La Terza Replica - by whitemushroom

di whitemushroom
(/viewuser.php?uid=266213)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Isa ***
Capitolo 2: *** Lea ***
Capitolo 3: *** Replica ***
Capitolo 4: *** Saïx ***
Capitolo 5: *** Axel ***



Capitolo 1
*** Isa ***



Capitolo 1: Isa

Devi occupartene tu.

Da quanto tempo il Superiore non lo mandava personalmente in missione?
Fino a qualche mese prima erano stati tredici, tredici gusci vuoti al servizio di Kingdom Hearts, spinti dall’unico desiderio che potevano permettersi il lusso di avere. Un cuore.
Adesso molti di quei gusci vuoti erano spariti, consegnati al Nulla al quale appartenevano. Di qualcuno si erano perse le tracce.
Saïx continuava a fissare quella pianura sconfinata, tinta di azzurro e viola dal bizzarro tramonto di quel mondo; pensare è una delle cose che i Nessuno facevano meglio, ed era quello che permetteva loro di occupare le ore di attesa, sostituendo quel terribile sentimento umano che era la noia.
Erano quasi cinque giorni che inseguiva la Replica. Giorni passati vagando nei mondi di mezzo, attraversando i portali d’Oscurità, ascoltando i brusii sommessi dei Nessuno di rango inferiore. Giorni di sterile attesa, di viaggio, cercando di anticipare i suoi pensieri e metterla con le spalle al muro; era stato paziente e si era trattenuto, aveva fatto accerchiare la Replica in modo che non avesse scampo.
I diari di Vexen erano stati piuttosto chiari sull'argomento:contro ogni ragionevole previsione, le Repliche potevano cedere, ribellarsi, sfuggire al controllo; prendevano decisioni autonome che potevano condurre persino al loro annientamento. Si mettevano in testa sogni di amore, amicizia, giustizia e diventavano assolutamente inutilizzabili.
Ed anche questa Replica aveva seguito lo stesso processo involutivo. Era da tempo che Saïx lo osservava, lo studiava, valutava attentamente i suoi gesti e le parole; e la sua natura di Replica si era fatta sentire, abbattendo di colpo anni di impersonale silenzio, di gesti vuoti. Le sue parole si erano riempite di idee e sogni.
Se fosse stato umano, Saïx avrebbe provato invidia per lui, per i suoi sentimenti e la gioia manifesta, che nemmeno una tunica dell’Organizzazione era servita ad annullare. Ma non lo era: e, considerata la perdita del n. XIII, iniziava a sospettare che non lo sarebbe tornato più, o almeno questa sarebbe stata la sua fine se avesse continuato a chinare la testa al Superiore.
L’averlo mandato dietro a quella Replica era stata forse l’idea più intelligente e sensata che avesse mai sentito pronunciare dalla bocca del suo capo.
L’odore della preda era nell’aria, avvolta dal gelo dei portali dell’Oscurità; spariva e riappariva, si trasportava per tutto quel mondo apparentemente a caso, perché sapeva che l’Organizzazione lo avrebbe fatto cercare e che il Superiore non accettava che qualcuno sfuggisse dalle sue grinfie. La Replica aveva paura, poteva persino immaginarsi di sentire il suo cuore pulsare nella disperata ricerca di una via di fuga; solo e senza amici, assolutamente senza più controllo, la Replica sbandava in ogni angolo di quel mondo lontano. Le Repliche potevano anche avere un cuore, ma quello giocava a loro svantaggio, nelle situazioni di pericolo come quella smettevano di agire in modo razionale e si lasciavano sopraffare dal panico. Ma nemmeno quella considerazione riusciva a levare al numero VII dell’Organizzazione la sensazione che vi fosse qualche falla nel proprio ragionamento.
La brezza si alzò, portando con sé l’odore della preda tanto attesa. Saïx abbandonò la sua postazione, scivolando verso il centro della spianata, in paziente attesa. Presto quel terreno si sarebbe coperto di sangue di esseri umani, e gli Heartless avrebbero banchettato con l’Oscurità annidata nei loro petti. E la Replica avrebbe smesso di occupare così troppo spesso i suoi pensieri.

Non era stato molto difficile aggirare il Reale Esercito di Radiant Garden, nemmeno con una persona rumorosa come Lea al seguito. Il piano era stato semplice ma efficace: il suo amico, sempre più lesto di mano che di cervello, aveva borseggiato quel ricco papero miliardario che da giorni si aggirava davanti al palazzo chiedendo un’ udienza con il re. E, cosa strana, sua maestà Ansem il Saggio non gliela aveva ancora concessa.
Quello aveva iniziato a starnazzare proprio come una papera ed il Reale Esercito ( composto da sole tre guardie con un ridicolo cuore disegnato sulla divisa ) erano accorse, lasciando loro il tempo di sbucare fuori dai cespugli, oltrepassare il portone ed entrare.
“E con questi potremmo campare di gelati per i prossimi dieci anni!” fece Lea soddisfatto, mostrando i soldi appena usciti dal cappello a cilindro come fossero un trofeo “O forse potrebbero uscirne un bel paio di skateboard. Hai visto quanto è bello il nuovo modello nel negozio del signor Highwind?”
“Lea, se non vogliamo finire scaraventati fuori dal palazzo come l’ultima volta ti conviene chiudere quella bocca a ciabatta che ti ritrovi”
“Io non ho la bocca a ciabatta! E comunque non mi hai ancora detto cosa ti ci comprerai con……”
“TACI!”
Se lo trascinò dietro una colonna, appiattendosi contro il muro al suono dei passi in arrivo; le tre guardie dovevano essersi stancate di dar retta al vecchio papero ed erano rientrate. Quello più alto passò terribilmente vicino al loro nascondiglio “Per quanto tempo potremmo andare avanti? E’ solo una settimana che è scomparso e già in giro si mormora: quanto ci metterà la gente ad accorgersi che non c’è più nessun Re Ansem nel palazzo?”
Lui e Lea si guardarono, sempre più stretti uno all’altro. Che cosa stavano insinuando quei tre?
Provò a sbirciare oltre, seguendo con lo sguardo gli uomini vestiti di viola che stavano per allontanarsi nel corridoio; quello più basso, con un occhio solo, sembrava più rilassato dei suoi compagni, li precedeva di una decina di passi ed aveva stampato sulla faccia un sorriso che poteva mettere i brividi “Ragazzi, Even e Xehanort mi hanno assicurato che entro stasera avranno ultimato tutte le correzioni: l’esperimento del secolo avrà finalmente inizio!”
Esperimento?
Ora che i tre erano più fuori campo, Lea sgusciò fuori dalla colonna, allungando bene la testa per saperne di più.
Avevano messo le mani su qualcosa di DAVVERO grosso.
“E poi?” fece il terzo soldato, che fino a quel momento era rimasto in silenzio.
“Poi cosa, Dilan?”
“Poi…… insomma, quando avremo finito…… Come spiegheremo alla gente che il Re non c’è più?”
“Ah, tu ti preoccupi troppo!” si erano fermati, e Isa dovette spingere di nuovo Lea all’indietro, o il soldato che brandiva la lancia li avrebbe notati “Xehanort ha detto che penserà a tutto lui”
“E tu ti fidi?”
“Che fai, ti stai ritirando? Perché in caso non te ne fossi accorto è un po’ tardi per ripensarci……”
Più ascoltava quel discorso e più le cose non gli quadravano, e lesse la stessa preoccupazione negli occhi verdi di Lea. Se quello che dicevano quegli uomini era tutto vero forse avrebbero dovuto fare qualcosa di più che intrufolarsi nel palazzo reale solo per mostrare a Squall e Cloud che erano molto più audaci di loro. Dovevano avvertire tutta Radiant Garden del pericolo che correva, del complotto che probabilmente era già in moto da almeno una settimana.
Il più alto delle guardie riprese a camminare per il corridoio, una presenza granitica in quei corridoi che sembravano sempre più freddi e inospitali “Lo sappiamo tutti che è tardi per ritirarsi, Braig. Ma non è tardi abbastanza per tenere sempre gli occhi aperti. Ricordati che siamo guardie, non scienziati”
“E con questa cosa vorresti dire?”
Ma i due amici non riuscirono a sentire più molto altro: i tre soldati entrarono in un ascensore, e sparirono verso i piani inferiori del palazzo lasciandoli da soli. Per qualche secondo Isa si limitò a guardare il suo amico, cercando una risposta a quello strano dialogo nei suoi occhi, senza leggervi altro che una profonda preoccupazione.
“Isa, e ora cosa facciamo?”
Già, le idee doveva farsele venire lui. Per quanto Lea fosse il suo migliore amico, la sua autonomia decisionale si avvicinava allo zero dalla parte dei numeri negativi; in momenti come quelli, quando c’era davvero un problema, la sua tracotanza ed il suo comportamento spaccone andavano in pezzi come uno specchio. Ma Isa gli voleva bene anche per quello. E sapeva bene che quello era il SUO momento, doveva fare la cosa che gli riusciva meglio, prendere una decisione immediata, ragionando.
“Non possiamo andarcene ora. Se vogliamo raccontare quello che è successo qui dobbiamo saperne di più, e non basterà dire ai quattro venti di aver origliato una discussione delle guardie di palazzo”
“Intendi…… assistere a questo esperimento?”
Il suo tono di voce era quasi irriconoscibile, un sussurro reso ancora più evanescente dalla paura. Lea era trasparente come uno specchio, i suoi sentimenti poteva leggerli chiunque; Isa invece preferiva nasconderli, lasciare che tutti vedessero solo la sua espressione imbronciata.
“Sì” si limitò a rispondere “Non abbiamo studiato il perimetro e la pianta del palazzo per niente. In questi giorni mi sono fatto un’idea di dove potrebbero essere i laboratori; se mi mettessi adesso a cercarli potrei raggiungerli in tempo per stasera e trovarmi un posto riparato da cui assistere”
“Ehi!”
Lea lo tirò con insistenza per la manica “Non stai dimenticando qualcosa?”
“Sì, la videocamera che ho lasciato a casa”
“Non intendevo quello!”
Era davvero buffo a vedersi, i capelli rossi ormai del tutto fuori posto e gli occhi sgranati, le braccia e le man che si agitavano davanti a lui per dissuaderlo da quell’impresa. Vederlo con quella faccia stupita, al limite dell’offesa, meritava tutto il loro ingresso clandestino al castello. “E se ti senti male lì sotto? Non penserai andare lì dentro da solo?”
“Lo sto appena facendo, Lea” si lasciò scappare il sorrisetto più freddo che poteva “Non è colpa mia se te la stai facendo sotto!”
“Perché tu no, sbruffone?” nel bel mezzo del palazzo reale, dove forse le guardie potevano ascoltare ogni loro parola, dove sinistri scienziati avevano appena compiuto un esperimento alle spalle del loro sovrano, Lea esplose nella sua risata migliore, quella che a Isa bastava per affrontare anche le prove più dure. Si concesse un secondo sorriso. Vero, questa volta.
“Non stavi per caso pensando di andare la solo per ottenere tutta la gloria per te, vero? Perché se è così sai cosa facciamo? Sarò io ad andare per primo, non sei bravo come me ad intrufolarti……”
“Non è una cosa di cui andarne fieri, Lea……”
Nei suoi occhi si leggeva una nuova impazienza “Allora andiamo, o quelli inizieranno l’esperimento senza di noi!”
“Lea?” l’altro si era già avvicinato all’ascensore che aveva inghiottito le guardie, studiandone i comandi con gli occhi che erano tornati a risplendere “Sei davvero sicuro di non aver paura?”
“Io?”
L’ascensore si aprì senza alcun rumore.
“Non se so che ho il mio migliore amico a coprirmi le spalle! E adesso muoviti e non fare altre domande sceme!”


