I got you little spider

di Sophie_Wendigo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Davvero patetico, Agente Romanoff. ***
Capitolo 2: *** Il Cervo immortale sta morendo. ***
Capitolo 3: *** Visto da fuori deve avere un che d’ironico. ***
Capitolo 4: *** Sto vivendo la mia svolta, tu sei qui. ***
Capitolo 5: *** Cos'è che vuoi di più al mondo? ***
Capitolo 6: *** Il loro profumo. ***
Capitolo 7: *** Buongiorno Agente Romanoff. ***
Capitolo 8: *** Hai mai provato la felicità, Fratello? ***
Capitolo 9: *** Non per molto… ***
Capitolo 10: *** Fidati di me. ***
Capitolo 11: *** Chi per coraggio, chi per paura. ***
Capitolo 12: *** Solo per lei. Solo per lui. ***
Capitolo 13: *** La Loro Svolta. ***



Capitolo 1
*** Davvero patetico, Agente Romanoff. ***


Dialoghi originali:
L:Sono poche le persone che possono prendermi alle spalle.

N: Ma immaginavi che sarei venuta.
L: Dopo. Dopo tutte le torture che Fury avesse escogitato... Saresti sembrata un'amica, un balsamo. E io avrei collaborato.
N: Dimmi cosa hai fatto all'agente Barton.

L: Direi che ho ampliato la sua mente.

N: E quando avrai vinto... quando sarai il re dei re... che fine farà la tua di mente?
L: Questo è amore, Agente Romanoff?
N: L'amore è per i bambini. Io sono in debito con lui.
L: Racconta.

N: Prima di lavorare per lo S.H.I.E.L.D, io... beh, avevo una certa popolarità. Sono dotata di un'abilità molto specifica. Non mi importava per chi la usassi, o su chi. Ero sui radar dello S.H.I.E.L.D. con profilo negativo. Inviarono l'agente Barton ad uccidermi. Lui decise in modo diverso.

L: E che farai se promettessi di risparmiarlo?
N: Non ti farò uscire.

L: No, ma la cosa mi intriga. Il vostro mondo è in bilico e tu tratti per un solo uomo.

N: I regimi cadono ogni giorno. Non verso lacrime per questo. Sono russa. O lo ero.

L: E ora cosa sei?

N: Non è poi così complicato. Quella nota rossa sul mio registro deve essere cancellata.

L: Davvero? Riusciresti a cancellare quella nota così rossa? La figlia di Dreykov... San Paolo... l'incendio all'ospedale? Barton mi ha detto ogni cosa. Il tuo registro sta grondando. Il rosso sgorga... e credi che salvare un uomo non più virtuoso di te possa cambiare qualcosa? È la più vile forma di sentimentalismo... è la preghiera di un bambino! Patetico! Tu menti e uccidi... al servizio di bugiardi e assassini. Fingi di essere diversa, di avere un tuo codice... per espiare gli orrori commessi. Ma sono una parte di te. E non ti lasceranno mai più... Non toccherò Barton, non finché non ti avrà ucciso. Lentamente, interiormente, con tutti i modi che lui sa che tu temi. Poi si sveglierà il tempo necessario per vedere il suo operato... e quando urlerà gli fracasserò il cranio! È questo il mio patto, vulvetta lamentosa!

N: Sei un mostro.

L: Ahahah oh, no! Voi... avete portato il mostro.
N: Allora, Banner! È questo il tuo piano?!

L: Cosa?

N: Loki ha intenzione di scatenare Hulk. Tenete Banner in laboratorio. Sto arrivando. Chiamate anche Thor. Grazie... per la tua collaborazione.

 
 
 
 
 
“Sei un mostro.” Sussurrò Natasha, gli occhi sbarrati di fronte al volto freddo e impenetrabile di quell’essere così spietato, il corpo scosso da evidenti tremori. Decisamente una delle sue recite venute meglio
. Se c’era una cosa del suo lavoro che amava, era sicuramente la parte in cui la vittima di turno la guardava stupita, ancora incapace di capire, incapace di liberarsi dalla sua tela di menzogne. Ciò che sarebbe accaduto di lì a poco, lo sapeva, e fremeva al solo pensiero di battere il dio delle malefatte al suo stesso gioco.
“Ahahah oh, no! Voi avete portato il mostro…” disse Loki compiaciuto, allontanandosi dalla parete in vetro della sua cella.
Doveva ammetterlo, nei primi minuti del colloquio si era lasciato ingannare dalla sua rara bellezza, poiché lo era, bella, anche agli occhi di un dio, abituati alle ninfe più incantevoli.
Ma man mano che parlava, si faceva largo fra i suoi pensieri più reconditi, rimuovendo una ad una le innumerevoli maschere che coprivano la vera Natasha Romanoff, giungendo fino a quella che ritenne la sua anima: suadente e ingannatrice.
Non gli ci volle molto per comprendere le sue intenzioni, aveva intuito esattamente perché era lì, voleva qualcosa, delle informazioni.
“
Allora… Banner! È questo il tuo piano?!
” quasi gridò Natasha, voltandosi verso Loki, che le aveva fornito ciò di cui aveva bisogno, impaziente di vedere la sua espressione sgomenta. Rimase però bloccata davanti al suo bianchissimo sorriso e ai suoi occhi cangianti. Possibile che avesse fallito?
“Credevi davvero di essere l’unica a saper giocare a questo gioco?” chiese candidamente, osservandola dal centro della cella. “L’ho inventato io, immaginavo che lo sapessi…”
“Smettila.” Disse la donna fra i denti. “Non sto più giocando. Voglio sapere cosa hai intenzione di fare, e se non me lo dici con le buone…”
“Cosa farai?” la interruppe lui, sempre con quel fastidioso sorriso sulle labbra.
“Ci sono almeno 37 modi in cui potrei farti soffrire, tanto da farti gridare quello che voglio da te.”
“Oh… finalmente…” sussurrò a pochi centimetri dal vetro.
“Cosa?”
“Hai tolto la maschera da angelo, e ti mostri a me per quello che sei veramente: un ragno velenoso al centro della sua tela…”
“Tu non sai niente di me.” Disse Natasha, allontanandosi lentamente dalla parete della cella, poi si voltò di scatto, come a volersi nascondere dal suo sguardo, sempre con quella nota d’orgoglio che caratterizzava ogni sua movenza.
 
Loki osservò la sua silhouette, notando qualcosa che prima aveva ignorato, e rimase, per un istante, confuso e meravigliato.
“Non riesco a crederci… è mai possibile che sia così?” disse poi sorridendo “hai ragione, mi ero completamente sbagliato… da non credere!” continuò scoppiando in una breve risata; al che Natasha si voltò, curiosa di capire il motivo di tanta ilarità. “Tu non sei un ragno velenoso, al contrario… non hai gettato la maschera da angelo, non ne avevi bisogno, dovevi solo metter da parte quella da dura, perché la verità è che tu sei un angelo… Davvero patetico Agente Romanoff.” Concluse voltandosi, quasi deluso, adesso che lo aveva detto ad alta voce.
“Tu non sai niente di me.” Ringhiò ancora Natasha, furiosa, poi scattò verso il dispositivo di chiusura delle porte della sala, ignorando completamente gli ordini concitati che le venivano gridati nell’auricolare. “Adesso mi hai stancato!” gridò tornando indietro, sotto gli occhi increduli di Loki, che ne seguivano ogni mossa. Raggiunse il pannello di comando della cella, l’aprì e si scagliò contro di lui, fra le sue mani baluginò un pugnale e, il medesimo bagliore, accese i suoi occhi.
 
Quando il suo corpo aderì a quello di Loki, e la lama penetrò interamente nel suo addome, non si fermò, continuò ad avanzare, costringendolo contro la parete opposta della cella, gioendo subdolamente della sua espressione contratta dal dolore.
Seguì un lungo silenzio, il capo del dio era piegato verso il basso, e Natasha lo teneva bloccato con un braccio.
Poi una sommessa risata si levò dal petto della divinità, che alzò il viso, appuntando gli occhi verdi in quelli spaventati della donna.
Fu un istante, il suo corpo perse di consistenza, a Natasha mancò l’equilibrio e fu costretta a voltarsi dalle mani snelle di Loki, che si serrarono sulle sue spalle, immobilizzandola a sua volta contro il vetro.
 
Piano la presa si allentò, il dio lasciò scivolare i gelidi palmi fino ai suoi polsi, cingendoli quasi dolcemente, poi si avvicinò al volto della donna, deviando all’ultimo verso il suo collo.
“Ti ho detto di non giocare con me…” sussurrò su di esso, consapevole che ormai era completamente inoffensiva. Rimase ad un soffio da lei, inspirando avidamente il profumo dei suoi capelli rossi, sfiorandoli con la punta del naso. “temo che una frotta di soldatini stia per abbattere la porta, va ad aprire prima che sia tardi… non vogliamo che ti credano un’agente inaffidabile, giusto?” aggiunse poco dopo, poi allontanò il volto dall’incavo del suo collo, tornando a fissare le sue pupille chiare per un istante. Infine la lasciò definitivamente libera, muovendo alcuni passi all’indietro, attendendo che la donna uscisse dalla cella.
 
Quando Natasha riuscì a riscuotersi, raggiunse la porta della cella, richiudendola e concedendosi un ultimo istante per fissare quell’essere misterioso e suadente. Poi si diresse alla porta principale, una volta che l’ebbe aperta, oltrepassò, impassibile, il plotone e il Colonnello Fury, che le gridava contro domande e improperi.
Più avanti c’erano Tony, Steve, Thor e Bruce, superò anche loro e i loro sguardi affamati di risposte, camminò finché non raggiunse la sua camera e vi si chiuse all’interno.
Solo allora, si permise di ripensare a quello che era successo, ma la sua mente riusciva solo a focalizzarsi su quel respiro gelido che le aveva sfiorato dolcemente il collo…

 
 
 
 
 
 
Note: Salve a tutti! questa è la prima fanfiction pubblicata! che emozione, mi auguro che vi piaccia!
Ma è anche la prima dedicata al universo Marvel per me, quindi mi auguro di aver scritto almeno qualcosa di sensato ^^
La coppia LokixNatasha mi ha sempre affascinato, dalla prima volta che ho visto The Avengers, ma qui su efp non sembra molto gettonata, speriamo bene XD 
Beh, fatemi sapere che ne pensate, mi raccomando: sinceri e brutali! 
Buona lettura a tutti! 
Unknown_ <3

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Capitolo 2
*** Il Cervo immortale sta morendo. ***


Silenzio, oscurità, vuoto. Natasha era seduta sulla sponda della sua branda, chiusa nella camera buia, avvolta solo dal pacato ritmo del suo respiro.
Riempì un’ultima volta i polmoni, poi chiuse gli occhi:
1 secondo, solo vuoto.
5 secondi, ancora vuoto.
10 secondi, un sorriso bianchissimo si aprì nella sua mente. Strinse le palpebre, cercando di mantenere il controllo.
Di nuovo vuoto.
20 secondi, due occhi cangianti spalancati su di lei la scrutavano compiaciuti.
Non poteva continuare così, ma resistette, doveva dominarlo. S’impose sull’irrefrenabile voglia di respirare, abbassò quindi il capo, inarcando la schiena.
Va tutto bene, puoi farcela.Si ripeté.
No. Non puoi Piccolo Ragno.Echeggiò nella sua mente la sua voce. La distrasse quel tanto che bastava per farle perdere la cognizione di se stessa: riempì i polmoni, inspirò, svuotandoli subito dopo in un urlo di rabbia, che s’infranse nelle claustrofobiche mura della sua camera.

Adesso il suo respiro era irregolare, il suo petto si alzava e abbassava sconnessamente, facendo si che molte ciocche ribelli si spargessero sul suo viso, ancora piegato verso il basso.
Che diavolo le stava succedendo? Anzi, non c’era niente che non andasse in lei: era stato quell’essere a farle un qualche incantesimo, non c’era altra spiegazione, no.
Si concesse alcuni istanti, giusto il tempo di regolarizzare il battito cardiaco, poi cercò tastoni il collo della bottiglia di vodka poggiata ai suoi piedi, portandola alla bocca e mandando giù un piccolo sorso. Tutto, anche l’incoscienza dovuta all’alcol pur di non averlo nella testa.
D’un tratto la sua attenzione fu catturata da dei passi fuori dalla porta.
Almeno i miei sensi sono rimasti invariati… pensò delusa, voltandosi verso l’uscio. I passi si fermarono, poi l’uomo bussò con sicurezza.
“Agente Romanoff?” la voce di Tony raggiunse ovattata le orecchie di Natasha, che si passò le mani sul volto, rimanendo in silenzio.
“Andiamo Piccola, lo so che ci sei!” continuò imperterrito. Ancora silenzio.
“Tasha, apri.” Disse con tono serio, decisamente insolito per lui. Allora la donna si alzò, piano, nascondendo la bottiglia sotto la branda e prendendosi qualche secondo per assumere un aspetto che non desse sospetti; poi si avvicinò alla porta, digitò il codice e l’aprì.
“Tony, che ci fai qui?” chiese sorridendo appena.
“Che ci faccio qui?!” ripeté sbalordito “Oh giusto, che dovrei farci qui? Dopo tutto non sei entrata nella cella del Cervo trapassandogli lo stomaco con un pugnale, il che è legittimo, e ti sei chiusa in camere senza dare spiegazioni, il che non lo è affatto!” Disse con quel suo solito fare da saccente. La ragazza roteò gli occhi e, sospirando, fece per chiudere la porta, che fu bloccata dal piede di Tony.
“Natasha, smettila. Voglio solo parlare.”
“Ti ha mandato Fury, tu non vuoi parlare, vuoi controllarmi! Digli che domani farò rapporto, non c’è bisogno che mandi delle spie.” Continuò allontanandosi verso il centro della stanza, massaggiandosi la nuca.
“Dovresti sapere che non sono una sua marionetta, non mi ha mandato lui. Lo Zio Stark voleva solo accertarsi delle condizioni della sua Nipotina!” disse scivolando dentro la camera appena prima che la porta automatica si chiudesse.  “mi hai salvato la vita un paio di volte, farti da consulente mi sembra il minimo…” allora si sedette sulla branda, guardandosi attorno nell’oscurità, facendole poi cenno di avvicinarsi.
“Non ho bisogno di un consulente, sto bene, ho solo perso il controllo…”
“E’ questo il problema, tu non perdi il controllo.” Le fece notare l’uomo.
“Lo so! Ma lui è così… così… Irritante! Si stava prendendo gioco di me!”
“Esattamente come stavi facendo tu, come fai ogni volta. È così che ci si sente, non è piacevole e il nostro piccolo Cervo te l’ha gentilmente fatto notare!”
“Non mettertici anche tu adesso! E’ il mio lavoro ingannare le persone, morirei se non lo facessi! E non è questo il punto.”
“Dimmi qual è allora, perché dalle telecamere si capiva solo questo: lui ti ha battuta e tu non l’hai presa bene.”
“Non è per questo che l’ho fatto! Non trapasso il ventre di tutti quelli che m’infastidiscono! Sennò saresti un colabrodo adesso…” si concesse quella piccola frecciatina, probabilmente per l’effetto dell’alcol; era russa, ma una bottiglia di vodka si fa sempre sentire.
“Quindi la domanda adesso è: a chi trapassi lo stomaco di solito?” disse Tony ignorandola completamente, a dispetto di quello che si poteva pensare, teneva molto a Natasha, e quello non era il momento di scherzare, non l’aveva mai visa così.
“Non lo so Tony! Io non lo so! E smettila di fare lo psicologo! Lasciami in pace!” gridò voltandosi contro la parete, avvicinandosi quel tanto che bastava per poggiarvi la fronte e chiudere un istante gli occhi. Ma fu costretta a riaprirli subito dopo, di nuovo queisuoi occhi chiari che la fissavano. Batté con violenza un pugno contro il muro, cercando in ogni modo di controllare il battito cardiaco e il ritmo del respiro, senza molto successo visto che Tony si alzò, avvicinandosi.
“Che ti succede?” chiese preoccupato, sorreggendola appena: sembrava sul punto di svenire.
“Non riesco a mandarlo via… nemmeno con la vodka… la vodka manda via tutto, sempre…” disse piano, lasciandosi andare, per la prima volta davvero.
“Chi?” chiese l’uomo, aiutandola a sedersi sulla branda al suo fianco. Possibile che non si fosse accorto subito che era una cosa davvero grave? Non aveva mai visto Natasha in quelle condizioni.
“Loki...” continuò lei, passandosi le mani sul viso. “Ogni volta che chiudo gli occhi, ogni volta… lui è lì… ci sono i suoi occhi, il suo sorriso, le sue mani gelide e il suo respiro…” spiegò lei, ma il tono della sua voce non era più arrabbiato, quanto piacevolmente rassegnato. La verità era che, se ci rifletteva bene, non la infastidiva poi molto, e questo la preoccupava sempre più.
“Se non ti conoscessi, direi che ti sei presa una cotta per lui, e che fai di tutto per non pensarci.” Azzardò l’uomo, protendendosi verso il suo volto, per scrutare ogni minima reazione.
“Non ho idea di cosa mi stia succedendo…” sussurrò.
“Cosa?!” sbraitò Tony, alzandosi dalla sponda del letto e cominciando a fare su e giù per la stanza. “Che diavolo ti è preso?!” chiese infuriato.
“Ma di che parli?”
“Di cosa parlo?! Come ti è venuto in mente di innamorarti di lui?!”
“Innamorarmi? Io non…”
“Ogni volta che qualcuno ti fa un’osservazione del genere tu rispondi che –L’amore è per i bambini.-!” disse mimandola goffamente. “Sei innamorata di lui! Da non credere!” concluse sconcertato.
Natasha ascoltò interdetta quelle parole, allora scattò in piedi a sua volta, bloccando il corpo di Tony contro la parete.
“Non dire cazzate. Io non sono innamorata di lui. È chiaro?” sibilò fra i denti.
“Come ti pare, ma se lo fossi, vattene.” Disse sereno, guardandola negli occhi. “Ti farà solo soffrire questa storia, ti metterà di fronte ad una scelta, e io non sarei in grado di farla.” Continuò piano, non più arrabbiato, ma pensando a lei e ai suoi interessi. “Senza contare, che metteresti a rischio tutta l’operazione.” Concluse cercando di dissimulare la nota di dolcezza con cui aveva parlato.
“Sta tranquillo Stark, non c’è alcun pericolo. Non credo che un mostro del genere possa essere amato, tantomeno da me. Adesso sparisci.” Disse poi allontanandosi, indispettita da quel suo modo di fare tanto opportunista ai suoi occhi.
In quell’istante una chiamata raggiunse l’auricolare di Tony che, ancora spalle al muro, ascoltò e asserì, interrompendo poi il collegamento.
Sul volto aveva un’espressione indecifrabile.
 
“Il Cervo immortale sta morendo.” Disse guardando Natasha negli occhi, che parve confusa.
“Come ho fatto a dimenticarlo… dannazione!” imprecò poi, precipitandosi fuori dalla stanza, seguita a ruota da Tony.
“Dove stai andando?!” chiese, continuando a seguirla. Lei non rispose, seguitò a camminare finché non raggiunse la sala di comando, fermandosi alle spalle di Fury.
“Comandante! Chiedo il permesso di vedere il prigioniero Loki, Signore.”
“Permesso negato Agente Romanoff.” Disse Nick, voltandosi lentamente. “è sospesa dal progetto Avengers a tempo indeterminato, non verrà più aggiornata sugli sviluppi e i suoi lasciapassare saranno limitati.”
“Signore, la sua decisione è legittima, ma il prigioniero è…”
“Gravemente avvelenato? Avevo intuito che la lama non fosse solo ben affilata quando ha iniziato a vomitare sangue.” La interruppe Fury. “può andare adesso.”
Natasha rimase ferma al suo posto, indecisa se insistere, o farsi da parte.
Dopo tutto che motivo aveva per voler alleviare le sofferenze di quell’essere così insignificante? Nessuno, non aveva nessun motivo per farlo. Eppure c’era qualcosa che la frenava dall’obbedire agli ordini del Comandante.
In quel momento, due guardie e un medico di bordo si affrettarono verso Nick, spostando di malagrazia Natasha e Tony, che aveva assistito al colloquio in silenzio.
“Comandante Fury! Il prigioniero rifiuta le nostre cure, dice di voler veder l’Agente Romanoff! La ferita non accenna a rimarginarsi, e perde molto sangue, dobbiamo agire, o lo perderemo!” disse l’uomo avvolto dal camice bianco. Nick si prese qualche istante, poi congedò i tre individui con un cenno del capo. Si voltò infine verso Natasha, che cercò di mascherare al meglio la latente soddisfazione di essere l’ultimo desiderio di Loki.
“Dimostrami che posso ancora fidarmi di te.” Disse l’uomo, fissando l’occhio scuro in quelli chiari e limpidi di lei.
“Agli ordini Comandante.” Asserì fiera, prima di voltarsi, salutare Tony con una rapida occhiata, e dirigersi immediatamente verso la capsula di vetro.
 
