non potevo restare, anche se avevo la certezza che avresti compreso questa mia natura.

Non me ne sono andato perché ti ritenevo uno stupido, William.

O perché non volevo che tu lo sapessi.

Me ne sono andato perché avevi una vita da vivere. E io non avrei più potuto farne parte.”

Con prontezza gli afferrò la mano, bloccandola nella sua traiettoria. E strinse, fissandolo dritto in viso.

Puoi colpirmi fino ad ammazzarmi, se ti fa piacere.” – soffiò, accendendosi di una durezza inusuale – “Ma ti ricordo che per un lavoro ben fatto occorre una spada.”

L’aveva detto per ferirlo, per vedere una reale reazione. Perché quel vampiro che aveva di fronte, che urlava e lo aggrediva, era opaco e privo di sentimento.

Non c’era nulla in lui.

Era il vuoto pulsante di un’emozione troppo forte da esprimere e vivere.

 

La reazione di Edward lo colse di sprovvista. E lo atterrì allo stesso tempo, rallentandolo, facendogli quasi perdere il filo del discorso, la fitta trama di accuse che gli vorticava in testa.

 

Edward lo aveva appena provocato.

 

Edward era cambiato.

Era sempre stato forte e risoluto, senza prepotenza.

Ma ora, nei suoi occhi, brillava una tenacia indescrivibile, un sentimento che il tempo e l’eternità gli avevano permesso di raggiungere. Al di fuori delle regole della natura, così consapevole della precarietà, della necessità di possedere una forza tale da sopportare un’esistenza infinita.

Cambiato, maturato.

 

Come me.

 

Spike riacquistò lucidità, liberando la mano dalla sua, allontanandosi di un passo.

 

Sei furioso con me, lo so.” – aggiunse Edward, fissandolo dritto in faccia – “Ma domandati cosa vuoi, adesso. Vuoi che muoia, vuoi che me ne vada… o vuoi che resti.

Perché io resterò, lo sai. E non me andrò tanto facilmente, se non mi darai una motivazione per farlo.

Decidi, William.

Oppure ascoltami.

E perdonami.”

La voce gli si era strozzata in un singhiozzo.

Perdonami, William.” – ripete, piangendo, senza frenarsi – “Perché non credo di avere la forza di lasciarti.”

 

***

 

Adesso lacrime identiche erano nei loro occhi. E in entrambi erano dominate a stento.

 

Tu mi hai lasciato…” – la voce di Spike tremava, come la sua bocca – “Mi hai lasciato Edward, ti ho creduto morto. Mi hai mentito, hanno mentito tutti per te. Ed ora vieni a parlarmi di amore, amore immutato, del fatto che andartene ti uccide… e ti…”

La voce gli morì sulle labbra. Eppure si impose di continuare.

 

nulla è stato più lo stesso, dopo che te ne sei andato.” – aggiunse, a voce bassa, guardando lontano – “hai distrutto la nostra famiglia, Edward. Hai fatto morire dentro i nostri genitori, li hai lasciati soli e disperati.

E te ne sei andato…”

 

Non ti importava nulla di me, di loro.

Sei solo uno stupido, un egoista.

 

Sarebbe successo comunque.” – replicò Edward, con lentezza. Se solo i polmoni avessero smesso di bruciare… - “Stavo morendo, William.”

Lo so. Lo ricordo.” – fermo, le braccia lungo i fianchi. E il dolore martellante alle tempie – “Ma tu non sei morto. Lo hai fatto credere a tutti, con quella capacità di decidere sempre per gli altri…

ma dove era il meglio, Edward, in ciò che hai deciso.

Dove era il meglio nel dolore in cui ci hai lasciato…”

 

Ci hai costretti ad accettare la tua morte.

Non hai saputo dividere con noi la tua vita.

 

Si interruppe. Deglutì.

Ti rendi conto di ciò che hai fatto, almeno in minima parte?” – chiese, guardandolo con occhi incredibilmente azzurri.

 

Non era più il vampiro che diceva di essere.

Non era più Spike, il demone tormentato dall’anima o il feroce combattente.

Era di William quella voce.

E c’era di nuovo la luce, nei suoi occhi.

 

William, pensò Edward, senza osare pronunciarlo. Piegò la testa, quel tanto che bastava per scorgere il cielo sopra di loro.

Pregando, per una risposta nell’universo.

 

Ho fatto soffrire mio fratello.

E solo perché non ho mai saputo ascoltarlo veramente.

 

Io ti odio, Edward.”

 

Ecco, le parole della condanna.

 

[VII]

 

Angel portò fuori dal condotto Faith, rassicurato dal fatto che gli stesse continuando a stringere il collo con entrambe le braccia.

Una specie di frase in codice per dirgli che stava bene.

Faith aveva un cuore saldo e stabile, appena indebolito dalla perdita di sangue. E ad Angel bastò un’occhiata, per rassicurare Cordelia che correva loro incontro.

Tranquilla, la ragazza è un osso duro.” – commentò, adagiandola nell’abitacolo e scostandosi – “Ma io vorrei che tu la portassi dal nostro medico di fiducia. Io voglio tornare indietro, a occuparmi del resto.”

Vengo con te.” – commentò Doyle, sbucando da uno dei vicoli.

Dove eri andato?”

Mi piacerebbe dirti che ero a farmi una birra, ma credo di essere stato a fare a botte.” – la ferita meticolosamente suturata da Methos sanguinava di nuovo – “Credo che oggi il sangue di demone porta visioni sia molto richiesto.”

Si sporse, cercando di cogliere maggiori particolari. E Faith ne approfittò per aprire gli occhi e guardarlo.

La sua domanda inespressa gli fu chiara, nel momento in cui ricambiò l’occhiata.

Non so nulla, mi dispiace.” – replicò, serio.

Nessuna visione, nessun indizio.

 

E, in quell’attimo, risuonò l’urlo, portato dal vento.

Faith si rianimò all’istante, mentre Doyle ed Angel si fissavano, sorpresi e preoccupati.

Poi, prima che la ragazza potesse anche solo provare a scendere dalla macchina. Angel la bloccò contro il sedile.

No.” – scosse la testa – “Me ne occupo io. Cordelia, portala a casa e chiama Methos. Lui e Wes stanno battendo un paio di zone a caccia di Drusilla. Digli di lasciar perdere, i ragazzi sono entrambi qui.”

Si rimise in piedi, chiudendo lo sportello.

E io non me ne vado finché non li ho trovati.” – aggiunse.

 

***

 

Ti odio con tutto il cuore e con tutta l’anima.

Dovevi morire, dovevi veramente morire. Mi hai abbandonato, lasciato solo…

Tu sei stato la mia dannazione.

Vattene Edward. Vattene e non tornare.”

 

Quelle erano parole nate per far male. Transitavano per la gola a fatica, spezzando, distruggendo. E uccidendo.

Spike si voltò, piano, incamminandosi. Piano, perché non vedeva dove andava. Piano perché forse, forse, il cuore gli si stava spezzando.

Adesso morirò… adesso…

 

William.”

 

Non avrebbe voluto.

Ma si era comunque fermato. Perché da sempre, quando Edward parlava, William ascoltava.

 

Io non sono William.” – mormorò, stancamente, dandogli le spalle. E chiedendosi, con la stessa spossatezza, quando mai sarebbe finito quel dolore.

Illudendosi, per un attimo, di poterlo non sentire. Di non averlo sopportato, giorno dopo giorno, per più di un secolo e mezzo.

 

Edward.

Edward è il mio infinito dolore.

 

Tu sarai sempre William. E io sarò sempre Edward. Anche se siamo cambiati… tu ed io saremo sempre fratelli.” – il dolore ci distrugge, ma non ci riduce al silenzio – “Puoi odiarmi… e io mi sentirò per sempre colpevole, per ciò che ho fatto, per quello che ti è successo…”

 

Non smettere di parlare. Non smettere.

 

Ma sarò sempre tuo fratello.” – abbassò la testa e sorrise, con la disperazione negli occhi – “E l’eternità è un tempo infinitamente lungo da affrontare per pensare di non poter trovare una soluzione.”

 

Si fermò. E si sorprese ad assaporare un lungo respiro. Non ricordava di poterlo fare.

 

Per tanto.” – riprese, con lentezza – “Non ti sorprendere troppo, se adesso cercherò di fermarti e convincerti. Me ne scuso, William, dal più profondo del cuore. So che vorresti ben altro.

 

Ma io, come ti ho già detto, non me ne andrò, se non avrò una buona motivazione per farlo.”

 

La sua voce era riecheggiata tersa, ferma. Era scivolata intorno a loro, nel buio, nel silenzio interrotto solo a tratti dai clangori del porto.

Eppure nessun rumore avrebbe mai potuto coprire la volontà che trapelava da quelle parole. Spike rimase per un attimo in ascolto, la testa piegata, lo sguardo che lentamente si rialzava, verso il cielo.

 

L’incrollabile volontà di Edward Coventry.” – commentò, senza sentimento, guardando le stelle, l’espressione quasi perplessa – “Me ne ero quasi dimenticato…”

Si voltò. E le cartilagini emersero dalla pelle sottile del suo viso, rivelando il demone. E guardandolo con perfetti occhi ambra.

Peccato che io non sia più lo smidollato di un tempo. Ti avrebbe reso tutto più semplice.” – aggiunse, portando la propria natura demoniaca con orgoglio, nel rialzare la testa – “Recepito il messaggio?”

Non cerco la semplicità.” – Edward scosse la testa, incamminandosi, avvicinandosi – “Non mi è mai interessata. Mi interessi tu, non i sacrifici che devo fare.”

See, raccontatela.” – Spike il demone sorrise, piegando la testa e andandogli incontro, le mani protese, quasi beffarde – “Secondo me, invece, è un problema di vanità. Edward Coventry non fa sbagli... se ne fa, rimedia al meglio.”

Come suo fratello William, se non ricordo male.”

Ricordi male.” – era cosi vicino che avrebbe potuto urtarlo. E il suo viso era tornato umano, con occhi calcedonio – “William Coventry ha sempre fatto solo sbagli. E non ha mai avuto tempo per rimediare, visto che è morto a ventidue anni dannandosi l’anima…”

Lo disse sibilando, le labbra in un movimento liquido, gli occhi appena visibili sotto le ciglia. Lo sguardo di chi bacia, non di chi uccide.

E, a titolo di informazione…” – aggiunse, con un sorriso maligno – “A Spike il vampiro non è più interessato dare un’aggiustata al mondo. Quando esci dalla bara, la tua prospettiva si rivela subito più interessante…”

Camminò a ritroso, accennando un passo di danza nell’aprire le braccia e guardarlo.

Innanzitutto” – spiegò – “Sei morto. Non c’è più il giorno, non passa più il tempo, non devi preoccuparti di cosa penserà la gente.. e sai perché? Perché la gente è cibo. Semplice patetico cibo che cammina. I sogni e le speranze danno un ottimo sapore al sangue, lo rendono corposo. E non si è mai sazi.

 

Credimi, ne so qualcosa.

 

Non ti basta mai quello che ti offrono. Le donne per strada, i bambini nei parchi, gli uomini a caccia… ogni età ha il suo aroma.”

 

Edward non si mosse. Lo guardò, mentre assumeva un’espressione estasiata, mentre strofinava le dita tra loro con malignità inequivocabile.

Gli parlava di massacri, senza battere ciglio.

No.

Inesatto.

Non erano state morti. Era stati banchetti.

 

Vuoi sapere altro?” – insistette il vampiro – “Ho un sacco di aneddoti... piccanti… che potrebbero piacerti.”

Edward lo fissò.

Senza un’espressione.

E dopo?” – chiese.

Dopo?” – Spike strinse gli occhi - “Dopo cosa?”

Sai benissimo dopo cosa.” – lo fissò, piegando appena la testa, lo stile elegante che riservava ai salotti in cui erano cresciuti – “Dopo l’anima, William. Dopo il ritorno dell’anima. La gente, aveva ancora quel sapore?”

Il sorriso di Spike si indurì. I suoi occhi divennero pietra, nell’incontrare quelli del fratello.

Non ti riguarda. E’ affar mio.” – e di Angel. Il pensiero fu veloce. E letale.

Angel, il vampiro con l’anima. Il suo amico, il fratello del presente… il traditore.

Sbatté le palpebre, cercando di mantenere la visione a fuoco.

 

Non è veramente Edward, si ripeté. E’ un’allucinazione, solo un’illusione.

Edward è morto. Non mi avrebbe mai lasciato solo per tutto questo tempo.

Edward è come Angel…

 

Per me farebbe tutto.

 

E’ affar mio.” – ripeté – “Di nessun altro.”

 

E di Angel. Edward abbassò gli occhi, cercando di controllarsi, di non dare modo a Spike di recepire il terrore che stava provando. Lo nascose, come aveva sempre fatto, in ogni frangente, nel bene e nel male.

Lo aveva fatto perché William avesse un appiglio nella sua esistenza, in ogni istante.

Ed ora faceva male pensare di non esser stato quell’appiglio, per lungo tempo. E che, nel presente, ogni risorsa ideata per rassicurarlo serviva solo per fronteggiarlo.

E provocarlo.

Vero.” – replicò, con voce pacata, celando ogni forma di agitazione – “Tu sei un vampiro. E io un immortale. Due diverse nature, due diversi punti di vista. Ma ciò non toglie che io possa comunque capire quando mi stai prendendo in giro.”

Spike lo fissò, stringendo gli occhi.

Continui a sbattermi in faccia la tua natura, vuoi a ogni costo provocarmi ribrezzo, allontanarmi. Sei furioso con me per ciò che ho fatto... ma c’è altro.” – Edward mosse un passo verso di lui. E, per la prima volta in vita sua, lo sovrastò per dominarlo – “ Cosa allora, William, se non questa anima che ti brucia dentro, questa ferita sempre aperta di sapersi di una natura ma con ben altra vocazione.

Non è questo un vampiro con l’anima?

Non è uno scherzo della natura in cui il sentimento vince sull’istinto?”

 

Il colpo lo scagliò a terra.

 

Stordendolo e facendogli percepire con certezza il proprio passo falso.

Edward, in un attimo di incontrollata disperazione, si posò una mano sulla nuca, piegando il capo.

E un calcio lo colpì, in pieno.

 

Non è un pensiero così aulico.” - gli sussurrò ad un orecchio, afferrandogli i capelli e tirandogli indietro la testa – “Non è una cosa così elegante, non è una solo una bella ed eroica leggenda. Non credere a tutto ciò che vedi in Angel, lui è bravo quanto te ad essere stoico.

Io sono Spike il vampiro. Lo sarò sempre, anima oppure no.

E il reprimere alcune pulsioni non significa negare di averle.

O di avere ricordi splendidi della mia vita demoniaca.”

Lo lasciò andare. E si voltò.

 

E continuano a non essere affari tuoi.”

 

Tra i tuoi ricordi ci sono io.”

 

Spike si voltò. E lo guardò rialzarsi, tossendo.

Come?”

Ci tieni tanto ai tuoi ricordi… Spike.” – Edward si asciugò il sangue dalla bocca. Inspiegabile sangue sulle labbra – “Ai tuoi ricordi vampirici… e ai tuoi umani.

Lo so. Lo sento. Me l’hai insegnato tu, William.

Combattiamo con forza per ciò che amiamo... e combattiamo con ancora più forza ciò che non avremmo voluto perdere.

Ricordi... ricordi William?”

 

Veramente Edward… non ci sto pensando.”

Sul serio?” – si era appoggiato al davanzale su cui il fratello stava seduto – “Eppure non sono convinto.”

No, sul serio.” – scosse la testa, con calma – “Non intendo pensarci… o crucciarmi. Significherebbe dargli un’importanza che non merita.”

Interessante come teoria.”

Funziona.” – una lieve alzata di spalle che lo fece sembrare ancora più giovane – “Nella vita bisogna tenersi strette le cose, ad oltranza… ma solo se ne vale la pena. E quando qualcosa va storto, come ora… pensarci significa dargli importanza, rendere tutto basilare.

Ma, se una cosa è sbagliata…non è niente…”

Si interruppe, come se avesse perso il filo del discorso.

Mettiamola così, Edward.” – concluse – “Combattiamo con forza per ciò che amiamo… e combattiamo con ancora più forza ciò che non avremmo voluto perdere. Il resto non ha nessuna importanza.”

 

Mi stai attaccando perché non avresti mai voluto perdermi, perché ancora ti importa. E perché io non ho rispettato questo tuo desiderio.” – lo fissò, il petto aritmico – “Hai passato tutta la tua vita a credere che io fossi la miglior cosa che ti fosse capitata. E non hai mai capito che ero io quello fortunato, quello che aveva un fratello eccezionale e perennemente incompreso.

Incompreso, William.”

Spike restò fermo, guardandolo.

Edward che gli parlava, illuminato di quella forza interiore che aveva sempre inseguito.

Di quell’anima palpitante che aveva sempre desiderato per se stesso.

Incompreso anche da me, alla resa dei conti.” – aggiunse l’immortale, abbassando la voce – “Pensavo di conoscerti, di poter fare la cosa giusta. Avevo sconfitto la morte, non volevo che tu vivessi all’ombra di questo fatto. Non c’è mai stato merito in questo dono che ho avuto. E’ stato caso, destino, natura… non ho fatto nulla per meritarmelo.

Ma tu l’avresti comunque pensato.

Hai sempre pensato che io fossi perfetto, di non avere altro posto in cui vivere che la mia ombra…”

La tua luce.” – rispose Spike, automaticamente. Poi qualcosa gli si spezzò in petto. Urlò, con tutto il fiato che aveva nei polmoni – “Non era ombra, dannazione. Era luce, l’unica che conoscessi, quella in cui vivevo! E un giorno sei venuto a dirmi che mi avresti lasciato, che dovevo prepararmi.

L’ho fatto, Edward, mi sono preparato a restare solo perché, per la prima volta in vita tua c’era qualcosa che non sapevi… che non potevi cambiare. E ho passato tutto il tempo che abbiamo ancora avuto insieme a pregare per un miracolo.”

Restò muto, i pugni stretti. E sentendo, con chiarezza, di avere lacrime sul viso.

Il miracolo c’è stato, vero Edward? Mi sembra di essere stato esaudito…” – aggiunse, rauco – “peccato che io non l’abbia mai saputo.”

 

Non meritavo di saperlo.

 

William Coventry non ha meritato nulla nella sua vita.

 

Scattò verso di lui, atterrandolo. E colpendolo, con forza.

Tempestandogli il petto e il viso di colpi, senza fermarsi.

E senza smettere per un attimo di piangere.

 

Per te mi sarei fatto uccidere... e non mi sarebbe importato. Avrei dato la mia vita per saperti vivo!”

 

E invece l’ho ceduta perché ti sapevo morto.

Mi sono dannato per te.

 

Per te.

 

Ho rinunciato alla luce perché ti avevo perso.

 

Si fermò, il pugno ancora levato. E si alzò, lasciando Edward a terra, insanguinato. Vivo o morto, un fatto di poca importanza. Rimase a lungo a fissarlo, senza neanche tentare di pensare. Era come se tutto fosse tornato indietro, il tempo si fosse riavvolto ad un’epoca rimossa.

Davanti a lui, riverso su un fianco e immerso in un sonno profondo e privo di sogni, stava Edward. Una figura sottile e allungata, i capelli biondi e ondulati, pettinati ad arte. Il perfetto quadro di se stesso, il monumento impeccabile di una bellezza giovanile eppure non fragile ed effimera.

Edward era riemerso dalle sabbie del tempo recando con sé la promessa di un’eterna giovinezza.

E Spike si vide ad alzare la spada su di lui.

E porre fine a quella sofferenza.

 

Mosse tre passi a ritroso, stringendosi le tempie tra le mani.

La lama, in quella visione, luccicava e calava inesorabile.

Calava e uccideva.

Calava.

 

E uccideva.

 

Arrivò fino alla parete, come quella mattina posò le mani, cercando un appiglio, cercando un freddo che gli impedisse di sentire ancora la fronte e il petto bruciare in maniera così orrenda.

Alle sua spalle, Edward si mosse, stringendo i denti per non urlare, mentre gli squarci si richiudevano, sul viso, sul petto. Si voltò con lentezza, cercando un appiglio, un modo per rialzarsi, ignorando il dolore alla spalla, alle costole.

William…” – ansimò.

Non sapeva quanto tempo fosse passato, se suo fratello fosse ancora presente.

E se, ormai, non restasse altro che una sconfinata solitudine.

Ti prego…”

Cosa, Edward.” – gli rispose, senza nemmeno voltarsi. Con voce pacata, fissando la parete grigia – “Per cosa mi vuoi pregare…un’altra occasione… una fine rapida… il perdono… non so più cosa dire, a riguardo.”

 

Non so più cosa fare…

 

Vattene. Rimane il mio consiglio migliore.” – strinse la mascella, abbassò gli occhi grigi – “E’ un consiglio da amico. Nessun rancore. Vattene.”

 

Restiamo morti, per piacere.

 

Io non…”

Edward.” – Spike si raddrizzò, zittendolo – “Non continuare questo gioco. Non ho nessuna intenzione di lasciarmi convincere per sfinimento. Voglio evitare di fare qualcosa di cui potrei pentirmi. Per cui, adesso, ascoltami bene.”

Si voltò, avvicinandosi e piegandosi sui talloni, per guardarlo bene in viso.

Vuoi una motivazione per non inseguirmi più?” – chiese, con calma – “Va bene, ti accontento.

 

Io ho ammazzato Carrol.”

 

***

 

Angel si fermò un’altra volta, i sensi tesi fino allo spasmo.

Lui e Doyle erano rimasti coinvolti in una breve schermaglia da cui, comunque, si erano presto cavati d’impaccio.

Purtroppo, insieme al tempo avevano perso anche le tracce dei due fratelli.

Dove, in quel dedalo di corridoi e magazzini?

Dove?

Li senti?” – domandò, affiancando Doyle.

No.” – l’uomo si massaggiava la fronte, cercando di concentrarsi – “Vedo qualcosa.. ma è nella mia testa.

Altre visioni?”

Non del tutto. Sono frammenti di cose già viste… e che dovrebbero non essere accadute…”

Di nuovo Edward?”

E quella bambola. Angel, non capisco. E’ ciò che è successo stamattina. Eppure continua a passarmi per la testa.

E sono stufo che continuino a farmelo notare! So già che è in pericolo cronico.

Lo so benissimo… oh…”

Si coprì gli occhi con una mano e si appoggiò alla parete.

Una lama.

Spike, con gli occhi incredibilmente splendenti.

Edward a terra, un mare di sangue, i segni della lotta sul corpo.

Come non detto…” – bofonchiò – “di nuovo Coventry... ma questa volta il carnefice non è Drusilla. E’ peggio… peggio…”

 

***

 

Portogallo, 1860

 

Coventry…” – Methos puntò il dito – “Ma non ti tenta nemmeno un po’? Galeone…carrozza… galeone… carrozza….”

Smettila.” – Edward rise e buttò un’occhiata distratta al porto – “Sai benissimo le intenzioni. Fino a Parigi… poi in treno fino a Istanbul. Da lì vedremo.”

Ma… galeone?”

No, Doc. Niente America. Smettila.”

Ma…”

Io vado verso est.”

See… perché sei un seccatore.”

Lo sono.” – Edward si raddrizzò, perdendo il sorriso. Le sopracciglia bionde si aggrottarono e lui fissò gli occhi verso un gruppo di persone.

Methos si voltò, seguendo quell’occhiata.

Ma…” – disse, cercando di concentrarsi.

E’ Dave. Il fratello di Carrol.” – Edward mosse un passo a ritroso, celandosi.

L’avrebbe riconosciuto tra mille, anche in quello stato.

Quelle erano mani e lineamenti che non si scordavano.

Era un relitto d’uomo quello che veniva verso di loro. Ubriaco, l’aria incolta di chi da giorni dorme su di un pavimento.

Edward fu pronto a nascondersi. Methos non altrettanto.

E il ragazzo gli finì tra le braccia, cercando di tirarlo per terra.

Ehi… io ti conosco…” – biascicò, investendolo con una zaffata d’alcool – “sei… sei il medico…”

In persona.” – borbottò l’uomo, risentito. Lo reggeva per il torace non potendo fare altrimenti. E, con spirito umanitario, pensava solo alla sporcizia che gli si stava attaccando addosso.

Vado in america…”

Buon per te…”

Qui non ho più nulla.” – rise, senza allegria, gli occhi accesi per l’ubriachezza – “Morti tutti… perso tutto…”

Come?” – Methos lo fissò meglio. Alle sue spalle, gli sembrò quasi di sentire Edward irrigidirsi. E cercò, rapidamente nella memoria le informazioni necessarie per ottenere notizie… notizie di lei – “Ma… la tua famiglia… avevi una… due sorelle.”

Morte.” – spiegò, passandogli un dito sulla camicia e cercando di mettersi in piedi – “Tutte morte. Incidente dicono. Ma sono morte. Carrol e L… Lynette. Morte. Pazienza come.”

La pietà passò negli occhi dell’immortale.

Ecco la fine dei fiori dell’Inghilterra, non avvezzi al dolore, cresciuti nella dolcezza.

Follia.

Follia e morte.

Vado in america io, però.” – ripeté l’uomo, orgoglioso, indicando l’oceano – “Vado là. Là diventerò ricco.”

Lo spero.” – sospirò, aiutandolo a rimettersi diritto – “Buona fortuna.”

Grazie amico.” – gli stringeva la mano, riconoscente. E dio solo sa quanto ne avesse bisogno – “Grazie, amico, grazie.”

 

Si allontanò incespicando, raggiungendo un altro come lui. Un derelitto ancora vestito con eleganza ma con, sul viso, già i segni della miseria.

Quella interiore.

 

Hai sentito?” – chiese, senza voltarsi. Senza ottenere risposta.

Edward?”

Sto bene.” – gli rispose la voce. La voce attutita di un attimo di dolore.

Methos abbassò la testa, pensando se dire qualcosa oppure no. Poi tornò a fissare gli uomini, quegli uomini che ridevano sguaiatamente e sapevano comunque guardare con fiducia al loro futuro.

Sai…” – mormorò, pensoso – “Adesso l’America non mi sembra più così attraente… l’est andrà bene…”

 

Edward lo fissava. I suoi occhi erano perfettamente trasparenti.

E Spike, pregando di avere la forza d’animo che richiedevano quelle parole, ne sostenne la forza.

Non sto scherzando.” – spiegò, serio – “Mi è sembrato il caso di lasciare le cose in ordine, prima di andarmene dall’Inghilterra.

Una capatina a salutare papà, innanzitutto. Ha urlato parecchio, in effetti. Non sembrava contento di vedere un fantasma nel suo studio

Spettacolo interessante.

Nel frattempo, per la cronaca, mamma stava morendo. Manco si sarebbe accorta se ero presente oppure no. Mi risulta che non le abbiano nemmeno detto che me ne ero andato. Intanto, a casa nostra, non c’era già più distinzione tra i figli morti e quelli vivi. La malattia ha solo esasperato un po’ la situazione, ci chiamava entrambi, indipendentemente fossimo o no ai piedi del suo letto.”

Abbassò la testa, in maniera studiata.

E disegnò alcuni ghirigori nella polvere con la punta di un dito.

Poi sono andato da Cecily. Cecily Darshwood, non so se te la ricordi.” – continuò – “Mi sono divertito talmente tanto da tornare parecchie volte. Credo che alla fine si divertisse pure lei.

E, nel frattempo…”

Lo fissò. E gli sorrise.

Ed Edward si sentì morire.

Carrol.” – concluse. E si sedette a gambe incrociate – “Sai, Edward, continua a sfuggirmi qualcosa di quella ragazza. Non era la tua quasi fidanzata? Perché allora la mia foto nel cassetto? Quasi quasi mi è spiaciuto non averlo scoperto prima… d’altro canto, spero che abbia almeno goduto la nostra prima notte… a modo mio l’ho indubbiamente sposata.”

Rise, divertito. E si dondolò all’indietro, sembrandogli spiritato.

E cattivo.

Mio dio, tu non immagini quanto fosse bella! Si è fatta inseguire... e per un po’ è stato divertente... fino a quando non ha trovato Lynette in fondo alle scale ed è scivolata sul sangue. Si è messa ad urlare... e io odio le persone che urlano…”

William smettila…”

Non sono William. Il sangue, dicevo. E’ caduta. Ed io ne ho approfittato. Poi, con le gambe spezzate non ha potuto più correre. Sai cosa mi ha detto, alla fine? Che donna…” – scosse la testa, ammirato – “I purosangue azzoppati si abbattono. E’ un atto di misericordia.”

Si fermò. E si piegò verso di lui, carezzandogli il viso.

E tu lo sai, Edward.” – scandì, occhi negli occhi – “Che io so essere misericordioso.”

 

Si era alzato. Così rapido da essere appena visibile nel movimento.

 

Credo non abbia sofferto.” – aggiunse, consolatorio – “Mi sembrava morta, quando ho incendiato la villa.”

Poi alzò le spalle.

Del resto…” – gli sorrise, in maniera perfetta – “Non lo sapremo mai.”

 

Scese il silenzio.

E giunse l’immobilità.

Ogni alito di vento era cessato, ogni stella, sopra di loro, sembrava congelata e incastonata.

Era il freddo, ciò che percepivano, nel fissarsi.

 

Adesso sai chi sono.” – aggiunse il vampiro, mettendosi le mani in tasca – “E sai che ho ragione.”

 

Non volevi avessi la tua immortalità sotto agli occhi.

Ma adesso hai ben presente la mia dannazione.

 

Siamo pari.

 

E su due diverse barricate dell’eternità.

 

Oggi siamo di nuovo morti, entrambi.

 

Edward si era rialzato. E non gli parlava.

Non c’era nulla sul suo viso. Nulla.

 

Era come se il suo cuore non stesse battendo, come se non avesse bisogno di respirare.

Edward era una statua, innanzi a William.

Adesso hai la motivazione che ti serviva.” – spiegò, con pazienza. Rendendosi conto di non poter restare in silenzio un attimo di più – “Per cui puoi scegliere quale sia la cosa giusta.

Puoi vendicarla… o andartene rinnegandomi.

Non mi oppongo a nessuna scelta.”

 

E fu allora che Edward lo colpì.

Uno schiaffo, ben dato.

Uno solo, così preciso e inaspettato da troncargli le parole in gola. Spike si portò la mano al viso, istintivamente. E pensò a Wes. A Wes che lo difendeva nello stesso modo da Xander Harris.

 

"Se ti comporti da bambino, ti trattero' da bambino."

 

Poi realizzò, con atroce lentezza. Realizzò l’accaduto e alzò la testa, le spalle curve.

Edward lo aveva colpito.

Edward non lo aveva mai colpito.

Solo adesso.

Solo ora, per la prima volta.

E senza battere ciglio, senza un’emozione.

 

Qualcosa vibrò nel cuore di Spike. Qualcosa di ben diverso dal rimorso, dal rimpianto patito nella sua esistenza a partire dal giorno in cui, ormai vampiro, un’anima era tornata a battergli in petto.

No. Quello che stava provando era più semplice.

E più letale.

Era vergogna.

 

Umana vergogna.

 

Vergogna per quel dolore così deliberatamente inflitto a Edward.

 

Dolore per dolore.

Morte per morte.

 

E mai odio.

Mai odio negli occhi di suo fratello.

Nemmeno ora.

 

Solo che, ora, non poteva più sostenere quello sguardo.

Non poteva.

 

Rimase incerto, rigido sulle gambe, cercando disperatamente di fuggire, così lontano da far perdere le sue tracce. Eppure senza muoversi.

La consapevolezza gli scorse nelle vene, come gelo, snebbiandolo. Le parole dette, vere e malvagie gli balzarono alla mente, gratuite. Superflue rispetto al sentimento.

 

Rabbia per dolore.

Furia per amore.

 

Quello era Edward.

Non un incubo.

Non un fantasma.

Edward.

 

Spike lo contemplò, gli occhi incrinati, le dita ancora sulla guancia, a contatto con la pelle fredda e marmorea, a caccia di un segno bruciante che non c’era, se non nella sua mente.

 

Oh, Edward… adesso sono io a pregarti… a pregarti per una singola parola…

 

Volevo te ne andassi… ma non con questo ricordo di me.

Avrei tanto voluto essere ancora il William che cercavi, e non questo assassino.

 

Vattene… o resta… ma perdonami.

Perdonami.

 

Lentamente, senza cercarlo oltre con lo sguardo, Edward si voltò.

E si avviò, con lentezza, raccogliendo le proprie spade.

E svanendo, per una via, nel buio.

 

***

 

Camminò a lungo, a passo sostenuto, le spade strette nelle mani.

Il cuore, nel petto, sembrava essersi fermato.

Ed Edward teneva gli occhi fissi di fronte a sé, senza percepire, nel suo corpo, un singolo muscolo, un singolo respiro.

Nulla. Il suo corpo camminava, ma senza una sensazione, senza che nemmeno un passo rimbombasse.

Era il buio a circondarlo, l’unica certezza.

Solo il buio. E le spade nelle mani.

Sono un guerriero, pensò, con voce distaccata. Sono sopravvissuto a mille battaglie. Sopravvivrò a questo.

Ho perso Mayuri.

Ho perso la terra che avevo scelto per me stesso.

Ho perso la mia vita.

Ho perso le mie certezze e la mia famiglia.

Sopravvivrò a tutto questo.

E Carrol… Carrol è stata pianta, tanto tempo fa. Che… che riposi in pace.

 

Sopravvivrò.

Sopravvivrò a tutto questo.

Come sempre.

 

Senza cambiare l’andatura e senza esitazione, saltò giù da una paratia, atterrando poco lontano dalla moto. Fletté le gambe, posando una mano a terra, per bilanciarsi.

E non si rialzò. Gli occhi bassi, fissi a terra, la mente vuota.

 

Adesso hai la motivazione che ti serviva.”

 

Si raddrizzò, ricominciando a camminare. I passi allungati, l’andatura dinoccolata con cui era conosciuto.

 

Andiamo, Coventry… non puoi aspettarti che non ti conoscano. Io disapprovo, certo… sono tremila anni che insabbio le mie tracce. Ma tu… tu sei una specie di irritante cherubino biondo… è impossibile dimenticarti.”

 

Forse. Ma in questo momento vorrei solo svanire dalla faccia della terra. E non essere mai esistito.

 

Io ti odio, Edward.”

Non avrei mai voluto lasciarti.”

 

Credimi, Methos. Vorrei non essere mai esistito.

 

Le lame scivolarono nei foderi a lato del serbatoio, con lo stesso rassicurante suono di sempre. Ed Edward mise in moto, facendo scattare i cavalletti, gli occhi ancora fissi in un punto sfuocato della via.

 

Finisce cosi', dunque?Te ne vai?”

Quello sei tu, Edward. Sei tu quello che fugge, a quanto ne so.

Questa e' la mia citta'. La citta' mia e di Angel. Vattene.”

 

L’aria lo colpì in viso, fredda, nell’oscurità che precede l’alba.

Ed egli accelerò, sperando di non doversi mai più fermare.

 

[VIII]

 

La macchina di Cordelia non era ancora propriamente ferma innanzi al cancello quando Wes afferrò la maniglia e spalancò la portiera, tendendo le braccia alla sua Cacciatrice e sollevandola senza fatica.

Allunga un dito e te lo stacco.” – ringhiò, nel voltarsi, vedendo Methos raggiungerlo.

Se sai suturare dillo subito, prima che mi sporchi di sangue.” – ribattè l’immortale, scostando le bende arrossate e guardando la ferita – “Altrimenti chiudi il becco e portala dentro.”

 

Methos non amava perdersi in questioni infinite. Anzi, il più delle volte, quando la gang dell’ Hyperion inscenava grandi drammi, si preparava del caffè e leggeva il giornale aspettando l’ultimo atto. Allo stesso modo, quando si trattava di prendere in mano la situazione, semplicemente smetteva di chiedere. E comandava.

Stranamente nessuno obbiettava, quando Methos si imponeva.

Non Doyle, di certo, avvezzo al suo ignobile carattere. O Cordelia, sempre in bilico tra il nervoso e l’ammirazione per l’immortale. E nemmeno Wes, in frangenti normali.

Frangenti che non implicassero l’incolumità e la persona di Faith.

Che intenzioni hai?” – domandò dunque bellicoso, adagiando la ragazza sul divano del piano terra.

Lascialo lavorare, Wes.” – replicò Faith, pallida, tenendosi una mano sulla fronte e guardandolo – “Intanto lo sai che non ti risponde.”

Oh si che mi risponde!” – replicò l’altro, sbarrando gli occhi chiari – “Avanti, Pierson, che intenzioni hai.”

La spoglio e la sevizio.” – ribattè l’uomo, finendo di asciugarsi le mani e piegandosi sui talloni – “Ovviamente puoi guardare.”

Faith gli sorrise, sforzandosi di ignorare il dolore.

E credi di avere qualche chance, uomo pigro?” – lo punzecchiò, sentendo la sua maglietta strapparsi e il freddo sulla pelle – “Intendo difendermi…”

Non saresti tu non lo facessi.” – replicò Methos, sorridendole e finendo di mettere a nudo la spalla – “è una sciocchezza, sei solo una donna plateale. Westley, per favore, aiutami, visto che ci tieni tanto…”

L’uomo non se lo fece ripetere, sostituendolo e iniziando, con delicatezza a ripulire e disinfettare la ferita. Era precisa, un segno scuro netto da cui il sangue ormai usciva a malapena.

Hai una buona mano…” – lo incoraggiò la ragazza, respirando piano e guardandolo – “Stai tranquillo, non è nulla.. ha ragione lui…”

Lui non ha mai ragione.” – ribattè Wes, inumidendo un’altra garza, prima di sorriderle, complice – “Confessa, lo hai fatto perché sapevi che mi sarei arrabbiato perché hai fatto di testa tua. E che se torni anche solo con un graffietto io divento una mammola.”

Ti prego.. se mi fai ridere fa più male… comunque è vero, mi hai scoperta.”

Allora, ragazza.” – si intromise Methos, riapparendo con il necessario per rattopparla – “Pronta per lo show?”

 

Wes arretrò, lasciandogli spazio. Incrociò le braccia e mosse due passi indietro, restando di guardia. E sentendo la mano di Cordelia posarsi sulla spalla.

Vieni.” – sussurrò la ragazza, indicandogli la sala – “Qui non serviamo. Ho bisogno di parlarti.”

Wes la seguì senza rispondere e si sedette dandole quasi le spalle, continuando a seguire i movimenti precisi di Methos e la conversazione sommessa che i due stavano intavolando.

Faith non era tipo da abbandonarsi alle debolezze o a cedere innanzi al dolore. Restava cosciente, tenacemente aggrappata alla consapevolezza di ciò che le accadeva intorno. Scherzava, addirittura, piegando la testa verso l’interlocutore.

E Wes, a metà tra la preoccupazione e la tensione, si sentiva quasi scoppiare di orgoglio nel fissarla.

La sua Cacciatrice.. coraggiosa fino alla stupidità.

Dimmi.” – disse, riscotendosi e guardando Cordelia sedersi – “Che è successo…”

Non mi chiedere cose che non so.” – replicò lei, tirandosi indietro i capelli. Aveva vistose ecchimosi, sul collo e sulle braccia – “Abbiamo combattuto fino alla nausea.. se non era una trappola era comunque qualcosa che le assomigliava….”

Vi aspettavano?”

No, non penso. Ma è stato comunque un bagno di sangue.” – Cordelia si massaggiò gli occhi, stancamente. Il suono della voce di Faith, mischiata a quella di Methos, le sembrava rassicurante – “Angel e Doyle sono là.. stavano cercando di raggiungere quei due..”

quei due.. Wes sapeva benissimo a chi si stesse riferendo. E, per quella sua indole riservata, non si sentì in dovere di immischiarsi.

Di cosa volevi parlarmi…” – insistette, con garbo, abbassando al voce.

Di visioni.” – rispose la ragazza, in un soffio – “Credo che Doyle abbia un problema.”

 

***

 

Io non sono William.”

 

E’ vero, dunque. Io non sono più William.

Non lo sono più.

 

Piegò la testa, fissando il leggero movimento della polvere.

 

Non sono più il William di Edward.. non sono più il William di Angel…

Resta solo Spike, il vampiro. Il carnefice. E la sua anima difettosa.

Chiuse gli occhi, serrando la mascella. Strinse i pugni, sentendo le tempie quasi scoppiargli.

Non sono più nessuno… se non il demone.

Il demone.

 

Oh, Faith…deglutì, sentendo la testa divenire un dolore pulsante.

Che cosa ho fatto…

 

L’ho rivista, la mia adorata Carrol. Adorata una notte, spogliata di ogni dignità, resa folle e cieca per lenire la malinconia di Drusilla.” – aveva sussurrato, giocando con i capelli della Cacciatrice – “Ho storpiato le sue snelle gambe da cavallerizza e attinto sangue dai suoi seni. Avevo giocato con l’eccitazione di Drusilla, con i brividi che la scuotevano. Non avevo smesso di guardarla, nel possedere la mia amica di infanzia senza rimorso.”

Faith gli aveva carezzato la pelle, senza parlare.

Le gambe deformate a penzoloni dai miei fianchi. La gola ormai istericamente contratta sotto le mie dita. Morta così, mentre ancora bevevo da lei sangue ormai freddo.” – aveva immerso le labbra tra le ciocche brune, ricercandone il profumo – “Amore chiama amore, le avevo sussurrato.

E ancor oggi, mi domando a cosa mi sono riferito, nel profanare così il suo credo.”

E’ tutto cambiato, Spike.. tutto cambiato da allora. C’è l’anima…” 

Lo so. Ma a Carrol, si son susseguiti Loro.

Loro. Tutti gli altri. Ed ora li incontro, Faith. Li incontro in ogni mio incubo.”

 

Ho reso reali i miei incubi.

Oggi ho fatto divenire carne i mie peggiori terrori.

Edward, innanzi a me, con la condanna negli occhi. Edward, che si volta e si allontana.

E io resto solo, un’altra volta.

 

Fu allora che i passi di Angel, alle sue spalle, gli sembrarono gli stessi di sempre. Gli stessi, rassicuranti, eppure di un presente che non sentiva più suo.

Una mano gli si posò sulla spalla. E Spike, meccanicamente, si voltò, le mani abbandonate lungo i fianchi, seppellendo il viso nel giaccone di pelle, senza osare incontrare il suo sguardo.

 

Respirando il profumo del suo sangue.. di quello di Dru.

E di Faith.

Sangue di Faith su Angel.

 

Angel, con lentezza, impacciato, alzò un mano, posandogliela sulla nuca, voltando appena la testa verso di lui. Ma non osò parlare.

Spike aveva i vestiti che sapevano di battaglia, di fumo, di rabbia. E del sangue di Edward.

L’aveva chiamato, certo che lo sentisse. Eppure il vampiro non si era mosso, non gli aveva risposto, in nessun modo, nemmeno con l’odio, o con il rancore.

Non gli importava di essere ignorato, o che Spike provasse a cacciarlo. Non se ne sarebbe andato.

Ma mai si sarebbe aspettato una reazione del genere, nell’avvicinarsi.

Doyle, dietro di lui, non fiatò. Rimase discosto, studiando lo spazio circostante. Cercando Edward, domandandosi dove fosse, cosa fosse successo.

 

Edward era stato lì. Anche con i suoi sensi demoniaci perennemente tenuti a freno poteva comunque sentirlo. Poteva sentire l’odore del sangue, vederlo, a terra, in gocce perfette, sferiche. Poteva quasi respirare la furia che si era scatenata in quello spazio coperto.

 

Ma ora.. perchè Spike era solo?

Possibile che…

 

Spike si raddrizzò, con lentezza, allontanandosi dalla mano di Angel. Per tutto quel tempo, il tempo eterno in cui si era appoggiato a lui in cerca di un appiglio, non aveva pensato a nulla.

Nulla di veramente importante.

Ma ora.. ora doveva prepararsi ad affrontare tutto.

Il tutto.

 

Fissò il vampiro bruno, senza una vera sfida. Ma con durezza, senza sentirsi in dovere di dire nulla.

Poi, con calma, fissò Doyle, alle spalle di Angel.

 

Non credo che tu abbia bisogno di sentirtelo dire.

 

Se ne è andato, vero?” – domandò il demone, ricambiando l’occhiata.

Una voce sommessa sulle labbra. E una verità atroce nelle parole.

Spike non annuì. E nessuna emozione sembrò trasparire dai suoi lineamenti.

Doyle non era tipo da farsi intimorire. L’aveva conosciuto da demone senz’anima e, una vita dopo, l’aveva sfidato per guadagnarsi la sua fiducia. Sapeva di Spike il vampiro cose che il vampiro stesso ignorava. Sapeva che poteva essere feroce e ostinato. Appassionato e vulnerabile. E forte, forte nel sopportare il dolore come il pericolo.

Si. Spike sapeva essere molte cose.

Ma ora, nel fissarlo, ebbe solo l’impressione di vedere un infelice. Un infelice allo stato puro.

E null’altro.

Non è più un problema.” – rispose Spike, con lo stesso tono asettico.

Non è un problema per voi.

Così sarebbe dovuto essere sin dall’inizio.

 

Spike spostò la sua attenzione, da Doyle ad Angel.

Faith?” – domandò, senza una vera emozione.

E’ ferita, ma non è grave. Cordelia la stava portando a casa.”

Bene. Allora la vedrò là.” – casa… - “All’ Hyperion.”

E’ là che stai andando?” – domandò Angel, vedendolo incamminarsi.

Dove se no.” – si voltò, le mani in tasca, la testa gettata indietro per guardarlo – “Dove…”

Angel lo fissò, assorto. E Spike non si mosse. In silenzio, senza smettere di osservarsi.

E poi?” – chiese, rompendo quel gelo.

Poi me ne andrò.”

William.”

Non sono William. Non lo sarò mai più per nessuno.”

 

Il suo profilo era pallido. Una maschera di cera. I suoi occhi erano cobalto, come la notte che si erano conosciuti.

Riverso e fragile, ai suoi piedi. Eppure ancora così vivo, così caldo.

 

E così giovane.

 

Sei riuscito a perdonare me.” – disse, d’istinto, guardandolo – “Ti ho ucciso, dannato, abbandonato. Eppure hai saputo perdonarmi.

Cosa ha fatto Edward di peggio…”

Non aveva realmente osato porre quella domanda. Aveva sussurrato quella frase, sentendo la propria voce divenire più flebile, fino a morire, rispondendosi quasi da solo, con il silenzio.

 

Cosa…” – ripetè.

 

Ma Spike non disse nulla. E non si voltò indietro, allontanandosi.

 

***

 

Cosa intendi per problema?”

Sono ininterrotte, da stamattina. Continua a vedere la stessa scena, credo. Ma si tratta di un episodio già avvenuto.”

Te ne ha parlato lui?”

Siamo stati a lungo appostati.. e Doyle parla da solo quando pensa. Si, si può dire che ne abbiamo parlato.” – tagliò corto, cercando di mettere insieme le poche informazioni. Era istinto, e sull’istinto di Cordelia chase non si discuteva! – “stamattina è iniziata così. Ha avuto una visione, probabilmente su Edward, visto che si è premurato di non dire nulla a Spike.. e poi…”

E poi ha continuato a rivederla ad oltranza.” – aggiunse Methos, attraversando la sala e sparendo in cucina.

Hai già finito?” – Wes era già in piedi, pronto a inseguirlo.

E quanto credi che ci voglia a ricucire tre centimetri quadri di pelle?” – rispose, fissandolo e scotendo le mani bagnate riempiendo di schizzi l’immacolata cucina – “Fila da lei, o uomo paranoico. Ci parlo io con la ragazza.”

Cordy.” – aggiunse, visto che Wes non si fece ripetere l’invito – “Cos’altro ti ha detto?”

Nulla. Sai come è fatto.” – sospirò Cordelia, fissandolo, mentre la raggiungeva – “So della visione perché si è lasciato sfuggire qualche mezza frase di troppo. E tu?”

Si è ripetuta parecchie volte e ha a che fare con l’agguato di stamattina, a quanto sembra. Continua a rivederlo sempre uguale. Eddy lo ha confermato, c’erano dei particolari comuni.”

Gli è successo anche mentre combattevamo. Continuava a ripetere che Edward era in pericolo, che doveva stare attento, guardarsi le spalle…” – la ragazza scosse la testa, irritata – “Non capisco, non era mai successo prima. Non ha mai più volte la stessa visione…soprattutto se è qualcosa di già accaduto.”

Infatti è strano.” – Methos si era recuperato una birra. E beveva direttamente a muso – “Passi la ripetizione.. anche a sua madre succedeva e poteva anche essere un vantaggio. Ma non per il passato. Sempre per il futuro.”

Dobbiamo preoccuparci? È questo che mi stai dicendo?”

Io mi preoccupo delle sue dannate visione da quando gli ho insegnato ad andare in bicicletta.” – ribattè l’uomo, con semplicità – “L’unica cosa che posso fare è parlargli, non appena torna.

A volte chi subisce l’anomalia ha anche la risposta.”

 

***

 

Non c’è niente da dire.”

Doyle… perdona la franchezza, ma non ho tempo da perdere.” – Angel svoltò, accelerando e sapendo, allo stesso tempo, di aver perso di vista la DeSoto da almeno due isolati – “Per cui parlami della visione e finiamola, una volta per tutte.”

Allora se sai cosa vuoi sapere.” – replicò il demone, senza smettere di massaggiarsi le tempie e piegando la testa indietro per posarla contro il sedile – “Fai la domanda. Intanto sono qui… di certo non scappo…”

si morse la lingua, per quella frecciata. E respirò a fondo.

Spara, uomo. Sono disarmato.”

Continua a ripetersi, maledizione.” – Angel picchiò un palmo contro il volante – “Non puoi andare avanti in questo modo, lo sai benissimo. Ti si fotterà il cervello, una volta per tutte.”

Prospettiva confortante.” – sospirò, stringendo i denti per l’ennesima fitta – “Attualmente è solo come avere la London Simphony Orchestra tra le orecchie.. non voglio immaginare il peggio.”

Doyle…”

Smetti di ripeterlo. Tanto so che stai parlando con me. “ – respirò a fondo, fissando il cielo – “Va bene, facciamo un passo indietro.

Edward è stato aggredito stamattina. Alle spalle, mentre parlava al cellulare, da un tizio con una bambola tatuata che, attualmente, è passato a miglior vita. Edward è ancora vivo ed è passato in almeno quattro mie visioni.”

Angel frenò bruscamente, rispettando il semaforo. E il demone, per poco, non gli rise in faccia,.

Rispettoso del codice stradale anche nella più totale disperazione. Sei unico, uomo…

Ho visto lui e Spike incontrarsi. E Spike morderlo.” – enumerò – “ho visto i covi vampirici, l’attacco di Drusilla, probabilmente persino un fotogramma dello scontro che ha avuto con Spike.. e ho continuato a vedere l’aggressione di stamattina. Di continuo…”

Si interruppe. E si massaggiò la fronte.

Di continuo.” – ripetè.

 

E non ho la più pallida idea di cosa significhi…

 

Voltò la testa, guardando il vampiro.

So solo una cosa. Si sono realizzate tutte.” – concluse, con aria assorta – “ad eccezione dell’ultima che ho avuto… c’era un qualcosa di strano.”

Più delle altre?”

No. “ – scosse la testa – “Non era strana la visione… era un particolare. Era Spike, con una lama in pugno.. con Edward steso ai suoi piedi.”

Angel rabbrividì, al pensiero.

Edward steso ai piedi del fratello. Aveva già vissuto in quel quadro. E non voleva vederlo ripetersi.

Sbattè le palpebre. E. al posto di Edward, ebbe la raccapricciante certezza che, a terra, morta in un lago di sangue, ci fosse Kathie.

 

Io so cosa si prova, ad uccidere il proprio sangue… ancora adesso…

 

E’ già accaduto, Angel.”

Come?” – sobbalzò. E lo fissò in viso. Doyle, pallido, gli occhi vitrei.

Ne sono certo. Siamo stati nel posto giusto. Ma Edward è ancora vivo” – si interruppe, si inumidì le labbra – “Spike non l’ha ucciso. Chi può averlo salvato se…”

William.” – a risposta gli sfuggì dalle labbra, con certezza – “E’ stato William. Lo so, l’ho sentito.”

Scusa?” – il demone si raddrizzò – “Visioni anche tu? Concorrenza sleale, Angel!”

Sai benissimo a cosa mi sto riferendo.” – tagliò corto il vampiro – “Posso percepire William, non Spike.”

 

Non è nella demonicità la nostra telepatia. È sempre stata nell’essere ciò che siamo. Nell’anima.

 

Quello che ti sto dicendo è che non l’ha ucciso. È vero.

Continua a dirlo, a pensarlo… ma non l’ha fatto. Quando ne ha avuto l’occasione si è fermato.” – il semaforo tornò verde. E Angel infilò la marcia rischiando di distruggere il cambio – “Oggi, anche mettendomi di impegno, non sono mai riuscito a rintracciarlo. Se non in due momenti.

Due, Doyle. Gli unici due in cui non è stato predominante il demone, probabilmente.

Quando era nei sotterranei, probabilmente in pericolo. E nel momento in cui ha avuto la certezza di poter uccidere il fratello. Negli attimi in cui ha avuto paura… paura di cedere.

Hai ragione è strano. Ma non riguarda le visioni.”

Doyle rimase zitto, assimilando l’informazione. William era un eroe, facile dimenticarlo.. un eroe abbastanza forte da proteggere gli innocenti persino nell’identificarsi con il carnefice.

Spike lo ha salvato da se stesso.” – mormorò – “Concordo con te, non riguarda le visioni… ma significa che puoi ancora raggiungerlo, che non è come vuole farci credere. E che tra lui e Edward non è ancora tutto perduto.”

Lo so.” – Angel fissò la strada – “Lo sapevo già. Non mi serviva un aiuto dalle alte sfere per accorgermene.”

Lo so… è che speravo ci fosse un nesso con il mio problema.” – Doyle si strofinò la nuca, assorto, dandosi dello stupido.. e domandandosi il perché di quella sensazione – “Ma allora... perché... perché quella visione mi tormenta...”

 

***

 

Vattene. Rimane il mio consiglio migliore.

E’ un consiglio da amico. Nessun rancore. Vattene.”

 

La porta di Methos si chiuse con uno scatto pulito, rassicurante, facendolo sprofondare nella penombra dorata dell’appartamento.

Le luci della via filtravano dalle tende lasciate discoste, riflettendosi sugli acciai cromati degli arredi, del soppalco.

Rimase per un lungo istante immobile, assorto, gli occhi persi nell’ombra sul pavimento. Le fronde dell’albero, innanzi alla finestra. Poi accese la luce, cancellando quei movimenti silenziosi e quieti

Methos non c’era. Meglio.

Attraversò la sala, con calma. E si lasciò andare sul divano. Gli occhi puntati al soffitto, quella voce ancora nella mente.

Quella voce…

 

Tu sei stato la mia dannazione.Vattene Edward. Vattene e non tornare.

 

Si coprì gli occhi con entrambe le mani. E un singhiozzo, roco e represso gli distorse le labbra.

 

Mi hai abbandonato, lasciato solo…

 

Respirò a fondo, cercando di calmarsi, sedendosi, stringendo le nocche fino a farle divenire bianche.

 

Il mio amore per te e' immutato. Lo stesso di allora.

 

L’amore immutato… Che abominio... In base a cosa, William, avresti potuto credermi? E’ vero, vero tutto ciò che mi ha rinfacciato.

Ti ho tradito…abbandonato… e tutto dopo un anno di pura angoscia…

 

E un giorno sei venuto a dirmi che mi avresti lasciato, che dovevo prepararmi…

 

Avevo bisogno di te, per sopravvivere, per combattere… volevo che potessimo avere tutto, insieme, finchè ci fosse stato tempo…

Ma quanto ti ho logorato con la mia malattia… quando abbiamo superato il punto di rottura, senza nemmeno badarci…

 

Ho passato tutto il tempo che abbiamo ancora avuto insieme a pregare per un miracolo…

Un miracolo…

 

Ancora una volta torna il quesito. Ho preso la tua forza, ti ho prosciugato fino all’ultima goccia nell’attesa di una morte inevitabile.

 

Il miracolo c’e' stato, vero? Mi sembra di essere stato esaudito.

 

Peccato che io non l’abbia mai saputo.

Una morte mai avvenuta.

Peccato che io non l’abbia mai saputo.

 

Una nuova vita solo per me stesso… una vita che non ho diviso con te…

 

Mi aveva detto che mi avrebbe dato anche la sua forza… io l’ ho fatto. Ho attinto da lui ogni volta che mi mancava… e poi l’ ho lasciato. L’ ho abbandonato, Methos… l’ ho lasciato solo…”

Tossì. E si mise in piedi, con fatica, puntellando le mani alle ginocchia, sbilanciandosi quasi in avanti.

Camminò lento, fino di fronte alla finestra, le mani al vetro, la fronte.

E gli occhi di nuovo chiusi.

Ho fatto la cosa giusta.. giusta per il gioco in cui mi stavo addentrando. Giusta per un immortale. Ma sbagliata per noi.

Per te, per me… sbagliata per te, William.

 

Non dirò nulla a William…I miei sono anziani, non reggerebbero il colpo. E mio fratello… capirebbe, credimi. È in grado di accettare molto più di quanto non sembri… ma io non voglio. Ha già troppe illusione che si spezzeranno…”

 

Erano già infrante, quando pronunciai questa frase.

Solo che non volli pensarci.

Un altro singhiozzo, mani ad artiglio sul vetro freddo.

Non ho voluto…

 

Tu ami solo te stesso, Edward. E la tua idea di perfezione.

Smettila…

Solo scelte nobili, grandi decisioni, destini inevitabili.

Non sono così.. non lo sono…

Tu ami solo te stesso e l’idea che hai di te,

come il peggiore degli egoisti.

 

Non potevo accettare che mi amassi così tanto.. e ora… ora…

Respirò a fondo. E le fiamme gli passarono nel petto, come artigli. Con uno scatto si strinse tra le dita lo sterno, piantando quasi le unghie, rilassando con lentezza le dita nel cercare di controllarsi… Controllarsi ancora.

 

Tu mi hai lasciato… Mi hai lasciato Edward, ti ho creduto morto.

Mi hai mentito, hanno mentito tutti per te.

Ed ora vieni a parlarmi di amore, amore immutato, del fatto che andartene ti uccide… e ti…

 

Si asciugò gli occhi, con rabbia, sentendo male nel respirare.

Non c’era molto da aggiungere. Will.. Spike aveva dato una buona motivazione, dopotutto.

C’era Carrol, certo. Ma, sopra ogni cosa, c’era quell’odio… l’odio incontrollato con cui aveva

parlato, che non aveva celato o sminuito, quell’odio su cui Edward sarebbe passato sopra all’istante, senza fermarsi se solo...

Se solo, sopra ogni cosa, non ci fosse stata la scelta personale. E la natura.

 

E’ così che vuoi che pensi a lui? Come a un demone?

 

Inutile mentirsi.

 

William… William non esisteva più. E Spike era un vampiro, con istinti ed esigenze che un immortale non poteva comprendere. Aveva una famiglia, una missione… e aveva scelto l’ombra.

Angel.” – pronunciò, la fronte ancora contro il vetro e gli occhi fissi in strada.

 

Ha scelto Angel.

E quel nome, risuonandogli nella mente, sembrò quasi una preghiera.

 

***

 

Faith si era voluta sedere. E le preghiere di Wes riguardo il restare a riposo erano rimaste del tutto inascoltate. Pallida, nauseata e incredibilmente minuta al centro del divano, con la sue gambe incrociate e i suoi capelli sciolti sulle spalle, era rimasta testardamente sulle sue decisioni.

E ringrazia il cielo che io mi fidi di Angel.” – specificò, all’ennesimo cuscino che le veniva offerto – “Ha detto che lo troverà… e io gli credo.”

 

Gli credo.

 

Wes si sedette, con un sospiro. Aveva corso tutta la notte, in cerca di Drusilla, o di una traccia visibile del suo passaggio, senza risultato. Svanita nel nulla, dietro un angolo. Probabilmente ferita e ormai priva delle sue truppe scelte, decimate dalle ripetute scaramucce.

Ormai erano più di diciotto ore che stavano combattendo, nei rifugi, per strada, in vere e proprie sortite.

C’erano stati i molteplici attacchi a Edward, i repulisti compiuti da Angel e dalla Cacciatrice, i massacri che Spike aveva portato a termine nelle fogne, per calmarsi.

Gli informatori di Wes non facevano che parlarne. Una catastrofe sembrava essersi abbattuta sulla stirpe vampirica di LA.

L’ennesimo segno dei tempi ormai maturi, avrebbe aggiunto Doyle, con aria cupa, se interpellato.

I tempi maturi per le profezie.

Il sangue destinato a riunirsi…

Wes sospirò ancora e si portò le mani intrecciate alla bocca. Faith si tormentava i capelli, assorta, ignorando la fasciatura che le stringeva il torace, gli occhi fissi di fronte a sé. Il suo terrore all’idea di aver perso Spike emergeva, a tratti, impreciso. Ma estremamente intimo, tanto da non poterne parlare, in nessun modo.

Westley abbassò gli occhi, riflettendo. Faith e Spike… secondo Doyle tutto era più di un semplice legame.

C’era qualcosa nel loro amore che travalicava le regole umane e naturali, proiettandosi verso l’assoluto delle cose, verso gli equilibri precari tra il giorno e la notte, il bene e il male.

Nati per essere insieme…

 

LA, Due mesi prima

 

Dobbiamo parlare.”

Wes alzò gli occhi sorpreso, mentre Doyle lasciava cadere sulla scrivania un tomo in cuoio color ruggine. Dietro di lui, con una camminata quasi serafica, arrivava Methos.

Le mani in tasca, la bocca piegata in un sommesso fischiettare.

L’osservatore tese le mani verso il volume, per sollevarlo e gettargli un’occhiata.

Un’altra edizione?” – domandò – “Non ti sembra di essere un po’ paranoico?”

Vedi?” – Methos sprofondò nella poltrona, guardandosi le unghie – “Te lo sei fatto dire pure da lui.. se non è questo un segno…”

Wes, ti prego.” – Doyle lo fissò con sopportazione – “Ti ho visto quasi in preda a un’erezione davanti a scartoffie ben meno importanti di questo! E l’argomento dovrebbe starti a cuore!”

Sai benissimo che è così.” – ribattè, girando il libro e leggendo nel punto indicato – “Ma sono mesi che non fai altro che darmi il tormento con questo brano. L’abbiamo tradotto e ritradotto, allineato con tutti i calendari possibili e siamo ancora al punto di partenza.

E ti assicuro che, se ci fosse da preoccuparsi, il Consiglio sarebbe il primo a contattarci.”

Vacci piano, Price.” – brontolò l’immortale, allungando le gambe e arrivando a occupare un angolo della scrivania con i talloni – “Confidare così in quei gruppetto di vecchi ammuffiti. Non è detto che sia di loro interesse come argomento. Dopotutto sarebbero i primi a trovarsi disoccupati.”

Un motivo in più per fare chiarezza.” – Wes assesto uno spintone ai due anfibi, spedendoli a terra con un tonfo insieme al loro contenuto – “Non è detto che la Cacciatrice sia lei.”

Certo che è detto! E a lettere plateali!” – Doyle riafferrò il libro – “Parla degli eroi, dei tempi, degli eventi. E del riunirsi del sangue! Ci saranno massacri, eclissi... e infine la stirpe…”

Si, Doyle, lo so.” – Wes lo interruppe, fissandolo con irritazione – “So tutto questo. E sono stato presente a tutte le anomalie citate riguardo alle cacciatrici. E nessuna è stata l’ultima. Abbiamo avuto tre prescelte negli ultimi cinque anni. Cosa ti fa credere che l’eletta sia Faith?”

Spike.” – fu l’implacabile risposta – “E’ lui che me lo fa credere.”

Su di lei, se vuoi, dubita. Ma lui è certamente chi penso io.

Methos alzò gli occhi al soffitto, approfittando del silenzio imbarazzante calato nella stanza.

L’uccisore, William the Bloody.” – ridacchiò, quasi fosse una cosa divertente – “William Coventry, chi lo avrebbe mai detto…”

Come?”

Methos sobbalzò, rendendosi conto di aver parlato. E, soprattutto, di quello che aveva detto.

E Doyle li scoccò un’occhiata omicida, con gli occhi trasparenti.

 

Bravo, veramente bravo.

Imbecille proprio come predicava mia madre.

 

Wes, puoi non credermi.” – esclamò, cercando di distrarlo, voltandosi a fissarlo – “Ma accadrà. E sarà meglio cominciare a prepararsi all’evenienza.”

Wes annuì, levandosi gli occhiali e gettandoli sul ripiano. Prima di tornare a scoccargli un’occhiata penetrante.

Doyle,.. sai essere snervante.

E il fatto che tu continui a imbrogliarmi in questo modo mi irrita. Sappilo.

Va bene.” – disse, puntando l’indice su una riga della pagina – “Parti da qui a spiegarmelo, allora. Parlami del ritrovarsi del sangue. Tutto quello che sai.”

E Doyle, con inquietudine nello sguardo, aveva sviato la domanda.

 

Era bastato trovarsi di fronte Edward Coventry quel pomeriggio per spedire a posto tutti i pezzi dello sconclusionato puzzle che il demone predicava.

Edward Coventry.

Il riunirsi del sangue.

Di certo Wes, avesse avuto tra le mani Doyle e Methos, avrebbe usato uno per picchiare l’altro.

Avevano preteso che capisse, nascondendogli con estremo candore quell’ irrilevante particolare, immortale e biondo. Quel singolo particolare che poteva assestare una spallata a tutto il suo cinismo e lacerare il velo dei se.

I tempi forse stavano maturando… ma nulla lasciava presagire che fosse veramente giunto il momento. O che loro fossero… Wes si impose di non pensarci. Non era il problema primario nel presente.

Si interruppe. E fissò la porta.

Perché Spike, nel silenzio innaturale dell’alba, stava varcando la soglia.

 

***

 

Tu sei quel passato che Spike non può più avere, quello di cui non si sente più degno.

Tu eri una cosa troppo pulita perché il suo demone osasse anche solo rammentarti.

 

E’ davvero così Angel? Oppure è un’utopia?

 

Il suo demone, non la sua anima. Ed è stato un bene che fossi morto. Perché altrimenti ti avrebbe ammazzato, come ho fatto io con mia sorella, con tutta la mia famiglia.

Un demone distrugge il meglio dell’uomo, senza remore.

 

I purosangue azzoppati si abbattono. E’ un atto di misericordia.”

 

Carrol... Carrol, cosa è successo veramente quando me ne sono andato...

Io... non riesco a immaginarlo...

 

Ti odio con tutto il cuore e con tutta l’anima.

Dovevi morire, dovevi veramente morire.”

 

Dovevi morire, dovevi veramente morire.

 

Dovevi veramente morire.

 

Morire.

 

La parole di William gli rimbombavano in testa, senza lasciargli pace. Edward chiuse gli occhi, cercando di scacciarle. Poi, con forza di volontà, si raddrizzò, inalando un profondo respiro.

E fu in quell’attimo che accadde.

L’aria gli corse nel petto, come una fiammata, senza giungere ai polmoni. Le gambe gli cedettero, senza preavviso.

Con occhi sbarrati di terrore riconobbe quelle sensazioni. E provò il desiderio di gridare, tanto forte da far crollare il cielo.

Respirò ancora, inutilmente, posando le mani a terra. E gli parve di sentire una porta sbattere. Rantolò, senza sapere chi fosse arrivato, per cosa chiedere aiuto. Non riusciva a respirare, non c’era altro da aggiungere.

Forse, dopotutto, i desideri di William si sarebbero realizzati. Ed Edward sarebbe morto, come avrebbe dovuto allora.

Gli venne da ridere. E i polmoni sembrarono sfondarsi nuovamente. Un attimo dopo, il sapore del sangue gli inondò le labbra sorridenti.

 

***

 

In ogni giorno della mia esistenza non è mai esistita luce che valesse piu' di Edward.

 

Non sono io che non capisco. Siete voi che non mi conoscete.

 

Aveva l’impressione di avere occhi vuoti, che il ghiaccio colasse dalle sue iridi dentro la testa.

Fissò Faith, contemplò l’ampia cupola dell’Hyperion. E discese lentamente i gradini, cercando di restare diritto, saldo sulle proprie gambe.

Faith tentò di alzarsi, questa volta, per raggiungerlo. Ma Wes, prontamente, la respinse.

No, parlagli.” - mormorò, quando la sentì irrigidirsi - “Ma non ti muovere.”

 

Ha ragione.”

 

Alzarono gli occhi, entrambi troppo sorpresi per rispondergli.

E Spike camminò verso di loro. Opaco, spento.

 

Assente.

 

Ha ragione, Faith.” - ripetè, aggiungendo il suo nome, in una forma di preghiera - “Hai perso sangue…”

Si interruppe, la sensazione di poter dire sono banalità, di non poter parlare la lingua se non a fatica, con indecisione. Li fissò, entrambi, piegando appena la testa, con quel gesto lievemente interrogativo che Wes e Faith riconobbero all’istante.

 

All’improvviso Spike sembrò smarrito, stranamente indifeso. Aveva pupille dilatate in un mare di azzurro troppo terso, la bocca arcuata, quasi priva di una vera emozione.

Solo. Incredibilmente solo.

E, se Faith non poteva alzarsi, non c’era motivo per non aiutarlo.

 

Spike…” - Wes gli andò incontro, lentamente - “Vuoi sederti.. solo per un attimo…”

 

Westley Whindam Price.

Spike alzò lo sguardo verso di lui. L’osservatore aveva gli occhi come sempre pieni di preoccupazione ma privi di ombre.

Un uomo pulito, senza segreti realmente pericolosi, un uomo incapace di mentire o celare se questo si fosse rivelato scorretto.

Oh, si, pensò Spike, fissandolo.

Wes gli avrebbe parlato di Edward. Se non altro, per educazione.

 

Annuì, senza manifestare riconoscenza, senza fargli intendere di averlo riconosciuto del tutto. E si sedette sulla vecchia poltrona di velluto ormai consunta per le battaglie e le parole.

 

Quante parole… lasciò vagare lo sguardo nel grande ingresso, sostando su ogni più piccola modanatura, su ogni infinitesimale particolare. Poi la guardò.

 

Perché, dopotutto, era per lei che era tornato.

 

Te lo avevo promesso.” - disse, semplicemente. E Wes li lasciò soli, sparendo in uno dei saloni.

 

***

 

Angel aveva abbandonato Doyle sulla porta dell’Hyperion. E non si era sentito in dovere di dire o spiegare perché non aveva spento il motore e non era corso in casa.

Ma a Doyle, non dubitava, non servivano spiegazioni.

Nemmeno vedendo la DeSoto di traverso in strada, aveva ritenuto di dover abbandonare la propria decisione. Non c’era motivo per piombare su Spike, tutti assieme, con tante parole superflue quanto la comprensione che potevano esercitare nei suoi confronti.

Aveva accelerato, tagliato le curve.

Aveva corso, come un pazzo, perché la distanza già breve divenisse nulla.

Correva da Edward. Sceglieva Edward.

E mai avrebbe potuto ammettere con se stesso come tutto, tutto ciò che pensava, che desiderava, che voleva, riconducesse a William.

Il suo William. Non quello di Edward, non quello di Dru. Solo il suo. Il vampiro con l’anima, il ragazzo disperato e indifeso che era andato a prendere a Sunnydale. Perché era suo, di nessun altro. E non esisteva qualcosa che non avrebbe fatto per lui.

 

Tutto, per William. Ma non bugie, non parole senza senso.

 

E, se Spike voleva solo Edward, allora Angel lo avrebbe preso e trascinato per i capelli!

 

Frenò nel cortile e volò su dalle rampe di scale, letteralmente, una mano sulla ringhiera, le gambe tese al massimo in una falcata quasi innaturale.

Percorse il corridoio ignorando l’odore del sangue che ancora vi aleggiava. Il sangue e le lacrime con cui i ragazzi Coventry avevano salutato il loro ritrovarsi. E spalancò la porta, appoggiandosi con il proprio peso.

 

E la porta cigolò, spalancandosi, sbattendo.

 

Sangue.

L’odore lo fece quasi piegare su se stesso, sconvolgendo.

 

Sangue.

 

Sangue.

 

William. il cuore fu più pronto dell’istinto. Sangue di William!

No, impossibile.

Sangue vivo, pulsante.

Sangue…

 

Dappertutto.

Angel ne fu quasi stordito, tanto da realizzare con un attimo di ritardo la realtà della scena a cui stava assistendo. Sangue di Edward, dappertutto.

 

Ed Edward stesso, al centro di quel mare, la mano ad artiglio sul petto.

 

[IX]

 

Tu…” - Faith inspirò profondamente. E riprese - “Tu vuoi andartene…”

 

Nessuna risposta.

 

Se, dopo tutto quello che è successo…” - mormorò, ancora, chinando la testa - “Vuoi andartene... allora non sprechiamo tempo in un addio. Vattene. E basta.”

 

Basta. Basta con questa vita, basta con questo amore. Basta.

Vattene e non farti mai più vedere.

 

E non chiedermi se è questo che voglio.” - aggiunse, gli occhi arrabbiati e pieni di lacrime fissi sul pavimento - “Perché ne ho abbastanza dei giochetti di parole.”

Basta giochi.” - replicò Spike, senza sfumature - “Basta.”

Inarcò la testa, posandola contro lo schienale. E chiuse gli occhi. Non gli importò di quelle due lacrime che sentì correre sulle guance, come non gli importò di quel silenzio.

 

Faith piangeva. Immobile, senza un suono.

Piangevano entrambi, lontani, incapaci di sfiorarsi con il proprio dolore, con il proprio amore.

 

Spike…” - mormorò lei, mordendosi le labbra per non urlare - “Non ho più niente da perdere, a questo punto. E voglio dirti una cosa una sola cosa.

 

Non importa chi lo sapesse… non importa chi non abbia potuto dirtelo.

Ciò che importa, l’unica cosa… è che lui sia vivo.”

 

Spike non rispose. Ma aprì gli occhi, senza guardarla.

 

Vivo.” - ripetè Faith, alzandosi, con lentezza. Un passo dietro l’altro, per avvicinarsi - “E’ finito il tempo della nostalgia, Spike. Finito.”

 

Il tempo della nostalgia… è finito.

 

LA, Giugno 2000

 

Ti muovi?” - gridò ancora Faith, facendo rombare il motore - “Vampiro, sei diventato sordo o cosa?”

Sono diventato scrupoloso.” - fu la risposta, salendo a cavalcioni della propria motocicletta - “E sordo lo sarò presto, se non smetti di fare quello che stai facendo.”

Sei odioso.”

Vero.” - Spike abbassò gli occhi, accarezzando il serbatoio. Gli occhi cambiarono sfumatura, divenendo grigi, uniformi. E Faith immaginò che, come gli succedeva talvolta, fosse volato lontano con la mente.

Ma non resistette al desiderio di impicciarsi.

Dove sei, ora?” - lo provocò.

Perché, non mi vedi?”- fu la risposta.

Intendo con la mente.” - ribattè, con tono petulante -“Cosa stai pensando, vedendo o ricordando?”

Spike non rispose.

Sorrise solo, un po’ storto, percorrendo ancora una volta il metallo freddo con la mano.

Pensavo a quanto…” - iniziò. Poi si riscosse, con una scrollata di spalle - “Non ha importanza.”

O forse è così importante che non sono degna di sentirlo.”

 

Le era sfuggito. Con irritazione. E Spike aveva alzato la testa di scatto, guardandola, sorpreso.

E, per la prima volta, in difficoltà.

 

Faith, io non…” - si fermò. E tornò all’abituale tono strafottente - “Non dire sciocchezze! E non prenderla sul personale.”

Allora dimmela e non pensiamoci più.” - adesso non si trattava più di una questione di curiosità. Era orgoglio, considerazione. Era ora che Spike la notasse, al posto che passare tanto tempo con lei e basta!

Va bene.”

 

Come prego?

 

Cosa?”

Va bene.” - Spike annuì, guardandola, serio. - “Ti dirò cosa stavo pensando.”

Ok… Allora ti ascolto.”

Pensavo a Edward.” - replicò. Soffiato, deciso, per levarsi il pensiero - “Questo secolo gli sarebbe potuto piacere. Ha molte delle doti che mio fratello apprezzava.”

 

Adesso era il momento dell’imbarazzo. Fissandosi, in silenzio.

 

non volevo impicciarmi.” - borbottò Faith, cercando di scusarsi.

Hai fatto bene.” - rispose il vampiro, prima di sparire dentro al casco, con la solita incurante ironia - “Non mi spiace, ogni tanto, parlarne ancora. Dopotutto, era mio fratello. Avrei voluto fargli vedere la mia moto.”

 

Non era mai stata una grande oratrice. Né ora né allora. E non si illudeva che le parole adesso scaturissero come da una fonte infinita. Forse, a dirla tutta, non era nemmeno una grande pensatrice…. Ma nella sua missione non aveva poi molta importanza.

Non aveva le capacità di Wes di intuire o spiegare. E nemmeno quelle di Doyle di comprendere, di Cordelia di semplificare e con Angel… con Angel non cercava nemmeno di competere.

 

Ma era comunque Faith. Apparteneva a Spike, in tutto e per tutto. Spike le apparteneva, fino in fondo. E non gli avrebbe mai permesso di dimenticare chi fosse.. o chi fossero loro assieme.

Si fermò, salda sulle proprie gambe e con la certezza di non poter compiere ancora un passo senza crollare. e allungò una mano, afferrandogli il mento, con decisione, obbligandolo a guardarla, sentendolo docile, sotto la sua presa.

Per piacere.” - aggiunse - “non farlo per William. hai ragione quando dici che quella parte di te è morta. Ma fallo per Spike, per ciò che sei ora. Perché Spike, il vampiro che amo, ha sempre avuto un fratello di nome Edward.”

 

***

 

Gente…” - salutò Doyle, entrando in cucina dalla porta secondaria - “Come va?”

Cordelia non ebbe esitazioni. Lo lasciò sedere e lo picchiò con lo strofinaccio.

Ma che ho fatto, adesso!”

Cosa pensi di aver fatto! Ciao gente… ciao gente! Sei di ritorno da un pub, per caso?”

No. Da una festa.” - aveva occhiaie profonde e orripilanti. Tagli, abrasioni, sigaretta in bocca ed espressione da postumi. Era credibile - “E tu? Come va qui?”

Vuoi sapere di Faith?” - gelida.

No. Parla con Spike nell’ingresso. È persino in piedi.” - rispose, svagato. Niente sembrava sorprenderlo. Qualcuno gli stava porgendo un bicchiere di succo d’arancia - “Per questo sono passato da qui. Ciao, Methos… Wes…”

L’osservatore era in piedi, la testa rivolta verso il corridoio, in attesa. Ma, al saluto, si voltò e si sedette al tavolo.

Il riunirsi del sangue, vero?” - disse, grondando sarcasmo.

E Doyle, si strozzò.

Una cosa alla volta.” - commentò Methos, incrociando le braccia - “E, al momento, per quanto incredibile, dobbiamo occuparci del suo cervello prima che si frigga del tutto.”

Sto bene.”

Starai bene se noi decideremo che è così.” - rispose l’immortale, restando in piedi e camminando con calma attorno al tavolo - “ricominciamo da principio. Una visione, quella di stamattina. Quante volte si è ripetuta.”

Io non…”

Quante.”

Ho perso il conto.” - ammise, abbassando gli occhi - “Due volte, prima che si realizzasse. E due… tre, forse, dopo.”

continui a rivedere la stessa scena?”

sembrerebbe.”

Oppure…” - Wes alzò lo sguardo e fissò il demone.

oppure…” - incalzò Cordelia.

Oppure la risposta è più semplice.” - concluse Wes, riflettendo.

 

E il telefono, facendoli sobbalzare, cominciò a squillare.

 

***

 

Spike non rispose. Non con le parole.

Si alzò con lentezza e, con lo stesso ipnotico movimento, l’abbracciò. Si aggrappò a lei, con una disperazione che sapeva di poter condividere.

 

Faith non aveva avuto ruolo in quella tragedia. Eppure ne era rimasta vittima, nel cuore, nel corpo.

Senza scusanti. Eppure non aveva mai smesso di agire, senza perdere energie in una reale difesa di se stessa.

Spike non aveva auto parola nel gioco delle decisioni. Il suo cuore, spezzandosi, aveva coperto ogni altro pensiero, ogni altra possibile reazione che non fosse dolore.

E aveva distrutto tutto ciò che ancora non si era infranto.

 

Non restare spezzato, Spike…” - aggiunse Faith, aggrappata a lui, il viso sul sangue, sulle lacrime, nell’odore della pelle e della furia - “E’ ancora un passo, possiamo.. possiamo andare avanti.”

 

Si allontanò, lo afferrò, il suo viso freddo tra le mani, le lacrime rosse sulla pelle. Rosse… per sempre rosse…

 

Guarda indietro, se non mi credi… “ - sussurrò, cercando di essere forte, decisa - “Non mi è mai importato di vedere un senso negli eventi ma… dio, Spike, guardati! Guarda! Angel, Darla, Buffy, Dawn, Tara, Anya… persino Cecily, William! La tua anima… non c’è stato giorno, in questi anni, in cui tu non sia andato avanti affrontando i tuoi fantasmi, risolvendo gli irrisolti della tua esistenza.”

 

Lo scrollò, con la poca forza che ancora aveva. Lo scrollò senza ottenere una singola parola dalle sue labbra.

 

Ragiona, William! ragiona… abbiamo affrontato tutto, perché.. perché questo dovrebbe essere diverso. Perché questo.. non vuoi…”

E’… tardi.”

 

Lo aveva pronunciato sottovoce, inudibile.

Spike alzò gli occhi verso di lei. Quegli occhi che mai, mai, aveva abbassato.

E’ tardi, Faithy.” - sussurrò ancora, rauco - “Io… io ho fallito.”

 

Ho fallito. Con me stesso, con Angel, con Edward.

Ho fallito con ogni parola, con ogni gesto, ho fallito in tutto. Non ero pronto a questa battaglia, ho provato paura. Così tanta paura da non …

 

Ho parlato con Edward.” - confessò. E le spalle tremarono, sotto le mani della Cacciatrice. Tremarono - “Io… io ho… avrei potuto ucciderlo.”

Singhiozzava. Singhiozzava senza un vero controllo, stravolto.

Avrei potuto ucciderlo con un solo gesto, ero pronto a farlo.” - aggiunse, un tono sempre più profondo, urlato - “E, quando non sono stato in grado di farlo davvero, ho usato le parole, le parole, perché sapevo che, qualunque cosa avessi detto, Edward mi avrebbe creduto.”

 

Stava innanzi a me e voleva credere a tutto ciò che gli stavo dicendo.

Perché non sapeva chi fossi e si sforzava di capire.

Anche lui ha perso un fratello. E io.. io non sono William.

Sono il mostro. Il mostro di cui Will ha sempre avuto paura.

 

E se non riuscissi, Edward? Se non fossi così?”

Così? Così come…”

Così civilizzato, così calmo, così… sincero come sembro. Se io fossi… se ci fosse in me qualcosa di sbagliato di .. buio…subito sotto la superficie…”

Allora, in quel caso, dovresti fare una sola cosa…”

Una?”

Si. Limitati a ricordare che è dall’oscurità che si scorge la luce. E che nulla ti impedisce di inseguirla.”

 

Oh, Edward… ho attraversato il tempo con queste parole e questi ricordi.

Ed ora… ora, l’unica cosa che ho saputo fare… è stato trascinarti nel buio, con me.

 

***

 

Lo aveva sollevato di peso, rendendosi conto vagamente di non capire. Lo aveva gettato sul divano, ascoltando istintivamente il suo corpo.

Il cuore, il cervello… i polmoni…

Ma si, certo, i polmoni. Erano come contratti, compressi, come se qualcosa li avesse martoriati. E le mani di Edward, da sempre posate sulla ferita del dardo, si erano spostate, affondando nella carne, incidendo istericamente, scavando.

 

Dimmi cosa succede.” - Angel lo aveva scosso, gli aveva afferrato il viso, cercato disperatamente un contato visivo, consapevolezza - “Edward, parla!”

nulla. E abbastanza da fargli prendere una decisione assurda.

 

Sono io.” - disse soltanto, quando qualcuno gli rispose - “Devo parlare con Methos.”

La voce gli rispose, disturbata, irriconoscibile.

Non mi importa.” - rispose Angel. Qualunque sia la domanda, non mi importa - “Non perdere tempo, devo parlare con Methos.”

 

I miei spazi, i tuoi spazi. E io non so nulla di immortali. Sono il tuo settore, se non erro.

 

Eroe…” - mormorò d’improvviso una voce serafica, dritta nel suo timpano.

Sono a casa tua, con Edward.” - disse soltanto, allungandosi ancora verso l’immortale, quello stupido immortale pieno di poesia che non voleva più svegliarsi - “Cosa provoca emorragie in uno di voi?”

 

Methos rimase un attimo in silenzio, sbalordito.

 

Poi, sotto gli occhi di Wes, Cordy e Doyle, tornò padrone di se stesso. Strinse le palpebre, si irrigidì e sembrò che la sua pressione avesse un’escalation.

Non ne ho la minima idea.” - ringhiò, arrancando tra le proprie infinite nozioni - “Ma trattandosi di lui, potrebbe essere una qualsiasi follia… sei certo che non abbia.. sei sicuro che…”

 

La rosa di opzioni che stava per ventilare, uno più folle dell’altra, conobbe un azzeramento.

 

Edward non ha fatto nulla.

Edward… Edward si sente morire.

 

Il tempo in queste ore si è solo riavvolto per lui. Indietro… indietro, fino ad allora.

E al dolore del lasciare William con una menzogna.