Un migliore amico a coprire le spalle.
Quella Replica avrebbe fatto bene ad averne uno.

____________________________________________________________________________________________________________________________________

Su EFP troverete anche un'altra fanfiction intitolata "La Terza Replica" dell'autrice Lisaralin. Anche quell è stata scritta per il contest del nostro forum e vi congilio di leggerla perché merita attenzione!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Lea ***



Capitolo 2


“Bravissimo, Roxas. Nessun Heartless può reggere il confronto”.
Dall’alto della roccia su cui era posato, Axel contemplò lo spettacolo di devastazione che si allestiva molti metri più sotto, ai suoi piedi. In un turbine di luce quel ragazzo, Sora, si muoveva con grazia tra i suoi nemici, colpendo gli Heartless e mandando centinaia di cuori rosa nel cielo, sempre più in alto, ignaro del grande dono che offriva a Kingdom Hearts. Se il Superiore avesse avuto un cuore, ne sarebbe stato davvero felice.
Ad ogni passo seguiva un colpo, e per quante ombre potessero pararsi davanti al ragazzo Axel continuava a vederlo trionfare, scivolando leggero tra le tenebre, il suo meraviglioso cuore puro come un faro irresistibile nel tetro campo di battaglia che era la Fortezza Oscura.
Ogni tanto dei fulmini attraversavano la spianata, e dalle ondate di Heartless riemergevano il papero ed il cane, fedeli amici del ragazzo.
“Adesso ti sei trovato dei nuovi amici, eh, Roxas?”
Sora continuava la sua corsa, imperterrito, ormai unico centro di gravità verso cui si riversava l’esercito nemico. Axel lo osservava estasiato, riconoscendo nei gesti più aggraziati la determinazione del suo migliore amico, il modo con ci si fermava, guardava ed attaccava. Nelle loro numerose missioni aveva imparato a seguire il tempi del suo compagno, a sapere senza nemmeno guardare quando il Keyblade sarebbe volato per il campo, quando sarebbe tornato nelle mani del suo padrone. Il n. V aveva sempre sostenuto che dovevano essere i novizi ad adattarsi ai tempi ed ai ritmi dei loro superiori, ma con Roxas la cosa non aveva funzionato.
Non si era mai adattato a niente e a nessuno. Era stato a Axel a seguirlo in tutto e per tutto, qualche volta anche senza rendersene conto; e se era lì, alla macchia, con Xemnas intenzionato a trasformarlo in un Simile, era perché aveva creduto in Roxas ancora una volta.
La volta di troppo “E così le tue idee di amicizia mi hanno contagiato, eh? Ma sono sicuro che con un cuore le apprezzerei molto di più!”
Saïx non avrebbe mai capito una cosa simile: dal momento della loro trasformazione in Nessuno era diventato ogni giorno più lontano ed imperscrutabile, un’ombra dell’amico con cui passava le ore a gironzolare per tutta Radiant Garden. Era cambiato, era diventato assolutamente serio, interessato solo a riavere un cuore a tutti i costi, riempiendo il suo non-cuore dello stesso gelo che ammantava tutti gli altri membri dell’Organizzazione. Fino all’arrivo di Roxas, Axel si era sentito un estraneo: ricordava bene come fossero i sentimenti e le emozioni, e certe volte gli era provato di sentirle sul serio. Certo, erano solo ricordi, ma terribilmente vividi.
Era pronto a giurare di aver pianto quando Saïx aveva preso del tutto le distanze da lui.
Poi era arrivato lui, la piccola luce. Aveva dato un senso a quei ricordi troppo vivi, alle sue non-emozioni, accettandole per quello che erano davvero e dando loro un senso.
Ora di lui non restava che un altro ragazzo dallo sguardo intenso che correva verso una nuova vita; una vita fatta di sorrisi, di luce e di amici, una vita traboccante di gioia e sofferenza. Roxas ormai era entrato in Sora, e la sua strada portava ad un nuovo futuro.
“Non avrei mai voluto dirti addio”
Un futuro in cui non c’era posto per un Nessuno come lui.

“Laggiù non potrò seguirti, ma continuerò a pensare a te per il resto di questa schifosa non-vita”.