“Sei venuta…” rantolò piano Loki, curvo in canto della cella. Alzò poi il volto madido di sudore verso Natasha, con il solito sorriso beffardo a colorare il suo sguardo gelido.

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Capitolo 3
*** Visto da fuori deve avere un che d’ironico. ***


Mentre si affrettava per l’intricato labirinto di corridoi che costituivano l’immensa nave, Natasha si sorprese avvolta da un lieve senso di ansia misto ad impazienza, sensazioni quasi sconosciute per lei, provate raramente e per poche persone.
Che le stava succedendo? Loki era un nemico, il nemico, una divinità spietata mossa dai più infimi intenti…
I suoi occhi profondi e cangianti su di te, potenti di chissà quale magia, che racchiudono misteri arcani e dimenticati, occhi che danzano sul tuo corpo reso nudo da qualsiasi barriera tu possa erigere.
Si fermò nel bel mezzo di uno di quei corridoi, sorpresa di esser stata proprio lei a formulare un simile pensiero. Come poteva? Lei non voleva avere i suoi occhi sul suo corpo, non provava niente per quell’essere! Così restò alcuni istanti immobile, serrò le palpebre come aveva fatto poco prima nella sua camera, si concentrò, si ripeté che Loki era solo un prigioniero, un elemento di una missione non dissimile dalle altre, niente più.
Continuò così per qualche minuto, finché il suo sorriso scomparve del tutto dalla sua mente, seguito dal suo sguardo, e solo quando non rimase altro che vuoto si ritenne soddisfatta. Riprese quindi a camminare, questa volta piano, con passo misurato, calma e consapevole che niente, neppure Loki l’avrebbe potuta distrarre dalla sua unica priorità: portare a termine la missione Avengers.
 
Ancora un paio di corridoi, ecco che la porta automatica che portava alla capsula di sicurezza si parò di fronte a lei.
Una volta entrata, nel vedere la sagoma prona e scossa da violenti spasmi della divinità, un nuovo brivido le attraversò le membra, e le parve che la sua sola presenza in quell’ambiente lo rendesse più gelido.
Mosse alcuni passi verso il vetro, cercando in ogni modo di restare aggrappata alla sua nuova consapevolezza, concentrandosi sulle opache macchie di sangue sparse un po’ ovunque.
Poi, quando il silenzio fu brutalmente interrotto dai rantoli della divinità, Natasha racquistò la calma e la freddezza tipiche della sua persona.
“Mi hanno detto che ti mancavo.” rispose alle sue parole, con un’involontaria nota di appagamento nella voce, concedendosi inconsciamente alcuni istanti per osservare le condizioni del dio, che non sembravano poi così gravi, come le parole del medico di poco prima lasciavano intendere: non pareva diverso dal solito, seduto in un canto della cella. Era visibilmente affaticato, ma certo non pareva in fin di vita.
“Ti ho voluto qui solo perché sei più competente e più bella da vedere, rispetto a quello pseudo dottore che mi avete mandato…” sussurrò a fatica la divinità, inclinando appena il capo, ancora rivolto verso il pavimento.
“In effetti, hai ragione, non era gran che come medico, diceva che eri grave! in fin di vita! Io vedo solo che la mia tossina è abbastanza potente da impedire al tuo corpo immortale di rigenerarsi.”
“Oh, non prenderti tutto il merito! Non ricordavi neppure di aver intriso la lama di veleno…”
“E’ vero, ma devo anche ammettere che vederti così è piacevole… Peccato che non avrò molto tempo per godermi lo spettacolo! Un uomo sarebbe morto all’istante, non so quanto tempo ci metta su di te.”
“Non stare in pena per me, è solo una ferita ostinata, passerà.”
“Non lo farà. La cosa bella di quel veleno è che non svanisce, s’insinua fra le altre cellule e le colonizza, è un parassita, che prolifera finché non resta più niente del corpo ospitante.” Disse Natasha con distacco.
“Allora immagino che ti divertirai ad osservare la mia persona decomporsi...”
“Sarebbe davvero divertente, ma non posso farlo, non posso lasciarti morire.”
“Sentiresti la mia mancanza…” affermò in un sussurro, che parve quasi annoiato.
“Sentirei la mancanza delle informazioni che puoi fornirmi.”
“Fredda e impenetrabile come sempre!” proruppe Loki in una risata nervosa, un gesto volto a sommergere il dolore lancinante che, dal ventre, si diffondeva in ogni fibra del suo corpo. Finalmente, mostrò per intero il suo viso a Natasha: due occhi cerchiati che non rendevano affatto giustizia al meraviglioso colore delle pupille, una pelle diafana e imperlata di sudore, più bianca e tesa del solito.
Poi, improvvisamente, quel sorriso di copertura mutò in una smorfia. Una fitta più forte al petto lo costrinse in ginocchio e, subito dopo, alcuni violenti colpi di tosse gli scossero le membra e le forze gli mancarono, obbligandolo a piegarsi al suolo e inarcare la schiena nel tentativo di respirare. Qualcosa gli ostruiva la gola, pochi spasmi ancora e un fiotto di sangue fuoriuscì dalle sue labbra pallide, macchiando il pavimento bianco della cella.
Tossì di nuovo, e vomitò altro sangue, che andò ad allargare la chiazza vermiglia sotto di lui.
 
Natasha era bloccata, fissava il suo corpo contorcersi e s’imponeva di ignorarlo e trattarlo come qualsiasi altro prigioniero; ma dentro di se, una voce gridava: Fallo smettere, morirà! Va da lui! Sei una codarda! Aiutalo Natasha, ha bisogno di te!
Ma niente, non accennava a muoversi, si era ripromessa di reprimere qualsiasi cosa provasse per lui, e se necessario l’avrebbe guardato morire! 
Non sei un mostro, se è come tutti gli altri non puoi lasciare che muoia! Entra in quella dannata cella e sedalo!
In quel momento, mentre lei cercava di conciliare testa e cuore, gli spasmi che squassavano il dio si placarono. Solo quando riuscì a respirare con regolarità, sollevò il volto verso di lei, mostrando un rivo rossastro al di sotto delle labbra, e alcune ciocche scure sporche di sangue che si muovevano al ritmo del suo respiro sul suo volto, imbrattandolo qua e la di segni vermigli. Poi la sua bocca si allargò in un sorriso compiaciuto, che parve accusare Natasha delle sue sofferenze.
“Visto da fuori deve avere un che d’ironico: l’angelo che gioca a fare la dura e l’immortale che vomita sangue!” disse con voce impastata, scrutando il bellissimo viso della donna, gioendo dell’impercettibile moto di stizza che l’attraversò, facendo vibrare solo alcune ciocche che incorniciavano quel suo delizioso broncio da bambina.
Curioso di sentire la sua risposta tagliente, s’issò in ginocchio, pulendo volgarmente con il dorso della mano il rivo di sangue che gli macchiava le labbra.
Natasha però non rispose alla sua provocazione, quel sorrisetto aveva cancellato ogni traccia di pietà nei suoi confronti, almeno per il momento. Così premette una falange sull’auricolare, voltandosi e dirigendosi al pannello di comando della sala.
“Mandate un’equipe di medici.” Disse piano, in modo che il dio non la sentisse, poi, come la prima volta, chiuse le porte e aprì quella in vetro della cella.
Quando si fu voltata, Loki era ancora in ginocchio, con il capo inclinato di lato, un’espressione perplessa e curiosa dipinta sul viso, incapace di alzarsi, probabilmente troppo debole per farlo.
Varcò la soglia con indifferenza e, quando fu ad un passo dal corpo della divinità, s’inginocchiò a sua volta, incurante del sangue che le macchiava le gambe; dopo trafficò alcuni istanti con la sua cintura, estraendo infine un’anonima siringa.
“Il veleno va fermato, l’emorragia di prima è un chiaro segnale che la tossina si sta diffondendo, danneggiando i tessuti. E non m’importa che tu sia immortale o meno, questo bloccherà i sintomi.” Disse con sguardo clinico ad una distanza irrisoria da lui.
Incredibile quanta forza d’animo albergasse in lei: poco prima avrebbe perso la testa, adesso invece, il suo orgoglio aveva la meglio su tutto, persino su di lui e su quegli strani sentimenti che provava nei suoi confronti.
“Ammettilo che ti annoieresti a morte senza di me…” sussurrò divertito.
“A me sembra il contrario…” rispose con indifferenza, avvicinandosi ancora a lui e, facendogli inclinare il capo sgraziatamente, iniziò a cercare un punto preciso sul suo collo, poco al di sotto del lobo destro. Come risposta ebbe solo una sommessa risata, volta a non disturbare il suo lavoro.
“Farà male, stringi qualcosa fra le mani, o ti perforerai da solo i palmi.” Disse Natasha, poggiando la punta dell’ago sulla sua pelle sottile, attendendo che desse ascolto al suo avvertimento.
“Non ho paura del dolore.” Rispose lui, sprezzante.
“Come ti pare. Prendi un bel respiro…” a quelle parole obbedì e, non appena l’ebbe fatto, la donna spinse la siringa in profondità, liberando nell’organismo del dio il suo contenuto.
In quel medesimo istante, Loki svuotò i suoi polmoni in un grido sordo, serrando una mano sul polso di Natasha e sbattendo l’altra con violenza contro il vetro, incrinandolo.
 
Solo il respiro sconnesso della divinità riempiva la sala.
Natasha era rimasta immobile, sorreggendolo in preda al lancinante dolore dell’acido che gli aveva iniettato.
Quando Loki si allontanò da lei, allentando la presa sul suo polso, si accorse di avere le falangi imbrattate di sangue. Così spostò lo sguardo dal viso di lei alle macchie violacee che adesso le coloravano la pelle, mormorando un – mi dispiace -. Al che Natasha si alzò e, ignorando le fitte, si diresse verso l’uscita della sala, aprendone le porta dal pannello principale.
Una dozzina fra agenti e medici erano accalcati all’entrata, la donna si fece largo fra loro, facendo cenno a una di loro di avvicinarsi.
“E’ sedato, il veleno rimarrà inattivo fin quando non si risveglierà. Dovete metterlo in coma farmacologico, e in una fisiologica diluite questo.” Disse Natasha a un’infermiera, affidandole la boccetta di antidoto e proseguendo oltre, massaggiandosi distrattamente il polso.
 
 “Agente Romanoff, la sua deroga è revocata.” Nick Fury si voltò verso la donna, accerchiata dagli altri componenti della squadra. “Adesso potete andare, fin quando la nostra divinità non si risveglia, siete in vacanza. Godetevi la nave finché potete, ho come la sensazione che i guai cominceranno presto…” concluse il comandante, voltandosi di nuovo.
 
Era già calata la notte quando Natasha si avviò con gli altri verso le camere, avevano fatto esattamente come aveva consigliato Fury: un lungo giro per i piani della nave.
Si erano divertiti tutti, la tensione della missione si era notevolmente abbassata, e anche Natasha era riuscita a dimenticare l’intenso dolore al polso e la sua causa.
Ma quando si furono salutati, e rimase sola nella sua camera, il peso degli eventi di quella giornata tornò a pesare su di lei.
Quella notte non dormì, rimase seduta sulla sua branda, a gambe incrociate, con lo sguardo rivolto verso la parete opposta, illuminata solo dalla luce della luna.
 
Quando Natasha si era allontanata dalla sala della cella, Loki iniziò a sentire l’effetto del sedativo: tutti quei medici che si affannavano su di lui, che lo assicuravano ad una barella, che gli controllavano il battito cardiaco e che lo trasportavano attraverso i corridoi della nave. Tutto aveva un aspetto indefinito. L’ultimo ricordo che aveva era il soffitto grigiastro della sua camera, il rumore intermittente degli apparecchi medici, il fastidio al palmo della mano dovuto alla flebo.
Poi tutto perse di consistenza, e nel buio del coma, Natasha regnava sovrana...

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Capitolo 4
*** Sto vivendo la mia svolta, tu sei qui. ***


Natasha sedeva sulla sua branda, lo sguardo perso nel vuoto, alla ricerca di chissà quale pensiero dimenticato. Il suo viso era illuminato dalla tenue luce lunare, che donava ombre pallide e bluastre alla piccola stanza.
Fu dopo mille piccoli ricordi che giunse a Clint. Già, Clint. Non lo vedeva da molto ormai, da quando aveva tradito. Le mancava forse, non avrebbe saputo dirlo.
I pochi romanzi rosa che aveva letto nella sua vita erano carichi di pagine con riflessioni sull’amore lontano, sulla sofferenza che provava la protagonista a non averlo vicino…
Con lei non funzionava così, o almeno non aveva ancora mai provato niente di simile: Clint era chissà dove da quasi 3 settimane, e l’idea che fosse lontano non l’aveva più sfiorata da quando era cominciato quello strano gioco fra lei e Loki.
Un tempo aveva anche pensato di amarlo. L’Agente Burton aveva sempre avuto un fascino particolare su di lei, da Budapest non si erano separati per una sola missione, dove c’era Occhio di Falco c’era Vedova Nera, li legava un patto, e Natasha aveva creduto più di una volta che fosse amore. Con il tempo aveva imparato che era solo per i bambini, e quella era l’ennesima prova che, per Clint, non aveva mai provato niente di serio, se non affetto e riconoscenza.
 
Adesso aveva smesso di porsi il problema di come fosse legittimo manifestare la mancanza di una persona cara. Aveva nostalgia dei loro piccoli momenti e basta, non c’era un modo preciso e universale per dimostrarlo, e avrebbe fatto passi falsi per salvarlo.
Magari un giorno, dopo la battaglia, sarebbero tornati a Budapest insieme…
“Ti manca molto?” la voce di Loki invase in un istante la mente di Natasha, che si voltò di scatto verso la porta, riconoscendo nell’ombra della notte il profilo della divinità, poggiata allo stipite con le braccia conserte.
“Sparisci.” Ringhiò la donna, alzandosi in piedi e impugnando la semiautomatica che teneva sempre ben assicurata alla coscia. La puntò verso di lui per alcuni istanti, poi cercò di interpretare il sorrisetto fastidioso che colorava le sue labbra, e allora abbassò l’arma sbuffando. “Non sei veramente qui, giusto?” chiese rinfoderando la pistola con aria annoiata.
“Sono una mia proiezione. Una sorta di spirito, ma tangibile, puoi vedermi e sentirmi.” Spiegò sorridendo, uscendo dalla penombra e lasciando che la luce della luna illuminasse i suoi tratti delicati. “E’ una magia che comporta un dispendio notevole di forze, nelle mie condizioni è difficile mantenerla a lungo. E tutto per venire da te!”
“Vuoi un applauso?” Disse sarcastica la donna, dandogli le spalle con indifferenza e avvicinandosi alla finestra.
“In effetti, sarebbe carino da parte tua…” sussurrò sul suo collo Loki, che si era materializzato dietro di lei, cingendole la vita con le braccia. Natasha sussultò, ma non si mosse, e si maledì mille volte per quello: possibile che bastasse così poco per farle perdere la testa?!
Quello Jötunnl’avrebbe fatta impazzire…
“Che diavolo stai facendo?!” provò timidamente a difendersi.
“Cerco solo di rimediare a uno sbaglio…” disse facendo scivolare le mani sul suo addome, sui suoi fianchi, fino ad incontrare il polso ferito, stretto inconsciamente poco sopra l’utero.
Ne cinse il profilo delicatamente, coprendo i segni violacei con le dita affusolate, poi strinse leggermente, senza causarle ulteriore fastidio, e un freddo intenso si diffuse sulla pelle della donna. “Sarò anche il Dio delle Malefatte, ma so essere buono quando voglio.” Sussurrò ancora, sporgendosi da dietro le sue spalle per osservare l’effetto sortito dalle sue parole.
Natasha sorrise, ma non volendogli concedere anche quella piccola vittoria, abbassò il volto, coprendolo senza molto successo con alcune ciocche rosse; ne approfittò comunque per osservare la colorazione bluastra della sua mano, le piccole cicatrici più scure che la costellavano, e il gradevole effetto sul suo polso dolorante. Sorrise di nuovo, questa volta senza curarsi del dio.
“Se la tua proiezione è così gentile, la preferisco di gran lunga all’originale.” Osservò alzando un sopracciglio, continuando a fissare gli effetti del suo palmo azzurrino; poi si voltò, quasi senza pensare, verso il suo viso, ritrovandosi a pochi centimetri dalle sue labbra.
Stranamente, nessuna nuova sensazione l’avvolse, nessun imbarazzo o malizia, semplicemente si divertì a studiarne i piccoli dettagli: le impercettibili pagliuzze fulve nelle pupille, la pelle tanto liscia da sembrare finissima porcellana, il taglio della bocca…
Il dio si limitò a sorridere candidamente, studiando a propria volta i tratti dolci e sereni del suo volto, constatando che quella fu la prima volta dal loro incontro in cui la vedeva rilassata, senza quella barriera che usava porre di fronte a se con chiunque le stesse vicino.  
Anche per lui c’era solo curiosità, un interesse rivolto alle nuove sensazioni che provava in sua presenza, non era amore, quanto più attrazione reciproca: tal volte fisica, tal volte psichica.
 