 

Istanbul, 1861

 

Sei in casa?Edward?”

La reminiscenza rispose per lui. Il resto fu silenzio.

C’era un baule già chiuso nell’ingresso. E rumore di armadi sbattuti, poco oltre.

Eddy?” - Methos si affacciò nella zona delle camere - “Che stai facendo?”

Me ne vado.” - fu la risposta. Poi apparve anche l’interessato, già vestito per il viaggio - “torno in Inghilterra.”

E cominci adesso a fare i bagagli? Ci tornerai… Ma non prima di un trentennio... o un cinquantennio.”

no, Methos.” - una cassetta in legno venne chiusa con violenza e lanciata dentro una sacca sDrucita, con rabbia - “Adesso. Torno in Inghilterra adesso.”

Ehi!” - lo afferrò per un gomito, mentre gli passava a fianco - “Sei impazzito?”

No.” - Si divincolò, con gli occhi che mandavano lampi - “Sono tornato in me e sono pronto a comportarmi nel modo più giusto. Quindi torno a casa, da mio fratello.”

scordatelo.”

Lo aveva inseguito. Edward sembrava impazzito, furibondo. Come se qualcosa lo stesse corrodendo e rendendo folle.

No, Methos!” - urlò, fermandosi al centro dell’ingresso e voltandosi - “Non ti illudere che io stia a guardare.. che io …”

 

Si interruppe, ansimando. E si piegò, tossendo, posando le mani sulle ginocchia.

Methos non credeva ai suoi occhi. Le spalle di Edward erano scosse, tremavano. La tosse sembrava lacerarlo dall’interno.

Poi, con orrore, alcune gocce di sangue macchiarono il pavimento.

In un lampo gli fu a fianco. Lo sollevò, afferrandolo per il torace, senza incontrare resistenza. E il solo gesto gli riportò alla mente gli anni ormai dimenticati, lasciati alle spalle con sollievo e con un colpo di pistola.

calmati.”- sibilò, obbligandolo a sedere, le spalle alla parete - “Non hai nulla ai polmoni, Edward. Calmati.”

non posso calmarmi.” - ululò, singhiozzando. Il sangue gli segnava la bocca, il mento - “Voglio andare a casa, a casa, da mio fratello, perché ha bisogno di me, Methos! Ora!”

perché ora!” - lo scosse. Non era capace di essere comprensivo a scatola chiusa. O capiva, o non si arrendeva ai sentimentalismi - “Edward, ora devi calmarti, per te stesso e per la mia salute mentale. Calmati e spiegami. Subito!”

mio…” - ansimò. E la testa gli scivolò contro il suo torace - “Mio padre.”

Methos non gli chiese altro.

Non gli chiese come lo avesse scoperto, come fossero andate le cose.

La colonia inglese chiacchierava. Forse non di tutto ma, tra le frivolezze, ogni tanto potevi scorgere una frase vera. Si, doveva essere andata così.

Si limitò a lasciarlo in pace. A lasciarlo piangere, tra parole sconnesse su William, sull’abbandono e sulla nostalgia, la sua prima nostalgia.

 

Non gli disse nulla. Non ci sarebbe stato nulla da dire che non fosse banale o razionale, nulla che non sarebbe suonato patetico o inutile.

La morte.. la morte era alla fine giunta davvero alla porta di casa Coventry. Ed Edward non era stato lì a sbarrarle il passo. E mai se lo sarebbe perdonato.

 

Uccidilo.”

 

Doyle sussultò. Cordelia di coprì la bocca con entrambe le mani, per non urlare.

E Methos voltò le spalle ad entrambi. perché ci voleva fegato anche a dirlo… non solo a farlo.

 

Hai capito giusto, Angel.” - ripetè, il gelo nella voce - “Prendi una spada. E piantagliela nel cuore.”

 

***

 

La baciò. La baciò senza pensare, senza smettere di piangere. E le mani di Faith, perennemente bollenti sulla sua pelle, divennero umide di quella disperazione.

Non posso cambiare ciò che ho fatto.” - mormorò, cercandole la bocca, ancora. E ancora - “Io ho fallito…”

 

Era Edward. Ho negato fino all’ultimo che lo fosse, per dover ammettere con me stesso che.. che ero io a non essere più William.

 

Tu puoi fare tutto, Spike.” - replicò Faith, stringendogli il viso, le dita sulle labbra - “Tu sei il vampiro dell’impossibile e…”

Esitò.

Ed Edward ti vuole bene.”

Spike tentò di sciogliere l’abbraccio. Ma Faith lo trattenne, pronta, un fiotto innaturale e caldo sotto le bende .

Edward non parla molto.” - aggiunse, rapidamente - “Ma il poco che dice… è unico.”

 

Unico.

Unico come le sue intuizioni.

 

Spike la guardò. E un sorriso, isterico e disperato, si mosse sui suoi lineamenti.

 

È sempre stato così. È la sua magia. È ancora in grado di compierla?

È ancora così… dopo.. dopo tutto questo…

 

Ha sbagliato e lo sa.” - aggiunse, implacabile - “Lo sa. E sconta questo peso probabilmente dal giorno in cui ti ha lasciato. Ma mai... mai come ora… ha desiderato tornare indietro.”

Avrebbe voluto divincolarsi. E allontanarla. Ma non ne aveva più la forza.

No. Non aveva più la forza.

 

Mi arrendo. Si, mi arrendo.

 

E non contano le parole che sto dicendo… perché tu queste cose già le sai. E io non dovrei sprecare tempo, mio o tuo… non dopo che voi Coventry siete riusciti a buttarne così tanto.” - cosa non darei per il tuo sorriso, William. Cosa non darei, ora - “Ma ormai credo che non abbia più importanza. Potreste avere l’eternità davanti, William. Per rimpiangervi e odiarvi… o per parlare.”

Faith, smettila.”

No, non credo che lo farò. Non sono capace di cedere, o essere razionale. E voglio che mi ascolti. Tu sei William. Sei il mio William e quello di Angel, ora. Ed è vero, non sei più il William di allora, nessuno di noi è tanto stupido da crederlo. È passato tanto tempo… anche per Edward…”

 

Tempo. Tempo senza di te.

 

Gli cancellò le lacrime con gesto pulito, deciso. E conclusivo.

Ciò che esisterà per sempre, è l’amore che avete uno per l’altro.” - sussurrò, ancora. E gli sorrise - “E io credo che tu non sia pronto ad affrontare un’eternità senza tutta quella luce…”

 

***

 

Methos chiuse la chiamata. E allungò una mano verso la giacca, abbandonata come sempre in giro.

Come avrete intuito, sono richiesto altrove.” - mormorò, nel silenzio innaturale - “Occupatevi delle visioni. Ci sentiamo.”

Tutto qui?” - Cordelia si riscosse, sbarrandogli la strada - “Pensi di non dovere spiegazioni a nessuno?”

Io non devo spiegazioni.” - rispose, mettendo il giaccone e guardandola - “Devo solo andare.”

Vengo con te.”

No, Cordy. Qui serve una persona calma.” - aveva imboccato il corridoio, inseguito dalla ragazza - “E quella sei tu. Spremi Doyle e trova la risposta semplice che vuole Wes. Poi parlatene a quei due, se potete.”

Non è così facile.”

Niente è facile.” - ribattè con filosofia. E, quando si fermò, obbligando cordy a frenare alle sue spalle, si sentì in dovere di aggiungere - “Non è facile nemmeno uscire da questo albergo… figuriamoci restare.”

 

Spike era fermo, innanzi a loro. E sbarrava il passo.

 

***

 

Uccidilo.

Sintetico e non travisabile.

Prendi una spada e piantagliela nel cuore.

 

Una sciocchezza, a vederla con occhio pratico. Non sarebbe morto.

E, sempre con approccio cinico, si poteva paragonare al riavvio di un computer.

Ucciderlo non avrebbe prolungato le sue sofferenze, avrebbe fatto guadagnare tempo e avrebbe riparato quel corpo impazzito.

Ma non era comunque facile.

 

Angel afferrò un’arma dalla panoplia, uno stiletto affilato, dall’impugnatura liscia e minimalista. Poi tornò al divano, inginocchiandosi.

Ed Edward aprì gli occhi, fissandolo. Occhi così trasparenti e simili a quelli di William da provocargli un brivido.

Lo fissò, senza paura. Non ne aveva mai avuta, si sorprese a pensare Angel.

In quegli occhi non aveva mai visto paura. E, per quanto sapesse di non conoscerlo, Angel aveva la certezza di essere stato presente ad alcuni degli episodi più importanti e terrificanti della sua esistenza.

Lentamente torse il polso, posando la punta della lama sul suo torace.

Edward non parlava. E soffriva. Non si poteva dire quanto fosse presente… ma i suoi occhi avevano seguito l’arma, prima di chiudersi.

E di riaprirsi.

Stai rendendolo più difficile.” - mormorò il vampiro.

 

Chiudi gli occhi.

 

Il solo pensiero di poterlo dire gli provocò un brivido. Si, sarebbe stato più semplice. Ma non sarebbe stato giusto. Lentamente, verticalizzò l’arma, fissandolo dritto in viso.

Guardami.”

L’essere sveglio non mutava la situazione. Edward stava soffrendo, il suo corpo continuava ad essere percorso dalle ondate di dolore. E il sangue era rosso, vivo, al lato della bocca.

Andava fatto. Subito.

Edward.” - disse, con un tono senza sfumature - “Guardami.”

E l’immortale ubbidì. Le lunghe ciglia si mossero, gli occhi divennero vividi, ben aperti, dritti nei suoi. E si riempirono di quella sfumatura calcedonio che talvolta invadeva quelli di Wiliam.

Lo sguardo tenace, carico della forza sconfinata di un guerriero.

 

Angel sostenne l’occhiata, la mano stretta al pugnale, irrigidito dalla tensione. E pensò che mai nulla, al mondo, sotto quel cielo, avrebbe potuto eguagliare l’assurda passione dei ragazzi Coventry per la vita.

 

Perché solo Edward, come William, portava negli occhi il segreto dell’immortalità guardando in viso la morte.

 

Poi Edward annuì. E la lama penetrò, fino all’elsa, con suono raschiante.

 

***

 

Spike, con tutto rispetto…” - mormorò Methos, infilando le mani in tasca - “Non è il momento.”

No, Doc.” - il vampiro scosse la testa, lasciando ben intendere l’assoluta impossibilità a cedere - “Io credo proprio che sia il momento di scambiare quattro chiacchiere.”

 

Methos si trattenne dallo sbuffare. E dal prenderlo a schiaffi.

Provava pena per quel vampiro, quell’essere elegante e strafottente ora ridotto in maniera tanto patetica. Con il suo senso pratico per la vita e la sopravivenza, riteneva tutto quel dolore, ad essere onesti, per quanto comprensibile, assolutamente inutile.

Risolvibile ignorando il problema e andando a vanti. Oppure affrontandolo di muso.

Non accettabili le situazioni a metà strada: morsi, pianti, ripicche e follia allo stato puro.

E i traumi che Edward non aveva saputo superare in centocinquanta anni.

 

La reazione più logica sarebbe stata alzare gli occhi al cielo.

Ma Methos, se il caso lo richiedeva, sapeva anche essere più brillante.

Fissò Faith, alle spalle di Spike. Era pallida, ma risoluta. E la Cacciatrice gli fece un cenno, controllato.

 

Parlagli. Qualunque cosa sia… parlagli.

Dobbiamo uscire da questa storia, in un modo o nell’altro.

E, essendo Angel chissà dove.. qualcuno dovrà occuparsene, non credi?

 

Methos non commentò quell’ordine silenzioso. Ma lo accettò, come un buon consiglio. Dopotutto, Faith non mancava di prontezza decisionale e capacità di tralasciare le sciocchezze metafisiche e i sentimentalismi.

Cordelia…” - mormorò, dunque - “Perché non aiuti la Cacciatrice prima che frani per terra?”

la bocca di Faith si piegò in un sorrisetto divertito. E Cordelia potè avvicinarsi senza essere sbranata.

 

E bravo Methuselah… fiducioso e doppiogiochista al tuo meglio.

 

Sai, Spike… hai ragione.” - commentò Methos, annuendo e continuando la propria farsa - “E’ ora che qualcuno provi ad avere una conversazione intelligente con te.”

Suo malgrado, Spike, sorrise.

E quello…” - sputò, perfido - “saresti tu?”

Indubbiamente.” - gli indicò il salone, alle loro spalle - “Dopo di te…William…”

 

***

 

Ma tu non c’eri. Eri un’assenza, già quando era vivo.

Eri la parte mancante di lui, il vuoto che si aggiunge a quello cosmico,

quello degli artisti e dei poeti.

E l’abbiamo trovato noi, seduto, in quel viottolo…

 

Noi… noi chi, Angel? Noi salvatori o noi assassini? Chi ha trovato chi, dopotutto…

 

Non lo so.” - replico Angel, quietamente - “Non ho mai smesso di chiedermelo.”

 

Ho la mente piena di quesiti, quando si tratta di William. Ma non mi importa. L’importante... l’importante è che io possa avere le risposte alle sue domande.

Perchè mi ha chiesto tutto, fin dalla prima volta. E non gli è mai bastato.

 

E anche adesso, tutto ciò che ha non è abbastanza. Nulla è mai abbastanza per William Coventry...

 

Aveva tirato le tende, gettato l’appartamento di Methos in una innaturale oscurità, celandolo alle luci della strada, accendendo il minimo indispensabile e abituando gli occhi all’oscurità nero pece. Preferendo il buio, come sempre, per riflettere.

La luce della piantana, bianca e innaturale, gettava ombre oblique sui mobili, su di loro, nel silenzio. Edward era ancor steso sul divano, dove Angel lo aveva trascinato. E ucciso.

 

Un colpo era bastato. Uno solo, seguito da un respiro più profondo, quasi di liberazione. Poi il nulla, un nulla che Angel aveva recepito come assurdo e insopportabile.

Il nulla che segue il divenire cenere, il paletto che penetra fulmineo.

Avrebbe potuto ucciderlo in tanti modi ma questo, così naturale come scelta, gli sembrava ora l’unico simbolicamente accettabile.

Accettabile per uno come Edward che non aveva mai smesso di provare male al cuore per una freccia estratta da tempo. Adatto alle mani di un vampiro, incapace di concepire per se stesso morte più banale.

 

Poi il cuore aveva battuto, all’improvviso, nel silenzio.

Ed Angel lo aveva ascoltato senza associarlo ad una forma di sollievo.

Lo aveva solo sentito tornare, improvviso, senza il crescere della marea. Dove non era stato ed ora c’era. E il petto si sollevava aritmico come quel suono.

 

Una questione meccanica che solo meccanica non era. Certo, il cuore batteva, ma i pensieri? I ricordi, la certezza e l'incertezza, l'ambizione e la speranza... dov'erano? Tornavano come un'ondata dentro ogni cellula? Oppure, intrappolati e avvizziti senza ossigeno attendevano solo il risveglio?

 

E l'anima l'anima di un immortale... cosa faceva negli attimi del nulla?

 

Avrebbe preferito non porsi tante domande. Avrebbe preferito non pensare.

Ma era stanco, troppo stanco per fare altro che sprofondare nellla poltrona, le mani strette ai braccioli, il collo dolorante contro lo schienale.

Fai in fretta, Eddy.” - mormorò soltanto, chiudendo gli occhi - “Abbiamo da fare...”

Ti sbagli.” - replicò l'immortale, in un sussurro, provocandogli un sussulto - “Non c'è nulla... più nulla...”

 

Non c'è più nulla da fare... se non andarsene.

 

***

 

Methos non si riteneva un uomo particolarmente intelligente per natura o per genetica. Ma trovava che non si potesse discutere su quanto possano contare cinquemila anni di evoluzione su un unico organismo.

Per tanto, quando Spike gli si era parato di fronte con tanta belligeranza, Methos sarebbe stato propenso a comportarsi nel modo più intelligente e sofisticato mai ideato dal creato: menefreghismo.

 

Ignora l'insetto. Subito. E se dalla tua azione si creerà un tornado.... scappa.

 

Si, niente di cui discutere. Peccato che il fu William Coventry, in arte Spike, non fosse pronto ad accettare tanta scarsa considerazione e, per tanto, del tutto deciso a continuare a disturbarlo. E disturbarlo. E disturbarlo.

 

Pazienza, avrebbe trovato pane per i suoi denti.

 

Allora, Spike.” - esordì dunque l'immortale, lasciandosi andare su uno dei divanetti del salone e incrociando le braccia - “Come posso esserti utile?”

La risposta che seguì fu la testa di Methos che sbatteva sul pavimento. E Spike a cavalcioni del suo stomaco.

 

Cinquemila anni di evoluzione polverizzati da un vampiro ossigenato. Confusamente, Methos si rallegrò che non ci fossero testimoni allo scempio.

 

Lo hai ammazzato, vero?” - sibilò il vampiro, tenendolo stretto per il collo del maglione - “Non si vince l'immortalità assieme alla tisi. Sei stato tu...”

 

Sei stato tu, quella sera. Era con te. Con te... e non è mai più tornato.

 

Come, Doc? Gli hai tagliato la gola, lo hai buttato da un terrazzo.... magari veleno, oppure... oppure lo hai colpito alle spalle, da vigliacco quale sei.”

 

Non c’erano che un paio di metri, tra loro.

Adesso gli stava alle spalle.

Vicino.

 

la mano ancora contro il muro…

gli occhi socchiusi, la testa indietro, in attesa di una risposta dal creato…

 

Edward.” - lo chiamo' e attese si girasse, l’espressione interrogativa, nel riconoscere il timbro della voce.

Poi fece fuoco.

 

Non rispose. E Spike strinse più forte. Lo scosse, perchè battesse di nuovo la testa. Methos urlò, stringendo le palpebre e, subito dopo, ad occhi ben aperti, lo fissò dritto in faccia. E con una tale espressione che Spike esitò.

 

Non era odio. Era disprezzo.

 

Come negli occhi di Edward. Ancora disprezzo.

 

A differenza di te preferisco saperlo in giro per il mondo che sotto tre metri di terra.” - rispose l'immortale, come se nulla lo stesse sconvolgendo. Si era morso le labbra, nella sorpresa della colluttazione. Ed ora sputò, deciso. Sangue e rabbia, sui bei lineamenti mutati - “E poi, Spikey, ti vedo confuso... lo vendichi? Non lo volevi morto?”

Spike non rispose, cercando di schiarirsi le idee. Ma la mano strinse più forte e, questa volta, premendo sulla gola.

Ti è piaciuto il suo sangue?” - rantolò Methos, deciso a non cedere inarcando la testa in cerca di aria - “Dicono che sia un'ottima annata... c'è chi pagherebbe un patrimonio per averlo... in questo e nell'altro mondo...”

lo fissò sbattere le palpebre, sembrare perplesso. Doveva essere davvero stravolto per lasciarsi disorientare in quella maniera, con un semplice giochetto sofista. E Methos non ritenne di dover usare misericordia a un tale spostato, visto che si presentava l'occasione di castigarlo.

Contrasse i muscoli, rapido, e, con un colpo di gambe che avrebbe fatto invidia a molti combattenti ben più allenati, fece volare Spike oltre la testa. E, ancora più fulmineo, voltandosi, gli bloccò il collo sotto al ginocchio.

Ripartiamo da capo.” - sospirò, lasciando che altro sangue gli cadesse dalla bocca al viso del vampiro. Un paletto gli era apparso in mano e già carezzava il torace - “Cosa vuoi? Vuoi vendicarlo? Io l'ho salvato, William... non l'ho ucciso. Ragiona. Io non sono Angelus, non ho distrutto nulla in cambio della vita eterna. Lui non ha perso l'anima...”

 

Ti sono sempre piaciuti i ragazzi puri, vero Doc?

Ragazzi brillanti... con troppo senso dell’onore…”

 

Ho provato con ogni mezzo del suo, del vostro mondo. Ho provato fino allo sfinimento.

Ma non avevo altro, se non la mia natura aliena perchè sopravvivesse.

 

Alla fine, mi sono arreso. Arreso.

E ancora oggi non mi pento e non mi rallegro, credimi. Credimi.

 

Cosa vuoi da me?

Altri ricordi che ti fanno male?

Oppure vuoi la certezza che Edward viva ancora nel mio cuore?

Hai veramente ancora cosi' paura del tempo, William?

 

Cosa vuoi...” - ripetè, tirando su con il naso per fermare l'emorragia e premendo ancora con la punta di legno sopra al suo petto - “O parliamo o non parliamo. Scegli con molta attenzione...”

Spike non stava opponendo resistenza. Immobile, a terra, le braccia distese ai fianchi, guardava Methos come se non comprendesse realmente le sue parole. Aveva deciso di attaccarlo senza una chiara motivazione, rispondendo a un istinto che non riusciva a controllare ormai da parecchie ore.

Quando l'immortale si era lasciato cadere con quella negligenza sul divano, Spike non aveva più ragionato. Lo aveva visto compiere quel movimento migliaia di volte nel presente e nel passato e, sia prima che dopo, Methos gli aveva nascosto qualcosa di Edward. Ed Edward stesso.

Per ogni parola, battuta, risata... per ogni battaglia condivisa, Methos aveva serbato per sé un segreto di portata enorme senza preoccupazione per nessuno.

E, a differenza di Angel, Faith, Doyle, così difficili da odiare, il cervello di Spike poteva accettare l'idea di condannare Methos.

 

Perchè Methos, dopotutto, lo aveva condannato a una sofferenza gratuita come il peggiore dei mostri. E lo aveva fatto per disinteresse.

 

Dovevi dirmelo.” - mormorò soltanto.

Methos, dopo un attimo di sorpresa, ridacchiò. E si rialzò, lasciandolo libero.

Oh, allora è questo.” - lo sbeffeggiò, dandogli le spalle e sedendosi sul posto occupato solo per breve tempo - “La ripicca capricciosa... e io che credevo...”

Non finì la frase. Cambiò solo espressione, indurendosi, come se avesse ricordato qualcosa di molto importante. E si pulì il mento e la bocca con il dorso della mano.

 

Finiscila, Will.” - disse, con freddezza, arrogandosi il diritto di quel nomignolo perso nel tempo - “Parla chiaro, mi stai facendo perdere tempo prezioso.”

 

Sei qui, a piangerti addosso, mentre tuo fratello si lascia morire di dolore.

E, se lo conosco, sta combattendo anche ora, per la cosa più giusta da farsi.

 

Tu sapevi chi ero.” - ripetè Spike, ignorando la frase e voltando la testa per vederlo, la guancia al pavimento - “Non ti sarebbe costato nulla.”

Non era affar mio.”

Se tieni così tanto a mio fratello, lo è.”

Io tengo a lui molto più di quanto tenga a te. E, infatti, a lui ho detto la verità.” - rispose, schietto, accavallando le gambe. Gli ho detto cosa fare, ora come allora... e in entrambi i casi avrei dovuto farmi gli affari miei - “Ma non potevo interferire con la sua decisione.”

Certo...”

Non usare quel tono, Spike. Non sei migliore di nessuno di noi. Abbiamo taciuto? Abbiamo mentito? Abbiamo nascosto? Si, lo abbiamo fatto. Ma io credo che tu ti sia macchiato di una colpa tale e quale la nostra: non hai voluto vedere.”

 

Sapevamo del dolore che ti avremmo provocato.

Sapevamo a cosa andavamo incontro.

Sapevamo che avremmo dovuto evitarlo.

 

Non ci siamo riusciti.

 

Siamo colpevoli.

 

Colpevoli. Ma tu, dall'attimo in cui hai riavuto tuo fratello, non hai saputo dirgli la verità, come noi.” - aggiunse, con calma. Cinquemila anni di evoluzione, abbastanza per poter sussurrare giudizi senza tradire emozione - “Hai deciso di non riconoscerlo, hai cercato di ucciderlo e, per come stanno adesso le cose, non dubito che tu gli abbia vomitato addosso tanto odio da riempire ben più di una vita. Dovevi farlo per forza? No. E chi lo ha fatto di voi... il fratello abbandonato o il demone furioso?”

 

Cosa hai scelto per fargli più male? Occhi oro oppure occhi azzurri?

 

Spike era in silenzio. E Methos non si illudeva. Non avrebbe mai risposto.

 

Si è fatto tardi, Spike. E io devo andare.” - aggiunse, come se non ci fosse nulla in sospeso. Si alzò, aggiustando l'impermeabile e sovrastandolo, senza pietà - “Toglimi solo una curiosità... Volevi fargli del male davvero? Oppure volevi solo che comprendesse la realtà dei fatti che non avevi il coraggio di confessare?”

 

Innanzi al silenzio, gli sorrise. Ma con tristezza, tristezza per quel volto di demone con gli occhi pieni di lacrime.

 

Chi è il vigliacco tra noi due?”

 

Non ti abbiamo spezzato noi con il nostro tradimento, Will. Lo sappiamo entrambi. È stata la vita, oltre un secolo fa. Ma solo ora il dolore giunge... solo ora...

 

Una stella si disintegra e si spegne, la luce sopravvive per milioni di anni e poi, infine... scompare.

Ed è devastante, come solo il tempo sa essere.

 

Hai sbagliato in entrambi i casi, ragazzino. Dovevi dire la verità.” - aggiunse, con dolore e senza pietà - “Dovevi dirgli che non hai mai smesso di aver paura di perderlo. ”

 

***

 

Devo solo andarmene.” - sussurrò Edward, pountellandosi ai gomiti e poi sedendosi. Era pallido e gli occhi sembravano pietre dure troppo colorate - “non sarei mai dovuto tornare...”

Edward.” - Angel si alzò, con movimento liquido. E, con una spinta gentile, lo obbligò a restare seduto, inginocchiandosi di fronte. Come, si rese conto, come mille volte innazi a Spike, per farlo ragionare - “Non ricominciamo...”

l'immortale lo fissò, in silenzio. E Angel gli sembrò calmo e forte.

 

William deve sentirsi al sicuro... molto più di quanto non lo abbia mai fatto sentire io.

 

Respira, con lentezza.” - sussurrò il vampiro. I polmoni di Edward si stavano contraendo di nuovo, senza motivo - “Sai perchè ti stia succedendo?”

Edward annuì.

E' il monito del destino.” - rispose soltanto, sottovoce - “la morte mi attendeva. E non è riuscita a prendermi...”

 

dovevo morire.

Ma qualcosa è cambiato.

 

Ed ora, per la prima volta, ho paura di questo futuro scritto da una mano che non fosse divina.

 

Methos mi ha ucciso prima che morissi di morte naturale.” - aggiunse, passandosi la mano sul petto. Chissà se la cicatrice del pugnale di Angel sarebbe rimasta... - “Ma il corpo non dimentica... ne abbiamo già parlato...”

Già.” - Angel annuì, senza muoversi. Aveva occhi scuri, pieni di comprensione - “Il corpo non dimentica nulla...”

 

William ricorda il tuo profumo, le tue braccia, il tuo sorriso.

E il tuo sangue, sulla sua bocca, è il peggiore dei dolori e dei peccati.

 

Non andartene, Edward.” - aggiunse, guardandolo, la testa inarcata per vederlo in viso - “Se te ne vai ora, non potrai più tornare indietro. Non farlo.”

Non si torna mai indietro.”

Lo so. Ma si può andare avanti in molte maniere. Non scegliere questa, non porta da nessuna parte.”

Ti sbagli.” - gli posò una mano sulla spalla, fissandolo drittto negli occhi. E si alzò, senza barcollare - “Questa è la strada che ho scritto molto tempo fa.”

Abbassò gli occhi. Attese. Ma Angel non si mosse.

Ancora inginocchiato, ancora in attesa. Si lasciava sovrastare, senza sentirsi tuttavia debole

La mia colpa non è stata riuscire a ingannare la morte... ma mentire a mio fratello.” - disse, la voce in un tremito difficile da arginare - “questo è il destino che ho scritto. E non posso cambiarlo.”

 

Non posso tornare indietro.

Forse non so nemeno andare avanti.

 

E William ha ragione. Io so solo fuggire.

 

***

 

Doyle, io vorrei che tu ragionassi con me.” - sospirò Wes, stranamente paternalista - “Posso capire le tue motivazioni ma so come tu comprenda benissimo il mio punto di vista.”

Nostro.” - corresse cordelia, con decisione - “Nostro.”

Si, nostro.” - Faith annuì, dando un'ennesima strofinata alla fasciatura. Bende, quanto prudere - “sei un cretino, insomma.”

Oh, grazie!” - Doyle la indicò, fissando poi i due diplomatici esseri - “Finalmente uno di voi lo ha detto! Ora si che sono sollevato!”

Doyle! Ma ti decidi a collaborare?” cordelia inziava ad essere esasperata. E la voce le tremava di rabbia - “Tu continui a scherzare ma io... io sto morendo di paura!”

 

che ammissione. La fissarono, straniti. Cordelia non era tipo da svelare le proprie paure, non in quel modo e, soprattutto, non nei loro confronti.

Cordelia sapeva preoccuparsi di tante cose, dal bucato alla contabilità, dalle suture ai dissanguamenti. Ma era raro che scatenasse la propria angoscia, troppo avvezza alle ferite e ai massaccri per non sapere che nella vita ottimismo e fortuna vanno di pari passo.

Se ora rinunciava alla calma e al raziocinio per cedere alla tensione, poteva solo significare che era del tutto fuori di sé. Oppure, intuì Wes, guardandola, come talvolta le succede, con un brutto presentimento.

Cordelia, cosa senti?” - domandò, ignorando sia il demone che la cacciatrice, tornando indietro con la mente a qualcosa di antico e ormai dimenticato.

 

Le visioni.

 

Cordelia aveva avuto le visioni, per molto tempo. Aveva sofferto all'infinito per quel peso ma lo aveva portato senza mai cedere. E, quando lo aveva restituito, volente o nolente, aveva serbato per sé solo una sensibilità maggiore a quella di cui già naturalmente era dotata.

Sensibilità di cui non aveva mai fatto parola esplicitamente, ma che Wes aveva sempre ritenuto unica e importante in un' accezione ben diversa da ogni altro abitante dell'Hiperyon. Non era la sua più grande dote, ma era un dono, un dono che cordelia sapeva di possedere.

 

A cosa ti riferisci?” - domandò Doyle, sospettoso. E lo sguardo di Cordy passò da Wes a lui.

Nulla.” mentì, prontamente - “Una sciocchezza.”

No, non lo è.” - Doyle strinse gli occhi e, dopo un istante, le sue pupille si dilatarono - “Non me lo hai mai detto...”

Oh, certo!” - eccola. Cordelia Chase attacca per non essere attaccata - “Adesso avevi bisogno che te lo dicessi!”

Ma si può sapere di cosa state parlando?”

Effetto residuo.” - rispose Doyle, automaticamente. E Wes si manifestò subito interessato.

Ah, si dice così?”

Si dice così cosa!” - doveva aver urlato, i punti tiravano. Ci posò una mano sopra e sibilò ancora - “Di che state parlando?”

Ipersensibilità. Cordelia è ipersensibile.”

Bhe, certo. È schifosamente femmina, di che vi stupite?”

Non in quel senso, Faith. Nel senso che è sensibile al futuro. Non ha le visioni ma...” - Doyle mosse le mani, cercando di spiegarsi - “Ma sente se qualcosa sta per accadere.... e perchè io non lo sapevo?”

Doyle, non credo che... insomma...”

Ah.” - la voce di Faith sovrastò le due maschili in overture di discussione. Ed era una risposta che grondava sarcasmo - “E lo fa da molto oppure è una novità di oggi?”

 

Intanto è stata una giornata così piatta, noiosa...

 

Lo faccio spesso.” - tagliò corto cordelia. Faith aveva ragione, ad aspettare le spiegazioni di uno studioso e un casinista non sarebbe mai approdata a nulla - “Ascoltami, te lo spiego io in quattro parole. Le visioni di Doyle mi hanno reso un poco più percettiva del necessario. Dapprima non ci ho badato molto ma, negli ultimi mesi, si è accentuato e ne ho parlato con Wes, per puro caso. Tutto qui.”

Tutto qui? Sei così ed è tutto qui? Angel lo sa?”

Angel ha avuto altro a cui pensare.”

Angel pensa sempre, tu dovevi infilarti a forza tra le sue seghe mentali!” - Faith era così stufa da non sentirsi riguardosa verso nessuno - “Quindi, con questa tua nuova dote cosa sai che nessuno sa?”

So...” - Cordelia si morse le labbra. E, all'improvviso, sembrò troppo pallida - “So che sta per accadere qualcosa di grosso. E ho paura.”

 

Spostò lo sguardo, mentre una consapevolezza atroce le mutava i lineamenti.

 

Se io posso sentirlo... sei io sto nuovamente cambiando, se Doyle continua a rivedere la stessa scena e Spike...” - si morse il labbro, rendendolo vivido - “Stiamo giocano con il fuoco, Faith, non si tratta solo di Edward. Sei d'accordo con me?”

 

Faith era senza parole. Per la prima volta, per la prima volta in tuttto il giorno, Cordelia stava finalmente dando un senso alla confusione e alla sofferenza.

E non mentiva. Si, Faith poteva sentirlo. La posta in gioco si stava progressivamente alzando, lo aveva fatto per mesi, attraverso ogni singolo passaggio, attraverso ogni singola avventura.

D'improvviso le sembrò di poter intravvedere qualcosa, uno schema, un filo dipanato che si attorcigliava attorno a piccoli e grandi episodi: dalla morte di Buffy, scivolando per le sue crisi, per il Consiglio, attraverso Methos, nel ritorno di Drusilla, nella fuga di Spike in Inghilterra e nel dramma del loro amore sbocciato nel sangue, fino a giungere ad Edward.

 

Si, Edward.

Edward, emerso dal passato.

 

No, è amore, solo amore per il proprio fratello.

No, è destino.

 

Non so cosa sia.” - sussurrò, in risposta a se stessa e a tutti loro, dopo un'interminabile silenzio - “Ma è vero. Accadrà ancora qualcosa.”

Ne sei sicura?” - domandò Wes, scivolando in quella conversazione criptica come la lama di un coltello. La temperatura era scesa, aveva freddo. Aveva paura, come se... come se fosse l'ultimo umano tra i prescelti.

 

Il testimone. La voce della conoscenza.

Non ci pensare, focalizza. Parla con Faith.

 

Faith, Cordelia ha ragione?”

Si, Wes.” - gli occhi scuri le brillarono, come le capitava solo in battaglia - “Non chiedermi perchè ma lo posso sentire. Cordelia ha ragione. C'è qualcosa.”

Ed è nella mia visione...” - sospirò Doyle. Sembrava stranamente calmo e consapevole, lontano dal senso onirico provato dai suoi interlocutori. E Wes, con un attimo di sbalordimento, comprese che quella sensazione, quel senso assurdo e separato di percepire il reale in quel modo era per Doyle una seconda natura da sempre vigile.

 

È così che vedi il mondo.

È così che percepisci l'esistenza.

 

Noi siamo apprendisti nell'arte che tu respiri come aria.

 

Non è ancora accaduta, Doyle. La visione.” - aggiunse Cordelia - “E' ancora nel futuro... non nel passato. Qualcuno sta confondendo le carte.”

 

Si, pensò Wes, un istante dopo, scattando.

Cordelia può sentirlo.

 

E Doyle lo sta vedendo. Ancora.

 

***

 

Fermati.”

 

Non si sarebbe dovuto sentire in dovere di farlo. Ma si fermò ugualmente e si voltò. Spike si stava rialzando, con le sue sole forze. E il semplice comando con cui si era imposto era risuonato pacato, senza implorazione o durezza.

Per favore.” - aggiunse, infatti, quasi a confermare l'impressione di Methos, il quale non era intenzionato ad aggiungere una parola prima di averne sentite parecchie.

 

E magari anche un quintilione di scuse, che non sarebbe stato nemmeno esagerato. Dopotutto, lo aveva fatto sanguinare... e lo aveva obbligato a fare sport.

Dannato sport.

 

Io...” - Spike non era esitante. Era solo stranamente asettico, schiavo di un ennesimo e incontrollabile cambiamento di umore. E valutava le proprie parole con meticolosità - “Io credo che tu abbia parlato di una conversazione civile che avremmo potuto avere. Sei ancora disponibile?”

Lo sono. Ma ci siamo giocati parecchio tempo in pugni.” - replicò, incrociando le braccia e rinunciando a sedersi. E, soprattutto, ai giri di parole - “Sembra che a casa mia ci sia un problema e devo occuparmene.”

Che problema.” - rispose, senza pensare. Di nuovo vigile, guardingo, le sopracciglia lievemente aggrottate. E poi, di nuopvo, la tensione feroce delel ultime ore - “Riguarda lui?”

Se lui sta per 'mio fratello'... allora chiamalo con il suo nome.”

Non giocare con me, Methos.”

No, non giocare tu, moccioso!” - sbottò, deciso - “Ti illustro la situazione, poi mi dici che ne pensi: da stamattina, Edward è passato ininterrottamente dalla padella alla brace senza sosta. Vampiri, tu, Angel, Drusilla, ancora vampiri, ancora tu, ancora Drusilla e, a quanto sembra, di nuovo Angel. La vostra dannata stirpe plasmamaniaca lo sta tormentando senza sosta mentre tu, unico conforto e debolezza di lord Coventry, stai qui a frignare senza sosta. E quando non piagnucoli sembri uscito dal film Shining. Nel frattempo hanno cercato di ammazzare la tua fidanzata, il mio figliastro, il sottoscritto e, ultimo per molti ma non nel cuore dei bibliotecari del mondo, mister Whydam-Price. Tutto, sottolineo tutto, grazie a te, che sei un pazzo nevrotico senza né arte né parte. Ok?”

Allargò le mani, guardandolo.

Sono stato chiaro?” - domandò, in maniera così convincente che Spike ebbe l'impressione di essere un dodicenne indisciplinato. E, soprattutto che, in altri frangenti, avrebbe saputo formulare un'identica esasperata arringa.

Visto da qui, sei così. E, tu potessi vederti da questa angolazione, la tua ironia avrebbe di che scatenarsi.” - aggiunse, con petulanza, indicandolo - “Concludendo, non credo che mi interessi quanto sei disastrato lì dentro... sarebbe solo gradito che tu prendessi una decisione.”

 

Una. Una soltanto.

Prendi una decisione che abbia valore per te stesso.

 

Perchè se le profezie sono vere... se dobbiamo credere alle leggende...

il resto si compirà in ogni caso.

E i nostri desideri... i tuoi desideri, ragazzo mio... non avranno più nessun importanza.

 

Methos di morse un labbro, riflettendo. E il brivido salì, dolcemente, lungo la schiena, assieme alla rassegnazione.

 

Doyle ha ragione. Ora posso sentirlo.

 

E, se davvero è così... davvero è tutto ormai reale, bhe... allora mi tocca fare questo.

 

...

 

Quanto odio i miei doveri...

 

Si raddrizzò, alzando la testa. E Spike sentì un brivido, tangibile, incontrollabile. Era l'eternità divenuta carne, era la storia della terra, degli uomini, del tempo passato diretto al futuro. Era tutto questo, in un guscio trasandato chiamato Methos. E mai prima, mai prima di allora, si era svelato in questa sua forma.

 

Questo è il momento della tua scelta, libera e umana, uccisore delle cacciatrici, William il sanguinario, sangue dei Coventry... Spike.” - e Spike suonò come un tuono, nel silenzio - “Combatti per ciò che ami, ora, scegli cme essere che ama, odia, soffre. Scegli. E non voltarti più indietro.”

 

Poi tacque. E lo squadrò, senza piegare la testa, senza sorridere, come se il messaggio appena portato travalicasse il tempo e l'emozione per divenire immediatamente pietra.

E Spike respirò. Si, respirò, a fondo, come se aria giungesse ai suoi polmoni, come se la vita gli passasse nelle vene senza frenarsi per la morte, per la demonicità, per l'anima venduta all'inferno eppur tornata.

 

Si, sta per accadere qualcosa. E già si libra su di noi.

 

Ed ora, mormorò Doyle nella sua mente, ora che lo sappiamo, che conosciamo le regole del gioco... accadrà tutto più in fretta.

Ci è dato di conoscere i ruoli... e di cambiare le nostre azioni.

Questo ti sta chiedendo. Questo.

 

Ascolta l'Antico, William, sussurrò Angel, riempiendo la sua anima. Ascolta l'Antico e afferra la luce che ti è stata sottratta.

 

Cerca Edward.

Trova Edward.

Salva Edward.

 

E non voltarti mai più indietro.

 

Mai più.” - aggiunse Faith, apparendogli, lattiginosa, evanescente, dietro le palpebre chiuse - “Perchè nel domani saremo per sempre intrecciati. E per sempre a cavallo di luce e ombra.”

 

Tu lo senti.” - fece eco Methos - “Tu lo senti accadere. È come aria troppo fredda, è come un sorso di vita dalla coppa di dio.

 

È la reminiscenza, Spike.

È il dono del sangue di Edward.”

 

Cercalo.

Trovalo.

Salvalo.

 

E compi il tuo destino.

Compi il nostro.

 

Riunisci il sangue.

 

Spike!”

 

Aprì gli occhi, in un sussulto. Ansimò, barcollando, mentre Methos si voltava. Ed ebbe l'impressione che la nebbia madreperla delle sue visoni si stesse ritraendo verso le pareti, negli angoli.

 

M-magia? Methos?

 

Methos che negava l'esistenza della magia ne teneva una scorta nascosta nelle tasche per momenti di crisi?

 

Avrebbe voluto riderne.

Ma la voce di donna, orripilata, stava ancora urlando.

 

Spike!”

 

E' Cordelia.” - mormorò Methos, correndo verso il corridoio. E Spike lo segu, senza pensare, lo vedi afferrare la ragazza per le braccia, piegarsi per vederla in viso.

Sta accadendo.” - disse Cordy, singhiozzando. Le sanguinava il naso - “Sta accadendo ora.”

 

***

 

Aveva voltato le spalle a Angel aveva afferrato la propria spada e abbandonato tutto il resto.

Perchè il resto non contava.

Con le chiavi strette nella mano, aveva disceso le scale, correndo.

E si era fermato solo innanzi la propria moto, la testa china, le spalle al mondo reale, alle vite da cui si separava. E aveva chiuso gli occhi.

 

Bad day, amico mio. Bad day.

 

Si, Methos. È così. Lo sapevamo già da un pezzo... ma non siamo bravi a cercare i segni, non lo siamo mai stati. Sorrise. E alzò la testa alle stelle, disperato. Come la notte in cui era morto, come la notte in cui aveva cercato un'ultima risposta prima che un colpo di pistola ne cancellasse ogni necessità.

 

Methos lo aveva chiamato, perchè si voltasse, perchè lo vedesse in viso.

 

Methos aveva compiuto una scelta, quella notte. Ed Edward aveva letto nei suoi occhi la propria condanna a morte.

 

La violenza del proiettile sembrò propagarsi nuovamente nel suo petto. E il sangue, come un sorso di vino, gli riempì la bocca.

 

Abbassò gli occhi, sorpreso. La spada, per la prima volta nella sua vita, gli cadde di mano.

 

Una lama gli sporgeva dal petto, insaguinata. La guardò fremere e ruotare leggermente, sentì il dolore reale, assurdo, inaspettato tra le costole, dentro gli organi dilaniati.

 

Splendida luce...” - sussurrò la donna alle sue spalle, contro la sua schiena, una bambola con gli occhi vuoti stretta nella mano sinistra. La sua assassina - “Ora mi appartieni...”

 

Lo sapevi. Lo hai sempre saputo.

Non potevi ingannarmi per sempre.

Sono la morte. E ho continuato a cercarti.

 

[X]

 

Il tempo può essere acqua. Si dilata, si stringe, cambia, dal freddo al caldo e, talvolta, mentre scorre, sembra comunque fermo. Il tempo sembra non scorrere e congelare ogni pensiero, rendendolo immutato.

 

Spike, correndo per il corridoio, aveva la strana impressione di non avere più ricordi di nessuno. Solo Edward, quel suo modo di voltare la testa di scatto e sorridere.

Solo Edward, con gli occhi azzurri fatti di scheggie di vetro in movimento. Solo Edward, senza una parola, un movimento che non fosse il voltare la testa e sorridergli dal fondo del corridoio. Solo Edward, presente e passato nella stessa persona.

 

"Dai tempo al tempo. E mi metterai in ombra, prima di quanto immagini."

Si scostò da lui, con un movimento scanzonato, e si incamminò verso le scale. Voltandosi, per incitarlo a muoversi.

 

Edward... e nient'altro. Solo Edward che sorride. E il mondo diviene caldo.

 

Non lasciare scendere la notte.” - stava dicendo una voce al fondo del corridoio. E Methos, che gli correva davanti, si afferrò allo stipite della porta, per deviare ed entrare - “Salvate la luce dalla morte.”

Doyle.” - mormorò Methos, gettandosi in ginocchio e afferrandolo per le braccia. Lo avrebbe scosso, non avesse avuto paura di sbriciolarlo - “respira a fondo. E parlami.”

Doyle lo fissò, gli occhi azzurri iridati di bianco. Le visioni distorcevano la visione del reale, Methos era tutt'uno con le immagini in movimento.

Drusilla lo prende.” - spiegò, con voce stranamente piatta. E Spike ne ebbe così il terrore che temette di non poter controllare lo stomaco, per la paura e il disgusto.

Doyle sembrava un vegetale. Un vegetale dotato di voce senza anima.

 

Doyle. Senza anima.

 

Represse un conato. E vide Faith tenersi la gola, appoggiata al muro. Lo stesso identico palpabile orrore.

Doyle, come un oracolo, levò la testa verso di lui.

Spike, la lama entra, la lama esce.” - si inidcò un punto nel petto - “La bambola sta a guardare.”

 

La bambola sta a guardare.

 

***

 

Angel non lo aveva seguito. Gli era sembrato superfluo e, infine, forse, troppo doloroso.

Avevano perduto, tutti, nessuno escluso. Tutti avrebbero concluso quella giornata mutili di un'amicizia, un amore, un fratello. E nessuno, nessuno di loro sembrava poter emergere dal baratro.

Si rimise in piedi, stancamente, mentre la porta si accostava, girando con lentezza sui cardini, il suono leggero nell'incontrare la serratura.

Si voltò, arrivando a posare le mani all'ampia vetrate. Il segno di due palmi era ancora visibile sulla superficie e Angel, con lentezza, posò le proprie mani in quei contorni.

Edward aveva atteso, a lungo, con chissà quali pensieri. Era come se la superficie ne fosse impregnata, per il sudore, per l'angoscia. Il segno della tempia, il segno della bocca. Edward permeava la stanza e in quel vetro sembrava congelato nell'attimo più buio.

 

Cosa pensavi, qui, in piedi? Guardavi il cielo? Alzavi la testa per una risposta?

 

Chiuse gli occhi, concentrandosi. E la mente ripercorse, fotogramma per fotogramma, il giorno che volgeva al termine.

Era il tramonto. La luce cedeva il passo all'ombra. La luce se ne andava, restava solo il buio.

 

Infilò la mano in tasca, stringendo l'accendino di William. E, portandolo all'altezza del viso, lo accese. La fiamma, verticale e limpida, sfrigolò appena, con una vampata calda sulle sue labbra.

 

Non aveva detto a Edward dell'intenzione di Spike di andarsene. Non aveva ricordato nulla di ciò che, di importante, avrebbe potuto dire. Il sangue di Edward, caldo e dolce nel profumo, aveva cancellato ogni possibile frase, ogni singola verità che avrebbe potuto pronunciare.

 

Ma erano tante le parole che non aveva pronunciato, nella sua vita. Ed ora, le parole mancate erano rimpianti, come le emozioni, gli eventi, le persone.

 

Anche a Spike, quante cose non dette!

 

Spike era stato un po’ come una nuova epifania nella sua esistenza. E solo ora Angel si rendeva conto di non averglielo mai veramente spiegato, di non avergli mai raccontato di quei mesi oscuri a LA, solo contro se stesso.

 

Chissà se ti avrebbe aiutato, ora, sapere tutto l’accaduto… chissà se le parole, davvero, possono cambiare le situazioni e il destino.

Doyle crede di si. Wes cerca di dimostrarlo.

E cordy... cordy non ha mai smesso di parlare da quando la conosco.

 

Solo tu ed io, william, solo tu ed io viviamo la nostra voce come un sentiero di spine. Siamo bugiardi, forse. Ma con noi stessi.

 

Chiuse l'accendino e sentì le pupille mutare allo svanire della luce. Silenzio, solo silenzio. Forse, ragionò, dopotutto, anche se le cose fossero andate diversamente, Edward non avrebbe ascoltato... oppure...

 

La porta alle sue spalle si stava riaprendo.

 

Angel si voltò, in attesa.

 

La freccia, attraversando la stanza, colpì la vetrata passando dal suo torace.

E i cristalli esplosero, cancellando le ultime prove di un dolore lento a svanire.

 

***

 

Wes era immobile, alle spalle di Methos. Era stato il primo ad afferrare Doyle, pochi secondi, no, minuti prima. Aveva visto gli opcchi mutare, aveva sentito, per un tragico momento, di non riuscire a pensare a nulla. Nulla.

Cordelia aveva boccheggiato, poi gridato. Ed era fuggita, il nome di Spike sulle labbra.

Spike, aveva rantolato alla stessa maniera Doyle. E Wes, scaraventandolo sul primo divano trovato in quella confusione di mobili da albergo, aveva sentito il proprio cervello ripartire con uno strappo.

E non senza dolore.

 

La visione si ripeteva, oppure...

Non era la visione a ripetersi.

Ma la scena.

 

Non il vedere, ma il vivere.

 

Edward viveva due volte la stessa situazione. Questo significava la frase di cordelia. Non nel passato, bensì nel futuro.

 

E già successo, certo.. ma succederà ancora.

 

Riguarda il fotogramma... scoprirai che non è quello già visto. Unisci i puntini, segna le differenze... guardami, sto mischiando le carte...

 

Methos era arrivato correndo, i pensieri di Wes si erano confusi di nuovo. Si era solo spostato, per lasciarlo passare, aveva sentito cordelia tossire, fermarsi in corridoio e aveva confusamente pensato che avesse bisogno di aiuto. Ma non si era mosso.

 

Guardami, guardami, guardami.” - ripetè Methos afferrandogli il viso. Le pupille si spostarono dal vampiro all'immortale - “No, non così, Francis. Guarda solo me, in questo tempo. In questo tempo.”

Gettò ogni preoccupazione in fondo alla mente, assieme alla rabbia. E strinse le tempie del demone, con le mani, deciso.

Riunisci il sangue.” - mormorò il demone, senza che nulla mutasse in lui, né il viso né la voce. Solo il sangue, ora, colava più copioso dal naso alle labbra - “Deve andare dai suoi fratelli.”

 

Deve andare dai suoi fratelli.

 

Wes sussultò, quando una mano si afferrò al suo braccio.

Aiutalo.” - disse cordelia, fissandolo, spiritata - “Ascoltami. La visione si ripete e si confonde con una scena costruita ad arte.”

Tossì, respirò a fondo e Spike fu al suo fianco, così vicino da investirli con l'odore del sangue e delle battaglie attraversate.

 

Cordelia sbattè le palpebre, guardandolo. Cercò di controllarsi, ma la visione si distorse, irrefrenabile.

 

Hiperyon, in un passato forse più sereno

 

Solo una cosa non mi è chiara…” – Cordelia si tolse l’elastico dai denti e si legò i capelli – “Perché hai raccontato tutto questo a me?”

Perché hai la nomea di essere una pettegola e volevo avere dei proclami ben fatti.”

Cordelia, suo malgrado, rise.

Dai, smettila.” – si aggiustò la coda di cavallo e iniziò a tornare con la mente alle cose che doveva terminare – “Perché hai scelto me?”

Perché non dovevo scegliere te?” - ritorse lui, accendendosi con aria distratta l’ennesima sigaretta.

Non è tua abitudine, parlare con me… così.” – spiegò Cordelia, finendo di radunare i suoi raccoglitori. Impilandoli pericolosamente sulle braccia.

E restando sinceramente bloccata, quando due dita le strinsero piano il mento, obbligandola ad alzare lo sguardo.

Gattina.” – mormorò lui, con quell’accento inglese ancora così limpido in alcune parole – “A modo tuo, sei una donna della mia vita. Sei un’amica, un punto di riferimento e un inimitabile tormento.”

Oh. Ma che gentile. Avevi iniziato così bene..” – si lamentò la ragazza, cercando di far tornare la conversazione a livelli quotidiani. – “Un tormento, io…”

Non stavo scherzando, Cordy.” – aggiunse Spike, interrompendo le lamentele e togliendole di mano la pila di documenti che dimostravano come anche una congrega demoniaca sia schiava della burocrazia – “Se ti ho parlato di tutto questo è perché… perché sei ben più della ragazza di un amico… sei una donna unica.”

Era stato quieto, nel dirlo. Pacato e semplice, come poche volte riusciva ad essere. Lui, sempre ironico e diretto, rare volte assumeva quell’espressione seria. E solo in quegli attimi tornava ad un’espressione che, Cordelia sospettava, doveva essere stata la sua umana più tipica.

Gli occhi grandi e chiari, di chi ha troppi sentimenti da gestire tutti insieme. E troppe idee e troppe pochi termini a disposizione.

Forse per quello ami tanto tutti quei libri… non hai ancora trovato le tue vere parole… Sospirò e si concesse un’altra silenziosa occhiata. Spike non si muoveva. Non gli dispiaceva essere guardato, lo sapeva. Ma ora, in quel particolare istante, nel non comprendere cosa stesse pensando Cordelia, stringeva impercettibilmente le labbra, riportando lo sguardo alla sfumatura del metallo liquido.

 

Fino a non resistere più.

 

Allora?” – sbottò inquieto, girandosi a spegnere l’ustionante sigaretta che si stava consumando in solitudine.

Cordelia sospirò ancora. Poi, con aria sapiente, lo afferrò per un braccio, quello con cui reggeva la monumentale contabilità e gli schioccò un sonoro bacio su una guancia. Adorava vederlo perplesso.

 

Ed ora... quegli occhi erano di nuovo su di lui, curiosi, in attesa. E cordelia pensò che già un altro ragazzo l'aveva fissata in quel modo, con la stessa disperata tranquillità.

 

Ed era un ragazzo destinato a morire, se lei non avesse parlato.

 

Doyle è un Cantastorie intrappolato in un labirinto.” - aggiunse rapida, guardando ripetutamente sia il vampiro che l'osservatore, cercando di restare lucida, di dare un senso alle proprie sensazioni - “Il sortilegio conduce alla follia, la notte vuole la luce...”

Cordelia...”

No, Wes, ascoltala.” - si intromise Faith, decisa - “La notte... e la follia.”

Drusilla.” - concluse Spike. E, scaturito dalle sue labbra, quel nome portò con è un legame antico e senza pietà.

 

Notte e follia. Drusilla.

 

Wes sussultò.

Ma certo.” - so cosa fare. E si voltò verso Spike.

Non stare impalato.” - disse, rapido, come se la verità fosse grande da non anadare spiegata. Non c'era tempo - “io mi occuperò di Doyle, tu devi salvare Edward. Ora.”

Le pupille di Spike si dilatarono, con consapevolezza. Wes continuò solao a parlare.

A casa di Methos, è con Angel. Ed è in pericolo. Spike, salva tuo fratello da Drusilla. Ha preso già te, non lasciare che prenda lui.”

 

Impediscilo.

Impediscile di nuovo il delitto.

 

Scegli.

La tua scelta è la sua vita.

 

Io le impedirò di prendere Doyle. Corri.”

 

Corri.

 

***

 

Quando la lama era stata sfilata dal suo corpo, con un gesto deciso, Edward si era appoggiato alla moto e poi, senza speranza, era volato a terra, la schiena in fiamme contro il cemento.

Si era girato sul fianco, nel tentativo di rialzarsi. E lei si era chinata su di lui, voltandogli al testa, per vederlo in viso. E sorridergli.

 

Edward...” - sussurrò, con dolcezza - “Mio bellissimo... mio.”

 

Edward la contemplò, l'impressione di avere il corpo a brandelli, gli organi tagliati, schiacciati. Drusilla, l'amore di suo fratello gli rendeva il favore girando la lama nel costato.

Drusilla... aveva pensato tanto a lei, in quelle ore e nei mesi passati.

Drusilla, la carnefice, l'amante, la donna e la vampira. I libri ne parlavano in poche righe, la ritraevano come fragile, morbida, lontana e irreale.

Ma william? William in che termini l'avrebbe descritta? Edward si era interrogato tanto a riguardo. Come avrebbe narrato della donan maledetta della sua vita? Non lo sapeva. Ma, infine, per riampianto e nostalgia, la sua mente aveva creato parole e immagini ad uso e consumo di un segreto mai condiviso.

 

Parole e immagini che ora, senza pietà, sovrapponendosi al reale, invadevano la mente assieme al dolore.

 

Il ricordo mai esistito

 

Si guardava la punta dei piedi. La posizioni indubbiamente lo favoriva. Incrociò le mani sulla stomaco, mosse le dita dentro gli anfibi e stirò le caviglie. Poi, in lotta con se stesso, sospirò.

In principio fu Cecily…”

Un colpo di tosse lo aveva interrotto.

Sei certo di voler partire dall’inizio? Non sei giovane, si attraversano due secoli di storia europea con le tue scappatelle…”

Spike alzò gli occhi al cielo e abbandonò lo scomodo divano, balzando in piedi, afferrando il pacchetto. Lo stritolò quasi, cercando di estrarne una sigaretta e quando fu finalmente avvolto da una confortante nube azzurrina, riprese la parola.

Dicevo, in principio fu Cecily…”

Ebbene sì. In principio fu lei. Forse non la più bella che abbia conosciuto… per molti aspetti… ma era amore. E scaldava, era intenso. La più bella sbornia della mia vita, con un risveglio dei peggiori.

 

Ah. Capisco… succede con il primo amore.”

Mi hai interrotto di nuovo.”

scusami, vai avanti.”

 

Cecily, dicevamo. Poi ho cambiato vita, gusti e amore. E con l’ultimo alito di vita ho imparato ad amare Drusilla…

 

Poetico…”

Non mi interrompere.”

Si, giusto. Non ti interrompo.”

 

Drusilla, dicevamo. Dru… Dru mi è penetrata sotto pelle nell’istante stesso in cui è apparsa dalla notte. La mia Regina nera... Si è presa il mio dolore, il mio amore e la mia vita con un singolo bacio.

E mi ha donato un’esistenza nuova con nuove ambizioni e nuove passioni.

Passione, passione, passione… Angelus era il maestro in questo. La passione ci domina… cosa saremmo senza passione… dio, quanto l’ha ripetuto…e quanto Angel ha ampliato il vocabolario del suo demone in questa era moderna!

Io e lui abbiamo sempre avuto una cosa in comune.. amore… amore per le sfumature ed amore per noi stessi.

Padroni del destino? Lui, forse, quanto a me... mi spiace ammetterlo, ma nel mio destino l’ultima parola è sempre stata di una donna.

Dru… il suo amore erano le stelle… il mio, la sua follia. L’ho amata senza limitazioni morali, senza vedere fine in quel sentimento eterno e morto come noi. Facevo finta di non vedere come la dividevo con Darla, con Angelus… era solo mia, ovunque fosse…

E, nella miglior tradizione dei sognatori, il mio amore poteva bastare per entrambi.

Perché mi racconti tutto questo?”

Perché a qualcuno dovevo decidermi a dirlo… E adesso, se la smetti di interrompermi una volta per tutte…”

Con Drusilla sono andato piuttosto lontano. Il mondo, le mie limitate ambizioni di umano… tutto è naufragato in un valzer durato un secolo… e più ancora.

Da lei mi sono lasciato dominare, con il mio ego sempre sulle labbra… io ti proteggerò, io ti amo, solo io posso renderti bella e felice…io, io, io…. Io per te farò tutto… Io per te, Dru, ho fatto tutto…

Quello che ho cercato di ignorare, in tutti quegli anni…” – commentò rassegnato, dal suo divano, spegnendo il mozzicone nel posacenere a terra – “Era che, per quanto amassi Dru e le fossi fedele, avevo una relazione destinata a diventare la più duratura della mia vita…”

 

Le cacciatrici...”

 

Già. Le cacciatrici.

Le mie Cacciatrici. Tutte mie. Di tutte volevo sangue, amore e…

Tutto. Semplicemente tutto.

Ovunque andassimo io e Dru, la mia meta era sempre lei. L’Acerrima Nemica.

Ne ho uccise soltanto due… due… ma quant’altre sono cadute nella mia rete, anno dopo anno. Il tempo era scandito con i loro incontri. Era l’unico tempo che avesse importanza, non valeva nulla contare la mia vita in tempo umano…

E, alla fine, Dru mi ha scoperto. E mi ha lasciato.

Ecco. Quella è stata l’unica cosa umana in una vita demoniaca.

In un rapporto in cui la moralità non era proprio padrona indiscussa… lei mi ha lasciato per gelosia!

Gelosia, dannazione!

Mi ha lasciato in un ristorantino messicano, con tanto di orchestra.

Io non ero più suo! E bla, bla, bla… tutte stupide parole umane.

E l’accusa di averla tradita, non dimentichiamocene. Tradito lei, Angelus, la mia natura… tradito tutti per un corpo sinuoso e un’anima labile che secolo dopo secolo mutava, rimanendo uguale solo nella definizione. La Cacciatrice.

Un involucro di carne e sentimenti trascurabili, innanzi ad un obbiettivo.

Ma lei, almeno, aveva un obbiettivo. Ed io, vampiro, immortale e ben di animo più affilato… non avevo meta. Mai.

Non potevo tollerarlo. Non accettavo il mio status di preda cacciata… e così, da semplice predatore di uomini, sono divenuto predatore di Cacciatrici.

E Dru sempre con me.. un corpo freddo per accendermi… o per spegnere ogni mia inquietudine…

 

In effetti è una storia un po’ lunga… meglio abbreviare…”

Proprio adesso che iniziava a farsi divertente…”

 

Drusilla gli strappò un sussulto, piantando la spada nella cicatrice che gli aveva provocato Angel poco prima.

Non smettere di sognare, non smettere di guardare le stelle...” - sussurrò, senza rinunciare alla dolcezza. E la lama, nella sua mano, compì ancora mezzo giro nell'involucro di carne - “Non mentono mai... e nascondono sempre la risposta...”

Tu non sai niente delle stelle...” - sibilò Edward. E la vampira gli cancellò il rivolo di sangue, a lato della bocca - “e sei così vigliacca da colpire alle spalle....”

Drusilla non replicò all'accusa. Strinse di più la bambola al petto, guardandolo con gentilezza. La mente di Edward, provata e stanca, non era intenzionata a cedere. Il cuo cervello, seppur a fatica, registrò i particolari, la bambola, non dissimile al tatuaggio del suo aggressore al mattino.

E un sorriso di ironia gli attraversò il viso.

 

Ma certo.. era un labirinto di specchi...

 

Drusilla sorrise, in maniera più aperta.

Si, hai capito.” - annuì, piegando le ginocchia, sedendosi composta al suo fianco. Alcune ombre si profilavano attorno, limitavano il perimetro, si preparavano a fermare ogni intromissione - “Specchi. Difficile distinguere il reale dal riflesso. Solo allo specchio puoi capire se le bambole sono vive.”

Certo.” - tossì, comprendendo che non si sarebbe mai più rialzato dal mare di sangue in cui giaceva. Era ora di attendere il buio, un'ultima volta - “E chi non ha riflesso non ha nemmeno vita...”

La bocca della donna si imbrociò lievemente, prima di dischiudersi in un sorrisetto di perdono.

Ssss... non parlare.” - lo ammonì, un dito sulle labbra - “Devo contare i battiti... devo ascoltare il tuo cuore per sapere quando. Tic tac tic tac...”

Oh, si.” - rise Edward, chiudendo gli occhi. Drusilla lo stava baciando e la sua bocca scendeva dalle labbra verso la gola, coem velluto - “Tic.. tac...”

 

Tic tac, il tempo che passa.

Tic tac, il tempo che cambia.

 

Tic...

 

***

 

Sinead lo ripeteva spesso, senza nessuna forma di autocommiserazione.

 

La mente di un Cantastorie è delicata, Methos. Le informazioni consapevoli viaggiano nelle loro corsie, ma le visioni e le sensazioni non fanno altro che tagliare la strada, importunare e tamponare. Abbiamo autostrade senza controllo e non possiamo fare altro che sperare che non ci siano troppi incidenti. Ma... esiste un caso...”

La bocca le si induriva, quando era spaventata. Fingeva fosse rabbia, contrarietà, ma Methos la conosceva. E baciava spesso quel broncio per infonderle calore.

Ma esiste un caso in cui la situazione può diventare catastrofica. Si può interferire nella mente di un Cantastorie, basta possedere le stesse doti.”

Essere un altro Cantastorie, intendi dire?”

Si, oppure, essere dotato di preveggenza, astuzia e, non dimenticare, malvagità. È la malvagità che rende potente l'attacco. Le visioni si possono distorcere, deviare, nascondere e, tornando alla nostra metafora, si può obbligare una macchina a continuarea passare dallo stesso punto.”

Non ti seguo. Cosa intendi.”

La visione si ripete, si ripete, si ripete ancora. E non smette mai di far male, anzi. Progressivamente il dolore diviene sempr epiù forte. E, infine...”

Infine...”

Infine le corsie cessano di esistere. E ogni idea, ogni singolo pensiero si fonde con un altro. Ed è la fine.”

 

Se era ancora vivo, lo doveva solo alla sua natura demoniaca. E methos, seduto a terra e non propriamente certo di essere lucido, non riusciva a smettere di pensarci. Il demone, il demone, il demone... era tutto ciò che poteva salvarlo. L'unica positività in un mare di disastri.

 

Si, forse dopotutto, era lucido. La sola idea lo faceva ridere.

 

Era come se le iridi di Doyle stessero svanendo. Faith non osava più fissarlo in viso. Il bianco, venato e lattiginoso, attraversava l'azzurro come una crepa. E Doyle, privo di un'espressione, soffiava tra le labbra frasi sconnesse.

Innanzi a lui, le mani strette tra le sue, c'era ancora Methos. Calmo, forse solo in apparenza, ma deciso a non muoversi e a non smettere di parlargli.

Guardami.” - ripeteva, con decisione. E Doyle ubbidiva, le pupille dritte nei suoi occhi. Senza vederlo.

 

Wes era sparito, correndo e trascinandosi dietro cordelia. Faith sospettava che non gli occorresse aiuto, che sapesse precisamente cosa fare ma che non volesse spaere la ragazza innazi a quell'orrore.

La sua impressione era avallata proprio dall'immobilità dell'immortale.

 

Guardami, Doyle.

Doyle, guardami.

 

Era come se lo mantenesse legato per un filo a se stesso, al contingente, al presente. Faith, seduta a terra, la schiena contro la parete, poteva solo sperare che tutto stesse procedendo, in qualche modo.

 

Perchè sapeva di non poter fare nulla, di nessun genere.

 

Non poteva combattere, non aveva avuto nemmeno la forza di arrivare ai cancelli dell'albergo. Si era dovuta sedere, ansimando, lasciando che i passi di Spike divenissero sempre più lontani e confusi. Ed era tornata indietro, scoprendo Wes già a metà di una rampa, con cordelia a fianco. Aveva cercato lorne, trovando il cellulare spento. Aveva fracassato il proprio in un moto di impotenza. Ed era tornata a sedersi alle spalle di Methos, in attesa.

 

Ed ora gli occhi di Doyle, o quel che ne restava, la fissavano.

 

Sei pronta, Faith?” - domandò, tranquillo - “Sei la prescelta, il tempo ti ha atteso a lungo.”

Faith lo guardò, senza tradire emozione. E Doyle proseguì, la testa nella sua direzione, la stessa voce da comunicato meteo.

La fine non è lontana, Faith. E, dopo sarete intrecciati per sempre. Non temere.” - spostò la propria attenzione, cercò nuovamente lo sguardo di Methos - “Avrà ancora bisogno della tua guida. Proteggi la tua vita per la sua.”

 

Si sarebbe aspettata che Methos non rispondesse. Che negasse.

Ma, quell'uomo, sapeva sorprenderla, sempre.

Perchè stava annuendo.

 

Lo so.” - rispose, con gentilezza, continuando a stringergli le mani tra le proprie - “Lo so dalla prima volta che l'ho vista.. era eresia e non fede già allora...”

 

Faith si mosse, per avvicinarsi, una domanda, la prima di molte, già sulle labbra. Ma Wes, apparendo con un libro e alcuni oggetti tra le mani, cambiò le sue priorità e la sua traiettoria.

 

***

 

Non è il momento di sorprendersi, disse Angel a se stesso, afferrando l'asta e tirando deciso verso l'alto per liberarsene. Era riuscito a restare in piedi e non lo aveva fatto per fortuna o per resistenza.

Lo aveva fatto per rabbia. Perchè inizava ad essere stanco di questa situazione. Strappò la freccia, deciso. E la seconda che lo raggiunse, nemmeno troppo lontana dalla prima, gli sembrò scortese e inopportuna.

 

Abbastanza da caricare come un toro il proprio aggressore.

 

Forse il vampiro che lo usava da bersaglio non poteva entrare ma Angel, senza ombra di dubbio, poteva uscire.

 

E questo era soltanto l'inizio dei guai dell'esercito di Drusilla.

 

Il vampiro armato di balestra abbassò l'arma per caricare. E, tra le sue braccia, due mani gli raggiunsero il torace, impugnando dardi come se fossero pugnali.

Sorpreso, si sentì sollevare e inchiodare al muro.

Grazie.” - si sentì dire, mentre diveniva cenere - “mi serviva proprio un'arma.”

 

Angel prese al volo la balestra, prima che toccasse terra. E la usò impropriamente verso il primo, il secondo, il terzo suo simile che incontrò in corridoio.

Poi, senza soddisfazione e sentendo crescere a dismisura l'esasperazione, imboccò la rampa delle scale per il cortile e corse, con l'impressione di non aver fatto altro per tutta la giornata.

 

***

 

Tic... tac...

 

Drusilla si portò il polso alla bocca, lacerando con precisione. E si protese su di lui, per un ultimo bacio.

 

Tic...”

 

Tac!” - ringhiò una voce alterata, afferrandola per le spalle e scagliandola lontano. La vampira rotolò fino alla base di un muro, la bambola rimase nella polvere, dove un anfibio le sbriciolò la testa con un colpo secco.

Edward sentì una mano premere sulla sua gola. Aprì gli occhi, a malapena, ritrovandosi a fissare un viso, tanto vicino da sorprenderlo.

 

Non ti sento respirare. Non sento il tuo respiro.” - sussurrò, chiudendo gli occhi.

Sei perspicace.” - fu la risposta, decisa. Decisa come la mano che gli chiudeva la ferita sulla gola - “E' il primo dei grandi cambiamenti nel nostro rapporto. Abituati.”

 

Edward poteva anche sentirsi morire, ma voltò la testa. E Spike fece qualcosa di inaspettato. E splendido.

Gli strizzò un occhio.

 

Resta vivo.” - sussurrò, spudorato - “Torno subito.”

 

Poi scomparve, come se non gli fosse mai stato a fianco. Ed Edward pensò che valeva la pena soffrire per concedersi una risata di pura gioia.

 

Resto qui. Non mi muovo. Ma muoio.

E anche questo è un grande cambiamento nel nostro rapporto.

Aspettami... torno subito anch'io.

 

***

 

No, ferma.” - Angel era passato attraverso la polvere di due sgherri, arrivando tempisticamente su Drusilla mentre si rialzava. E, tenendola per la gola, l'aveva obbligata a restare in piedi, contro al muro. Il suono della sua mandibola che si incrinava gli piacque e lo nauseò allo stesso tempo - “Quale parte delle mie richieste non ti è ancora chiara?”

Quella in cui si specifica che lui è mio. E di nessun altro.” - comunicò Spike, arrivando a insinuare la propria mano sotto quella di Angel - “Flagello, stai sanguinando, lasciala a me.”

Per un pelo Angel non la lasciò andare più per la sorpresa che per la richiesta.

 

E quello Spike da dove era saltato fuori? Non era troppo simile allo Spike di sempre per essere figlio di quella giornata?

 

Dopo parliamo.” - disse Spike, rifilandogli un'occhiata obliqua. E c'era tutto il loro mondo dentro - “Adesso discuto con lei e tu fai il lavoro sporco.”

 

Sono qui.

Sono con te.

 

Sono qui per mio fratello.

 

Una frazione di secondo prima

 

Drusilla volo' oltre alcuni bidoni, sbattendo con suono secco contro la parete. E, nell'attimo in cui angel le fu addosso, spike si volto', con l'impressione di muoversi con lentezza agghiacciante.

Edward giaceva a terra, riverso, i capelli biondi macchiati da un'assurda quantita' di sangue rosso e stranamente lucido. Con un singhiozzo mal represso, spike ebbe l'impressione di rivedere se stesso, la stessa vita ormai svanita dagli occhi, la stessa espressione di perplessa curiosita' per la propria morte.

Debole, ai piedi di Drusilla e in attesa.

 

William aveva atteso Angel. E ora... ora si chinava su Edward.

 

Lo raccolse maldestramente tra le braccia, resistendo al desiderio di posargli al testa sul petto. Nell'averlo tra le braccia, per la prima volta da molto tempo, sentì di avere freddo, battere i denti e si domando' se potesse essere tutta un'impressione.

Aveva poco tempo, si rese conto, percependo il suo respiro troppo lieve, il battito lento e inesorabile del cuore. Avvicino' il viso, cercando l'odore speziato del sangue di Dru. C'erano alcune gocce, a terra, persino sulla camicia di edward, ma non sulle sue labbra. Quello in cui giaceva, che lo impregnava, era suo, fino all'ultima cellula.

 

Suo. Loro.

 

Strinse gli occhi, lo strinse piu' forte, per il sollievo. Provo' un fuggevole attimo di pace, seduto a terra, un singolo istante, riadagiandolo. Doveva occuparsi di Drusilla, doveva aiutare angel con gli altri vampiri... doveva.

Ma, in quell'istante Edward aveva aperto gli occhi. E Spike, per allontanarsi, aveva avuto bisogno tutta la forza di volonta' di cui era capace.

 

Lavoro sporco?” - domandò Angel, staccandosi dalla gola della vampira e dalle mani del sua personale spina nel fianco - “Quale?”

 

Edward era ancora a terra. E l'odore del suo sangue impregnava l'aria rendendola miele. Era debole, ma aveva un motivo per vivere, ora.

E tutto sarebbe andato meglio. Meglio, perchè forse non si poteva tornare indietro ma, a quanto sembrava si poteva andare avanti.

Fino al cielo.

 

Angel mutò il voltò, fissò i primi irresponsabili che si avvicinavano per avere la sua testa.

Io non vedo lavori sporchi.” - sibilò, allegramente - “ma solo tanta sana attività fisica...”

 

***

 

Ok, ora!” - ordinò Methos, mentre il bianco invadeva anche l'ultimo spazio ceruleo rimasto.

 

E Wes spaccò il cristallo, con decisione.

 

Fatto. Reciso il collegamento, pensò, vedendo i cocci mutare colore da rosso a trasparente. Fuori Drusilla dalla testa di Doyle.

 

Poi cadde il silenzio.

 

Seguito da un'imprecazione oscena che li fece voltare tutti.

Non sono stata io.” - replicò Faith, precipitosamente. Seduta quasi sui suoi piedi, tenendosi la testa tra le mani, cordelia stava lanciandosi in una sfilza di parolacce e urla senza limiti.

Di rabbia, in particolar modo.

Wes, cacchio!” - sbraitò, senza controllarsi - “Ma hai idea di quanto faccia male?”

Lui no, ma io si.” - bofonchiò Doyle, tenendosi la fronte. Aveva di nuovo gli occhi azzurri e la voce roca da fumatore. Methos fu così contento di sentirlo bobottare in quel suo improponibile acccento irlandese da non resistere a rifilargli un sonoro bacio sulla fronte stritolandogli il collo con un braccio.

idiota, irresponsabile, gallina senza cervello...” - bofonchiò, senza smettere di stringerlo e pungerlo con la barba - “... che non sei altro.”

Poi uno scappellotto, senza pietà. E l'ultimo grande e lapidario insulto.

Tale e quale tua madre.”

Grazie.” - sospirò il demone, finendo di strofinarsi gli occhi e alzando la testa - “stai bene principessa?”

cordelia, seduta per terra, annuì. Era andato tutto come aveva detto Wes: aveva sentito il contraccolpo su Doyle come uno schiaffo, come se qualcuno le colpisse le meningi con una mazza.

E, per essere solo un contraccolpo, le era sembrato terrificante, tanto da non osar guardare Doyle.

 

Poi aveva sentito la sua voce. E si era sentita bene, bene come non mai.

 

A meraviglia.” - rispose, dunque, con naturalezza - “Non appena riuscirò ad alzarmi preparerò del the per tutti. Wes?”

Sembrava surreale ma era un sollievo senza limiti poter parlare con quell'incuranza, seduti nel proprio salotto, dopo un rituale magico che doveva mantenere le loro anime ancorate al corpo e i loro cervelli in sede e ben funzionanti.

 

Ma, pensandoci bene, era la loro routine.

La comune routine di una lunga giornata di lavoro.

 

Tutto a posto.” - mormorò l'osservatore chiudendo il libro e posandolo in cima agli altri - “non ti preoccupare del the, lo faccio io.”

Ma siete impazziti?” - Faith aveva l'impressione di essere caduta dentro una sitcom molto rosa e molto zuccherosa - “il the? Come stai? Ma restate seri, per favore!”

Spalancò le braccia, sbalordita.

Gente, siamo in emergenza, Doyle non è diventato scemo per miracolo, Wes si è appena abbandonato ad un quarto d'ora di magia nera e voi parlate di the? Ma io a momenti non ho nemmeno capito cosa sia successo!”

esitò. Poi aprì la bocca e urlò ancora.

E Spike? Non pensiamo di aiutarlo?”

Ha ragione.” - sussurrò Doyle, guardando l'immortale - “Dobbiamo andare.”

No, non dobbiamo.” - replicò Methos, con calma - “siamo in ritardo. E saremmo di troppo.”

Sorrise, triste.

Non si va in comitiva all'appuntamento con il destino.” - aggiunse, spostandosi e permettendo a cordelia di prendere il suo posto e deliziare Doyle con un vero, sincero, genuino bacio. Soprattutto perchè non dubitava che sarebbe stato coronato con uno scappellotto punitivo - “Torneranno.”

Torneranno, Methos? Sai anche chi?” - lo provocò Faith, fronteggiandolo.

 

Adesso lo sai? Sai davvero chi varcherà la porta di casa?

 

Ed egli, di tutta risposta, la spinse gentilmente indietro, su una poltrona.

No. Non lo so. Spero, come te. E non intendo fare altro, in questa storia.” - rispose, deciso. Non posso fare altro, se non sperare che si arrivato in tempo - “Abbiamo dato un taglio alle ingerenze di Drusilla nella nostra vita, potevampo e ci siamo riusciti. Per il resto, non abbiamo di che preoccuparci. Spike renderà definitivo il nostro operato, senza ombra di dubbio.”

 

Le posò una mano sulla guancia, fissandola dritta negli occhi.

 

So cosa provi. Ma tu sai come si vive in questo nostro mondo.”

 

La cacciatrice levò gli occhi verso i suoi. E non le servì una risposta, perchè Methos comprendesse.

 

Si, Faith sapeva. E capiva. Ed anche se la sua grande dote era cambiare ciò che non poteva accettare, rimase comuqnue immbile, al suo posto.

 

Faith aveva paura, paura per chi amava. E Methos, come ogni presente nella stanza, condivideva quell'emozione e quel peso. Sapeva aver paura, sapeva essere terrorizzato dall'ignoto. Ma sapeva anche come resistere. E non cedere mai senza combattere.

 

Non possiamo fare altro, Faithy.” - concluse, con un'alzata di spalle - “E non sciupare al mia sutura, resta ferma. Il the, Price? Cominciamo dal raccogliere le foglie?”

 

***

 

Credevo di averti detto che, se gli avessi torto anche un solo capello...” - la mano si fece più stretta, Drusilla gemette di piacere - “Io ti avrei ammazzato.”

Dru lo fissò, gli occhi in una risata. Poi qualcosa in lei si distorse, facendole sbarrare lo sguardo. E un lieve rivolo di sangue scivolò sulle dita di Spike.

Bene.” - disse lui, accentuando il sorriso storto - “Vedo che a casa hanno fatto un buon lavoro...”

 

A casa è tutto sotto controllo.

 

Non potete averlo...”

Oh, si, piccola mia. Il nostro Cantastorie è un fuoriclasse, non si limita ad ascoltare quattro costellazioni di seconda categoria. Il tuo giochetto delle visioni è finito. Ora...” - altra stretta, sempre più vicino - “Parliamo di cose più importanti.”

Dividilo con me.” - implorò lei. Pronta, capricciosa, deliziosamente infantile - “Staremo insieme, per sempre. Tu e lui, con me...”

Ci sono già passato Drusilla, tu non sei divisibile tra due uomini. Scordatelo. E poi, a dirla tutta...” - con le labbra avrebbe potuto incendiarla, con gli occhi lo stava già facendo - “... penso di non avere più interessi nei tuoi confronti.”

Allargò le dita, arretrando di un passo.

 

È un addio, questo.

 

Vattene. Vattene ora. E non azzardarti nemmeno a pensare di poter far del male a mio fratello.”

 

Non l'ho morso, amore mio. Non l'ho morso per farti un piacere ma lui berrà, berrà il mio sangue.” - si portò le mani al petto, estatica - ”Il tuo marchio, il mio sangue, sarà nostro, nostro in eterno.”

 

No, Dru. Il suo sangue, il mio sangue. Il mio marchio...” - esitò, prima di accettare di dirlo - “la sua luce.”

 

La sua luce.

 

Fu in quell'attimo che Spike si rese conto di non desiderare altro che voltarle le spalle e andare da Edward, per chinarsi su di lui, per parlargli, chiamarlo per nome.

Edward. Edward era tornato. E non era servito a nulla cercare di sfuggire, negare, soffrire. Edward, ora. E per sempre.

 

Per sempre.

 

La mia luce, Dru.” - sorrise, libero, di nuovo giovane, di nuovo umano come non si era mai più sentito - “L'ho ritrovata, non la lascerò più fuggire.”

 

Non ci saresti mai stata, avessi avuto Edward al mio fianco. Avrei avuto una vita breve, fragile e forse ugualmente ricca. Ma non la rimpiango, non la rimpiango più.

 

Forse è vero. Forse ho un destino da compiere.

Ma ciò che so, oggi, è che mio fratello è tornato. E del resto non mi importa.

 

Forse non sono più chi ero. Non lo sarò mai più, tranne che per una piccola e trascurabile porzione di cuore. Ma, dentro quel frammento, porto sempre te, ho sempre portato te. Ora, allora, sempre. Sei il mio pulito, Edward, sei tutto ciò che inseguo, ancora e ancora.

 

Non ti lascerò andar via, mai più. Te lo giuro.

 

Addio, Dru. Non abbiamo più nulla da dirci.”

 

Drusilla si strinse le mani e il segno della sconfitta le attraversò i lineamenti.

 

Si. Questo è il nostro addio. Mi hai dimenticata.

 

Non mi volterai ancora le spalle.” - rantolò, afferrandolo con la braccia e stringendolo in una morsa. Gli occhi divennero cangianti, i lineamenti mutarono - “Non ti lascerò andare via... non tornerai da lui.. da lei... io ti ho condotto fino a qui, io...”

 

Ed io posso distruggerti, assieme al tuo destino, uccisore delle cacciatrici, amore mio.

 

Lo morse, decisa, con una tale violenza che Spike non riuscì a reprimere un urlo. Provò a divincolarsi ma la presa sulle braccia sottili di lei gli divenne impossibile da spezzare, mentre la vista, rapidamente, si riempiva di macchie.

Ancora i tuoi trucchetti....” - sospirò, scandendo malamente le parole. Le tempie sembravano sul punto di scoppiargli, la vista gli si appannava. Era Drusilla, con il suo profumo e le sue doti, con la rabbia incontrollabile per non essere più parte di quella famiglia che adorava.

 

Drusilla, strega incantatrice, regina nera come morgana.

 

Era vorace nell'affondare i denti, una tigre decisa a dilaniare la preda. Spike sentì la mano premere dietro la sua testa e discendere ancora, affondando le unghie nella carne, sul busto.

Lo stava dissanguando, gli impediva di muoversi, indebolendolo.

E chiuse gli occhi, frastornato. Le lotte, il sangue perduto in quelle ore, la tensione... si maledisse per la propria incoscienza. L'aveva sottovalutata, era stato certo di spezzarla e...

 

E non riusciva a salvarsi da solo.

Avrebbe perso. Perso, ad un passo dall'avere tutto.

Angel.” - sussurrò, come una preghiera.

 

Aiutami.

 

Ed Angel si voltò, seguendo la sua voce, nitida nella mente. Quando li vide, sentì la rabbia evaporare per divenire furia. Drusilla stringeva Spike per la vita, per il torace, il viso affondato nell'incavo del collo.

Come secoli prima, in un vicolo londinese, la testa bionda di Spike si stava inarcando indietro, indifesa.

 

L'abbraccio di morte della loro stirpe, senza pietà e senza rimorso.

 

E Drusilla ne rubava l'anima e la volontà di vivere.

 

Perchè, se non poteva riaverlo con sé...

 

No, no, no.” - sussultò Angel, scattando.

 

Non ora. Non ora che sono così vicini uno all'altro.

La mano di Drusilla stava risalendo, stringendogli il collo, pronta a spezzarlo. Angel tese le mani, alzò la balestra cercando di mirare. Ma la vampira, intuendolo, si piegò sulla propria preda, frapponendola.

 

Poteva colpirla solo attraverso william.

E sapevano entrambi che non lo avrebbe fatto.