Stretti come due sardine, lui e Isa continuavano a prendersi a gomitate nel futile tentativo di assistere entrambi alla scena e di restare nascosti allo stesso tempo. La cosa non era stata semplice come avevano previsto perché uno degli scienziati, alto e con i capelli biondi, non aveva seguito i suoi compagni nella mensa comune, ma era rimasto a trafficare tra le provette ed a rivedere qualche vecchio calcolo. Lui era entrato per primo, attendendo pazientemente che lo scienziato desse loro le spalle per trafficare con la macchinetta del the, trovando un posto comodo anche per Isa. Il suo amico, che aveva sempre avuto la rigidità di una scopa, per poco non aveva fatto cadere una sedia nel nascondersi, e poco vi era mancato che l’uomo li scoprisse.
Poi si era seduto al tavolo e vi era rimasto a tarda sera “Non potrei mai fare lo scienziato! Ma non gli vengono i crampi?”
“Certo che non potresti mai farlo”sogghignò Isa “Per fare quel lavoro occorre un QI altissimo!”
“Cos’è un QI?”
“Appunto……”
Passarono due lunghissime ore, in cui si pentì amaramente di non essere andato al bagno prima di intrufolarsi in quel laboratorio. Guardandosi intorno, vide quelle che sembravano capsule di vetro agitarsi, come se all’interno vi fossero creature imprigionate in attesa di liberarsi. Lui e Isa cercarono di vederle al meglio, ma ogni capsula sembrava piena soltanto d’oscurità. Vi erano fogli ovunque, ma nessuno alla portata delle loro mani. Lo scienziato continuava ad essere immerso nei suoi calcoli, lanciando solo qualche volta delle occhiate furtive alle capsule.
Poi la porta del laboratorio si aprì, ed entrarono le tre guardie accompagnate da altri due studiosi. Uno era appena adolescente, e come prima cosa si avvicinò alle capsule, appuntando qualcosa sul suo taccuino, molto silenzioso.
Ma gli occhi del suo amico erano puntati sull’altro scienziato “…… Lea …… chi è quello?”
Come al solito, Isa aveva intuito. Quell’uomo aveva qualcosa di particolare che non riusciva a definire bene; l’aspetto in realtà era semplice, un fisico robusto ma non imponente, i capelli di un argento soffuso. Ma c’era qualcosa nei gesti e nel modo con cui le guardie si riferivano a lui che li faceva tremare. Non c’era dubbio che fosse quello Xehanort di cui avevano sentito parlare.
Poteva sentire Isa agitarsi accanto a lui, mettersi istintivamente in posizione di difesa.
L’uomo si avvicinò allo scienziato biondo, l’unico nella stanza che non si fosse voltato al suo ingresso: “Even, sono pronto a procedere”
“Allora preparati. Io devo terminare ancora la verifica sulla stabilità molecolare”
“Avevamo stabilito che l’esperimento sarebbe stato ultimato stasera”
Lea poteva percepire aria di rivalità; guardò Isa, e fremeva. Non era mai un buon segno.
“E stasera sarà. Ma tu preparati”.
Con loro timore, quello Xehanort si voltò proprio verso il loro nascondiglio, con quei suoi occhi ambra che mandavano un colore sinistro. Per la prima volta Lea si chiese se non stavano per cacciarsi seriamente nei guai.
Per fortuna lo scienziato si sedette per terra ad un metro da loro, gli occhi sempre fissi sul suo collega, ignaro della loro presenza. All’unisono le guardie si avvicinarono alle capsule, sollevandole e disponendole in un modo che nessuno di loro due riusciva a capire, ma erano entrambi troppo paralizzati dalla paura per aprire bocca, specie con quell’uomo misterioso così vicino. Lo scienziato più giovane si avvicinò con uno strano macchinario tra le mani, da cui uscirono fili ed altri strumenti che Lea non aveva mai visto ma che ricordavano gli strumenti di un dottore; il ragazzo ne posizionò alcuni sulla pelle di Xehanort, che lo corresse e lo rimproverò più di una volta.
Vedeva Isa sempre più inquieto, con gli occhi sgranati: ogni volta che il suo amico si trovava in uno stato di stress reagiva in quel modo strano, agitandosi, come se di colpo l’unica cosa che contasse per lui fossero gli istinti. Le poche volte che lo avevano trascinato dal medico aveva emesso strani paroloni come “precoce iperplasia surrenalica”, ma il punto era che non avevano pensato al problema di Isa prima di scendere lì sotto.
Gli strinse il braccio, continuando a fissare la scena, l’aria che si era riempita di un odore pungente che proveniva da quelle capsule. “Puzzano di Oscurità”, fu l’unico commento del suo amico prima di tornare con gli occhi puntati verso lo scienziato.
L’uomo di nome Even si alzò, le mani ancora piene di fogli, e tutti gli fecero ala, lasciando che si avvicinasse al suo compagno seduto “Sta per iniziare una nuova era”.
“Ansem era soltanto un cieco”.
Il ragazzo con il camice si fece da parte, tornado alle capsule e ad altri strumenti luminosi, che emettevano suoni minacciosi ogni volta che si avvicinavano ai contenitori. Ma i loro occhi erano fissi sui due scienziati poco distanti da loro, ormai quasi intrappolati dalla mole di fili che avevano disseminato lungo il corpo di Xehanort e che conducevano a decine di congegni. Le guardie erano indaffarate a seguire le loro istruzioni, e un paio di loro passarono davvero vicini al loro nascondiglio, incuranti delle masse di capelli rossi ed azzurri che spuntavano dal cumulo di casse.
Ormai, anche volendo, non potevano più uscire di nascosto da quel laboratorio, e poteva solo pregare che Isa si placasse.
Il soldato con la benda sull’occhio si avvicinò agli scienziati “Al tuo via, Xehanort”.
Aveva un sorriso inquietante.
Tutti, soldati e scienziati, fissarono l’uomo seduto.
Isa si voltò verso Lea, gli occhi dilatati.
Lea sentiva il cuore battergli nel petto come un tamburo, riusciva a stento a trattenere Isa; sentiva il bisogno di strillare ed uscire di corsa fuori di lì, rovesciare quelle casse, rompere le capsule e tornare a casa dai suoi. Perché erano scesi lì sotto? E, soprattutto, come ne sarebbero usciti?
“Spalancate le porte all’Oscurità”
I macchinari mandarono un suono di allarme, che di sicuro tutta Radiant Garden avrebbe udito. Quello Xehanort rovesciò la testa all’indietro e di colpo tutte le capsule esplosero.
Lo scienziato bambino lanciò un urlo, che coprì quello di Lea.
La stanza diventò buia di colpo, come se l’oscurità presente nelle capsule stesse prendendo sempre più forma; stretto al braccio del suo amico, vide delle …… cose …… proliferare, aumentare, i soldati che estraevano le armi, tavoli, strumenti, macchinari che venivano rovesciati.
L’unica persona immobile nel laboratorio era solo Xehanort, sollevato dal pavimento come se volasse, circondato da una luce ambra che non prometteva nulla di buono; la massa di Oscurità lo avvolgeva in delle spire, prima le gambe e poi il corpo, ma quello dipinto sulla sua faccia sembrava un sorriso estatico.
Dovevano fuggire via di lì, a qualsiasi costo.
Col cuore in gola strinse il suo amico per la felpa e corse verso le scale, spintonando il ragazzo con il camice senza troppi riguardi e guadagnando scalino dopo scalino, con l’unico obiettivo di arrivare fuori di lì tutti interi.
Poi lo strattone, ed il suo amico si liberò, rivolgendosi di nuovo verso il laboratorio. Tornò indietro, gli occhi fissi verso l’uomo che si librava nella stanza, quasi ipnotizzato, assolutamente senza controllo; ma nessuno faceva caso a lui, perché due delle guardie erano ormai sommerse da quei mostri fatti d’Oscurità, ne emergevano soltanto le armi. Degli altri scienziati nemmeno c’era più traccia.
“Isa, che fai? SCAPPA!”
Ma l’altro rimase immobile per qualche secondo, per poi correre di nuovo verso il laboratorio.
“ISA!”
Corse verso di lui, ma una massa di Oscurità si parò davanti a lui. Era come fissare il Nulla, ma aveva due punti piccoli, luminosi, che incrociarono i suoi occhi soltanto per un attimo.
“ISA!”



Continuava a ricordare quel momento, prima dell’arrivo di Roxas era stato davvero il suo ricordo più importante, quello a cui era legato. Saïx poteva benissimo negarlo, ma lui, Axel, n. VIII dell’Organizzazione, soffriva a quel pensiero. O forse ricordava di aver sofferto, ma in fin dei conti qual’era la differenza?
Ricordava quell’emozione, quella paura, il bisogno disperato di portare Isa fuori di lì. Le urla degli altri, l’Oscurità, Xehanort che si librava su quel panorama di morte e desolazione, unico vincitore di quell’esperimento che avrebbe cambiato il loro mondo.
Ne aveva parlato spesso con Saïx, sperando di convivere qualcuno di questi ……sentimenti. Ma aveva incontrato soltanto un vuoto, il suo amico era diventato, se possibile, ancora più Nessuno degli altri Nessuno. Sì, ricordava anche lui gli avvenimenti, ricordava gli scienziati e l’Oscurità, ma in maniera distaccata, quasi come se quelle vicende in fondo non lo riguardassero o fossero soltanto un quadro in cui lui, per caso, si rivedeva in uno dei protagonisti.
Lui invece continuava ad accostare le sue ansie e le sue paure a quei ricordi, e senza Roxas sarebbe davvero impazzito.
Ecco perché non poteva lasciarlo andare via. Non voleva un altro ricordo spiacevole, non quello in cui il suo migliore amico gli dava le spalle, sparendo per sempre nell’Oscurità, camminando tra i grattacieli del Mondo che Non Esiste. Voleva altri ricordi, ricordi che a modo suo, da Nessuno, avrebbe potuto definire felici.
Ma il suo piano per riavere Roxas era naufragato per l’ennesima volta, l’esca che aveva preparato per Sora non era più nelle sue mani e l’unica cosa di cui riusciva a rendersi conto era che il suo migliore amico stava svanendo, tornando umano senza di lui, lasciandolo ancora una volta solo ed incompreso, con quel dolore nel petto dove un tempo Lea aveva un cuore.
Voleva parlare con Sora, rivedere Roxas, ma poi…… sarebbe davvero cambiato qualcosa?
Il suo amico sarebbe tornato?
Perché il pensiero lo faceva stare così male?

_______________________________________________________________________________________________________________________________________

Potrebbe sembrarvi strano ma no, non sto divagando, tutti i nodi verranno al pettine a tempo e luogo|

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Replica ***



Capitolo 3


L’aria era gelida sulle sue guance; portava il dolore della battaglia, degli uomini uccisi, della fredda efficienza degli Heartless che dilagavano nelle strade.
Aveva osservato a lungo quel mondo, guardato nelle sue case, nelle strade che ad ogni passo gli sembravano sempre più familiari.
Familiari.
Amate.

Questo i Nessuno non potevano comprenderlo. Non avrebbero mai potuto provare quel terribile dolore nel petto, quel senso di oppressione. Non avrebbero mai sentito il bisogno di correre in aiuto di quella gente.
Ma lui sì.
Perché?

Ormai erano anni che si era accorto che qualcosa non andava. Si era accorto di soffrire, di non avere soltanto degli sterili ricordi ma dei sentimenti che si rinnovavano, mutavano. Aveva pianto.
Quando si era reso conto di quel problema, ne aveva parlato con i Membri dell’Organizzazione, ma tutti erano stati sfuggenti, o lo avevano guardato storto, andandosene.
Uno come lui non poteva certo avere udienza con il Superiore, specie per parlare di quelle che tutti consideravano sciocchezze. Xigbar e Xaldin lo tenevano sempre alla larga, più di una volta lanciandogli addosso qualche bottiglia di birra vuota.
Era difficile parlare con tutti quanti loro.
Da Demyx in giù, nessun membro dell’Organizzazione sembrava essere disposto a parlare della propria condizione di Nessuno, tanto meno ad ascoltare i problemi degli altri. Con la giusta eccezione del solare n. XIII, ma lui era un discorso a parte. Forse quel ragazzo non era mai stato davvero un Nessuno, aveva sempre avuto un cuore nascosto da qualche parte.
Aveva cercato la risposta di quel dolore nel petto tra i fondatori più saggi.
Il n. IV.
Vexen.
Paradossale come quell’uomo fosse stato il suo primo ricordo.
E a come le cose fossero terminate.
Vexen era morto, forse l’unica persona che aveva sempre conosciuto molto più di quello che amasse dire in pubblico; l’unico che probabilmente avrebbe potuto aiutarlo sul serio, ma che si era sempre rifiutato di ascoltarlo, fissandolo dall’alto con i suoi occhi sprezzanti. Quando si era accorto che qualcosa non andava era corso nel suo laboratorio, assumendo persino l’aspetto più umile che potesse simulare. Era stato la sua prima scelta, ed era stato buttato fuori dal laboratorio senza troppi preamboli, accusato di essere “un povero scansafatiche che invece di lavorare si mette a pensare”.
Ma se anche Vexen avesse avuto le risposte che cercava, ora erano svanite con lui in un turbinare di fiamme danzanti, soltanto cenere nel Castello dell’Oblio.
Perché lo scienziato non gli aveva detto nulla?