Qualche istante dopo distolse lo sguardo dal taglio dei suoi occhi, controllando minuziosamente l’operato della sua magia, poi sciolse la presa dal polso di Natasha, lasciando che la sua mano riassumesse la colorazione originaria.
“Ecco fatto, domani non avrai più niente.” disse soddisfatto prima di voltarsi e avviarsi verso il centro della stanza, pronto a svanire nel nulla.
“Com’è?” chiese piano Natasha, continuando a fissare il disco lunare sorto da poco.
“Cosa?”
“Essere uno Jötunn. Senti mai freddo?” Fece lei semplicemente, come se fosse una domanda normale da porre. Poi se ne rese conto e, voltandosi, si massaggiò la nuca leggermente imbarazzata. “Se non vuoi parlarne con me lo capisco, non fa niente. Era solo curiosità.” Loki reagì dapprima con uno sguardo perplesso, poi sorrise, alzando lo sguardo al celo, come se lì cercasse le parole giuste per rispondere alla sua domanda.
“I Giganti del Ghiaccio non avvertono freddo, nascono nel gelo e ne diventano parte. Io sono uno di loro, ma sono anche un Asgardiano. Mi è capitato alcune volte, quando da Jötunn assumo la mia forma normale, questa forma. Ma dura pochi secondi, giusto il tempo che il mio corpo si abitui, poi non sento più niente, non avverto freddo. Quindi non c’è una risposta precisa alla tua domanda.” Concluse Loki, guardandola negli occhi e alzando le spalle in segno di scuse. Sebbene non avesse esitato, era convinto che dalle sue parole fosse trapelata ugualmente la difficolta con cui affrontava le sue origini, fine e principio del suo rancore e delle sue scelte. “Perché me lo hai chiesto?” disse sorridendo.
“Non lo so… Forse perché credo sia una delle sensazioni più belle che abbia mai provato. Il freddo che brucia la pelle è un fenomeno strano, ma mi è sempre piaciuto. Quando ero russa, amavo sedermi nella neve che copriva il grande giardino della villa di mio padre, e stavo lì finché non sentivo nient’altro che la pelle bruciare.” Rispose la donna, ricordandosi solo dopo che stava parlando con un suo nemico e che, la prima regola di un Agente S.H.I.E.L.D., è di non rivelare mai dettagli sul proprio passato… Eppure, quella notte sembrava aver mutato il Loki che aveva imparato a conoscere, trasformandolo in una persona degna della sua fiducia.
“Quando ero piccolo anch’io amavo la neve, ad Asgard è sempre stata un evento. Ho cominciato ad odiarla solo poco tempo fa…”
“Perché?” 
“La neve è la casa degli Jötunheim, mio padre è il loro re, e mi ha abbandonato su un altare di ghiaccio creato da lui, quando ero ancora in fasce. Ho i miei buoni motivi, non credi?”
“Tu sei uno Jötunn, sei come la neve: freddo e glaciale. Eppure guarda, sei venuto qua solo per darmi un po’ di sollievo. Non sei come tuo padre, non puoi odiare te stesso.”
“Credimi, posso.” Sussurrò appena.
“Trasformati.”  Disse piano Natasha, avvicinandosi di qualche passo a lui, che rispose scuotendo appena il capo, sorridendo, divertito dalla sua curiosità e dall’innocenza con cui trattava certi argomenti.
“Non prendiamoci tutte queste confidenze Agente. Dobbiamo mantenere le distanze.” Affermò la divinità con tono scherzosamente autoritario.
“Ah, ho capito! Già sei bruttino così, se diventi una pastiglia di viagra ambulante saresti ancora peggio! Forse hai ragione, meglio se non lo fai…” continuò Natasha nel tentativo di provocarlo.
“Ehi! ne ho visti di Jötunn, e io sono di gran lunga il più attraente di tutti!”
Asgardiano o no, è orgoglioso come ogni uomo. Pensò divertita, incrociando le braccia al petto con espressione piacevolmente annoiata.
“E va bene Terrestre, l’hai voluto tu.” Disse Loki, prima di chiudere appena le palpebre, concentrarsi e lasciare che il suo corpo assumesse la tipica colorazione dei Gigante di Ghiaccio. “Eccoti servita.” Sussurrò facendo un veloce inchino.
Natasha rimase immobile, cercando di assimilare ogni dettaglio del suo nuovo aspetto.
Si avvicinò a lui, tanto da poter sentire il suo respiro gelido sul viso, ma non si lasciò distrarre, era attratta dalla miriade di cicatrice che costellavano la sua pelle, sembravano dirle qualcosa in una lingua sconosciuta, che lei non riusciva a comprendere.
“Queste cosa sono?” chiese indicandone alcune che si arrampicavano sul collo.
“Inizio a sentirmi una cavia Agente Romanoff!” Disse ridendo, poi cercò di darsi un contegno, tornando serio. “Le cicatrici? Nessuno sa bene cosa rappresentino, ma da quello che dicono le leggende, sono il destino di colui che le possiede. Ogni Jötunn alla nascita non le ha, poi viene lasciato per una notte nel tempio più importante di Utgard, e la mattina dopo ne è ricoperto. Dicono che gli Dei imprimano sulla pelle la nostra vita, ma pare che solo sui Giganti di Ghiaccio rimanga traccia di questa pratica. Io non ci credo, ma sto iniziando a cambiare opinione.” Spiegò Loki, osservando incuriosito lo sguardo della donna, che correva veloce sulle porzioni scoperte del suo corpo.
“Cosa ti sta facendo cambiare idea?” Natasha era un fiume di domande quella sera, ma la verità era che adorava sentirlo parlare del suo passato, glielo faceva vedere più umano, sembrava addolcirsi ad ogni suo quesito.
“So che non si vede bene adesso, ma c’è un’unica cicatrice che non si spezza mai, che corre lungo tutto il mio corpo, questa.” Disse indicandone una sul suo braccio. “gli anziani dicono che quella è la linea della vita, e tutti quei simboli che la circondano sono gli eventi e le possibili scelte che posso prendere. Secondo alcuni studi, la cicatrice principale inizia dall’ombelico, e da lì risale, fino a fare un giro completo. Dei pochi simboli che sono riusciti ad interpretare, ce n’è uno che rappresenta una svolta, un evento importante, qualcosa di bello, che poi accompagnerà la cicatrice della vita fino a compiere il giro completo. Ovviamente quando questa ritorna al punto di partenza, l’essere muore. Ad ogni modo, ho letto che ogni anno si avanza di una falange, quindi, io dovrei essere più o meno all’altezza del cuore, e lì c’è quel simbolo di cui ti parlavo, l’unico in tutto il mio corpo…” concluse Loki, osservando compiaciuto gli occhi di Natasha, che avevano seguito il suo racconto dalla sua pelle, adesso fissavano una zona imprecisa attorno al cuore. Poi parve riscuotersi, alzando il viso verso di lui.
“E quindi?” chiese impaziente.
“E quindi sto vivendo il mio evento, la mia svolta. E credo che sia vero. Tu sei qui.” Disse con semplicità.

Natasha non assimilò subito le sue parole, cercò in ogni modo di trovarvi un’altra interpretazione, ma Loki intendeva proprio quello che aveva detto, e lei, come una stupida, non disse niente, finse di non capire.
Allora la divinità sorrise, si allontanò di qualche passo da lei e sparì lentamente, senza aggiungere una parola, lasciandola sola nella sua stanza. 

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Capitolo 5
*** Cos'è che vuoi di più al mondo? ***


Le parole della divinità echeggiavano nella mente di Natasha, ancora in piedi, al centro della camera.
L’avevano colpita come un fulmine a ciel sereno e, nonostante desiderasse nel profondo di sentirle, la lasciarono comunque interdetta.
Erano passati cinque minuti buoni, e lei non si era ancora mossa: persa fra fugaci sorrisi, degni di un’adolescente, e tutte le possibili decisioni da prendere.
Era confusa, spaesata, felice. Felice come una bambina, che sbirciando sotto le fronde dell’albero di natale, riconosceva il profilo del giocattolo che aspettava da tempo.
Ma non era più una bimba, c’erano delle conseguenze, soprattutto per lei, Vedova Nera, un’Agente dello S.H.I.E.L.D.. Non poteva gioire di un nemico che la considerava come la sua unica svolta, quel genere di cose annebbia la mente e non fa ragionare con lucidità, non poteva assolutamente permetterselo, tantomeno con un avversario della levatura di Loki.
Però, quella sera, non le era sembrato affatto un nemico, al contrario: nonostante fosse costretto a letto dal coma era andato da lei, l’aveva curata, aveva accolto ogni sua domanda senza chiedere spiegazioni, si era prestato alle sue provocazioni… tutte cose che ci si aspetterebbe da un amico.
Piantala di dire idiozie! Loki non è un amico, è qui per distruggere la razza umana, è un ragazzino capriccioso con un potere illimitato fra le mani!
La sua coscienza, quella piccola parte razionale di lei, continuava a gridarle frasi di quel tipo, ma non riusciva proprio a dimenticare le sue parole… come avrebbe potuto? Quando le aveva pronunciate le era sembrato così sereno, per la prima volta aveva visto sparire quell’alone di tristezza dai suoi occhi.
No, non stava mentendo. Quella volta, il dio degli inganni era stato sincero. Lo sentiva, e sebbene sapesse che fosse sbagliato ciò che stava per fare, ignorò la vocina razionale nella sua testa e, preso un bel respiro, uscì silenziosamente dalla camera.
 
Tutte le guardie del piano erano ridicolmente appisolate e, per Natasha, fu uno scherzo raggiungere indisturbata l’ala adibita ad infermeria.
Disattivò la porta principale, entrò e la richiuse dietro di se, riattivandola subito dopo: un piccolo espediente per non figurare negli archivi della nave, che registrava ogni persona che passasse da una delle soglie automatiche.
Poi proseguì scivolando lungo il corridoio principale e, quando raggiunse la stanza in fondo, quella per i prigionieri, si affacciò al vetro opacizzato, osservando per qualche secondo l’inconfondibile silhouette del dio, immobile nel suo letto, circondato da macchinari di ogni tipo e avvolto da fili e piccoli tubi.
Rimase lì per una manciata di minuti, in piedi di fronte alla sua ombra, di notte, senza temere che qualcuno la potesse scoprire. D’altronde non stava facendo niente di male, almeno per il momento, visto che, dopo poco, la voglia sorda di entrare nella camera iniziò a farsi strada nella sua mente.
Quel dio da strapazzo era capace di manipolarla anche stretto nella morsa del coma.
No, non pensarci neppure, non entrerai lì dentro. Scordatelo, non puoi farlo, è proibito.    
 Ancora la sua coscienza, troppo coscienziosa per i suoi gusti. Quindi, dopo essersi guardata le spalle, eseguì la stessa manovra di poco prima sulla porta, la disattivò e la richiuse dietro di se.
 
Prima di voltarsi, restò alcuni istanti immobile, divertendosi ad isolare il respiro sottile del dio dal suono intermittente delle macchine a cui era collegato. Ci riuscì quasi subito e, soddisfatta della sua piccola vittoria, si girò, avvicinandosi al letto.
Natasha temporeggiò ancora, si sentiva colpevole di un qualche grave reato, solo per il fatto di essere lì dentro senza alcun ordine; raccolse la cartella clinica della divinità, vi diede una breve occhiata, assicurandosi che tutto procedesse al meglio: la ferita si era completamente rigenerata, il veleno era stato estirpato. Adesso doveva solo smaltire il coma e, vista la sua velocità di recupero, sarebbe accaduto molto presto.
Finalmente, la donna sentì di potersi avvicinare a lui, assicurato alla struttura della branda con polsi e caviglie legati; poi prese uno sgabello da un angolo della stanza e si sedette accanto alla sponda del letto.
Si concesse alcuni istanti per osservare il suo volto, poi il suo sguardo fu catturato dai lacci che lo tenevano obbligato in quella scomoda posizione.
E’ escluso! Questa sera hai violato almeno 34 regole fondamentali! Non puoi farlo!
Questa volta non attese che la vocina finisse di dibattersi nella sua testa. Si protese in avanti, slacciando una ad una le costrizioni che opprimevano il dio.
Non temeva che potesse risvegliarsi ed evadere, anche se ci avesse provato, era chiuso in una capsula d’acciaio a kilometri e kilometri da terra, non avrebbe avuto chance.
In più, forse ingenuamente, si fidava di lui.
Appena fu libero, Loki si stirò appena, segno che l’effetto dei farmaci stava svanendo, poi si voltò verso Natasha, in cerca di una posizione più comoda.
Adesso che era girato verso di lei, con la bocca socchiusa e l’espressione beata del sonno, la faceva sorridere, era divertente! Così appoggiò il mento sul materasso, e riprese ad osservare il suo viso.
Quant’è bello… pensò senza pudore. Sapeva di andare contro ogni regola, ma la cosa si fermava lì, si fermava nella sua mente, non sarebbe andata oltre.
Restò lì, ferma, a contemplare ogni piccolo dettaglio di lui, finché morfeo non l’abbracciò senza preavviso, trascinandola in un buio denso e instabile.
 
Passò circa un’ora prima che l’orologio biologico di Natasha le ricordasse, nel sonno, di doversi svegliare. Per questo dilatò i polmoni, stiracchiandosi impercettibilmente sulla porzione di materasso a cui era appoggiata. Solo dopo alcuni secondi riacquistò il totale controllo di ogni sua terminazione nervosa, e fu allora che avvertì una mano fredda accogliere la sua dolcemente.
Spalancò gli occhi, trovandosi a pochi centimetri da quelli liquidi di Loki, che sorrideva enigmatico.
La donna non ebbe neppure il tempo di rendersene conto, il dio serrò le dita sulle sue, strattonandola all’improvviso, con una forza di cui non l’avrebbe ritenuto capace, fino a costringerla sopra il suo corpo.
Adesso era ad una distanza irrisoria dalle sue labbra: poteva sentire il suo respiro gelido carezzarle la pelle, e quei suoi occhi, così profondi e chiari, pieni di una sicurezza che lei aveva perso non appena li ebbe incontrati.
“Ti ho preso piccolo ragno…” Sussurrò sulle sue labbra.
“Che cercando di fare?” chiese piano Natasha, cercando una risposta sincera, una che non veniva solo dalla sua labbra.
“Ciò che vuoi che io faccia. Puoi avere qualsiasi cosa, devi solo chiedere. Cos’è che vuoi di più al mondo? Chiedilo Natasha, e sarà tuo, qualsiasi cosa.” Rispose Loki, allentando la presa sulla sua mano, lasciandola libera di scegliere, lasciandola libera di correre il più lontano possibile, prima che fosse stato tardi.
“Non posso chiederti ciò che voglio. Andrebbe contro ogni morale.” Disse la donna abbassando lo sguardo, lasciando poi scivolar via la sua mano dalle sue dita, alzandosi e allontanandosi dalla sponda del letto, quasi timorosa di cambiare idea.
La divinità la seguì, sedendosi sul materasso e iniziando a staccare una ad uno i sensori che ricoprivano il suo petto. Per ultima estrasse la flebo, e solo allora si permise di guardare gli occhi di Natasha, ancora in piedi al centro della stanza, incapace di muoversi.
“Hai fatto bene piccolo ragno, è pericoloso invischiarsi nelle ragnatele altrui. Dopotutto, la mia era una speranza inutile: chi sarebbe tanto sadico da volere il Dio del Caos?” disse sorridendo mestamente.
“Mi hai chiesto ciò che volevo più al mondo, io non avrei chiesto il Dio del Caos, non è ciò che voglio.”
“Già! Tu vuoi Clint! Un altro motivo per considerare stupida la mia domanda.”
“Non è ciò che voglio.” Ripeté la donna, tornando a fissare le sue pupille cangianti.
“E cos’è che vuoi, Agente Romanoff?” chiese confuso, poggiando le spalle nude contro la parete adiacente.
“Non avrei chiesto il Dio delle Malefatte… Avrei chiesto te.”
“Se non ti fosse chiaro, io sono il Dio delle Malefatte.” Fece lui arrogante, più arrabbiato con se stesso che con lei.
“Non con me.” Sussurrò la donna, avvicinandosi.
“Non con te?! Chi ti credi di essere dannata vulvetta?!” sputò Loki furioso, scattando in piedi e sovrastando la donna.
“La tua svolta.” Disse Natasha con sicurezza, lasciando che sfogasse tutta la sua rabbia.
“E credi che questo m’impedirà di distruggerti?!”
“Non vuoi distruggermi.”
“Mi stai mettendo alla prova?” Ringhiò fra i denti, spingendola contro la parete opposta.
“Non mi farai del male.” In risposta alle sue parole e al suo sguardo, che aveva assunto una convinzione e una calma estrema, Loki serrò la presa sulle sue spalle, graffiandole la pelle al di sotto della tuta. “Non ho paura di te. Non mi farai del male.” La divinità strinse ancora, il volto contratto da una rabbia cieca: verso se stesso, verso ciò che quell’insignificante ragnetto gli stava facendo fare.
A Natasha mancò il fiato quando le sue unghie penetrarono la stoffa, lambendo la sua carne, ma non si mosse, continuò a fissare gli occhi chiari di lui, dai quali, gradualmente, la rabbia sfumò, lasciando il posto al disgusto per se stesso.
Piano, anche la presa sulle sue spalle si allentò, fin quando il dio non si allontanò di un passo da lei.
“Vattene.” Disse piano, con il viso rivolto verso il basso e le braccia abbandonate lungo il corpo.
 
Natasha rimase immobile, cercando lo sguardo del dio al di sotto di alcune ciocche ribelli, poi si avvicinò, ignorando le sue parole.
Non aveva paura, non se ne sarebbe andata.
Adesso le era chiaro: per quando andasse contro ogni etica, aveva bisogno di lui, ne aveva bisogno in quel preciso istante, più di ogni altra cosa al mondo.
 
Estinse quella nuova distanza fra loro, circondò il volto di Loki con le mani e, allungandosi sulle punte, raggiunse le sue labbra, sfiorandole appena con le sue, in un bacio lento e innocente, che racchiudeva la paura delle conseguenze e l’insensata voglia di lui.

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Capitolo 6
*** Il loro profumo. ***


Poteva sentire la morbidezza delle sue labbra, il respiro irregolare dovuto allo sforzo improvviso, la pelle gelida sotto le sue mani, alcune ciocche di capelli corvini solleticarle il viso.
Teneva gli occhi serrati, e assaporava ogni secondo di quel contatto come fosse l’ultimo, così finché non sentì di doversi allontanare, solo per un istante, per verificare l’effetto che aveva avuto su di lui.
Natasha dischiuse le palpebre e poggiò la fronte sulla sua, immergendosi nei suoi occhi chiari senza dire una parola.
“Era così evidente che non volevo che te ne andassi? “ sussurrò lui sorridendo mestamente, adesso più di prima sentiva il peso di ciò che aveva fatto: gli succedeva spesso di avere degli scatti d’ira, ma non riusciva a perdonarsi di aver ferito proprio lei, lei che nonostante tutto era ancora lì.
“Giusto un po’…” rispose piano la donna, spingendo dolcemente contro la sua fronte.
Loki rise piano, facendo scorrere i palmi gelati sulle sue braccia, fino a raggiungere le mani, che ancora gli incorniciavano il volto.
“Il fatto che lo voglia, non implica che tu debba rimanere. Dovresti andartene Natasha.” Disse seriamente, staccando con delicatezza le sue mani. Era la seconda occasione che le dava, e sperava con tutto il cuore che gli desse ascolto. Non voleva farle del male, ma se fosse rimasta, sarebbe stato obbligato.
“Non ne ho la minima intenzione.” fece la donna, intrecciando le loro dita delicatamente, avvicinandosi di nuovo al suo viso. Era stanca sopprimere ciò che provava, l’aveva fatto per una vita, ma con lui, anche volendo, non ci sarebbe riuscita.
“Ci saranno delle conseguenze, ricordati chi sono…” soffiò la divinità sulle sue labbra, cercando in ogni modo di spaventarla e spingerla ad andarsene.
“Tu sei Loki, e non m’importa delle conseguenze… ho bisogno di te.”
A quelle parole, il dio chiuse un istante le palpebre: tentava in ogni modo di salvarla, ma a lei sembrava non importare e, la verità, era che anche per lui era difficile resisterle.
Così riaprì gli occhi e si sporse verso il suo viso, catturandola in un bacio lascivo che tolse il fiato a entrambi.
 
Natasha fu travolta da lui, dal suo profumo, dalle sue labbra, dal suo sapore. Le parve di rinascere, di tornare a nuova vita e di rigenerarsi. E si nutrì dei suoi baci come dopo un lungo digiuno, ed esplorò ogni angolo della sua bocca, concentrandosi solo sul gusto fresco e dolciastro che le lasciava sulla lingua.
Ugualmente, il dio godé di ogni istante, circondando la vita della donna e premendola contro di se. Prima di quel momento non si era reso conto del bisogno viscerale che aveva di lei, di sentirla sua, di sentirla con se e per se.
Dopo una manciata di secondi, la spinse di nuovo contro la parete, sovrastandola e lasciando che le sue dita nervose esplorassero le sue forme dolci e sinuose. Avvertiva il suo corpo fremere sotto il tessuto dell’uniforme e, in quel momento, promise a se stesso che avrebbe fatto qualunque cosa per compiacerla.
Così spostò alcune ciocche di capelli rossi dal suo collo sottile, baciandolo e mordendolo, gioendo di ogni suo brivido. E quando si ritenne soddisfatto, si allontanò quel tanto che bastava per incontrare di nuovo le sue labbra.
Poi scese: mento, giugulare, petto… fino a raggiungere il bordo del tessuto, che aprì gradualmente, facendo scendere la lunga cerniera e lasciando piccoli morsi sulla pelle che veniva scoperta.
La donna seguì i suoi movimenti, all’inizio stupendosi della maestria e la sicurezza che nascondevano, poi abbandonandosi completamente alla sua abilità.
Poggiò le mani sulla sua nuca, guidandolo per tutta la lunghezza del suo busto, fremendo ad ogni centimetro che veniva consumato via via che scendeva.
Ma Loki risalì lentamente, senza indugiare sul suo basso ventre o sul profilo dei suoi seni, semplicemente raggiunse la sua bocca dischiusa, sfiorandola appena, quasi cercando di distrarla mentre la sollevava da terra.
Quando Natasha incrociò le gambe dietro la sua schiena, la divinità si avvicinò al letto facendola stendere e, scivolando sul suo torace nudo, raggiunse di nuovo le labbra carnose, baciandole con dolcezza.
Per entrambi quella era una cosa nuova: l’Agente Romanoff non era abituata a quel tipo di sesso, quello dolce, quello che, ben presto, avrebbe voluto non finisse mai; e lo stesso era per la divinità, che aveva sempre sedotto con l’impeto della passione.
 
