La vigilia di Natale

di _CodA_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Brittany aprì gli occhi.

Era proprio una bella giornata; l'inverno nei suoi primi giorni della stagione, la neve in procinto di cadere, eppure un sole smagliante ad illuminare la giornata:
la vigilia di Natale.

Il Natale per Brittany era una giornata sacra, ma in senso rituale; da passare principalmente in famiglia, ma anche con gli amici, per festeggiare insieme. Non ne aveva mai capito il sacro significato, ma sapeva che ogni anno, precisamente in quel giorno, la famiglia si riuniva, tutta, anche i parenti che abitavano ad ore ed ore di auto, solo per poter cenare insieme, scambiarsi regali e divertirsi, senza poi pretendere molto. La scuola chiudeva, la mente era libera di vagare senza essere richiamata da professori, compagni, genitori.. e poteva godersi queste vacanze, pacificamente, con l'ingenuità e la gioia di un bambino, nonostante questo fosse ormai il suo diciassettesimo Natale.
Sembrava gioirne più lei che i suoi piccoli cuginetti i quali, stanchi e amareggiati, dovevano resistere fino a notte per poter scartare i regali, nel migliore dei casi. Se proprio gli andava male si cenava soltanto e poi tutti a casa, e dei regali se ne parlava la mattina dopo, ognuno a casa propria.

Ma a Brittany non importava l'attesa. Non più oramai.
Per molti anni aveva odiato quelle ore interminabili tra la pseudo cena, che quasi nessun bambino toccava, e lo scarto dei regali; questo fin quando Santana, la sua migliore amica, non le aveva mostrato come poter passare festosamente il tempo, senza annoiarsi.

Regolarmente, da tre anni a questa parte, Santana bussava alla porta di casa Pierce alle dieci in punto, non un minuto in più, non un minuto in meno.
Alle dieci il campanello suonava e non c'era niente e nessuno che potesse bloccare Brittany dall'imboccare le scale precipitosamente per aprire la porta, come se fosse ogni volta una magica sorpresa.
Urlava, spalancava gli occhi, si buttava tra le sue braccia e accoglieva Santana come una di famiglia, regalando anche a lei un po' di gioia genuina e necessaria, per sopravvivere al fastidioso Natale che la bruna era costretta a subire.

Si, perché mentre la dolce Brittany coglieva tutto con un sorriso, lasciava che le imperfezioni arricchissero la sua vita e straordinariamente tutto andava per il meglio, Santana, che era restia a fiducia, amore e sentimenti di questo tipo, si ritrovava perennemente sola alla vigilia di Natale; e anche il mattino dopo, abbandonata alla casa desolata e buia. I genitori, in due parti differenti del paese per corrispettivi affari e lei, lei seduta sul divano, a guardare l'albero di Natale illuminarsi a intermittenza, quasi per farsi beffa di lei.


 

Quando, per la prima volta, Brittany l'aveva convinta ad andare a casa sua, nonostante i dubbi iniziali, si era dovuta ricredere sul Natale; poteva essere anche una giornata positiva tutto sommato, anche senza la propria famiglia ma con una acquisita.
Ancora meglio se passata con Brittany, di cui oramai non poteva più fare a meno.


Brittany's POV

Erano tutti in cerchio, seduti sul tappeto; i bambini al centro, incapaci di star fermi anche solo un secondo e Santana in disparte che sorrideva tentando di non essere vista da nessuno. Ma io la vedevo, io la vedevo sempre, ogni volta.

Non potevo non notarla dietro la poltrona, con le gambe incrociate, il mento sul palmo della sua mano e un sorriso nascosto, un occhiata fugace a quelle pestifere creaturine che non facevano altre che urlare, correre, distruggere e divertire, tutti, anche un cuore difficile come il suo.
Non era insensibile e questo lo sapevo. Aveva solo paura, era solo tremendamente spaventata di chiunque le fosse attorno, di chi cercava un minimo contatto con il suo mondo. Perché lei era fatta così: era un'aquila, spaventata dei più piccoli movimenti, spaventata di essere preda oltre che predatore.

Non capiva che in ambienti amici poteva stare tranquilla; poteva sciogliere quei nervi tesi, rilassare il suo segreto sorriso e amare.

Quanto adoravo il fatto che fosse lì, con me, con la mia famiglia, come se ne avessimo costruita una nuova insieme, come se fossimo state io e lei un'altra famiglia!

Amavo il suo sguardo duro e il suo sguardo dolce, il suo portamento fiero ed esserne io l'unica debolezza; amavo il suo corpo esposto, coperto dal mio, segretamente, nelle nostre stanze.

Io, incaricata di distribuire i regali leggendo sotto l'albero i nomi dei riceventi, sentivo i suoi occhi su di me.
Quando mi vedeva così presa, così parte della famiglia anche nelle più insignificanti sciocchezze mi invidiava e mi amava allo stesso tempo; non l'avrebbe mai ammesso, né l'una né l'altra cosa, ma io lo sapevo e mi stava bene.
Perché la sentivo osservarmi, mentre chiamavo ad alta voce i miei familiari, giocando con loro; la sentivo sorridere quando arrossivo per un regalo per me, qualunque esso fosse; e la sentivo ammaliarmi, come la più antica sirena, quando gli altri scartavano i propri regali e io potevo tornare a guardarla, fissare i suoi occhi e adorare i suoi capelli sciolti da lontano, mentre lei faceva lo stesso con me.

Avvertivo il suo richiamo e inesorabilmente mi voltavo a guardarla.

Eccola. Piccola, nascosta, fragile e forte, meravigliosa.

Le sorridevo, lei mi guardava e io ero travolta da una marea di voci e manine che volevano altri regali.

E lei allora rideva, vedendo quanto buffa apparivo catapultata a terra da qualche bimbo di quattro anni.

Non mi salvava, non correva da me, preferiva godere del mio divertimento, godere la mia felicità, seppure in quel momento non ne faceva parte, almeno apparentemente.

Poi arrivava la fine dei regali e i bimbi improvvisamente sentivano il sonno e la stanchezza tutta su di loro, per la gioia dei genitori che li avrebbero dovuti portare in auto di peso!
Io aiutavo per quanto mi era possibile.

Incappottavo i piccoli: -cappotto, sciarpa, cappello, guantini- un promemoria che ripetevo da anni, tutto il necessario perché non si ammalassero uscendo di notte all'aria aperta.
La porta si apriva ed iniziava ad uscire l'intera famiglia, tristemente.
Ed io facevo un paio di viaggi per portare in auto quelli che erano già crollati e non avevano resistito poi molto.
Attraversavo il cortile, sentendo il freddo toccare i miei abiti e lentamente anche la mia pelle, la luna toccare la neve e illuminarla, facendola risplendere di una luce nascosta.

Tornavo faticosamente al portico e appena davanti alla porta c'era lei ad aspettarmi, schiena poggiata alla parete e braccia incrociate sul petto.

Sapeva che era il momento più triste di tutta la giornata, il momento dei -ciao-, del lasciarsi andare e rimanere soli.

"Sei brava con loro.."
-con loro- intendeva i bambini, le piccole pesti di cui mi ero presa cura l'intera serata.

"Faccio il possibile.." risposi sorridendo, guardando come il suo viso, leggermente illuminato dalla luna, fosse tremendamente affascinante.

Le curve strette nei jeans grigi e la maglia nera che la nascondeva.

Mi sorrise di rimando. Io la raggiunsi, mi misi al suo fianco e guardai la luna come lei stava facendo.

"Sono stata bene.." sussurrò, quasi per non farsi sentire, sperando che io non lo sentissi, sperando che io non capissi quanto fosse vera la sua frase, quanta insicurezza e dolore nascondesse.

"Perché sei venuta dopo cena! Fortunatamente non hai assaggiato il pasticcio che aveva fatto zia Ruth! Era davvero un pasticcio!" esclamai, alleggerendo la sua frase, facendola sorridere per dimenticarsi della paura che aveva avuto poco prima.

La guardai incapace di trattenere la risata, muovendo il suo corpo così vicino al mio.

Sciolse un braccio da quell'incrocio e lo lasciò cadere lungo il suo corpo, un chiaro invito. E la mia mano, di fronte alla sua, la toccò, solleticai le mie dita nel suo palmo e lei sorridendo stuzzicò a sua volta le mie dita, silenziosamente, giocando con me, sfuggendo e tornando ancora, nell'intreccio delle nostre dita.
Abbassò lo sguardo per guardare le nostre mani ora intrecciate. Sorrise e poi tornò seria.

"Forse adesso è meglio che vada.."

E io mi sentì cogliere dalla tristezza e dall'angoscia. Non volevo lasciarla andare, non sarebbe andata via anche lei, lasciandomi sola, la notte di Natale.

Non volevo che si portasse via la mia gioia, la mia serenità.

"Puoi restare, se ti va.." la supplicai. Alzò il capo e guardò i miei occhi.

Sembrava pensarci, valutando la proposta, stringendo la mia mano, stringendo i miei occhi coi suoi.

Ruotò su se stessa e rientrò in casa, allacciata a me, trascinandomi in camera mia senza dire una parola.

Mi aiutò a stendermi sul letto e si accoccolò su di me. Alzai la coperta di lana sui nostri corpi e lei ascoltò il battito nel mio petto, senza chiudere gli occhi.

"Grazie per stasera.."

"Non ho fatto nulla" risposi all'istante.

"Ti sei presa cura di me, è tanto.."

"Quando vuoi.."

"Lo so.."

Quella notte di Natale, la prima insieme, senza pensarci, aprendo la mia bocca e il mio cuore, non riuscì a frenare le parole.

"Ehi San..?"

"Mm..?" mugugnò lei, che oramai si avviava verso il sonno.

"Ti amo.."

Silenzio. E il mio respiro, il mio ventre che aumentava e diminuiva, che si allargava e si restringeva senza sosta, che continuava a pompare sangue al cuore che sentivo strizzato improvvisamente, sembrava essere l'unico rumore stridente in quella stanza buia e silenziosa.

Avvertì il suo lieve irrigidimento e portai una mano sulla sua testa. Le carezzai i capelli lisci, neri, lunghi e setosi.
Come li amavo...

Si tranquillizzò.

"Volevo solo fartelo sapere.." comunicai, avendo lei reso evidente di non essere pronta per una risposta.

Mi strinse forte, sentì le sue mani sui miei fianchi, lungo le mie braccia.

E mi inebriai del suo profumo.

Fu la notte di Natale più bella che potessi chiedere, almeno fino ad allora.

Da quando Santana iniziò a condividere con me il Natale, ce n'era uno sempre più bello dell'anno precedente. E tutto questo lo dovevo a lei, alla sua magica presenza, alla sua essenziale capacità di farmi sentire regina del suo regno, alla sua bocca che mi regalava i doni più belli.


 


Piccola nota:
Non siamo ancora nel vivo della vicenda, ma che ne pensate? >_________< fatemi sapere :)
_CodA_  <3


 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Brittany's POV

Il secondo anno bussò alla porta e aprendo restai per un attimo a guardarla, lasciando entrare il freddo, lasciandola ancora congelare, senza che lei ci facesse caso.

I suoi occhi nei miei e i miei nei suoi.

Stavolta aveva una maglietta rossa e nera, molto elegante, che le metteva in risalto la scollatura.
Tacchi vertiginosi nonostante i quali non riusciva a raggiungermi.

La guardavo, inespressiva, e il suo fiato si faceva più pesante e preoccupato.
Non ero sorpresa, sapevo che doveva arrivare, ma ero inebriata di lei; ricordavo il Natale passato, ricordavo un anno passato insieme come se nulla fosse successo. e più di tutto... il suo profumo.

"Sei bellissima.." sussurrai, e lei sorridendo fece due passi verso di me.

"Dimmi qualcosa che non so!"

Sorrisi e richiusi la porta dietro di lei, allungando le mani verso di lei per prendere il giaccone ma lei mi fermò, forse trovando quel gesto troppo intimo, troppo familiare.

"No, posso fare da sola"

"Ti accompagno.."

Mi seguì lungo le scale e le feci strada verso camera mia dove avevamo lasciato i giubbini e le giacche.
Ma una volta su, una volta in camera, mi sentì spingere contro la porta e con calore accostò le sue labbra alle mie, senza che avessi il tempo di prendere fiato, senza che potessi oppormi; non che io volessi!
Ricambiai il bacio, approfondendolo, intrecciando le mie dita nei suoi capelli neri e aspirando il suo profumo dolce-amaro.

"Mi sei mancata.." mi sussurrò in tono stranamente dolce, stranamente fiducioso.

"Ci siamo viste ieri" puntualizzai sorridendo, incrociando i miei sguardi dai suoi occhi alle sue labbra.

"Mi sei mancata ugualmente!"

Tornò a baciarmi, e ci rotolammo lungo la parete per parecchi minuti, ignorando il campanello di casa, il telefono che squillava, i parenti che fluivano nel salone, tra il salotto e la cucina, continuando a chiedere -dov'è la piccola Brittany?-Piccola non lo ero più. Avevo quasi 18 anni e le cose erano parecchio cambiate.

Almeno così credevo.

Ma a Natale si ritorna bambini. A parte quel breve incontro con Santana, risoltosi in pochi baci e una carezza, avevamo raggiunto ridendo maliziosamente i "grandi" giù in soggiorno.
E
d eravamo state travolte dalla loro gioia, dalle loro peripezie, dal loro entusiasmo:
a volte eccessivo - Santana sosteneva falso- ma coinvolgente in ogni caso.

Santana, che oramai conosceva tutti ed era considerata una di famiglia, aveva fatto colpo su una delle mie cuginette più piccole che se ne stava in disparte evitando il contatto con chiunque.
Se le avesse fatto tenerezza o vi fosse rispecchiata in quella personalità introversa e spaventata non lo so, fatto sta che fu l'unica che andò a parlarci e l'unica con cui parlò l'intera serata.
Più che parlare, la piccola Jenny la seguiva dappertutto, persino nel bagno!

Così... io, impegnata con la -squadra del divertimento- capitanata da me, e i miei sei sottoposti al seguito ci accingevamo a costruire forme natalizie coi cartoncini;
e Santana, dall'altra parte del tavolo, disegnava con Jenny, che non voleva unirsi agli altri, che odiava il caos e doversi confrontare con i cugini più grandi di lei.

E mentre loro erano occupati, noi due alzavamo lo sguardo, l'una in direzione dell'altra, e sorridevamo, brevemente. Ma lei insisteva, mi fissava a lungo sorridendo, e io non potevo che ricambiare sentendo il suo sguardo su di me, pieno di significati.

Poi lei veniva richiamata al lavoro e così anche io riprendevo a costruire pupazzi di neve e babbi natali.

Guardammo insieme le auto partire sotto la luce della neve.

Braccia incrociate al petto, sguardo fiero, dritto verso l'orizzonte marcato dalla notte.
E io mi limitavo a riscaldare le mani nelle tasche, stringendomi su me stessa come una tartaruga e mi lasciavo vincere dalla tristezza.
Osservando il cielo non potevo evitare di riempirmi di malinconici pensieri.

"Che odore di buono.." mormorò, interrompendo il silenzio.

"E' la legna che brucia in tutti i camini del vicinato" le comunicai dolcemente, senza distogliere lo sguardo dalle luci ormai lontane delle auto in marcia verso casa.

Lei si voltò per guardare il mio viso, illuminato dalla luce lunare.
Poi tornò a voltarsi.

"Una nuvola solitaria.." sussurrò.

"Fa compagnia alla sua luna!" affermai decisa, non lasciando passare la sua malinconia.

La mia potevo accettarla, la sua no; decisamente no.

"Possibile che hai una risposta per tutto..?" mi chiese retoricamente, comicamente irritata.

Sorrisi, sentendo il suo sguardo sulle mie labbra.

"Buon Natale.." le sussurrai porgendole un cartoncino senza voltarmi.

Lei lo afferrò, senti le sue dita sfiorare la mia mano che rimase scossa dai brividi, prima di ricadere, assieme al braccio, lungo il mio corpo, piacevolmente infreddolita.

Era un quadrato, rosso, piegato su se stesso per contenere una nostra fotografia e un biglietto.

Lesse il messaggio e aspettò. Poi, come se avesse colto solo dopo il vero significato, allungò il suo braccio finché la sua mano non si intrecciò alla mia.

"Andiamo.." suggerì, trascinandomi in casa e lasciando cadere il cartoncino rosso aperto nella neve.

Si leggeva chiaramente a caratteri neri e un po' infantili: - take my hand, take my whole life too...-
 



Piccola nota:
Se non si era capito l'intento era quello di partire dalla descrizione delle tre vigilie di Natale passate insieme di cui si parla nella parte introduttiva del primo capitolo. Il punto di vista continuerà ad essere quello di Brittany anche per il prossimo capitolo. Poi le cose cambieranno....
Felice che vi stia piacendo e continuate a farmi sapere che ne pensate! :)
_CodA_ <3


 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Brittany's POV

Ma l'ultima vigilia di Natale fu, forse, la più bella.

Tra i bambini, le risa, i regali e il cibo, la serata era passata.

Cantammo alcune canzoni di Natale per fare felici i più anziani che sentivano la mancanza di un vero particolare natalizio. Agghindammo la casa, quindi, anche di varie ghirlande, quelle del bacio.
-Vischio- continuava a ripetermi Santana.

Ma a me non importava come si chiamasse; sapevo solo che passando sotto quei rami d'albero intrecciati, sotto l'arco dell'entrata, accostandomi a lei, coglievo l'occasione per baciarla ogni volta.
Una trovata geniale!

Quando finì la serata non restava che rientrare e rassettare.

Santana stavolta si trascinò dentro senza portami con sé, arrivò al divano e si lasciò cadere a peso morto.

Non pensavo si fosse stremata così tanto.

Mi andai a sedere al suo fianco, le strinsi la mano e guardai le nostre dita intrecciarsi perfettamente.

Purtroppo non sentivo il suo sguardo ricambiato, non avvertivo i suoi movimenti, solo rapidi ed affannosi respiri, come se fosse agitata, mossa da qualcosa che non mi era chiaro.

Non potevo leggere i suoi pensieri, ma sapevo perfettamente intuire quando qualcosa non andava, quando troppi pensieri negativi le aleggiavano nella testa impedendole di stare serena, quella serenità tanto labile di cui era portatrice.

"Stanotte non resterò qui.."

Il mio cuore perse un battito, forse anche due; me lo sentì risucchiato da una forza superiore ed implacabile, gli era stato impedito di battere, perché era venuta a mancare la forza motrice principale.

Irrigidì inavvertitamente tutto il mio corpo, le mie dita nelle sue divennero pezzi di legno che non combaciavano più come prima.

Sentivo di essere fuori posto, sentivo che avrei pianto da un momento all'altro, senza poterlo controllare.

Riuscì solo a fare una domanda "Perché...?" sussurrai, con voce strozzata, quasi impercettibile.

"Perché so che stanotte potrei non riuscire a fermarmi.."

Non avendo capito a cosa si riferisse la guardai in cerca di risposte e lei, incapace di guardarmi negli occhi, cercò di spiegarsi meglio.

"So... so che quest'anno è stato più difficile di tutti, era difficile starti lontana e così ci siamo avvicinate ancora di più, ma.. è una caduta infinita che non sono in grado di arrestare... è qualcosa che.." prese un bel respiro e poi mi guardò, intensamente, cercando di non farmi soffrire, sperando vivamente di essersi espressa bene.

"Non posso restare perché ne soffriremmo entrambe.. potrebbe.. non so se siamo pronte, non so se lo sono io... è sbagliato... significherebbe troppo anche per me..."

"Ma... io.. io non capisco..." confessai timidamente, cercando di cogliere il significato nascosto delle sue parole, senza successo.

Lei sospirò duramente, soffrendo della prova a cui la stavo sottoponendo. Non era mai stata esplicita con nessuno, lei.

Si alzò, lasciò scivolare via la mia mano e il mio corpo, e andò verso la porta.

Io in fretta la seguì e non lasciai che andasse via.

Acciuffai il suo polso e la costrinsi a voltarsi ed i suoi occhi stranamente erano umidi e tristi.

"San... che succede?"

Mi guardava inumidendo le sue guancie senza dargli importanza; davanti a me poteva essere se stessa.

"Britt.. non riesco più.. non so come comportarmi.. non capisco questa cosa che c'è tra noi.. non ... ogni Natale, ogni anno in questo giorno io vengo qui da te, ed improvvisamente mi sento parte di qualcosa di così fantastico e che so non mi appartiene veramente... e.."

Presi i suoi polsi e appoggiai le sue mani sui miei fianchi sorridendo lievemente, per stringerla senza smettere di guardarla.

"Tutto questo ti appartiene! E' tuo.. sono la tua famiglia ora.."

La sua reazione non fu esattamente quella che mi aspettavo.

"Ecco! Cosa vuol dire tutto questo, Britt?" urlò in preda al pianto.

"Cosa significa essere una famiglia?! Si suppone che io ne debba avere una con cui passare il Natale, non che io sia ospite ogni anno a casa di estranei per poter festeggiare!!"

Ne rimasi ferita, ma compresi le sue parole disperate ed evitai di commentare.

"Lo sai che non siamo estranei, io soprattutto non lo sono.. lo sai che faccio parte di te e spero sia così anche per te.. siamo state bene, abbiamo passato insieme momenti importanti... ma se per te non è così, posso capire.." risposi abbassando lo sguardo, sentendomi profondamente in imbarazzo per aver supposto qualcosa che non sembrava essere ricambiato. Ma avevo frainteso.

"No Britt.." sussurrò dolcemente avvicinandosi a me per carezzarmi il braccio.

"Non è quello che intendevo!Sei importante per me! Sei la cosa più importante e preziosa che io abbia mai avuto... ed è questo ciò che mi spaventa!"

Aguzzai gli occhi forse iniziando ad intravedere il vero problema.

"Tu... tu sei così fantastica, amorevole e premurosa.. mi sei accanto ogni giorno, ogni singolo giorno, stringendo la mia mano ed attendendo il Natale per qualche bacio, le tue uniche ricompense per tutto il bene che mi fai.. ma.. non ci sarai per sempre.."

Abbassai lo sguardo e poi tornai subito su di lei, che riprese a parlare.

"Questo.. è il nostro ultimo anno insieme.. dopodiché io dovrò lasciare la città, tu partirai o resterai, e a me cosa sarà rimasto? Cosa mi rimarrà? Starò peggio di prima.. sola nuovamente.. e non potrò sopportare di aver perso qualcosa di così importante.."

Io capivo le sue preoccupazioni, ma sapevo che erano infondate. Non l'avrei mai lasciata, non capivo veramente dove volesse arrivare.

Intuendo il mio pensiero decise di essere diretta, niente bugie, niente sotterfugi, solo la verità.

"Se oggi il nostro rapporto andasse oltre quel qualcosa.. se diventassimo qualcosa di più che amiche... non sopporterei la nostra lontananza.."

Abbassò lo sguardo imbarazzata e finalmente capì a cosa si stesse riferendo.

"San.. non mi pare di averti chiesto una cosa del genere.."

Non ci fu reazione quindi continuai.

"Non mi pare di aver fatto pressioni, di averti detto esplicitamente di volerlo fare.. non fraintendermi... mi piacerebbe.. ma solo se lo volessi anche tu... io ti amo."

Santana alzò lo sguardo ancora più in preda al panico.

"Vedi?! E' questo quello di cui parlo! Tu continui a ripeterlo e io non riesco nemmeno a dirlo una sola volta, e intanto parliamo di farlo insieme?! Sono ridicola!"

Alzai il suo mento con la mia mano.

"So che lo provi anche tu... non importa se non riesci a dirlo... magari non sono io quella a cui dedicherai questo privilegio.. non sono ancora la persona giusta per te... sto solo spianando la strada per qualcuno più fortunato, che riuscirà ad aprire il tuo cuore come meriti... qualcuno nella tua vita San, prima o poi, riuscirà a scalfirti, riuscirà a farti dire quelle parole, con naturalezza, senza che nemmeno riuscirai ad accorgertene, e non ci sarà bisogno di tutto questo... ma se tu non sei ancora pronta, se non è questo che ti basta, se la tua felicità non è pronta per essere condivisa.. io saprò aspettare... è quello che ho sempre fatto. E non importa non averlo fatto quello, non aver condiviso anche questo... è solo una cosa in più che abbiamo fermato per tanto tempo... non importa, San, dove ci ha portato tutto questo... spero solo non ti sia rimasto solo dolore... e ovunque tu sarai, in giro per il mondo, con la tua nuova anima e un nuovo compagno, degno di te, saprai dove andare se vorrai sentirti parte di una famiglia, ancora parte di me.. non smetterai mai di esserlo, qualunque cosa accada, qualsiasi non accada... "

Santana mi guardò, con occhio languido, completamente inondato di lacrime appena passate, che avevano da poco lasciato la loro casa, per la prima volta e per sempre.

"Desideravo ardentemente che tu fossi la prima..." mi sussurrò sinceramente, a cuore aperto, come mai aveva fatto.

"Non sempre i desideri sono realtà.." le sussurrai di risposta, con un pessimismo che non era da me.

Lei mi guardò, ascoltò le mie pungenti parole e pianse ancora, accoccolandosi sul mio petto e inumidendo la mia maglia.

Io le accarezzai i capelli, accogliendola tra le mie braccia, un po' stordita, sentendomi leggermente inadeguata; ero la persona sbagliata per consolarla adesso, ora che il nostro tacito rapporto era stato rotto, ora che la magia era stata spezzata.

Strinse la mia maglia tra le dita, si inebriò del mio profumo per non dimenticarlo mai, sapendo che forse quella era l'ultima volta che mi aveva così vicina a sé.

Sentì i suoi pugni sostare sul mio petto, volendo altro, volendo la pace piuttosto che la guerra, ma in quella situazione ci si era ficcata da sola e io stavolta non potevo aiutarla. Avrebbe dovuto fare da sé.

Mi guardò, staccandosi dal mio corpo, ed avvertì improvvisamente freddo.

Guardai i suoi occhi rossi, che avrei voluto consolare.

Lei ancora una volta mi guardò e poi, senza nemmeno un bacio, senza nemmeno un addio, si voltò e andò via.

Non so per quanto tempo rimasi a fissare la porta chiusa davanti a me, non so quanto tempo passò da quando era andata via a quando mia madre, scomparsa nelle pulizie della cucina, ricomparve e mi disse di andare a dormire.

Quando salì, l'unica cosa che vidi nella mia stanza era la sua giacca di pelle dimenticata sul mio letto. La fissai a lungo, senza riuscire a distogliere lo sguardo, come se quella fosse la mia ultima ancora, la mia unica salvezza per non crollare, per non sentire che una parte del mio cuore era stato spezzato.

Non avevo mai provato sensazioni simili, non mi ero mai sentita così persa, così incapace di sapere cosa fare, qual era il prossimo passo..

Non so quanto tempo passò da quel giorno.. ma so perfettamente che Santana non mi parlò più, a stento incrociammo i nostri sguardi a scuola, fu come non averla mai incontrata veramente, con la sola differenza.... che conoscevo bene il sapore delle sue labbra.
 


Piccola nota:
Dal prossimo capitolo avremo un pò del punto di vista di Santana. Spero vi sia piaciuto. Perdonate il risvolto triste e malinconico, ma hey! Cosa vi aspettavate? :P
_CodA_ <3


 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Santana aprì gli occhi.

Era una grigia mattina di Natale, la più triste della sua intera vita.

Aveva appena perso la persona più importante, quella che le era sempre stata accanto, quella che era diventata ben presto la sua migliore amica, la sua migliore confidente, la sua quasi amante, la sua famiglia: Brittany.

Brittany era l'unica che con un solo sguardo intuiva le sue emozioni, era l'unica a non chiedere nulla e ad intrecciare le loro dita solo per ricordarle che non era sola.

Quella bionda si era intrufolata nella sua vita senza nemmeno bussare e aveva aperto porte, chiuse oramai da troppo tempo, che iniziavano a starle strette.

Non sapeva come fosse riuscita a convincerla, non sapeva nemmeno se avesse dovuto convincerla, ma aveva preso una parte del suo freddo cuore e ne aveva colto il meglio, ne aveva coltivato la parte dolce, tenera, nascosta, che ogni tanto e solo con lei veniva a galla.

E oltre che nel suo cuore si era intrufolata nel suo letto, per qualche abbraccio caldo, qualche tenero bacio, che sarebbe rimasto nei suoi ricordi per sempre.

 

Santana's POV

Non credevo che la scuola potesse essere così silenziosa, desolata, triste.
Stranamente la scuola, eccetto i compiti, per me aveva sempre significato risa, scherzi, confessioni, pettegolezzi.
Adesso che la mia controparte mancava, mancava anche tutto il resto, tutto il buono che veniva da quelle situazioni. Mi sarei dovuta circondare di stupide oche con cui passare il sabato sera e ridere durante l'allenamento delle cheerleader, sperando di non incontrare lo sguardo di Brittany, quello sguardo da cane bastonato che sapevo avrebbe indossato per parecchio tempo.

Succedeva ogni anno.

Passavamo uno splendido Natale insieme, io mi lasciavo fin troppo andare, e la mattina dopo, volendo rinnegare tutto, la ignoravo per una giornata intera; ma alla sera, ricordandomi gli occhi da cucciolo che mi aveva rivolto la bionda per tutto il tempo, non riuscivo a resisterle e tornavo da lei, barcollando, in cerca di coccole ed effusioni.

Ora tutto questo andava cancellato, non c'era nulla più che potesse essere aggiustato, ed ero stata io a farlo.
Non ricordavo esattamente perché, non capivo da dove fossero venuti fuori tutti quei dubbi, quelle preoccupazioni che improvvisamente mi avevano assalito.

A fare il grande passo con Brittany ci avevo pensato a lungo, ma non a tutto il resto.
Le conseguenze, come mio solito, le avevo ignorate.

Volevo solo lei, egoisticamente, senza nemmeno esserle riuscita a dire -ti amo-.

Ecco. Forse era questo il problema.

Questo mi aveva condizionata, mi aveva fatto sentire inadeguata, indegna del suo amore... e avevo deciso di perdere tutto, per il suo bene, per non tenerla legata a me quando sapevo che non avremmo avuto un futuro.
Ma aveva detto bene lei, io la amavo. L'avrei sempre amata, per quello che aveva fatto per me, per ciò che aveva significato... e le sue parole quell'ultima notte, impossibili da dimenticare, erano dure da digerire. Era tutto intriso di tristezza. Lo erano stati i restanti giorni di vacanza, lo era l'anno scolastico che li stava susseguendo, lo era la giornata che stavo vivendo.

Chiuso il mio armadietto a fine giornata, voltandomi e tirando un sospiro di sollievo, beccai il suo sguardo lucido su di me, l'una di fronte all'altra, tanti giorni dopo quella notte.

Non potei staccare il contatto, sentì qualcosa mordermi lo stomaco, ma non potevo nemmeno piangere lì nel corridoio di fronte a tutti.
Sospirai, senza smettere di guardarla, mandai indietro le lacrime come sapevo fare bene e lei, che mi conosceva come le sue tasche, capì.
Mi sorrise tristemente, mentre una lacrima le bagnava il viso, una singola lacrima, forse l'ultima del pianto che l'aveva preceduta, e girandosi andò via, come le avevo chiesto io; e fu la prova che ero davvero sola adesso.

 

I giorni si susseguirono, tutti uguali, tutti tristi e malinconici, tutti soli.
La scuola si riduceva alle lezioni e all'allenamento, fin quando non avevo deciso di ritirarmi.
Era successo solo un paio di settimane dopo, perché non riuscivo a sopportare la sua presenza, non potevo vederla lì, accanto a me, senza abbracciarla; non potevo alzarmi in piedi sulla sua schiena durante lo schema della piramide e rimanere impassibile, sapendo che il dolore che le stavo infliggendo in quei giorni era molto più duro di quello fisico di quel momento.
Mi ritirai dalla squadra dietro le urla di Sue che infuriata mi ritenne una canaglia, una traditrice, un'infame a pochi mesi dal campionato. Ma io ignorai le sue urla.

Mi sarebbe mancata anche lei.

E così scuola e lezioni, compiti a casa e camera mia, il mio unico ed ultimo rifugio.
Purtroppo la mia piccola tana aveva delle pareti incapaci di rimanere in silenzio.

Erano spesse quelle mura tanto da potermi proteggere, ma intrise di qualcosa di indelebile.

Ogni singolo spazio della mia camera aveva qualcosa che mi ricordava Brittany.

Fotografie di noi due insieme, una sua maglietta lasciata lì, i suoi smalti,
il suo libro preferito che mi aveva regalato nonostante le piacesse tanto...

 

 

"Ecco prendi..." sussurrò la bionda porgendomi un libro.

"... per cosa?"
"Non posso fare un regalo alla mia migliore amica?"
"..."

"E' il mio libro preferito... -Il piccolo principe-, tienilo!"

"No, Britt, non posso accettarlo!" le dissi, tentando di restituirlo mentre vedevo che i suoi occhi iniziavano ad inumidirsi.

"Ti prego.. voglio donarlo a te.. significa molto per me..."

Semplicemente annuì, senza sapere cosa dire.

"Lo leggo ogni notte.. ogni notte mi aiuta a sognare.."

"Te lo leggerò ogni notte che verrai qui a trovarmi.."

"Me lo prometti?" chiese speranzosa, incatenando i miei occhi ai suoi.

"Te lo prometto..."

 

Tenendo tra le mani quelle pagine, immaginai come fossero tristi ora anche le sue giornate e quanto la notte Brittany la passasse a piangere, senza nemmeno quella favola a cui aggrapparsi.

Avrei voluto restituirglielo, ma temevo pensasse che volessi così rinnegare tutto quello che c'era stato tra noi.
Così lo tenni, per ricordo di lei, della sua dolcezza, della sua innocenza e della bimba che era in lei, che veniva fuori ad intermittenza.

Ora serviva a me quel libro, per ricordarmi le sue mani nei miei capelli mentre le leggevo per l'ennesima volta qualche pagina, per ricordarmi dell'amore che mi aveva incondizionatamente donato, per permettere anche a me di sognare di lei, ogni tanto.


Piccola nota:
Ed ecco Santana. Spettava anche a lei un riflettore. Spero vi sia piaciuto! Fatemi sapere, don't be shy :)




SPOILER:  chi è rimasto deluso dalla puntata di Natale, alzi la mano? -____-  chi avrebbe voluto vedere "Santa baby"?
Ma chi ha benedetto i vestitini di Natale che indossavano le "cheerios" (virgolette perchè c'era anche tina là in mezzo) ed in particolare Britt?! :Q____________   ok, fermo qui la bava perché potrebbero esserci problemi di allagamento... xD
_CodA_ <3





 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Santana's POV

Arrivò lentamente il mio compleanno; senza che nemmeno me ne rendessi conto erano passati quattro mesi, quattro mesi che si assomigliavano così tanto l'uno all'altro, senza lasciare spazio a nuovi ricordi, a significativi eventi.

Erano solo stati quattro mesi della mia vita, quattro mesi buttati al vento.

Ed oggi era il mio compleanno.
Aprile. Era arrivato anche quest'anno.

I miei ovviamente non c'erano.. chissà in quale parte del mondo erano andati a sperdersi.
Come al solito quando aprì gli occhi e scesi al piano di sotto per prendere il giornale all'ingresso c'erano già i miei due soliti mazzi di fiori per ricordarmi che i miei genitori si ricordavano di me.
In realtà ero sicura che le loro segretarie si fossero ben appuntate il giorno del mio compleanno e che, almeno loro di buon cuore, si preoccupassero di farmi recapitare dei fiori.

Difatti durante la giornata non arrivava nessuna chiamata da parte dei miei.

Misi i fiori in due vasi diversi, sentendo l'acqua scorrere rumorosamente in quella stanza vuota, e mi ricordai che stavolta la casa sarebbe stata davvero completamente vuota.
Non ci sarebbe stata nemmeno Brittany a farmi compagnia. Nemmeno al mio diciottesimo compleanno.
La magia era stata spezzata, la routine della nostra compagnia anche.

Mi rimanevano quei fiori.