No.
Sbagliato.
Menzogna.
Mentiva persino a se stesso.
Non si era recato dal n. IV la prima volta.
Se aveva pianto ed aveva sofferto, era stato a causa di qualcuno. Qualcuno che era cambiato in fretta, che aveva lasciato in lui un vuoto che tecnicamente non avrebbe dovuto avere.
Era andato da Lui a cercare delle risposte.

La Replica guardò di nuovo l’infuriare della battaglia. Sora continuava a lottare strenuamente, salvando quel mondo con un pugno di amici e la forza della sua determinazione. Il n. XIII era lì dentro, ed il dolore e la rabbia che aveva accumulato nei suoi pochi giorni di vita si riversava sul campo, mietendo Heartless, forte della nuova esistenza che aveva ottenuto.
Aveva visto gli occhi di quel ragazzo quando aveva scoperto che il suo migliore amico gli aveva sempre mentito. Non avrebbe mai potuto dimenticarli.
Ed aveva sofferto un’altra volta, più forte della prima, cercando una spiegazione al dolore ed alle lacrime; forse in quel momento aveva compreso il senso dell’amicizia più puro, ed aveva preso la sua decisione.
Doveva allontanarsi dall’Organizzazione.
Anche lui, come il giovane Roxas, doveva trovare le sue risposte.
Avrebbe voluto avere il suo amico al fianco, ma non poteva.
Ecco perché era fuggito da solo.
Ma era solo questione di tempo, il Superiore non ammetteva diserzioni, ed aveva una certa idea di chi gli avrebbe mandato alle calcagna. Tutte le sue risposte erano in Sora ed in Roxas.
Il suo primo piano per incontrarli era fallito, ma non poteva demordere. Doveva andare a parlare con loro, rischiare anche la sua non-esistenza: ma loro erano la chiave.
Risoluto, aprì un Portale d’Oscurità.

Si era svegliato nel luogo più freddo che avesse mai visitato, completamente nudo. Dei piccoli cristalli di ghiaccio coprivano la sua pelle ed il suoi capelli, uno strano sbuffo di vapore usciva dalle sue narici. Chiuse gli occhi cercando di raccogliere i suoi ultimi ricordi, ma tutto era effimero nella sua mente. Pensieri, parole, urla, ma tutto assolutamente confuso; più cercava di ricordare e più gli sembrava di voler afferrare la nebbia con la mano.
Aprì gli occhi una seconda volta, conscio solo di un grande cerchio alla testa e della presenza di qualcuno nella stanza.
“Resta fermo” fece una voce secca, di qualcuno abituato a comandare “La tua stabilità sarebbe…… discutibile……”
Il freddo non accennava a diminuire; anzi, quando l’uomo che aveva parlato si avvicinò a lui, ebbe l’impressione che lo stesso Inverno fosse venuto a salutarlo “Puoi sentirmi?”
“S…… sì”
Persino la lingua gli sembrava congelata; però riuscì a volgere la testa, ed inserire nel suo campo visivo il suo interlocutore. Sembrava torreggiare su di lui, gli occhi verdi che correvano dal suo corpo ad un plico di fogli che teneva in mano. Indossava un lungo abito scuro, ma era sicuro di aver già visto quell’uomo da qualche parte …… se la testa non avesse smesso di fargli male ……
“Come sta, Vexen?”
Un’altra persona scivolò accanto, leggero come una foglia.
“Lo saprò con certezza quando avrò esaminato con calma tutti i punti della cartella clinica”
L’altro emise un suono simile ad una risata forzata “Vexen, tutti questi conti ti uccideranno, un giorno o l’altro. Pensi che sia in grado di sostenere una piccola conversazione con me?”
“Altrimenti lei non sarebbe qui, Superiore”.
La sua mente aveva smesso di vorticare, almeno per un pochino. Il caleidoscopio di sensazioni sparì, sfumando nell’ambiente in cui si trovava. Sembrava un incrocio tra una stanza di un ospedale ed il laboratorio di uno scienziato, e le poche cose che erano lì dentro erano state disposte in ordine quasi meticoloso.
Richiuse gli occhi.
Il suo ultimo ricordo.
Quella grande, enorme massa di Oscurità. Qualcosa che non era solo buio, ma una vera Tenebra che si muoveva, con gli occhi luminosi, che sembrava puntare dritto al suo cuore. La sua paura, il suo bisogno di fuga “Ricordi l’Oscurità?”
Stavolta l’uomo era rivolto verso di lui, come se stesse indovinando i suoi pensieri “E’ un ricordo che abbiamo tutti, qui dentro”.
Non sapeva come, ma quella persona davanti a lui era pericolosa. Glielo diceva qualcosa, un sesto senso, un fremito nella pelle, forse uno dei suoi ricordi che sembravano ancora turbinare nella nebbia. O forse erano i suoi occhi, che nell’ambiente scuro del laboratorio sembravano frammenti di ambra arroventata.
“S… sì …… c’era una creatura…… oscura…… però……”
“Ricordi altro?”
Era un’affermazione, non una vera domanda.
“Non ero … non ero solo…… c’era qualcuno…… ma ora non ricordo bene……”
“I ricordi torneranno tutti” fece il suo primo interlocutore, qualche metro più in là, chino su un macchinario che emetteva luci e suoni incomprensibili “Garantisco IO”
L’uomo dagli occhi d’ambra sollevò le spalle, e tornò a poggiare il suo sguardo su di lui “Innanzitutto prendi questa”. Attorno alla sua mano comparvero strie d’Oscurità, e sentì la pelle accapponarsi, quasi come se il suo ultimo ricordo stesse prendendo vita; poi la luce nera si dissolse, assumendo una forma corporea, che cadde inerte sul suo braccio.
Era una tunica nera, con dei tenui bagliori argentei su delle decorazioni. Come quella che indossavano i due uomini “Mettila, o finirai congelato prima ancora di poterti alzare. Ti sarà necessaria se vivrai insieme a noi”.
Non capì bene il tutto, ma strinse la stoffa nera intorno alle sue mani intirizzite; non sembrava un abito comune, era intessuto di qualcosa che non aveva mai sentito. Sembrava fatto di Oscurità.
Oscurità viva.
Se avesse avuto più forze avrebbe allontanato quell’abito che sembrava riportare alla mente solo l’ultima scena di cui aveva memoria.
“D’ora in poi resterai con noi. Ma affinché una cosa esista, ha bisogno di un nome con cui essere chiamata. Tu ricordi il tuo nome?”
Il suo nome……
Il suo nome……
Il suo nome era ……
“Io …… ora non ricordo…… però sono sicuro di……”
Un nuovo sorriso quasi forzato sul viso dell’uomo “Non temere. Ti troveremo noi un nome”
“Xion mi sembra un nome più che adeguato a lui! E’ perfetto e significativo!” bofonchiò l’uomo dagli occhi verdi, questa volta vicino a lui, controllandogli le mani.
“Io non sono d’accordo” fece una terza voce, più sensuale delle altre.
Non aveva notato la terza figura vestita di nero quando aveva osservato la stanza per la prima volta. Si avvicinò al letto con una certa lentezza, chinando la testa davanti all’uomo chiamato Superiore “La scelta di un nome va oltre la sua ricerca di autoglorificazione, n. IV”
“Dovresti portarmi rispetto e gratitudine, n. VII. Senza di me non avreste recuperato un bel niente. Anzi, mi domando cosa farebbe l’Organizzazione senza le mie ricerche”.
“Non ho un cuore per esserle grato, n. IV. E questo lei lo sa meglio di me”.
Quell’uomo……
Era sicuro di conoscerlo!
Quei capelli! Come poteva non ricordarseli? Però……
“Io mi ricordo di te!”fece, quasi urlando, portandosi di colpo a sedere.
Una risata sommessa qualche metro più in là “Vi avevo detto che non c’era nulla da preoccuparsi per i vecchi ricordi. Sono tutti al posto giusto. Ma tanto nessuno mi ascolta!”
Le sue grida caddero davvero nel vuoto.
Rimase a fissare la persona davanti a lui, con quegli occhi gialli che qualcosa gli diceva fossero assolutamente fuori posto in quel viso. E quei segno sul viso, come se li era procurati?
Ma il suo nome……
Perché il suo nome non……?
“Vexen, credo che Saïx abbia ragione. Il nome è qualcosa che delineerà tutta la nostra non-esistenza, designa chi siamo e ciò che facciamo, è ancora più personale delle nostre armi o delle tuniche. E poi non trovi che il nome Xion sia terribilmente femminile?”
Doveva essere una battuta, ma nessuno sorrise, nemmeno se a farla era stato proprio il Superiore.
Per quel lo riguardava, non riusciva a distogliere gli occhi da questo n. VII, che si era fatto più vicino a lui, avrebbe potuto persino toccarlo.
Come erano apparsi, delicati come spettri, gli altri due uomini sparirono nelle tenebre, e rimase da solo con quella persona. Si sentiva un idiota. Era certo di conoscerlo, di averlo visto. Forse era stato tempo fa, ma era più che sicuro che nella sua mente si trovava quel nome, congelato forse dallo stesso incantesimo che ancora copriva la sua pelle con cristalli di ghiaccio.
Erano quegli occhi ad essergli estranei: gelidi, immobili, che parevano fissarlo attraverso.
Anche nella sua voce c’era qualcosa di diverso: “Tu sai chi sono io?”
“Certo…… io…… sono sicuro di saperlo…… ma ora……”
“Allora sai che puoi fidarti di me”.
Poteva?
Poteva davvero?
Sì. Forse era l’unica certezza a cui poteva aggrapparsi.
“Lo…… lo so”.
“Quindi lascia che sia io a scegliere un nome per te. Il tuo nuovo nome sarà……”