La donna sfiorò il suo viso, lasciandosi avvolgere da lui e dalle sue mani, che con estrema gentilezza, si facevano largo fra la pelle e il cotone dei suoi slip.
Loki temporeggiò sulla sua intimità, facendo scaldare gradualmente le sue dita gelide con la pelle rovente di lei; poi la penetrò, dolcemente, lentamente, continuando a baciare il contorno delle sue labbra, mordicchiandole appena.
Natasha si contorse piano, avvicinando il bacino alle sue dita affusolate, che la violavano con una delicatezza inaspettata; poi, quando sentì che si fermarono e poté finalmente avvertire tutta la loro lunghezza dentro di lei, invertì le loro posizioni, sedendosi sul suo pube.
Tolse le braccia dalle maniche della tuta, che ormai le copriva solo le gambe, e si piegò sul suo petto nudo, percorrendo i segni degli elettrodi, che erano stati rimossi poco prima, con le labbra, tempestando il suo dorso ben disegnato di morsi e baci.
Poi risalì, seguendo la scia umida, per continuare a percorrere la pelle delle sue spalle e i muscoli tesi delle braccia.
Scese ancora, raggiungendo il dorso della sua mano, che involontariamente sporcò le labbra carnose di lei con alcune gocce di sangue, scaturite dal foro che aveva lasciato la flebo. Natasha alzò lo sguardo verso di lui, che pareva quasi mortificato di aver contaminato la sua purezza. Allora sorrise dolcemente e leccò la piccola ferita sulla sua mano, assaporando il gusto ferroso del suo sangue.
Loki si sollevò piano, si sedette sul materasso e circondò il busto della donna con le braccia, sfiorandole la schiena con la punta delle dita e sorridendo appena dei suoi brividi. Alzò poi il volto, puntando i suoi occhi liquidi in quelli di Natasha, resi più scuri dall’ombra dei suoi capelli rossi, che la divinità spostò, dopo una veloce carezza, dietro il suo orecchio.
In quel momento, lesse nel suo sguardo che era pronta, che non si sarebbe pentita di ciò che stava per succedere. Così Loki la baciò un’ultima volta, piano, poggiando appena le labbra sulle sue, e la spinse delicatamente indietro, facendola stendere e sovrastandola di nuovo.

Il dio la guardò un’ultima volta, poi fece scivolare via la sua tuta, prima una gamba, poi l’altra, sfiorandole appena con le falangi gelate e, quando fu completamente nuda sotto di lui, percorse con i palmi tutta la loro lunghezza, divaricandole appena e avvicinandosi in ginocchio a di lei.
Loki liberò il suo membro dalla costrizione dei pantaloni di pelle, che lasciò cadere di fianco al letto, infine si piegò sul suo volto, facendo sfregare impercettibilmente le loro intimità, che regalarono ad entrambi fugaci stilettate di piacere.
La divinità sfiorò la punta del naso contro la sua, poi s’intrecciò a lei in un bacio dolce e intenso e, nello stesso tempo, la penetrò lentamente.
Quando fu interamente dentro di lei, Natasha sorrise appena, inarcando la schiena.
Era una sensazione nuova per lei, arcana e pericolosa: si era infilata direttamente nelle fauci del lupo e, stranamente, le piaceva da morire.
Fu allora che capì che, anche se li avesse scoperti Fury in persona, l’avrebbe rifatto altre mille volte, tutto per quel dio da strapazzo.
Baciò di nuovo le sue labbra, iniziando a seguire i suoi movimenti profondi e precisi. Poi fu travolta dal piacere, sordo e violento, che la spinse ad arpionarsi alle sue spalle con le unghie, a mordersi le labbra per non gemere. Perché nonostante tutto, un briciolo d’orgoglio era rimasto, e Natasha non gli avrebbe concesso anche quella piccola vittoria.
Ma quella sua piccola e timida resistenza, che ancora si ostinava a mantenere, durò poco: l’apice del piacere arrivò presto, e l’orgasmo li colse quasi impreparati.
La divinità si concesse un breve lamento e la donna svuotò i polmoni in grido, soffocato senza molto successo nell’incavo del suo collo.
Adesso, adesso che poteva sentire il dio come una parte di se, Natasha si sentì rinascere, rigenerare dall’interno: il suo sperma bruciava la sua pelle delicata, cauterizzandola e facendo sì che si rinnovasse. Adesso, come mai prima di allora, si sentì felice, di quella felicità insensata e bella, quella che fa bene a corpo e mente.
 
Loki si adagiò sul petto di lei come un bambino, abbracciandola appena e disegnando figure misteriose sulla sua pelle con la punta delle dita; aveva il respiro affannato e il corpo madido di sudore gelato, e cercò di regolarizzare il battito cardiaco con il suo.
Natasha invece, iniziò, quasi senza volerlo, a giocare con alcune delle sue ciocche scure, finendo poi col coccolare il suo capo, cullandolo al ritmo del suo respiro sul seno.
“Adesso doveri andare, fra qualche ora sarà mattino, e potrebbero vederci…” sussurrò dopo alcuni minuti la donna.
“Vorrà dire che fra qualche ora te ne andrai.” Rispose lui, stringendola piano.
“Loki, fammi alzare.” Disse Natasha ridendo appena: sembrava un bambino che faceva i capricci, l’unica differenza che poteva notare, era quella sua voce dannatamente suadente e sicura di se.
“Va bene.” Replicò lui contro ogni aspettativa, spostandosi di fianco e liberando la donna, che lo guardò sorridendo perplessa. Ne approfittò comunque per alzarsi, ma fece appena in tempo a sedersi sulla sponda del letto, Loki la catturò di nuovo fra le sue braccia, trascinandola di nuovo giù accanto a lui. “Ti ho preso di nuovo piccolo ragno.” Sussurrò sorridendo compiaciuto.
“Bella forza grande divinità!” Lo sfotté lei prima di accoccolarsi a sua volta sul suo petto. “Non posso rimanere molto…”
“Mancano ancora 4 ore prima che sorga il sole, e da quel che so, qui non si sveglia nessuno in orario, quindi perché non ti riposi un po’? Non dormi da quasi due giorni…”
“Come lo sai?” chiese indispettita.
“So molte cose di te piccolo ragno…” sussurrò divertito.
“Odio quando fai così.” Rispose lei sorridendo, rannicchiandosi meglio vicino a lui. “Solo un’ora.” Acconsentì poi.
“Ti sveglio io, non preoccuparti.”
Natasha chiuse gli occhi. Loki era una sorpresa continua per lei, soprattutto perché non le stava mentendo, sapeva riconoscere quando fingeva, e in quel momento era realmente dolce e premuroso. Aveva un retrogusto strano ciò che stava succedendo, diciamo pure che la situazione rasentava il paradosso, ma dio quanto le piaceva…
 
Loki rimase sveglio, si godé ogni istante, carezzando dolcemente i capelli rossi della donna per non svegliarla.
È bellissima… pensò guardando il suo volto completamente rilassato.
 
Passarono due ore, e l’attenzione della divinità fu catturata da un intermittente baluginio fuori dall’oblò della sua camera. Erano arrivati.
Chiuse un istante gli occhi, prese un bel respiro e il suo corpo perse di consistenza, sparendo per un istante e materializzandosi in piedi, di fianco al letto dove adesso Natasha giaceva da sola. Non si era accorta di niente, aveva mugolato appena, ma aveva continuato a dormire.
Il dio infilò i pantaloni di pelle e si voltò verso la finestra, accertandosi che non fosse stata solo una sua impressione. Di nuovo quella luce. Sì, era giunto il momento.
Si girò di nuovo, raggiungendo ancora la sponda del letto, e restò lì, in piedi di fronte a lei per una manciata di secondi, imprimendo ogni suo dettaglio nella mente, quasi incapace di lasciarla andare.
Non ho altra scelta, perdonami…
La divinità si costrinse ad allontanarsi, misurò a grandi passi la stanza e, raggiunta la porta, raccolse una rivista anonima dalla mensola a fianco. Ne strappò la copertina gettando il resto a terra, poi passò una mano su questa e l’inchiostro parve scappare via dal foglio, rendendolo bianco. Prese poi un piccolo ago, che sfilò dai pantaloni, lo spinse con freddezza sul palmo della mano e, quando la punta fu appena sporca di sangue, si volse verso Natasha, poggiando la schiena alla parete.
Scrisse un messaggio sul foglio, prendendo ispirazione da quella figura così calma e bella che giaceva sul letto, ignara di ciò che stava per accadere.
Quando ebbe terminato, poggiò il foglio alla porta e premette con una falange all’apice di questo, che si fissò all’uscio con un lieve fumo biancastro.
Allora si diresse di nuovo verso l’oblò, tese il palmo verso di esso ed emise una sequenza di bagliori, che ricevettero risposta dall’altro lato del cielo.
Loki prese un’ultima boccata di quel profumo che aleggiava nella stanza, il loro profumo, poi raggiunse la soglia, imponendosi di non guardare più Natasha, per paura di un ripensamento.
Una volta uscito appose un sigillo al battente meccanico, che isolava la stanza da qualsivoglia agente esterno fin quando il foglio dall’altro lato non fosse stato rimosso.
Poi s’incamminò per il corridoio, incurante delle infermiere che dormivano serene, appollaiate alle loro poltrone, e delle guardie, che sonnecchiavano in piedi ai lati del passaggio.
 
Fu questione di pochi istanti, un gruppo di 3 aerei nemici attaccarono la nave, mettendola a ferro e fuoco e svegliando tutto il suo equipaggio e gli Avengers, tutti tranne una, che dormiva beata nell’ala opposta della base aerea.
 
Loki fuggì a bordo di uno dei jet rimasti, con il pensiero rivolto al suo piccolo ragno

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Capitolo 7
*** Buongiorno Agente Romanoff. ***


Natasha camminava piano, con lo sguardo perso in un cielo denso di stelle, stelle nuove, che non aveva mai visto prima.
D’un tratto avvertì un rumore ovattato alle sue spalle, si volse e vide solo altro ghiaccio.
Erano ore che procedeva in quella valle innevata, senza curarsi del gelo che le penetrava la pelle svestita. Era completamente nuda, e procedeva piano, godendosi il cielo scuro.
Di nuovo quel fruscio, questa volta però, quando si guardò le spalle, vide un’ombra scura contrastare con il bianco della neve, enorme, che si precipitava verso di lei. Tuttavia la donna non si mosse, restò immobile e rilassata anche quando l’ombra la investì, trapassandola come una nube di fumo.
Si girò piano e, finalmente, quell’entità prese consistenza, coagulandosi in un grosso lupo dal pelo nero e gli occhi cangianti.

Questo parve inchinarsi di fronte a Natasha, che lo guardava dal basso, e restò immobile a capo chino, come se aspettasse il suo permesso per alzarsi.
La donna si avvicinò lentamente, osservando in silenzio le sfumature corvine che assumeva il suo manto alla luce dei satelliti.

Dopo alcuni istanti, il lupo si alzò e si volse nella direzione in cui stava procedendo Natasha, attendendo che questa riprendesse a camminare.

Avanzarono l’una accanto all’altro per un tempo interminabile: Natasha teneva la mano destra poggiata sul suo anteriore sinistro, che era appena più alto di lei, e la belva procedeva piano, seguendo il ritmo dei suoi passi.
Poi, in lontananza, fra due alte pareti gelate, si delineò una costruzione immensa, un tempio interamente scavato nel ghiaccio.
Il lupo emise un cupo lamento, quasi si stesse scusando con Natasha appena prima di abbandonare il suo fianco, iniziando a correre verso le gigantesche colonne del santuario, dietro le quali sparì. La donna non si scompose, continuò a camminare finché non raggiunse anche lei l’altissimo colonnato.

Si addentrò fra la miriade di pilastri scolpiti, sopra la sua testa, una spessa volta di ghiaccio lasciava filtrare la luce delle stelle, illuminando l’interno cupo del tempio.
Le colonne lasciarono presto il passo a delle scale, che la donna salì lentamente, seguendo con la punta delle dita l’infinità d’intarsi che ricoprivano le pareti.
Quando giunse alla sommità della gradinata, il muso familiare del lupo l’accolse in quella sala enorme e spoglia. Al centro di questa, un piccolo altare s’innalzava dal pavimento, e la belva era accovacciata ai suoi piedi.

“Lui è Fenrir.” Disse l’inconfondibile voce di Loki alle spalle di Natasha. “è a guardia della cosa più preziosa che io abbia.” Continuò oltrepassando la donna e inginocchiandosi di fronte al muso del lupo, che alzò appena il capo annusando la suamano tesa e, mugolando appena, scosse l’enorme coda. La divinità sorrise, accarezzando con il palmo l’animale. “Avanti fratello mio, lasciami passare.” Sussurrò a Fenrir, che con un breve sbuffo si sollevò e si sedette dietro all’altare con fierezza.
Il dio si alzò a sua volta, invitando Natasha ad avvicinarsi e, quando le fu accanto, la prese per mano e la condusse verso il piedistallo.
“Sai cos’è?” chiese Loki, indicando con lo sguardo una particolare incisione sulla sommità del basamento. La donna scosse appena il capo, senza distogliere l’attenzione da quel simbolo.
“La cosa a me più cara, la cosa che mi da una ragione per andare avanti. La mia svolta.”
 
Natasha sollevò lo sguardo, puntandolo negli occhi cangianti di Loki, che sorrideva appena.
“Sai dove siamo?” chiese
lui, accogliendo le sue mani fra le sue.
“Sto sognando.”

“Dove sei Natasha?” domandò di nuovo.
“Non lo so…” Sussurrò lei, guardandosi intorno.
“Questa è la mia anima. Un’enorme distesa di ghiaccio sorvegliata da un lupo. Questo è quello che sono, e solo tu sei giunta fin qui, solo tu sai chi sono.”
“E’ solo un sogno…”
“Lo è?” Disse il dio subito prima di sparire, lasciando la donna da sola.
 
Natasha restò in piedi di fronte all’altare, imprimendosi nella mente quel simbolo.
Poi, quasi senza rendersene conto, ne sfiorò il contorno e, improvvisamente, la volta iniziò a sciogliersi in una miriade di fiocchi di neve, che vorticarono attorno alla donna, avvolgendola in un bianco abbagliante.
 
Un tiepido raggio di sole illuminava il viso rilassato di Natasha, che aprì piano gli occhi, schermando la luce con il dorso della mano e stiracchiandosi appena.
Dopo alcuni istanti si rigirò nelle lenzuola, cercando pigramente il corpo del suo amante.
Fu quando realizzò che Loki non c’era che si rese conto che era già giorno e, in un solo istante, cancellò i ricordi del sogno che affollava la sua mente, avvertendo tutto il peso di un brutto presentimento.
Si sedette sul materasso, coprendo il petto nudo con un lembo del lenzuolo, si guardò attorno, alla disperata ricerca del dio, ma l’unica cosa che vide, era quel biglietto sulla porta.
La donna chiuse gli occhi, cercando in ogni modo di ricacciare indietro le lacrime, che già premevano contro le sue palpebre.
Si alzò, raccolse la sua tuta e la infilò lentamente, poi prese un bel respiro e si avvicinò alla porta, staccando con mano tremante il biglietto.
 
Buongiorno Agente Romanoff.
Temo di doverti ringraziare, hai reso la mia noiosa missione davvero divertente!

Il nostro bonus è stato molto gradito, e devo anche ammettere che è stato a dir poco esilarante! Non avrei mai detto che avresti ceduto! Mi è costato una notevole dose di dolore, ma alla fine ti sei rimessa ai tuoi sentimenti!
Davvero ironico, non trovi? La grande Vedova Nera che rimane invischiata nella mia umile tela!
D
altro canto, mi rincresce dover smettere così presto questo mio piccolo passatempo, proprio adesso che la cosa si faceva interessante… Poco male, me ne farò una ragione!
Ti ringrazio di nuovo di tutto cuore e, se te lo stai chiedendo: no, non sono pi
ù a bordo della nave. Sto volando verso il mio destino Agente Romanoff, e ne tu ne i tuoi amici potrete fermarmi.
Addio per sempre, e guardati dalle tele altrui, possono nascondersi ragni pi
ù velenosi di te

PS: la stanza è stata isolata dagli agenti esterni, se vuoi uscire stacca il biglietto, ma considerato che lavrai già fatto e avendo una notevole conoscenza dei tuoi amichetti, asciugati le lacrime e renditi presentabile per il signor Stark.

 
Natasha lesse quelle parole, imprimendole a fuoco nella sua mente.
Il rancore montava di più ad ogni frase e, adesso, calde lacrime di rabbia le bagnavano il volto.
Quando ebbe terminato quella sua personale tortura, chiuse gli occhi, poggiandosi un istante allo stipite della porta. Strinse la carta in pugno, convulsamente, scagliandolo contro il muro con violenza, tanto che sentì il contraccolpo in tutto il corpo.

Ci vollero pochi secondi perché i passi concitati di una persona echeggiassero fuori dalla stanza.
Natasha strappò via le lacrime dal suo volto e, finendo di accartocciare quel misero pezzo di carta, lo lasciò cadere ai suoi piedi.
Riempì i polmoni un’ultima volta, tentando di apparire il più normale possibile all’uomo che stava digitando il codice nella porta automatica.
Questa s’illuminò per un istante di un verde acceso, segno che l’incantesimo lanciato da Loki si era definitivamente spezzato, poi si aprì, mostrando il viso tirato e sporco di sangue di Tony.
“Finalmente! Sono ore che ti cerco! Pensavo che ti avessero ferita o peggio! beh, non ha importanza!” disse l’uomo tutto d’un fiato, mal celando la sua evidente preoccupazione. “Burton è rimasto a bordo, sta smaltendo l’incantesimo del cervo, non ha fatto altro che chiedere di te, l’hanno sistemato nella tua stanza ma… aspetta…Tu che cavolo ci fai qui?” Chiese perplesso, rendendosi conto che, cercandola, era finito nell’ala adibita ad infermeria.
“Loki dov’è?” domandò di rimando la donna, ignorando completamente tutte le sue attenzioni, troppo furiosa ed impegnata a non darlo a vedere per prestargli attenzione.
“Loki? Ehm, se ne è andato…” rispose lui, notando solo in quel momento gli occhi arrossati di Natasha. “Cos’è successo Nat?”
“So che se ne andato! Voglio sapere dove!” ringhiò lei, ignorandolo di nuovo.
“Non ne abbiamo idea…”
“Levati di mezzo.” Disse la donna, spostandolo in malo modo e uscendo dalla stanza, venendo però trattenuta dalla sua mano, che le aveva afferrato il polso.
“Burton è tornato, potresti cercare di esserne felice? Che ne dici?” l’ammonì il miliardario, irritato da quella sua reazione. Natasha non rispose, si divincolò dalla sua stretta e sparì fra le macerie che affollavano il corridoio.
Tony rimase lì per alcuni minuti, entrò nella stanza e si guardò attorno, finché il suo sguardo fu catturato da un foglio stropicciato sul pavimento.
“Cazzo…” sussurrò appena dopo averlo letto, poi lo ripiegò e corse attraverso la nave piena di detriti, cercando di raggiungere Natasha.
Dopo quello che era successo, dopo il bonus che aveva concesso a Loki, come era scritto nella lettera, non aveva la minima idea di cosa potesse essere capace di fare.
 