Andai svogliatamente a scuola, giusto per non passare la giornata chiusa in casa, da sola, a pensare a quanto triste sarebbe stato quel giorno.
Passai per i corridoi, sembrando che nessuno si accorgesse della mia presenza.
Quando arrivai al mio armadietto stranamente mi aspettavo che Brittany avesse voluto rompere quel tacito patto di ignorarsi a vicenda almeno per quel giorno, ma non era così.
Quando aprì l'armadietto non c'era nessun bigliettino d'auguri, nessun regalino stupido, come ogni anno Brittany faceva.

Fui ignorata la maggior parte del tempo da chiunque e stranamente non incrociai nemmeno una volta la testa della bionda. Pensai che non fosse venuta a scuola, poiché nemmeno a mensa si fece vedere. Mi ritrovai quasi a cercarla, nel bagno, durante le lezioni.

Avevo bisogno di vederla, di avere il suo sguardo su di me per essere sicura che almeno una persona si fosse ricordata di me quel giorno. Ma mi dovetti ricredere.
Anche lei, oggi, quel giorno che dovrebbe essere speciale per ognuno di noi, aveva dimenticato il mio compleanno.
Quando finirono le lezioni non volevo tornare a casa, sarebbe stato ancora più triste.
Così, non avendo un auto a disposizione, passeggiai per l'intera città, senza meta, facendo divagare i miei pensieri. E considerando quello un giorno qualunque.



Tornai a casa che oramai era buio, posai la giacca e la borsa all'ingresso ed entrai nel salone per accendere la tv. Ma fui travolta.

"TANTI AUGURI!!!"

Una marea di gente aveva invaso casa mia, gente a malapena incontrata nei corridoi della scuola, le ragazze delle cheerleader, compresa Quinn che in quanto capo cheerleader mi aveva sempre un po' detestato per la mia sfrontatezza, sfrontatezza venuta a mancare in quegli ultimi mesi; i ragazzi del glee club che per poco avevo frequentato... c'erano tutti, ma io cercavo solo un viso, una sola persona che avrebbe rischiarato quella giornata.

Ma no, Brittany non c'era.

Sorrisi, tristemente, e ringraziai tutti.
Ognuno lentamente mi fece gli auguri, porgendomi un regalo e poi ambientandosi in casa per dare inizio alla festa.
Musica, cibo, e il giardino aperto, che oramai non utilizzavo più.
Non mi capacitavo di come fosse possibile tutto questo, ma intuì che comunque doveva essere stata lei a fare tutto, solo lei possedeva le chiavi di casa mia; mi rassicurò. La sentì in qualche modo vicina, anche se non fisicamente. Si era ricordata di me, ero ancora nei suoi dolci pensieri, nonostante tutto.

"Ehi San, tanti auguri!" sentì dire da Puck, il ragazzo con cui ero stata per parecchio tempo, un anno prima.

"Grazie Puck.."

"Oh non ringraziare me, io non ci sarei nemmeno venuto a questa stupida festa, dovrai ringraziare una certa biondina per questo!" disse indicando tutti gli invitati.

Il mio cuore si strinse, ecco la conferma.

Non riuscì a balbettare nemmeno una parola, ora che avevo la certezza che era stata lei ad organizzare tutto, il cuore pompava come non mai.

"Mi aveva detto di non dirti niente ma.. lo sai come sono!" continuò, vantandosi della sua stronzaggine.

"A proposito.. è da un po' che non vi si vede insieme! Sarà mica successo qualcosa...?!" chiese stranamente curioso.

"N-no.. abbiamo semplicemente litigato. E non sono affari tuoi!" tagliai corto per farlo tacere e non ficcare il naso dove non doveva.

"Ricevuto, beh... dopo questo, dovresti perdonarla, qualsiasi cosa abbia fatto per farti incazzare così!"

Quanto avrei voluto che fosse stato così facile. Non lo era.
Non era qualcosa che si poteva aggiustare, non lo era mai stato.

Il nostro rapporto era sempre stato un limite, un tendere a qualcosa che sapevamo entrambe non poter raggiungere.
Ma ci eravamo illuse di saperci controllare, senza prevedere gli imprevisti, gli istinti che a volte possono prendere il corpo, senza controllo.

La serata scivolò via, gli invitati piano piano iniziarono ad andarsene, lasciandomi sola tra pacchi scartati, bicchieri poggiati ovunque e una cucina piena di cibo avanzato.
Mi limitai a riporre il cibo nel frigo e poi pesantemente mi trascinai lungo le scale per raggiungere camera mia, senza forze e senza voglia di pensare.
Nonostante la festa, nonostante i regali, la compagnia e la musica, la giornata restava uno schifo.
Un compleanno additabile tra i mediocri... fino a quel momento.

Quando andai verso il letto vi trovai una busta sopra il cuscino che curiosamente presi tra le mani.

-Per Santana-

Lessi ed impazientemente la aprì.

C'era un breve biglietto e qualcosa di più pesante sul fondo.

-Anche se non posso esserci, questo è il mio regalo per te... Buon compleanno. Brittany-

Estrassi il regalo dalla busta.

Era una catenina d'oro, con un ciondolo: una piccola volpe.

Sorrisi e la osservai al buio, luccicare con la luce della luna che filtrava dalla finestra.
Dietro vi era intarsiata una S.

Era la volpe del piccolo principe, la sua piccola amica, incontrata alla fine del suo viaggio.

Ma c'era qualcos'altro nella busta, delle striscioline di carta, con sopra delle frasi.

Le poggiai sul letto per comporre una frase.

-ti-
-amerò-
-per sempre-

Sorrisi tra le lacrime, portandomi una mano alla bocca, cercando di reprimere i singhiozzi, il pianto, le urla.

 

Mi addormentai sul letto, con la catenina stretta nella mano... sul cuore.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Santana's POV

Non sapevo come comportarmi, non sapevo che fare.

Quel gesto, quella conferma, arrivata così inaspettatamente, mi aveva fatto vacillare.
Mi sentivo debole, plagiabile sotto le dita di quella bionda piena d'amore.

Non sapevo se incrociare il suo sguardo avrebbe significato perdere o vincere.
Mi sentivo.. patetica! Riuscivo a malapena a sopportare il susseguirsi dei giorni che mi sembravano sempre più inutili, persi senza di lei.

Tutto stava nel trovare il coraggio, il coraggio di parlare, parlare dei miei sentimenti; il coraggio di provare a far funzionare questa cosa tra di noi e poi, chi lo sa, avere il coraggio di affrontare quello che sarebbe venuto dopo, qualsiasi cosa essa fosse.

Ma per ora, ahimè, questo coraggio mi mancava! Ne ero completamente sprovvista, poiché l'unica cosa che riuscivo a pensare era la reazione degli altri: il loro giudizio, le loro facce disgustate, i loro visi contriti e le granite che ci saremmo beccate entrambe, solo per esserci tenute per mano.

Ondeggiava la mia testa al solo pensiero, me la stringevo tra le mani cercando di allontanare quelle immagini dalla mia mente.
Non volevo questo per noi, assolutamente no.
Fatto sta che... nella mia mente esisteva già un -noi-, qualcosa che andasse aldilà delle singole parti, oltre Brittany e Santana, qualcosa che rende due persone una sola.
Nella mia mente mi divertivo a figurarci insieme.



Lei era distesa sul mio letto a testa in giù, mentre io ero impegnata alla scrivania, non so bene a fare cosa.

Io mi giravo saltuariamente per guardarla. E apprendevo così che mi stava fissando già da un po' e, divenuta io la sua distrazione, le stava andando tutto il sangue alla testa.

"Britt, alzati! Così ti sentirai male!"

Lei ovviamente mi guardava per un'ultima volta e poi rotolando su se stessa si risistemava composta a pancia sotto sul mio letto e mi fissava ancora.

"Non mi importa... preferisco guardarti..."

Poi io la raggiungevo e stendendomi accanto a lei, entrambe a faccia in giù, ci guardavamo e ridevamo della nostra stupidaggine.

Ridendo, lei mi dava un breve bacio sul naso. E avendo incrementato la mia risata avvicinava per baciarmi le labbra.

Io diventavo incredibilmente seria e la guardavo.


E così le avrei detto di amarla, amarla come due anime che si incontrano, amarla come non respirare in sua assenza, amarla come autodistruzione.

Ma tutto questo non sarebbe accaduto, era tutto nella mia testa, nelle mie fantasie...

Perché non poteva accadere, non potevo lasciarlo accadere.

Solo che... stava diventando tutto così difficile!
Dopo quella notte, dopo la notte del mio compleanno passata a piangere su quella catenina prima di riuscire ad addormentarmi, avevo rivalutato parecchie cose.
A
vevo iniziato a pensare che forse ci saremmo potute amare per sempre, senza importarci di cosa dice la gente. Avremmo potuto continuare ad amarci anche dopo il liceo, trasferendoci insieme..

Il giorno dopo la sera del mio compleanno avrei voluto ringraziarla a scuola, la intravidi anche un paio di volte, ma non ebbi il coraggio di avvicinarla. Non potevo.
Se lei non aveva infranto il patto, non l'avrei di certo fatto io che l'avevo richiesto.
Potevo farle recapitare un bigliettino, nascondere una lettera nel suo armadietto, ma dubitavo che sarebbe riuscita a trovarla.

Mi limitai a stringere la collana che avevo al collo guardandola da lontano e sperando che le mie parole attraversassero quella distanza, che fossero colte nel silenzio.
Lei stranamente in quell'istante si voltò e la scena per me si svolse come un bellissimo slow motion.
La vidi voltarsi lentamente, mentre i capelli ondeggiavano e poi fendevano l'aria, biondi, lisci, nella solita coda, e gli occhi si chiusero, poi si aprirono di nuovo e colsi l'azzurro che li colorava.

Per un attimo credetti davvero a qualcosa come la telepatia e altra robaccia simile.
Ma quando i suoi occhi non incontrarono i miei, per sfortuna sfacciata o destino, le mie speranze si dileguarono.

Tornando a casa ripensavo a quelle vigilie di Natale, quando aspettare i regali non era più una condanna, quando rassicurare Brittany sull'arrivo di Santa Claus mi aveva aiutata a tornarci a credere un po', quando mi sentivo parte di una famiglia dimenticando che la mia aveva completamente fallito.
Ripensare a quei giorni lontani mi faceva male, mi faceva soffrire più del dovuto, e non potevo permettermelo.

Io sono Santana Lopez: la ragazza forte, decisa, che sa cosa vuole: e non è certo una relazione su cui piangere ogni fottuto giorno! La stronza che spaventava tutti con un solo battito di ciglia doveva tornare e in fretta!


Doveva riprendersi da quell'abbattimento, doveva riprendere la sua vita in mano..
Come poteva farlo senza Brittany?

Semplice: non poteva.

Avrebbe finto, pretendendo che tutti se la bevessero, che gli altri si convincessero che la vecchia Santana era tornata e avrebbe mietuto vittime al più presto.

Non faceva più parte delle Cheerios, questo era ovvio, ma oramai il suo status era affermato; se non poteva essere la più bella, popolare e temuta della scuola, sarebbe rimasta una delle più belle e sicuramente la più temuta; oltretutto avere ancora il rispetto delle cheerleader avrebbe aiutato.
Santana Lopez. Non più Santana e Brittany, non più "Sanny", non più "San".
Santana Lopez.


Piccola nota:
Capitolo un pò diverso per la struttura, ma fondamentalmente una conclusione di quello precedente. Probabilmente un pò fiacco ._______. Nel prossimo tornerà Britt u_u
Spero vi sia piaciuto lo stesso. Let me know! :)

p.s.: chi di voi ha visto il video rilasciato per "Santa Baby"?????
:Q_____________________________   l'unica performance valida l'hanno tagliata, complimenti! complimenti!!!

_CodA_ <3



 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Ma Brittany cosa si supponeva che avrebbe fatto nel frattempo?

Forse non era stata abbastanza chiara, forse Santana non aveva capito quanto fossero forti i suoi sentimenti per lei.

In ogni caso le pene che provava oramai da giorni, quella sofferenza che le attanagliava il corpo, le membra, e la faceva sentire spossata, sola, fragile, non sarebbe svanita presto; forse mai, chi poteva dirlo!

Le sarebbe piaciuto aver almeno avuto una chance con Santana, dimostrarle che aveva torto, che potevano vivere quell’amore, nella maniera più naturale possibile.

E anche se avessero dovuto nascondersi, anche se le sarebbe mancato dimostrare in pubblico il suo amore, costantemente e apertamente, anche se sarebbe stata dura celarsi a chiunque, persino ai propri amici, anche se per i primi tempi Santana avesse voluto uscire con qualcun’altro per non far intendere niente a nessuno, a Brittany sarebbe andato bene.

Avrebbe accettato qualsiasi condizione, qualsiasi ricatto, pur di stare con lei; e nemmeno per averla; no, nemmeno questo. Semplicemente per ricordarle ogni giorno della sua vita, per tutti i giorni a venire, che qualsiasi cosa fosse accaduta lei sarebbe stata lì, lei l’avrebbe amata in ogni caso.

Se solo Brittany avesse avuto l’occasione di dirle tutto questo e non di accostare due parole rassegnate una dietro l’altra prima di lasciarla andare, forse le cose sarebbero andate diversamente.

Ma sapeva che presto o tardi questa solitudine doveva sparire, sapeva che la sofferenza doveva essere cacciata via, che Santana non avrebbe pianto a vita la sua assenza.

Brittany era pienamente cosciente di essere sostituibile, per nulla indispensabile, quindi tutto ciò che le restava da fare era muoversi, convincersi di stare bene e convincere anche l’altra sua metà, la bruna, che se non le avesse visto fare il primo passo verso una nuova vita non si sarebbe mai sentita libera di lasciarsi andare.

E la bionda non voleva questo.

Ancora una volta doveva sacrificarsi, anticipare i tempi, fingere, per la sua bella Santana, che era tanto fragile anche se nessuno poteva minimamente immaginarlo, eccetto lei.

 

 

Brittany’s PoV

 

Aver organizzato il compleanno per Santana senza nemmeno poterla vedere era stato davvero struggente.

Mi aveva distrutto prima ancora del tempo.

Avevo passato l’intero pomeriggio e poi tutta la serata e la notte, pensando a cosa potesse star facendo in quell’esatto momento in cui la stavo pensando.

Me la immaginavo sorridere agli invitati, scartare i regali e dimenticarsi della sua famiglia per un po’.

Ma sapevo bene che una volta in camera sua, al buio e da sola, avrebbe iniziato ad intristirsi, si sarebbe lasciata andare alle lacrime.

E soprattutto senza la sua spalla su cui piangere sarebbe stato ancora più triste, così avevo deciso di lasciarle il mio regalo lì, sul cuscino, e lasciarglielo trovare.

E speravo vivamente che le mie parole l’avrebbero rassicurata, tenuta al caldo, almeno quella notte.

Non mi aspettavo nulla in cambio, sapevo che non sarebbe arrivato nulla, eppure inconsciamente controllavo il telefonino ogni ora, credendo di essermi persa qualche messaggio, qualche chiamata da parte sua.

Continuai così fino alle 2 di notte.

Poi decisi che era l’ora di andare a dormire e di lasciarsi andare tutto.

Quella era stata l’ultima volta. Non le avrei più parlato, quello che dovevo dirle era stato detto, quello che c’era da sapere lo sapeva, e ora se Santana avesse voluto fare qualcosa era liberissima di farlo.

Io invece avrei rispettato il patto, mi sarei tenuta lontana, l’avrei agevolata nella sua decisione nel caso in cui continuasse a credere possibile tenerci separate e mi sarei trovata ben presto un nuovo ragazzo, con cui tenere occupati i pettegolezzi, la sua mente e la mia.

 

Se avesse voluto le avrei dato un motivo per odiarmi e andare avanti più facilmente lasciandomi vedere in giro con qualcuno.

Certo l’avrei ferita ma preferivo ferirla così piuttosto che farlo per sua volontà, per una sua paura, quando ciò che la feriva era ciò che avrebbe potuto guarirla:

Il mio amore.

Tutto qui.

Lei mi amava, di questo ne ero certa oramai, nonostante non me l’avesse mai detto apertamente.

Quindi la separazione doveva essere difficile anche per lei.

Avrei fatto tutto questo per lei, per farla stare meglio.

L’amore a volte fa fare cose strambe, pazzesche, insensate!

Ma ripensando a lei stretta al mio maglione quel 25 dicembre mattina, non potevo che pensare quanto desiderassi la sua felicità, quanto avrei voluto essere io la sua felicità.

Ma non poteva essere così se le procuravo tanto dolore e portavo con me dubbi, ansie e frustrazioni.

No, non era così che doveva andare.

Per quanto fossi disposta a sacrificarmi pur di stare con lei, per quanto ero pronta a subire ingiurie e ingiustizie, ero più disposta a sacrificare la mia felicità per la sua, anche se questo significava starle lontano, non parlarle mai più.

E così fu.

Per quello che durò esattamente un anno e a me sembrarono cento, il nostro rapporto si chiuse, concluse il suo corso con le parole di quel compleanno ormai lontano, e non c'era l'ombra di sguardi o indecisioni. Niente.

Ero completamente decisa a mantenere la sua richiesta intatta e così mi dileguai, lasciai che la mia esistenza scivolasse velocemente dalla sua, senza farmi vedere, cambiando il nostro orario di lezioni, se necessario saltandone qualcuna, ed evitando di incontrarci in luoghi comuni. Portavo il mio pranzo da casa e lo consumavo in una delle aule lontane dalla mensa, per poi correre tra i corridoi e non farmi notare.

Purtroppo però per attuare il mio piano e farle capire che doveva andare avanti e tirarsi su anche senza la mia presenza dovetti escogitare un piano per farle sapere che uscivo con Artie, non mi ci potevo far vedere in giro, avrei infranto quel patto, ma dovevo fare qualcosa.

Così dopo essere usciti un paio di volte e poi avere reso la cosa un po' più seria avevo pregato una delle mie amiche cheerleader di non farne parola con nessuno.

Ovviamente sapevo che non avrebbe tenuto la bocca chiusa e che a breve l'avrebbe saputo tutta la scuola in brevissimo tempo.
Santana aveva ragione quando parlava con disprezzo ed astio di quelle ragazzine capaci solo di spettegolare.

Ma, sfruttando la cosa a mio vantaggio, mi ritenevo discretamente soddisfatta della riuscita del mio piano.

Solo che non mi aspettavo minimamente di trovarla lì, fuori alla mia porta, il Natale dopo, che bussava alle 10 in punto.

Quando l'orologio in cucina scattò le dieci sentì il campanello suonare.

Non so ancora ben capire se quello che mi pervase fosse il panico, la paura, o la curiosità.

Perché, sì, sospettavo fosse lei: il giorno, l'ora, la situazione, tutto coincideva. Ma essendoci evitate per un anno intero confermare quella presenza era alquanto inaspettato se non strano.

Rimasi sbalordita, senza parole, per un attimo boccheggiante davanti a lei, mentre mi guardava silenziosa, implorandomi con gli occhi che si intravedevano tra la sciarpa e il cappello di lana.

"Ciao"

Fu un sussurro e niente più. Qualcosa a cui non fui capace di rispondere.

"..."

"Posso entrare?"

"Non lo so"

Davvero non lo sapevo. Non sapevo che significava tutto questo, che significato aveva avuto la nostra lontananza, la sua presenza qui... oramai tutto mi era meno chiaro.

"E' l'unico posto che conosco dove poter festeggiare il Natale in buona compagnia.."

Mi scostai leggermente per permetterle di entrare e lei si liberò facilmente di cappotto e cappello.

I miei parenti si comportarono tutti un po' freddamente nei suoi confronti, mentre io mi limitai a fissarla, quasi volessi entrarle nel pensiero.

Lei si accorse di quella insolita stranezza e decise di parlarmene, non so come ne ebbe il coraggio.

"Sono arrabbiati con me.. non li biasimo, devi avergli raccontato tutto..."

"No, mi hanno solo vista piangere; non vedendoti hanno intuito fosse per te."

Lasciai fluire le parole con scioltezza e insensibilità, come se non mi fossero appartenute, come se le emozioni narrate non le avessi provate.

Forse quei giorni erano troppo lontani che avevo dimenticato tutto. O semplicemente tutto di me era stato risucchiato per dar spazio a un po' di serenità.

Lei sentendo le mie parole però si irrigidì brevemente e poi vidi la tristezza velarle gli occhi.

Avrei voluto porre rimedio alla sua infelicità, avevo sempre voluto farlo, era quello a cui avevo mirato un intero anno a discapito della mia serenità, ma adesso non sapevo come comportarmi. Mi lasciava spiazzata, lei, il suo stare lì, il suo strano atteggiamento sottomesso e triste, non mi aspettavo di vederla così, soprattutto non capivo cosa le fosse accaduto per sembrare così sciupata e senza vita.

Adesso però darle una parola di conforto sarebbe stato quello che la vecchia Brittany avrebbe fatto, anzi la vecchia Brittany l'avrebbe persino abbracciata e l'avrebbe stretta finché non fosse riuscita a farla sfogare.

La nuova Brittany, la ragazza distaccata, insensibile, disinteressata completamente alla vita di Santana Lopez, doveva rimanere impassibile.

Ma come potevo con due scuri occhioni simili che mi scrutavano l'animo silenziosamente?

Optai per una soluzione intermedia.

Le posai un palmo sulla sua guancia sinistra.

"Chi ti ha ridotto così, Santana?"

Usare il suo nome di nascita, intero e completo, poneva quella giusta distanza necessaria a farle capire che non cambiava nulla se ora mi preoccupavo per lei, le cose rimanevano ancora sospese.

La bruna esitò a rispondere.

"Tu.. la tua lontananza..."

Una luce colpì rapida i miei occhi; mi distaccai da lei, e la guardai stranita.

Voleva a questo punto dare la colpa a me per aver fatto qualcosa che lei aveva chiarito voleva far accadere?

Non potevo accettarlo, non dopo tutta la sofferenza che addossarmi quella decisione mi aveva provocato. Mi risentì profondamente.

"Hai scelto tu questa via.."

"Lo so, lo so.. non volevo incolparti di nulla! Non era questo che volevo!"

"Allora cosa vuoi?" chiesi astiosamente, indispettita e in attesa di una risposta concreta, quando sembrava che mi stesse solo facendo perdere tempo.

Lei mi guardò improvvisamente dritto negli occhi, non avendo mai assistito alla nuova me, più scontrosa e anche più debole, ma schietta.

"Volevo passare il Natale con te, come tutti gli anni, come se nulla fosse cambiato"

"E tu credi che davvero sia possibile? E' cambiato tutto, non puoi fare finta che non sia così! Come puoi cancellare un intero anno così? Quanto riesci ad essere egoista? Non credevo!"

Con occhi ancora più tristi, fraintesi e preoccupati di aver irreparabilmente alzato una barriera tra noi, tentò di rimediare.

"Non dico che si può cancellare tutto, so che nulla è più come prima, noi non siamo più come prima! Sei una persona così diversa Britt, sei così cambiata! Ti trovo cresciuta.. maturata! Come vedi non avevi per nulla bisogno di me!" esclamò con tristezza quasi più a se stessa.

Io continuai a guardarla fieramente sentendo però una lacrima scendermi sul viso, era una lacrima di rammarico e rabbia, e frustrazione per non poterle dire che non era vero nulla! Che ero sempre la stessa dietro una finta maschera che mi permetteva di sopravvivere; ma senza di lei non sarei mai riuscita a vivere!

"E' vero, sono egoista!" confessò abbassando il capo. "Sono egoista perché ti voglio nonostante tutto; nonostante sia stata io a cacciarti, a farti del male, nonostante tu te ne sia presa la -colpa-; sono egoista perché rivoglio il mio Natale con te, per vivere un solo giorno in un anno di buio e morte.."

Dopo quelle parole, dopo che mi aveva reso la ragione della sua vita, non potevo cacciarla via, non potevo dirle di tornare indietro a casa sua, da sola, sapendo che non avrebbe fatto altro che piangere all'ombra di un drink con cui si sarebbe stordita fino alla mattina dopo.

Non potevo farle questo, non potevo infliggerle quella punizione... perché l'amavo. Ed in realtà, anche se potevo non ammetterlo, l'avevo lasciata entrare di nuovo nella mia vita non appena avevo aperto la porta, non appena erano scattate le dieci, non appena avevo pensato a lei e di conseguenza gioito al solo pensiero.

E non potevo tenere taciuto che più si era avvicinato il Natale più avevo pensato a quell'istante in cui sarebbero giunte le dieci e nessuno si sarebbe presentato alla porta.

Per non sentirmi sola quell'anno, avevo comprato il suo regalo di Natale da parte mia e progettavo di tenermelo stretto immaginando la sua espressione gioiosa nello scartarlo.

Forse ora c'era addirittura l'occasione di poterglielo dare e lasciare andare ancora un ultimo pezzetto di me a lei, disintossicando completamente il mio corpo.

In silenzio le feci segno di seguirmi e come ogni anno raggiungemmo i piccoli con cui giocare e intrattenerci fino alla mezzanotte.

Dopodiché aiutai tutti a scartare i propri regali sotto il suo sguardo attento e una volta fattesi le due rispedimmo tutti nelle proprie auto, diretti alle proprie case, per tornare alla vita di sempre, come se nulla di strano fosse accaduto.

Ma quando ci ritrovammo sul mio vialetto quella notte, tra il ghiaccio e la neve, tra la luna e le nuvole, lei smosse il piede lì dove l'anno prima cadde la foto di noi due che le avevo regalato.

Io sorrisi, essendo felice che si ricordasse anche lei quel piccolo dettaglio.

"E' l'ora dei saluti..?" domandai incerta.

"Dipende da te.. vuoi che me ne vada?"

"Non vorrei mai che tu te ne andassi.." confessai in un impeto di naturalezza, quando ancora lasciavo parlare qualsiasi mio pensiero.

Mi rivolse un rapido sguardo, accompagnato da un sorriso soddisfatto, ma intriso di malinconia.

"Come hai fatto a sopravvivere? Come puoi vivere così normalmente dopo tutto quello che è successo? E come puoi permettermi di starti accanto, ancora, dopo quello che ti ho fatto?" mi chiese sinceramente in attesa di una risposta.

"Dovevo sopravvivere aspettando di vivere"

"E cosa facevi in mia assenza?"

"Aspettavo il tuo ritorno.."

Quel lieve e breve scambio di parole e sguardi era bastato per lasciarle perdere qualsiasi forza o inibizione e si precipitò di fronte a me avvolgendo il mio collo con le sue mani e congiungendo le nostre labbra passionalmente, mandando all'aria un intero anno di vita fatto di lontananza e orgoglio, dolorosamente costruito, con un lungo processo, demolendo tutto nell'istante di un bacio.

Quando si staccò da me, quando pensò di aver espresso ogni emozione, ogni parola, ogni sensazione, in quel bacio, non sorrideva, non piangeva, mi fissava con quegli occhi all'ingiù, completamente oscuri, poiché la luna le illuminava le spalle stavolta.

Guardandola dall'alto del mio gradino avvolsi teneramente un suo polso.

"E' il momento del tuo regalo.."

Si lasciò trascinare di sopra in camera mia, senza fiatare, pensando fosse solo una scusa quella frase.

Ma quando le lasciai il polso, quando la lasciai vagare da sola nella stanza in cerca del suo regalo, il panico l'avvolse.

"Britt, ma io.. non ti ho preso nulla.."

"Va bene, non importa.. il mio regalo sei tu, questa serata è il mio regalo, quello che desideravo da tanto tempo.."

Santana non rispose, si accomodò sul mio letto, al mio fianco, e attese.

Io la guardavo negli occhi rimanendo seria aspettando qualcosa, forse un segno, che non arrivò mai.

"Ecco.." accompagnai il mio gesto con questa parola, porgendole la scatola nera e bianca, sottile e lunga, che avevo nella mia mano sinistra.

Lei strinse la presa leggermente sulla parte opposta dello scatolino e con occhi curiosamente avidi ma anche spaventati e colpevoli, esitò.

"Sei sicura che vuoi darmi questo regalo?"

"L'ho preso per te, che te lo riuscissi a dare oppure no.. è per te"

Allora non si lasciò pregare ancora e lasciando prevalere la curiosità alzò il coperchio e vide uno strano oggetto coricato nello scatolino.

Era una specie di tubicino, sottile, dorato, aperto alle estremità, o almeno così sembrava.

Notando il suo sguardo perplesso e interrogativo, decisi di aiutarla.

"Sono io.."

Santana inarcò un sopracciglio non riuscendo a capire cosa volessi dire.

"Sono sempre stata la tua migliore amica, con me ti confidavi, ti lasciavi andare e mi raccontavi i tuoi segreti. Ora che non posso più farlo potrai scrivere i tuoi segreti su un foglietto di carta e infilarlo in questo tubicino, facendolo entrare in una delle due estremità. Per farlo uscire devi pigiare questo bottoncino qui sotto una volta selezionata la lettera B, che sta per Brittany, l'ho scelta io. Sarà la tua lettera segreta per il tuo segreto, custodito da un amico speciale, che sono io, indirettamente.."

Non mi spiegai proprio alla perfezione, ma il messaggio sembrò arrivarle, poiché quando rialzai lo sguardo su di lei non potei fare a meno di notare le lacrime che le circondavano gli occhi.

"Oh, non ti piace? Se vuoi si può cambiare, puoi sostituirlo con una catenina, un diario, una penna.. quello che vuoi!"

Ma non erano questi i suoi pensieri, non era questo il motivo delle sue lacrime.

"Io.. io non mi merito tutto questo! Non mi merito la tua amicizia, non mi merito il tuo regalo, non mi merito... il tuo amore!" riuscì a finire con difficoltà.

"Santana, quando la finirai di preoccuparti per me, quando lascerai che io prenda le mie decisioni da sola? Ma soprattutto cosa ci fai ancora qui se non sono la persona che ti rende felice? Non mi importa non poter essere la tua felicità purché tu la trovi!

Quando lascerai che qualcuno entri nel tuo cuore e amerai qualcuno, come io amo te?"

"Ma è proprio questo il punto! Non voglio che nessun altro mi ami, non voglio nessuno che ti sostituisca! Io voglio te, te e basta! E' te che amo... sei tu che mi rendi felice!"
Per un attimo trattenni il respiro. L'aveva ammesso, aveva detto di amarmi!
Ma lei non sembrava scossa, era venuto fuori naturalmente.
Finalmente ebbi il coraggio di replicare: "Cos'è che ti frena allora?"

"La paura di cambiare le cose.."

"Più di quanto non siano già cambiate..?"

"Già.."

Abbassai lo sguardo sconfitta.

"Allora cosa intendi fare?"

"Non lo so.. ma non posso pretendere che tu aspetti qui finché non avrò chiare le mie idee!" concluse alzandosi dal letto, ma io prontamente la afferrai per un polso che la costrinse a voltarsi di nuovo.

"Non puoi scegliere tu per me, non puoi decidere ancora tu della nostra storia! Non dopo che mi hai detto che mi ami.."

Le mie parole uscirono come al solito fluide e senza freni, insieme ad un paio di lacrime che non avevo nemmeno avvertito arrivare.

"Il fatto che io ti ami non significa che sia giusto stare insieme.."

"No, ma il fatto che anche io ti amo, questo lo rende giusto; e inevitabile.."

"Esatto, inevitabile! Come se noi non avessimo controllo sulle nostre vite, come se io dipendessi da te, inesorabilmente! Ed è così, perché io in tua assenza ho creduto di morire! Ma quanto può essere giusto un simile rapporto? Quanto dolore provocherà oltre tutto quello che abbiamo già passato?"

La lasciai andare turbata dalle sue parole, ma profondamente arrabbiata le risposi.

"Ma hai mai provato a pensare alle cose positive che potrebbero scaturire? Hai mai riflettuto sul fatto che forse l'amore ci avrebbe fatto vivere tutto con più leggerezza solo perché saremmo state unite? Quanto male avremmo potuto evitare se solo avessi ammesso i tuoi sentimenti e avessi preferito amare invece che odiare?"

"Io non ti odio!"

"Ma odi l'idea di stare con me, di doverti impegnare in una relazione che non vedi porterà mai nulla di buono! E allora.. vai San! Vai! Torna alla tua vita triste e sola, se è questo che vuoi! Portati via me, e portati via te! Perché non posso sopravvivere pensando di averti ad un solo passo e non poterti nemmeno sfiorare!" dicendole questo le porsi la giacca che avevo tenuto a lungo conservata nel mio armadio, l'unico appiglio che mi era rimasto di suo, dopo che avevo fatto sparire foto, regali, lettere, tranne i ricordi indelebili nella mia mente.

Afferrò la giacca che le porsi tra le lacrime, vi avvolse al suo interno l'astuccio del suo nuovo regalo e si voltò per andare via e lasciarmi al buio, ancora una volta da sola, la notte di Natale.

Ma prima di andare via si voltò ancora una volta all'interno della stanza, guardandomi mentre poggiavo tristemente la fronte sul vetro della finestra, illuminandomi della luna.

"Sei bellissima e io ti amo, spero solo che un giorno capirai che non sono io quella che cerchi.."


Piccola nota:
Per chi festeggia e chi no, per chi resta a casa e legge oggi, per chi esce e leggerà poi, tanti auguri e buon Natale! :)
Anzi buon chrismukkah!! ;)
_CodA_ <3






 

 

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Capitolo 8
*** capitolo 8 ***


Dopo quelle parole sussurrate nel buio di una stanza Santana sparì, lasciò sola Brittany per sempre, sparendo come l'altra aveva fatto un anno prima con lei, evitando ogni tipo di contatto, di comunicazione.

Era come se non esistessero più l'una per l'altra, di nuovo, anche se i loro ricordi erano più vividi che mai; era l'unica cosa ancora viva per entrambe che non riusciva a farle dimenticare.

Ma lentamente Brittany, dopo il periodo di disperazione della notte di Natale, come l'anno precedente, iniziò ad abituarsi alla solitudine, all'assenza di Santana, come se lei fosse lì accanto da qualche parte ma si allontanasse sempre di più; e lei non ci poteva fare niente.

Continuò ad uscire con Artie, concluse gli esami finali e definitivi che l'avrebbero ammessa finalmente all'università, o comunque l'avrebbero finalmente permesso di lasciare il liceo, e si ritrovò in breve tempo al giorno del diploma a stringere la mano al preside che sorrideva cordialmente brandendo i loro diplomi fatti interamente con carta riciclata.


 

Brittany's PoV

Mentre i diplomanti scorrevano non potei fare a meno di seguirli uno ad uno con gli occhi e quando sentì il suo nome una strana sensazione mi invase, sensazione che all'inizio ignorai, sorridendo vivacemente soddisfatta al suono di Santana Lopez.

Aumentai il mio applauso e seguì il suo sguardo, il suo viso perfetto, il suo sorriso magnifico gettato in pasto alla folla, senza che potessi attribuirmene il merito.

"Congratulazioni a tutti voi, miei cari studenti! Siete i nuovi diplomati dell'anno 2010/11!!"

Gettammo tutti i cappelli in aria e io in quell'istante di confusione, mentre i cappelli dovevano ancora ritornare tutti giù, mi misi al volante della mia decapottabile e partì lasciando ondeggiare la tunica ai lati della mia vita; senza che nessuno se ne accorgesse, ero già lontana miglia da casa, con una valigia sul sedile posteriore, un bel po' di soldi messi da parte e un'unica meta: New York!

Avevo lasciato ai miei genitori una lettera, sperando che comprendessero le mie motivazioni: avevo bisogno di aria nuova, di un po' di respiro da quella routine di infelicità e noia.

Dovevo iniziare a vivere una nuova vita se volevo che funzionasse e, poiché c'era una sola cosa che sapevo fare e che mi piacesse fare, non mi restava che inseguire questo sogno dimenticandomi di tutto... e di tutti.


Piccola nota:
Brevissimo capitolo di Britt, che vi anticipa qualcosa. Domani pubblico il prossimo :)

_CodA_

 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Una data importante, una scadenza, un giorno speciale, possono portare con sé ansia, preoccupazioni, instabilità.