Saïx fiutò la sua vittima prima ancora di vederla, perché il vento gli portò rapido la risposta che cercava. Come sospettato, la Replica si stava dirigendo verso il n. XIII, il piccolo traditore, per cercare in lui ed in Sora una risposta ai suoi interrogativi ed un senso alla sua esistenza.
Si chiese per un’ultima volta se fosse davvero necessario eliminare la Replica, ma la risposta era chiara, lampante, non ammetteva pensieri alterativi.
La Replica era scappata dall’Organizzazione.
La Replica era difettosa.
La Replica era ormai assolutamente inservibile.
La Replica voleva parlare con il Custode.
E, nonostante il suo aspetto, restava pur sempre una copia.
Per quanti ricordi potesse avere nella sua mente, era un falso.
Poiché non vi era un solo motivo valido per mantenere in vita quel burattino, Saïx aprì un Portale dell’Oscurità e mise piede proprio davanti al Custode del Keyblade, incrociando gli occhi della Replica ed osservando la sua espressione di panico.
“Axel”
Sì, a differenza dei veri membri dell’Organizzazione, le Repliche potevano anche provare paura; infatti Axel si voltò, senza nemmeno una parola, e scomparve in un Portale dell’Oscurità. Ma prima di balzare al suo inseguimento aveva ancora qualcosa di cui discutere con il Custode.
Si girò verso il ragazzo, il cane ed il papero. Aveva proprio gli occhi di quell’impiccione del n. XIII.
“Ci assicureremo che riceva la punizione massima”.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Saïx ***



Capitolo 4


Non era stato abbastanza rapido, se lo era fatto sfuggire tra le dita senza alcun preavviso. Axel, no, basta dargli quel nome, la Replica aveva preso il largo perché si aspettava di essere inseguito, si era preparato a tale evenienza sin dal giorno in cui aveva deciso di voltare le spalle all’Organizzazione.
Da quel momento la sua priorità era diventata cercare quel suo “migliore amico” del n. XIII con ogni mezzo, cercando perfino di catturare la Principessa del Cuore a cui il Custode sembrava così legato; quando Saïx li aveva scovati insieme, nei corridoi tra i mondi, non aveva intuito subito il suo piano.
Si era illuso che quella replica fosse soltanto “difettosa”, che il suo sistema nervoso fosse collassato.
Invece no.
Per quanto irrazionale, quella Replica aveva seguito un piano, dedicandoci tutto il cuore e tutta l’anima artificiale che Vexen, tanti anni prima, gli aveva inculcato a forza con una semplice carta.
Sentendosi debole, indifeso e vulnerabile, aveva cercato rifugio negli ultimi resti del n. XIII, nel barlume della sua esistenza nel cuore di Sora. Voleva usare la Principessa per far di nuovo divorare il cuore del Custode dall’Oscurità, e ritrovare il suo migliore amico.
Quella era la prova che qualcosa era andato storto nel Progetto Replica.
Nella mente di quel fantoccio aveva inserito tutti i ricordi del vero Lea, quindi avrebbe dovuto avere ben chiaro chi fosse il suo migliore amico: Isa o, ovviamente, ciò che ne restava di lui. Invece no, aveva scelto una strada del tutto imprevista, tradendo tutti i ricordi che dovevano affollare la sua testa.
Aveva scelto di stare al fianco di un ragazzino insignificante, tenuto nell’Organizzazione soltanto per raccogliere cuori. Stupida Replica difettosa.
Se avesse avuto un cuore, forse avrebbe deciso di indagare più a fondo sull’origine di quella nuova amicizia, su cosa avesse spinto la Replica a rivolgersi al n. XIII. Avrebbe potuto sentirsi indignato, offeso, tradito ed abbandonato da quello che un tempo era stato il suo migliore amico.
Ma purtroppo non poteva.
Tutto quello che aveva davanti agli occhi era un pupazzo difettoso che aveva abbandonato l’Organizzazione e rivelato i loro piani ai nemici senza un giusto motivo; il quadro era piuttosto chiaro ed il Superiore aveva emesso l’unica sentenza possibile.

“Sei arrabbiato? Mi odi?”
Ora che la Replica se ne era andata, era rimasto solo con il Custode ed i suoi grandi occhi azzurri. Sì, quello sguardo penetrante riversava rabbia e disperazione nei suoi confronti e di tutta l’Organizzazione.
“Allora prendi la tua rabbia e riversala sugli Heartless”
Sì, quel Sora poteva amare ed odiare allo stesso tempo. Poteva sognare e condividere i progetti futuri con gli amici. Potevano farlo anche il papero ed il topo al suo fianco.
Poteva farlo la principessa che al momento languiva nelle prigioni.
Anni prima potevano farlo anche Isa e Lea, seduti sulle panchine di Radiant Garden ad osservare il palazzo del loro re, chiedendosi quanti e quali segreti custodissero.
Poteva farlo persino quella Replica fuggiasca.
In quella vicenda, tutti potevano provare dei sentimenti. Tutti tranne lui.
E la cosa bizzarra era che non aveva nemmeno un cuore per potersi lamentare dell’ingiustizia, altrimenti avrebbe staccato la testa del Custode per il solo piacere di vedere quello che restava dell’arrogante n. XIII andare in pezzi. Ma non poteva nemmeno arrivare a quello. Era un berserker, ma la sua furia guerriera non aveva nulla a che vedere con le emozioni.
Ad un suo schiocco di dita, gli Heartless presero forma e si diressero verso il ragazzo.

Il n. IV non si sarebbe allontanato dalle sue provette nemmeno se fossero venuti i Nessuno personali del Superiore a prenderlo di peso. Nei sotterranei del Mondo che Non Esiste, Vexen aveva posto il suo dominio assoluto, circondandosi di una morsa di gelo, ancora più imperscrutabile e solitario di quanto lo fosse stato da umano.
Non sarebbe uscito per dialogare con lui, anche trattandosi di un lavoro di cui, a sua detta, sarebbe andato molto fiero; no, aveva obbligato lui, il n. VII, il braccio destro del Superiore, a recarsi nella sua dimora e ad omaggiarlo.
Anche senza un cuore poteva rendersi conto che il n. IV voleva metterlo volontariamente in condizione di inferiorità.
“Il Superiore ha approvato il tuo Progetto Replica. E’ rimasto molto soddisfatto della tua relazione ed attende di vedere i risultati”.
“Xemnas? Soddisfatto? Se avessi un cuore per sorprendermene scriverei la data di oggi su un calendario………”
Saïx fissò il tavolo dello scienziato, dove diverse pile di strane carte azzurre erano appoggiate alla rinfusa, con tanti disegni colorati sopra. Il n. IV si scansò i ciuffi dal volto e si voltò verso di lui: “Immagino che il nostro lungimirante Superiore preferisca avere il diritto di scegliere con quale soggetto iniziare il nostro test……” fece lo scienziato.
“Ho conferito con lui ed abbiamo deciso il soggetto più adeguato”.
“Non mi risulta che Xemnas prenda decisioni con altri che non siano se stesso e Kingdom Hearts”
Non quella volta. Aveva fatto l’impossibile per convincere il Superiore ad ascoltare le sue richieste: si era dimostrato obbediente e leale, pronto, acuto, il migliore nelle missioni. Era stato gelido quando necessario, solerte nel riportare gli errori di tutti gli altri membri dell’Organizzazione, fiscale quanto nemmeno il più Nessuno tra i Nessuno lo sarebbe mai stato. Era diventato il braccio destro del Superiore per ottenere quell’unica decisione.
“Se dubita della bontà delle mie parole, n. IV, sono certo che Lord Xemnas saprà convincerla meglio di me”.
Sapendo che Vexen avrebbe preferito aprire le porte del suo laboratorio a decine di Ciccio Bandito infuriati piuttosto che avere un colloquio privato con il loro capo, era quasi certo della sua risposta “Sia. Chi è?”
“All’epoca era un ragazzo di nome Lea. Viveva a Radiant Garden insieme al mio Somebody”
Lo scienziato corrugò la fronte: “Non è un dato quantificabile o esaustivo. Portami la persona che devo replicare e la replicherò”
“Questa persona non esiste più. Un Heartless ha divorato il suo cuore”.

