L'ombra del Doriath

di Anaire_Celebrindal
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II ***
Capitolo 4: *** III ***
Capitolo 5: *** IV ***
Capitolo 6: *** V ***
Capitolo 7: *** VI ***
Capitolo 8: *** VII ***
Capitolo 9: *** IIX ***
Capitolo 10: *** IX ***
Capitolo 11: *** X ***
Capitolo 12: *** XI ***
Capitolo 13: *** XII ***
Capitolo 14: *** XIIV ***
Capitolo 15: *** XIV ***
Capitolo 16: *** XV ***
Capitolo 17: *** XVI ***
Capitolo 18: *** XVII ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Salve! Questa è la mia prima serie, perciò siate comprensivi con la mia ignoranza in proposito... per il momento ecco il prologo!


Anno 455 della Prima Era: Dopo la Dagor Bragollach, Fingolfin, Re Supremo dei Noldor, ha sfidato Morgoth a duello. Morgoth è stato più volte sul punto di prevalere sul re elfico, ma Fingolfin è riuscito ad avere la meglio, infliggendo sette ferite a Morgoth e tagliandogli entrambi i piedi. Il Signore Oscuro, furioso per non essere riuscito a sconfiggere l'elfo, si è ritirato nella sua fortezza e ha lasciato il comando della guerra al suo luogotenente, Sauron. 
Sauron, però, è scomparso nel nulla: l'assedio di Angband è stretto più che mai e i Noldor crescono in forza e numero. La guerra sembra andare bene, ma qualcuno trama nell'ombra contro gli elfi dell'Ovest.
è stata affidata a uno degli elfi grigi la delicata missione di eliminare i Re dei Noldor, ma i sospetti ricadono su Elu Thingol e la situazione sta sfuggendo di mano al re del Doriath... 
Chi è il misterioso mandante degli assassini? Come reagiranno gli eredi di Finwë a questa minaccia inaspettata? Riuscirà Ereinion, il protagonista di questa storia, a trovare la sua strada? 


Per la ricostruzione degli eventi mi sono basata su "Il Silmarillion", anche se sono presenti fonti diverse in altri scritti di Tolkien non fateci caso... ho considerato Orodreth come figlio di Finarfin ed Ereinion (Gil-galad) come figlio di Fingon, sia perché la discendenza era più semplice, sia perché mi faceva comodo per la trama (quanto sono opportunista da uno a dieci? N.d.A.). 
Insomma, spero vi piaccia! Manderò il primo capitolo il prima possibile! 

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Capitolo 2
*** I ***


La sera era appena calata. L’elfo aprì la pesante porta di legno della stanza. Entrò nell’ambiente, con passo svelto e nevrotico. Tirò un pugno alla parete.
Il suo viso impassibile si contrasse in una smorfia di rabbia e dolore. I suoi occhi scuri lampeggiarono di collera e sorpresa, nel buio. Avvertì la presenza di qualcun altro, nella stanza.
 -Chi sei?- disse, voltandosi. 
La figura, ammantata di grigio, indossava un cappuccio calcato sul viso. Era seduta sul davanzale della finestra con aria casuale, ignorando il fatto che questa si trovava a decine di piedi d'altezza. L'elfo si mosse in avanti, esponendosi alla luce della luna. Evidentemente lo straniero non aveva intenzione di fargli del male, altrimenti lo avrebbe già fatto.
 -Come sei arrivato qui?- insisté. La sua mano corse all'elsa della spada, mentre il sangue colava sul pavimento dalle sue nocche ferite.
 -La città è meno protetta di quanto tu non creda, figlio del Nan Elmoth- replicò l'altro, con un tono di nero sarcasmo.
Il mantello ondeggiò e una punta luccicante si affacciò dalle pieghe della stoffa.
 -Ho distolto il mio sguardo dalle foreste oscure- ribatté l'elfo, stringendo le labbra, astioso -la mia casa è Ondolindë.- 
A quelle parole, la figura balzò giù dalla finestra. Sguainò un pugnale sottile e lo puntò alla gola dell’elfo. 
 -Non pronunciare quel nome o la sventura ti seguirà come un’ombra.
 -Lo fa già- rispose l'altro con un sorriso beffardo -ora dimmi cosa vuoi, o vattene. 
 -Voglio proporti un patto- disse l'individuo incappucciato, togliendosi il mantello con un gesto secco. Era uno dei Sindar, un elfo dalla carnagione chiara e dalla testa bruna, con gli occhi chiari come il mare. Era una mosse imprudente mostrarsi in viso, ed egli lo sapeva, ma sembrava godere dell'incoscienza di una tale manovra.
 -Mithor* è il nome del mio signore, ma voi lo conoscete come Dúnedhil-warthol**... -continuò l’elfo grigio -per il momento non è necessario che tu sappia il mio nome. Lo saprai solo se acconsentirai alla proposta del mio signore.-
 -Dimmi allora qual è questa proposta, ma se è contro i miei principi ti pentirai di essere entrato in questa città- disse gelidamente l'altro.
 -Non lo farò, stanne certo- il pugnale luccicò di nuovo alla luce delle stelle, mentre il Sinda lo faceva roteare abilmente tra le dita -questo oggettino mi proteggerà da eventuali... opposizioni, non so se mi spiego- ghignò. 
 -Ti spieghi benissimo- disse l’altro, l’espressione imperscrutabile. 
 -Il mio padrone ti propone di fare un lavoro per lui- sussurrò il Sinda -ti ripagherà a sufficienza dei tuoi servigi. Dovresti solo... dare una mano a noi. Dall’interno.- 
 -Per fare cosa?-
Il tono casuale non mascherava la curiosità e l'apprensione.
 -Uccidere il re- l’elfo grigio sorrise -lui e la sua famiglia. Non preoccuparti, se ci aiuterai ti risparmieremo, perché tu sei figlio della foresta oscura. Ma se rifiuterai il nostro aiuto... beh, qualche goccia di sangue dei padroni di Endor sarà sprecata.- 
 -Padroni di Endor? Nessuno è padrone di Endor.-
 -Questo è quello che tu credi... la città dai sette nomi ha annebbiato la tua mente. Aiutaci a eliminare coloro che sono venuti dal mare... o verrai eliminato con loro. Io conosco già la tua storia... so che conservi odio nel tuo cuore, so che controlli le tue emozioni e leggo nel tuo passato; ma tu dimmi il tuo nome, così che io possa dare giusto onore o giusta vendetta contro un signore che posso nominare.- 
 -Il mio nome è quello che vuoi?- disse l’altro elfo, indietreggiando lentamente. Uno sguardo di troppo e il Sinda gli si lanciò contro, mirando alla gola; ma l’elfo scuro era pronto e sguainò una spada nera come la morte, che non rifletteva la luce delle stelle.-
 -Il sangue di Aman scorre per metà nelle mie vene e non ho intenzione di rinnegarlo. Scoprirai che non è facile cogliere impreparato Maeglin, figlio di Aredhel Ar-Feiniel, la Bianca Signora dei Noldor.-
La spada nera guizzò nell’oscurità: un urlo soffocato fendette la fredda aria notturna e il sangue dell’elfo grigio si sparse sul pavimento.
 -Questa spada proviene dalle foreste che ami tanto- sussurrò Maeglin al Sinda morente -con questa lama io adesso ti uccido, perché nessuno- strinse la presa sulla spada -ripeto, nessuno può entrare a Gondolin senza il permesso del re.-
 -Manda al tuo re tanti saluti da Elu Thingol- biascicò l’altro, con un ghigno.
Maeglin piantò la lama nel cuore dell’elfo. Il coltello sottile cadde tintinnando sul pavimento. 
 

 
Note: 
*: Signore Grigio, nome con cui Mithor era conosciuto a Menegroth.
**: Colui che dimentica gli Elfi dell'ovest, nome con cui Mithor era conosciuto presso i Sindar.
Nota dell'autrice: Spero che questa storia, nata da un'ispirazione momentanea, vi piaccia (penso di no, ma la continuerò lo stesso). In effetti mi è dispiaciuto molto che ci fossero così poche FF sulla Prima Era e sul Quenta Silmarillion,  così ho voluto rimediare con una piccola serie (nessuno mi uccida, spero che non mi odierete). Perdonate la mia scarsa conoscenza di Quenya e Sindarin, se trovate errori in lingua elfica o italiana siete pregati di farmeli notare, così li correggerò la prossima volta.
Sono accettati anche commenti negativi (soprattutto quelli, dagli errori si impara molto), ma adesso mi congedo, prima che queste note diventino un po' troppe. Alla prossima!

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Capitolo 3
*** II ***


-Salve Eithannen!
 -Salve Orthonen*.
 -Come mi hai chiamato?- l’elfo piantò i suoi occhi gelidi in quelli del giovane e lo squadrò per lunghi istanti, furente.
 -Non provare mai più a chiamarmi così- aggiunse.
 -Tu usi per me un nome che dice la verità; la stessa cosa farò io- ribatté l’altro, candidamente.
 -Ereinion, non farmi arrabbiare!
 -Cosa farai, altrimenti? Chiamerai Henulcasinda**?- l’elfo trasalì.
 -Non pronunciare quella lingua qui, Ereinion, e non chiamare così il mio signore! Ti farò frustare!
 -Provaci- disse Ereinion con uno sguardo di sfida.
 -Sputerai sangue fino alla morte, Eithannen...- disse l’elfo grigio, allontanandosi -vedi di non combinare guai.
Ereinion lo faceva continuamente. Combinare guai, s’intende. Da quando riuscisse a ricordare viveva nelle aule asfissianti di Menegroth e tutti lo deridevano e lo affliggevano continuamente. Eithannen era un nome che gli era stato affibbiato dai Sindar del Doriath, un nome che gli calzava a pennello. Insultato.
Non capiva nemmeno perché gli altri lo facessero sentire così diverso. Qualsiasi cosa facesse sembrava essere sbagliata. Se non lo era, lo diventava presto per le pressioni di Orthonen. Il suo vero nome era Grothirdir***, ma Ereinion pensava che in qualità di lecchino numero uno di Mithor, Orthonen fosse il nome più adatto. Quell’elfo odiava Ereinion con tutto il suo cuore, e questo non era certo un vantaggio: egli era tra i più fidi consiglieri di Mithor, e nei cunicoli più nascosti di Menegroth, lontano dal fruscio degli alberi, lontano dagli occhi di Melian e di Thingol, lì era Mithor che comandava. Inoltre nessuno aveva mai visto in faccia questo mistico “Signore” cui tutti si riferivano con tono deferente. Ereinion ricordava di averlo visto di sfuggita, una volta, ma rammentava solo un paio di occhi luminosi e malvagi. Egli non si mostrava mai in pubblico e agiva tramite i suoi luogotenenti.
Ereinion odiava quei luoghi e odiava la foresta, benché non l’avesse mai vista. Odiava Mithor e i suoi assassini, odiava Orthonen e tutti quelli che lo chiamavano Eithannen. Da piccolo aveva provato più volte a scappare da quella prigione di roccia, ma si era presto arreso. Era impossibile evadere da lì.
Ereinion sapeva che molti livelli sopra di loro Thingol e Melian avevano la loro casa: lì risuonavano giorno e notte i canti degli elfi, lì penetrava la luce delle stelle.
Dove Ereinion viveva, l’unica luce proveniva dalle fiamme selvagge e calde delle torce sulle pareti. Gli assassini non hanno bisogno di luce.
Era quello che gli insegnavano: diventare un assassino. Nei domini di Mithor si potevano incontrare combattenti in grado di ucciderti in venti modi diversi usando una corda lunga un palmo. Elfi dall’aria innocente che nascondevano campioni di veleno nei posti più insospettabili e che tiravano fuori all’improvviso uno di quei coltelli sottili e luminosi da fare venire i brividi. Assassini che ritornavano con boccette di sangue, teste, mani e altre prove della morte delle loro vittime. E di vittime ce n’erano parecchie.
Quello che infastidiva di più Ereinion era che nessuno lo mandasse mai in missione. Non era tra i più abili, né fremeva dal desiderio di uccidere, ma era ansioso di trovare una possibilità di fuga. Evidentemente Mithor era più furbo di quanto Ereinion non credesse e aveva calcolato questa possibilità. Se lo tenevano rinchiuso, era perché avevano paura che fuggisse.
Una sera, però, quando Ereinion si era ritirato nella sua stanza, qualcuno bussò alla porta.
Di solito egli non lasciava entrare nessuno, eppure il visitatore insistette a picchiare sulla porta di legno sottile, che rimbombava dietro i colpi potenti delle sue mani.
 -Ereinion! Apri quella porta, in nome di tuo padre!
Il giovane spalancò la porta e si ritrovò faccia a faccia con un Sinda alto e forte, con un lungo arco sulla schiena.
 -Mio padre è morto- sibilò Ereinion -che cosa vuoi?
 -Il mio nome è Beleg. Mi manda Melian, la regina- rispose l’elfo.
 -Che cosa vuole comunicarmi Melian, che nessuno mi abbia già detto prima?
Beleg sorrise.
 -Ti va di fare un giro fuori, Ereinion?

Note:
*: Soprannome dispregiativo che Ereinion usava con Grothirdir. Significa "dominato" in Sindarin.
**: Soprannome dispregiativo che Ereinion usava per Mithor. Significa "Sinda dagli occhi malvagi" in Quenya.
***: Consigliere più fidato di Mithor. Significa "Guardiano della grotta" in Sindarin.
Note dell'autrice: Spero che questo capitolo vi piaccia! Intanto ringrazio Thiliol per la recensione e i gentilissimi consigli.
Nient'altro da dire... recensite, per favore! Sono una scrittrice in erba e ho bisogno di consigli! Grazie in anticipo a tutti quelli che leggeranno. Alla prossima!


 

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Capitolo 4
*** III ***


I due elfi si squadrarono per lunghi istanti. Il giovane sospettoso e il guerriero tranquillo stettero in silenzio per parecchio tempo.
 -Dove devi portarmi?- chiese Ereinion.
 -Vieni con me e lo scoprirai- Ereinion esitò -accetti?-
 -D’accordo- concesse il giovane -solo perché voglio andarmene da qui.-
 -Fidati- disse Beleg -la regina ha delle cose da dirti. Ti conviene prendere tutto quello che puoi... se possibile staremo via un bel po’.-
Ereinion seguì Beleg su per i cunicoli illuminati dalle torce. Il lungo arco scuro del guerriero ondeggiava sulla sua schiena.
La luce continuò ad aumentare. Attraversarono tre o quattro rampe di scale e sbucarono in un’ampia sala illuminata. Ereinion si guardò intorno, estasiato: da numerose finestre entravano fasci di luce bianca... da una di esse s’intravedeva anche uno squarcio di cielo, di un blu profondo, disseminato di stelle. In fondo alla sala, numerosi elfi grigi cantavano, ma quando videro Ereinion, tacquero tutti.
 -Cosa ci fa qui Eithannen?- esclamò uno di loro, deponendo l’arpa.
 -Fate silenzio!- tuonò Beleg -è qui per ordine della regina.-
 -Cosa vorrà mai la regina da uno come te?- lo derise un altro elfo. I Sindar iniziarono a mormorare. Ereinion sentì la rabbia montare dentro di sé. Estrasse il coltello e si avvicinò agli elfi grigi.
 -Avete osato troppo, adesso.-
 -Ereinion! Torna subito qui!- esclamò Beleg, raggiungendo il ragazzo e mettendogli una mano su una spalla.
 -Stai calmo.-
 -Non starò calmo finché loro non la smetteranno- sibilò il giovane -che prendano in giro qualcun altro!-
 -Taci, Eithannen!- rise un Sinda -Ascolta Cúthalion e torna sottoterra!-
Beleg strinse la presa sulla spalla di Ereinion e lo guidò in un’altra sala.
 -Lasciali stare.-
 -Non hai sentito cosa hanno detto?-
 -Ho detto di lasciarli stare!- esclamò Beleg, fissando l’elfo negli occhi -Senti, stiamo provando a farti fuggire da qui. Perciò adesso riga dritto e non parlarne con nessuno. Solo con me o con Melian, intesi?-
Ereinion annuì e tacque.
 -Adesso andremo a parlare con la regina. Tu... ascolta e parla solo se lei ti domanda qualcosa, chiaro?-
 -Chiaro- rispose Ereinion, respirando profondamente.
Beleg sorrise di nuovo.
Attesero per pochi minuti, poi la regina apparve. Il suo volto di una bellezza quasi accecante era coperto da un velo e i suoi passi erano leggeri quasi come se fosse senza peso. In effetti lo era... era una dei Maiar, gli spiriti minori, che viveva sulla Terra di Mezzo in forma umana.
Beleg si inchinò a Melian, seguito da Ereinion.
 -Cuthálion... sono contento che tu abbia risposto al mio appello- disse la regina, con tono grave -sai già il motivo per cui sei stato convocato.-
 -Sì, mia regina. Vi ho portato Gil-galad.-
 -Lo vedo- aggiunse Melian, regalando un leggero sorriso a Ereinion, che imbarazzato e sconcertato, ricambiò.
 -Elu Thingol ha perso il lume della ragione- continuò Melian -non si è accorto che Mithor ha conquistato troppo potere... questa situazione sta diventando pericolosa, Beleg. Il nemico non agisce e Sauron non dà segni di ostilità da parecchio tempo, ma nelle caverne nascoste di Menegroth sta nascendo un potere oscuro che io non riesco a vedere. Temo che i Sindar innocenti trasformati in assassini non rispondano più delle loro azioni. Il frangente potrebbe sfociare in guerra aperta.- < br />  -Mia regina, ditemi cosa devo fare.- < br />  -Vai ad avvertire gli eredi di Finwë. Devono sapere cosa li minaccia. La terra di bruma sarà la tua prima tappa.-
Beleg chinò la testa in segno di assenso.
 -Farò quello che mi chiedete. Mi è concessa una domanda?-
 -Certo, Cúthalion.-
 -Cosa faremo con Gil-galad?-
Melian sospirò, guardando negli occhi Ereinion.
 -Un giorno questo giovane compirà grandi imprese... ma il suo futuro più prossimo mi è nascosto ed è quello che più mi preoccupa. Le tue tracce sono perdute fuori di qui, Gil-galad. Nessuno sa che sei qui.-
 -Cosa significa?- esordì Ereinion -I miei genitori sono morti quando io ero appena nato. Io sono stato allevato da Mithor, poiché ero solo al mondo.-
 -Questa non è la verità, Gil-galad.- 
 -Cosa?- balbettò Ereinion. Il mondo sembrò mancargli sotto i piedi. Quella non era la verità... lui non era un orfano, allevato per misericordia. Aveva un luogo dove abitare, un popolo, una famiglia... ?
 -Tu sei uno dei Noldorin, Ereinion- continuò Melian -il tuo nome e la tua presenza qui non sono graditi. Mithor in realtà vuole eliminare gli Elfi dell’ovest. Tu sei stato rapito da piccolo, in un attacco nelle terre settentrionali, e sei stato dato per morto. Sei stato addestrato qui, dove Mithor prepara i suoi sicari... lui e i suoi soldati pensavano di trasformarti in un assassino come loro, di usarti come arma contro il tuo stesso popolo, ma ti sei rivelato di una tempra più dura di quanto pensassero e ora progettano di eliminarti.-
 -Cosa devo fare?-
 -Fuggi dal Doriath, stai lontano dalle foreste. Beleg ti accompagnerà nella Rocca nascosta, se Turgon vorrà accettarti. Lì sarai al sicuro.-
Ereinion annuì.
 -Abbandonerai il tuo nome, fuori di qui. Da adesso in poi ti presenterai come Gil-galad. Adesso va’, presto! Quando scopriranno la tua fuga queste terre non saranno più sicure per te!-
 -Grazie infinite, mia regina- disse Ereinion, inchinandosi a Melian.
 -Adempieremo i compiti che ci hai dato- aggiunse Beleg.
 -Prima che voi ve ne andiate, voglio fare un dono a te, Gil-galad, perché non so se e quando ci rivedremo ancora- Melian tirò fuori un involto lungo e sottile, consegnandolo a Ereinion.
Il giovane sollevò il telo liscio e bianco e scoprì un’asta sottile ma robusta. L’ammirò, spostandola sotto un fascio di luce. La punta della lancia scintillò.
 -Aeglos, punta di ghiaccio. Una lancia dei Noldor; nessuno nel Doriath ha osato sfiorarla fino ad ora, ma è una buona arma e gli artigiani di Menegroth speravano di cavarne fuori qualcosa di utile. Appartiene a te e voglio che tu la tenga, in memoria della tua stirpe.-
 -Grazie- disse Ereinion, impugnando la lancia -i coltelli e gli archi di cui si servono gli elfi grigi non sono armi adatte per me.
 -No, certo, tu non ami nasconderti nell’ombra- rise Melian -purtroppo per un po’ sarai costretto a farlo, ma non temere; verranno presto i giorni di gloria per Gil-galad e la sua punta di ghiaccio! Ti auguro tutto il bene possibile. Quanto a te, Cúthalion, proteggi Gil-galad e abbine cura!-
 -Lo farò fin quando le mie forze me lo permetteranno- Beleg si inchinò profondamente e si congedò da Melian. 