“Natasha!” gridò Tony, vedendola di spalle, intenta a parlare con i componenti rimasti della squadra e con Fury. Tutti si voltarono, lei per ultima, quasi infastidita.
“Stark, che hai da urlare?” chiese Steve Rogers.
“Sta zitto Provetta.” L’apostrofò lui, avvicinandosi alla donna.
“Sta zitto tu Stark. Stiamo facendo anche il tuo lavoro. Se hai qualcosa da dirmi, puoi farlo dopo.” Disse Natasha con freddezza. “Allora, avete idea di dove si trovi Loki?” chiese rivolgendosi agli altri.
“Divide et Impera.” Fece Tony, poi, notando le facce perplesse di tutti, sbuffò. “Sto facendo il mio lavoro, che volete?!”
“Voleva dividerci…”
“Esatto Ghiacciolo!”
“E ha bisogno di un pubblico, come a Stoccarda!”
“Giusto, i tuoi neuroni si sono scongelati finalmente! Stoccarda era la prova generale, questa è la prima, e Loki diventerà una prima donna impazzita: vorrà fiori, parate e un monumento costruito in cielo con il suo nome sopra!” continuò il miliardario.
“La Stark Tower!” Esordì Natasha con una strana luce negli occhi, che inquietò soprattutto Tony.
“Perfetto signori, si va a New York.” Concluse Fury, dirigendosi ai pannelli di comando e sciogliendo la riunione improvvisata.
 
Natasha si diresse a passo svelto verso la sua camera, seguita da Tony, che la bloccò di nuovo sulla porta.
“Cerca di non fare pazzie.” Sussurrò mettendole fra le mani la lettera di Loki, poi si allontanò, consapevole che non avrebbe potuto far niente per fermarla.

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Capitolo 8
*** Hai mai provato la felicità, Fratello? ***


Natasha era impaziente di partire, impaziente di vedere quel verme e schiacciarlo con le sue stesse mani.
Tutti si stavano preparando, tutti tranne lei, lei era già pronta, seduta sulla branda nella sua stanza, col volto piegato sulla lettera di Loki.
L’aveva letta un centinaio di volte, ormai la sapeva a memoria, eppure non smetteva, continuava a far scorrere quelle parole su di lei, parole che bruciavano come e più di un acido.
In quel momento però, fu interrotta dalla porta automatica che si aprì, dalla quale comparve il volto di Clint.
“Sei pronta?” chiese entrando. Lei non rispose, quasi non fece caso alla sua presenza. “Sai, quando ero ancora sotto l’incantesimo di Loki, l’unica cosa che mi spingeva a non lasciarmi andare era voler tornare qui, da te, dalla nostra normalità. Ma adesso che sono ritornato, sembra che tu te ne sia andata… Che sta succedendo Natasha?”
“Niente, come sempre. Steve è già pronto? Stark ci starà aspettando.” Rispose lei, trascurando le sue parole.
“Si… Andiamo.” Disse deluso, uscendo e guidando la donna fino al jet, dove li attendeva il capitano Rogers, vestito della sua tuta.
 
In poco tempo, stavano già sorvolando New York, e Natasha era sempre più tesa.
Clint si voltò verso di lei, osservandola fremere.
“Va tutto bene Nat?” di nuovo nessuna risposta.
Quando giunsero in vista della Stark Tower, la donna parve riscuotersi da quello strano silenzio, mettendosi a trafficare sul pannello di comando.
“Steve, sta pronto, apro il portellone.” Disse al Capitano, già pronto a saltare.
In quel momento però, lo sguardo della donna si perse a cercare qualcosa d’indefinito sull’alto edificio, quasi avesse sentito la sua presenza. Di fatti eccolo, sulla sommità della torre.
Per un istante i loro sguardi s’incrociarono, poi, Loki tese il suo scettro verso il jet, lanciando un potente raggio che lo mise fuori uso, costringendolo ad effettuare un atterraggio di emergenza lontano dal complesso.
Natasha gridò, non per paura, ma di rabbia. Era così vicina: poteva buttar giù quella dannata torre e seppellirlo sotto di essa, ma Loki l’aveva vista, e anche lui avrebbe potuto disintegrarla da quella distanza. Non lo fece, si limitò a farla allontanare, ebbe pietà di lei, e questo la faceva infuriare ancora di più.
Il jet si schiantò al suolo, e tutti e tre uscirono in strada.
Quando una folla spaventata li travolse, alzarono lo sguardo al cielo, ed ecco un fascio di luce squarciare la volta celeste, e frotte di Chitauri che ne uscivano copiose, come sangue da una profonda ferita.
La battaglia iniziò, violenta e senza quartiere.
Steve, Clint e Natasha si scagliarono sui nemici, abbattendone un gran numero, sempre mantenendosi in contatto con Tony, che sorvolava la città nella sua armatura.
Poco dopo si unì ai giochi Banner che, sotto forma di Hulk, schiacciò qualsiasi cosa gli si parasse di fronte. Poi Thor, che si gettò su Loki, ingaggiando uno scontro corpo a corpo.
Ma Natasha era sempre troppo lontana: esigeva di avere il Dio del Caos fra le mani, voleva ferirlo, così come aveva fatto con lei.
Mentre la battaglia infuriava, in un breve momento di respiro, mentre Steve impartiva ordini a destra e a manca, gli si avvicinò da dietro, chiedendogli se era capace di farla saltare molto in alto. Il capitano capì subito le sue intenzioni, e senza battere ciglio, la scagliò verso il cielo usando il suo scudo.
Coordinamento perfetto: adesso Natasha volava su uno degli strani veicoli dei Chitauri, a tutta velocità verso la Stark Tower.
 
“Ti diverti Nipotina?” chiese la voce metallica di Tony, che le si era affiancato in volo.
“Mi divertirò solo quando sarà fra la mie mani.” Disse lei senza neppure voltarsi. Ma l’uomo la costrinse a guardarlo negli occhi, volò di fronte al suo veicolo e si fermò, costringendola a frenare.
“Posso capire quello che provi, ma azzera la testa per un attimo. Guardati intorno. Prima del tuo orgoglio ferito c’è da salvare un pianeta, se fai fuori Loki questi cosi non si fermano, continueranno a distruggere tutto, finché non rimarrà più niente! Pensa a chiudere quel buco prima. Quando avremo preso il Cervo, ti metterai in fila dietro le persone che vogliono prenderlo a calci. C’è sempre tempo per quello, e ti giuro che quel figlio di puttana non ritorna ad Asgard, prima che tu gli abbia fatto capire contro chi si è messo!” disse lui dopo aver aperto l’elmo dell’armatura, per poterla guardare dritto negli occhi.
Natasha rimase ferma per un istante, la rabbia era tanta, ma Tony aveva ragione: non poteva compromettere tutto il mondo per la sua vendetta personale. Per quella ci sarebbe stato tempo. Così arretrò un po’ e virò verso la cima della Stark Tower, da dove scaturiva quel fascio di luce.
 
Arrivata sulla sommità, trovò Eric Selvig, seduto in un angolo, che guardava compiaciuto il macchinario in cui era inserito il Tesseract.
“Forse puoi fermarlo… ma ti serve il bastone.” Disse riacquistando un briciolo di sanità mentale, indicando un punto oltre il cornicione del tetto. Natasha guardò in quella direzione, e vide lo scettro, in bilico, pronto a cadere.
Sapeva che Loki era lì sotto, se la stava vedendo con Hulk a giudicare dai rumori, ma sapeva anche che se fosse scesa, non sarebbe più risalita: la voglia di farla pagare alla divinità era troppo alta, se l’avesse visto, non avrebbe resistito. Così utilizzò uno degli oggetti nella sua cintura, tirò su lo scettro senza problemi, e attese il momento giusto per chiudere il portale.
Sentì le parole di Steve e Burton nel suo auricolare, dicevano di aspettare, Tony era lì dentro. Aspettare… lei non poteva aspettare, aveva aspettato fin troppo.
Ecco, finalmente tutti gridarono, adesso toccava a lei: penetrò la barriere d’energia creata dal Tesseract e riuscì a spengere la macchina. Lo squarcio si chiuse, il suo lavoro era finito.
 
Tony fu salvato da Hulk appena in tempo, lo portò su un tetto della città, e subito fu circondato dai suoi compagni, preoccupati e felici che quella guerra fosse finita.
Il miliardario non accennava a svegliarsi, poi rinvenne, contro ogni aspettativa. Ma non aveva il volto di un uomo che era scampato alla morte, sembrava inquieto.
“Ehi, Biondo, avvicinati.” Disse a Thor con voce spezzata, ma con quel suo solito tono da strafottente. “Va da tuo fratello.” Sussurrò quando fu vicino.
“Da Loki? Ci andremo insieme, ci ha pensato il dottor Banner a renderlo inoffensivo.”
“Non è di lui che mi preoccupo. Devi andare adesso, non fare domande, ho bisogno che non lo lasci solo.” Disse lui, non ammettendo repliche.
 
Natasha ignorò qualsiasi cosa: il dottor Selvig, i suoi compagni, le urla dei feriti.
Adesso sentiva solo voglia di sangue, del suo sangue.
Si calò al piano inferiore, impaziente, euforica. Ma un nuovo contrattempo le si parò di fronte.
“Natasha, Tony ce l’ha fatta, lui e gli altri stanno arrivando.” Disse con un largo sorriso Thor, in piedi nell’attico semi distrutto, di fianco al corpo martoriato e immobile di Loki.
La donna cercò di mantenere la calma e mostrarsi il più naturale possibile, ma in quel momento, lei era come una fiera affamata, e il suo pasto era lì, a pochi passi, e le veniva chiesto di resistere ancora. Non sapeva quanto avrebbe potuto reggere.
“Sono molto felice… Ma adesso, perché non vai fuori? Gli altri non sanno dove siamo, così ti vedranno. Non preoccuparti, resto io a controllare Loki.” Fece lei, stringendo convulsamente la presa sullo scettro.
“Va tu, io preferisco…”
“Ti ho detto che resto io con lui, adesso vai.” Lo interruppe la donna.
“Ehm… va bene... ” acconsentì Thor, dopotutto era un’amica, perché mai Tony avrebbe voluto proteggere Loki da Natasha? Quindi si diresse verso l’uscita, lasciandola sola.
 
Natasha attese che Thor sparisse dietro ciò che rimaneva del cornicione, poi chiuse gli occhi, cercando di acquistare un aria da vendicatrice fredda e spietata, non da amante ferita.
Così si avvicinò con passo misurato al corpo di Loki, steso scompostamente a terra, ferito gravemente.
Gligirò intorno silenziosamente, sapeva che poteva sentirla, stava fingendo, come sempre. Lasciò scivolare lo scettro fra le sue mani, impugnandolo ad una estremità, poi vibrò il colpo con violenza inaudita sul viso del dio, che si rovesciò sul pavimento, soffocandovi un urlo e imbrattandolo con alcune gocce vermiglie, scaturite dal vistoso trauma che adesso gli colorava il volto pallido.
Natasha continuò a camminare attorno a lui, poi si fermò e, sempre con lo scettro, l’obbligò a girarsi di nuovo.
“Guardami bastardo.” Sussurrò scrutando i suoi occhi socchiusi, che adesso fissavano il vuoto. “Guardami!” gridò furiosa. “Voglio che tu veda!” continuò ancora, finché il dio non obbedì passivamente.
Allora si piegò su di lui, premendo un ginocchio poco al di sotto della cassa toracica, gioendo dei suoi lamenti mal trattenuti; doveva avere qualche costola rotta a giudicare dall’espressione sofferente.
Si concesse qualche secondo, poi, assicurandosi che la stesse guardando, sfoderò uno stiletto dalla cintura, premendolo sul suo petto, perforando la corazza che lo copriva.
Vi disegnò un ampio squarcio, e ripiegò verso l’esterno uno dei due lembi di pelle scura che si erano creati, scoprendo la sua carne livida, che pochi giorni prima aveva carezzato. Quindi, con un gesto rapido, fermò il pezzo di cuoio con lo stiletto, conficcandolo a sinistra del cuore.
Loki si contorse sotto di lei, gridando tutto il suo dolore.
Natasha, si abbassò ancora, tenendo stretta l’impugnatura del coltello, provocandogli altre fitte insopportabili per chiunque.
“A quanto pare… Questo ragno è più velenoso del previsto…” sibilò ebbra al suo orecchio, poi si alzò, raccogliendo il bastone dorato che aveva posato al fianco della divinità.
Attese ancora qualche secondo, giusto il tempo di fargli riprendere fiato, poi puntò la parte provvista di lama dello scettro sulla porzione di torace che lo stiletto teneva scoperto dalla corazza. Lì, dove sapeva risiedere la cicatrice della svolta, all’altezza del cuore, incise una profonda X, ignorando i tremori e le urla di Loki che, sfinito, rinunciò al proposito di non mostrarsi debole.
Quando ebbe finito quella sua personalissima tortura, scavalcò il corpo della divinità, scosso da violenti spasmi, fermandosi ai suoi piedi.
Osservò ancora quel volto deformato dal dolore e, stranamente, non riuscì più a provare odio, sembrava sfumato, tutto sbiadiva nei suoi occhi, così tristi e gonfi di lacrime.
Quel suo celato ripensamento la rese furiosa: come poteva non odiarlo?! L’aveva usata, aveva giocato con lei! E adesso, se lo guardava, si sentiva solo in colpa per averlo ferito.
Con un urlo di rabbia scagliò lo scettro sulla sua gamba destra, che gli trapassò la coscia e si conficcò nel pavimento sottostante, facendolo contorcere in un lamento disumano.
E’ tutta colpa sua, ti ha manipolata talmente tanto che neppure adesso riesci a disprezzarlo veramente.
 
“Natasha, stanno arrivan… Cosa hai fatto?” chiese Thor in un sussurrò rientrando nell’attico per avvisarla che i loro compagni stavano arrivano, dopo aver visto il fratello martoriato.
La donna si prese qualche secondo prima di rispondere.
“Ha cercato di scappare…” disse piegandosi sul corpo esanime di Loki, togliendo lo stiletto dal suo petto e nascondendo l’incisione sotto la corazza scura, appena prima che Thor la notasse, avvicinandosi.
L’Agente Romanoff si alzò con fare indifferente, mostrandogli due occhi arrossati e un viso che nascondeva dubbi e insicurezze sotto una spessa maschera di rabbia, poi l’oltrepassò dirigendosi verso il balcone.
“Dove stai andando?” chiese il Dio del Fulmine senza riuscire a distogliere lo sguardo dalla profonda ferita del fratello e dai nuovi ematomi che costellavano il suo viso.
“Ho bisogno di una boccata d’aria. Credo che me ne andrò, dillo tu agli altri.” Disse Natasha, avvicinandosi al cornicione e, senza neppure aspettare una sua risposta, si calò al piano di sotto, sparendo.
 
Thor rimase solo nell’attico, gli altri sarebbero arrivati a momenti.
Si avvicinò al fratello, piegandosi preoccupato su di lui.
“Loki… Riesci a sentirmi?” disse sollevandolo da terra e adagiandolo sulle sue gambe, facendo attenzione a non recargli ulteriore dolore alle ferite e alla lacerazione alla coscia.
Il Principe degli Inganni aprì gli occhi senza difficoltà, era cosciente, lo era stato per tutto il tempo. “Perché ti ha ridotto così?”
“Hai mai provato la felicità, Fratello? Dicono che solo colui che vede nascere una dea, conosce la felicità… Io l’ho fatto, e l’ho distrutta subito dopo…” sussurrò Loki con voce spezzata, guardando un punto indefinito nel cielo acceso dal tramonto, oltre la grande vetrata dell’attico.
Thor non comprese subito le sue parole, poi notò lo squarcio nella sua corazza. Scostò un lembo di questa e scoprì quella macabra incisione sul cuore. E allora gli apparve chiaro, e restò totalmente sgomento.
“Tu l’amavi... l’amavi e l’hai ferita ugualmente… perché?!” chiese quasi infuriato.
“Sono il Dio degli Inganni… Sono una bugia… Io stesso non riesco a fidarmi di me…” continuò Loki. Era troppo debole, troppo sfinito per mostrarsi forte; in quel momento non poteva far altro che essere sincero, anche con il suo odiato fratello.
“E immagino che quello che mi hai detto, lei non lo sa… Devi dirglielo Loki.” Sussurrò Thor. Non l’aveva mai visto così, quella poteva essere lasvolta della sua vita, poteva essere l’inizio dellasua redenzione, e avrebbe fatto qualsiasi cosa perché tornasse il suo vecchio fratellino di un tempo.
“Lei non deve saperlo. Ho provato ad allontanarla, e ho dovuto usare le maniere forti perché capisse che razza di mostro sono…”
“Loki…” sussurrò Thor, sorpreso di quanti sentimenti si celassero dietro le sue parole e quel suo aspetto impenetrabile.
 
“Ecco il nostro Piccolo Cervo! Finalmente, mi eri mancato sai?!” Disse Tony alle spalle dei due. Erano arrivati tutti, troppo soddisfatti e compiaciuti per notare subito lo scettro ancora conficcato nella gamba del dio. Ma dopo pochi istanti, quando il miliardario mise a fuoco tutta la stanza, si dimenò dalla presa di Steve, zoppicando verso Thor. “Cazzo, te l’avevo detto di non lasciarlo solo! Lei dov’è?” gridò infuriato l’uomo.
“Se mi avessi detto che era da lei che dovevo difenderlo l’avrei fatto! Comunque se n’è andata…”
“Lei chi?” chiese il capitano Rogers.
“Natasha…” sussurrò Clint. “Perché l’ha fatto?”
“Ti aveva costretto a tradire, si era preso gioco di lei, sai com’è fatta… Si è vendicata.” Mentì Tony, ottenendo uno sguardo di gratitudine da parte di Thor. “Adesso portiamolo via, è inutile piangere sul latte versato.”
“Vado io a cercarla.” Disse l’Agente Burton, già pronto a partire.
“No! Voglio dire… Meglio lasciarla sola.” Si corresse Stark. Se Clint l’avesse trovata, è probabile che si sarebbe compromessa da sola: quello che aveva fatto era la chiara prova che aveva superato il limite, e non si sarebbe fatta problemi a distruggere la sua carriera dicendo la verità. Sarebbe andato lui, o forse Thor, non lo sapeva, l’importante in quel momento era limitare i danni.