Quel ricordo esisteva ancora nella sua mente, vivido proprio come l’ultimo giorno di vita di Isa; c’era il laboratorio, gli scienziati in fuga, le guardie armate e l’Oscurità nella sua piena potenza, liberata in quel mondo dove aveva preso corpo e vita.
Isa aveva fissato in quell’Oscurità, ignaro di tutto, persino dei richiamo di Lea. Forse, se lo avesse ascoltato e si fossero messi a correre per i lunghi corridoi del palazzo, lasciandosi alle spalle quell’inferno, la sua esistenza avrebbe avuto un corso diverso. Non aveva mai provato tanta paura come in quel momento, mai il suo corpo ed il suo cuore gli avevano urlato con tanto fiato in corpo di fuggire a gambe levate insieme a Lea.
Ma era rimasto, perché qualcosa nel suo petto gli aveva detto di toccare l’Oscurità con mano, perché qualcosa sarebbe sicuramente accaduto. Qualcosa di speciale, che due ragazzini di Radiant Garden non avrebbero mai immaginato nel più rocambolesco dei loro sogni…… o forse dei loro incubi.
Lea era ancora lì, non era fuggito. Non riusciva a vederlo, ma poteva sentire la sua voce. Lo chiamava. Il suo migliore amico non se ne sarebbe andato, era fuori discussione: avrebbe toccato quell’Oscurità, avrebbe trovato la risposta a mille e più domande che gli si affacciavano davanti agli occhi, e lui e Lea sarebbero rimasti amici in eterno. Perché era questo che gli sussurrava l’Oscurità, poteva sentirla parlare nel suo cuore. E allora perché non toccarla? Perché non accettarla, proprio come stava facendo quell’uomo dai capelli argentati, che sembrava quasi un dio?
L’Oscurità gli avrebbe dato quello che il suo cuore cercava.
Ecco perché sorrise quando la sentì avvolgere d’un colpo il suo cuore.
Lui, Saïx, comparve invece senza sorridere.
Era lì,nell’Oscurità, era parte di lei. Non era confuso, la sua mente era attiva, perfetta, nessun danno nella creazione, i ricordi del suo originale assolutamente al loro posto. Tutto aveva un suo posto, una sua logica, l’Oscurità non gli aveva mentito.
Lea lo stava fissando.
Lea.
Amico.
Definire un amico.
Amico è……?
Persona con cui condividere momenti felici? Non sentiva la felicità. Quindi definizione sbagliata.
Persona di cui fidarsi nei momenti più brutti? Non poteva fidarsi. Quindi definizione sbagliata .
Persona a cui raccontare le proprie preoccupazioni? Era un Nessuno, non poteva preoccuparsi. Quindi ennesima definizione sbagliata.
Persona a cui stare vicino. Due Nessuno potevano stare vicini. Quindi potevano essere amici. Quindi l’Oscurità aveva detto il vero, lui ed il Nessuno di Lea sarebbero stati amici.
Guardò Lea cercare di fuggire, urlare mentre l’Heartless aveva la meglio su di lui. Lo aveva fissato mentre scompariva, rivolgendo il braccio verso di lui, chiamando il nome del suo Somebody; dove prima c’erano un ragazzo ed un Heartless, adesso c’erano soltanto due Heartless.
Aveva aspettato in quel punto, fissando il pavimento dove Lea era scomparso, perché il suo Nessuno sarebbe apparso lì, sarebbero stati vicini, quindi sarebbero rimasti amici.
Il senso del tempo non era un problema per quelli come loro, perché non avevano fretta, non sapevano cosa fosse, non sentivano il bisogno di impegnare il proprio tempo; dalla finestra la luce del sole che nasceva e moriva gli indicava che erano passati due giorni.
L’Oscurità gli aveva promesso che sarebbero rimasti amici in eterno, quindi il Nessuno di Lea sarebbe comparso. Doveva comparire. L’Oscurità glielo aveva promesso.
Avrebbe aspettato in eterno.
Il tempo non era un problema.
Avrebbe aspettato in eterno.
Il tempo non era un problema.
Avrebbe aspettato in eterno.
Avrebbe aspettato in eterno.
Avrebbe aspettato in eterno……

“Replicare un debole? Uno che al massimo avrà dato vita ad uno Shadow e ad un Simile? Ritengo sia uno spreco delle mie capacità, quasi quanto mandare Lexaeus a sconfiggere un Fungo Bianco”.
Se avesse avuto un cuore, Saïx si sarebbe offeso: ma non lo aveva, e le parole del suo superiore avevano delineato la verità, che soltanto un essere senza cuore come loro poteva accettare; il suo migliore amico era stato debole.
L’Oscurità non aveva mantenuto la sua promessa.
Ma erano passati anni, e delle sue promesse e delle parole del Superiore ne aveva avute fin troppe: era Saïx, il n. VII dell’Organizzazione, e se voleva una cosa la avrebbe avuta. Se l’Oscurità non gli aveva ridato il suo migliore amico, si sarebbe preso quello che poteva con le sue forze.
“Il Superiore ha ritenuto importante procedere con cautela ed iniziare con soggetti semplici. Se il Progetto Replica mostrerà sul campo la sua bontà ha intenzione di passare a soggetti più…… interessanti”.
Il n. IV intanto passeggiava su e giù per il laboratorio, un’abitudine che non aveva perso nemmeno nella trasformazione in Nessuno; aumentava la concentrazione, o almeno era quello che ripeteva. Come se le gambe fossero necessarie per concentrarsi…… “Come al solito il n. I propone e IO devo disporre ……beh, e come pensa il lungimirante Lord Xemnas di creare una Replica da qualcosa che non c’è?”
“Non serve una persona, lo ha detto lei stesso nei suoi rapporti. Occorrono i suoi ricordi”.
I suoi occhi tornarono sulle carte azzurre che il suo superiore stava lentamente impilando, cercando di cogliere i minuscoli disegni su di esse. Non aveva idea di che fine avessero fatto i soggetti su cui il n. IV avesse fatto i suoi primi test, ma da quello che sapeva parte dei loro ricordi doveva essere ancora in quelle carte, sottoposta alla volontà del membro dell’Organizzazione.
“Ed il Superiore come ha in mente di farmi avere questi ricordi? Quaggiù tutti credono che fare un lavoro di questo genere sia semplice e non si curano del resto!”
“IO rispetto il suo lavoro, n. IV!”.
Tirare la corda con Vexen non era un’idea saggia. Quello il loro arrogante Superiore non era mai riuscito a comprenderlo: lui sì. Vexen era l’unica persona che potesse ridargli Lea. Quindi non era vantaggioso mostrarsi contrari a lui; una volta persa la sua utilità avrebbe scelto una linea di condotta differente, ma fino a quel momento doveva pazientare. “Le darò io i ricordi che le servono”.
Gli occhi smeriglio tornarono a fissarlo “Tu? Come puoi fornirmi i ricordi di un’altra persona?”
“Conoscevo questo Lea. Molto bene. Posso fornire tutti i ricordi necessari della sua vita cosciente senza possibilità di errore”
“Le possibilità di errore lasciale giudicare a me, n. VII. Quindi il n. I vuole che io crei una Replica a partire dai tuoi ricordi?”
“Esattamente” e non era stato nemmeno troppo difficile ottenerne il permesso. Ormai il Superiore passava le ore a meditare con Kingdom Hearts, ed un paio di buone motivazioni del suo braccio destro erano sufficienti “Resterà con noi come membro dell’Organizzazione, sarà il nostro n. VIII; aumenteremo le nostre fila e potremo seguire i suoi progressi per vedere il funzionamento del Progetto Replica. Gli daremo un corpo adulto, sviluppato, così crederà di essere proprio uno di noi”.
Aveva predisposto tutto nel migliore dei modi: Vexen avrebbe avuto l’esperimento che desiderava, e la prospettiva di seguire la sua creatura giorno dopo giorno lo avrebbe motivato a lavorare. Il Superiore avrebbe avuto un nuovo soldato, e presto si sarebbe dimenticato anche della sua natura di Replica. I numeri II e III nemmeno lo avrebbero saputo.
Sapeva che il n. IV avrebbe coinvolto anche i n. V e VI nel lavoro, quindi era inutile nascondere loro cose che poi i poteri di Zexion avrebbero scovato lo stesso.
E lui avrebbe avuto un nuovo Lea. E sarebbero stati amici.
“Non mi sembra una buona idea!”
Cosa?
“Se vi foste soffermati a leggere il mio rapporto, e temo che non lo abbiate fatto, avreste saputo che le Repliche mantengono il loro cuore. Non sono Nessuno”
“La cosa non mi sembra un problema”
“Invece lo è” il n. IV non poteva essere seccato, ma di sicuro la sua mimica facciale esprimeva qualcosa di vicino al disappunto “Avrà un cuore. Si accorgerà di essere diverso. Non resisterà a lungo”.
Per quanto non lo avrebbe mai ammesso in pubblico, il n. IV era assai più lungimirante del loro Superiore “Ritengo che, facendo vivere il suo cuore neonato tra i Nessuno, possa arrivare a comportarsi come se non lo avesse. Dopotutto, crederebbe sul serio di non avere un cuore……”
Il gelo crebbe intorno a lui, disegnando dei cristalli di ghiaccio sui confini della scrivania e sul dorso di tutte le carte “Allora vai, prendi un Simile e mettilo tra i tuoi Berserker. Forse crederà di essere come loro e ne imiterà i movimenti, obbedirà alla tua volontà e combatterà con quelli che riterrà i suoi pari. Dopo mandalo in battaglia, da solo contro migliaia di Heartless: svanirà schiacciato come tutti i Simili”.
“Non succederà una cosa del genere”.
Perché lui non avrebbe mai mandato Lea da solo contro migliaia di Heartless: sarebbero stati amici, quindi sarebbero rimasti vicini. Avrebbe ottenuto la cosa più vicina al Nessuno di Lea, e certe preoccupazioni del n. IV erano solo un fastidioso ostacolo “Lo supervisionerò ogni giorno, n. IV. Sono certo che la sua Replica non avrà difetti”.
“Blandirmi non è da te, n. VII. Farò questa Replica solo per mettere a tacere le preoccupazioni del n. I, ma se il piano riuscirà ho intenzione di dedicarmi a soggetti più …… adatti a me”
Non gli interessava nulla dei futuri esperimenti del suo superiore; poteva replicare persino Kingdom Hearts, non sarebbero più stati affari suoi. Avrebbe riavuto Lea ed avrebbero continuato la loro lunga amicizia.
Ed avrebbe dimostrato al n. IV che Lea non li avrebbe mai abbandonati, che sarebbe stato il migliore tra tutti i Nessuno. Non si sarebbe mai accorto di avere un cuore.