Note dell'Autrice: Innanzitutto ancora grazie a Thiliol per la recensione (sei l'unica che ha misericordia di una povera pazza come me)... mi hai fatto venire un'idea geniale per il tredicesimo capitolo, penso che Beleg avrà un po' di azione in più. 
Grazie anche a tutti quelli che leggono senza recensire siete pregati di non farlo più.
Vorrei un consiglio per un nuovo titolo, perché questo fa schifo non mi piace molto.
Vi ringrazio in anticipo! Manderò quando possibile il prossimo capitolo!

Anairë

 

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Capitolo 5
*** IV ***


Ereinion e Beleg uscirono da Menegroth senza voltarsi indietro. Ereinion aveva lasciato indietro i coltelli e le altre armi fornitegli da Mithor; portava solo la lancia, tenendola stretta come un cimelio e ammirandola continuamente alla luce delle stelle.
Ereinion non poteva credere di essere finalmente libero. Il bosco gli dava una sensazione di pericolo imminente, ma preferiva infinitamente quel sentimento alla profonda oppressione dei cunicoli di roccia in cui era cresciuto.
Beleg si muoveva abilmente nel bosco, evitando i sentieri battuti troppo di frequente e fermandosi ad ascoltare eventuali rumori, procedendo tuttavia spedito.
 -Fai attenzione, Gil-galad- disse a Ereinion -sento qualcosa di strano. Adesso dobbiamo essere vigili, perché la strada per il nord è lunga e l’alba è vicina.
 -Quanto dista Gondolin?- domandò il giovane.
 -Diversi giorni di cammino con passo svelto, una volta usciti dal Doriath, ma il sole tramonterà parecchie altre volte prima che noi possiamo lasciarci alle spalle questa foresta; sempre che riusciamo a trovare l’entrata del Reame Celato.- Il giovane non replicò, ma gli parve di credere che rivolgersi al re di Gondolin fosse una mossa disperata. Ereinion e Beleg camminarono per tutta la notte e il giorno successivo.
 -Fermiamoci, ti prego, sono esausto- disse Ereinion allora.
 -D’accordo... sali su quell’albero, però. Io farò la guardia qui sotto- rispose Beleg, consigliandolo -ho paura che la nostra fuga sia stata scoperta. Se venissimo trovati dai Sindar, dobbiamo ucciderli tutti, hai capito? Nessuno di loro deve ritornare da Mithor a riferirgli di averti trovato. Non farti scrupoli- aggiunse con un’occhiata penetrante -loro farebbero lo stesso con te.-
 -Va bene- concesse Ereinion, arrampicandosi sull’albero e nascondendosi tra le fronde.
 -Gil-galad?
 -Sì, Cúthalion?
 -Se io dovessi morire... continua verso nord senza fermarti mai. Uccidi ogni elfo grigio che trovi. Non dire a nessuno che sei un Noldo, finche ti trovi qui. E soprattutto, stai lontano dalle foreste, hai capito?
 -Sì, ho capito.
 -Ripeti cosa devi fare.
 -Scappare verso nord, uccidere tutti quelli che trovo e non dire a nessuno che sono un Noldo.
 -Ricordati di stare lontano dalle foreste.
 -Me ne ricorderò, sì- sospirò Ereinion, appoggiando il capo su un ramo. Era ricercato, in fuga, in pericolo di morte, ma era libero. E non poteva dimenticarlo.
 
Ereinion fu destato bruscamente dal fruscio di passi leggeri e lontani. Lanciò uno sguardo preoccupato a Beleg, tra le fronde dell’albero.
 -Sta’ tranquillo- sussurrò Beleg -sono pochi. Se ti trovano, li uccidiamo tutti.
Gli individui si avvicinarono.
 -Beleg, amico mio!
 -Salve, Grothirdir! Che piacere vederti!
Ereinion contrasse i muscoli e strinse i denti. Quell’odioso Sinda lo inseguiva ovunque. Sbirciando tra i rami, vide che aveva portato con sé una decina di uomini, schierati tutti attorno alla radura a circondare Beleg e l’albero su cui lui si trovava.
 -Hai per caso visto Eithannen da qualche parte?
 -Ho paura di no- rispose Beleg, tranquillissimo -io sono partito tre giorni fa da Menegroth, sono in missione per conto della regina.
 -Hai fatto poca strada, in tre giorni! Eppure i tuoi passi sono rapidi, Cúthalion!
 -Questo è vero: ammetto di essermi attardato sulla strada. Voi, piuttosto, cosa vi porta qui?
 -Cerchiamo Eithannen, te l’ho già detto.
 -Non siete un po’ troppi, e parecchio bene armati, oserei aggiungere, per cercare un ragazzino?
 -Oh, non direi- ribatté Grothirdir -non è il giovane che ci spaventa, ma chi lo ha aiutato a fuggire.
 -Immagino di quale pericolo si tratti- rise Beleg -di certo un temibile nemico!
 -Dovresti conoscere bene le sue forze- ringhiò Grothridir -anche io lo conosco bene: tanto bene da averlo proprio qui di fronte.
 -Non posso credere che tu sospetti di me!- esclamò Beleg -Conosci la mia fedeltà verso Elu Thingol!
 -Non è il re che mi manda- sbottò Grothridir -e adesso dimmi dov’è il ragazzo: non voglio sprecare tempo e sangue.
 -Non posso dirti cose che non conosco, Orthonen.- disse Beleg, con un sorriso beffardo.
Ereinion soffocò una risata, che però gli morì in gola alla vista del viso sfigurato dalla rabbia e dall’umiliazione di Grothirdir.
-Le tue parole ti porteranno alla morte, Cúthalion!- tuonò Grothridir, sguainando il pugnale.
 -Attento alle tue, piuttosto- ribatté Beleg, estraendo l’arco e incoccandovi una freccia.
 -Trovate Ereinion!- ordinò Grothridir ai suoi compagni -Io mi occupo di Cúthalion.
 -Gil-galad!- gridò Beleg.
 -Quinta-polda!- rispose Ereinion, balzando agilmente giù dall’albero.
 -Uccidetelo!- urlò Grothridir.
Subito un elfo grigio armato di coltello si scagliò contro Ereinion, il quale evitò il suo fendente e gli piantò la lancia nella schiena.
 -è Aeglos!- esclamò un secondo Sinda, subito ucciso da una freccia di Beleg.
 -Adesso conserverò le altre frecce per te, Orthonen- disse l’elfo al luogotenente furioso.
La battaglia infuriò per molto tempo. Ereinion inizialmente parve cavarsela agevolmente, ma poi fu stanco e combatté con un ardore sempre minore. Era abituato al combattimento con armi leggere: pugnali, corde, archi, fionde, ed era la prima volta che si serviva di una lancia. Nonostante questa fosse particolarmente agevole da maneggiare, quasi come un’estensione dei suoi arti, l’arma era diventata pesante nelle sue braccia esauste e tremanti.
Un pugnale lo raggiunse al petto e lo ferì leggermente, ma la sua tunica si inzuppò di sangue.
Erano rimasti ormai solo tre elfi e Gil-galad ne stava tenendo a bada due. Beleg combatteva ancora con Grothridir, ma quando questi fu stanco, Beleg lo disarmò e gli puntò una freccia alla testa.
 -Mithor troverà anche te- sibilò il Sinda, prima di cadere, trafitto da un dardo nella tempia.
Proprio allora Ereinion vide Beleg socchiudere gli occhi e poi sbarrarli, terrorizzato.
 -Gil-galad, corri!
 -No, Cúthalion!
 -Gil-galad, ascoltami!
 -Perché, Beleg?
 -Gil-galad, fa’ come ti dico, hanno mandato i rinforzi!
 -NO!- esclamò Ereinion, mentre uno degli elfi grigi, approfittando della situazione, lo feriva a un braccio.
 -Elbereth Gilthoniel, Ereinion, scappa, prima che sia troppo tardi!- urlò Beleg.
Ed Ereinion infine fuggì, stringendo la lancia al corpo, evitando i rami che gli si paravano davanti, quasi a sbarrargli la strada.
Era esausto, aveva perso molto sangue, era debole e aveva sete, ma continuava a scappare. Temette di aver perso il senso dell’orientamento: per ore infinite girò in tondo, in uno stato a metà tra il sonno e la veglia. Iniziò ad avere paura, a sentire le forze abbandonarlo.
Poi vide gli alberi farsi meno fitti e continuò a correre. Superò un ruscello, scavalcò delle rocce, si allontanò dalla foresta più fitta.
Finalmente si lasciò alle spalle il Doriath, bosco incantato, la sua prigione dorata. Ereinion rallentò l’andatura, ansimante, ma continuò ad andare avanti, la lancia stretta nella mano malferma e insanguinata, davanti a lui una vasta pianura.
Vide davanti a sé la sagoma di un’altra foresta. Aveva sbagliato strada. Eppure, volgendo lo sguardo verso il sole, si accorse che questo sorgeva alla sua sinistra. La direzione era giusta, dunque. Beleg però non aveva parlato di un’altra foresta vicino Gondolin. Che quegli alberi facessero ancora parte del Doriath?
Ereinion capì che quella foresta non era sotto la protezione di Melian. Il Doriath era chiaro e luminoso, quella macchia di vegetazione era scura e impenetrabile. Dove si trovava, dunque?
Decise di andare avanti e guardarsi intorno.
Stai lontano dalle foreste...
Gil-galad era stanco e spossato, ma fu come destato all’improvviso dal rumore di passi leggeri provenienti dal bosco alle sue spalle. Lo avevano trovato. Li aveva alle spalle.
Allora si diede nuovamente a una corsa folle e disperata, verso le fronde scure che aveva di fronte. Il cuore gli batteva all’impazzata e la ferita sul petto sanguinava copiosamente. Da due giorni non riposava ed era distrutto dalla sete, ma non si voltò indietro.
Finalmente si gettò nell’abbraccio oscuro della foresta. Districandosi tra i rami e i rovi, percorse una strada che gli parve infinita, mentre la luce del sole continuava a diminuire.
La luce del sole... l’ho appena scoperta e ora sto per perderla.
Il suo respiro era irregolare.
Stai lontano dalle foreste...
Le parole di Melian e Beleg vinsero la paura dei nemici ed Ereinion tornò sui suoi passi, diretto verso il margine della foresta.
Aveva perso la cognizione del tempo e dello spazio quando riuscì a vedere di nuovo uno squarcio di cielo.
Ormai allo stremo delle forze, Ereinion si accasciò sul suolo erboso, a pochi metri dagli ultimi arbusti di quella foresta scura. Tossì a ripetizione, sputando fiotti di sangue. Si sforzò di tenere gli occhi aperti, senza riuscirvi. Udì altri passi, rumore di voci che si chiamavano tra loro, ma sentì che non sarebbe riuscito più a combattere.
È la fine.
Ereinion chiuse gli occhi e respirò profondamente.
Questa è la fine di Gil-galad.

Note dell'Autrice: Salve! Ok, non uccidetemi per aver continuato, ho scritto questa ff di getto in un momento di follia (???), spero solo che continui a piacervi! Innanzitutto ringrazio Shiner LegolasOakenshield e a Thiliol per averla messa tra le seguite, grazie mille!
Vi chiedo di nuovo di suggerirmi un nuovo titolo, perché ho messo questo soltanto per prova e mi sono accorta che fa schifo.
A presto!

Anairë

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Capitolo 6
*** V ***


Salve a tutti! Ecco un nuovo capitolo... vediamo se riuscirete a capire chi sta parlando prima della fine (non vale sbirciare). 
Bene, bando alle ciance e cominciamo. 

 -Quello che affermi è molto grave... -
 -Non ho alcun dubbio. L’ho udito con le mie orecchie.-
 -Potrebbero essersi sbagliati.-
 -Padre, mi fido di mio fratello. Le sue mosse sono sempre state sagge e la sua città è forte ed è ancora in piedi.-
 -E di Maeglin? Ti fidi di suo nipote?-
 -Ho fiducia nel giudizio di Turgon. Sa quello che fa. Padre, ascoltami! Finrod non riceve messaggeri dal Doriath da anni, ormai, e Galadriel sua sorella è ritornata nel Nargothrond, nonostante amasse più i boschi delle caverne.-
 -Se quello che dici è vero, se Thingol trama qualcosa, ho paura per i Noldor. Di rado Elwë Mantogrigio ha agito senza conseguenze e le sue azioni mi preoccupano.-
 -Cosa diremo ai figli di Fëanor?-
 -Anche loro devono essere avvertiti. Celegorm e Curufin sono nel Nargothrond, l’avranno sicuramente saputo. Manderemo messaggeri alla Marca di Maedhros.-
 -Dovranno attraversare il Doriath, per giungere sino a lì. Potrebbero costeggiare la foresta, ma impiegherebbero molto più tempo.-
 -Non mi risulta che ci abbiano minacciato da vicino, sinora. Dopotutto si tratta solo di sospetti e non sarebbe di molto aiuto ottenere informazioni che sono passate attraverso troppe mani e sono state ascoltate da troppe orecchie.-
 -Questi sospetti mi spaventano, padre. Durante l’assalto ai porti delle Falas, molti dei Noldor sono stati trovati morti, senza tracce di battaglia. Altri sono spariti nel nulla. E tra loro c’era mio figlio. È stato senza dubbio opera dei sicari che giungono dal Doriath.-
 -Sembra che agiscano dietro ordini di un elfo grigio, un consigliere del re. Credo che ci sia lui dietro tutto questo... Thingol non sarebbe mai capace di una tale crudeltà.-
 -Sinceramente lo spero proprio.-
I due elfi stettero in silenzio. Il vento ululava sulla pianura dello Hithlum. Il cavallo dell’elfo alto con la chioma scura iniziò a dare segni d’inquietudine.
 -Sta’ buono, Rochallor!-
 -Che notizie abbiamo di Morgoth?- chiese l’altro elfo.
 -Nessuna. La guerra è nelle mani di Sauron, ma lui è sparito senza lasciare traccia e non invia spie o eserciti da anni. Temo stia tramando qualcosa.-
 -Ci sono troppe domande senza risposta! A noi non resta che attendere, a quanto pare.-
 -Non credo sarà utile... dobbiamo stare all’erta, prima che i nemici ci colgano da due fronti come l’incudine e il martello; anche se non credo che i figli di Fëanor si lascerebbero sbaragliare con facilità, penso che per i Noldor si annuncino tempi duri.-
Si udì lo scalpitare degli zoccoli di un cavallo.
 -Mio signore Fingolfin!- esclamò un elfo.
 -Tammol*! Cosa ti porta qui?-
 -Un messaggio da Gondolin, mio signore.-
 -Turgon... - mormorò l’altro elfo.
 -Fingon, aspetta... non è detto che siano cattive notizie!- uno sguardo del messaggero lo smentì.
 -C’è stato un attentato contro il re. Egli è gravemente ferito ed è prossimo alla morte. Il regno è stato affidato alla reggenza di Maeglin.-
 -Chi è stato?!?- esclamò Fingolfin, furente.
 -Non lo sa nessuno- continuò Tammol -l’assassino è stato ucciso dalle guardie della città. Era molto abile: Turgon non era disarmato e ha combattuto a lungo, da solo, ottenendo solo poche ferite, ma le armi dell’assassino erano avvelenate.-
Il padre incontrò lo sguardo del figlio: entrambi seppero, scambiandosi una sola occhiata, qual era la causa dell’attentato.
 -Partirò per Gondolin immediatamente- disse Fingolfin -Fingon, tu resterai qui.-
-Ma padre...
 -Mi dispiace, so che vorresti salutare tuo fratello, ma sono costretto a insistere. Non possiamo lasciare il regno incustodito, specialmente adesso.-
 -Sì, padre- disse Fingon, chinando la testa, a malincuore. 

Note:
*: Messaggero di Fingolfin, ha come significato "Colui che bussa", potrebbe essere un soprannome. 
Note dell'autrice: 
Grazie come sempre a Thiliol e a Shiner LegolasOakenshield per le gentilissime recensioni e per avere seguito questa storia... spero che sia all'altezza delle vostre aspettative!
Ringrazio anche quelli che leggono e basta, ovviamente.
Adesso vado, perché ho poco tempo... alla prossima!

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Capitolo 7
*** VI ***


Ecco un altro capitolo... spero che questa serie continui a piacervi! Per favore, lasciate una recensione, così saprò cosa ne pensate! Adesso cominciamo, prima che voi mi uccidiate iniziate ad annoiarvi. 

 -Si muove...-
 -è vivo!-
 -Tammol! Tammol! Vieni qui! Si sta svegliando!-
 -Ben svegliato, giovane elfo.-
Ereinion sollevò le palpebre con una fatica immane. Vide alcuni visi chinati su di lui, lineamenti preoccupati.
 -Qual è il tuo nome?-
Ereinion socchiuse le labbra, ma riuscì solo a emettere un gemito di dolore.
 -Lascialo in pace, è stanco. Ha perso molto sangue. Non preoccuparti, tornerai come nuovo.- aggiunse l’elfo, rivolto al ferito.  
Ereinion cercò di sollevare la testa. Riuscì a vedere solo una distesa di erba, nessuna foresta all’orizzonte. Per quanto la sua mente confusa glielo permettesse, cercò di osservare i volti dei suoi salvatori. Se erano elfi grigi, doveva allontanarsi prima possibile.
Muovendosi, sentì una fitta al petto. Accostò la mano al torace, dove era stato colpito. Riconobbe al tatto un bendaggio pulito e ben fatto. Forse dopotutto quegli stranieri non lo volevano morto. Non ancora. 
Ereinion cercò di rimanere vigile, ma il sonno lo colse presto. Per i giorni successivi vagò in un limbo sospeso tra il sonno e la veglia. Sentì delle braccia robuste sollevarlo e trasportarlo, ma i suoi sensi erano inibiti e ovattati. Non oppose resistenza alle manovre cui lo sottoposero.
Quando riuscì finalmente a svegliarsi, a prendere nuovamente consapevolezza del suo corpo, sentì una breve conversazione tra due elfi.
Quenya, pensò, sorridendo debolmente. Era salvo.
 
Nonostante il sollievo iniziale, Ereinion iniziava a temere che non sarebbe sopravvissuto a quel viaggio. Non sapeva dove lo stessero portando, ma di sicuro non a Gondolin. Il terreno era troppo pianeggiante e troppo scoperto, per i suoi gusti. Aveva la sensazione di potere essere trovato da chiunque.
 -Non temere- gli disse un giorno l’elfo di nome Tammol -Abbiamo già oltrepassato il Celon.-
Quella notizia non recò a Ereinion il minimo sollievo. Durante la sua breve vita non era mai uscito da Menegroth e non conosceva altro che i cunicoli bui nascosti nel cuore del Doriath. A stento conosceva la posizione di Gondolin, città che avrebbe dovuto raggiungere, ma non aveva idea di cosa fosse il Celon, né dove si trovasse.
Alla paura di venire catturato si aggiungevano la debolezza e il dolore delle ferite. Gli elfi gli davano spesso da bere e cambiavano i bendaggi, ma dalle espressioni che avevano mentre lo curavano, Ereinion aveva dedotto che le ferite dovessero essere abbastanza gravi. I suoi salvatori inoltre non sembravano essere abili guaritori e nonostante la loro buona volontà, Ereinion si sentiva sempre peggio, nonostante riacquistasse lentamente la consapevolezza mentale.
Spero solo che non mi uccidano, si disse, ma penso che se continueranno così lo faranno di sicuro.
 