 

Quello che non sapevano era come una spada, ruotando, potesse arrivare a segno ben prima di Angel.

Il metallo fischiò e mutò in un suono pieno e denso conficcandosi nel fianco scoperto. Con la coda dell'occhio, Angel vide Edward rialzarsi, barcollando, un ginocchio a terra, la mano nella polvere.

 

Un lancio preciso, letale e pieno di odio. Di vendetta.

Così volevi che fosse, Coventry. E,come sempre, non siamo statio in grado di fermarti.

 

L'abbraccio tra Spike e Drusilla si lacerò con inaudita violenza. Drusilla sbattè nuovamente al muro, scivolando a terra, mentre Angel, per un soffio, mantenne in piedi Spike e, con la stessa rapidità, lo pose alle proprie spalle.

 

***

 

Spike aveva sentito il proprio sangue defluire senza potersi difendere. E poi uno strappo violento, che lo aveva fatto soffrire.

Drusilla aveva mugolato, i denti ancora nella sua pelle, prima di svanire da contro il suo corpo. La mente gli si era snebbiata, come attraversata da un fiume d'acqua gelida.

 

Si era sentito barcollare, afferrare per le braccia. Odore di una giacca di pelle ben tenuta, di sangue demoniaco e furia.

 

Angel, Angel lo aveva salvato, come sempre.

 

Ma le mani erano cambiate, in maniera inaspettata.

 

Il vampiro bruno lo aveva lasciato andare, rassicurandolo con un'occhiata infinitesimale, scivolando tra lui e Dru. E altre due braccia lo aveva preso, senza riuscire a sorreggerlo, senza riuscire ad arginare la caduta scomposta a terra.

Fermo.” - sussurrò Edward, assestandoselo contro al torace e risalendo con le mani verso il suo collo. Lo teneva con entrambe le braccia, la schiena di Spike contro al suo petto, con l'intenzione di non lasciarlo mai più andare - “Sei con me, non ti succederà nulla...”

Non toccare la ferita.” - replicò Spike, afferrandogli le mani. Le mani di Edward, le dita da pianista perennemente calde.... sentì gli occhi divenire roventi e li chiuse - “Per te è veleno, non lo toccare... Edward...”

 

Il tuo... nome...

 

Le mani cedettero alla sua pressione, tornando verso il torace. E Spike, senza lasciarle, protese la mano libera indietro, tra i capelli, lungo il suo collo, il suo viso.

 

Edward.” - ripetè, soltanto - “Edward.”

 

Non cercava nulla, non voleva nulla, solo sfiorarlo, sfiorarlo e ricordare.

 

Ma nemmeno i ricordi avevano più importanza.

Perchè Edward era con lui, nel tempo presente.

E il passato, ormai, era cenere.

 

***

 

Drusilla fissò Angel, il sangue di Spike sulla bocca, sulle ciglia. Con le mani stringeva la spada, ancora conficcata nel suo corpo ed Angel, senza attendere richiesta, puntò un piede sul suo petto e sfilò la lama.

Drusilla gorgogliò, accasciandosi di fianco, ai suoi piedi.

 

Non sai uccidermi nemmeno ora...” - rantolò, lo sguardo rivolti alla polvere - “Continui a non volere, Angelo mio. Per quanto faccia...”

Alzò la testa. E gli occhi apparvero nel loro splendore originario, di indaco e viole, dipinti di consapevolezza.

Per quanto io possa, tu non puoi uccidermi.” - aggiunse, lucida. Lucida, perfetta e orribilmente spezzata nell'animo - “Angel, devi lasciarmi andare.”

 

Angel, la spada stretta in pugno, non si mosse.

 

Quegli occhi feriti, quella bocca rossa di sangue e disperazione gli aprirono come un varco al centro del petto. E dentro, Angel, ebbe l'impressione di sentirsi riversare le urla disperate di ogni sua vittima.

 

Lasciami andare.

Lasciatemi andare.

Vi imploro...

ti prego.

 

Drusilla, a terra, implorava per la propria fine. Ed era di nuovo la ragazza atterrita e innocente che Angelus aveva cercato, rannicchiata nell'angolo della cappella, al convento.

 

Non si può tornare indietro.. e non si può dimenticare.

 

Il destino di william sta per compiersi.” - aggiunse Drusilla, alzando la testa. Il suo corpo era scivolato a terra, il suo viso pallido era quasi nella polvere - “Non potrai salvarlo un'altra volta, Angelo mio. Uccidimi. Uccidimi, perchè nel futuro che si sta per scrivere non esiste un posto per me.”

Dru...” - strinse più forte la spada, sentendola scivolare. Non disarmato, non disarmato innanzi a quell'orrore - “dimmi cosa vedi... amore...”

 

Amore mio, bambina mia, mia luce nera...

 

Anime e sangue vi hanno condotto fin qui.” - rispose, docile alla sua preghiera - “Ora non vi resta che combattere il destino, un'ultima volta.”

Non è abbastanza. Devi dirmi altro.”- deglutì, piegandosi sui talloni - “Devi dirmi altro, se vuoi che io lo salvi.”

 

Tu lo vuoi, quanto lo voglio io.

Ti prego, Drusilla... aiutami a proteggere william.

 

La mano della vampira gli strinse il maglione, afferrandosi ai punti lacerati dalle frecce. Erano rimasti soli, ogni vampiro che l'avesse appoggiata era ormai polvere nella polvere, sui loro vestiti, sotto i loro corpi.

 

Non c'era nulla, non c'era battaglia.

Solo un silenzio innaturale su una città sempre viva in cui l'oscurità sembrava non esistere.

Solo silenzio. E oscurità, l'ultima rimasta.

 

Tennero fino alla fine... Nessuno li seppe piegare...” - mugolò Drusilla, come una litania, raddrizzandosi lentamente, fino a fronteggiarlo, in ginocchio. Gli occhi viola erano pieni di stelle, le labbra, morbide, erano sulle sue - “Non dimenticare...”

 

Perirono i loro corpi,

Ma le anime loro saranno immortali

Fra le ombre saran condottieri,

Fra i morti saran eroi

 

Poi lo lasciò andare, senza smettere di cercare il suo sguardo.

Addio, Angelo mio.” - sussurrò, posandogli ancora un bacio sulle labbra - “Addio per sempre.”

 

Tutto riconduce a te, amor mio.

La mia follia, il mio dolore, la mia tenebra, la sua morte.

Tu ed io lo abbiamo donato alla leggenda.

 

Persino la sua dannazione è stata necessaria, per portarlo fino a te, ancora, e di nuovo alla sua anima, alla sua vita, alla sua luce.

Oggi tutto si compie e tutto inizia, nel riunirsi del sangue.

 

E che egli sarà l'eroe che deve essere, fino alla fine.

 

Addio.” - soffiò ancora, con una lacrime nella scia del sangue sparso. Una lacrima su un mare di sangue.

Andrai lontano, vero?” - non posso... non posso nemmeno ora...

Si, Angel, te lo prometto... andrò lontano.” - e non tornerò mai più.

Va bene.” - rispose, stanco, le labbra a cercare ancora le labbra. E si alzò, con lentezza, tardando il più possibile, prima di voltarle le spalle.

 

Per non dimenticarla, per non dimenticarla mai più.

 

LA, la citta' degli angeli, 2004

 

Drusilla accennò un passo di danza intorno al montante dell’altalena, con aria sognante. Poi scivolò a terra, macchiandosi di polvere, con una risata incontrollabile.

Piegò le ginocchia, mutò il volto continuando a ridere. E tacque, ansimando, fissando il cielo.

Sapevo che saresti venuto.” – sussurrò, voltando la testa verso di lui – “Sei come la notte che avanza… il buio che inghiotte…”

 

O forse sono solo un pazzo come te, pensò Angel, arrivando all’altalena e sedendosi. Strinse le catene tra le dita e allungò le gambe, pensosamente.

 

Amore mio…”

Smettila Dru.” – rispose, ignorando il suo profumo e i suoi occhi viola ancora pieni di luce – “Non serve a nulla tutto questo tuo malcelato affetto. Non lo voglio.”

Eppure ne hai bisogno…” – si era seduta, allungando le braccia sopra la testa lasciando che i capelli ricadessero a lunghe onde sulle spalle – “Lo sento…”

inaspettatamente Angel ridacchiò, piegando la testa.

Io invece sento solo che siamo una coppia di stupidi.” – ribattè, dondolando appena, sui talloni – “E senza suggerimenti astrali…”

Drusilla inclinò la testa, sorridendo. Sembrando incredibilmente dolce. E umana.

Angelo mio.. che guaio la solitudine…”

 

Spike era sparito da oltre un mese. Come amava ripetere Wes, con l’aria di chi ha capito che lo schema universale è una presa per i fondelli, “Guadagnato un osservatore e perso un vampiro”.

Frase ormai molto diffusa, in varie intonazioni sarcastiche, tra le quattro mura di casa.

Eppure per quante fossero le battute, nulla smorzava il malumore imperante. E, soprattutto, l’ostinata politica di non collaborazione che si era istituita tra i vari piani dell’Hiperyon e che spadroneggiava sotto una quotidianità decisamente apparente.

E, tra i vari segreti, il peggiore era quello di Angel.

Angel, che si dava appuntamento con Drusilla, alle spalle di tutta la famiglia che la sua anima si era scelta, assecondando una certa inquietudine senza nome.

Qualcosa che, in barba alle riflessioni e alle giornate insonni, continuava a non intuire.

 

Drusilla spense la risata in un ultimo sorriso, inclinando nuovamente la testa, cominciando a canticchiare, lisciando l’orlo di pizzo della camicetta.

Quanto vorrei mi spazzolassi i capelli.” – sussurrò, a sguardo chino – “Come tanto tempo fa…”

Non torneremo a vecchie abitudini, Dru.” – la interruppe, accendendosi una sigaretta. Si, fumava pure da quando non riusciva a dormire – “Se vengo qui, di tanto in tanto, è perché voglio informazioni. Informazioni vere, di qualunque genere siano.”

Ma tu sai già l’unica verità.” – rispose, trasognata – “lui ama lei, lei ama lui… hanno scritto bellissimi libri su storie del genere.”

L’aveva detto con un tono perfettamente presente, quasi sarcastico, mutando, a metà della frase. Ed Angel la guardò bene in viso, mentre si alzava, lisciando il semplice completo, la lunga gonna blu notte. Una bella donna, pallida ed elegante, misteriosa.

Nulla di più. E non di certo la veggente che l’aveva accompagnato negli anni ruggenti del massacro. Come le accadeva talvolta, per motivi inspiegabili, tornava lucida. Ed appariva troppo forte. Irritante, a detta di Darla.

Ti serve sapere altro?” – insistette la vampira, fermandoglisi di fronte, a braccia conserte. Obbligandolo ad alzare la testa per guardarla. E perdendosi nel mare scuro degli occhi del Flagello.

Mi serve sapere da cosa Spike stia fuggendo.” – replicò, con calma.

Chedilo al tuo cuore…”

Il mio cuore mi ha già detto, Dru. Ma ciò che mi sfugge è cosa il cervello di Spike abbia detto a Spike. Non quello che il cuore ha comandato.” – Angel si interruppe, fissando un punto imprecisato oltre le spalle – “Tu sei la causa scatenante di tutto questo. Ma il mio istinto non fa che ripetermi che non sei tu il problema, non il principale. Qualunque cosa sia.. l’hai portata tu. E ora mi dirai di cosa si tratta.”

 

L'aveva sempre ascoltata. L'aveva sempre amata. Anche nell'odiarla.

Perchè era la stata la sua bambina, ben prima di faith.

Ed il peggiore dei suoi peccati.

Ma era stata sua, in tutto, come poche altre nella sua vita. E mai nulla, mai nulla aveva eguagliato l'intimo segreto di amarla, sempre e comunque.

 

E, nel bene e nel male, lasciandola rannicchiata a terra, nella polvere, quella notte, sapeva e sentiva che non l'avrebbe mai più rivista.

 

"Angelo mio... che guaio la solitudine..."

 

***

 

Andiamo.” - disse soltanto, fermandosi. E i ragazzi Coventry alzarono la testa verso di lui.

Avevano lo stesso sorriso e si somigliavano così tanto che Angel provò una fitta al cuore.

Vi siete ritrovati. E vi appartenete, da tutta un'eternità

E quell'eternità, in voi, nei vostri occhi, alberga da sempre.

Siete dei rottami.” - commentò, forzatamente, per smorzare l'angoscia – "Vi vedeste...”

Tu invece dovrai rifarti il guardaroba.” - ribattè william, fissandolo. Aveva gli occhi brillanti e sembrava intenzionato a non muoversi dal cerchio delle braccia di suo fratello - “problemi di tarme? Quella maglia è tutta un buco...”

Qualcosa del genere.” - sospirò, tendendogli la mano - “Andiamo a casa? Prima che piombino tutti qui... e che methos veda la sua vetrata...”

Ottima idea."

 

E fu quando sentì le dita tra le sue, quando vide Edward piegare il ginocchio per alzarsi, che Spike urlò.

 

Urlò, tirandolo a sé.

 

E, in un secondo che Angel non avrebbe mai avuto la certezza di ricordare, tutto accadde.

E Drusilla fu polvere.

 

***

 

Quando il primo lampo di luce gli attraversò gli occhi, Doyle non disse nulla. Semplicemente chiuse le palpebre e, sdraiato su quel divano che stentava ad abbandonare, finse di dormire.

 

C'era stato Edward, in quel flash, per un rapido istante.

Edward sorrideva, seduto a terra, stringendo a sé william.

 

E william... william non era il ragazzo magro e indefinito intravvisto in qualche sogno distratto e premonitore, bensì il vampiro di oggi, nel pieno della sua eleganza.

Sangue, occhi brillanti e sorriso.

 

Spike.

 

Spike e Edward, insieme come fratelli. Per sempre.

 

L'immagine gli piacque, lo intenerì. Ed Angel, poco dopo, gli percorse la spina dorsale come una nota malinconica. Angel, il fratello del buio e Spike tra le braccia della luce.

Avrebbe voluto rassicurarlo.

Ma non poteva.

Era una visione, null'altro. E Doyle non era certo che fosse già realtà, soprattutto dopo un giorno intero passato a subire i giochetti di Drusilla.

Non era reso conto di essere stato manipolato, fino a che non era divenuto troppo tardi per rimediare. Quando aveva compreso, quando l'aveva intuito, in un atttimo di empatia con cordelia, le forze che avrebbe dovuto impiegare per salvarsi erano ormai finire.

E Doyle, semplicemente, si era sentito svanire, sommerso dal futuro inarrestabile che sfilava nella sua testa.

E il 'troppo' era giunto tutto assieme ai suoi occhi. Troppo.

Ma ora, a equilibrio ristabilito, con una gratitudine infinita per Wes e per il suo intuito, Doyle sapeva di poter tornare a subire le proprie personali proiezioni solo con i canonici dolori e pericoli di sempre.

E così, con i ragazzi Coventry negli occhi, si limitò a sospirare più a fondo e attendere, per capire quanto quei fotogrammi potessero svelare un futuro insidioso o sereno.

 

E, mentre Angel sorrideva, afferrando la mano di Spike per aiutarlo a rialzarsi, Doyle vide. E comprese, con il gelo nell'anima.

C'era Drusilla, alle spalle di Angel. E Drusilla alzava alto sopra il capo un paletto.

Nulla tra lei e il cuore di Angel. Nulla, se non i leoni Coventry.

Doyle sussultò, aggrappandosi al bracciolo del divano si cui si trovava. E strinse.

 

La mano di Spike fece altrettanto, tra le dita di Angel, tirando, con decisione. Edward, scattando da terra improvvisamente in piedi, passandogli a fianco con una spinta, rubandogli la spada e ponendolo fuori dalla traiettoria ma, soprattutto, aprendo la via a suo fratello.

 

E fu Spike a chiudere il cerchio, così come forse era sempre stato scritto.

 

Fu Spike ad afferrarle i polsi.

Fu Spike a stritolare le mani, a deviare fino a spezzare le ossa che stringeva.

 

Fu Spike ad affondare il legno nel suo cuore, strappandole un sorriso enigmatico.

 

E fu sulle ciglia e tra le sue labbra che la cenere di Drusilla trovò infine l'ultima dimora tanto desiderata.

 

Avresti dovuto ascoltarmi.” - sussurrò il vampiro, Doyle lo sentì distintamente. Ed era stanco, lontano - “Nessuno tocca i miei fratelli senza il mio permesso.”

 

Nessuno.

Poi l'immagine scomparve, inghiottita dal buio senza stelle.

 

[XI]

 

In principio... in principio fu Cecily.”

Ma davvero....” - gli rispose una voce stranamente divertita. E Spike, senza nemmeno aprire gli occhi, annuì convinto.

Ebbene sì. In principio fu lei. Forse non la più bella che abbia conosciuto… per molti aspetti… ma era amore. E scaldava, era intenso. La più bella sbornia della mia vita, con un risveglio dei peggiori.”

Ah. Capisco… succede con il primo amore.” - Edward puntellò meglio la tempia alla mano. E sorrise, guardando il profilo di Spike.

 

Non era poi cambiato così tanto, a guardarlo bene. Le variazioni non nascevano dalla demonicità, soprattutto ora, a riposo, bensì da una masconilità che, probabilmente, aveva acquisito negli ultimi anni da vivo.

Edward, in quelle ore, si era reso conto di pensare a lui come al ragazzino che aveva lasciato, non all'uomo che, anni dopo la sua scomparsa, aveva scelto la dannazione come soluzione di vita. E, per quanto questa consapevolezza gli provocasse un dolore tangibile, la accetttava con curiosità e fascinazione.

 

William, senza di lui, era divenuto unico. E, al di là di etica, regole e giustizia, bellissimo. In tutti i sensi.

Era divenuto l'eroe dei romanzi, l'aristocratico e languido predatore che la società ottocentesca aveva disperatamente ricercato nel buio delle strade sovraffolate.

 

William era stato figlio del suo tempo. E mito, fino in fondo. Edward, che aveva saputo attraversare le epoche portando con sé la memoria e le regole di educazione della sua infanzia, non poteva non restarne sbalordito. E perdutamente, perdutamente, innamorato.

 

William, il suo personale eroe.

 

No, i cambiamenti non erano nei lineamenti, nelle ciglia lunghe o nella bocca ben disegnata. Era l'espressione, l'esasperante accostamento dei colori, dei capelli e della pelle alabastro, a renderlo diverso.

Ma Edward, anche sotto la maestria da cesellatore del tempo, vedeva ancora William. Sempre e solo William. E questo, dopotutto, era sempre stato perfetto.

 

"Cecily..."

Basta che non ricominci a parlare di Drusilla…” - replicò, gentilmente. Non aveva fatto altro, dopotutto. Da quando era crollato, sui piedi suoi e di Angel, per decidere di non svegliarsi nonostante ripetuti richiami, aveva sempre delirato.

E parlato.

Con tutti. E di tutti.

 

Nel cuore della notte

 

Dru era la mia stella. Il mio faro. Dovevo allontanarmi di lei, talvolta, tale era il potere che aveva su di me. Da lei mi lasciavo dominare…”

Lo so.” - sospirò Cordelia, tirandosi indietro i capelli. Ed Edward, in silenzio, appoggiato allo stipite della porta, si era voltato verso di lei.

come?”

la ragazza gli aveva sorriso, conciliante. Era stanca, aveva profonde occhiaie e, da quanto aveva intuito Edward dalle parole di Wes, erano successe tante cose all'hiperyon in quella giornata pressochè infinita. E non tutte molto positive.

Non aveva prestato attenzione, tuttavia. C'era William, ancora incosciente, mezzo dissanguato e, a quanto si poteva intuire dall'analogo tremito alle mani di Angel, stravolto dall'omicidio appena compiuto. Solo dopo, cominciando a calmarsi e razionalizzare, Edward si era reso conto della confusione già esistente quando erano arrivati, delle conversazioni ininterrotte e, infine, di Cordelia, con lui nella stanza.

Stanno parlando di me.” - aveva detto, sedendosi e contemplando Spike - “resto qui con voi, se non ti dispiace...”

E così era stato. Cordelia sedeva ancora sull’ampia poltrona di pelle, le gambe allungate e la testa appoggiata ad un cuscino di velluto.

Lo so.” – ripetè la ragazza, abbandonando lo sguardo pensieroso e fissandolo – “Io mi ricordo di loro, di lui e Drusilla. Una sera, al Bronze.”

Edward aggrottò le sopracciglia. Bronze? Non ricordava nulla con quel nome. Ma Cordelia non sembrava in vena di spiegazioni, solo di ... parole.

Non so quale, quale sera al bronze. Ce ne erano state tante, così dolci… così, uguali… Una sera.” – riprese a mormorare Cordelia. Quando, dopotutto, era irrilevante – “la stringeva appena, con gli occhi chiusi… e Drusilla, invece, li teneva sbarrati e fissava il mondo circostante. Era così bella… la odiai all’istante…”

Edward sorrise di quell’affermazione. E Cordelia avvampò, vergognandosi profondamente.

Dalle mie parti, odiare una ragazza mai vista.” – commentò, incrociando le braccia e mischiando ironia a dolcezza – “Significa concupirne il cavaliere.”

Solo dalle tue parti.” – tagliò corto Cordelia, cercando di non soffermare la mente sul ricordo – “Vado avanti? Ti interessa?”

Mi interessa. Voglio sapere tutto di lui. Tutto.” - le sorrise, tollerante, lasciando perdere il battibecco. E chiese, dolcemente - “Ti sembravano felici?”

Tanto. Soprattutto lui. Ricordo che lo scartai perché…” – Dannazione, di nuovo nella sua trappola! – “Ricordo che lo scartai perché aveva l’aria terribilmente… completa. Non so se mi spiego…”

 

Come poteva spiegarlo se solo ora lo capiva anche lei? Completo… non l’aveva classificato così, allora.

 

Il ragazzo biondo, così appetibile e così a portata di mano, le aveva provocato soltanto uno strano nervosismo, un brivido a cui reagire con superficialità. Non aveva voluto capire… perchè accettare di riconoscere l’amore vero con tale facilità, avrebbe negato l’importanza delle macchine, dei soldi e di ogni suppellettile in cui la sedicenne che era stata tanto confidava.

 

Solo ora, dopo molta strada imprevista, Cordelia poteva ammetterlo. Amore vero. Amore vero che impregnava quel profilo sconosciuto e quel sopracciglio interrotto.

Gli ha spezzato il cuore.” – sussurrò Edward. E non era una domanda inopportuna, ma una certezza divenuta realtà innazi ai loro occhi.

Perchè Spike aveva ucciso Drusilla. E l'aveva fatto per scelta. Ed ora pagava quel dolore sul suo stesso corpo.

 

Il corpo non dimentica... non dimentica mai...

 

Temo proprio di si.” – sospirò lei, amssaggiandosi un piede. Ma è guarito già una volta… e guarirà ancora - “Andiamo avanti? Vuoi sapere di harmony?”

 

No, in effetti stavo pensando di ripartire da Cecily.” - replicò Spike. E la sua voce suonò diversa, come più... più Spike.

Poi un occhio blu si aprì e squadrò con sufficienza l'altro occupante del letto.

Peccato, adesso che la cosa si stava facendo piccante.” – Edward sentì la bocca non controllarsi, in un sorriso. E resistette al desiderio di abbracciarlo e distruggergli ogni osso non compromesso dalle battaglie delle ultime ore, imponendosi di fingere incuranza – “Non eravamo arrivati finalmente a Buffy?”

A dire il vero…” – Spike ignorò la frecciata, con analoga strategia – “Credo ci sia stata Harmony…”

Harmony? Harmony la compagna di scuola di Cordelia?”

Si, ma... Edward?” - aggrottò la fronte, come se finalmente il suo cervello stesse unendo i puntini.

Si, William?”

Come sai di Buffy?”

 

Edward rise piano. Di tante domande basilari... dopo quasi un secolo di assenza...

 

Bhe, sai...” - sussurrò, con aria furtiva - “Sono qui da oltre dodici ore... tu non dici una parola.. io con qualcuno devo pur chiacchierare...”

Cordelia. Io la ammazzo.”

Su, Will, non fare così. Tutti noi rubacuori abbiamo diritto a un’oca senza cervello. Se tu ti sei scelto Harmony... e lei ti ha tirato scemo...”

Spike borbottò qualcosa di inconsulto. Edward alzò la testa dalla mano e, pur restando sdraiato sul fianco, assunse un'aria saggia e paternalistica.

Lo vedi, aggiungerei, cosa succede ad abbandonare le brune per le bionde?”

Non c’è nulla di profetico in quello che mi ha fatto Harmony. Anzi, ogni tanto sospetto di essere stato io il bad della questione!” - ribattè, immusonito, orgoglio testornico in azione. E si voltò di nuovo, sospettoso - “Edward?”

Si?” - inziava ad avere l'imrpessione che gli piacesse ripetere il suo nome. Non faceva altro, da quando lo aveva salvato da Drusilla.

Se io sono in questo letto da tutte queste ore... come mai tu sei così calmo?”

Ho già dato in escandescenza.”

Ok. E sei riuscito anche a calmarti?”

Sono ormai vecchio e saggio.”

Ah.” - Spike aprì la bocca e la richiuse, stringendo gli occhi. L'occhiata diede a Edward l'impressione di essere appena stato sbucciato, come un'arancia - “Ed Angel ha dato di testa?”

Più di me.” - rispose quell'altro, allegramente e senza pudore. Intanto, se Angel andava in giro a dire che l'aveva battuto a duello...

Capisco. Quindi sei calmo per dire che ti sei comportato meglio di lui.” - concluse. Orgoglio Coventry versus Flagello... vecchia storia.

Beccato.” - ammise, sorridendogli. William lo guardava di sotto in su, come se, da sempre, avessero conversazioni del genere, come se ogni mattina, da un tempo infinito, aprendo gli occhi, William sapesse di poter vedere Edward. E parlargli.

Ma, contrariamente a quanto stava pensando suo fratello, il surreale della situazione iniziava a colpirlo. Spike era sdraiato nel proprio letto, c'era Edward e non ricordava nulla dell'accaduto. A parte Drusilla.

 

Era il dopo Drusilla che non esisteva.

 

Ma c'era Edward. C'era davvero. E stavano lì, sdraiati uno a fianco dell'altro, a parlare di ragazze. Le sue ragazze.

 

Come se niente fosse.

 

"Parla non me, William..." - mormorò Edward, contemplandolo. Ma il fratello non gli rispose, lo guardò soltanto, assorto. Aveva cambiato espressione e gli occhi erano divenuti grigi, come un tempo. Un tempo lontano. In silenzio, come se non fosse presente, se non nella sua mente, come ogni altro giorno.

 

No, Edward. Non farlo. Dimmi che sei qui. Fammelo sentire.

 

"Alza il braccio." - aggiunse, movendosi e insinuandosi, contro il suo corpo, il viso sul suo petto. Edward lo sentì dilatare la cassa toracica, senza respirare. Senza respirare aria, ma solo il profumo della sua pelle.

 

Non fidarti dei tuoi occhi, sanno ingannare, sanno far vedere cose che non esistono. Fidati delle tue mani, fidati dei tuoi sensi.

 

E respirami.

 

Gli venne da piangere, come una fitta, come un dolore incontrollabile. Il rimpianto e la gioia si confusero, mentre lo stringeva e chiudeva gli occhi.

C'era stato un tempo in cui non avevano fatto altro, senza speranza, spasmodicamente, certo che si sarebbero dovuti separare, per sempre.

 

Ed ora, ora il per sempre aveva cambiato il corso.

 

Si, sono qui. Sono qui, William.

 

***

 

"Credo sia sveglio." - disse Angel, chiudendo il libro. E Faith, con la testa sul suo ginocchio, alzò lo sguardo.

"E come lo avresti scoperto, da qui?" - domandò, indicando il divano su cui stavano draiati. Indubbiamente Spike era solo dall'altro del pianerottolo ma non così vicino da vedergli spalancare gli occhi. Soprattutto con uan porta chiusa in mezzo – "Raggi laser?"

"No. Direi di no." - le rispondeva in maniera educata e senza cogliere per niente la presa in giro delle sue parole. A quanto sembrava, anche Angel poteva risentire dell'insonnia – "Ma, da qualche tempo, lo percepisco meglio del solito."

"Si. Tutti empatici qui dentro. L'ho capito. E' l'acqua? Vi state modificando?"

"No, non credo. È che..."

"Angel, ti prego." - sospirò, raddrizzandosi e sedendosi appoggiandosi alla sua spalla – "Ragiona. Ti sto prendendo in giro. Smettila."

"Ok." - posò il libro e spostò il braccio, perchè si mettesse più comoda – "Non vuoi andare?"

"No. La penso come te."

"Ed io come la penserei?"

"E' oltre un secolo che vuole quell'abbraccio. Se lo goda."

"Già." - la cinse, posandole il mento sulla nuca, come ormai era abitudine. E fissando la porta. Al di là di quell'uscio, Spike era con Edward. Ed era abbastanza, almeno per il momento.

"L'anima, quindi?" - domandò Faith, dopo un attimo. Dopotutto, a pensarci bene, l'argomento le interessava - "Il vostro legame si è potenziato?"

"Qualcosa del genere." - Angel non era certo si potesse spiegare con i termini che Wes stava ancora stilando. Ma era approssimativamente la descrizione migliore – "Ho pensato a lungo che si tratttasse del demone, per via dei marchi attivi, dei morsi, ma non è solo questo. Il sangue conta, indubbiamente, potenzia il segnale. Ma il motivo è qualcosa di diverso."

 

E' nel sangue certo.

Ma nell'anima, soprattutto.

 

"L'ho compreso in queste ore. Potevo sentirlo, ogni volta che cedeva al dolore e il demone non lo sorreggeva. Ogni volta che tornava più vicino all'umano che era stato...." - parlava con lentezza, lasciando che i fotogrammi gli scivolassero innazi agli occhi. Spike, il suo dolore, le sue battaglie, le sue parole – "Era come averlo a fianco."

 

Non sono io che non capisco.

Siete voi che non mi conoscete.

 

Forse non mentiva. Nessuno lo consceva realmente. Forse solo Dru, dopotutto. E, irrazionalmente, Angel si domandò se Drusilla sapesse che ad ucciderla infine sarebbe stato Spike, se mai fosse esistita una visione di quell'attimo.

 

Lo volevi forte. Volevi che lo fosse, a tutti i costi...

 

"Andiamo Dru, non puoi volerlo veramente…"

"Perché no… è dolce… è buono… perché no, perché non un fratellino…."

"Se lo vuoi veramente, arrangiati. Perché dovrei farlo…"

"Sarebbe più forte… sarebbe completo. Stupido attaccar una foglia ad uno stelo d'erba.. uniamola ad un forte tronco, diamole il nutrimento…"

"Hai detto giusto. Una foglia deve appassire. Finiscila con queste bambinate."

 

Una foglia. Il vento ti ha portata via... in un granello di polvere.

 

"A cosa pensi, Angel?"

"A nulla in particolare..." - rispose, vago. Aveva sentito la mano di Spike penetrare il petto di Drusilla, mentre diveniva cenere. E non si era voltato.

Aveva solo confusamente intuito, mentre le stelle divenivano intermittenti.

Scomparsa.

Definitivamente scomparsa, con il suo sorriso, con i suoi occhi viola.

 

William l'aveva uccisa per lui, non per Edward. E le sue parole, come una promessa, rimbombavano ancora.

 

Ti avevo avvertita... non devi alzare un dito su mio fratello.

 

L'avevo avvertita. L'avevo avvertita. Lo aveva ripetuto senza sfinirsi mai, in piena incoscienza. L'aveva chiamata, aveva menzionato date, posti, frasi che le sussurrava, ricordi. Non aveva mai taciuto, non era stato del tutto consapevole di chi fossero gli ascoltatori, gli interlocutori.

Probabilmente, dentro alle palpebre, serbava solo Drusilla, Drusilla fino all'ultimo sguardo.

Ed Angel, in tutta coscienza e vigliaccheria, sperava che avesse chiuso gli occhi, senza guardarla nel distruggerla.

 

Ma non si faceva particolari illusioni.

Spike non chiudeva mai gli occhi innanzi a nulla.

 

"Non dirmi cosa stai pensando, dimmi solo come ti senti."

"Stanco." - ammise Angel. E vuoto. Vuoto, al centro del petto – "E, anche se non apprezzerai, sento la mancanza di Drusilla."

Rimase in silenzio, un lungo istante.

"L'assenza." - corresse, poco dopo, lo sguardo sempre fisso alla porta chiusa – "Sento la sua assenza. Come con Darla... passerà, con il tempo tutto si attenua."

Faith non disse nulla. Non disse che non gli credeva. Gli carezzò solo un braccio, il maglione sottile e scuro.

Da quando era tornato, con Edward e con uno Spike esanime tra le braccia, Faith lo aveva visto attraverssare una gamma di emozioni inusuale per lui, dall'esasperazione fino alla calma gelida ad un passo dalla furia.

Angel forse non aveva ferite sul corpo, a qualcosa si era incrinato in lui, durante quella battaglia, durante quel giorno infinito.

 

Spike e Drusilla, su due fronti diversi, in due modi antitetici, gli avevano succhiato le forze e la tenacia, fino a lasciarlo stanco, spossato, senza possibilità alcuna di esprimersi.

E il peso di aver salvato solo uno dei due, sembrava schiacciarlo ancora. E ancora.

 

Al tramonto.

 

"Sono qui." - Faithlo disse cercando di alzarsi e riuscendo solo per forza di volontà. La ferita bruciava, sembrava attraversarla come un fuoco, ma non era nulla in confronto alla certezza che la porta che si sarebbe aperta, all'Hiperyon, forse spinta dalla mano di Angel.

Wes le correva già davanti, senza preoccuparsi di chi lo stesse seguendo. Ed era già quasi alla soglia quando Angel, con una spallata, spalancò uno dei doppi battenti, voltandosi e attraversando l'ingresso, senza degnarli di un'occhiata.

Cordelia, a fianco di Faith, sussultò, fermandosi.

 

C'era Spike tra le braccia di Angel. La testa reclinata indietro, un braccio scivolato, un leggero movimento dovuto alla rapiudità con cui Angel si muoveva. E c'era Edward, a fianco di Angel, con la stessa espressione furiosa, imbrattato di sangue fino ai capelli, gli occhi elettrici e freddi.

Una mano la fece sussultare, obbligandola a spostarsi. Forse tutti loro erano intenzionati a godersi la scena, ma Methos era per una ben differente opzione, correre su dalle scale, alle spalle di entrambi.

 

Si impose di non pensare al resto, senza riuscirci del tutto. Perchè l'attimo in cui Methos le aveva posato una mano sulla spalla, Faith aveva provato una paura mai sperimentata prima.

 

Spike era a casa. E c'era Edward. Ed Angel... Angel lo sosteneva come se fosse una bambola spezzata, con gli occhi vuoti.

 

Una bambola, con gli occhi vuoti.

 

Aveva represso la nausea, il gelo improvviso, aveva cercato di correre dietro tutti gli altri. Ma non vi era riuscita. Si era appoggiata al muro, respirando piano. Spike era a casa, con Angel, con Angel, con Angel. Spike era a acsa, con Edward, Edward e il sangue, c'era luce e buio e Spike era tornato, tornato con loro... il cuore le stava esplodendo nel petto, lo sentiva.

 

E, quando aveva sentito un rumore di passi lento e morbido, si era ritrovata a fianco soltanto Doyle.

Doyle, con gli occhi lucidi e l'aria stanca. Troppo stanca.

 

"Respira piano." - le aveva sussurrato, in uan carezza – "Ora passa."

"E'... io non..."

 

"E' panico, Faith, sta amplificando il tuo istinto di cacciatrice. Non lasciarglielo fare. Respira e non avere paura." - la carezza era proseguita. Impedisci alla paura di schiacciarti o vedrai il futuro... perchè anche la paura può svelare brandelli del destino – "Stanno bene, stanno tutti bene. E Drusilla è morta."

"C- come?"

Ma il demone aveva scosso la testa, enigmatico. Gli occhi di Doyle, nuovamente azzurri, erano in tempesta, pieni di un qulacosa che Faith, approssimativa per natura su tante cose, non sapeva decodificare.

Doyle aveva occhi pieni. Pieni di vita, di una vita che non era limitata alla propria.

 

"Non ci pensare. Volevo solo lo sapessi, di Dru. Avremo tempo per parlare, non aver paura. Respira soltanto, ora. E poi... poi vai da loro."

 

Avremo tempo. Non aver paura.

 

Avrebbe voluto parlargli delle parole di Doyle. Ma ritenne che non fosse il momento. Come Cordelia, che gli aveva nascosto quei doni nascenti per non intromettersi tra i suoi pensieri, Faith non gli disse della profezia risuonata tra le mura dell'hiperyon.

 

Sei pronta, Faith? Sei la prescelta, il tempo ti ha atteso a lungo.

La fine non è lontana, Faith.

E, dopo sarete intrecciati per sempre.

Non temere.

 

"Il sangue si è riunito..." - sospirò Angel, senza pensare, ripetendo le parole di Doyle, della breve e assurda conversazione che avevano avuto all'alba, in un innaturale silenzio – "Ora sarà tutto come deve... come deve..."

"Si. Lo so." - rispose la cacciatrice, senza distogliere lo sguardo da un punto imprecisato della stanza.

 

Si, lo so. Lo sento.

 

Avremo tempo, ripetè a se stessa, per convincersi. Avremo tempo e saremo pronti, di qualsiasi cosa si tratti.

 

Poi, con un sospiro, chiuse gli occhi.

 

***

 

"Ciao." - Doyle sedeva sotto al portico, fumando una sigaretta. Aveva finalmete rinvenuto il giornale, ormai vecchio, in una delle aiuole laddove quel solito dannato ragazzino senza mira doveva averlo spedito senza rimorsi. E cordy, sedendosi al suo fianco e porgendogli una tazza di caffè, lo aprì distrattamente.

"Incendio al porto..." - lesse, nelle pagine di cronaca – "Magazzini distrutti... rumori e schiamazzi... non è tutto opera nostra, vero?"

"Tutto e più ancora." - sospirò Doyle, con aria divertita – "Fino al trafiletto sul 'motociclista volante in una nota zona merci'. Ancora sconosciuta l'identità del centauro. "

"Dimmi che stai scherzando..."

"Assolutamente. Penso che Faith vorrà appenderlo in camera. È lusinghiero.. ed era dai tempi della sua presunta morte che non finiva su un giornale." - bevette un sorso, improvvisamente distratto. La presunta morte. L'esplosione della prigione era stata presumibilmente opera del consiglio... ma perchè eliminarla? Perchè bloccava la stirpe?

 

Oppure...

 

Scacciò via la fastidiosa sensazione di dover correre dietro all'ennesima farfalla karmica. Voltare lo sguardo nella sua direzione significava obbligare tutti ad alzarsi e cominciare a girare in tondo fino ad una soluzione.

E Doyle per primo, portavoce degli abitanti dell'hiperyon, sapeva di essere troppo stanco per salvare il mondo nelle prossime ore.

 

Cercherò di fare gli straordinari il prossimo week end.

 

"Allora, il responso?" - chiese, gettandole un'occhiata storta – "Ti hanno anche spogliato e valutato i possibili marchi del demonio?"

Cordelia, in tutta risposta, gli tirò una gomitata.

"Te li do io i segni del demonio!" - ribattè, decisa – "Doyle, insomma! Ma non ti preoccupa la mia salute?"

"No, mi preoccupa che tu non me lo abbia detto. La tua salute non ha un accidente di niente."

"E tu come lo sai?"

"Ho barato."

"Doyle!"

"Cordy!" - scimmiottò il suo tono scandalizzato, sbarrando gli occhi. Ed erano occhi così vivi e azzurri che la ragazza non resistette al desiderio di baciarlo. E baciarlo. E baciarlo.

 

Con un impeto tale da rendere il suo incarnato di un blu appena più acceso delle iridi.

 

"Oh, quanto ti amo, cervello di gallina."

"Principessa, per favore. Non si vede a colpo d'occhio, ma ho una dignità pure io."

"Non mi importa." - lo baciò ancora – "Ma mi importa di tutto il resto."

Doyle le sorrise, cingendole la vita e attirandosela contro il petto. Rannicchiati così, contro la colonna, in un attimo di silenzio, Cordelia e Doyle respirarono l'aria del tramonto, dolce e soffusa.

"Siamo sopravvissuti anche questa volta..." - sussurrò, giocherellando con la sua treccia e sciogliendola, con dolcezza – "Un po' più sconvolti, un po' più confusi... ma è fatta."

"E ora?"

"Ora non preoccupiamoci di nulla."

"Ma presto dovremo." - replicò Cordelia, alzando la testa verso di lui – "o sbaglio?"

Doyle la contemplò, con un lampo serio negli occhi.

"No, non sbagli." - replicò, scivolando con le dita da una ciocca al suo viso – "L'evento verso cui avanziamo è la causa dei tuoi poteri e il fine ultimo. Ma non devi averne paura. Non ne hai motivo."

"Davvero, Doyle? Perchè io, qui dentro... qui dentro sento qualcosa di diverso."

"So cosa provi, principessa. Ma devi fidarti di me. Avrò bisogno del tuo aiuto, nelle prossime settimane, mi serviranno informazioni, informazioni particolari. E credo che..." - respirò a fondo, cercando le parole – "E credo che tu ed io potremo raccoglierne di più, se ci completeremo a vicenda."

Cordelia si era raddrizzata, per vederlo in viso.

"Magia?" - domandò soltanto, come rassegnata – "Ci faremo di funghi allucinogeni?"

"Mi piacerebbe in effetti. Non vedo un tramonto giallo e verde da una vita. Ma no, non credo." - scosse la testa, fingendo di essere dispiaciuto. Ma aveva gli occhi tristi e sciupavano le sue battute – "Tu puoi sentire, io posso vedere. Cercheremo insieme e mi aiuterai a capire. Andrà tutto come deve andare."

"Lo sai con certezza?"

"No, lo so per Fede." - sorrise, di quell'affermazione. E la baciò ancora, una frase enigmatica sulle labbra – "E lo so, da quando ancora si trattava di Eresia..."

 

***

 

"Bene. Adesso vado a casa e dormo per i prossimi cinquemila anni. Ciao, Price, conserva in buono stato la baracca."

"Si, Methos." - Wes attirò a sè un libro con un dito, fingendosi interessato – "Qui dice che tra duemilasettecento anni collasserà l'oceano. Ti chiamo per vederlo? Vuoi puntare la sveglia?"

 

Methos, con un piede già a cavallo della porta, si voltò. E Price, le mani senatorialmente intrecciate sullo stomaco e i lunghi piedi che sporgevano da sotto la scrivania, gli sorrise, beatamente.

"Di un po', Price, è quello che chiamano humour inglese?"

"Yes."

"Bene. Non farebbe ridere nemmeno gli inglesi." - comunicò, tornando indietro e ripiombando nella poltrona appena lasciata libera – "Io li conosco da prima che lo fossero, per cui credimi. E ora, veloce, dimmi che vuoi."

"Non ho detto di volere qualcosa."

"E risparmiami il tono svagato da chierichetto."

"si, Methos. C'è qualche alcolico che può aiutarti a sopportare la mia presenza ancora dieci minuti?" - domandò, alzandosi e ignorando i borbotti seccati che sorgevano dalla sua migliore poltrona di pelle.

"Un dito di ognuno. E mischiali bene."

"Altro?"

"Basta Chopin. Leva quel disco. Hai mai sentito parlare di Bananarama?"

"No, però ho tenuto di ricordo un LP di BoyGeorge."

"Voglio morire..." - gemette, lasciando andare teatralmente la testa contro lo schienale. E una mano gentile gli mise tra le dita il bicchiere – "Che vuoi?"

"Voglio sapere cosa hai fatto a Spike."

 

Methos alzò la testa, fissandolo, sorpreso.

 

"Io? Cosa vuoi che abbia fatto a Spike!"

"Io stavo parlando con Doyle e cordy, quando Doyle è sttao male. Ma tu stavi parlando con Spike." - insistette, sedendosi sul bordo della scrivania e con aria decisamente spaccona – "Io sarò un simpatico omuncolo da biblioteca nel tuo immaginario, ma non sono uno stupido. E dopo tanti anni di servizio qui in america sento a pelle la magia. A pelle."

"A pelle."

"Esattamente."

"Sei mago merlino?"

"E tu sei Mandrake?"

"Bhe, si. Ma è una lunga storia."

Wes si passò una mano sugli occhi, posando gli occhiali sul tavolo. E respirò a fondo.

"D'accordo, saltiamo subito al punto." - disse, alla fine, riafferrando il proprio bicchiere – "Lo hai ipnotizzato? Oppure gli hai dato qualcosa che avevi e che gli serviva diperatamente?"

Piegò la testa, lo fissò ancora.

"Cosa hai detto, o fatto vedere, a quel ragazzo perchè riuscisse in ciò che ha compiuto?"

 

Mi piacciono i sentimenti.

Mi sono sempre piaciuti.

Ma William non ha usato solo amore per salvare Edward. Ha usato una forza che lo pone al di fuori del comprensibile... e del profetizzabile.

 

"Nulla. E lui, dopotutto, ha solo denuclearizzato una ex spostata. Qualunque camionista sa farlo."

"Tu sai benissimo che non si è trattato solo di questo. Tu hai messo Spike nell'ottica di..."

"No, inesatto." - lo interruppe Methos. E un sorrisetto inspiegabile gli passò negli occhi – "Io ho messo William Coventry in grado di compiere il suo destino una volta per tutte."

 

Wes lo fissò. Ecco, di nuovo, il tempo. Methos stava di nuovo emanando quel potere, sotto pelle, senza un battito di ciglia. Il tempo dell'uomo nei suoi occhi.

 

"Hai mai fatto il gioco dei se, Wes?"- domandò, radrizzandosi. Il bicchiere stretto tra le mani luccicava, la posa era indolente – "Se questo non fosse successo, se quello fosse stato... sliding doors, hai presente?"

Annuì, senza fiatare. E Methos semplicemente proseguì.

"Se Angel non avesse dannato Drusilla.. se lei fosse stata un Cantastorie a tutti gli effetti... chi sarebbe stato il prescelto?"

"Io non..." - si interruppe. Oh, al diavolo! - "William. Sarebbe stato comunque William. Lo ha trovato e dannato perchè non ha saputo fare altro."

 

Ecco. È questo che penso.

 

"Si, una spiegazione avvincente. Il cantastorie fallito ha trascinato con se l'eroe. Non mi sorprende, una mente rigida come la tua non poteva produrre altro. Ma con un piccolo irrilevante particolare: ti stai sbagliando." - Methos scosse la testa, un mezzo sorriso – "Non lo trovi ironico, Wes? Drusilla è arrivata molto vicina al suo guerriero della luce, ma io sono stato più veloce di lei. Di quasi due anni."

 

Il guerriero della luce non è Spike. È Edward.

È sempre stato Edward.

 

"Stai scherz... no, mi rifiuto di ascoltarti."

"Mi hai chiesto una spiegazione, te la sto offrendo su un piatto d'argento. Vuoi metterti proprio ora a saltare a conclusioni affrettate come un vero cretino?"

Wes si trattenne dal rifilargli un pugno. No, anzi, due.

 

Uno per la visione del mondo che aveva.

E il secondo per avergli dato del cretino.

 

Ma, soprattutto, ribadì al suo cervello e alla sua mano, per la visione del mondo. E di Spike.

 

"Allora finisci di spiegarti." - sibilò, restando immobile.

"Edward era il prescelto, credimi. Ne aveva le doti. Ma io credo che il caso sia stato molto più potente di un calcolo matematico quasi perfetto e che Drusilla lo abbia saputo girare a proprio favore." - si lasciò andare, rilassato, accavallando le gambe – "Facciamo una piccola divagazione. Come ben sai, io conoscevo piuttosto bene la madre di Doyle, Sinead."

"E con ciò?"

"Era una gran donna, ti sarebbe piaciuta. Conosceva Edward ed era della mia stessa opinione: schifosamente prescelto. Sarebbe potuto, ma non è stato. Succede, a volte. Ma Sinead diceva che le predestinazioni nel cosmo sono come i lanci di sassi nello stagno. Non puoi sapere quanti rimbalzi farai, ma ciò a cui punti è che siano sempre più che nel tiro precedente. Noi potevamo avere Edward... ma abbiamo avuto Spike. E questo per merito di Drusilla."

 

Sorrise, divertito.

 

"No, Wes, Drusilla non ha sbagliato. Drusilla sapeva come lanciare il sasso molto più lontano del previsto. Anche senza lucidità nella spiegazione e nell'atto ha comunque visto, compreso, compiuto il suo dovere con i mezzi che aveva. E lasciamelo dire, ha saputo contare piuttosto bene i rimbalzi."

 

Ha mosso le sue pedine con maestria. Ci ha intrecciato, nel tempo e nello spazio senza permettere a nessuno di deviare dalla propria traiettoria.

Dal voltarsi a fissre Angelus dritto in viso, fino al tagliare la gola a una cacciatrice insignificante in un liceo, Drusilla ha tessuto la propria rete... non senti i fili avvilupparti?

 

Non sei contento che sia morta, se pensi a questo arazzo cosmico che ha intessuto?

 

Wes si era seduto, riflettendo. Aveva dimenticato la belligeranza, la propria teoria, la sua fede nelle leggende e nel destino. Ed ora, con agghiacciante lucidità, scomponeva ogni singolo frammento in altri più piccoli, facendo combaciare i pezzi.

 

"Drusilla sapeva? Ma sapeva... cosa."

"Non cosa, Wes. Da quanto. Quando, Drusilla ha compreso cosa sarebbe successo? Quando tutto è stato perduto? tra le braccia di Angelus? Oppure prima, quando ha avuto in dono le visioni? È una domanda intrigante, non credi? Persino per uno come me che non crede a tutte queste idiozie."

 

Non ci credo. Ma ne faccio parte.

Si piegò verso di lui, complice. E per l'incontrollabile gusto di tormentarlo.

 

"Rispondi solo a questa domanda, Price, mentre attendi che io mi decida a raccontarti la prossima puntata: quando Drusilla ha cominciato a contare i rimbalzi per poter portare William Coventry fino a qui?"

 

***

 

"Edward..."

"William." - rispose, abbassando gli occhi. E lo ripetè, sottovoce – "William..."

 

Sotto al suo braccio, con la testa reclinata e la mano non lontano dal viso, Spike aveva continuato a parlare e a dormire, indisturbato. Ora, chiamato in quella maniera, l'angolo della sua bocca si era inarcato, lieve, in un sorriso soddisfatto.

"Non fingere di dormire." - aggiunse Edward, cercando di importunarlo nel soffiargli dentro un orecchio – "Tanto ho capito che sei sveglio."

Giocava con lui. Lo tormentava appena, per il piacere di sentirlo vivo, solido, ancora il fratello della sua infanzia, disposto a lasciarsi fare di tutto. E non desiderava altro, di nessun genere.

Quante ore erano passate, ancora, si chiese Spike, ascoltando il respiro di Edward, la sua voce chiamarlo per nome. Quante.

 

"Non te ne sei andato..."

"Ti ho mai dato l'impressione di volerlo davvero fare?"

 

No, in effetti no. Edward non aveva fatto altro che inseguirlo, implorarlo. Ed anche in quel momento, nel momento in cui se lo era trovato innanzi, inaspettato, a casa di Methos, Edward non sene stava andando.

Stava venendo a cercarlo

E questo, ora, Spike lo sapeva con assoluta certezza.

 

"Meno male che sei tornato... ero così stanco di sognarti soltanto..."

"E questo, Will, è un sentimento reciproco... "

 

Mi mancavano le tue parole. Mi mancava la tua espressione.

Mi mancava tutto di te.

 

Tutto.

 

Non sono io la tua luce. Sei tu la mia.

 

"Non hai fame?"

 

Edward rise, piano. Poteva avere il profilo da cherubino, le ciglia lunghe un chilometro, ma quando apriva bocca sembrava...

"Will, il tuo audio non è sincronizzato al tuo aspetto." - sussurrò, piegando la testa verso il suo orecchio – "Non dovresti dirmi splendide e poetiche frasi con una posa così elegante?"

Spike scoppiò a ridere, sussultando, senza curarsi di aprire gli occhi. Era vero. Non faceva altro che dire la prima cosa che pensava, senza riflettere. E, avesse dovuto ammetterlo... era perchè si sentiva disconnesso. Separato.

Galleggiava tra la gioia di riavere suo fratello e l'abisso incolmabile dell'assenza di Drusilla. La mente, in bilico sopra al cuore, non propendeva per uno, non scivolava verso l'altro.

 

Galleggiava. Si, galleggiava.

 

E le braccia che lo scaldavano erano come un'ancora.

 

"Davvero mi trovi elegante?" - chiese, sfuggendo alla domanda e aprendo un occhio. Edward lo sovrastava, piegandosi su di lui. E Spike gli afferrò la mano, obbligandolo a scivolare, la testa sul cuscino, lo sguardo nel suo – "Cosa vedi, Edward?"

"Mio fratello. Vedo te, William. E del resto non mi importa."

 

Era una risposta semplice. E c'era Angel, in tutta quella risposta.

Una vita prima, lui ed Angel avevano diviso lo stesso cuscino, guardandosi.

Non ti lascerò mai, aveva sussurrato. Come due fratelli.

E ora, William stringeva le dita di Edward con la stessa tenacia.

 

Gioia e dolore.

Vita e morte.

Luce e oscurità.

 

Angel. Ed Edward. Ora e per sempre.

 

"Ora e per sempre?"

"Ovviamente. Non ho altri impegni per l'eternità." - rispose suo fratello, disinvolto, afferrandogli al punta del naso con due dita – "E si, pensandoci bene, ho fame. Ci alziamo?"

 

***

 

"E' permesso?" - Edward battè due dita sullo stipite della porta. E il coro di 'entra' gli piacque molto. Abbastanza da spostarsi con gesto teatrale.

"Signore e signori, ho il piacere di presentarvi..." - disse, un braccio dietro la schiena e l'altro ben teso – "Mio fratello, William Coventry."

Spike fece un trionfale ingresso, con tanto di braccia alzate e inchino.

Seguì un applauso scrosciante. E, risate. Poi, mentre Spike si abbandonava a un sano bagno di folla, Edward ne approfittò per rifilare un colpetto sul torace di Angel.

"William Coventry, nostro fratello." - sussurrò, impercettibile, passandogli sui piedi.

 

Angel abbassò lo sguardo, celando un sorriso. Era proprio vero, Edward portava sempre la luce.

 

Nostro.

Si, forse.

Nostro in tempi differenti, in mondi diversi.

Nostro, sulla linea di demarcazione tra la notte e il giorno.

 

"Allora, birra?" - domandò l'immortale biondo, subito dopo. con tono normale, riapparendogli a fianco e tendendogli una bottiglia – "Che ne dici, brindi con me?"

"Non vorrai fare a botte, dopo, vero? Ti ricordo che è finita così, l'ultima volta che abbiamo bevuto assieme."

"No, assolutamente. Non desidero ammazzarti. Mi piaci, per essere uno zannuto mi piaci." - le stringeva per il collo, in una mano sola. E le apriva, deciso, con l'altra. Era Spike, nella versione ricciuta e rilassata – "Devi solo smettere di dire in giro che mi hai battuto in duello."

"Io ti ho battuto, Eddy. E ti ho battuto anche la volta della birra, a mani nude."

"No, non è vero. Quella volta sono morto. Non conta."

"Se lo dici tu..." - sorrise, afferrando il vetro e lasciandolo tintinnare – "A te, Coventry, alle tue battaglie vinte."

"No, Angel." - Edward scoss el atesta, fissandolo negli occhi – "Io brindo a te."

 

A te, vampiro con l'anima.

A te, per ogni attimo che abbiamo condiviso, nel bene e nel male.

 

E per aver traghettato William, nel tempo, fino a un giorno in cui ci saremmo potuti rivedere, ad un vita che avremmo potuto condividere.

 

"Ehi, Wes." - Faith era tra le braccia di Spike, ma si protese ugualmente indetro, strattonandolo per una manica – "Guarda quei due. Sono tutto colore e niente colore. Come si dice?"

 

L'osservatore aggrottò la fronte, perplesso.

 

"Monocromo e policromo?" - domandò, guardando Angel ed Edward, uno vestito rigorosamente di nero e l'altro in grigio e azzurro.

"Si, ecco, chiamiamoli così!"

"Monocromo e Policromo?" - Spike si era voltato, senza rinunciare a stringerla. E il suo sopracciglio spaccato si stava inarcando, sarcastico – "Mica male... se dobbiamo urlare i loro nomi servono dieci minuti ma, se credi sia una buona idea, con i guai in cui sanno infilarsi..."

 

Chiamiamoli come vogliamo. Intanto, per me, si possono definire entrambi con un'unica singola parola.

 

***

 

Nessuno si era chiesto nulla. Nessuno si era domandato da dove giungessero tutti gli altri, con che segreti celati in fondo al cuore. Nessuno aveva avarcato la soglia serbando angoscia o desiderio di risposte.

Quando Edward e Spike li avevano raggiunti, erano semplicemente stati tutti insieme, ridendo, parlando, azzuffandosi.

Non c'era nient'altro di importante, nient'altro su cui interrogarsi. E quando Spike si voltò, vedendo Angel fermo sulla porta, Edward comprese immediatamente che era il suo momento.

 

Il suo momento per levarsi dai piedi.

 

Spike si mosse, con passo felino. E, giungendo innanzi a Angel, colpì con al propria bottiglia la sua.

"Cin cin, Flagello." - mormorò. E un sorriso gli passò negli occhi, inaspettato. Ma era un sorriso triste – "Approfittiamo del tramonto?"

"Perchè no..." - rispose il vampiro bruno, lasciandolo passare e seguendolo – "Abbiamo una meta?"

"Forse. O forse no, vecchio mio. Forse non ci serve.. per una volta..."

 

***

 

"Ciao, Coventry."

"Methos." - piegò la testa, mantenendo i gomiti appoggiati alla ringhiera – "ti sono mancato?"

"A dire il vero..." - ammise l'immortale, appoggiandosi a fianco con al propria birra tra le mani – "Temevo stessi per diventare una mancanza perenne..."

"E da quando sei così pessimista?"

"Non so. Mi è venuto il dubbio che avessi smesso di sperare in un lieto fine. E si sa, tu sei uno del 'pensa positivo e camperai cent'anni... pensa negativo e saremo fottuti...' "

"Si, è vero." - ammise Eddy, ridendo. Aveva occhi brillanti, sereni. E Methos ne fu contento, in maniera sincera e incredibilmente pulita.

 

Ti meriti questa gioia, Eddy. Te la meriti da sempre.

 

"Posso chiederti cosa farai, ora?"

"Ciò che cerco sempre di fare. La cosa giusta."

"Che questa volta sarebbe..."

"E' presto per dirlo." - replicò Edward, guardando il buio della notte sempre più tangibile e bevendo un sorso dalla bottiglia ancora fredda – "Ci vorrà del tempo per esserne certi..."

Methos lo guardò, sottecchi. Edward era corso con una mano al proprio collo, in maniera quasi pensosa. E, tra le sue dita, Methos intravvide la cicatrice, il segno del morso di William.

 

Quel marchio aveva cambiato la sua esistenza. Quella vita, passata dalle sue vene a quelle di Spike non gli sembrava così irrilevante. E Drusilla... era presto anche per sapere cosa Drusilla avesse lasciato in lui, con le proprie parole.

 

Tu sapessi, edward... tutto fosse andato diversamente, con meno ambizione... con meno passione...

 

"Hai tutto il tempo del mondo." - replicò, con leggerezza – "Prenditi tutto quello che ti occorre."

"Si, forse lo farò." - annuì, lasciando ricadere la mano – "ho sentito di Doyle... me lo ha detto Cordelia."

"Si, un bello schifo." - ammise l'altro, disgustato – "Potessi lo ammazzerei. Io odio le visioni."

"Lo so."

"No, non penso che ti sia del tutto chiaro quanto le odio."

"Però posso immaginarlo." - insistette Edward, piegando la testa – "So come ci si sente quando chi amiamo sembra divenire irraggiungibile."

"Se la metti così, allora forse puoi."

Una frase degna del miglior magnanimo dissimulatore.

"Grazie della concessione."

 

Ma ti pare, Coventry...

 

"Ehi, disturbo?" - domandò Doyle, apparendo alle loro spalle – "Allora i magnifici della notte sono svaniti?"

"Sembrerebbe." - Edward si voltò, appoggiandosi alla balaustra – "Ciao Doyle, come ti senti?"

"Ti hanno detto che è una domanda d'obbligo nei miei confronti?"

"Con molti terrificanti particolari."

"Ah." - Doyle fece un cenno di stizza nella sua direzione – "Non li ascoltare. Sono paranoici. Tu, piuttosto? Hai dormito? Mangiato? Guarda che adeguarsi ai ritmi vitali del fratellino può essere dannoso per la salute. Ha una pessima alimentazione, piena di vere schifezze. E non dorme mai."

"Un vero animale della notte..."

"Eccome. Una baldoria fino all'alba." - gli strizzò l'occhi, stando al gioco. E poi, come sempre, si addolcì – "Diciamoci la verità, Edward... noi qui siamo ridotti uno peggio dell'altro. Ma per te, picchiato, dissanguato e ucciso, questa è stata comunque una splendida giornata."

"Sicuramente." - fece eco Methos, con una risata – "Un unico magnifico e luminoso bad day."

 

Edward bevette un sorso, in silenzio. E sorrise, senza guardarli.

 

Un unico magnifico luminoso bad day.

Si, perchè no. Dopotutto... dopotutto è vero.

 

"Ai bad days." - mormorò, tendendo la propria bottiglia verso le altre – "E a ovunque ci condurranno."

 

Bad day, gente. Bad day.

 

***

 

Non avevano pensato di avere molto da dirsi. Ma avevano camminato, con calma, uno a fianco dell'altro, bevendo birra. E, infine, erano giunte anche le parole.

"Sai... è incredibile. Questa storia, intendo."- ammise Spike, sbirciandolo – "Tu non credi?"

"Quando si tratta di te, tutto ha dell'incredibile."

"Oh, certo. Perchè tu, invece..."

"Io non sono così pieno di sorprese." - poi fece qualcosa di inaspettato. Si voltò. E gli sorrise – "William..."

Sapeva pronunciarlo. Aveva sempre saputo dirlo, con un inflessione morbida e bassa, dalla prima volta che si era azzardato.

 

Era passato tanto tempo da allora. Ma Spike non aveva dimenticato. Spike non avrebbe mai dimenticato.

Era stato nella pronuncia di quel nome che era iniziata la sua nuova vita. Una nuova vita, una nuova occasione per ricominciare e avere ancora qualcosa per cui valesse la pena di combattere.

 

Solo.

Spezzato.

Senza Drusilla.

Senza luce.

Con l'anima.

 

E con tanta strada da percorrere, uan strada su cui Angel non l'aveva mai lasciato solo. Mai.

 

Nè mai lo avrebbe fatto.

 

Perchè Angel, chiamandolo per nome gli aveva sussurrato che non tutto era perduto. E che tutto andava vissuto, ancora.

 

"Non smettere mai." - replicò, guardandolo, serio.

"Che cosa..."

Di dirlo in quel modo.” - non voleva cedere. Non voleva. Ma quella lacrima già stava cadendo - “Non smettere mai di chiamarmi William.”

Angel lo fissò per un lungo istante prima di muoversi.

E, quando finalmente si decise, si avvicinò, afferrandogli le dita, stringendo. E le cicatrici, le loro cicatrici gemelle, sfiorandosi, sembrarono sprigionare calore.

 

Non sul corpo. Nel sangue e nell'anima è il nostro marchio.

 

Hai la mai parola.” - disse, aprendogli le dita e posandoci il dupont d'argento. Non aveva mai smesso di tenerlo in tasca. E stringerlo - “Te lo prometto, fratellino. Te lo prometto.”

 

Spike abbassò lo sguardo, fissando il metallo. E la vista gli si annebbiò.

 

Tu mi hai mentito, Angel.

 

Mi hai mentito e lasciato solo.

 

Mi dispiace.” - sussurrò, sentendo di tremare e non osando guardarlo in faccia - “Mi dispiace per ogni parola che ho detto.”

William...”

No, davvero. Edward...” - non riusciva a calmarsi, voltò la testa, cercando un appiglio nella strada - “Non posso spiegare cosa ho detto ad Edward, quasi non me lo ricordo ma.. ma so cosa ho detto a te. E cosa ho provato, nei tuoi confronti e ...”

Abbassò lo sguardo, di nuovo, stringendo l'accendino.

Mi dispiace.” - ripetè - “Per tutto.”

 

E per Dru.

Mi spiace, Angel, mi spiace per Dru.

 

Lei vi avrebbe fatto del male.” - Angel lo sentì, in un sussurro impercettibile - “A entrambi. Io dovevo fermarla.”

Lo so.”

Dovevo, Angel. Tu non lo volevi ma io... io sapevo che sarebbe successo. Sapevo che non l'avrei mai più posta nel mio cuore innanzi a nessuno. E Drusilla, Drusilla mi ha sorriso. Non ha smesso di sorridermi nemmeno mentre la uccidevo.”

 

Io non la potevo lasciar andare, questa volta.

Non potevo.

 

Hai fatto la cosa giusta.”

Tu credi?”

Si.” - non se la sentiva di dire altro, poteva solo annuire. Si, io credo - “Hai fatto ciò che dovevi. E mi dispiace soltanto che, alla fine, non sia stato io a porre fine a tutto.”

 

Drusilla era mia. Ed io ero suo. Non abbiamo mai saputo tenerti fuori dai nostri giochi. E ti abbiamo conteso, come un osso, fin quasi a spezzarti.

 

Spike lo fissava dritto in viso. E aveva gli occhi pieni di lacrime.

Alla fine, Flagello.” - ammise, cercando di sorridere e distorcendo soltanto un labbro che tremava - “Siamo rimasti solo noi...”

 

Angel allungò le braccia, senza riflettere. E Spike gli si rifugiò contro, il viso sul suo maglione, il senso di tranquillità che sapeva dargli quel corpo freddo e silenzioso.

Angel sapeva delle sue paure e delle sue debolezze. Angel era Angel.

Ed Edward, in quel continuo altalenarsi del suo cuore, era Edward, l'essere capace di portare la pace con un sorriso. Edward lo aveva sempre compreso e amato, Angel non aveva fatto altro che proseguire la sua opera, con una maestria che li aveva resi entrambi indispensabili.

 

Non sei mai stato il sostituto di mio fratello...”

 

Angel sorrise, di quella frase sussurrata a testa china. E strinse più forte, chiudendo gli occhi.

 

Io non conoscevo tuo fratello.

Ma conosco Spike, il vampiro con l’anima. Nel bene e nel male.

 

Ovunque andremo. Ovunque andrai. Per sempre.

 

[XII]

 

Era l'alba.

E Spike si sedette, in fondo al letto, intrecciando le mani.

Sei deciso?”

Direi di si.” - ammise Edward, lasciando cadere un ultimo maglione dentro la sacca - “ma tornerò presto.”

Io... io non ti capisco.”

Lo so.” - gli sorrise, storto. E Spike si accese una sigaretta, palesemente irritato.

Te ne stai andando.”

E' proprio quello che sto facendo.”

Tu mi sai qui.. e te ne vai.” - sbuffò fumo e lo fissò, seccato e ferito - “Mi devi un perchè.”

Te lo devo?”

Oh, si, Edward. Tu mi devi dire cosa passa in quella testa per prendere così tranquillamente una decisione del genere.”

Lo faccio più che volentieri.” - mormorò, sedendosi. Avevano la sacca in mezzo e ancora un poco di confusione attorno.

L'appartamento di Methos era silenzioso, e non particolarmente accogliente, vista la vetrata mancante nel salone. William ed Edward lo avevano raggiunto a piedi, ma passando per i cunicoli, per il puro divertimento di fare qualcosa di diverso, in uno strano equilibrante scambiarsi dei ruoli.

Per strada con Angel, nel buio delle gallerie con Edward.

 

A Spike era piaciuto. Da morire.

 

Anche se, già sapeva che, emersi nello stabile, tra una sacca e una spada, la conversazione non sarebbe stata delle più piacevoli.

 

Me ne vado perchè al momento ti sto fregando la concentrazione.”

Ma che puttanata.”

Non dire parolacce.”

Tu parli come uno scaricatore di porto.” - lo accusò, borbottando, con la sigaretta tra i denti. Gli porse pacchetto e accendino, sempre borbottando - “Non farmi la paternale e dammi una spiegazione meno cretina. Quella vera, se ci riesci.”

Non ti sto mentendo. E non ho detto una cosa cretina. Tu hai fatto qualcosa di molto grave, William. Lo hai fatto per me, per Angel e per motivazioni di cui non dubiti. Ma hai bisogno di tempo per accettarlo. E io, qui, non ti sto aiutando per niente.”

Uh, come mi aiuta, il fatto che tu prenda la porta e vada!”

Io non posso capire cosa sia stata Drusilla per te.” - aggiunse schietto - “ma Angel si.”

Spike si voltò di scatto, sbarrando gli occhi.

oh.” - esplose, gli occhi azzurri enormi e per niente amichevoli. Sbalorditi - “Non ti starai mica facendo venire crisi di ...”

William.” - il dito puntato al centro dei suoi occhi lo sorprese - “Taci.”

La bocca ancora aperta a metà dell'arringa si richiuse. Ed Edward si concesse un tiro di sigaretta, prima di alzarsi e inginocchiarsi di fronte a lui.

Non ho nessuna crisi.” - comunicò, con calma. Aveva l'aria pacata di sempre, seria. E, per la prima volta, William vide una ruga, una leggerissima ruga sul suo viso.

 

Il tempo. Il tempo a cui non apparteneva lo aveva comunque segnato.

E non ce ne era stato per narrarsi nulla di quelle cicatrici.

 

Voglio solo che tu possa fare chiarezza.” - aggiunse, con tranquillità - “Non sono stati giorni facili. Non c'è nessuno che ne abbia sofferto quanto te.

 

Il nostro incontro. Le nostre parole. Tu non riesci a parlarmi, William. Io lo so.

Credi di dovermi delle scuse, ricordi e non ricordi l'accaduto.

E io, qui con te, non faccio altro che confonderti.

 

Per favore, credimi, non ti sto lasciando.”

 

Lo so. Stai cercando di fare la tua solita cosa giusta.” - c'era rassegnazione nella sua voce. Ma senza rancore. Solo rassegnazione - “Edward, ma non ti darai mai una calmata?”

Stava succedendo di nuovo, un nuovo cambio di dscorso, lontano da quello che avrebbe voluto dire. E Edward gli sorrise, con tristezza, di sotto in su. E si concesse ancora un tiro di sigaretta, per smorzare la propria tensione.

No, non mi do una calmata. Scosse la testa e spense il mozzicone nel posacenere che Spike teneva tra le mani - “E non intendo cominciare a darmela, chiaro?”

Ti voglio bene, Edward.”

 

Stava per alzarsi. Ma si bloccò. William lo fissava. E aveva occhi torbidi e bui. Ma umani.

 

Tanto.” - aggiunse, lentamente - “E penso tu abbia ragione ma... io non voglio vederti partire.”

Lo so.”

Non ci riesco.”

E' giusto. Ma io partirò comunque.” - gli posò una mano sulla guancia e poi sul collo – “Quando deciderò che sarà il momento, afferrerò la mia borsa e me ne andrò, lasciandoti qui. Non devi seguirmi e non devi preoccuparti di nulla. Perchè io tornerò. Presto.”

 

E lo prometti?”

Ti voglio bene anche io, William. E tornerò.”

 

Non promise. Non poteva. Nel loro mondo, nel suo e in quello di Spike, una promessa andava mantenuta e troppe erano le incognite, troppi i rischi.

Avrebbe fatto tutto, fino all'impossibile. E l'avrebbe fatto perchè lo amava.

Non perchè l'aveva promesso.

 

Ok.” - Spike tirò su con il naso e indurì la mascella. Sotto lo sguardo di Edward, gli occhi si schiarirono, come dopo un passaggio di nubi - “Posso chiederti dove andrai?”

A casa.” - sorrise - “Ho una ragazza un po' particolare che avrebbe piacere di vedermi, una volta ogni tanto.”

Hai una ragazza?”

Ti sembro un tipo che non ne ha?”

 

William si rese conto vagamente di avere la bocca spalancata. E un sorriso in atto.

 

Ma bravo.” - si complimentò, ammirato - “Sei diventato un casanova e non mi dici nulla? Ma tutte quelle cavolate sull'eterno amore?”

Guarda che quelle cavolate le hai sempre dette tu. Io sono ...” - si piegò, complice, continuando ad armeggiare con le cerniere della sacca e sibilò - “...per il sesso senza inibizioni...”

Oddio, Edward!” - era puritanamente disgustato - “Ma io non voglio saperlo! Non... non vorrai mica parlarmene!”

Magari senza troppi particolari, che ne dici?”

No.” - scosse la testa, formulò la parola con un cerchio perfetto delle labbra. sconvolto - “Mi importa solo del mio di sesso... e non voglio raccontartelo!”

Come vuoi... noioso.”

Perverso.”

Perverso io? Ma ti sei visto?” - gli urlò, sparendo in direzione della palestra.

Si, certo.” - grondava sarcasmo. Già non si poteva discutere con l'Edward dell'epoca vittoriana. Figuriamoci con l'immortale del nuovo millennio - “Solo perchè celo i miei veri sentimenti dietro una finta sicurezza... e tanta ironia...”

Scosse la testa, ancora. E, con la coda dell'occhio, vide qualcosa brillare, nella sacca ancora aperto. Lo afferrò, senza pensare, fregandosene di invadere la privacy di suo fratello.

 

Il portasigarette d'argento.

Il portasigarette.

 

Nella sacca di Edward.

Per un attimo credette di sbagliarsi. Ma, quando lo aprì, la scritta fu la conferma inevitabile.

 

Il regalo mai consegnato.

Quel compleanno che aveva cancellato tutti i successivi.

 

"Io adoravo compiere gli anni." - ammise, ad un tratto, fissando la sua attenzione su Faith ed Angel - "Era la festa di famiglia per eccellenza. Cascasse il mondo saremmo stati tutti a casa a festeggiare. Era la sera perfetta per fare e dire tutto. Non c'era niente che andasse storto. Per me aveva un senso incredibile. Poi… il resto è storia."

 

Non voleva dirlo.

 

Non c'è mai più stato motivo per crescere o festeggiare, senza di te.

Mai più.

 

E io, dopo un po', ho smesso anche di invecchiare.

 

Rimase in silenzio, con l'oggetto tra le mani. Ed Edward, di ritorno, si fermò un istante. Il suo battito variò di intensità. E, se Spike se ne accorse, non lo diede a vedere.

Te lo ha dato Angel, vero?” - domandò soltanto, sentendolo avvicinarsi.

Quando sono partito, l'altra volta. Ha detto che era giusto che lo avessi.” - ammise. E non seppe trattenersi - “Credo che volesse fare qualcosa che tu avresti voluto.”

E' così.” - gli rispondeva senza alzare la testa, senza guardarlo. Ma la voce era ferma - “Angel ha fatto bene. Volevo tanto che lo avessi.”

 

L'ho portato con me attraverso il mondo e la mia vita. Ma non l'ho mai usato. Solo una sera, una sola... perchè avrei voluto tanto che ci fossi.

 

Tese la mano ed Edward si riprese l'oggetto. Poi si piegò di nuovo.

Vorrei darti anche io qualcosa.” - disse, gentilmente – “Qualcosa che voglio condividere con te da quando me ne sono andato. Me lo permetti?”

Spike annuì, senza dire nulla. Teneva gli occhi fissi in un punto imprecisato, senza guardarlo.

 

D'un tratto, gli sembrò di essere stanco. E sul punto di sbriciolarsi, divenire cenere. Il corpo gli pulsava di un dolore antico, come se non riuscisse a dimenticare.

No, il corpo non dimentica mai. Non dimentica lo sfiorarsi e il trovarsi. Non dimentica la pelle, le ossa, la forza altrui.

Il corpo non dimentica. E, talvolta, sembra disperdersi senza solidità.

 

Dammi la mano.”

 

Gli ubbidì, senza discutere.

 

Ed Edward se la posò sul petto, tenendola tra le proprie.

 

Ascolta, per favore.” - e inalò, a fondo.

 

Fu in quell' attimo che Spike comprese. Alzò la testa di scatto e lo fissò negli occhi. Edward respirava. Senza fatica, senza sofferenza.

Gli occhi dritti nei suoi, senza dolore.

 

Edward respirava, con un suono nitido, inaspettato. E dalle labbra di Spike uscì un singhiozzo strozzato.

 

Non era solo immortalità, non vita immutabile. Era vita, vita vera. E pura.

 

Sai…” – Edward aveva gli occhi aperti. E fissava la parete – “Quando mi succede cerco di pensare ai libri che ho letto…alla musica dei concerti che abbiamo sentito… e mi domando se sarà il mio ultimo pensiero. Mi piacerebbe morire con qualcosa di bello in testa… Morire non è come morire dentro… è quello che temo…”

Morire dentro?”

Già… perdere me stesso, prima della fine. Perdere anche solo un minuto di quello che mi resta. Come quando provi un dolore enorme… o sei ancora vivo e non vorresti più esserlo… io voglio morire tenendo la mia vita sotto gli occhi…”

 

Voglio la mia splendida vita… tutta davanti agli occhi…”

 

La mia splendida vita, tutta davanti agli occhi.

Ed Edward lo fissava, senza lasciargli andare le dita.

 

E' così, ora.” - disse soltanto, scandendo le parole - “Ci sono volte in cui anche io stento a ricordarmi che sia tutto passato, volte in cui non riesco a respirare correttamente. Ma solo perchè non riesco a dimenticare, William. Non posso dimenticare quanto dolore ci sia stato, sia per me che per te.”

 

Allargò le dita, ma Spike mantenne la mano in quel punto. C'era il cuore, non lontano dal mignolo. E batteva, batteva, batteva.

 

Quello che so è che non succederà più. E noi andremo avanti. E avremo quel futuro che non pensavamo di possedere. È questo il miracolo che volevi, la nostra vita. E non importa il tempo che abbiamo perduto se, alla fine, siamo ancora assieme.”

Edward aveva la voce che tremava. Spike annuì, piano. Ma il movimento bastò per far scendere le lacrime. Chiuse gli occhi, sperando di fermarle, desiderando liberarsene.

 

Quando li riaprì, Edward se ne era andato.

 

E non restava che stringersi la testa tra le mani e pensare ancora a quel respiro che era dolce, puro e più forte di ogni altra promessa.

 

***

 

Attraversava sempre il cortile con rabbia. E si sfogava sulle cinghie della moto, legando le sacche.

Angel, appoggiato al muro delle cantine, nell'ombra, con le mani in tasca, non lo chiamò. Lo guardò soltanto, di schiena, deciso eppure in preda a un tremito. Lo guardò piegarsi, la mano sul sellino, l'altra alla gola. Poi rialzarsi, di nuovo diritto, spavaldo. E voltarsi, venendogli incontro.

Ciao.” - disse Edward, varcando la demarcazione tra luce e buio. I capelli brillarono ancora per un istante mentre, spossato, si lasciava andare contro al muro - “Scusa se ti ho fatto aspettare.”

Non fa niente.” - rispose, tranquillo, voltandosi. Uno di fronte all'altro, i piedi puntati, le mura alle spalle. Edward si stava accendendo una sigaretta e, quando ne offrì una, Angel vide l'oggetto che aveva tra le mani, sotto la fiamma ancora accesa del fiammifero.

William l'ha visto?” - chiese soltanto, raddrizzandosi, la prima boccata di nicotina nella gola.

 

Nessuna risposta. Sono un annuire arrabbiato.

 

Non salire subito.” - mormorò, arrogandosi il diritto di un consiglio, per una volta - “Non è stato facile.”

Non è stato facile per nessuno di voi.” - lo corresse con tranquillità Angel.

Ed Edward distorse la bocca in un sorriso denigratorio. Aveva di nuovo il mento che tremava, gli occhi troppo luminosi.

Credo di aver detto solo idiozie.” - scosse la testa, in preda a qualcosa di simile a una risata - “Io non... non ho detto la metà delle cose che volevo dirgli e ora...”

 

Non è vero, ho mentito.

Mi importa del tempo che abbiamo perduto.

Mi importa tanto. E rimpiango ogni attimo.

Le cose che ho fatto, le cose che ho visto... non abbiamo condiviso nulla.

E non c'è nulla che sia stato come avrei voluto.

 

Avevamo tanto tempo, lo abbiamo gettato via per la mia stupidità.

Ed ora...

Ora...

 

Chinò la testa, cedendo, un palmo su un occhio, come in preda ad un dolore incontrollabile. E un singhiozzo, libero, gli salì dall'anima.

Edward.” - Angel si raddrizzò, istintivamente. E la fronte dell'immortale si posò sul suo petto, a sorpresa. Gli posò una mano su quei capelli, su quei singhiozzi che ancora cercava di domare.

Sei tu che fai la differenza per lui.” - sussurrò, strofinando quei riccioli scomposti. La prima volta che aveva visto William, lo aveva afferrato per i capelli. Ed erano morbidi, lunghi - “Non le tue parole.”

 

La mano di Edward gli strinse il bicipite. Poi il ragazzo si allontanò. La sigaretta era perduta, nella polvere.

 

Restava solo fumo... fumo negli occhi.

 

lo terrò d'occhio per te, finchè non tornerai.”

No, Angel. Proteggilo come sempre.”

Angel lo scrutò in viso.

E' questo che vuoi?”

No, è quello che vuole William.” rispose Edward, guardandolo. Non era uomo da asciugarsi le lacrime, una volta cadute. Nulla intaccava comunque la sua tenacia, nemmeno le scie argento - “E' lui che ha scelto te. Non dimenticarlo.”

E tu?” – domandò, sentendo le mani stringersi spasmodicamente nelle tasche – “Lo accetti?”

Non ti serve la mia approvazione.”

E se la volessi? Se questa volta, questa unica volta ne avessi bisogno?”

 

Non ti serve.” - ripetè Edward. E stava sorridendo, nel passargli un braccio attorno al collo e sussurrare nel suo orecchio - “Indipendemente da me... tu non puoi rinunciare a lui.”

 

Per questo so che non lo lascerai mai.

Mai.

 

Mosse un passo indietro, posandogli la mano sul torace, con un cenno di saluto.

 

Occupati di lui, Angel. Io non saprei farlo nello stesso modo.” - aggiunse, camminando a ritroso, emergendo alla luce - “E fallo per i motivi per cui lo hai sempre fatto. Non ti servono anche i miei.”

 

La luce lo fece svanire.

Ed Angel sbattè le palpebre guardandolo correre, mettere in moto, fulmineo.

 

Bad day, ancora.

Un nuovo bad day, Coventry.

 

Fai buon viaggio. E torna presto.

 

Ma se hanno staccate le teste, i cuori non ebber domati....” - un sussurro, nel vento del mattino, un sussurro coperto dal rombo di una moto - “Furono più che valenti: da morti restano sempre guerrieri.”

 

Fra le ombre saran condottieri... fra i morti saran eroi.

Eroi.

 

E, il sussurro, nella polvere e nella cenere, volò lontano, fino all'orizzonte.

 

[EPILOGO]

 

 

Il dolore di un'attesa dura quanto lo strapparsi di una busta.

 

E' Edward?” - domandò Faith, sporgendosi sulla sua spalla per sbirciare.

A quanto sembra...” - commentò Spike, voltando la busta e mostrando il sigillo di ceralacca rossa. Alzò gli occhi, distratto – “Ah,Methos, grazie di avermela portata.”

Ma ti pare... il postino si invita a pranzo sempre due volte.” - Methos stava già frugando in frigo. Ma, tra il cartoccio del succo d'arancia e la torta avanzata, si era concesso di rifilargli un'occhiata.

Camicia bianca, jeans azzurri, capelli gettati indietro. Anche in penombra, Spike era... policromo.

 

Si, policromo.

 

Dice qualcosa di interessante?” - domandò Doyle. Era in castigo, per uno sbornia di troppo al locale di Lorne. Cordelia lo aveva messo a pulire fagiolini al tavolo della cucina. E Spike gli rivolse un'occhiata di pura sufficienza, seduto sopra al mobile.

Ti risulta che mio fratello dica mai qualcosa di non interessante?” - domandò, petulante.

Oddio... ha avuto dei momenti meno brilllanti nella sua vita... ad esempio, c'è stata quella piccola crisi religiosa in Thailandia...”

Methos, non voglio sapere.”

E' più divertente se te la racconto io, credimi.”

Non...” - Spike sembrò ripensarci - “Ma si, potresti non avere torto. Dopo ti offro una birra. Non dimenticarti i particolari peggiori.”

E tu gli crederai se ti parlerà male di Edward?” - lo punzecchiò Faith, guardandolo. Era calmo. Lo era in maniera strana, ormai da tempo. Lo sguardo si perdeva, lontano. La bocca si contraeva appena.

 

William era qui.

Ma Spike... era difficile sapere dove fosse Spike.

 

Ovvio.” - fu la risposta, serafica. E ridente - “L'obbiettivo è svecchiare la visione che ho di lui.”

A partire dalla perfezione?” - mormorò Angel, attraversando la cucina e cercando il caffè. Sotto il lavandino, una razionalità impagabile - “Un bel modo di sprecare il tuo tempo...”

Fatti i fatti tuoi.” - fu la risposta. Ma saltò ugualmente giù dal ripiano, porgendogli due fogli e la caraffa introvabile - “Tieni, il tuo nuovo amore ti manda una missiva. Sa di profumo.”

Grazie.” - fece scivolare la carta ruvida in tasca - “Gli devo ancora un bacio, avrà scritto per reclamarlo.”

Ma che schifo!” - spike era davvero orripilato. E gli voltò le spalle – “Sto immaginando cose che non devo. Non voglio vedere.”