Ma è nell'istante che stai vivendo che trovi anche il coraggio, la forza e vedi tutto con più chiarezza.

Alle volte, un cappello in aria, libero di girare su se stesso, espressione di una nuova libertà tutta conquistata ma inutilizzabile, può essere necessario per una perspicace intuizione.

Tutto quello che Santana Lopez si limitò a fare fu guardare il cappello roteare e non voler ritornare giù.

Quando gli ricadde tra le mani guardò al suo interno per controllare che fosse il suo, ma la targhetta firmata non portava il suo nome.
Bensì un altro che le si presentò come un segno, il segno che era arrivato il momento di mettere da parte l'orgoglio, le paure e le incertezze e dover lasciare vincere l'amore, per quanto anche questo potesse essere spaventoso.

Era il cappello di "Brittany S. Pierce" che l'aveva fatta sorridere e che, dopo aver cercato a lungo tra la folla, l'aveva fatta correre per quattro isolati dopo la cerimonia e i festeggiamenti, per raggiungere la sua casa e dimostrarle che il loro amore era vero ed era possibile.

 

Santana's PoV

Bussai insistentemente alla porta attendendo con impazienza che qualcuno rispondesse.

Dapprima dubitai che qualcuno fosse in casa, immaginando che Brittany e la sua famiglia potessero essere andati a mangiare fuori per festeggiare.

Poi vidi la maniglia girare e la porta aprirsi.
La mamma di Brittany mi guardava impensierita.

"Salve, Mrs Pierce, avrei bisogno di parlare con Brittany, è in casa?"

"No, Santana, mi spiace! Brittany non c'è"

Lo trovai alquanto strano, così tentai ancora.

"Sa quando potrò trovarla?

Inaspettatamente la madre della bionda si avvicinò verso di me richiudendosi la porta alle spalle e parlandomi a cuore aperto.

"Mi dispiace tanto per te, per quello che è successo con Brittany e per come sono finite le cose, io davvero speravo che potessi rendere felice mia figlia.."

Ero a disagio, con quelle parole, improvvisamente schiette e sincere, e quegli sguardi che appartenevano a una madre troppo impensierita e sull'orlo delle lacrime.

"Cosa succede?"

"Ho idea che Brittany non tornerà molto presto, cara.."

Un bagliore mi attraversò gli occhi, un bagliore di stupore e spavento.

"C-cosa vuol dire?"

"Brittany ha lasciato una lettera, è partita subito dopo il diploma e non sa quando tornerà, forse mai più, chi può saperlo! Spero solo si faccia sentire presto! Sono così in pensiero!"

Io rimasi scioccata, boccheggiante, mentre i miei pensieri non riuscivano più a trovare un filo logico per essere pronunciati.

"Ah prima che mi dimentichi, ha lasciato questa per te.."

Mrs Pierce mi porse una lettera che riportava il mio nome e io istintivamente la presi tra le mani tremanti senza riuscire a fare alcun movimento.

"Ti lascio sola, sentiti libera di venire quando vuoi, qui da noi sei la benvenuta, in ogni caso!"

Lei tornò in casa e io non potei che rimanere a fissare la porta oramai chiusa e impugnare una busta viola che non sentivo vera; non potevo crederci.

Come improvvisamente risvegliata da quell'incubo con foga mi accinsi a strappare la busta per estrarne un foglio intenso e che sapevo avrebbe segnato la mia fine.

"Carissima Santana,

sono qui che ti scrivo ancora una volta incapace di non pensare a te. Non riesco a smettere ed ho paura che non riuscirò a smettere mai se continuo a vivere qui, circondata da te e da ciò che è stato. Per questo ti chiedo di non odiarmi se ho deciso di andare via, di lasciare la città, anche se so che è stato sempre il tuo sogno.

Se stai leggendo queste righe vorrà dire che sono già partita, sono già sulla strada della mia libertà, sperando che mi conduca verso una serenità che da troppo tempo sto cercando.

Vorrà dire che ci siamo diplomate, che io ho applaudito e sorriso a lungo quando tu hai ricevuto il tuo agognato diploma. E sono sicura che avrai fatto anche tu lo stesso con me..

Siamo state bene insieme, San; nonostante tutto quello che ci è successo, nonostante i nostri sentimenti contrastanti, non dimenticherò mai neppure una notte di Natale, non dimenticherò le nostre estati, non dimenticherò i pigiama party, le ripetizioni che fingevi di darmi..

E, proprio perché non posso dimenticare, me ne vado.

Se non posso stare con te, se non posso condividere con te la tua e la mia quotidianità, se non posso amarti come ho sempre fatto, allora non vedo il motivo di restare.

Spero solo, con tutto il cuore, che tu riesca a trovare quel qualcuno con cui non esiterai nemmeno un istante a condividere il tuo amore; aspetto con ansia una tua telefonata per dirmi - ehi Britt, avevi ragione! E' quella giusta!- .

Fino ad allora ti auguro la migliore serenità possibile, la più grande felicità che ti sia permessa di trovare e tanto amore!

Non pensarmi troppo, S!

Tua, per sempre.

Con amore.
Brittany"

 

Io piangevo, piangevo come mai nella mia vita, sentendo andare tutto in frantumi, anche quella precaria situazione di stallo e di suspense che si era creata tra di noi,;una sorta di attesa che andava interrotta, ma non avevo mai immaginato così.

Sentivo ogni speranza infrangersi, ogni possibilità di felicità dileguarsi e la serenità, che lei tanto mi augurava, distante anni luce.

Ironia aveva voluto che io avessi trovato finalmente il coraggio di ammettere il nostro amore, sottostare a ciò che avrebbe comportato, proprio quando lei aveva deciso di arrendersi e partire.

Dopo tutto non potevo rimproverarle niente.

Era stata molto paziente, fin troppo, e aveva aspettato due anni che io mi decidessi.

Le avevo procurato due anni di indecisioni, scombussolamenti, infelicità e solitudine.

Il minimo che potessi fare ora era accettare le cose come stavano, la sua drastica decisione di partire chissà dove, e lasciarsi tutto alle spalle.

Se avessi potuto l'avrei fatto all'istante anche io, ma a me toccava aspettare che mia madre tornasse dai suoi soliti viaggi di lavoro e firmasse la liberatoria, poiché io non ero ancora maggiorenne.
O forse era il coraggio che mi mancava veramente e io mi proteggevo dietro una scusa.

Ero ancora costretta in quella città, ancora schiava di qualcosa che mi costringeva a stare ferma senza poter ottenere nulla.

Iniziai, nel panico, a pensare di poterla raggiungere infischiandomene di tutto e tutti, e a quel punto dirle di amarla e di poter finalmente vivere quell'amore.

Ma pensandoci mi tornarono in mente le sue parole quella notte di Natale.

"Ma quanto sei egoista?"



Si, sarebbe stata vergognosamente egoista se solo avesse provato a fermarla a raggiungerla e mandare in aria i suoi piani.

Fu così quindi che si lasciò tutto alle spalle, si trascinò ciondolante verso casa con l'ennesimo pezzo di Britt stretto in una mano, e si lasciò dimenticare.
 




Piccola nota:
Non uccidetemi >___________<  e buon anno ^^'''''
vi adoro quando commentate, sappiatelo! Anche quando mi minacciate di morte per l'eccessivo dramma ù_ù
_CodA_ <3 


 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Trovarsi in un luogo sconosciuto completamente da sola non è una situazione piacevole per nessuno. Ti senti spiazzato, perduto, ignorato da tutto e tutti.

E questo di giorno, quando la luce del sole ti rende ancora tutto più sopportabile, vivibile e accettabile.

Ma quando cala la sera e ti senti inutile al mondo, quando senti che il mondo ti sta rigettando e assieme a te vomita la gente della peggior specie, ti senti amareggiata e vorresti scappare, tornare indietro a quella che ora ti appare una vita perfetta, fatta di piccole imperfezioni che avresti potuto sopportare in confronto a questo.

Viene da chiedersi se ci meritiamo ciò che ci sta accadendo, se sia giusto così, se capita a tutti...

Fatto sta che notte dopo notte, ponte dopo ponte, occhiataccia dopo occhiataccia, ti ci abitui e cominci a pensare che possa andare solo meglio, che prima o poi la ruota girerà con un po' di fortuna.

Perché se non inizi a crederci ti allontani dalla realtà, accetti quel limbo eterno che ti annullerà fino alla morte.

 
 

Brittany's PoV

Mi ci vollero almeno due mesi per riuscire a mettere piede in una palestra abbastanza decentemente.

Arrivare a New York era stato facile, sostarci e sopravvivere, quello era stato il vero problema.

Tutto quello di cui avevo conoscenza era Lima, Ohio, il paesino più sperduto e insignificante di tutto il mondo, ma solo ora me ne accorgevo.

Lasciata alla mia vita così, senza un sostegno, senza poter contare su nessuno, dopo che avevo passato una vita a dipendere da qualcuno; che fossero i miei genitori o la mia migliore amica poco cambiava: tutto appariva diverso, strano, inaccettabile e alle volte persino irrisorio.

Ben presto avevo scoperto che la vita era costosa, amaramente cara; le persone riuscivano ad essere così meschine che in breve tempo sospettai mi avrebbero fatto pagare anche l'aria che stavo respirando.

Non volevo spendere i soldi per un motel, volevo risparmiarli per cose di prima necessità sostando la notte in auto, almeno per i primi tempi.

Ma scoprì a mie care spese che l'auto non può essere parcheggiata ovunque durante la notte, anzi! Dovetti non solo pagare una multa salatissima, ma pagare la sosta ogni notte, che quasi quasi mi sarebbe convenuta una camera d'albergo a tre stelle!

Mentre i soldi diminuivano assieme alla possibilità di pasti completi, cresceva la necessità di trovare un posto di lavoro senza però rinunciare al mio sogno: ballare.

Ma se volevi sopravvivere, l'apparenza contava: l'aspetto è tutto in una città come questa, dove l'importante è sì spiccare, emergere, ma anche omologarsi.

Non so se sia possibile che questi due concetti vadano insieme ma è quello che mi ha ripetuto la signora all'ufficio postale ogni volta che mi aveva visto arrivare con un abito troppo eccentrico o un abbigliamento del tutto inadatto.

Era stata la mia unica amica lì in quella popolosa città, dove ognuno era pronto a voltarti le spalle e a girare gli occhi, storcere il naso e giudicarti, senza nemmeno conoscere un piccolo pezzo della tua storia.

Quella signora, nonostante la sua schiettezza e a volte la sua innaturale negatività, mi aveva preparato in breve tempo alla vita metropolitana, mi aveva fatto capire che presentarsi in un ufficio con una gonna a fiori in pieno inverno poteva essere sconveniente oltre che scomodo.

Poteva, stranamente, dare l'impressione che io non avessi voglia di fare assolutamente niente. La mia bellissima gonna, che lì a Lima mi invidiavano tutti, voleva dire solo una cosa agli occhi degli sconosciuti: "sono in vacanza, non so fare nulla, aiutatemi".

Non sapevo che gli abiti sapessero parlare fino a quel momento, ma ringraziai tante volte quella signora che mi aveva consigliato giusto, sebbene io all'inizio avevo stentato a crederle.

Quando tornai da lei per l'ennesima richiesta di lavoro accennò il capo verso di me per approvare il mio abbigliamento, e io ne fui felice.

Le sorrisi e acciuffai quel pezzo di carta che per me significava un lavoro assicurato.

Ma nemmeno quello andò bene.

Scoprì che non potevo diventare una segretaria o un assistente se non avevo una licenza in materie informatiche.

In realtà avevo capito che avrei anche potuto fingere di avercela ma poiché non riuscivo nemmeno ad accendere un computer, letteralmente, intuì che in poco tempo sarei stata scoperta e cacciata fuori.

Rinunciai quindi a questo tipo di impiego ed iniziai a vagare per locali in cerca di camerieri o ragazze delle pulizie.

E in breve tempo mi ritrovai a girare la città a svolgere i lavori più disparati: dalla pulizia dei bagni dei bar, al servire ai tavoli, dal solo preparare il caffè nel primo turno la mattina fino a dovermi beccare gli insulti e le pacche sul culo di ubriachi fradici che si aggiravano nei pub alle 2 di notte.

Nel frattempo però non mi davo per vinta e continuavo a cercare una palestra che mi avrebbe dato l'opportunità di esercitarmi, lavorare e forse realizzare il mio sogno.

Probabilmente apparivo ingenua e infantile, ma non volevo infrangere il mio sogno e volevo dimostrare a me stessa e ai miei genitori che potevo farcela.

Li chiamavo due volte a settimana per informarli della mia situazione, ma loro mi incoraggiavano a chiamare più spesso non lasciandomi mai senza soldi sul cellulare.

Continuavano ad arrivarmi ricariche ingentissime, ed ogni volta mi sentivo in obbligo di ricambiare con una telefonata che durava minimo un'ora.

Avevano tante volte tentato di convincermi a tornare, ma non c'era stato verso.

E ora, passati i primi due mesi, forse i più difficili della mia vita, finalmente riuscivo ad avere un attimo di respiro.

Avevo finalmente messo da parte abbastanza soldi per permettermi di fittare un piccolo appartamento, con luce, gas ed acqua.

Mi accompagnò all'interno una cara vecchina che non appena ebbe in mano i miei 250 dollari ci tenne a specificare che non avrebbe accettato ritardi nei pagamenti, nonostante quello fosse un appartamento di modestissime dimensioni che, era ovvio, chi lo abitava non poteva permettersi altro.

Io però stranamente mi sentì per la prima volta, dopo tanti giorni, a casa.

Era piccola, buia, un po' ristagnante, ma sapevo che in breve tempo l'aspetto sarebbe migliorato e l'avrei sentita più accogliente.

D'altronde avevo imparato che non si doveva giudicare nulla e nessuno dal primo aspetto, perché spesso può ingannare.

Così concessi a quella casa il beneficio del dubbio e feci bene.

Comprando piccole cose a prezzi stracciati nei negozi più vintage della città ottenni un luogo caldo, accogliente, colorato e stimolante.

Avevo il mio bel letto matrimoniale con lenzuola viola e rosse, delle tende simili e un armadio che ero riuscita a comprare al mercato delle pulci.

L'angolo cottura avevo solo dovuto pulirlo bene e agghindarlo con qualche tazza più vivace e un paio di stoviglie.

Mentre il salottino si riduceva ad un piccolo divano a due posti di fronte a cui c'era un'ampia finestra sotto cui avevo posizionato il mio televisore, regalatomi dal precedente possessore di quella casa.

L'importante era stato saper scegliere i tappeti che, scoprì, danno subito un senso di pienezza e calore; e poi decorare tutto con gli oggetti che mi erano più familiari mi aveva fatto sentire meno triste e sola.

Comprai un attaccapanni su cui poggiare il mio cappotto e la mia borsa al ritorno da una giornata intensa e faticosa, e così procedette la mia vita da quei giorni in poi.

Tra lavori, qualche lezione in una nuova palestra e le sere in casa.

Passati quei mesi però mi ero davvero stufata di non poter parlare con nessuno, di non riuscire a stabilire un rapporto amichevole, così mi sforzai di comunicare con i miei colleghi di lavoro giù al bar nella piazza a due isolati da casa mia.



 

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


La solitudine è stata l'emozione da cui Santana aveva sempre tentato di sfuggire, essendo stata la prima sensazione avuta una volta capito quanto i suoi genitori fossero poco presenti nella sua vita, durante la sua crescita.

Come aveva capito che doveva accontentarsi delle tate come surrogato dell'amore materno, pur di non rimanere da sola, aveva così intuito che era meglio circondarsi di tante persone, anche se di falsi sentimenti, perché: -la loro presenza ti terrà compagnia anche se loro non vorranno, la loro assenza no-. Le pareva di sentire ancora suo padre.

E così Santana si era circondata di stupidi amici, falsi amici, sentendosi sempre più sola.

Una sola volta si era fidata, una sola volta si era lasciata amare e aveva amato, e il risultato ora era la solitudine più totale.

Nemmeno circondarsi di falsi amici rendeva le cose più semplici.

Le mancava Brittany, tremendamente: le sue sciocche affermazioni, i suoi passi di danza così perfetti, i suoi occhi azzurri e i capelli biondi, il suo profumo alla vaniglia, i suoi discorsi sui gatti, i suoi segreti, la sua ingenuità, la sua forza..

Non poteva vivere senza di lei, e solo ora si accorgeva quanto Brittany fosse diventato il suo punto di debolezza piuttosto che di forza.

Non era la persona su cui contare, ma la persona che se fosse venuta a mancare l'avrebbe fatta precipitare nell'oscurità più profonda.

Ed eccola lì, raggomitolata su se stessa, a piangere, a deprimersi, a piangersi addosso perché aveva perduto il suo unico motivo di vita, la sua ragione di un sorriso al mattino, per sempre.

 

Santana's PoV

Aprì gli occhi leggermente, strizzandoli ancora all'improvviso raggio di sole che mi investì.

Sentì una certa umidità intorno agli occhi e mi ricordai delle lacrime che stavo versando poco prima di lasciarmi andare al sonno; dovevo essermi addormentata piangendo e quella doveva essere una nuova mattina d'estate, un'altra mattina persa, un'altra mattina inutile, solitaria, senza di lei.

Mi protessi gli occhi sotterrando la testa sotto il cuscino, sperando che i miei se ne fossero già andati, come accadeva quasi tutti i giorni in casa Lopez.

Non vedevo l'ora di essere completamente sola per potermi affliggere ancora.

Ero patetica, lo so, ma non potevo fare altrimenti.

Non avevo nessun altro, non sapevo che fare della mia vita, non avevo obiettivi, avevo perso le mie priorità, la mia speranza, la mia essenza era stata portata via.

Non credevo fosse possibile.

E tutta la mia negatività mi stava riducendo sempre più a un mucchietto di polvere, mi stavo scavando la fossa ogni mattina con una lacrima in più.

Erano passati due mesi, due mesi da quel fatidico giorno del diploma e di lei neanche una traccia; né un messaggio, né un e-mail, né una telefonata.

Non avevo sue notizie di alcun tipo e sapevo che non avevo diritto a chiederne, ma un giorno non molto tempo addietro ero passata davanti a casa Pierce come abitualmente mi succedeva quando passavo ad osservare da lontano camera sua nella remota speranza che la vedessi apparire alla finestra un giorno di questi, e avevo chiesto a sua madre, che si era dimostrata tanto gentile, se aveva notizie.

Mi aveva informato che si era stabilita in una casa in città, non mi aveva voluto dire dove, probabilmente l'aveva fatto apposta, e non se la passava male, riusciva a sopravvivere.

A me queste parole fecero male.

Non riuscivo a capacitarmi che una persona che aveva sempre dipeso da me e dai suoi genitori riuscisse in poco tempo a cavarsela da sola senza bisogno d'aiuto.

Mentre una persona abituata come me a doversela cavare in ogni situazione, sempre indipendente e sulla difensiva, ora si trovava a terra a causa dell'assenza di una sola ed unica persona.

Avrei potuto supplicare la madre di darmi l'indirizzo di dove stava, ma Santana Lopez non ha mai supplicato nessuno.

Avrei potuto inviarle un messaggio o un e-mail di mia iniziativa, nella remota eventualità che si fosse portata il computer con sé, ma il mio orgoglio era proverbiale.

Così senza fare nulla, senza muovere un dito, mi crogiolavo nella tristezza e nella solitudine, aspettando che il miracolo accadesse, che lei tornasse da me, quando il motivo per cui era andata via ero io, quando non avevo ancora realizzato che lei non sapeva del cambiamento che c'era stato, non sapeva quanto ero disposta a mettermi in gioco, non sapeva che nel momento della sua partenza io ero andata da lei per cercare di aggiustare ciò che credevo fosse irreparabilmente rotto.

"Santana, alzati! Su, io e tuo padre stiamo uscendo, vieni a salutarci, e hai anche visite di sotto!"

Il mio pensiero si diresse a Brittany: che avesse deciso di tornare per me?

Gettai per aria il cuscino, infilai i primi indumenti che mi ritrovai sotto mano e dando un breve bacio sulla guancia a ciascuno dei miei genitori, scesi le scale due gradini alla volta, sovraeccitata, in preda ad una crisi di panico e una di gioia, un misto tra paura e felicità.

Quando entrai in salotto e notai una chioma bionda accecarmi la vista sentì che le mie speranze erano tornate, le mie quasi preghiere esaurite, e forse la mia vita poteva riprendere a battere.

Ma quando misi a fuoco la statura della ragazza che mi dava le spalle, quando questa accennò a voltarsi verso di me, compresi quanto avevo sbagliato, che errore avessi commesso e quante aspettative mandavo in frantumi in pochi istanti.

Mi lasciai cadere sul divano mentre Quinn si precipitava al mio fianco vedendomi crollare senza forze e con uno strano sguardo perso nel vuoto; chiamò i miei genitori che erano sul ciglio della porta, avvertendoli del mio stato catatonico.

Mia madre si affacciò per vedermi in viso.

"Non preoccuparti, cara. Ha quest'espressione da più di due mesi oramai, ci farai l'abitudine! Ciao ad entrambe!" e con un sorriso sulle labbra si richiuse la porta dietro di sé e sentimmo le ruote dell'auto prendere velocità.

Quando i suoi capelli tornarono ad urtarmi fastidiosamente il viso senza che non corrispondesse l'odore alla visione dell'unica bionda che circolava nella mia testa, mi innervosì.

"San, che cosa ti è successo? Chi o cosa ti ha ridotto così?"

Quinn era diventata davvero così apprensiva? Cosa ci faceva lì? Da quando le importava di me? Era quasi un anno che ci facevamo la guerra, forse dopo il diploma credeva di poter ricominciare da capo.

"Cosa ci fai qui?" sentì la mia voce venir fuori con più astio del dovuto, ma lei non si perse d'animo.

"Sono venuta a vedere come stavi, la madre di Brittany mi ha detto che non avevi una bella cera quando sei andata a trovarla.."

Il suono di quel nome urtò il mio viso e sentì tutto il mio corpo rispondere a quel nome, vibrare, e avvertì le lacrime riemergere da dove emergevano oramai tutte le sere.

"San?"

A mala pena avvertivo la presa delle sue mani sulle mie spalle, che mi scuoteva, cercando di risvegliarmi da quello stato perso e quasi incosciente.

"San? Riprenditi! Cosa ti succede?"

"Non ce la faccio più, non posso andare avanti così.."

"Cosa?" tentò di riorganizzare le mie parole e darvi un senso, ma interpretò male la mia frase "San, stai pensando di suicidarti? Ma che cosa dici? Ti ha dato di volta il cervello? Adesso io e te ci vestiamo e andiamo a fare ricerche per i corsi dell'università che dovremo seguire quest'anno!"

"Brittany non seguirà nessun'università.."

Fermò ogni sua azione quando mi sentì pronunciare quelle parole, forse avendole aperto semplicemente una porta fondamentale dei miei pensieri, permettendole di capire a pieno a cosa stessi pensando e cosa mi turbasse.

"Lo so, ma lei non è più qui con noi. Adesso ci siamo noi due, io e te, Quinn e Santana, che devono sopravvivere con un'amica in meno.."
Non mi piacevano le sue parole, non mi piaceva che parlasse come se Brittany fosse morta e sepolta.

"Non suona bene Quinn e Santana.."

"Oh avanti! Sto facendo uno sforzo! Potresti quanto meno essere accondiscendente?!"

Non mossi di un solo millimetro la mia testa né tanto meno il mio corpo, ero del tutto intenzionata a rimanere lì l'intera mattina e se mi fosse servito anche tutto il pomeriggio, la notte, per ritrovarmi lì la mattina seguente e non dover ridiscendere le scale per raggiungere il salone.

Ma lei insisteva a volermi tirare su, a mettermi sui piedi che sapevo non mi avrebbero retto. E io volevo essere accondiscendente! Volevo stare su, ma non ci riuscivo!

Le mie forze mi avevano abbandonata e non volevo più saperne di università, amiche, vita..

qualsiasi cosa riguardasse queste tre cose aveva perso di significato per me.

Acconsentì a lasciarmi aiutare, ad essere riportata su in camera mia e una volta di nuovo sul letto sostai a fissare il soffitto senza alcuna intenzione di muovermi o parlare.

"Questa stanza è un vero porcile, guarda qui! E' tutto in disordine, ogni cosa fuori posto! E cosa sono tutte queste scatole, questi fiocchi? Ci penso io a mettere a posto, tu non ti muovere da lì"

Ma io nemmeno la ascoltavo, non sapevo cosa avesse detto, a cosa si riferisse, non ricordavo nemmeno cosa fosse successo in quella camera, poiché tendevo a lasciarmi andare all'alcool e risvegliarmi il giorno dopo con i postumi di una sbornia che tardava a finire.

Qualche ora dopo, tempo che per me passò come un istante, riaprì la sua bocca e sentì altre parole verso di me, che non riuscivo a cogliere.

"E questo cos'è?"

Alzai lievemente il capo per guardarla, per capire cosa stesse dicendo, ma quando vidi il tubicino segreto tra le sue mani i miei occhi si spalancarono e rabbrividì.

Istantaneamente mi precipitai a strapparglielo dalle mani, con avidità, gelosia, forza, che non pensavo più mi appartenessero, e lei non sapeva se essere felice per quella dimostrazione di vita o turbata per la reazione esagerata che avevo avuto.

"Non toccarlo!" avevo rabbiosamente aggiunto, rigirandomelo tra le mani, sapendo quale importante segreto custodiva.

Non che avrebbe potuto aprirlo ma temevo potesse romperlo e non potevo permetterlo, significava troppo per me.

Improvvisamente mi ricordai cosa avessi fatto le sere precedenti a quella, mi ricordai di aver voluto raccogliere la roba che mi ricordava Brittany, tutti i regali che mi aveva fatto e li avevo sparsi per la stanza lasciando una confusione che ora era sparita.

"Quinn.." iniziai aggirandomi furiosamente per la stanza "..dove sono tutte le mie cose?"

"Oh ti ho detto che non dovevi preoccuparti! Ti ho messo tutto in ordine nell'armadio"

La guardai volendola fulminare con lo sguardo all'istante.

"Prego.." aggiunse ironicamente, ignorando l'espressione demoniaca del mio viso, che lentamente si stava allontanando dal suo, pulito e pacifico, e che pian piano si avvicinava alle ante dell'armadio per scoprire se diceva la verità.

Iniziavo ad essere anche paranoica!

Non mi sarei fidata più di nessuno.

Quando trovai tutti i regali e i ricordi accatastati in un angolo dell'armadio tirai un sospiro di sollievo e così anche lei che era rimasta in sospeso, attendendo una sfuriata che fortunatamente non era arrivata.

"San devi spiegarmi che sta succedendo..."

Iniziò, come se volesse farmi una predica, mentre io tiravo fuori la giacca che Brittany mi aveva restituito e me la infilavo giusto per sentire il suo profumo, poiché aveva sicuramente fatto lo stesso durante i giorni che l'aveva avuta lei e custodita a lungo per me.

Poi indossai la collana che mi aveva regalato e strinsi in un pugno il custode dei segreti, la mia Brittany-surrogato, e mi coricai sul letto ignorando le parole di Quinn.

"San, per favore.."

Chiusi gli occhi, li strizzai più che potei ma lei si alzò e lasciò che il sole, che poco prima le colpiva la schiena, colpisse me in pieno viso.

Mi voltai dall'altra parte e sostai, in silenzio, aspettando che si convincesse ad andare via.

"Posso restare anche tutta la giornata se serve, ma devi parlare con me, non puoi ignorarmi se resto qui.."

Sospirai rumorosamente, sperando davvero che non dicesse sul serio, e poi mi si parò davanti.

"Parlerò coi miei genitori, chiederò di venire a dormire qui e non ti libererai più di me!"

Al pensiero di avere una bionda perennemente intorno mi venne la nausea, sapendo quante volte avrei pensato di rivedere Brittany girando anche solo l'angolo della cucina e vedendola di spalle.

Così decisi che dovevo inventarmi qualcosa per farla andare via senza che si preoccupasse per me ulteriormente.

"Quinn non preoccuparti, io sto bene, non mi serve il tuo aiuto"

Non ero brava con questo genere di cose quindi il mio fiato miagolato non servì a molto, ma piuttosto a farla preoccupare ancora di più.

"San, non mentirmi.. il primo passo per superare la cosa è ammetterla"

Il suo commento mi stizzì, come se potesse saperne qualcosa di quello che stavo passando, come se si potesse generalizzare ad un'altra situazione, quando sapevo di trovarmi in una complicata relazione sentimentale impossibile da descrivere, impossibile da definire, impossibile da realizzare e anche da pensare.

"Cosa ne sai tu? Pensi di poter venire qui, avere adito di parlarmi, giudicarmi e andar via con la coscienza pulita? Oh no cara, tu non sai nulla, e proprio per questo non mi serve il tuo aiuto, non mi serve l'aiuto di nessuno!"

Sbottai senza un vero motivo per avercela con lei.

Sperai all'istante dentro di me che mi perdonasse e non ce l'avesse con me per quello per il resto della sua vita e della mia.

"San io voglio solo aiutarti ad uscire da questa... morte prematura che sembra tu ti sia creata da subito dopo.. il diploma"
-la partenza di Brittany- avrebbe voluto dire, ma non sapeva se era troppo, temeva che sarei sbottata come avevo fatto prima solo sentendo il suo nome.

Un velo di tristezza ondeggiò nei miei occhi al ricordo di quel giorno in cui avevo corso a perdifiato sperando di raggiungerla prima che fosse troppo tardi, quasi mi sentissi nelle vene che quella scelta avrei dovuto farla molto tempo addietro.

"Vorrei solo capire cosa potrei fare per farti stare meglio.."

Sospirai forte, incapace anche io di trovare una soluzione, ma apprezzavo i suoi sforzi: d'altronde sembrava l'unica che si fosse davvero preoccupata per me e avesse avuto il buon senso di aiutarmi.

"Va bene.." acconsentì, per nulla decisa a dirle come stavano le cose ".. aiutami a cercare di fare ordine tra quelle carte, devo ancora decidere a quale università iscrivermi.."

"Immagino qualcosa di lontano, molto lontano, da qui.."

"Immagini bene!"

Sorrise lievemente, sentendo la tristezza e il rammarico nella mia voce, cercando di darmi un minimo di sollievo con quella smorfia che mi ricordava il dolce e doloroso sorriso di Brittany che iniziavo ad aver paura di scordare.

Mentre ci muovevamo tra la marea di carte che mi erano state consegnate sia dai professori che dai miei genitori, avendo scartato la maggior parte delle università vicine a Lima per un raggio di 500 chilometri, ne rimasero solo due o tre da valutare, per costi, lontananza e conoscenze.

Ma tra i fascicoli di un'università uscì una foto mia e di Brittany, abbracciate, mentre lei mi baciava una guancia "a tradimento" senza che io me lo aspettassi.

Sorrisi guardandola, e mentre Quinn era impegnata a leggere il suo fascicolo, lasciai che le lacrime riemergessero e mi solcassero il viso.

Quinn, alzando lo sguardo per il troppo silenzio, notò il mio viso trasformato in una smorfia e aspettò che fossi pronta a parlare per potermi fare qualche domanda.

"C'entra Brittany con questa malattia che ti sei creata? Con questa tua voglia di mollare tutto e scappare via?"

A malapena annuì, ma era evidente che fosse così.

Pose una mano sulla mia spalla: doveva considerarla consolatoria, ma per me era solo un gesto privo di significato.

"Tutto si aggiusterà, vedrai. Brittany voleva solo un po' d'indipendenza, ma vedrai che tornerà, e andrà all'università con te, e tornerete amiche come prima!"

Sorrisi beffardamente.

Non poteva capire, non poteva capire minimamente, e non ero io la persona più adatta a spiegarle nulla.

Non potevo semplicemente dirle come stavano le cose, perché non ne ero certa nemmeno io. Sapevo solo che le nostre strade si erano divise, per quello che oramai consideravo il -per sempre- della nostra storia, e così doveva andare, dovevo rassegnarmi.

Così mi limitai ad annuire alla sua affermazione, intrisa di buone intenzioni, e le mostrai l'università che avevo scelto, l'università che avremmo frequentato insieme per i prossimi cinque anni.

Mi abbracciò a quella notizia, essendo felice di avere una persona amica sin dal primo giorno di scuola.

Io ricambiai l'abbraccio sentendomi però stranamente sconfortata alla vista delle mie dita intrecciate in un biondo che non riconoscevo.

L'allontanai non troppo bruscamente e le sorrisi di rimando facendole capire che non era colpa sua quel repentino distacco, quel cambio d'umore, che mi avrebbe caratterizzato per la vita.

"Ti va di festeggiare?"

La mia faccia rimase impassibile, e lei si ricordò del mio stato d'animo.

"Oh su andiamo! San non puoi rimanere paralizzata qui solo perché non hai più la tua migliore amica al tuo fianco! Ne troverai una migliore, cento migliori, che non ti abbandoneranno così di punto in bianco!"

In parte aveva ragione, oggettivamente non era una tragedia quella perdita, ma per me, Santana Lopez, che ero faticosamente cresciuta in un ambiente ostile e che l'unica a far breccia nel mio cuore era stata e rimaneva Brittany S. Pierce, non potevo dimenticarmela, non potevo facilmente sostituirla, non per ora.

Sarebbe servito del tempo, molto tempo, prima che le cose fossero andate meglio.

Ma oramai insieme avevano tempo da vendere entrambe.

Quinn decise che da lì alla fine dell'estate avremmo speso le nostre vacanze insieme, non volendo lasciarmi in balia dei ricordi e del malumore.

"E che succederebbe se alla fine dell'estate non ti ritrovassi più? Se ti fossi uccisa o fossi scappata? Non potrei permettertelo, ti starò accanto San, che tu lo voglia o no"

"Grazie Q" fu la prima e l'ultima volta che mi sentì in dovere di ringraziare e lo feci, senza poi tante storie, sperando che l'altra se lo scordasse presto e non pretendesse un bis.

Lei sorrise.

Forse le cose potevano andare meglio di quanto avessi immaginato.

Certo quattro -cinque anni erano lunghi, ma se li avessi passati con Quinn, cercando di distrarmi e cercando di sostituire chi non c'era più al mio fianco, forse sarei riuscita a sopravvivere.

Per vivere, invece, aspettavo il suo ritorno, se mai ci sarebbe stato.


 

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


I ricordi, purtroppo o per fortuna, sono qualcosa con cui il genere umano deve fare i conti prima o poi, che lo voglia o no.

E tra gli esseri umani, per quanto fosse contestabile come affermazione, si annoveravano anche Santana Lopez e Brittany Pierce.

Due esseri umani alquanto strani, unici nel loro genere, e bizzarramente assortiti.

Una bruna, scura, cupa, indipendente, fiera, caparbia, sensuale; l'altra bionda, solare, ingenua, infantile, insicura, testarda, avvenente.

Ma conoscendosi, superando la superficie l'una dell'altra, la scorza, l'aspetto ingannatore che poteva lasciare emettere giudizi affrettati in merito, avevano scoperto di avere molte più cose in comune di chiunque altro, riuscendo a completarsi incredibilmente, sopportandosi a vicenda, anzi amando i difetti l'una dell'altra, oltre che i pregi.

Avevano in comune l'avvenenza, la bellezza, ma mentre Santana era consapevole del suo fascino e lo sfruttava al meglio, Brittany ammaliava senza sapere come, lasciando cadere uno sguardo che per lei non significava nulla e che magari faceva svenire qualsiasi ragazzo nel raggio di chilometri.

Sbadatamente la minigonna della sua divisa da cheerleader aveva lasciato intravedere il resto delle sue gambe longilinee e non si capacitava come fosse possibile che improvvisamente avesse attorno tanti bei ragazzi che volevano portarle i libri fino alla mensa.

Santana aveva cercato di spiegarle l'effetto che il suo corpo poteva avere sugli altri, soprattutto se ben sfruttato, ma Brittany sembrava non capire, non era interessata minimamente a manipolare quei giovani ragazzi che si prostravano ai suoi piedi.