Dopo qualche giorno il giovane credette di essere abbastanza in forze da provare a parlare.
 -Dove mi portate?- sillabò lentamente a uno degli elfi che si stava occupando di lui.
 -Al sicuro, non preoccuparti- rispose l’altro. Poi, incoraggiato dalle parole del malato, aggiunse:
 -Qual è il tuo nome?-
 -Gil-galad- rispose Ereinion lentamente.
 -“Stella di radianza”... un bellissimo nome- commentò l’elfo, sorridendo -da dove vieni?-
Ereinion sorrise tra sé e sé. Quella era un’ottima domanda. Tacque, indeciso su cosa rispondere.
 -D’accordo, rimandiamo a dopo- disse l’elfo -se può interessarti, il mio nome è Quendenilda*, ma tu chiamami Nilda, se vuoi.- Ereinion annuì, esausto dalla brevissima conversazione.
 -Comunque sta’ tranquillo, entro due giorni arriveremo.-
 
Il sole sorse altre due volte, prima che l’elfo di nome Tammol esclamasse di sollievo.
 -Siamo arrivati!-
Ereinion aveva avuto il tempo di accorgersi che neanche coloro che lo avevano soccorso si trovavano in ottimo stato. Alcuni di loro erano feriti, seppur lievemente, e dai discorsi che facevano aveva intuito che prima dovevano avere dei cavalli; fuggiti o rubati, Ereinion non lo sapeva. Aveva solo capito che avevano molta fretta e dovevano portare un messaggio.
Durante gli ultimi giorni di marcia il terreno si era fatto collinoso e ricco di rilievi: una catena isolata dalla pianura circostante.
Quel giorno si diressero, sempre trasportando Ereinion su una lettiga di fortuna, verso una fortezza alta e compatta situata in cima alla collina più alta, con un solo portone di metallo.
Improvvisamente Ereinion sentì mancare il sostegno della lettiga e piombò al suolo. La ferita che tanto lo aveva fatto soffrire si riaprì, facendogli lanciare un urlo di dolore.
 -Oh, perdonami, Gil-galad!- esclamò Quendenilda -Sono inciampato... mi dispiace- disse, aiutando il ferito a ridistendersi sul giaciglio.
 -N-non fa nulla- balbettò Ereinion. Tuttavia il dolore della ferita riaperta gli velava gli occhi e gli fece stringere i denti per tutto il tragitto.
 -Chi siete?- domandarono le guardie innanzi al cancello.
 -Siamo messaggeri dallo Hithlum, desideriamo parlare con il tuo signore.-
 -Seguitemi, dunque- disse una delle guardie -come mai siete feriti?-
 -Siamo stati attaccati durante il tragitto, al margine orientale del Doriath, e abbiamo perso i cavalli. Abbiamo un messaggio da parte di Fingolfin, Re supremo dei Noldor.-
La guardia li condusse dunque attraverso tutta la cittadella, fino a dentro un ennesimo portone che conduceva a un’alta roccaforte.
 -Attendete qui, dirò al vostro signore che siete arrivati.-
Ereinion socchiuse gli occhi. Dal suo giaciglio, adagiato su un pavimento di pietra, vide l’interno della fortezza. Le mura erano alte e scure, eppure non scure come l’interno della terra, o come l’ombra di Morgoth: scure come il rosso cupo del fuoco, del rame, del sangue. Un’oscurità in un certo senso viva e allo stesso tempo temibile.
Ereinion sospirò. Non riusciva più a tenere gli occhi aperti. Quell’attesa si stava rivelando un’agonia. Finalmente ci fu un rumore di passi lungo il corridoio e i messaggeri s’inchinarono.
 -Alzatevi- disse una voce severa ma gentile -siete i benvenuti qui dentro.-
 -Ahimè, portiamo cattive notizie, mio signore- disse Tammol -Il mio re, Fingolfin, si è recato presso Ondolindë pochi giorni fa, dopo essere venuto a conoscenza che dei guerrieri erano penetrati nella città, attentando alla vita di Turgon, suo figlio.-
 -Com’è possibile?- esclamò l’elfo, stupefatto -Mi sono giunte poche notizie da Gondolin fino ad ora, ma ero certo che fosse una rocca impenetrabile!-
 -Lo era, infatti- continuò Tammol -si dice che pochi giorni prima Maeglin, nipote di Turgon, avesse ricevuto un avvertimento da parte di un altro infiltrato che è stato subito ucciso.-
 -Sapevo che Morgoth non sarebbe stato con le mani in mano!-
 -Non è opera di Morgoth, mio signore. I guerrieri erano degli assassini ben addestrati. Erano dei Sindar del Doriath.-
A queste notizie, Ereinion sussultò. Non sapeva che le spie di Mithor fossero penetrate anche a Gondolin, né che avessero cercato di uccidere il re.
 -Chi è costui?- il signore parve accorgersi di Ereinion -Non porta il vessillo della casa di Fingolfin, eppure riconosco la stirpe dei Noldor nelle sue fattezze!-
 -Il suo nome è Gil-galad, mio signore- rispose Tammol -lo abbiamo trovato dopo essere stati attaccati da altri elfi grigi provenienti dal Doriath. Fortunatamente si trattava di un numero ridotto e siamo riusciti a fuggire. Abbiamo scorto questo giovane privo di sensi, presso il margine settentrionale del Nan Elmoth. Non sappiamo ancora da dove provenga, ma è gravemente ferito e vi preghiamo di accoglierlo.-
 -Se siete voi a chiedermelo, sarà fatto- concesse l’elfo -Gil-galad sarà ospitato qui.-
Ereinion non udì altro. Il dolore e la stanchezza lo sopraffecero ed egli perse nuovamente i sensi. 

Note: 
*: In Quenya, Elfo Gentile, probabilmente un soprannome per uno dei messaggeri. 
Note dell'autrice: 
Nulla di nuovo... ringrazio come sempre Thiliol e Shiner LegolasOakenshield (che belli, tutti questi colori) per avere messo la storia tra le seguite e per le gentilissime recensioni... comprendo la pietà per una povera scrittrice che ha appena imparato l'alfabeto  inersperta e per la sua serie tirata fuori in un momento di pazzia (mi ero fumata qualcosa).
Dunque alla prossima, con le avventure del nostro Gil-galad e degli altri personaggi... presto ci saranno dei bei colpi di scena! 
Continuate a seguire questa serie, per favore!

Vostra Anairë

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Capitolo 8
*** VII ***


Salve! Mi scuso per averci messo tanto per aggiornare (una settimana, invece dei miei soliti tre giorni scarsi). Rimando tutte le note a dopo, intanto cominciamo. Buona lettura!



 -Vieni avanti.-
 -Mio sire, io...-
 -Ti ho detto di venire avanti!-
L’elfo, tremante, si avvicinò a un’alta figura ammantata di grigio, che lo sovrastava.
 -Dimmi cosa è accaduto.-
 -Mio signore, ci trovavamo come voi avevate richiesto sulle tracce di Cúthalion ed Ereinion... li abbiamo trovati a metà strada tra Menegroth e il margine settentrionale del Doriath, ma essi ci hanno attaccati. Abbiamo chiamato rinforzi, ma sono giunti troppo tardi... Ereinion è fuggito.-
La figura avvolta dal mantello stette in silenzio.
 -Cúthalion ha ucciso Grothirdir, ma io sono riuscito a ferirlo... è difficile che sopravviva.-
 -Non m’importa di Cúthalion!- tuonò la figura -Volevo Ereinion morto! Deve essere trovato a tutti i costi.-
L’elfo grigio cadde in ginocchio, chinando il capo fino a terra.
 -Lo t-troveremo, mio signore.-
 -Sarai punito per questa tua mancanza, Daedolen... - sussurrò la figura, estraendo una frusta. L’elfo impallidì.
 -M-mio signore... ho delle altre notizie... che potrebbero interessarvi-.
 -Quali, Daedolen?-
 -Dopo che Cúthalion ed Ereinion sono fuggiti, siamo usciti dal Doriath alla ricerca del ragazzo e abbiamo visto dei messaggeri che recavano lo stemma della casata di Fingolfin.-
 -Questo è interessante... - mormorò l’essere -continua, mio caro Daedolen.-
 -... abbiamo sentito che Fingolfin ha lasciato lo Hithlum sotto la reggenza di suo figlio Fingon e che le spie che hai mandato a Gondolin sono riuscite a ferire Turgon.-
 -Dove erano diretti i messaggeri?-
 -Non lo sappiamo- continuò l’elfo grigio -abbiamo attaccato i messaggeri e siamo riusciti a far fuggire i cavalli, ma la maggior parte di loro sono sopravvissuti.-
 -Fingolfin si trova a Gondolin?- domandò la figura, camminando avanti e indietro per la stanza buia.
 -Sì, mio signore...-
 -E Turgon... è ferito gravemente?-
 -No, mio signore, ma le armi...-
 -Erano avvelenate, lo so!- tuonò la figura, lasciandosi andare a una risata -Mio caso Daedolen, le tue informazioni sono state molto utili. Per questa volta non sarai punito.-
 -Grazie, mio signore...-
 -Ti assegnerò una missione importante, ma non ammetterò un altro fallimento, sia chiaro.-
 -Certo, mio signore.-
 -Andrai a Gondolin con altre delle mie spie, per uccidere definitivamente Fingolfin. Ti manderò a chiamare quando sarà il momento.-  
 -Sì, mio signore...  c’è solo un problema, però...-
 -Quale, Daedolen?-
 -Non sappiamo la posizione di Gondolin. Molte spie sono entrate, ma nessuna è ritornata per riferire la posizione della città.-
 -Non è possibile!- esclamò l’altro -avevo contato che vi avessero mandato dei messaggi! Tu non hai ricevuto nulla?-
 -No, sire, nulla.-
L’essere sospirò.
 -Non importa. È troppo pericoloso mandare una delegazione numerosa... credo di avere un’idea migliore- s’interruppe, avanzando verso l’elfo inginocchiato e sussurrando delle parole -in questo modo ci libereremo di Fingolfin- concluse, sedendosi su un trono scuro al centro della stanza  -Turgon morirà tra qualche giorno, lui non sarà più un problema. Mi occuperò dopo di Gondolin: l’importante è che lo Hithlum sia incustodito. Penso che Fingon ci sarà molto utile.-
 -Thingol e Melian approveranno una manovra tanto drastica, mio signore?-
 -Parlerò io con Elu Thingol. Quanto a Melian, lei non ha mai approvato il mio lavoro- disse l’essere, con una risata sprezzante -Adesso vai, Daedolen, e manda al mio cospetto Beindagir.-
L’elfo non se lo fece ripetere due volte e lasciò la stanza. Poi un secondo Sinda varcò la soglia, avvicinandosi al centro dell’ambiente con passo leggero.
 -Mi avete chiamato, mio signore?- sussurrò. Era un guerriero alto e sottile, i capelli di un biondo quasi bianco e gli occhi neri come la pece, i movimenti di una lentezza quasi irreale diventavano fulminei e mortali, se necessario.
 -Sì, Beindagir, mio caro- rispose l’altro con voce suadente -ho una missione speciale per te.-
 -Ogni vostro desiderio è un ordine.-
 -Beindagir, ti ho detto molte volte che non amo gli adulatori. So cosa pensi in realtà.-
L’elfo grigio sorrise.
 -Come sempre, mio signore.-
 -Il lavoro che sto per darti è semplice ma delicato. So che sei il migliore sul campo. Ti chiedo di eliminare Fingon, con ogni mezzo-.
 -Fingolfin non lo permetterà- osservò il Sinda.
 -Fingolfin non è più nello Hithlum: dobbiamo approfittare di questo momento.-
 -Fingon è un guerriero valente, mio signore, sarà difficile-.
 -Per questo ho pensato a te, Beindagir. Scegli la strategia che più ti aggrada e porta con te quanti altri assassini desideri: ho piena fiducia in te.-
 -Farò in modo di meritarla.-
 -Attento, assassino... non mi piacciono gli adulatori, né coloro che tramano nell’ombra... contro di me, s’intende.-
 -La mia mente è chiara come uno specchio per voi, mio signore.-
 -Vai, Beindagir, prima che la mia magnanimità venga meno- esclamò la figura ammantata, con un sospiro profondo.
 -Come desiderate. Non vi deluderò.-
 -So che non lo farai- bisbigliò l’essere in un sibilo, mentre l’elfo lasciava la stanza -non ancora, almeno.-
Egli aspettò di essere solo e imboccò un’altra galleria, per raggiungere gli appartamenti di Thingol. Pensandoci, doveva proprio dire due parole al Re Mantogrigio e a sua moglie.
 
 -Mithor! A cosa devo questa visita?-
 -Scusate l’intrusione, mio signore, desideravo solo parlarvi.-
 -Di’ pure. Riguarda ancora un’altra delle tue incursioni nei territori dei Noldor, non è così?- domandò Thingol, lanciandogli uno sguardo penetrante e infastidito -me n’è arrivata notizia...-
Mithor sorrise maliziosamente.
 -Insomma, Mithor! Le tue mosse mi sembrano sempre meno sagge. Ti avevo chiesto solo un avvertimento, non uno sterminio degli elfi dell’ovest! La salvezza della Terra di Mezzo viene innanzi a tutto: non la otterremo certo uccidendo la stirpe dei Noldor!-
 -Mio signore, avevamo concordato che voi avreste dovuto lasciare a me le redini della situazione- replicò Mithor, estraendo una mano guantata di grigio da sotto il mantello e iniziando a fare scorrere tra le dita un lembo della stoffa.
 -Hai ragione, certo. Eppure non voglio che l’intera casa di Finwë sia uccisa, né che i suoi discendenti siano rapiti e trucidati: chiedevo solo che tu conducessi delle trattative con loro. se va avanti così, la situazione rischia di sfociare in una guerra- ribatté Thingol -e il Doriath non è pronto a fronteggiare uno scontro con i Noldor, né lo è il mio animo.-
 -Questo non sarà un problema, mio signore. Nei sotterranei di Menegroth c’è un intero esercito di assassini al mio comando- sibilò Mithor.
Melian, seduta accanto a Thingol, sussultò. La Maia si alzò in piedi.
 -Sin dal primo momento che sei entrato in Menegroth ho avvertito un’ombra nella tua presenza, un’ombra che non riuscivo a identificare. Adesso tutto mi è chiaro: non accetterò più che un assassino si aggiri per la mia foresta.-
 -Non essere impulsiva, Melian!- la richiamò Thingol. Egli si rivolse poi a Mithor, con sguardo severo.
 -Hai osato troppo. Mi sono arrivate voci di spie addestrate in una sede nel cuore della terra: ho saputo di rapimenti e attentati che sono stati attribuiti a me e agli abitanti della mia foresta. Adesso tu osi ribadire la presenza di un esercito al tuo comando. È forse questa una minaccia?- concluse Thingol, duramente.
 -No, mio signore.-
L’alto sire degli elfi grigi e la figura nascosta sotto il mantello scuro si osservarono per qualche secondo. Negli occhi di Thingol balenò la consapevolezza, veloce come un lampo, che Mithor mentiva.
 -Mithor... d’ora in poi sei bandito dal Doriath- esclamò Thingol -non voglio più vedere qui uno solo dei tuoi assassini!-
Mithor rise per la terza volta, una risata malvagia. Il mantello cadde frusciando sul pavimento, rivelando un essere di una bellezza oscura e terribile, vestito di ombra e di fiamme. Melian impallidì.
 -Non sarà un sire degli elfi a dirmi cosa devo fare. I tuoi occhi erano accecati dall’ira e dalla gelosia, Elu Thingol! Non riconosci l’ombra, quando la conduci nella casa della tua stessa stirpe?-
 -L’ombra qui non può transitare!- esclamò Melian -Questo luogo è sotto la mia protezione.-
 -Ne siete sicura, mia regina?- disse Mithor con un ghigno. Lentamente, dal suo mantello sul pavimento si andò irradiando una nube nera, che corse lungo le pareti e raggiunse il soffitto, emanando un’aria tossica, contaminando il palazzo con il suo veleno.
 -Mi ci è voluto poco per infondere la magia oscura in questa foresta, Melian- aggiunse Mithor -è troppo tardi, adesso. Il Doriath è mio dominio. E con me, è dominio di Morgoth, Oscuro Nemico del mondo!-
 -I Noldor avranno la loro vendetta, spirito del male!- esclamò Thingol, furente, prima che i suoi occhi e la sua mente venissero velati dall’ombra. 




Note dell'autrice: Ringrazio come al solito Thiliol e Shiner LegolasOakenshield (non mi sdebiterò mai abbastanza con te), che seguono e recensiscono sempre (mostrando eccessiva magnanimità con una povera fallita scrittrice emergente ovvero la sottoscritta) e colgo l'occasione per salutare OliveQuimelle e Tovie, se leggeranno, loro sanno perché (che belli tutti questi colori! N.d.A.). Per favore recensite e avvisatemi di eventuali errori in lingua italiana e/o elfica Quenya e/o Sindarin, così li correggerò (se non ce ne sono è meglio, detto tra noi). 
Grazie in anticipo per avere letto e per continuare a farlo! 

Vostra rompiscatole affezionata 

Anairë

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Capitolo 9
*** IIX ***



 -Ben svegliato, Gil-galad. Ti informo con gioia che sei finalmente guarito.-
 -Elbereth Giltoniel! Era ora!- esclamò Ereinion, aprendo gli occhi, finalmente lucido.
Si guardò intorno: si trovava all’interno di una fortezza, lo ricordava bene. Le pareti della stanza erano attraversate dalle venature del legno, mentre lui era disteso su un giaciglio morbido e pulito. Vide che indossava ancora delle bende sul petto, ma la ferita al braccio era completamente guarita.
 -Salve, Nilda- disse all’elfo che gli sostava accanto.
 -Salve anche a te, Stella di Radianza- rispose -se non sei molto stanco, il signore di questa rocca vorrebbe vederti.-
 -Non sono stanco affatto- commentò Ereinion. Si alzò, prima di sentirsi stranamente leggero. Si accorse di indossare abiti simili a quelli dei messaggeri che lo avevano soccorso: una tunica drappeggiata e decorata sul petto e sulle braccia, come era costume dei Noldor.
 -Dov’è la mia lancia?-
 -L’abbiamo conservata, non preoccuparti. Il nostro signore ti parlerà anche di quella. È un’arma meravigliosa, sai? Degna di un re. Non voglio chiederti dove l’hai trovata, ma è sicuro opera di un fabbro dei Noldor.-
 -A proposito, Nilda... - disse Ereinion, seguendo l’altro elfo attraverso un ampio corridoio -dove ho vissuto non ero molto informato sulla geografia locale... potresti dirmi dove ci troviamo?-
 -A sudest di Angband, a nordest del Doriath. Sul colle di Himring- precisò Nilda.
 -Grazie per le informazioni- rispose Ereinion. Aveva una vaga idea di dove fossero Angband e il Doriath, perciò riuscì a identificare la posizione della collina, ma il suo nome non gli comunicava nulla.
 -Oh, ecco, siamo arrivati!- esclamò Nilda -Mio signore Maedhros, vi ho portato Gil-galad.-
 -Grazie, voi potete andare.-
Ereinion guardò in viso per la prima volta Maedhros. Era un alto sire dei Noldor, con gli occhi chiari, che sembravano sempre guardare oltre il mare, ma un fuoco sopito danzava dietro il suo atteggiamento all’apparenza freddo e misurato. Cosa ancora più straordinaria, aveva i capelli rossi, dello stesso rosso delle mura della fortezza, e portava un sottile cerchio di rame intorno alla testa.
 -Benvenuto, Gil-galad- disse Maedhros.
 -Vi ringrazio per la vostra ospitalità- rispose Ereinion -e vi sono grato per le cure che mi avete prestato.-
 -Non vorrei chiedere troppo- continuò Maedhros -ma mi piacerebbe sapere da dove venite. Oppure dovrei abbandonare il “voi”?-
Ereinion rimase perplesso. Osservò Maedhros, in cerca di spiegazioni, ma la sua espressione era semplicemente tranquilla e impenetrabile come le mura della sua fortezza. Poi egli portò davanti a sé il braccio destro… ma la mano non c’era. Ereinion osservò per qualche secondo l’arto mutilato di Maedhros, prima di distogliere lo sguardo, imbarazzato.
­ -Ho vissuto nel Doriath, da quando io riesca a ricordare- disse Ereinion. Era riluttante a raccontare il suo passato. Aveva intuito che gli elfi grigi non fossero ben accettati, tra i Noldor. O forse era il contrario.
 -Sono stato allevato da Mithor, il Signore Grigio che abita sotto Menegroth- continuò Ereinion -e sono fuggito dal Doriath pochi giorni or sono, quando sono stato soccorso da... -
 -Conosco questa parte della storia- lo interruppe Maedhros -desidero sapere quale ruolo ricoprivi presso Mithor.-
 -Sospettate di me, mio signore?-
 -No, Gil-galad- rispose Maedhros -non sospetto di te. Temo solo che la tua fuga non rimarrà impunita. Ho saputo quale ombra si cela nel Doriath; ma non preoccuparti, perché non ho intenzione di farti del male.-
 -Ero addestrato come assassino- continuò Ereinion, lentamente -insieme a molti altri.-
 -Quanti altri?-
 -Non li ho mai visti tutti insieme, ma i cunicoli sotto Menegroth erano molto ampi. Uno o due centinaia, come minimo.-
 -Hai parlato di un certo Mithor... -osservò Maedhros.
 -Sì, è un consigliere di Thingol: era lui a comandare, dove vivevo io. Il re in realtà non si è mai fatto vedere e non so se fosse lui il mandante dei sicari.-
 -Queste notizie mi portano grande sofferenza- disse Maedhros -senza dubbio il Signore di cui parli, è colui che ha inviato gli assassini a Gondolin. Ho bisogno di vedere i miei parenti delle case di Fingolfin e Finarfin- continuò, riflettendo ad alta voce -Fingolfin si trova a Gondolin, certo; in sua assenza parlerò con Fingon.- Maedhros si interruppe bruscamente.
 -Fingon... -mormorò ancora, guardando fisso Ereinion -dove hai detto di aver vissuto?-
 -Nel Doriath, mio signore, l’ho già detto- ripeté Ereinion -non ricordo altro. Mi è stato detto che i miei genitori erano morti, ma ho appreso pochi giorni or sono da Melian che si trattava di una menzogna. Tuttora non conosco le origini della mia famiglia.-
 -è così, dunque... - continuò Maedhros. Ci fu un attimo di silenzio, in cui Ereinion vide il sire dei Noldor rimanere immobile, a riflettere.
 -è così, dunque- ripeté -desidero ancora sapere una cosa, Gil-galad: dove hai presto questa lancia?-
Maedhros gli porse Aeglos, ripulita dal sangue e splendente più che mai.
 -Mi è stata donata da Melian prima che fuggissi, mio signore- rispose Ereinion -mi è stato detto da molti che si tratta di un’arma dei Noldor, ma io non conosco la sua provenienza.-
Maedhros stette ancora in silenzio fissando Ereinion, per un tempo che parve interminabile.
 -Mio signore, state bene?-
Ereinion non ricevette risposta. Maedhros gli si avvicinò, lentamente, poi scoppiò a ridere, abbracciandolo.
 -Ereinion, málo inya! Sei tornato!-
Ereinion rimase frainteso.
 -Di cosa parlate, mio signore?- disse, in preda al panico -Il mio nome è Gil-galad!-
Maedhros scosse la testa, ridendo ancora.
 -Non avere paura! Sei tornato, finalmente, Ereinion! Ti abbiamo creduto morto per tutto questo tempo... -mormorò, commosso.
 -C-cosa significa?- balbettò Ereinion.
 -Tu sei il figlio di Fingon, mio caro Gil-galad! Sei stato rapito da piccolo dagli uomini di Mithor ai porti delle Falas... oh, come sarà felice tuo padre, adesso!-
 -Dite... dite sul serio?- insisté Ereinion.
 -Certo, tutto corrisponde!- esclamò Maedhros -Il nome, la lancia... e poi riconoscerei i lineamenti di tuo padre ovunque! Quanto sono felice di vederti, Ereinion...-
E lo abbracciò di nuovo, lasciando il giovane confuso e frainteso.
 -Benvenuto a casa tua, Gil-galad.- 