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Capitolo 9
*** Non per molto… ***


Erano passate quasi due settimane dagli eventi di New York, la vita stava lentamente ricominciando a serpeggiare fra le strade della città semi distrutta.
Natasha era chiusa nel suo appartamento da quando c’era entrata, 12 giorni prima.
Ogni volta che attraversava il corridoio e la sua immagine si rifletteva nell’enorme specchio appeso alla parete, non si riconosceva: i capelli in disordine, due ampie occhiaie scure, dei vestiti sporchi e lisi che non cambiava da tempo…
Era bastato poco per farle perdere tutte le energie: una semplice striscia di carta, una decisione.
Adesso era seduta sul suo divanetto, fissava l’agenda aperta sul tavolino, ingombro di robaccia. Si passò le mani sul viso, sfinita, le lacrime avevano ricominciato a salire, ma aveva pianto fin troppo, non era da lei.
Gettò a terra un paio di cartoni di pizza a domicilio, scoprendo una scatolina di cartone bianca e blu. Era aperta, la prese e andò in bagno.
Attese, sperò con tutta se stessa che quella volta il colore fosse chiaro, ma pian piano si scuriva, fino a divenire un blu intenso.
Gettò la scatola vuota nel cestino, ricolmo di altre identiche e fascette blu.
Si poggiò al lavabo, tenendo ancora in una mano il test positivo e, senza neppure rendersene conto, ricominciò a singhiozzare, sempre più forte, finché non si lasciò scivolare lungo la parete opposta, stringendo in grembo la striscia di carta. Nascose il capo fra le ginocchia, e continuò a piangere per un tempo indefinito.
Quando si fu calmata, quando quel blu smise di affollare la sua mente, poté riflettere, forse per  la prima volta dopo molto tempo.
Porti in seno il frutto del tuo odio. Non puoi tenerlo, hai fatto la cosa giusta. Continuava a ripetersi, eppure, nonostante quello che era successo, nonostante quello che le aveva fatto Loki, una piccola creaturina si stava sviluppando dentro di lei, e che diritto aveva per ucciderla?
Pensa Tasha, quando crescerà e vedrai nei suoi occhi quelli di lui, cosa farai?
Strinse di più le ginocchia attorno alle tempie. Era vero, non avrebbe potuto amarlo incondizionatamente, e poi lei non poteva permettersi di diventare madre, il suo lavoro sarebbe stato compromesso. Non era pronta per una cosa tanto grande, non l’avrebbe sopportato.
Il filo dei suoi pensieri fu rotto dal suono del campanello. Si alzò di scatto, come se l’avessero scoperta nel bel mezzo di un reato, si precipitò alla porta, aggiustò alla meglio i capelli e quando giunse alla soglia l’aprì di scatto.
Non aspettava nessuno a dir la verità, ma non dormire per 10 notti consecutive, evidentemente aveva i suoi effetti.
Quando si ritrovò di fronte Tony e Thor, le parve di svegliarsi da un brutto sogno durato 2 settimane, restò per un istante impietrita, poi percepì lo sguardo indagatore dei due e si riscosse.
“Ciao! Che… che ci fate qui?” chiese balbettando la donna.
 “Natasha… che ti è successo?” sussurrò Thor, non era abituato a trattare con i Midgardiani, così complessi rispetto agli abitanti di Asgard.
“Dobbiamo parlare Romanoff, possiamo entrare?” intervenne Tony che, stranamente, sembrava la componente lucida della situazione.
“Ehm… Io…”
“Grazie mille Gioia.” Continuò lui, spostandola dalla soglia ed entrando nell’appartamento trascurato, seguito subito dopo dal Dio del Tuono.
 
Il miliardario si era accomodato su una poltrona, mentre Thor era in piedi, in un angolo.
“A… allora? Ehm… posso offrirvi qualcosa?” temporeggiò Natasha, era irriconoscibile, e si nascose in cucina, cercando un paio di bicchieri puliti e un qualsiasi superalcolico.
“Una spiegazione magari.” Disse il dio.
“Surfista, ti ho già spiegato come stanno le cose! A dir la verità, se qui c’è qualcuno che deve dirci la sua versione, sei tu.” Lo canzonò l’uomo, attirando l’attenzione di Natasha, che si precipitò nel salotto.
“Ragazzi, non ho calici di vetro… Ecco, non sarà scotch ma è buono lo stesso.” Disse versando un liquido ambrato nei bicchieri, cercando in ogni modo di zittirli. Se erano lì, era perché volevano parlare di Loki, e lei non aveva la forza per starli a sentire.
“Tasha, siediti qui, smettila.” Sussurrò Tony, levandole la bottiglia dalle mani e invitandola ad accomodarsi al suo fianco. La donna fu costretta ad assecondarlo, ma si sedette su una poltrona in un angolo della sala. “Thor, siamo tutti orecchie.”
“La verità è che non sono io quello che deve parlare, ma Loki. Fury ci ha detto che non ci sarai domani a Central Park, ma dovresti venire. Ci sono cose che dovete chiarire prima che se ne vada.”
“Io non credo proprio, non c’è nulla da chiarire: lui si è preso gioco di lei, e lei ha reagito male. Quel che è giusto è giusto. Io sono qui per te, non per fare il consulente matrimoniale.” Disse Stark, rivolgendosi a Natasha, che guardava i due ospiti quasi intimorita.
“Non parlare di cose che non sai! Loki non si è preso gioco di lei, al contrario…”
“Sentite, io… ho solo bisogno di stare da sola… potreste, per favore, andarvene…?” fece Natasha, alzandosi e torturandosi le mani. Poi notò lo sguardo di Tony, che la guardava sgomento, allora abbassò il viso verso i suoi palmi, che tenevano ancora stretta la fascetta blu.
Il miliardario si alzò piano, avvicinandosi a lei, ma quando cercò di prendere quel pezzo di carta, lei si ritrasse debolmente, arrendendosi però subito dopo.
“Sei incinta…” sussurrò facendo scorrere lo sguardo dal test agli occhi carichi di lacrime della donna.
“Non per molto…” disse la donna, aprendosi in un mesto sorriso, volto solo a tenere a freno un nuovo pianto. “Ho già preso appuntamento all’ospedale… Abortirò fra due giorni.” Concluse abbassando il volto, tornando a rimirarsi le mani tremanti.
“Devi dirlo a Loki, è pur sempre il padre, ha dei diritti…” provò Thor ad imporsi, ma venne interrotto da uno sguardo pieno d’odio da parte di Natasha.
“Diritti?! Quello stronzo è venuto qui, si è preso gioco di me, dei miei sentimenti, mi ha ingravidato ed è sparito senza rimorsi! Non ha alcun diritto!” Sputò lei sul suo viso, furente.
“Prima di dire questo, dovresti starlo a sentire!”
“Non sprecherò un altro minuto del mio tempo per quello sporco Jötunn!”
“Attenta a come parli Midgardiana. È mio fratello. E ti ho detto che dovresti prima sentire ciò che mi ha detto.” Ringhiò Thor, afferrandole un polso.
“Lui mente! Lo fa sempre, stupido bamboccione! Possibile che dopo un’eternità che ti sta accanto, tu non abbia ancora imparato?!”
“Non stavolta! Era sincero, non l’ho mai visto così! Parla con lui, cosa ti costa?!”
“Mi ha complicato abbastanza la vita, sono stanca. E non voglio sentire oltre le sue baggianate.”
“-Dicono che solo colui che vede nascere una dea, conosce la felicità… Io l’ho fatto, e l’ho distrutta subito dopo.-Ecco cosa mi ha detto! Lui ti ama, dannazione!
Lui mente!” ripeté ancora Natahsa, cercando di divincolarsi dalla sua presa ferrea.
“Ehi! Ehi! Piantatela voi due…” Tony li allontanò, e si diresse alla porta con il dio, strattonandolo. “Spetta a te decidere Nat, l’importante è che tu stia bene, fottitene del resto.” Concluse il miliardario, seguito da uno sbuffo seccato di Thor. Poi uscì, lasciando sola la donna, di nuovo.
 
Natasha chiuse la porta a doppia mandata, attraversò la stanza, arrivando alla grande vetrata che si affacciava sulla città semi distrutta, l’aprì, e si sedette sul balcone. Non aveva paura di cadere, anzi, quella sensazione di vuoto sotto i piedi le piaceva, e poi aveva bisogno di respirare, di schiarirsi le idee.
-Fottitene del resto- sembra facile detto così… La mente della donna spaziò verso innumerevoli soluzioni, tutte improbabili, ma possibili. Infine, dopo aver portato istintivamente una mano al ventre, si rese conto di quanto quelle sue fantasie fossero ridicole, e di quanto poco potesse fottersene del resto. Non c’era solo lei in quella storia: c’era Loki, per quanto le dolesse ammetterlo, e c’era anche il bambino… E, forse per la prima volta, riuscì ad accettare che non era solo colpa del Principe degli Inganni.
Certe cose si fanno in due… Pensò ricordando quello che era successo nella nave, stupendosi di quanto le mancassero quei giorni, quando il suo problema più grande era se sottostare o no a ciò che provava. In confronto alla decisione che era obbligata a prendere, sembrava una cosa così frivola…
Adesso però non c’entravano i sentimenti: doveva scegliere se tenere o no un figlio, e doveva farlo senza l’appoggio di nessuno.
Ma non c’era poi molto da valutare, lei non poteva portare a termine quella gravidanza, non poteva farlo e basta, era inutile pensarci oltre.
Forse Thor ha ragione… Dopotutto non ci metterei più di dieci minuti: entro nella cella e glielodico chiaro e tondo, non m’importa cosa risponderà, ho già fatto la mia scelta…
Prima di alzarsi però, ci ripensò un’infinità di volte: pianse, lo maledì in mille modi diversi per la situazione in cui l’aveva messa, e maledì se stessa perché non era abbastanza per non farle fare la cosa giusta…
 
Natasha uscì dall’appartamento dopo due intere settimane d’isolamento, sporca e col viso sconvolto, incorniciato da delle ciocche disordinate, vestita solo di un paio di jeans e una felpa macchiati.
Camminò fino alla metropolitana, scese alla periferia e lì prese un autobus che la portò in una zona isolata, fuori New York.
Procedette per tutto il pomeriggio, non aveva voglia di farsi venire a prendere da un’auto dello S.H.I.E.L.D., e giunse al carcere provvisorio, costruito in poco tempo per ospitare un prigioniero come Loki, a sera inoltrata.
Si fece riconoscere dalle guardie all’ingresso mostrando il suo lasciapassare, poi proseguì in quella specie di bolla di vetro.
Raggiunta la porta di un vero e proprio bunker, prese un bel respiro e, dopo che altre due guardie l’ebbero aperta, entrò, sparendo nell’oscurità di quelle mura spesse.

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Capitolo 10
*** Fidati di me. ***


Natasha fu avvolta dall’oscurità, non si vedeva praticamente niente, solo una piccola luce, posta di fronte alla porta, illuminava quell’androne grande e spoglio, e nonostante questo, le ci volle qualche minuto per poter distinguere la sagoma del dio, seduto a terra, con le spalle poggiate alla parete nuda.
Le spesse mura isolavano ogni rumore esterno, tanto che, anche ad una distanza di quasi 6 metri, la donna poteva sentire chiaramente il suo respiro regolare.
Avanzò di qualche passo, fermandosi sotto la lampada, abituandosi gradualmente alla semi oscurità che avviluppava ogni cosa.
“Ma non dovevamo andarcene domani? Avanti, aiutami ad alzar…” La voce morì sulle labbra di Loki che, sollevato il volto verso la tenue luce che si era accesa sulla soglia, invece di incontrare i tratti appena sbozzati del Dio del Tuono, riconobbe immediatamente le linee morbide di Natasha. “Chi ti ha mandato? Thor o Stark?” Chiese rimirando l’impercettibile bagliore dei suoi occhi chiari.
“Tuo fratello.” Disse la donna, avanzando ancora, fino a raggiungere i suoi piedi. Ormai riusciva a vedere relativamente bene in quella semioscurità.
“Che ti ha detto?” Domandò lui, curandosi che il suo tono non apparisse preoccupato.
“Cose a cui non credo.” Rispose fredda, lasciando scorrere lo sguardo sul suo viso macchiato da un esteso ematoma, quello che gli aveva procurato lei con lo scettro due settimane prima.
“Meglio così… mi stupisco ogni volta di quanto sia ingenuo!” mentì lui, mordendosi le labbra per non gridarle la verità. Non lo dava a vedere, ma quella situazione doleva più del dovuto, e l’unica cosa che lo fermava dal dirle le cose come stavano, erano proprio i sentimenti che provava. “Cosa sei venuta a fare Agente Romanoff? Vuoi finirmi o è solo una visita di piacere?” Chiese facendo appello a tutta la sua buona volontà, cercando di mostrarsi il più irritante possibile.
“Sai una cosa? Non ho la minima idea del perché sia venuta qui! Sto solo perdendo il mio tempo, come sempre con te.” Disse Natasha, sul punto di reagire alle sue provocazioni. Ma non gli avrebbe dato anche quella soddisfazione, così si voltò e misurò a grandi falcate la cella, diretta alla porta.
“Addio Natasha…” disse con involontaria dolcezza Loki, e quella nota nella sua voce parve bloccare la donna, che si fermò di fronte alla pesante soglia in ferro.
Abbassò il capo, prese un bel respiro, chiuse gli occhi e lo disse.
Fu quasi un sussurro, ma bastò a penetrare le viscere del dio come un tuono.
 
“Sei incinta…” ripeté piano.
“Abortirò fra due giorni.” Disse atona, voltandosi lentamente.
“Non doveva andare così, perdonami…” mormorò il dio.
“Con che coraggio mi chiedi di perdonarti?!” ringhiò la donna, furiosa per quei suoi continui cambi di atteggiamento. “Tu sei un mostro! Mi hai usato per i tuoi scopi! Ti sei divertito alle mie spalle! Mi hai sedotta, mi hai messo incinta e sei partito per conquistare e distruggere la mia terra! E per colpa tua, dovrò uccidere mio figlio!” concluse la donna, lasciando che le lacrime scendessero copiosamente, perché dopo avergli urlato tutto il suo disprezzo, aveva ricordato a lui e a se stessa cosa sarebbe stata costretta a fare nel giro di poche ore.
“Ti prego, avvicinati.” disselui, rimirando il suo viso umido. “Ti prego…”
Natasha lo guardò, stupita e disgustata da quella che, inizialmente, le parve indifferenza; poco dopo però, quando tutto l’odio che aveva sputato smise di offuscarle la mente, poté vedere i suoi occhi: tristi e spenti, sinceri.
Così, dopo essersi data della stupida un centinaio di volte, camminò verso la divinità con passo tremante: sembrava che stesse lottando contro l’istinto di andarsene e dimenticare quel dannato sguardo, ma c’era qualcosa dentro questo, quella medesima cosa che l’aveva spinta a raggiungerlo nell’infermeria della nave, a fare l’amore con lui, che la spinse ad obbedirgli.
“Siediti qui, solo un attimo. Non ti farò nulla, ti ho già ferito abbastanza, non credi?” chiese Loki con un sorriso amaro sulle labbra. La donna non rispose, si limitò a fissare le sue pupille, accovacciandosi fra le sue gambe leggermente divaricate.
“Alza la maglia.” Sussurrò dolcemente lui, protendendosi appena in avanti.
“Cosa?” quasi urlò lei, strisciando indietro.
“Tranquilla, avvicinati. Devi fidarti di me, solo per questa volta. Ho bisogno che ti scopra il ventre.” Ripeté tranquillizzandola, finché questa non si accostò di nuovo.
Chiunque avrebbe avuto paura nella sua condizione: era ad un soffio dal Dio del Caos, avrebbe potuto ucciderla e lei non se ne sarebbe neppure accorta. Eppure, quei dannati occhi, la sua voce: le gridavano di fidarsi. Dopotutto, nelle condizioni in cui era, cosa aveva da perdere? Quella storia la stava logorando dall’interno, in un modo che non reputava possibile.
Prese un bel respiro, poi ripiegò la felpa sul seno, lasciando scoperto l’addome, come le aveva chiesto.
Loki allungò un palmo verso la sua pelle chiara, ma riuscì solo a sfiorarla, perché lei gli afferrò istintivamente il dorso della mano con la sua, premendo le unghie sullasua cute pallida.
“Fidati di me…” sussurrò di nuovo, questa volta aspettando che le sue falangi si rilassassero. Quando allentò la presa, Natasha seguì lo stessoi suoi movimenti, intrecciando le dita alle sue involontariamente.
 
La mano gelida di Loki si premette sul suo ventre, spingendo dolcemente, causando a Natasha non pochi brividi.
“Distendi tutti i muscoli, non farà male se non opponi resistenza.” Disse piano, guardando i suoi occhi chiari: era la prima volta che li vedeva così spaventati e confusi, e questo lo ferì nel profondo, poiché se c’era un colpevole, quello era lui.
La donna lo assecondò, si stava di nuovo lasciando andare, e la cosa non le piaceva affatto, ma quella sua mano, proprio lì, dove si stava sviluppando il loro figlio, le infondeva una strana sensazione, più piacevole del dovuto probabilmente.
Così rilassò tutti i muscoli, svuotando i polmoni.
Il dio premette ancora più a fondo, curandosi di non recarle alcun dolore, poi allontanò il palmo dal suo ventre, lentamente.
Quando fu abbastanza distante, Natasha poté distinguere un piccolo oggetto biancastro levitare a pochi centimetri dalla sua mano, era una minuta sfera luminosa, che trasmetteva un insolito calore tutt’attorno.
“Cos’è?” chiese in un soffio, continuando ad accogliere la sua mano nella sua, nella quale stava sospeso quel piccolissimo globo.
 
“E’ il feto, non sei più incinta. Ma a differenza di un aborto normale, qui il bambino è racchiuso in una membrana di minerali, non morirà mai, è solo assopito. È una magia potente: la membrana è di un materiale molto particolare, simile ha quello di una perla Midgardiana, ma indistruttibile. Potrai farne quel che vuoi Natasha, gettala se preferisci, forse è più giusto così; ma se vorrai, un giorno, ti basterà avvicinarla al ventre: la barriera si scioglierà e il feto tornerà a crescere come se nulla fosse accaduto… Per adesso però…” Sussurrò Loki, passando l’altra mano sulla perla e facendo apparire una finissima catenina d’argento sulla sua sommità. “… Sarà solo un bellissimo ornamento.” Disse il dio, mettendola con dolcezza al collo di Natasha. “Ah, se vuoi saperlo, sarebbe stata una bambina…” concluse il Principe degli Inganni, sfiorando appena la superfice del piccolo monile. Non aveva il coraggio di guardare il viso della donna, per tutto il tempo aveva contemplato la minuta sfera.
“Perché lo fai?” chiese con voce tremante.
“Faccio cosa?”
“Ti diverte così tanto prenderti gioco di me?” domandò allontanandosi appena, quel tanto che bastava perché non potesse più toccare la pietra. “Un momento prima sei il solito meschino senza cuore e poi… e poi questo…” disse indicando con lo sguardo la collana. “Perché lo fai?”
“Non sono mai stato bravo a recitare.” Rispose sorridendo mestamente.
“E che ruolo stai interpretando? Perché davvero non lo riesco a capire!” ringhiò la donna, ignorando le altre lacrime che di nuovo avevano preso a scendere. “Quello dell’amante dolce e premuroso, o quello del bastardo senza cuore? Dopotutto domani sparirai dalla mia vita per sempre, e non m’importa se ti vanterai di come Natasha Romanoff sia caduta nella tua trappola, non m’interessa! Voglio solo che tu sia sincero, per una volta…”
“Non crederesti ad una sola parola…” sussurrò abbassando il volto.
“Non hai le palle neppure per ammetterlo… Sei ridicolo!” gridò allontanandosi da lui, facendo pressione sulle braccia, già pronta ad alzarsi e andarsene.
 