La bruna invece non aveva fatto altro, non poteva fare altrimenti, le era quasi necessario, come l'aria, per poter sopravvivere: sentirsi superiore, manipolare, complottare, comandare, ottenere tutto ciò che voleva.

Non capiva come Brittany potesse rinunciare a tutto quello, a quel potere;

ma Brittany non capiva come Santana potesse desiderare tanto potere senza alcuno scopo.

Santana non riusciva a capire che quando Brittany rispondeva "non mi serve altro, io ho te" diceva sul serio, intendendo veramente che non le sarebbe servito nient'altro per vivere.

Per Brittany l'importante era stare insieme, condividere i momenti importanti e anche quelli più insignificanti. L'importante era l'amore, come le avevano insegnato faticosamente i suoi genitori.

E non le importava se Santana faticava a capirlo; lei ci aveva messo 18 anni da quando i suoi genitori le avevano donato la vita, come poteva pretendere che Santana lo capisse in poco meno di 5 anni?

Così non si era data per vinta e aveva lentamente, ogni giorno, scavato un po' più a fondo nel suo cuore, aveva fatto sì che l'altra si confidasse, si fidasse, si lasciasse andare senza timore e senza regole, senza voler prevalere, senza aver voglia di comandare.

E Santana doveva ammettere che quando hai un'amica dalla tua parte, quando hai tutto ciò che puoi desiderare in una sola persona, ti è difficile chiedere altro, ti è difficile tornare indietro e pensare minimamente di voler ancora controllare tutto, quando oramai quel tutto aveva perso ogni significato.

L'esito di quella strana ed ambigua unione, fattasi ogni giorno più intima, più familiare, più concreta, erano due persone trasformate, due ragazzine che insieme si erano fatte donne; erano cresciute, migliorandosi a vicenda: Santana era divenuta più dolce, acconsentiva alle richieste degli altri, anche se necessitava ancora di un piccolo aiuto e incoraggiamento.

Mentre Brittany era diventata forte: essere il sostegno per qualcuno ti fortifica, ti rende viva, ti fa sentire indipendente. E avendo visto come Santana era costretta a sopravvivere da sola, in assenza perenne dei suoi genitori, l'aveva voluta accompagnare a lungo in quelle notti solitarie.

Così Santana le aveva insegnato a cucinare, a prendersi cura della casa, prendere decisioni anche in assenza di un adulto, quando l'adulto dovevi essere tu.

E Santana era semplicemente adulta da troppo tempo, Brittany l'aveva capito sin da subito.

Si erano solo scambiati i ruoli, avevano ceduto un po' di sé l'una all'altra: Santana cedeva la sua responsabilità e Brittany la sua fanciullezza.

Ma quando si inizia a vivere così in simbiosi, in totale dipendenza, insieme, condividendo, essendo l'una parte dell'altra, cosa succede quando tutto scompare?

Cosa accade se le due parti diventate uno tornano alla loro essenza da singolo?

Cosa succede a quelle povere anime separate che vengono improvvisamente private dell'aria di cui vivere?

E poi quello era davvero il male maggiore?

O il ricordo di ciò che era stato era peggio di qualsiasi separazione?

Se non avessero conosciuto l'unione, quell'unione stessa gli sarebbe potuta mancare? Il ricordo dell'unione non sarebbe nato nelle loro menti e sarebbero state salve.

A loro mancava l'unione, mancava l'amore, mancava il tempo lontano della felicità che attendevano da troppo tempo.

E quella mancanza era il loro malessere, il loro cancro, che si estendeva e risucchiava tutto.

 

 

Brittany's PoV

Stringendo queste coperte che odorano solo di me, piango.

Non c'è nessun altro odore qui, ho provato in ogni modo, ma non riesco a ricreare quel profumo, quella sensazione, quell'emozione che provavo entrando nella camera di Santana.

Era un profumo accogliente di cocco e vaniglia, mi pare mi avesse detto che fosse il suo bagnoschiuma; infatti una volta con una scusa riuscì persino a farmi una doccia da lei, soltanto per poterlo usare e sentire il suo profumo su di me, completamente.

Ora che non avevo nemmeno quello, ma solo un vago e lontano ricordo, sentivo come se la pelle si iniziasse a sgretolare, gli organi dentro di me andare in frantumi.

Le ossa si facevano pesanti e difficili da trasportare.

Ciò che chiedevo ancora era quell'unico profumo, non era molto.

Erano giorni che tornavo a casa con incensi diversi, bagnoschiuma, deodoranti, profumi, stavo continuando a spendere soldi solo per ricreare l'odore di un sapone di cui non riuscivo a ricordare il dannatissimo nome, ma sapevo bene a chi apparteneva.

Camminando per le strade gelide, con il naso ghiacciato, rosso per il freddo, tra i tanti strati dei miei abiti, avvertì poi quella fragranza, e me ne innamorai di nuovo, come se fosse stata la prima volta.

Quell'odore mi riportò alla mia casa, alla mia fanciullezza che ora vedevo allontanarsi sempre di più e mi riportò a lei, la mia amica Santana.

Mi ritrovai stupidamente a tirare fuori il naso dalla mia sciarpa cercando di capire da dove provenisse quel profumo e così mi ancorai ad una donna che dovette credere che fossi pazza.

Invece mi sorrise al secondo angolo che giravamo insieme.

Quando mi sorrise, come un pugno in faccia la realtà mi si presentò dura e improvvisa, anche se sapevo bene che non poteva essere lei.

Non era Santana ma soltanto il suo profumo.

Destata dalla realtà mi affrettai a scusarmi dell'errore che avevo commesso, sperando di non aver creato disagio, e invece di una cattiva parola, di un rimprovero violento, mi venne offerta una tazza di caffè.

Fu forse quella la mattina che cambiò nuovamente la mia vita, quando una donna sconosciuta mi offrì del caffè e mi fece riporre Santana in fondo al cuore, senza però poterla dimenticare, perché quello che indossava era pur sempre il suo profumo, e io non l'avrei scordato mai.



Piccola nota:
Scusate la prolungata assenza: purtroppo tra preparazione esami, blocco delo scrittore e quant'altro, non sto avendo modo di aggiornare o scrivere. Spero mi perdonerete e continuiate a seguirmi. Per quelli che stanno seguendo anche l'altra mia long, mi sa che ci sarà da aspettare ancora un po' xD Chiedo venia!
Fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo :)


p.s. chi ha visto la 3x10? Brittana *w* The first time ever I lay with you I felt your heart so close to mine"... chi è morto come me durante quella scena?  <3 







 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Il tempo. Per quanto sia un concetto indefinibile, irraggiungibile, tutti lo usano per giustificarsi, per curarsi, per ammalarsi.

Il tempo è parte pregnante di noi, seppure a volte preferiremmo farne a meno.

Il tempo siamo noi perché siamo noi ad averlo creato, perché per quanto lo rinneghiamo ne abbiamo disperatamente bisogno.

Perché quando perdiamo qualcuno, quando stiamo male, quando sentiamo di aver bisogno di qualcosa, la prima cosa a cui pensiamo è il tempo!

Necessitiamo del tempo per poter fare quello che ci va di fare, per poter fare quello che dobbiamo e quello che vogliamo, e poi per quello che vogliamo sempre di più.

Ma soprattutto quando sentiamo la mancanza di qualcuno che ci ha lasciato con il cuore a pezzi, a brandelli, tanto piccoli da dubitare di poter essere ancora assemblati, c'è solo una cosa che ci consola:

"Passerà, ci vuole tempo!"

 

Santana's PoV

 

"Santana, mi spieghi cosa stai aspettando? Siamo in ritardo!"

Abbandonata sul mio letto, guardavo le pareti della mia camera come se fossero stati fantasmi, forse ero io il fantasma in quella stanza:
con gli occhi spiritati alzavo lo sguardo cercando una sensazione che scoprì non veniva da quelle mura bensì da chi le aveva abitate.

In un istante rividi Brittany entrare per la prima volta in camera mia allegramente, posare il suo zaino proprio lì, sul bordo del letto, e aspettarmi a mani congiunte dietro la schiena, forse imbarazzata, forse solo in attesa.

E le sorrisi, sorrisi alla Brittany di sei anni fa che mi sorrideva ancora nell'ombra di quella stanza; sorridevo ancora quando scomparve nel momento in cui comparve Quinn sul ciglio della porta.

"Vogliamo andare? Si sta facendo tardi, non voglio arrivare col cielo buio e le camere tutte chiuse, è triste!"

"Arrivo subito, lasciami solo..."

"Ho capito, ho capito! Due minuti e poi vado via senza di te!"

La sentì sbraitare nel mentre che ridiscendeva le scale mentre io tornavo a sorridere a una Brittany che non c'era più.

Mi mancava, mi mancava tremendamente, ma ora era il grande giorno, il grande passo andava fatto, e di lì a poco mi sarei dovuta dimenticare di lei.

La mia porta sul passato si chiudeva e se ne apriva una nuova tutta proiettata sul futuro, atteso ed inaspettato, che mi si sarebbe parato davanti.

E non vedevo l'ora, non stavo più nella pelle, dopo un'estate tremenda ad attendere questo momento di svolta che ora volevo tornasse da dove era venuto e mi lasciasse crogiolare ancora nei miei ricordi e nella mia infelicità.

Forse io ero diversa, forse per me il tempo non bastava a dimenticare qualcuno, a sanare una ferita tanto profonda, forse non sarebbe servito a niente cambiare città e vita.

Ma aveva ragione Quinn, dovevo almeno provare, per il mio bene e di quelli che mi stavano intorno, ovvero lei.

Iniziavo a parlare come lei, senza nemmeno averle mai dato ascolto.

Sorrisi per l'ultima volta alla mia stanza completamente vuota eppure piena più che mai dei ricordi che popolavano anche la mia mente e chiudendo la porta pensai a quando l'avrei rivista, tra quanto tempo sarei tornata a casa e mi sarei precipitata in questa stanza per abbracciare vecchi ricordi in preda al panico di dimenticare.

Nell'istante in cui me ne andavo non facevo altro che pensare al momento in cui sarei ritornata. Ed è strano, paradossale, ma anche giusto.

Altrimenti non avremmo un posto a cui affezionarci, potremmo vivere ovunque senza provare nulla, e sarebbe impossibile; perché anche il più insensibile degli esseri umani ha dei ricordi, e tra questi ci sarà sicuramente una casa, probabilmente una ragazza bionda e un passato da dimenticare.

 
 

Lasciai guidare Quinn per tutto il tragitto, cinque ore di auto, ma lei non se ne lamentò avendo per la prima volta il permesso di guidare la mia decapottabile.

Era sempre stata fissata con quest'auto, come se guidarla avrebbe prima o poi significato qualcosa, forse che eravamo amiche, che le volevo bene.

Sapevo però che Quinn era sempre stata lì a guardarmi malignamente quando l'avevo lasciata a Brittany per un'intera settimana e intuì solo allora che potesse essere stata gelosa.

Sorrisi beffardamente, sapendo che non sapeva in cosa si stesse immischiando, non sapeva cosa ci fosse in gioco tra di noi, quanto fosse stata pericolosa l'amicizia tra me e Brittany. Non poteva minimamente immaginare di essere gelosa di qualcosa che non avrebbe mai desiderato di provare per una delle sue migliori amiche, ma continuai a non fargliene parola.

La lasciai guidare, la lasciai sorridere, sorridendo a mia volta di tanto in tanto, mentre il tramonto calava e ci avvicinavamo alla nostra vita da universitarie.

Ogni miglio che ci lasciavamo alle spalle era il mio miglio di vita e ricordi che dovevo dimenticare, che dovevo lasciarmi indietro come tutti quei chilometri, come quelle strade sconosciute di cui non avrei mai ricordato il nome.

Ogni miglio in avanti era un passo verso la vita che dovevo ricostruirmi e, se necessario, inventarmi.

Mi ripromisi seriamente allora, prima di entrare in città, prima di varcare la soglia del campus, che quello era il mio ultimo pensiero rivolto a Brittany; ma siccome non potevo controllare la mia mente optai per una soluzione più concreta e attuabile.

Le avrei rivolto un ultimo pensiero, l'ultimo che implicava un qualsiasi tipo di coinvolgimento sentimentale che andasse oltre la nostra amicizia, e poi mi sarei rassegnata. Erano passati sei mesi e se avesse voluto contattarmi, se avesse voluto sentire la mia voce, l'avrebbe fatto;
poiché non era così, non c'era più nulla di cui rammaricarsi, nessun castello di carta da poter montare.
Io ero stata cancellata dalla vita di Brittany e così dovevo fare io con lei, dovevo cancellarla, ponendo la parola fine ai miei sentimenti, esprimendoli una volta per tutte e lasciandomi indietro quello che sarebbe potuto essere e non era stato.

"Ti amo" pensai e strizzando gli occhi subito me ne pentì amaramente, perché quelle parole sussurrate dentro di me bruciavano, come se mi avessero marchiata a fuoco, per sempre.

Forse avevo fatto la cazzata più grande della mia vita, ma Quinn una volta mi disse che -ammettere il problema è il primo passo per superarlo-, o almeno credo.

Io comunque pensai quelle parole, sentendole davvero, capendo solo allora quanto avessero premuto sulla punta della mia lingua, incapaci di uscire ad alta voce alla diretta interessata.
Avevo temuto di pronunciarle troppo a lungo.
Un'unica volta, quella fatidica volta, ero stata capace di dirle ma non bastava. Non contava niente.
Le avevo detto di amarla proprio nel momento in cui l'avevo abbandonata per l'ennesima volta.

Avrei dovuto dirglielo per restare.

E ora che era troppo tardi le lasciavo andare, rendevo quelle parole libere di spiccare il volo perché non sarebbero più servite.
Erano libere loro e libera io;  così credevo di essermi esorcizzata.

Via il male, il dolore, la causa della mia infelicità! Ora si apriva una nuova porta per Santana Lopez!

E fortuna volle che fosse quelle del mio dormitorio, perché morivo di sonno!



Piccola nota:
In settimana darò questo dannatissimo esame e prometto che mi metterò per bene a scrivere ed aggiornare (anche perché ho qualche idea nuova e anche una nuova fic da sviluppare xD)
Spero che ancora mi seguiate in tanti! Vi ringrazio infinitamente per la pazienza!

Per insulti lamentele sfoghi e quant'altro le recensioni sono bene accette ù_ù


 

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Piccola nota:
Poiché sono tornata ad ossessionarmi con Damien Rice, e non è un bene ve l'assicuro, vi consiglio "Amie" che potrebbe accompagnare la lettura.
Se tendete al pianto sfrenato però, come me quando l'umore è grigio, evitate :)




A volte capita di voler creare un rimpiazzo, una sorta di controfigura di qualcuno a cui ci sentiamo particolarmente legati, ma non lo facciamo apposta.

Improvvisamente ci rendiamo conto di essere affianco a qualcuno che ci rimanda tremendamente a qualcun'altro, ma non sappiamo chi sia.

E poi l'illuminazione!

Tanti piccoli dettagli coincidono, piccole caratteristiche che amiamo in entrambe le persone ci fanno pensare di aver confuso tutto, di aver tentato di mascherare i nostri sentimenti e aver plagiato una persona, noi stessi, soltanto per tornare a provare sensazioni dimenticate.

La colpa non è la nostra, e nemmeno della povera persona capitata nel ruolo del rimpiazzo, quando, se solo fosse arrivata prima, avrebbe avuto il ruolo di protagonista.

La colpa è del subconscio, che si ritrova al sicuro in ambienti già visti, già conosciuti, che si apre più facilmente di fronte a qualcosa di familiare ed intimo.

Per cui sentire un profumo tremendamente simile ad uno conosciuto, seppure non fosse esattamente quello, ci fa rivivere qualcosa che non riusciamo a controllare e nemmeno a rifiutare.

Vedere un mezzo sorriso su una faccia timida ci fa ricordare quanto fossimo abituati ad averla davanti a noi quella faccia, e non ce ne siamo mai accorti.

Fino ad ora.

Ora che amiamo quei particolari, quelle deliziose imperfezioni, ci appare dura e improbabile la verità e la crudeltà del nostro gesto.

Ma non l'abbiamo fatto apposta, non è colpa nostra, è il subconscio che ci fa fare cose tremendamente stupide senza che ce ne rendiamo pienamente conto.

Risvegliarsi e avere un terribile presentimento, la paura di aver fatto la cazzata che si pensa di aver fatto.

Aprire gli occhi e scoprire di averla fatta davvero.

Ecco cos'è che ti fa rimpiangere di essere nati, di aver fatto certe scelte e aver preferito scelte rispetto ad altre.

E' in momenti come questi che rinneghi ogni tuo valore ed ogni tua convinzione, in nome di cosa poi?

 

Brittany's PoV

Aprì gli occhi quando sentì la mia schiena iniziarsi a gelare.

Lentamente realizzai di essere nuda; vedendo la mia lampada sul comò dedussi fossi in casa mia; poi avvertì qualcos'altro.

Il mio piede toccava qualcosa, qualcosa di morbido e caldo, un corpo...

-O mio Dio, ho ammazzato qualcuno?- pensai.

Voltandomi di scatto vidi una dolce fanciulla giacere inerme nel mio letto al mio fianco, senza sapere cosa mi passasse per la testa, senza sapere cosa la attendesse, senza sapere.

Ricordai faticosamente il suo nome e poi tentai di ricostruire le ore precedenti.

Mi aveva portato la bottiglia di vino rosso che mi aveva promesso e ce l'eravamo finita tutta. L'alcool aveva fatto il resto.

Era la ragazza che mi aveva invitato per un caffè, che avevo iniziato a frequentare da qualche settimana, saltuariamente, ma nulla di impegnativo.

Ora però sentivo che le cose sarebbero precipitate. Non avevo la benché minima intenzione di intraprendere una relazione seria con qualcuno, oltretutto non con una donna, oltretutto non con una donna che avesse l'odore della donna a cui apparteneva il mio cuore.

Iniziai ad odiarla quando ero io stessa quella con cui me la sarei dovuta prendere.

Santana me l'aveva sempre detto che dovevo stare attenta, dovevo ricordarmi che il mio corpo poteva essere un'arma a doppio taglio e che dovevo usarlo bene, con attenzione, altrimenti mi sarei potuta trovare in situazioni spiacevoli.

Ora sapevo a cosa si riferiva.

A volte il corpo e l'istinto ti spingono a fare cose che non penseresti mai di fare, ma così anche un paio d'occhi.

Perché quando aprì lentamente gli occhi, la donna al mio fianco, che sono più che sicura si chiamasse Dawn, mi spiazzò.

I suoi occhi erano tremendamente differenti da quelli di Santana.

Quelli di Santana erano castani, nocciola, caldi, bollenti, profondi.

E questi a modo loro lo erano, ma erano anche verdi, decisi, enormi.

E me ne innamorai, non posso essere biasimata.

Era la prima volta che mi sentivo al sicuro e a casa dopo tanto tempo e dovevo tutto a quei due magnifici occhi che mi ricordarono perché avessi acconsentito a farla entrare nel mio appartamento quella sera stessa, con in mano una più che ovvia e banale bottiglia di vino.

Sorridendomi si avvicinò a me e mi strinse.

Quel gesto che qualcun'altro avrebbe fatto fatica a commettere, che sembrava così distante ed impossibile, era invece semplice e veloce, tanto che bastava alzare un braccio e tutto sembrava andare meglio.

Sentì i nostri corpi nudi a contatto l'uno di fianco all'altro e non potei fare a meno di pensare se con Santana avrei provato le stesse cose, le stesse sensazioni, se con lei mi fossi sentita più a mio agio, se avessi provato in ogni caso quel senso di inquietudine ed inadeguatezza che ora mi assillava.

Ma la persona al mio fianco sembrava essere molto intuitiva e non mi lasciò perdere d'animo.

"E' stato bellissimo.." mi sussurrò, rassicurando il mio animo.

Forse non era quello che mi sarei voluta sentire dire, forse non era la persona che volevo pronunciasse quelle parole, ma andava bene così.

Per quanto ne sapevo Santana Lopez era lontana miglia ed ore da quella casa, da quella stanza, e poteva star facendo qualsiasi cosa, sicuramente non pensava a me, che ero nel pieno del mio grande passo, nel pieno della mia svolta definitiva verso una nuova vita, concreta e vera.

Poco male se non potevo rendervi partecipe anche Santana, poco male; poco.

Non le dissi che non l'amavo, mi sarebbe sembrato scortese, poco carino soprattutto.

Era la prima volta insieme, non potevo certo dirle che amavo un'altra!

Ma ero sicura che nemmeno lei mi amasse, non poteva che essere altrimenti, perché ci eravamo conosciute da poco e sicuramente ero anche io il rimpiazzo di qualcuno lontano eppure ancora troppo vicino al suo cuore.

"A cosa stai pensando?"

Fece il grosso errore di pormi quella domanda, ed io non sapendo mentire: "A tante cose.." risposi.

Tentai di essere elusiva, volendo risparmiarle un dispiacere, ma sembrò non capire.

Interpretò la mia risposta vaga come insicurezza, paura e mi incoraggiò a proseguire.

"Mi chiedevo se riuscirò ad innamorarmi di te..."

Sentì la sua pelle irrigidirsi sopra la mia, il suo pugno stretto sul materasso, proprio di fianco il mio ventre, ma che ora non osava muovere.

Non sapevo se si fosse irrigidita perché avessi precipitato le cose o perché non l'avessi fatto.

Ma per non peggiorare ulteriormente le cose preferì attendere una sua risposta.

Improvvisamente, nell'attesa, sentì il letto vibrare, qualche breve colpo continuo, e voltandomi la vidi piangere accanto a me.

Non mossi un dito, fu lei a gettarsi tra le mie braccia, coprendosi il volto nella mia spalla, e sperando ardentemente che non la giudicassi per la reazione infantile e repentina che aveva avuto.

"Mi dispiace, mi dispiace tanto.."

Non capivo di cosa parlasse, ma io mi limitavo a carezzarle i capelli e cercando di far cessare le lacrime, che in effetti in quel momento mi mettevano un po' in difficoltà.

"Non volevo ferirti, non era mia intenzione! Non posso dire di amarti, ma.. mi piaci molto.. e... sono appena uscita da una relazione.."

Sentendo quelle parole tirai impercettibilmente un sospiro di sollievo, così la interruppi.

"Ehi, davvero.. non scusarti, anzi scusa se sono stata brusca o inopportuna, ma.. sono un po' anche io nella tua stessa situazione... non mettiamoci fretta, d'accordo?"

Davvero riuscì ad essere così rassicurante e calma, nonostante sentissi il mio cuore tremare, le mani bruciare e i crampi allo stomaco.

Era come se il mio corpo mi dicesse di rifiutare tutto quello, ma non mi andava.

Ero stufa di manipolazioni, tristezza e depressione! Volevo andare avanti, dare una svolta e quella ragazza mi dava l'opportunità di farlo, mi poteva aiutare!

E anche se faticavo a crederci, quello fu l'inizio di una nuova storia, che seppure non aveva come protagoniste me e Santana, era pur sempre una storia d'amore, una vera questa volta, molto meno complicata di quanto avrei potuto immaginare potesse essere.



Ancora una piccola nota:


Non uccidetemi, non uccidetemi >___< La storia non è finita, per cui continuate a leggere. E diamo tempo al tempo...
A presto, prometto!  Sono a casa con la feeeeebbra (sì, con la A! ù_ù) per cui mi dedicherò a qualche capitolo :)
_CodA_ <3

 











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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Più spaventoso dell'ignoto c'è ciò che già conosciamo, ed è più spaventoso di qualsiasi altra cosa. Perché è come guardare in faccia il destino; è sapere che una cosa andrà male, quando potresti ancora rimanere in bilico tra la possibilità di un esito positivo.

Se sappiamo già come andrà a finire rinunciamo a lottare fin da subito, sin dal principio. E la paura ci paralizza, ci rende inetti, piccoli insetti che si rivoltano su se stessi vinti dall'ineludibile piede che li schiaccerà.

 

Santana's PoV

"Non ne posso più.."

"Oh andiamo! Siamo appena all'inizio! Devi abituarti!"

Mi gettai sul letto affianco a quello di Quinn, lasciando cadere i libri che portavo sotto braccio: pesantissimi, noiosissimi.

"Quanti corsi stai seguendo?" continuò, vedendomi spossata sul letto, priva di ogni segno di vita.

"Sei.."

"Sei? Ma sei pazza? E' ovvio che non riesci a seguirli tutti! Dovevi iscriverti al massimo a tre corsi! Folle!"

"E quando avevi intenzione di dirmelo?"

"Te l'avrò detto almeno un migliaio di volte, Lopez!"

Uno strano suono fuoriuscì dalla mia bocca, misto a rassegnazione e rabbia, mentre mi lasciavo cadere nuovamente con la testa sul letto.

"Allora.. ti va di uscire stasera?"

"..."

"Oh andiamo! Santana sono due mesi che non usciamo! Non abbiamo conosciuto gente, non abbiamo fatto amicizia, non sappiamo niente della vita notturna di questa città e..."

"E a me va bene così"

"Spero tu stia scherzando.."

"Mai stata così seria!"

Non avendo visto il suo viso contrito e piuttosto arrabbiato non potei fermare la sua furia che si abbatté violentemente sulla mia coperta.

Con forza bruta e improvvisa tirò via il piumone su cui ero stesa e mi lasciò rotolare a terra, mentre spalancavo gli occhi dal terrore.

Il tonfo sul pavimento era il mio sedere che si abbatteva sconfitto.

"Ahi.."

"Ben ti sta!"

Vidi la sua coda di cavallo scodinzolare da una parte all'altra della sua testa mentre tornava a sedersi alla scrivania.

Tirandomi su stancamente mi sentì all'improvviso il doppio dell'età che avevo tutta sulle spalle, e decisi che era arrivato il momento di cambiare vita.

"Bene, stasera si esce.." alle mie parole il suo viso si illuminò. ".. ma sia chiaro, se mi annoio me ne torno!"

"Grazie, grazie, grazie, grazie!!!!" continuava ad esclamare saltellandomi attorno come un cagnolino impazzito.

Le fui segretamente grata di aver insistito, di essere così petulante, perché davvero non so dove sarei andata a finire senza di lei.

 

Non essendo pratiche della zona, né dei locali né delle persone, ci ritrovammo a girare per le strade, sommariamente illuminate, che costeggiavano l'intera università.

"Non posso credere che tu non abbia conosciuto nessuno!" la ammonì.

"Ho conosciuto qualcuno! Ci sono delle ragazze davvero simpatiche nel mio corso di letteratura! Ma non mi hanno mai invitata.. sai sono già un gruppo ben affiatato.."

Quinn me la ricordavo più combattiva.

"Cosa ti succede? Dov'è la Fabray che conosco?"

"E' assieme alla Lopez che conosco io, e non le vedo entrambe da un po'.."

Il silenzio si impadronì di me e lei non osò sfidarlo.

Sapeva di aver forse esagerato, ma era stata sincera, e io non potevo darle torto.

"Ehi sento un bel po' di casino qui... che ne dici di entrare?"

Annuì lievemente, avendo perso ogni mordente per continuare quella serata ma volendo sul serio aiutare lei.

Entrammo nel locale a luci gigantesche che emanava musica e puzza d'alcool anche a parecchi metri di distanza.

Dentro era abbastanza carino, c'erano parecchi ragazzi divisi in gruppi, e un folto gruppo impegnato sulla pista da ballo, piccola ma essenziale.

Io mi diressi istantaneamente al bancone ed ordinai da bere e così fece Quinn.

Ma vedendo il mio bicchierino di liquore, per cui fortunatamente non avevano chiesto i documenti, non ebbi una reazione entusiasta da parte della mia amica.

"San!! Siamo qui per conoscere gente, non per ubriacarci!"

La guardai, avvicinai leggermente il bicchierino verso di lei e poi lo buttai giù tutto d'un sorso.

"Alla tua!.. Dammene un altro!"

Il barista annuì e io mi guardai in giro, cercando di evitare lo sguardo duro e guastafeste di Quinn.

"Che c'è? Hai detto che volevi uscire, siamo uscite! Siamo qui per conoscere gente.. beh lascio a te questo privilegio! Va e.. conosci!" farfugliai indicando la folla davanti a noi.

"Grazie San, grazie davvero!" e stizzita mi lasciò sola al bancone, cercando di ambientarsi senza di me.

Facevo davvero pena come amica.
Ma ehi!
Era lei ad avermi voluto, così come sono, prendere o lasciare!

D'altronde ero sempre stata benissimo anche da sola...

"Ehi posso offrirti da bere?"

Guardai il tipo al mio fianco molto a fondo, cercando di capire quanto quegli occhi nocciola fossero ingannatori e falsi.

"Dipende.." risposi dopo un po', smettendo di fissarlo.

"Dipende da cosa?" mi chiese incuriosito.

"Solo se è qualcosa di forte.."

Entusiasta ordinò al barista qualcosa come due bicchieri di vodka e io gli sorrisi.

Aveva beccato la serata giusta, era fortunato, e io completamente ubriaca ero decisa ad esserlo ancora di più.

"Sei una matricola?"

"Ti sembro una matricola?" risposi di rimando, con la faccia tosta rubata alla vecchia Santana Lopez.

Lui sorrise sbuffando, non riuscendo a capacitarsi a come avesse potuto pensare una tale stupidaggine.

Mi piaceva questo dei ragazzi: erano prevedibili, pensavano solo ad una cosa e a come ottenerla nel minor tempo possibile.

Per cui divertirsi con loro, stuzzicarli e ridere delle loro goffe reazioni non era un reato, non c'era nulla di male nel farsi offrire qualche drink e nulla più.

Ma non sapevo che il gioco poteva sfuggirmi di mano, pericolosamente.

Continuava a fissarmi sorridendo.

Aveva un non so che di familiare quel sorrisetto sicuro di sé, la carnagione scura e gli occhi quasi verdi.

"Come ti chiami?"

"E tu?" risposi di rimando.

"L'ho chiesto prima io.."

"Sì, ma io ti guardavo negli occhi mentre lo facevo.." ammiccai, riferendomi allo sguardo insistente che aveva tenuto sul mio seno abbastanza visibile dalla mia maglia attillata.

Lui arrossì lievemente e io ne risi dentro di me, guardandolo ancora insistentemente.

"Sono Matt"

"Mmm.. Matt! Mi ricordi un mio amico.."

"Solo un amico?"

"Un amico.. e qualcosa di più.." aggiunsi sorridendo, guardandolo di striscio.

In effetti c'era qualcosa che mi rimandava a Puck: la sua statura, il colore della pelle forse, oppure quegli occhi così spavaldi eppure teneri. Sì, perché Puck poteva essere uno spaccone rubacuori, ma non aveva mai preso in giro nessuno, e sapeva essere un buon amico quando lo voleva; raramente.

Dopo il quarto bicchiere non ricordo esattamente le parole che ci scambiammo.

Continuai a stuzzicarlo dicendogli poco di me ed estrapolando più parole da lui, che sembrava saper sorridere e accondiscendere molto bene.

Intanto Quinn da lontano aveva un occhio su di me per accertarsi che non me ne andassi da sola con quello sconosciuto, ma è proprio quello che accadde.

"San, dove stai andando?" mi fermò tirandomi per un braccio, e barcollai vistosamente.

"La riaccompagno a casa, non preoccuparti.. è una tua amica?" le chiese Matt guardandola avvicinarsi.

"E' la mia amica e compagna di stanza.. alloggiamo all'edificio 3A al secondo piano"

"D'accordo, ci sarà. La riaccompagno sana e salva, non preoccuparti"

"San... io sto ancora un po' qui, torno più tardi, ti prego non cacciarti nei guai! Qualsiasi cosa hai il mio numero registrato nelle chiamate rapide al numero due, ok?"

"Ok.." risposi, non avendo capito proprio nulla di ciò che mi aveva detto.

"Dove è registrato il mio numero?" mi domandò lei come si fa coi bambini per vedere se hanno recepito.

"Sul due.." confermai, ma mostrando ben quattro dita.

Si portò una mano nei capelli e sperò vivamente di non vedermi svenire prima di uscire dal locale.

Mi aggrappai al braccio forte e muscoloso di Matt che mi accompagnò come un perfetto gentiluomo.

Non so se fossi più stupita del suo comportamento impeccabile o del mio inaccettabile. O di Quinn che mi aveva lasciato andare con tale facilità.

Quella che poteva essere anche una breve e divertente serata si stava per trasformare nella notte più deprimente all'università fino ad allora.

Quando arrivammo alla mia porta non riuscivo nemmeno ad infilare la chiave nella serratura e dovette farlo lui per me, autoinvitandosi ad entrare.

Mi trascinai fino al letto dove mi sedetti al meglio che potevo, cercando di sembrare disinvolta e sobria, quando non lo ero per niente, ma anzi ero ubriaca dalla testa ai piedi.

Non avrei ricordato molto di questa serata, per fortuna.

"Posso offrirti da bere?"

"No, credo sia meglio che vada.." mi rispose.

"No!"

Lui si voltò verso di me sentendomi alzare la voce stridulamente.

"Mi dispiace, non è così che doveva finire la serata..." aggiunsi, ciondolando la testa tra le mani, cercando di non incontrare il suo sguardo.

"Non preoccuparti, non avevo un'idea precisa di come sarebbe finita questa serata.. ma spero ce ne possa essere un'altra, magari una in cui non hai intenzione di sballarti così tanto.. mi sembri una ragazza interessante.."

"Sono solo molto, molto stupida.."

"Staremo a vedere.." mi rispose sorridendo, davvero intenzionato a conoscermi.

Ma da dove era sbucato questo tipo, quasi perfetto?

"Buonanotte..."

" 'notte" riuscì a mormorare, incapace di muovere un solo muscolo, osservandolo andare via e chiudersi la porta dietro di sé.

Non aveva tentato di baciarmi, non mi aveva nemmeno sfiorata, mi aveva semplicemente riaccompagnata a casa come aveva detto, e ora mi ritrovavo nella merda.

Che fine aveva fatto Santana Lopez che riusciva a portarsi i ragazzi a letto con uno schiocco di dita e allo stesso modo farli scappare via dal suo letto?

Ero davvero cambiata, troppo radicalmente; e tutto per cosa?

Uno stupido ed ingombrante sentimento, ecco cosa! Troppo insistente e forte per essere messo da parte con una sbornia e qualche avances.
 

La mattina dopo fu Quinn a raccogliere la mia testa dalla tazza del bagno.

Continuavo a vomitare da ore, pallida e sudaticcia, mentre cercavo di non rimettere anche il fegato.

"Ti dispiace dirmi quanto hai bevuto ieri sera?"

"Non ho tenuto il conto.."

"Non si tiene più il conto una volta superati i tre drink!" mi rimproverò come una vera mamma, una di quelle che non avevo mai avuto.

Ma non riuscì a ribattere, sentendo la nausea travolgermi ancora violentemente.

Quando mi sentì completamente svuotata e priva di ogni forza non riuscivo nemmeno ad arrivare al letto, rimasi seduta accanto alla tazza riposando la testa su di essa e chiudendo gli occhi per supplicare la stanza di smettere di girare.

"Tieni, ti ho portato questo..."

"Che cos'è?" chiesi afferrando il bicchiere che mi stava porgendo.

"Ti aiuterà a rimetterti in forze, bevi e non fare storie.."

Iniziai a bere e lei nel frattempo cominciò a tirarmi indietro i capelli, pettinandoli, nonostante fossero inumiditi di sudore.

Mi pettinò lentamente, attenta a non tirare troppo e io mi lasciai cullare da quelle attenzioni premurose che solo un'altra persona aveva saputo rivolgermi.

Chiusi gli occhi e una volta che ebbe finito mi aiutò a mettermi in piedi per raggiungere il letto.

"Riposa, io sarò di ritorno per l'ora di pranzo. Ti porterò io gli appunti di inglese, a dopo"

Evitai qualsiasi tipo di commento, risposta, reazione.. mi voltai su un lato e presi a dormire, recuperando il sonno perso nella notte e al mio risveglio lei era lì, che sgranocchiava cracker standosene seduta alla scrivania, illuminata caldamente dalla lampada.