Nè sentire.” - fece eco Faith.

O assaporare.” - dise Angel, indicandola con approvazione.

No, assaporare ho assaporato.” - scherzava su molti episodi di quel giorno ormai non più così vicino. E lo faceva sbirciandolo - “Morso, ricordi? Geloso? Io si e tu no.”

Posso sopravvivere senza bere da tuo fratello.” - commentò Angel, appoggiandosi al mobile. Poteva scherzare, poteva dissimulare, ma qualcosa gli scivolava sempre negli occhi - “Non credo che il sangue di immortale sia questa gran cosa.”

Come ti sbagli.” - commentò a bocca piena Methos. Aveva persino al panna spray nella destra - “Siamo delizc-ziosi.”

Tu sai sicuramente di coccodrillo.” - sottolineò la cacciatrice.

Probabile.”

Taci, Francis. Forza, pulire i fagiolini.”

Pulisco i fagiolini.”

No, in effetti non siete male. Dolci e sfiziosi.” - Spike era già sulla porta. E la lettera, per l'impazienza, era semrpe più appallotolata nela sua mano - “Forse non vi interessa... ma, a scopo di informazione, il sangue immortale ha il sapore di quello delle cacciatrici. Credetemi. Io ne so qualcosa.”

Ah si!” - Faith saltò giù dal mobile, inseguendolo - “te le do io le cacciatrici, adesso!”

I loro passi si erano allontanati. Era aleggiata solo una risata, come un fantasma.

Ma in cucina era silenzio. E di fagiolini puliti non ne stavano più cadendo nella coppa.

Methos sembrava aver perso l'appetito. Ed Angel impassibile, aveva gli occhi bassi. Solo Doyle si concesse un sospiro. E, dopo un attimo, una sigaretta.

 

Ti sbagli…

non è il sangue immortale...

è il sangue di Edward ad avere quel sapore.

Il tuo sangue, Spike.

Il tuo sangue.

E' la tua anima.

 

(2 dicembre 2008)

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Capitolo 23
*** Atto III - Tempo Presente ***


TEMPO PRESENTE

Capitolo finale delle Cronache

 

 

 

 

 

Prefazione dell’autrice:

Certe volte, la storia dietro la storia è più interessante delle parole che, infine, vengono messe per iscritto. La storia dietro, o dentro, la storia, narra di legami che si creano e si sciolgono, di avvenimenti veri, inventati, dolorosi e meravigliosi di cui mai, e poi mai, potremo prenderci il merito. Avvenimenti casuali, emozioni e persone regalate come un sorriso da una mano benevola, da parole che hanno lasciato scaturire altre parole, fino ad un’overdose. Ma una storia dietro la storia, il più delle volte, è qualcosa che non narriamo, perché siamo troppo impegnati a viverla.

Questa è, per sommi capi, la parabola delle cronache, della sua autrice, di un sito e di tutti coloro che seppero trovare questa triade solitaria nel mare della rete. Questa la storia di una ragazza disperata per la sospensione delle repliche di Buffy che, senza aver mai visto ATS, fu costretta a crearsi un mare di storie ad uso e consumo per sopravvivere ai propri ventun anni. Questa è la storia di Spike, il vampiro che voleva solo essere amato e di Angel, il vampiro che credeva di non poter amare. Questa è la storia delle cronache, di un Doyle Cantastorie, di un Methos immortale e di una Faith che era dolce e troppo giovane in un mondo di adulti.

Questa è la storia della giovinezza, dell’ebbrezza e dei sogni nati sullo schermo, delle frasi che avremmo voluto sapere immaginare, delle scene che abbiamo visto e sentito, come schiaffi, come baci, come pugni. Questa è la storia di un pezzetto della mia vita in punta di penna, di una frase che ha segnato me stessa e chi ho amato e amo tuttora.

Questa è la storia di ‘uno della mia vita’. E questo uno, allora come ora, si chiama ancora sogno.

E questo sogno, ora, è fatto delle persone che le cronache mi hanno donato e a cui dedico questo finale.

È passato tanto tempo. Un tempo infinito trascorso cavalcando la propria esistenza, cadendo di sella, cercando amore e perdendo, ritrovando e perdendo ancora.

È passata un’esistenza in mezzo, nel bene e nel male e al di là del bene e del male. Parole e altre parole, calde come coperte, rassicuranti come gli amici del ‘per sempre’. parole di Eternità e sbagli, compromessi e Doni. Parole di Legami ed Entropia... parole di Anime e Sangue.

È passata un’esistenza e le cronache hanno atteso il loro turno, pazienti, dimenticate in un angolo, impolverate e nascoste, come qualcosa di cui vergognarsi, qualcosa di amato e accantonato per chissà quale casualità. È passata un’esistenza piatta e tumultuosa di altri eroi e altre storie, di liti e conversioni, di regole e libertà. È passata una vita, sono finite le serie, svaniti gli attori, celebrati i decennali, scivolate via le passioni. Eppure le cronache ci sono ancora, sempre nascoste, sempre nell’angolo.

Le cronache, iniziate prima dell’avventura di vs.ananke, perse in un sito chiamato solo Inchiostro, un sito che rischiava la chiusura tutti i momenti. Inchiostro, che non era parte del destino delle cronache e Ananke che perse il vs. innanzi al nome come un segno profetico.

Le cronache di margot. Perché la persona e la storia sono cresciute assieme.

Ed oggi, margot è ormai diventata grande. O, almeno, si sente tale. E le cronache… le cronache... le cronache vogliono avere la pace che meritano. E una fine, per tornare ad essere ciò che erano in origine… un sogno prima dell’alba.

 

TEMPO PRESENTE

Spoiler: nessuno. Non esiste più questa parola nel whedonverse. Ma è bello ricordarla, no?

Pairing: // non credo che le cronache ne abbiano mai avuto uno.

Rating: Angst, forever angst!

Timeline: post bad day, perché le cronache ormai vivono una cronologia loro. Non ne hanno mai avuta un’altra. E non hanno mai avuto nemmeno un disclaimer, credo, per cui, questa è la mia ultima grande occasione.

Disclaimer: i personaggi non appartengono ai legittimi proprietari. L’autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

Nota dell’autrice: è passato troppo tempo perché io riesca a scrivere il capitolo finale delle cronache in maniera coerente al resto e con lo stesso sprint. Per due motivi. Primo: non ci riesco. Sul serio, non ci riesco più. Si è perso tanto di quella visione che avevo del mondo e di quella passione che ancora oggi non so spiegarmi del tutto. Ma ho riflettuto, immaginato, ponderato.. e ci sono tante cose che comunque potrei dire, impegnandomi. E mi impegnerò. Secondo: ho sempre saputo come andavano a finire le cronache, mediante visioni e illuminazioni ottenute con i metodi più disparati del creato. Sono anni che lo so, che ho visto la fine. Ma, forse, in questi anni, non ho voluto dare alle cronache un finale scritto perchè sapevo per certo che avrei dovuto scrivere altri capitoli mediani.

Oggi, so che quei capitoli mediani difficilmente vedranno la luce. Sparite alcune idee e, soprattutto, sparite le motivazioni che guidano le mani sulla tastiera. Ma il finale resta. Ed anche se non sarà altro che una parentesi, un enorme riassunto di qualcosa che avrei voluto descrivere minuziosamente, arricchito qua e là con scene scritte e rimaste inutilizzate, sarà il finale nato e cresciuto assieme alla filosofia delle cronache e di quel mondo strano, inaspettato e a tratti melanconico che con esse è vissuto.

 

Dedicato a BB. Tua MJ

 

 

 

 

PROLOGO

Londra, Aprile 2003

 

La sala del consiglio era affollata. Il caldo, in barba alla pioggia londinese che si scioglieva sui vetri, era soffocante.

Sedie di ogni fattura venivano portate all’interno dell’ambiente, accatastate contro le pareti, inserite a lato delle file ordinate, sui gradini delle tribune, fino ai palchetti ancora rivestiti in uno sbiadito velluto rosso.

Le persone si accalcavano, le porte sbattevano, la confusione era sovrana. La vecchia aplomb inglese, la cara vecchia aplomb inglese, considerò Methos, era perduta. E, come se questo fosse un segno definitivo della disfatta, si sedette sul tavolo al centro della sala, lasciando dondolare i piedi.

Prego, fai pure.” - commentò Doyle, incrociando le braccia e fissando gli austeri osservatori perdere l’impassibilità e correre affannosamente tra panche e posti già assegnati, litigandosi l’ultimo cuscino - “Come se fossi a casa tua…”

Io sono a casa mia.” - allungò un braccio, puntò un dito - “Vedi quel vecchietto con la toga bordeaux? Sta seduto nel posto che era mio nel 1832. E quell’altro? Non può saperlo ma, nel XVI secolo, in quel punto c’era la panca degli aspiranti, era il posto peggiore di tutta la sala…”

Methos appoggiò i palmi, dondolò ancora i piedi, guardandoli.

Correvano così anche il giorno in cui giunse la notizia dell’uccisione della prima Cacciatrice di Spike.” - aggiunse. E Wes alzò la testa dagli incartamenti, guardandolo - “Oh, si, Price. Io ero qui…”

Indicò con il mento una porta, al centro, in cima alla gradinata.

Un tizio ha spalancato la porta gridando: ‘il sangue nero del Flagello ha infettato la stirpe. La Cacciatrice è morta!’… un tipo plateale…” - si perse nel ricordo, per un attimo - “Il sangue del Flagello…”

Un argomento sempre attuale.” - Doyle fissò ancora gli uomini, cercando di non ascoltarli. Da quando le visioni se ne erano andate dalla sua mente, migrando chissà dove, era divenuto stranamente silenzioso. Le avrebbe riavute, avevano garantito, ai piani alti. Le avrebbe riavute, a tempo debito, ma l’assenza ancora lo turbava, rendendolo stranamente lontano.

Westley lo sbirciò, sottecchi. E, involontariamente, corse al ricordo atroce delle sue convulsioni, del dolore e di quell’attimo infinito e freddo in cui li aveva lasciati.

 

Soli. Senza Doyle.

Solo, per sempre. Scosse ancora la testa e il ricordo della paura svanì mentre tutto attorno il brusio mutava. In aula si era creato il silenzio, imposto con un perentorio colpo di martelletto.

 

E Wes, in automatico, si era alzato, radunando gli appunti, preparandosi all’arringa. Era il momento. Presto avrebbe dovuto spiegare l’accaduto, si ripetè, presentandosi, elencando i propri titoli, tollerando le occhiate perplesse innanzi alla cicatrice che gli segnava la gola, mantenendo un tono distaccato.

 

Narrare.. ma narrare cosa? Le emozioni? Le angosce? Il senso di impotenza e quello di trionfo? Narrare cosa? Una vita tra le mura dell’Hyperion? E cosa sarebbe rimasto, infine?

 

Cosa potevano saperne, quei quattro barbagianni di due vampiri con l’anima, una Cacciatrice e un osservatore? Cosa potevano immaginare di una ex cheerleader in grado di conquistare con il cuore e vedere con la mente e per amor di un demone?

Magari… magari… parlando loro di bistecche…

 

Gennaio 2000, un giorno qualsiasi da ricordare

 

Gattina… i vampiri non usano le bistecche.”

E’ un’opinione.”

No, è certezza.” – insistette Spike – “Non ho bisogno di una bistecca.”

See, see.” – replicò Cordelia, piazzandogli ugualmente il surgelato sullo zigomo– “Vedrai che poi andrà meglio. Westley, prendine una anche per Angel…”

Per una volta sarei d’accordo con Spike…”

Grazie della concessione, sei un toccasana per la fiducia personale.”

Westley, la bistecca.”

Umphf… per una volta… per una volta è d’accordo con me… io ho ragione spesso… no, anzi, io ho sempre ragione.”

William…”

Non mi parlare Flagello. Peggiori le cose.”

Westley!”

Cordelia...” – Westley si affacciò alla porta. Aveva un occhio nero. Come dire….. nero – “ Sarebbe l’ultima. Visto che Angel non la vuole, posso tenerla io?”

 

Qualcuno l’avrebbe volentieri definita una rissa da bar.

Westley, ad esempio. Che stava ancora parlando, quando Faith era saltata sul tavolo ed aveva spaccato lo sgabello che reggeva in mano sulla prima testa avvistata.

E che non aveva visto arrivare il pugno solo perché distratto da Spike che incendiava le bottiglie prima di lanciarle.

Ovviamente i coinvolti, con tono stizzito, cercavano di dare alla questione una certa impostazione eroica.

Salvifica.

Moralmente indispensabile.

Divertente.

No, Spike, questo non mi sembra il caso di tenerlo presente.

Ma se lo era….

Dicevamo, epica.

Oppure…

Ho capito, ho capito.” – Wes allungò le braccia e sventolò le mani, per calmare quella corsa all’aggettivo – “ mi bastava che qualcuno dicesse inevitabile. Faith, per favore, puoi sfilargli quel… ehm… coltello?”

Quale?” – Spike si guardò distrattamente in giro. Poi afferrò l’impugnatura che gli sporgeva dalla coscia – “Ah, questo?”

Lo sfilò senza battere ciglio ed Angel lo prese prima che finisse piantato nel ripiano del tavolo.

Non arriverei a definirlo coltello.” – aggiunse Spike, mentre, con occhio ironico, fissava Faith, intenta a premergli sullo squarcio, con uno straccio.

Ovviamente la Cacciatrice non lasciò passare la cosa. E premette anche le unghie, oltre ai palmi aperti.

Vampiro…” - disse, quando il suo uggiolio sembrò consono all’occhiatina – “se sento un’altra volta il reggiseno che mi si slaccia perché mi stai guardando, io ti farò molto… molto, molto male.”

ed io ti metterò al tappeto.”

Vuoi provare?”

posso baciarti, una volta che ti ho sbattuto per terra?”

smettetela voi due!” – scattò Cordelia, battendo i pugno sul tavolo. Poi, quando i due la fissarono con aria allibita, aggiunse, pacatamente – “Ho mal di testa.”

non stento a crederlo.” – borbottò Spike. la faccia di Cordelia, stravolta per le visioni, gli aveva ricordato il chip.

 

Ma strutturato al contrario.

Se lui provava a menar le mani, il chip, fintanto che era stato funzionante, lo aveva fatto impazzire dal dolore.

Le visioni di Cordelia, invece, erano il segnale per uscire ed iniziare a pestare tutti di santa ragione.

 

Tutti i cattivi, si intende.

Certo, Angel, lo so anch’io che gli innocenti non vanno toccati….

Anche se in una rissa ho difficoltà a separare gli innocenti dai picchiati… ma farò ovviamente l’impossibile.

Ne sarò lieto…” – aveva mormorato Angel. Domandandosi se si poteva perdere tempo in una discussione superflua traendone così tanto piacere.

 

Il ritorno di Spike non aveva turbato la normale routine di tutti i giorni.

Forse si era aggiunta una certa confusione. Ma il succo del discorso era sempre uguale.

 

Difendere, combattere, espiare.

Difendere, combattere, espiare.

Difendere, combattere, espiare.

 

ehi! Frena! a me sono stati promessi dei divertimenti!”

Davvero? E quando?”

Angel ha detto che avrei avuto la mia parte di divertimenti se mi sobbarcavo le incombenze.” – Spike si puntò il pollice allo stomaco e mollò i sacchi della spesa.

Veramente.” – mormorò Angel, iniziando a ritirare la roba sotto lo sguardo interrogativo di Cordelia – “io ho detto che avresti avuto le tue incombenze. Sei tu che hai parlato di divertimenti.”

E che c’entra questo!” – Spike roteò gli occhi e li puntò al cielo –“Io sono certo che, per i servizi che presto presso la comunità, mi merito delle gratifiche.”

Spike, sei tornato da due giorni…”

Conti i minuti gattina?” – replicò Spike, cambiando discorso, assumendo una falsissima espressione adorante – “aver saputo che ti mancavo così tanto, sarei tornato prima….”

 

E così via. In effetti, ragionò Angel fissando la bistecca che finiva sul tavolo e Spike e Faith che finivano sotto, la confusione era Parecchio aumentata.

 

Si, con Spike tutto era aumentato. Era aumentato il senso di famigliarità, l’impazienza per la lotta, la difesa delle proprie opinioni e la ricerca di loro stessi. Il poeta biondo li aveva irretiti, sfidati e stroncati senza mai dare loro pace.

Spike aveva portato un nuovo perché alle loro esistenze. E dato il via a quella che sarebbe stata la loro più grande avventura e la parentesi più perfetta della loro strana, romantica e irrecuperabile esistenza. Un’esistenza all’ombra di Angel, l’ultimo grande eroe del vecchio millennio.

 

Un’ altra notte all’insegna della giustizia.

Un’ altra notte alla ricerca dell’infallibilità, di una risposta per ogni innocente.

Elargire certezze senza averne di realmente proprie.

 

Attorno a Angel stavano ancora discutendo, di disinfettante e tecniche di approccio. Attorno a lui, ancora palpabile, il profumo inebriante del sangue versato, anche se in ridotte quantità. Lividi, contusioni…

Cordelia aveva chiuso gli occhi e si massaggiava quietamente la fronte. Un leggero movimento rotatorio sulla tempia, come per risucchiare la fitta persistente.

Aveva delle leggere ombre sotto gli occhi e, per sua stessa ammissione, era stanca.

Angel si alzò, ponendosi in piedi dietro la sua sedia e, dopo un esitazione, posandole le mani sul collo. La sentì rabbrividire per quel tocco freddo senza opporre resistenza. Con movimento fluido, la vide scostare i capelli e farli scivolare su una spalla, per lasciare campo libero al massaggio.

Dovresti riposarti un po’.” – commentò, pacatamente. Cordelia, sotto le sue mani, respirava piano, come una persona che desidera un po’ di silenzio per riflettere.

Mi piacerebbe… ma non posso.” – sussurrò, in un sospiro soddisfatto – “Ho da fare… non mi ricordo cosa… ma ho da fare…”

Secondo me, Angel ha ragione. “ - si intromise Faith, rinunciando all’ultima fulminea stoccata nella discussione con Spike – “Hai una faccia che sembra una gelatina.”

Grazie.” – commentò la ragazza, inarcando la testa per lasciare che Angel lavorasse su un’altra contrattura – “Questo commento mi aiuta molto.”

Del resto, è detto da una frittella all’uvetta, aggiunse, aprendo un occhio.

Faith ricordava, in effetti, un dolce speziato. La sua carnagione dorata era costellata di lividi ed escoriazioni brunite. Ed uno zigomo si stava gonfiando.

Wes le porse la bistecca, senza un commento, mentre Faith lo zittiva con un’occhiata gelida.

Dovresti metterci qualcosa.” – insistette, inforcando gli occhiali. Per avere un’aria più autoritaria – “Altrimenti domattina non riuscirai neanche ad aprirlo…”

E’ gia mattina e ci vedo benissimo.”

Certo, e rompi le palle tale quale ieri sera.” – commentò Spike, piantando i piedi sul tavolo e accendendo una sigaretta – “Il che dimostra che stai benissimo.”

Ti ho già detto come non ti sopporto?” – ringhiò lei.

Ti ho già detto che ti amo?” – ribattè prontamente lui.

Mmm… Angel… falli smettere.” – mugolò Cordelia, piegando la testa dall’altra parte. Aveva un collo flessuoso e attraente.

Tranquilla gattina.” – rispose Spike, sbuffando fumo e sorriso – “Amo anche te. Non essere gelosa…”

in effetti Cordelia era decisamente bella. Studiò, con aria critica. E, adesso che la vedeva così, con gli occhi socchiusi e i capelli ondulati intorno al viso, non poteva che chiedersi se Angel, dall’alto della sua assenza ormonale, si fosse reso conto di questo particolare.

Era bella, giovane e palpitante.

Si sarebbe fermato a contemplarla se, da sopra la testa della ragazza, due occhi scuri non lo avessero puntato. E polverizzato.

 

Si ritrovò a ricambiare con sfida. Angel non aveva diritto di parola sulla sua vita. E doveva ficcarselo in testa, oltre che continuare a ripeterlo.

 

Ma Angel aveva abbassato gli occhi, nascondendo il volto in ombra. Per riflettere.

Alle sue spalle la conversazione stava proseguendo. Ma solo una voce si rivolgeva a lui.

Una voce impostata e beffarda.

Allora, Flagello… per oggi possiamo ritenere adempiuta la nostra fetta di redenzione?”

Angel sorrise, cinicamente, serrando le braccia. Una fetta di redenzione… troppo dolce eppure mai abbastanza.

Io direi che per oggi siamo a posto.” – insistette Spike – “Decisamente a… dannazione!”

Angel si voltò di scatto, mentre il tonfo della sedia di Spike lo assordava.

In tempo per vederlo muoversi e raccogliere tra le braccia Cordelia, stravolta da una nuova visione.

 

Ed ora… ora era tutto finito. Wes chiuse gli occhi un attimo, scacciando i ricordi, i ricordi di un’epoca perduta e indimenticabili. Indimenticabili. E non per quello stuolo di uomini che lo fissava in attesa di grandi verità.

 

Esiste una verità maggiore del sentimento?

 

Ottobre 1999

 

Io non ti capisco!” – sbraitò Spike, in preda ad una furia incontrollabile – “Sei pronto a giurare e spergiurare sulla permanenza della mia anima rispetto alla tua. Ma guarda come ti comporti, non appena cerco di prendere il controllo della situazione!”

Si comportava come un bambino viziato. Un bambino lasciato troppo a lungo in balia dei suoi desideri.

Angel lo guardò, traendo un respiro mentale per non iniziare, seduta stante, a pigliarlo a ceffoni.

Ricordandosi, con un attimo d’anticipo quanto poco servissero le bastonate di suo padre.

William…” – inspirò – “non ti sto dicendo di non avere una vita normale. Né tantomeno di sentirti un menomato. Ti sto solo consigliando di essere certo di quello che fai. Perché tu non sai dove stai andando e non ho nessuna autorità per impormi.”

 

Wes si zittì, perdendo il ritmo nella lenta e attenta lettura del proprio resoconto. Ancora ricordi, ricordi da niente, parole, scene, frasi accantonate e dimenticate sotto mille altre più importanti. Eppure.. eppure c’era tutto in quei fotogrammi. Tutto ciò che erano stati.

Tutto.

 

Oh, Helen, pensò Wes, fissando i cinque anziani della giuria, cosa non darei per te e il tuo vestito rosa, ora…

 

Mi guarderesti e, con una lieve alzata di spalle, mi daresti tutto ciò che ho bisogno. Una risata, una presenza, un profumo di pace.

 

Helen… la tua Faith è…

 

Con un deliberato gesto, chiuse la cartelletta da cui stava minuziosamente leggendo i dati della grande battaglia di Los Angeles, i come, dove, i perché che gli osservatori, non paghi dei satelliti e degli informatori, volevano sentirgli elencare.

 

La voce del sopravvissuto, del caro figliolo tornato finalmente all’ovile.

 

Signori, credo che il mio verbale…” - esordì dunque, dopo un silenzio prolungato che ne aveva generato uno ancora più gelido in sala - “Si stia rivelando inappropriato per relazionarvi sull’accaduto. Permettetemi di raccontarvi i fatti come sono stati... e non come sono divenuti sulla carta.”

Allungò un braccio e la cartelletta, dal leggio, volò dritta sul tavolo, tra un tonfo sordo e un unanime mormorio scandalizzato.

 

Finalmente.” - comentò Methos, compiaciuto - “Mi stavo addormentando.”

Sai come è Wes…” - replicò Doyle, piegando la testa e accendendosi una sigaretta - “Ci mette un po’ a carburare le informazioni…”

Wes posò i palmi sul ripiano in legno usurato dalle mille e più arringhe, fissando la platea, l’oratorio, le occhiate offese e quelle curiose.

Il tempo degli osservatori, miei signori…” - disse, con voce chiara - “…E’ finito. Cominciate a farci l’abitudine. Perché siete appena divenuti i fantasmi del passato.”

 

PRIMA PARTE

 

[I]

 

E' tutto iniziato così, per caso. Dopo la partenza di Edward, dopo Drusilla, dopo la consapevolezza che il destino si sarebbe compiuto nel legame di sangue.” - esordì Westley, poco dopo. In uno slancio di onestà, era sceso dal podio, rinunciando alla posizione predominante al centro della sala e preferendo sedersi al lungo tavolo su cui sedeva Methos, non lontano da Doyle. E l'atteggiamento informale, rilassato contro lo schienale, le mani sui braccioli, non aveva comunque ridotto le sue capacità oratorie - “Si, è iniziato tutto così, alla fine di un'altra avventura, con Spike che alza le spalle e si lamenta del sangue delle cacciatrici, dopotutto uguale a quello di un immortale.”

Methos sorrise, dello stordimento inziale dei presenti. Stavano ancora mal digerendo il cambio di gestione che già price li gettava in medias res. Un po' repentino come cambiamento, per un branco di vecchi ammuffiti!

Si erano aspettati una pacata esposione, cronologicamente ineccepibile. E, invece... dritti come frecce a Spike e alle sue lamentele.

 

Forse non vi interessa... ma, a scopo di informazione, il sangue immortale ha il sapore di quello delle cacciatrici. Credetemi. Io ne so qualcosa.”

 

Quante storie per un sangue così prelibato per poi scoprire che un Methos qualsiasi ha lo stesso sapore!

 

Ti sbagli…

non è il sangue immortale..

è il sangue di Edward ad avere quel sapore.

 

Il tuo sangue, Spike.

Il tuo sangue.

E' la tua anima.

 

Da tempo eravamo giunti alla conclusione che l'incontro di Spike e delle cacciatrici facesse parte di un destino scritto prima della notte dei tempi. Lo sapevamo… ma, come nostro solito, non ci eravamo sentiti in dovere di dirglielo. E sapevamo della profezia sulla stirpe.” - commentò Wes, senza battere ciglio - “La stirpe delle cacciatrici un giorno si sarebbe dovuta concludere nel segno di una nuova era, un’era che, cito testualmente, ‘non nascerà dalla morte bensì dall’amore e si compirà nel riunirsi del sangue, nel legame del sangue e nella morte del sangue’.”

Si interruppe, concedendosi un respiro.

Conoscevamo la potenziale attitudine di Spike, sapevamo della leggenda... ma non sapevamo il quando. Oggi è cosa certa. I tre segni si sono compiuti. La luce, la notte, l'amore.” - aggiunse, senza smettere di fissarsi le mani spelate, segnate dalle battaglia, scarne - “Nulla è rimasto.”

 

Nulla. Nulla se non ciò che eravamo, dentro le nostre menti.

 

Alcune voci lo avevano nuovamente interrotto, chiedendo una scansione cronologica nel suo resoconto, meno umanità forse, meno emotività.

 

Suvvia, Price, così non ci siete d’aiuto.

Andiamo, Price, come pensate che si posa cogliere la situazione nella sua interezza se vi ostinate ad essere così sibillino?

 

Chiedo scusa, aveva risposto, in automatico. Ma i suoi occhi dicevano ben altro, mentre intrecciava le mani, posando i gomiti sul piano e ricominciando a parlare.

La sua voce calda, da oratore, in pochi attimi, riempì nuovamente l’aria. Ed egli, così come un tempo aveva difeso la sua Cacciatrice e il suo diritto alla libertà, affrontò nuovamente gli osservatori e il loro bigotto modo di osservare il corso degli eventi.

 

Quando venni inviato a Sunnydale per occuparmi temporaneamente della Summers.” - e razionalmente parlò di lei in quei termini, spersonalizzandola in una forma di lealtà. Solo un uomo poteva parlare di lei come di una persona. Ed era l'osservatore che l'aveva amata, sopra ogni cosa, non di certo il sostituto - “Compresi in fretta che, per quanto l'imprevedibilità e l'astuzia potessero giocare a vantaggio, si poteva ottenere un aiuto di ben altro genere anche dall'osservazione e dalla memorizzazione di molteplici fonti leggendarie. Un approccio accademico, indubbiamente, che ho imparato qui e ho stentato ad abbandonare e che, a tutt'oggi, penso ci abbia salvato più di una volta.”

Come no.” - sussurrò Methos, celando il tutto in un colpo di tosse - “Salvi il mondo dalla tua biblioteca, sbruffone.”

Wes non rispose, ma stentò a restare serio. E si piegò, fingendo di cercare un foglio.

Stronzo.” - rispose, a mezza voce.

Buffone.” - altra tosse. Poi un segno di scuse - “Perdonatemi, ho preso freddo in aereo...”

Ricomincio a parlare appena smetti.” - fece eco Wes, soave, tamburellando sul tavolo. Nel frattempo Doyle gli aveva rubato il foglio e ci stava facendo un aeroplanino. Intanto, a lui, non avrebbero detto un bel niente - “A posto? Bene. Quelllo che sto dicendo è che, man mano che procedevo nelle mie letture, si ideò in me l'idea che ci fosse uno schema ben preciso dietro alcuni eventi casuali, che tali eventi separati tra loro potessero inserirsi in una visione più ampia... Sempre che casuale si possa definire il ritorno di un'anima in un vampiro, oppure il fatto che egli abbia un fratello immortale.”

Vi state riferendo al Pescatore d'Oro, vero?”

Come, prego?”

E' il nome in codice per Edward Coventry.” - spiegò Methos, in maniera stranamente professionale, voltandosi - “Lo hanno identificato la prima volta mentre viveva nel golfo del Tonchino. I locali lo chiamavano così per via dei capelli.”

 

Portava i capelli lunghi. E nei paesini della costa lo conoscevano come il pescatore d’oro, per quella sua chioma ribelle, per quei tratti bruciati dal sole e gli occhi di acqua liquida.

E Methos non era del tutto certo che quel soprannome gli spiacesse.

Mosse il cappello con più decisione e si tirò indietro i capelli, corti e lisci, brontolando. La camicia bianca che indossava gli si stava incollando addosso. Era scandaloso.

Mi dici cosa trovi in questa vita, Coventry?” – il cappello smuoveva solo aria calda – “Caldo, insetti, puzza di pesce… ti stai per caso inselvatichendo?”

Edward si voltò. E gli sorrise. Appoggiò saldamente un piede e si issò, sul bordo consumato dell’imbarcazione. Il braccio con cui reggeva la fune si tese, delineandosi di muscoli. E l’uomo, incurante dell’oscillazione anomala, protese l’altro verso il vuoto.

 

Getto via la saggezza.” – recitò, ridendo – “ripudio il sapere.

I miei pensieri vagano nel grande vuoto.”

 

Ruotò il busto, salutando un’altra imbarcazione. E la luce lo colpì in pieno, esasperando il contrasto tra i capelli e la pelle. Gettò la testa indietro, e la sua voce scivolò sulle leggere increspature azzurre.

 

I miei pensieri vagano nel grande vuoto. Stare sempre a pentirmi del male commesso non porterebbe il mio cuore alla pace. Getto il mio amo in un ruscello solo

ma la mia gioia è come avessi un regno.”

 

Era felice. In pace con se stesso. Non se ne sarebbe mai andato.

Ed io sono andato a prenderlo, per farlo sparire dai loro radar. Ma era già tardi.

 

Gli ho guastato la festa senza motivo.

 

Ho capito.” - Wes annuì, senza commentare. Methos, a sorpresa, risultava essere l'Osservatore di Edward. Probabilmente, dalla notte in cui lo aveva ucciso, non aveva più fatto altro che cercare di proteggerlo. In tutti i modi - “Si, sto parlando di lui, Edward Coventry. Non penso che vi interessi del tutto sapere come la sua strada si sia incrociata con quella di Spike, durante l'anno passato. E, oggettivamente, è una storia piena di fatti privati che sono ben lieto di non riassumere. Mi limiterò solo a dire che Edward è stato, con le sue scelte, la miccia che ha dato il via al nostro epilogo. Dopo di lui, la storia ha inizato a cambiare.”

 

Edward ci aveva dato conferma del senso del nostro combattere.

Era per una luce come la sua che avremmo dato le nostre vite.

Tutti. Nessuno escluso.

 

Spike, probabilmente, aveva in sé questa consapevolezza dalla nascita.

Tutto dalla luce e per la luce.

Noi, semplicemente, imparammo da lui. E da loro.

 

Edward era agli antipodi del suo fratello vampiro… dal sorriso ai movimenti. Eppure…

 

Eppure Faith, per essere una Cacciatrice, mancava a volte della fantasia necessaria. I suoi forse e i suoi eppure, figli dell’intuizione, tendevano a finire nel reparto pensieri scartati.

Sicchè, il possibile punto di incontro tra Spike ed Edward, venne sbattuto nella categoria ‘ effetti di luce’.

Così vicino alla realtà da essere sorprendente.

Perché la luce che Faith aveva identificato su Edward, non proveniva da fuori... ma da dentro.

Venti minuti più tardi, rientrando all’Hyperion, avrebbe trovato Wes sotto il portico, intento a prendere una boccata d’aria.

Fatto tutto.” – disse, scavalcando la panchina e andandogli incontro – “Ha detto che si farà vivo per parlarne. “

Ottimo, rispose l’Osservatore, girando le pagine del giornale. Interrompendo la lettura, nel notare la sua espressione pensierosa.

Qualcos’altro?”

No, niente di particolare.” – Faith scosse il capo. Poi, visto che non aveva nulla da perdere in dignità, azzardò – “Wes, posso farti una domanda?”

Penso di si…”

Ti è mai successo di incontrare qualcuno a cui si addica il termine ‘ rifulgente’?”

Questo si che era strano, detto da Faith.

Wes si trattenne per un pelo dal chiederle come diavolo sapesse una parola così forbita. Sarebbe suonato offensivo, gli ricordò il suo sangue inglese.

Ma no, è un sciocchezza.” – aggiunse, subito dopo, la ragazza, movendosi per entrare in casa – “Lascia stare… si vede che frequento troppo Spike e le idee bacate.”

 

Presto fu evidente che, dopo essersi ritrovato con il fratello, Edward non sarebbe rimasto lontano a lungo. Lo sapevamo. Come sapevamo che il suo ritorno, una volta ancora, ci avrebbe segnato, probabilmente in maniera definitiva. Ma lo attendevamo, con impazienza. Edward Coventry, per quanto immortale e già parte di un gioco differente dal nostro, era l’uomo del destino, per tutti noi.” - spiegò, poco dopo, quando sentì i commenti affievolirsi - “L’unicità di questo immortale va oltre l’essere il fratello di un vampiro destinato a redimersi e divenire paladino. La forza di questo essere sta nell’assoluta umanità e assoluta mancanza di incertezza innanzi al bene. Edward Coventry è luce. Personalmente, in tutta la mia vita, non ho mai conosciuto nessun uomo di tale vasta concezione del creato. E dubito che mai nessuno arriverà ad eguagliarlo. La sua immortalità, signori, quell’immortalità che alcuni di voi inseguono e osservano, è tanto forte e perfetta da stordire e accecare.”

 

Alta velocità? Esplosivi? Ma scusami, non sei preoccupato?” - domandò Cordelia, perplessa.

In che senso?”

Va bene che sei immortale, va bene tutto, ma non hai paura di morire? Potrebbe accadere che ti si stacchi la testa in un'esplosione…”

Cordy...” – si intromise Spike – “Edward non aveva paura di morire nemmeno da vivo…”

Si.” – sorrise lui – “Sono un incosciente dalla nascita.”

 

Edward Coventry è luce. Definizione appropriata. Luce senza ombre in un mondo di incertezza.” - aggiunse una voce alle sue spalle. Methos era ancora seduto sul tavolo, la stessa espressione incurante di sempre. Adam Pierson si rivolgeva ai suoi pari continuando a celare la propria identità. Ma la sua voce, la sua voce svelava i millenni - “Come suo osservatore, ho seguito la sua esistenza, passo dopo passo. E tutti, i testimoni diretti come le fonti, confermano ciò che sta dicendo mister Price. Edward Coventry, il Pescatore d'Oro, è un fuoriclasse oggi ma, con buona probabilità, lo era già da vivo… la sua morte violenta, in questo caso, ha preservato e potenziato delle doti umane uniche. E non solo nel campo della scherma.”

 

"Non lo avessi visto" - mormorò Cordelia, osservando la spada ruotare due volte e piantarsi per terra - "Non ci avrei creduto."

"Non me ne parlare."- aggiunse Wes, guardando Spike camminare fino a raccoglierla.

Per la terza volta.

E, per la terza volta, i loro occhi si spostarono dal vampiro battuto all'immortale.

"Non ho parole." - ammise Faith, voltandosi - "E tu gli hai tenuto testa?"

"Sono stato fortunato." - ammise Angel - "Molto, adesso che lo vedo in azione."

"voi la smettete di pontificare?" - ringhiò Spike ripassando davanti alla tribuna e rimettendosi in posizione - "vorrei vedervi al mio posto."

Edward accennò un sorriso senza un commento. e, un minuto dopo, la spada di Spike si piantò nuovamente a terra. Con una nuova ondata di commenti ammirati.

 

Ritengo che Spike abbia sempre percepito queste sue peculiarità fin dalla nascita e ben oltre il legame fraterno. Negli anni più volte ha parlato di rifulgenza, riferendosi a una disperata ricerca della luce.” - aggiunse Doyle, con voce quieta. Nessuno fiatò per quell’intervento fuori programma. Se Pierson poteva vantare l’osservanza di Coventry e la tutela di Faith e Price l’onorevole, seppur ripudiata, appartenenza alla categoria, l’uomo che si faceva chiamare Doyle godeva di uno status che sfiorava l’imbarazzo.

 

Cantastorie. Una figura mitica come un drago e unica nella sua espressione.

 

Non era sconosciuto ai presenti. Anni addietro, in un’imbarazzante occasione per la Cacciatrice di Sunnydale, egli stesso si era presentato al consiglio, per conferire e comunicare come l’universo avesse deciso al meglio per l’epilogo.

 

Morte di Angelus per mano di Buffy. Fine del problema apocalisse.

Nessuno, già allora, aveva considerato il vampiro biondo nell’ombra, quello che poi si sarebbe adoperato per aiutarla a salvare il mondo. Ma, in quella stessa occasione, il Cantastorie dagli occhi chiari aveva profetizzato senza perdersi in preamboli.

La prossima volta che ci vedremo…” - aveva detto, con fierezza - “Sarà ancora per Angelus, per Angel e per tutto ciò che lui rappresenta nel bene e nel male. Perché sarà tramite lui che giungerà la nuova era.”

 

Tramite lui. Le sue scelte. Il suo sangue.

 

Acathla era stato solo l’inizio. Francis Allen Doyle lo sapeva. Il sangue di Angel non avrebbe solo chiuso la porta dell’inferno. Il sangue di Angel sarebbe stato la chiave della salvezza.

Ed ora, nel fissarlo, il consiglio non fiatava. E sentiva, come non mai, il peso della leggenda sulle proprie spalle e contro le proprie tempie.

Doyle fissò gli anziani e non celò un sorriso, disciolse le braccia ancora incrociate, avanzò a centro sala e si accese una sigaretta, preparandosi a fare ciò che sapeva far meglio.

 

Il Cantastorie.

 

Credo che ci occorra un po’ di epica, a questo punto. Un tocco di poesia.” - comunicò, con tranquillità - “E, per capire non possiamo iniziare da Edward l’immortale che è, a conti fatti, l’epilogo di una lunga storia. Dobbiamo cominciare da uno dei tanti inizi di questa storia. Ma, se non vi spiace, io comincerò dal mo preferito… e il mio preferito è…”

 

1997, Sunnydale

 

Questa storia inizia in un cimitero. Gente che corre, gente in pericolo.

Poi, come nelle migliori saghe, dal buio appare l’eroe. L’eroe…

Forza dell’abitudine, retaggio di centinaia di leggende, dare per scontato che il protettore nel buio sia un uomo.

Questo è il primo sbaglio.

Perché l’eroe in questione è un’eroina.

Niente passato traumatico, niente oscure motivazioni, niente tendenza alla solitudine.

È soltanto lei.

È soltanto la Cacciatrice.

In una parola si sintetizza tutto quello che c’è e non si vede.

Buffy Summers si ritaglia uno spazio nella vita di Sunnnydale. Pochi la conoscono per quello che realmente rappresenta. Bionda, appassionata di moda, propensa a mangiare schifezze caloriche.

Parla talvolta con rimpianto di un’epoca in cui poteva permettersi di essere frivola. Ha una rivalità per nulla attenuata con la reginetta del liceo, Cordelia. In lei probabilmente riconosce l’altra strada che avrebbe potuto percorrere, se il destino non le avesse tirato un così buffo scherzo.

Cacciatrice. Cacciatrice di vampiri. Di loro non sa nulla se non che vanno uccisi. Distrutti.

La loro esistenza è la causa della sua esistenza.

Non ci fossero stati i vampiri, probabilmente non sarebbe servita neanche una Cacciatrice.

Esserlo sembra una responsabilità di cui è meglio essere inconsapevoli. Quel qualcosa che comprime le proprie ambizioni. Che preclude la strada che sembrava già spianata.

Bella e di animo leggero. Amata, felice… ignara.

Buffy abbandona lungo la strada le sue ambizioni. Fonde disperatamente le sue passioni con i suoi doveri. Impugna un rossetto ed una spada con la stessa abilità. Ed aldilà dei suoi compiti, resta sempre una liceale intrappolata in qualcosa di troppo vasto ed incomprensibile.

Come lei, Willow. L’amica di sempre, quella che azzera i ricordi di un passato in cui non c’è stata con le presenza discreta di ogni giorno. Capace , apparentemente felice e completa, tra i suoi libri e le sue ambizioni di studiosa. Innamorata da sempre dell’amico d’infanzia, Xander. Il primo a cadere innanzi alla Cacciatrice, il primo a rinunciare a lei, scivolando verso un’altalena di amori che rimpiange e ritiene sbagliati in egual misura. Willow, l’amicizia rovinata, Cordelia, il tempo sprecato, Anya, il demone, la cosa più solida e labile allo stesso tempo.

Un girotondo di ragazze , rimpiangendo di non averne mai abbastanza.

Un incapace dichiarato, ma sempre presente, notte dopo notte, a fianco di Buffy di Willow.

Capace di parlare di una all’altra, scavando dentro un solco profondo, aprendo la via di Willlow al desiderio di essere parte della grande vicenda in cui muove Buffy.

Dentro e contro il destino.Un tema ricorrente.Per tutti loro.

Limitati dall’essere semplicemente … normali. E di colpo non più.

Questo è Buffy.

Trasferita a Sunnydale dalla città grande, insofferente allo studio, alla puntualità, alle regole ed alle persone legate all’autorità. Insofferente alla malvagità. Calamita per ogni forma di male, disperatamente alla ricerca di una vita privata, in piedi sull’altalena precaria del destino.

Dentro e fuori le profezie.

Destinata a morire ed ancora capace di agire.

 

Quasi incanalata nel suo destino ormai, quando giunge Angel.

Angel.

 

Di lui non sa nulla se non che le piace.

Se non che ha occhi scuri e profondi e sa più di quello che dice.

Le sorride ironico. Finge di essere l‘altro se stesso, ogni volta che la incontra.

Una volta, sull’altra.

La tiene d’occhio e si compiace di ciò che vede… fino all’inevitabile…

 

“… questo è il vostro Angel. Quello che ha attirato la vostra attenzione, se non erro. Colpa mia, del resto.” - aggiunse Doyle, camminando avanti e indietro innanzi al tavolo - “Era appena divenuto un mio problema, ed ero stato io a spedirlo a Sunnydale, lo ricordo bene. Compresso nei sensi di colpa, schiacciato da una missione che non capiva perché gli spettasse e irretito da quello che sarà, alla resa dei conti, il grande amore della sua vita. Il primo grande amore della sua vita.”

Scenerò e spense l’ennesima sigaretta nel posacenere improvvisato che Methos gli porgeva. E, nel farlo, alzò lo sguardo fuggevolmente.

 

Methos, l’immortale, l’osservatore, l’amico di sempre, il padre.

 

L’essere che ancora ora, nella profezia fino ai capelli, negava una propria personale predestinazione. Del resto, era giunto alla fine del cammino con questi eroi che presto, volenti o nolenti, lo avrebbero lasciato andare. Methos si preparava a svanire nella nebbia, come suo solito. E altri cinquemila anni non sarebbero bastati a tutti loro per rincontrarlo.

 

Ma da me tornerai, ogni tanto, vero, papà? Lo farai almeno per me se non puoi farlo per la leggenda?

 

Non ci penso proprio.”

Eppure dovresti.”

Scordatelo, Francis.” – replicò, implacabile, chiudendo la sacca e mettendosela sulla spalla – “Non ho intenzione di rinunciare. Ci vediamo tra un paio di giorni.”

Andiamo, Methos, non è il momento per un week end di piacere.” – Doyle lo tallonò fuori dalla camera. E Cordelia, vedendoli spuntare, abbassò la rivista e li seguì con lo sguardo.

Methos, sul passaggio, le sorrise. Era veramente una gran donna, le caviglie artisticamente intrecciate, i capelli legati alti, in cima alla testa.. se non fosse stato per quell’americanissimo chewin gum che masticava senza sosta…

Ti verrà la mascella quadrata.” – commentò, guardandola cimentarsi nell’ennesimo palloncino rosa.

Non gli credere, principessa.” – si intromise Doyle, tornando poi a fronteggiare l’uomo in partenza – “Se non l’hai notato c’è aria di guai in città, potrebbe servirci parecchio aiuto nei prossimi giorni.”

Methos posò la sacca e si voltò, fissandolo.

Hai avuto una visione dai tuoi?” – domandò a bruciapelo, piantandosi le mani sui fianchi – “Qualcosa di tangibile su cui lavorare?”

Doyle si interruppe, del tutto preso in contropiede.

Non ancora, ma…” – obbiettò.

Niente ma. Se succede telefonami.” – concluse, infilandosi il giaccone – “Cordy, buon fine settimana.”

Ciao, ciao, ci vediamo quando torni.” – rispose lei, giuliva, tra una masticata e l’altra, continuando imperterrita a sfogliare il giornale di moda – “Divertiti.”

Doyle le lanciò un’occhiata tra il risentito e l’abbandonato. Poi si girò, sbuffando, verso Methos.

Francis, ricordati si spegnere la luce e chiudere la porta, quando ve ne andate.” – si sentì raccomandare, come se niente fosse.

 

E, d’un tratto, si sentì depresso.

Come uno che nessuno ascolta.

 

Doyle si voltò, tornò verso il tavolo e allargò le braccia.

Saltiamo qualche particolare, miei signori.” - riprese - “Non credo che nessuno di voi abbia interesse nel rimembrare alcune imbarazzanti sciocchezzuole, dal cruciamentum di Buffy fino all’episodio che volete voi. I vostri fallimenti sono deliziosi e per tutti i gusti, ormai. E non offendetevi per le mie parole.”

Si era messo una mano sul cuore, con aria innocente. E aveva indicato il soffitto, con un dito.

Sono loro che lo dicono. Non io. E, del resto, di inizio in inizio, Angel è andato lontano. Ha lasciato Sunnydale ed è venuto a Los Angeles. E ha fatto del nome di quella vecchia cara metropoli un dato di fatto. LA, la città degli Angeli. E gli Angeli, si sa hanno ali piene di luce, anche quando sono Angeli neri. Neri come la notte e neri come i casi affrontati.”

 

Si sedette sul profilo del tavolo, dando un’accelerata alle scandalizzate espressione, spendendole dritte alla rabbia.

 

Angel investigation, siamo qui per aiutavi.” - sponsorizzò, con il miglior stile insegnatogli da Cordelia - “E qui, Angel ha dato una casa, un senso e una vita al sottoscritto, a Cordelia, a Wes e a se stesso. Non lo leggerete spesso nelle storie su di lui, perché di solito premono il tasto su ben altri particolari, anche più piccanti, volendo. Ma ciò che conta, in Angel, è lo scopo. Non tutti lo hanno e non tutti sanno generarne uno per le persone che hanno a fianco.

Solo Angel, di tante che ho conosciuto, ha saputo farlo. Io mi sono fatto ammazzare per Angel. E so di cosa sto parlando, se ho saputo tornare persino indietro. Per la sua vita e per l’amore che ha portato nella mia vita.”

 

Solo Doyle poteva proteggere Angel.

Solo Doyle.

Ed era per questo che era tornato. Aveva smosso terra e cielo, a partire da quando era stato consapevole di quel pericolo.

Angel sarebbe morto.

Il suo destino era scritto.

Ma cosa può il destino, se uno spirito irlandese prende in mano la situazione?

Nulla.

Nulla.

Ed Angel sarebbe vissuto.

E Cordelia non avrebbe dovuto piangere più.

E Doyle aveva una nuova vita da vivere.

Ed in cuor suo, sperava di essersela meritata. Perché mai, quel mondo tanto caotico ed incomprensibile gli era sembrato più affascinante.

 

L’amore. Lo abbiamo avuto in dono e lo abbiamo perso, lo abbiamo difeso, cantato, spezzato, denigrato e ancora ricercato.

L’amore ha guidato tanti nostri passi, in questi anni, in questi eventi.

E, ogni volta che l’abbiamo sentito sfuggire e ci siamo sentiti spezzati, incapaci di tenercelo stretto… abbiamo creato parole. Parole e canzoni, fino a sfinirci.

 

Quante ronde, quante conversazioni… quante parole non dette… Angel gettò lo sguardo a quelle lapidi. Mai più avrebbe riposato, appoggiato ad una di esse, con Buffy tra le braccia. Non l'avrebbe fatto più nessuno.

Non ci sono matrimoni in cielo, ma c'è l'amore.

Avrebbe tanto desiderato credere.

Credere realmente a quest'amore che poteva salvare tutto e tutti… ma che aveva ucciso Buffy.

Ed uccideva, giorno dopo giorno, chi amava. E chi era amato.

Angel voleva vivere, disperatamente, non potendo strapparsi il cuore dal petto. Angel sapeva di dover vivere. Non aveva bisogno di nulla, per sapere che avrebbe continuato ad avanzare, anche se, in fondo a quel tunnel, non vedeva la luce.

L'avrebbe fatto.

Perché Buffy era morta per amore. E, per amore, loro sarebbero sopravvissuti.

Perché quella era l'ultima volontà della Cacciatrice.

Credi realmente che esista un perché, Doyle?” – domandò.

Certo.” – rispose, dolcemente il demone, seguendo lo sguardo di Angel lungo i pendii erbosi e le pietre abrase – “C’è sempre un perché, tutti lo inseguiamo, giorno per giorno, cercando di ricongiungerci a lui. Siamo fatti per cercare. E cercare di capire.”

Come fai a crederlo veramente…. Come fai a credere ancora in qualcosa…”

il mondo cade in rovina. E su queste rovine, generazione dopo generazione, scorre il sangue di una ragazza innocente, il cui perché è più grande di ogni altra cosa.

Tu lo sai, Angel. Tu sai quali sono i rischi che si corre ad avere una vocazione. Ad essere predestinati. Buffy era parte del trascorrere di ogni cosa. Non sarebbe stata Buffy, se non avesse fatto la cosa giusta.” – Doyle gli si affiancò, smovendo appena a terra, con la punta del piede – “per il mondo, Angel. per questo mondo sarebbe stata disposta a tutto. Ad uccidere te, a salvare Dawn e ad uccidere se stessa. E sapeva di avere un buon motivo per fare ogni cosa.”

Angel annuì, prima di scrutare nuovamente le ombre.

Sai, uomo, c’è un’altra cosa in cui credo…” – aggiunse, seguitando a parlare con il suo freddo profilo – “Credo che nella vita solo un amore sia abbastanza grande da essere eterno.

Che nella vita nulla duri realmente, se non l'amore.”

L'amore che mai le distanze hanno potuto spegnere.

L'amore che non è sesso. E che non è fedeltà.

L'amore che non può essere facile.

Ma che ugualmente riempie il cuore e dona vita.

L’amore, Angel. nulla più. Non lo senti, realmente? Vuoi dirmi che non riesci a percepirlo? Si muore per amore, Angel… credimi…”

Come poteva parlare di se stesso, in quel modo. Angel scrutò le profondità azzurre, alla caccia di quel segreto che gli permetteva di parlare così. Di parlare della vita e di come si è pronti a spezzarla per qualcun altro.

Angel lo guardava, muto, assorbendo ogni parola, crollando dentro quel vortice di verità.

Amore, uomo, amore e null’altro. Non ho provato dolore quando sono svanito nella luce. Non potevo, non potevo soffrire per una cosa tanto giusta. E lo rifarei, andrei avanti a gabbare il disegno delle cose, semplicemente per amore.

Forse nel destino reale sarebbe dovuta morire Dawn. Probabilmente Buffy sapeva. Sapeva che il Consiglio aveva ragione.

Bastava uccidere Dawn.

L’avresti preferito?”

Angel scosse la testa, mentre in testa gli rimbombavano le parole di rabbia di Spike.

“… per Buffy non aveva importanza che fosse Dawn la predestinata. E se, per salvarla, bastava porre un’altra vita sul piatto della bilancia…” – Doyle si interruppe, per trarre conforto da un respiro – “Allora la Cacciatrice ha fatto la cosa più giusta.”

C’era aria di tempesta. Il cielo era coperto e soffiava un vento forte e aggressivo.

L’universo stava accogliendo la Cacciatrice. La Cacciatrice era tornata alla terra su cui si era sparso il suo sangue. Gli eventi, stravolti, tornavano al loro corso, una volta ancora.

E, come un fiume in piena, si rovesciavano nel mare infinito del fato. Annegando, con i sogni ed i desideri di ognuno di loro.

Fossi rimasto a Sunnydale, sarebbe cambiato qualcosa?” – chiese Angel, alzando lo sguardo al cielo cupo.

 

E cosa rispondeste…” - chiese uno degli osservatori. Era anziano, aggrappato al proprio bastone, per nulla intimorito da quelle parole. Era vecchio. E la vecchiaia rende coraggiosi.

Non risposi.” - replicò Doyle. E si accese un’altra sigaretta - “Ma Angel non aveva bisogno una risposta. Angel sapeva. Aveva sempre saputo che non sarebbe stato il suo amore per Buffy a cambiare l’universo. Non era lui il vampiro della Cacciatrice.”

 

Scosse il fiammifero, spegnendolo.

 

No, fu solo un dubbio, un dubbio comprensibile, quella volta. Ma una cosa è certa. Sapeva di essersene andato da Sunnydale per un buon motivo e non ne dubitò mai. Quando vi tornò, l’unica volta che volle spontaneamente tornarvi, nell’ottobre del 1999, lo fece soltanto perché si trattava di un motivo ancora migliore.”

 

" Che fosse un nemico, o un coinquilino rompiscatole,

è sempre stato uno della mia vita."

"Uno della tua vita… è una ben strana definizione."

"La migliore che si possa trovare."

 

[II]

 

Non mi capite, vero? Non mi sorprende. Voi siete uomini dai begli schemi, dagli eleganti confini. Uomo e donna, bene e male, cattivi e buoni, amici o nemici, alleati e traditori. Ma noi, i figli della zona d’ombra, non ci sentiamo di essere tanto sofisticati. Noi siamo quelli che nella vita incontrano gente. E la gente non è mai solo buona o solo cattiva, non è mai nella nostra vita solo per positività.

No. Voi potete avere gli schemi. Noi ci limitiamo ad avere le persone della nostra vita.

Ed Angel, per quelli della sua vita, farebbe tutto.

Ed è così che la nostra storia ha ancora un nuovo invitante inizio.”

 

Quello dell’ottobre del 1999 quando uno della sua vita… uno della sua vita... bussò alla sua anima. E non volle mai più lasciarlo.

 

Erano stati amici, padre e figlio, nemici, alleati ed infine di nuovo nemici.

Non sarebbero mai potuti essere degli estranei.

Ed ora, quel palpitare della loro anima in fondo al dolore, li rendeva fratelli.

Fratelli.

Fratelli di sangue.

 

Sono successe molte cose, in quei giorni. Io ero morto, ma le ricordo comunque. Si vede che stavo da quelle parti. Spike non era propriamente in sé e c'erano ben poche tracce per ricostruire l'accaduto, il ritorno inspiegabile di quell'anima stropicciata.

Per un poco, ho persino dubitato che le cose si aggiustassero. E credo che Angel la pensasse come me, che non volesse nemmeno salvarlo.

Oh, si, di questo sono certo. Angel lo avrebbe volentieri ammazzato, gli avrebbe risparmiato la sofferenze e il peso di una vita di redenzione.

 

"Qui non si tratta del sangue che non potrà più bere. Non temo il suo futuro. Ma conosco il suo passato. L'hai visto? Io lo ridussi così, in un vicolo a Londra. Era così, rannicchiato nello stesso modo in cui l'ho trovato stasera, quando gli ho fatto bere il mio sangue per salvarlo dalla vita. Ma adesso… io non sono più quello di allora. Gli ho portato via qualcosa allora… è passato troppo tempo perché il riaverlo indietro non lo faccia soffrire."

 

È un veterano, il nostro Angel. E sono poche le cose che non sa del dolore di vedere volti di vittime ogni volta che chiude gli occhi.”

Un veterano? Un carnefice, forse.”

Si, certo. Un carnefice. Come quel tizio con la falce in mano. La morte rende più intensa e apprezzabile la vita, amici miei. Angel non fa eccezione alla regola. Spezzare qualcosa e rimpiangerlo significa serbare un rispetto e una dedizione unica per ciò che ancora resta intatto... ma questo è un bell'argomento da serate al club. E noi, qui, dobbiamo parlare di ben altro.”

Allora proseguite...” - il parruccone sembrò ricordarsi con un attimo di ritardo a chi si stava rivolgendo - “Per favore.”

Spike, dicevamo. Spezzato, disorientato e con un innato senso di dedizione nei confronti del nostro vampiro bruno. Il vostro 'carnefice' per intenderci. Credetemi…” - annuì, lasciando dondolare un piede e portando via un bicchiere d’acqua non suo - “Angel non ha avuto vita facile con il bel William. Lo ha educato, protetto e amato fin dall’attimo in cui lo ha portato via dalla cara, vecchia, Sunnyhell. Lo ha portato con sé perché non c’era altro posto in cui riusciva ad immaginarlo.

Un nuovo inizio, dunque.

Un fratello maggiore per William, un fratello minore per Liam.”

 

"Parlami, Spike." - fece una pausa, domandandosi cosa gli sarebbe uscito dalle labbra, se, per una volta, avesse buttato al vento tutti i segreti - "Parlami."

L'avrebbe implorato.

Avrebbe dato l'anima.

Già. Avrebbe dato l'anima.

"William."

Angel alzò la testa di scatto.

Lo sguardo di Spike era pieno di tormento. Ma la sua voce era ferma e salda, come Angel la ricordava.

"William. Preferisco William. Lo pronunci bene, per essere un irlandese."

 

Si interruppe, girando appena la testa verso Wes. Ma l'osservatore scosse la propria impercettibilmente.

No, vai pure avanti. Aspetto volentieri. E mi piace ascoltarti.” - Doyle sentì distintamente la sua voce nella mente. E non commentò il piccolo abuso appena fatto delle proprie doti meno accademiche. Wes non era cambiato solo per abitudini e scelte... Wes si era spinto un poco oltre.

Tuttavia..” - proseguì dunque - “Tuttavia stiamo trascurando un particolare. Vedete, io credo che l'amore basti sempre e spieghi tutto. Ma, voi e il cosmo, giusto per citare alcune categorie, anelate sempre altre spiegazioni. E quindi, voglio ora portare alla vostra attenzione un fotogramma.”

 

Angel sbatté le palpebre.

Fratelli di sangue.

Le mani…

Palmo contro palmo…

Angel impugnò lo stiletto con la sinistra; poi, allentando la prese della destra, inserì la lama tra le due mani.

E la sfilò, come estrarla da un fodero.

Un fodero di carne.

E lo scagliò lontano.

Lontano da entrambi.

Spike, lo vide sfuocarsi, poi, essere inghiottito dalle tenebre.

La gola gli si strinse in un rantolo.

Immagini fulminee gli balenavano a piena velocità nel cervello. Immagini di una vita non sua, di un dolore che già sentiva in petto.

Un dolore della stessa matrice, oltre i confini del tempo.

Le visioni ruotavano sempre più veloci.

Lo facevano impazzire.

Urlò forte, ma qualcuno gli premette una mano sulla bocca.

Una mano che sapeva di sangue.

Sangue potente, sangue senza vita.

La luce che sentiva dentro si espandeva anche fuori.

Energia che lentamente sfumava, con lo scorrere sempre più esile del loro sangue.

Il sangue che si mischiava di nuovo.

Con la morte a tenerli entrambi tra le braccia.. come una donna, il vertice del loro triangolo amoroso.

 

Angel ha sempre avuto una certa dose di intuito, su molte cose. Ma non c’è modo di rendere, oggi, la portata di quella scelta e di quel legame.” - aggiunse, riposando il bicchiere vuoto - “Quel contatto telepatico che non volevano ammettere e credevano casuale si è creato in quell'attimo, tra quelle due mani intrecciate. Era un modo di credere uno nell’altro senza frenarsi… un miraggio d’umanità, si potrebbe definire, se volessimo pensare a loro come semplici demoni. Ma io non ne sono mai stato capace. Erano esseri, esseri sperduti nel tempo e ritrovatisi. Esseri dello stesso sangue e dallo stesso nome, separati perché tanto si compisse. Così tanto…”

Sospirò. E si voltò, ammiccando a Wes.

Spiegalo tu.” - domandò, ridanciano - “Io non amo parlare di questa parte.”

Volentieri.” - rispose Wes. Aveva atteso il suo turno, paziente, le mani ancora intrecciate, i gomiti appoggiati al leggio - “Nel febbraio del 2000, dunque, Spike era orai ufficialmente uno dei nostri. E noi eravamo sopravvissuti alla sua comparsa senza particolari traumi. Anzi. Spike aveva portato un certo non so che tra di noi. Conosceva Angel, lo conosceva bene, constatammo, con una certa sorpresa. Conosceva Angel quasi quanto Angelus e, molte volte, questo particolare si rivelò divertente oltre che utile. Spike sapeva aprire lo spiraglio sui misteri del nostro vampiro con l’anima per antonomasia. E, poco dopo il suo arrivo, tornò anche Doyle. Dalla morte. E per amore.”

 

"Cordy!Angel!" - Wes lanciò tutte le sue valigie nell'ingresso e corse su dalle scale. Frenando in cima - "D-Doyle?"

"Così finalmente ci conosciamo…" - commentò il mezzo-demone, seduto sull'ultimo gradino. Intento a giocherellare con un mazzo di carte - "E non nego che per me sia un piacere…"

"Ma…come?"

Il cervello di Wes stentava ad accettare tutte le informazioni con cui era stato bombardato nelle ultime ore. Angel, avvelenato. Cordelia che lo chiamava nel cuore della notte…e Doyle, tornato da chissà dove…

"Come? O perché… qual è la domanda più interessante?" - lo canzonò blandamente - "possiamo parlarne… ma io probabilmente non saprò darti nessuna delle due risposte…"

"oppure sarò io a non capirle." - replicò prontamente l'osservatore, lasciando che i loro sguardi si incontrassero. Notando, per la prima volta, un sorriso leggero e garbato, sul viso del suo interlocutore.

"Forse…" - commentò, senza smettere di mischiare le carte - "Ma chi può dire…"

 

Bravo, vero?” - chiese il demone irlandese, chiamando a sé un applauso che la platea, con suo grande disappunto non gli concesse - “Scusami, Wes. Vai pure avanti.”

Vorrei puntualizzare una cosa. Nessuno, a conti fatti, ha mai realmente appurato come o perché l’anima di Spike sia tornata. Il diretto interessato non si è mai sbottonato a riguardo. Ma, vedete, possiamo affermare con certezza che il ritorno dell’anima di Spike un ennesimo input per il ritorno di Doyle.”

 

Se non vi basta l'affetto il desiderio di salvare la vita di Angel...

Se non vi basta l'amore per Cordelia... o la passione per la vita...

allora tirate una linea di unione tra l'anima di Spike e il respiro di Doyle. Andrà bene comunque.

 

"Allora, Cantastorie…" - Spike aveva uno sguardo fermo e profondo - " Con quale messaggio sei arrivato, questa volta?"

"Nessun messaggio. Avevo lasciato alcune cose in sospeso. E non potevo accettare la morte di Angel. Tu saresti restato impassibile?"

"No. No. Mai. Ma io sono Spike, e tu sei il suo custode."

"E' vero. Ognuno ha il suo compito. Ed entrambi sappiamo come svolgerlo, direi."

"Tu credi?"

"No, Spike. Io non credo. Io so. È il vantaggio di essere un redivivo." - Doyle alzò gli occhi al cielo - " Le mie fonti erano molto, molto, molto… affidabili."

 

È Doyle, le sue connessioni con l'esistenza sono infinite.

 

Non ho provocato io il ritorno dell'anima di Spike. Mi sono rallegrato molto quando è successo, ma non sono stato io. Io sono un povero demone senza potere decisionale. Ma…"

Doyle si fermò, con aria birichina ed un dito sulle labbra.

Cordelia sostò a fissarlo, incrociando le braccia. Le veniva tremendamente da ridere. E, in un attimo, si ritrovò tenuta per il collo. Doyle aveva ricominciato a camminare e parlare.

"Ma si potrebbe dire che Spike ha a che fare con il mio ritorno."

"Che cosa?"

"Io, Cordelia, sono la terza opzione. Spike sarebbe dovuto morire, quella notte, a Sunnydale. Ma Angel l'ha salvato. Ed ha segnato il suo destino. Ha scambiato il suo con quello di Spike. Ed è qui che entro in gioco io."

"Tu hai cambiato il destino di Angel."

"Esatto."

"Troppo semplice."

"Come scusa?"

 

Vero, Cordy. Doyle ti aveva rifilato uan risposta troppo semplice. Ma è quello che succede quando si afferra un filo singolo di ragnatela e non si vede l'arazzo sopra le nostre teste. Può succedere a tutti...

 

Non sapete la motivazione del ritorno dell'anima del vampiro?” - si levò una voce, beffarda, alle sue spalle - “Non lo avete scoperto?”

Wes non battè cigliò. Ruotò solo di centottanta gradi, con tutta la sedia, fissando la tribuna. E lo fece accavallando un braccio allo schienale e allungando le gambe, come il peggiore dei bulli.

Mi correggo.” - disse, nel modo più educato che conosceva - “Nessuno a conti fatti, ha mai realmente appurato come o perchè l'anima di Spike sia tornata. E questo perchè non ce ne fregava un accidenti di niente. Quando ci è interessato, l'abbiamo semplicemente capito.”

E quindi?” - insisette la voce dalla folla.

E quindi non offro spiegazioni a un pivellino senza incarico che non sa alzare il culo dalla sedia per parlarmi.” - la sedia cigolò e ruotò di nuovo - “Andiamo avanti.”

E parliamo di Angel.” - consigliò Doyle.

Veramente io vorrei parlare di te. Se non ti spiace...”

Di me? Forte. Ma dopo, parliamo di Angel. Vi interessa il Flagello, vero?”

Una voce rispose, dalla tribuna degli allievi. Era indubbiamente femminile. E involontaria, potè dedurre Methos, dal silenzio imbarazzato successivo.

Capita sempre così quando nominiamo l'eroe oscuro, hai notato?” - scherzò il demone. E si mise le mani a cono attorno alla bocca - “Tranquilla, ragazza senza nome, ti racconteremo un sacco di cose di lui... anche della volta in cui cercava il caffè sotto il lavandino della cucina.”

Questo era meglio se non lo dicevi...”

E perchè... dopotutto, è un uomo eccezionale proprio per quese cose.”

 

E tu lo sei perchè l'hai sempre chiamato uomo. E l'hai sempre trattato come tale.

 

Dovresti pentirti di aver dato la vita per salvarmi… di aver sprecato le tue giornate con me. Non sono l’eroe che pensavi… alla fine è venuto fuori.” – si era fermato, dandogli le spalle. C’era un muro, tra loro, lo sentiva chiaramente.

Levati dalla testa questa puttanata del muro.”

Si voltò, senza nascondere la sorpresa.

Doyle era in piedi. Ed era… arrabbiato.

Ma, soprattutto…

Oddio…

Oddio?oddio un corno, Angel! Non comportarti da paranoico! L’hai sempre saputo che tipo sono. Sono un baro, un casinista e so mentire senza problemi. Credevi che sarei stato tanto onesto da aspettare che mi dicessi queste cose? No, uomo, non se ne parla nemmeno.

In questa casa si è giocato un po’ troppo al gatto col topo, in attesa di crolli emotivi e grandi confessioni.

Adesso mi interessava sapere cosa ti passava per la testa e me lo sono preso! E se questo gioco non ti piace… apri la bocca e parla.”

Non l’ho apprezzato, Doyle.” – replicò duro, incrociando le braccia.

Io non apprezzo la tua autocommiserazione Angel! E non apprezzo che tu metta in dubbio la nostra amicizia per quella che ritengo una cazzata.

Credi che ai miei occhi ciò che hai fatto a Drusilla sia peggio di quello che hai fatto a tua sorella? Oppure a Spike? Lo credi veramente?”

Pazzesco… Angel aveva fatto un passo indietro. Che espressione poteva avere per far arretrare l’Angelo del buio?

Credi che mi importi più di quella folle che delle migliaia di innocenti che hai trucidato? Credi che io non pensi mai a cosa hai probabilmente fatto alla zingara per meritarti la maledizione?”

Doyle…” – balbettò. Il passato gli premeva tra le tempie e la voce di Doyle lo manovrava, come solo il rimorso e la realtà erano capaci.

Credi di essere meno un eroe ai miei occhi. Per ogni goccia che sangue tuo che versi adesso non tornerà nessuna di quelle vite! Ma lo fai, cazzo! Lo fai eccome. Ed io sono fiero delle scelte che ho fatto, di tutte le scelte che ho fatto. Per cui fammi il favore di non demolire la tua Redenzione e il mio Compito in un colpo solo!”

c’era Faith sulla porta. E, dietro di lei, c’era Cordelia. Spettinata, con solo una camicia addosso e i piedi nudi. Doyle si voltò, dando le spalle a tutti loro e cercando le sigarette.

Sono calmo!” – sbraitò – “Nessuna tragedia in atto!”

 

 

Wes interruppe le proprie riflessioni e si ricompose, iniziando a parlare.

 

Doyle, come di certo sapete, è un Cantastorie. Vale la pena essere precisi sul fatto che non si tratta di una carica onorifica, bensì di una predestinazione alla nascita.” - spiegò, levandosi gli occhiali e pulendoli in un fazzoletto - “La sua importanza non è mondiale, bensì cosmica. Per quanto non sia evidente e devi concedermi, amico mio, che non sto mentendo, la sua purezza ha un che di sacro. E qualcosa di sacro del genere non andrebbe toccato. Purtroppo per noi, parte di questo leggenda è ammettere che questo scempio sia successo. Drusilla era un Cantastorie. E Angelus si è preso il suo destino.”

Un mormorio agitato sostituì quello scettico. Ma Wes non si lasciò intimorire.

Già. Noi lo abbiamo scoperto. Voi, immagino, lo abbiate sempre saputo. Perché ne parlo ora? Perché tale scoperta ha cambiato un po’ la mia ottica degli eventi. E questo ci riconduce a quello studio dei testi di cui si parlava prima e che ci ha permesso di inizare a prevedere che qualcosa sarebbe successo... e che molto, sotto i nostri occhi e addirittura prima delle nascita di buona parte di noi, fosse già successo.”

 

Ma andiamo con ordine.”

Si, con ordine, ma nel limite del possibile. E quindi, al momento, direi che possiamo parlare di Angel.”

Bell'idea. Contenta, fan del tenebroso?” - almeno sei più sincera di tutti gli altri... qui aspettano solo di sapere di lui... ma non lo ammettono mai.

Doyle, non importunare la ragazza. Vuoi iniziare tu?”

Riguardo Angel? Ovvio che voglio. Lui del resto...” - comunicò, smagliante, strofinandosi le mani - “E' una mia creatura. In tutto e per tutto. E, voglio che lo sappiate da fonte certa, cioè io, sa benissimo di dovermi tutto.”

 

"Doyle, Faith mi ha fatto notare che mi do da fare a proteggere tutti tranne te."

"E tu come hai risposto?"

"Che nessuno si preoccupa per il proprio Angelo custode."

 

Adesso stai esagerando.”

Davvero? Ah, già, sono inglesi. Non capiscono il mio senso dell'umorismo.”

Si, e adesso ci ammazzano.” - commentò Wes, una maschera di cera nel fissare i suoi colleghi.

Mai stato così contento di essere una tempra coriacea.” - aggiunse Methos, seguendo la stessa traiettoria visiva - “Ne uscirò vivo... ho gambe lunghe e veloci...”

Ehi, irlandese.” - urlò una voce dalla folla degli studenti - “ti decidi a parlare?”

Doyle si voltò di scatto, fissando la moltitudine. Erano giovani, curati nel vestire e, con una sola occhiata, divennero tutti pigmei.

Non era il modo migliore per rivolgersi al Cantastorie dell'universo ma, forse, più brillante per farsi apprezzare, dicevano gli occhi di Doyle quando si voltò per tornare al tavolo e sedersi. Non poteva accettare le insubordinazioni ma non disdegnava di ammirarle, come sempre.

Angel. Il fu Angelus, Flagello d'Europa.” - scandì dunque, puntando una mano sul tavolo e sedendosi di slancio - “Immagino che sappiate come è fatto, per cui tralascerò prontamente descrizioni di occhi, addominali, capelli ingellati e predilezione per il nero. Diciamo solo che il risultato finale è pregevole, un mix di maschio e demone non discutibile. Potete ammirarlo in tutte le foto con teleobbiettivo che siete riusciti a scattargli, o dal satellite che tenete puntato sulla sua testa. Io, qui e ora, preferisco parlarvi di lui per come l'ho conosciuto e apprezzato.

Non come demone.

Non come eroe.

Ma come uomo.

Si, signori. Angel, l'uomo.”

 

L'ho chiamato così in ogni istante della nostra amicizia.

 

"Tu devi rassegnarti all'evidenza, mio bel vampiro." - lo canzonò il Cantastorie, nel guardarlo dall'alto, nel ridere, vedendolo sdraiato nel fango - "Non andrai lontano, se resti nell'ombra. E sai perché? Perché non hai quel nome per casualità."

"Vuoi parlarmi del destino? Avevo questo nome già mentre massacravo e uccidevo, avevo questo nome…"

Non voleva dirlo. Non voleva dire la fonte del suo nome. Non poteva ricordare gli occhi…

"Oh, mio caro eroe!" - il Cantastorie camminava in tondo -"Kathie vedeva molto lontano…"

"Come puoi sapere di lei! Non puoi capire, non mi conosci…"

"Ti sbagli. Io ti conosco." - sussurrò, chinandosi verso di lui, squadrandolo con quegli occhi enormi. Occhi mai visti - "Il destino ti ha riservato una strada faticosa e bifronte. Una sbagliata, come il nome che avevi. Ed una giusta, quella che stava racchiusa negli occhi di tua sorella, quella notte. Angel, non Angelus. Angel, il nome di chi protegge."

Gli sorrideva, illuminando il buio della notte.

"Prendi la mia mano, Angel, prendi la mia mano ed imbocca la tua strada, non rimandare più la tua scelta. Là fuori, aldilà di questo vicolo buio, ci sono persone da proteggere. Persone che sapranno riconoscerti appena ti vedranno, per quello che sei. Persone che ti parleranno, con le parole di Kathie. Perché tu, nel male e nel bene, sei il loro custode…"

Angel alzò lo sguardo, fino ad incontrare quello del Cantastorie.

"Chi sei."

"Te l'ho detto…sono il Cantastorie…" - la sua mano era calda, invitante - "Prendi la mia mano, uomo. Esci dall'oblio e vai. "

"E tu? Verrai con me?"

"Uomo…" - si lasciò andare ad una breve risata - "Tu non hai bisogno di essere sorvegliato. Non c'è motivo perché io ti venga appresso. Io so che farai ciò che devi: il resto non ha importanza."

"Ci rivedremo?"

"Certo. e ci racconteremo le nostre storie. Perché vedi… il mondo è vasto, e splendido. Il mondo è fatto di luci e pochi, per questo motivo, sanno cosa si può annidare nell'ombra. E le storie, strane, insulse o difficili da raccontare, portano la mente verso questo buio che ci circonda."

"Per capire che la luce non è mai fuggita?" - replicò Angel, con un'amarezza senza limiti - "Cantastorie, saresti capace di dire sul serio una cosa del genere?"

"Dire una bugia, dire una verità… la luce e l'oscurità non sono forse relative? Come gli sbagli. Ma io non ti mentirò, se è quello che temi. E non ti darò le risposte che cerchi." - stava appoggiato ad una scala antincendio, con le mani in tasca ed il cappello buttato indietro, a scoprirgli una fronte spaziosa ed un viso perennemente giovane - "Ci rivedremo, Angel. Ed avremo tempo, per raccontarci e capire."

"Cosa ti fa credere…"

"Non sei perfetto, Angel. Tu sbaglierai ancora e" - i suoi occhi ebbero un'esitazione fatta d'ombra - "e pagherai. Pagherai come non puoi nemmeno immaginare. Ma tutto ha un perché, anche quando ti sembrerà che nulla sia rimasto in piedi. E saranno quei momenti di nulla che diverranno storia. Ed avranno senso solo quando l' avrai raccontata a qualcuno."

Angel chinò il capo. Quelle parole, all'inizio così strane e incomprensibili…

"Vattene, uomo. Più starai lì fermo, più tempo passerà prima del nostro incontro." - si scosse dalle sue considerazioni e gli passò a fianco - "Credimi… fuori dal vicolo ti aspettano molte cose…"

Angel non si voltò, si limitò ad ascoltare i passi che si allontanavano. E che si fermavano.

"Il tuo primo compito è trovare la Cacciatrice. Cercala e tienila d'occhio. Devi darle il tuo aiuto. Sei il suo Angelo, adesso."

Angel rimase immobile, lasciando che il suo essere assorbisse l'informazione. Invece di rifiutarla. Avrebbe voluto dire qualcosa. Ma, infine, seppe formulare una sola domanda.

"Il suo nome?"

"Buffy. Buffy Summers."

 

I lineamenti gli si erano addolciti. Povero Angel, con il peso di un'anima e di un mondo intero sulle spalle. Nessuno aveva pensato che sarebbe stato troppo, tutto assieme. Nemmeno Doyle aveva dubitato delle sue forze, allora.

 

Angel non era cosciente della sua forza di volontà. Doveva essere la dote che meno lo aveva contraddistinto, in ogni fase della sua esistenza. Un padre che lo aveva cercato di schiacciare, una donna che lo aveva ucciso e snaturato, una zingara che lo aveva maledetto e, infine, un'anima che lo aveva colpevolizzato.

No, Angel è stato molte volte una vittima della sua esistenza. E Angelus ha sfruttato quelle doti naturali mai considerate, la forza, l'empatia e l'intuizione, nel peggiore dei modi: per uccidere, distruggere, cancellare.”

 

Angelus non sapeva cosa farsene di tutta quella speranza e fragilità umana. E le ha gettate via, come cose inutili.

 

Quando io andai a cercarlo, Angel era così, disperato, perduto, annientato. Non era ancora Angel, in effetti, era qualcosa in bilico tra le due fasi, indeciso, ancora troppo predatore o troppo debole, tutto istinto e niente disciplina. È occorso molto tempo e molto tai chi perchè trovasse un barlume di ragionevolezza. Ma avere una missione lo ha aiutato a concentrarsi. E non conta che il desiderio di fare il bene sia venuto dopo, che dapprincipio sia stata una cosa quasi meccanica.

Angel si è ricostruito e lo ha fatto per il motivo più umano che esista.

Amore.

Voleva essere amato.

Voleva poter amare.”

 

Dopo Buffy, ha saputo restare in piedi con le sue gambe. E, quando ha avuto Spike e Faith, ha compreso di poter aver qualcosa di importante da trasmettere.

 

Everybody needs somebody to love, cantavano I Blues Brothers.” - sospirò, dondolando un piede, ancora seduto su quell'angolo di tavolo che sembrava piacergli tanto - “Angel non è stato da meno. È stato un uomo. E, come uomo, se ne è andato da Sunnydale, è venuto ad LA e si è dato un nuovo scopo. E, con la forza di volontà che aveva compreso di avere, ha imparato che poteva portare qualcosa di ben più importante della salvezza.”

Tacque. E li fissò. Fissò la tribuna da cui erano partite le frasi sarcastiche, con serietà.

Pendevano dalle sue labbra.

Sapete cosa?” - domandò, gentilmente. Ma stranamente pacato. Come un insegnante.

Alcuni cenni, alcuni sussurri. Alcune voci azzardate.

La forza?”

Il bene?”

No.” - Doyle scosse la testa, con un sorriso lieve. Il bene... il mondo andava avanti da millenni e nessuno sapeva ancora cosa fosse il bene. Angel è in gamba, ma non esageriamo - “No, ragazzi.”

Rialzò la testa. E la sua forza sembrò incorniciarlo.

La speranza.” - replicò, nel silenzio - “Speranza.”

 

Per tutti noi. Per Cordelia, Wes, per me.

Per Faith.

Per Spike.

 

Oh, si, per Spike sopra ogni altro.

Perchè Spike aveva la luce dalla sua. E la vita.

Ma mai, prima di Angel e dell'Hyperion, aveva saputo sperare.

 

***

 

E' così, dunque.” - sospirò uno degli anziani. Sedevano ad un tavolo rettangolare a qualche metro di distanza da quello predisposto per i delegati della Angel Investigation - “E' un quadro molto affascinante del Flagello. Ma lacunoso, oserei dire.”

Si sporse, intrecciando le mani.

Avete parlato di Drusilla, mi sembra. Avete detto che è stata opera di Angelus e avete esposto una teoria valida e sconvolgente. È grave pensare una cosa del genere e tuttavia non tenerla presente nel descrivere l'uomo... o il demone.”

E' grave non sapere scindere gli eventi.” - rispose Wes, senza curarsi di interrompere Doyle. Teneva gli occhi bassi, giocherellando con una matita - “La verità è che Angel ed Angelus, e non mi stancherò mai di ripeterlo, sono due entità divisibili. Angel ha un demone e un'anima. E l'anima è più potente dell'istinto sanguinario. Angelus... Angelus è privo di anima, non c'è nulla che contrasti la sua parte demoniaca. Equazione matematica.”

Certo, certo. Essenza demoniaca che tuttavia, per tua stessa ammissione, sussiste, in Angel.”

Certo.” - alzò gli occhi azzurri, diretto e letale nel ripetere la parola accondiscendente - “Ma in catene. Angel sa quanto e come utilizzare il proprio istinto.”

Non lo ha fatto, nella battaglia che avete appena affrontato.”

Errato.”

Non credo che...”

Errato.” - ripetè, come un colpo di frusta. E si alzò in piedi, per difendere le proprie opinioni - “Angel non ha ceduto al demone e questo non è un processo alle sue azioni. Vi stiamo dicendo chi sia, in cosa creda solo perchè, per una volta tanto, non lo conosciate tramite i vostri biechi metodi di sorveglianza.”

Westley, non credo che...”

Oh, lo so in cosa credi, papà!” - ringhiò, deciso ed esemplare - “Lo so benissimo e, non dubitare, che non mi è sfuggito nulla delle tue opere di 'contenimento eroe disturbato'.”

 

Papà? Methos alzò gli occhi verso l'uomo grigio di capelli. Aveva occhi azzurri e spenti, l'aria autoritaria e solenne. Lo conosceva solo di vista, troppo in alto per poterci parlare direttamente. Sicchè tu sei l'uomo del mistero...

Il figlio di puttana che rema contro... adesso mi ricordo di te... eri quello con le siringhe in mano, il giorno dell'incarico ufficiale. Il giorno in cui sono divenuto osservatore di Faith al posto di Wes.

 

Methos fece strada ad entrambi fino al bancone della cucina. E quando furono entrambi vicini, posò la scatoletta sul ripiano lucido, poco lontano dal lavandino cromato.

E la aprì. Al suo interno c’erano una coppia di siringhe, diverse per particolari che né Faith né Doyle riuscirono a identificare.

Queste, Faith, sono la garanzia che il Consiglio ritiene di avere.” – commentò – “la prima è una soluzione, per una pratica che si definisce Cruciamentum. La seconda è un potente sedativo molto simile al primo ma in grado di stenderti, nel caso io dovessi decidere di portarti in Inghilterra contro la tua volontà.”

Le nocche di Faith divennero bianche, nello stringere spasmodicamente il bordo del ripiano. Gli occhi di Doyle erano enormi. E del tutto sbalorditi, nell’incontrare quelli di Methos.

Non credevi mica che mi mandassero qui in veste di soprammobile.” – commentò, velenoso, guardandolo dritto in faccia – “Hanno preso le loro precauzioni, come vedi. Se non per un picolo particolare…”

Senza mezzi termini, Methos aveva svuotato la siringa nel lavandino. Il getto trasparente era uscito fulmineo, nella rapidità con cui lo stantuffo era stato premuto. Piccoli schizzi avevano macchiato l’acciaio lucido, presto seguiti da altri di un secondo liquido. Entrambe le siringhe erano vuote, adesso. E Methos, aperto il rubinetto, le stava nuovamente riempiendo.

Ma con acqua.

Adesso sapete entrambi che sono inoffensive.” – commentò – “Se mai un giorno ci ritroveremo nei guai e costretti a usarle, Faith, mi appello alle tue capacità di recitazione. Voglio che tu spieghi questo fatto anche a Wes.”

Non puoi dirglielo tu?” – domandò la ragazza, cercando di barricarsi dietro un fiacco tono di sfida.

Di me non si fida, ma di te si. Crederà a quello che gli dirai. Siamo pratici, Faith. Questo gesto è plateale e del tutto privo di reali garanzie, per te. Interpretalo come preferisci. Ma non nasconderlo a Wes.”