“Quando arrivai sulla terra...” cominciò Loki. “Mi misi appositamente in mostra, in modo che vi fosse facile trovarmi e catturarmi. La verità è che il Tesseract è potente, e molto, al contrario del mio corpo: se avessi voluto, avrei potuto utilizzare tutti i suoi poteri e spazzare via voi Avengers in pochi secondi, ma non sarei sopravvissuto… Per questo la prima parte della mia missione, prevedeva che vi separassi, e per farlo dovevo essere imprigionato. Di certo non pensavo che Fury avrebbe mandato te, non subito almeno. Quando ti ho vista, ho capito che stavi tentando di fregarmi: nessun’agente si scoprirebbe tanto facilmente, e tu sei Vedova Nera. Così ho pensato di divertirmi un po’ alle tue spalle, e mi sarebbe servito per capire cosa avevi intenzione di fare. Hai reagito male, hai perso il controllo, e io mi sono guadagnato una bella ferita. I miei piani avevano preso da subito una brutta piega, e andava sempre peggio, considerato che non mi accorsi subito del veleno: ero troppo divertito dal tuo comportamento… Mi hai catturato dal primo istante, ma ero cieco e non volevo ammetterlo. Poi sei tornata, fredda e glaciale, mi hai curato e io ti ho ferito: altro imprevisto. Fu allora, quando mi portavano via già stretto nelle morse del sedativo, che capii: nel coma c’erano solo i tuoi occhi, il tuo viso, il tuo profumo… Dovevo venire da te, era una necessità, e l’avrei fatto anche se tu non fossi stata ferita. Ma la cosa non doveva andare oltre, se tu non mi avessi raggiunto nell’infermeria io sarei sparito completamente dalla tua vita. L’hai fatto, e subdolamente ne gioii, perché era la cosa che desideravo di più, e tu l’avevi capito: per questo non te ne sei andata, neppure quando ti intimai di farlo, sei rimasta… sei stata la prima ad averlo fatto, e l’unica che volevo lo facesse. Per questo, da egoista, non fermai le tua labbra, ma le accolsi. Quando però ti sei addormentata, fra le mie braccia, serena e bella come la stella più luminosa del firmamento, ho capito l’errore che stavo commettendo. Non potevo spegnere quella stella, non me lo sarei mai perdonato. Perché è nella mia natura, hai ragione a chiamarmi mostro, è quello che sono: ti avrei trascinata inevitabilmente nell’oscurità, e non potevo permetterlo… Così ti lasciai quel biglietto, e tuttora non me ne pento, perché adesso mi odi, e solo odiandomi sarai al sicuro da me e dalla mia natura autodistruttiva. Le ferite che mi hai lasciato erano la riprova che ero riuscito nel mio intento, ma nonostante questo, avrei dato tutto l’oro di Asgard per rivedere quell’espressione beata che avevi fra le mie braccia quella sera… Adesso però, mi rendo conto di averti ferito ugualmente, e di questo mi pento, più di quanto tu possa immaginare, perché era l’ultima cosa che volevo, te lo giuro… E se ti sto dicendo questo, è perché ormai siamo andati oltre, e meriti di sapere le cose come stanno, tanto domani sparirò per sempre dalla tua vita, ed è giusto che sia così. Inoltre, confido sul fatto che non crederai ad una sola delle mie parole…”
 
Natasha rimase immobile. Bloccata da quelle parole. Incapace di controbattere. Incapace di fermare le lacrime e la sua mano, che le aveva cancellate una ad una,via via che scendevano. Anche quando smise di parlare non lallontanò, non ne aveva il coraggio, continuava a sfiorare le sue guance umide, le sue labbra dischiuse… Non c’era alcuna malizia in quello che faceva, si rendeva conto che era impossibile chiederle di perdonarlo, in quel momento cercava ingenuamente di limitare i danni, asciugando le sue lacrime, una dopo l’altra.

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Capitolo 11
*** Chi per coraggio, chi per paura. ***


Tante, troppe cose affollavano la mente di Natasha; in quel silenzio che era sceso nell’androne spoglio, nei suoi occhi che parevano così colpevoli e sinceri, la donna annegava lentamente.
Neppure quelle dita affusolate e fredde, che percorrevano avanti e indietro la pelle umida del suo viso, riuscivano a farle riprendere il controllo di se, e lo stesso era per il tiepido calore che la perla emanava sul suo petto, sfiorandolo ad ogni respiro.
Quei contrasti, quella situazione surreale, avevano il solo effetto di farla affondare ancor di più nelle sue domande, che si potevano riassumere in una sola: è davvero sincero?
Non riusciva proprio a trovare una risposta, in quel momento, le era impossibile riflettere lucidamente, mettere in fila tutte le cose che erano successe e capire se diceva la verità, o se stava ancora giocando con lei.
Restò immobile cercando in ogni modo di collocare in ordine le sue parole, che adesso premevano contro le tempie con insistenza, e fu proprio allora che la sua testa si svuotò completamente, senza preavviso, lasciandola stupita e libera di respirare.
“Te l’ho detto, tutto quello che ho sempre voluto, è stato il tuo bene…” sussurrò con un sorriso dolce ed enigmatico il Principe degli Inganni. “Va meglio?” chiese protendendosi appena verso di lei, cercando una risposta nei suoi occhi ancora lucidi.
Soltanto adesso Natasha si accorse del suo indice e medio, che si erano spostati furtivamente sulla sua tempia sinistra.
Era stato lui: le aveva svuotato la mente, aveva percepito il suo disagio e l’aveva alleviato.
La donna abbassò il viso, nascondendolo sotto alcune ciocche di capelli rossi, poi rispose al suo sorriso.
“Si, va molto meglio.” Poi alzò lo sguardo su di lui, mantenendo il capo basso. “Immagino che tu voglia una risposta, dopo quello che mi hai detto.”
“No. Non è necessario in realtà, posso dedurla da solo…”
“Sono così facile da interpretare?” chiese lei con uno strano sorriso sulle labbra: sembrava punta sul vivo, ma anche piacevolmente divertita.
“Al contrario. Ma io lo sono: dopo ciò che ho fatto, non mi aspetto nient’altro che un: –addio bastardo-…”
“In effetti la voglia di assecondare la tua deduzione è davvero molta, e sarebbe anche la cosa più semplice da fare: andarmene e convincermi che quello che mi hai detto erano solo altre bugie, sarebbe semplicissimo. Ma ormai dovresti sapere che mi piacciono le cose complicate…” disse la donna, mordendosi le labbra. Era pienamente convinta di ciò che stava per fare, ma c’era ancora una parte di lei che si opponeva a quella pazzia incoerente.
 
Si allontanò appena dal corpo di Loki, strisciando all’indietro, poi, ignorando il suo sguardo, si abbassò, accovacciandosi lentamente fra lesue gambe e accoccolandoglisi sul petto.
“Che stai facendo?!” chiese il dio, sgranando gli occhi.
Quando l’aveva vista allontanarsi, aveva pensato che stesse per andarsene, proprio come aveva previsto, invece: eccola sistemarsi sul suo torace, e intrecciare involontariamente le gambe con le sue.
“Te l’ho detto, mi complico la vita.” Rispose Natasha, come se quella fosse una reazione normale dopo tutto quello che avevano passato. “Ti fanno male le ferite se sto qui?” domandò con indifferenza.
“No…” sussurrò Loki, con un’espressione piacevolmente sorpresa ad increspargli il viso.
“Ammettilo, ti ho stupito.” Fece la donna divertita, sistemandosi in modo da poterlo guardare negli occhi.
“Hai proprio un brutto ascendente su di me…” disse lui scuotendo il capo e sorridendo, poi circondò finalmente il suo corpo con le braccia, andando ad accarezzare distrattamente la sua chioma rossa.
“A me sembra tutto il contrario: andiamo, fra i due ero io che potevo andarmene, e guarda dove sono invece!”
“E secondo te è da me questo?” disse indicando con lo sguardo sue le mani, che adesso la stavano accarezzando dolcemente.
“Diciamo pure che la coerenza non è il nostro forte…” sussurrò lei, abbassando di nuovo il volto e chiudendo gli occhi.
In quel momento, a differenza di ciò che sarebbe potuto sembrare dall’esterno, a dispetto della loro vicinanza fisica, erano lontani, quasi intimoriti l’una dall’altro. Dopo quello che era successo, nonostante la buona volontà e ciò che provavano reciprocamente, ci sarebbe voluto del tempo: mancava qualcosa, c’erano ancora delle cose che dovevano dirsi, qualcosa che li avrebbe finalmente uniti, e che avrebbe cancellato quella leggera nota di freddezza che li teneva separati.
 
“Dicevi sul serio prima?” chiese piano Natasha, senza muoversi per cercare di nuovo il suo sguardo, limitandosi a fissare l’oscurità della cella.
“Riguardo cosa?”
“Alla perla. E’ passata in secondo piano prima… E’ davvero il feto?”
“Si.”
“E starà bene? Voglio dire… non soffre?”
“Non preoccuparti, te l’ho detto: è semplicemente assopita, per lei è come essere ancora nel tuo ventre.”
Lei…” ripeté la donna, sfiorando distrattamente la superfice leggermente ruvida del piccolo monile.
Loki la strinse di più a se. Un nuovo ingenuo tentativo di trasmetterle le sue scuse; sentiva distintamente il suo tormento, era più che comprensibile, ma non riusciva a sopportare l’idea di esserne il responsabile.
“Come l’avresti chiamata?” domandò a tradimento la donna.
“Co-come l’avrei chiamata?” balbettò appena il dio, sorridendo confuso.
“Scusa… era solo per parlare un po’.”
“No, va bene… Solo che non so se ne sono capace.”
“Tutti ne sono capaci, sarebbe stata tua figlia dopotutto… E’ una delle poche cose della vita che non devono essere insegnate, vengono e basta...”
Haely.” Disse quasi senza lasciarla finire. “L’avrei chiamata Haely se ne avessi avuto la possibilità.”
“Cosa significa?” chiese Natasha, quel nome le aveva mosso qualcosa dentro: sarebbe stato il nome della loro figlia mai nata, lo sentiva chiaramente, come se avesse sempre conosciuto quella parola, come se fosse stata marchiata a fuoco nella sua mente tanti anni prima.
“E’ un vocabolo antico, vuol dire tante cose: tesoro, gioiello e tutti i sinonimi che ti possono venire in mente. Era la parola che usavano gli anziani per etichettare qualsiasi cosa avesse un enorme valore… Infatti, è da lì che prende il nome la pietra più rara e preziosa presente su Asgard, che puoi vedere al tuo collo in questo momento.” Spiegò Loki, rimirando un punto indefinito della stanza buia.
“Haely è il materiale che compone la perla?”
“Esattamente. Troppo sentimentale?” Chiese la divinità. Per lui era tutto così nuovo, temeva sempre di sbagliare qualcosa, e l’equilibrio che si era creato fra loro era fin troppo precario per commettere un altro errore.
“Affatto…” rispose la donna in un sussurro, stringendo Haely nel palmo, traendone quel piacevole tepore che emanava.
 
“Ho fatto un sogno strano quando te ne sei andato.” Quel momento, ne erano entrambi consapevoli, sarebbe stato l’ultimo in cui chiarirsi, l’unico senza conseguenze, dove si sarebbero detti tutto ciò che avevano taciuto, ed era proprio ciò Natasha che stava facendo.
“Un sogno?” Chiese Loki appena compiaciuto.
“O almeno credo che lo fosse… Non prendermi per pazza, ma sembrava davvero reale! … Stai ridendo?!” Domandò stizzita la giovane, alzando il capo e fulminando la divinità sorridente.
“Affatto, mi chiedevo solo quando me ne avresti parlato.”
“Sapevi del mio sogno?”
“Non era un sogno. Era reale, eri dentro di me, lo era la tua anima. Se devo dire la verità, non ho idea di che fenomeno sia, ma ne ho sentito parlare qualche volta: è una sorta di collegamento che avviene fra due esseri, a dir poco raro… Il mio spirito si è aperto al tuo, ti ha lasciato libero accesso. E così hai potuto vedere ciò che c’è dentro di me: la distesa di ghiaccio, Fenrir, e il mio tesoro più grande.”
“Hai usato la tua magia?”
“Non è opera di magia, mi è impossibile manipolare la mia anima. Credimi, ci ho provato…” Il tono della sua voce, colpì Natasha: sembrava stesse parlando da un luogo lontano nel tempo e nello spazio.
“Ci hai provato?” ripeté lei piano.
“Ci sono cose che non sai di me, piccolo ragno.” Disse Loki, ridendo appena, nel tentativo di chiudere lì il discorso. Ma la donna rimase immobile, in attesa. “Cose di cui non vado fiero.” Aggiunse a voce bassa, sapeva che l’avrebbe vinta lei, sarebbe sempre stato così, e non valeva la pena tentare di opporsi. “Prima di arrivare qui, sulla terra, sono cambiato molto. Fin da piccolo, come sai, ho sempre cercato di essere degno del titolo di Figlio d’Odino. Ma c’era sempre qualcosa che non andava: non ho mai reso fiero il Padre degli Dei per quanto ci avessi provato. Mi riempii di rabbia, troppa da contenere, sapevo che quella sarebbe stata la mia ultima chance. Provai a distruggere Jötunheim con il Bifrost, il collegamento che può unire tutti i pianeti di Yggdrasil; Thor riuscì a fermarmi, ma dovette distruggere il ponte, e durante quell’esplosione, cademmo nel vuoto. Fu Odino a salvarci, e fu in quel momento che lessi il disprezzo nei suoi occhi. Così, l’unica via che mi rimaneva, era il vuoto. Lasciai la presa, vagai nello spazio per un tempo indefinito, e durante quel mio viaggio, capii che in realtà il mio non era odio nei confronti di Asgard e del suo re, ma odiavo me stesso per non essere stato all’altezza del suo trono. Credetti che ci fosse qualcosa di sbagliato in me, credetti che fosse la mia anima gelida la causa di tutto, e mentre erravo nel vuoto dell’universo, appresi ogni magia di ogni popolo che incontrai. Ho imparato incantesimi tanto potenti da poter cancellare una galassia intera, magie nere e oscure, e per quanto fossero potenti, nessuna di queste poteva mutare il gelo del mio spirito in qualcosa di migliore. Quando persi anche l’ultima speranza, e mi abbandonai al mio risentimento, intravidi una via secondaria, quella della vendetta. Perché dovevo essere io quello sbagliato? Perché non loro? Chi lo aveva deciso? Per questo richiesi l’aiuto dei Chitauri e del Tesseract, e mi diressi qui, per distruggere il pianeta tanto amato da mio fratello… Ho provato ad essere diverso, l’ho fatto, ma è scritto nel destino, è scritto sulla mia pelle, il fato non mi riserva niente di nuovo: sono nato per uno scopo, e per quanto sia terribile, per quanto tenti di cambiare le cose, lo porterò a termine…”
In quei giorni che aveva passato con lui, Natasha mai si era posta il problema di capirlo. Pensava che non ci fosse poi molto da intendere o spiegare: certe persone sono crudeli e basta, non devono avere un motivo per esserlo, e aveva sempre ritenuto Loki appartenente a quella categoria.
Ma dopo le sue parole, adesso che conosceva come tutto era iniziato, capiva che non era così. Quella nota di umanità che albergava in fondo ai suoi occhi, quella piccola sfaccettatura che emergeva solo con lei, ora sapeva cos’era: il tentativo di soddisfare dei canoni, il disperato sforzo di appagare il bisogno di essere diverso, il dolore di non poter cambiare le cose, il vuoto
La donna non seppe come rispondere, forse perché, almeno per quella volta, non c’era bisogno di parole. Si limitò a rannicchiarsi meglio contro dilui, raggiungendo la sua mano che le accarezzava dolcemente i capelli, intrecciando le dita alle sue.
Continuarono a parlare per ore, di cose futili e di cose importanti, alcune volte si sciolsero in risate, altre si chiusero in silenzi lunghi e pieni di pensieri.
Ma, chi per coraggio, chi per paura, non era riuscito a dire quelle poche parole, quelle importanti, che entrambi sentivano e che avrebbero cambiato tutto.
 
“Natasha, promettimi una cosa.” Disse Loki improvvisamente, interrompendo quell’ultimo silenzio. “Voltati, ti prego.” Sussurrò la divinità, aiutandola a girarsi. Adesso era seduta fra le sue gambe, lateralmente, abbastanza da poter guardare i suoi occhi cangianti. “Devi farmi una promessa.”
“Che genere di promessa?”
“Ho bisogno che tu mi prometta di sorridere sempre…” quella frase colpì la donna dritta al petto, tanto che il cuore le mancò di un battito, e fu costretta ad abbassare il volto per non darlo troppo a vedere. “Devi promettermelo. Tu non hai idea di quante persone vivano per il tuo sorriso, per vederti raggiante mentre illumini le loro giornate…” continuò lui, sforzandosi di guardarla dritto negli occhi, con un tono serio e dolce al tempo stesso.
Il Principe degli Inganni aveva già pronunciato frasi simili, a molte persone, giusto per testare le sue capacità; ma non le aveva mai davvero sentite, non aveva mai provato qualcosa di simile, qualcosa di tanto forte e profondo. “Me lo prometti Natasha?” chiese dopo alcuni secondi, sollevandole il viso con l’indice e il pollice puntati delicatamente sul mento. Scoprì così due grandi occhi arrossati e di nuovo gonfi di lacrime. “Nessuno merita le tue lacrime, tantomeno io. Smettila, ti prego. Devi costudire anche loro, sono più preziose delle gemme più rare…” continuò scuotendo il capo, sorridendo appena, sfiorando la pelle morbida delle sue guance, appena inumidite.
Natasha non riusciva a respirare: possibile che poche parole avessero la capacità di scatenare tale reazione? L’istinto le gridava di spalancare la bocca e riempire i polmoni, ma la sua testa, la parte razionale di sé, si rese conto che non aveva bisogno d’ossigeno, aveva bisogno di lui.
La distanza che li separava era minima, bastò un impercettibile slanciò perché le labbra di lei sfiorassero le sue.
Restarono immobili, si rubarono l’aria a vicenda, e solo allora la donna non avvertì più quell’oppressione che le attanagliava le viscere.
“Promettimelo…” sussurrò Loki, allontanandosi appena dal viso di lei dopo un tempo che parve infinito.
“Te lo prometto…” rispose Natasha, con gli occhi serrati, ad un soffio dalle sue labbra.
“E’ tardi, dovresti riposare adesso, sono giorni che non chiudi occhio, sbaglio?” la donna non rispose neppure, ormai non faceva più caso a quei trucchetti. Rimase ancora un istante ad un palmo dal suo volto, facendo incetta del suo respiro, poi si voltò di nuovo, accoccolandosi sul suo petto. “Cerca di dormire, ti sveglio io.”
“Ci sarai stavolta?” chiese lei, riferendosi all’ultima volta in cui aveva sentito quella frase.
“E’ una promessa.” Rispose sorridendo dolcemente la divinità, cingendole le spalle con le braccia e riprendendo ad accarezzare i suoi capelli cremisi.

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Capitolo 12
*** Solo per lei. Solo per lui. ***


Chiusa in quella cella enorme e buia, Natasha era raggomitolata sul petto di Loki.
Seguiva il ritmo del suo cuore, il movimento della sua mano sulle ciocche vermiglie dei suoi capelli, cercava in ogni modo di dimenticare ciò che aveva appena fatto…
Come hai potuto baciarlo?! Non avresti dovuto farlo! Sembri una liceale alle prese con la prima cotta delae sua vita! E adesso perché sei ancora qui?! Che cosa speri di ottenere? Domani se ne andrà e non lo rivedrai mai più! Sei solo una stupida… questo si chiama sadismo…
Tutti quei pensieri le riempivano la testa, gridavano, tanto che aveva il timore che anche lui potesse sentirli, e ne ebbe la conferma quando le sussurrò all’orecchio di smetterla e chiudere gli occhi, cominciando a mugolare i resti di una vecchia ninnananna.
Si sorprese di quel gesto, ma non più di tanto: ormai aveva assimilato che quell’essere misterioso era capace di costudire lati inaspettati di se nel profondo della sua persona, scoprendoli di volta in volta dello strato di gelida insensibilità dietro cui usava nascondersi.
La lenta litania, le sue braccia che la stringevano, il freddo che scaturiva dal suo corpo, ebbero il potere di calmarla; ma le note dolci ed effimere della ninnananna l’avevano catturata, voleva ricordarle, troppo belle per essere dimenticate.
 