"Che ore sono?" domandai stiracchiandomi.

"Le sette"

"Ho dormito così poco?"

"Hai dormito così tanto! E' sera, San!"

"Oh.."

"Non preoccuparti, non ho voluto svegliarti, ho pensato avessi bisogno di riposo. Se ti va c'è un panino lì sul comò.. io tra poco dovrò uscire"

"Dove te ne vai?"

L'idea di rimanere da sola ancora, francamente, non mi entusiasmava, ma non avrei mai ammesso di preferire la sua compagnia alla solitudine, non l'avrei mai fermata per poter stare con me.

"Vado con un paio di amiche giù al bar della mensa, ho scoperto che è lì che si ritrovano ad inizio serata e poi, a seconda di quante sono, si spostano per locali.."

"Mmm.. divertiti!"

"E tu? Che fai, non esci?"

"Diciamo che quella di ieri mi è bastata come uscita per ora!"

Lei annuì e comprendendo la mia posizione non volle insistere.

"E con quel... bel ragazzone che ti ha riaccompagnata?" chiese curiosa rovistando nel suo armadio.

Cercai vagamente nei miei ricordi a chi si riferisse.

"Oh giusto, Matt..."

"Matt!!!" squittì lei, emergendo da una pila di vestiti. "Vi rivedrete?"

"Ne dubito.."

"Ma.. sembrava così gentile e.. carino!"

"Beh non è il mio tipo.."

"Ohhh e questo che diavolo mi significa?"

Il mio viso contrariato e interrogativo non riusciva ad esprimere la sorpresa per quel vistoso interessamento alla mia vita amorosa, del tutto insensato devo dire.

"San, tu non hai mai avuto un tipo! A te bastava qualcuno bello e popolare e bum! Fatto! Cosa ti frena?"

"Le cose cambiano.." risposi tristemente, abbassando lo sguardo sul panino che tenevo tra le mani.

"Ok ma... non ha nulla che non va questo tipo... dagli un'opportunità!"

Guardai i suoi occhi stranamente speranzosi e pensai che volesse davvero vedermi felice o per lo meno spensierata, per una volta, così la accontentai.

"Gli concederò il beneficio del dubbio.."

"Evviva! Perché si dà il caso che l'ho invitato a farti compagnia questa sera, mentre io non ci sarò"

Il mio volto era disgustato, sorpreso ma soprattutto incazzato nero.

"Quinn Fabray, come hai osato?!"

"Senti.. hai bisogno di un aiutino e lo capisco.. quindi che male c'è ad invitare un potenziale, e dico potenziale, fidanzato a trascorrere una piacevole serata qui, in campo amico? Se poi non funziona potete comunque rimanere amici o andare avanti e chi se ne frega!"

Sospirai rumorosamente cercando di farle capire che non ce l'avevo con lei, ma che non stavo cercando minimamente una storia in cui gettarmi.

"Quinn, mi dispiace ma.."

"San.. vedi come va questa serata, se poi pensi che non possa nascere nulla..."

"E cosa faremo nel frattempo?"

"Vi conoscete, guardate un film.. "

Avrei voluto ucciderla adesso.

"D'accordo.."

"Perfetto!" concluse indossando un orecchino leggermente vistoso e luccicante.

"Sarà qui a breve quindi vestiti almeno decentemente e io sarò di ritorno... verso l'una. Divertiti!"

"Anche tu..." risposi molto meno convinta, ma non la condannai. D'altronde sapevo quanto avesse faticato per sentirsi accettata, quanto avesse bisogno di appartenere a qualcosa e sentirsi realizzata. Non volevo essere d'intralcio.

Sbuffai, essendo anche costretta a dovermi preparare, e ciondolai sino all'armadio.

Non sapevo che piega avrebbe preso quella serata ma dovevo sbrigarmi a scegliere qualcosa da indossare.

Scelsi semplicemente un jeans e una canotta, informale e comodo, e attesi il suo arrivo intrattenendomi su internet quel breve tempo finché non bussò alla mia porta.

"Arrivo!"

"Ciao.." il suo salutò mi ricordò più uno smielato messaggio d'amore, aveva una voce calda e sensuale.

"Ciao, entra vieni" cercai di rispondere nel modo più naturale possibile.

Era lì nel bel mezzo della camera, e mi aspettava con una busta in mano.

"Mi dispiace per ieri, io non ricordo molto di.."

"E' perfettamente comprensibile!" mi assicurò serio e porgendomi la mano.

"Sono Matt!"

"Beh.. fino a questo ci arrivavo!" risposi sorridendo e ricambiando la stretta imbarazzata.

Stranamente mi mise facilmente a mio agio. Gustammo il delizioso gelato che aveva portato, indovinando il gusto che piaceva a me: caffè.

"Davvero squisito!" mugugnai addentandone un altro cucchiaino.

"Sì, ottimo davvero! Anche se io solitamente preferisco metterne un po' in un cornetto caldo.."

"Oh... mi hai letto nel pensiero!" esclamai spalancando gli occhi "ma è un pensiero proibito per noi cheerleader!"

"Sei una cheerleader?"

Sorrisi alla frase che mi ero lasciata scappare, e cercai di rimediare tentando di non sembrare goffa e imbarazzata per quel lapsus.

"Lo ero, al liceo.."

"Oh mi sarebbe piaciuto vederti!"

"Niente di particolare! Molti saltelli, grida, allenamenti.. cose così.."

sminuì radicalmente quella che era stata la mia intera vita al liceo, rinnegai praticamente tutto, trattando l'argomento con distacco e superiorità, come se si fosse trattato qualcosa da sciocchi a cui non volevo ammettere di appartenere.
Forse solo ora capivo quanto popolarità e potere fossero inutili.

Lui sembrò intuire che qualcosa mi turbava e attese finché non intuì che avrei potuto proseguire nel mio silenzio per sempre.

"Qualcosa non va?"

"Oh.." mi ridestai " scusami.. i ricordi.. ti prendono quando meno te l'aspetti!" cercai di rispondere elusiva e cercando di cambiare discorso, ma inavvertitamente mantenendo stretta tra pollice ed indice la mia collanina, la mia volpe.

"Ah non dirlo a me! I ricordi del liceo per me sono i più distruttivi!"

"Sul serio?" iniziavo ad intravedere un discorso, un varco, tra noi due, qualcosa che ci avrebbe accomunato e forse mi avrebbe aiutato a condividere i miei pensieri, finalmente, con qualcuno.

"Perché rimpiangi il passato o perché preferiresti non fosse mai avvenuto?"

"Un po' entrambe le cose.. in parte rimpiango il passato... lo so, è forse patetico da dire ma.. il liceo era facile, spensierato, e quando ti ci trovi non te ne accorgi ma.. è bello e ti offre milioni di opportunità che ci lasciamo sfuggire.."

"Non sai quanto è vero.." confermai lasciandomi velare gli occhi di tristezza, sentendo quelle parole come mie, tremendamente vere e finalmente espresse.

Lui mi guardò in un silenzio curioso.

"Eppure non ti facevo tipo da rimpianti! Quale opportunità ti sei lasciata sfuggire, sentiamo, Santana?!"

"Tante, troppe.."

Ma sapevo di non potermene sfuggire così facilmente, non era giusto, lui era stato sincero ed aperto, come minimo dovevo confidargli qualcosa in più, non mi sembrava leale.

"Sai.. a volte rimpiangi di non essere stata sincera, vorresti tornare indietro per goderti tutto di più, e vivere il momento senza pensare al futuro..."

Lui mi guardò ancora in silenzio, mentre io tenevo lo sguardo basso, temendo il suo giudizio.

"E cosa stai facendo adesso? Non stai rimpiangendo il passato evitando di vivere il momento?"

Le sue parole così vere e dure mi urtarono pienamente e mi risvegliarono.

Quell'uomo che mi sedeva di fronte, appena conosciuto, sembrava essersi guadagnato un posto ben in alto nella scala di persone che preferivo.

Stava facendo e dicendo tutte cose giuste; se continuava così, pensai scherzosamente, mi sarei pure potuta innamorare di lui.

"Hai ragione..." confermai sorridendo stupidamente.

"Lo so che ho ragione" rispose sorridendo anche lui " ma non sei l'unica a fare quest'errore, lo fanno tutti, non devi sentirti sciocca"

Ok, ora mi spaventava, sembrava mi leggesse nel pensiero.

In parte adoravo quel sorrisetto malizioso che si era stampato innocentemente sulla faccia; d'altro canto temevo che fosse tutta finzione, come avevo da sempre imparato a fare; dubitavo persino della mia ombra.

E stranamente tra una parola e un'altra, forse due, proseguimmo a parlare per tutta la notte, lasciando che lui mi confidasse la sua vita, come se stesse parlando di me, e io annuendo alle sue parole piene di verità e conforto.

Fummo interrotti da Quinn che rientrò all'una passata evitando di fare rumori, ma cogliendo solo dopo la luce violentemente accesa al centro della stanza.

"Oh.. credevo fossi andata a dormire!"

"E invece no!" le feci notare prendendola in giro.

Sorrise nervosamente mentre il suo sguardo passava dai miei occhi a quelli di Matt.

E improvvisamente, anche se io stranamente non lo volevo, Matt si sentì in obbligo di andare.

"E' stata una bella serata, dovremmo rifarlo.."

"Sicuramente!" confermai pronta al rischio come mai da molto tempo.

Finalmente qualcuno che sembrava capirmi senza aver avuto bisogno di pormi nessuna domanda, qualcuno che provava le mie stesse emozioni senza vergognarsi.

"Ciao Quinn. A presto, Santana Lopez!"

Richiuse la porta dietro il suo sorriso e mi lasciò interdetta.
A parte il fatto che non gli avevo mai rivelato il mio cognome, era sembrato strano sentirglielo dire.

Storsi il naso, così come le orecchie, che erano abituate a ben altro suono, a ben altro significato quando veniva pronunciato il mio nome completo.
Mi rimandava a Brittany tutto quello: ovviamente, pateticamente.

Quando mi doveva rimproverare come secondo lei avrebbe fatto mia madre, o quando voleva un favore, o quando semplicemente voleva stuzzicarmi, Brittany pronunciava il mio nome completo.
E abbandonando il pensiero di Brittany, tornai a riflettere sul fatto che a Matt non avevo mai fatto menzione del mio cognome, forse per non renderlo parte della vera me, forse perché non mi sentivo più tanto Santana Lopez.
Ma ciò non spiegava come avesse fatto lui a scoprirlo.

La cosa mi rese pensierosa e andai verso il letto, coricandomi sotto le coperte dopo essermi rapidamente cambiata e attesi che Quinn spegnesse la luce.

"Sono felice che tu abbia passato una bella serata.."

Spense anche la luce del suo comodino e io, guardando il soffitto, capì.

Sentivo il mio viso di pietra, paralizzato, per la paura della verità che speravo non arrivasse.

"Quinn... gli hai parlato tu di me?"

Avvertì l'aria gelarsi, il suo respiro frenare e non emettere più alcun rumore.

Ma non poteva star già dormendo, poiché fino ad un istante prima avevo sentito i suoi piedi strisciare rumorosamente contro le lenzuola.

Non mi serviva una risposta, non l'attesi nemmeno.

Mi era bastato il silenzio e il buio per capire.

Voltandomi dall'altra parte, le diedi le spalle e mi ranicchiai su me stessa, immaginando che ci fosse Brittany dietro di me a stringere la presa sulla mia schiena e a cullarmi, tenermi al sicuro, almeno per questa volta.



Piccola nota:
Come promesso eccomi di nuovo qui! E con un capitolo lunghissimo per giunta!
Spero vi piaccia!  Let me know!
E grazie davvero di cuore a tutti quelli che preferiscono, seguono, commentano questa storia!


SPOILER
avete visto la 3x13?!?!?!? *________* ditemi che anche voi avete vomitato arcobaleni per ore!!!!
la brittana ha mietuto parecchie vittime tra playlist, abbracci, carezze e.. baci!!!! <3










 

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Ricordare è doloroso, dimenticare altrettanto. E allora cosa è giusto fare? Cosa ci può permettere di andare avanti, continuare a portare nel nostro cuore quelle persone che ci hanno causato dolore, senza permettergli di farcene altro con il loro solo ricordo?

Si potrebbe provare a selezionare i ricordi, scegliere tra quelli felici e quelli tristi, e conservare solo i primi, per avere un dolce pensiero ogni qualvolta pensiamo a quella persona.

E se questa scelta rendesse tutto più triste? Se conservare i ricordi felici ci facesse ricordare solo ciò che abbiamo perso, la felicità che avevamo e che non potremo più avere?

E se la felicità ci demoralizzasse ancora di più?

 

Brittany's PoV

 

Credevo di essere felice, lo credevo davvero.

Mi stavo lentamente costruendo una vita autonoma, indipendente, una vita adulta fatta di amici nuovi, lavoro e divertimento, con una compagnia inaspettata.

Frequentavo Dawn che oramai era quasi un anno e non me lo sarei mai aspettato avendo visto l'inizio della nostra storia.

Eravamo abbastanza affiatate, in sintonia, seppure avessimo anche noi dei momenti di gelo.

Ma andavamo avanti tra i sorrisi, i momenti e i nuovi ricordi che mi stavo costruendo per il futuro.

Se mi avessero chiesto della felicità forse gli avrei potuto dire che era quella che stavo vivendo.

Ma sentivo dentro di me qualcosa, un vuoto, una mancanza perenne che mi affaticava, che mi rendeva difficili alcune giornate più di altre.

E quelle giornate Dawn, invece di alleggerirle, le appesantiva.

Dopo tanto tempo che avevamo imparato a conoscerci, cosa molto semplice da fare quando l'altra persona è totalmente disposta ad aprirsi con te, adesso potevo parlare di lei come le mie tasche. Sapevo ogni cosa. E per quanto questo mi emozionasse e per quanto le ispirassi fiducia, tutto il mistero era sparito, l'adrenalina andata via ed era subentrato il disinteresse, non totale, ma parziale.

Non perché la vita di Dawn fosse banale, o il fatto che si fosse aperta un male, ma semplicemente perché rimaneva nel mio cervello l'idea fissa di qualcuno ancora da scoprire, una vita ancora incompresa vagava laggiù in Ohio senza speranza e senza meta.

Sentivo di avere con Santana qualcosa in sospeso.

La nostra storia non l'avevamo vissuta, lei aveva preferito così, ma non potevo continuare a pensare a lei. Dovevo allora trovare qualcuno che mi stimolasse di più, scaricai le colpe su Dawn, alla quale però tenevo tantissimo e con cui decisi di rimanere amica.

Era la mia nuova migliore amica, la mia migliore amica di New York, e posso assicurare che New York è una città enorme, scegliere lei non era cosa da poco.
Sentivo però di aver fatto la scelta giusta; non avrei mai potuto continuare una storia sentendo di essere presa da altro, non sentendomi coinvolta a sufficienza.

E anche se pensavo di essere stata astuta, Dawn qualcosa l'aveva intuito, anche prima che ci lasciassimo. Me lo confermò una di quelle mattine a colazione.
"Britt, oramai.. quanto sono passati..? Più di tre mesi, no?"
Alzai lo sguardo dalle mie uova strapazzate e, comprendendo a cosa si riferisse, annuì.
Mi tamponai la bocca con il fazzoletto, finendo di masticare, e attesi che continuasse, pronta alla conversazione.
"Beh.. ho bisogno che tu sia sincera con me... hai detto che ora sono la tua migliore amica, e le migliori amiche si dicono tutto, no?"
Annuì ancora, ricordando perfettamente cosa significasse, associandogli il legame stretto e speciale che mi aveva sempre legato a Santana con cui non avevo mai avuto segreti.
".. c'era qualcun'altra?"
Deglutendo l'ultimo boccone quasi mi strozzai ed iniziai a tossire; la domanda era diretta e totalmente inaspettata.

Lei mi picchiettò la schiena, preoccupata visibilmente, e io afferrai al volo il bicchiere di spremuta per mandare giù il boccone e tentare di respirare ancora.

Quando mi fui ripresa le parole erano quasi inutili a quel punto.

Ma le dovevo un minimo di spiegazione: glielo dovevo perché ora era la mia migliore amica, glielo dovevo per quello che c'era stato.
"Non ti ho mai tradita, se è questo che intendi"
E vidi un sorriso aggraziarle il viso, improvvisamente sollevato da un peso che non aveva saputo nascondere.

"Ma.." e il suo sorriso si fece amaro e triste, senza che potessi evitarlo. ".. c'è una persona che non ho mai dimenticato" ammisi, finalmente, a voce alta, senza troppo timore, ma abbassando lo sguardo come se in ogni caso l'avessi tradita, anche solo col pensiero.

Lei, comprensiva, alzò il braccio e sentì la sua mano poggiarsi sulla mia sopra al tavolo. Guardai le nostre mani unite e non vidi la perfezione, non c'era quell'unione impeccabile per cui avrei dato la vita. Il suo tocco era di circostanza.

"L'avevo intuito.."
"Mi dispiace" sussurrai sinceramente.
Dawn strinse più forte la mia mano e questo mi portò a rialzare lo sguardo nel suo.
Sorrideva, non troppo triste, ma nemmeno troppo serena.
Sapevo che lei mi aveva amato più di quanto avessi fatto io, sospettavo che ancora soffrisse, anche se non avrei mai avuto il coraggio di chiederglielo.

"E' quella Santana Lopez, non è così?"
Quel nome tra le sue labbra, che osservai con orrore e odio, sembrava sbagliato, come se la naturale gelosia che provava fosse stata recepibile e avesse infangato il suo ricordo, che custodivo con cura.
Anche se non ci sentivamo da più di un anno e mezzo, anche se ci eravamo lasciate nel peggiore dei modi, nonostante mi avesse trattato come aveva fatto, sentivo sempre l'istinto di proteggerla, difendere il suo onore. Ero davvero patetica.

Interpretò il mio silenzio come una domanda taciuta, così continuò.
"Ti ho sentita nominarla nel sonno.. più volte.. a volte persino piangevi e io mi sentivo impotente, immobile, di fianco a te eppure distante. Poi ho trovato una foto tua e di una ragazza bruna, con la sua firma dietro, ed ho capito. Ho capito che non ti avrei mai posseduta. Ho capito che il mio amore non era corrisposto."
"Non è così" mi affrettai ad aggiungere, temendo che fraintendesse e non attribuisse alcun significato a quella che comunque per me era stata e rimaneva una storia importante. "Ti ho amato. Davvero. Solo non come amo lei.."
Quella confessione la lasciò ferita, lo capì. D'altronde non potevo biasimarla.
Staccò la sua mano dalla mia, sentì il freddo colpirmi e le lacrime mi salirono agli occhi.
Guardavo la mia mano vuota e temevo di aver perso anche l'amica che avevo imparato a voler bene, a cui mi ero affidata in quegli ultimi mesi.
Ma le sue parole corsero a salvarmi.

"Deve..." la voce le morì in gola, spezzata da un pianto che stentava ad uscire, per orgoglio, forse per semplice incapacità di mostrarlo ".. deve averti amato molto.."
Sorrisi amaramente, esprimendo tutta l'ironia della situazione che la caratterizzava.

"Non ha avuto il coraggio di amarmi. E io sono ancora qui, incapace di dimenticarla. Quanto posso essere stupida?"
Lei abbassò lo sguardo, colpita dalle mie parole. Ed io intuì che forse lei si era trovata nella stessa situazione, forse, anche ora, ero io quella che lei non avrebbe dimenticato.

"Non sei stupida. Sei soltanto innamorata. In amore si è sempre un po' sciocchi.
Se questo sentimento è così forte come mi pare di intuire... tornerà. E sarete felici"
"Tu non la conosci" mi sentì in dovere di dire, quasi con rabbia, come a volerla insultare per la spavalderia mostrata nel voler giudicare quel rapporto incomprensibile che avevamo avuto; ma, compreso l'errore, addolcì il mio tono;
guardai la mia mano disegnare il contorno del suo viso latino sulla tovaglia.
Ne ricordavo ancora i tratti perfettamente.
"Lei.. lei non è così. Lei è orgogliosa" ricordai ad alta voce, con un sorriso quasi fiero. "Lei è testarda e spaventata. E' bellissima.."
Morì la mia voce, mentre prendevano vita troppi ricordi, e lei comprese che non doveva chiedere, non doveva fare altro che aspettare che il momento passasse, altrimenti sarei crollata per sempre.

"E non tornerà." ammisi, duramente, come se fosse ovvio, con un pizzico di rabbia al pensiero. "Lei non è pronta, lei crede di non essere capace di amare. Lei non è abbastanza per me" soffiai innervosita, quasi tremante, al ricordo dei suoi contorti ragionamenti che continuavano a non avere senso per me.

Dawn taceva e ascoltava profondamente dispiaciuta; anche se era stata gelosa, anche se forse per un breve istante mi aveva odiata, non poteva che provare tristezza per la mia inguaribile infelicità.

"Si è preclusa la felicità e ha deciso che doveva essere così anche per me"
"Non credo che avrebbe voluto questo" commentò, incapace di trattenere una parola consolatoria per me. E forse aveva ragione.
"Avrebbe dovuto pensarci meglio. Avrebbe dovuto riflettere prima di portarsi via con sé anche la mia gioia per il Natale."
"E' per questo che non vuoi festeggiarlo? Perché ti ricorda lei? Non possiamo festeggiarlo insieme e dimenticare tutto e tutti? Infondo manca poco più di un mese e potremmo..."
"No, non è possibile. Non l'ho festeggiato l'ultima volta e... Rovinerei il Natale anche a te e non me lo perdonerei"
mi affrettai a rispondere, oramai irrequieta, turbata dalle parole, dai ricordi, dagli avvenimenti che sembravano travolgermi tutti d'un botto.

"Devo.. devo andare adesso.. si sta facendo tardi" afferrai la borsa per pagare la colazione ed uscire da quella conversazione il prima possibile.

"Aspetta, Britt... scusa se.."
"Non è colpa tua, Dawn! Perdonami. Devo andare"
E scappai via. Mi gettai nel lavoro e sperai di dimenticare. Stavolta per sempre.


Piccola nota:
Nuove svolte per questa Brittany cresciuta e matura che però non riesce a dimenticare la sua San e quindi bloccata in un circolo vizioso. Intanto ci avviciniamo a qualcosa di importante...
Sono curiosa dei vostri giudizi su Dawn a cui ho dato un po' di spazio in questo capitolo.
Let me know!
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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Il Natale era arrivato, ancora. Di nuovo, prepotentemente.

E con sé portava rancore, malinconia, disprezzo verso se stessi, solitudine, abbandono.
Non era rimasto niente di buono nel Natale, in quelle carte rosso lucido scartate per far piacere agli altri, per lasciare un sorriso nel ricordo dei familiari, quando se ne aveva occasione.
O semplicemente restava il guardare fuori dalla finestra, l' osservare la neve cadere lentamente in piccoli fiocchi e adagiarsi sulle strade e sulle auto, sugli alberi e sui tetti, per rendere tutto magico: magicamente deludente.
Si riusciva a strappare un sorriso solo dopo aver scorto il fondo di una gloriosa bottiglia di liquore.

Santana's PoV


"Sei sicura di non voler venire con me?"
"E a che servirebbe?" mugugnai nel cuscino, soffocando il mio tono triste e amareggiato.
Quinn si aggirava per la stanza da più di un'ora oramai, per raccogliere le cose che le sarebbero servite ora che tornava a casa per le vacanze di Natale.
Mi avrebbe abbandonata anche lei, in quel dormitorio buio e desolato, mentre tutti avrebbero pranzato e cenato in compagnia.
Certo, mi aveva proposto di seguirla, mi aveva incoraggiato ad andare dai miei per festeggiare insieme. Ma poiché i miei, come ogni Natale, non ci sarebbero stati e poiché non avevo niente per cui festeggiare, trovavo più salutare e meno deleterio restare in quella che oramai era divenuta la mia casa: la camera di dormitorio condivisa con Quinn. Solo pensarlo mi faceva intuire che persona triste fossi.

"Santana, non puoi sprofondare nuovamente nella depressione!"
"Quando ne sono mai uscita?"
La mia frecciata chiuse sul nascere un discorso che si era ripetuto più volte nell'arco della giornata per quasi un mese.
L'unico spiraglio che avevo intravisto era stato Matt, ma scoprire che Quinn l'aveva informato dei maggiori avvenimenti della mia vita mi aveva fatto male, mi sentivo tradita.
E per quanto avessi poi perdonato Quinn, comprendendo il suo sforzo, avevo allontanato Matt all'istante, avendo perso ogni interesse.
Quelle che andava dicendo erano tutte baggianate.
Connessioni, legami, intuizione, finire la frase l'una dell'altro... Solo ora mi rendevo conto quanto potevo essere sembrata patetica nell'averlo pensato e nell'averci creduto.
Pensavo davvero di aver incontrato qualcuno che potesse comprendermi, che capisse come mi sentivo, che riuscisse per la prima volta a non farmi sentire sola; che potesse scalfirmi come aveva fatto... Brittany.
La paura di ammetterlo oramai era svanita.
Solo lei, solo lei era stata capace di fare tutto questo, di farmi sentire protetta, capita, amata, non poi così sola in questo, così vasto, universo.

Mi aveva fatta sentire speciale ogni singolo giorno e aveva reso indimenticabile ogni vigilia di Natale, tanto che ora ne faceva male il ricordo.
Segretamente fantasticavo: mi chiedevo che cosa facesse quella testolina bionda, se sarebbe tornata a casa per Natale.. il pensiero era l'unico che mi aveva fatto vacillare ed ipotizzare di poter tornare a casa, anche per soli due giorni.. ma sapevo che non era l'idea giusta, non era il modo con cui affrontare la festività.
Non potevo aspettare lei, sapendo che lei non avrebbe aspettato me.
"San, ci sei? O ci ritroviamo direttamente a gennaio?"
Ripresi coscienza della realtà alle parole più urlate di Quinn, che agitava le mani davanti ai miei occhi, incappucciata per il freddo a cui andava incontro e con in mano un trolley fucsia che sicuramente avrebbe spiccato nel bianco della neve.

"Dimmi.."
Mi guardò interrogativa, forse pensierosa se potermi lasciare o no da sola.
".. sto andando.. volevo solo salutarti.."
La guardai in attesa di un vero -ciao-. Ma in compenso si sedette sul letto, facendosi spazio sul mio materasso.
"Non hai voluto dirmi perché in questo periodo sei così triste.. perché diventi cupa e distaccata, ti irrigidisci come se non avessimo passato quasi gli ultimi due anni sempre insieme, come se non fossimo amiche.. non capisco cosa ti succeda a Natale.. cosa c'è di tanto sbagliato nel volerlo festeggiare?"
La guardavo negli occhi, poggiata al mio cuscino, ma più la guardavo negli occhi più i miei pensieri tornavano a quei giorni lontani e forse felici.
Più la ascoltavo, più le lacrime si facevano strada verso i miei occhi e dai miei occhi alle guance.
Mi voltai dall'altro lato per non essere vista e puntai lo sguardo sulla parete alla mia destra, sulla finestra in alto, guardando la neve cadere e il cielo oramai cobalto.

"Si sta facendo buio.. è meglio che tu non guidi di notte.."
Una scusa stupida, poiché avrebbe preso il treno.
Quinn sospirò rassegnata, sconfitta ma comprensiva. Sapeva che ero difficile, che raramente mi lasciavo andare ad una confessione, ma sapeva anche che le mie motivazioni dovevano essere più che valide.
Aveva imparato a conoscermi e sapeva quando era il momento di andare, di lasciarmi sola per poter affrontare il mondo nuovamente.
"Va bene.. sappi solo che la mia offerta è sempre valida.. se ti andasse di passare un Natale in compagnia, sai a quale porta bussare"
Non vidi il suo sorriso, non sentì la porta chiudersi.
Avevo solo in mente la grande porta di mogano a cui avrei voluto bussare ardentemente allo scoccare delle 10, la notte del giorno dopo, per sentirmi veramente a casa.
 




Natale, di nuovo, ancora una volta.
Non ci si rende mai conto di quanto il tempo passi velocemente fin quando non è passato. Il nostro presente si dilata talmente tanto, nell'attesa del futuro, da trasformare, solo dopo, il passato in un'eternità.
Guardare indietro nel tempo, cercare nei ricordi, viaggiare nella mente, trovare qualcosa di apparentemente lontano eppure appena passato.

Natale ieri, Natale oggi.
Ed il Natale passato sarebbe rimasto un giorno come un altro se non ci fossero state persone ad arricchirne il significato.
Proprio per questo il Natale significava famiglia, gioia, coccole, amore...
Amore.
Il Natale non era più Natale senza tutto questo, non era più Natale senza amore.
Per sentirne lo spirito si deve ricordare. Ma allora perché festeggiare ora?

 

Brittany's PoV


"Andiamo Brittany, ti prego. Vieni a trovarci almeno questo Natale!"

Sarà stata la quarta volta che mia madre ripeteva quella supplica, tra un discorso e l'altro, in una telefonata che durava da soli dieci minuti.

Non sapevo più come giustificarmi, come scappare, non avevo più voglia nemmeno di sbuffare.
Il Natale significava tanto per la mia famiglia, era il momento degli abbracci, dei saluti, dei ritrovi, e li avrei resi i genitori più felici del mondo se fossi tornata anche io in città per salutarli, abbracciarli e condividere la gioia della festività che era oramai alle porte.

Ma io, come l'anno passato, non avevo alcuna voglia di festeggiare, non c'era proprio niente da festeggiare.

Per tanti anni il mio Natale aveva significato famiglia, affetto...
ma soprattutto Santana, come se fosse stata lei lo spirito del Natale senza la quale non mi sarei potuta godere niente.

Era l'attesa trepidante del suo arrivo che mi faceva gioire ancora prima di andare a dormire il 23 notte e durante tutta la cena coi parenti il 24 sera.

Era vederla sorridere e giocare coi miei cugini che faceva sorridere anche me.
Poterla stringere a serata conclusa, sotto la luna, tra la neve senza avvertire freddo grazie alla sua calorosa vicinanza, significava essere felice;
magari sussurrandole dolci parole, dicendole -ti amo- e stringendola.
Santana era il mio Natale. Senza di lei... che senso aveva festeggiare?
Ritornai alla mia telefonata: mia madre aveva confidato un po' di speranza nel mio silenzio prolungato, come se stessi veramente pensando all'eventualità di dire di sì.

"Mamma..." cominciai con un lungo sospiro, la voce ferma e bassa.
Come se avessi avuto l'opportunità di ascoltarmi e vedermi dall'esterno, mi resi improvvisamente conto di quanto fossi cambiata.

Erano passati due anni. Due anni!
Anche se non avrei mai voluto accettarlo ero cresciuta: avevo imparato a vivere da sola, a gestire la mia vita con svariati lavori e una casa, una ragazza persino!
Stranamente il mio pensiero volò a Dawn che avevo trattato così freddamente in quell'ultimo periodo. Da quel giorno alla caffetteria ci eravamo viste sempre meno, trovavo sempre una scusa diversa per disdire e cambiavo spesso argomento di conversazione quando la discussione si faceva seria.
Ma le sue parole, le sue domande riecheggiarono, mentre ero immobile nella mia pseudo cucina con il telefonino all'orecchio, nella mia mente altrove.

-...E' per questo che non vuoi festeggiarlo? Perché ti ricorda lei? Non possiamo festeggiarlo insieme e dimenticare tutto e tutti?... -

Realizzai che poteva avere ragione, in parte.
In fondo ero scappata da quella piccola cittadina per costruirmi una nuova vita ed era quello che avevo fatto. Era per dimenticare Santana che ero incappata in quella relazione, realizzando troppo tardi quanto fosse sbagliata.
Ma ora, d'un tratto, era tutto più chiaro.
Erano passati due anni e non ero stata in grado di dimenticarla, non sarebbe bastata una vita per farlo.
Santana era il mio Natale e non potevo cambiarlo.
Non potevo dimenticare; anzi. Dovevo ricordare.
Dovevo ricordare i meravigliosi momenti che Santana mi aveva donato, ricordare perché l'amavo tanto e l'avrei amata per sempre.
Dovevo semplicemente ricordare chi ero, con lei presente e, ora ,con lei nel mio cuore.
E quale modo migliore se non tornare nell'unico luogo in cui erano racchiusi i principali ricordi di un'adolescenza appena passata, ma che sembrava lontana mille miglia?!
"... mamma, prendo l'aereo domattina e ci vediamo in serata per la cena. E' alle 8, no?"

Fu come se avessi potuto percepire il sollievo, la felicità, tramite un solo respiro, una risatina leggermente isterica non ben celata.
"Come sempre! Ti aspetto, tesoro! Ti voglio bene, a domani!"

Non aveva mai chiuso una telefonata tanto rapidamente, probabilmente perché presa dall'eccitazione era corsa ad annunciarlo a chiunque, parenti, amici, vicini, che sua figlia, da due anni a New York, finalmente tornava a casa.



Piccola nota:
Capitolo doppio perché basate sullo stesso tema. Le ho immaginata come due scene sullo stesso schermo diviso a metà, in cui si può scrutare cosa fanno entrambe le protagoniste. Io e i miei film mentali...
Comunque dopo questo capitolo ne ho pronto soltanto un altro, quindi non so dirvi quanto vi toccherà aspettare... purtroppo non sto comunicando granché con queste due. Ho in mente cosa accadrà ma non mi convince... mah! Spero per voi che l'ispirazione si faccia sentire sennò...  xD
Babbè... spero vi sia piaciuto il capitolo! let me know ù_ù

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


 

La solitudine può essere una prigione o un paio di ali per la libertà.

Dipende sempre da come la viviamo, se la subiamo o se la scegliamo.
Ci sono persone che persino scegliendola non riescono a sopportarla, non riescono a vivere sole con se stesse, non riescono a tenersi i propri segreti, non riescono a convivere con la propria coscienza.
Altre invece, così abituate a tenersi tutto dentro, a non confidarsi e a cavarsela da soli, da far diventare la solitudine uno stato quotidiano e perenne, quasi da trovare difficoltoso rientrare nella società e rapportarsi con gli altri;
come se tornassero animali, come se, causa della loro gabbia, vi si aggirassero rabbiosamente all'interno rischiando di sbranare chiunque abbia il coraggio di avvicinarsi.

Troppo impauriti di un contatto, di un giudizio, di un confronto.

Come una malattia o una droga, avercela o doverne uscire, è sempre un incubo.

 

Santana's PoV

Fissavo il soffitto della mia stanza: braccia piegate sotto il cuscino, respiro regolare, gambe incrociate di lungo ed un leggero infreddolimento ai piedi.
Le mie orecchie erano ben in ascolto di una stanza così muta e vuota da sentirne l'insopportabile silenzio che la riempiva, e mi circondava.
Ero sempre stata sola, in una stanza vuota e silenziosa, tenendomi ogni pensiero per me e lasciandomi saltuariamente andare a qualche piccola confessione.
Eppure, per la prima volta nella mia vita, sentivo quel silenzio bruciare, quel vuoto premere, non so come, sul mio petto.
Avevo come la netta sensazione che stessi trattenendo il respiro da troppo tempo, i miei polmoni mi urlavano e mi imploravano per riprendere a respirare di nuovo.
E io lo volevo, ma non sapevo come fare.

Capì che avrei dovuto parlare con qualcuno, lasciar fluire le parole per svuotare me e riempire la stanza, cosicché il peso non sarebbe più stato sul mio petto, sul mio cuore.
Comprendevo finalmente il significato della parola -confidarsi-, realizzavo alla fine cosa avesse aspettato Quinn tutto quel tempo, in silenzio, col capo sui libri ma un occhio sempre su di me.
Era l'unica che aveva capito quanto avessi bisogno di sfogarmi, anche prima di me.
Ma ora che avevo bisogno di lei, ora che ero pronta a vuotare il sacco, lei non era lì e non potevo biasimarla.
La sapevo già lontana e non potevo fermarla.
I miei genitori non li sentivo da mesi, dopo averli tenuti informati vagamente sul mio semestre universitario.

Non avevo amici.