Note dell'autrice: Eccomi a rompere con un altro capitolo! Mi sto seriamente sforzando di buttare fuori dei capitoli più lunghi, ma la mia creatività è fermamente decisa a comunicare i lampi di genio (che sono assai poco geniali, ve lo garantisco) con il contagocce. Beh, in mancanza di meglio dovrete accontentarvi di questo.
Ringrazio come sempre l'immensa misericordia di  Thiliol e Shiner LegolasOakenshield che seguono questa serie!
Devo ammettere che ho atteso a lungo di poter pubblicare questo capitolo (Tutta colpa mia, immagino N.d.Maedhros), che è uno di quelli che mi piacciono di più... beh, spero che vi piaccia come tutti gli altri (di più, si spera)! Recensite, per favore!

Baci,

Anairë

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Capitolo 10
*** IX ***


Eccomi qui! Buona Pasqua a tutti (in ritardo, lo so), prima di cominciare. Questo è un piccolo intermezzo che ha poco a che fare con lo sviluppo della storia, ma mi andava di scrivere qualcosa su questo argomento, così, tanto per rompere più di quanto io non faccia già. 
Buona lettura, a dopo il resto!


“No… ti prego, non piangere…”
La fanciulla era scoppiata in lacrime, senza più riuscire a trattenersi. Le sue spalle sottili erano scosse dai singhiozzi, mentre un elfo alto dalla chioma scura la consolava.
 -Non temere… sopravvivrà.-
Maeglin ne dubitava. Le ferite di Turgon erano poche e superficiali, ma il veleno con cui erano state trattate le armi che le avevano inflitte era molto potente. Aveva molta dimestichezza con i veleni: suo padre li aveva usati spesso. Si dava il caso che Aredhel fosse morta a causa dello stesso veleno che adesso faceva agonizzare il re.
“Che buffo scherzo del destino” si disse Maeglin. Era affacciato alla finestra, silenzioso, e aveva visto giungere una delegazione dallo Hithlum. Chissà, forse sarebbe dovuto andare a dare il benvenuto a un suo lontano e nobile parente, ma era riluttante all’idea di avvicinarsi a Idril. Temeva il suo sguardo acuto, quello sguardo che amava tanto.
Idril lo odiava e sospettava di lui; Maeglin non riusciva a sopportare che lei lo guardasse negli occhi.
“Ti prego, non piangere… non piangere.”
 -Portami da lui, Idril- disse Fingolfin.
Solo quando i due scomparvero dal cortile, Maeglin li seguì, silenziosamente.
Fingolfin era inginocchiato al capezzale di Turgon. Questi era in uno dei suoi sempre più rari momenti di veglia.
 -Padre… - Maeglin vide il re sorridere leggermente.
 -Turgon… -mormorò Fingolfin, stringendo la mano del figlio –com’è potuto accadere?-
 -Vengono dal Doriath, padre- sbottò Turgon –Temo che abbiano trovato il modo di infiltrarsi nella città- si interruppe, tossendo a ripetizione –Maeglin ne ha ucciso uno… era riuscito a entrare… -
 -Se è così la città deve essere evacuata- ribatté Fingolfin –è un rischio troppo grande.-
 -No- lo interruppe Maeglin, avanzando verso il centro della stanza. Idril gli lanciò un ennesimo sguardo tagliente.
 -Non è possibile abbandonare la città. Non è ancora giunto il momento- continuò l’elfo.
 -Maeglin ha ragione- bisbigliò Turgon –Ulmo in persona mi ha svelato la posizione di questa valle e solo dopo la venuta di un suo messaggero la città potrà essere abbandonata. Ahimè! Gondolin, Roccia Nascosta, non è più tale!-
Dopo pochi minuti, Turgon si addormentò, in preda a una febbre bruciante. Fingolfin si allontanò dal suo capezzale, con lo sguardo grave.
 -Ci sono ancora speranze?- domandò Idril.
 -Non so dirti, Idril- sospirò Fingolfin –c’è una possibilità che guarisca, ma non ne sarei troppo sicuro, se fossi in te. Il veleno sta agendo più lentamente del previsto se Turgon è sopravvissuto tanto tempo dopo l’attacco, ma se l’infezione continuerà a diffondersi così… gli restano pochi giorni di vita, temo.-
Idril gemette. Maeglin chinò la testa, sofferente, chiudendo gli occhi. Improvvisamente si sentì mancare il fiato, un colpo allo stomaco che gli mozzò il respiro.
 -è colpa tua!- urlò Idril, colpendolo ripetutamente, a tratti con violenza, a tratti debolmente –tu li hai fatti entrare, assassino! Lo sento, tu ci hai traditi, ci tradirai tutti!- strillò ancora la fanciulla.
 -Idril!- esclamò Fingolfin, trattenendo la nipote –Sta’ calma.-
 -No!- continuò Idril, in lacrime –Io lo sento… lui ci tradirà… lo vedo! Lo vedo!-
 -Non capisco di cosa parli!- ribatté Maeglin –Non potrei mai tradire Turgon! Avrei potuto ucciderlo in qualsiasi momento, così come avrei potuto uccidere te, eppure non l’ho fatto. Non credi che possa significare qualcosa?- il respiro di entrambi era affannoso.
I due si fissavano negli occhi: Idril, ancora trattenuta da Fingolfin, ribolliva di ira repressa e di paura, di angoscia; l’espressione di Maeglin era sempre la stessa, inflessibile e impenetrabile, ma dentro di sé l’elfo sentiva il dolore divorarlo come una fiamma. Idril odiava il suo sguardo, i suoi movimenti, il suo comportamento silenzioso, quel suo strisciare costantemente nell’ombra e i suoi occhi scuri e penetranti che sembravano essere ovunque.
“Se solo tu sapessi, Celebrindal! Se solo sapessi quanto sto soffrendo adesso…”.
 -Andiamo via, Idril- disse Fingolfin, guidando la nipote fuori dalla stanza.
 -No, aspetta!- urlò la fanciulla, divincolandosi e fissando Maeglin negli occhi per lunghi istanti.
 -Se lui non ce la facesse…- ansimò Idril infine, gli occhi cerulei umidi di lacrime –Se Turgon dovesse morire- si voltò verso Fingolfin –portatemi con voi, mio signore. Non potrei più restare qui con mio cugino… non riuscirei a chiamarlo re.-
Detto questo, si voltò e lasciò la stanza, con passo svelto. Fingolfin non la trattenne più.
Lontano, nel corridoio, un singhiozzo riecheggiò.
 
 -Mi scuso per l’inconveniente, mio signore- disse Maeglin poco dopo, con voce atona –sarete il benvenuto nella nostra città, per tutto il tempo che vorrete rimanervi.-
 -Ti ringrazio- rispose Fingolfin –devo essere sincero, ero molto curioso di conoscere mio nipote- sorrise –ma vorrai scusarmi se adesso mi congedo.-
Il Re supremo dei Noldor si avviò verso la porta. Maeglin abbassò lo sguardo e fece per allontanarsi ma Fingolfin, prima di lasciare la stanza, gli appoggiò una mano su una spalla e sussurrò al suo orecchio, in tono confidenziale: -Mi perdonerai, Maeglin, se ti dico che qualche volta faresti meglio a mostrare le tue emozioni.-
La porta di legno si chiuse, producendo un rumore secco, alle spalle dell’elfo, immobile al centro della stanza. Una lacrima solitaria cadde sul pavimento di marmo.
“Mi perdonerai, Fingolfin, se ti dico che qualche volta faresti meglio a non giudicare cose di cui non sai nulla”. 


Note dell'autrice: Ecco, finisce questo capitolo piccolo piccolo (l'unico appunto che mi avevate fatto sono stati capitoli più lunghi e qual è stata la prima cosa che ho fatto? Propinarvi un mini-aggiornamento. Sono proprio una testa di carota (per non dire qualcos'altro). 
Insomma, spero che vi sia piaciuto comunque. Grazie come sempre a Thiliol e alla carissima Shiner LegolasOakenshield, oltre che ad aleweerint che ha messo la serie tra le seguite! 
A proposito, Ereinion vi manda i suoi più cari saluti e manda a dirvi che gli mancate tanto e che lui sta bene (Bugiarda, io non ho detto niente N.d.Ereinion) (E dai, era solo per fare un po' di scena! N.d.A.) (-.- N.d.Ereinion) 

Al prossimo capitolo!

Anairë

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Capitolo 11
*** X ***





 -Perché non posso ancora partire?-
 -Perché no. È troppo pericoloso e devi ancora ristabilirti.-
 -Io sto benissimo!- protestò il giovane elfo, affannato –Potresti rallentare, per favore?-
 -Nessuno ti obbliga a seguirmi, Ereinion.-
 -Perché non posso andare da mio padre?-
 -Oh, Varda Elentári! Sei testardo proprio come lui! Ti ho già detto che non puoi passeggiare per il Beleriand come se nulla fosse! Mithor ti sta cercando.-
Ereinion sbuffò, insofferente.
 -Maedhros?-
 -Cosa c’è?-
 -Almeno potresti dirmi dove stai andando?-
 -Se ti interessa tanto, sto andando da mio fratello, Ereinion. Potrei presentartelo, se vuoi.-
 -Lo conoscerò con molto piacere, ma prima vorrei delle altre spiegazioni, se possibile… sono un po’ confuso.-
 -Abbi pazienza, Stella di Radianza. Stiamo arrivando.-
Ereinion seguiva Maedhros da ormai una decina di minuti per scale e corridoi attraverso la fortezza. Sembrava che il secondogenito di Fëanor alloggiasse in capo al mondo.
Finalmente Maedhros si fermò innanzi a una porta da cui proveniva il piacevole suono di un’arpa. Bussarono, e una voce gentile disse loro di entrare.
La stanza era stupefacente: valeva la pena di aver percorso tutta quella strada soltanto per vedere il panorama mozzafiato che si stendeva oltre l’ampia bifora rivolta a nordovest.
 -Ti disturbiamo, Maglor?-
 -Per nulla- rispose l’elfo che si trovava nella stanza, riponendo una grande arpa argentata –a cosa devo questa visita?-
 -Ti ricordi di Gil-galad, il giovane che i messaggeri di Fingolfin hanno trovato presso il Nan Elmoth?-
 -Sì, certo, vedo che è guarito- rispose Maglor, sorridendo a Ereinion. Questi lo osservò a lungo: somigliava leggermente al fratello: i lineamenti erano simili, ma la chioma di Maglor era nera come la notte e il fuoco nei suoi occhi grigi danzava più liberamente, più simile alle onde del mare che a una fiamma selvaggia.
 -è il figlio di Fingon, Maglor!- esclamò Maedhros, entusiasta –Il nostro Ereinion!-
 -Non è possibile!- disse Maglor, avvicinandosi al giovane –Era morto!-
 -Ti sembra morto?- rise Maedhros –è più vivo che mai! È riuscito a scappare da Menegroth, Mithor lo teneva rinchiuso.-
 -Fingon ne sarà felice- commentò l’altro –ma ci sono altre notizie dallo Hithlum?-
 -No, temo. Non penso che sia ancora il caso di avvicinarsi al Doriath. Sarebbe troppo pericoloso.-
 -Vi ringrazio per l’interesse, gentili signori- interloquì Ereinion –e mi scuso per l’interruzione indiscreta, ma mi sembra legittimo sapere come siete riusciti a capire chi ero…- Ereinion si interruppe. I due fratelli lo osservavano.
 -Cioè, insomma, mi sembrerebbe utile saperlo, così da ora in poi farò più attenzione a quello che faccio, se è davvero così facile scoprire le mie origini…- tacque di nuovo. Maglor sorrise.
 -Insomma, perché non dite nulla?!?- sbottò Ereinion, irritato.
 -Mio caro Gil-galad…- esordì Maglor, avvicinandoglisi -… non so come tu sia riuscito a fuggire dal Doriath, ma so che è stata un’ardua impresa: da molti anni ormai le aule di Menegroth sono inavvicinabili. Se Mithor non desiderava che tu uscissi dalle gallerie sottoterra, era perché tu somigli a tuo padre come una goccia d’acqua somiglia a un’altra.-
 -Per noi che abbiamo conosciuto Fingon è stato facile riconoscerti- continuò Maedhros –ma su questo hai ragione: altrettanto facile lo sarà per chiunque altro. Perciò devi ascoltarmi quando ti dico che non puoi ancora dirigerti nello Hithlum. Uscire di qui equivarrebbe a consegnarti nelle braccia del nemico. Un suicidio, per farla breve.-
Ereinion annuì, abbattuto.
 -Capisco- sospirò.
 

I due fratelli parlarono a lungo, mentre Ereinion osservava le colline fuori dall’ampia finestra. Un vento gelido soffiava da nord e invadeva la stanza, facendo frusciare i tendaggi che drappeggiavano le pareti e facendo vibrare leggermente le corde dell’arpa ancora appoggiata per terra.
Quando infine Maedhros si congedò da Maglor, Ereinion credeva di essere morto dalla noia.
 -Scusami per l’attesa- disse –ma non parlavo da parecchio con mio fratello.-
 -Ci credo, con tutta la strada che c’è da fare… -mormorò a mezza voce il giovane.
 -Cosa?
 -Niente- tagliò corto Ereinion –ho saputo che sei bravo con le armi- aggiunse, per cambiare discorso.
 -Hai saputo? Da chi?- gli domandò, fermandosi, sospettoso –Non hai parlato con altri che con me, dal tuo risveglio.-
 -L’ho capito. Da come ti muovi- rispose Ereinion –ci insegnavano anche questo, dove mi tenevano prigioniero. I più bravi avrebbero anche saputo stabilire quale armi usi più spesso, ma io non sono mai stato tra loro.- Sul viso di Maedhros apparve un sorriso carico di amarezza e ammirazione allo stesso tempo.
 -A quanto pare ci troveremo davanti ad avversari più che temibili, se tutti hanno ricevuto questo addestramento- commentò –comunque, a chi mi conosce è ben noto che la mia arma preferita è la spada, Ereinion.-
 -Peccato, avresti potuto insegnarmi qualcosa con la lancia- osservò il giovane –prima mi addestravano soprattutto con l’arco e i coltelli, ma io ho sempre avuto una pessima mira e pochissima pazienza e sangue freddo, doti fondamentali, a detta di Grothirdir, per diventare dei perfetti assassini.-
 -Chi è Grothirdir?-
 -Chi era, vorrai dire. Era il più fidato servo di Mithor. È stato ucciso da Beleg.-
 -Beleg Arcoforte?- chiese Maedhros.
 -Sì, esatto, lui. Mi ha aiutato a fuggire.-
 -A quanto pare ci sono molte cose che non mi hai detto, Gil-galad- commentò Maedhros –che ne diresti di un racconto dettagliato?-
 -Con piacere- rispose Ereinion, anche se l’idea di rievocare quegli eventi gli piaceva poco.
Raccontò a Maedhros dell’incontro con Melian e delle sue peripezie dentro e fuori il Doriath, oltre a una cronaca della sua prigionia presso Mithor. Il principe dei Noldor sembrava essere molto interessato a questo proposito e gli poneva sempre numerose domande che riguardavano gli assassini di Menegroth e l’organizzazione delle caverne dove loro vivevano.
 -Strano... -bisbigliava talvolta, perplesso, prima di porre un’altra domanda.
 -Henulcasinda? Chi è?- chiese, dopo aver udito Ereinion pronunciare a ripetizione quel nome.
 -Oh, è così che io chiamo Mithor. Il Sinda dagli occhi malefici. L’ho visto, una volta, quando ero molto giovane. I suoi occhi sembrano quelli di un demone. Usavo sempre questo nome, Henulcasinda, con i suoi assassini, ma loro diventavano furiosi e mi punivano, per questo. Loro lo chiamano Dúnedhil-warthol, ma lui fa ben di peggio.-
 -Dúnedhil-warthol, dici?- mormorò Maedhros -Proprio quello che temevo.-
 -Cosa? Di che si tratta?- domandò Ereinion.
 -Se è così che lo chiamano i suoi assassini... non ci sono più dubbi. Mithor vuole eliminare i Noldor- concluse Maedhros -anche se il perché voglia farlo, mi sfugge. Ho sempre dubitato che tutto questo partisse da Thingol, ma ora non ho più dubbi.-
Ereinion allora stette in silenzio, immerso in cupe riflessioni.
 