Quella strega era intervenuta all’ultimo momento, vanificando il suo tentativo di far sparire Sora dalla faccia della Fortezza Oscura. Persino i loro nemici si alleavano tra loro pur di fermare la minaccia dei Nessuno.
Tra i corridoi dell’Oscurità, a Saïx tornarono in mente gli occhi smeraldo del n. IV in quel giorno nemmeno troppo lontano; lui aveva ordinato ad Ax…. no, alla Replica, di far fuori lo scienziato ed i suoi due compagni. Sapevano troppo, e non soltanto delle Stanze del Sonno e del Risveglio di cui tanto parlava il Superiore: sapevano troppo del primo risultato del Progetto Replica, e da quando il n. XIII si era accostato alla Replica avevano iniziato a mormorare. Avevano osservato a lungo il n. VIII, e sia Vexen che Zexion avevano visto prima di chiunque altro che il cuore della Replica, a contatto con il membro più giovane, stava ritornando alla luce.
Avrebbero potuto rivelarlo agli altri, alla Replica stessa, e questo non poteva permetterlo.
Ma il n. IV aveva avuto sempre ragione, aveva già previsto il futuro della sua creatura, ma le aveva lo stesso dato vita credendo che i loro destini in fondo si sarebbero incrociati soltanto su un tavolo da laboratorio e durate qualche riunione, non di più.
E in quel momento il Gelido Accademico non c’era più, e non c’era più la Replica di Lea con cui stare insieme e cercare di essere amici: il piccolo n. XIII aveva causato tutto quel danno, e per ironia di Kingdom Hearts era stato anche l’unico a riavere indietro il suo cuore.
Non aveva nemmeno un cuore per lamentarsi di questa ingiustizia. Aveva soltanto se stesso, ed il bisogno di mettere in ordine quella vicenda che era iniziata con un desiderio di amicizia eterna.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Axel ***



Capitolo 5


Se davvero non aveva un cuore, cos’era quella strana sensazione che gli bruciava il petto? Non erano le sue fiamme, non era il suo sangue, ma qualcosa di più, che sembrava risvegliarsi in quel momento dopo tanti anni di solitudine.
Axel riaprì gli occhi un’altra volta, lasciando che la volta di quello spazio senza nome si riempisse di piccoli lapilli d’Oscurità, che partivano dal suo corpo e dalla sua tunica per riunirsi in alto; quando Demyx era svanito nel nulla lui era lì, diversi metri più in alto, ed aveva osservato come si era dissolto nel nulla. E adesso era il suo turno.
Faceva male ovunque.
Ma in un modo diverso.
Era stato ferito diverse volte in battaglia, era stato danneggiato da un Keyblade ed altre armi che avrebbero fatto a pezzi un normale essere umano, ma adesso il dolore che provava non era soltanto quello delle ferite. Era lì, nel petto, dove tutti gli avevano detto che non aveva nulla se non un muscolo che si contraeva ritmicamente per mantenerlo in vita.
Aveva lottato per proteggere Roxas, perché se fosse dipeso da Sora e dai suoi amici non sarebbero mai usciti da quella trappola tesa da Saïx, il cacciatore dell’Organizzazione. Il suo migliore amico per il momento era in salvo, ed era tutto ciò a cui la sua mente potesse pensare.
Cosa molto strana per un Nessuno.
Chissà a cosa avevano pensato gli altri, prima di svanire nell’Oscurità?
Non ci aveva mai riflettuto.
Ma in quei secondi gli comparvero davanti gli occhi di Vexen, spalancati per la cosa più vicina al “terrore” che un Nessuno potesse mai provare. Forse non ha nemmeno avuto il tempo di pensare a qualcosa……
Il corpo di Zexion, sospeso a mezz’aria. Lo aveva osservato agonizzare, abbandonando gli ultimi attimi di vita nelle mani di una stupida Replica credulona. Lo aveva consegnato lui stesso all’Oscurità, ma lo aveva fatto senza troppi problemi, come avrebbe rimosso qualsiasi ostacolo tra se stesso ed il suo obiettivo. Perché i Nessuno fanno così.
E tornò di nuovo quella pazzesca fitta al cuore, pensando alle due persone che aveva ucciso di persona. Era …… dispiaciuto? Triste? Come poteva esserlo?
Ma non vi erano dubbi, stava soffrendo, come un tempo faceva Lea. Stava “male” proprio come lui in quel momento, sembrava bruciare e gonfiarsi, si stava impadronendo di tutta la sua mente.
Ed in un attimo rivide tutto, come in un sogno, trasportato da quella forza inarrestabile che sentiva dentro di sé e che era diventata tutt’uno con il suo stesso essere, con la sua mente e con il suo Cuore: rivide Marluxia e Larxen, con le loro brame di potere ed i sogni di gloria. Vexen e Zexion, che LUI aveva ucciso per una mera necessità, che sembravano fissarlo oltre i lapilli di Oscurità che gli coprivano la vista. Demyx, ed il suo ultimo grido, che solo adesso riusciva a gelargli il sangue nelle vene. La piccola Naminé, sua complice negli atti finali di quella strana tragedia, ed una strana bambina dai capelli neri che era sicuro di aver già visto da qualche parte……
Poi il sorriso luminoso di Roxas lo raggiunse. Solo adesso riusciva a rendersi conto della sofferenza che gli aveva procurato: gli aveva raccontato soltanto bugie e gli aveva nascosto la verità. Lo aveva fatto per proteggerlo, per impedirne la distruzione, ma in quel momento riuscì a percepire l’egoismo dietro tutte quelle omissioni. Aveva fatto soffrire il suo amico proprio come stava soffrendo lui in quel momento, colto alla sprovvista da questo Cuore giunto nell’attimo più inaspettato. Quando, forse, nemmeno aveva più importanza.
L’unica cosa che contasse era che il suo migliore amico fosse in salvo. Con le ultime forze provò a sollevare un braccio verso quel viso che irradiava calore e che sembrava chiamarlo, portarlo a sé negli ultimi atti della sua vita. Poi guardò meglio, e tra le volute d’Oscurità i suoi capelli d’oro diventarono castani, e gli occhi che apparivano tanto gioiosi si riempirono di lacrime.
“Stai …… scomparendo?”
Roxas non era mai stato brillante, ma questo suo Somebody lo superava…. E nel suo cuore…. perché stava…… ridendo?
“Beh, è quello che succede quando metti tutto te stesso in un attacco. Capisci cosa intendo?”
Roxas…… perché non appari tu al suo posto?
“Non che i Nessuno abbiano un se stesso
Ma ne era così sicuro? Non con quello che sentiva nel petto. Non con quel calore indescrivibile che era sicuro essere un cuore. No, non un cuore qualunque. Il suo Cuore.
Era lì, era sempre stato lì. Lo aveva sempre nascosto a se stesso?
Impossibile.
O forse no.
Forse i Nessuno avevano un cuore, ma era semplicemente molto nascosto?
Se fosse stato così allora il suo migliore amico……
“Sto divagando. Andate, trovate Kairi. Ah, quasi dimenticavo…… Mi dispiace per ciò che le ho fatto”.
Sì. Ora poteva dirlo davvero. Mi dispiace.
E non solo per quella bambina. Ma per il suo migliore amico; la persona che era sempre rimasto al suo fianco, che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di riaverlo accanto a sé.
“Axel, cosa cercavi di fare?”
Ritrovare il suo migliore amico. Perché quella era la sua strada “Volevo vedere Roxas. Lui era …… l’unico che mi piacesse…… Mi faceva sentire… di avere un cuore. Che strano……”
Roxas. Era il suo migliore amico? Perché non aveva altre domande da rivolgere al suo nuovo cuore, piccolo tesoro ritrovato quando tutte le altre luci erano spente.
Ed il cuore rispose: vide in un attimo una città meravigliosa, ricca di fiori, con mille fontane ed un cielo di cristallo. La gente che camminava e lanciava commenti scherzose dalle botteghe sulla piazza. Tre uomini vestiti di viola che reggevano sulle loro spalle la difesa di quel mondo perfetto. E la torre più alta della città, dove lui ed il suo migliore amico divoravano l’ennesimo gelato al sale marino, lamentandosi perché non riuscivano a trovare il bastoncino vincente. Alla luce del tramonto il suo migliore amico si voltò verso di lui, con un sorriso, e non aveva né gli occhi azzurri né i capelli color del sole.
Quella era …… la persona che il suo cuore gli indicava?
“Tu mi fai sentire… allo stesso modo…”
Quello era il suo migliore amico.
Va bene.
Va bene così.