E Brittany... per una volta non era lei quella che cercavo, non era a lei che potevo riversare le mie parole; non perché le volessi tenere nascosto nulla, o per il puro dettaglio che non ci sentivamo da troppo tempo per poterla anche prendere in considerazione, ma semplicemente perché era lei l'oggetto dei miei pensieri, era di lei che mi parlavano le canzoni d'amore alla radio, era lei la protagonista dei miei sogni.

Ancora immobile sul mio letto, ancora braccia sotto al cuscino, gambe distese e occhio fisso sul soffitto, sembrava che lentamente la realizzazione dei miei pensieri stesse venendo a galla senza però scalfire il mio corpo.
Mentre fuori ero impassibile, dentro stavo dando di matto.
Un senso di ansia, claustrofobia e sconforto mi aveva colto e non voleva mollare la sua presa attorno alla mia vita, impedendomi di respirare e turbando il mio respiro, l'unico segno visibile del mio scompiglio.
Avevo realizzato di essere sola, completamente. Se avessi avuto bisogno di qualcuno, proprio come in quel momento, per qualcosa però di più serio, per questioni di vita o di morte, non c'era nessuno che avrei potuto chiamare.

Ero stata così occupata con me stessa, con il mio compiangermi, con il mio isolamento, da aver dimenticato chiunque mi circondasse, da aver rinunciato ad ogni contatto.
Ed ora la solitudine in cui mi ero rifugiata, la piccola tana che avevo scavato, mi si rivoltava contro.
Le cose si complicavano.
Ed il peggio venne quando il mio cervello fece una connessione in più e capì che avrei passato il Natale, che fino a qualche secondo prima aveva perso ogni significato, da sola, a compiangermi, ancora una volta; costretta da sola, per la prima volta.
D'un tratto mi sembrò tutto così tremendo.
E feci l'unica cosa che mi riusciva bene, l'unica che potevo fare oramai abbandonata a me stessa.

Piansi.

Con le lacrime che mi rigavano le guance e scivolavano innaturalmente fino alle mie orecchie.

Mi ci vollero svariati minuti, minuti che si trasformarono in un'ora, per smettere.Ero scossa da tremiti improvvisi, le lacrime scendevano copiose rendendo il mio viso fastidiosamente appiccicoso, sentivo le guance lentamente accaldarsi e le mie labbra incresparsi in strane smorfie.

Piangevo perché era tutto ciò che mi era rimasto.

Una stanza vuota, un letto, un po' di silenzio, erano le uniche cose a cui potevo appigliarmi, a cui potevo confessare il mio cuore.
Avevo voglia di piangere e lo feci senza vergogna, senza trattenere una sola lacrima o un solo gemito.

Piansi per i miei genitori che non mi avevano saputo insegnare cosa fosse la fiducia e l'amore incondizionato; piansi per la mia adolescenza fatta di scelte sbagliate e valori falsati; piansi per una vita che non volevo, per una me che non riconoscevo; piansi per Quinn, essendo riuscita ad allontanare anche lei; e piansi per l'amore della mia vita, Brittany, a cui avevo rinunciato due anni prima per ragioni che adesso, alla luce dei fatti, mi sembravano così futili, così insensati, così... stupidi.

 

 

Sì, perché finite le lacrime, terminati i singhiozzi e i lamenti, sbrogliai le braccia da sotto il cuscino, slegai le gambe e mi misi a sedere;
e fu allora che presi un bel respiro a pieni polmoni, anche se con gli occhi rossi e gonfi, e un pallore notevole.
In quel pianto disperato c'erano tante di quelle parole, centinaia di mortificazioni e milioni di rimproveri, ma il pianto era anche il luogo in cui finivano.

Piangevo per una vita insoddisfatta, per una corsa persa in partenza, per un cane che si mordeva la coda.
Mi disperai, davvero. Una scena pietosa, se qualcuno avesse avuto occasione di vedermi.
E ringraziai quella stanza vuota, quella solitudine in cui ancora una volta mi ero rifugiata e che, dopo un breve tradimento, mi aveva
aiutata a riprendere a respirare.

Mi ero liberata del peso, del dolore, della solitudine che con le sue costrizioni mi aveva attanagliato, senza che me ne accorgessi.

Ora ero libera.

Per un secondo mi sentì in grado di far qualsiasi cosa, ma il secondo successivo ero già sconfortata chiedendomi che cosa!
Di un'unica cosa ero certa però: non volevo più essere sola, non volevo più crogiolarmi nella solitudine che mi ero costruita. Ero pronta a vivere, ad imparare, da qualcuno più bravo di me, come sopravvivere e andare avanti, come realizzarmi e lasciarmi andare.
Volevo cambiare, lo volevo davvero, senza capire che ero già cambiata nel momento in cui avevo ripreso a respirare, nel momento in cui avevo ceduto alle possibilità.

Presi solo le chiavi della macchina, il cappotto ed aprì la porta.
 

La mia testa urtò contro un petto largo e muscoloso, avvolto in una giacca di pelle nera troppo leggera per quei tempi invernali.
Quando alzai gli occhi ne incontrai un paio nocciola che non feci fatica a ricordare.
"Matt...?!"

"Ciao, Santana.." farfugliò, improvvisamente timido, con una mano che si grattava la nuca, come se questo avesse potuto aiutarlo a prendere tempo e formulare una frase sensata.

Passò qualche secondo di silenzio e io capì che se non l'avessi fermato avremmo continuato per un bel po'.

"Senti Matt, sono di corsa... avevi bisogno di qualcosa?"

La mia voce venne fuori più astiosa di quanto avrei voluto. Ma oramai era fatta, non c'era tempo per rimangiarsela o per scusarsi.

"Volevo scusarmi per quello che era successo..."
"Matt, sono passati mesi!!"

Non sapevo se fossi più arrabbiata per il ricordo di quello che era accaduto, se per il fatto che ci avesse impiegato così tanto per avere le palle di venire a scusarsi di persona, o se fossi solo innervosita di perdere tempo per qualcosa che, accaduta già da un po', aveva perso di ogni interesse.

"Lo so, ma.. sentivo che andava fatto. Sento che c'è come qualcosa in sospeso tra noi due..."
Roteai gli occhi al cielo: che baggianate andava dicendo?
Le gambe mi prudevano, fremevano, volevano correre in un'unica direzione e, lì, stavo solo perdendo tempo.

"Matt!!! ... Matt..." ricominciai calmando il mio tono "... vedi: non c'è niente di incompiuto tra noi due perché non c'è stata occasione di cominciare, e non ci sarà."
Lo vidi aprire bocca come per replicare, ma fui più rapida di lui.

"E non solo per quello che è accaduto, che mi ha fatto sentire presa in giro, ma perché... quella sera abbiamo parlato di rimpianti. Beh.. voglio assicurarmi che non ce ne sia un altro, questo Natale, da dover aggiungere alla lista."
Lui mi ascoltava, attento questa volta, come quella notte che sembrò capirmi al volo. Forse questa era la prima volta che lo faceva davvero, che ascoltava con reale intenzione di scoprirmi e comprendere.

"Allora non ti farò sprecare altro tempo..." affermò, finalmente deciso, spostandosi di lato per farmi passare.

Lo guardai curiosa. Non riuscivo a decifrare a pieno quel comportamento a tratti timido, a tratti sicuro, a tratti patetico, a tratti gentile.
Avanzai qualche passo per il corridoio senza preoccuparmi di salutarlo, ma la sua voce mi fermò ancora.

"Mi dispiace"

Non mi voltai, ma ruotai lievemente il mio viso verso di lui per fargli capire che ero in ascolto.

"Mi dispiace, quella sera è l'ultimo mio rimpianto. Averti ingannata, averci precluso un qualsiasi rapporto... Ma adesso, lasciarti andare via senza obiettare, so che è la cosa giusta da fare."

Non capivo davvero perché quel ragazzo, così sbucato dal nulla, si fosse tanto interessato a me, senza nemmeno davvero conoscermi. E non capivo come potesse avere tanto presa su di me, come se pronunciasse le parole giuste al momento giusto, proprio quando avevo bisogno di una spalla, di -confidarmi-.

Mi girai e mi investirono i suoi occhi. Finalmente sincero.

Con pochi passi precisi mi precipitai davanti a lui e a pochi centimetri, urtando quasi contro il suo petto imponente, lo guardai dal basso, dritto negli occhi.
Lui fu quasi intimorito da quei movimenti rapidi, decisi e fieri.
Ma il mio sorriso lo rassicurò.

Feci un passo indietro e protesi la mia mano, guardandolo.

"Amici?"

In un primo momento fissò i miei occhi incredulo, poi la mia mano destra ed infine ancora i miei occhi.

Con una presa salda e bollente mi strinse la mano e sorrise con lo sguardo, lasciandomi intuire che non era proprio quello che avrebbe voluto, che si sarebbe mai aspettato, ma che si accontentava.

"Allora, amico..." sottolineai l'ultima parola e ridemmo entrambi per quella strana novità "...cosa fai ancora qui durante le vacanze di Natale?"

"E tu?" mi chiese di rimando, tornando ad essere lo spaccone che era, con un sorriso sghembo e gli occhi dolci che lo tradivano.
"L'ho chiesto prima io..." ribattei, ridendo assieme a lui per quello scambio di battute che aveva un sapore fin troppo familiare per entrambi.
"... e poi dimentichi" continuai "che io ero diretta da qualche parte prima che tu arrivassi!" gli dissi mostrando le chiavi della mia auto.

Lui in un solo rapido movimento le afferrò e mi sorpassò, avviandosi nel corridoio.
Tornò a voltarsi, notando che io ero ancora ferma sul mio posto, un po' sconcertata, e con semplicità aggiunse: "Allora, dov'è che si va?"


Piccola nota:
Perdonate l'assenza prolungata. Da quanto non scrivo? Un'eternità?! ò_ò
Ma purtroppo, tra gli impegni universitari e di vita quotidiana, il tempo per scrivere si sta riducendo immensamente. E me ne dispiaccio!
Sfrutterei le ore notturne, ma almeno un 4-5 ore di sonno mi servono per poter scrivere cose VAGAMENTE sensate per cui... mi scuso ù_ù
E prometto di fare il possibile per aggiornare una volta a settimana :)
Spero vi sia piaciuto il capitolo, attendo commenti! Let me know ;)
Vi adoro tutti, sappiatelo!
_CodA_







 

 


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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***



Passi, uno dopo l'altro, per permetterci di andare avanti e proseguire.
Per impedirci di restare immobili, paralizzati dalla paura.
I passi sono tanti, con il peso tutto sui poveri piedi che reggono la fatica, il timore, l'orgoglio e l'impazienza;

Si accingono, esitano, procedono e poi ritornano.
Passi necessari per affrontare l'avvenire: per tornare a casa e ricordare.
Il primo come l'inizio, l'ultimo come la fine.
E tutti gli altri... la vita.


Brittany's PoV


Lasciai che il vento mi scompigliasse leggermente i capelli mentre ammiravo immobile, dopo anni, la mia città, la mia casa.
Non riuscivo ancora a realizzare, non era ancora tutto ben definito: avevo questa strana sensazione dentro di me, un misto di terrore, ansia e paradossalmente sicurezza.
Avevo lasciato fluire i ricordi mentre avevo percorso quelle strade improvvisamente familiari.
Ed ora, nella sera già buia, fissavo la mia casa, la mia imponente casa di legno circondata da un bel giardino, curato segretamente da mio padre che non l'avrebbe mai ammesso e lasciava ogni merito alla mamma, ora delicatamente innevato.
Riuscivo a distinguere le piccole scale che davano sull'atrio grazie al lampioncino attaccato sopra alla porta di mogano.
Scorrevo con gli occhi i contorni, i dettagli, che rendevano quella casa la mia casa, illuminata già dalla luna.
Nulla apparentemente era cambiato.
Gioivo, dentro di me, per essere riuscita a tornare, a provare questa sensazione di ritrovo, di appartenenza, di mancanza di qualcosa che potevo riprendermi.
Mi crogiolavo nell'attesa però, non volendo rovinare tutto, non volendo turbare la mia quiete, le mie aspettative.

Immaginavo mia madre distratta dai fornelli, ma più nervosa del solito perché impaziente di vedermi.
Mio padre lo vedevo seduto dondolante sulla poltrona davanti al camino, convinto di essere stato capace di nascondere la sua evidentissima preoccupazione.
E tutti gli altri, impegnati con i loro frastuoni, le loro chiacchiere senza tempo e il loro vagheggiare, avrebbero reso ancora più estenuante la mia attesa.

Dopo tanta frenesia, un viaggio improvviso e nervoso, guardavo la mia casa nella notte di Natale, bella come sempre. Eppure mi mancava il coraggio per fare ancora quei pochi passi rimasti, dal vialetto alla porta.
"Pronta ad andare?"
Sentì il suo braccio avvolgere il mio, stringere le mie dita nelle sue e, poggiando la testa sulla mia spalla, guardarmi in attesa.

Io mi voltai a guardarla, abbassando gli occhi e storcendo scomodamente il collo.
"Ancora un attimo..." biascicai flebilmente.
Lei allora risistemò il capo sulla mia spalla, stavolta rivolto, come il mio, verso la casa che avevamo di fronte.

Il suo viso era sereno, potevo dirlo dal suo respiro regolare, dal sorriso che mi aveva rivolto poco prima di voltarsi, e la cosa mi fece rilassare almeno un po'.

"Grazie per avermi portata con te..."

"Era il minimo che potessi fare, Dawn. E poi sentivo che dovevo festeggiarlo con te questo Natale, o non me lo sarei perdonato!"

"E come mai?" chiese curiosa.

"Sono state le tue parole a convincermi a tornare, a darmi il coraggio di credere di nuovo al Natale."

"Davvero?"

"Mh-hm" accennai annuendo. "Ma devo confessarti che ho anche paura..."

La sua presa si strinse di più sul mio braccio, invogliandomi a continuare ma infondendomi anche sicurezza di poterne parlare con serenità.

"Ho paura che questo Natale sia diverso... so che lo sarà, ma... non voglio."

Senza che me ne fossi resa conto abbassai la testa assieme alla voce, terminando la frase in un sussurro, quasi incapace di ammettere quella debolezza, quello che sembrava il capriccio di una bambina che voleva continuare a stringere forte le dita su gli occhi per non aprirli alla realtà.

"Festeggiare un Natale diverso non ti farà dimenticare gli altri... probabilmente ricorderai cosa rendeva così speciale i precedenti e... magari ti darà la spinta per riprendertela, questa cosa."

Non risposi. Assimilai lentamente, ed in silenzio, le sue parole che sembravano così adatte alla situazione; sembravano proprio combaciare con il mio pensiero immediatamente volato a Santana, che era a -non festeggiare- chissà dove.

"E' quasi naturale che il Natale sia nostalgico. Ogni Natale è un anno che passa, che ci ricorda quanto stiamo crescendo, invecchiando, a volte perdendo tempo, in attesa di qualcosa che forse non arriverà mai... il Natale è un simbolo, un giorno dell'anno che può essere la nostra resa dei conti... il riassunto di un passato e il presagio di un futuro... ma nel presente, è un giorno come gli altri, pretesto di festa e di regali, di amore e gioia condivisa. Credo che questi ultimi te li possa godere anche senza questa magica cosa che lo rende così speciale. Sarà un Natale ordinario, ma sarà Natale."

Un lieve sorriso triste prese forma sulla mia bocca. Aveva ragione.
Aveva dannatamente ragione.

Ed ero felice davvero che fosse lì con me, a farmi forza e farmi vedere le cose con chiarezza. Se ero cresciuta, in parte, lo dovevo anche a lei.
Mi voltai leggermente e la baciai forte sui capelli castani appena scompigliati.

Lei chiuse gli occhi e apprezzò beatamente il gesto. Io non potevo saperlo: per me sarebbe stato quello che lei aveva chiamato un Natale ordinario, mentre per lei sarebbe stato il più bello del mondo.
La strinsi ancora un momento forte a me e poi ci ridestammo entrambe.

Era arrivato il momento.

Misi le mani nelle tasche del giaccone, non feci che un passo e vidi mia madre spostare la tendina della finestra in cucina.
Scrutò brevemente la notte e ci vide.

Il suo viso sembrò illuminarsi, la sorpresa durò meno di un secondo e poi la sentì urlare agli altri di gioia, comunicando il mio arrivo.

Sentì svariati piedi precipitarsi alla porta, il patio tremò leggermente e, mentre salivamo quei pochi gradini, mi voltai a guardare Dawn per l'ultima volta prima di essere invasa dall'euforia della famiglia.
Le sorrisi e lei fece altrettanto.

Sapevo in cuor mio che l'avevo portata con me egoisticamente per sostituire qualcuno che non sarebbe stato lì con me, qualcuno che, ora come ora, non volevo nominare nemmeno nei miei pensieri, per paura di cedere ancora una volta alla paura e alla depressione.

Dawn era lì con me perché avevo bisogno di un profumo mancante a cui aggrapparmi.

Lo sapevo, e forse lei lo sospettava.
Ma andava bene così.

Un errore dopo l'altro mi avrebbe permesso di smettere di commetterne di nuovi.
E poi se durante la serata, in un momento di pausa, non avessi avuto qualcuno a cui rivolgere i miei segreti sguardi, credo che ne sarei potuta morire.

 

 

 

"Britt!!! Questo è per te!!!"
Mi voltai sorpresa di scatto verso il piccolo Josh che, accovacciato sotto l'albero, quest'anno era stato incaricato di distribuire i regali.
Passata oramai un'ora credevo fossero terminati, invece i doni proseguivano senza fine, con i bambini che sembravano meno stanchi degli altri anni, forse perché iniziavano a crescere e a sopportare l'arrivo della notte, troppo presi dalla gioia e l'euforia dello scarto dei regali.
Ed ora questo mi spiazzava. Non mi sentivo più abituata a riceverne.
Come se oramai fossi estranea a quel rituale, come se fosse passato troppo tempo.

Ma avevo sempre ripetuto che non sarei mai stata troppo grande per i regali, per il Natale. Forse dovevo ritrovare me stessa.

Con un sorriso presi il pacchetto dalle mani di Josh, che si voltò impazientemente a recuperare un altro regalo.
Poggiai il mio sulle gambe e lo fissai.

Dawn, che sedeva accanto a me sul divano del salotto, mi osservava curiosa.

"Allora, che fai?! Speri di aprirlo con i tuoi superpoteri?!"

Mi lasciai sfuggire una risatina nervosa e poi mi decisi a scartarlo.
Intravidi dapprima una cornice di legno intarsiato: tra la carta da regalo spuntava un foglietto, un biglietto.
"Regala al tuo cuore l'opportunità di essere felice, di nuovo."
Finì di strappare la carta mentre riflettevo su quelle parole così belle, vere e sincere, che mi avevano istantaneamente fatto pensare a...

"..Santana.." sussurrai, incapace di trattenermi, posando un dito sulla foto incorniciata, come se avessi potuto toccarla.

Fu come essere trasportata in un'altra dimensione. Mi incantai a fissare quell'immagine di noi due, me e Santana, qualche anno fa, così intime e felici, o per lo meno sicure di poter contare l'una sull'altra.
E chiudendo gli occhi, portando istintivamente la foto al petto, stringendola per sentirla sotto le dita, mi immersi nel ricordo di quella giornata meravigliosa.



"Questa sarà la nostra foto!!" esclamai entusiasta, sventolando la polaroid e l'istantanea che avevamo appena scattato.

"...la nostra foto?!" chiese leggermente scettica Santana, alzando un sopracciglio.

Io la raggiunsi sul letto e mi stesi, come lei, a pancia in giù.

"Sì, perché è così che voglio che saremo nei prossimi anni!! Felici.. ed insieme."

La mia sincerità spiazzò il suo viso e le sue espressioni.
Abbassò il viso e io non seppi più che cosa le passasse per la testa. E, come ogni volta che accadeva, mi limitai ad allungare il braccio lentamente, stringere la sua mano tra le mie dita, con calore, offrendole un sorriso tranquillo una volta che si sarebbe voltata.

Quella volta però non mi guardò. Guardò le nostra dita intrecciate, le nostre pelli, la luce del pomeriggio caldo che ci colpiva la schiena e metteva in ombra i nostri visi.

"Come sai che saremo insieme.. ancora.. ?!"

Intuì che volesse aggiungere qualcosa, ma io glielo impedì, già satura delle sue assurde preoccupazioni.

"So che saremo insieme, tra vent'anni o due.. condivideremo questo e molto altro ancora, perché non voglio perderti... perché non c'è altro posto dove potrei stare... se non al tuo fianco.."

Conclusi in un sorriso timido, raggiungendo il suo sguardo sulle nostre mani, imbarazzata, rendendomi conto di quanto potessi suonare sdolcinata, soprattutto ad una dura come lei.
Ma l'imbarazzo sparì: era uno di quei momenti in cui Santana si lasciava andare, ed ero grata che ne fosse capace solo con me.

"... anche... se non dovessi... mai... capire questa cosa che c'è tra noi?!"

"Anche per tutta la vita" risposi sicura, placando il suo cuore; ed il mio.

Ma sentivo il silenzio, la sua ansia, ed il caldo iniziare a divorarmi e mi affrettai a smorzare la tensione con una frase ed un sorriso spensierato.

"E poi... non vedo perché dovremmo mai separarci!! Di che ti preoccupi, San?!"


Respirai profondamente gettando via tutta l'aria che avevo trattenuto ed intriso di ricordi.

Rivedere quella foto era stato davvero un colpo al cuore.
La vedevo tutti i giorni, o quasi, gettata, spoglia, in uno dei cassetti del mio comodino.
Ma incorniciata, bella, nella notte di Natale, faceva tutto un altro effetto.

Santana... Santana... non c'era che lei, adesso, dentro di me, ancora ad occhi chiusi.
Ma non era stata lei a farmi questo dono, sebbene ne fosse la protagonista.

Sentì una gola schiarirsi leggermente e spalancai le palpebre, riemergendo.

"Ti piace?" mi chiese teneramente Dawn, con lo sguardo supplichevole e preoccupato dalla mia reazione ed un sorriso speranzoso.

Mi voltai a guardarla ed, una volta che riuscì a sorridere, in silenzio annuì e lasciai qualche lacrima bagnarmi il viso.

Lei non ne fu turbata, credo proprio che se lo aspettasse, perché mi sorrise ancora più teneramente.

Con un dito mi portò i capelli dietro l'orecchio per evitare che si bagnassero e scoprirmi il viso, cosicché mi potesse guardare bene negli occhi nonostante le luci rosse e dorate che adombravano l'ambiente.

"Ho capito quanto fosse importante per te questa donna..."

Donna. Quella parola mi fece sorridere. Lei la pronunciava con tale naturalezza, ma per me era strano.
Non avevo mai pensato a Santana come una donna.
Era una ragazza, la ricordavo ancora bambina, e anche se era sempre stata molto matura per la sua età non l'avevo vista crescere ultimamente, non era fiorita davanti ai miei occhi. Avrei voluto vederla sbocciare, come avrei voluto che vedesse me.
Quando ottenni il mio primo lavoro avrei voluto chiamarla e dirle -ehi, San! Indovina?! Sono così grande ed autonoma da lavorare, tutta sola, in una città nuova! Ce l'ho fatta!-

Ma ovviamente mi ero dovuta tenere per me l'euforia come le paure.

E per me restava una ragazza troppo cresciuta, quella foto non faceva che ricordarmelo.

Dawn sembrò notare il mio spaesamento e si affrettò ad attirare la mia attenzione continuando.

"... ma volevo che tenessi cura del tuo ricordo. Maltrattare questa foto è come maltrattare il tuo amore, e maltrattare il tuo amore significa maltrattare te."

Com'era possibile che avessi trovato una persona così bella e non fossi stata capace di far andare le cose per il verso giusto? Guardavo Dawn emozionata e profondamente dispiaciuta per il mio comportamento passato. Ma oramai era troppo tardi anche per quello.
"E' bellissima, grazie. Di cuore. Non sai quanti ricordi rievoca questa immagine..."

"No, non lo so, infatti. Ma se ti andrà mai di parlarmene, io ci sarò."

Non mi sfuggì la nota triste nella sua voce, la rassegnazione a non potermi avere, a non poter entrare nella mia mente e nel mio cuore;
non come avrebbe voluto, non come riusciva a fare Santana, tanto tempo prima, solo con uno sguardo.

La abbracciai forte e quando mi staccai notai che gli altri avevano proseguito con i regali e, anzi, avevano più che concluso.
I bambini avevano aperto qualcuno dei doni ricevuti: una pista di macchinine, qualche bambola da animare.

E a breve si sarebbero intravisti giochi ed intrattenimenti finché i bambini non sarebbero crollati.

"Vado a prendere un po' d'acqua. Tu ne vuoi?"

Dawn mi fece cenno di no e la lasciai per andare in cucina e versarmi da bere.
M
a all'improvviso notai qualcuno in un angolo, tra due dei mobili che padroneggiavano nella stanza.

"Ehi... cosa ci fai tu qui, tutta sola?!" chiesi, accovacciandomi lentamente verso la mia cuginetta più timida: Jenny.

Aveva il broncio più adorabile del mondo, che somigliava molto a quello che aveva imparato a fare una certa persona...

"Nessuno vuole giocare con me..." parlò finalmente, in un sussurro.

Io con un sorriso la presi in braccio e la feci sedere sul marmo bianco dell'isola al centro della cucina.

"Io voglio giocare con te!"

"Non è vero, tu vuoi stare con la tua amica... e io mi scoccio!" affermò decisa, tenendo il punto incrociando le braccia.

Boccheggiai per un secondo di troppo, non sapendo cosa dire, e lei domandò a bruciapelo: "Dov'è Santana?"

Si ricordava di lei e io, solo allora, trassi le dovute conclusioni.
Santana era stata l'unica a riuscire a conquistare la piccola Jenny, l'unica di cui la bimba si fosse fidata. E come darle torto?
Lo sguardo della latina era sempre stato caldo e confortevole, sicuro e protettivo.
Il suo portamento fiero assomigliava a quello di una pantera: selvaggia, scaltra, ma soprattutto elegante.
E sebbene nascondeva una profonda insicurezza, un'infelicità radicata che la divorava da dentro come una malattia, non lo dava a vedere; questa sua stessa incertezza creava un'istantanea connessione con qualcun'altro con lo stesso problema.

La connessione stavolta era avvenuta con una bambina profondamente insicura e timida.

"Beh... Santana... non è potuta essere qui stavolta..."

Mi maledì mentalmente: quella stupida ovvietà non avrebbe accontentato nemmeno la più ingenua delle bambine.

"Non c'è stata nemmeno l'anno scorso... nemmeno tu c'eri l'anno scorso..."

Panico. Le sue parole e le sue insinuazioni mi mandavano in tilt totale.

Sentivo sul cuore il peso di un trauma che avrei potuto provocare alla mia cuginetta, il senso di abbandono perenne con cui, sapevo, aveva dovuto convivere Santana sin da bambina. Non volevo essere io la causa di tale atrocità. E non volevo mentirle.
Dovevo consolarla, dovevo. Ma come?!
"Santana è..."

"Santana è andata a festeggiare il Natale con i suoi parenti"

Mi voltai verso la nuova arrivata.
Dawn mi aveva salvata appena in tempo.

"E non torna più?" chiese innocentemente, con la delusione dipinta sul volto piccolo e grazioso, contornato dai capelli neri.
Jenny seguì con lo sguardo la camminata di Dawn, la quale si andò a poggiare vicino alla finestra che dava sul giardino.

Fece finta di pensarci su e poi rispose con calma.

"Certo che torna!"

Io ero agitatissima. Non solo dalle risposte di cui sembravo essere a corto, ma soprattutto dalle domande rivolte che sembravano infierire sui miei pensieri e nel mio cuore.

"E quando?" chiese oramai impaziente la brunetta.

"Beh... non lo so. Ma verrà a salutarti.." poi si voltò a guardare me ".. ne sono sicura."

Le sorrisi per quel doppio significato che aveva voluto imprimere alle sue semplici parole.

La piccola sembrò abbastanza soddisfatta e, come aspettandosi di vederla apparire, si mise ad osservare la finestra cercando di cogliere ogni movimento che avveniva fuori.

Questo ci lasciò libere di parlare tra noi.

Dawn si mosse e mi raggiunse davanti all'isola.

"Grazie..." sussurrai in un sorriso.

"Mi era sembrato ti servisse una mano!" rise lei, tenendo la voce bassa per non farsi sentire.

"Non sai quanto!!" esclamai esasperata. "Quella bambina, sì, che sa fare le domande giuste per mandarti in confusione!"

"E' solo troppo piccola.. ed era tremendamente spaventata... è chiaro"

"Come fai?" domandai improvvisamente seria.

"A fare cosa?!" chiese stranita.

"A riuscire sempre ad aiutare le persone."

Sollevò le spalle, abbassando lo sguardo. Poi tornò a guardarmi.

"Sarà un dono." pronunciò tristemente, come se quella capacità l'avrebbe volentieri gettata via in cambio di qualche altra cosa.

Ma risollevò velocemente il morale e l'atmosfera.

"Ma non era difficile tranquillizzare la piccola, dovevo dirle le cose che ho detto a te!"

"Ehi!" esclamai fintamente offesa.

"Non è mica colpa mia se siete prese dalla stessa persona! Deve essere davvero speciale, adesso la voglio proprio conoscere questa-"

"Santana!"

La voce di Jenny mi fece rapidamente voltare verso di lei.

"Cosa?" chiesi, convinta di essermi persa qualche suo discorso precedente.

"Santana!" ripeté entusiasta. "Eccola!!" aggiunse puntando un dito verso la finestra che aveva tenuto d'occhio.

In un secondo sentì il cuore perdere un battito, poi recuperarne due insieme, e poi di nuovo fermo. Trattenni il fiato mentre mi voltavo a guardare il punto indicato, assieme ad una Dawn incredula.
I miei occhi scrutarono l'oscurità non ben convinti, increduli come il cervello.
Era il cuore, il maledetto cuore, che aveva ripreso a battere più veloce, più veloce di prima e più veloce dei giorni di quei due anni, a ritmo della speranza.

E finalmente, quando gli occhi misero a fuoco l'oscurità e i contorni in lontananza, la vidi.

Capelli neri mossi dal vento, le braccia strette al petto in un cappotto verde, la sua schiena illuminata dalla luna, gli occhi indecifrabili, ma sicuramente rivolti verso di noi, verso di me.
Perché quando colse i miei occhi nei suoi, scattò.
Non esitò un solo attimo a voltarsi ed iniziare a camminare via.
Via da me, di nuovo.

"Santana..." pronunciai lentamente, incredula, ed il cuore riprese a battere forte al suono di quel nome.
Mi ero illusa di aver scacciato tutto dentro, di aver sepolto ogni emozione, di aver controllato ogni istinto che la riguardasse.
Invece era bastato un solo sguardo per farmi crollare.

Istintivamente i miei occhi si fiondarono sull'orologio del forno.

- 10:00 p.m. -

Ed una valanga di pensieri, sensazioni, riflessioni, emozioni, si riversarono dentro di me, volendo prepotentemente uscire.

Io li accontentai in un urlo, disperato, come se avesse potuto sentirmi. Come se avessi così avuto il potere di fermarla, mentre già mi dirigevo alla porta per raggiungerla; un rapido passo, uno dopo l'altro.

"Santana!!"



Piccola nota:
Non mi odiate, vero?!
So che non ho proprio mantenuto la promessa dell'aggiornamento settimanale e che lasciarvi così è pura cattiveria ma... il capitolo è lunghissimo!!! Susu!!! Non disperate ù_ù
E poi mi diverto a torturarvi ancora un po'!!!

E non è colpa mia se non riuscivo a comunicare con una certa Brittany S. Pierce. Mi ha mandato in pappa il cervello questo capitolo! Dovevo metterci così tante cose @.@

Il prossimo capitolo, già in fase di lavorazione, non so quando riuscirò a finirlo e pubblicarlo. Si preannunciano giornate pienissime (peggio di queste appena passate) ed è un peccato perché il prossimo capitolo è ricchissimo! Forse dovrò dividerlo in due... mah!
Vedremo...
Comunque ci avviciniamo a qualcosa di concreto, che dite?
Intanto vi è piaciuto questo capitolo?! Noia mortale?! Potete dirlo, tanto lo penso anche io! E' stato un parto, ma vabbè xD

A presto e un grazie a tutti voi che ci siete sempre, anche a quelli nell'oscurità che non si fanno sentire e mi sanno sempre un po' di stalker :P scherzo!!!! siete bellissimi! ù_ù
_CodA_




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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Una fotografia: ferma ed immobile, impressa; eppure animatrice di ricordi ed emozioni.
Emozioni a colori per una foto in bianco e nero.

Rifugio dell'anima e dei pensieri, troppo spesso anche di lacrime.
Corpo per gesti coraggiosi.

 Santana's PoV

Sfrecciavamo verso Lima nella mia auto nera dopo aver recuperato le poche cose che mi servivano per un viaggio breve ed improvvisato.
Lui reggeva per me gli oggetti più cari che avevo.
Nel momento in cui avevo preso le chiavi della macchina, nel momento in cui le avevo girate per farla partire, non avevo pensato realmente a cosa stessi facendo.

Solo ora, dopo quasi mezz'ora di viaggio, dopo un lungo silenzio, mi ritrovavo faccia a faccia con pensieri e dubbi, ed una foto che li faceva riaffiorare ogni secondo, ogni volta che il vento la colpiva e la faceva ondeggiare tra le dita dell'uomo che sedeva al posto passeggero.
"E' doloroso guardare le foto di quando eri felice con qualcuno... e sapere che non ti restano che quelle..." confessai, spezzando quell'ormai fastidioso silenzio.
"Si può sempre rimediare..." disse Matt, abbassando la testa, come per porsi nel modo più giusto per una conversazione seria: per ascoltare.

"Non ne sono poi così sicura."

"Perché?"

"Perché se non sai esattamente qual è il motivo per cui hai smesso di essere felice, come puoi rimediare?"

"Lei ti rendeva felice?" chiese, indicando il viso della bionda accanto a me.
Guardava la foto con una serenità che gli invidiavo.
A lui bastava una domanda per rendere tutto più chiaro, quando io, solo a fissare quella fotografia, mi perdevo in un'altra miriade di ricordi e perplessità.
La sua domanda semplice e diretta però mi gelò gli arti, il sangue che scorreva, la mia faccia pallida e fissa.
Eppure, che senso aveva mentire?

"Sì" mi lasciai sfuggire, sentendo ancora le spalle immobilizzate, le mani tese sul volante.
"Allora è tutto molto semplice, non credi?" mi domandò retoricamente, finalmente alzando la testa, lo sguardo sulla mia figura ancora spaventata, ed un sorriso che potevo scorgere di sott'occhio. Quel suo aspetto imperturbabile e sereno mi rassicurò.

"Devi solo riprendertela" completò, notando lo sguardo perso e fugace che gli avevo rivolto prima di rimettere gli occhi ben piantati sulla strada davanti a me.

Le sue parole finalmente si fecero spazio tra i miei pensieri, prendevano forma e consistenza, erano sempre più reali.
E quando tutto fu chiaro, schiacciai forte il piede sull'acceleratore.
Non vedevo l'ora di arrivare in città, in quella che era stata la mia casa per numerosi Natali, sperando di rivedere il motivo della mia felicità.

"Ehi, ehi!!! Piano, J.Lo!!"
Sorrisi a quel soprannome così familiare pronunciato ora, però, da un omone di quasi due metri, spaventato dalla mia guida.

"Che ti ridi?!" mi chiese lui, terrorizzato ormai.

"Niente... è solo che una mia cara amica mi chiamava così..."

"L'amica da cui stiamo andando o la persona della foto che ti lega a questo coso?!"

Lanciai un'occhiata rapida, ed improvvisamente seria, all'oggetto dorato che si rigirava tra le mani. E tacqui.
"Quello non è un -coso-!" ringhiai strappandoglielo dalle dita e tenendolo saldamente in un pugno. "E non è legato a nessuno" conclusi, tenendomi impegnata con la guida per non tradirmi.
Non sembrò essere minimamente scalfito dal mio atteggiamento duro.