 

Ma Wes non l'aveva presa bene comunque, a quanto ne sapeva Methos. Ed ora, tutto sommato, iniziava a capirlo. Dopotutto, doveva aver sempre saputo chi militasse nella fascia radicale del consiglio e, a posteriori, non era difficile pensare che Wes, quelle stesse siringhe, le avesse già una volta tirate sul pavimento, inimicandosi del tutto lo stato maggiore degli osservatori.

Westley, ti invito a non rendere questa conversazione un fatto personale.” - stava dicendo l'uomo, con voce d'acciaio - “Si sta discutendo solo sui punti di vista.”

Perchè qui avete solo questo a cui aggrapparvi. Un punto di vista.” - si intromise Methos, con calma. E usando deliberatamente quel voi che probabilmente sarebbe stato preso come una dichiarazione di guerra - “Qui è la sede dei punti di vista, del fascicoli e dei cavilli. E avete anche abbastanza onestà da ammetterlo, l'intelligenza non vi è mai mancata. Ma là, dall'altra parte dell'oceano e nel pieno della mischia, tutto è una bomba ad orologeria. E l'obbiettivo finale non è avere una visione ineccepibile e radicale, ma solo una consapevolezza lucida delle proprie azioni. Angel ne è consapevole. Per il presente in cui agisce e per il passato di Angelus che si porta appresso. Non lo vedrete mai alzare le spalle al pensiero di Drusilla, non lo vedrete mai rinunciare ad un'azione perchè sarebbe inutile. Angel sa accanirsi per salvare anche una candela che si spegne.”

Angel non lascia mai andare nessuno. Nemmeno chi dovrebbe.” - aggiunse Wes, lasciandosi andare contro lo schienale.

Ti riferisci a qualcuno in particolare?”

No, signore.” - replicò Wes. Angel ama ancora adesso suo padre - “Nessuno in particolare.”

In tal caso, se non avete nulla da aggiungere e i nostri punti di vista non possono incontrarsi...” - il padre di Wes fece un gesto educato e non discutibile - “Prego andate pure avanti. E parlateci dell'altro vampiro. Di Spike.”

Tutto a suo tempo.” - ribattè Doyle, per niente intimorito dalla piega degli eventi - “Angel merita ancora un certo spazio e lo avrà... in barba ai punti di vista. La sua storia è parte di quella di Spike quanto quella di Spike è parte della sua. Non sono scindibili, non sono uno giutificabile e l'altro condannabile. Anche se, non dubito, in questo momento desideriate farlo.”

Non c'è una preferenza. Abbiamo solo una visione... diciamo meno parziale.”

Fate pure. È l'unica cosa che vi resta da proclamare, ormai.” - il demone districò le dita intrecciate e allargò le braccia, con aria conciliante - “Siamo qui perchè meritate un ultimo resoconto, per gli annali. Voi ci state trattando come se non sapessimo bene la lezione ma, vedete... io non prendo lezioni da nessuno.”

 

Sorrise, tranquillo.

 

Io, se volete, posso darvi anche delle lezioni.” - specificò - “Non ho la saggezza del tempo dalla mia parte.. ma ho il cosmo. E il futuro. E, mi spiace darvi un dolore, anche qualche dogma interessante.

Angel è un eroe.

Angel è l'eroe.

È il vampiro con l'anima.

E tiene la salvezza del mondo tra le mani un giorno si e uno no. Commenti?”

 

No. nessun commento.

 

Benissimo.” - si alzò, infilando le mani in tasca - “In tal caso, vi parlerò di lui ancora un poco, se non vi spiace.”

E voltò le spalle al tavolo degli anziani, deliberatamente, fissando la tribuna laterale degli allievi.

Quando Angel giunse a LA e ci ritrovammo, ad un tratto, a combattere gomito a gomito... ed io ebbi modo di conoscerlo. Ed iniziare ad aprire uno spiraglio sull'uomo che era... e che voleva diventare.”

 

Ehi, uomo.” – Doyle accese la luce senza tanti complimenti. Rimanendo deluso quando si rese conto che Angel non era alla scrivania, intento a cercare di ricomporsi dopo quella brutale intrusione.

Si guardò intorno, strofinandosi pensosamente l’ombra della barba. La grande finestra gli restituiva l’immagine di un ragazzotto trasandato con la camicia stropicciata.

Ma sei davvero così giovane?” – domandò al suo riflesso, vedendolo impegnato a lisciarsi la maglietta per metà fuori dai pantaloni – “Dovresti avere i capelli grigi, a questo punto, a forza di corrergli appresso…”

scosse la testa. Ed il riflesso gli rispose con una rassegnata alzata di spalla. Indicandogli, con lo sguardo, la porta socchiusa per il tetto.

 

Ce ne vuole, per trovarti…” – commentò, sbucandogli alle spalle – “Non è che, per caso, mi hai visto arrivare e sei scappato?”

Se lo facevo, non mi trovavi.”

toh… ma allora parli! Vivi qui da ben una settimana e già mi parli. La città ti fa bene…”

E’ solo una città.. ne ho viste a migliaia…”

Ma nessuna è come questa, uomo.” – si sedette sul cornicione, con naturalezza… cercando di non pensare alle sue vertigini. Fissando questo alto e bel vampiro che gli era capitato tra capo e collo… un incontro deciso in chissà quale partita a carte tra il destino e le stelle.

Aveva degli occhi neri e profondi, come inchiostro.

Le luci cadevano al loro interno, come lucciole. E vi affogavano.

Nessuna è come questa…” – ripetè, cercando di non farsi distrarre dalla sensazione che Angel non lo stesse ascoltando.

Nella notte, le città sono tutte uguali.” – mormorò, interrompendo il monologo che Doyle stava già preparando nella mente – “C’è il male, il desiderio... e il nulla. Quando sei parte della notte, talvolta, quel nulla diventa insostenibile. Faresti tutto per interromperlo…”

Oh, mio dio, allora parla. Il pensiero gli sfrecciò rapidissimo nella testa provocandogli una certa vergogna.

Era la prima volta, veramente…

Quanto l’aveva aspettata…

E cosa accade, quando provi a combattere il nulla?” – azzardò.

Angel accennò una smorfia, un leggero sorriso di autoderisione.

Distruggi. Tutto ciò che ha un senso, tutto ciò che non puoi capire.” – replicò, conciso – “Uccidi, massacri… oppure rimani intrappolato nella tua testa, senza riuscire a…”

si era interrotto. Con una breve alzata di spalle, come se non fosse poi così importante.

Era questo che provava… Angelus?” – azzardò Doyle.

Angel si voltò a fissarlo, come se solo ora si rendesse conto di non aver parlato solo a se stesso. Quel buffo tizio, quel… Cantastorie… aveva un modo diretto e limpido per porgli le domande. Lo guardava con occhi appena sgranati… c’era quasi la luce in quegli occhi chiari. Brillavano…

Angelus voleva per sé ogni bellezza.” – mormorò, come se questo spiegasse tutto – “Voleva la vita, l’incomprensibile… tutto.. e poi di nuovo da capo… solo una volta si è sentito… totalmente appagato…”

La sua voce si spense, per un attimo. Gli scivolò dentro i lineamenti, indurendoli.

L’apice della sua passione è ora il più buio dei miei incubi.” – sussurrò, a denti stretti – “E ora andiamo. La città ci chiama.”

 

Purtroppo non abbiamo avuto molto tempo per goderci la reciproca compagnia.” - sospirò poi, voltandosi e giocherellando con alcune relazioni di Wes. E lo fece per calere un sorriso infelice, prima di tornare al propria arringa - “Io sono morto e Angel è andato avanti senza di me ma, tuttavia, con un Cantastorie d'eccezione. Cordelia Chase, la donna più bella che sia mai esistita. Mia moglie.”

 

[III]

 

Ecco. Questo era saper fare gossip. Avessero avuto macchine fotografiche, sarebbero esplosi i flash. Doyle, con un sorriso sessantaquattro denti, teneva una mano alzata e con un dito dell'altra si indicava la fede.

Ma tu guardalo...”

Cerca di capirlo. È la sua luna di miele...” - lo difese Methos, divertito - “Visto che i biglietti per Londra li pagavo io... credo che si siano visti l'ultima volta in aeroporto... tra un impegno e l'altro...”

Già. Come sempre, ci siamo messi di impegno per invadere la sua privacy.” - sospirò Wes. E gli sfuggì una risatina.

Methos si voltò, interrogativo.

Bhe?”

Nulla, nulla... mi è solo venuto in mente un episodio... tanto tempo fa...”

 

"Svelato il mistero…"

"Adesso che facciamo?"

"Violiamo la privacy di Doyle e Cordelia." - rispose semplicemente Angel, girandosi ed andando verso la porta - "Consiglio di guerra ragazzi…"

Era già a metà delle scale. Non li aveva nemmeno aspettati.

 

Doyle girò la testa a destra e poi a sinistra.

Poi di nuovo a destra.

E un'altra volta a sinistra.

Stava seduto al centro del suo letto e si poteva supporre che, sotto il lenzuolo, fosse vagamente nudo. Per seguire meglio quello che gli stavano spiegando, aveva ripiegato le ginocchia e si era puntellato sui gomiti.

Girava la testa a destra e poi a sinistra.

Aggrottando la fronte.

Angel e Wes stavano ai piedi del letto e parlavano quasi in contemporanea.

Rispondendosi a vicenda.

Cordelia, seduta a gambe accavallate al suo tavolino da toelette, avvolta in un corto kimono rosa, tamburellava tristemente sul ripiano, tirando indietro i capelli che, lasciati finalmente sciolti, continuavano a ricaderle sul viso.

La sua espressione era vagamente annoiata. Ed il suo conforto erano le occhiate che lei e Spike si scambiavano.

"Ti va ancora bene…" - disse lui, per consolarla - "potevano sedersi per spiegarlo meglio."

"Fatemi capire." - li interruppe ad un tratto Doyle - "Tutte questi giri di parole vi servono per farmi capire che volete organizzare una festa di compleanno a Faith?"

"Bhe, in effetti…" - Wes annuì, colto alla sprovvista - "Direi che quello è il succo del discorso."

"Ottimo." - rispose Doyle, sollevato - "Allora che ci vuole. Compratele i regali. Io e Cordy andremo a prendere una torta ed organizzeremo il resto. Domani a mezzanotte?"

"sì, direi che può andare." - aggiunse Angel.

"perfetto." - Doyle riguardò allargando le braccia. E perdendo quasi il lenzuolo - "Devo arguire anche che adesso vi leverete dalle palle?"

"Si… certo…"

"perfetto. E chiudete la porta."

Quando fu certo che fossero tutti e tre abbastanza lontani e che Spike stesse dicendo ad entrambi il fatto loro, frugò tra le coperte.

"Allora, amore…" - disse, emergendo, più arruffato che mai, con una bottiglia e due calici - "Stavamo dicendo?"

 

Stavamo dicendo?” - Doyle si era voltato verso di loro, con aria svanita - “Ho perso il filo del discorso.”

Hai detto moglie. E tutto il suo nome. Non mi sorprende che tu abbia dimenticato il resto.” - il brusio stava salendo di intensità. E Methos si infilò due dita in bocca e fischiò, penetrante - “Se avete domande alzate le mani, per piacere.”

Grazie, mister Pierson.” - disse la signora arcigna seduta all'estremo del tavolo degli anziani - “Il suo aiuto a ristabilire l'ordine è stato provvidenziale.”

E' mio dovere rendermi utile.” - rispose l'infame, posandosi una mano sul cuore - “Doyle, io credo che vogliano sapere di Cordelia come Cantastorie, non del tuo matrimonio.”

Ma come! E io che volevo mostrare anche le foto!”

Mister... mister Doyle.” - lo chiamò la stessa donna che aveva appena rimproverato Methos - “In effetti il nostro collega ha ragione. Noi vorremmo sapere di come la signorina Chase... la signora Doyle, mi perdoni, sia stata insignita di questa dote.”

Insignita? Oh, no, lei non ha le idee chiare! Non è una carica onorifica, è una grandissima fregatura! È una dote che ti prende da qui...” - si indicò il petto e risalì con le mani - “E invade ogni cellula come una fiammata prima di arrivare al cervello e divenire immagine. È questo, il potere delle visioni. E bisogna avere cuore per gestirlo, per trasmetterlo e sopravviverne.”

 

Cuore.

E Cordelia lo ha.

Cordelia è colei che ha cuore.

 

Se si ha fiducia in una persona, non serve nulla per trasmetterle il nostro dono più grande. Basta un semplice gesto, basta un bacio. Ed è questo che ho fatto.” - aggiunse, con un sorriso. Uno dei suoi sorrisi - “Un bacio, nient'altro. E Cordelia ha avuto da me tutto ciò che potevo donarle per aiutare Angel. Tutto.”

Sorrise, allargò le braccia, prima di posarne una sul petto.

In più, potendo.” - aggiunse, scanzonato. E felice - “Le ho dato il mio cuore. Il mio cuore, per sempre.”

 

"Non so come sia successo. Un giorno mi sei divenuta indispensabile. Non potevo più pensare a nulla, nulla senza di te. Sono morto, e c'eri ancora tu. Non avevo più mente ma eri sempre tu. Tu. E' sempre stato più grande di me. È sempre stata l'unica cosa che sapevo di poterti dare. L'unica cosa con cui potevo competere a ciò che tu mi hai sempre dato. Ma nulla vale il tuo primo sorriso, al mattino, quando mi alzo. Nulla vale quanto quel singolo gesto con cui mi sistemi il collo della camicia.

Non ho trovato ancora nulla di altrettanto grande da darti.

E ti darei tutto, il mondo, la vita… ti darei tutto."

Cordelia si vedeva riflessa nei suoi occhi chiari. Si vedeva, in ogni singola lacrima che gli era scivolata dalle ciglia. E sapeva che tutto, in Doyle era per lei. Troppo amore.

Amore per riempire ben più di un'esistenza.

Ma chi erano loro, per pensare di appartenere ad un singolo istante ed a un singolo momento nell'universo? Perché avrebbero dovuto sentire la loro temporaneità, mentre si lasciavano travolgere da tutto questo?

"Ti amo anch'io, Doyle. E ti amo con la paura di non dirtelo mai abbastanza."

 

***

 

E poi, quando è tornato, si è ripreso tutto.” - uan voce asettica e nasale. Una voce che non aveva mai detto parole d'amore se non con pacata cortesia, probabilmente.

Si. Un poco riduttivo ma è andata così. Ho ripreso tutto tranne il mio cuore.”

 

"Tu hai cambiato il destino di Angel."

"Esatto."

"Troppo semplice."

"Come scusa?"

"E' troppo semplice. Chi morirà al posto di Angel?" - il tono di Cordelia suonava pieno di leggerezza. Chi, chi si sarebbe dovuto sacrificare?

"Io."

Il cuore le divenne un pezzo di ghiaccio.

"Aspetta, aspetta. Non come credi tu. Io non morirò, principessa. Il destino mi deve una vita. Io sono già morto una volta. E benché sussista ancora un certo qual margine di rischio per cause violente, non morirò di certo a breve scadenza."

"Ed allora come?"

"Tu mi darai qualcosa che mi appartiene."

"Io non ho niente di tuo, non…"

Si sbagliava. Le bastò iniziare a negare per ricordarsi che possedeva qualcosa di Doyle. Possedeva il suo dolore, la sua più grande paura. Doyle le aveva lasciato il suo potere.

Le sue visioni.

Il dolore lancinante che martellava le tempie riempiendogli la mente di urla e facce contorte. Cordelia sapeva come potesse essere profondo il coinvolgimento con le immagini.

Odiava avere visioni. Ma odiava anche doverle sapere nella testa di Doyle.

"Sono stato costretto, allora. Non avrei mai voluto, principessa. Ma ne andava della vostra vita. E della vita di chissà quanti innocenti."

"Doyle, no. Non puoi…"

"Sì che posso. È il prezzo che devo pagare per restare. Quello e la memoria delle cose che ho visto e sentito dall'altra parte. Non proprio tutto, ma parecchio."

Cordelia si sentiva una pena infinita in fondo al cuore. Gli occhi di Doyle, dietro il sorriso, erano tristi ma sereni.

"Sapere ed essere in pace con il mondo non è come stare qui con te con la testa piena di dolore. È molto, molto, molto peggio. Sono disposto a tutto per avere sere come questa almeno tre volte la settimana. Diamine, non c'è paradiso abbastanza felice per compensare la tua assenza."

"E quella di Angel."

"Ovvio. Io sento sempre la mancanza di Angel. È triste, cupo e tormentato. Tutti dovremmo avere un avvilito pensieroso in qualche angolo di casa." - Doyle la cinse con entrambe le braccia fino a sentire il suo peso sul petto - "Restituiscimi il dolore, Cordy. È un prezzo che posso pagare."

Le sue labbra si avvicinarono e si dischiusero. Cordelia lo sentiva tremare.

Ma lo baciò ugualmente. Con amore. Tutto l'amore che aveva rimpianto di non avergli trasmesso la prima volta.

Quando le loro labbra si separarono, gli occhi di Doyle erano ancora chiusi. Un'espressione strana gli brillava sul volto, come se un nuovo peso si fosse posato sulle sue spalle, come se sentisse una voce che nessun altro poteva percepire.

Doyle era in ascolto di qualcosa. Le sue palpebre vibravano appena. Tremava, e respirava appena. Cordy l'abbracciò stretto, fino a quando non si sentì ricambiata, fino quando non sentì la sua testa sulla spalla, il volto nel collo di pelliccia del suo giaccone.

Una coppia qualunque, all'angolo di una strada silenziosa.

 

Doyle si era appoggiato al tavolo, le braccia conserte e gli occhi bassi. Ma sorrideva.

Sorrideva e c'era lei, sempre lei in quel sorriso.

Un bacio. Anche quella volta è bastato un bacio solo.” - aggiunse, concludendo.

 

Il ritorno di Doyle faceva già parte dello schema che vi avevo preannunciato.” - la voce di Wes spezzò la magia e diede respiro al demone e ai suoi pensieri - “Probabilmente già allora eravamo avviati verso una risoluzone ma era presto perchè lo comprendessimo. Talvolta succede. Presi da altri pensieri, dal contingente, dalle situazioni... Combattevamo, giorno e notte e senza trovare mai pace. Ma la nostra vita si stava costellando di eventi di grande e piccola portata. Angel ci aveva trovati e riuniti sotto un'unica bandiera. Cordelia, io, Spike.. gli sbandati di Angel e, non ultima, Faith.”

Il nominare la Cacciatrice rinnegata provocò un certo sussulto nelle composte file degli osservatori. E Wes attese che si calmassero. Negli anni, il nome di Faith era stato spesso associato a quella reazione composta nelel sale del consiglio. Wes ormai era abituato. Lo aveva sentito troppe volte.

E sapere che quella sarebbe stata l'ultima gli piacque.

 

Si, anche Faith. Angel non l'avrebbe mai lasciata andare. E nemmeno io.”

 

"Scusami, non me la sentivo di urlare." - sussurrò. Era rauca.

"Non importa, piccola, non importa." - mormorò Angel chinandosi verso di lei e protendendo le mani per toccarle il viso, un visino pallido e febbricitante. Faith stava rannicchiata veramente in uno spazio ristretto ed Angel, con la sua mole, sembrava inglobarla e proteggerla.

"Non pensavo che mi avresti cercato."

"Cerco sempre le cose preziose che ho perso."

Piano, per quanto le sue forze le permettevano, Faith scivolò fuori dal suo nascondiglio. Era ferita, malconcia.

Angel si sfilò il cappotto e l'avvolse stretta. Già una volta aveva accolto così Faith, stremata e piangente, tra le braccia, infondendole calore. Faith sembrava giungere nella sua vita sempre preceduta da un acquazzone, come un dono piovuto dal cielo.

Angel la strinse e la sollevò da terra.

"Ce la faccio a camminare."

"Non importa." - sorrise Angel, nell'assestarla meglio tra le braccia.

"Mi troveranno."

"Ti sbagli. Troveranno me."

 

Si...” - la voce di suo padre passò come veleno sulle teste dei presenti - “Sappiamo della tua predilezione per questa Cacciatrice... indipendentemente dall'etica che ti era richiesta.”

No.” - Wes sorrise, divertito. E, negli occhi, sembrarono passare fiamme violacee - “Non sapete un cazzo delle mie predilezioni. Né, tantomeno, della mia Faith.”

 

"Come stai bene vestito così…" - commentò Faith, per spezzare il ghiaccio. Sperando di tutto cuore che Wes ricambiasse il complimento.

"Ed io sono felice di vedere che il vestito ti è piaciuto…"

"Oh, Wes, non ho mai avuto niente del genere." - Faith camminò, fino quasi ad appoggiarsi al suo petto - "io non potrò mai ringraziarti abbastanza per tutto questo."

"Io non potrò mai ringraziare te abbastanza, Faith." - rispose lui, seriamente - "Perché hai saputo ricominciare a fidarti di me, dopo tutto quello che ti avevo fatto…"

"Non sono mai stata una brava ragazza, Wes." - Faith scosse la testa, adombrandosi - "E mi sono pentita di molte cose. Ma non mi pentirò mai di ricambiare la fiducia che tu hai nei miei confronti."

Wes le sorrise. Aveva un'espressione dolce che Faith gli aveva visto ben poche volte, che gli contornava gli occhi con leggerissime rughe. Come se, in un'epoca lontana, avesse sorriso così tanto da imprimere ogni espressione nella sua pelle.

Aveva degli occhi chiari bellissimi. E comprensivi.

Faith lo guardò, spaventata di colpo dall'adorazione che sentiva per lui. Nel suo piccolo mondo, due erano i pianeti attorno a cui instancabilmente ruotava: Angel e Wes.

Il suo Wes.

Quanta paura, nel provare nuovamente un sentimento del genere. Quanta paura, a desiderare nuovamente che fosse il suo osservatore.

Anche se era una rinnegata.

E una poco di buono.

Wes le stava accarezzando una guancia, senza che nulla scalfisse la sua espressione.

"Hai scordato di mettere gli orecchini…" - l'ammonì, facendola sorridere. Complice.

"Aiutami tu…" - rispose, voltandosi ad afferrare i cerchietti che Cordelia le aveva prestato.

Ma solo prestato! Come si era più volte raccomandata.

E Wes lo fece. Aggrottando la fronte, come aveva fatto meno di ventiquattro ore prima. Impegnandosi, come se fosse una cosa astrusa e complicata.

"Grazie." - mormorò educatamente Faith, quando finalmente sembrò aver terminato l'opera.

E, di tutta riposta, Wes si chinò ancora. Per darle un bacio sulla guancia.

Un bacio in cui cercò di condensare disperatamente tutto quello che Faith rappresentava per lui.

"Buon compleanno, piccola." - sussurrò.

 

Wes.” - Doyle si era voltato, fissandolo intensamente - “Non esagerare.”

No.” - si passò la mano sugli occhi, stanco - “Non intendo farlo.”

 

E ho detto tutto quello che avevo da dire. Il resto sono affari miei.

 

***

 

Voi ragazzi permettete?” - domandò Methos, piegando la testa - “Pensate alle vostre donzelle e io intanto mi occupo di loro, che ne dite?”

Mica male come idea.”

Accomodati.”

Prego, mister Pierson.” - aggiunse uno degli ocsservatori, indicandogli il leggio - “Se pensa di poter portare un po' di razionalità in questa faccenda...”

Razionalità?” - Methos stortò la bocca divertito. E comprensivo - “Se ci fosse stata della razionalità in questi anni, oggi staremmo tutti qui per il torneo di bridge, non di certo per valutare quanto il mondo sia cambiato. No, non illudetevi. Quello che questi due vi stanno cercando di spiegare da ore è che non ci sarebbe stato nulla non ci fosse stato il sentimento. E io, credetemi, sono pienamente d'accordo.”

 

Ti prego, non ricominciare!” – Methos si alzò e aprì il pensile, cominciando a tirar fuori i piatti per la cena – “Parla dei Coventry, se vuoi, ma non di tua madre e della sua solfa sul nostro predestinato incontro. Sono sempre venuto in Irlanda e ho sempre amato le rosse.”

Dopo anni continui ad essere convinto che sia stato un caso? Incontri un Cantastorie, quasi la sposi, ti sobbarchi suo figlio che un paio di decenni dopo è un Cantastorie con una carriera di tutto rispetto che ti procura una Cacciatrice da seguire, cosa che non ti succedeva da… diciamo…”

Millecentottantadue anni.”

Davvero?”

Davvero.” – Methos aprì un cassetto e tirò fuori le posate – “Ma va’ avanti. Non avrai pace se non finirai lo sproloquio…”

Non una Cacciatrice a caso, ma quella che cambierà gli eventi. E che vive con Angel, il vampiro con l’anima, l’eroe delle profezie. E con Spike, l’uccisore delle Cacciatrici, colui che…”

Fermati.” – Methos gli passò i piatti – “E apparecchia. Non voglio sentire di nuovo la questione di Spike. Risparmiamela.”

Non vuoi sentirla perché sai che ho ragione.” – ribatté l’irlandese, saltando giù dallo sgabello e facendo il richiesto – “E perché ci porta dritti al punto. Edward e William devono incontrarsi. E quello che abbiamo fatto è stato uno sbaglio di proporzioni cosmiche.”

Concordo sullo sbaglio, me ne frego del cosmico.” – rispose l’uomo, serafico, porgendogli i bicchieri e buttando le bistecche sulla griglia – “Non mi importa di aver sballato i calcoli cabalistici tuoi e di Whydam-Price. Sono però sempre più in disaccordo con Edward riguardo la sua scelta personale. Doveva dirlo a suo fratello.”

Non è solo una questione affettiva, Methos.”

Sì che lo è.” – Methos interruppe l’operazione di taglio dei pomodori e gli puntò il coltello in mezzo agli occhi – “Perché su questo sono sempre stato d’accordo con tua madre. Prima vengono le persone della nostra vita, poi tutte le altre beffe che la specie umana si è inventata per credersi sopra le leggi di natura.”

Doyle, che stava approfittandone per masticare un grissino, lo fissò, a bocca aperta.

Edward non è una pedina nei vostri giochi.” – dichiarò Methos, tornando a massacrare le sue verdure con furia – “E’ solo un uomo che ha sbagliato per troppo amore.”

 

"Nessuno è una pedina nell'esistenza. Può sentirsi tale ma può combattere, ribellarsi e, soprattutto, non deve smettere di sentire. Vogliamo poi a posteriori rileggere il tutto in una chiave filosofica? Si, si può fare. Ma, sul momento, non importa. Non importa a nessuno. Perchè è con il cuore che si può fare qualcosa. Non con il cervello. Né, tantomeno, con un libro e un satellite.”

Si voltò, strizzando l'occhio a Wes e allungando la falcata per percorrere la prima fila della tribuna.

Wes ha saputo unire i puntini per l'importanza che ha dato a Faith come donna e come Cacciatrice. Doyle ha aiutato Angel non perchè fosse un paladino ma perchè era un uomo che non voleva sentirsi tale. E Cordelia.. buon dio, se non l'avesse sposata lui, l'avrei sposata io. Perchè certe persone...”

 

Reminiscenza. Si interruppe. Alzò gli occhi. Ed Edward, dal fondo della sala, a lato della porta, gli sorrise e gli fece un cenno. Aveva i capelli corti. E gli occhi brillanti. Non sembrava più grande dei cadetti seduti sei file più avanti.

 

Ehi, Coventry... hai perso un sacco di frasi carine sul tuo conto.

 

Perchè certe persone.” - riprese, prontamente, sorridendo - “Sono nate per sorprenderci, amarci e portarci dove dobbiamo andare. E questo era l'Hyperion, quando sono arrivato: un posto dove le persone credevano una nell'altra. E, sopra ogni altro... c'era ancora lui.”

 

In piedi, davanti alla porta.

Uno sguardo scuro e pacato.

Una bellezza oscura.

 

Ed eccoti, finalmente.

Sicchè tu saresti l’eroe…

 

Methos si alzò, pulendosi le mani, in modo studiato.

 

Angel ricambiò lo sguardo. L’uomo non era ostile. Era serio, perfettamente chiuso in se stesso. Non trapelava nulla, non una variazione cardiaca o respiratoria.

Nulla.

Sapeva di fissare un vampiro.

Ma la cosa non aveva nessun effetto su di lui.

Né fascino.

Né ripugnanza.

Eppure…

 

Per la prima volta in vita sua, Angel si domandò come fosse il proprio, di sguardo.

 

Si, sarete stanchi di sentirvelo descrivere. Angel, Angel, Angel. .. credo che sia qualcosa che sparge nell'aria. Delle spore. Non si può smettere di pensare a lui. A meno che...” - sorrise e allargò le braccia, la sua miglior espressione 'che ci volete fare' - “A meno che non vi ritroviate davanti il piccolo Coventry.”

La bocca di Edward si allargò in una risata silenziosa. Ed egli incrociò le braccia e le caviglie, seguitando ad ascoltare.

 

Tu che parli bene di William... non me lo perderei per niente al mondo.

 

Non giocare con me, Methos.”

No, non giocare tu, moccioso!” - sbottò, deciso - “Ti illustro la situazione, poi mi dici che ne pensi: da stamattina, Edward è passato ininterrottamente dalla padella alla brace senza sosta. Vampiri, tu, Angel, Drusilla, ancora vampiri, ancora tu, ancora Drusilla e, a quanto sembra, di nuovo Angel. La vostra dannata stirpe plasmamaniaca lo sta tormentando senza sosta mentre tu, unico conforto e debolezza di lord Coventry, stai qui a frignare senza sosta. E quando non piagnucoli sembri uscito dal film shining. Nel frattempo hanno cercato di ammazzare la tua fidanzata, il mio figliastro, il sottoscritto e, ultimo per molti ma non nel cuore dei bibliotecari del mondo, mister Whydam-Price. Tutto, sottolineo tutto, grazie a te, che sei un pazzo nevrotico senza né arte né parte. Ok?”

Allargò le mani, guardandolo.

Sono stato chiaro?” - domandò, in maniera così convincente che Spike ebbe l'impressione di essere un dodicenne indisciplinato. E, soprattutto che, in altri frangenti, avrebbe saputo formulare un'identica esasperata arringa.

Visto da qui, sei così. E, tu potessi vederti da questa angolazione, la tua ironia avrebbe di che scatenarsi.” - aggiunse, con petulanza, indicandolo - “Concludendo, non credo che mi interessi quanto sei disastrato lì dentro... sarebbe solo gradito che tu prendessi una decisione.”

 

William the bloody è...” - si interruppe, cercando le parole - “Una potenza della natura. Una vera, incontrollabile potenza. Un metro e settanta di ossa, nicotina e ironia. Lui è... è fantastico.” - si posò le mani sul petto, sorridendo – “e io sono il suo più grande fan.”

Ma sta dicendo sul serio?” - azzardò Westley, fissandogli la schiena e la posa a gambe leggermente divaricate. Methos non sapeva comprarsi maglioni che non fossero almeno due taglie più della sua.

Oh, si.” - Doyle sorrideva, presissimo dall'arringa. Adorava l'oratoria di Methos. Aveva passato tutta l'infanzia a guardarlo cercare di abbindolare sua madre, sempre fatto con l'entusiasmo più genuino e adolescenziale che si potesse immaginare - “Finchè lo dice ci crede...”

Non sarebbe 'finchè ci crede lo dice' ?”

No, con lui è il contrario.”

Ah, ecco.”

 

Non ci posso credere...” - annaspò Methos, fissandolo - “Tu lo preferivi morto...”

Methos...”

Taci, William!” - la presa attorno ala gola aumentò, assieme alla rabbia - “Cosa! Morto è meno indomito? Meno ingombrante? Importante?Oh, si, è così...”

Annuì, spiritato. E spike sentì gli occhi trapassarlo e incenerirlo prima ancora della verità che stava per essergli sputata in volto.

Oh, si, è così. Se edward resta morto, tu puoi andare avanti e dimenticare ciò che eri. Bhe, sbagli, stupido ragazzo. Sbagli.

Stai violando la prima regola dei penitenti, Spike. Provare sempre vergogna.”

 

William...” - methos si interruppe e corresse, alzando un dito - “Spike, come preferisce essere chiamato, non è uno qualsiasi. Probabilmente non lo era nemmeno da vivo ma, si sa, il mondo in cui viviamo non sempre riconosce il genio quando lo incontra. L'intelligenza, la percettività e la certezza di dover inseguire sempre le cose più grandi di noi non sono sempre caratteristiche facili da apprezzare o con cui convivere. E, da questo rifiuto, da questa certezza che hanno i nostri simili nel definirci stupidi nasce la disperazione. Si, la disperazione.

E non è un sentimento con cui si può sempre convivere. A volte passe e, a volte...” - rallentò il passo, gettò un'occhiata ammaliante alla platea - “.. a volte fa fare cose molto stupide. Come farsi vampirizzare.”

 

Non c'è nulla che uccida come l'assenza d'amore.

E William, William Coventry, sa cosa sia la solitudine.

 

C'è qualcosa di sbagliato nel lasciare. E nell'essere lasciati.

Qualcosa di crudele.

E freddo.

Qualcosa che rimane dentro, aspettando di risorgere, pugnalando e avvelenando ancora.

Anya era stata lasciata da Xander. E Spike aveva lasciato Cecily.

La verità semplice e paradossale, stava nel capovolgersi dei fatti.

Non era Spike che aiutava Anya. Ma William.

E la rabbia da cui era nato Spike.

Si lasciò travolgere, perdendosi nella sincerità dei loro gesti, in quel essenziale cercarsi, agitato e pulito. Inarcandosi, sotto le sue mani, rispondendo con la stessa furia, disposta a tutto, pur di non vederlo svanire.

Senza amore.

E senza soddisfazione.

Annullandosi, nel conforto del nulla e nel dolore di entrambi che diveniva uno. Afferrandolo, graffiandogli la pelle perché non le sfuggisse.

Fissandolo negli occhi e domandandosi come anche l'azzurro più puro potesse incendiarsi in quel modo.

Forse esisteva un mondo in cui Spike era il principe che uccideva il drago e salvava la principessa. Una principessa dai capelli biondi ed il cuore triste.

Forse esisteva un mondo in cui un bacio bastava a risvegliare una fanciulla dal suo torpore.

Ma in un mondo come il loro, tutto era solo una zona d'ombra.

Una zona d'ombra, fatta di caos e incomprensibili verità, dove talvolta i demoni si incontravano. E dai loro corpi morti e dai loro dolori sopiti sapevano ancora far scaturire magia.

Aspettarono di giungere ad un passo dalla fine, per chiudere gli occhi, in un tacito accordo. Esorcizzando le proprie paure.

E fingendo, in un' eterno istante, di essere qualcun altro.

Qualcuno di umano. E semplicemente amato.

 

Nel suo caso, la vampirizzazione ha dato parecchi frutti insperati. Ha combattuto da demone per il mondo, ha continuato a farlo con un'anima in carico. Ha saputo trovare la vita anche dove gli altri non sapevano vederla e... sopra ogni cosa... ha amato. Amato sopra ogni cosa.”

 

Ha amato Faith. Amato Angel. Amato Edward... e non gli è mai sembrato abbastanza. Mai.

 

Ma Spike non amerebbe sapere che parlo della sua privacy. E quindi... Io posso solo aggiungere una cosa: mi dispiace non lo abbiate conosciuto di persona. Avrebbe cambiato le vostre vite.. e le avrebbe rese più interessanti. E' tutto.” - concluse Methos, aprendo le mani strette tra loro - “Del resto, calcolando ciò che alla fine vi interessa della situazione, non credo che vi serva sapere altro di lui.”

 

Non condivido le illusioni di Wes e Doyle. Io lo so che non cambierete. E so che qui stiamo solo a perdere il nostro tempo, come tre veri cretini.

 

Io non sono d'accordo.”

Mi correggo. Quattro cretini.

Perfetto.” - sospirò, alzando gli occhi al cielo. Il suo pubblico era perplesso per quell'interruzione, mormorava, alcune teste si voltavano cercando la fonte di disturbo. Methos, invece, non lo degnò nemmeno di un'occhiata, girò sui tacchi e si gettò in una sedia lasciata libera.

Adesso si che ci ammazzano.” - borbottò, risentito, mentre Edward scavalcava una balaustra e si prendeva il centro della scena.

 

Stupido dandy...

 

[IV]

 

Non penso che esista una persona che può parlare di Spike meglio di me. A parte Angel si intende.” - fu l'esordio. Sicuro e rilassato, una mano in tasca e l'altra sul profilo del tavolo degli anziani - “Permettete?”

E voi sareste?”

Coventry. Lord Edward Simon Michael Henry...” - aggrottò le sopracciglia cercando di ricordare l'ultimo - “Adam Coventry. Si, credo fosse Adam. Può chiamarmi Edward, se vuole.”

L'osservatore che aveva osato chiederglielo aveva appena perso la penna di mano. E questa, rotolando, era finita dritta tra le dita di Eddy.

Come, prego?”

Coventry. Servono anche i miei altri titoli?” - sorrise, piegando la testa e rendendo la penna - “So che mi chiamate il pescatore d'oro. Lo apprezzo, grazie.”

 

Ecco. Edward aveva appena ottenuto ciò che in tre non avevano saputo afferrare.

Un silenzio ammutolito.

E sconvolgentemente rispettoso.

 

Ma come, come, come...” - borbottò Methos, allungando le gambe - “Come ci riesce...”

E come vuoi che faccia... come fa anche Spike.” - e Spike gli somiglia... tanto...

 

"Ovvio. Ma lui soffre per l'amore perduto. Non è lui quello che si è fatto sfondare la cassa toracica per far rinsavire il suo migliore amico."

Spike lo guardò di traverso. Con un sorriso strano.

"Puoi anche dire fratello, se vuoi."

"Sul serio?"

"E' una concessione che faccio solo a te, perché pronunci William come lui. E' perché fratello è una parola con un bel suono." - Spike sorrise, permettendo alla stanchezza di trasparire, posando la testa contro la parete. E chiudendo gli occhi.

Era bello come un cherubino, esangue. Il dolore gli segnava i lineamenti, passando ad ondate. Aveva un aspetto fragile, che non rispecchiava la sua forza interiore.

Si trattò di un istante. Poi Spike riaprì gli occhi e lo squadrò, con l'ironia di sempre.

"Mi stai fissando…"

"Speravo dormissi."

Spike rimase in silenzio. Poi scosse la testa, con un gesto di rammaricato diniego.

"Spiacente ho deluso le tue aspettative."

"Non solo le mie." - Doyle fece un cenno con la testa - "Guarda lì."

Alle sue spalle, in piedi, incorniciato dalla porta, era Angel.

"E poi sono io quello che origlia…" - mormorò Spike, con un filo di voce.

"Non ha bisogno di sentirtelo dire, per saperlo…" - gli rispose sottovoce Doyle, chinandosi verso di lui, con un sorriso in fondo agli occhi - "ed anche per lui ha un bel suono."

 

Angel... e Spike. Doyle alzò gli occhi, improvvisamente serio.

Angel e Spike... mi mancherà poterlo dire.

 

Respirò a fondo. E Methos alzò un sopracciglio.

Ehi, ok?”

Si, tutto ok. Ma sto pensando a quanto sono cambiate le cose... e in troppo poco tempo.”

Non è stato poco, Francis. È stato solo vissuto intensamente.” - sorrise, andando lontano con lo sguardo - “E, come al solito, con Edward giunge la necessità di un cambiamento. Cambia le persone e i fatti con la facilità con cui cambia le spade.”

 

Non rischi troppo a continuare a cambiare?”

Non rischio troppo a fidarmi di una cosa datata?”

 

E quindi...” - concluse Wes, ondeggiando a destra e sinistra sulla sedia - “Ci prepariamo... a cambiare registro.”

 

Ci siamo intrattenuti nel territorio che conoscevamo troppo a lungo. È ora di raccontare come sia finita. E andare avanti.

 

***

 

Nel frattempo, Edward aveva finito di spargere fascino in giro per la sala. Qualcuno gli aveva stretto la mano, qualcuno lo aveva solo fissato, tutti gli altri si erano domandati ceem dire qualcosa senza rompere il silenzio.

Edward aveva dato il suo meglio, rispolverando una mezza tonnellata di regole ammuffite dei suoi tempo. La sua educazione, quella che permetteva a Spike di sembrare un gentiluomo anche in trench, era innata come l'eleganza. Ma Edward, per l'occasione, era quasi l'iperbole del galateo.

 

E stava, lo dicevano i suoi occhi, per scatenarsi. In tutto e per tutto.

 

Io avuto parte nella faccenda e so che, presso questo consiglio, tenete in conto delle testimonianze dirette.” - esordì dunque, restando in piedi davanti a loro. Giocherellava con qualcosa, tra le dita, rigirava un portasigarette d'argento, con lentezza, per il piacere di sentirlo scaldarsi - “Posso aiutarvi in qualche modo?”

In effetti si.” - rispose l'anziana. Aveva inforcato gli occhiali e, con una gentilezza ferrea che doveva essere sua tipica, si rivolgeva all'immortale - “Noi vorremmo sapere il cosa, il come e il perchè degli eventi di Los Angeles del mese passato. Finora ci è stato detto ben poco.”

Tutto a suo tempo.” - rispose Edward, con la sua abituale morbidezza - “E sul poco dissentisco. Ci sarebbe ancora molto da dire ma non rischieremmo di sforare nel privato, oppure in informazioni che ci serviranno più avanti. Io, personalmente, vorrei dirvi chi sia mio fratello prima che per voi diventi un fenomeno da baraccone.”

Uno degli osservatori sembrava intenzionato a interromperlo. Ma Edward aveva scritto in faccia che non avrebbe concesso limitazioni al suo raggio d'azione. Come sempre.

No, prego.” - disse, dunque, con il più bello dei sorrisi e una mano gentilmente alzata - “ Non vi tratterrò a lungo, siete ansiosi di sentire l'epilogo. Ma vi prego di darmi la vostra attenzione per qualche minuto.”

 

Quello che sto per raccontarvi è la storia di due fratelli

che seppero ritrovarsi e darsi un futuro comune.

Di William.”

- scandì, con calma e con una pausa studiata ad arte -

E di Angel.”

 

***

 

Si possono dire molte cose riguardo le anime e il sangue di LA. Ma, se ci si limita a scavare e giungere al nocciolo della faccenda, si trova solo questo. William ed Angel. E tutto il resto diviene un accessorio.” - mormorò. E le domande che volevano fargli evaporarono - “Le vite si intrecciano, le emozioni divengono funi e il mondo in piccolo sembra migliore anche quando si combatte. Ma al centro, rimangono sempre loro. Spike ed Angel. Fratelli di sangue. Per sempre.”

 

"Guardami William, guardami bene." - lo incitò Angel, senza lasciare la sua mano, senza che le loro teste si allontanassero - "Io non ho niente da rinfacciarti e niente da perdonarti. L'inferno è in terra, hai ragione. Ed ognuno di noi ne porta una frazione sulle spalle, ogni giorno. Io sono qui, perché tu hai bisogno di me. E tu sei qui perché io ho bisogno di te. E so che non mi lasceresti mai."

Mai.

Mai.

Mai.

"Come due fratelli." - aggiunse.

Spike sorrise, afferrandolo forte con la mano libera. Afferrandolo, perché non gli sfuggisse.

"Come due fratelli." - promise, in un soffio.

 

Vorrei parlarvi di entrambi a modo, se non vi spiace. Anche se sono, tecnicamente, l'ultimo arrivato. So molte cose di Angel. Perchè l'ho conosciuto, lo ammiro e perchè... bhe... parlo con mio fratello. E so, perchè come voi amo i libri, molte cose sul Flagello d'Europa. Era qui prima di molti noi, ci sarà anche dopo. E, per un colpo di fortuna, era con mio fratello in molte occasioni. Io non sono stato altrettanto presente.”

 

"Ed è giusto tutto questo?" - chiese Spike, più a se stesso che ad altri - "Me lo sono chiesto così tante volte… cosa avevo di particolare per ottenere questa immortalità? Perché io, Angel? perché… cosa c'era in me da rendermi così adatto? E' ancora come allora… lui è morto… io sono sopravvissuto. Avevamo le stesse probabilità…"

"Il caso, il destino… in effetti l'unica cosa che possiamo scegliere è a quale delle due forze votarci. Il caos. Oppure l'ordine. Uno dei due guida le nostre vite… Doyle ti direbbe che è destino."

"E Cordelia mi direbbe che è casualità. Lo so." - concluse Spike, allungando le gambe - "Eppure quei due si completano, non credi?"

"E può darsi che sia questa la risposta giusta. Unire la predestinazione alla libertà." - commentò Angel. prima di tornare ad inoltrarsi nel discorso - "Ma questo non da' mai una risposta alle nostre domande. Io ho ucciso mia sorella. Tu hai perso un fratello. Ed entrambi li teniamo nascosti in un passato in cui forse, non abbiamo rimorsi."

Era vero. Edward apparteneva ad un periodo fatto di rimpianti e di pochi umani dispiaceri. Pochi, leggeri da portare, rispetto a quelli dei suoi anni sfrenati. Dei suoi anni al di fuori del logico, da predatore. Edward se ne era andato prima ancora che cominciassero i massacri.

"Ho sempre pensato che Edward…volevo credere che potesse vedermi, anche se non c'era più. Ed ora , se veramente mi sbilancio a credere che esista qualcosa oltre la morte… non posso far altro che pensare allo spettacolo che ho messo in piedi in questi secoli. Diceva sempre che mi avrebbe appoggiato, qualunque fosse la mia strada... ma ho difficoltà ad immaginarlo concorde con alcune mie scelte di vita. L'avrei seguito in capo al mondo…" - Angel alzò gli occhi. E vide Spike come era stato in quegli anni. Come, per molti aspetti, era ancora adesso. Tenace, testardo, insofferente di ogni regola, troppo sincero per essere diplomatico e tremendamente affilato nei suoi ragionamenti. Come se il tempo l'avesse costretto ad essere il fratello maggiore di se stesso. Non riusciva ad immaginarlo capace di accettare la guida di un altro con una fiducia del genere.

 

Angel non si è mai reso conto di quanto potere esercitasse su Spike. Lo ha consigliato, protetto, esasperato con la sua calma. Ma non ha mai fatto uno sbaglio. L'unico passo falso, probabilmente, l'ha compiuto per colpa mia. Ciò che so per certo, tuttavia, è che Spike non sarebbe nulla senza di lui.” - pausa - “Angel ed io non siamo la stessa persona. E non ci diamo il cambio in questa vita che Spike gestisce come un ottovolante. Siamo solo noi, entrambi importanti, entrambi amati. E nel reciproco rispetto degli spazi, senza nessuna tragedia.”

 

Rallentò, sorridendo, senza smettere di parlare. Oddio, nessuna tragedia ora.

 

Angel per Spike è... ciò che Spike è per Angel. Se mi perdonate il gioco di parole, si intende.”

 

"Edward aveva un solo difetto… era perfetto." - riprese Spike. Sorridendo di quell'affermazione.

"Un difetto che hanno moltissimi fratelli maggiori." - ribattè Angel. E si sorprese da solo con quell'affermazione. Prima ancora che Spike lo fissasse passandolo da parte a parte.

Si alzò, quasi di scatto e camminando, giunse ad un passo dal cortile illuminato.

Anche lui era stato un fratello perfetto. Tra una sbornia e una litigata. Tra uno sbaglio ed un altro ancora. Per Kathie nulla di tutto questo era importante. Non aveva mai pensato di odiare suo padre per l'indifferenza che le mostrava…

"…Eppure per Kathie tutto questo non aveva importanza. Odiava nostro padre per il male che faceva a me." - confessò - "non le importava molto che non la notasse."

"Perché aveva te." - la voce di Spike lo fece sussultare. Era in piedi, un passo dietro di lui - "Perché doveva desiderare altro? Tu probabilmente le davi molto più di quanto potesse immaginare. E le volevi bene."

"Io l'adoravo, William." - si voltò a guardarlo. E, senza volerlo, la sua espressione si addolcì. Come allora. Come quando Kathie lo guardava ed aspettava che parlasse - "E non ho dubbi sul fatto che tuo fratello Edward stravedesse per te. Lo si legge nei tuoi occhi…"

Lo vide sussultare. E fissarlo. E intravide quello che William era stato da vivo, in una frazione di secondo. Vide svanire l'espressione forgiata dai secoli, il cipiglio e la mascella volitiva. Vide il ragazzino biondo che era stato, il ragazzino che aveva un'espressione troppo fragile per il carattere che nascondeva.

Si voltò, tornando a guardare il giardino assolato.

"Hai lo sguardo di una persona che è stata amata, William. Sei uno che per amore saresti capace a fare di tutto. A rischiare tutto. E non solo per l'amore di una donna. Avresti veramente seguito tuo fratello in capo al mondo. Perché non sarebbe mai stato capace di farti del male."

 

Angel è...” - alzò la testa, con un mezzo sorriso. E quell'aria tremendamente luminosa passò sulla folla come un'ondata - “Angel è il buio, l'oscurità allo stato puro. Ma non si può non volersi schierare al suo fianco quando parte per le sue crociate. È sempre percepibile in lui una disperata ricerca della scelta migliore e, allo stesso tempo, un'incertezza di fondo. Fino a quando... fino a quando crederanno in me.”

Si interruppe, forse per riflettere. Ma nessuno si intromise, di fronte a lui, alle sue spalle. Ed Edward, per un attimo nella perplessità di aver detto troppo, sentì la voce di Wes, pacata come sempre, dedicarsi al solito giochetto mentale.

 

Vai avanti. È ciò che vogliamo. Diamo loro la verità e difendiamola.”

 

Diamo loro la verità. Basterà il tempo a farla divenire leggenda.

 

La verità è che... La fiducia è qualcosa di basilare nella vita.” - aggiunse, abbassando lo sguardo. Assorto nelle proprie parole - “Non vorremmo mai essere feriti da chi amiamo e abbiamo il terrore di ferire e perdere. Angel in questo non è diverso dai suoi innocenti. Anche Angel sa cadere, non è il sicario senza cuore dei vostri libri, non è l'uomo senza paure che impugna la spada delle storie che verranno. Angel è la zona d'ombra, il grigio dove nascono e muoiono pressochè tutti. È l'oscurità stessa a dargli il dono di comprendere la forza e la preziosità della luce. E William...” - alzò le spalle. E sorrise. Aveva gli occhi brillanti, lucidi - “Cosa credete che sia se non luce senza fine...”

 

"Willy…" - Edward uscì in corridoio, finendo di annodarsi la vaporosa cravatta - "Sei pronto?"

"Arrivo, un attimo…" - come suo solito, William attraversò la soglia della sua camera a testa china, finendo di pulirsi gli occhiali. E sbattendo inevitabilmente contro Edward.

Dritto, con il naso, nella cravatta di seta. Si scostò, strofinandosi la faccia ed Edward, senza nemmeno pensarci, lo prese per le spalle.

"Stai dritto." - l'ammonì, gentilmente, aggiustandogli anche il colletto - "Alza il mento."

Poi fece un passo indietro, incrociando le braccia, per squadrarlo.

William lo guardava in attesa delle sua approvazione.

Sapeva di non avere il portamento di Edward. Era più alto di lui ed i capelli, di un caldo biondo, pur essendo ondulati, non ricadevano scomposti, incoronandolo come una criniera.

Aveva gli occhi profondi e grigi, come le pietre dello stagno, non cangianti, dall'azzurro a varie sfumature in base agli stati d'animo.

E la sua espressione stava cambiando.

Dal cipiglio attento con cui si accertava che William non avesse un capello fuori posto, ad un'espressione vagamente divertita.

"William… puoi continuare a fissarmi… ma chiudi la bocca… sembri un tonno."

"Scusami." - William sussultò, con aria colpevole - "Stavo solo facendo un bilancio. Ogni volta che paragono una tua caratteristica ad una mia… viene fuori un bilancio…"

"Ehi, Willy…" - Edward si avvicinò - "Io darei qualunque cosa per il talento che hai. Sei incredibile, sul serio. Dovresti credere in te. Vali più di quanto pensi."

"Vorrei assomigliarti di più." - ammise in un soffio.

Edward scosse la testa, sorridendogli.

"Dai tempo al tempo." - sussurrò, scompigliandoli quei capelli troppo indisciplinati. Prima di guardarlo, ancora… ed aggiustargli gli occhiali sul naso - "E mi metterai in ombra, prima di quanto immagini."

Si scostò da lui, con un movimento scanzonato, e si incamminò verso le scale. Voltandosi, per incitarlo a muoversi.

 

Alcuni vi diranno che è stata la mia assenza... altri che io sarei stato qualcosa di diverso da ciò che sono. Ma non credo che niente di questo sia vero. Nel bene, e soprattutto attraverso il male, verso se stesso e verso gli altri, William è andato lontano. Molto più di quanto si potesse immaginare. E se bisogna puntare un dito, in termini di presenza e assenza, in termini di importanza, allora Angel è l'artefice della sua leggenda. Non sono io il fine ultimo della sua ricerca. William voleva rifulgenza... e la rifulgenza è qualcosa che si comprende solo volgendo dalle tenebre l'occhio verso il sole.”

Aveva sempre parlato senza muoversi, la mano in tasca, l'oggetto d'argento nella mano destra, senza stringere. Iconografico, come sempre, in ogni passaggio dalla sua vita.

Methos, con la tempia appoggiata al pugno, sprofondato al suo posto, di lui vedeva solo la schiena, diritta e fiera. E sentiva il cuore, inesorabile come il respiro.

Si, anche da lì lo sentiva... sentiva i polmoni che bruciavano. E ne captava il dolore da quel muoversi ininterrotto del portasigarette, ritmico per non ascoltare se stesso.

 

La verità è spesso dolore. E il ricordo... il ricordo non offre mai pace.

 

A detta di Methos, Spike prendeva molto seriamente la sua Redenzione. Non aveva esitazioni, faceva quel che doveva, con una punta di cinismo in più rispetto a Angel. Non si trattava specificatamente di non uccidere. Si trattava innanzitutto di non abusare del proprio potere. Perché, senz’anima, quello era il primo autocontrollo che svaniva.

Il controllo del desiderio, in ogni sua forma.

Ancora una volta, Edward ripercorse mentalmente quella che doveva essere una caduta spirituale.

Il concetto non gli era del tutto estraneo.

I poeti che leggeva a sedici anni, i suoi contemporanei, addirittura i coetanei dei suoi genitori, avevano coltivato questo mito della caduta dal paradiso.

L’uomo intrappolato, l’uomo condannato che si libera dal giogo e da’ sfogo ai suoi istinti.

E torna cacciatore.

Lupo tra i lupi.

Edward non aveva mai condiviso questo elevarsi attraverso la dannazione. E William, di indole tranquilla, si era spesso rapportato agli altri come un’anima sensibile: senza credere in sé, ma nutrendo l’innocente certezza di capire e interpretare la realtà in modo oggettivo.

Eppure si era dannato l’anima.

Aveva accettato questa sua dannazione.

Ingannato?

Tradito?

Consapevole?

No, non riusciva a immaginare in che termini fosse giunta la sua scelta.

Di dolore?

Di vendetta?

Amore?

Perché no, amore…

Trattandosi di William, non se ne sarebbe stupito poi molto. William aveva sempre creduto che per amore si può morire…probabilmente l’aveva creduto sino all’ultimo.

E, con una certezza del genere, Edward non riusciva a immaginarlo nuovamente sveglio e privo di anima.

Ti è rimasto il senso d’amore, da demone, fratellino?

Credevi ancora in questo sentimento, quando sei uscito da quella bara? Posso immaginarti senza morale, ma non senza amore…

E senz’anima… non eri tu.

Ma un altro.

Ora, vampiro o no, saresti ancora tu. Diverso, ma sempre tu.

 

Come puoi resistere, senza il sole…

Edward chiuse gli occhi, lasciando che il sole del tramonto lo scaldasse, tingendolo d’oro. Vivere senza luce… forse era vivere come senza aria.

Già, senz’aria… dopotutto ne so qualcosa…

Vivere senz’aria…

 

Edward poteva apparire sereno nelle sue parole, ma non lo era stato nei confronti di Angel e della natura di Spike, per molto tempo. L'assenza del fratello, le scelte, la consapevolezza avevano scavato in lui. E quando era partito, lasciando suo fratello a Angel, non lo aveva fatto solo per William, ma anche per se stesso.

E solo ora, con quella signorilità che celava i tumulti e quella capacità di comprendere e soppesare il giusto e lo sbagliato senza paura, Edward Coventry si riconfermava ancora ciò che era sempre stato: leale, pulito, coraggioso. Soprattutto coraggioso.

E la tenebra, la tenebra che avvolge e svela è Angel. Soltanto Angel.” - aggiunse Edward, mentre il lieve calare della voce denunciava l'intenzione di tacere - “E avrà sempre la mia stima, la mia gratitudine e la mia amicizia. E, se la mia spada ha davvero un valore, anche quella.”

 

***

 

La sua occhiata non sembrava fredda. Ma la donna, dal tavolo degli anziani, ebbe l'impressione che la luce che sprigionavano fosse acciaio. Il padre di Wes, d'altro canto, sembrava colpito e irritato dal non riuscire a smettere di fissarlo.

Sappiamo molte cose su suo fratello. Abbiamo seguito la sua storia passo dopo passo.” - replicò, con calma, togliendosi gli occhiali e pulendoli. Come Wes, lo stesso movimento rotatorio - “Non pensa sia il caso di dirci qualcosa di lei?”

Edward sorrise, educatamente.

Qualcosa di che genere?” - domandò, con educazione – “Non penso di poter dire molto se non che... sono un immortale. Solo il fratello di un eroe.”

Ed un eroe, a quanto si dice.”

No, inesatto.” - scosse la testa - “Non sono niente del genere. Potevo, dicono. Ma le cose sono andate diversamente. E io non me ne rammarico.”

Non... non se ne rammarica?”

No. Perchè dovrei? Il destino, se esiste, ha fatto un buon lavoro. Avete ottenuto qualcuno di ben più importante di me. Avete Angel. Avete Spike. Non vi servo io.”

Eppure...”

Eppure cosa...”

Eppure ci dicono che non siate stato un componente trascurabile negli eventi di LA...”

Ah si?” Edward sorrise e, con un dito abbassò il collo del maglione - “Vi state riferendo a questo?”

La tribuna fu percorsa da un brivido.

C'era una cicatrice sulla gola di Edward. Ed era il segno di un morso.

Oppure a questo.” - aggiunse, sollevando la manica, un secondo segno, profondo come il primo – “Si, non si rimarginano e sono veicoli magici. E per me hanno un significato speciale che non coincide con quello che gli dareste voi.”

Lasciò ricadere la manica e scosse la testa, fissando il padre di Wes dritto negli occhi, con sfida.

E non farete degli immortali i vostri nuovi paladini, se è questo che state pensando. Abbiamo altro di cui occuparci.”

Non siamo così manipolatori.”

Si che lo siete.” - si intromise Wes, con voce incolore - “E non penso che Edward si lascerà abbindolare da voi per cui puoi smettere anche subito.”

Letale. Edward si voltò, interrogativo. E Wes alzò gli occhi verso di lui.

Tranquillo, è mio padre.” - comunicò, laconico - “E non gli piaccio mai.”

Oh, capisco.” - Edward si voltò, fissando meglio l'uomo - “E non sa che sei un uomo in gamba, immagino...”

Perfetto due volte. Methos alzò gli occhi al cielo. Non solo si era presentato per difendere il proprio fratellino, ma stava scattando il lui quel solito noiosissimo desiderio di tutelare gli incompresi.

 

Anche se... a pensarci bene...

 

In effetti è un peccato che non sappia che uomo sei.” - commentò, ad alta voce.

Methos, no, non lo fare.” - il pensiero gli era arrivato fulmineo nel cervello.

Oh si che lo faccio.” - rispose allegramente ad alta voce - “E' mio dovere difendere un collega... come un fratello.”

Mettiti una mano sul cuore mentre lo dici, sarai più credibile.” - rispose la voce nella sua mente. Wes, di contro, fissandolo dritto negli occhi stringeva le labbra come una morsa - “Non c'è motivo per farlo, non serve a nulla.”

Serve come ogni altra parola detta.” – mormorò Doyle, con calma - “Mister Price,non credo che lei e i suoi colleghi abbiate ben valutato Wes.”

Westley ha fatto ciò che riteneva opportuno.” - rispose l'uomo, implacabile - “Non stava al consiglio appoggiarlo nelle sue scelte meno felici. Gli è stata offerta l'opportunità di essere integrato nuovamente e ha rifiutato. Non credo che la sua condotta sia argomento per queste sede.”

Ma davvero....” - edward piegò la testa verso Doyle, attendendo un cenno - “Eppure io credo che in effetti, ci sia ancora qualcosa da dire e un ultimo protagonista da presentare...”

Fece due passi indietro lasciando campo a Doyle. Un Doyle deciso ad arrivare fino al tavolo degli ostili senza colpo ferire.

A detta di molti,” - esordì, rapido, appoggiando le mani sul legno scuro - “Per essere un eroe bisogna avere certi requisiti e dalla propria una tonnellata di predestinazioni. Uno di loro, uno di noi, dicono i più pratici. Eppure ci sono parecchi 'di loro' che si credono da questa parte della barricata, nemmeno da considerarsi qualcuno. Angel e William lo sono stati, prima di essere vampiri, ad esempio. Ma non stiamo più parlando dei nostri due ragazzi. Qui parliamo di uno di voi, giunto in America per i canonici motivi per cui vi spediscono oltreoceano. Uno di voi, né più né meno. Peccato che, amici miei, non lo fosse.”

Si voltò, indicando Wes.

Datemi il piacere di presentarvi Westley Whydam Price.” - disse, con timbro cristallino. E con un sorriso - “Un rinnegato per voi, una colonna per tutti noi. Un uomo che non vi siete mai dati la pena di scoprire.”

Wes non disse nulla. E non sorrise. Aveva gli occhi in un punto indefinito. E quelli di suo padre a incenerirlo.

Io sono il sostituto di Wes.” - proseguì Methos - “Sono stato scelto da voi per occuparmi della Cacciatrice, perchè mi avete ritenuto più idoneo. E io ho adempiuto al mio dovere. Ma questo non ha fatto di me la pietra miliare di Faith, anzi... ritengo che questa ragazza tanto criticata abbia avuto nei miei confronti un autocontrollo esemplare.”

Wes sorrise, divertito. Si, in effetti questo era innegabile.

 

Anche quella notte, Faith portava avanti la sua personale lotta contro il male. E Wes le teneva compagnia, sorbendosi l’ennesima dose di lamentele riguardo al suo sostituto.

Insomma, non solo se ne sta qui, a tenermi d’occhio, ma se ne frega pure di me!” – Sbraitò, ignorando il fatto di essersi appena contraddetta – “Un giorno c’è, un giorno se ne va, senza preoccuparsi assolutamente di quello che può accadere. Non fa nulla per aiutarci, non muove un dito per collaborare! Se ne sta comodamente sdraiato sul divano ed è.. è un pezzo d’idiota, come tutta la sua razza!”

Si fermò, cercando di non sotterrarsi per quello che aveva appena detto.

Non ti preoccupare.” – replicò Wes, venendo in soccorso al suo imbarazzo e caricando nel contempo la balestra – “Presenti esclusi.”

Faith lo fissò di traverso, mentre muoveva un passo verso la strettoia successiva. Qualunque cosa fosse successa a Londra, Wes era cambiato. Aveva smesso di portare gli occhiali regolarmente ed aveva perso l’abitudine a radersi in maniera maniacale. Era come.. americanizzato.

E questo, a Faith, non spiaceva per niente. Se non per il piccolo senso di colpa che provava, di tanto in tanto, al pensiero che Wes avesse rinunciato, per lei, ad essere osservatore. Per quanto l’uomo si sforzasse a sottolineare come fosse stata una scelta dettata da molti motivi, la Cacciatrice non poteva convincersi del tutto.

Era, per buona parte, colpa sua. Anzi, iniziava a pensare di aver condizionato a tempo pieno la vita di Westley dal loro primo incontro, fino alla sua definitiva destituzione.

Insomma, Faith si sentiva il vaso di Pandora personale di Westley Whydam Price.

Adam Pierson compreso. Quell’esemplare di osservatore venuto da chissà dove.

Ti dona questo nuovo look.” – commentò, cercando di essere incoraggiante e cambiando discorso – “Ho visto un paio di stivali di coccodrillo che ti starebbero da dio…”

E da quando guardi le vetrine?” – domandò l’uomo, facendo scattare la sicura della balestra manesca e chinandosi, per lasciarle visuale libera oltre l’angolo.

Io no. Me lo ha detto Cordelia. Credo il tuo nuovo look le piaccia.”

Wes sorrise, senza dir nulla. Un mezzo sorriso, appena accennato. In effetti Cordelia aveva manifestato una certa sorpresa per quel suo cambio di immagine. Ma da qui a divenirne la curatrice…

Lascia perdere, Faith.” – rispose, in un sussurro, prendendo la mira – “Abbiamo altro a cui pensare.”

 

Quel posto era già di qualcuno, nel cuore, per affetto e lealtà dimostrate. Wes ha portato Faith fin dove doveva giungere, con la dedizione che voi stessi predicate e con un amore che invece in pochi avete ritenuto basilare.”

 

Pochi, o nessuno, pensò Wes. Rari come fenicotteri.

 

"Wes, Wes, non si deve mai smettere di fantasticare. Non te l'ho detto sempre? Mantieni pure il tuo decoro, ma la prossima volta che ci vediamo, devi dirmi qualcosa del tipo… Helen, cara, sembri un fenicottero con quel vestito!"

E, con un attimo di preveggenza, fredda come un soffio, Helen ebbe la netta impressione che Westley fosse destinato a grandi cose. Non ad una biblioteca. Non ad una Cacciatrice tra tante. Si trattò forse di una variazione di luce, oppure di un dono nascosto. Ma, in quel singolo sguardo che si scambiarono, Helen varcò le difese di Westley e il tempo.

Grandi cose.

Grandi cose nel futuro di Whydam-Price.

Cose che il Consiglio non avrebbe capito.

Realtà che Wes avrebbe cercato disperatamente di ignorare.

Persone che avrebbe combattuto.

Destino.

E non destino.

Niente era scritto, ancora. Niente di tutto ciò per cui Wes aveva studiato e faticato.

Rispondendo ancora una volta all'impulso ed al freddo che di colpo sentiva, Helen protese una mano e gli accarezzò la guancia.

"Avrai la tua occasione, Wes, te lo posso assicurare." - Helen sorrideva sempre a Wes. Dal giorno in cui aveva capito che il ragazzo avrebbe goduto di quella famigliarità senza mai raccontarla a nessuno. Senza mai giudicarla debolezza.

"E lei, la Cacciatrice,com'è?" - azzardò. Non era certo si potesse parlarne.

"oh." - Helen si illuminò, innanzi a quella domanda - "E' … splendida. Forte, caparbia, sensibile… mi avevano detto che aveva un carattere difficile, ma non è vero.

Bisogna solo saperla capire. La sua vita è difficile…"

"Non dimenticarlo Wes. Io ho insegnato per molti anni cosa è giusto dire ad una Cacciatrice. Ma ora so che la cosa più importante è saperla ascoltare. Le sue paure, le sue ambizioni, le strade che sa che le sono precluse e che la fanno soffrire… ascoltare, Westley, ascoltare con il cuore. Non troverai in nessun libro le spiegazioni per far funzionare l'anima di una Cacciatrice. Per guiDarla bisogna semplicemente accompagnarla per la sua strada. Una Cacciatrice incompresa smette di essere una Cacciatrice."

"E' una ragazza minuta." - riprese, come se nulla li avesse interrotti - " ma vorrei che tu la vedessi muoversi. Agile come un gatto, sembra fatta di gomma…la mia Faith, la mia piccola Faith…"

"Faith? È così che si chiama?" - un brivido lo colse… forse avrebbe dovuto prendere la giacca…

"Faith. Spero che un giorno tu possa conoscerla." - Helen annuì, perdendosi solo per un istante nei suoi pensieri - "e' un peccato che il consiglio non voglia realmente accettarla, solo perché si è attivata con un'irregolarità gerarchica. È molto dotata. Senza contare che trascurarla potrebbe essere un enorme sbaglio."

"Westley." - dio, come era stanca, d'un tratto, la sua voce - "promettimi che un giorno seguirai il tuo cuore. Abbandonerai gli schemi e le imposizioni e non avrai paura di imboccare la tua strada."

La sua strada? Di cosa stava parlando? Era un Osservatore, sapeva già qual era la sua strada…

"devi promettermi che non dimenticherai questo giorno, che non dimenticherai che sei nato per seguire la giustizia. Promettimi che amerai la tua Cacciatrice più del tuo Ordine. Perché l'Ordine è effimero, innanzi ai pericoli che corre quella ragazza. E tu devi amarla come una figlia. E l'amore, quello che la Cacciatrice ha bisogno, mai lo troverai dentro ai tuoi libri…"

"Promettimelo." - sussurrò ancora.

"te lo prometto Helen." - replicò Wes.

Ed Helen secondo un codice benedicente che non sembrava destinato a svanire, lo obbligò a chinare il capo, per deporre un bacio su quella fronte, scrigno di sapienza.

Senza sapere mai se le avesse creduto realmente.

 

L'ho fatto Helen. Ho seguito il mio cuore e la mia Cacciatrice, fino alla fine. Ed è andato tutto come sapevi. Il consiglio mi disprezza, mio padre mi tollera a malapena. Ma non credo che mi importi più. Sono andato verso la giustizia, l'ho fatto per le persone che amo. E ora, ora è tutto finito.

E la tua Faith.. la tua Faith è volata oltre tutto questo.

 

***

 

Avrebbero seguitato a parlare di lui. E lo avrebbero fatto con l'entusiasmo con cui si erano slanciati in ogni monologo dall'inizio di quella estenuante seduta.

Solo che Wes non era certo di poterlo tollerare. Conosceva per nome quasi tutti coloro che sedevano in quella sala e, contrariamente a quanto si potesse pensare, non desiderava rivalsa né perdono.

Voleva solo finire.

Finire.

E senza smentire se stesso.

 

Per tanto, mentre ancora Doyle parlava, si alzò e lo raggiunse, posandogli una mano sulla spalla.

Diamo loro quello che vogliono.” - disse, quando il demone voltò la testa verso di lui - “Quelle sono le parole che vanno dette.”

Mosse lo sguardo, cercò quello di suo padre. E si vide dentro i suoi occhi. I capelli ribelli, lo sguardo azzurro in tempesta, la leggera barba. Restavano solo gli occhiali, la leggera montatura più per abitudine che necessità e suo padre ebbe l'impressione, ancora, che quegli occhi mandassero lampi viola.

Dai loro gli eroi in cui possono credere....” - aggiunse, con voce lontana - “Non quelli che non desiderano vedere...”

 

Noi sappiamo come è stato. Loro vogliono sapere come sia andata. Possiamo raccontarla con le nostre parole, possiamo sfilacciare la nostra vita fino a renderla frammenti piccoli con una spiegazione gestibile. Ma non torneremo indietro.

Non riavremo più nulla di quel tempo, dell'Hyperion, dei biscotti al cioccolato e dei fagiolini puliti sul tavolo della cucina. Non riavremo le nostre lotte nello scantinato, il mio caminetto, il giradischi e la chitarra elettrica si Spike.

 

È fuggito via tutto. Tutto. E questo nostra attendere ed esasperare... non ci permetterà di restare fermi.

 

Andiamo avanti. E diciamo loro come è finita. Erano anime e sangue. Lo sono state fino alla fine.

 

Si voltò, verso i ragazzi. E questi lo guardarono, con un rispetto e una passione che lo fecero sorridere.

 

Non lasciatevi confondere.” - disse, con voce tranquilla. E sorrise - “Io non sono un eroe.”

 

Io sono solo un guerriero.

E ho seguito il mio destino, con il cuore.

Il resto... il resto è polvere per le biblioteche.

 

SECONDA PARTE

 

[V]

 

Si, credo che abbia ragione.” - Methos si guardò l'orologio e rialzò la testa - “Ragazzi, capisco la necessità di raccontare la vostra vita, ma credo sia il momento di concludere.”

Si erano voltato nella sua direzione. E Methos aveva annuito, convinto.

 

Lo sapete.... la storia non cambierà mentre attendiamo. È scritta.

 

Raccontiamo della battaglia di LA e andiamocene.”

Non c'è più nulla da fare qui.” - aggiunse Wes, tornando a sedersi al proprio posto. Non c'è più nulla da salvare - “Doyle, mi spiace ma...”

Lo so.” - sorrise, tirato. Cominciava a sentire la stanchezza, la tensione degli utlimi giorni - “Tocca a me iniziare. E, quindi, andiamo dritti al punto. Tutto è cominciato... o finito, in base ai punti di vista il giorno in cui...”

 

LosAngeles

 

Rispondo io!” – sospirò Angel, recuperando il Cordless.

In effetti era una cosa logica.

Da dove si trovava, comodamente sdraiato sul divano dell’ingresso, impegnato a leggere Rolling Stone, Spike non manifestava l’intenzione di alzarsi.

In cucina Cordelia e Lorne che lavavano i piatti, canticchiando una vecchia canzone di Marvin Gaye trasmessa alla radio, non sembravano aver nemmeno sentito l’apparecchio squillare.

La domenica pomeriggio perfetta di Doyle implicava un sonnellino indisturbabile…

Ed una partita a scacchi tra Cacciatrice ed Osservatore aveva la stessa sacralità.

 

Restava solo lui.

Il paladino della notte.

Pronto?”

Gli bastò sentire la sua voce per dimenticare la tranquillità dell’Hyperion.

Per dimenticare il mondo intero, il libro che stava leggendo ed i giochi di luce del lampadario che tanto lo distraevano.

Buffy…”

La sua voce.

E tutti i ricordi che conteneva.

Aveva detto il suo nome per capacitarsi. Per ricordarsi che migliaia di emozioni andavano tenute sotto controllo.

Per resistere al suo cuore impazzito.

 

Finalmente qualcuno aveva risposto.

Era ora, pensò Spike, girando la pagina e continuando l’articolo.

E perdendo il filo del discorso nell’attimo stesso in cui la porta dell’albergo si apriva.

Ritrovandosi seduto e già preoccupato prima ancora di averne consapevolezza.

 

Passami Spike.”

Buffy…” – aggrottò la fronte. Doveva essere successo qualcosa…

Angel, passami Spike, ora!”

Non era certo di aver capito. La sua bellissima Buffy era furente. E gli stava urlando di muoversi.

Saltò in piedi e corse nell’ingresso. Poco ci mancò che inciampasse nel tappeto.

E’ …per te…” – no, decisamente, il suo cervello era bersagliato da troppe emozioni.

Spike gli strappò il telefono di mano senza neanche guardarlo.

pronto…”

Le urla che lo colpirono dritto al timpano lo obbligarono a scostare la cornetta con un salto.

Tu sai dov’è! Dimmi che è lì, perchè io adesso ucciderò qualcuno, per cui muoviti, dannato vampiro!…”

il seguito non era molto lusinghiero.

Dopo tre tentativi mal riusciti di prendere la parola, anche Spike perse le staffe. Ed il Taci! che gli uscì dalla bocca fu tale da far convergere tutti i suoi coinquilini con tempi da olimpiadi.

Ottenuto finalmente l’agognato silenzio, Spike scostò il telefono e, coprendo il ricevitore con una mano, ringhiò:

Vuoi dirmi tu cosa fai qui o me lo faccio spiegare da lei?”

 

Sulla porta, con una valigia sui piedi ed uno zaino in spalla, stava Dawn.

 

London

 

Come?” - Doyle si voltò, sorpreso - “Oh, si certo, è cominciata davvvero così. Cosa vi aspettavate? Un rombo di tuono, uno squillo di tromba? No, nessuna apocalisse comincia in maniera epica. È solo dopo, quando tutto sembra perduto, che la leggenda si manifesta con più buongusto.. e senso scenografico.”

Allora saltiamo alla parta basilare. Questo non ci interessa.”

Ma dovrebbe.” - si intromise Methos, senza battere ciglio - “Perchè è in quello che Doyle vi sta raccontando da stamattina e in cui dovreste vedere il motivo per cui gli eroi combattono. Tutta quella normalità, quel modo di essere e vivere è la fonte della forza che smuove le montagne e cambia il destino.”

Si raddrizzò, senza rinunciare alle braccia conserte. E i suoi anfibi slacciati, le gambe secche nei jeans e la bocca enorme in movimento, sembrarono sottolineare il concetto.

La vita è ciò che ci salva dal tempo. La vita.” - puntualizzò, deciso - “Quindi ascoltate con attenzione. Ed empatizzate con Spike. Perchè, quel giorno si era davvero beccato una bella patata bollente.”

 

LosAngeles

 

Come sarebbe a dire… scappata di casa?” – chiese garbatamente Angel, pochi minuti dopo, incrociando le braccia. Stava in piedi nella sua cucina e Dawn, seduta al bancone, stava banchettando con tutto ciò che Cordelia le aveva offerto.

Dall’altra stanza, benché la porta a vetri fosse chiusa, si sentivano ancora le urla di Spike. Appariva e riappariva nella loro visuale, camminando avanti e indietro.

Faith non lo perdeva di vista nemmeno un secondo, puntellandosi la guancia ad un gomito. Immergeva ritmicamente la bustina del the nel tazzone pieno d’acqua bollente. Ogni tanto, il vampiro, girandosi, le rivolgeva uno sguardo esasperato, alzando gli occhi al cielo e spalancando le braccia.

Non dovremmo salvarlo?” – domandò, senza rivolgersi a nessuno in particolare.

Penso se la sappia cavare…” – replicò Angel, senza smettere di fissare Dawn.

Senza sapere che, alle sue spalle, Spike, a beneficio di tutti, stava facendo eloquenti segni sul fatto che bisognava porre fine alle sue sofferenze.

Per l’esattezza, oltre a digrignare i denti, stava facendo finta di tagliarsi la gola.

Capito l’antifona.” – sospirò Doyle, alzandosi e girando attorno al tavolo.

Scusami Principessa.” – mormorò, sradicando dal muro la presa del telefono da cui Cordelia stava origliando.

Ma, ma Doyle…”

Che c’è amore? “ – le domandò, tenendo il cavo in mano e guardandola stranito – “E’ caduta la linea?”

 

London

 

Si.” - interruppe Wes, sentendo un certo brusio levarsi - “E' quello che abbiamo fatto spesso con voi. Permette di avere tempo per pensare la risposta.”

Stiracchiò le braccia e gli occhi azzurri brillarono.

Siamo guerrieri, non pensatori.” - aggiunse, sornione.

E la platea non dubitò di ciò che stava dicendo perchè, quando aveva alzato le braccia, tutti avevano visto la fondina della pistola.

 

LosAngeles

 

La porta si spalancò e uno Spike furente piombò dritto a centro stanza.

Grazie.” – disse sbrigativamente – “hai un paio di minuti prima che tua sorella richiami e ricominci. Per cui ottimizza il tempo e dimmi perché diamine sei qui.”

Scappata di casa.” – commentò Angel, massaggiandosi in mezzo agli occhi come in preda ad un incipiente mal di testa.

Com…” – Spike si voltò a guardarlo, stringendo tra le mani un telefono che aveva già ricominciato a squillare. Rivoltandosi a fissare la sua pupilla, mentre Cordelia, prontamente faceva ricadere la linea.

Vedi, Cordy, che impari in fretta?” – osservò Lorne, appoggiato al frigorifero.

Intanto l’attenzione di Spike si era definitivamente fissata su Dawn. Ed il suo sguardo doveva essere particolarmente eloquente, visto che la ragazzina già iniziava a sembrare un po’ più sulle spine.

Spike, dai, non ti arrabbiare.” – commentò, stropicciando il tovagliolo con entrambe le mani – “Ho i miei motivi, sul serio…”

Se stai per dirmi che tua sorella è una schiavista che non ti capisce…” – Spike le puntò un dito contro – “E che casa tua è un inferno in cui ti obbligano a studiare ed andare a letto presto, per quanto non mi senta di darti veramente torto, Dawn, dovranno tenermi perché io….io…”

Non finì nemmeno la frase. Il telefono riprese a squillare e lui rispose. Di riflesso e pentendosene all’istante e tornando rapidamente da dov’era venuto.

E non c’era dubbio sul fatto che a Buffy non serviva un telefono. Le sue parole si diffondevano ugualmente, ben scandite, in tutta la cucina.

Però, che polmoni…” – commentò deliziato Lorne, riferendosi in parte anche a quelli che Spike stava utilizzando al massimo, per sovrastare le urla della sua interlocutrice.

Erano quasi al capolinea.

Ascoltami bene!” – esplose definitivamente – “Dawn è qui, non le è successo niente ed io sono stufo di sentirmi dire che è colpa mia che sono troppo permissivo. Per cui chiudi quella bocca da gallina che ti ritrovi e lasciami andare a parlare con tua sorella!”

A questa esplosione seguirono alcune frasi incomprensibili ai presenti.

Buffy si era inspiegabilmente calmata, ed il suo tono di voce era sceso a dei livelli normali.

Come la sua rabbia, si sperava.

Qualunque cosa stesse dicendo, era udibile solo da Spike.

Questo te lo posso garantire.” – lo sentirono mormorare, prima di chiudere la chiamata. Con un’occhiata che fece rabbrividire Dawn.

 

Studiatamente pacato, Spike rientrò in cucina e si sedette di fronte a Dawn.

Doyle gli offrì una sigaretta, Angel gli avvicinò il piatto con i resti della crostata mentre Faith e Wes si contendevano il bollitore per versargli una tazza di the.

Di tutto, pur di vedere la sua vena sul collo cominciare a sgonfiarsi.

Adesso sono calmo, Briciola.” – comunicò, con un tono che lasciava intendere ben altro – “E prima che io mantenga la promessa che ho fatto a tua sorella e ti levi la prima pelle, sarà meglio che mi spieghi perché sei dovuta scappare di casa… Angel fermò dove sei!”

Non si era nemmeno voltato. Angel aveva già una mano sulla maniglia e tutti i presenti iniziavano già ad assieparsi dietro di lui. Una ritirata strategica dietro al leader.

Non pensi che sia una conversazione privata?” – azzardò a nome di tutti, girando su se stesso.

Affatto.” – i suoi occhi avevano una pericolosa sfumatura acciaio – “Sono certo che Dawn ha motivazioni ragionevoli da esporci.”

 

Se Buffy l’aveva realmente accusato di essere troppo permissivo, non sapeva bene come girava il mondo.

Quello che Spike stava mettendo in piedi era un implacabile processo alle ribellioni adolescenziali.

Al suo imperioso richiamo, per quanto recalcitranti, erano tutti tornati in cucina. E, per quanto avessero finito di pranzare relativamente da poco, sentirono il desiderio nervoso di masticare tutto il commestibile, mentre Cordelia si incaricava di preparare del caffè fresco.

Tu no.” – ingiunse Spike, spingendo verso Dawn la bottiglia del latte – “Sei troppo giovane.”

E la ragazzina, con un lampo di rassegnazione, lasciò ricadere la mano.

Ormai iniziava ad apparirle evidente che non l’avrebbe passata liscia.

 

Fammi capire… sei uscita con il pustoloso…”

Skip. Si chiama skip. E non è pustoloso.”

fa lo stesso. Sei uscita con Skip e sei andata ad una festa. Ma la gente che c’era non ti piaceva. Per cui hai chiesto a Rick di riaccompagnarti a casa.”

Giusto. Solo che si chiama Eric e non Rick.”

fa lo stesso. Quindi, passando davanti ad una caffetteria, ti è venuta voglia di una cioccolata. E vi siete fermati.”

certo. Solo che lui ha fatto il cretino con la cameriera ed io mi sono scocciata. Così abbiamo litigato e lui mi ha mollato… senza nemmeno pagare il mio frappè.”

Un vero cafone.” – la voce di Spike grondava sarcasmo.

ed alle spalle di Dawn, in piedi, Lorne e Doyle, per sdrammatizzare, tenevano il conto dei ragazzi nominati.

E qui ci stava…”

Donnie. Si chiama Donald, ma Donnie è più carino.” – spiegò con naturalezza la ragazzina- “Ha dei bei capelli biondi e…”

D’accordo” - taglio cortò Spike – “Il terzo è carino come gli altri due messi insieme.”

Ma molto di più.” – esclamò Dawn, spalancando bene gli occhi – “Solo che lui è… il quarto.”

Briciola… il pustoloso, Rick e Donnie.” – citò, enumerandoli sulle dita, come i due perfidi che stava cercando di ignorare – “Al mio paese sono tre.”

è vero. Ma alla festa ho incontrato un certo Kris, della squadra di football.”

Chissà perché tanti giocatori di football si chiamano così…” – sospirò Cordelia, in preda a qualche reminiscenza del liceo.

Sai Cordy che sei un mito ancora adesso al liceo?” – esclamò Dawn, prendendo la palla al balzo – “Noi cheerleaders parliamo spesso di te.”

Voi…” – Spike la guardò sconvolto – “Mi stai dicendo che adesso fai anche la coniglietta?”

coniglietta!” – Cordelia saltò in piedi, indignata – “Come sarebbe a dire coniglietta!”

ci mancava solo che Cordelia partisse per una crociata.

Cordy…” – Wes diede un colpo di tosse molto educato – “sarebbe meglio tralasciare, per il momento…”

Oh.” – ammise lei, ricordandosi di colpo del contesto. E risedendosi con un tonfo – “In effetti, ma è un discorso su cui sono molto sensibile!”

la via di fuga stava rapidamente svanendo all’orizzonte. Dawn sentiva di nuovo gli occhi di Spike puntati addosso.

Siamo fermi a Kris.” – riprese.

Con lui non è successo niente.” – si affrettò a spiegare la ragazzina.

Mossa decisamente sbagliata.

Devo arguire che con gli altri sia successo qualcosa?” – mormorò Spike, mentre gli occhi gli diventavano sottili come fessure.