 

I due stavano già parlando da un po’, quando improvvisamente una ventata d’aria si abbatté su di loro e Maedhros crollò a terra, colpito da un corpo fulmineo che era sbucato da un corridoio.
 -Mio signore!- esclamò Ereinion, spaventato.
 -Che diamine…?-
 -Oh, scusatemi, vi prego, scusate!-
Un imbarazzatissimo Noldo si alzò da terra, porgendo una mano a Maedhros.
 -Mi dispiace, avevo così tanta fretta…-
 -Non preoccuparti, Quendenilda- sospirò Maedhros, scuotendo il suo abito dalla polvere –cosa ti porta qui?-
 -Mio signore, sono arrivate delle notizie dallo Hithlum…-
 -Che genere di notizie?-
Il messaggero deglutì, chiaramente terrorizzato all’idea di parlare con Maedhros. Aprì la bocca, ma emise solo dei suoni sconnessi.
 -Nilda, va tutto bene?- l’elfo scosse la testa.
 -M-mio signore… -
 -Dimmi cosa è successo- la voce di Maedhros era dura –subito.-
Quendenilda inspirò profondamente.
 -Le notizie risalgono a pochi giorni dopo la fuga del nostro Gil-galad, mio signore… sono giunte solo adesso… non abbiamo potuto fare nulla.-
-Cosa è successo? Dimmelo!-
Ereinion non aveva mai visto Maedhros fuori controllo in quel modo. Sentì un brivido immotivato corrergli lungo la schiena.
 -Fingon, mio signore… è sparito.-
 -Come? Morto, ferito, fuggito… come?-
 -Rapito, mio signore… hanno lasciato un messaggio. -
 -Cosa dice il messaggio?- Ereinion vide Maedhros sbiancare in viso.
 -L’hanno mandato a recapitare direttamente qui, mio signore… volevano che arrivasse a voi. Tengono Fingon come ostaggio. Chiedono di contrattare per la sua vita.-
Ci fu un lungo silenzio. Ereinion sentì un fuoco di rabbia e desiderio di vendetta divorargli il petto. Maedhros chinò la testa. Si lasciò cadere in ginocchio.
 -Non è possibile… i Valar mi odiano. Mi odiano!-
Il suo grido produsse un’eco lugubre attraverso i corridoi della fortezza.
 

In breve l’intera popolazione fortezza, attirata dall’urlo di Maedhros, si precipitò sul posto, Maglor compreso.
 -Cosa succede?-
 -Mio signore… -
 -Che è accaduto?-
 -Maedhros… stai bene?-
Maedhros si passò una mano sul viso e si alzò dal pavimento.
 -Va tutto bene- disse tranquillamente.
 -Non va affatto bene, invece- ribatté Maglor. Conosceva bene il fratello e il suo modo di reagire alle notizie –Quendenilda, cosa è successo?-
 -è arrivato un messaggio, da parte di Mithor in persona- ripeté l’elfo –Fingon è stato rapito… chiedono di contrattare con Maedhros per un eventuale riscatto.-
 -Non ci andremo, è ovvio- rispose Maglor lentamente, soppesando le parole –Mithor deve conoscerci davvero poco se pensa che cadremmo di nuovo in questa trappola.-
 -No, invece… lui sa, Maglor- mormorò Maedhros –non potrebbe essere altrimenti… non avrebbe modo. Non è un semplice elfo grigio, non potrebbe mai. C’è qualcosa di più oscuro, nel Doriath, adesso.-
 -Cosa? Cosa sa?- domandava Ereinion, scombussolato, a Maedhros.
 -Tu vieni con me, adesso- gli disse Quendenilda, circondandogli le spalle con un braccio –lascia in pace il tuo sire.-
 -Ma… -
 -Ascoltami, Gil-galad, vieni- insisté Nilda, guidandolo via lungo il corridoio. Ereinion lo seguì, riluttante. Quando furono abbastanza lontani, gli parve di udire un singhiozzo.
 -Potresti spiegarmi, adesso?- sospirò Ereinion.
 -Sai, Gil-galad… - Nilda s’interruppe -… conosci la storia dei Noldor?-
Ereinion annuì.
 -Mi hanno raccontato qualcosa… dei Silmaril, del giuramento.-
 -Bene- disse Nilda –devi sapere che dopo la morte di Fëanor, Morgoth ha mandato un messaggio ai loro figli, per trattare una tregua… ma li ha ingannati: Maedhros è stato catturato vivo e portato in Angband come ostaggio.- Ereinion rabbrividì.
 -Cinque anni è rimasto lì e Morgoth lo ha appeso per la mano destra sul Thangorodrim. Ora io non conosco la storia in tutti i suoi particolari, poiché non ero ancora nato quando questi eventi avvennero, ma so che Fingon, della casata di Fingolfin, giunto in Endor, andò da solo a salvare Maedhros, senza prima consultarsi con nessuno.-
A Ereinion si mozzò il respiro. Suo padre… aveva salvato la vita a Maedhros, quando nessuno aveva osato farlo. L’orgoglio per la sua stirpe lo riempì.
 -Ma Maedhros era incatenato strettamente e Fingon fu costretto a tagliare la sua mano destra- concluse Nilda brevemente –una bella storia, non c’è che dire, e capisci benissimo quanto il nostro signore sia angosciato nell’udire queste notizie.-
Ereinion annuì lentamente.
Il pensiero di suo padre, rapito dagli assassini di Mithor e rinchiuso in quelle segrete asfissianti in cui lui aveva trascorso lunghi anni, lo angosciava. Si sentiva tremendamente debole e impotente... avrebbe voluto fare qualcosa per salvarlo, ma non sapeva come. Maedhros e Maglor non lo avrebbero mai lasciato andare.
Maedhros... la notizia lo aveva distrutto. Per quale motivo, adesso Ereinion lo capiva.
Allora Ereinion dedusse che dietro la scelta di rapire Fingon dovesse esserci qualcos’altro: intese cosa davvero preoccupava Maedhros. Chiunque avesse deciso di rapire Fingon e tenerlo come ostaggio doveva per forza conoscere gli eventi precedenti. Altrimenti avrebbe fatto altro con il principe dei Noldor; lo avrebbe ucciso, torturato e chissà quale altra crudeltà, ma no: non l’avrebbe rapito.
E immediatamente capì che Maedhros intendeva andare a salvarlo, da solo, come Fingon aveva fatto con lui. E che quello era esattamente cosa Mithor si aspettava da lui.
Ereinion non gli avrebbe permesso di partire. Sarebbe stato troppo pericoloso e non voleva che Maedhros fosse esposto a un tale rischio. Dopotutto lui l’aveva accolto, aiutato e protetto ed Ereinion intendeva ricambiare il favore... non poteva lasciare che anche Maedhros fosse ucciso da Mithor.
 
 
-Dove stai andando, Gil-galad?- gli domandò Nilda, quando lo vide allontanarsi.
 -Devo parlare con Maedhros.-
 -Niente affatto! Non ti muoverai da qui, lascialo in pace!-
 -Ma è urgente!-
 -Non se ne parla! Resterai con me per questa sera- insisté Nilda –gli parlerai domani. Sei proprio testardo, a volte!-
Ed Ereinion dovette arrendersi. Sperava solo che l’indomani non fosse troppo tardi. 


 Note dell'Autrice: Vi prego, non uccidetemi. Non rapitemi, non torturatemi, non rapite e non torturate nessuno dei miei amici. Mi odierete per sempre, lo so. Non fraintendetemi, non odio Fingon e non sto tramando per lo sterminio dei Noldor, sto solo scrivendo una ff, per quanto sovversiva e ambigua possa sembrare. Quindi abbiate pietà di me. 
Ringrazio come sempre Thiliol, Shiner LegolasOakenshield (posso chiamarti solo Shiner o ti piace essere citata con il nickname tutto intero?) e aleweerint che ha messo la storia tra le ricordate (ma non si fa sentire).
Ricordate sempre che mi fa piacere avere un parere, anche una critica (anzi meglio, con le critiche si migliora). 
Perciò grazie ancora a quelli che continuano a seguire questa serie nonostante la dubbia moralità dell'autrice.
Al prossimo aggiornamento!


Anairë

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Capitolo 12
*** XI ***


Salve! Scusate il ritardo... di solito aggiorno in tre giorni, questa volta vi ho fatto aspettare quasi due settimane (forse eravate più contenti). 
Non mi dilungo oltre... spero che questo capitolo vi piaccia! 



Beleg aveva perso completamente il senso dell’orientamento. E non era un’esagerazione: non aveva idea di dove si trovasse.
Era ferito, ed era riuscito a rimettersi con poche difficoltà, poiché era un guaritore più che esperto, ma per quanto girovagasse e cercasse nella memoria, non riconosceva il luogo in cui si era risvegliato. Non poteva assolutamente trattarsi del Doriath: nel Doriath gli alberi erano luminosi e vivi, la luce del sole e delle stelle filtrava dalle fronde e la terra era florida e fertile.
La foresta in cui lui si trovava pareva immersa in un fitto incantesimo oscuro: erano trascorsi parecchi giorni dal suo risveglio, ma non s’erano viste tracce di luce. Ogni pianta o forma di vita a lui conosciute erano sparite e le decine di spie che fino a poco prima erano appostate sugli alberi o facevano giri di ronda parevano essersi dileguate nel nulla.
Dove era finito Beleg Cúthalion?
Per quanto avesse cercato, non era neanche riuscito a trovare una sola delle frecce che aveva utilizzato nello scontro con Grothirdir. Fortunatamente non aveva utilizzato la sua cara Dailir, che ritrovava sempre dopo averla usata.
Decise di seguire una direzione a sua scelta: alla fine sarebbe arrivato da qualche parte. Sperava solo di non dirigersi dritto nelle braccia di Mithor.
Tentò più volte di arrampicarsi sugli alberi per vedere da che parte sorgesse il sole, ma quella selva intricata di rami sottili non dava un appiglio neanche alle sue mani esperte. Così Beleg si rassegnò a camminare alla cieca.
Fortunatamente i suoi sforzi ebbero successo: dopo molti giorni di marcia a ritmo serrato, la foresta iniziò a diradarsi.
Beleg finalmente distinse qualcosa del paesaggio: vedeva un fiume, in lontananza. Si avvicinò ancora al rivo, e seguendone il corso finalmente riuscì a riconoscere dove si trovava.
Quelle innanzi a lui erano senza dubbio le paludi del Sirion. Dunque era appena uscito dal Doriath. Eppure quel bosco tetro a tutto assomigliava, tranne che alla foresta di Melian.
Perplesso, Beleg aggirò le paludi e si diresse con decisione oltre il Sirion.
Dove andava?
Dirigersi nello Hithlum era fuori discussione. Aveva percepito un pericolo venire dal Doriath e automaticamente si diresse verso il luogo più sicuro e più vicino che riuscisse a immaginare, sperando di trovarvi un aiuto.
 
 
La fortezza di Felagund era stata ricavata da una montagna: era inaccessibile dall’esterno, sempre che non si volesse inerpicarsi su per un sentiero scosceso e ripido. L’unica entrata era protetta da numerose guardie.
 -Chi sei, straniero?- domandò uno degli elfi che faceva parte della guarnigione, facendo viaggiare su di lui uno sguardo ostile.
 -Il mio nome è Beleg- rispose Cúthalion tranquillamente –mi manda Melian, la regina. Chiedo di poter parlare con il vostro signore.
Il viso severo della guardia si distese in un sorrisetto ironico.
 -Dovete essere alquanto disinformato, Beleg- disse –se sostenete di obbedire ancora alla regina.-
 -Come sarebbe a dire?- ribatté l’elfo.
 -Andate pure, annunceremo la vostra venuta- continuò la guardia, ignorandolo. Beleg, con uno strano presentimento nel cuore, attese con ansia di parlare con Finrod. Sapeva che anche dama Galadriel dimorava con Felagund in quel tempo e ne era lieto, poiché la conosceva.
Entrò infine nelle caverne del Nargothrond. Nonostante i suoi pellegrinaggi fossero stati numerosi, Beleg non era mai stato lì. Scoprì che le voci che lo dicevano simile a Menegroth non erano infondate: dopotutto Finrod aveva dato ordine di costruire quella fortezza dopo avere visitato le aule di Thingol e di Melian.
-Vieni pure avanti, Cúthalion! Mia sorella Galadriel mi ha parlato di te.-
Beleg era tanto assorto nell’ammirazione della ricca sala che non si era accorto nella presenza di Finrod.
Felagund regnava sui Noldor, ma il suo sangue proveniva in parte dalle stirpi dei Vanyar, come testimoniavano i suoi capelli chiari.
 -Sarò lieto di venire al vostro cospetto, mio signore- rispose allora Beleg –eppure il mio cuore è parecchio angosciato da quando ho lasciato il Doriath sei giorni fa. Se non chiedo troppo vorrei sapere cosa è accaduto alla foresta di Melian…-
 -Ahimè! Non è facile parlarne, per me- rispose Finrod, con un sorriso triste –per molto tempo ho vissuto nel Doriath e sono stato trattato da Thingol con riguardo, ma da molto ormai sulla foresta di Melian è calata un’ombra impenetrabile… mio caro Beleg, probabilmente siete stato molto fortunato o molto abile, per essere uscito vivo dalla selva che ora il Doriath è diventato. Da molti giorni ormai il potere di Melian è inspiegabilmente cessato: gli alberi sono morti, di esseri viventi non c’è più traccia e chiunque abbia varcato il confine di quelle terre non è più tornato.-
 -Sono penose per me queste notizie, mio signore- disse Beleg –ma vi ringrazio per la fiducia dimostrata.-
 -Non ringraziarmi!- rispose Finrod –è diventato facile distinguere i nemici dagli amici, da quando i nemici non si mostrano apertamente come elfi del Doriath, come invece hai fatto tu.-
 -Dov’è dunque Elu Thingol?- domandò Beleg –Lui e Melian vivono ancora nel Doriath?-
 -Non so rispondere a questa domanda- continuò Finrod –nessuno, a parte te, è ancora uscito da quella foresta, perciò deduco che non si siano allontanati, eppure temo il peggio per Melian e Thingol… l’ombra che si nasconde con il nome di Mithor è più grande di quanto pensassimo. Adesso mia sorella desidera parlarti, se lo desideri.-
Beleg si inchinò, mentre Galadriel entrava nella sala del trono. I suoi occhi erano chiari e limpidi come uno specchio, i capelli dorati come la luce di Laurelin, il viso splendente: dalle sue fattezze si evinceva che aveva vissuto a lungo in Aman. Era bella quanto lui la ricordava.
 -Sono felice di vederti, Beleg- disse lei –eppure il mio cuore è angosciato alle notizie che sono da poco giunte. Temendo la presenza di un’ombra in Mithor, molto tempo fa mi sono allontanata dal Doriath. Precauzioni e previdenza non sono state inutili: non so quale essere si stia celando dietro il mantello scuro del Signore Grigio che ora governa la grande foresta, ma con sicurezza posso dire che non è uno dei figli di Ilúvatar, eppure la sua provenienza mi è celata.-
 -Or dunque, attento a te, Cúthalion! Ti sei dimostrato fedele a Melian e una taglia ingente è sulla tua testa. Stai lontano quanto più possibile dal Doriath, abbi fede in queste mie parole!-
 -Gentilissima dama- rispose Beleg –vi ringrazio: eppure non sarei capace di allontanarmi dalle fronde che sono state la mia casa e il mio rifugio. Dunque vi tornerò, dovessi morire nel tentativo, e lotterò per scacciare l’ombra di cui parli.-
 -L’ombra del Doriath non cadrà per mano di Beleg Cúthalion- disse allora Galadriel –né Cúthalion avrà una morte eroica: è tenebroso, il tuo futuro. Prima di lasciarti ti dico: attento alle armi che impugnerai.-
Beleg si inchinò nuovamente.
 -Grazie infinite per i saggi e generosi consigli, mia dama. Se lo desiderate, mi attarderò nel Nargothrond fin quando il mio desiderio di viaggiare non mi spingerà a lasciarlo.-
 -Lo desidero, Cúthalion, anche perché le strade non sono più sicure come una volta e sarei ben più tranquilla se tu dormissi tra le mura della dimora di Finrod, mio fratello.-
 -Sono sicuro che Finrod sarà felice di ospitarmi. Se mi è permesso, posso domandare cos’altro è accaduto mentre giacevo privo di sensi e ferito nella selva del Doriath?- aggiunse, rivolto a Felagund.
 -Notizie non buone, temo…- rispose questi -Fingon, mio parente, è scomparso. Non ci sono sue tracce nello Hithlum, né nelle terre circostanti. Temo per la sua salvezza e per quella del suo regno: Re Fingolfin si trova a Gondolin e Turgon è in pericolo di morte… ho paura che qualcuno approfitterà di questa situazione e non desidero che il Nargothrond non prenda parte alla difesa delle Terre Settentrionali.-
 -Offrirò volentieri il mio aiuto- disse Beleg. Nel suo cuore temeva per Ereinion e non sapeva se fosse morto o catturato. Anche se fosse stato vivo e al sicuro, si stava nascondendo bene, per non essere ancora stato trovato da nessuno.
 -Mio signore… -disse allora una guardia –c’è qualcun altro che desidera parlarvi.-
 -è tempo di visite- sospirò Finrod –di chi si tratta?-
 -Mio signore, è una fanciulla del Doriath… non ha detto il suo nome, ma dice di essere stata mandata da Melian.-
Beleg si insospettì: era forse stato seguito?  
 -Fatela entrare- rispose Finrod, perplesso.
La fanciulla entrò con passi leggeri, coperta da un mantello di un blu cupo. Si spogliò dal mantello, sorridendo soavemente.
 -Salve, Cúthalion.-
Beleg rimase interdetto. Si aspettava di essere raggiunto nel Nargothrond da chiunque: assassini, spie, Thingol, Melian, Ereinion, l’intera delegazione dei Valar al completo, Mithor, orchi, Balrog, Draghi, Morgoth in persona.
Chiunque, ma non Lúthien. 



Oggi sono in vena di verde... che ne pensate? 
Se è per questo sei anche in vena di stupidaggini N.d.Ereinion.
Molto gentile, Gil-galad. Sei solo geloso perché sto parlando poco di te. 
Non è vero!

Bugiardo. Ora lasciami parlare. Ringrazio come sempre Thiliol e la gentilissima Shiner per recensire sempre! Spero che questa serie continui a piacervi! 
Ho poco tempo, perciò vi saluto in fretta. A presto!

Anairë 

E
Gil-galad

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Capitolo 13
*** XII ***


Eccomi, non sono sparita! 
Spero che questo capitolo vi piaccia... da parte mia è stato uno dei più difficili da scrivere. Ditemi cosa ne pensate... a dopo il resto!




La notte si era dissolta, sulla piana di Tumladen. Il sole colorò di rosso le pendici dei Monti Cerchianti e sorprese la giovane Idril, addormentatasi accanto al letto del padre.
La fanciulla si riscosse, aprendo gli occhi. Non capiva come fosse riuscita a prendere sonno. La sera precedente aveva pianto a lungo.
I migliori guaritori della città avevano visitato suo padre e non avevano potuto rassicurarla. Era stato un veleno sconosciuto a contaminare le armi che lo avevano ferito. Non potevano fare nulla, avevano detto. Non sapevano come rallentare l’infezione. Quanto aveva detto che era passato dall’attacco? Dieci giorni? Allora sì, se Turgon era resistito così a lungo, forse c’era speranza. Se la febbre fosse calata prima del tramonto, forse.
Il tramonto era arrivato e se n’era andato: la febbre non era scesa e suo padre non riprendeva conoscenza da giorni, per la precisione da quando Fingolfin era giunto a Gondolin.
Idril stava per ricominciare a piangere. Appoggiò il capo sulla coperta di lino candido, soffocando i singhiozzi. Sapeva che suo padre non avrebbe voluto che lei piangesse.
Guardò in viso Turgon, re di Gondolin, della stirpe di Fingolfin. Il suo volto era pallido.
Idril non perse tempo per controllare che suo padre respirasse, o la sua fronte fosse calda. Il sole non era ancora sorto e lui se n’era andato per sempre.
Allora si abbandonò a un pianto disperato, senza udire che Maeglin la raggiungeva.
 -Vattene via!- urlò la ragazza -Lasciami sola!-
 -Credevo che avessimo risolto tutto ieri sera- ribatté Maeglin -e dimentichi che Turgon, oltre a tuo padre, è il fratello di mia madre, colui che mi ha accolto come un figlio.-
Idril sospirò. La conversazione della sera prima... quanto avrebbe voluto non aver mai intrapreso quell’argomento.  
 