"Beh qualcuno di speciale deve essere legato a quel... tubicino, altrimenti non saremmo tornati indietro nella tua stanza per riprenderlo!"
Ci aveva visto giusto e lo odiavo per questo. Come faceva ad essere così perspicace?!

"E' che lo porto sempre con me..." farfugliai.

"Ma cos'è?" chiese, seriamente perplesso.

Lo osservai tra le mie dita: luccicante, vistoso, eppure custode del mio segreto.
"E' il mio migliore amico"
Mi persi nel silenzio che avevo creato, dimenticando di non essere da sola.

"Ti credevo da curare, ma non fino a questo punto! Sei irrimediabilmente asociale!"

Frenai di botto l'auto, accostando sulla destra in quella lunga strada desolata.

"Scendi!" gli urlai contro.

Più che spaventarsi, lui mi rise dietro.

E fu in quel momento che io tornai ad essere la vecchia Santana, stronza ed incazzata, la Santana del liceo, che non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, nemmeno dal duro Puck, che quel nuovo amico mi ricordava così tanto.
E mi piacque sentirmi la vecchia me, perché era in quella direzione che andavo con tutta me stessa con quel viaggio disperato.

"Senti, testa d'uovo, ho intenzione di arrivare a Lima prima di sera, quindi se non ti dispiace, e non vuoi essere dato in pasto ai coyote, smettila di fare il cretino e lasciami in pace!"

"Okok!" disse alzando le mani in segno di resa. "Pace, J. Lo, stavo solo scherzando!"

Tirai un grande sospiro e ripartì, cercando di rilassarmi alla guida, ma lui non impiegò molto tempo ad aggiungere:
"Credi davvero che ci siano dei coyote qui intorno?!"
Un ceffone sulla sua nuca non tardai a farlo arrivare.




"Arrivati. Finalmente, non ne potevo più del silenzio lungo quanto il tuo muso!"

Lo guardai in cagnesco, ma evitai di commentare; dopotutto aveva ragione:
non ero stata per niente una buona compagna di viaggio.

"Sei sicura che non creiamo disturbo?"

"Ho avvertito la famiglia del nostro arrivo..." risposi secca, in preda al panico che mi suscitava rivedere la mia città durante la notte di Natale; ripercorrere quelle strade con terrore e malinconia.

Ci avvicinammo al portone di casa e, dopo aver bussato, attendemmo brevemente.

"Santana! Che piacere rivederti! E questo bell'uomo, chi è?!"

"Buonasera, Mrs Fabray" risposi, ricambiando freddamente l'abbraccio della donna che mi aveva trattato come una seconda figlia finché non avevo preferito la compagnia di Brittany a quella di Quinn; quella donna aveva sin da subito sospettato qualcosa, senza nascondere disappunto nei miei confronti.
Ora non facevo che leggere sollievo e fierezza nel suo sguardo illuminato, rivolto a noi due fermi sulla porta.

"Lui è il mio amico Matt, spero non sia troppo disturbo: due di noi, con così poco preavviso..."

"Ma non scherzare! Tu sei sempre la benvenuta! E così lo sono i tuoi amici..." completò strizzando l'occhio verso Matt, che si limitò a sorridere impacciato.
"E dimmi, questo giovanotto ha anche un lavoro?!" chiese facendoci strada in casa sua.

Non ebbi tempo di commentare mentalmente quanto fosse bigotta, che realizzai di non saper rispondere a quella domanda.

Guardai dubbiosa Matt che si affrettò a parlare.

"Faccio il barista ed altri piccoli lavoretti per guadagnarmi qualcosa. Desidero tanto riprendere l'università..."
Quelle semplici parole mi aprirono un mondo: un mondo di assoluto nulla.

Matt sapeva parecchie cose di me, ma io di lui quasi nessuna.

Sapevo che frequentava i bar, sapevo che viveva di rimpianti, proprio come me, e che era così solo e disperato da essersi unito a me in un viaggio senza senso.

In effetti di lui non sapevo proprio niente.

Lo ascoltai attentamente mentre narrava alla madre di Quinn di quanto fosse stato stupido ad aver mandato all'aria tre anni di giurisprudenza, di quanto desiderasse ricominciare e sentisse il bisogno di una seconda possibilità.

Se possibile, quel ragazzo aveva bisogno d'aiuto più di me!
Realizzai quanto fossi stata egocentrica, sempre concentrata così su me stessa e sul mio dolore da non essere riuscita a fare caso a nulla, a nessuno.

E così era anche questa sera, questo viaggio e questo Natale, incentrati per guarire me ed il mio cuore.

Ma invece di commiserarmi e gettare ancora attenzione su me stessa, ignorai i miei sentimenti per una volta e diedi corda a quella conversazione improvvisata, ed un po' strana, tra me, Mrs Fabray e Matt.

Ma dopo un lungo giro di domande, arrivò quella più indisponente.
"E quindi, voi due, come vi siete conosciuti?"

Lessi in quegli occhi verde acqua la malizia e il sospetto, la gioia di un nuovo pettegolezzo di cui nutrirsi.

Ed ebbi paura della foga con cui mi avrebbe potuto divorare.

"I-Io..."

"Santana!! Ce l'hai fatta!!" esclamò entusiasta Quinn facendo il suo ingresso a sorpresa nella cucina Fabray.

"Grazie al cielo..." mi lasciai scappare a bassa voce.
"Ti ho sentito!" mormorò tra i denti Matt, impalato sullo sgabello e terrorizzato quasi quanto me dalla padrona di casa.

Lasciai che la bionda mi abbracciasse e prendesse lei le redini della conversazione che, come aveva notato prima di rendere nota la sua presenza, stava degenerando.

"Mamma, scommetto che avete avuto una bella chiacchierata, ma adesso è l'ora della cena! Che ne dite?! Tutti a tavola!"

Con un po' di delusione negli occhi la signora lasciò la cucina con il vassoio degli antipasti, mentre noi impiegammo qualche secondo in più per riprenderci.
Al via libera, esplosi.

"Madre de Dios, Quinn!! Quanto ti ci è voluto?!"

"Calma, Lopez! Mi stavo facendo il trucco per la serata!"

"Oh per favor!! Non dovrai mica fare colpo su qualcuno!"
La sua faccia colpevole e leggermente imbarazzata mi fece intuire qualcosa.

"...Vero?!" chiesi conferma.

"Beh ci sarebbe qualcuno..."

"Ehm... ragazze... sono ancora qui"

Ci voltammo verso Matt.
Mi domandai seriamente come quel piccolo sgabello di legno reggesse un uomo di quella stazza: era la versione umana di un alano!

"Giusto. Torniamo a te o, piuttosto, a voi due. Che ci fate qui? Insieme?"

"E' complicato" risposi velocemente, come da copione.

"Avevi promesso che mi avresti dato qualche spiegazione una volta arrivati!!"
Si lamentò Quinn, dispiaciuta sul serio di non capirci niente e di dover assistere all'ennesimo mio comportamento incomprensibile e segreto.
Non riuscì a resistere a quegli occhioni verdi che mi supplicavano di farli entrare, di renderli partecipi delle mie emozioni.
Anche perché, dopotutto, prima di partire avevo realizzato quanto fosse importante l'amicizia, soprattutto quella che mi legava alla ragazza che mi stava di fronte e che mi aveva sopportato e sostenuto tutto quel tempo.

"Dopo cena, lo prometto. Ma adesso... non state morendo di fame?"

"Io sì!!!" esclamò "l'alano", prendendo la via diretta per la sala da pranzo, in cui aveva visto sparire Mrs Fabray, senza troppi convenevoli.

Io non mi mossi ancora.

“Dopo cena. Hai promesso!” esclamò Quinn perentoria, puntandomi contro un dito ed uno sguardo quasi assassino.

Cercò i miei occhi ancora una volta, con sincerità, sperando di ritrovarla nei miei.

“Dimmi solo una cosa: stai bene, Lopez?”
La guardai negli occhi, sinceramente, leggendo la sua preoccupazione, il suo affetto: tutto questo per me, sapendo di non meritarlo.

E non volli mentirle ancora.

Sorrisi, lievemente, e mi alzai dallo sgabello, offrendole una mano.

“Andiamo, manchiamo solo noi...”
Guardò tristemente la mia mano, sapendo di non aver ottenuto una vera risposta, ma non volendo nemmeno credere a quella che vi si nascondeva.

Si decise a stringere la mia mano e a lasciarsi guidare verso la tavola imbandita, sorridendo, semplicemente.



Fortunatamente le chiacchiere degli invitati, il rumore delle posate, coprivano i nostri sussurri.

Io e Quinn, piegate leggermente l’una verso l’altra, fingevamo di mangiare mentre spettegolavamo del ragazzo su cui si supponeva dovesse fare colpo, più per volere della madre che suo.

“E quindi è lui?” chiesi, cercando di osservalo senza farmi notare.
Sembrava un ragazzo semplice, biondino, con molta pazienza nei confronti dei parenti che sembravano voler tutti parlare con lui.

Continuava ad annuire senza sosta, sempre con un sorriso.

“Già...” confermò Quinn che, dopo un attimo di indecisione, aggiunse: “è il cugino di mio cugino.”

“Cosa?!” chiesi sconvolta.
Qualcuno della tavolata sembrò sentirmi, perché un paio di teste si voltarono verso di me.

Io mi limitai a sorridere in modo antipatico e rapido per poter tornare al motivo di tanto rumore.

“Beh, tecnicamente non siamo legati da nessun grado di parentela e...”

Non riuscì nemmeno a finire di ascoltare le sue farfugliate giustificazioni che il ragazzo si voltò verso di me e notai i suoi occhi verdi, molto simili a quelli di Quinn.
Biondo, occhi verdi, magrolino, viso angelico: sembrava il fratello di Quinn.

“Santo cielo, Quinn!! Ma è legale?!”

“Santana!! Certo che è legale! Smettila di fare tante storie!” esclamò nervosa, lasciando trapelare quanto anche lei si fosse posta quella stessa domanda.

Finimmo entrambe di ingoiare gli ultimi bocconi nel momento esatto in cui la madre di Quinn prese parola.

“Miei cari ospiti, ora che la cena è finita, vi pregherei di spostare la festa in salotto, per potervi accogliere al meglio e scambiarci i regali!” concluse con un sorriso tanto eccessivo da risultare finto.

“Ma è sempre così formale, tua madre?” chiesi annoiata, mentre lasciavamo il tavolo.
“Da quant’è che manchi a casa Fabray?” mi chiese retoricamente Quinn, un secondo prima di fermare la madre accanto a noi.

“Mamma, mentre voi vi scambiate i regali, io e Santana andiamo un po’ fuori a prendere una boccata d’aria. Vi raggiungiamo tra poco!”

“D’accordo! Nel frattempo vi tengo io al caldo questo bell’imbusto!”
Soddisfatta prese a braccetto il povero Matt, ancora frastornato e troppo preso dal cibo che non aveva smesso di ingurgitare.

“Mia madre da quando ha ottenuto il divorzio...”
Quinn lasciò sospesa la frase, facendo rabbrividire entrambe al solo pensiero.


“Allora... sputa il rospo!”

Mi era sempre piaciuta Quinn per la sua rinomata schiettezza.
Nel bene e nel male, voleva sempre arrivare direttamente al punto, senza troppi giri di parole.
E’ risaputo che menzogne e occultamenti portano solo guai;
e lei i guai aveva sempre voluto evitarli, sebbene lo scarso successo.

Nonostante tutto, però, nonostante mi fidassi di lei e mi fossi ripromessa un cambiamento, risultava sempre difficile aprire il proprio cuore, la propria mente.
Forse per paura di essere giudicata, ma soprattutto per paura di non essere compresa.

“Ehm... da dove comincio?” temporeggiai, guardandomi intorno.
C’era un’aria fresca, la neve aveva innevato il tetto ed il vialetto, per cui mi strinsi ancora di più nel mio cappotto verde bottiglia. Ma era impossibile impedire al freddo di filtrare nel mio pantalone nero, di cui tra l’altro andavo molto fiera, e mi maledì per non aver indossato le calze.

Divagavo anche mentalmente per poter rimandare l’inevitabile, ma Quinn divenne giustamente impaziente.

“Che ne dici di iniziare da dove sei stata negli ultimi anni?”

Sentì che la situazione si era fatta immediatamente seria, eppure non capivo.
Era tutt’altra persona quella da cui mi sarei aspettata una tale domanda.

“Io.. non capisco. Gli ultimi anni li ho passati con te, all’università...”

“Non intendevo fisicamente. Voglio dire mentalmente. Dove sei stata con la testa, San?
Conosco Santana Lopez, conosco la mia amica. E non è quella degli ultimi anni trascorsi insieme.”

Abbassai la testa, amareggiata e colpevole.
Realizzai che non solo avrei dovuto dare voce ai miei più temuti pensieri, ma anche dar conto al comportamento che avevo avuto in quegli ultimi tempi.
Sapevo sarebbe stato difficile, ma non così difficile.
“Avevo bisogno del tempo per me, per riflettere...”

“Beh, te la sei presa comoda!” commentò ironica lei, incapace di trattenere un po’ di rabbia.

Ma io ripresi a parlare, sapendo che se mi fossi fermata ora probabilmente non avrei ricominciato mai più.

“... tempo per... accettare. E per quest’ultima cosa, non sono sicura che mi sia nemmeno bastato.”

“Accettare cosa?” chiese naturalmente.

“Che sono omosessuale”

Lo dissi ed un groppo in gola mi chiuse ogni altra parola.

Non so come avessi fatto, non credevo davvero di esserne capace, eppure era venuto fuori. Ma ora ero terrorizzata.
Certo, non ero riuscita a dire lesbica, non riuscivo ad affrontare quella parola troppo reale.
Omosessuale mi era sembrato un termine diretto, ma abbastanza distaccato, come se ancora non mi riguardasse del tutto, forse perché più sentito e meno personale.
Mi convincevo di questo per non dare di matto.
Ma l’unica a dare davvero di matto ero io. Perché, soffermandomi su Quinn, sulla sua figura di fronte alla mia, avvolta in un cappotto bianco che ancora di più rendeva giustizia al suo candore, notai la sua calma, il viso imperturbabile, anzi un sorriso che sciolse la mia gola.

“Non dici niente?” chiesi, stupidamente, ma in realtà solo molto sorpresa dalla sua tranquillissima reazione.

“Cosa devo dire?!” domandò ridendo;
non per deridermi, non per imbarazzo, ma perché non c’era davvero niente da dire, e la mia domanda era solo esilarante.

Ma io non riuscivo ad essere coinvolta nella risata spensierata, troppo presa ancora dal terrore e dall’ansia, per cui fu lei a proseguire, intuendo il mio disagio.

“Potrei dire... che l’avevo intuito... no, forse piuttosto, che così è tutto più chiaro e acquista un senso” realizzò nel mentre che dava voce ai suoi ragionamenti.

“Potrei dire che... penso di capire perché tu non sia riuscita a dirlo per tutto questo tempo e che... va bene così.”
E sorrise.

“Va bene così...” ripetei in un sussurro, quasi per convincermi, ancora incredula.

Forse proprio in questo modo doveva andare ed ero io che, fifona, mi ero preparata al peggio.

La mia paura mi aveva impedito di vedere al di là delle cose, delle persone.
Non ero stata in grado nemmeno di filtrare le persone di cui mi sarei potuta fidare e che avrebbero accettato la cosa senza alcun problema.

Avevo così a lungo tremato di paura, da sola nella mia stanza, che se pure avessi voluto non c’erano più poi tante persone a cui sarebbe importato.
O forse non c’erano mai state.

Magari con Quinn mi era solo andata bene; ed ecco che il mio lato pessimista, il mio diavoletto cattivo, mi suggeriva un altro motivo per tremare di nuovo.

Ma Quinn continuava a sorridere ed andava bene così.
“E’ Brittany, vero?!?!”

La sua improvvisa eccitazione mi riportò, fortunatamente, alla realtà.

“Cosa?”

“Quella che ti fa battere il cuore!”
Abbassai la testa imbarazzata, ma un lieve sorriso sulle mie labbra mi tradì.

“Lo sapevo!” esclamò contenta Quinn, su di giri davvero.
E per un attimo fui catapultata anche io nel suo magico mondo di romanticismo e cuoricini, come fossimo ancora al liceo.
Ma la consapevolezza di essere ad un punto morto fece sparire il mio sorriso.

“Ma non è così semplice...” sussurrai.

“No?! Lei non prova lo stesso per te?” chiese nettamente meravigliata.

E la cosa mi fece stare peggio.

Forse era evidente che Brittany avesse provato qualcosa per me, che avessimo avuto un legame speciale che ci aveva unito durante il liceo, ed il non essere stata capace di affrontarlo a tempo debito mi faceva ribollire di rabbia.

“Probabilmente sì, ma tu parli al presente. Credo di aver incasinato le cose molto tempo fa...”

“Beh sei qui per sistemarle, no?”
E con una domanda retorica, un lieve e sincero sorriso, fece crescere in me un po’ di quella speranza che credevo fosse andata persa.

Sollevai lo sguardo su di lei e annuì lievemente, fiduciosa.

“Bene, perché io adoro i lieto fine!”

“Non parlare prima del tempo, Fabray! Ché qui mi tremano le ginocchia!”

“Quello sarà per il freddo. Passate le 9 a Lima, durante l’inverno, lo sai che si gela!”

Non risi alla sua battuta, piuttosto la sua frase fece scattare qualcosa dentro di me.
Un richiamo, un’urgenza: qualcosa di simile al destino che mi diceva che qualsiasi cosa accadesse, doveva accadere in quell’esatto momento.

“Che ore hai detto che sono?”
Guardò perplessa l’orologio, farfugliando qualcosa imprecisa prima.

“Saranno le 9 e... 9 e 40.”

Quando rialzò il suo sguardo su di me, mi vide quasi paralizzata, probabilmente da troppe emozioni riversate tutte insieme dentro di me.

“Le 10 meno 20. Insomma fa freddo, è meglio rientrare!” concluse Quinn enfatizzando la sua stretta nel cappotto, all’oscuro dei miei pensieri.

“Credo che, nonostante il freddo, andrò a fare una passeggiata...”

Lei mi osservò per un attimo stranita; poi intuì qualcosa, ne sono sicura, perché vidi i suoi occhi come illuminarsi. E senza chiedermi nulla, per paura di fare un passo falso o farlo commettere a me, disse: “Va bene, ci vediamo dopo?”

Ma non potevo più rispondere, non ne ero più capace: la mia testa era trascinata dall’orologio del mio cuore che urlava solo: dieci!




Camminare non era mai stato così facile.
I miei piedi conoscevano fin troppo bene la strada, il mio corpo li assecondava, mentre la testa vagava: in preda ad improvvisi attacchi di panico, flussi di inspiegabile speranza, accompagnati da crisi di isteria.
Il tutto celato da un viso immobile ed incantato sull’asfalto nero della notte.
Qualcosa avrebbe potuto tradirmi però.
Stringevo nella tasca destra del mio cappotto quella sbiadita fotografia, che però non sarebbe mai stata troppo vecchia per essere dimenticata.

In fondo non ero sicura di quello che facevo.

Camminavo per le strade notturne ma tranquille di Lima, dopo anni di assenza, seguendo i ricordi, le orme del passato, aggrappandomi ad esso con una mano e sperando di ritrovare metà del mio cuore rotto.

Ma non potevo essere sicura di quello che avrei trovato dall’altra parte, cosa avrei visto, se mai ci fosse stato qualcosa da vedere.

Tentavo di tenere razionalmente le aspettative basse, ma ad ogni passo il mio cuore perdeva un battito ed un pezzetto di speranza si aggiungeva.
Non potevo non fantasticare di incontrare la mia BrittBritt proprio sulla porta di casa, magari in procinto di venire lei da me, che saltava tra le mie braccia gioiosa e pronta a baciarmi per dimenticarci del mondo.

E come se fosse passato un istante, invece che un quarto d’ora, eccomi, davanti alla sua casa.

Dopo tanti anni, faceva strano rivederla lì, tutta intera: il prato curato, la neve che lo copriva, la porta di mogano e le luci intense che la facevano brillare nella notte, come se non fosse cambiato nulla.

Dall’esterno era esattamente così.
Non era la prima volta che mi ritrovavo al freddo, di fronte al vialetto di casa Pierce, sullo scoccare delle 10 della notte di Natale.
Solitamente mi era piaciuta quell’attesa, quel momento che precedeva l’incontro, l’istante in cui realizzavo di esserci tornata ancora una volta, puntuale come sempre, perché mi sentivo bene, mi sentivo amata.
Era l’istante in cui realizzavo ogni cosa e la ricacciavo via, pretendendo di non averla provata. L’istante in cui potevo permettermi di essere sincera, completamente, con me stessa.

Che poi Britt riuscisse a leggermi come un libro aperto, era un altro paio di maniche!

Ripensai all’ultima volta che avevo avuto sue notizie.
Risaliva alla lettera che mi aveva lasciato prima di partire e che aveva distrutto le mie speranze e mi aveva trascinato nell’apatia più assoluta.

Era andata via per ricominciare a vivere, senza di me. E, ogni volta che l’avevo riletta, quella parte mi struggeva da dentro, facendomi sentire ancora più colpevole:
non solo per la nostra situazione irrisolta, ma per la sua agonia.

Ma era anche vero che continuava dicendo che non avrebbe dimenticato, che non avrebbe scordato me ed i nostri momenti insieme.

Fu in quell’istante, immersa in quei ricordi mai persi, stringendo saldamente la nostra fotografia, che la vidi:
Attraverso la finestra della cucina, rivolta verso di me, quasi di proposito per permettermi di ammirarla, mentre parlava con la sua interlocutrice.

La sua interlocutrice. Non mi sembrava di riconoscerla da quello scorcio di profilo che riuscivo a vedere e la cosa mi mise in agitazione.
Sapevo che non dovevo preoccuparmi, sapevo di non averne nemmeno il diritto, eppure la rabbia e la gelosia ribollirono in me ancora prima di poterlo realizzare.
In compenso, tornare a guardare Brittany mi fece dimenticare di tutto il resto.
La osservavo, da lontano, con i suoi capelli biondi, molto più lunghi di quanto mi ricordassi, che formavano delle onde cadenti sulle sue spalle, le sue spalle leggermente scoperte per un accenno di scollatura.

I suoi occhi chiari, li avrei riconosciuti a chilometri di distanza, brillavano e sorridevano assieme alle sue labbra.
Eravamo distanti, lo so, ma è come se i miei occhi si fossero catapultati a pochi passi da lei, incapaci di frenare la corsa sui suoi lineamenti, su ogni dettaglio mai dimenticato;

come le lentiggini che punteggiavano il contorno del suo naso, macchiando adorabilmente la sua pelle candida.

Non mancava nulla, non c’erano segni particolari, eppure nel complesso riconoscevo che il suo viso era cambiato, era diverso.
Più cresciuto, più maturo... più sicuro.
Potevo dirlo anche a questa distanza che non era più la Brittany ingenua che conoscevo io, spaventata dal mondo o incapace di affrontarlo.
E nonostante avessi dovuto provarne piacere, capirlo mi procurò invece un grande sconforto.

Sentivo come se non le servissi più, come se non fossi necessaria, nemmeno utile.
Se prima ero stata la difesa di Britt, il braccio che colpiva per lei e le apriva la strada, se una volta ero stata la sua ancora, il suo punto fermo... ora non lo ero più.
E da biasimare c’ero solo io.

In quell’istante, vedendola sorridere, parlare tranquillamente con quella nuova ragazza in casa sua, proprio la notte di Natale, la nostra notte, mi fece realizzare che in fondo il tempo era passato, che noi lo volessimo o no.

Ed il tempo cura le ferite. O almeno è così nella maggior parte dei casi.

Il pensiero che lei fosse completamente guarita mi terrorizzò perché, nonostante le promesse, poteva essersi dimenticata di me.
Strinsi forte la foto nella tasca, sentendola piegarsi tra le mie dita, avvertì le lacrime salire, bruciarmi il naso, ma un attimo prima di versarsi, qualcosa colpì i miei occhi.

Una bambina. Misi a fuoco, conoscevo quella bambina...
Jenny! Jenny si agitava seduta sull’isola della cucina, indicandomi
Ed improvvisamente gli occhi di Brittany furono su di me, nei miei.

Furono pochi secondi che sembrarono ore.
Io guardavo lei e lei guardava me, a pochi metri di distanza, con un muro ed un vialetto che ci separavano, dopo anni in cui avevo ignorato anche la sua residenza.

Non potevo crederci. Era surreale.
Come se il freddo non esistesse più, non colpisse le mie ginocchia deboli, o il mio viso provato.

Le lacrime si erano congelate, pronte per il prossimo evento.

La luna, sempre presente, dall’alto mi illuminava la schiena, rischiarava la notte di Natale e mi permetteva di godere del suo viso.

Ma io non sapevo che dire, non sapevo che fare. Paradossalmente non ero preparata a nessuna di queste eventualità.
Non ero pronta ad affrontarla, non così, con la paura che lei fosse andata avanti, dimenticandosi di noi.

Forse era meglio così. Almeno l’avevo rivista, da lontano, intatta ed intoccabile, perfetta come un quadro.
Sapevo che stava bene, sembrava serena, la serenità che mi aveva detto di cercare in quella maledetta lettera. E a me bastava, perché ero fondamentalmente codarda, ancora una volta.
La guardai un’ultima volta, mi persi nell’infinito senza tempo dei suoi occhi, poi mi voltai ed andai via, a passo svelto.
Era quello l’evento che le mie lacrime attendevano per venir fuori, bagnarmi le guance e rendermi ancora più miserabile di quanto già non fossi.

Mentre mi davo della stupida e della fifona, stretta forte su me stessa con le braccia sotto al petto, non avevo però considerato l’eventualità che lei potesse seguirmi.
E fu la sua voce a gelare improvvisamente il mio sangue e le mie gambe.

“Santana!”
Non aveva urlato poi tanto, ma nel silenzio della strada deserta, dove tutti erano rintanati a festeggiare, la sua voce aveva riecheggiato e mi aveva svegliato.

La sua voce.
Ancora le davo le spalle per cui non potevo concentrarmi che su quello.

Era così tanto tempo che non la sentivo... Dolce come sempre.
Aveva corso, potevo dirlo dal leggero fiatone che aveva, accentuato sicuramente dal tentativo di non sentire tutto quel freddo che ci circondava e che io non sentivo più.

“Santana...” ritentò con più calma, con voce ferma e che pretendeva una risposta.

Non potevo ingannarla, mi aveva vista, sapeva perfettamente che ero io, mi aveva riconosciuto e non aveva esitato a corrermi dietro; non poteva andare così male...
Passai velocemente la mano sotto agli occhi per asciugare le lacrime e mi voltai.
La ebbi a pochi metri da me.
Dio, la sua bellezza era quasi accecante!

Il suo viso, così vero, ma soprattutto vicino, permise che il sangue tornasse a pompare, che il mio cuore tornasse a battere.

E d’improvviso tutto mi travolse.

Sentì l’aria fredda, ovunque, ma anche il calore dell’emozione iniziare a riscaldarmi le guance.
Annusai il profumo della legna bruciata dei camini unito al profumo inconfondibile della donna che attendeva di fronte a me.
Sentivo il vento leggermente aumentare, smuovere i nostri capelli, far frusciare qualche foglia.
Il mondo esisteva, era reale, vivo, solo quando lei era assieme a me.

E avrei potuto dirle tante cose, tante gliene volevo dire, e altre gliele dovevo, ma non riuscì a pronunciarne nemmeno una.

Ero paralizzata.

Troppo felice, troppo spaventata, troppo imbarazzata, per creare una frase sensata.

Ma almeno vidi il suo sguardo sollevato perché avevo acconsentito a voltarmi e a guardarla ancora negli occhi.

Vidi poi le sue labbra schiudersi: voleva dire qualcosa, lo voleva davvero, ma lessi perfettamente sul suo viso la mia stessa difficoltà.

Per cui sorrisi, spontaneamente, cercando di farle capire che non importava, che non c’era bisogno di dire niente, almeno per ora.
Un passo era stato fatto:
eravamo una di fronte all’altra, dopo anni di distanza, di assenza, e sembrava che almeno le emozioni travolgenti, caratteristiche del nostro rapporto, non fossero cambiate.
Per adesso andava bene, andava bene così.



 


Piccola nota:

Io lo so che in questo momento mi odiate profondamente, e per l'attesa e per il capitolo "inconcludente", ma questo passaggio sentivo che andava fatto.
Avevo già progettato di tornare un po' indietro rispetto al momento dell'incontro quando sarebbe stata Santana a -parlare- e poi nello scrivere, per allegerire un po' i toni, è venuto fuori un accenno di famiglia Fabray che spero abbiate gradito :)
So che state pazientando molto, ma guardate il lato positivo: questo capitolo è lunghissimo!
E spero davvero vi piaccia, perché ho avuto moltissimi dubbi e spero funzioni lo stesso!!! Let me know!
(scusate eventuali errori, è tardi sono due ore che scrivo e correggo, e non distinguo più m e n proprio come britt xD )


Intanto abbiamo riavuto il nostro glee e a quanto pare arriveranno parecchie scene brittana! Non sto nella pelle! *-*

A presto, ragazzuole ù_ù

_CodA_ <3

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


La distanza, qualcosa di assolutamente relativo.
Sembra sempre allontanare fisicamente qualcuno da qualcun'altro, qualcuno da qualche posto, qualcuno da qualche oggetto.
Non fa che aggiungere e frapporre spazio, inutile spazio.
Talmente inutile, che basta un pensiero, un sentimento, un ricordo, per annullare quello spazio, per cancellare la distanza, e ritrovarsi.





Brittany's PoV



Labbra lungamente spalancate, essiccate dal vento freddo.
Occhi indistinguibili, fissi ed inespressivi.

Se i nostri petti non si fossero sollevati a ritmi sconnessi, saremmo sembrate come morte.
Forse io lo ero; dovevo esserlo.
Altrimenti come potevo spiegare ciò che stava accadendo?
La donna che amavo, che avevo amato per così tanto tempo, che mancava nella mia vita da più di due anni, che mi ero rassegnata a dover solo ricordare, sostava di fronte a me, nella notte gelida e buia di Natale.
Con la mia stessa espressione, con il mio stesso sgomento, la mia stessa paura.

Io mi sentivo imprigionata.
Le gambe, le braccia, ogni arto era pietrificato: non per il freddo, ma per le emozioni.
Sentivo il vento, sentivo l'odore della legna, sentivo il mio respiro, eppure era tutto ovattato, distante, insignificante.

Ero proiettata nei miei pensieri, persa in essi, nelle mie sensazioni in subbuglio.
Non riuscivo a credere a cosa vedevano i miei occhi, non lo ritenevo possibile.
Forse, senza rendermene conto, avevo smesso di sperare, avevo smesso di crederci.
Mi ero arresa alla sconfitta, alla mia vita separata dalla sua, per sempre.
Ma eccola lì, in piedi, infreddolita, bella come sempre, forse di più.
La luce fioca della luna e di qualche sporadico lampione non mi permetteva di vederla perfettamente, ma distinguevo bene i contorni della sua figura, i suoi capelli neri mossi dal vento, i suoi occhi scrutatori, caldi, intensi, esattamente come li ricordavo.
Le braccia strette al petto, sicuramente non tanto per il freddo quanto per il suo immutato atteggiamento: la sua ostentata fierezza, chiara armatura di un cuore insicuro e spaventato.

Dentro di me sorrisi.
Volevo abbracciarla, volevo sentire il suo corpo contro il mio, le nostre pelli a contatto, e riscaldarci a vicenda.
Volevo stringerla al mio petto, lasciar fluire le dita tra le sue morbide ciocche nere, baciarle la fronte, il naso, le labbra, sentirla mia, di nuovo e per sempre.
Ma il mio corpo non si mosse, sapevo che era sbagliato, sapevo che era troppo presto, sapevo che era troppo in generale. Probabilmente sarebbe stato impossibile anche solo avvicinarmi senza che lei fuggisse via come un animale impaurito.

Se non potevo muovermi, dovevo sbrigarmi a parlare.
Ma la mia bocca era anche essa bloccata, incapace di dire qualcosa.
Per pura necessità di fermarla, per paura di perderla di nuovo, di lasciarmi sfuggire quest'altra occasione, ero riuscita ad urlare il suo nome, forse ancora incapace di realizzare cosa stesse accadendo.

Un attimo dopo, quando lei si era voltata verso di me, quando era diventata reale per la luce lunare, per la notte di Natale, per me... la mia gola si era stretta, il cuore era impazzito e ora temevo fosse stato tutto inutile.

Seppure fossi riuscita a sbloccare le parole, cos'è che le avrei detto poi?
Con quale grandiosa frase ad effetto me ne sarei uscita dopo anni di silenzio?
Ogni parola che compariva nella mia mente sembrava sbagliata.
Anche quelle più decenti, mormorate fra i denti e la lingua, avevano il gusto della banalità.
E se avessi lasciato a lei la prima parola? Sarebbe stato più semplice?
Nemmeno.
Lei non avrebbe mai fatto il primo passo, lei era quella che appena mi aveva vista era scappata via, di nuovo.

E seppure fosse riuscita ad emetter fiato, risponderle sarebbe stato altrettanto complicato.
Semplicemente non potevamo starcene lì, impalate, tra la neve, il vento, le foglie, la penombra, ad osservarci incantate, per quanto stesse iniziando ad acquisire un senso, una sua magia ed una certa sicurezza anche solo starla a guardare.

 

I miei occhi, che ogni tanto si riconnettevano alla realtà, notarono che il suo braccio destro non era più legato sotto al petto, ma ricadeva stranamente lungo la sua figura, la mano si nascondeva nella tasca e si muoveva, a scatti, come se stesse tenendo qualcosa, rigirandosela tra le dita.
Quando rialzai il mio sguardo, colto dal suo, notai la sua espressione farsi più pallida, come se avessi visto qualcosa che non avrei dovuto vedere, sebbene io non avessi visto altro che la sua mano nella tasca.
Era nel panico, potevo dirlo dai suoi occhi nervosi, dalla sua mano agitata, del braccio ancora sotto al petto, che torturava il fianco destro.
Sapevo che da un momento all'altro sarebbe fuggita di nuovo, dovevo sbrigarmi, dovevo dire qualcosa, qualsiasi cosa, qualsiasi.

"Come stai?" chiesi, cercando di sembrare il più naturale possibile, sincera, e soprattutto di non lasciar trasparire tutta l'ansia e la paura che si nascondevano dentro di me.

Lei continuò a guardarmi, rilassando lo sguardo, che aveva perso il terrore in cambio dello stupore.

Di botto lasciò i miei occhi e fissò l'asfalto, ricoperto da un leggero strato di neve, ed iniziai a temere davvero che non avrebbe parlato, che non avremmo fatto un solo passo l'una verso l'altra, che saremmo rimaste lontane per sempre, come se ogni possibilità fosse andata perduta.

Forse era troppo tardi...

"Bene..." mormorò rialzando lo sguardo su di me, con un tenue sorriso, poco convinto, e oramai entrambe le mani nelle tasche.

Solo in quel momento realizzai quanto mi fosse mancata la sua voce: rauca, calda, ammaliante.
E, incantata, quasi mi convinsero le sue parole, il suo accennato sorriso.
Ma io la conoscevo Santana Lopez, non sarebbe di certo bastato qualche anno per ingannarmi, avrebbe dovuto fare meglio di così.

Non volevo attaccarla, ma avrei chiesto subito spiegazioni per quel suo strano atteggiamento, se non mi avesse colto alla sprovvista.

"Dio, quanto sei cambiata..."
Il suo tono continuava ad essere basso, flebile, quasi avesse paura di parlare più forte, come se si potesse spezzare la magia, interrompere un sogno.