E fu a questa domanda che si risvegliò tutta la platea circostante.

Wes carissimo!” – Lorne gli tese le braccia e lo strinse in un cameratesco abbraccio – “Lo sai che ho sempre desiderato sfogliare tutti i volumi della Cambridge? È una vera necessità! Impellente! Dobbiamo assolutamente ovviare questa mia lacuna!”

Ma che splendida idea!” – concordò Doyle, illuminandosi e saltando giù dal mobile – “Anch’io voglio delucidazioni su… su… sull’aramaico antico!”

Faith li guardò con una punta di disgusto, mentre spingevano il suo osservatore fuori dalla stanza. Non che Wes sembrasse particolarmente seccato ma, tra tutti e tre, si sarebbero potuti inventare una scusa meno zoppicante.

Me ne vado.” – comunicò, ricevendo l’occhiata di fuoco che si meritava – “Le prediche sono molto noiose. Sono certa che in tv stiano dando qualcosa di meglio.”

Solo Cordelia ed Angel rimasero. Entrambi con dei buoni motivi per farlo.

Angel perché Spike non l’avrebbe lasciato andare via facilmente. E Cordy perché i discorsi che presagiva, non solo erano più comprensibili sentiti in loco che da dietro una porta chiusa, ma andavano depurati di ogni intonazione razzista nei confronti delle cheerleaders.

Era un dovere!

E Cordy, che di strada ne aveva fatta parecchia da allora, non riusciva comunque a dimenticare che prima di essere la Principessa di Doyle era stata la Regina del Sunnydale High School.

 

London

 

No, forse stiamo esagerando. Tu che dici?”

Si, in effetti è possibile.” - Wes fissò la platea, divertito. Pendevano dalle labbra di Doyle. E c'era persino un ragazzo in prima fila che teneva conto dei fidanzati della Chiave. E, tanto per cambiare, il Cantastorie stava per bastonarli. E con gusto.

Allora mi toccherà lasciar perdere il resto del resoconto.” - sospirò il Cantastorie, con aria teatrale. E, rapidamente, sintetizzò il resto - “Comunque a quel punto, Spike e Dawn hanno litigato e la situazione è degenerata. Punto.”

Wes pensò di non aver mai visto gli osservatori tanto delusi per un discorso abbreviato. E Doyle, con il suo solito cuore tenero, si sentì una carogna.

Ok.” - sospirò, con un cenno della mano - “ok, ve ne racconto ancora un pezzetto...”

 

LosAngeles

 

Quando i passi di Dawn sembrarono allontanarsi nell’ingresso, Spike si abbandonò ad un sospiro. Ed una gamma di emozioni gli attraversò il viso.

temo che tu abbia esagerato…” – azzardò timidamente Cordelia.

Temo anch’io.” – ribattè lui, senza nemmeno alzare gli occhi.

Non dobbiamo seguirla?”

Non se ne è andata. È seduta sui gradini del portico….”

Non gli chiesero nemmeno come facesse a saperlo. Appariva evidente quanto fosse dispiaciuto dalla piega che aveva preso il discorso.

E quando si alzò e lo sentirono salire le scale e sbattere la porta di camera sua, non osarono fiatare.

 

Era la prima volta che litigava con Dawn. Ed era una cosa che gli lasciava l’amaro in bocca.

Stava seduto nel suo studio, con i piedi sulla scrivania. E rimuginava sulla situazione che gli era sfuggita di mano.

Non era mai stato un padre. E quello che aveva avuto, in un vita tanto lontana da essere remota, si era rivelato un uomo mite che dai figli aveva avuto ben pochi problemi.

Lui stesso, William, era sempre stato un sognatore dedito alle biblioteche. Ed Edward, suo fratello… bhe, un figlio perfetto.

Problemi giovanili. Era sempre stato talmente estraniato dalla vita pratica da non arrivare nemmeno a trovarsi in conflitto con i suoi genitori. E i conoscenti gli mettevano soggezione, con il loro atteggiamento accondiscendente, abbastanza da evitare ogni forma di divergenza.

Rispettoso ad un passo dall’essere stupido.” – si apostrofò, poco convinto.

Assorto com’era, non si accorse che c’era qualcuno nella stanza, fino a quando non lo vide seduto sull’angolo del tavolo.

E’ una ragazzina, Spike. dovresti ricordartelo più spesso.” – mormorò Angel.

Non suonava polemico. Era solo una constatazione molto garbata. Spike trattava Dawn come un’adulta. E dimenticava come avesse appena compiuto sedici anni e desiderasse essere solo una normale adolescente tra i suoi coetanei.

Angel ne sapeva qualcosa di sedicenni sopravvalutate e logorate da ruoli troppo pesanti.

Il suo grande amore rientrava paradossalmente in questa categoria.

Quando si erano conosciuti, Buffy era solo questo: una bionda avventata e con il desiderio di essere libera.

So bene che è giovane. Ma non ricordo abbastanza degli stati d’animo…” – replicò. Era passato da una giovinezza tranquilla ad avere, come unici adulti di riferimento, tre vampiri.

Tu non sei suo padre, Spike. Non devi nemmeno provare ad esserlo. Dawn ti vuole molto bene e la tua opinione è molto importante per lei. Si vede già solo dal modo in cui ti guarda.” – spiegò Angel, gentilmente – “Non è venuta qui per scappare da Buffy. è venuta qui perché ha bisogno di te.”

Ed io l’ho aggredita...” – Spike si massaggiò la fronte – “Dannazione,che casino ho combinato.”

Non è così grave. Avevi ragione, Dawn è ancora qui. Non è scappata di nuovo.” – sorrise – “Ma tu questo lo sapevi già. La conosci bene…”

Provi tu a parlarci?” – domandò, alzandolo sguardo verso di lui.

Si appellava alla sua saggezza. E non poteva fare a meno di sentirsi un ragazzino che ha combinato un disastro a cui non sa rimediare.

Ci provo.” – gli sorrise, annuendo – “Tu, però, intanto, dovresti fare una cosa.”

Sarebbe?”

Chiama Buffy. E dille che ci teniamo la sua bambina un paio di giorni.”

 

London

 

E' questo è stato l'inizio. Dawn.” - concluse, attraversando la sala e posando una mano sullo schienale della sedia di Wes - “Prosegui tu? Ho la gola secca.”

Certo.” - gli cedette la sedia, nascondendo nell'incuranza la preoccupazione. Doyle aveva le mani che tremavano e aveva esagerato, come suo solito.

Li hai tenuti d'occhio tutti con il pensiero?” - domandò, silenziosamente.

No. Ho solo studiato a lungo come farli saltare in aria senza uccidere pure noi.” - fu la risposta, con la stessa tecnica telepatica - “Mi offri da bere?”

Ovviamente.” - rispose. E poi, ad alta voce, con naturalezza - “Scusami... si, proprio tu... me la procuri una bottiglia di scotch?”

Questo è troppo.” - mormorò un uomo irato, alzandosi. E Wes non battè ciglio.

Prego, allora vada.” - disse, indicando la porta. Intanto non sarebbe mai più tornato né mai più lo avrebbe rivisto - “Devo essere mancato parecchio dall'Inghilterra, se ha fatto in tempo a venire meno la nostra secolare ospitalità, non crede?”

Il ragazzo invitato a fornire da bere scattò in piedi e tornò di corsa con il richiesto. Aveva scritto in faccia che non voleva perdersi una parola.

La prego.” - lo sentì sussurrare Wes, posando bottiglia e bicchieri sul tavolo - “Beva a muso.”

Doyle, l'interpellato, si lasciò sfuggire una risatina.

Tu, figliolo, farai carriera.” - rispose, di rimando, senza smettere di ridacchiare - “Di solito quelli come te vengono mandati in posti scomodi e sperduti. E diventano come lui.”

E lui era indubbiamente Westley Whydam Price, con la sua mano in tasca e i suoi capelli lunghi e scomposti, in piedi in centro alla sala.

 

Westley Whydam Price. L'ultimo Osservatore nella storia del consiglio.

 

Per chi non lo sapesse...” - stava dicendo - “il nome Dawn significa Alba del giorno. E, lei ovviamente, con la natura unica che si ritrova, non ama smentirsi...”

 

Dawn è stata progettata a tavolino dai monaci. E le mie conoscenze non possono competere con le loro. Hanno creato Dawn come una scatola cinese, difficilmente può bastare una vita per arrivare a capo del mistero. Il suo nome, in ogni caso, ha un bel significato. Dawn sta per Alba del giorno. E simbolicamente, la chiave è il potere di sciogliere o legare. Nella rappresentazione del Giudizio Universale, poi, sarà una chiave a permettere di chiudere il diavolo in un abisso per mille anni."

"Mi stai dicendo che briciola avrà un posto in prima fila nell'apocalisse?"

"Geloso, vampiro?" - domandò Faith - "La pupilla ti surclassa?"

"Tranquillo William, con i tempi che corrono, lasceranno qualcosa da fare anche a te..."

 

Era destinata a grandi cose e lo sapeva. E quel giorno, scappando da noi, aveva portato con sé ben più di vestiti e rossetto. Dawn era l'alba tanto attesa... ma tutti i suoi fidanzati e la sua carriera da cheerleader ci avevano indubbiamente distratto...”

 

LosAngeles

 

Dawn si era seduta con grazia, piegando le ginocchia e cingendole con entrambe le braccia. La bocca, imbronciata, era sparita nel collo del maglioncino. E gli occhi, all'insù, freddi per essere quelli di una sedicenne, si erano puntati in un punto indefinito.

Talmente indefinito che non lo vide arrivare.

Ciao. - disse l'uomo, femandosi innanzi a lei, entrando nella sua visuale solo con le gambe lunghe - “Abiti qui?”

Dawn alzò gli occhi, fissando il nuovo venuto.

 

Ommioddio.

 

Si alzò di scatto, sistemandosi i capelli.

Si, cioè no, cioè sono in visita, ma sono di famiglia.” - proruppe, rapidissima. Mio dio, perchè non aveva messo gli orecchini, quelli di Janis! Ommioddio, non era ben truccata! - “si, diciamo di si, da stamattina... io abito qui!”

Ah.” - Edward le sorrise, divertito. E gli occhi gli brillarono – “Capisco.”

Lui capiva. Lei non capiva più un accidente, imbambolata davanti all'apparizione.

Come.. come si chiamavano tutti quei ragazzi con cui era uscita?

 

Piacere, Dawn.” - tese il braccio, rigida come uno stecco. Ma proprio ora aveva deciso di assomigliare al peggio di sua sorella?

Ciao, Dawn.” - lo diceva con una lievissima inflessione. E aveva una mano meravigliosa, meravigliosa! Dawn non l'avrebbe mollata, avesse potuto - “Sai se c'è Spike in casa?”

Si, lui è...” - si ricordò di essere arrabbiata con il campiro. E incrociò le braccia, cercando di sembrare sostenuta - “Credo sia di sopra, ma non lo so con certezza. Abbiamo litigato.”

Oh.” - il ragazzo sembrava interessato, aveva sgranato leggermente gli occhi, ascoltandola - “Mi spiace. È stato scortese?”

Eccome.” - rincarò lei, infervorandosi e lanciandosi in un monologo.

Edward, impalato ai piedi della gradinata, con la sacca tenuta per i manici su una spalla, strinse gli occhi, cercando di seguire il delirio adolescenziale. Forse per indole paziente, forse per troppa educazione, non era certo di poterla interrompere mentre si lamentava a gran voce di suo fratello.

 

E allora Spike ha detto, e io ho detto, e Spike ha detto e io ho detto...

 

Si, insomma, durante la sua assenza William era diventato un genitore responsabile e rigido come suo padre. Impossibile dire come fosse successo.

La ragazza sembrava in preda a grandi sofferenze. E c'entravano un frappè, una sorella, un conto da pagare e una frangetta venuta male. Tutti problemi che compromettevano l'equilibrio del mondo, in effetti.

 

Magari William e Angel si erano ritirati a vita privata... magari all'Hyperion si gestiva anche una specie di centro raccolta giovani ragazze in difficoltà... conoscendoli tutto era possibile, in effetti... si aggiustò i capelli, sistemando un'altra volta gli occhiali da sole. E Dawn perse il filo del discorso.

 

Edward era... era... ommioddio!

 

Dawn?” - la chiamò una voce tranquilla, dall'interno. La porta di ingresso si era aperta, ma l'ombra sembrava indecisa se uscire sotto il portico oppure no - “tutto ok?”

 

Ok? ok? Ma io sono in paradiso!

Si voltò, per rispondergli, mentre il vampiro finalmente si affacciava. E si fermava, fissando Edward. Impalato come Dawn.

Ciao zannuto.” - l'immortale gli sorrise, smagliante – “Ti sono mancato?”

 

***

 

Edward, con in suoi capelli, aveva lo stesso tormentato rapporto di Spike. Il vampiro passava la sue giornate accertandosi di non averne nemmeno uno fuori posto. L’immortale si ostinava a tirarli indietro, sentendoseli perennemente sugli occhi. E io vorrei sapere, pensò Angel, da sotto il proprio indispensabile gel, perché non vi rapate entrambi a zero.

Non un pensiero particolarmente profondo ma, trovandosi innanzi Edward al suo meglio, tutto denti e riccioli... Angel trattenne a stento un sospiro rassegnato e ricacciò in fondo alla mente l'impressione che i guai fossero arrivati tutti assieme. E gli fece un cenno di saluto.

Non voglio essere chiamato zannuto.” - comunicò, laconico.

Anche io ti amo.”

Zannuto? Lui sa cosa sei, cioè chi?”

Angel fissò Dawn come se non sapesse di poterla trovare sotto al portico dove era andato a cercarla.

Bhe, certo che lo sa. Lui è...”

Dinamite.”

 

Dinamite?

 

No, Edward, non intendevo dire questo.” - replicò, guardandolo posare a terra la sacca con gesti molto controllati - “Puoi definirti come vuoi, ma dinamite mi sembra esagerato.”

Angel.” - gli scoccò un'occhiata penetrante che sapeva di vetriolo - “Hai la dinamite lungo le colonne del portico e qui è scattato un timer. Che ne dici di far uscire tutti?”

Cos...” - si indurì, tornando a essere se stesso e movendo tre passi a ritroso - “Dawn, fuori, dall'altro lato della strada, ora! E di corsa. Wes!”

La sua voce e la sua figura svanirono nell'albergo. Ed Edward, con cautela, scostò una delle foglie di palma per vedere meglio. No, non dinamite. Peggio. E poco importava la definizione tecnica, seil risultato era destinato ad essere dei peggiori.

Dawn, non ti voglio dall'altro lato della strada. Ti voglio in fondo all'isolato.” - disse, mentre Faith irrompeva sotto al portico- “Faith! C'è da muoversi e in fretta! Cercali tutti e andatevene.”

Insinuò le mani, cercando di arrivare alla scatola del detonatore. Chiuse gli occhi e le dita divennero ferme. Quando li riaprì, aveva già in testa un quadro chiaro e semplice di quello che, probabilmente, era l'innesco.

Faith stava correndo lungo il portico, contando con rapidità le cariche.

Hanno tutte il timer.” - urlò, tornando indietro e scontrandosi quasi con Wes - “Spike, Angel, le gallerie, subito!”

Ci sono.” - in serie, erano collegate in serie. E la prima concedeva loro ancora ben poco. - “Wes, piacere di rivederti Wes, vattene.”

Afferrò il cavo, piegandolo e passando sotto la lama del coltello.

Me ne vado se ti muovi a fare altrettanto.” - rispose l'osservatore, piegandosi a fissare il marchingegno successivo - “I timer sono sfasati...”

Lo so.”

... detoneranno una ad una, a distanza di quasi una decina di secondi una dall'altra...”

So anche questo, levati dalle palle! Tra poco qui ci sarà un botto!”

Non penserai davvero di farlo! Ma non è un film di serie C!”

Eccome. Se lo faccio. Corri! Ora!”

 

Uno strappo deciso e il numero in rosso sembrò impazzire. Ma Wes era già oltre il cancello, quando tutte le vetrate dell'Hyperion esplosero, con un unico terrificante suono.

 

***

 

C'era polvere, ovunque, ancora sollevata in nubi. Il lampadario dell'ingresso era crollato, le porte e le pareti a vetri erano intelaiature vuote. Ma l'albergo era ancora in piedi, senza scricchiolii eccessivamente inquietanti.

Edward aprì un occhio. E respirò un talco impalpabile che lo fece starnutire.

Polvere di intonaco...” - borbottò - “Che schifo.”

Si, anche io ti amo.” - replicò una voce bassa e profonda. Ed Edward si rese conto di avere la testa appoggiata sulla gamba di qualcuno. E aprì anche il secondo occhio.

Will? Ciao.” - mormorò. Era un angolo riparato, in penombra. Ed erano a terra, tra i calcinacci e le macerie.

Ciao anche a te, Edward.” - gli sorrise, benevolo. E a Edward vennero i sudori freddi. Dalla dinamite al tritolo - “Che cosa pensavi di fare?”

Indeciso sul da farsi e consapevole che mentire era un ottimo modo per farlo andare in bestia, Edward alzò un dito indicando il circostante.

Questo.” - precisò - “Se scollego la prima le altre non scattano.”

Ma la prima salta in anticipo.”

Si, lo sapevo. Ho un poligono di tiro. E mi occupo di esplosivi.”

sono contento per te, deve essere uno splendido lavoro. E, dimmi, quando hai deciso di farti saltare in aria primo della fine del conto alla rovescia per salvare l'albergo?” - si intromise Angel, piegandosi per entrare nella sua visuale. Era integralmente imbiancato - “Eppure non mi sembrava avessi tanto problemi a capire il concetto di priorità...”

Ho deciso in fretta.” - Edward si passò una mano sui capelli e sussultò. Doveva avere un'enorme escoriazione in fronte – “E poi, non sono mica morto...”

Si che lo sei.”

Ah. Allora niente. Ho fatto male i conti, di solito sopravvivo.” - ammise, cercando di mettersi seduto e sentendo la mano di William sostenergli la schiena - “Grazie.”

Fai bene a ringraziarmi, perchè non ti ucciderò.”

Anche io sono contento di vederti oltre ogni dire.” - rispose Edward, baciandogli la fronte e ignorando le giunture che esplodevano in un unico blocco doloroso. La pelle di Spike sapeva di gesso, polvere e spavento - “Che avete fatto per farvi minare?”

Lo aveva detto tendendo una mano a Angel per farsi aiutare e alzarsi. Se William lo vedeva in piedi si sarebbe dato una calmata.

State tutti bene?” - aggiunse, barcollando ma restando comunque diritto - “Wes?”

Tutto a posto. Doyle e Cordy non c'erano e adesso sono al locale di Lorne... credo che Doyle ci abbia visti in tecnicolor. Wes è con Dawn, fuori, e le mine sono state scollegate tutte.” - si teneva a portata di braccio, per afferrarlo, nel caso avesse oscillato ancora. Si sentiva le orecchie fischiare e Spike, seduto per terra, si stava accendendo una sigaretta. Aveva la fronte e le mani spelate.

Faith?”

Nelle gallerie.”

Angel era nell'ingresso, quando le vetrate erano esplose. Era tornato indietro, di corsa, forse intuendo che Edward avrebbe fatto come al solito qualcosa di molto eroico. E il suono era giunto quasi contemporaneamente ai cocci. Aveva visto Edward atterrare sul pavimento, non lontano dal punto in cui il lampadario si era schiantato, con la testa e il viso coperti con le braccia.

E Spike era apparso un istante dopo, correndo.

Allora?” - Edward si passò ancora la mano sui capelli e si piegò, posando le mani sulle ginocchia - “Un'idea l'avrete...”

Santo cielo.” - Cordelia era sulla porta, a bocca spalancata. Come da abitudine, posò la giacca su ciò che restava della poltroncina a lato dell'ingresso e questa franò tristemente, sbriciolandosi - “Ma cosa avete combinato...”

Noi?”

Si, certo, voi.” - scoccò un'occhiata ai ragazzi Coventry ed Angel, opportunamente, si spostò - “Non appena vi abbiamo assieme, capitano queste cose, per cui, si, voi.”

Spike la fissò, allibito. Poi cominciò a ridacchiare, coprendosi gli occhi.

Gattina, sono quasi d'accordo con te.” - sospirò, scotendo la testa. Poi allungò una mano, rifilando un colpetto sul bicipite di Edward - “Fratello, tu porti sfiga.”

 

***

 

Sfiga o non sfiga, la situazione non sembrava delle migliori. E stava anche per peggiorare.

 

Un sonoro 'pop!' riempì l'aria, assieme a una nube violacea, seguita da una analoga verde smeraldo.

 

William, dobbiamo parlarti.” - fu il coro che seguì. E due demoni, sotto i loro occhi, si sistemarono i capelli e si aggiustarono i vestiti. Poi Anyanka puntualizzò - “E anche con Angel, subito. Abbiamo un problema.”

No, William.” - fece eco Edward - “Sei tu che attiri i disastri.”

Si, ha ragione lui.” - concordò Angel.

Si, difendilo sempre. È biondo e tenero, piace tanto a tutti.” - Spike gli rifilò un'occhiata rabbiosa - “Ragazze, siamo impegnati, non è il momento.”

No, hanno ragione.” - si intromise Cordelia - “Era quello che stavo cercando di dirti. Abbiamo un problema. Doyle ha avuto una visione.”

Adesso?” - Angel la fissò, affranto - “Ma le alte sfere non hanno visto in che situazione stiamo al momento?”

William, devi ascoltarmi ora...”

No, Anya.” - rispose Spike, puntandole addosso il solito dito incriminante – “Mi sembra evidente che ora sono molto occupato. E concedo priorità alle visioni prima che al sesso. E vale anche per te, Cec...”

Si bloccò e si voltò.

Edward e Halfrek si fissavano in perfetto silenzio. E lei, con il suo viso umano, il viso di Cecily, non faceva altro che tormentarsi i riccioli, con un rossore assurdo sulle guance. Aveva un'espressione, come dire... troppo timida?

Per Spike fu la mazzata finale.

Perfetto! Edward Coventry nell'aria!” - ringhiò, sentendo che i lineamenti iniziavano ad andare in ogni direzione mutante - “Eri innamorata di lui, scommetto...”

No. Io ero proprio innamorata di te.” - Cecily scosse la testa, tutta seria - “Ma sono tanto felice di rivederlo.”

Edward le sorrise. E, con un dito, le carezzò la guancia.

 

"Ti amavo, William." - singhiozzò, alzando verso di lui quella bocca perfetta e quegli occhi luminosi - "Solo che l'ho imparato tardi."

 

Anche il cuore di un demone si può spezzare.

Gli era bastato il tempo di un respiro per sussurrare questa verità. Eppure solo adesso ricordava l'eterno buio che segue quel piccolo dolore.

E mentre tra le braccia stringeva Cecily, Spike non poteva che piangere per tutto quel passato perduto.

Quel passato fatto di chiacchiere e risposte certe, così simile al presente.

Fatto di regole che nessuno si prendeva la briga di violare e di piccole letali ipocrisie. I loro corpi singhiozzavano all'unisono, di quel semplice ritrovarsi nato da morte e vendetta.

Piangevano, per i fuochi ormai estinti e per quelli che ancora divampavano.

 

Mi dispiace, Cecily. Per tutto.

 

Scusa.” - disse, imbarazzato, quando i vampiri lo fissarono. E si infilò le mani in tasca - “Dicevamo?”

Lo conosci?” - Anya le rifilò una gomitata - “Ci hai fatto sesso? Me lo presenti, è libero?”

No, non sono libero.” - rispose lui automaticamente.

Davvero?”

William, non hai detto che avevi il mondo di cui occuparti? Bhe, occupatene! E poi lo sapevi che avevo una ragazza...”

Si, ma ti sei appena dichiarato impegnato, non avevo capito fosse una cosa seria!”

Tacete, tutti!” - ruggì Angel. E mosse due passi, per andare verso Wes, riapparso e ancora impalato sulla soglia - “Se siete tutti qui con qualcosa di importante da dire, ditelo! E mettiamo assieme le informazioni!”

 

Grande Giove!”

 

All'unisono si voltarono tutti verso l'ingresso.

Methos, con le mani in tasca, contemplava la cupola con aria rapita.

E ha retto?” - domandò, allegramente - “Ah, non fanno più strutture come quelle di una volta!”

 

London

 

Si, ho proprio detto così.” - ammise, modesto. E si infilò le mani nelle tasche - “Capitemi, ho una certa passione per le cose antiche e datate. Non c'è niente di meglio della roba vecchia di qualche secolo... non sembra mai passare di moda....”

Una mano si levò timidamente. E l'immortale le fece un gesto magnanimo, invitandola a parlare.

Ehm... Halfrek e Anyanka?”

Demoni, demoni della vendetta. Amiche di vecchia data. Tra loro e di Spike.”

E... se posso permettermi la domanda... sono fissate con il sesso?”

Ovviamente. Molti demoni lo sono.”

Doyle si voltò a fissarlo, Wes alzò gli occhi verso di lui.

E Methos allargò le braccia.

Che ho detto! Hanno fatto sesso tutte due con Spike, no?”

 

"Fammi capire… lui ti ha mollata e tu vieni qui… perché…"

"A dopo le spiegazioni." - ringhiò, afferrandolo per la maglietta e aderendo saldamente alle sue labbra - "saltiamo i preliminari, baciami ancora…"

"Anya, dannazione!" - urlò, con un salto indietro, levandole le mani di dosso nel momento stesso in cui si rese conto che stava armeggiando con la sua camicetta - "Se ho detto che devi spiegarmi, tu devi baciarmi… spiegarmi!spie-gar-mi! E smettere di lasciare liberi i tuoi ormoni."

"Mi serve il tuo aiuto, Spike. Voglio maledire Xander." - spiegò quieta, lasciando che le ciglia nascondessero occhi dorati troppo sinceri - "Ma qualcuno deve desiderarlo al mio posto…"

Adesso la dinamica dei fatti era un po' più chiara. Spike la fissò, mentre si riprendeva, alzando di scatto la testa.

"Qundi, dimmi subito che vuoi Xander bollito e riprendiamo da dove abbiamo interrotto!"

"E… perché?"

"Cosa perché?" - ripetè lei, senza capire.

"Perché dovrei volere Xander maledetto e soprattutto cosa c'entra il sesso!" - Spike iniziava a perdere la pazienza.

"Tu devi maledire Xander perché sono un'innocente ferita… Perché alla Angel Investigation fate così, aiutate gli innocenti in difficoltà… e quanto al sesso, tu mi vuoi…"

 

No, con Cecily è un'altra storia. Diciamo solo che la ragazza è un problema sempre attuale, comunque, se si calcola che è per lei che lui si è fatto vampirizzare.”

Come, prego?”

Non lo sapevate? Ma scusate, che fate in questo consiglio al posto di leggere le Cronache? Giocate a ramino?”

 

"Sul serio Cecily parla ancora di me?" - domandò sovrappensiero. Dopotutto, era stata lei a consigliare ad Anya di andare da lui. Dopotutto era lei che adesso gli riempiva la mente, come allora.

Cecily… il fantasma del passato che, tutto sommato, lo conosceva veramente troppo. "Adesso un po' meno. Ti importa ancora di lei?"

"Non come mi importava allora. Eravamo ragazzi. Ora lei è un demone. Ed io un vampiro. William e Cecily sono svaniti da tempo. Trovo solo ironico che di quella vita che mi sembrava perfetta, rimanga solo lei. E che il resto sia polvere."

Che strano, rendersi conto solo ora… Cecily e William, uccisi dal dolore. E dalle ceneri dei loro cuori, Halfrek e Spike.

"Anche lei dice qualcosa del genere…" - la tequila iniziava decisamente a farle girare la testa - "E dice anche che l'amavi tanto…"

"e su questo ha perfettamente ragione. L'amavo decisamente troppo." - rise di quel ricordo - "Ed abbiamo avuto un paio di notti decisamente interessanti… io, lei e Dru…"

"Perché non l'hai uccisa?"

Bella domanda.

Forse perché, se si concentrava, poteva ancora vederla con gli occhi di allora. ricorDarla con il vestito dal collo alto in pizzo che faceva risaltare i lunghi capelli scuri e ricci. E gli occhi splendenti e alteri.

E soprattutto ricordava il buco che gli aveva fatto nel cuore.

Fino all'ultimo, quando l'aveva vista implorare per non essere lasciata. Per divenire una creatura della notte. Per ottenere un'eternità insieme. La stessa che da William aveva rifiutato, in un angolo poco illuminato del grande salotto di casa.

"Cecily non è mai stata stupida." - mormorò, come se questo spiegasse tutto - "Ma era sensibile solo verso se stessa e la sua sensibilità. Volevo che provasse sulla sua pelle le conseguenze delle sue scelte."

 

Cecily Darshwood era una gran donna.” - ammise, dopo un attimo. Edward aveva gli occhi bassi, sulle braccia conserte - “E lo è stata fino alla fine.”

 

Rimase un attimo in silenzio. Poi si riprese.

 

Ma torniamo al nostro problema... e alla trattativa sotto la meravigliosa cupola dell'albero. È belle epoque, lo sapevate? Me-ra-vi-glio-sa!”

 

[VI]

 

Dawn, tesoro, ma sei una meraviglia!”

Anya, avevo così voglia di vederti, che bella sorpresa! Halfrek!”

Oh, tesoro, con questo colore addosso sei divina! Problemi con i ragazzi, ti serve una mano? No, pensandoci bene no, mi ricordo l'ultima volta...”

Angel, fai un respiro profondo.”

Io non respiro, Methos.”

E' ora di imparare.”

Oh, insomma!” - la voce di Cordelia sembrò porre un limite alle chiacchiere - “Il mio uomo si è appena fatto trapanare il cranio per questo pezzo d'eroe che tutela, volete tacere e lasciarmi fare il mio dovere?”

Nessuna obiezione. E Cordelia si voltò, decisa, verso Angel.

Dobbiamo andare dai poteri che sono.” - comunicò, svelta - “Prendi un gingillo in cassaforte e muoviti.”

Non ci vai senza di me.” - si intromise Spike, a braccia conserte, subito al suo fianco.

Tu resti qui con tuo fratello.” - replicò Angel, aprendo il biglietto che Cordy gli porgeva. Dentro, in quella terribile calligrafia che lo contraddistingueva, c'era solo scritto 'Con la Chiave. Nessun altro.'

Ma non se ne parla nemmeno!”

Hai detto bene. Non se ne parla nemneno. Restate qua e sbrogliate i problemi delle ragazze.”

Angel!” - i Coventry urlavano all'unisono. Ed erano seccanti.

Non intendo discutere.” - rispose il vampiro bruno, fissandoli entrambi - “Io sono il più vecchio e si farà quello che dico io, senza commentare.”

 

Il più vecch... si voltò, fissando Methos.

E questi gli fece un cenno gentile della mano. Si stava intrattenendo con Anya e sembrava molto soddisfatto.

Fai pure, vecchio. Noi gioventù ci terremo compagnia aspettando il tuo ritorno...”

 

Perfetto. Angel girò di nuovo sui tacchi e fissò i due.

Restate qui o andate da Lorne, ma preparatevi. Faith sta facendo un giro di ronda, per raccogliere informazioni. Sono certo che finirà in una rissa prima di stasera.”

Non ci devi andare da solo.” - insistette Spike.

No,infatti. Ci vado con Dawn.”

La ragazzina, impegnata a parlare di tacchi con Cecily si bloccò. E lo fissò, sbalordita.

Te la senti?” - domandò Angel, con gentilezza - “Credo che poss aservire la tua presenza...”

Se porti lei è qualcosa di grosso.” - mormorò Spike. E Angel si ritrovò a fissare i suoi occhi - “Angel, cosa cazzo stai combinando.”

Ancora non lo so.” - so solo che lo sapremo presto. E non mi piacerà affatto.

 

***

 

London

 

I poteri che sono non gli dissero molto.” - spiegò Wes, poco dopo - “Si presero il suo più bel Cezanne e gli fecero alcune raccomandazioni. O, almeno, questo è quanto ci disse, allora, raggiungendoci al Caritas, da Lorne. Ma io credo che sapesse più di quanto non volesse dire...”

 

Gli oracoli avevano sorriso, quando erano entrati al tempio. E, con deferenza, si erano inchinati a Dawn.

Siamo felici di rivederti, Chiave. Anche se tu non hai memoria della tua eternità.”

Dawn era rimasta impalata, non sapendo se ricambiare l'inchino. Ed Angel le aveva posto una mano sulla spalla, rassicurante. Non preoccupartene. Resteremo poco.

So che volevate parlarci.” - esordì, educatamente - “Vi ascoltiamo.”

I tempi sono maturi, Angel. Riteniamo che il destino della Cacciatrice stia per compiersi.”

E' questo dunque?” - la mascella di Angel si strinse, in un guizzo. Lo sapeva, lo sentiva - “Lei sarà l'ultima...”

L'oracolo annuì. E si rivolse a Dawn.

Tua sorella sarà libera, o chiave. Devi portarle questo messaggio.”

Fantastico.” - rispose Dawn scettica - “Starà a casa anche la notte... addio, libertà.”

Gli oracoli finsero di non averla sentita. E proseguirono.

La stirpe delle cacciatrici sta per esaurirsi, a meno che non accada un miracolo.” - specificò. Ed Angel involontariamente, sorrise, storto.

I poteri che sono credono nei miracoli?”

Il miracolo è ciò l'uomo compie al di sopra delle proprie forze e del proprio destino. Questo attendiamo.”

E Faith? Faith dovrà compiere questo miracolo?” - chiede Dawn. E l'oracolo la fissò, sorridendo. Angel seguendo quello sguardo, cominciò ad avere un atroce sospetto.

Dawn, non credo si aspettino che il miracolo lo faccia Faith...” - spiegò, incerto. E Dawn lo fissò come se avesse le antenne.

Ma stai scherzando, spero!”

Non l'ho detto io.. l'hanno detto loro...” - corresse Angel, restando impalato a braccia conserte. Non bastava che tutto incombesse? Dovevano pure affidarsi a un'adolescente ragazza pon pon con un sacco di fidanzati?

 

Bhe... Buffy mandava avanti la baracca da anni... magari ci si poteva fidare anche di Dawn.

 

Oddio. Un pensiero da Spike dentro la mia testa.

 

Supponiamo che Dawn voglia fare questo miracolo... in cosa consiste.” - era un azzardo come domanda. Ma doveva tentare. Almeno tentare.

La chiave può fondere anche le forze opposte. Luce e ombra. La chiave doma le forze del cosmo, non le viene chiesto altro che usare la propria natura.”

Perfetto.” - si massaggiò una tempia e si piegò verso Dawn - “Sai di cosa stia parlando?”

Come no. Sono più preparata in trigonometria a confronto. Io.. io non so niente della mia forza!”

Allora dovrai imparare.” - rispose, in un sussurro - “O avremo qualcosa per cui piangere.”

O qualcuno.” specificò l'oracolo. E Angel ebbe l'impressione che l'occhiata dell'essere gli stesse strappando il cuore e, con esso, anche l'anima.

 

Da cosa capisti che sapeva più di quanto diceva?”

Perchè aveva di nuovo quegli occhi....”

Quali occhi?”

Quelli da animale braccato. Angel ha sempre sentito l'accelerata del destino, negli eventi. Sapeva sempre con anticipo che sarebbe accaduto qualcosa e non in termini di lotte, sangue o eventi. Non erano visioni le sue, ma semplici percezioni dell'energia che variava. Angel sente. E credo che, in quelle ore, le sue percezioni siano state al massimo. Era incontrollabile.”

Si. Ma le raccomandazioni? Cosa gli raccomandarono di fare?” - insistevano sul particolare, con voracità. Non era da tutti i giorni scoprire cosa le alte sfere potessero dire direttamente ai loro paladini.

E Wes sorrise divertito, trovandoli per la prima volta davvero provinciali.

 

Siete ai confini della leggenda... e vi credete comunque grandi...

 

Gli dissero di prepararsi. E che non sarebbe stata un'apocalisse per il mondo quanto per gli equilibri del cosmo e del compiersi delle leggende.” - spiegò, con tranquillità - “Alcune le sapevamo già, c'era stata una specie di fuga di notizie dal loro schedario, nei mesi passati. Drusilla, l'ultima volta che la vedemmo viva, si era particolarmente accanita sulla mente di Doyle. E, una volta scatenate le visioni, doyle ne aveva avute anche alcune che non avrebbe dovuto avere.”

 

Sei pronta, Faith?” - domandò, tranquillo - “Sei la prescelta, il tempo ti ha atteso a lungo.”

Faith lo guardò, senza tradire emozione. E Doyle proseguì, la testa nella sua direzione, la stessa voce da comunicato meteo.

La fine non è lontana, Faith. E, dopo sarete intrecciati per sempre. Non temere.” - spostò la propria attenzione, cercò nuovamente lo sguardo di Methos - “Avrà ancora bisogno della tua guida. Proteggi la tua vita per la sua.”

 

"Sapevamo che Faith sarebbe stata l'ultima Cacciatrice. E che aveva buone probabilità di sopravvivenza." - aggiunse, soprappensiero – "E, visto che la speranza non ci bastava e non credevamo nelle nostre illustri fonti per prevenire il problema, abbiamo deciso di cercarne un'altra... un'altra diciamo meno ortodossa."

 

"Ora non preoccupiamoci di nulla."

"Ma presto dovremo." - replicò Cordelia, alzando la testa verso di lui – "o sbaglio?"

Doyle la contemplò, con un lampo serio negli occhi.

"No, non sbagli." - replicò, scivolando con le dita da una ciocca al suo viso – "L'evento verso cui avanziamo è la causa dei tuoi poteri e il fine ultimo. Ma non devi averne paura. Non ne hai motivo."

"Davvero, Doyle? Perchè io, qui dentro... qui dentro sento qualcosa di diverso."

"So cosa provi, principessa. Ma devi fidarti di me. Avrò bisogno del tuo aiuto, nelle prossime settimane, mi serviranno informazioni, informazioni particolari. E credo che..." - respirò a fondo, cercando le parole – "E credo che tu ed io potremo raccoglierne di più, se ci completeremo a vicenda."

Cordelia si era raddrizzata, per vederlo in viso.

"Magia?" - domandò soltanto, come rassegnata – "Ci faremo di funghi allucinogeni?"

"Mi piacerebbe in effetti. Non vedo un tramonto giallo e verde da una vita. Ma no, non credo." - scosse la testa, fingendo di essere dispiaciuto. Ma aveva gli occhi tristi e sciupavano le sue battute – "Tu puoi sentire, io posso vedere. Cercheremo insieme e mi aiuterai a capire. Andrà tutto come deve andare."

"Lo sai con certezza?"

 

"No, non lo sapevo. E così..." - disse Doyle, girando il bicchiere nelal mano libera – "mi sono cercato un informatore ormai sopra le parti."

 

Sei sicuro?” - domandò Cordelia, strofinando un'altra volta le mani - “Non ci prenderemo un fulmine?”

No, principessa. Magari una scossa, se Wes non misura bene gli ingredienti... ma un fulmine no.”

Confortante. E perchè proprio Wes?”

Perchè sono l'ultimo completamente umano tra tutti noi.” - rispose l'osservator,e con tranquillità. Tese la mano e il flacone a due metri di distanza gli volò dritto in mano - “A parte queste novità, si intende...”

Ah, certo, s'intende... come cazzo ci riesci!”

Principessa... hai detto una parolaccia....”

E dammi torto!”

Allenamento, Cordelia. Solo allenamento. A forza di esorcizzare e fare incantesimi ne ho imparati alcuni a memoria e sono diventati istintivi. La magia non deve necessariamente venirti da dentro. È come sapere la fisica... o la geometria applicata...”

Non sati progettando un ponte, Wes. Tu stai facendo volare gli oggetti! E poi?”

E poi cosa?”

Cos'altro fai?”

Parlo con il pensiero.”

Non ci credo.”

Ah no?” - Wes le sorrise. In perfetto silenzio - “E cosa stiamo facendo, allora, da due minuti a questa parte?”

 

E' vero?” - domandò suo padre, guardandolo diversamente - “Pratichi la magia?”

Wes lo squadrò, freddamente. E picchiò un dito sul tavolo. Doyle lasciò andare il proprio bicchiere e questo, dolcemente, scivolò fino alla mano aperta dell'osservatore.

Ogni tanto.” - rispose Wes, gustandone un sorso e rispendendo il cristallo al legittimo proprietario – “Ma solo per motivi davvero importanti...”

 

Ok. Sono pronto.” - si era alzato, pulendo le mani nel retro dei jeans e tendendo poi le dita sul fuoco. Due parole in latino e le fiamme erano divenute argenteee - “Lo controllo. Chi chiamiamo?”

Drusilla.” - rispose Doyle, di fronte alui abraccia conserte, scrutandolo con attenzione - “Te la senti?”

Wes lo fissò, intensamente. E il demone scosse la testa, con calma.

Io credo sia in pace.” - spiegò - “Almeno, così abbiamo percepito io e Cordy. Voglio parlare con il Cantastorie, non con il vampiro.”

Con Elizabeth, quindi.”

Si. È possibile. Ma stai attento. Non voglio la ragazza che era. Voglio la sua anima alla fine dei suoi giorni. Con la memoria degli eventi.”

Non ti prometto nulla.”

Tranquillo. Se sarà sbagliata, Cordelia se ne accorgerà. Respira, ora.”

Funghi allucinogeni?” - chiese, ridendo, mentre Doyle gettava qualcosa sul fuoco. Il parco giochi era silenzioso, le altalene ondegggiavano appena.

No, ho smesso con quelli.” - replicò Doyle, sorridendo. Cordelia, seduta su una delle altalene e infagottata in una giacca rosa, lo fissò con sospetto - “Ti giuro,principessa, non prendo droghe del genere dagli anni ottanta.”

E quanto anni avevi negli anni ottanta?”

Doyle preferì non rispondere.

 

Perchè Drusilla?”

Perchè c'era stata. E fin dall'inizio di ogni cosa.”

 

Wes inalò a fondo. E, quando aprì gli occhi, le iridi sembrarono viola.

Si, è lei.” - ammise Cordelia, con gli occhi chiusi. La vastità di Drusilla si espandeva nell'osservatore, ma come marea senza tumulti - “Poca follia al momento. Ma non so per quanto.”

Sarò veloce.” - replicò Doyle, sempre a braccia conserte. Tutto gli permetteva di avere al massimo quattro, cinque minuti. Aveva scelto apposta il parco. L'aura di Angel e e Drusilal che vi aveno avuto molteplici coversazioni permeava ancora l'intelaiatura delle altalene e la terra – “Drusilla, devo sapere cosa hai fatto.”

Ciò che era mio compito.” - fu la risposta. Gli occhi di Wes lo fissarono, pacati. Ma erano viola, integralmente - “Ho portato il guerriero della luce al suo destino.”

Questo lo so. Quando hai compreso che era Spike che volevi e non Edward?”

 

No, fermi.” - una mano si alzò, perentoria – “Cosa intendete con questo?”

Cio che abbiamo detto.” - rispose Methos, con calma - “Non vi è ignota la natura non compiuta di Edward. E saprete che il suo Cantastorie, probabilmente, era Drusilla. Facendo uno più uno, non è difficile chiedersi quando Dru abbia capito che nulla si sarebbe risolto nella maniera prevista.”

La sua scelta è stata deviata dalla follia. Una volta vampirizzata, ha scelto William al posto del fratello.”

Così fosse, Spike sarebbe ancora dannato. E lei non si sarebbe tanto accanita, in quanto vampira fuori di testa, a voler vampirizzare anche Edward. Lo avrebbe solo voluto morto.” - ribattè Methos, sorridendo – “Ma non è andata così. No, non ha scelto Spike per uno sbaglio di valutazione... come del resto credeva anche Spike...”

Si voltò verso Wes.

Noi ne abbiamo parlato lungamente. E vi posso garantire che la nostra teoria regge... e piuttosto bene....”

 

"Se Angel non avesse dannato Drusilla.. se lei fosse stata un Cantastorie a tutti gli effetti... chi sarebbe stato il prescelto?"

"Io non..." - si interruppe. Oh, al diavolo! - "William. Sarebbe stato comunque William. Lo ha trovato e dannato perchè non ha saputo fare altro."

"Si, una spiegazione avvincente. Il Cantastorie fallito ha trascinato con se l'eroe. Non mi sorprende, una mente rigida come la tua non poteva produrre altro. Ma con un piccolo irrilevante particolare: ti stai sbagliando." - Methos scosse la testa, un mezzo sorriso – "Non lo trovi ironico, Wes? Drusilla è arrivata molto vicina al suo guerriero della luce, ma io sono stato più veloce di lei. Di quasi due anni."

 

Il guerriero della luce non è Spike. È Edward.

È sempre stato Edward.

 

"Stai scherz... no, mi rifiuto di ascoltarti."

"Mi hai chiesto una spiegazione, te la sto offrendo su un piatto d'argento. Vuoi metterti proprio ora a saltare a conclusioni affrettate come un vero cretino?"

Wes si trattenne dal rifilargli un pugno. No, anzi, due.

 

Uno per la visione del mondo che aveva.

E il secondo per avergli dato del cretino.

Ma, soprattutto, ribadì al suo cervello e alla sua mano, per la visione del mondo. E di Spike.

 

"Allora finisci di spiegarti." - sibilò, restando immobile.

"Edward era il prescelto, credimi. Ne aveva le doti. Ma io credo che il caso sia stato molto più potente di un calcolo matematico quasi perfetto e che Drusilla lo abbia saputo girare a proprio favore." - si lasciò andare, rilassato, accavallando le gambe – "Facciamo una piccola divagazione. Come ben sai, io conoscevo piuttosto bene la madre di Doyle, Sinead."

"E con ciò?"

"Era una gran donna, ti sarebbe piaciuta. Conosceva Edward ed era della mia stessa opinione: schifosamente prescelto. Sarebbe potuto, ma non è stato. Succede, a volte. Ma Sinead diceva che le predestinazioni nel cosmo sono come i lanci di sassi nello stagno. Non puoi sapere quanti rimbalzi farai, ma ciò a cui punti è che siano sempre più che nel tiro precedente. Noi potevamo avere Edward... ma abbiamo avuto Spike. E questo per merito di Drusilla."

Sorrise, divertito.

"No, Wes, Drusilla non ha sbagliato. Drusilla sapeva come lanciare il sasso molto più lontano del previsto. Anche senza lucidità nella spiegazione e nell'atto ha comunque visto, compreso, compiuto il suo dovere con i mezzi che aveva. E lasciamelo dire, ha saputo contare piuttosto bene i rimbalzi."

Ha mosso le sue pedine con maestria. Ci ha intrecciato, nel tempo e nello spazio senza permettere a nessuno di deviare dalla propria traiettoria.

Dal voltarsi a fissare Angelus dritto in viso, fino al tagliare la gola a una Cacciatrice insignificante in un liceo, Drusilla ha tessuto la propria rete... non senti i fili avvilupparti?

Non sei contento che sia morta, se pensi a questo arazzo cosmico che ha intessuto?

Wes si era seduto, riflettendo. Aveva dimenticato la belligeranza, la propria teoria, la sua fede nelle leggende e nel destino. Ed ora, con agghiacciante lucidità, scomponeva ogni singolo frammento in altri più piccoli, facendo combaciare i pezzi.

"Drusilla sapeva? Ma sapeva... cosa."

"Non cosa, Wes. Da quanto. Quando, Drusilla ha compreso cosa sarebbe successo? Quando tutto è stato perduto? tra le braccia di Angelus? Oppure prima, quando ha avuto in dono le visioni? È una domanda intrigante, non credi? Persino per uno come me che non crede a tutte queste idiozie."

 

"Rispondi solo a questa domanda, Price, mentre attendi che io mi decida a raccontarti la prossima puntata: quando Drusilla ha cominciato a contare i rimbalzi per poter portare William Coventry fino a qui?"

 

E questa è la teoria. Drusilla ha cominciato ad avere il dono della Vista ben prima della venuta di Angelus. Drusilla vedeva con precisione il futuro di un eroe ma io credo che, come ogni persona dotata di cuore, abbia saputo spostare lo sguardo e ampliarlo. Cercava Edward... e ha intravvisto William.” - spiegò Edward, con tranquillità, parlando di se in maniera quasi astratta. Si era scelto un angolo del tavolo e si era appoggiato, l'aria pensierosa, il profilo assorto - “E' appurato quanto fosse potente, se anche da folle ha continuato a parlare con le stelle. Ed è probabile che, almeno in parte, abbia visto ben oltre i nostri decenni. Nei secoli.”

Solo che le teorie vanno confutate.” - accelerò Doyle, versandosi un'altra dose di scotch - “E noi lo facemmo.”

 

Questo lo so. Quando hai compreso che era Spike che volevi e non Edward?”

Wes sorrise, con aria composta e fredda. Un sorriso non suo.

Credi che sia stata così in gamba?”

Credo che tu non abbia tempo per le schermaglie verbali con me. Dimmi quando.”

La notte prima che Darla mi trovasse.”

D'accordo. E cosa hai deciso...”

Non c'era tempo. Dovevo solo farmi trovare. Del resto mi sarei preoccupata dopo.”

Ma dopo, dopo... dopo è venuta la follia. E non è andato tutto come doveva.” - replicò Doyle. E Wes mosse gli occhi, abbassandoli, prima do voltarsi verso Cordelia.

Mi crederai se dirò che molti eventi non desideravo accadessero?” - domandò, rivolgendosi direttamente a lei.

 

E Cordelia annuì.

 

Ti credo. Non sei riuscita a controllarli tutti.” - rispose, cercando di restare calma. Sangue, Wes aveva la mente piena di immagini strazianti - “La morte e la distruzione non erano previsti dal tuo piano... tutti quegli anni di dannazione tuoi e di William... la tua follia è stata una benedizione, a volte, vero?”

Wes annuì, con una lacrima in lenta caduta.

Ma Cordelia strinse gli occhi. E la fissò, mutando di espressione, irrigidendosi.

Drusilla.” - domandò - “C'è qualcos'altro che hai fatto?”

Non resta molto tempo, Doyle. Chiedile altro.” - la voce di Wes eruppe, angosciata. Ma, al battere di palpebre successivo, le iridi erano nuovamente viola.

Darla ti ha trovata e Angelus ti ha vampirizzato. E poi?”

Dovevo solo avere pazienza. Lo avrei incontrato, naturalmente. L'Antico avrebbe provveduto al giovane leone.”

E Edward? Quanto è importante Edward nella vita di suo fratello.”

E' luce. E sangue.”

Questo lo so, ma ho bisogno di sapere altro.”

Solo luce e sangue, Doyle.” - scandì la voce femminile, solenne. Poi divenne roca, umana. E Wes si piegò su se stesso vomitando anche l'anima.

 

Non ritentammo l'esperimento.” - ammise Doyle - “Si era rivelato pericoloso. E occorreva tempo prima di ottenere nuovamente una congiunzione astrale favorevole che rendesse il tutto meno faticoso per Wes. Ma quel giorno, quando cercarono di farci saltare in aria, mi sarei volentieri preso a calci da solo per non aver cercato una soluzione alternativa. E, per fortuna, arrivò Anya.”

 

LosAngeles

 

Angel era sparito già da un pezzo quando, litigando, Spike ed Edward emersero al caritas. Lorne andò loro incontro, a braccia spalancate.

Amore.” - disse, stringendosi al cuore Edward - “Io volevo conoscerti da almeno... da almeno tre morti fa. Le tue, ovviamente.”

Bhe, grazie.” - rispose Edward, fissandolo con aria stranita. Verde. Molto verde. Verde irlanda - “Piacere di conoscerla, signor...”

Signor Lorne.”

Chiamalo Lorne.” - borbottò Spike, passando tra i due con aria repressa.

Si, chiamami Lorne. E dammi del tu. Vuoi da bere, bon bon?”

Bon bon vuole da bere e noi gli teniamo compagnia.” - commentò Doyle, seduto in fondo al bancone. E fissò con aria svanita le due nubi che riempivano il locale - “Oh, ciao principessa.”

Wow, è stato!” - Cordelia lasciò andare la manica di Anya - “E' stato wow! Lo sai fare anche tu?”

No. Solo quando sono davvero ubriaco. Lorne, conosci le ragazze?” - chiese, indicandole come se fosse normale vederle apparire - “Anya e Halfrek, signore del massacro collettivo e individuale.”

Si, sono clienti abituali. Cosmopolitan bambine?”

Ovviamente Lornie caro. E qualche stuzzichino, sono affamata.” - Halfrek schioccò le dita e mantello e scollatura scomparvero. Si sedette, inguainata nel suo canonico tailleur violetto, accavallando le gambe - “William, tesoro, siete in un enorme pasticcio.”

Ascoltala.” - fece eco Doyle, seduto dall'altro lato, con Cordelia a fianco - “Ha perfettamente ragione.”

Beveva come una spugna. Ed aveva occhi quasi bui.

Mi interessa di più sapere cosa hai visto.” - replicò il vampiro. Edward era alle sua spalle, in piedi. Ed era una presenza rassicurante, anche in silenzio - “Hai mandato tu Angel e la Chiave...”

Si, sono stato io.”

E non puoi dirmi nulla?” - insistette. E una mano, intanto, gli portò via il bicchiere. E un bacio – “Ciao Faith, mi fa piacere vederti tutta intera.”

Scommetto che non hai avuto molto tempo per pensarmi.” - replicò la Cacciatrice, gettando un'occhiata alla lunga fila di avventori - “Siamo aumentati di numero o sbaglio? Mi giro un attimo e raduni le tue ex?”

 

Io, Drusilla, Buffy e Anya… hai ragione, siamo già in quattro. Ma qualcosa mi dice che saremo presto in cinque. Cuori, quadri, fiori e picche.

E la prossima…Jolly o Asso pigliatutto?

 

Ciao, asso pigliatutto.” - la salutò Cecily, sorridendole e giocherellando con il proprio drink - “Non ci hanno mai presentate...”

E questo dovrebbe lasciarti intendere che non siamo amiche.” - replicò Faith, in maniera decisamente educata - “Anya, alza il culo, devo parlare con Doyle. E voglio sapere dove sia Wes.”

Giusto. Dov'è Wes?”

 

London.

 

Wes sorrise, divertito.

E dove volevate che fossi?” - domandò – “A procurarmi qualche guaio...”

 

LosAngeles

 

Il parco giochi era deserto e ormai cintato da quando, una notte, era apparso un enorme cerchio bruciato al centro e la struttura delle altalene si era fusa in un unico ammasso. L'amministrazione di quartiere non aveva saputo spiegarsi l'accaduto e aveva preferito limitare la zona.

Methos, ovviamente, non aveva apprezzato il dover scavalcare la recinzione, non tanto per questioni etiche, quanto per la fatica e l'impegno necessari. Ma, quando finalmente si era deciso ad accorciare le lamentele e allungare il passo, aveva trovato Wes impegnato a comporrre un cerchio, renedere argentee delle fiamme e buttare tanta polvere sul fuoco magico.

Funghi allucinogeni?” - aveva chiesto, sospettoso - “Ne avevo parecchi negli anni ottanta, vecchi di un millennio. Ancora mi chiedo cosa ne ho fatto...”

Ne parliamo dopo.” - rispose Wes, inalando a fondo - “Fai le domande che ti ho scritto e sbrighiamoci. E stai attento che sia lei.”

Ma si, Price. So come funziona una possessione. Avanti, parti per l'altro mondo.” - replicò, sbrigativo, aprendo il foglietto - “Ciao, Dru.”

Antico...”

 

Perfetto. Sorrise, davanti agli occhi viola. È lei, la spostata.

 

Credo che stia accadendo qualcosa.” - disse, ripigando il foglio del questionario e infilandolo in tasca. Sapeva benissimo cosa chiederle - “Dimmi quanto c'entri tu in questa storia.”

Cosa è accaduto.”

Davvero non lo sai? Niente onniscienza dall'inferno degli spostati?” - si interruppe. E cambiò tono - “Ti servono dei segni, vero? Non sai in che tempo siamo....”

E' così. Il mio William vive?”

Si, è vivo. LA, 2003. la sua anima è forte, il sangue si è riunito.”

E la chiave è giunta...”

La chiave è qui, da stamattina.”

Lei è come l'Alba.”

Lo avevamo intuito. Perchè è qui anche Edward.”

Allora sta per compiersi il destino. Temete la morte?”

Dobbiamo?”

Dovete.”

Bene. Sono già stufo di parlarti.” - repsirò a fondo, divenendo serio - “Drusilla, chi c'è dietro tutto questo... è opera tua?”

Avrò il suo perdono?” - lo interruppe, disperata. Methos strinse gli occhi, fissando Wes. Poteva vederla, vedeva Drusilla, in traslucido.

Non lo so, Dru. Cosa dovrebbe perdonarti?”

La sua morte.”

La morte di chi.”

La sua. La sua...”

La morte di chi, Dru!”

Wes rantolò. E la voce di Drusilla sembrò sofferente.

Sta soffrendo troppo. Devo andare. Non c'è più...”

Wes era crollato in ginocchio. Il fuoco si era spento.

 

London

 

Insomma non avevamo proceduto di molto nella nostra opera. Avevamo un nemico che ci voleva morti, due demoni, una chiave, un Angelo in seduta presso gli oracoli, un Cantastorie defunto e uno quasi ucciso dall'emicrania.” - enumerò Methos, alzando le mani - “Il tutto senza contare i due immortali che se ne sarebbero stati volentieri fuori dai guai a tagliar teste... su un altro continente magari...”

Cosa ti accadde, Wes?” - domandò suo padre. E, se doveva esserci preoccupazione nella sua voce, i presenti non lo capirono mai - “Dopo la possessione...”

Quello che mi capitava di solito. Lo stomaco sottosopra e parecchi antinevralgici. Nient'altro.” – spiegò, alzandosi – “Mi sarei volentieri messo a letto, ma non avevo tempo da perdere. Cordelia si era appropriata di un computer e di una connessione per sopperire l'assenza di una biblioteca, mettendo asseme ciò che avevo potuto vedere nella mente di Dru, mentre stanziava nella mia testa per chiacchierare con Adam.”

Cosa avevi visto?”

Nè più né meno l'informazione che Drusilla non aveva saputo darci. Il nome del nostro avversario. Il problema era che nessuno volesse credermi.”

 

LosAngeles

 

Ti dico che era lei!” - ripetè Wes, ancora una volta, levandosi lo straccio dalla fronte e tirandolo in un angolo. Non si alzava a difendere le proprie opinioni solo perchè non ci riusciva - “Era lei, maledizione!”

Ma certo che era lei.” - replicò Halfrek, composta come sempre sullo sgabello e al suo secondo cosmopolitan - “lo abbiamo detto anche noi, ma non ha voluto crederci...”

Sentite!” - si intromise Anya. Stava raccogliendo i cocci... i cocci di tutte le bottiglie che Spike aveva distrutto lanciando i mobili del locale prima che Faith ed Edward riuscissero a fermarlo - “La nostra fonte è attendibile, è davvero andata come vi abbiamo detto. E Wes lo sta confermando, contenti?”

Contenti un corno!” - Spike sembrava fuori di sé. E non si riusciva a farlo smettere di camminare. Fuori il sole era alto e lui era relegato senza sapere dove fossero né Angel né Briciola. Ce n'era abbastanza per autoimpalettarsi - “Qualcuno ha la minima idea di cosa significhi?”

Significa che è sempre la stessa storia, Will.” - sospirò Cecily, giocherellando con uno stuzzicadenti e fissandolo concentrata - “Che le tue donne non amano essere tradite lasciate o uccise.”

Cecily, non è il momento di farmi la paternale.”

Lo so. Ma non ho resistito. Concordi con me, Anya?”

Non so.” - disse la bionda svanita - “Io ho fatto solo sesso con William. E siamo stati felici. Nessuna complicazione.”

Ma davvero.” - Edward sedeva sul bancone, con i piedi a penzoloni. E Faith, idrofoba, a fianco, da tenere per un braccio - “Un'avventura di una notte... senza prosecuzione...”

Come?” - Anya lo fissò stranita. Poi fissò Faith. E capì, senza ombra di dubbio - “Oh, certo, non è significato nulla... mi ha usato. No, io ho usato lui.”

Si, ci siamo usati a vicenda!” - urlò Spike. E si pentì all'istante - “No, Anya, scusa, è stato bello. Bellissimo. Indimenticabile.”

 

E sono sincero.

 

"Sai, Anya…" - commentò il vampiro, finendo di aggiustarsi - "Pensavo che sarei stato io ad andare via per primo… dopotutto…"

"Dopotutto sei cattivo e insensibile…" - terminò Anya, ravviandosi i capelli - "Lo so, lo so. Lo sanno tutti, direi. Solo che, se non mi alzavo, non ti avrei più lasciato…"

Rimase ferma, a riflettere sulla frase che aveva appena detto. E non si stupì, quando le dita di Spike si intrecciarono con le sue.

 

Rimasero così, senza guardarsi. Senza voltarsi, dandosi le spalle, come se non avessero nulla da spartire. Eppure con le mani intrecciate. Mani che si erano trovate senza bisogno di cercarsi.

"E' triste…" - mormorò Anya, guardando fisso di fronte a lei. Si vedeva riflessa nel parabrezza. E vedeva la sua mano, stringere il vuoto. E Spike non c'era…

Spike non c'era…

"Cosa, Anya… cosa è triste…"

"La vita… credo." - abbassò gli occhi, con un sorriso. Era una risposta scontata e troppo generica, forse. Ma non aveva realmente importanza - "No, dai, scherzo. È triste lasciarsi così… dopotutto, non è solo sesso. L'hai detto tu…"

"Anya… ti prego… non piangere." - sorrise, scotendo la testa. E asciugandosi gli occhi.

"Io? Perché io non posso e tu sì?" - ribattè, cercando di trattenersi. Non aveva bisogno di voltarsi, per sapere che alle sue spalle c'era un demone che fingeva di essere un duro. Era un demone anche lei… ed aveva molti modi per scoprirlo… ma, in questo caso, le bastava solo il cuore - "Ma noi dobbiamo lasciarci, non c'è motivo per essere tristi, non c'è motivo per piangere…"

Spike annuì, stringendo i denti. Non c' era motivo per piangere. Era una sciocchezza. Non aveva pianto per Buffy… ed ora non avrebbe pianto per se stesso.

"Grazie, Spike…"

"E di cosa? Di una notte di follie amorose? Figurati, sono la mia specialità…"

"Già… grazie per l'amore e per tutto il resto. Mi hai dato più di quello che credi…"

Le era mancata la voce. E con essa il coraggio di andare avanti.

"Dove andrai, adesso?"

"E dove vuoi che vada… “

 

Anya gli sorrise, timidamente. E raccolse alcuni cocci, prima di sparire nel retro.

Mi spiace interrompere le vostre questioni romantico amorose.” - disse Cordelia, dalla postazione web. Methos, in piedi alle sue spalle, leggeva la schermata con aria concentrata. E non lasciava presagire nulla di buono - “Ma è vero. È lei sicuramente.”

Cosa hai trovato?”

Nulla.”

E quindi, come fai a esserne certa?”

Perchè ci ha appena scritto una mail... e con tanto di fotografia.”

Voltò il pc, per la gioia dei presenti.

 

La foto le faceva onore. Era bellissima.

 

Darla.” - disse Angel, facendoli sobbalzare tutti - “E io che non volevo crederci...”

 

[VII]

 

London

 

Darla.”

si, Darla.”

Darla, la creatrice di Angelus.”

Si, lei. Vuole che lo ripetiamo ancora una volta? Magari qualcuno non l'ha ancora capito.”

La donna avvampò. E sembrò risentirsi del commento. Methos non sembrò, invece, manifestare senso di colpa.

Le versioni a quel punto coincidevano tutte.” - disse Wes, tornando per un attimo alla sua natura di mediatore e obbligandoli a restare attenti - “Anya e Halfrek lo avevano sentito dire tra le orde demoniache, Methos e Wes lo avevano estorto al fantasma di Drusilla, Doyle l'aveva fuggevolmente vista in una visione ed Angel... bhe, Angel si era beccato la canonica e sibillina premonizione assolutamente inutile.”

 

Guardati dalla regina dalle molte vite, Angel.” - ordinò l'oracolo che fino ad allora aveva taciuto - “Sarà lei la fonte di ogni male... e di ogni dolore...”

 

La regina dalle molte vite...” - ripetè Doyle, massaggiandosi la fronte con aria rassegnata - “Come al solito parlare con gli oracoli era stato utile per tutto tranne che per il richiesto. Ma Angel aveva comunque compreso, a quanto sembrava, anche se si rifiutava di accettarlo. Purtroppo per lui, al caritas lo attendeva solo la conferma ai suoi peggiori sospetti. In più, la ragazza ci aveva scritto.”

Giusto.” - Methos sospirò - “Non dimentichiamo la lettera. Prima della lettera erano serviti un immortale e una Cacciatrice per frenare un vampiro rabbioso. Dopo la lettera, nessuno tentò nemmeno di bloccare Angel. Semplicemente, gli lasciammo distruggere il locale. Fino al più piccolo frammento.”

 

LosAngeles

 

E' quello che sto cercando di dirti da ore.” - Anya parlava a Spike, a voce bassissima. E Spike fissava Angel al computer, la bocca che diveniva sempre più stretta - “Quando hai lasciato Drusilla, un'ultima volta, lei ha avuto il tempo di desiderare. E al posto di volere la tua morte, ha preferito cercarsi una vendicatrice.”

 

Staremo insieme, per sempre. Tu e lui, con me...”- implorò lei.

Ci sono già passato Drusilla, tu non sei divisibile tra due uomini. SCordatelo. E poi, a dirla tutta...” - con le labbra avrebbe potuto incendiarla, con gli occhi lo stava già facendo - “... penso di non avere più interessi nei tuoi confronti.”

Allargò le dita, arretrando di un passo.

 

È un addio, questo.

 

Addio, Dru. Non abbiamo più nulla da dirci.”

Drusilla si strinse le mani e il segno della sconfitta le attraversò i lineamenti.

Si. Questo è il nostro addio. Mi hai dimenticata.

Non mi volterai ancora le spalle.” - rantolò, afferrandolo con la braccia e stringendolo in una morsa. Gli occhi divennero cangianti, i lineamenti mutarono - “Non ti lascerò andare via... non tornerai da lui.. da lei... io ti ho condotto fino a qui, io...”

Ed io posso distruggerti, assieme al tuo destino, uccisore delel cacciatrici, amore mio.

 

Lo ha fatto in un battito di ciglia.” - gli spiegò con dolcezza Anya. E gli afferrò una mano. Non le sorprese sentire Spike stringerla, in cerca di un appiglio - “Quando ha compreso che non ti saresti più voltato, la follia ha preso definitivamente il sopravvento. Eri tu, per non so quale motivo, a tenere a galla una forma di coscienza.”

Come lo sai...”

Sono un demone, William. E potevo sentirlo.” - spiegò, con calma, anche se era ovvio e semplice per entrambi - “Ti sei salvato per miracolo. E deve essere successo quando Angel è intervenuto, il tempo deve aver rallentato e averle dato il tempo di desiderare. Sapeva ciò che voleva, è stata molto precisa nella sua richiesta.”

Darla.”

Si, è andata così. E non una Darla qualsiasi, umana e tutto il resto, come l'ultima volta. È la Darla dell'attimo dopo la sua morte, quella che...”

Quella che mi vuole a pezzi.” - concluse Spike, con voce atona. Darla al suo peggio.

Quella armata di gancio da macellaio.

Siamo venute e dirtelo non appena lo abbiamo saputo. Ma cosa abbia fatto Darla in questi mesi resta un mistero.”

E cosa volete che abbia fatto. Si è preparata con cura. Vendicherà Drusilla portandomi via tutto. E, nel frattempo si prenderà la rivincita su Angel. Comincerà da Faith.” - mormorò, con voce piatta - “E poi, uno alla volta, cadremo tutti.”

 

E, in quel mentre, Angel aveva fatto volare la prima sedia.

 

***

 

Non esistevano molti modi per far veramente imbestialire Angel. Ma il migliore in assoluto, quello sempre efficace, era minacciarlo. E, nella fattispecie, minacciare qualcuno che amava.

Salva il computer.” - ringhò Spike, placcando il suo sire e volando con lui sul palco del caritas - “Dopo voglio leggere anche io.”

Angel era furioso. E, per quanto cercasse di reprimere gli istinti peggiori, Spike si prese comunque un pugno. Ed ebbe anche il piacere di renderlo.

No, non lo fare.” - ordinò Methos, afferrando Edward per la cintura e poi sollevandolo, con un braccio attorno alla vita - “Tu non immagini cosa sanno fare quei due quando si comportano in questa maniera.”

Attorno, lo scenario ricordava l'Hyperion. In mezzo al disastro, Lorne beveva direttamente dallo shaker. Edward fece un respiro e Methos lo posò a terra, mentre una mano con unghie laccate di viola gli sfiorava un braccio.

Edward.” - Cecily gli sorrise, smagliante - “Che ne dici se facciamo due parole? È tanto che non ci vediamo.”

Tipico di Cecily. Troppo aristocratica, capacissima di ignorare la confusione per non venir meno al proprio buongusto. Ed Edward, in tutta coscienza, desiderava poter fare altrettanto.

Prego.” - le disse, corrucciato, porgendole il braccio. Sul palco, Spike ed Angel continuavano a menarsi. I restanti occupanti del caritas sembravano intenti a raddrizzare almeno i mobili - “Io mi cerco una birra...”

 

***

 

Angel era stufo. E parecchio. L'email di Darla, come se non bastasse il suo ritorno, era una simpatica ciliegina sulla montagna di problemi, preoccupazioni e premonizioni che già aveva.

A quanto sembrava, Drusilla dava ancora il meglio di se stessa, pure da morta.

 

Il destino di William sta per compiersi.” - aggiunse Drusilla, alzando la testa. Il suo corpo era scivolato a terra, il suo viso pallido era quasi nella polvere - “Non potrai salvarlo un'altra volta, Angelo mio. Uccidimi. Uccidimi, perchè nel futuro che si sta per scrivere non esiste un posto per me.”

Dru...” - strinse più forte la spada, sentendola scivolare. Non disarmato, non disarmato innanzi a quell'orrore - “dimmi cosa vedi... amore...”

Anime e sangue vi hanno condotto fin qui.” - rispose, docile alla sua preghiera - “ora non vi resta che combattere il destino, un'ultima volta.”

Non è abbastanza. Devi dirmi altro.”- deglutì, piegandosi sui talloni - “Devi dirmi altro, se vuoi che io lo salvi.”

 

Tu lo vuoi, quanto lo voglio io.

Ti prego, Drusilla... aiutami a proteggere William.

 

La mano della vampira gli strinse il maglione, afferrandosi ai punti lacerati dalle frecce. Erano rimasti soli, ogni vampiro che l'avesse appoggiata era ormai polvere nella polvere, sui loro vestiti, sotto i loro corpi.

Non c'era nulla, non c'era battaglia.

Solo un silenzio innaturale su una città sempre viva in cui l'oscurità sembrava non esistere.

Solo silenzio. E oscurità, l'ultima rimasta.

Tennero fino alla fine... Nessuno li seppe piegare...” - mugolò Drusilla, come una litania, raddrizzandosi lentamente, fino a fronteggiarlo, in ginocchio. Gli occhi viola erano pieni di stelle, le labbra, morbide, erano sulle sue - “Non dimenticare...”

 

Non dimenticarsi... e come poteva dimenticare!

E, come se tutto questo non bastasse... Faith.

Gli oracoli profetizzavano, Darla lo metteva addirittura per iscritto.

 

"Mio carissimo Angelus,

penso che ti farà piacere sapere che godo di splendida salute e non vedo l'ora di riabbracciarti. Sono in città da un po' di tempo e mi dispiace sinceramente non essere ancora passata a trovarti. Ma, capirai, mi sto facendo bella per te, come mio solito. Voglio che la mia entrata in scena sia... come dire... esplosiva.

Immagino che lascerò molte vittime del mio fascino a terra. Ma una donna desidera sentirsi potente e amata.. e io non sono da meno.

Oh, amore mio, non vedo l'ora di abbracciarti. So che hai ancora con te il nostro piccolo Spike e me ne rallegro, così non dovrò cercarlo per il mondo.

Spike ha ucciso Drusilla, Angelo mio. Ed io sono qui per una precisa inequivocabile motivazione: voglio rendergli il favore. E con tutto il dolore che posso provocargli.

Per tanto, rallegrati. Non prevedo di incenerirlo, almeno per il momento. Voglio solo recidere, uno ad uno, tutti i tentacoli che è riuscito a tendere nel mondo. Sentimenti, legami, amicizia... tutte quelle sciocchezze umane che, da qualche tempo, interessano anche a te.

Sei stressato, Angelus. Io ti darò un po' di sollievo sollevandoti da parecchie incombenze.

A partire dalla tua Cacciatrice. La tua piccola e deliziosa Cacciatrice.

Sempre che non sia morta stamattina nel piccolo 'bum!'.

Poi sarà la volta del trasandato ragazzotto che ti ha traviato e di quella smorfiosa di liceale invecchiata che frequenta. E non dimentichiamoci l'osservatore che si crede un mago... ho molto apprezzato le sue messe nere per chiacchierare con la mia piccola amata Drusilla.

Infine, amore mio, mi prenderò il tuo piccolo William. Perchè ho sentito dire che è prezioso per le stelle.. e perchè voglio infliggerti tutto il dolore che posso.

Lo renderò folle. Poi vorrò la sua vita.

E, infine, Angelo mio, saremo di nuovo solo tu ed io. Insieme, per sempre.

Con immenso amore.

Tua Darla."

 

Si, considerò Cordelia rileggendola, c'è di che alterarsi. Hai visto come mi ha chiamato?

 

"Mi ha chiamato ragazzotto." - commentò Doyle, leggendo da sopra la sua spalla.

"Non ha nominato me." - aggiunse Methos – "Non so se sentirmi offeso o rallegrarmi."

 

London

 

"Eravamo ad un punto morto." - soispirò Doyle strofinandosi un occhio – "Potevamo tranquillamente perderci in battute e risse, intanto non sapevamo dove fosse Darla e cosa fare per arginare il disastro. Era riuscita a minarci il condominio senza che ce ne accorgessimo, ci aveva messo nella condizione di essere persino convocati dai miei capi e avvertiti dalle forze demoniache di zona... eppure continuavamo a brancolare. Non un indizio, non un frammento a cui affidarci."

"E le visioni?" - domandò un ragazzo, dalla prima fila, alzandosi in piedi – "Non potevano aiutarvi?"

"Certo che potevano. Ma non ne avevo. E questo non era un bene cosicchè..." - Doyle alzò le mani, in segno di resa – "Giunsi alla stessa conclusione a cui sei giunto tu ora. Ci servivano le visioni."

"E quindi?"

"E quindi me le procurai. La peggiore idea mai avuta in vita mia."

Concordo.” - borbottò Methos. E spalancò gli occhi davanti all'occhiata scetticca del suo pubblico - “Davvero!”

E che successe?”

Bhe... mi ammazzai.”

 

***

 

Non avevo fatto bene i miei conti.” - aggiunse, modesto. Il ragazzo che si era alzato per porgli la domanda era agghiacciato. E Doyle si sporse, cercando di consolarlo - “Non mi sono suicidato, credimi, ho solo fatto un un bel disastro e...”

Il cellulare vibrava. E Doyle si frugò tutte le tasche, cercandolo.

Scusate.” - disse, premendo il tasto e aprendo la chiamata - “E' mia moglie.”

Quante volte al giorno lo dice?” - chiese Edward, voltandosi verso Methos.

Uh, ho smesso di contarle...”

Eddy, vuole parlare con te.” - gli porse il cellualre - “Non trova Gucci a Piccadilly Circus.... la aiuti per favore?”

Edward afferrò il cellulare e si alzò. Methos ebbe l'impressione che stesse alzando gli occhi al cielo.

Non so quante volte le ho spiegato la strada...” - lo sentirono borbottare, mentre usciva dalla sala.

Dicevamo? Si!” - Doyle indicò i suoi fan con gli indici - “Parlavamo della mia morte.”

 

LosAngeles

 

Edward aveva stappato due birre e si era seduto su uno sgabello. Cecily, seguendo il suo sguardo, era tornata a fissare la rissa, contrariamente alle proprie speranze.

C'è sempre solo lui per te...” - sospirò, intenerita. E i loro occhi si incontrarono - “Passano i secoli, cambiano i luoghi... le persone...”

Le persone non tanto.” - replicò l'immortale - “Solo qui dentro siamo almeno quattro che frequentavamo lo stesso giro di amici.”

Perchè il mondo è più piccolo di quanto non sembri...”

No, il mondo è vasto. Sono le persone che non riescono mai a perdersi del tutto...”

Sempre il solito romantico. Edward, toglimi una curiorità.” - piegò la testa, verso di lui, complice - “Lo sai che su di te girano delle belle storielle?”

Edward piegò la testa, fissandola di sbieco. Come Spike.

Storielle? Che tipo di storielle.”

Uff, sciocchezze! Sciocchezze del tipo che tu sia un Guerriero della Luce che non si è attivato, che Drusilla dovesse essere il tuo Cantastorie.. cose di questo tipo.”

Cose di questo tip... Cecily, di cosa stai parlando! Drusilla.. la Dru di William!” - Edward la fissò, spalancando gli occhi e sentendo il cervello azzerarsi - “Ma di cosa stai blaterando!”

Uh, nulla. Se non ne sai nulla...” - aveva imbronciato la bocca - “sei il diretto interessato, se non lo sai tu.. peccato, io ci credevo...”

Scusami un secondo.” - si alzò e, marciando rapido verso il retro, afferrò sul passaggio il proprio personale multimillenario - “Methuselah, mi è appena giunta una voce interessante all'orecchio.”

Se Anya ti ha detto dell'invito a cena non sapevo che fossi interessato.”

Lascia perdere Anya, dimmi cos'è questa storia del guerriero della luce.” - aveva le labbra contratte, l'aria spiritata. E, Methos si rese conto che, come una coltellata, stava provando paura - “Dimmi che non sono stato io che ho fatto incontrare Spike e Drusilla.”

 

***

 

Spike, Spike, frena!”

Spike, che aveva il pugno alzato e si preparava a rompergli il naso per un'altra volta, si bloccò a mezza'asta.

Ti sei calmato? - domandò, senza battere ciglio, restando seduto sul suo stomaco - “Flagello, non ci siamo, non puoi continuare così. Gli anni passano anche per me.”

No, gli anni passano più per me.” - replicò Angel, senza degnarlo di un'occhiata - “Sono un cretino. Un emerito cretino, William.”

Lo so. Se ti do ancora un pugno riuscirai a tenerlo a mente?”

Il cellulare.”

Ok. Ti fracasso il cellulare.”

Il cellulare di Darla, William. Ho il numero.” - puntualizzò, armeggiando per raggiungere l'apparecchio nella tasca dei pantaloni. Intanto Spike non accennava a scendere dal suo stomaco - “Mi ha telefonato la notte in cui ti ha preso. E scommetto che è ancora attivo.”

 

Lo squillo del cellulare lo sorprese. E se un parte di sé gli urlava di lasciarlo suonare, qualcosa nel suo essere lo spinse a rispondere. Dall'altra parte una suadente voce di donna, che egli non tardò ad accomunare con uno splendido viso biondo.

"Allora, amore mio, piaciuto il piccolo presente?"

"Darla." - ringhiò Angel. La sua rabbia premeva, mozzandogli ogni parola coerente.

"Oh sì, solo tu sai pronunciarlo, in quel modo." - sembrava una gattina che fa le fusa - " e dimmi, non hai nostalgia dei vecchi tempi? Tutto quel sangue rosso, così profumato, così denso…"

 

Lei ti ha chiamato e tu hai messo in memoria il numero? Ma non è romanticismo, è necromania! Tu l'hai uccisa dopo quella telefonata! Ma che schifo!”

Si, certo! Intanto la mia necromania adesso ci da qualcosa su cui lavorare!” - Angel fece partire la chiamata e tornò a posare la testa a terra.

Tu sei matto...”

Angel, perentorio, gli fece il segno di tacere.

Suona.” - sillabò, con le labbra. E, dopo un attimo, sorrise - “Ciao bellissima... ti sono mancato?”

 

***

 

Methos stava facendo una cosa mai fatta prima: esitava a rispondergli. Ed edward iniziava a sentire il desiderio di mettersi a urlare.

Ok. Sono stato io. Methos!” - ripetè, tentando di puntargli un dito contro, sembrare minaccioso e ritrovandosi invece con le mani alle tempie, i pensieri sempre più affilati nella mente - “Per favore, dimmi che non c'è una psico cazzata cosmica su di me e su mio fratello.”

Sei un immortale come pochi ne esistono e lui è un vampiro con l'anima.” - rispose l'uomo, guardandolo - “Credi sul serio che siate sempre stati due ragazzi qualunque?”

 

Non prenderti in giro. E non prendermi in giro.

 

Edward, posso dirti tutto ciò che vuoi. Ma tu respira a fondo, chiudi gli occhi e chiedi a te stesso quanto sai di questa faccenda. Con l'istinto.”

Me ne frego del mio istinto. Voglio risposte, ora, subito.”

Certo che scegli un bel momento per fare il nevrastenico.” - methos si passò le mani sul viso, esasperato, poi le spalancò, cercando le parole migliori - “Cosa ti hanno detto? Della tua natura eroica mancata?”

Tu lo sapevi! E da quanto lo sai?”

Lo so e basta. E no, tecnicamente non hai fatto incontrare tu Drusilla e William. Dru ha scelto lui indipendemente da te. Ed anche se questo sconvolgerà l'opinione mondiale su di te, lo ha ritenuto un investimento migliore. Senza offesa.”

Io non...” - Edward respirò a fondo e chiuse gli occhi. Calmati e credigli. Credigli. Quando riprese a parlare era controllato, ma gli occhi erano ancora chiusi - “Hai sempre detto di non credere a niente del genere, che siamo padroni del nostro destino. E ci siamo sempre trovati concordi. Ora salta fuori che potevo essere un eroe e non lo sono perchè potrei essere qui per un buon motivo, che ho una missione da compiere e tu...”

Questo non lo ha detto nessuno. Si parlava solo di ciò che non sei stato. Non di ciò che sei.” - replicò Methos, incrociando le braccia. Stava succedendo. Volente o nolente, il suo istinto prevaricava ancora. Come sempre.

 

Nessuno lo ha detto. Ma tu lo sai comunque. Resti un prescelto anche ora.

 

Chiudi gli occhi, Edward, contempla il tuo destino.

Chiudi gli occhi. E dimentica il passato per sentire il presente.

 

Lo senti, vero?”

Si, lo sento. Ho un destino da compiere da quando ho incrociato la lama con Angel.” - aggiunse riaprendo gli occhi - “O sbaglio?”

Non sbagli. Sei abbastanza egocentrico da volere quel posto in prima fila a tutti i costi.” - lo sbeffeggiò, sempre con le braccia incrociate e l'espressione annoiata - “Visto che, comunque, questa consapevolezza non ti basta, ti sintetizzo ciò che so io, vuoi?”

Secondo te?” - edward lo avrebbe volentieri picchiato. Methos non sapeva fornirgli risposte senza farle sembrare concessioni.

Drusilla era il cantastorie destinato a trovare te.” - Methos tagliò corto sul tono sarcastico e sul desiderio di prenderlo a schiaffi. Coventry sapeva essere indisponente oltre ogni dire - “Mentre si affannava, tra una visione e l'altra, probabilmente, ha visto william. E, sempre probabilmente, ha fatto due più due. Sapeva di poter raggiungere te, in qualche maniera, nel tempo. Oppure che, nell'immediato, Angelus l'avrebbe trovata e che così lei sarebbe giunta a William. Ha scelto in fretta e ha provocato qualche massacro di troppo, ma l'importante era vincere la guerra, non ogni battaglia. Drusilla potrebbe esserci arrivata molto vicina.”

 

Non so ancora come. Posso intuirlo. Ma è presto, presto per dirlo.

 

È possibile, per quanto soffra a dirlo...” - aggiunse, martire, per sviare la conversazione - “Che sapesse persino che io avrei trovato te. E che io ti avrei portato qui.”

Edward non lo interrompeva. Lo fissava soltanto, in silenzio. E methos si ritrovò a pensare a william che, con lo stesso sguardo, aspettava inconsapevole dalle sue labbra la certezza del proprio destino.

 

Si raddrizzò, alzando la testa. E Spike sentì un brivido, tangibile, incontrollabile. Era l'eternità divenuta carne, era la storia della terra, degli uomini, del tempo passato diretto al futuro. Era tutto questo, in un guscio trasandato chiamato Methos. E mai prima, mai prima di allora, si era svelato in questa sua forma.

 

Questo è il momento della tua scelta, libera e umana, uccisore delle cacciatrici, William il sanguinario, sangue dei Coventry... Spike.” - e Spike suonò come un tuono, nel silenzio - “Combatti per ciò che ami, ora, scegli come essere che ama, odia, soffre. Scegli. E non voltarti più indietro.”

 

E Spike respirò. Si, respirò, a fondo, come se aria giungesse ai suoi polmoni, come se la vita gli passasse nelle vene senza frenarsi per la morte, per la demonicità, per l'anima venduta all'inferno eppur tornata.

 

Si, sta per accadere qualcosa. E già si libra su di noi.

 

Ascolta l'Antico, William, sussurrò Angel, riempiendo la sua anima. Ascolta l'Antico e afferra la luce che ti è stata sottratta.

 

Cerca Edward. Trova Edward. Salva Edward. E non voltarti mai più indietro.

 

Mai più.” - aggiunse Faith, apparendogli, lattiginosa, evanescente, dietro le palpebre chiuse - “Perchè nel domani saremo per sempre intrecciati. E per sempre a cavallo di luce e ombra.”

 

Tu lo senti.” - fece eco Methos - “Tu lo senti accadere. È come aria troppo fredda, è come un sorso di vita dalla coppa di dio.