Il tempo fu scandito dai toni ipnotici della nenia, Loki continuò ad intonarla finché non fu certo che Natasha si fosse assopita, e solo allora, cominciò a parlare.
“Non avrei mai detto che ne sarei stato capace… e tantomeno che mi sarebbe piaciuto così tanto. Per me non era previsto l’amore, non era previsto niente di tutto questo. Hai la grandiosa e terribile capacità di cambiare il mio destino, sei riuscita a mutare ciò che pensavo fosse impossibile modificare. Hai battuto le magie più potenti e oscure con un semplice sguardo, hai annientato le mie difese col solo profumo della tua pelle… Sembra passata un’eternità da quel giorno, sulla nave S.H.I.E.L.D., nella capsula di sicurezza. Sono cambiate così tante di quelle cose, adesso riesco persino a comprendere mio Fratello, l’affetto che prova per questo pianeta e per i suoi abitanti. E benché ne sia consapevole adesso, fra poche ore verrò rinchiuso nelle celle di Asgard, umiliato, in attesa di un verdetto. Ma la cosa che più mi fa rabbia è che, malgrado ciò che provo e ciò che so essere giusto, farà male lasciarti qui… Sapere che questi minuti sono gli ultimi in cui potrò guardare il tuo viso… Solo un vero ipocrita potrebbe fare certi pensieri: sono consapevole che con me soffriresti, che saresti costretta nelle spire del mio amore malato, e nonostante ciò, c’è ancora una parte di me che ti vorrebbe al mio fianco, sempre. Mi hai mostrato l’amore, adesso so cosa significa tenere ad una persona, adesso so di amarti… e la cosa più divertente, è che non lo saprai mai, ma è giusto così per quanto faccia male.”
La divinità parlò senza smettere di coccolare la sua figura rannicchiata, senza smettere di guardare lo spicchio di viso lasciato libero dai capelli cremisi.
Quando concluse quella timida confessione, e si rese conto di averla fatta davvero, scoppiò in una risata cristallina, scuotendo il capo e tentando di non disturbare il suo sonno.
Ti amo, piccolo ragno…” sussurrò appena, abbassandosi sul suo capo, lasciandovi un innocente bacio e inspirando il suo odore dolciastro, desiderando con tutto il cuore annegarvici.
 
“Sveglia Fratello, è ora di…” Thor entrò nella cella, spalancando la pesante porta con facilità e lasciando che il riquadro di luce illuminasse due figure dall’altro lato della stanza.
Il dio non riusciva a credere ai suoi occhi, era senza parole.
Aveva visto Loki fare le cose più strane, dolci e atroci, ma mai, mai aveva visto quell’espressione sul suo viso assopito: anche quando riposava nelle sere d’estate sui tetti di Asgard, assieme a lui, aveva sempre notato una lieve contrattura sul suo volto, dovuta a qualche risentimento o pensiero. Adesso invece, accanto a lei, niente lo disturbava, era semplicemente sereno, senza nessuna barriera di rabbia o rancore a coprire il vero lui.
Il Dio del Tuono si avvicinò piano, riempiendosi gli occhi di quella visione tanto dolce, consapevole che non ne avrebbe più avuto occasione.
“Fratello…” Sussurrò posando una mano sulla sua spalla. “Dobbiamo andare.”
Loki si svegliò, dischiuse appena gli occhi incrociando quelli ormai familiari di Thor.
“Dammi solo 5 minuti.” Disse piano, con un tono simile ad una preghiera.
Thor annuì e ripercorse a ritroso la stanza, uscendo e socchiudendo la porta, così che solo una piccola lama di luce rischiarasse i due.
“Natasha… Sveglia piccolo ragno…” soffiò Loki al suo orecchio, finché la donna non si svegliò, mostrandogli un broncio da bambina. “Dormito bene?” chiese lui sorridendo. Lei si limitò a sorridere, sfregandosi gli occhi con il dorso delle mani.
Aveva sempre adorato quei momenti: quando ti svegli e ancora non riesci a ricordare tutti i problemi che dovrai affrontare nella giornata, quando tutto sembra bello e semplice.
Ma quella sensazione idilliaca durava sempre troppo poco, e Natasha fu improvvisamente investita da ciò che stava per accadere.
Senza dire una parola, si alzò, sgranchendosi appena le ossa, poi guardò Loki e, sorridendo, l’aiutò a mettersi in piedi.
“Ti fanno male le ferite?” chiese lei, appena impacciata per qualche strano e remoto motivo.
“Non troppo, non preoccuparti.” Rispose il Principe degli Inganni, continuando a rimirare il suo viso, come fosse acqua limpida e fresca nel deserto più arido e sconfinato di sempre.
 
Quando entrambi si ritenerono sazi della figura dell’altro, Loki distolse lo sguardo, portando una mano dietro la schiena.
“Che fai? Cos’è?” chiese piano Natasha, sporgendosi ingenuamente nel tentativo di sbirciare.
“Una cosa che non voglio che vada persa. Dove andrò mi toglieranno tutto, ma questo è troppo importante.” Disse il dio, cercando di sorridere. Poi mostrò di nuovo il suo palmo, e con un pizzico di teatralità, fece apparire sopra di esso quello che pareva un libro mangiato dagli anni, con alcune borchie verdastre a tenere unite le pagine e la copertina scura.
Loki gioì della sua espressione, sorrise e, prendendo dolcemente la sua mano, vi posò sopra il piccolo volume liso.
“Cos’è?” domandò di nuovo confusa.
“E’ il taccuino in cui ho scritto tutti i miei incantesimi, da quelli più inoffensivi a quelli proibiti. E’ un po’ come il mio diario, non ricordo giorno in cui non fosse stato al mio fianco… Voglio che lo tenga tu, al sicuro da mani indiscrete.”
La donna sorrise appena, stringendolo fra le dita affusolate, rimirandone il profilo e le volute impresse a fuoco sulla copertina.
“Lo farò.” Disse sollevando lo sguardo sul volto sereno di Loki.
Nonostante ciò che dava a vedere, la divinità era preoccupata, molto. E come non esserlo? Lo aspettava Asgard, il giudizio di Odino, una punizione… e dopo quello che aveva fatto, non sarebbe stata leggera come le precedenti. La donna riuscì a scorgere la paura dietro quel sorriso, così estinse quell’ultimo passo che li separava e l’abbracciò.
Gli circondò le spalle con le braccia e, sollevandosi sulle punte, poggiò il capo nell’incavo del suo collo.
Loki s’irrigidì appena, non aspettandosi quel gesto, ma subito l’accolse e lo ricambiò stringendola a se per la vita.
“Andrà tutto bene.” sussurrò lei.
“Andrà tutto bene…” ripeté il dio sorridendo.
La donna sollevò appena il capo, portando le labbra al suo orecchio, dischiudendole.
Stava per farlo. Stava per dirgli ciò che provava. Sorrise, pervasa da una sensazione strana e nuova.
 
“Non farlo.” La bloccò lui. Allontanandola delicatamente. “Non dirlo a voce alta.”
Natasha rimase interdetta, poi distolse lo sguardo appena divertita.
“Tu l’hai fatto…” lo sfottè lei, sogghignando impercettibilmente e mordendosi le labbra.
“Tu… Aspetta… Eri sveglia?!”
“…Ops!” fece lei, alzando le spalle con un’espressione simile a quella di una bambina che aveva combinato un guaio. Loki la fissò sgomento, poi scoppiò a ridere.
“Quindi hai sentito anche la parte che non avresti dovuto sentire?” La donna rispose con un altro sorrisino colpevole.
La divinità rise di nuovo, scuotendo il capo, poi poggiò le mani gelide sulle sue spalle, lasciandole scivolare per tutta la lunghezza delle braccia fino a circondare i suoi polsi con le dita affusolate, attraendola a se. Proprio come la prima volta che s’incontrarono, nella capsula della nave S.H.I.E.L.D., Loki avvicinò il volto al suo, ma questa volta non deviò, raggiunse le sue labbra.
“Non dirlo mai ad alta voce, piccolo ragno.” Soffiò ad una distanza irrisoria da lei, che sorrise.
“Te ne sei pentito?”
“Assolutamente no. L’ho ammesso, ma ero consapevole che avrebbe fatto più male.”
“E perché l’hai fatto se lo sapevi?”
“Perché dove andrò, sarà il male più dolce, quello che mi farà andare avanti senza perdere del tutto la ragione...”
“… Vorrà dire che lo sussurrerò.” Disse lei dopo alcuni secondi, sforzandosi di sorridere, catturandolo in un bacio lungo e lascivo, nel quale nascose due grosse lacrime.
“Andrà tutto bene… ricordi?” sussurrò Loki sulle sue labbra. Poi lasciò i suoi polsi, e si allontanò di un paio di passi sorridendo sereno, infondendole calma.
 
“Loki. Dobbiamo andare.” Thor entrò in quel momento, aprendo del tutto la porta e illuminando le lacrime di Natasha appena prima che le asciugasse.
Il dio annuì debolmente, andandogli in contro e mostrandogli i polsi remissivo, così che gli potesse mettere un paio di grandi e pesanti manette. Poi gli diede le spalle, voltandosi verso Natasha e sorridendo mentre il Dio del Tuono apriva quella che pareva una maschera in ferro.
-Addio, piccolo ragno- furono lesue ultime parole su quel pianeta, pronunciate col sorriso solo per lei, subito prima che Thor calasse sulle sue labbra e parte del viso quella specie di museruola, assicurandola dietro la nuca.
Il volto dell’Agente Romanoff era teso, ma sorrideva, solo per lui. E quando la canzonò con quel soprannome, si concesse una sommessa risata, per poi tornare seria e scandire con le labbra un silenzioso –Ti amo-.
 
Central Park era insolitamente silenzioso quel giorno, insolitamente deserto. Tutto merito dello S.H.I.E.L.D., che aveva isolato il perimetro ai civili. Ben presto, in quell’anonima piazzetta acciottolata, si riunirono tutti i membri degli Avengers: c’erano Tony e Bruce che parlottavano di chissà quale nuova scoperta scientifica, Steve che mostrava a Clint e al dottor Erik Selvig la sua fidata motocicletta, e poi c’era Natasha, che fissava Loki e Thor al centro del disegno geometrico della pavimentazione.
Quando tutti si riunirono attorno ai due Asgardiani, Tony e il dottor Selvig presero da una valigetta di sicurezza il Tesseract, posizionandolo in quello che, per tutti i presenti, era solo uno strano oggetto che avrebbe rispedito nel cuore dell’universo Loki.
Adesso che si erano allontanati tutti, il Dio del Tuono fece un cenno al Fratello che asserì stringendo la presa sulla capsula che conteneva il cubo.
Poi si voltò verso Natasha, che teneva la pietra di Haely nel palmo della mano, trattenendo il fiato.
Un solo istante.
Un enorme fascio di luce.
Tutto finito.
Loki era scomparso nel nulla, inghiottito da quella luce, catapultato verso il suo destino.
Natasha era immobile, con lo sguardo puntato verso il cielo.
Tutto finito.

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Capitolo 13
*** La Loro Svolta. ***


“Sono tornata!” gridò Natasha quando le porte dell’ascensore, giunte all’ultimo piano della Stark Tower, si chiusero dietro le sue spalle.
Si sfilò i tacchi alti e li lanciò in un angolo della sala, illuminata solo dal magico tramonto di New York. “C’è nessuno?” continuò la donna, che percorse tutto il soggiorno finemente arredato, guardandosi intorno.
“Nat, sono in cucina!” la voce di Pepper risuonò squillante dalla stanza a fianco.
“Salve Signora Stark!” scherzò l’Agente Romanoff, affacciandosi alla porta con un largo sorriso.
“Ehi, ben tornata!” fece lei, che si voltò mostrandole il viso sporco di farina.
“Ma che stai combinando?!” chiese Natasha avvicinandosi e, dopo averle dato un veloce bacio sulla guancia, si perse nel tentativo di identificare quello che sembrava una massa bianchiccia e informe fra le sue mani.
“Hai un’altra domanda?” rispose sbuffando. “Tony vuole che sia io a fare la torta di compleanno per Alex… Mi sto esercitando!”
“Potresti farla fare a lui considerati i risultati… senza offesa ovviamente!”
“Ci ho provato, ma riesci a credere che non vedo mio marito e mio figlio da due giorni?! Si sono chiusi nel laboratorio… credo stiano costruendo un’armatura per bambini: Alex ne voleva una per la sua festa…”
“Tale padre tale figlio!” disse lei ridendo appena, rubando l’unica fragola rimasta incolume dall’attentato alla buona pasticceria di Pepper.
“Com’è andata la missione?”
“Bene, come sempre! Adesso vado, qualcuno mi aspetta se non sbaglio!” Fece Natasha, uscendo dalla cucina. “Sai dov’è?” chiese a voce alta, avviandosi verso le scale che si arrampicavano lungo una parete della grande sala.
“Dovrebbe essere in camera sua! Mangiate qui stasera?”
“Se cucini qualcosa di già collaudato, sì!” disse la donna ridendo, mentre correva su per la scalinata di vetro.
 
Arrivata in cima, aprì la porta e la richiuse piano dietro di se, ritrovandosi nel suo attico, gentilmente offertole dallo Zio Stark da quasi 6 anni ormai.
Raccolse un elastico per capelli da una delle tante mensole del lungo corridoio, legando la chioma cremisi in uno chignon appena abbozzato; superò la sala e, finalmente, raggiunse la familiare soglia bianca.
La dischiuse delicatamente, affacciandosi appena. Un sorriso dolce le colorò le labbra.
Erano seduti di spalle sul tappeto, e si voltarono contemporaneamente.
Mamma!” Una bambina. Due grandi occhi chiari e una cascata di boccoli neri. La sua bambina. Haely scattò in piedi, incespicando appena prima di zampettarle incontro sorridendo.
“Ehi, scricciolo!” disse Natasha spalancando la porta e inginocchiandosi, accogliendo il minuto corpicino fra le braccia.
“Mamma! Guarda cosa ho imparato!” strepitò la piccola, divincolandosi dall’abbraccio.
Dopo aver fatto due passi indietro, assunse una divertente espressione concentrata, tese le mani in avanti e, preceduto da un bagliore verdastro, apparse fra i suoi ditini un enorme grappolo di glicine.
“Ma sei diventata bravissima! E chi te l’ha insegnato?” chiese la donna, gettando una veloce occhiata all’interno della camera, incontrando il suo sguardo.
Dopo tutti quegli anni, in quelle occasioni, ancora non riusciva a controllare i battiti del cuore.
Loki si era alzato lentamente dal tappeto, poggiando le spalle alla parete e guardando in silenzio i sorrisi delle sue due donne.
“L’ho imparato da sola!” gridò la bambina, mettendo il broncio.
“Ah davvero?!” ripeté divertito il Principe degli Inganni, materializzandosi in ginocchio alle spalle di Haely, circondandole la vita con le mani e iniziando a farle il solletico. La bambina si divincolò sotto le sue dita fresche, fino a soffocare le risate nell’incavo del suo collo, abbracciandolo forte.
 
“Haely! È arrivato Alex!” la voce di Pepper raggiunse l’attico, la piccola guizzò via dalle braccia delpadre e, dopo aver lasciato un bacio sulla guancia dei genitori, corse al piano di sotto dall’amico/fidanzato.
Loki sbuffò appena, guardandola sparire oltre la porta, e Natasha sorrise, gattonando verso di lui.
Geloso, Papà?” chiese lei, scivolando sulla tunica verde e consunta, fino a raggiungere il suo viso, lasciandovi una scia di baci. Il dio si riscosse con un mugolio pensieroso, poi scosse il capo, assumendo un’aria vissuta e sicura di se.
“Io? Geloso? … Scherzi?!” sussurrò divertito, girando appena il capo così da far incontrare le loro labbra, ma per un solo istante, visto che lei si alzò, ancheggiando verso il centro della camera, compiaciuta del suo broncio.
“E’ molto che sei qui?” chiese lei, raccogliendo alcuni balocchi sparsi sul pavimento.
“Fra poco devo tornare, non sapevo che saresti arrivata oggi… sennò sarei venuto dopo cena e avrei dormito qui.” Disse mestamente, piegandosi all’indietro e sdraiandosi sul pavimento a pancia in su, seguendo i movimenti della donna dal basso.
“Non fa niente… tornerai fra qualche giorno, come sempre.”
“Già, come sempre...”
“Smetti di farti problemi, so che se fosse per te saresti qui ogni minuto… sei un dio, ma hai dei limiti anche tu…” Natasha tornò indietro, inginocchiandosi appena dietro il suo capo, per poi piegarsi sul suo viso e baciarlo dolcemente.
“Non avrei limiti se non fossi chiuso qui…” sussurrò sulle sue labbra.
In quel momento, infatti, come sempre negli ultimi 5 anni, Loki creava unasua proiezione sulla terra, direttamente dalla cella nel ventre di Asgard in qui era segregato.
“Lo so… Vedrai, quando Jane Foster avrà completato il suo ponte di Einstein Rosen, saremo noi a venire da te…” Natasha sorrise dolcemente, intenta ad accarezzare le sue ciocche corvine, lasciando veloci baci e piccoli morsi sullesue labbra.
“E’ ora…” disse Loki dopo alcuni minuti, poi incorniciò il suo volto con le mani, avvicinandolo di nuovo a se al contrario, costringendola in un lungo bacio; dopo si alzò, aiutando la donna a fare lo stesso. “chiama Haely, così la saluto.”
“Perché non scendi?” chiese lei, camminando felinamente attorno al dio. “Andiamo, fammi contenta per una volta!”
“Non ho molto tempo…”
“Allora muoviamoci!” disse Natasha con un largo sorriso, prendendolo per mano e conducendolo alle scale.
 
“La nipotina dello Zio Stark è tornata e non si è ancora degnata di… Oh, c’è il Cervo! Quale onore…” Tony abbandonò la vetrinetta dei liquori sorseggiando un bicchiere di scotch e, con quel suo solito fare, raggiunse i due ai piedi delle scale: abbracciò Natasha, poi tese una mano alla divinità, sorridendo affabile.
Non correva buon sangue fra i due, considerato che entrambi erano usciti sconfitti dalla battaglia di New York e l’affetto reciproco per l’Agente Romanoff, avevano continuato a mantenere le distanze.
“Loki, resti anche tu a cena?” chiese Pepper, uscendo dalla cucina e raggiungendo il fianco di Tony.
“Grazie mille dell’invito, ma devo andare.”
“Che peccato…!” lo sfotté il miliardario, ottenendo un’occhiataccia dalle due donne e un sorrisetto irritato dal dio.
“Vai già viapapà?” Haely sbucò da dietro il divano, trotterellando fino alle gambe del padre, abbracciandole con tutta la forza che una bimba di 6 anni possedeva.
Alex, occhi scuri e capelli color mogano, figlio di Pepper e Stark, raggiunse l’amica restando un paio di passi indietro.
“Zio Loki, la prossima volta insegni anche a me a fare le magie?” chiese timidamente, avanzando di qualche centimetro.
Zio Loki?!” quasi gridò l’uomo stupito, venendo completamente ignorato da tutti.
“Ma certo, a patto che tu badi a Haely e Natasha! Di Tony non ci si può fidare.” Una piccola rivincita ci voleva dopo tutti gli scherni che subiva. “Adesso è ora che vada…” disse appena prima di abbassarsi e prendere fra le braccia il corpicino esile della figlia. “Ci vediamo fra un paio di giorni, Ragnetto.” Sussurrò Loki, prima di darle un bacio sulla fronte e rimetterla giù. Poi si voltò, intrecciò le dita a quelle di Natasha e, accennando ad un –A presto Piccolo Ragno-, si dissolse, così come era apparso anni prima nella sua vita, con il medesimo sorriso che l’aveva fatta tremare, lasciandole i doni più grandi che potesse offrirle: l’amore e la loro svolta.
 
Note: SALVE A TUTTI!!! *-----* siamo arrivati alla fine di questo viaggio, e voglio cominciare ringraziando tutti per aver buttato via un po’ di tempo leggendo e, per chi l’ha fatto, recensendo la storia! Grazie infinite, davvero :’)
Che altro dire, come in ogni cosa ho avuto alcuni intoppi, ho commesso degli errori e me ne scuso profondamente! Ma sapete com’è, ad una certa età i neuroni iniziano a fare brutti scherzi XD (considerando che ho 15 anni, sto messa davvero bene -.-)
Comunque, spero con tutto il cuore che vi sia piaciuto, che non sia risultato troppo o troppo poco mieloso, spero di non avervi annoiato e spero che continuerete a leggere i miei modesti scritti u.u
Grazie ancora a tutti, un bacio grande! ^_^

Unknown Diary_ <3

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