La stanza era indubbiamente più vuota e silenziosa di prima. Senza le lance di Xaldin che vibravano per la stanza, senza la voce stridula di Demyx che si faceva ripetere i compiti da svolgere.
Senza il falso sarcasmo di Marluxia e le risate di Larxene.
Senza Axel che gesticolava ed accampava scuse per ogni suo errore.
“Vedo che abbiamo sempre più posti vuoti”.
Saïx alzò lo sguardo verso il n. II: prendeva sempre la prima parola nelle discussioni, come se credesse di valore qualcosa più degli altri. Era soltanto un’altra marionetta, un guscio vuoto che cercava un cuore quando ormai non erano rimaste nemmeno illusioni o sogni a cui aggrapparsi.
I suoi Berserker erano arrivati da lui con la notizia che la Replica era morta per salvare il giovane Custode, che grazie al suo intervento era riuscito a trovare un Corridoio per il Mondo che Non Esiste ed a minacciare la loro incolumità.
Non aveva un cuore per disperarsi.
Non aveva un cuore per chiedersi perché quella Replica si fosse sacrificato per un moccioso insignificante.
E non aveva un cuore per piangere il simulacro del suo migliore amico.
La voce di Xigbar era in grado di richiamare l’attenzione, persino di un n. VII immerso nei suoi pensieri: “Axel ci ha offerto uno spettacolo niente male, però …… alla fine è morto senza ottenere niente”.
“Forse gli andava bene così!”
Il Baro del Fato, di solito così taciturno, aveva preso la parola. Lui che preferiva restare in disparte persino nelle riunioni, guardando il tavolo da gioco prima di scegliere come e quando partecipare; non si sarebbe mai aspettato un suo intervento, non riguardo alla Replica “Forse mettendo in gioco la sua vita è riuscito a guadagnare qualcosa”.
Già, nessuno di loro sapeva. Continuavano a crederlo soltanto un Nessuno, un guscio vuoto che, come loro, vagava tra la Luce e l’Oscurità alla ricerca di un posto dove stare. Non sapevano che nel n. VIII dell’Organizzazione vi era sempre stato un cuore nascosto …… anche se il n. X era andato vicino alla realtà. La Replica aveva messo in gioco la sua vita, si era sacrificato, e per farlo la sua natura era uscita, mostrando quel cuore che aveva nascosto sotto la tunica nera.
Da bravi Nessuno, per loro quella era una discussione come tante, una di quelle in cui era importante soltanto raggiungere un accordo e fissare un obiettivo. Ma Saïx notò qualcosa di nuovo nell’unico occhio di Xigbar.
“Ehi, aspetta, noi non esistiamo. Non abbiamo nessuna vita da mettere in gioco! E’ contro tutte le regole del gioco d’azzardo!”
Nel suo sguardo color ambra vedeva ciò che per un Nessuno era più vicina alla speranza: la prospettiva di una possibilità.
Uno di loro ce l’aveva fatta, aveva trovato un cuore proprio nel momento in cui la sua vita si era annullata. Non era una prospettiva incoraggiante, ma tutti i presenti nella sala vedevano nel gesto del n. VIII la possibilità di riavere, in qualche modo, il cuore perso molti anni prima.
Ma loro non sapevano la verità. Non sapevano che il n. VIII fosse una Replica.
E, in fondo, non era poi così necessario dirglielo……
Non aveva mai visto il Baro del Fato pronunciare così tante parole in una sola riunione; forse la morte di quella stupida bambola poteva avere un significato “Esatto. Axel ha messo in gioco qualcosa che non esiste…… e probabilmente ha vinto. Ha barato, ovviamente”.
“Non ha importanza”.
Saïx lasciò cadere quelle parole nella stanza, senza incrociare lo sguardo con nessuno di loro; la Replica di Lea si era dimostrata difettosa ed il piano era fallito. L’unica cosa da fare era lasciare che la questione cadesse, che gli altri Nessuno si dimenticassero al più presto del n. VIII, che non si mettessero a cercare il loro cuore attraverso nuove vie accessibili solo alle Repliche “Si è fatto annientare e basta. Axel non riusciva a sopportare di poter vivere senza un cuore, e per cercare di ottenerne uno è stato distrutto. Era un debole!”.
La questione finiva lì.
Aveva commesso l’errore di credere che quella Replica sarebbe bastata per ridargli Lea.
Aveva creduto di poter ottenere, attraverso lui, il sentimento dell’ amicizia.
Il piano era fallito, e non aveva nemmeno un cuore per soffrirne, quindi l’unica cosa da fare per un Nessuno come lui era andare avanti. Staccarsi per sempre dal ricordo dell’amicizia.
“Però……”
Si voltò verso il trono più alto. Dopo molto tempo, il Superiore appariva nelle riunioni, come svegliato da un lunghissimo sonno. Ed i suoi occhi color ambra erano rivolti verso lui, proprio come Xehanort aveva fissato Isa tanti anni prima a Radiant Garden “…… anche la debolezza può risvegliare qualcosa”.
Cosa aveva fatto il Superiore per tutto quel tempo? Era stato così preso dalla caccia alla Replica che aveva dimenticato che non tutti coloro che sapevano della vera natura del n. VIII erano spariti alla circolazione. Per quanto accecato da Kingdom Hearts e dalla ricerca della Stanza, Xemnas non aveva ancora accantonato il ricordo di quella vicenda; e adesso era lì, rivolto verso lui, ricordandogli che certi segreti era meglio se fossero rimasti tali. “Ve ne sarete accorti: Axel ha toccato il cuore di Sora. Forse mentre era con Sora …… si è risvegliato anche lui”.
Xigbar e Luxord guardarono il Superiore con qualcosa di nuovo negli occhi.
Si rese conto soltanto adesso di quanto aveva sottovalutato il n. I: ricordava perfettamente del fatto che Axel fosse una Replica, e lo aveva lasciato correre per tutto il tempo che gli era servito. Ma dalla morte di una semplice bambola aveva ricavato un raggio di potente speranza per i membri residui: avrebbero combattuto al massimo, avrebbero affrontato Sora nel Castello del Mondo che Non Esiste.
E lo avrebbero fatto con uno scopo.
Si dice che una persona diventi forte quando ha qualcosa da proteggere.
Il Superiore aveva indicato loro la via da seguire.
Come previsto, l’attimo dopo le sue parole i n. II e X chinarono la testa e sparirono dalla stanza, diretti contro l’Unico Custode, alla ricerca del loro cuore perduto.
Erano soltanto lui e Xemnas, e molte parole non dette che turbinavano nella sua testa; tra esse, soltanto poche riuscirono a prendere forma: “Superiore, quella Replica aveva sempre avuto un cuore. Ma per noi sarà davvero possibile averne uno vero?”
“L’unica via per riavere il nostro cuore, Saïx, è completare Kingdom Hearts. Mi sembra di averlo già detto molte volte”.
Poi sparì.

Kingdom Hearts era lassù, nel cielo. Un cuore enorme, unica luce nella notte eterna del Mondo che Non Esiste, che trasformava le mille gocce di pioggia in piccole stelle che si infrangevano sulle strade bagnate. Il Cuore in grado di contenere tutti i cuori degli uomini e dei mondi, che aveva in sé il potere per cui l’Organizzazione si era riunita ed era cresciuta. In quel momento, da dietro la sua vetrata, capiva come mai il Superiore restasse diverse ore immobile a contemplarlo: in quel grande cuore vi era la promessa di riavere indietro quello che avevano perduto, che l’Oscurità aveva strappato dai loro petti. Ognuno di loro tredici vi aveva visto qualcosa dentro, aveva inseguito una chimera soltanto per vederlo completo.
E in quel momento, quando ormai era quasi al culmine del suo potere, Saïx capì per quale motivo aveva sempre combattuto ed aveva spinto gli altri ad impegnarsi per la raccolta dei cuori.
Rivoleva indietro l’amicizia. Rivoleva quella sensazione di gioia nel condividere dei segreti o delle risate con qualcuno, la certezza di sapere che, ovunque si trovasse, c’era un amico che lo aspettava.
Aveva cercato di ricostruire l’amicizia con la scienza di Vexen ed i propri ricordi.
Ma non erano bastati.
Un amico non era soltanto un corpo e dei ricordi.
Per essere amici occorreva avere un cuore: la Replica di Lea lo aveva, lui no: evidentemente era stato questo ad impedire che l’amicizia tra Isa e Lea potesse rinascere in Axel e Saïx.
Ora sapeva come ricominciare: una Replica poteva sempre essere ricostruita, i suoi ricordi potevano ancora essere inseriti in delle carte ( non si era fatto consegnare i diari del n. IV per nulla ). Per sentire di nuovo il calore dell’amicizia l’unica cosa che gli mancava era un cuore, e Kingdom Hearts era lassù, bianca promessa di riavere quello che aveva perduto.
Avrebbe sradicato il Custode, la Principessa del Cuore e quel ragazzo che vagava tra la Luce e le Tenebre ed aveva in sé parte del potere del Superiore: li avrebbe sacrificati a Kingdom Hearts ed avrebbe riavuto la sua amicizia.
Non era un piano impossibile.
Alle sue spalle, qualcuno aveva attraversato il velo che conduceva alla sua vetrata. Cinque diversi tipi di passi, un unico scopo.
Alla luce di Kingdom Hearts, persino gli occhi del Custode sembravano più chiari “Solo tu potevi arrivare fin qui tutto intero, Roxas”
“Ancora con quella storia?”
Non hai idea, ragazzino, di tutti i guai che mi hai causato. Solo quando ti pianterò la mia Claymore nel petto avrai davvero un’utilità.
I suoi stupidi amici intervennero, spalancando le braccia per proteggerlo “Già! Lui è Sora!”
E io ero Isa. E quella Replica, per quanto falsa, era tutto quello che restava di Lea.
“Nome diverso. Stesso destino”.

_____________________________________________________________________________________________________________________________________________________

E così è terminata. Che dire, ringrazio tutti coloro che hanno fatto lo sforzo di leggerla (suppongo in pochi) e di commentarla (praticamente solo Lisaralin); forse non è un genere particolarmente seguito e le fanfiction vengono lette di meno ultimamente, ma mi auguro che prima o poi qualcuno riesca ad uscire vittorioso da questo quinto capitolo ed abbia la voglia di dire se la storia gli è piaciuta o meno. Ammetto di scrivere in modo abbastanza pesante, purtroppo però sono così, prendere (ne dubito) o lasciare (più probabile). Qualora vi fosse piaciuto vi invito a visitare l'account Registe ed a leggere la serie "Il Ramingo e lo Stregone" che scrivo in coppia con l'utente Lisaralin.
Se invece siete appassionati di Kingdom Hearts come me, visitate il thexiiiorderforum, il forum che frequento e che ha spesso iniziative divertenti come questo contest! Grazie ancora per l'attenzione!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1653272