 

È la reminiscenza, Spike. È il dono del sangue di Edward.

 

Compi il nostro destino. Riunisci il sangue.

 

Come te, William non sa nulla di questa storia.” - aggiunse, spietato - “Non ci siamo sentiti in dovere di informarlo. Deve scegliere liberamente e consapevolmente, non perchè le persone di cui si fida gli farciscono il cervello di interessanti stili di vita. Se vorrà, riuscirà. Tu cerca di fare altrettanto.”

Lo sapeva di sicuro. Come vorrei prenderla a calci.” - concluse. E poi, in un ripensamento, aggiunse sottovoce - “E vorrei prendere schiaffi anche te, Sinead Doyle.”

 

Andiamo... l'ho fatto per te...”

Sinead, fammi una torta, stirami il bucato... ma non trapanarti il cervello per farmi un favore.”

Tu non mi apprezzi.”

E' vero.” - methos le porse un fazzoletto pulito e prese in consegna quello insanguinato. Sinead se ne stava sdraiata al centro del letto, con aria decisamente contrariata. Una cosa era avere mal di testa e visioni, un'altra sangue dal naso e svenimento. Il suo amor proprio ne risentiva, quasi quanto il buonumore di methos.

Fatto per me... per vedere cosa, poi... ho sbancato l'enalotto? In che anno?”

No, niente del genere. Però ho visto che ti invischierai ad altissimi livelli con gli eroi. Te lo dico così cominci a pensare a cosa mettere in valigia. Hai circa dodici... no, sedici, sedici anni.”

Stai scherzando, spero...”

No, certo. Non ho senso dell'umorismo. Comprati un bell'appartamento a LA, ti servirà di sicuro. Potresti portarci la tua collezione di vini.” - si interruppe, massaggiandosi una tempia con aria preoccupata - “No, quella sarebbe meglio di no, ho visto un mare di cocci. Ah, appendi l'arazzo di Teodora dietro la scrivania, ci starà benissimo.”

Vuoi anche dirmi il colore della cucina?”

certo. Arancione. Ma so già che la vorrai acciaio. Sei monotono sui colori. Grigio, grigio..." Methos si passò una mano sul viso, con sopportazione. Quando sinead faceva così, il desiderio di strangolarla diveniva incontrollabile.

Ah, dimenticavo. Avverti Edward quando vai a vivere in america.”

Scusami?”

Edward. Edward Coventry. Lui dovrà esserci. E' un prescelto.”

La polemica già avviata gli morì sulle labbra. E methos la fissò sbalordito.

Sinead...” - brancolò.

Cosa? Ho dimenticato di dirtelo?” - si sedette, sollecita, sempre tenendo il fazzoletto sul naso - “dunque, vediamo... devo averlo scoperto quando... no, quella volta era suo fratello. Ah, si, deve essere stato... no, nemmeno quello, riguardava una certa Principessa. Oddio. No, non mi ricordo quando l'ho scoperto. Vuoi sapere il resto?”

Il resto di cosa! Non mi hai detto niente!” - methos la afferrò per le spalle e la sdraiò di nuovo. Una sigaretta, come desidero una sigaretta - “Riparti dapprincipio, prescelto di cosa!”

Prescelto per divenire un eroe. Ma non è successo.” - puntualizzò lei, porgendogli il pacchetto e l'accendino - “E meno male perchè come immortale andrà parecchio più lontano. Solo che, a quanto sembra, continua ad avere un compito nel cosmo... qualcosa che riguarda del sangue, una ragazza e dei barbagianni inglesi.”

Barbagianni inglesi?”

Ma si, degli inglesi. Ma quelli li ho ignorati nelle visioni. Perchè sono inglesi.”

Ah, certo, capisco. Anche edward è inglese, non potevi ignorare anche lui?”

Conosci qualcuno che riesca a ignorare Edward?”

già.” - sbuffò ancora fumo, seccato, e spense la sigaretta consumata solo a metà - “Va bene, ha i requisiti per essere un prescelto, riccioli fluenti compresi. Ma io che c'entro?”

tu sei molto potente. Sarai una bella connessione. Con la tua sola presenza metterai i pezzi nei posto giusti della scacchiera.”

Sono richiesto di rappresentanza? Non devo fare altro? Allora se ne può parlare.”

Ma quanto sei pigro. Io ti parlo di connessioni cosmiche, esseri che devono incontrarsi, fratelli che si riabbracciano e tu reagisci così? Dove è finito il tuo romanticismo?”

romanti – che?”

E, di tutta risposta, sinead gli aveva rifilato una spinta.

Che stupido.” - aggiunse, ridendo. Methos sorrideva, gli occhi stretti, al bocca allargata, come suo solito. Si iluminava tutto mentre i lineamenti gli si riempivano di linee del tempo. Troppi sorrisi, un millennio sull'altro, lo avevano scavato con la morbidezza dell'acqua sulla roccia - “Methos, sono seria, non fare così!”

Così come?” - ribattè lui, baciandola - “Così? Ma, se tu stai dicendo la verità, dovrò essere molto serio tra quattordici anni... tanto vale ridere ora... e mettersi avanti con il lavoro...”

 

Ridere... e attendere... attendere un domani in cui non ci sei...

 

Tu e William vi siete persi, ma eravate destinati a ritrovarvi. E questo lo hai sempre saputo. Lo credevi impossibile, ma era solo improbabile. Eddy, sei stato come tuo solito melodrammatico nelle conclusioni.”

Bel conforto. Hai una vaga idea di ciò che devo fare? Devo chiedere ad Angel il vademecum dell'eroe o improvviso?” - Edward gli rifilò un'occhiata obliqua. E methos si sporse, fino ad afferrarlo per il collo e trascinarlo in un abbraccio.

Lascia perdere le cazzate da vecchie pergamene.” - sussurrò, stringendolo forte e sentendolo ricambiare con la stessa preoccupazione - “Ogni cosa che farai, ogni scelta che deciderai di compiere, ogni destino che inseguirai saranno frutto della tua forza e delle tue certezze. E di nient'altro. Perchè tu sei Edward Coventry e, in seimila anni di onorata esistenza, non ho visto nulla che possa eguagliarti.”

 

London

 

I nostri ritmi vitali ci avrebbero permesso di portare avanti quella conversazione per anni sui pro, i contro, le sfumature di concetto.” - aggiunse Methos con aria svagata. Edward non era ancora riapparso, era il momento ideale per dire qualcosa di magnifico - “Ma erano le vite delle persone che ci circondavano che correvano troppo veloci, potevamo solo adeguarci e tornare successivamente all'argomento. Ma la verità è che non l'abbiamo mai fatto. Non c'è mai più stato bisogno di un chiarimento. Quando ci rivedemmo, con il tempo per sederci e discutere, il destino di William si era già compiuto. Le parole erano ormai obsolete. I fatti ci avevano ormai travolti. E a me è rimasto il rimpianto di una frase non detta.”

Respirò a fondo, abbassando gli occhi

Credo che una volta Angel abbia detto che spike è la bellezza del guerriero con gli occhi del poeta. La bellezza del guerriero con gli occhi del poeta...” - piegò la testa, divertito – “Non ho mai saputo dire niente di altrettanto efficace per definire edward. Ma quel giorno, quel giorno, mentre discutevamo e tutto precipitava attorno a noi, ho solo pensato che edward fosse magnifico. Semplicemente magnifico senza spiegazioni. E non ho avuto il tempo di dirglielo.”

Respirò a fondo, rassegnato. E sorrise.

Vai avanti, piccolo irlandese.” - aggiunse, indicando con il mento Doyle - “Scommetto che smani di raccontare quello che stavi facendo mentre io duellavo con Coventry.”

 

***

 

Los Angeles

 

Doyle, io non sono convinta.”

Lo so.”

Allora fermati, non posso permettertelo.”

Ci devo almeno provare.”

Possiamo cercarla nei soliti posti che frequentava oppure...”

Cordelia, no! Non sto cercando Darla.” - le aveva posato le mani sulel braccia, per frenare ogni forma di lamentela. Aveva la pelle fredda, il magazzino di Lorne non era il posto più caldo e accogliente che esistesse ... e Doyle, senza pensare, le carezzò la pelle, cercando di scaldarla - “Devo saperne di più su Spike e Faith.”

Su Spike e Faith? Ma che c'entrano ora Spike e Faith! Darla li vuole morti ma non credo che...”

Sta per succedere quallcosa a quei due ragazzi, Cordy. Qualcosa di brutto.”

Cos...” - Cordelia si interruppe. E lo fissò negli occhi azzurri, enormi e disperati - “Doyle, di cosa stai parlando!”

La stirpe delle cacciatrici sta per finire, Cordy. Faith è l'ultima. Con lei finirà la discendenza.” - le mani del demone la strinsero, facendola sussultare - “Io voglio essere certo che non muoia. E che, nel caso accada, Spike non la segua.”

Cordelia sembrava paralizzata. Aveva gli occhi sbarrati e lo fissava, sconvolta.

Ho bisogno del tuo aiuto.” - la implorò - “Ti prego, principessa.”

Promettimi.” - promettimi che non mi lascerai - “Promettimi che mi sposerai.”

 

Doyle rimase bloccato.

No, forse ho capito male.

 

Scusami?”

Sposami. Quando tutto questo sarà finito sposami.” - Cordelia sembrava invasata. Dall'immobilismo all'iperattività - “Promettimi che avrò il vestito bianco, i confetti e tutto il resto perchè non ne posso più di nient'altro che guai guai guai. Ti prego!”

Ehm.. ok.”

Ok.. è ok.”

Certo, è ok.” - la afferrò, scoccandole un bacio sulla bocca- “Ok. Ti sposo. Mi aiuti adesso?”

C-certo.”

Ti prometto che dopo mi metto in ginocchio e mi dichiaro, va bene?”

Sicuro. Ok, da cosa cominciamo?”

 

London

 

Per un soffio non ho mantenuto la mia promessa.” - Doyle sorrise, dolce - “L'incantesimo che dovevamo compiere non era più complesso di quello che usavamo su Wes per contattare Drusilla. Solo che avevo trascurato la mia parte demoniaca e il fatto di essere stato già una volta manipolato da Drusilla. Le cose non andarono come dovevano. Ebbi la visione, certo. E anche in maniera dettagliata, a quanto ho visto. Solo che, quando stramazzai a terra, lo feci per non rialzarmi più.”

 

LosAngeles

 

Vampiro?” - Faith si avvicinò a Spike, guarandolo, interrogativa. Poco lontano, Angel parlava al telefono, con aria incredibilmente rilassata - “Che succede?”

Quello là...” - spiegò, indicandolo - “...parla con la sua ex. E fa il coglione.”

Con Buffy? Ma proprio adesso doveva decidersi a dichiararsi?”

Non con Buffy.” - Spike lo rifilò un'occhiata inceneritrice - “Con Darla.”

Con Darla? Con Darla! E come fa a parlare con Darla?”

Necromania.”

Necrocosa?”

Lascia stare.” - si raddrizzò, disgustato - “Vado fino a casa, ci servono delle armi. Vuoi venire?”

Non aspetti di sapere il responso?”

A che pro... Darla non gli dirà dove si trova.. ed Angel ricomincerà a spaccare i mobili. Torneremo per tempo...”

 

London

 

Il quadro di Spike era molto attendibile. In effetti, sarebbe andata proprio così. Solo che... solo che, a metà della chiamata, io diedi il mio meglio. E Darla si prese il telefono sul naso.”

 

LosAngeles

 

L'urlo di Cordelia era stato raccapricciante. E Wes, correndo, aveva incrociato Edward e Methos.

 

Al centro del magazzino, c'era Doyle. Aveva gli occhi bianchi.

Con un brivido, Wes lo rivide, come era stato già una volta.

 

Doyle.” - mormorò Methos, gettandosi in ginocchio e afferrandolo per le braccia. Lo avrebbe scosso, non avesse avuto paura di sbriciolarlo - “respira a fondo. E parlami.”

Doyle lo fissò, gli occhi azzurri iridati di bianco. Le visioni distorcevano la visione del reale, Methos era tutt'uno con le immagini in movimento.

Drusilla lo prende.” - spiegò, con voce stranamente piatta. E Spike ne ebbe così il terrore che temette di non poter controllare lo stomaco, per la paura e il disgusto.

Doyle sembrava un vegetale. Un vegetale dotato di voce senza anima.

 

Doyle. Senza anima.

 

Represse un conato. E vide Faith tenersi la gola, appoggiata al muro. Lo stesso identico palpabile orrore.

Doyle, come un oracolo, levò la testa verso di lui.

Spike, la lama entra, la lama esce.” - si inidcò un punto nel petto - “La bambola sta a guardare.”

 

Istintivamente, iniziò a recitare l'incantesimo con cui lo aveva già salvato in passato.

Ma Doyle sorrise. E scosse la testa.

Mi spiace, non funzionerà.” - comunicò con una voce senza emozione, mentre alle spalle di Wes giungevano anche Anya e Halfrek - “Sono andato oltre.”

Sorrise ancora. E la vernice spray che stringeva tra le mani cadde, rotolando fino ai piedi di Methos. E una lacrima scese sulla guancia.

Mi dispiace.” - disse soltanto, guardandolo. E scivolò a terra.

 

***

 

Aveva le convulsioni. E Cordelia, piangeva, senza freni. Ma Cecily non lo soccorse assieme agli altri. Come Dawn avanzò, in silenzio, fino alla parete.

 

C'era un esagono stellato disegnato sul muro. E la vernice colava dai contorni, come sangue.

 

Ho già visto quello schema...” - sussurrò la chiave - “... significa guai... guai all'infinito...”

 

Adesso sappiamo come funziona la partita. Se abbiamo azzeccato il meccanismo, adesso girerà più in fretta. Non si gioca mai una partita ad armi pari in una situazione del genere. Perderemo il nostro vantaggio molto in fretta."

 

Non è la prima volta che Doyle lo disegna. E allora abbiamo combattuto con la morte.

 

La morte di Faith. Quella di Spike.

 

Faith e Spike. Non può essere...

 

Si voltò, cercandoli nella confusione. Ma non c'erano. Faith e Spike non erano corsi nel magazzino. E non erano più al Caritas.

 

E, comprese con Dawn con gelo sotto pelle, se ne erano andati per non tornare mai più.

 

London

 

E come.. insomma...”

Come sono tornato?” - chiese Doyle gentilmente - “Alla solita maniera, con un miracolo.”

Si alzò, con calma. E avanzò verso la prima fila, verso quei ragazzi che lo fissavano con gli occhi sbarrati.

 

Tornato dalla morte, così tante volte da aver perso il conto.

 

A volte basta avere qualcuno che ci ama.” - spiegò, con dolcezza.

 

[VIII]

 

Tenendo Doyle fermo, Lorne cantava a squarciagola, con una forza ed una profondità che sembravano non essere fatti per l’ascolto umano.

Nell’istante stesso in cui la schiena di Doyle si era inarcata, propagando un tremito lungo tutto il corpo, Cordelia si era lasciata sfuggire un breve grido, prima di impegnarsi a bloccarlo. Le sue forze, la sua disperazione, non erano state abbastanza.

E Lorne era intervenuto nel modo che gli era più consono, lasciando che Methos si precipitasse al suo posto, assieme a Wes. Lentamente, al suono di quella voce, Doyle sembrò calmarsi. Poi, ad un tratto, i suoi movimenti erano cessati del tutto.

Inerte. Tutto in lui smise anche solo di palpitare.

Cordelia si coprì la bocca, come se volesse impedire all’aria di entrare. E guardò Lorne.

Lorne, che si abbandonava contro delle casse di liquore.

Stravolto.

Annientato.

Annientato dalla consapevolezza. Ovunque fosse , Doyle era lontano.

Troppo lontano per essere raggiunto.

 

Girò la testa, reprimendo la disperazione. E vide Angel, incorniciato dalla porta.

Lo vide e seppe che ad Angel non c’era bisogno di dire nulla.

 

Doyle era morto. E nessuno di loro era giunto in tempo.

 

 

***

 

No, ti prego, ti prego Doyle.

Tutto ciò che in lei era sempre stato furia combattiva diventava disperazione.

 

Doyle, Doyle no, no, no, Doyle….” – gridava, con la voce fatta di singhiozzi, contorcendosi, cercando di sfuggire alla presa di Angel, picchiandolo con forza sulle braccia, mentre queste, implacabili, la stringevano.

Angel la teneva, sentendo quelle urla quasi disumane penetrargli nell’anima. La strinse più forte, ancora, sollevandola quasi da terra, piegandosi, per inglobarla, appoggiando, disperato, il viso su quella schiena, avvelenandosi lentamente con quel battito impazzito.

 

No,no,no.

Angel non lasciarlo andare, non possono scegliere che finisca in questa maniera.

Doyle, Doyle ti prego, no!

Non possiamo... non possiamo averlo permesso!

Forse dell'essere, non... Non potete scegliere!

 

Urla.

Le urla erano troppo. Wes fu presto a fianco di Cordy. Piangeva, irrefrenabilmente, chinando la testa, mentre Angel, ormai impotente innanzi al disastro, allentava la presa. L’ affidò a Wes e questi l’accolse tra le braccia, stringendola forte, ancora e ancora. Rimase un istante, in ginocchio, lo sguardo perso e schiantato.

 

Il cuore di Doyle era fermo. Angel non lo sentiva, non sentiva nulla. Svanito, svanito un'altra volta, nella maniera più assurda che si potesse immaginare.

 

Che vuoi farci, uomo... ho fantasia, non sono una persona pratica.

 

Eppure il suo profilo era immobile. E gli occhi erano chiusi, per sempre.

 

"Amici miei… così va meglio, decisamente. Amici miei, dicevo. Io probabilmente non riuscirò a rendere a parole quale sia la mia gioia ad essere tra voi. Una volta ho detto a Principessa che non c'era paradiso che fosse paragonabile all'essere tra le persone che si amano. Non mi pentirò mai di questa mia idea. È forse la più grande verità che potessi inventarmi. Sono tornato per un buon motivo. Sì, certo, lo sapete tutti. Sono tornato per salvare Angel, perché se qualcuno non lo tiene d'occhio, finirà con l'incasinare anche le poche cose tranquille che esistono nell'universo. Ma soprattutto sono tornato per amore. E per amicizia.

Sono tornato per tutto questo, perché faccio parte di questa terra caotica su cui camminiamo.

E quando sono qui, amici miei, la mia unica paura è di non dare a tutti voi quello che voi donate a me, in ogni giorno di questa strana vita.

Non aspettatevi grandi rivelazioni. Non ne ho nessuna.

Questo siamo noi, potete credermi. Siamo persone che sanno amare. E per quel vecchio concetto che afferma che l'amore fa girare il mondo… bhe, signori, tirate le somme di quanto ne scorre qui dentro. E portatevelo dentro. Sempre.”

 

Mentre la voce di Lorne si levava pura e profonda. Ancora. E sapeva di disperazione.

 

"A Doyle! E all'amore!"

 

Ed in quel silenzio, ognuno di loro levò il calice. E brindò alla capacità di amare, ancora. E ancora. E ancora.

 

A Doyle. A Doyle che non sa aprire bocca senza forzare le nostre anime.

A Doyle che è capace di scegliere la terra ed i suoi dannati, chiudendosi alle spalle le porte del paradiso.

A Doyle. E al mondo in cui sa parlare della nostra vita.

E delle nostre anime.

 

A Doyle. Per Doyle.

 

No, non se ne parla.” - disse soltanto. Fermo, immobile, le braccia abbandonate contro i fianchi. Girò la testa fissando Wes sopra la spalla di Cordelia - “Non se ne parla, Wes.”

 

Non lo lascerò andare. Mai.

Wes lo fissò, per un momento eterno. Poi le sue labbra inziarono a muoversi,lentamente, senza formulare un suono. E Angel annuì.

Magia. Magia allo stato puro.

Alzando gli occhi, l'osservatore cercò Anyanka. E Anya, in piedi, alle spalle di Edward, semplicemente portò la mano al ciondolo smeraldo.

 

Sii forte.” - disse soltanto, nella mente dell'osservatore - “Perchè stai per sacrificare il tuo cuore.”

 

***

 

Methos, aveva la testa tra le mani. E la alzò di scatto, quando sentì quella forza. Boccheggiò, si preparò a interromperli. E si fermò.

 

Riavere indietro Doyle. Riaverlo indietro... il suo piccolo Francis...

 

"Sarai anche amico mio?" - chiese il bambino.

E Methos si girò, per guardarlo. Indagando dentro di lui, quanto fosse profonda e disperata quella richiesta. Quegli occhi. Non erano occhi adatti al viso di un bambino. Troppe cose si riflettevano e troppe ne erano assorbite.

Troppo azzurro.

Troppo puro.

Occhi che ora raccoglievano ogni più piccolo frammento dell'espressione dell'uomo. Francis aggrottò le sopracciglia, imbronciandosi. Quell'uomo lo stava studiando e gli stava dedicando un'attenzione che mai nessuno gli aveva rivolto.

E mai nessuno, per le strade del quartiere, gli aveva trasmesso quel senso di coscienza. Erano semplici sensazioni, per un bambino come lui, come il freddo, o la fame, la paura e l'affetto.

"Sarai mio amico?" - insistette. Di colpo la risposta era divenuta necessità.

Per entrambi.

"Certo." - Methos gli sorrise, annuendo - "Per me sarà un onore."

 

Chiuse gli occhi, combattuto, respirò a fondo. Cosa... cosa fare...

 

Per te non è nulla, vero?” – domandò, senza intonazione – “Quante ne hai viste di queste cose… quello che dici è per farmi sentire meglio, anche tu… ma per te non significano nulla, tu non conosci la morte.. e il nulla che segue…”

Methos si irrigidì, sentendo come una lama penetrargli nel respiro. Rimase immobile, con quell’accusa crudele tra le braccia. Fermo.

L’eternità pesa su di me, Francis.” – sussurrò, senza respingerlo.. senza smettere di tenerlo contro il suo corpo – “Ed ora pesa anche su di te che la desideravi per Sinead. Io l’ho avuta in dono, tu la senti irraggiungibile. Ma questo non rende diverso il nostro dolore… l’abbiamo persa entrambi.”

Doyle sentì le mani dell’uomo sfiorargli la schiena e intiepidirgli la pelle nel portar via il velo dell’acqua. Restò in silenzio, in quell’abbraccio che sembrava aver perso la sua forza protettiva e il suo profumo di casa. Non c’era il tempo, tra quelle braccia, c’era il vuoto dell’assenza di cambiamento in quel cuore. Avrebbe voluto divincolarsi e fuggire da quel buio… eppure si ritrovò a rannicchiarsi ancor di più contro di lui.

Lo sentì ricambiare, sfiorargli la fronte con il respiro e chiuse gli occhi, stordito. La sua mente si aprì, lentamente, a quell’uomo così poco propenso a spiegarsi. Le sue emozioni fluirono, senza il dolore delle visioni a cui non era ancora abituato. Percepì soltanto il suo animo, il suo dolore sordo.. e la solitudine.

Una solitudine infinita…

Una paura oltre i limiti della fine, sepolta sotto mille incertezze ormai fondate.

Respirò a fondo il suo profumo e ascoltò il suo cuore che non smetteva di battere. Il cuore di Methos batteva anche se lui desiderava sentirlo fermo. Come batteva quello di Doyle.

Io ho te, pensò… ma tu non hai nessuno…

 

Le braccia di Francis si mossero e Methos attese di vederlo allontanarsi, ferito.

Poi le sentì stringerlo, forte, aggrappandosi alla sua schiena.

Ti voglio bene, Methos…” – sussurrò, con voce soffocata dal dolore e dalla paura – “Ti voglio tanto bene… papà…”

E Methos chiuse gli occhi, su quella parola che mai aveva sentito e su quelle lacrime che adesso potevano condividere.

 

No. c'è solo una cosa da fare.

 

Edward.” - lo afferrò per un braccio, stringendo - “Qualunque cosa accada, non muoverti. Non... muoverti. Per favore.”

 

Quando alzò la testa, seguendo le parole pronunciate da Wes, una densa nebbia madreperla

cominciò a sorgere dal fondo del magazzino.

E l'osservatore gli sorrise prima di chiudere gli occhi e sprofondare nella litania.

 

Magia. Lo sapevo.

 

London

 

Non state descrivendo un miracolo. Questa è magia di ultimo livello. La più pericolosa. È proibita!”

Errato.” - rispose Wes con aria annoiata. Quante discussioni, quante continue recriminazioni. La sua vita ne era piena - “Doyle è stato altamente tecnico quando ha parlato di un miracolo. C'erano molte forze in ballo, le abbiamo usate tutte. Ma non saremmo riusciti non avessimo voluto... non saremmo riusciti in nulla, se non lo avessimo amato così tanto....”

 

LosAngeles

 

Le labbra di Wes mormorarono ancora qualcosa. Poi tacquero.

E, per un lungo istante, nulla accadde.

 

Poi la terra tremò. Le casse del magazzino si rovesciarono. E Anya sentì un brivido salire dalle profondità della terra. Un gemito, mentre le porte tra i mondi si spalancavano.

Vai.” - disse soltanto, cercando di non pensare all'angoscia che le dava quel comando. Ed Angel si alzò, correndo verso uno squarcio di luce sempre più ampio.

 

***

 

Quando svanì nel bagliore, Wes corse urlando con tutto il fiato che aveva nei polmoni. E l’avrebbe seguito, se Anya non fosse stata più veloce di lui. Lo vide correre, con la coda dell’occhio. Correre. E nell’attimo in cui si rese conto di dover scegliere per entrambi, si gettò in avanti.

E lo afferrò per la vita.

Wes cercò di liberarsi, ma Anya aumentò la presa con la magia, bloccandolo a terra. Scalciava. La sua voce saliva alta.

Lasciami, dannazione, dannazione, lasciami!”

Sembrava non poter smettere mai.

 

Angel. La sua vita per quella di Doyle.

Sacrificare il proprio cuore aveva adesso, un significato ben preciso.

Angel non sarebbe tornato.

Oppure sarebbe tornato il suo guscio, mentre la sua anima, sulla bilancia, sarebbe stata abbastanza per quella di Doyle. Uno dei due, uno solo.

 

Ovunque fosse, la battaglia di Doyle era iniziata. E Angel l’aveva raggiunto.

 

Non più una lotta contro il tempo.

Una lotta dentro.

Dentro all’eternità.

 

Con una sola certezza.

Angel non sarebbe tornato senza la sua anima.

 

***

 

"E se fosse tutto senza un perché?"

"Il perché non cambia ciò che faremo, Spike. Si scelgono le azioni, non i ruoli…." - Doyle si girò e gli sorrise - "Almeno, nel nostro caso, dobbiamo stare al gioco…"

 

Doyle. Spike si fermò, di colpo. E si voltò, preoccupato, verso la Cacciatrice.

 

Che succede?”

E' Doyle.” - rispose. E un'ombra gli passò ancora negli occhi un dolore alncinante alla testa lo obbligò ad appoggiarsi al muro - “Ed Angel.”

 

Si piegò su se stesso, ansimando, la mano sul petto. Gli avevano strappato il cuore, lo sentiva, angel era di nuovo il vuoto della notte in cui era scomparso... una notte, tanto tempo fa... tanto tanto tanto tempo fa...

 

"William, posso farti una domanda?"

"Angel, lo sai che i nostri problemi sono cominciati proprio con questa frase?"

"Mi hai sentito morire quando Buffy mi ha ammazzato?"

"Sì" - infine rispose - "Ti ho sentito."

 

La strada era deserta.

Ma è logico.

Stanotte si combatte per il mondo…

La Cacciatrice contro il grande Angelus, della stirpe del Maestro.

Il Terrore del vecchio mondo contro una ragazzetta bionda e insulsa.

Con spina dorsale. E forza.

Non disprezzabile, tutto sommato. Che vampiro potrebbe essere…

Drusilla dormiva, rannicchiata sotto il suo braccio. Ancora non sapeva quanto fossero già lontani da Sunnydale.

Dove stessero andando?

Avrebbe potuto chiederlo alle stelle.

E, in quell'istante, mentre la radio perdeva il segnale, il mondo sembrò avere uno scarto.

La terra sussultò, perché tutti sapessero. Sapessero che non erano finiti nel pulviscolo stellare.

Ma per Spike e Dru si trattò di ben altro.

Il cuore di Spike divenne ghiaccio. E Dru si svegliò, sbarrando gli occhi. Brancolò e Spike la trattenne, perchè non fuggisse lontano, incontro alla luce.

Il cielo conobbe un arcobaleno, ma i loro occhi videro solo il nero della scomparsa.

Spike si appoggiò al volante e chiuse gli occhi. Li chiuse, picchiando colpi regolari.

La litania di Drusilla gli mozzava il respiro.

Scese dalla macchina ed accese una sigaretta. Poco lontano nel deserto, soffiava il vento. E Spike lo prese a calci, con rabbia.

Urlò.

Ed il suo dolore divenne un fischio nel buio.

Pestò i piedi, colpì il paraurti.

E gli sfrecciarono nella mente i poeti inglesi della sua giovinezza.

Un ricordo, vecchi versi e parole ormai scardinate dal loro contesto. Urlò ancora e lanciò lontano la brace ancora rossa. Drusilla lo cinse alle spalle. Posò il capo sulla sua schiena, ascoltò il battito disperato del suo cuore. Del Cucciolo ormai orfano di un idolo.

Ma le stelle già le sussurravano un nuovo segreto.

 

"E' stato brutto."

Ma preferì non aggiungere altro.

 

No, non c'è null'altro da dire.

 

Dobbiamo tornare indietro.” - sussurrò soltanto, sentendo la morsa comprimergli la gola.

 

Io non credo.” - disse un'ombra sbarrando loro la strada. E una seconda chiuse l'altro lato della galleria - “Credo proprio che resterete qui.. per sempre.”

 

Erano in trappola.

 

***

 

London

 

Il tempo era cessato. Restava solo un’atmosfera vischiosa e dolciastra. Quasi lo spazio fosse diventato miele, impediva loro di muoversi. Il cuore di Cordelia era una ferita, come uno spazio vuoto ormai colmo di dolore. Tutto attorno, nessuno osava parlare. Eppure... c'era una luce. No, i nostri occhi non ci tradivano. Una luce dentro un bagliore. Wes…, mi sussurrò Cordy, aggrappandosi al suo braccio e sbirciando oltre. Wes, guarda.”

 

Si interruppe. E fu Methos a proseguire, con lo stesso tono di voce.

 

Una luce. Una piccola sfera danzante. Una fiamma fredda, in un suono fatto di tintinnii. Una luce, verso Doyle. Una piccola luce danzante, sopra al petto di Doyle. Lorne, saltato nuovamente in piedi, la fissò, mentre baluginava, soffermandosi sullo sguardo di Cordy. La luce, la luce sembrava guardarle dentro, con una sfumatura azzurra e cristallina.” - sorrise, alzando gli occhi al soffitto. Cos le lacrime sarebbero tornate dentro, da qualche parte - “E Cordelia ricambiava lo sguardo di una forma senza occhi, una forma appagata che si voltava verso Lorne, che orbitava fino a lui, abbassandosi, fino sfiorargli la mano, quasi fosse un gattino fremente di fusa. Lorne alzò la mano e la luce, senza toccarlo, girò attorno alle lunghe dita.”

 

Alzò le dita, quasi teatrale. Ma nessuno osò fare un commento.

 

Lentamente, la piccola sfera danzò verso l’alto, fino al soffitto. Ondeggiando, seguendo un valzer leggero, mentre gli sguardi di tutti coloro che la seguivano come un corteo. Poi, la luce scattò. In picchiata, come un lampo, nel petto di Doyle, facendolo sobbalzare e schiantare nuovamente. Le sue membra aderirono nuovamente al pavimento, come una cosa inanimata e morbida poi, sotto i loro sguardi, riacquistarono vigore. Non si trattò di forza, nè di resistenza, fu come se muscoli avvizziti si gonfiassero di sangue, tornando turgidi.”

 

Un colore, un’ombra… Nessuno sapeva dire cosa fosse.

Una cosa sola era certa.

Su quel pavimento, tra cocci e confusione,il petto di Doyle si alzò aritmicamente, impegnandosi in un respiro flebile quanto insperato.

 

Lo sentiste? Vi sentiste tornare dalla morte?” - domandò allora uno dei più coraggiosi.

Non esattamente.” - ammise Doyle - “Ricordo solo che aprii gli occhi e, come la mia anima, cercai il viso di Principessa. Non potevo sapere che avevamo appena barattato la mia vita con qualcosa di più eminente.”

 

Il silenzio in sala divenne ghiaccio. E tutti lo respirarono, in atesa che qualcuno parlasse. E chiedesse.

 

E così... il Flagello d'Europa...”

No, no.” - Wes scosse la testa, rassicurante - “Il flagello ha tante risorse, anche se per un attimo abbiamo pensato tutti che le avesse esaurite in un ultimo eroico sacrificio. Purtroppo per lui, le battaglie da combattere erano ancora molte. Sono ancora molte. E così, come già una volta dall'inferno...”

E senza magia?”

Andiamo, ad Angel non serve la magia.” - li interruppe Edward. Era in sala, nuovamente contro la porta, intenzionato a non tornare più al centro - “Gli basta un pizzico di iniziativa personale e, se è possibile, se il caso lo permette, una luce guida.”

Sorrise, gentilmente. Poi, mentre methos alzava gli occhi al cielo, Edward si indicò con un pollice, con vera spacconeria. E nessuna modestia.

 

***

 

LosAngeles

 

Una luce, una luce ancora, una luce che, sorta da un respiro, si alzò sotto il loro sguardi annichiliti.

L’anima fuoriusciva dal petto di Doyle e dolcemente l’abbandonava. Cordy protese le mani, istintivamente, per comprimerla, ribatterla in quel corpo sofferente. Ma Lorne la fermò, prontamente. Le afferrò il polso e la trattenne.

 

No, aspetta. È Doyle, devi credere in lui.” - disse, anche se suonava assurdo dopo l'accaduto. Credi in lui. E Doyle le afferrò le dita, la guardò, scotendo appena la testa, parlando con tutto il suo essere senza parole.

 

Devi fidarti di me. Solo io posso difenderlo.

 

La luce si levò alta e ripercorse il suo cammino, sopra le loro teste mentre Edward, come un sonnambulo, si girava, per seguirla, almeno con lo sguardo.

La luce si spostò leggiadramente, fino ad abbassarsi ancora, di fronte a lui.

 

E l'immortale, che davanti a poche cose era arretrato nella sua vita, retrocedette. Camminò a ritroso, fino ad essere al centro dello stanzone. E si fermò, quando la luce, iniziò a girargli intorno, curiosa.

Edward, con lentezza, alzò le dita. E sembrò comprendere.

 

Non sono William.” - disse, scandendo le parole - “Ma il suo sangue scorre in me. Tengo a te, fratello. Torna indietro.”

 

Torna per William. Torna per me. Ascolta il mio sangue, percepisci il mio battito.

Ritorna. Torna alla luce e per la luce.

 

Io ti dono la mia reminescenza.

 

La luce fremette, si espanse, obbligandoli a chiudere gli occhi. E scattò improvvisa, come un proiettile, scompigliandogli i capelli, nello sfiorargli la guancia e le lacrime. Si, le lacrime. Dritta verso il bersaglio, laddove, fino a pochi istanti prima, era stato il Portale.

E il portale si riaprì, per una frazione del suo spazio, ma dall’incontro con la piccola luce, scaturì una fiammata, un disco bianco, come un’esplosione, che si propagò, riempiendo lo spazio di bagliore.

Passò loro attraverso, colpendoli, lasciando che si coprissero disperatamente almeno il viso, senza lasciare ferite sui loro corpi. E quando il bagliore scomparve, nel riassorbirsi verso il fulcro, si delineò, stesa sul pavimento, una forma, una figura umana dagli abiti stracciati e sanguinanti, un’anima stravolta, così provata da essere percepibile da tutti loro.

 

Una fisionomia di puro e captabile sentimento.

 

Rimasero impietriti, mentre Angel, puntellandosi a stento, si rialzava, fino a trovarsi in ginocchio. Tremando.

 

 

***

 

Halfrek, dobbiamo fare qualcosa.” - ripetè per l'ennesima volta Dawn, correndo in direzione dell'Hyperion – “Devono essere andati a casa a prendere le armi, Angel stava parlando al cellulare con qualcuno e, dopo, Faith e Spike sono spariti. Chiamali ancora, chiamali!”

Ai cellulari non rispondono.” - ripetè per l'ennesima volta il demone. La loro conversazione era come congelata su quei due ritornelli - “E io non riesco a sentirlo, Dawn. Non sento Spike da nessuna parte.”

 

E' svanito. Svanito.

 

Non può essere andato lontano, cacchio!” - iniziava a sentir cedere i nervi, iniziava a pensare che era ora di telefonare a sua sorella - “Halfrek, concentrati ancora!”

No, calmiamoci.” - la afferrò per un braccio e se la tirò vicino - “Così è inutile e pericoloso. Vieni con me.”

 

E insieme scomparvero in una nube violacea.

 

***

 

Li tenevano per le braccia, li frenavano come potevano. E, dannazione, ci riuscivano.

Spike si divincolava, ringhiando, ma un ennesimo colpo al torace, piegandolo in due, lo stravolse tanto da farlo tornare ai lineamenti umani. E il suo aggressore ne approfittò per un secondo attacco.

E un terzo.

Il sussulto al suo fianco, simile a un gorgolio, gli fece intuire come Faith stesse subendo lo stesso trattamento.

Poi, mentre voltava la testa nel tentativo di vederla, una mano gli afferrò il mento obbligandolo a rialzare la testa.

Passerotto, per cortesia.” - disse la voce del coltello, un coltello che gli segnava il viso dalla tempia al mento con decisione - “O mi vedrò costretta a essere meno educata con la tua fidanzatina... non vorrai mica che pensi che la nostra famiglia non conosce l'educazione...”

Puttana.” - rispose spike, senza perdere tempo in convenevoli. E il gemito di faith lo fece pentire all'istante della propria volgarità.

Appunto.” - confermò darla. E il coltello ancora sporco del sangue di Faith gli percorse le labbra - “Era proprio quello che ti chiedevo di non fare....”

Che cosa...” - si trattenne, mordendosi le labbra. Il battito di Faith era... serviva tempo. Ingoiando bile, mutò tono - “In cosa posso esserti utile, Darla?”

Meglio. Decisamente meglio.” - la vampira annuì, stando al gioco, il pugnale ancora tra le mani minute e nervose - “Adesso non posso illustrarti la situazione, sono attesa altrove. Ma sono felice che tu sia collaborativo. Del resto... Chi meglio di te può aiutarmi a uccidere Angel?”

sorrise, dolce. E, per un suo cenno, spike e faith vennero trascinati via.

Poco dopo, con un dolore lancinante, spike sentì scendere le tenebre.

 

E, nello stesso istante, come una fiamma in fondo a un tunnel, come una piccola trascurabile luce, sentì nuovamente Angel.

 

Andrà tutto bene, sussurrò, prima di sprofondare, andrà tutto bene, ora.

Angel mi troverà. Angel ci troverà.

 

E, nell'agghiacciante urlo di Faith, perse coscienza del circostante.

 

***

 

Non bastò un attimo per capirlo.

Edward mosse qualche passo, prima di fermarsi.

Un’allucinazione. Uno scherzo.Nient’altro.

Poi, in un frammento di tempo, gli sfrecciarono innanzi immagini sconnesse, immagini di quell’ultimo anno passato, a ritroso, indietro, fino alla propria morte, in un vicolo londinese, con una pallottola in corpo. E, questa memoria lo percorse, come una lama.

 

Io dovevo essere qui. Ora.

 

Angel si alzò, con movimento liquido. E, con una spinta gentile, lo obbligò a restare seduto, inginocchiandosi di fronte. L'immortale lo fissò, in silenzio. E Angel gli sembrò calmo e forte.

 

Respira, con lentezza.” - sussurrò il vampiro. I polmoni di Edward si stavano contraendo di nuovo, senza motivo - “Sai perchè ti stia succedendo?”

Edward annuì.

E' il monito del destino.” - rispose soltanto, sottovoce - “la morte mi attendeva. E non è riuscita a prendermi...”

 

Dovevo morire.

Ma qualcosa è cambiato.

 

Ed ora, per la prima volta, ho paura di questo futuro scritto da una mano che non fosse divina.

 

Ogni mio passo, ogni mio pensiero... qui, ora.

La mia reminiscenza.

 

Le fine di ogni mio terrore.

 

Ma ora combatti, perché il mio sangue che hai versato reclama questo diritto. Se non combatti per la tua vita, allora combatti per la tua missione.”

Dove vuoi arrivare…” – gli sussurrò Angel, al loro ennesimo incontrarsi – “Non vuoi morire e non vuoi uccidermi. Dove vuoi giungere, in questa tua impresa…”


 

Qui. Volevo giungere fino a qui.

 

Si voltò, cercando conferma. E Methos, Methos che piangeva senza calmarsi, a singhiozzi scomposti, semplicemente annuì. Annuì e cercò di sorridergli.

 

Tu non sei la dannazione di William. Non sei il vendicatore contro Angel.

Tu sei la loro salvezza.

Lacrime. Edward. E sangue.

 

Edward si girò su se stesso, afferrando un vecchio telo di copertura, scotendolo dalla polvere. E forse fu quella lana ruvida, posta a forza nella sua mano, che lo riscosse del tutto, dandogli chiarezza. Corse fino a cadergli in ginocchio di fronte, quasi scivolando sul pavimento.

Poi restò fermo, non osando toccarlo, mentre Angel alzava lo sguardo verso di lui.

 

Con occhi neri, senza pupilla.

Con occhi che, nell’incrociarsi con i suoi, tornarono vivi e brucianti di quel buio.

 

Lentamente Edward gli passò un braccio attorno al collo e lo avvolse.

Angel era seduto a terra, una mano sul ginocchio, come chi tenta di rialzarsi, ma l'immortale non si curò di quel desiderio e lo avvolse solo strettamente, serrando i lembi con le mani.

E fu allora che quell’anima dannata gli sorrise, con un sorriso da monello.

Un sorriso irriverente, nei confronti delle lacrime che riempivano gli occhi di entrambi.

 

Sei un immortale” - Mormorò Angel, senza interrompere la pressione della spada sul suo collo. Guardandolo sorridere, in una beffarda conferma. E poi dischiudere le labbra. E rispondergli.

Al fianco hanno ancora le spade, in mano i loro archi neri. Ma se hanno staccate le teste i cuori non ebber domati; Furono più che valenti: da morti restano sempre guerrieri.”

 

Da morti restano sempre guerrieri. Non dimenticarlo. E loro ti trarranno fuori dal paese delle ombre. È così, Dru? Davvero?

 

Angel era tornato.

 

Edward gli sorrise, poi iniziò a ridere sommessamente, mentre lo attirava verso il petto, stringendoselo contro, a occhi chiusi. Lui, la coperta e le sue escoriazioni. Angel, sorprendentemente, ricambiò l’abbraccio, afferrandogli il maglione con entrambe le mani, scotendogli il torace con le risate che non riusciva a trattenere.

 

Sei la luce, la luce per cui combattere, la luce a cui voglio tornare. Spike non ha fatto altro, per tutta la vita che indicarmi questo cammino. Fino alla luce. Per la luce.

Attraverso la luce.

 

Anche con la mia oscurità.

 

Quando, alzando lo sguardo verso un’ombra, vide Wes, gli tese una mano.

Una mano fredda e tremante. Ma forte, concreta.

Una mano da stringere con forza.

Da amico ad amico.

Una stretta di mano che diceva molto, per il cuore di un compito Osservatore non avvezzo ai sentimentalismi.

 

London

 

Domande?” - chiese Wes, a quel punto, quasi per provocare.

Molte.” - replicò un ragazzino, in prima fila. Ed Edward piegò la testa nella sua direzione, sorprendendosi nello scoprirsi fissato.

Aveva i capelli biondi, scompigliati e sembrava William. Il William dei sedici anni, con troppi sogni e troppe domande.

 

William, che sentiva di poter andare lontano ma non sapeva dove.

 

Veramente Edward… non ci sto pensando.”

Sul serio?” – si era appoggiato al davanzale su cui il fratello stava seduto – “Eppure non sono convinto.”

No, sul serio.” – scosse la testa, con calma – “Non intendo pensarci… o crucciarmi. Significherebbe dargli un’importanza che non merita.”

Interessante come teoria.”

Funziona.” – una lieve alzata di spalle che lo fece sembrare ancora piu' giovane – “Nella vita bisogna tenersi strette le cose, ad oltranza… ma solo se ne vale la pena. E quando qualcosa va storto, come ora… pensarci significa dargli importanza, rendere tutto basilare.

Ma, se una cosa e' sbagliata…non e' niente…”

Si interruppe, come se avesse perso il filo del discorso.

Mettiamola cosi', Edward.” – concluse – “Combattiamo con forza per cio' che amiamo… e combattiamo con ancora piu' forza cio' che non avremmo voluto perdere. Il resto non ha nessuna importanza.”

 

Possiamo provare a rispondere. Scegli un domanda.” - aggiunse, con lentezza. Non ho fatto altro che cercare risposte per entrambi, per il mio fratellino - “Ti chiarirò le idee, se ne sarò capace.”

E' vero?” - insistette il ragazzo, ignorando i presenti, ignorando le parole di Wes, quelle di Methos in sottofondo. Era il ragazzo che aveva portato lo scotch a Doyle. Ed ora guardava Edward apertamente, con rispetto - “Siete luce allo stato puro? Così potente?”

Lo è.” - sussurrò Methos, guardandolo, con affetto - “Lo è sempre stato.”

Edward non rispose, non negò, ma attraversò la sala con passo sciolto, lungo. E si piegò sui talloni innanzi al ragazzo.

Ascoltami bene. La luce non è mai in noi.” - rispose, con calma - “Se esiste, non è mai visibile e noi la ricerchiamo all'infinito negli altri. È questa la nostra forza, il credere che negli altri esista qualcosa di eterno da salvare. Angel era l'eternità per me, l'eterno ribellarsi al buio per giungere a uno scopo ultimo. Se l' ho fatto non è stato per la luce che portavo in me... ma per la luce che da sempre scaturisce da mio fratello. E per quella che angel nasconde e crede di non avere.”

 

Nulla dovrebbe mai spegnere la luminosità di chi corre al proprio destino.

Uomo, vampiro, dannazione o redenzione.

 

Si impara a fatica.” - aggiunse, guardando il ragazzo e rialzandosi - “Non chiederti se possiedi la luce, chiediti se puoi trovarla in chi ti circonda. E se sei in grado di difenderla.”

 

Io l'ho fatto. E non ho più motivo di voltarmi indietro con un singolo rimpianto.

 

Tutti tacevano. Le domande, le molteplici domande evaporavano in quella singola risposta. Si, Edward era luce, luce come sempre, si ripetè testrdamente Methos. Ed il resto, innanzi a lui, semplicemente si annullava.

Ho capito.” - replicò il ragazzo, annuendo. E strinse gli occhi, con attenzione - “Mi perdoni per l'interruzione. Potete proseguire, per favore?”

 

***

 

Los Angeles

 

Edward non l’avrebbe più lasciato andare se, ad un tratto, non si fosse sentito sussurrare in un orecchio.

Aiutami.”

E senza pensarci due volte, lo afferrò e lo mise in piedi.

Angel gli puntò le mani sul petto, riempiendo nuovamente lo sguardo di fermezza, facendo sparire, nello sforzo, ogni segno di dolore che poteva trasmettere.

Ce la faccio da solo.” – aggiunse, lasciando scivolare la coperta e dirigendosi, barcollante, verso Doyle, lasciandosi andare sul pavimento, vicino alle gambe di Cordelia, mentre questa lo guardava con occhi sbarrati.

Doyle, giaceva con il volto nella sua direzione.

Si protese fino a toccargli il cuore. Una mano, per sentire il battito.

E Doyle aprì gli occhi, i suoi occhi azzurri.

Ciao uomo…” – mormorò, abbozzando un sorriso. E sembrò giusto a tutti che fossero le prime parole dopo il ritorno.

Forse dovresti salutare Principessa, prima…”

L'altra volta ho slautato lei per prima... Ma se si china, potrei anche baciarla… senza… visioni…”

Cordelia non se lo fece ripetere. Lo baciò più e più volte, afferrandogli il mento con la mano, prima voltarsi. Guardandolo con un’adorazione che, in tempi migliori, le avrebbero tutti maliziosamente rinfacciato.

traanquilla.” - sospirò il demone, stremato - “ti sposo davvero.”

poi si mosse, protendendo le dita verso Angel e questi le afferrò, senza osare stringerle.

Hai dato loro quel che volevano?” – mormorò ancora, con un filo di voce.

Certo. Nulla di più…” – annuì Angel.

Avevo paura di non ritrovarti qui…”

Confidavi poco nelle mie capacità.”

E Doyle si protese ancora la mano fino ad accarezzargli il volto, sostando a lungo, con il palmo sulla sua guancia, raccogliendo le lacrime.

Stai piangendo, Angel?” – mormorò, stentando a tenere gli occhi aperti. Sorridendo.

Mi hanno detto che può succedere…” - rispose l’altro, con una risata che forse era più simile ad un singhiozzo.

Agli uomini è giusto che capiti.” – concordò Doyle, passandogli il pollice sotto l’occhio.

Non lo sono più da molto tempo…” – sussurrò il vampiro, mente quella mano sempre più calda tornava a giacere a terra.

Bugiardo…” - replicò l'altro mentre, con un ultimo sorriso, sprofondava in un sonno senza sogni.

 

London

 

Perchè uomo?”

Perchè lo è. È un uomo. E come tale, ha il mio rispetto.”

Credevo che voi rispettaste anche i demoni....”

Io rispetto tutto ciò che vive.. e anche buona parte del mondo inanimato. Ma rispetto Angel ancora di più per quella dose di imperfezione. Sarebbe potuto cadere... e invece continua ad arrampicarsi con tenacia, fino alle stelle. E non voglio mai che dimentichi di essere un uomo. Un uomo tra gli uomini. E oserei anche aggiungere che, nel mio cuore uomo è sinonimo di amico.”

 

***

 

Ok, ci siamo.” - esclamò Halfrek mentre, in un turbine, riapparivano all'Hyperion - “Tu cerca di sopra. Io mi occupo del resto. Ci serviranno delle armi.”

A te no, Cecily.” - replicò Darla, apparendo sotto l'arco e giocherellando con un pugnale - “Forse alla piccola chiave potrebbero, visto che è così sciocca...”

Il pugnale ruotò su se stesso, fulmineo. E Halfrek, con un sussulto, lo vide sporgere dal proprio stomaco.

No.” - urlò Dawn, tornando indietro. E Halfrek, il volto di Cecily stravolto dal dolore, franò a terra, con un singhiozzo.

Perfetto.” - Darla si era avvicinata e le aveva strappato il ciondolo. La ferita, già in rimarginazione, aveva smesso di richiudersi e il sangue aveva continuato a sgorgare. Attorno, dalle macerie dell'albergo, stavano emergendo decine di vampiri - “Portatele via. A Spike farà piacere avere un poco di compagnia... mentre attende la morte...”

 

London

 

Ebbene si.” - ammise Methos, tornando ad allungare le gambe e a incrociare le mani - “Dopo mesi e mesi di preparazione e speculazione, eravamo così presi dalla tragedia di Doyle che ci perdemmo tutti questi passaggi. E quando ce ne rendemmo conto... bhe, era troppo tardi. E non potevamo più tornare indeitro.”

 

Come ora.

 

Anteponeste i sentimenti alla ragione.” - mormorò un anziano, con un velato tono di accusa. E Wes annuì, impassibile.

Si, avevamo altro a cui pensare, come sempre. Avevamo da occuparci uno dell'altro. E, per quanto anche io abbia desiderato fino alla sfinimento che le cose non andassero come in effetti sono andate, non significa che mi penta di ciò che ho fatto. E delle priorità che ho scelto.”

 

Avevo un compito. E l'ho portato a termine.

 

Angel girò il capo e fissò Cordelia. E quando questa gli cinse il collo con entrambe le braccia, si lasciò trascinare, fino a posare il capo sulla sua spalla, seppellendo il viso tra i suoi capelli e ricambiando, ad occhi chiusi, quell’attimo di calore.

Poi abbandonò quel muto dialogo a malincuore. Fu costretto a farlo, alzandosi e uscendo dalla stanza. Perché, crollasse il mondo, aveva solo bisogno di trovare un posto dove rannicchiarsi almeno per un istante. E non si stupì di sentire Wes alle proprie spalle, pronto a cingergli la vita ed aiutarlo a stare in piedi, con quella sua incapacità a lasciarlo cadere.

 

Salirono la rampa di scale. Lentamente, senza parlarsi.

Quando giunsero in camera di Lorne, Angel si lasciò scivolare sul letto e poi, con un capogiro, fino a terra, sedendosi, con la schiena appoggiata al legno duro dell'intelaiatura.

Non devo cedere.” - disse soltanto, restando fermo, in attesa di forze che non sembravano voler tornare. Con lo sguardo seguì Wes che entrava in bagno e sentì l’acqua scorrere, con un suono cristallino. Buttò la testa indietro, chiudendo gli occhi e riaprendoli, nel sentire una fresca pressione, sulla tempia.

Sanguini…” – mormorò semplicemente Wes, pulendo la ferita con una angolo dell’asciugamano bagnato mentre Angel, riacquistando un po’ di vigore, rialzava la testa e lo fissava. Lo guardava, come per imprimerselo nella memoria, nel pulsare che provava fino dentro la testa, mentre i flash della battaglia combattuta lo riassalivano, facendolo tremare.

Wes posò l’asciugamano e si chinò, cominciando lentamente a slacciargli le scarpe.

Devi calmarti...” - disse soltanto, con dolcezza.

E interruppe il lavoro solo per stringere a sé quei singhiozzi e quel freddo.

I minuti passarono, fatti di frasi tronche e intermittenti.

Poi Angel si ritrovò nel letto, con Wes che gli rimboccava le coperte, osservando, talvolta, preoccupato, quello sguardo perso.Angel, sdraiato su un fianco, sbatteva le palpebre, come per scacciare tremende immagini. Indietro nei ricordi. E poi dentro il presente, fino ad essere nuovamente nel suo letto, a sbattere le palpebre per la luce troppo forte della lampada.

 

LosAngeles

 

Westley…” – chiamò.

Sono qui.” – rispose l’altro, sommesso.

C’era Faith che urlava. Credo… credo che sia stata lei a riportarmi indietro.”

No, Faith non c'era. E Wes aggrottò le sopracciglia, mentre Angel seguitava a parlare.

Doveva esserti molto vicina. C’era la tua forza, intorno a lei. O era... era quella di William. Io credo… hai fatto bene a fermarla. Hanno detto qualcosa… su di lei. Hanno detto che oggi è stata la causa. Che domani sarà il mezzo. Io… non so cosa significhi.”

Era indifeso. Forse delirava. Giaceva in quel letto, tremando come una foglia, aggredito da qualcosa che sembrava divorarlo dall'interno. E non c’era nulla in lui che lasciasse intendere come avesse vinto una battaglia dentro una via senza uscita.

Wes sospirò, piegando la testa e guardandolo sprofondare in un sonno senza sogni. Era stato pronto a sentirsi male, terribilmente. Invcece il dolore aveva colpito Angel. E in uno dei moenti peggiori che si potessero immaginare.

 

Chissà se qualcuno stava ancora lavorando sul problema Darla, oppure...

Ma che importava! Avevano rischiato in maniera avventata mentre inseguivano un nemico fantasma, come dei folli. Non c'era nulla da aggiungere a riguardo.

E Darla... prima o poi Darla avrebbe fatto una nuova mossa. E, come per la dinamite, loro avrebbero trovato il modo di scamparla.

Ciao Wes…” – disse Edward giungendogli alle spalle - “come vanno le cose?”

Potrebbero andare meglio… ma ci vuole tempo.” – rispose, tornando con la mente a quel pianto disperato e apparentemente irrefrenabile - “ti fermi per un poco? Voglio scendere a vedere come stia Doyle.”

Certo.” – sorrise, rispondendogli – “Non ti preoccupare...”

 

***

 

Angel lo guardò, perplesso.

Edward?”

In persona.” - replicò l'immortale, essenziale come Spike, tamponando appena il taglio sulla fronte - “Sanguini ancora...”

Attento.” – replicò Angel, tirando indietro la testa, con un’espressione seria. Lo terrorizzava ciò che avrebbe potuto fargli il suo sangue. Potrei renderlo uno di noi, come Drusilla... come Dru... cosa voleva Drusilla da lui...

 

C'è qualcosa che.. che non riesco a ricordare...

 

Stai tranquillo…non mi capiterà niente per un graffietto del genere.” – rispose sottovoce Edward, continuando piano la sua opera - “Ho passato cose peggiori...”

Immagino... raccontamene una...”

Edward sorrise, guardandolo.

dormi... parleremo un'altra volta.” - replicò, posando il panno sul comodino - “io resto nei paraggi, per sorvegliare la situazione finchè non ti riprendi.”

non auguro a nessuno il mio ruolo. Lascia le cose come stanno e... e fatti una birra.”

E' un consiglio degno di mio fratello.”

Lo so. Io vivo con tuo fratello... Edward, ascolta...”

Ti ascolto.”

Grazie. Per avermi salvato.”

lo sapevi che prima o poi lo avrei fatto. Mi hai salvato così tante volte da quando ti conosco...” - piegò un ginocchio,fissandolo dritto negli occhi. Angel li aveva aperti. Ed erano di quell'oscurità calda che Edwrad aveva sempre ammirato in lui. Buio, il buio denso - “angel, non so come ci sono riuscito. Ma lo rifarei, per cento e cento voltee ancora.”

 

Sei troppo prezioso. Per l'universo, per le persone che ti circondano... per ognuno di noi sei indispensabile.

 

Hai notizie di Spike?”

Non si trova. Né lui né Faith.” - ammise Edward, sottovoce - “evono essere tornati all'Hyperion, saranno qui a momenti...”

 

Momenti, minuti... vorrei tanto saperlo...

 

Angel annuì. E lentamente, si abbandonò, chiudendo gli occhi. Edward, guardandolo, sentì una domanda salire spontanea.

William, dove cazzo sei finito...”

 

***

 

Stai bene?” - domandò Spike, alzandole il mento.

Si, ho solo male ovunque.” - ammise Faith, restando rannicchiata contro al suo petto - “E siamo decisamente nei guai....”

Si, temo di si.” - le sorrise, con una smorfia, cercando di celare il dolore che provava alle costole. Si stavano rinsaldando, una ad una. Ed era un processo estenuante.

Riesci a percepire di nuovo Angel?”

Si. E lo sente anche lei, Darla.”

Sicuro?”

Ha smesso di urlare e distruggere mobili. Significa che si è calmata.” - commentò, alzando gli occhi verso la grata. Era un pozzo, un vecchio pozzo sotto una cantina. E, sopra, Darla aveva arredato un piccolo accuratissimo appartamento.

Faith non trattenne una risatina.

Allora è un vizio che avete tutti in famiglia..” - lo sfottè - “Anche Drusilla spaccava mobili per rabbia?”

Temo di si.” - sorrise, stando al gioco - “Deve essere qualcosa nel sangue di Angel... abbiamo preso tutti da lui questa brutta abitudine...”

Già.” - Faith sorrise. E Spike la abbracciò più stretta - “Perchè ci ha lasciato assieme...”

Perchè vuole che la separazione ci faccia più male.” - replicò, baciandola la tempia, lo zigomo - “Ma non succederà... non ti porterà via da me.”

Lo so.” - sospirò Faith, chiudendo gli occhi. E Spike appoggiò la testa al muro, fissando l'oscurità.

 

Attende, amore mio. Attende che tu muoia tra le mie braccia.

 

Angel, ti prego.. trovami. Trovami ora.

 

***

 

Doveva essersi appisolato, perchè un colpo lo svegliò di soprassalto.

Angel.” – sussultò, scattando a sedere sul letto.

Non è niente.” – mormorò lui, stringendo il testile del letto, con una mano.

Così niente?” – replicò, afferrandolo per un polso e cercando di insinuare la propria mano nella sua.

Edward, no.” – Angel si voltò a fissarla. Aveva la fronte imperlata di sudore e le pupille dilatate.

Tu stai male. Vado a chiamare Wes.”

No, no. Va’ via. Non voglio… farti del male.” – Angel scosse la testa, deglutendo , mentre i lineamenti gli si stravolgevano, bloccati da un’immane volontà - “Non riesco quasi a controllarmi. Va via, per piacere. Vattene.”

Era prostrato dalla sofferenza. E se non fosse stato per la sua lotta interiore, Edward non si sarebbe mai mosso. rapidamente si chinò e gli baciò la fronte. O, almeno, desiderò farlo.

Nel locale, seduto a terra a gambe incrociate, c’era Methos. Parlava con Cordelia, nuovamente al computer, anche se con un'aria incredibilmente tirata.

Doyle dormiva, su un divano. Anya camminava nervosamente avanti e indietro, ma Edward notò a malapena come Methos stesse ripetutamente selezionando numeri sul cellulare, nel chinarsi per parlargli.

Methos, Angel mi ha mandato via.”

Non sembrava una recriminazione. E Methos lo fissò, attento.

vai avanti.” - disse, abbassando il cellulare. Da più di un'ora né Spike né Faith rispondevano ad una chiamata , ma non sembrava il momento per informare Edward del fatto. Era già abbastanza fuori di sé così, senza coscienza del tempo trascorso.

Ha detto che rischiava di farmi del male… che non riusciva a controllarsi.” – si scostò i capelli dal viso e si accorse di colpo, di aver freddo, mentre Wes compariva alle sue spalle, dal magazzino, con la stessa preoccupazione nello sguardo.

Contraccolpo.” – mormorò, alla nuca di Edward – “Le sue forze si stanno esaurendo del tutto… e la sua parte demoniaca prende il sopravvento.”

Allora non deve restare solo.” - fu la risposta dell'immortale. E le sue incertezze scomparvero, come se non fossero mai esistite.

Era già a metà della scala, quando una sensazione lo colpì, attraversandogli i polmoni e mozzandogli il fiato.

 

no. wes si sta sbagliando.

 

Incespicò ancora e chiuse gli occhi, respirando a fondo.

Istinto. Con l'istinto lo hai salvato già una volta. Fallo di nuovo.

 

Mayuri. Mayuri morta tra le sue braccia. Si impose di restare calmo, ma l'immagine lo colpì ancora. Sepolti vivi per il terremoto, l'aria che finiva. E il risvegliarsi da solo.

Methos li aveva trovati troppo tardi. Troppo tardi.

 

Con un ultimo colpo la parete crollò, sollevando una nube rossastra.

Methos non aspettò nemmeno che si diradasse, infilandosi nello spazio. Il soffitto aveva retto e lo spazio risultava ancora agibile con poche difficoltà. Methos, tallonato da Damodar, percorse le poche decine di metri della galleria, quasi correndo, fino a quando non lo colpì, indescrivibile ma sempre nitido, l’odore di morte.

Imprecò, sottovoce, accelerando il passo.

Reminiscenza, di nuovo.

E ancora, nell’attimo in cui la torcia li illuminò.

Abbracciati, rannicchiati uno sull’altro.

Occhi chiusi per sempre.

E occhi azzurri, sbarrati su quello scenario di desolazione.

 

Methos si bloccò. Edward piangeva. I singhiozzi lo scotevano, mentre ancora seppelliva il viso in quei capelli che ormai sapevano solo della polvere che vi si posava. Stringeva un corpo rigido, probabilmente da ore.

E Mayuri riposava con la testa sulla sua spalla. La luce rossastra delle torce non l’avrebbe più svegliata. La sua voce non si sarebbe più levata limpida sulle sponde del Gange.

Mayuri se ne era andata.

Ed Edward, morto con lei, viveva ancora.

Alla fine era successo. Methos l’aveva dolcemente messo in guardia, giorno per giorno. Abbracciare la morte, vedere la propria ragione di vita sfiorire, e svanire.

E poi, come nel peggiore degli incubi,addormentarsi insieme.. e svegliarsi soli.

 

Io la amavo. Ma lei è morta comunque.

 

Il collo sembrava bruciargli. Vi appoggiò le dita, sentendo pulsare la cicatrice, il marchio di Spike, il segno di possesso.

Ed ebbe l'impressione che fosse fuoco, fuoco nella mente. Poi una voce.

 

Edward...”

William...” - gemette, senza riuscire a calmare il dolore, la mano sulla cicatrice del morso.

 

Mi serve il tuo aiuto... cerca Angel... devi dire a Angel di trovarmi... di trovarci...”

 

Al piano di sotto, il rumore di cocci lo costrinse a tornare indietro, correndo a precipizio giù dalle scale. Cordelia era a terra, tra le braccia di Methos. E si teneva la testa.

Ha le visioni.” - Wes era senza parole, il suo sguardo correva da Doyle a Cordelia - “Le visioni, di nuovo....”

Non importa.” - Cordelia sbattè le palpebre, trattenendo le lacrime - “Meglio nella mia testa che nella sua.”

Li guardò, afferrandoli con tutta la forza che aveva, per le braccia, per i vestiti.

Edward, chiama Angel. Chiamalo. Faith... Faith è in pericolo.”

 

***

 

Il letto di Lorne era un enorme groviglio di coperte. Ed in mezzo, in preda a qualcosa che poteva somigliare a violenti crampi, stava Angel, rannicchiato, in posizione fetale, le braccia a nascondere il viso. La battaglia, vinta in una frazione di secondo per il cuore umano, sembrava non essere ancora cessata. Angel sussultava, senza cedere.

Come se qualcosa dentro di lui bruciasse urlando.

L’anima era tornata, dopo essersi staccata dal corpo.

Vattene.” – lo sentì ringhiare. E per quanto si sentisse stringere il cuore, Edward decise di essere incurante. Si chinò su di lui, iniziando a districargli le coperte, cercando di non travolgerlo con la propria urgenza.

Devi ascoltarmi.”

Vattene Edward.” – lo sentì ancora mormorare.

No.”

Vattene…”

La risposta è ancora no.” - E sarà sempre no.

Edward protese la mano e la posò sul suo pugno serrato.

Vattene….

No. Angel si girò, sprofondando ancora nel materasso, con occhi che mandavano lampi, esasperato.

Ti ho chiesto di uscire da questa stanza, dannazione.”

Ed io ti ho detto che non lo farò.” – replicò deciso Edward.

Ne sei veramente così certo che non ti farò del male? Il fatto che tu sia un immortale non fa di te un eroe invincibile…”

Me ne andrò…” – rispose l’altro ignorando gli insulti e alzando la voce per sovrastarli – “Solo se uscirai anche tu da questa stanza e verrai con me.”

No.”

Il resto era irripetibile. Poi Edward lo afferrò per i polsi e, ignorando l’urlo di dolore che gli sfuggì dalle labbra, lo mise a sedere, con una forza che Angel non si sarebbe mai aspettato da lui.

Muoviti, Angel. William ha bisogno di noi, ora. Non è il demone, è lui, ti sta chiamando, continua a chiamarti. Concentrati.” - Edward si comportava duramente, nello strattonarlo e trascinarlo, fino a ritrovarselo di fronte, in piedi, cercando di ignorare il suo sguardo e la verità che esprimeva - “Puoi farcela. Sei passato da tante catastrofi peggiori, nella tua vita. Sei un sopravvissuto. Resta in piedi, adesso, ascolta... tu sai dove sia…”

 

Ti prego.” - aggiunse, disperato - “Non possiamo lasciarli morire...”

 

Chiudi gli occhi...

 

No, non posso.” - no, non li chiuderò mai più, mai... soprattutto per amore.

Fallo, Angel, chiudi gli occhi e trovali. Trovali, ora!”

 

Non chiudere gli occhi, Spike.

Non chiudere gli occhi, Spike…

 

Chiudi gli occhi, Angel, chiudi gli occhi. Per Spike. Chiudi gli occhi, fai ammenda con il passato, salva la cacciatrice, salva il ragazzo che hai dannato. Salvali.

 

Doyle...

 

Salvali, uomo. Chiudi gli occhi e trovali. Ora.

 

Angel annuì, inumidendosi le labbra. E strinse le palpebre. Forte.

 

Angel, perché ci hai messo tanto a trovarmi? Tu sai sempre dove sono…

 

Non... non sono perfetto.

 

"Io non ricordo bene. Mi ricordo un sacco di sensazioni e visioni non mie. C'era di tutto, episodi che non potevo avere visto e poi, c'era quello…"

"Quello cosa?"

"L'anello. Quel tuo anello con il cuore e le mani…"

 

Trovami, angel. Trovami.

 

"Angel… mi lasci il tuo anello?"

 

"Te lo rendo, poi. Ma se mi perdo di nuovo, penso potrà guidarmi."

 

William...

 

"Cosa vedi, Doyle?"

"Vedo che li hai uniti. E che mai nessuno potrà più separarli…"

 

Trovami. Trovaci.

 

Angel.

Strinse forte gli occhi e lo cercò, nella mente.

Angel. Di lui era rimasto solo il nome.

Di lui doveva ricordare il viso, gli occhi.

L'amore.

L'amore di Angel.

Il Claddagh… dov'era il suo Claddagh?

"Cuore, mani, corona…Sotto questa luna di nulla mi pento…"

"Di nulla mi pento. Di nulla serbo il ricordo… cuore, mani, corona.

Il mio sangue, il tuo sangue."

 

Il mio sangue. Il tuo sangue.

E, nel buio, spike alzò una mano, portando il Claddagh fino al viso.

Brillava, flebile, come una speranza.

 

TERZA PARTE

 

[IX]

 

Cosa hai visto, cosa, cosa cosa....” - ripetè Wes, comprimendosi le tempie con le mani. Davanti a lui, sulla parete, l'esagono incombeva, inquietante. Meticolosamente, Doyle aveva disegnato ogni linea, il poligono, la stella all'interno, le linee intersecanti che passavano dal centro. Tutto e, a parte quella S che vi dominava, non c'era nessun altro segno che lasciasse intendere a cosa si stesse riferendo.

Si voltò e, in preda alla rabbia, lanciò la prima cosa che gli passò sotto mano.

Non possiamo perderli ora, dopo tutto quello...” - l'urlo si spezzò in un singhiozzo di frustrazione - “Dopo tutto quello che abbiamo vissuto.”

Si dominò. Gli occhi, chiusi, divennero viola. Poi di nuovo azzurri. Ma Wes, riflesso in uno dei vetri opachi, li vide.

E sentì un brivido.

Ma certo.” - mormorò. Si avvicinò rapidamente alla finestra, pulendo nervosamente la superficie con le mani, con la manica della camicia.

E, quando la superficie gli sembrò nuovamente riflettente, chiuse gli occhi e respirò a fondo.

Eccoli, di nuovo. Viola come ametiste. Poteva quasi sentirla, come miele, dentro al suo corpo.

Ci siamo.” - disse, trionfante. Respirò ancora e una mano lo obbligò a voltarsi.

Non farlo un'altra volta.” - ansimò Angel, guardandolo. Poteva essere in un bagno di sudore e con una stretta non proprio certa delle dita, ma era certamente lui... non Angelus.

Non sto facendo nulla.”

Si,invece. Non lasciare che ti strisci nella mente, non puoi batterla.”

Non.. io non...”

Si che lo sai, Wes.” - tagliò corto Angel - “Io l'ho sentita mentre salvavamo Doyle. E adesso tu mi ci fai parlare, siamo d'accordo? A me non serve un incantesimo perchè risponda.”

Wes esitò poi annuì, con lentezza. E si sedette sulla cassa più vicina.

Sei pronto?” - domandò Angel, infilandosi la maglia che aveva tra le mani.

Quando sei pronto tu.” - replicò, con tensione nella voce. E, quando riaprì gli occhi dopo un attimo, le iridi erano completamente viola.

Lo sapevo che ci saremmo rivisti, Angelo mio...”

 

London

 

Eri posseduto.”

Si, papà. Lo ero. E lo sapevo alla perfezione.”

E lo sei ancora?”

No.”

Ne sei certo?”

Lo sono.”

Suo padre non gli credeva. Come sempre. E già voltava la testa verso Doyle, in attesa di conferma.

La sua mente è pulita.” - rispose il demone alla tacita domanda - “Se ne è andata quando tutto si è compiuto.”

Soppesò il silenzio un attimo, prima di porre una domanda.

Si preoccupa perchè vede il riflesso viola?”

Un cenno quasi impercettibile del capo. Ma Wes lo fissò ugualmente, sbalordito. Suo padre aveva il labbro inferiore che tremava.

Non abbia paura.” - lo calmò educatamente Doyle - “Il riflesso viola è solo un effetto collaterale del potere. Ne scorre molto nelle sue vene. È solo sangue demoniaco, in minima dose. Gli ha donato un maggior resistenza e, probabilmente, una vita più lunga. Null'altro.”

Si girò, guardando Wes.

Non poteva essere altrimenti, a forza di correrci dietro...”

 

***

 

LosAngeles

 

Non c'è tempo, Drusilla.” - disse Angel rapidamente - “Devi aiutarmi, Faith sta morendo.”

Faith sta morendo. È questo che Spike continua a dire nella mia mente e in quella di Edward.

Non riuscivo a sentirlo.

 

Devi aiutarmi. Tu lo sai che la ama, che la ama come mai nessuna.

Fallo per lui, Dru.

Perchè è William. Il nostro William.

 

Devo trovarli.”

Non so dove siano.” - rispose la voce femminile, dalle labbra di Wes - “Non lo so, Angel, te lo giuro. Io non posso più prevedere il futuro!”

Angel si posò le mani sulle tempie, cercando di calmarsi. Si, aveva ragione Methos, era ora di imparare a respirare a fondo.

Drusilla, dimmi ciò che puoi. Qualsiasi cosa. Qualsiasi.”

La voce tacque. Poi Wes si alzò, andando verso l'enorme graffito, verso l'esagono. Mosse la mano e le scritte cominciarono ad emergere dal muro stesso.

Non il dove, posso rispondere al come... solo al come di qualcosa che l'universo già prevede e attende...”

Alle sue spalle, rapido, Angel divorava le informazioni.

C'era Spike in mezzo all'esagono. E, attorno, ai vertici, secondo un ordine che non sembrava casuale, tutti loro: Faith, Cordelia, Angel, Wes, Edward e Doyle. Altre linee apparivano e svanivano, attraversando ogni punto. Cerchi concentrici attorno all'esagono, in perenne rotazione attraverso gli angoli. E linee a comporre una stella all'interno.

No, non una stella.” - disse la voce di Wes, la voce di sempre - “Due triangoli intersecati. Due. Io, Cordy e Doyle. Tu, Edward e Faith.”

 

E Edward? Quanto è importante Edward nella vita di suo fratello.”

E' luce. E sangue.”

Questo lo so, ma ho bisogno di sapere altro.”

Solo luce e sangue, Doyle.”

 

Luce e Buio. Io ed Edward. E Faith è ... Faith è il nesso d'amore.

 

Cuore, mani, corona. Amore, rispetto, fedeltà. Luce, buio, potere.

 

Spike, Spike al centro.

 

Angel si strinse più forte le tempie, un fotogramma gli attraversò al mente.

Una gabbia, un vampiro disperato, un coltello. Due mani sanguinanti.

Si fissò il palmo della mano. La ferita di Sunnydale era aperta, lacerata.

 

Energia che lentamente sfumava, con lo scorrere sempre più esile del loro sangue. Il sangue che si mischiava di nuovo. Con la morte a tenerli entrambi tra le braccia.. come una donna, il vertice del loro triangolo amoroso.

 

Come una donna al vertice di un triangolo. Come una donna.

 

Faith era il vertice. La Cacciatrice.

Di improvviso dai vertici del loro triangolo la vernice si sciolse e tre nuove linee corsero lungo l'intonaco, fino a congiungersi sulla S di Spike.

Non più un triangolo. Ma una piramide. Una piramide vista dall'alto.

 

Oggi Faith è la causa. Domani sarà il mezzo.

 

Comprendi, ora, Angel?” - domandò Drusilla, voltandosi verso di lui - “Comprendi davvero?”

Si, Dru. Ho compreso.” - annuì, con lentezza. E Drusilla, negli occhi di Wes, sorrise, prima di svanire per sempre.

 

***

 

E' buffo...” - commentò Darla, guardandola - “Tu hai gli occhi viola come Dru, la mia Dru...”

Cecily, con le labbra pallide e l'aria sofferente, la fissò con sufficienza.

Questa dimostra quello che ho sempre detto. Io sono l'unica e inimitabile...” - sibilò, dall'angolo in cui era stata gettata - “Non di certo la nevrastenica fissata con le stelle.”

Darla sorrise. E Cecily sentì il calcio sfondarle le costole.

Parla, parla finchè puoi.” - sospirò, sedendosi alla propria scrivania - “Ma cerca di restare viva, mentre aspettiamo William.”

Will.... William...”

Si, proprio lui. A quanto sembra, la Cacciatrice respira ancora, per cui penso che abbia un poco di tempo da dedicarti.” - si abbandonò contro lo schienale, giocando con una penna - “Sai, era recalcitrante a lasciarla ma, alla prima goccia di sangue della Chiave nel pozzo ha prontamente cambiato idea. È un ragazzo coscienzioso...”

Lo è sempre stato...” - sussurrò Cecily, chiudendo gli occhi.

 

"Stasera avrei dato qualunque cosa per essere Anya. Volevo dirti anche questo."

Lo vide irrigidirsi e voltarsi, con una lentezza impressionante. E si sentì trapassare da occhi come fessure, letali come pugnali.

"Avrei dato di tutto, per essere lei." - ripetè, per cercare la forza di proseguire - "E ci sono momenti in cui desidero tornare indietro, ed essere diversa e riavere te. Ma so che sarebbe sbagliato. Perché ora so che avevi ragione, William.

Con i miei sbagli ho veramente creato una luce nel buio."

 

Tu non potrai torcergli nemmeno un capello...” - aggiunse, sentendo le parole divenire sempre più faticose, nemmeno la forza di aprire gli occhi - “Non è fatto per gente come te...”

 

***

 

Calmati.”

Calmarmi non fa parte dei programmi per la serata.” - replicò Edward, allacciandosi la spada alla schiena e afferrando quella di Angel per portargliela - “Io la farò a pezzi, te lo posso garantire. Se solo ha... se solo ha torto un capello a Faith...”

Edward, ragiona.” - lo aveva afferrato per un braccio - “Potrebbe essere un bene...”

Di tutta risposta, Edward lo colpì. E lo spedì dentro una poltrona.

Vuoi... ripetere?” - ruggì, sovrastandolo, mentre si puliva il sangue dalla bocca.

Ragiona, idiota.” - ribattè Methos, sputando sangue e bile - “Tu sai benissimo in che senso l'ho detto!”

Edward rimase interdetto. E si dominò dal rifilargli un altro pugno.

Sei diventato sordo o cosa?” - stava aggiungendo l'immortale. E, con uno scatto fu in piedi, pronto a rifilargli una spinta per ristabilire la distanza - “Ragiona, Edward. Ne abbiamo già discusso, fallo con l'istinto e non con il cuore, pezzo di imbecille che non sei altro. Tu l'hai sentita, dal primo istante che l'hai vista.”

 

L'hai sentita.

 

Tu puoi sentirla. E sai che avevo i miei buoni motivi per accettare l'incarico del consiglio.” - insistette - “Sotto la sua natura di predatrice, tu l'hai perfettamente sentita.”

Edward rimase immobile, i pugni stretti, gli occhi in tempesta.

Io tenterò comunque di salvarla.” - sibilò soltanto, freddamente.

Non saresti tu, non tentassi.” - ribattè Methos, per niente intimorito - “Ma ricorda quello che ho detto.. quando sarà il momento di decidere... chiediti cosa sia davvero giusto.”

 

Non importa quanto ti faccia soffrire.

Non importa quanto lontano tu possa vedere.

Perchè non è il futuro che plasma la leggenda e salva la vita.

È il presente, il tempo presente in cui levi la spada.

 

Io l'ho fatto.” - aggiunse, spietato - “Tu sei qui per questa mia scelta. Non dimenticarlo.”

 

Tu, qui, oggi, per me. E perchè io ti ho ucciso.

 

Oggi Faith è la causa. Domani sarà il mezzo.

 

***

 

London

 

E ora, mentre i nostri eroi si preparano alla battaglia.” - Wes sorrise interrompendo la narrazione - “Vorrei precisare un piccolo particolare.”

Attorno stavano già esplodendo le domande. Ma Wes alzò una mano e ottenne un silenzio perfetto. A quanto sembrava, essere posseduti da un Cantastorie impazzito migliorava lo status. Ipotizzare che fosse divenuto immortale o almeno di lunga vita, poi...

 

Adesso avete qualcosa di cui essere invidiosi... finalmente...

 

Li fissò tutti, movendo solo lo sguardo. Poi sorrise ancora.

 

Allora, chi vuole sapere dell'anima di Spike?”

 

***

 

Darla strattonò ancora il coltello. Poi, incontrando l'articolazione del gomito, sfilò la lama.

E si applicò per lacerare l'altro braccio. Poi soddisfatta, battè le mani deliziata. E si leccò le dità. Voracemente.

"Mio piccolo William… il tuo sapore è come lo ricordavo. Forte, caldo. La mia Dru ha buon gusto. Ed Angelus… Angelus non è stato tirchio, ad elargirti forza. Sei una delizia…" - aggiunse ridendo - "per il palato…"

Lo stavano legando. Il sangue gli scorreva copioso lungo il torace, mentre lo sollevavano da terra, strattonandolo per i polsi.

Darla, con un nuovo lampo di follia, si accostò ancora, posando le labbra sui tessuti impregnati. Uno dei suoi scagnozzi, ridendo e scherzando, in mezzo ai suoi, le porse un bicchiere. Un bicchiere… Un calice veloce a riempirsi, sotto quella cascata.

 

Quando Spike mi raccontò questo particolare, dopo che Darla e Dru lo avevano catturato e dissanguato, ammetto che non ci diedi un particolare peso. A mio avviso, semplicemente, era stata una nuova forma di tortura. Non la associai alla questione dei marchi sul corpo di Spike e non mi preoccupai che avesse un senso. Poi dovetti rivedere la mia opinione. Quando si profilò la teoria che vi abbiamo illustrato prima, quella riguardo all'opera a vasto raggio di Drusilla sul futuro di Spike, mi sentii in dovere di rivalutare qualche episodio. E questo fu uno dei primi che mi vennero in mente.

Darla aveva bevuto il sangue di Spike, per pura tortura, come pensavo io. Ma, su probabile suggerimento di Drusilla, da una coppa. Ovvero, ancora una volta, nessuno aveva morso Spike. Interessante, non credete? In oltre cento anni, nemmeno un segno dei denti a parte quello di iniziazione.

Ho schematizzato molto a riguardo, ma la risposta è sempre la stessa: l'unico morso sul corpo di Spike è opera di Drusilla. L'unico. Angel non ha mai bevuto il suo sangue e Darla non ha avuto interesse a farlo fino a quel giorno, un paio di anni fa. Perchè questo? La risposta a mio avviso sta nella potenza del sangue dei Coventry. Drusilla lo sapeva e si è ben guardata dal lasciare che altri lo scoprissero e ne abusassero.

 

Spike ha bevuto da Edward. Ed è stato male, decisamente male, a parte la battuta riferita alla somiglianza con il sangue delle cacciatrici. Ma, del resto, quel morso sul corpo del fratello era indispensabile. Ci torneremo più avanti.

 

Per ora vi voglio attenti solo sulla bella famigliola. Darla morde e si fa mordere da Angelus. Angelus morde e si fa mordere da Drusilla. Drusilla, non appena ha l'occasione, morde William, ma non si fa mordere. E William riserva il bel trattamento al nostro flagello.”

 

Obbedendo ad un istinto forte come una sfida, si era lacerato una mano, imponendola sulla bocca di quello sconosciuto. Attendendo l'istintivo succhiare del neonato. La mano che gli aveva sfiorato la guancia, per capire e portare nella morte il segreto, era scivolata appena, impigliandosi nel colletto della giacca. O aggrappandosi.

Le sua dita scosse da un tremito nervoso, irritavano Angelus.

Il corpo del ragazzo biondo, quasi morto eppur forte, sembrava riacquistare durezza. I suoi occhi, ancora spalancati, andavano perdendo la limpida sfumatura. Verso qualcosa di complesso ed impuro. La forza con cui si nutriva, indeboliva Angelus e lo rendeva furioso.

Scattò in piedi, ma il cucciolo non restò adorante ai suoi piedi.

Lo seguì, nel rialzarsi, lo fronteggiò, abbandonando la mano ed il prezioso elisir.

Cercando.

Cercando la fonte.

La vena pulsante del collo.

Da aprire con i propri denti.

Lasciando ad Angelus la sorpresa di quel corpo sul proprio, a terra, nel fango da cui si erano rialzati.

Del sangue che non smetteva di abbandonarlo.

Dell'inizio della sfida.

 

Dopo di che...” - proseguì Wes, avvicinandosi alla lavagna - “Arriviamo ai giorni nostri. Darla muore e risorge e sapete chi la vampirizza? Drusilla. Morde e si fa mordere da Darla. E, otteniamo, dunque, un triangolo: Darla, Dru, Angelus. E se, invece, cerchiamo una piramide? guardate chi sta al centro... proprio lui. Il nostro bel ragazzo biondo.”

Wes si tamburellò con il gessetto sulla mano. Fare il saccente lo metteva di ottimo umore.

Non capite, vero?” - domandò, retoricamente - “Un triangolo, signori. E una piramide, di nuovo. Con una donna la vertice. E la donna altri non è che Drusilla, la nostra manipolatrice di professione, il nesso d'amore. Un solo morso sul corpo di Spike, per preservarlo da eccessive contaminazioni maligne. Solo lei ha bevuto il suo sangue per evitare intuizioni scomode in un ambiente dominato dai demoni e, infine, lei di persona ha chiuso il triangolo attorno al suo principe biondo... il suo principe biondo. Perchè questo?”