Ricordava bene cos’era successo: Maeglin era andato a cercarla, prima che i guaritori comunicassero loro l’esito della visita a Turgon.
 -Idril... desidero parlarti- aveva detto, dopo aver indugiato a lungo.
La fanciulla non aveva risposto. Era rimasta silenziosa, a guardare davanti a sé, ignorando la presenza del cugino, lo sguardo perso verso il cielo, oltre la finestra.
 -Idril, ti prego. Solo una parola.-
 -E sia- disse duramente la ragazza -sentirò cos’hai da dire- si voltò bruscamente.
 -Tu mi detesti, non è così?- esclamò Maeglin.
 -Non lo nego- rispose Idril -è vero, ti odio. Non sopporto la tua vista. Vorrei che tu te ne andassi, o che non fossi mai venuto.-
 -Perché, Idril?- la ragazza lo guardò negli occhi. Era sempre così patetico. Cercava di nascondere le sue emozioni, come se non fosse facile capire che stava soffrendo immensamente.
 -Non lo so, esattamente. Ho un presentimento che non mi piace, nei tuoi confronti.-
 -L’ho detto e lo ripeto, Idril- disse Maeglin, con durezza -Io non ho tradito Turgon. E mai lo farò.-
 -Su questo ho i miei dubbi.-
 -Perché non hai fiducia in me?- esclamò allora Maeglin -Pensi che il mio cuore sia oscuro perché mio padre proveniva da quella maledetta foresta, non è vero? Temi che io possa tramare nell’ombra contro di voi e impadronirmi della città... - la sua voce si spezzò. Maeglin prese Idril per un braccio e la guardò negli occhi.
 -Lasciami- sibilò la ragazza.
 -Idril... prima devi promettermi una cosa.-
 -Lasciami!-
 -No, Idril, ascoltami. Se Turgon dovesse morire... - gli occhi della ragazza si riempirono di lacrime -promettimi che non andrai via. Promettimi che non mi lascerai solo.-
Idril tacque.
 -Lasciami- bisbigliò, per la terza volta. Maeglin allentò la presa sul suo braccio e la ragazza si divincolò dalla sua stretta.
 -Cosa rispondi?- insisté Maeglin. Idril capì che non sarebbe servito a nulla ignorare le sue parole. Avrebbe solo rimandato tutto.
 -D’accordo, prometto che rimarrò- aveva sussurrato -lo prometto!-
Maeglin sorrise impercettibilmente, solo una leggera curvatura delle sue labbra, ma Idril lo vide.
 -Non gioire - disse, sprezzante -non significa nulla. Potrei anche rimangiare la promessa, se volessi.-
 -Non ne avrai modo- rispose Maeglin. E si allontanò, lasciando finalmente Idril da sola.
Quei due momenti si fusero, passato e presente: l’oro del sole appena sorto e l’argento della luna piena nel cielo. Idril sapeva che anche Maeglin stava pensando alla sera prima.
La ragazza sentì l’altro avvicinarsi al capezzale di Turgon.
 -Lascia stare mio padre- gemette.
 -Non sto facendo nulla- si difese Maeglin.  
 -Allontanati da lui, ho detto-.
 -Voglio solo vedere... -
 -VATTENE!- urlò Idril, alzandosi e colpendo Maeglin.
Un attimo... Idril lo aveva appena aggredito. La ragazza aveva sempre saputo che suo cugino non era normale, ma ridere in un momento tanto tragico era davvero impossibile. Maeglin rideva, e di gusto.
 -Perché ridi?- sibilò Idril, furiosa. Le lacrime ricominciarono a scorrere.
 -Non piangere!- esclamò Maeglin, prendendo Idril per le spalle e stringendola a sé, sempre ridendo.
 -Maeglin, sei impazzito?- esclamò Idril, divincolandosi -Mio padre è morto e tu ridi?-
 -Non è morto!-
 -Come sarebbe a dire che non è morto?-
 -No, non lo è!- esclamò Maeglin.
 -Ma... ma... - balbettò Idril -è freddo!-
 -è freddo perché la febbre è scesa! Ascolta... lui respira!-
Idril tacque, si asciugò gli occhi dalle lacrime e guardò il viso pallido di Turgon. Stette in silenzio, attese... e poi sentì un respiro leggero, quasi impercettibile, e vide il petto di suo padre alzarsi e abbassarsi.
 -è vivo... -mormorò, piangendo di gioia -Varda Elentári! È vivo!-
La giovane allora rise, euforica, abbracciando il cugino.
 -Scusami... grazie.-
Maeglin la strinse di più a sé, silenzioso.
 -Di nulla... - rispose solo infine.
Idril toccò la fronte di Turgon. Era fresca. Il suo respiro era lento e regolare.
-Che è successo, Idril? Le tue grida si odono dalle mura della città!- esclamò Fingolfin, entrando nella stanza. Vedendo Idril china sul corpo di Turgon, temette il peggio.
 -è... morto?-
 -No, mio signore- rispose Maeglin, sorridendo -è più vivo che mai-.
 -Oh, grazie Valar!- esclamò Fingolfin.
Allora il sole raggiunse completamente la finestra, inondando la stanza di luce dorata; e Idril capì che l’alba era davvero arrivata solo in quel momento. 



Allora? (Ditemi che fa schifo e vi applaudirò fino a spellarmi le mani, lanciandovi rose e petali di fiori N.d.A.) Spero che vi sia piaciuto...
Alla fine ho deciso che non me la sentivo di uccidere Turgon, così l'ho fatto resuscitare e ho fatto fare una figura di ****** a Idril (che equivale a un autoinsulto, perché il mio nickname è Celebrindal N.d.A.)
Tenetevi pronti, il prossimo capitolo porterà tantissime novità! Oh, Elbereth, quasi non riesco a capacitarmi di avere scritto tante idiozie messe insieme...
I consueti ringraziamenti a
Shiner e a Thiliol per avere sempre seguiro e recensito questa serie e un saluto anche a Olive_Quimelle che non so se leggerà e a Tovie che non leggerà mai, ma quando lo farà saprà che l'ho salutata. 
Mi congedo, adesso, spero di non avervi traumatizzati troppo con la mia follia. 
A presto!

Anairë

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Capitolo 14
*** XIIV ***


Salve! Scusate il ritardo nell'aggiornamento (per me che di solito aggiorno ogni settimana sembra strano, lo so), ma sono stata alquanto impegnata... come si usa dire, "Maggio, studente fatti coraggio"!
Comunque, scusate anche per il capitolo cortissimo, ma vi assicuro che vale per due... 
...non aggiungo altro: a dopo, buona lettura!




 -Lúthien, per Eru... come sei arrivata qui?- esclamò Beleg attonito, dopo l’apparizione della fanciulla.
 -Ti ho seguito, Cúthalion- rispose lei -vedendoti, è sorta in me la curiosità di scoprire dove eri diretto.-
 -Cosa ti porta qui, figlia di Melian?- la interrogò Finrod -Come sei sfuggita all’ombra che ha avvolto il Doriath?-
 -Porto tristi notizie, mio signore- disse Lúthien, gravemente -mio padre e mia madre sono stati catturati da Mithor e si trovano ora in Menegroth, suoi prigionieri. Per un fortunato caso sono riuscita a fuggire prima che Mithor rinchiudesse anche me e sono qui per chiedere aiuto a voi, signore del Nargothrond.-
 -Quale aiuto potrei dunque darvi?- ribatté Finrod -Non conosco la provenienza, né la grandezza del potere oscuro di Mithor. È ormai chiaro a tutti noi che non si tratta di un semplice elfo.-
 -No, infatti. Tuttavia posso esservi d’aiuto, poiché ho visto il vero volto di Mithor, quando questi si è svelato innanzi a mio padre. Nelle loro immediate congetture i Noldor non hanno ricordato che la fonte dell’oscurità e della malvagità è soltanto una: Morgoth Bauglir, il signore di Angband.-
 -Sbagliavamo, dunque- interloquì Finrod -quando pensavamo che Morgoth dormisse. Giammai egli è rimasto in ozio, neanche quando l’assedio è stato più stretto. In questi anni ha continuato così ad agire nell’ombra... -
 -Non si tratta di Morgoth - continuò Lúthien -ma di uno dei suoi servi. Si tratta del maestro delle illusioni e dei cambiamenti di forma: Sauron, il signore dei lupi mannari e padrone di Tol-in-Gauroth.-
Beleg fu profondamente angosciato dalle parole di Lúthien.
 -Sauron... - sussurrò Finrod -... pochi anni or sono ha attaccato la roccaforte di mio fratello Orodreth e l’ha trasformata in un luogo di terrore e oscurità... aiuterò chiunque intendesse condurre una guerra contro le forze del Doriath- aggiunse con decisione, rivolta a Lúthien -avete il mio aiuto, dolce fanciulla.-
 -Vi ringrazio, Felagund, ma le forze del Nargothrond non bastano per sconfiggere Sauron.-
 -Non basterebbero le forze di tutti i regni dei Noldor- esordì Galadriel, rimasta silenziosa durante tutta la conversazione -Sauron non può essere sconfitto adesso.-
 -No, certo- interloquì Beleg -ma possiamo cacciarlo dal Doriath. Con un esercito non riusciremo mai a penetrare nella foresta, ma con pochi guerrieri ben addestrati sarebbe facile raggiungere Menegroth e liberare Thingol e Melian... e nel frattempo anche Fingon.-
 -Li tengono rinchiusi nelle caverne più profonde- disse Lúthien -nei cunicoli scavati da Mithor. È impossibile destreggiarsi in quei sentieri senza perdersi.-
 -Non posso aiutarvi a questo proposito- sospirò Beleg -raramente sono stato dove Mithor abitava, l’ultima volta è stata... - Beleg tacque. La voce gli morì in gola, sostituita da numerosi pensieri che frullavano nella sua mente come impazziti.
 -Quando siete stato l’ultima volta in Menegroth?- domandò Felagund.
Beleg allora sorrise, raggiante.
 -Mio signore, forse so chi potrebbe aiutarci a trovare la strada.-
 
***
 
Ereinion si svegliò all’improvviso. Un poderoso tuono fece tremare le mura della sua stanza.
Si drizzò sul suo giaciglio. Era già notte fonda e la fortezza era immersa nel silenzio.
Ereinion controllò che Nilda dormisse e uscì silenziosamente dalla stanza, indossando stivali e mantello. Non aveva intenzione di aspettare il giorno e sapeva di non poterlo fare.
Corse fino alla stanza di Maedhros. Bussò, senza ricevere risposta.
Bussò nuovamente.
Dopo aver atteso qualche istante, impaziente, spinse i battenti della porta della stanza, che si aprirono con facilità. Un sospetto si fece strada nel cuore di Ereinion.
La stanza era deserta. Stivali, mantello e spada erano scomparsi.
Maedhros se n’era andato.
Ereinion rimase immobile, impietrito a guardare la scena, incapace di accettare di aver esitato troppo a lungo.
Un altro tuono lo riscosse. Una pioggia battente iniziò a cadere sulla collina, mentre diversi lampi fendevano il cielo notturno oltre le finestre.
Ereinion chiuse la porta della stanza, lentamente.
Ripercorrendo il corridoio, rassegnato, vide un sottile segno scuro sul pavimento. Si chinò a esaminare la traccia: si trattava di fango o terra che macchiava la pietra levigata.
Vi passò sopra una mano, trattenendo il respiro: il fango venne via sulle sue dita.
 
Senza perdere un istante, Ereinion iniziò a correre, raggiungendo la sua stanza. Afferrò Aeglos senza curarsi di svegliare Nilda e si precipitò fuori dalla fortezza.
La pioggia scrosciava con violenza. Nonostante Ereinion si coprisse con il mantello, in breve fu bagnato fradicio. Corse lungo le strade e le scale della cittadella, dirigendosi verso l’unico cancello. Di sicuro Maedhros non aveva preso nessun cavallo, per non lasciare tracce troppo evidenti. Aveva deciso di partire con la pioggia, per lasciare che l’acqua cancellasse i segni del suo passaggio, ma Ereinion era stato più furbo di lui.
E infine lo vide, un mantello scuro che ondeggiava alle pendici della collina, illuminato dai lampi.
 -Maedhros!- lo chiamò Ereinion, correndogli incontro. Inciampò sui sassi disseminati sul pendio, quei sassi su cui anche Nilda era caduto, e scivolò nel fango.
Allora Maedhros si voltò, udendolo, e i suoi occhi scintillavano nel buio.
 -Gil-galad, sei impazzito? Torna dentro!-
 -Dove stai andando?- chiese Ereinion, alzandosi in piedi.
 -Non è importante. Tu, invece, non riesci proprio a capire che sei in pericolo?- ribatté Maedhros.
 -Verrò con te- insisté Ereinion, testardo.
 -Lì fuori c’è gente che ti vuole morto a tutti i costi, Ereinion!- esclamò Maedhros -la gente che ha rapito tuo padre, loro ti stanno cercando! E ti uccideranno, o peggio, faranno prigioniero anche te. Ed io non riuscirei proprio a sopportarlo... -la voce di Maedhros si spezzò.
 -Non m’importa tutto questo. Dove vai, dunque? Io verrò con te.-
Un altro tuono squarciò l’aria. Ereinion iniziò a battere i denti per il freddo, ma rimase impassibile di fronte a Maedhros, la lancia stretta in mano, la testa alta.
Era buio, certo, la luna e le stelle erano velate. Non c’erano fulmini a illuminare il cielo, solo la fiamma tremula e lontana delle torce della fortezza, lì in lontananza.
Eppure non c’erano dubbi: triste, amaro e intriso di sofferenza, certo, ma sul viso di Maedhros era apparso un sorriso.
 -Io vado a salvare Fingon, Gil-galad- disse -se vuoi, verrai con me.-
 -Bene, allora. È quello che farò.-
E i due s’incamminarono insieme, sotto la pioggia.  



Ok, a questo punto stavo sclerando da sola davanti allo schermo del computer, non scherzo. 
Scherzi (???) a parte, spero che vi sia piaciuto. 
Alla fine Thingol non c'entrava niente, come non era difficile intuire, ma si sa, i Noldor pensano sempre male. 
Mille ringraziamenti al quadrato, come sempre, a Thiliol e Shiner LegolasOakenshield che recensiscono sempre. Per favore, tengo alla vostra opinione su questo capitolo e spero che la mia serie continui ad essere all'altezza delle vostre aspettative!
Beh, non ci vuole molto, perché in realtà fa schifo, ma tralasciamo prima di degenerare nell'autocommiserazione e nell'autostima livello meno duemila. 
Recensioni, commenti, critiche ed eventuali segnalazioni sono, come sempre, ben accetti! 

A presto!

Anairë

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Capitolo 15
*** XIV ***


'Sera!
Vi prego, non linciatemi! Mi scuso per il ritardo, ma immagino che le scuse servano a poco con un nuovo aggiornamento molto atteso... come sempre, a dopo tutto il resto, spero questo capitolo vi piaccia!


Mithor era silenzioso. Attendeva da parecchi giorni, ormai, ma di Beindagir non c’era traccia. Eppure non riusciva a credere che persino il suo assassino migliore avesse fallito. Era sicuro che prima o poi si sarebbe fatto vivo, vittorioso come sempre; ma nel frattempo lui doveva aspettare.
 -Taci, maledetta!-
Mithor si coprì le orecchie con le mani. Non sopportava di sentire Melian cantare giorno e notte, nella cella incantata in cui la teneva rinchiusa. Il potere di Melian era grande e Mithor aveva bisogno di tutte le sue energie per evitare che lei fuggisse.
Tuttavia non era ancora riuscito a impedire che il suo canto si diffondesse per le numerose aule di Menegroth, fino a raggiungere la foresta.
La cosa che più preoccupava Mithor era che gli elfi grigi che ancora vivevano in Menegroth potessero essere corrotti da quel canto, potessero ricordare com’era la foresta prima che Melian venisse catturata e desiderare di riaverla; ciò avrebbe significato la fine del suo potere.
Dopo aver catturato Thingol e Melian, Mithor aveva immediatamente richiamato tutti i suoi assassini all’interno della foresta. Per il suo nuovo scopo aveva bisogno di tutte le forze possibili e doveva tenere le caverne ben protette.
 -Mio signore Mithor... eccomi.-
 -Daedolen, finalmente! Ho fretta di parlarti. Hai svolto quel lavoro che ti avevo richiesto?-
 -Certo, mio signore. I nostri alleati si sono appostati nelle vicinanze della città nascosta: Fingolfin non potrà sfuggire in alcun modo.-
 -Molto bene. Adesso devi svolgere per me un altro compito. Devi portare questo messaggio ad Angband: ho bisogno di rinforzi.-
 -Bene, mio signore. Orchi?-
 -Sì, certo, ma non solo. Dei Balrog basteranno, ma non abbiamo bisogno di scomodare Gothmog, né Glaudrung.-
 -Sì, mio signore- concesse Daedolen, annuendo con veemenza.  
 -Una volta che avrai un esercito sufficiente, invialo alla marca di Maedhros e ordina loro di cingere d’assedio il colle di Himring. Non subito, però... -sussurrò Mithor, sorridendo -attendi qualche giorno prima di partire da Angband: non attendere che si arrendano, uccidili tutti. Mi raccomando, non avvicinarti alla fortezza: lascia che siano le forze di Angband a distruggerla.-
 -Sarà fatto.- Daedolen s’inchinò profondamente e si allontanò dalla stanza.
Mithor era soddisfatto: era sicuro che il suo signore sarebbe stato stato orgoglioso di lui, una volta che avesse saputo cos’aveva fatto: non vedeva l’ora di parlargli!
Se il suo piano avesse funzionato, tutti i grandi signori degli Eldar sarebbero stati sconfitti: Thingol e Melian in suo potere, Fingon in breve sarebbe stato ucciso, Fingolfin aveva le ore contate, mentre Maedhros e Maglor sarebbero stati colti di sorpresa nello Himring e Turgon agonizzava a Gondolin.
Certo, la Città nascosta era ancora irraggiungibile, il Nargothrond era impossibile da espugnare e la figlia di Melian era fuggita, per non parlare degli altri figli di Fëanor in libertà, ma di tutto ciò Mithor si sarebbe occupato dopo. Senza i loro condottieri, i regni degli elfi dell’ovest sarebbero stati facili da assoggettare.
Mithor sentì un trambusto provenire dai cunicoli di roccia. Rimase seduto, sorridendo. Il suo trionfo si avvicinava.
Quando il rumore fu cessato, un elfo alto e sottile gli si avvicinò.
 -Bene... finalmente sei arrivato, mio caro- gli disse Mithor.
 -Mio signore, ho fatto quanto mi avevate chiesto.-
 -Ci hai messo molto, Beindagir. Sei sempre puntuale, di solito- osservò Mithor.
 -Mio signore, mi avevate detto di agire come preferivo.-
 -Bene, ma sai benissimo che a volte non amo il tuo desiderio di libertà. Cos’hai fatto dunque, con Fingon? L’hai eliminato come ti avevo chiesto?-
 -Ho fatto di meglio, mio signore- sorrise Beindagir -ve l’ho portato vivo.-
 -Fingon è qui?- esclamò Mithor. L’elfo annuì.
 -Oh, Beindagir! È stato un lavoro perfetto!- Mithor rise, entusiasta -Così non occorrerà andare a cercare Maedhros... lui verrà direttamente da me! Sapevo che non mi avresti deluso!-
 -L’ho mai fatto, mio signore?-
 -Attento, Beindagir! Ti ho già avvertito! Sai che non mi piacciono gli adulatori.-
 -Lo so, certo.-
Mithor scrutò l’elfo con attenzione. Era senza dubbio il suo assassino più valente, ma temeva che fosse troppo indipendente. Beindagir conosceva il suo talento e lo sfruttava quanto più poteva per ottenere potere, ma non conosceva ancora la reale forza del signore cui sottostava...
 -Aspettami un attimo qui. Torno subito - disse Mithor all’elfo. Lo avrebbe messo alla prova.
Si allontanò dalla stanza, fece qualche passo, attese pochi minuti e tornò indietro, lentamente, i sensi tesi.
 Entrando di nuovo nell'ambiente, Mithor non riuscì a trattenere un sorriso. La stanza era vuota.
Si voltò di scatto e con una mano bloccò il coltello che l’elfo grigio gli puntava alla gola. Storse il polso del Sinda e lo disarmò. Il terrore si disegnò negli occhi scuri dell’elfo.
 -Beindagir... -sussurrò Mithor -credevo che fossi più sveglio. Che ingenuo sei stato... -
Il Sinda, terrorizzato, cadde per terra, tremante. Era stato colto sul fatto.
 -Mio signore, perdonatemi... -
 -Dovresti sapere che non amo gli adulatori. Te l’ho detto moltissime volte, Beindagir. E non tollero che si ripetano gli stessi errori, qui dentro- il sussurro si andò trasformando in un ringhio -Hai provato a sfidarmi, ma non ti permetterò di vivere abbastanza perché qualcuno lo sappia.-
 -Mio signore... -
 -Taci!- esclamò Mithor, ergendosi sopra di lui, alto e terribile: il suo volto finalmente si svelò e Beindagir si coprì gli occhi per il terrore e la vergogna.
 -Pensavi di sfidare un semplice figlio di Ilúvatar... invece hai osato metterti contro Sauron, signore delle illusioni... adesso pagherai.-
Con lo stesso coltello con cui poco prima l’elfo si pavoneggiava, Sauron avrebbe potuto tagliargli la gola. Un movimento fulmineo, ed egli sarebbe morto.
 -No... non ti ucciderò- disse invece Sauron, rigirandosi tra le mani la lama del coltello -potresti ancora essermi utile. Dopotutto sei sempre uno dei miei assassini migliori. Se speravi in una morte breve e indolore, mio caro Beindagir, rimarrai deluso- aggiunse con un ghigno.
Il Sinda spalancò gli occhi, terrorizzato, e Sauron rise, trionfante: la sua vendetta aveva inizio. 