 

Allungò una mano, calcando sui contorni del triangolo.

 

Perchè così facendo, avrebbe ottenuto un duplice scopo: alla vampirizzazione di Darla, l'anima di Spike sarebbe tornata nel suo corpo.”

 

***

 

LosAngeles

 

Topolino...” - sospirò Darla, vedendolo entrare. Aveva le catene ai polsi, come un galeotto qualsiasi - “Hai fatto il cattivo, immagino...”

Come mio solito, Darla.” - sorrise, piegando la testa. Non esisteva tumefazione che potesse realmente deturparlo - “Allora, il castigo della tua compagnia sarà lungo? Perchè vorrei tornare nel pozzo...”

Si, immagino, dalla tua piccola e dolce Cacciatrice. Sanguina ancora come si deve o dobbiamo aiutarla?” - sorrise, sollecita - “Tutto il meglio per la tua amante.”

Spike voltò la testa, disgustato. E la sua espressione, da seccata divenne orripilata.

Oh, si.” - Darla indicò con la penna Cecily, ormai riversa in un lago di sangue - “Un pensierino per rallegrarti la giornata... la ragazza che ti ha respinto, pensavo potesse farti piacere. Mentre aspettiamo che Faith smetta di respirare, si intende.”

No, no...” - sapeva che gli uomini che lo tenevano non l'avrebbero fermato. Darla godeva morbosamente di quella sua umanità, dalla prima volta che si erano fissati. Ma a William, a ciò che restava di William in spike, non sembrava importare. Si mosse, sollevandola da terra, passandole la catena intorno al corpo, per sorreggerla con entrambe le braccia - “Cecil...”

 

"Sono bella come mi ricordavi?"

"Anche di più."

 

Non gli rispose. Era esangue, la testa mollemente all'indietro. E Spike posò la fronte alle sue labbra. Erano quasi fredde.

Ti prego, Cecily, ti prego...

 

"Porti ancora gelsomini tra i capelli?"

"E tu? Porti ancora quei buffi occhiali rotondi?"

 

Ti prego, non darle la soddisfazione di vederti piangere...”

Cecily!” - La chiamò, alzando la testa di scatto.

Chiamami Halfrek... ti aiuterà a restare lucido.”

Sai benissimo che non lo farò...” - scosse la testa, tenace, la fronte ancora alla sua bocca. E cecily sorrise, quanto sentì la sua pelle gelida contro le labbra.

Sei uno stupido sognatore, William. Ora come allora...” - replicò, carezzandolo con le parole e i ricordi.

 

"William… tu non vuoi sapere se ti ho mai amato?"

"Certo che mi hai amato." - commentò lui, con un lampo di rabbia gelida negli occhi - "Io sono l'amante che ti ha reso quello che sei, spezzandoti il cuore. Occhio per occhio, Cecily…"

E cuore per cuore…

"Ti sbagli." - sorrise lei - "Non sto parlando del vampiro che mi lacerava le vesti e mi violentava fino a farmi impazzire. Non sto parlando del mio carnefice. Ma del ragazzo che ho ucciso."

 

Andrà tutto bene...”

Non è vero. Nulla è andato bene, nulla. Tu demone, io demone. Nessuna felicità per troppo, troppo tempo. Oh, Will, vorrei tanto tornare indietro.. a casa mia...”

 

Mi manca tanto la mia casa.. i miei amici.... la mia vita. La ricordi William la ricordi la nostra vita?

 

Mi manca Carrol.. mi mancano le cavalcate... mi manca Edward che ride sdraiato al lago...

 

Mi manchi tu. Mi sei mancato tanto in questa mia eterna solitudine.

 

Lo vorrei tanto anche io.” - sentiva il battito disperato, guardava la sua gola nuda, senza un ciondolo a separarla dalla morte. E sentiva gli occhi, gli occhi fare male come il cuore - “Tornare indietro e vederti ancora salire la scala... quel tuo stupido ventaglio, tutti quei sorrisi... ti prego, Cecily... ti prego non andartene...”

 

non saremo mai più giovani ma... ma non lasciarmi solo...

 

Temo sia di nuovo... troppo tardi...”

Cecily...”

 

E' stato solo caos tra di noi. Ed eclisse... lo sapevamo entrambi...”

 

"Entropia, Cecily. Null'altro che entropia. Null'altro che il caos dominante." - ribattè, sfiorandole le labbra e dando forma ai suoi pensieri- "La forza incalcolabile che tutto domina. La forza per cui ci incontriamo e non ci incontriamo mai."

"Ed allora…" - replicò, scivolando dentro un bacio - "un brindisi all'entropia…"

 

Grazie... per essere stato qui... con... me.”

...”

 

"Ti amavo, William. Solo che l'ho imparato tardi."

 

Cecily... Cecily non lasciarmi solo...

 

 

***

 

Anya si fermò. E si posò una mano all'altezza dello stomaco. Quando Angel si voltò nella sua direzione, semplicemente alzò un dito, intimandogli di aspettare. E si voltò, vomitando, appoggiata contro a un muro.

Angel tornò indietro, le chiavi della macchina strette tra le dita. Anya respirava in maniera concitata e.. furibonda.

E' morta.” - sibilò soltanto, raddrizzandosi -”Quella puttana ha ucciso Halfrek.”

Angel ne fu raggelato. Il cuore di Edward, alle sue spalle, sembrò contrarsi per non espandersi mai più.

Se ha Halfrek...” - mormorò Wes - “Allora ha anche Dawn.”

 

Stiamo convergendo tutti dove dobbiamo essere, dunque.

E, un attimo dopo, si vergognò di quel pensiero tanto cinico.

 

Il posto è esatto, come nella visione di Cordelia.” - stava dicendo Anya. E una nebbia smeraldo già la circondava - “Spicciatevi. Ci penso io a tenere occupata quella cagna fino al vostro arrivo.”

 

***

 

Spike tardava a rialzarsi. E darla, che manteneva un'innata e crudele gentilezza, gli si accucciò a fianco, guardandolo, di sotto in su.

Spike aveva gli occhi chiusi. E piangeva, immobile, tenendo Cecily scompostamente tra le braccia, i polsi ammanettati dietro la nuce, per sostenerla, per tenerla contro al petto.

Povero piccolo...” - sussurrò, con dolcezza - “Il primo amore non si dimentica mai... la giovinezza, i momenti spensierati alla luce delel candele... il tempo che scorre...”

si alzò, un movimento composto delle mani contro le ginocchia.

Non so perchè tu ed Angel ne siate così ossessionati.” - sospirò, rammaricata - “scegliete ragazze più giovani, vi innamorate di ciò che non dura... deve essere una crisi vampirica della mezza età... o magari è l'anima che vi invecchia... che vi fa sentire così schiavi della memoria...”

spiek riaprì con lentezza gli occhi. Non riusciva a calmarsi e sapeva di doverlo fare. Ma darla, paradossalmente, non stava mentendo.

Piangeva per cecily ma, soprattutto, piangeva per quel qualcosa che con lei, nel bene e nel male, era rimasto vivo. Piangeva perchè era tutto ciò che restava di casa sua, della vita che avrebbe desiderato, di ciò che si era lasciato alle spalle.

Cecily, come lui, come edward, aveva sofferto la lontananza e la malinconia. Cecily aveva serbato nel cuore e negli occhi l'amore per il proibito ormai perduto, per l'eleganza e la compostezza, la passioen per quelle regole rigide e raffinate che avevano stretto con corsetti e sparati le loro esistenze.

Avevano abbandonato tutto, erano andati lontano, erano andati oltre.

 

E non sarebbe dovuto andare così.

Non sarebbe dovuta finire così.

"Sul serio volevi diventare famoso da giovane?"

"Non famoso." - puntualizzò distrattamente il vampiro - "solo ricordato in un libro, magari come scrittore, oppure dai miei…" - avrebbe concluso con figli se di colpo non si fosse reso conto di quello che stava dicendo.

 

Faith.

 

Non pensare al passato. Faith.

Non dimenticare faith.

Lentamente lasciò scivolare Cecily a terra, senza un bacio, un muto addio. E, mentre si voltava, i lineamenti si distorsero in un'unica maschera di rabbia.

Bentornato.” - commentò darla, compiaciuta, da dietro la scrivania. Due vampiri già gli sbarravano il passo. Ed erano cenere prima ancora di reagire, per essere sostituiti da altri due. E da altri ancora.

Non giungerai a nulla né, tantomeno, a me.” - sospirò darla, guardandolo, mentre lo schiacciavano a terra - “Io non sono roba per te, passerotto. Tu sei qui perchè mi annoio attendendo Angelus. E giocherò con te fino a quando no mi stancherò.”

Spike ringhiò. E un anfibio gli premette sulla guancia, scavandolo.

Adesso mi occuperò di faith... la stanno preparando ora.” - aggiunse, alzandosi e avvicinandosi. Di nuovo accoccolata a terra, le braccia ad abbracciare le gambe piegate - “Non penso che durerà a lungo, ma ssarà intenso e piacevole... cercherò di protralo il più possibile. Poi sarà il turno della piccola Summers... ha l'odore di sua sorella ovunque, mi occuperò personalmente di farle riavere il corpo, in memoria dei bei tempi di Sunnydale. E poi... non so...”

sospirò aancora. E spike repressse un urlo, mentre un coltello gli penetrava nella mano inchiodandolo a terra.

Poi, no so.” - ripetè, svanita, darla, leccando la lama e ripiantandola nel polso - “Sei dolce, passerotto, come ti ricordavo. Hai un sapore inconfondibile.”

di nuovola lama che si fila, di nuovo la lama che cala, inesorabile.

 

Faith. Spike si morse le labbra, deciso. Faith ha bisogno di te. Pensa.

 

Forse, potendo, giocherò persino con quello splendido esemplare di tuo fratello.” - un sussurro, lunga la lama del coltello che già gli incideva la pelle in un complicato arabesco - “Drusilla parlava tanto di lui... nelle notti d'estate...”

 

London

 

I discorsi ormai si sovrapponevano istericamente. Ma gli ascoltatori sembravano non avere problemi a connettere e valutare la situazione. Per tanto, Wes deviò con abilità un'altra volta e si preparò psicologicamente a tirare una seconda mazzata intellettuale ai suoi stimati colleghi.

 

Torniamo all'anima di Spike, dunque. I tempi coincidono.” - aggiunse. Aveva interrotto la spiegazione in attesa di domande. Lo aveva atteso solo un prolungato, densissimo silenzio di attenzione - “Darla è stata vampirizzata lo stesso giorno in cui è tornata l'anima di Spike. E i racconti di Spike a riguardo lasciano sempre intendere che sia stato un ritorno senza chiarezza e senza testimoni... questo perchè la mandante era lontana.”

Questa spiegazione è un castello di carte. Da quando un chiudersi di un anello di sangue genera un'anima!”

Non era un cerchio qualsiasi. La risposta sta nell'unicità della situazione. Drusilla non ha fatto altro che intrecciare le linee di sangue per ottenere un veicolo magico sempre più potente. Ha dissanguato Angel a Sunnydale per rinforzare se stessa, in previsione degli eventi futuri. I soli segni che Spike può vantare sono di Angel e sono tutti attivi. Quando l'anello di sangue si è chiuso, si è creata una connessione potente. E i segni si sono attivati. Solo che, a quel punto, Angel aveva qualcosa che le altre non avevano: un'anima.”

 

Posso percepire William, non Spike. Non è nella demonicità la nostra telepatia. È sempre stata nell’essere ciò che siamo. Nell’anima."

 

Già, nell'anima.

E il contatto, la connessione, la predestinazione, sono scaturite da questa semplice realtà.

Angel, il vampiro con l'anima, ha rigenerato Spike.

 

E le cicatrici, le loro cicatrici gemelle, sfiorandosi, sembrarono sprigionare calore.

Non sul corpo. Nel sangue e nell'anima è il nostro marchio.

 

E' questo che Drusilla sapeva. Sapeva che attraverso la dannazione, Spike sarebbe giunto fino a Angel. E, quindi, a Faith. Perchè Faith è una sua creatura.” - aggiunse Methos, dando a Wes un po' di respiro - “Drusilla ha ucciso Rhonda perchè, tramite lei, Angel e Spike potessero reclamarla.”

 

Io uccisi la Cacciatrice… io le squarciai la gola e leccai la sua calda essenza. Nessuno può interrompere un legame di sangue…” – Drusilla avanzò verso di loro, ondeggiando, come una marionetta dai fili recisi – “E se non volete credere a me, crederete all’uomo dagli occhi trasparenti…”

Lei non è tua. Sarà per sempre mia…” – sussurrò Spike– “Mia, finchè avrò vita per esprimere ed espiare. Mia. Tu l’hai legata a me, Dru, non a te stessa…”

 

L'assenza dei marchi, poi, oggi più che mai ha un valore. Nessun vampiro, nessuno in assoluto, può rivendicare un'autorità su William. William è libero, libero da ogni obbligo se non quelli verso Angel. Per amore, non di certo per casta.”

La folla borbottava. Ma non c'era da sorprendersene. Dopotutto, non restavano molte spallate da dare alla loro fede nel calcolo profetico e perfetto.

E, quindi, ad un passo dal concludere, penso che non restino molti dubbi. Vi avevo avvertito, sarei tornato a parlarvi solo del sangue del Flagello. E così ho fatto.” - sospirò Doyle, scoprendo tristemente quanto fosse vuota la bottiglia di scotch - “Drusilla non ha sempre giocato pulito e, soprattutto, non ha sempre avuto il controllo della propria mente. Giocava una partita con il tempo, con la propria natura e lo faceva del tutto priva di un'anima, appigliandosi, probabilmente, al proprio istinto primordiale. Ha sbagliato molte cose e il sentiero su cui ha posto William Coventry non sarà mai perdonabile o giustificabile. E sarà per Spike, il protettore degli uomini, una macchia indelebile. Ma il risultato, il risultato finale è stato davvero ciò che Drusilla aveva immaginato. Un miracolo. E sopra ogni possibile aspettativa.”

E, ancora una volta, come nel caso del flagello...” - commentò uno degli anziani - “...la vostra ricostruzione pecca di parzialità. Questo vostro eroe, Spike, che ora state proclamando cosÌ vittima degli eventi, ha ucciso e sgozzato ben due, se non tre cacciatrici. Non sono omicidi figli dell'ingordigia, questi, bensì di un freddo calcolo matematico. Non mi sembra poi così schiavo dell'istinto...”

No, affatto.” - Doyle scosse la testa, amichevole - “Ma lasciate che a rispondere siano le parole dello stesso spike: Lezione numero due. Fa domande precise. Vuoi sapere come ho vinto? La domanda non è come ho vinto, ma piuttosto come loro hanno perso."

"E c'è differenza?" - chiese il suo aguzzino, arcigno, ricalcando senza saperlo, le parole di Buffy.

"C'è un enorme differenza…" - rispose Doyle, senza dilungarsi in particolari- “E, difatti, come è finita? Che Spike ama una Cacciatrice. Amore e morte, non aspettatevi che un vampiro abbia la razionalità per scinderli. Ha amato le cacciatrici ieri e oggi ama una Cacciatrice. Fin troppo. E vi posso assicurare che, nella situazione in cui ci siamo trovati, è stato bene che Spike avesse tanto sangue di Cacciatrice, di eroe e di immortale in corpo. Soprattutto per l'universo.”

 

[X]

 

Quando Spike rinvenne, era legato. Le braccia, stese e bloccate, dolorosamente, gli donarono lucidità, con la stessa rapidità con cui l'orrore si fece strada in lui nell'abbassare lo sguardo.

A terra c'era faith. E il vestito rosso che indossava, lungo e di seta, la rendeva ancora più pallida.

L'odore del tessuto fine mischiato al sangue lo colpì, provocandogli un'ondata di nausea. Poco oltre, legata maldestramente e con una tumefazione che le chiudeva un occhio e anneriva parte del viso, c'era dawn.

Tese i muscoli, in un disperato tentativo di liberarsi. E faith apr gli occhi, guardandolo.

Ciao piccola.” - sussurrò, vcercando di sorriderel.

E la bocca di faith si inarcò lievemente ironica.

 

Ma chi vuoi prendere in giro, stupido.

Siamo fottuti. E lo sappiamo bene.

 

Cacciatrice e Vampiro...” - ridacchiò la voce di darla, mentre la donna emergeva dalle ombre - “E' quasi iconografico. Abbiamo la seta, il sangue, le catene... E', come dire... perverso...”

Spike la ignorò. Faith lo guardava, senza parlare, senza poter parlare. Aveva una lunga fila di segni microscopici sulla gola. Tagli precisi, fini. E il sangue, come un lungo nastro, si dipanava sulla pelle, macchiandola.

Tranquillo, non l'ho morsa. È una piccola cacciatrice velenosa, non intendo sporcarmi con lei. Ma quel collo così nudo... non trovi sia un ornamento perfetto? Il angue della sua stirpe la adorna... guarda come luccica...”

strinse i pugni, le catene cigolarono nuovamente. E darla seppe di avere tra le dita uan mano vincente.

Drusilla parlava tanto di un momento del genere.” - sospirò, nostalgica, sedendosi su un gradino - “Diceva che eri il suo principe, ricordi? Il mio william, il mio william è fatto per volare, ha ali...”

Dondolò lievemente. E spike alzò la testa, fissandola. Bellissima, come sempre.

E il sangue delle cacciatrici è per lui il più dolce dei nettari. William non vive senza le cacciatrici... guardala, William... guarda come è bella...”

 

Guardala. Guardala negli occhi.

 

E' il mio dono per te... un sacrificio innazi al tuo altare.”

 

Non le credere.

 

Spike abbassò gli occhi. E faith, in un battito di ciglia, fu di nuovo nelal sua mente. Informe e calda, incredibilmente viva.

 

Non lasciare che ti spezzi. Non credere che questo dovesse accadere. È solo successo. Vai avanti. Vai avanti e non voltarti.”

faith, no. Andrà...”

Risparmia le cazzate. Lo sai benissimo come funziona. Il dovere di una cacciatrice è farsi ammazzare.”

Non... non tu. Tu non puoi morire.”

 

Faith non rispose. E, quando i suoi occhi si chiusero, Spike semplicemente, chiuse i propri.

 

"Tutto ok?" - domandò Faith. La musica si levava ancora alta. Ma per loro aveva ricominciato ad esistere solo da qualche secondo.

"Meglio dell'ultima volta che mi è successo…" - ribattè lui - "Per lo meno non siamo franati a terra…"

"Immagina la scena." - rise lei - "Aggrovigliati in tutta questa seta. Oddio, avresti potuto strapparmi il vestito!"

 

Eri vestita di seta, come ora. E io... io avevo appena capito che ti amavo.

 

"Oh, sì, hai corso un tremendo pericolo…" - l'apostrofò - "Ma del resto ci sei abituata…"

"Ovvio. Io sono la cacciatrice." - ribattè lei con naturalezza.

"Oh, lo so, Faith. Lo so."

E lei lo guardò, come l'aveva guardato quel giorno, nel carpirgli il segreto.

Fin dentro le iridi. Fino a capire.

Ora era lei che aveva la sua vita tra le mani.

"Sei morto, vampiro." - sussurrò, mentre le labbra si inarcavano in un sorriso di consapevolezza. Mentre Spike ricambiava la sfida, con lo stesso lampo negli occhi.

 

No, ti sbagli, faith. Non ero mai stato così vivo. Mai. Perchè lo sapevo, ormai, sapevo che eri tu che avevo atteso, di generazione in generazione, di cacciatrice in cacciatrice.

 

Nulla avrebbe potuto negare la realtà dei fatti.

Lei era la Cacciatrice. E tra le sue braccia stringeva l'Uccisore. Facendolo sentire al sicuro.

Senza che paura alcuna sorgesse dal suo cuore.

 

Tu, faith. Tu eri l'obbiettivo finale della mia ricerza. E da te mi sarei fatto uccidere.

 

Spike non parlava. La sua bocca si era increspata in un sorriso. Un sorriso molto triste. Un sorriso che più volte gli era apparso sui lineamenti, in quella lunga giornata di attesa.

"Spike…" - lo sussurrò, prima ancora di sapere cosa dirgli. Prima ancora di rendersi conto che avrebbe ricambiato, con la stessa dolcezza negli occhi.

Prima ancora di capire che avrebbe dovuto avere forza per entrambi.

"La musica è finita." - bisbigliò, voltandosi con una sorprendente naturalezza e bilanciando il peso di entrambi sulle sue gambe - "Tienimi abbracciata, fai finta di niente e comportati da idiota, come tuo solito."

 

Faith...” - sussurrò, come una preghiera. Cacciatrice...

Le labbra di Faith, in risposta, si inarcarono nel suo nome.

 

Ma senza un suono. E senza un respiro.

 

La musica è davvero finita, amore mio. Io non riesco più a sentirla.

 

***

 

Anya fu di parola. Quando arrivammo, il massacro era già in atto. Ma di Darla nemmeno l'ombra. Anya, dal centro di una confusione in cui arti strappati e decapitazioni erano ricorrenti, ci urlò di proseguire, di cercarla fuori da quella cripta che sembrava un salotto. E noi, senza discutere, obbedimmo. Anche perchè presto fu evidente che ci sarebbe bastato correr dietro ad Edward ed Angel. L'odore di sangue di Spike era davvero troppo forte per non essere percepibile a Angel e Coventry, con gli occhi iniettati in quel modo, avrebbe saputo trovare suo fratello anche in Patagonia.”

 

LosAngeles

 

Era una sale enorme. Una vecchia sala riunioni, probabilmente, uno di quegli enormi spazi adibiti alle feste degli anni settanta, gradinate, colonne di cemento e tendaggi pesanti. Solo un tocco vampirico in più, per le catene e il sangue. Ma null'altro di rilevante da notarsi, se non Spike, legato per i polsi, incatenato in cima ad un piccolo podio.

O, almeno, questa fu la prima immagine che Dawn registrò, risvegliandosi. La seconda, agghiacciante, la figura ai piedi di Spike.

 

Faith.

Faith.

 

Sembrava disposta ad arte, la mano lievemente distesa verso Spike, la testa reclinata nella sua direzione. L'avevano magistralmente cambiata d'abito, vestendola di rosso, un lungo e affusolato vestito rosso che la carezzava e ne delineava la figura sottile e morbida.

Spike la fissava, come ipnotizzato. E non un movimento, non compiva un singolo movimento per liberarsi.

Agghiacciato. Spezzato. Del tutto.

Spike...” - lo chiamò Dawn. E poi, sempre più forte, scotendo le catene che la bloccavano. Il vampiro che la sorvegliava le rifilò un malrovescio, ma a Dawn non importò. Era intenzionata a continuare a chiamarlo, fino a vederlo sollevare la testa.

 

Nulla.

 

Non succedeva nulla. Spike aveva occhi solo per Faith. Per Faith.

 

Una volta aperte le danze non ti fermeresti mai.

 

Perchè nessuna, nessuna era mai stata come lei.

Triste, vero?” - domandò una voce, dal buio. E Darla emerse, vestita di un azzurro tenue e morbido - “Un'altra tua donna che ti lascia... la tua Cacciatrice...”

 

Ti svegli ogni mattina con l'interrogativo che ti ronza nel cervello.

oggi sarà il giorno della mia morte?

La morte ti sta alle costole e, prima o poi, ti piomberà addosso.

 

L'hai cercata ovunque, l'hai annusata, respirata. Le hai dato la vita e la morte. Non ti è mai importanto che volto avessero, come si chiamassero. Le trovavi tutte bellissime. E poi.. poi è giunta questa. Questa insignificante ragazza bruna...”

 

Una parte di te lo vorrebbe, per mettere fine alla paura e all'incertezza.

Perché sei innamorata della morte.

La morte è un opera d'arte, la modelli con le tue mani,

giorno dopo giorno, fino all'ultimo respiro.

 

Non Buffy, no. A lei non hai potuto nemmeno ambire. C'era già il tuo grande idolo tra le sue cosce. Il tuo bell'Angelus ti ha portato via la preda più appetitosa... chissà che problema per te accettarlo...”

 

Ah, quel senso di pace. Parte di te lo vuole disperatamente.

Come sarà?

Dove ti porterà?

 

Senti il suo cuore... ascolta... no, non sento quasi più nulla... ah, no, eccolo.”

 

Ora lo vedrai…

Ecco il segreto:

non è nei pugni che non hai dato...

 

Ancora un battito...”

 

o nei calci che non hai sferrato...

 

Ancora uno...”

 

Loro lo hanno voluto.

 

Strano, non sento più nulla...”

 

Ogni Cacciatrice desidera la morte.

Anche tu… si, anche tu.

 

Ssss... c'è troppa confusione... troppa...”

 

L' unica ragione per cui duri da tanto tempo è perché hai ancora legami sulla terra…

Ma stai solo rimandando l'inevitabile.

 

No, aspetta. Non è la confusione...”

 

Presto o tardi, vorrai morire.

ed in quel momento, nel momento in cui lo vorrai,

io sarò lì per te, a tutti i costi, io mi godrò il giorno speciale.

 

E' solo silenzio...”

 

Ti amo. Ti ho sempre amato.

 

Oh, quanto mi dispiace.” - sospirò Darla. E Spike, gettando la testa indietro, eruppe un urlo che non aveva niente di umano.

 

***

 

Angel fece leva con le braccia. Ed il demone, colpito in pieno petto dal calcio, cadde rumorosamente dai tre gradini. Rideva. Rideva dei loro grotteschi sforzi di liberarsi della sua ingombrante presenza all'ingresso della sala.

E stava ancora ridendo quando l'urlo lacerò le stelle e il cielo.

Angel, afferrato a una catena da lampadario, sollevando i piedi per darsi slancio, ondeggiò pericolosamente.

Cosa pensi di fare?” – gli chiese, colpendolo in pieno viso. Colpendolo di nuovo – “Pensi sul serio di potermi fermare?”

Il cuore gli si strinse. Ed egli mollò la presa. Methos, con prontezza, fermò con la spada il fendente che stava per calare su di lui. E sentì i peli delle braccia rizzarsi per l'orrore.

 

No, non poteva essere successo. Non con loro così vicini.

Con solo una porta, una porta in mezzo.

 

Sentì Edward urlare. Lo guardò gettare indietro la testa con un ululato identico a quello del fratello. Era furioso e, probabilmente, come Angel sentiva il dolore di Spike scivolare fin nelle fondamenta dell'edificio.

 

Faith, la mia Faith...

 

"E' bello, non trovi?" - la voce di Faith si era fatta pastosa, lenta nelle parole. Angel chinò la testa, fino a intravederla, con gli occhi chiusi.

"Che cosa è bello?" - sussurrò, scostandole i capelli dal viso.

"Essere protetti. Come me e… Spike." - sospirò, e si addormentò del tutto.

"Hai ragione bambina. È bello." - sorrise Angel nel baciarla dolcemente.

 

Non vi ho protetto. Non ho protetto nessuno dei due.

 

Si rialzò, con un ruggito. E Methos lasciò andare la propria spada, mentre Angel l'afferrava. E colpiva, colpiva, colpiva.

Con un calcio aprì la porta, il sangue ancora sul volto mutato, sulle mani.

Dietro di lui Methos ed Edward.

 

Ma Spike non lo vide. Spike, negli occhi, non aveva più nulla. Nemmeno l'anima.

 

Darla si voltò, sorridendo, andando loro incontro. Angel vide Dawn, il coltetto puntato alla sua gola e di istinto, lanciò la spada. Il vampiro finì in cenere.

Edward deviò, liberandola, ma Angel proseguì la sua corsa verso Spike, verso Faith. La spada tornò nelle mani di Methos ed egli sfilò a fianco di Darla senza vederla, senza curarsene.

Di fronte a lui, un ringhio selvaggio e null'altro, c'era Spike, ancora legato, ancora innanzi al corpo di Faith.

 

E Faith... Faith non c'era più.

Angel lo percepi come una coltellata.

 

"Angel. Spike ha ragione."

"Ragione su cosa?"

"Sul fatto che tu non ci vedrai mai cresciuti."

 

Non ho fatto in tempo a vederti cresciuta. Ti ho persa prima.

 

In un attimo fu su Spike, a liberargli le mani. Methos di stava occupando di chiunque volesse mettersi in mezzo. E Darla... Darla semplicemente guardava.

Guardami.” - mormorò Spike. Ed Angel alzò lo sguardo, fissandolo. I loro visi… se Spike avesse respirato, il tepore lo avrebbe colpito alle labbra. Il veleno che sentiva diffondersi in ogni cellula, il dolore che strisciava, di fondo, annientandolo, gli rimase intrappolato nella mente. E, quando parlò, Angel lo fece solo con il cuore, come una notte, in un’altra vita ancora.

Io sono qui. Perché tu hai bisogno di me.”

Spike si divincolò, senza riconoscerlo realmente. E, una volta libero, lo colpì.

Tu non mi hai trovato. Lei è morta.”

Un altro colpo raggiunse Angel in pieno viso, senza riuscire a spezzare la sua certezza.

Come due fratelli.” - ripetè, incespicando. Non arretrava, non poteva. Alle spalle c'era Faith. Solo Faith. Un altro pugno.

Hai ragione.” - ammise - “Puoi farmi sputare sangue. Ma non menzogne. Io non ti ho trovato, ma... ora... sono... Qui. Io salverò almeno te, devo provarci. Devo.”

 

Io... io posso riuscire.

 

Negli occhi di Spike si era accesa la follia. Lo colpì, ripetutamente, ma Angel, in ogni respiro mozzato dalla violenza, lo fissò ancora. E ancora.

Darla rideva, nessuno la faceva smettere. Angel aveva altro a cui pensare. E si lasciò colpire, parando, senza mai attaccare, senza mai arretrare, fino a quando non vide la lacrima.

 

Tu mi hai salvato William. Io ogni attimo ogni attimo che abbiamo condiviso, tu sei stato tutto per me. Tutto. Tu.. tu sei la mia redenzione. E la luce per cui arranco, ogni giorno, sei tu, per me. Non credevo nella rifulgenza. Poi ho avuto te.

 

Si, una lacrima.

 

Una, singola, fatta per disegnargli ancora il profilo dello zigomo.

Lo vide portarsi le mani alle tempie, piegarsi per il dolore mentre, con i lineamenti stravolti, colpiva la prima cosa sotto mano. E spezzava, con rabbia, il collo del demone alle sue spalle.

Per riportarsi ancora le mani alle tempie.

Ed Angel comprese che quella fitta, dritta al cervello era la fitta della consapevolezza.

Una goccia strisciante, fin dentro lo spirito.

 

Se ne è andata, se ne è andata per sempre. Un'eternità. Un'eternità senza di lei.

 

Non sento più la musica...

 

Quando Spike rialzò la testa, l’anima che sembrava perduta si riaffacciò nel suo sguardo.

Ed Angel si sorprese ad urlare. Urlare.

 

Tu devi combatterlo William. Combatti il demone, combattilo. Devi ricordare, dannazione, non è possibile che sia tutto svanito.” – urlò, strattonando ancora le catene che aveva ai polsi – “Vedo la tua anima. Io la vedo, la vedo nei tuoi occhi, come tu vedi la mia. È ancora in te, smetti, smettila ora.”

 

Non lasciare che il demone ti divori. Guardarmi. Guardami, will. Guardami, fratello.

 

La risata di Darla non era più udibile, ma Angel sentiva i propri singhiozzi. E quelli di Spike.

Ti voglio bene William, ti voglio bene.”

darla sent una coltellata al cuore innazi a quelle parole. E la risata le si mozzò sulle labbra.

Tu devi amare me. E nessun altro.

Adesso basta.” - sibilò. E, al suo ordine, i balestrieri apparvero alle balconate superiori e, nel prendere la mira, scelsero la schiena del flagello come primo trofeo.

Guardami.” - pregò ancora Angel.

Ti vedo.” - annaspò Spike. E la pietra inbvase i suoi occhi, indurendoli, irraggiandoli di acciaio - “Ti vedo, fratello.”

 

Ti vedo. Sento il tuo sangue ribollire. Sento il tuo corpo.

Come sempre, sento il tuo corpo.

 

All'improvviso si sentì pericolosamente sull'orlo di un abisso. Barcollò, cercando di resistere e poi, arresosi, attese l'impatto col pavimento.

Due braccia forti lo cinsero,si tesero per trattenerlo in piedi e poi infine sollevarlo, come se non pesasse nulla.

Era quello il tepore della pace. Spike ne fu colpito, scosso.

Si rannicchiò, per istinto, aggrappandosi, ricambiando la presa, con le braccia strette attorno al collo, il viso seppellito su quella spalla solida. Lo fece consapevolmente, perché voleva farlo, fregandosene delle conseguenze, sperando in una reazione che non fosse rifiuto.

I ricordi lo colpirono, violenti, ricordi dei giorni di dolore che non sapeva di poter avere.

I suoi ricordi erano Angel. Angel e la sua forza, il suo silenzio. Angel che lo tratteneva, Angel che gli teneva una mano tra i capelli quando piangeva nel sonno.

Angel, semplicemente, con le sue contraddizioni.

Angel,che non gli avrebbe mai permesso di cadere.

 

 

Non sei arrivato in tempo. Ma sei arrivato, come sempre.

E io non ti deluderò, mai.

 

Voglio vendetta.” - disse ancora, i loro volti nuovamente vicini, gli occhi infiammati di anima, dolore e furia.

Prendila, allora.” - rispose Angel - “Io resterò con lei fino a quando non tornerai.”

 

***

 

Accadde in un attimo. Spike, con una falcata, saltò i tre gradini. Ed Angel lo vide allargare le braccia. Vide le frecce sfondargli il torace, in una traiettoria perfetta, bucandogli i polmoni, laddove, agli occhi dell’arciere, fino a pochi attimi prima, stava il cuore di un altro vampiro.

Una spinta.

Una semplice spinta, per scambiarsi di posto.

Prima di ruotare su se stesso, le braccia sempre spalancate.

Un’altra freccia incoccata pronta a colpirlo si fece largo nella visuale di Angel.

 

Una freccia che si fermò a mezz'aria prima di ricadere a terra.

 

Dawn aveva entrambe le mani alzate innazi al viso. E urlava.

Non chiedermi come ho fatto!” - gridava, nel rispedire al mittente i dardi, mentre Edward ne approfittava per allontanarsi in direzione di Angel - “Ma non smetto!”

 

In quel mentre, percorrendo di volata la sala, Wes scivolò con la moto di fronte a Spike.

Aveva mollato il manubrio, ed impugnava le pistole, con entrambe le mani.

Ai piedi della scalinata. Sdraiato, protetto come da uno scudo invisibile che si sovrapponeva aquello creato da dawn, i colpi a ripetizione.

 

Fatelo.” - urlò, senza rialzarsi, senza osare voltarsi e vederla - “Fatelo ora.”

 

No. non adesso. Non è tempo.” - urlò angel, alzandosi di scatto - “Prima.. prima la vendetta. Non la porteremo nella nuova era.”

 

C'era edward, edward stava correndo. E aveva consapevolezza negli occhi. Impossibile dire cosa stesse realmente vedendo. Ma Angel poteva sentirlo, senza tentennamenti.

 

Tu sai che devi compiere qualcosa.

Hai salvato me. E ora salverai lui.

 

Spike era caduto, senza più la forza di strapparsi le aste dal corpo. Angel, afferrandolo per la vita, lo portò al riparo sul rialzo.

Resta qui.” - disse, afferandogli il viso con le mani – “Resta qui e andrà tutto bene.”

No, Darla...”

Vado io da lei, William.” - sussurrò, stringendo la spada.

Angel, non... Cecily, Faith...”

Lo so. Ma non mi accadrà nulla. Te lo giuro.” - gli occhi gli brillarono di oscurità. E Spike annuì, piegando la testa, scosso da singhiozzi che non poteva più controllare.

 

La sacca non era ancora caduta sul sentiero, ma Spike era già di fronte a Faith, in cima alla breve gradinata. E prima che lei potesse dire qualcosa, o appena rendersene conto, la baciò, afferrandola per le braccia.

La baciò con forza e possesso. E lei, sorprendentemente, ricambiò, infiammandosi su quelle labbra gelide e umide. Quando si separarono, trovandosi ancora abbracciati e ansimanti, Spike le sorrise, e alzò la testa.

Guarda lì.” – mormorò – “Vischio.”

E Faith con la paura nel cuore per quel bacio rubato, gli sorrise. E annuì.

Avrebbero avuto tempo. Adesso ne erano certi.

 

E' stato poco. Troppo poco.

 

"Cosa vedi, Doyle?"

"Vedo che li hai uniti. E che mai nessuno potrà più separarli…"

 

***

 

Darla.”

Era un ruggito.

Un ruggito.

E Darla correva, percorreva il corridoio in cerca di una via di fuga. Eppure, ovunque si combatteva. Tutti colore che aveva raccolto, la corte e l'esercito, giacevano ovunque, accasciati. Non erano che dieci guerrieri e stavano mietendo vittime come nessun altro prima di loro. E non esisteva posto in cui Angelus non l'avrebbe stanata, nessuno.

Incespicò, cadde, si rialzò di corsa.

Si voltò, nervosamente.

Ed egli planò su di lei, senza pietà.

La spada le lacerò il vestito e la pelle. Gridò, ostentando piacere, ma un secondo colpo le mozzò la parola, come se potesse toglierle il fiato. Con orrore, senti la lama inciderle la gola con una profondità eccessiva. Rantolò, portando le mani alte, verso il viso. Ed Angel colpi di nuovo, deturpandola.

Non poteva più gridare. Poteva solo sussultare, schiacciata dal suo peso, dalla sua furia.

Nessuna ultima danza, nessun elegante e passionale addio. Nulla.

Solo violenza. Violenza demoniaca.

 

Darla era bella.

Senza paura.

"Mio bellissimo Angelus…"

Darla lo inebriava, con il suo profumo, la sua morbidezza, la sua essenza. Il velluto gli scivolava sui pantaloni mentre Darla lo avvolgeva in un morbido abbraccio, sussurrandogli nell'orecchio, fissando la Cacciatrice sulla soglia.

Angel non aveva bisogno di guardarla. La vedeva, si lasciava avvolgere senza un movimento.

Era il loro ultimo abbraccio.

Chinò il capo, per sussurrarle in un orecchio. Non voleva che Faith sentisse.

"Saremo legati per sempre, Darla. Sarai sempre la mia Regina…"

I loro palmi si incontrarono, dita contro dita.

Angelus voleva ballare, ballare con lei. Era venuto a lei dispensando morte e distruzione, conducendo come dono una Cacciatrice forte e rinnegata.

Darla danzava.

Danzava con lui.

Danzava per lui.

Danzava accettando la sua sconfitta per dono, danzava mentre il sangue di Spike ancora gli impregnava i vestiti. Profumato. Eccitante.

Danzava, seppellendo il viso laddove Spike aveva piantato i denti.

Danzava, respirando l'aroma di quel sangue maschile, lo stesso, di due corpi differenti.

Alzò lo sguardo, lo immerse in quello di Angel, si saziò delle lacrime che ancora gli scendevano sul volto, scandendo il ritmo.

Chiuse gli occhi, si lasciò sommergere da una marea incontrollabile.

Ed Angel alzò lo sguardo a Faith. Un lampo fuggevole fatto di silenzio.

"Sarai sempre la mia Regina…" - sussurrò ancora.

E lasciò scivolare a terra il velluto rosso, quando il paletto di Faith si bloccò a pochi millimetri dal suo petto.

Rimase a fissare la polvere, mentre con leggero movimento si depositava a terra.

"Lunga vita alla Regina."

 

Torna all'inferno che ti meriti.” - mormorò, infine - “E restaci.”

 

Darla non sentì altro. E il suo corpo divenne polvere mentre la testa ancora rotolava lontano.

 

***

 

London

 

La morte di Darla disperse gli ultimi facinorosi. E noi ci trovammo di colpo disoccupati.” Doyle si indicò, con aria sorpesa - “Perchè, credevate mi perdessi lo spettacolo? Ero nelle retrovie e non corro veloce. Alla sala sono arrivato molto dopo, in effetti. E, quando giunsi... quando giunsi mi dispiacque non essermene stato a casa.”

 

Pausa.

 

Per qualche minuto, insomma. Per qualche minuto mi dispiacque proprio!”

 

***

 

LosAngeles

 

Ehi.”

C'era Edward. Spike se ne rese conto quando sentì il proprio corpo inglobato dalle sue braccia. E si appoggiò di peso al torace, mentre Edward lo obbligava ad alzarsi.

Vieni con me, muoviti. William, muoviti, c'è ancora una speranza.”

 

Cosa? No, Edward, ti sbagli. C'è solo morte. Morte.

 

Era una cacciatrice. L amorte era il suo unico amore. La morte era il suo unico destino.

 

Non ci siamo ancora.” - urlò Methos. Era chino su Faith, assieme a Wes - “Ho bisogno di Angel, cercatemi Angel!”

Non teneva una mano sul corpo di Faith per cercarle un battito, non si agitava per salvarle la vita. Le teneva solo le dita strette tra le proprie, senza smettere di guardarle il viso.

Andiamo, andiamo, andiamo...” - si voltò versò Spike, posandogli una mano sul collo, di violenza - “Ricordi quel giorno, will? Il giorno in cui avresti dovuto scegliere? Lo ricordi?”

 

Questo è il momento della tua scelta, libera e umana, uccisore delle cacciatrici, William il sanguinario, sangue dei Coventry... Spike.” - e Spike suonò come un tuono, nel silenzio - “Combatti per ciò che ami, ora, scegli cme essere che ama, odia, soffre. Scegli. E non voltarti più indietro.”

Ascolta l'Antico, William, sussurrò Angel, riempiendo la sua anima. Ascolta l'Antico e afferra la luce che ti è stata sottratta.

E non voltarti mai più indietro.

 

Mai più.” - aggiunse Faith, apparendogli, lattiginosa, evanescente, dietro le palpebre chiuse - “Perchè nel domani saremo per sempre intrecciati. E per sempre a cavallo di luce e ombra.”

Tu lo senti.” - fece eco Methos - “Tu lo senti accadere. È come aria troppo fredda, è come un sorso di vita dalla coppa di dio."

 

È la reminiscenza, Spike.

È il dono del sangue di Edward.

 

E compi il tuo destino.

Compi il nostro.

 

Come un automa, Spike annuì. Non aveva parole, non sentiva di possedere altre parole.

"Allora scegli per tutti noi." - ingiunse Methos, deciso – "E fai ciò per cui sei giunto fino a qui in questa via di dolore."

 

La mano di Faith, tra le sue, ebbe uno spasmo.

 

***

 

Si inarcò cercando aria, gli occhi sbarrati, il cuore che ripartiva violentemente. Edward, come Methos, sentì l'aria risucchiata dai polmoni e temette che le gambe gli giocassero un brutto scherzo.

 

Reminiscenza.

Reminiscenza.

 

Lei è... è una di noi.

 

Ragiona, Edward. E fallo con l'istinto e non con il cuore, pezzo di imbecille che non sei altro. Tu l'hai sentita. L'hai sentita.Tu puoi.” - insistette - “Sotto la sua natura di predatrice, tu l'hai perfettamente sentita.”

 

I nostri mondi si toccano e si sovrappongono.

Ora comprendo, comprendo fino in fondo.

 

Il grande amore di mio fratello. Le cacciatrici. E tutta la stirpe che, in lei, abbraccia l'eternità.

 

E l'eternità... l'eternità appartiene a me. Nella luce.

 

Si piegò, cominciando ad arrotolarsi le maniche, a slacciarsi il colletto. E si voltò, cercando Angel, guardandolo apparire dal buio. Senza controllarsi, gli sorrise, di sfida.

 

Angel girò impercettibilmente la testa. E i due si fissarono. Poi Angel, con un sorriso arrossato dal sangue, tornò ai suoi lineamenti di sempre.

La prossima volta ti bacio.” – lo sfotté, sottovoce, prima di voltarsi.

Provaci!”

 

Spike!” la voce di Wes era carica di urgenza, mentre raccoglieva Faith tra le braccia, una Faith ancora impegnata a rantolare e tossire, senza consapevolezza e nel terrore - “Devi marchiarla. Mordila. Ti serve il suo sangue.”

 

C'era una campana, lenti rintocchi scanditi. Mezzanotte.

Oggi Faith è la causa. Domani sarà il mezzo.

 

Gli occhi di Spike, dilatati per la sorpresa e l'incapacità di capire, si riempirono di orrore. Ed egli scosse le testa, cercando di arretrare.

 

No, io, no...”

William.” - la voce di Edward schioccò come una frusta. C'era Angel che lo raggiungeva, alle spalle - “ascoltami. È un'immortale, è una di noi, io ho sentito la reminiscenza. Tu non le farai del male, non le farai nulla...”

Edward... Edward non chiedetemelo.”

Ascoltami.” - Angel aveva lasciato cadere la spada e spike gli aveva afferrato il collo, stringendo disperato.

Tu lo puoi capire, angel, non lasciare che io la morda.” - non lo aveva detto, ma Angel lo sentì comunque. Era una mente piena di paura, confusa, un corpo che tremava contro il suo.

Tu devi farlo.” - rispose, tenendolo stretto e incrociando gli occhi di edward. Solo un cenno per capirsi, e l'immortale si voltò verso la Cacciatrice - “Lei non vuole essere la Cacciatrice per l'eternità, Spike. Non incatenarla a questa missione, lasciala libera. Lasciala andare.”

 

Faith e Spike.

Spike e Faith.

Si inseguivano e si univano. Come se, da un momento all'altro, i loro corpi dovessero fondersi, scivolare uno nell'altro. Senza che almeno uno prevalesse.

Faith era la Cacciatrice che non si piegava innanzi all'Uccisore.

 

No, angel. Non me lo chiedere...”

Devi credere in te, william, credi in ciò che senti. Queso ruolo ti appartiene, ti appartiene di diritto. Tu sei colui che le conosce, l'unico che sa stregarle e ucciderle. Le conosci come te stesso... prendi per te la loro natura, dai uno scopo vero al loro istinto.”

 

La sua maestria era pari solo alle parole che gli osservatori avevano sprecato su di lui. Non c'era metafora o termine che fosse puro diletto letterario.

Semplici relazioni, rapporti su un giovane vampiro biondo dal nome altisonante. William the Bloody. Spike. Semplicemente spike. Più che un chiodo, una lama troppo affilata.

C'era qualcosa in lui che si esprimeva soltanto nel confronto diretto con le cacciatrici. Nel corpo a corpo. Spike aveva fuso le capacità del suo sire con un'eleganza ed un entusiasmo per la lotta che andavano ben oltre quello che i presenti riuscivano a concepire.

Spike era la lotta. Anima e sangue. Mai come ora più simile ad una Cacciatrice.

 

Sei ciò l'universo attende, ciò che Drusilla ha portato fin qui, attraverso il buio, perchè potessi tornare alla luce.

 

Combatti per la luce. E non voltarti più indietro. Mai più.

 

Tu sei nato per questo, William, lo hai sempre sentito.

 

Io non sono stato presente alle due uccisioni che ti hanno reso famoso. Ma penso di sapere che cosa vedono le cacciatrici; il loro sbaglio sta nel lasciarsi sorprendere dalla tua motivazione. Non cadono innanzi alla brutalità ed alla violenza, rimangono sorprese dall'obbiettivo che consegui. Sono le prescelte, il più delle volte ci massacrano perché sono educate a farlo. Non combattono con noi, combattono contro loro stesse. Ma, in te, vedono la stessa cosa che ho visto io quando ti ho vampirizzato.”

 

Le cacciatrici ti appartengono, la stirpe ha solo atteso la tua venuta, generazione dopo generazione. Tu hai portato la morte, tra loro... ma loro non hanno mai smesso di amarti.

 

"Nell'altra mia vita sono stato un pazzo ed un assassino. Ma anch'io sapevo riconoscere il talento. Tu volevi il potere che potevo darti. E per me l'importante era concedertelo, per poi umiliarti e spezzarti. Ma non ci sono mai riuscito. E non perché mi è mancato il tempo. Non ci potevo riuscire. Sei molto in gamba, William. E lo eri già da vivo."

 

Tu sei giunto fin qui come vampiro, come uomo, come eroe.

Tu sai cosa siano le tenebre e sai difendere la luce.

 

Salva Faith. Mordila, poni il tuo marchio. E liberala.”

 

***

 

"Combatti e polverizzi i miei simili ogni notte. Ti hanno detto che è giusto, ti hanno spiegato il modo per farlo. Ti hanno detto che lo puoi fare. Anche senza un perché. Sei la prescelta. Qualcosa, nel tuo dannato bagaglio genetico, ti dice che è la cosa migliore da farsi. E tu lo credi…"

 

Angel... angel resta con me, ancora un istante. Ancora un attimo, prima di scegliere.

 

Tu sei pronto?” - domandò Angel, voltandosi verso Edward. E il vampiro gli offrì il polso, la mano aperta in segno di resa.

Qualche parola che devo dire?” - domandò, incolore, guardandolo con sfida.

Digli che gli vuoi bene.” - replicò Angel, afferrandolo e attirandolo più vicino a William - “non ha mai avuto bisogno di altro.”

 

E deve ricordarselo, mentre il tuo sangue gli corre in gola.

 

Ancora un istante, ancora uno...” - sussurrò Spike. C'erano edward e angel, le loro voci. Ma erano lontane.

 

Esiste solo Faith. Pensa a Faith. Faith.

 

Faith ha adempiuto il suo compito e pagato per tutta la vita. Ora è immortale, non posso lasciare che il consiglio la prenda e la schiacci, non posso lasciare che si dilani verso due mete egualmente importanti. Io la conosco e la amo, non voglio che corra sola incontro a tutti questi nemici....

 

"Quanti vampiri riconoscono le tue doti?"

"Sempre troppo pochi."

"Puoi ucciderci a centinaia, a migliaia di migliaia, insieme a tutte le legioni infernali… ma a noi basterebbe che uno, solo uno, prima o poi, ottenesse quello che vorrebbero tutti…"

"E che cosa sarebbe?"

"Sarebbe…" - le aveva sfiorato il collo con le labbra - " un giorno speciale…"

 

La sua natura è stata la causa di ogni mia passione... ora è il mezzo per cui afferro il mio destino.

 

Per tutti i vampiri la parola Cacciatrice è sinonimo di puro terrore. Ma io non mi nascondo. anzi, vado a cercarla. se puoi divertirti con la morte e la gloria cosa c'è di meglio…"

 

Bevi dalla coppa, William. Bevi. E cambia gli eventi.

 

La stirpe si spezzerebbe, rimarrebbe solo lei. Non segregarla nella sua missione fino alla fine dei tempi, liberala. Liberala. E prendi il suo posto.”

 

Io sono più forte di lei.

Lo sono sempre stato. Ed è questo il mio destino.

 

"Essendo un vampiro, non ho niente da temere…

Ho un solo obbiettivo…

e quello sei tu."

 

[XI]

 

London

 

Poi accadde. Un attimo prima Spike non connetteva nemmeno, un attimo dopo stringeva Faith tra le braccia, i denti e il volto affondato nel suo corpo, sul suo seno. Io e Methos ci allontanammo. Non potevamo restare o saremmo stati travolti dalla potenza di ciò che stava per accadere. Solo Dawn avanzò, mentre tutti noi arretravamo. Era splendida. Credo abbia compreso cosa fare nell'attimo stesso in cui Spike ha compiuto la scelta. Dopotutto, questa era l'ennesima connessione dell'esistenza che doveva avere un senso: il vampiro e la chiave, così inspiegabilmente uniti. Dopo, non si è sentita in dovere di spiegare niente a nessuno.”

 

Wes si passò una mano sugli occhi. E, come sempre, posò gli occhiali sul tavolo.

 

Los Angeles

 

Lasciala a me.” - sussurrò Edward, afferrando Faith tra le braccia. E, sempre stringendola, tese il braccio verso di lui, senza paura - “lo hai già fatto, per istinto. Ripeti il gesto.”

marchiami. Io ti accetto per ciò che sei.

 

E tu sei William, mio fratello, il portatore di luce.

 

I denti di Spike furono precisi. Edwrad li sentì penetrare e, nello stesso istante, la mano di Angel gli strinse il collo in maniera rassicurante e forte.

Non te ne andare.”

Non me ne vado.” - replicò Angel, guardandolo dritto negli occhi. E non erano parole udibili, se non nella mente. Non me ne vado.

 

Come te, anche io dovevo essere qui, ora.

 

Per te.

Per Faith.

Per lui.

 

Per lui, per l'ultima volta.

 

London

 

Spike si era nutrito di Faith e rinnovato il suo legame con Angel ed Edward sempre tramite il sangue. E fu come aveva disegnato Doyle e predetto Drusilla. Dalla luce di Edward, dall'ombra di Angel e dalla natura di Faith, Spike rinacque. E lo fece per amore, puro e semplice amore.”

 

Wes sorrise, abbassando lo sguardo.

La stirpe si è consegnata a lui, senza paura e senza rimpianto. Le cacciatrici hanno abbandonato la notte, i vampiri si sono nutriti di luce. E l'eternità... l'eternità ha fatto e farà il resto.”

Pausa. Poi un colpetto sfrontato alla fronte, coem se una cosa importante lo avesse colpito.

Ah, fossi in voi, cambierei la dicitura dei files. Non è più William il sanguinario.” - puntualizzò, chiudendo la penna con uno scatto e alzandosi.

E sarebbe?” - lo provocò una voce spazientita.

 

William...” - ribattè, senza scomporsi - “...Il cacciatore dagli occhi azzurri.”

 

***

 

"E' tutto." - comunicò Doyle, laconico, alzandosi – "Noi andiamo. Statemi bene."

"Un momento. Non credo che sia tutto."

"Lei dice? E cosa vorrebbe d'altro, mi scusi? Abbiamo una stirpe che si è conclusa, una Cacciatrice divenuta immortale e libera da ogni obbligo, cosa che dovrebbe farvi felici, visti che sono cinque anni che cercate di ammazzarla, e un Cacciatore che si occuperà della notte per i secoli a venire." - si mise le mani in tasca e sorrise - "Siete liberi. Non avete più obblighi, doveri.. potete andare in pensione oppure a lavorare in un fast food se vi piacere. È finita. In tutto e per tutto."

"Non credo proprio. Rimangono dei quesiti aperti."

"Spara. Ti ascolto. Sono qui per risponderti."

"Chi aiuta il cacciatore? Gli occorrerà un osservatore."

"A Spike?" - Wes spalancò gli occhi e scoppiò a ridere – "Spike sa dove trovare metà dei libri del creato senza battere ciglio... e l'altra metà non gli serve perchè l'ha già letta! Non abbiamo nessuno di tanto competente da mettergli alle costole."

Gettò un'occchiata di traverso a Methos. E si sentì in dovere di rifilargli una stoccata, per mantenere la media oraria.

"Anche perchè dovrebbe essere immortale. E qui dentro non sono ben accetti."

Methos, semplicemente, lo ignorò. Con molta signorilità.

 

Tanto non mi freghi. Non intendo sobbarcarmi un altro Coventry per nessuna predestinazione.

Perchè io non credo alla predestinazione. Non esiste il destino.

 

"E Faith? Dove si trova?"

"Dove vuole. È libera. Libera per il mondo con una spada. Potete provare a cercarla per archiviarne le avventure, ma è piuttosto bravina a volatilizzarsi..."

"Tuttavia, Edward Coventry potrebbe..." - l'uomo si voltò verso la porta, cercandolo. La porta ondeggiava dolcemente, aprendo uno spiraglio verso il corridoio – "Dove è finito?"

"Me lo chiedo sempre anche io. La nostra eternità assieme è un eterno Bad Day." - sospirò Methos raccogliendo alcuni appunti di Wes e lanciandoli direttamente nel cestino della spazzatura – "E pensare che sono il suo osservatore..."

"E il flagello? Immaginiamo sia a LA..."

Immaginate male. L'Hyperion è stato raso al suolo, in quanto struttura pericolante. Ed Angel non ama cercarsi nuovi domicili, ha una certa avversione per i contratti. A quel punto preferisce cambiare direttamente città... al momento sta vagliando alcune interessanti alternative.”

Ma il suo Cantastorie saprà come rintracciarlo, immagino.”

Il suo di sicuro. Peccato che io e mia moglie.. perchè vi ho detto che sono sposato, vero? Io e mia moglie, dicevo, siamo entrambi i messaggeri per Angel e al momento siamo qui in viaggio di nozze. E ci resteremo un bel, bel, bel po'. È un posto carino per essere così inglese... stiamo in una pensioncina meravigliosa, ce l'ha suggerita Wes. Passi a prendere il the... la zia di Wes è fantastica.”

Mia.. mia sorella?” - per una volta tanto sembrava aver perso il suo proverbiale controllo.

Oh, si, venga a trovarla. A quanto dice non vi vedete da vent'anni.. e per un motivo stupido come un'eredità... rinunciare a dei muffins così buoni...”

 

E spike?”

doyle rimase immobile. Poi, con lentezza, piegò la testa.

Cosa vuole sapere.... ancora...”

 

Cosa, oltre al suo cuore, al suo amore e al suo eroismo. Cosa.

 

Dicono non sia sopravvissuto. E che voi stiate architettando una nuova brillante trovata per far svanire la Cacciatrice nel buio.”

Ah.” - gli occhi di doyle divennero metallici ed egli si protese, appoggiando le mani sul tavolo, mentre wes gli si avvicinava, con calma - “Dicono così...”

Si piegò, con estenuante lentezza. E scandì bene la propria domanda, con movimenti netti delle labbra.

E chi lo dice?”

 

Dicono che sia morto. Che sia morta anche lei. E che voi siate...”

Siate disperati?” - lo interruppe doyle, con letale gentilezza. L'anziano iniziò a temere di aver fatto un passo falso. Alle sue spalle, le vetrate vibravano, come un diapason - “Distrutti da dolore? Annientati dallo sbaglio di calcolo? Oppure... dei manipolatori della realtà?”

S-si... Si, è così...”

 

Iniziava a non poterne più. Era stanco, forse ubriaco, esasperato. E quella mezza cartuccia di essere umano, innanzi a lui, non demordeva nella sua ossessionante ricerca dell'inganno.

 

Sarebbe più facile, vero?” - insistette, furibondo - “Saremmo più facili da capire se fossimo come voi... se strumentalizzassimo i nostri sentimenti per ottenere inganni... schifosissimi raggiri di potere.”

 

Francis, stai esagerando.”

No, Methos, non sto esagerando.” - sibilò, deciso, piegando la testa - “Stanno scherzando sui miei dolori e sulla nostra disperazione. E io non lo accetto.”

 

Non lo accetto.

Dicono non sia sopravvissuto?

Sono degli stupidi.

 

È vivo. Ma per esserlo, è tornato dalla morte, ancora una volta.

Non scherzate sull'accaduto. Perchè per noi è stato un incubo.

 

Cosa vi sarebbe piaciuto?” - sibilò. E le ampie vetrate vibrarono ancora, come uno scampanellio - “Magari avremmo dovuto cominciare con tono melodrammatico, magari così... spike era morto, era morto da più di un mese...”

 

Perchè no... per un poco è stato persino vero.

 

Spike era morto. Il mese più lungo della loro esistenza. Doyle schiacciò pensoso il mozzicone con la punta della scarpa e, distrattamente, constatò quanto fossero consumati i suoi mocassini. Come allora… come gli erano stupidamente apparsi quel giorno, mentre correva, ed i polmoni sembravano sfondargli la cassa toracica, ed il cuore gli batteva così forte da assordarlo.

Un mese. Un solo mese. E le stelle avevano ancora la stessa luce….

 

Le luci della costa si riflettevano nei suoi occhi chiari, alzati verso il cielo. Il mare si infrangeva a brevi onde sugli scogli. Gli spruzzi si levavano alti e ricadevano a terra, sospinti dal vento battente. Abbandonavano il mare, piccole semplici gocce… e si schiantavano al suolo, perdendosi, nella polvere.

 

Doyle scosse la testa, irritato da quei pensieri confusi e dalla propria rabbia.

E poi?” - li provocò ancora, senza concedersi un respiro - “Come prosegue questa storia?”

 

Mosse un passo e tornò ad appoggiarsi alla Desoto. Chissà se spike sarebbe stato lieto di saperla ormai sua. Probabilmente no, tanto ne era geloso.

Probabilmente avrebbe preferito saperla ferma, da contemplare, in garage,o forse no.

Doyle non poteva saperlo. Ma sapeva che mai più avrebbe rinunciato a quella macchina caotica. Ogni volta che saliva, non poteva fare a meno di sorridere tristemente per quel piccolo gioco di chiave che Spike chiamava il suo segreto e di come urlasse imbestialito ad ogni curva tagliata, quasi non potesse resistere allo stress di essere in balia di un irlandese.

Era un ricordo dal sapore dolce. E Doyle si perdeva un po’ nel suono di quel motore, senza smettere mai di domandarsi dove fosse rimasta intrappolata quella piccola informazione che avrebbe potuto cambiare il corso degli eventi.

Eppure nulla. Non un’immagine, non una singola parola.

Era silenzio, puro, agghiacciante e semplice. Spike se ne era andato ed era rimasto solo silenzio. E solitudine. Un vuoto troppo grande da colmare. Un vuoto, come un attimo senza conversazione a tavola. L’attimo che solo lui sapeva riempire con una battuta. Una battuta che ora nessuno voleva più neanche provare ad immaginare.

Un assordante silenzio.

Doyle, con una spossatezza che non era tipica della sua indole, era stanco di provare dolore. Stanco. Stanco delle lacrime che Cordelia versava ogni notte, posandogli il capo sul petto. Stanco, per Faith che passava ore sdraiata sul tetto e per Wes, che suonava accordi di chitarra lenti e innaturali, seduto tra i suoi libri. Stanco… per Angel… per Edward... Stanco, stanco di non riuscire a sollevarli dai loro dolori, di non riuscire ad addossarsi quel peso.

Perché, proprio ora, finalmente, sarebbero potuti andare avanti. Ma non volevano.

Erano invischiati in qualcosa che non potevano accettare. Erano invischiati nella vita.

 

Come ora, constatò Doyle, tornando al presente. Dannazione, non sapeva nemmeno perché avesse accettato quel compito. Il sole stava calando, rosso, rapidamente, come in ogni giorno normale.

Solo che non era un giorno qualunque.

Era un altro senza spike.

Un altro giorno in cui spike non avrebbe camminato impaziente nell’ingresso.

Un altro giorno che non avrebbe contemplato con quegli occhi penetranti che l’avevano guidato per quasi due secoli.

 

Ironia…” – mormorò, con gli occhi pieni di stelle – “Polvere e tempo…”

 

Non sapete cosa abbia provato... cosa abbiamo...

 

Oh, andiamo! Vecchi miei, dovreste iniziare a rassegnarvi per la sconfitta.” - disse l'immortale, insinuandosi tra lui e il tavolo - “Signori, quello che state facendo è molto, molto stupido. Provocate lui e irritate me. Volete la verità? Lo abbiamo creduto morto, volevamo l credeste morto, è davvero morto. Scegliete la versione che preferite... Tutto purchè voi non rompiate i coglioni.”

Più nemmeno un mormorio. Il consiglio, forse, iniziava a metabolizzare al propria sconfitta. Oppure si rassegnava a non riuscire a ribattere prontamente. E methos ne fu compiaciuto, malignamente.

Si, dicono sia morto. Lo hanno detto. Io non sono nessuno e non intendo smentire.” - aggiunse, con un'alzata di spalle - “Perchè non ha piu' nessuna importanza. Se Spike è sopravvissuto, lo ha fatto nel migliore dei modi. Certo, potrebbe averci lasciato nell'incertezza per qualche tempo... essersela presa comoda... ma, con una ragazza come Dawn dalla sua parte...”

 

Ancora. Dawn e null’altro. Dawn ha salvato Spike e ne è stata la custode. Lo ha salvato dalla luce con la luce. Ed il mistero che si nasconde dentro questa azione non era altro che quello di sempre, legato alla sua forza ed alla sua creazione.

L’aveva detto, quel giorno, come ogni altro. Ma nessuno aveva avuto il suo potere da esprimere, assieme.

 

Io non posso vivere senza di lui.” - mormorò Methos, piegando la testa indietro - “Così ha detto la chiave. Io non posso vivere senza di lui. E la sua voce...”

 

La sua voce è stata quella dell'universo, una preghiera e un ordine senza confini, fino agli estremi del cosmo. Io non posso vivere senza di lui, non posso.

Il suo sangue.

La sua anima.

Il suo cuore.

La sua luce e la sua ombra.

 

Ora. E per sempre.

 

Ora e per sempre.” - aggiunse, in un sussurro, Wes, fissando un punto imprecisato, prima di riportare la propria attenzione sui suoi pari - “Conoscendovi, non credo che vi importi di rispettare lo stato d'animo che è seguito il rituale. Per cui fatevi gli affari vostri. E noi ce ne andiamo.”

Veramente...”

Dicono che spike sia morto. Dicono sia vivo.” - cantilenò, restando appoggiato al proprio tavolo, le caviglie incrociate e l'aria di chi non ammette repliche - “Dicono che faith sia ancora faith. Dicono che sia un'immortale. Ma niente significa niente. E tutto è leggenda. Per voi. E limitatevi a quanto vi abbiamo detto. Perchè siete fuori dai giochi.”

Guardate che vi capisco.” - si intromise l'immortale, sollecito, tagliando corto - “Non è facile, dopo millenni, essere costretti a cambiare stile di vita. Ma guardatevi attorno. È un mondo splendido, pieno di insidie, di pericoli e di gente che sa reagire. Cosa importa se queste ragazze sono o non sono cacciatrici, se ogni giorno devono affrontare miriadi di problemi. Quanta importanza può avere chi è stato buono o cattivo se oggi vive nel più giusto dei modi.”

 

E non sapete cosa si prova, qui, tra noi.

 

Dicono sia morto? Lo è stato. Dicono sia vivo. Lo è.” - doyle alzò le spalle, sembrando nuovamente calmo - “Limitatevi al tempo presente e vedrete cambiare il mondo sotto ai vostri occhi. Non è nel passato o nel futuro la vostra felicità. La felicità di nessuno è rintracciabile in questa maniera. Se vi guardate avanti, o indietro, troverete solo la strada che avete percorso e che dovrete percorrere. No, la felicità è l'attimo inafferrabile di oggi, nulla più.”

 

La felicità è un istante. Un istante inaspettato. E cancella i dolori, come se non fossero mai esistiti.

 

Dawnie, ciao.” – Doyle spense la sigaretta e si avviò verso di lei, con le mani in tasca – “Buffy… non mi sarei mai aspettato di vedervi qui… problemi?”

dalla macchina era scesa anche la Cacciatrice. I capelli più corti e l’aria tranquilla non addolcivano la sua espressione. Buffy, dopo tutto quello che aveva visto, vissuto e compreso, aveva perso gli occhi grandi e luminosi che Angel aveva tanto amato. E per quanto calmo, lo sguardo che volgeva lontano era fatto delle stesse ombre dell’orizzonte.

No, nessuno.” – Dawn scosse i capelli – “Come stai, Doyle?”

Bene, grazie.” – Doyle inclinò un po’ la testa– “Ma non penso che tu sia venuta qui solo per i preliminari…”

dawn lo fissò, in silenzio. Aveva un sorriso dolce ed un po’ enigmatico. E questo, per Doyle, fu come una scossa. Per un attimo, per un singolo attimo…

uno scherzo, un gioco di luce… di Luce...

Doyle… sono venuta restituirvi una cosa.” – mormorò, indicando la macchina – “Guarda tu stesso.”

Nell’attimo stesso in cui posò gli occhi sul sedile posteriore, credette di sentirsi esplodere il cuore. Si afferrò al finestrino aperto, per sporgersi e guardare meglio.

Era con me, non potevo dirvelo. Era pericoloso, lo cercavano in troppi.” – sussurrò Dawn, avvicinandosi – “Aspettavo solo che stesse meglio, per riportarlo a casa.”

Doyle non osava voltarsi. Un singolo battito di ciglia e quello che stava vedendo sarebbe svanito. Come i sogni. Come i miraggi.

Perché non lo svegli…” – mormorò Dawn – “Gli sei mancato molto.”

 

Sorrise, con gli occhi, con la bocca. E gli uomini che aveva di fronte compresero che esisteva un'altra felicità non ammessa, in un tempo presente. Quella dentro al cuore.

 

Su quel sedile, avvolto in una coperta, dormiva un corpo. Un corpo privo di respiro, adagiato su un fianco, le mani, appena serrate, vicine al viso lo facevano apparire ancora più giovane e indifeso. Doyle si chinò verso di lui, posandogli una mano sui capelli. Lentamente.

Incontrò la sua pelle gelida, scostando appena la coperta per arrivare a vederlo in viso, scoprì dei segni di dolore, anche se il sonno era profondo, lasciò che il suo cervello si perdesse nell’immensità che aveva di fronte, senza chiedere spiegazione alcuna. Guidò la sua mano, fino a stringere quelle lunghe dita da pianista, insinuandosi lungo il palmo ed osservando il leggero tremito delle palpebre che provocava.

Con un sorriso.

Un sorriso che gli venne dal cuore quando, in punta di labbra, si perse in un sussurro.

Ragazzino…”

 

C’era Doyle. E non era un sogno. Spike dischiuse gli occhi, cercando di metterlo a fuoco.

C’era Doyle, sentiva la sua mano. C’era Doyle che gli sorrideva e non era un’allucinazione…

Gli sorrise, alzando appena la testa.

Con lo sguardo assonnato e l’espressione da monello.

Chiudendo gli occhi nuovamente in un sospiro soddisfatto, prima di riaprirli.

Sprofondando appena, nella coperta che ancora lo copriva.

 

Lo stava toccando, con mano leggera. Anche se non era completamente sveglio, poteva percepire il movimento con cui lo sfiorava,per prendere coscienza e accertarsi delle sue condizioni.

Lo lasciò fare, senza muoversi, aspettando, godendo di quel tepore che gli stava donando. E, infine, aprì la bocca.

Soddisfatta la tua curiosità?”

Aveva occhi stanchi, ma limpidi. Senza muoversi. E Doyle, paralizzato, stringeva ancora la coperta nella mano. La coperta che gli stava rimboccando.

Nella sua mente si fece strada quella voce e quel sarcasmo.

Un’ironia lentamente sorse sui suoi lineamenti. Lo contemplò, in silenzio, senza trovare nessuna battuta per ribattere. Lasciandosi assorbire da quella voce che non pensava di poter più risentire, quella voce che talvolta rimbombava nel corridoio dei ricordi, che lo apostrofava, irriverente e sottile…

Portami a casa, cantastorie. Portami a casa da coloro che amo.”

 

No. Potrei soddisfare la vostra cuoriosità. Ma non lo farò.” - scosse la testa, con lentezza, ricacciando il ricordo in fondo alla mente - “Questo non lo capireste.”

 

In un altro tempo forse, in un'altra leggenda. Domani, forse. Domani chissà.

 

Il padre di Wes lo squadrò, soppesandolo. E doyle ebbe l'impressione che stesse intuendo il non detto.

 

Forse ci rivedremo. Forse tornerai, Cantastorie. Un giorno forse tornerai.

E sarà ancora per il sangue del Flagello.

 

Westley.” - mormorò, infine, senza lasciare gli occhi di Doyle -”Tu che intenzioni hai?”

Nessuna risposta.

E Methos si voltò, guardando l'osservatore.

E' tuo padre, Wes.” - disse, dolcemente - “Pensaci.”

 

Se non vorrai venire via, noi capiremo.

 

No, non intendo pensarci.”

 

Proprio perchè è mio padre voglio andarmene da qui.

 

E doyle gli fece un cenno, impercettibile.

 

Siete voi la mia famiglia.” - disse la voce, in fondo alla sua mente - “Non ne esiste un'altra.”

Allora andiamo. Gli altri ci aspettano.”

 

Quando Doyle uscì, Methos e Wes semplicemente lo seguirono.

 

***

 

Il sala la confusione tardò a salire di intensità. E, nel silenzio ancora percepibile, si senti inequivocabile lo scatto di un accendino.

 

Non si può fumare qui.” - mormorò uno degli anziani - “Spegnete subito quello zippo.”

 

Non è uno zippo.” - rispose una voce profonda dagli spalti più alti - “E' un Dupont. E, comunque, mi scusi... Io e la mia ragazza leviamo subito il disturbo.”

 

***

 

London, London Eye, poco prima del tramonto.

 

E poi questo... e anche questo... e quest'altro ancora. Ti piace?”

Principessa.. piacermi mi piace tutto ma non l'hai comprato con la mia carta di credito, vero? Perchè io non posseggo una carta di credito!”

E allora ha detto 'mi scusi, io e la mia ragazza leviamo il disturbo' e ce ne siamo andati! Non si sono accorti di niente... beati imbecilli.”

Stai parlando male dei miei colleghi?”

Non sono i tuoi colleghi. Sono quelli di Methos tu se stato radiato, no? E comunque, domattina ti radieranno di nuovo, tanto per stare sicuro. Quel giochino con gli occhi proprio non piace.”

Però dovresti pensarci... dopotutto è tuo padre...”

Te l'ho già detto. Proprio perchè è mio padre preferisco non pensarci.”

Ciao.” - sospirò Spike, affiancandolo - “Invidiabile questa posizione... fuori dall'occhio del ciclone.”

Come al solito.” - sospirò Angel. Era al riparo, sotto un vecchio passaggio in mattoni. Gli altri, seduti sui muri del tamigi, non sembravano averlo notato. O forse, come al solito, rispettavano la sua abitudine al buio e al silenzio - “Come stai? Divertito in aula?”

Fantastici. Ci sarebbe da discutere su alcune violazioni della privacy, ma mi mostrerò magnanimo.”

Te ne siamo grati. Dove sei stato? Ho visto Faith arrivare da sola.”

Ho portato Cecily a casa. Il roseto esiste ancora. E anche la spalliera di gelsomino..” - sospirò Spike, accendendosi una sigaretta - “starà bene, li sotto... è un bel posto. C'era anche Anya. Ha detto che se ne va per un poco, si cerca un'altra dimensione.”

Soluzione invidiabile.” - sospirò Angel. Restando appoggiato con la spalla al muro. Cordelia si era voltata nella loro direzione, salutando. Poi era tornata ai prorpi acquisti - “Faith cosa ha deciso?”

Parte. Ci separiamo. Edward la porterà a vedere il mondo e le insegnerà, nel frattempo, a impugnare una spada.”

Credevo lo avrebbe fatto Methos...”

Methos con la spada sa giusto sbucciare egregiamente le carote. No, la mia donna ha una bella testa, voglio che la tenga ben attaccata al resto, soprattutto ora che si è fatta bionda. Se devo proprio lasciarla andare, preferisco non saperla in giro con pigmalione. Ed Edward sa quello che fa... ”

Lo so, lo so.” - Angel sorrise, divertito - “E' prerogativa dei fratelli maggiori...”

E proprio vero.” - concordò Spike e gli sorrise, piegando la testa - “Ci stiamo separando o sbaglio? Wes mi ha detto che resta qui, a Londra... almeno per un poco...”

Vuole tagliare i ponti con il passato definitivamente, a quanto pare. E ha delle faccende di cui occuparsi. Ma io spero che cambi idea... - fissò l'osservatore, sdraiato sul muro, strafottente, un braccio dietro la testa - “Mi piace questa sua versione eroe tenebroso, ma si ha una sola vita e io vorrei che...”

Cosa vorresti... questa è la vita che si è scelto. Non ne esiste un'altra che vuole...”

Forse. O forse no.” - Angel lasciò vagare lo sguardo alla vastità luminosa - “é un gran bel posto... per rimettere radici... fossi in lui ci penserei. Bene.”

E' la sua patria, flagello. La sua città. Non smette un secondo di pensarci.”

Già... la sua patria...”

E, a proposito di patria, cosa hai deciso? Approfitti del viaggio di Doyle per rivedere l'Irlanda o torni a LosAngeles con me?”

Nessuna delle due cose. Non tornerò mai in Irlanda e, quanto alla cara vecchia città degli angeli... no, anche lei mi ha stancato.” - alzò gli occhi, fingendo incuranza. Ricominciare da solo fa parte della vita, ancora... - “Magari me ne andrò sulla costa orientale.. a trovare una certa poliziotta...”

Ma davvero...” - spike stette al gioco, cercando di ignorare la fitta al cuore.

 

Senza faith, senza angel. Senza doyle e senza cordy. Senza wes.

Solo. Solo con la propria missione.

 

L' unica ragione per cui duri da tanto tempo è perché hai ancora legami sulla terra…

Ma stai solo rimandando l'inevitabile.

Ogni Cacciatrice desidera la morte.

Anche tu… si, anche tu.

 

Ed io... io ora sono le mie parole.

 

Si. In effetti ho sognato Dru. Ha detto qualcosa sul non rinunciare alla purezza.. e visto che la parola kate significa purezza...”

Capisco, se lo dice Dru ci proviamo.” - rise, piegando la testa. Non sembrava uno con il peso dell'universo sulle spalle. Era ancora solo William, sempre e solo William.

Ed Angel lo guardò, assorto. Sei così giovane... ancora così giovane...

Te la caverai senza di me?” - domandò, posandogli una mano sulla guancia. Avrebbe dovuto dire senza di noi, ma non gli riuscì.

 

Non ci riuscì.

 

Perchè io sarò perso, senza di te.” - aggiunse, con la voce che tremava.

 

Ho provato. Ho provato cosa significa perderti. E ne ho paura.

 

Spike si era mosso. Non era stato veloce, né brusco. Come se le forze lo sostenessero solo per compiere movimenti lenti e fluidi, gli era scivolato addosso, cingendogli il collo con le braccia, aggredendolo quasi con la sua fisicità, con quei muscoli tesi e quel corpo che forse tremava impercettibilmente. Piano. Eppure inaspettato.

Un abbraccio creato apposta per riempirgli il cuore, fino a farlo traboccare in lacrime.

Lo strinse, chiudendo gli occhi in un attimo di vertigine, domandandosi cosa potesse avere fatto un semplice vampiro con l'anima sempre a caccia di Redenzione, per godere, ancora una volta, di un miracolo del genere.

Non se ne sarebbe più andato. Quando sentì Angel arrendersi e ricambiare l’abbraccio, Spike seppe di essere a casa. Perchè casa era angel, angel, ovunque. Non pianse, ma scivolò, si adagiò un po’ di più, percependo, con un attimo di sorpresa, il profumo dolce delle sue lacrime e il calore del suo sorriso.

 

Ci proverò. Ma tu mi cercherai, vero?”

Non smetterò mai di farlo, lo sai.”

 

Ok. Allora me la caverò finchè non ci rivedremo. Ti voglio bene, Angel. Per una volta, lasciatelo dire.”

Angel sorrise. E la mano ricadde, risparendo in tasca.

Ti voglio bene anche io, William. Te ne ho sempre voluto. E te ne vorrò sempre.”

 

Oh, si, sarebbe rimasto così in eterno... Se non avesse avuto un sano orgoglio. E se non fosse stato Angel a stringerlo, Angel che decisamente lo conosceva troppo.

 

Visto che ti stai già pentendo di tutte queste smancerie…” – gli sussurrò il demone, concedendosi il lusso di posargli le labbra alla tempia – “Devo lasciarti andare?”

Adesso si che avrebbe volentieri pianto. Ed invece annuì, appena, sentendosi afferrare un po’ più forte e, dopo un attimo, di nuovo libero.

Hai una sigaretta da offrirmi?” – domandò speranzoso di spezzare quel pathos. Angel aveva gli occhi pieni di lacrime. E stirò un sorriso, rivelando quanto fosse divenuto ancora più magro e spigoloso.

Non mi hai detto cosa farai ora...” - mormorò angel, impacciato, porgendogli il richiesto. E spike si accese la sigaretta proteggendola con entrambe le mani, la mascella tesa, per riuscire a calmarsi.

Pensò che caccerò.” - ammise, dopo aver a lungo riflettuto. Caccerò i vampiri e combatterò il male - “Non sono ai tuoi livelli...”

Allungò una mano, rifilandogli un colpetto sul bicipite. Ed Angel vide il claddagh, il claddagh al suo dito.

... ma sono bravo.”

Non ne dubito. Ma stai lontano dai guai, per favore.”

Guai di che tipo? Apocalissi? Draghi? Naaa, quelli sono per gli eroi! A proposito, non ti piacerebbe affrontare un drago, Angel? Sarebbe un vero colpo promozionale alla tua leggenda. Soprattutto ora che ti rubo la scena così a tempo pieno...””

Certo che mi piacerebbe. Eccome. Un drago... Ma, se lo facessi, sarebbe tutta un'altra storia... non sarebbe più la nostra.”

Si, è vero. Ah, angel...”

Dimmi.”

Il giorno che affronterai quel drago.. perchè intanto lo sappiamo che lo farai... chiamami. E io sarò al tuo fianco.”

Sei mio fratello, william. Ero certo che non mi avresti lasciato solo.”

 

L'aria si era riempita di particelle di luce. E, presto, sarebbe stato buio. Seduta sul muretto, Faith guardava nella loro direzione. Cambiata, cambiata per sempre ma ancora Faith. E Spike le fece un cenno di saluto. E un sorriso.

Il sole sta calando.”- aggiunse, impaziente di correre a baciarla - “Pronto a raggiungere gli altri?”

Tra un attimo.”

Senza fretta. Ti aspetto.”

No, William.” - Angel scosse la testa, posandogli una mano al centro delle scapole - “Tu vai già ora. E io resto qui...”

 

Resto qui a guardarti.

 

La spinta era bastata per farlo emergere dalla tenebra. Il sole morente gli aveva illuminato i capelli cenere e gli occhi azzurri.

 

Dicono sia vivo, dicono sia morto.... dicono sia cambiato... forse è solo leggenda.

 

William, figlio del giorno e della notte.

Non più un uomo, non più un vampiro.

 

Un ibrido, avrebbero detto i cinici. Un ibrido con l'immortalità dentro le vene.

Una splendida creatura, pensava Angel ogni volta che lo vedeva in piena luce.

 

"Non sarai mai più un innocente, William.

Non potrai mai più ignorare l'oscurità che esiste sulla terra.

Volente o nolente, ne fai parte.

Ma adesso sei nuovamente vivo.

E non hai motivo di rimpiangere il vampiro che eri. Perché…

è meglio il sapore di un bacio che lo schiocco di un collo che si spezza."

 

I capelli divenivano oro. Gli occhi erano pietre trasparenti.

Di nuovo nella luminosità, di nuovo la rifulgenza. Angel sorrise.

 

Questa luce ti accoglie perchè ti ha rimpianto, per troppo tempo.

Questa luce ti abbraccia, perchè tu le appartieni.

 

Sorrise guardandolo dritto negli occhi.

 

Angel... non ti fa mai soffrire tutto questo?”

No, William. E' tutto ciò che volevo. Tutto.”

 

Volevo vedere le tue ali. E ora so per certo che sono piene di luce.

 

[epilogo]

 

Tramonto.

La città degli Angeli.

Un uomo biondo, in cima ad un grattacielo.

Ha gli occhi chiusi, attende di sentir svanire il calore del sole.

E ne respira l'essenza, come sempre.

Quando dischiude le palpebre, gli occhi appaiono azzurri. E sono pietra che non si spezza.

 

New York.

Un essere bruno all'ombra di una pensilina.

Con gli occhi chiusi, si domanda come sia il sole sulla pelle.

Si scrocchia le dita, con calma. Ed è pronto.

Pronto, come sempre, nel'aggiustarsi la giacca e avanzare con l'ombra.

Un passo dietro la linea del sole che cala, assieme al buio.

 

Cina

L'alba è rossa e oro.

Capelli mossi dal vento fermati con le dita, la spada stretta nella destra.

Il mondo le appartiene. Per sempre.

Alle sue spalle, riccioli biondi e occhiali da sole.

Fischietta, giocherellando con la propria arma, la obbliga a voltarsi.

Il sole lo infiamma. Ed egli sembra oro al nascere del giorno.

 

Londra

Luci di una bilioteca che si spengono, una ad una.

Una mano raddrizza gli ultimi volumi.

Posa l'ultimo libro letto con attenzione.

Recuperando la giacca, ripone l'automatica nella fondina.

E i suoi occhi azzurri ridono, divertiti, tingendosi di viola.

 

Irlanda

Una casa tranquilla, di pietra. I gemelli giocano al centro del letto.

E lui cinge lei per la vita, il mento sulla sua spalla, gli occhi azzurri persi al presente.

Pastiglie per il mal di testa, per entrambi. Ma un bicchiere solo, per un sorso d'acqua.

Poi sarà ora di vestirsi. E andare. O Adam e Sinead faranno tardi all'asilo.

 

Ovunque.

Un posto come tanti, per godersi la vita.

Un maglione sdrucito, una tazza di caffè, un piede a penzoloni nel vuoto.

Un buon libro appoggiato sul muro.

E la vita così, per un altro millennio.

 

Un sospiro. Un lieve battito di ciglia.

Il sole tramonta, la luce perde di intensità.

Il sole sorge, inonda di luce il mondo.

Un pensiero fuggevole.

Lo sguardo all'orizzonte.

 

E un sorriso. Dolce, storto, luminoso, malinconico.

 

Un bacio.

Un pensiero.

 

La vita e la morte, come sempre.

E la battaglia.

 

Si comincia. E, mi raccomando, restate tutti vivi fino a domani.”

 

And I still hold your hand in mine.
In mine when I'm asleep.
And I will bear my soul in time,
When I'm kneeling at your feet.

Goodbye my lover” (J.Blunt)

 

E tengo ancora la tua mano tra le mie/Tra le mie, quando dormo
E sopporterò la mia anima nel tempo/Quando mi inginocchierò ai tuoi piedi.

(JamesBlunt - GoodbyeMyLover)

 

FINE

 

(6 dicembre 2008)

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