Ordunque, prima di tutto urge un ringraziamento a Olive_Quimelle, che prima o poi mi ucciderà (???). Grazie anche a Thiliol e a Shiner Legolas Oakenshield (bentornata!!!) per seguire la serie e lasciare recensioni gentilissime... davvero, non so come ringraziarvi!
Mi dispiace di non dilungarmi molto (voi starete saltando di gioia) ma il tempo è davvero poco: spero che questa serie continui a piacervi! 

Un abbraccio,
Anairë

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Capitolo 16
*** XV ***


Non uccidetemi, prego. Tengo alla mia misera vita, anche se non sembra. 
Chiedo perdono per il ritardo, ma sono in una sorta di crisi creativa con questa fanfic. Spero abbiate pietà di me... a dopo il resto!



Aveva appena smesso di piovere. Il cielo, tinto da una sfumatura acerba di azzurro, si era appena liberato dalle nuvole, consumatesi in pioggia fino all’ultima goccia. 
Ereinion si tolse il cappuccio del mantello e si guardò intorno, spaziando con lo sguardo intorno alla zona collinosa in cui lui e Maedhros marciavano da ore.
 -Quale strada prenderemo?- domandò.
 -La strada più breve per Menegroth attraversa la pianura di Himlad- rispose Maedhros -ma la strada più sicura costeggia il Gelion e passa intorno al Nan Elmoth.-
 -Quindi quale strada prenderemo?- insisté Ereinion.
 -La più breve, ovviamente. Sta' attento, però. Non ci sono soltanto gli assassini di Mithor da cui guardarsi.-
 -Perché, cos’altro c’è?- chiese Ereinion, affiancandosi a Maedhros.
 -Tutto ciò che di più orribile si possa immaginare... orchi, draghi, Balrog... -
 -Cosa sono i Balrog?-
 -Come sarebbe a dire?- esclamò Maedhros -Non prendermi in giro!-
 -Cos’ho detto di male?- ribatté Ereinion -Ignoro soltanto cosa siano i Balrog.-
 -Demoni- rispose laconicamente Maedhros -alquanto pericolosi, direi. Dubito che ne incontreremo qui... sono tra i più fedeli servitori di Morgoth. Sai chi è Morgoth, vero?-
 -Certo che lo so!- ribatté Ereinion, offeso nell’orgoglio.
Continuarono a camminare a passo spedito per tutto il giorno. Ereinion fu presto esausto: non era abituato a tali marce su e giù per le colline e le sue gambe erano doloranti.
 -Sarà tutto così fino al Doriath?- sbuffò dopo il primo giorno di cammino.
 -Per niente: presto rimpiangerai le colline- ribatté Maedhros -ci avviciniamo alla pianura di Himlad.-
Il sole stava quasi per tramontare, quando Maedhros si arrestò improvvisamente.
 -Fermo... - bisbigliò a Ereinion. Questi stette in silenzio, perplesso, ad attendere.
Poi il suo cuore mancò un battito. Sentiva dei passi leggeri dall’altro versante della collina, venire verso di loro.
 -Sta’ giù- gli ordinò Maedhros. Ereinion si acquattò dietro un arbusto, immobile. I passi che si udivano erano lenti, guardinghi, delicati, con un rumore di ferraglia in sottofondo. A Menegroth lui aveva imparato anche a distinguere le persone dall’andatura, ma come in ogni altra disciplina non era molto bravo.
Riuscì a dedurre solo che si trattasse di un elfo, armato pesantemente, che faceva un giro di ronda.
Un elfo che sapeva quello che stava cercando.  
Con immenso terrore di Ereinion, Maedhros si mosse verso l’altro lato della collina, lentamente. Si voltò verso di lui e gli fece segno di raggiungerlo. Capì infine la manovra. Le loro ombre erano pericolosamente lunghe, a causa del sole che accarezzava appena la cima delle colline, e se si fossero spostati verso ovest, queste sarebbero state invisibili agli occhi dei nemici.
Ereinion scivolò dunque dietro una roccia, accanto a Maedhros. Vide sulla sommità dell’altura un Sinda che si aggirava guardingo, con un arco carico e una spada appesa al fianco.
 -Colpiscilo con la lancia- gli sussurrò Maedhros.
 -Cosa?- esclamò Ereinion, a voce un po’ troppo alta.
 -Silenzio!- lo rimproverò Maedhros.
L’elfo grigio si voltò verso di loro, attratto dal rumore. Ereinion si appiattì dietro la roccia, trattenendo il respiro. I passi si avvicinarono, sempre più svelti e decisi.
 -Colpiscilo, ora!- lo incitò Maedhros.
 -E se sbagliassi?- disse Ereinion, in preda al panico.
 -Non sbaglierai: sbrigati, prima che sia troppo tardi!-
I passi si arrestarono, a pochi metri dalla roccia dietro di cui Ereinion era nascosto.
Svelto come un lampo, il giovane strinse la presa sulla lancia e, alzatosi in piedi, la scagliò contro l’elfo, in piedi davanti a loro.
Il Sinda cadde morto, con un grido muto sulle labbra. L’arco gli scivolò di mano, rimbalzando sull’erba e la faretra si svuotò: le punte metalliche delle frecce tintinnarono sulla roccia, la spada scivolò fuori dal fodero e piombò con un tonfo sordo sul terreno.
 -Tutto bene?- disse una voce, oltre la collina.
Ereinion rimase impietrito dal terrore. L’elfo grigio non era solo.
 -Andiamo via- sussurrò Maedhros -non possiamo combattere.- Ereinion cercò di estrarre la lancia dal corpo dell’elfo, ma era conficcata in profondità.
 -Chi è la?-
 -Gil-galad, presto!- bisbigliò Maedhros.
Con uno strattone, Ereinion divelse Aeglos e seguì Maedhros dietro un’altra collina.
 -C’è qualcuno!-
Ereinion sentì il cuore accelerare i battiti. I due corsero a nascondersi tra le alture, mentre numerosi altri elfi raggiungevano il luogo che loro avevano appena lasciato.
 -Oh, no!- esclamò uno di loro. Aveva sicuramente trovato il guerriero morto.
 -Chi è stato?-
 -Ispezionate questi luoghi! Trovate chi l’ha ucciso- esclamò un elfo. Il cuore di Ereinion sembrava voler sfondare il petto, tanto batteva velocemente. Il sudore iniziò a inumidirgli i palmi delle mani. Se c’era una delle numerosissime virtù che Ereinion non aveva e che avrebbe desiderato acquisire, quella era il sangue freddo: la capacità di controllare la paura, di non farsi prendere dal panico.
Maedhros lo afferrò per un braccio, riscuotendolo, e lo condusse lungo un percorso tortuoso tra le colline.
 -Facciamogli perdere il senso dell’orientamento- sussurrò al suo orecchio.
I due iniziarono a seguire un sentiero sconnesso, cambiando strada all’improvviso, girando in tondo alle alture e cercando di allontanarsi dagli inseguitori. Ereinion intanto tentò di mantenere un passo silenzioso quanto più possibile. Teneva la lancia stretta al corpo, temendo che un’arma tanto ingombrante potesse essere vista facilmente in lontananza.
All’inizio la strategia di Maedhros parve funzionare: gli elfi grigi, disorientati, si aggiravano con scarsa convinzione tra le alture.
 -Non riusciamo a trovarlo, Daedolen!-
 -è impossibile, deve essere qui, da qualche parte! Dividiamoci- insistette il Sinda.
Ereinion continuò a seguire Maedhros, con le membra doloranti nello sforzo di non fare alcun rumore. Stavano attenti, misurando i movimenti e rendendo svelta la loro andatura, ma sempre più spesso erano costretti a cambiare strada, udendo voci, passi o rumori che si incrociavano in quel labirinto di arbusti e roccia.
 -Ho sentito qualcosa!- esclamò un elfo.
 -Dietro l’altura, presto!- lo incitò un altro.
Proprio allora Ereinion vide Maedhros bloccarsi e sguainare la spada.
 -è un vicolo cieco, Gil-galad- gli disse -se salissimo sulla collina ci vedrebbero da tre miglia. Dobbiamo combattere.-
 -è qui!- gridò un Sinda, scorgendoli -sono in due!-
Ereinion impugnò la lancia. Si voltò verso colui che li aveva trovati, pronto a battersi, ma lo stupore gli fece mancare il respiro.
Conosceva quell’elfo. Si era addestrato centinaia di volte insieme a lui, presso Mithor. Lo chiamavano Faroth. Erano stati persino amici, quando Ereinion era molto piccolo, ma da molti anni ormai le loro strade si erano divise. 
Faroth lo fissò per qualche secondo. Era evidente che non avrebbe esitato neanche un istante nel consegnarlo a Mithor. Ereinion era stato riconosciuto e se non avesse agito in fretta, tutti avrebbero saputo della sua presenza.
Così scagliò rapidamente la lancia, mirando alla gola. Colse il bersaglio e il Sinda stramazzò a terra, ma adesso lui si trovava disarmato. Attratti dal rumore, apparvero altri quattro guerrieri armati di arco e frecce.
 -Svelto, prendi la lancia!- esclamò Maedhros, lanciandosi verso i nemici con la spada. Questi furono costretti a riporre gli archi e a sguainare i pugnali.
Ereinion divelse Aeglos dalla gola dell’elfo e si affiancò a Maedhros. Era chiaro che gli avversari si trovavano in un netto svantaggio, muniti di sottili pugnali contro una lancia e una spada dei Noldor.
Maedhros inoltre maneggiava l’arma con un’abilità che Ereinion in seguito avrebbe faticato a riconoscere in altri. Nonostante fosse privato dell’uso della mano destra, la sua abilità in battaglia ne risentiva poco: nell’opinione di Ereinion lui era un’autentica macchina di morte.
In breve i due si liberarono la strada per fuggire attraverso la pianura, dopo aver eliminato tutti coloro che li avevano visti.
 -Dov’è?- esclamò un altro elfo.
 -è passato di qui, Daedolen!-
 -Faroth ha detto che sono in due! Inseguiamoli!-
 -Sei impazzito? Hanno ucciso i nostri guerrieri più valenti. Non vale la pena mettersi contro di loro. Abbiamo una missione importante, ricordi?-
 -Ma Mithor ha ordinato che... -
 -Andiamo, chi credi che sia, Ereinion, forse? In giro per le colline? Mi hanno detto che era sciocco, ma non certo tanto da consegnarsi a noi!-
 -Forse hai ragione... è meglio andare.-
Ereinion non poté trattenere un sorriso, nonostante la gravità della situazione.
Lui e Maedhros si bloccarono, ai piedi di un’altura, in silenzio. I Sindar sopravvissuti si allontanarono velocemente, impauriti. Solo dopo che le loro voci e il rumore dei loro passi furono scomparsi all’orizzonte, Ereinion tirò un sospiro, sollevato.
 -Ce la siamo cavata- disse.
 -Per poco, direi- aggiunse Maedhros.
 -Conoscevo quell’elfo- disse allora Ereinion -quello che ci ha visti. Si chiamava Faroth.-
 -Davvero?- commentò Maedhros, con scarso interesse.
 -In realtà conoscevo molti di loro- precisò Ereinion -ma con Faroth era diverso. All’inizio eravamo amici... ma adesso non più- si affrettò ad aggiungere.
 -Capisco... -rispose Maedhros -beh, mi dispiace.-
 -Dispiace anche a me- sospirò Ereinion -allora, quale strada prenderemo?-
Maedhros lo osservò, interrogativo. Ereinion abbassò lo sguardo, distrattamente. Era sicuro che cambiare discorso non avrebbe funzionato. Dopotutto lui desiderava solo distrarsi, per non pensare più di avere appena ucciso il suo migliore amico.
 -La più breve, ovviamente- rispose Maedhros, stando al suo gioco.
 -Ancora?-
 -Certo- disse Maedhros -abbiamo fretta, se non sbaglio.-
 -Non ti spaventa proprio niente- commentò Ereinion, divertito.
 -Non ne sarei così sicuro se fossi in te, Gil-galad.- ribatté Maedhros, rabbuiandosi. 


Ringraziasi come sempre Thiliol, Shiner LegolasOakenshield e la cara Olive_Quimelle, insieme a Rue_Prim_2000 quando leggerà. 
Grazie, siete davvero gentilissime! Spero che questa serie continui a piacervi, anche se la sottoscritta si comporta male, pubblicando dopo due secoli e infangando il superbo lavoro del Professore.
Recensite, per favore, ho bisogno di commenti sulla mia sanità mentale sapere se il capitolo vi è piaciuto!
Detto con sincerità, è sostanzialmente inutile ai fini della trama, è più un intermezzo narrativo per raccontare le vicissitudini di Ereinion e Maedhros nel cammino verso il Doriath. Preparatevi a molti colpi di scena nei prossimi capitoli!
Che dire, ringrazio un'altra volta coloro che seguono & recensiscono nonostante tutto, mantenendo l'autostima dell'autrice sopra lo zero. 
Alla prossima! Aggiornerò presto, non preoccupatevi non è vero, non fidatevi, sono un'irresponsabile!!!

Un abbraccio, 
Anairë_ Piè d'Argento

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Capitolo 17
*** XVI ***


Buonasera!
Odiatemi pure perché non ho aggiornato: ho avuto un lungo e travagliato blocco creativo, ma spero di avere finito con i problemi per questa storia. A dopo il resto; preparatevi a dei bei colpi di scena. Buona lettura!



Quei giorni furono carichi di paura e impazienza, a Gondolin. Poche e frammentarie notizie erano state divulgate nella città: si diceva che Turgon fosse gravemente ferito, le sentinelle mormoravano che il Re Supremo dei Noldor fosse venuto in visita, altri credevano Turgon in punto di morte.
Altri ancora sostenevano che il re fosse morto durante la notte, smentiti dai pochi fiduciosi che ancora ritenevano false le notizie rese pubbliche e dubitavano persino della malattia del sovrano.
La rocca era in subbuglio: degli assassini erano penetrati nelle mura e avevano attentato alla vita del re. Il terrore serpeggiava, diffondendosi insieme alle informazioni, ingigantite e distorte dalle parole bisbigliate a mezza voce.
Finalmente dopo dieci lunghi giorni di agonia, Turgon guarì.
A Gondolin ci fu grande gioia, ma finiti i festeggiamenti, durati poco, in realtà, Fingolfin decise di ritornare nello Hithlum.
 -Sono lieto che tu stia bene- disse infatti a Turgon -ma intendo tornare nel mio regno. Temo per la sua salvezza, nonostante abbia piena fiducia nelle doti di Fingon.-
 -Te ne vai, dunque?- rispose Turgon, addolorato -Ebbene, non voglio trattenerti: manda i miei più calorosi saluti a Fingon, mio fratello, e a Felagund del Nargothrond, se avrai modo di parlargli.-
 -Da anni ormai non ho notizie di Finrod- rispose Fingolfin -da quando Angrod e Aegnor perirono nella Dagor Bragollach. Eppure spero di parlargli presto: non so come lui sia coinvolto negli intrighi del Doriath.-
 -Addio, allora, padre!- esclamò Turgon -Spero che ci rivedremo presto!-
Padre e figlio si congedarono, con rammarico. Fingolfin stava dunque per varcare la porta della città.
Proprio in quel momento, Maeglin gli corse incontro frettolosamente. 
 -Mio signore!- esclamò, raggiungendolo -Permettetemi di parlarvi, prima che ve ne andiate.-
 -Con piacere- rispose Fingolfin -cosa ti turba?-
 -Nulla d’importante- disse Maeglin -desideravo soltanto ringraziarvi.-
 -Accetto il tuo ringraziamento- Fingolfin sorrise -sono lieto di poterti essere utile.-
 -Non affrettatevi, sulla strada- aggiunse Maeglin, apparentemente nervoso -e fate attenzione.-
 -Accetterò il tuo consiglio- disse Fingolfin con un sorriso -ma adesso è tardi e la strada è lunga!-
 -Non potreste attendere oltre?- lo incalzò Maeglin.
Fingolfin esitò, perplesso.
 -Perché mi dici questo? Non ne vedo il motivo- aggiunse.
Maeglin parve pentirsi di ciò che aveva detto.
 -Scusatemi. Pensavo non fosse prudente viaggiare durante la notte- disse, a sua discolpa. Sostenne lo sguardo del re, e gli lanciò occhiate cariche di significato, ma Fingolfin parve esserne solo irritato.
 -Non so dove tu voglia arrivare- replicò -ma posso assicurarti che se il tuo scopo è ritardare la mia partenza, nulla potrà dissuadermene- aggiunse, con tono addolcito -sento di dover tornare nell’Hithlum. Mi ha fatto molto piacere conoscerti, figlio di Aredhel. Sarei tentato di sperare che ci incontrassimo ancora, in futuro, ma il cuore mi dice che non sarà così. Addio!-
Maeglin chinò la testa, obbediente, ma strinse le labbra, soffocando una replica.
 -Fate buon viaggio, mio signore- disse in un mormorio appena udibile.
Osservò Fingolfin, in sella al suo cavallo, attraversare il cancello e allontanarsi sulla piana di Tumladen verso gli Echoriath.
Pochi minuti dopo, nella città si udì un boato. Tutti si voltarono in direzione del versante occidentale delle montagne: fumo e fiamme coprivano la visuale, ma quando cenere e nubi si furono diradate, Maeglin vide che una grossa porzione di roccia era crollata.
 
 -Da dove è partita la frana, Maeglin? Tu vi hai assistito, non è così?- gli domandò Turgon, dopo averlo mandato a chiamare, provato e pallido in viso.
 -è così, mio signore. Ha avuto inizio presso il cancello di ferro- rispose Maeglin.
 -E... dov’era Fingolfin, al momento del crollo?- aggiunse il re, la voce rotta.
Maeglin deglutì e guardò Turgon negli occhi. Uno sguardo bastò per rispondere.
 -Mi dispiace- disse, chinando la testa.
 
Maeglin tirò un profondo sospiro di sollievo. Era riuscito a guadagnare tempo. Intrattenendo Fingolfin aveva evitato che il disastro avvenisse. Il suo signore sarebbe stato orgoglioso di lui... se lo avesse saputo. Il rischio che la notizia trapelasse era troppo grande.
Maeglin rifletté nervosamente. Se fosse stato incolpato dell’accaduto, sarebbe stata una totale catastrofe. Sarebbe stato meglio allontanarsi, finché era possibile farlo. Sparire senza lasciare traccia.
Certo, a questo punto sarebbe stato meglio confessare, piuttosto che fuggire, voltando le spalle alla propria casa, al proprio regno, alla propria famiglia.
Eppure andarsene, era la cosa giusta da fare: se qualcuno avesse saputo di come in realtà si erano svolti gli eventi, lui sarebbe stato sicuramente ucciso. E anche la città sarebbe stata in pericolo.
Maeglin sperava solo che ciò che era realmente accaduto a Fingolfin fosse scoperto solo dopo la sua fuga: il braccio di Morgoth non poteva raggiungerlo dove aveva intenzione di andare. Altrimenti non avrebbe nemmeno avuto il tempo di pregare i Valar.
L’elfo iniziò a camminare nervosamente su e giù per il corridoio. Non sarebbe stato difficile eludere la sorveglianza delle guardie: erano abituate a vederlo entrare e uscire dalla città. Il problema era Turgon: Maeglin temeva che il re potesse sospettare di lui, perché era l’unico ad aver parlato con Fingolfin prima dell’accaduto, e sicuramente desiderava averlo vicino in quel momento delicato.
Come da lui immaginato, un servitore lo raggiunse.
 -Mio signore... Turgon vuole parlarvi- disse.
 -Ditegli che lo raggiungerò tra poco- rispose Maeglin. Entrò nella sua stanza. Attese che il servitore si fosse allontanato e aprì silenziosamente un cassetto. Prese una scatoletta di ridotte dimensioni e la mise in tasca. La scatola conteneva una piccola quantità dell’estratto ottenuto dalle radici che aveva raccolto pochi giorni prima nella piana di Tumladen. Due dosi sarebbero dovute bastare per dieci giorni di coma, il tempo che gli sarebbe occorso per allontanarsi da Gondolin.
Fece infine per raggiungere Turgon, nella sala del trono, quando vide un servitore. Lo bloccò con un gesto secco del braccio e gli si parò davanti, domandandogli:
 -Cosa portate?-
 -Del vino per il re e per sua figlia- rispose l’elfo, intimidito, ma con tono di voce sostenuto.
 -Posso consegnarlo io, se volete- si offrì Maeglin. Il servitore sembrava perplesso.
 -Dite sul serio?-
 -Certo- rispose Maeglin, senza pensarci due volte. Forse era stato troppo precipitoso, preso dalla gioia di una tale fortuna. Il servitore lo squadrò attentamente. Era raro che il nipote di Turgon si offrisse spontaneamente per aiutare uno di loro.
 -Non preoccupatevi- disse Maeglin all’elfo -ci penserò io-.
 Sospettoso, il servitore si allontanò. Rapidamente, Maeglin fece sciogliere l’estratto nel vino contenuto nel calice del re.
Un tremendo dubbio si fece strada nella sua mente: e se Idril avesse visto il re perdere i sensi? E se lei stessa avesse bevuto il calice avvelenato, mentre il re fosse rimasto illeso?
Per precauzione, Maeglin decise di versare una dose di estratto in ciascuno dei due calici. Sarebbe bastato a stento per cinque o sei giorni di incoscienza, ma ci sarebbero voluti almeno altri tre giorni per ottenerne dell’altro, per non parlare di un’occasione simile.
Impassibile, si presentò dal re.
 -Maeglin, di solito non servi al mio cospetto- gli disse Turgon, prendendo il calice che il nipote gli porgeva.
 -Uno dei servitori era stanco, mio signore- rispose -ho pensato che non avreste voluto attendere.-
Idril prese il calice dal vassoio d’argento, sospettosa. Squadrò il vino per lunghi istanti, prima di prenderne un piccolo sorso.
 -Mi dispiace per ciò che è accaduto, mio signore- disse Maeglin, spiando i movimenti del re.
 -Non fa nulla: ti ringrazio per la tua solidarietà- rispose Turgon -anche se dubito che si sia trattato di un incidente. Ci sono troppe coincidenze perché la morte di Fingolfin sia stata puramente casuale.-
 -Ne sono convinto anch’io, mio signore- ribatté Maeglin, fuggendo lo sguardo di Idril. Sentiva gli occhi della fanciulla puntati su di sé e sperava che il veleno facesse presto effetto.
Turgon vuotò il calice, mentre Idril ancora doveva bere metà del suo contenuto.
“Forza, ancora qualche goccia... ”
Un ultimo sorso.
Turgon non ebbe neanche il tempo di dire “Elbereth”: crollò immediatamente al suolo, svenuto. L’agonia di Idril fu più lenta.
La fanciulla lasciò cadere il calice, ancora semivuoto. Il suo contenuto si versò sul pavimento di marmo. 
 -Idril, ti prego, perdonami... - sussurrò Maeglin, fissandola negli occhi.
 -Assassino- gemette Idril, prima di perdere i sensi, riversa sul pavimento.
 

Maeglin non perse tempo: sellò il suo cavallo e si dileguò attraverso la pianura. A metà strada si bloccò, voltando il destriero. La bestia protestò con un nitrito contro questa manovra improvvisa, ma l'elfo non vi badò. Aveva dimenticato una cosa molto importante.

 -Ecthelion! Ecthelion!-
 -Mio signore!-
Il guardiano si voltò verso di lui -vi manda Turgon?-
 -Ho fretta, Ecthelion- replicò Maeglin -non porto notizie dal re. Devo partire per un lungo viaggio.-
 -Il re lo sa?-
Maeglin non rispose.
 -Ecthelion, prendi questa lettera- insisté, sbrigativo.
 -Mio signore, ma Turgon... -
 -Non interrompermi, l’ora è già tarda. Prendi questa lettera, ti ripeto, e leggila solo quando sarò lontano. È un ordine, Echtelion- aggiunse, davanti allo sguardo perplesso della guardia -non discutere. Sarò di ritorno quando i tempi me lo consentiranno. Addio!-
 -Aspettate!-
Ma Maeglin si era dileguato, in sella al suo cavallo nero, lontano da ciò che rimaneva del cancello d’oro.

Poco dopo l’elfo attraversava la pianura, dirigendosi verso il passaggio sotto le montagne che solo lui conosceva. Spronò il destriero al galoppo, non per distanziare eventuali inseguitori, ma per poter sentire la violenza del vento che avrebbe lavato via i suoi sensi di colpa.
Maeglin era ancora convinto di aver fatto la cosa giusta: non tutto sarebbe stato perduto, se tutto fosse andato secondo i suoi piani.
Era stato scaltro a fingere di fidarsi dei servitori di Mithor, in un primo momento. Grazie a questa manovra era riuscito a scoprire cose che molti dei Noldor ignoravano.
Conosceva i piani di Mithor e doveva fare presto se voleva riuscire a sventarli...
Prima di tutto aveva bisogno di trovare quel giovane, Ereinion. Maeglin sapeva che lui era vivo e doveva assolutamente parlargli.
Quello che Maeglin non sapeva, era che Ereinion in quel momento stava marciando verso il Doriath. E che l’elfo di nome Beleg che era stato dato per morto, era vivo e vegeto nel Nargothrond, insieme alla figlia di Thingol e Melian.
Non sapeva neanche quale ruolo egli avrebbe ricoperto negli avvenimenti successivi, né che la salvezza dei Noldor del Beleriand era nelle sue mani. 



Ecco, non uccidetemi, vi prego.
In risposta alle vostre perplessità, non posso dire nulla. Vi garantisco che le risposte arriveranno il prima possibile. 
A proposito delle fantomatiche radici con cui Maeglin narcotizza Turgon e Idril, posso garantirvi che sono realmente esistenti nella Terra di Mezzo: le ho "prese in prestito" dal manuale del GirSA, un gioco che consiglio vivamente a tutti voi. 
Comunque, i miei più sentiti ringraziamenti (come sono solenne, oggi!) a tutti i magnanimi lettori: Thiliol, Shiner LegolasOaekenshield, _Quimelle_ e Haldiriel!
Vi ringrazio per la vostra costanza e spero proprio che continuerete a seguire questa serie! 
Sarei grata a tutti coloro che lasciassero una recensione, per avere un parere e dei consigli, oltre a segnalazioni su eventuali errori.
Ancora grazie a tutti, vi prometto che aggiornerò presto!
Un abbraccio, 

Anaire

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Capitolo 18
*** XVII ***




 -Varda Elentári e Manwë Súlimo, aiutatemi, se esistete!- esclamò Maeglin, furente.
Non accadde nulla. Non che lui credesse il contrario, anzi.
Erano passate svariate settimane dalla sua fuga da Gondolin: aveva viaggiato giorno e notte, senza fermarsi, fino allo Hithlum, per poi scoprire che Fingon era stato rapito da Mithor e che di Ereinion non c’era traccia.
Si era spinto fino alla Marca di Maedhros, e l’aveva trovata assediata da orchi e Balrog che marciavano da Angband.
Avrebbe avuto bisogno di altre due settimane per raggiungere il Nargothrond, un ulteriore luogo dove Ereinion avrebbe potuto rifugiarsi, ma era sicuro di non disporre di tanto tempo.
 -Oh, Varda Elentári... -invocò nuovamente, voltando il cavallo lontano dal colle di Himring, al galoppo verso la pianura -se esisti, indicami la direzione giusta! Dimmi dove si trova Ereinion! Manwë Súlimo, mostrami la strada che devo intraprendere!-
Maeglin tacque, sospirando. Solo due settimane prima, una violenta tempesta aveva battuto le regioni settentrionali del Beleriand, rallentando il suo viaggio attraverso lo Hithlum.
Il sole splendeva ormai da giorni con poche interruzioni dovute a piogge sottili: sulla testa di Maeglin fitte nubi si addensavano e si arricciavano in cumuli candidi, ingombrando il cielo, che poco prima era appena velato.
Un tuono sorprese profondamente Maeglin. L’elfo scrutò il cielo. Le nubi erano parecchio fitte, ma il tempo non era tanto scuro da minacciare pioggia. Un secondo tuono fece tremare la terra. A questo se ne aggiunse un terzo, a pochi secondi di distanza.
Incuriosito, Maeglin fece rallentare il cavallo, conducendolo al passo. Si alzò un vento violentissimo, che spazzò il cielo, facendo turbinare le nuvole.
L’elfo dovette trattenere un’esclamazione di gioia e sorpresa: nel cielo era apparsa la sagoma di un’aquila, disegnata dal contorno delle nubi temporalesche. Le sue ali erano spalancate nel volo e la sua testa volgeva verso sud.
 -Il Doriath... -mormorò Maeglin, spronando il cavallo -... grazie, oh Manwë Súlimo.-
La strada gli era stata indicata.
 
***
 
 -Non sai, dunque, come potremo raggiungerlo?-
 -No, mio signore, e assai me ne duole.-
 -Sono del parere che cercarlo non sia una mossa saggia. Sono convinta che presto lo incontreremo.-
 -Non so se sperarlo, mia signora... -disse uno degli elfi, con un sospiro -dubito persino che venire qui senza alcun aiuto sia stata una mossa saggia-.
 -Io sono convinto di sì, invece. Nella mia opinione la segretezza è fondamentale per la riuscita della nostra missione.-
 -Non ne dubito, ma penso che la prudenza non sia mai troppa... -
I tre continuarono a camminare, attraverso la foresta.
 -Non ho più memoria della strada- commentò l’elfo alto con i capelli chiari -non riconosco più queste contrade. Beleg, ricordi la direzione che hai intrapreso, una volta lontano da Menegroth?-
 -No, Felagund- rispose Beleg -Sono giunto nel Nargothrond per un puro caso e sono convinto che se avessi conosciuto la strada non sarei stato altrettanto fortunato. Tuttavia, secondo i miei calcoli, Menegroth è vicino. Sento che Elbereth mi sta indicando la strada.-
 -Stiamo giungendo da nord- commentò l’elfa avvolta in un mantello blu scuro -questo è un bene: il vento spira da est e Sauron sentirà troppo tardi la nostra presenza. Soltanto se giungiamo celati ai suoi occhi, possiamo sperare di liberare il Doriath dalle tenebre-.
 -Fermatevi- esclamò Beleg, improvvisamente -sento qualcosa-.
Finrod si arrestò, sguainando silenziosamente la spada. Beleg mosse qualche passo, lentamente, verso il folto del bosco. La fanciulla fece per seguirlo, ma Finrod la bloccò.
 -No, Lúthien. Rimanete qui- sussurrò. Contrariata, Lúthien si accostò a Felagund.
Si sentì un rumore metallico, tra le fronde della foresta. Beleg estrasse l’arco e incoccò una freccia.
 -Chi è la?-
Non ci fu nessuna risposta. Ci fu un rumore, come un respiro sommesso. Era un essere umano.
 -Fatevi vedere!- insisté Beleg, tendendo di più la corda di Belthronding, il suo fedele arco.
Il trambusto aumentò. Si udì distintamente il rumore di passi lievemente attutiti dal sottobosco. Finrod strinse la presa sulla spada.
 -Pronti all’attacco... - bisbigliò Beleg, con un ringhio.
Improvvisamente, scoppiò una risata. La risata di un elfo. Una sagoma si delineò tra l’ombra scura degli alberi.
 -Quinta-polda, málo inya! Non mi riconosci?- osservò una voce, divertita.
 -Gil-galad!- esclamò Beleg, raggiante, riponendo l’arco e correndo ad abbracciare il giovane -Sei vivo!-
 -Chi è costui?- domandò Finrod, riponendo la spada nel fodero.
 -Lúthien?- disse allora Ereinion, attonito, riconoscendo la figlia di Melian.
 -Sei... sei tu?- chiese Lúthien, arretrando lentamente.
Poi una seconda figura emerse dal folto del bosco, e allora fu il caos più completo.
 -Nelyafinwë! Cosa ci fate qui?-
 -Felagund!-
 -Gil-galad?-
 -Cúthalion, sei tu?-
 -Voi siete Finrod!-
 -Maedhros?-
 -Ereinion!-
 -Chi è Ereinion?-
 -Nessuno, stavo scherzando.-
 -Sei tu Ereinion?-
 -Io sono Gil-galad.-
 -Certo che è lui Ereinion!-
 -Oh, no, Maedhros! Lui si chiama Gil-galad.-
 -Ma... - l’elfo, perplesso, fu zittito da una gomitata di Ereinion e da un’occhiata eloquente di Beleg.
 -D’accordo, scusami, Stella di Radianza.-
 -Allora piacere di conoscerti, Ereinion-.
 -Finrod, lui si chiama Gil-galad, non avete sentito?- disse Lúthien con un sorriso, ponendo particolare enfasi sul nome del giovane.
 -Oh, tanto è tutto inutile - disse Beleg, esasperato -vi presento Ereinion, l’elfo di cui vi parlavo... -
 -Molto piacere- disse Lúthien, con un sorriso -anche se io ti conosco già.-
 -Oh, beh, lo immaginavo. Parlavo con sire Felagund, infatti... - Beleg si bloccò, con lo sguardo fisso oltre gli alberi -... per Elbereth, lui chi è?-
 -Beleg, tutti sappiamo chi è Maedhros- ribatté Finrod, divertito.
 -Non parlavo di Maedhros, mio signore- rispose Beleg -parlavo di lui- aggiunse, prendendo nuovamente l’arco.
 
***
 
Tutti si voltarono verso la foresta. Poco lontano dagli alberi, Ereinion distinse una figura sottile e una chioma corvina. Era un elfo Noldor.
 -Chi siete, che errate in questa foresta oscura?- domandò Finrod ad alta voce.
 -Altrettanto potrei domandare a voi, che sostenete di agire nella segretezza ma producete tanto rumore da raggiungere i Valar oltre il mare- ribatté l’elfo, divertito.
 -Ci hai spiato, non è così?- disse Beleg, incoccando una freccia -Da quanto tempo ci segui?-
 -Da non molto, Cúthalion- rispose l’altro, avvicinandosi, disarmato, -vorrei solo scambiare qualche parola con Ereinion.-
Subito Beleg, Maedhros e Finrod si posero davanti a Gil-galad, come per difenderlo.
 -Cosa vuoi da lui?- domandò Maedhros, ostile, appoggiando la mano sull’elsa della spada.
 -Niente di pericoloso- disse l’elfo -cosa c’è, temete che io sia un alleato del nemico? Se questo contribuirà a rendervi più tranquilli vi dirò qual è il mio nome e da dove vengo- aggiunse, avvicinandosi ancora e giungendo al centro della radura dove Beleg, Finrod e Lúthien avevano incontrato Ereinion e Maedhros.
 -Il mio nome è Maeglin- disse allora l’elfo, lanciando a tutti loro uno sguardo penetrante -provengo da Ondolindë: mio padre era Eöl del Nan Elmoth e mia madre era Aredhel Ar-Feiniel dei Noldor. Siete soddisfatti, adesso?- aggiunse, con tono di sfida.
 -Non sapevo che Turgon avesse un nipote- disse Maedhros, allentando la presa sull’elsa della spada.
 -Perdonaci per l’atteggiamento ostile- continuò Felagund -non si è mai prudenti abbastanza, di questi tempi.-
 -Sii il benvenuto- disse Lúthien, alquanto sospettosa. Ereinion sorrise, incoraggiante, pur senza proferire parola. Beleg indugiò, abbassando leggermente l’arco e squadrando il Noldo con aria indagatoria.
 -Mae govannen, Maeglin- concesse infine.
 -Mae govannen, Cúthalion- rispose l’altro, con un leggero sorriso -porto notizie che vi recheranno un dolore assai grande.-
 -Che genere di notizie?- domandò Ereinion, parlando per la prima volta.
 -Riguardano Mithor. Egli altri non è che... -
 -... Sauron- lo interruppe Lúthien -lo sapevamo.-
 -Io lo sospettavo- commentò Maedhros, cupo. Ereinion rimase interdetto. Era l’unico a essere rimasto sorpreso da quella notizia.
 -Mithor... un servitore del nemico?- domandò. Maeglin annuì.
 -Sta cercando te, Ereinion- continuò l’elfo, imperterrito -vuole eliminarti. Inoltre ha mandato un esercito da Angband verso lo Himring e cinque giorni or sono l’ha preso d’assedio.-
 -Maglor... -mormorò Maedhros.
 -Ha rapito Fingon con il solo scopo di attirare voi, mio signore, a Menegroth- aggiunse, rivolto a Maedhros -e ha preparato una trappola oltre gli Echoriath per Fingolfin: da settimane attendeva che lui uscisse da Gondolin per eliminarlo.-
 -Il Re supremo dei Noldor è dunque morto?- chiese Finrod, angosciato.
 -Con ogni probabilità- rispose Maeglin, cupo -ho cercato di rallentare la sua partenza con ogni mezzo, finanche i più inutili, ma è servito a poco. Sono riuscito a ottenere quel minimo di ritardo sui piani del nemico che spero gli abbia salvato la vita.-
 -Come hai fatto a ottenere tante informazioni?- domandò Beleg.
 -Quando delle spie di Sauron sono penetrate nella città, hanno subito cercato di corrompermi- rispose Maeglin -sulle prime ne ho uccisi molti, poi ho capito che potevano essermi utili e mi sono finto loro alleato. In seguito, quando mi è stato proposto di collaborare per un attentato alla vita del re e quando pensavo di avere raccolto una quantità sufficiente d’informazioni, li ho eliminati, ma era troppo tardi- aggiunse, chinando la testa -avevano chiamato dei rinforzi e Turgon era stato ferito con delle armi avvelenate. Con l’aiuto delle guardie della città siamo riusciti a fermare tutti gli assassini, per fortuna.-
 -Turgon?- domandò allora Finrod -è morto anche lui?-
 -No, lui è vivo- lo rassicurò Maeglin -sta bene.-
 -Oh, Varda Elentári, grazie- mormorò Felagund, felice per la sorte dell’amico.
 -Come hai fatto a giungere qui in così poco tempo?- chiese Lúthien -sarebbero stati necessari dei mesi, per l’itinerario che hai descritto.-
 -Mi sono spostato a cavallo- rispose Maeglin -il mio destriero si è rifiutato di entrare nel Doriath e ho dovuto abbandonarlo al margine della foresta-.
 -Allora qual è il tuo scopo, Maeglin?- insisté Beleg -Non puoi essere certo giunto fin qui da Gondolin soltanto per avvertire Ereinion.-
 -No, infatti. Sono venuto anch’io come tutti voi per scacciare Sauron dal Doriath.-
 -è quindi destino che noi andiamo insieme!- esclamò Finrod -I Valar ci hanno condotti a incontrarci qui, poco distanti da Menegroth. Sarei lieto di affrontare il potere oscuro che ci opprime insieme a tutti voi.-
 -Anche io sono lieto di avervi conosciuto, Felagund- disse Ereinion, allegramente.
 -Bene, direi che ci serve un piano- commentò Maedhros. I suoi occhi brillavano per l’eccitazione. Ereinion aveva imparato a conoscere l’amore di Maedhros per la guerra e la sua attitudine per la strategia.
 -Hai un piano?- gli chiese Beleg.
 -Certo che ce l’ha- replicò Finrod -lui ha sempre un piano.-
 -Allora sentiamolo- esordì Maeglin -il tempo stringe... -
“... E nessuno lo sa meglio di me”.



Ebbene,
Signore e signori, mi duole annunciare che questa è la fine [cit. Bilbo Baggins]... della prima parte di questa fanfic. 
Ho deciso di farne due storie distinte e separate, perché dai capitoli successivi in poi ci saranno molti cambiamenti nello stile e nell'ambientazione della serie.
Inoltre, la serie avrebbe contato un totale di una quarantina di capitoli, davvero troppi, a mio parere. 
Insomma, voglio ringraziare tutti coloro che hanno seguito questa storia, che è anche stata la mia prima fanfic sul sito: ovvero Thiliol, Shiner LegolasOakenshield, _Quimelle_ e Haldiriel. Vi sono grata per aver messo la serie tra le seguite o tra le preferite e per aver recensito :) spero proprio che continuiate a seguire anche la seconda parte, che ancora non so come sarà intitolata ^_^ 
Arrivederci, dunque, a presto! E grazie ancora a tutti per aver sopportato la mia follia perversa e per avere letto questa fanfiction nonostante l'autrice sia un'autentica idiota patentata. 

Un bacio, 

Anairë

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