Lessi nelle sue parole e nei suoi occhi ammirazione, sorpresa, e anche desiderio che non aveva saputo celare.
"I tuoi capelli..."
"Cosa?" mi preoccupai e cercai qualcosa nelle punte.
"Sono così lunghi"
Con un sorriso, capì ed interruppi la mia ricerca.
"Anche i tuoi lo sono" replicai ridendo, per l'assurda conversazione che stavamo avendo.
"I miei lo sono sempre stati. Mentre i tuoi... sono cresciuti"
"Beh, sai, è un po' che non ci si vede..."
I suoi occhi si paralizzarono nei miei a quelle parole, come se avessi portato a galla una realtà che voleva far finta che non esistesse, o che aveva dimenticato per quei pochi attimi di leggerezza.

Ma la verità non potevo ignorarla. Non potevamo.
I miei capelli erano cresciuti.
Ed esattamente come erano cresciuti i miei capelli, eravamo cresciute io e lei;
diventate grandi lontane l'una dall'altra, e questo niente avrebbe potuto cambiarlo.
Ma io volevo capire, volevo chiarire.
Volevo conoscere la sua vita, volevo sapere cosa avesse fatto in quegli ultimi anni, come se la fosse cavata senza di me.
Volevo sapere tutto di lei, come sapevo una volta.

Non pretendevo molto: una chiacchierata, un aggiornamento sulle nostre reciproche vite, e se avessi scoperto che finalmente era felice, che stava veramente -bene- come diceva, che aveva trovato serenità e gioia, e soprattutto... amore... allora l'avrei lasciata in pace.
L'avrei salutata da amica, ma, almeno stavolta, l'avrei potuta guardare negli occhi.

Abbassò nuovamente lo sguardo, con triste e silenziosa consapevolezza.
Le nostre strade si erano incrociate di nuovo, come poteva ignorarlo?

Volevo che perlomeno lei reagisse, che lottasse per... qualcosa! Per un noi che non era mai veramente esistito.
Volevo che lottasse per la possibilità che potevamo concederci, volevo che mi dimostrasse che anche lei aveva pensato costantemente a me in quegli ultimi anni.
Possibile che non era cambiato niente, che lei era rimasta la stessa cocciuta ragazzina troppo spaventata dalle sue stesse emozioni ed incapace di affrontarle?
So che pretendevo troppo, tutto in una volta. Volevo che accadesse tutto e subito.
Ma anche la parte più infantile ed impaziente della mia coscienza sapeva che ci voleva del tempo; Che ce ne sarebbe voluto per conoscerci di nuovo, per fidarsi ancora l'una dell'altra, per crederci sempre.

E dentro di me sapevo anche che quella distanza era stata necessaria, una tortura che ci eravamo dovute infliggere per fare chiarezza.
Il nostro rapporto era stato così simbiotico, complicato ed irrisolvibile, che allontanarsi era divenuto obbligatorio per poter continuare a vivere.
Ci stavamo avvelenando a vicenda.
Ma chi avrebbe mai pensato che sarebbe stato così difficile?
Come potevo immaginare che la lontananza sarebbe stata più dolorosa di qualsiasi veleno?
Ero così innamorata di lei che non avevo saputo smettere di amarla;
non ero mai stata capace di odiarla, né tanto meno di dimenticarla.
Non c'era riuscita un'altra città, non c'era riuscita un'altra ragazza, non c'era riuscito il tempo.
Rivederla, adesso, la notte di Natale, poteva significare solo una cosa: destino.
E lei poteva ostinarsi a non dire niente, ad abbassare gli occhi e a negare la realtà, ma nonostante gli anni passati, lei era venuta.
Alle 10 di quella notte speciale era venuta alla mia porta, puntale come sempre.
Per cui, quando rialzò il suo sguardo su di me, io le sorrisi, perché quello era il suo modo di lottare, il suo modo, seppur contorto e nascosto, per dirmi che ci teneva ancora a me, a noi due.
Lei, senza conoscere i miei motivi, mi sorrise a sua volta;
e ci ritrovammo a sorridere in silenzio, occhi negli occhi, alla luce della luna.
L'amavo e quel suo sorriso non faceva che farmi innamorare ancora di più, di lei.
Più l'amavo e più sorridevo, e più sorridevo e più lei rideva.
Così iniziammo a ridere, stupidamente, ma non troppo forte, per non farci sentire, per non essere disturbate.
Eravamo di nuovo insieme, spensierate, almeno per un po'.
E per adesso poteva bastarmi.
Avrei fatto qualunque cosa per farla ridere ancora, sempre, e vedere i suoi occhi illuminarsi, brillare, sapendo di esserne stata io la causa.
Potevo dimenticarmi del mondo intero, con lei, ma era il mondo a non dimenticarsi di me.


"Britt, tutto bene? Sono passati 20 minuti e non accennavi a tornare! Ti ho portato la giacca..."
Quella valanga di parole mi investirono completamente, spezzarono le risate, il silenzio e spezzarono il nostro sguardo intenso.
Mi voltai e c'era Dawn a porgermi la giacca, con uno sguardo serio in viso.
Mi guardai e ricordai, solo allora, di non aver avuto il tempo di prendere alcun cappotto prima di precipitarmi fuori e, improvvisamente, realizzai di aver freddo. Poco prima non aveva avuto alcuna importanza.
Indossai la giacca e notai gli occhi fissi di Santana su Dawn e l'occhiataccia di rimando che Dawn le stava rivolgendo.
L'aria, se possibile, si era gelata ancora di più.

Dawn era al contempo gelosa e protettiva nei miei confronti, lo sentivo e lo sapevo.
E non potevo biasimarla.
Era a causa della donna che avevamo di fronte che la nostra relazione non aveva funzionato.
Ma Santana...
I suoi occhi erano spaventati, increduli, gelosi e tristi.
Avrei voluto abbracciarla e dirle che qualsiasi cosa stesse pensando fosse sbagliata, ma non avrei potuto negare che tra me e Dawn c'era stato qualcosa.
Sapevo che se si fosse fatta l'idea errata non ci sarebbe stata speranza per noi, si sarebbe sentita tradita da me, l'unica di cui si fosse mai fidata.

"Santana, lei è la mia amica Dawn!" iniziai agitata, puntando la mano verso Dawn.

"E Dawn lei è.-"
"Santana, lo so" concluse Dawn, avanzando verso di lei e porgendo la mano.

San osservò per un momento la mano che aveva davanti, titubante.
Per una frazione di secondo lanciò a me un'occhiata, accusatoria, quasi disgustata, e assistetti alla sua trasformazione.

"Santana Lopez, esatto! Sentito parlare di me?!"

Si strinsero la mano e io guardai gelosa le loro mani toccarsi.
Era così semplice, bastava allungare la mano e avrei potuto toccarla. Ma mentre per Dawn era semplice, per me al momento era impossibile, e la invidiai.
"Sì, ho sentito molto parlare di te" rispose con astio Dawn, che tentava di sostenere lo sguardo duro e fiero che le rivolgeva Santana, in una delle sue migliori interpretazioni.

"Non posso dire lo stesso. Come hai detto che ti chiami?"
"Dawn" rispose tra i denti, tentando di contenersi.

Santana, dal canto suo, sorrise soddisfatta; lasciò la sua mano e tornò a guardare me.

Io non ero contenta del suo comportamento, era un passo indietro di troppi anni quell'atteggiamento da finta spaccona che la relegava in una bolla di solitudine ed odio.

Abbandonò il sorriso beffardo, ritornò seria, occhi solo per me.
"Mi dispiace..." sussurrò, abbassando lo sguardo "...devo andare".
E non ebbi modo di replicare e fermarla, non avrebbe avuto senso farlo in quella situazione. La vidi andar via.

Ero arrabbiata. Furiosa con Dawn per essere apparsa nel momento sbagliato e nera d'ira per Santana che si comportava ancora da bambina, da gelosa bambina, senza capire, senza chiedere, senza sapere.
Eppure il vento lasciò sfuggire, dalla sua tasca lontana, l'oggetto che aveva tenuto tra le dita e che aveva voluto nascondermi: la nostra fotografia, la stessa fotografia che avevo io e che avevo ammirato poco prima nella cornice regalatami da Dawn.

Raccolsi da terra la foto, infossata da un po' di neve, e la guardai, ancora una volta incantata.

Eravamo state felici, io e San; potevamo esserlo ancora.
"Dove stai andando?" mi strattonò Dawn, dopo un primo ed unico passo.

"La seguo"
"Sei sicura? E' andata via e sembrava pure piuttosto convinta..." continuò con un tono rabbioso che ancora doveva sfumare.

"Santana non è mai ciò che sembra" risposi seria, prima di proseguire per la stessa strada in cui avevo visto scomparire la bruna.


 




Santana's PoV


"Aspetta!"
Dannazione mi aveva seguita. Speravo davvero che non lo facesse.

Avevo fin troppe emozioni sconvolgenti che mi confondevano, la sua presenza non faceva che aumentarle.

Sentivo il bisogno di stare sola, di rifugiarmi in una stanza, piangere, pensare, sfogare queste emozioni sempre trattenute.

"Aspetta!!"

Avanzai il passo, cercando di scoraggiarla, di convincerla a desistere.

"Ti prego.."
La sua voce così supplichevole mi fece fermare di scatto e sentì di essermi resa completamente vulnerabile con quel gesto.

Al solito, tanti anni prima come adesso, era capace di convincermi a fare qualsiasi cosa; e io non gliel'avrei negato, non avrei nemmeno voluto farlo.
Mi voltai, la osservai raggiungermi, sempre bella, sempre coraggiosa ed ostinata.

Con quelle schiocche rosse in viso dovute al freddo e alla corsa, i capelli un po' scompigliati che le ricadevano sulla giacca superando la curva dei seni.

La solitudine, la stanza, i pianti ed i pensieri, potevano aspettare. Adesso c'era lei.
Lei a tenermi compagnia, lei ad ascoltare le mie parole e ad assorbire le mie emozioni.

Solo lei poteva riuscirci. Per la sua straordinaria abilità di capire la gente, di vedere il meglio, e perché io le avevo permesso di farlo con me; mi ero fidata di lei.

Si fermò molto vicino a me, lasciando tra noi una minima distanza cosicché potesse vedermi negli occhi, toccarmi, se solo l'avesse voluto, pur sempre senza spaventarmi.

Trattenni comunque il respiro ed attesi.

"Hai perso questa..." mormorò flebilmente, in totale contrasto con i suoi urli disperati di prima.

I miei occhi si posarono sulla fotografia che reggeva tra le sue dita e che protendeva verso di me.

Agghiacciata tastai furiosamente le tasche del mio cappotto, misi la mano in quella destra e la trovai vuota.

Era effettivamente la mia fotografia.

Feci riaffiorare la mia mano per riprendermela, ma lei me la sottrasse con gentile rapidità.

"E' proprio una bella foto..." mormorò lei osservandola, mentre io osservavo lei confusa.

"E' l'unica che mi sia rimasta" confessai, terrorizzata all'idea di perderla.

Sentì il suo sguardo serio e silenzioso su di me, mi osservava pensando e la cosa non mi piaceva affatto.

"Dobbiamo parlare"
"Non credo che-"
"Parlare. Voglio solo parlare con te. Poi riavrai la foto..."
La guardai contrariata e arrabbiata.

"E' un ricatto?!"
Lei annuì divertita.

"Non ti facevo così, Pierce! Sei cambiata..." commentai, tornando a voltarmi per proseguire, più lentamente, lungo la strada.

"Non posso dire lo stesso di te, Sanny..." rispose lei più seriamente, una volta al mio fianco.

Rivolsi il mio sguardo a lei e colsi l'amarezza della sua espressione e delle sue parole.
In parte mi ferirono.
Ero cambiata, ne ero convinta. Forse non radicalmente, ma c'era qualcosa dentro di me che mi aveva stravolta, la stessa cosa che mi aveva fatto fare tanti chilometri di corsa in auto, la stessa cosa per cui ero adesso lì.

Dentro ero cambiata. Non riuscivo ancora a dimostrarlo, però.

Proseguimmo in silenzio, l'una accanto all'altra, mani nelle tasche e sguardo basso.
Avevamo sicuramente molto da dirci, ma tra l'imbarazzo, l'incertezza e gli anni di lontananza, era difficile iniziare un vero discorso.
Decisi di rimandare i chiarimenti al nostro arrivo, alla nostra meta.

Non completammo l'ultimo viale, che una figura bionda corse verso di noi ad accoglierci.

"San! E' passata quasi un'ora, iniziavo a..."
Le parole le morirono in gola e capì come dovevo essere sembrata io esternamente quando avevo incontrato Brittany poco prima.

Gli occhi di Quinn erano totalmente rapiti da quella figura alta e slanciata, da quella donna bella ed affascinante, molto somigliante alla liceale Brittany Susan Pierce, eppure così diversa.
Il suo sguardo era più maturo, più serio e cosciente, nulla a che vedere con gli occhi persi e confusi di un tempo.
I capelli biondissimi e lunghi attiravano molto l'attenzione. Le curve del suo corpo, ora più evidenti nel viale illuminato, erano leggermente più pronunciate, e aveva un corpo modellato e atletico, dovuto sicuramente alla danza.
Non riuscì ad ingelosirmi degli occhi carezzevoli di Quinn sul suo corpo, perché nessuno, soprattutto nessuno che l'avesse conosciuta da ragazzina, avrebbe potuto fare a meno di guardarla, di ammirarla.
Era bellissima, lo era sempre stata. Ma ora era una donna, una donna meravigliosa.
"Brittany!" esclamò finalmente Quinn, ripresasi dallo shock.

Si precipitò ad abbracciarla e a stringerla.
E se fino ad allora le azioni di Quinn non avevano sortito alcun effetto su di me, adesso l'invidia mi ribollì dentro.

La stringeva in un abbraccio che solo io le avrei voluto dare.
Volevo toccarla, eppure era come se la distanza di quegli ultimi anni avesse creato una barriera, un muro difficile da scavalcare.
Temevo di toccarla; l'intensità del desiderio di farlo mi spaventava.
Quando si staccarono l'una dall'altra tornai a ragionare lucidamente, per quanto mi fosse possibile in sua presenza.

"Sono felice di vederti! Non pensavo saresti venuta..."
Notai un velo di tristezza nella voce di Quinn.
Sapevo che era sempre stata un po' gelosa di Brittany, ma ora che sapeva come stavano le cose, doveva aver capito che il nostro rapporto era un po' più speciale e al contempo complicato.

Nonostante tutto sapeva perfettamente come, in presenza di Brittany, non avessi occhi e orecchie che per lei.
E Quinn odiava restare in disparte, era chiaro.
".. ma venite! Entriamo in casa che si gela!"
"Molto volentieri!"
Brittany la seguì nel vialetto, fino alla porta e poi entrò in casa come le aveva fatto segno la padrona di casa.
Prima che potesse proseguire, però, mi avvicinai a Quinn, le cinsi le spalle con un braccio e la strinsi affettuosamente.

"Grazie" sussurrai.
Lei sorrise sinceramente e con uno sguardo d'intesa finalmente tra noi tutto era stato chiarito.

Entrammo in casa nel esatto istante in cui Brittany stava posando la giacca sull'attaccapanni all'ingresso.
"Ehi bellezza, ma dov'eri finita? Quinn rientra e tu no, ero in pensiero!"
Ecco, l'ultima cosa di cui avevo bisogno era Matt che faceva lo scemo.

"Ero andata a fare due passi.."
"Sola soletta? La prossima volta ti accompagno io, così mi presenti anche la tua biond- ahi!!"
Quinn aveva dato un pizzico su quella guancia irrequieta, prima che finisse la frase, ma la biondina in questione era già spuntata da dietro l'attaccapanni.
"Parli del diavolo..." commentò Matt massaggiandosi la guancia, ma senza perdere occasione di provocarmi ancora con un sorrisetto malizioso.

"Brittany, piacere!" disse lei porgendo la mano con un sorriso smagliante.

Lui rimase impalato per un secondo, forse anche lui leggermente folgorato dalla sua bellezza, ma si riprese velocemente e strinse la mano che aveva di fronte.

"Matt, il piacere è mio!" concluse mellifluo.
"Fatte le presentazioni..." sussurrò Quinn che si avvicinò a lui e lo tirò via per l'orecchio.

"Ahi, ahi, ahi! Mi fai male!! Vacci piano, padrona di casa!"

"Appunto, padrona di casa, rammentalo babbeo!" lo avvertì duramente lei, trascinandolo in cucina.


"Non corre buon sangue tra quei due?" chiese Brittany leggermente stupita da quel teatrino.

"No, scherzano..." commentai con un risolino "... almeno credo."
In effetti non avevo idea di come si stessero rapportando quei due, li avevo lasciati parecchio da soli, chissà quante ne avevano dette alle mie spalle.
"Ah che ricordi..."
La voce di Brittany mi riportò alla realtà, a lei. La guardai osservare i muri di casa Fabray.
C'era stato un periodo in cui eravamo state tutte e tre inseparabili, eppure sembrava tutto così distante, lontano, quasi dimenticato.

"Andiamo di sopra?" proposi.
E suonò strano ad entrambe.
Quante volte avevo pronunciato quella frase in uno dei tanti pomeriggi dopo la scuola!
Lei sembrò titubare improvvisamente.

"Quinn mi ha riservato la camera degli ospiti... hai detto che volevi parlare..."
Lei annuì rapidamente, scacciando ogni indecisione dai suoi occhi e mi seguì su per le scale.

La stanza era in perfetto ordine, così come l'aveva preparata la signora Fabray prima del nostro arrivo. Accanto al mobile avevo poggiato il piccolo borsone che avevo portato con me. Non c'era niente di legato a me o a lei in quella stanza. Era neutrale.
Mi andai a sedere sul letto e attesi.

Lei si diresse verso la finestra e spostò leggermente la tenda: osservava fuori la luna, il viale e i lampioni con estrema attenzione, attenzione dei suoi occhi che non voleva rivolgere su di me. In silenzio io osservavo il suo profilo leggermente illuminato.

"Vivi qui?"
"No, sono qui solo per le vacanze" risposi semplicemente.
"E quel Matt?"
"A volte non si scelgono i compagni di viaggio."
Lei accennò un sorriso. "A volte nemmeno i compagni di vita..."
La sua frase mi spiazzò per un attimo. Non sapevo cosa volesse intendere esattamente, i suoi giri di parole mi mettevano in agitazione. Lei era sempre stata molto diretta e temevo che, se non fosse tornata per un attimo la Brittany di sempre, non avremmo risolto la nostra situazione.

Abbassai lo sguardo per un attimo.

"Ti sono mancata?"
Ed ecco che la sua sincerità tornava a spiazzarmi. Era ciò che adoravo e odiavo contemporaneamente.

Ora la situazione si era fatta seria ed io ero ad un bivio.
La vecchia Santana avrebbe mentito, avrebbe sviato l'attenzione su qualcos'altro, forse non avrebbe nemmeno risposto.
La nuova Santana cosa avrebbe fatto?
"Ogni giorno." risposi secca, ma tradendo le mie emozioni con la rapidità con la quale avevo pronunciato quelle due parole.
Sentivo un groppo in gola farsi pesante, bruciare.

Alzai lo sguardo, incuriosita da quel duraturo silenzio, e, colpite dalla luce della luna sul suo viso, c'erano le lacrime che le bagnavano il volto, gli occhi tristi, fissi sempre nel vuoto oltre la finestra.

"Britt.." esitai, con occhi altrettanto tristi e dispiaciuti, ma anche sorpresi.
Non mi aspettavo e non volevo vederla in quello stato.

"Ti ringrazio"
La mia fronte si corrugò rapidamente; quelle parole, seppur pronunciate con sincerità, mi erano profondamente oscure.
"Per cosa?"
"Temevo di essere l'unica ad aver sperato in questo giorno. Grazie per non avermi dimenticata."
Sentivo la sua voce tremare, farsi piccola ed interrotta.

Ed io ero nel panico. Non ero pronta a questo, non ero preparata ad affrontare questa situazione. Non mi sarei mai aspettata che questa serata finisse così, con Brittany nella camera degli ospiti di Quinn, in lacrime, che mi ringraziava scioccamente per una cosa così... ovvia.
Non avevo la minima idea di cosa fare, ma evidentemente il mio corpo sì.
Perché senza che me ne fossi resa conto, mi ero alzata e l'avevo raggiunta.
Sostavo in piedi, dietro di lei, a pochi centimetri di distanza.

"Oh Britt, non devi..."
Si voltò senza preavviso e si precipitò tra le mie braccia.
"Scusami...!"

Il suo volto aveva trovato un posto naturale nell'incavo della mia spalla destra, si era tuffata sul mio collo, tra i miei capelli, e le sue braccia si stringevano con forza a me.

Sentivo la sua mano stringere in un pugno la mia maglia.
E con naturalezza, spontaneità, le mie braccia la avvolsero, cinsero la sua schiena, con una mano carezzai il suo capo, i suoi capelli lunghi, e la cullai.
La toccavo finalmente.
La mia pelle contro la sua, i nostri capelli a contatto, il suo respiro sulla mio collo scoperto, il suo odore così forte ed unico che mi aveva invaso le narici.
Chiusi gli occhi e continuai ad abbracciarla, ad accarezzarla, come avrei fatto tempo addietro, se avessi saputo che era l'ultima volta.
La stringevo a me, dopo anni di distanza, ed era quasi surreale; e nonostante le circostanze, bellissimo.
Sentivo le sue lacrime silenziose rigarle il volto e toccare la mia spalla, ma non mi importava. Volevo che si lasciasse andare, che le lacrime abbandonassero il suo corpo per sempre. Perché peggio del mio dolore, di quegli ultimi anni, c'era solo il suo dolore.



Piccola nota:
Non potete dirmi niente, ho aggiornato abbastanza velocemente! U___u
Beh spero vi piaccia questo capitolo, come al solito un parto. Ma vabbè...
Ditemi cosa vi è piaciuto e cosa no, suuuuuu >______<
Volevo metterci più cose, a finale non è venuto niente di ciò che avevo progettato e la cosa mi fa scazzare parecchio... uffff
Spero almeno a voi sia piaciuto insomma!
Non ho idea quando e cosa ci sarà nel prossimo, quindi... TREMATE!! buhamuhamuah
ciau!


p.s. BUON DUETTO MARTEDI'!!! <3

_CodA_


 

 

 

 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Verità, realtà, consapevolezza.
Ci perseguitano e ci assillano solo quando hanno di cosa tormentarci.
A volte si insinuano lentamente e affiorano piano, deteriorandoci dall’interno.
Molto spesso ci divorano in un sol boccone.
Possiamo far finta di niente, ma sono peggio di un grillo parlante, peggio di una pulce nell’orecchio.
Un ago nella schiena.


Santana's PoV




Sembrava strano, eppure era estremamente naturale.

Io la guardavo dormire, distesa sul suo fianco destro, accanto a me.
Terminate le lacrime, avevamo entrambe acconsentito a metterci comode per affrontare la situazione: discutere, parlare, come aveva detto lei.
E così facemmo; prendemmo posto sul letto, entrambe stese su un fianco per poterci guardare in viso; e non ci fu istante in cui avessimo distolto lo sguardo l'una dagli occhi dell'altra. Ma di parole nemmeno l'ombra.
Le nostre labbra erano chiuse, saldate in imbarazzati eppure irrefrenabili sorrisi.
Dopo vani tentativi di iniziare un qualsiasi tipo di conversazione ci rinunciammo;
le parole erano l'ultima cosa di cui avevamo bisogno.
Per il momento volevo accontentarmi dei suoi bellissimi occhi azzurri, di cui si notava solo la limpidezza, e non il rossore, nel buio della stanza.
Volevo godermi il suo sguardo di nuovo nel mio, volevo godermi il suo viso, ogni minima variazione, ogni cambio di espressione.
Volevo tutto, tutto in un istante. Volevo lei, solo lei.
Il resto del mondo non aveva importanza.
E fu la prima volta che compresi realmente il significato di quella frase, di quel pensiero.
C'era Brittany accanto a me, su quel letto, a condividere con me il cuscino, a riscaldarmi con il calore della sua pelle nell'aria, quella stessa aria che respiravamo e che le nostre bocche si scambiavano poco distanti.

C'era lei, solo lei.
Lei che, per prima, aveva ceduto alla stanchezza delle palpebre, dei suoi occhi freschi di lacrime.

Ed io la osservavo teneramente, con occhi socchiusi, riposare pacificamente, mentre alzava piano il petto per respirare, lasciando sfuggire piccoli sbuffi d'aria dalla sua bocca leggermente schiusa, su cui si posava qualche ricciolo biondo, qualche ciuffo ribelle a quelli che le incorniciavano il viso e le ricadevano sulle spalle.
Era così bella...
E io non potevo andare a dormire, non potevo riposare gli occhi, perché avrebbe significato perdersi quella bellezza di cui i miei occhi potevano finalmente godere dopo tanto tempo.
Quella bellezza si offriva ai miei occhi stanchi e io dovevo assecondarla.

E anche con meno attenzione, meno vigile di prima, continuavo ad osservarla, a godere di quella preziosa visione, che non sapevo quanto potesse durare;
continuavo ad innamorarmi, più di prima, sempre di lei.
Non potevo negarlo a me stessa, mentre un sorriso mi compariva sul viso, mentre i miei occhi restavano aperti.

E avrei voluto toccarla, sfiorarne la pelle, tracciare i contorni del suo viso, stringere quei fluenti capelli biondi, di cui sentivo il dolce e avvolgente profumo, ma non potevo. Sapevo che la situazione tra noi due era ancora tutta da chiarire ed una mossa azzardata come quella avrebbe potuto complicare la situazione, se non comprometterla per sempre.

Per ora eravamo due amiche di lunga data che si riconciliavano dopo una drastica separazione.
Almeno era quello che un occhio esterno avrebbe detto di noi, quello che sulla carta saremmo apparse.
Ma oltre agli anni trascorsi, dietro gli errori commessi e le parole non dette, c'era un sentimento mai spento, mai nemmeno consumato, ma vivo, vivo più che mai.

Più che amiche, ma nemmeno amanti.
Forse, come aveva detto lei, un chiarimento sarebbe stato necessario, nonostante io fossi convinta che i gesti valessero e dicessero più di mille parole.

E volevo davvero tenere basse le mie aspettative, sotto controllo le speranze, ma il mio cuore era fuori controllo.
Non sapevo minimamente cosa sarebbe successo di lì ad un minuto, di lì ad un'ora, cosa significasse averla lì nel mio stesso letto e cosa significasse per lei, però non volevo che finisse, non volevo che aprisse gli occhi, perlomeno non per tornare alla realtà; volevo che li aprisse solo per poter continuare a sognare, sognare con me.


Le sue palpebre si strinsero forte e poi un occhio lentamente si schiuse e mise a fuoco me.

Io, messa all'erta dalla sua improvvisa veglia, avrei voluto far finta di dormire, di aver appena aperto gli occhi, ma sapevo che mi aveva visto, mi aveva beccata ad osservarla, osservarla dormire; come se ci fosse qualcosa di più inquietante di questo!
Parole, non riuscivo a trovarne di adatte.
Toccarla era l'ultima delle mie opzioni, sapendo la reazione a catena che avrei scatenato dentro di me.
Non mi rimaneva che abbozzare un sorriso ed evitare il suo sguardo indecifrabile.

Mi salvò la sveglia sul comodino che emise qualche flebile suono, cosa che mi indusse a lanciargli un'occhiata, oltre la spalla di Brittany, per scoprire che fosse mezzanotte.

A quel punto tornai a rivolgere il mio sguardo su di lei, nei suoi occhi, con calma ritrovata, accentuata da un più sincero sorriso.
"Buon Natale, Britt..."
Il suo sguardo, dapprima sorpreso, si voltò a guardare anche lei la sveglia, facendola torcere in maniera innaturale, rischiando di cadere.

"Attenta!"
Allungai istintivamente un braccio per acciuffarla prima che precipitasse giù dal bordo del letto.
E così mi ritrovai con una mano, sulla parte bassa della sua schiena, che la stringeva a me, che la schiacciava contro il mio corpo.

Ripresasi anche lei dall'istante in cui aveva temuto di cadere, mi fissò intensamente, con un leggero affanno, che imitava il mio, dovuto all'emozione, alla repentina vicinanza a cui si erano ritrovati i nostri visi, i nostri nasi, le nostre labbra.

"Mi dispiace... non... non volevo... io..." farfugliai nervosamente mentre cercavo di raggiungere il bordo opposto del letto e frapporre, per quanto possibile, un minimo spazio tra i nostri corpi caldi, che sembravano attirarsi come calamite.

"Non scusarti... mi hai presa appena in tempo, grazie." disse lei portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio e rigirandosi la punta tra le dita.

Deglutì silenziosamente e attesi. Quel contatto che avevo tanto agognato con il suo corpo aveva, come immaginavo, scombussolato ogni razionale pensiero.
Non riuscivo a dare retta a nessun filo logico nella mia mente, sentivo solo il mio corpo bruciare, pizzicare in tutti quei punti in cui la mia pelle era venuta a contatto con la sua.
I nostri movimenti avevano fatto sollevare qualche indumento, per cui la mia caviglia aveva toccato la sua, il dito mignolo della mia mano destra aveva toccato il lembo di schiena sotto la sua maglia, i nostri ventri si erano sfiorati e avevo sentito il suo spingere contro il mio per respirare.
Era avvenuto tutto così in fretta e in totale innocenza, ma realizzarlo mi mandava fuori di testa.

"Buon Natale anche a te, San"

Le sue parole catturarono i miei flussi di pensiero indirizzandoli verso qualcosa di concreto e che non includesse i nostri corpi.

Catturata dalla sua voce, però, faticai ancora una volta a rispondere.
E allora fu lei che, accoccolata su se stessa di fronte a me, guardandomi negli occhi, iniziò a parlare.
"Lo trovi strano?"
"Cosa?" riuscì a pronunciare in un sussurro.
"Questo... noi..." rispose con tranquillità, senza smuovere le mani da sotto al suo viso, fisso sul mio.

"Non lo so... non credo... è sbagliato se dico di no?" risposi con esitazione.
Lei sorrise, chiudendo brevemente gli occhi.

"No, certo che no. Non c'è giusto o sbagliato, stiamo solo esprimendo i nostri sentimenti... le nostre sensazioni..."
"E sappiamo bene entrambe quanto io sia brava in questo!"

La mia ironia la divertì, rise sinceramente, senza maschere o barriere.
E io mi ritrovai a pendere dalle sue labbra, dai suoi sorrisi, incapace di ridere anche io, perché troppo incantata da quel suono magico.
"Tu invece... lo trovi strano?"
Il sorriso rimase a divertirle le labbra.

"No, per niente. Sapevo che prima o poi ci saremmo incontrate di nuovo"
Fece una pausa. Distolse il suo sguardo dal mio e io mi allarmai leggermente, sentendo l'aria farsi pesante, stretta. Sapevo che ci stavamo inoltrando in una discussione pericolosa, dolorosa.

"Una volta ti dissi che saresti potuta tornare da me in qualsiasi momento, che avresti trovato in me la famiglia e l'affetto che non ti avrei mai negato... beh, sono contenta che tu non abbia aspettato oltre, San!"
Lasciai sfuggire il fiato che non mi ero accorta di aver trattenuto, sollevata per quella sua affermazione.
Ma ero ancora agitata, agitatissima! Sembrava che le cose dovessero procedere a rilento, che dovessero seguire delle regole che io avrei voluto sinceramente ignorare.
Sembrava che girassimo sempre attorno al nucleo di tutto senza mai centrarlo, volutamente, forse entrambe troppo spaventate delle conseguenze, troppo impaurite di provare ancora dolore.

Lei risollevò lo sguardo su di me e io lo abbassai colpevole.

Non volevo che leggesse nei miei occhi, improvvisamente non volevo che conoscesse tutti i miei pensieri, i miei desideri, il mio dolore; volevo mentirle.

Non per orgoglio, ma per paura.

Però lei continuava ad essere così terribilmente sincera!
Ancora una volta mi apriva il suo cuore, senza fretta mi stava facendo capire quanto significassi ancora per lei.
Mi aveva detto che le ero mancata, le sue lacrime avevano espresso la disperazione di quegli anni e la malinconia che aveva provato.

Mi aveva ribadito una promessa fatta anni e anni prima, quando ancora eravamo solite passare il Natale insieme.
Io in cambio volevo mentirle.

Che codarda!
Mi sentì un verme.

Alzai faticosamente gli occhi sui suoi.

"Mi dispiace averci messo tanto..."
Una confessione e una scusa che andavano ben oltre quella promessa, che andavano oltre gli anni appena trascorsi e perduti.
Io chiedevo scusa per essere stata così ottusa, così lenta a capire i miei sentimenti, così restia ad accettarli.
Chiedevo scusa per una vita di menzogne che terminava in quell'esatto momento.

Volevo ricominciare da zero, riscattare la mia seconda chance.

E forse Brittany capì, perché, mentre era persa nei miei occhi a cui le diedi libero accesso, notai una lacrima bagnarle la guancia, senza che il sorriso svanisse dalle sue labbra.

"Meglio tardi che mai."

Così anche io mi lasciai scappare una risata liberatoria intrisa di lacrime, di gola pungente, ma senza l'ombra di una menzogna.



Era assurdo, paradossale.
Anche se erano passati anni, anche se non eravamo le ragazzine d'un tempo, sebbene fossimo due persone diverse, cambiate, cresciute, ritrovarsi a ridere tra le lacrime era naturale, liberatorio. Era davvero bello. Mi faceva stare bene.
Sentivo di poter contare su qualcosa che andava oltre l'amicizia, oltre l'amore.
In quel momento Brittany era divenuta il mio destino.
E non mi importava se non saremmo riuscite a viverci, se non avessimo avuto occasione di esprimere il legame che ci univa.
Sapevo che ci appartenevamo, ora e per sempre.
Lo sentivo nelle nostre risate, lo vedevo nei suoi occhi, e nei miei riflessi nei suoi; lo percepivo sulla mia pelle, quel caldo brivido che percorreva il mio corpo ogni qualvolta il mio sfiorava il suo.

Ma qualcosa spezzò il tempo infinito in cui eravamo state proiettate.
Una voce lontana e dei passi pesanti sulle scale si intensificarono rapidamente senza che riuscissi a prevedere cosa sarebbe successo di lì a qualche istante.



"Anche se sono lì da due ore non significa che tu possa andare a disturbarle! Mamma... Mamma!!"

La porta si spalancò.
Gli sguardi si incontrarono e si sfidarono.
"Salve, signora Fabray!"
Rivolsi all'intrusa un sorriso sprezzante, accompagnato da uno sguardo che avrebbe fulminato chiunque.

"Dormono." le suggerì Quinn all'orecchio una volta che l'ebbe raggiunta "Contenta?"
Lanciai un'occhiata stranita a Brittany: solo in quel momento notai che aveva gli occhi serrati e faceva finta di dormire.
Il viso della padrona di casa si sollevò, lessi disgusto nei suoi occhi;
andò via in silenzio ignorando la "sconfitta".

"Scusala" mormorò Quinn mortificata.
Il mio viso si addolcì istantaneamente, le rivolsi un sorriso sincero prima che lei richiudesse la porta della stanza dietro di sé.

"Non si fida, eh?"
La voce bassa di Brittany mi destò da ulteriori pensieri.

Abbassai il viso per guardarla.
"No, non le siamo mai andate a genio... Possibile che tu non te ne sia mai accorta?"

"C'eri tu a saperlo per tutt'e due. Mi hai salvata da una verità che per me sarebbe stata troppo dura. Per me non esistevano le cattive persone..."
"E adesso?" chiesi curiosa, avendo notato il suo uso del tempo passato.

Lei sorrise, un sorriso maturo e sfumato d'amaro che mi era nuovo sul suo viso.
"Adesso... adesso le persone cattive esistono, ma non credo che lo siano sempre state o non possano tornare ad essere buone."
Non era più l'ingenua Brittany che conoscevo. Era la Brittany matura, consapevole, eppure ancora fiduciosa del mondo.

"Sei davvero cresciuta" constatai, con amarezza per essermi persa i suoi momenti migliori, ma anche con fierezza per la donna che era diventata, senza bisogno del mio aiuto, senza bisogno di aiuto alcuno.

"Così dicono!" rispose scherzosamente.
Ma il mio sguardo si rabbuiò e tentai di nasconderlo ai suoi occhi voltando il mio viso.

"A cosa pensi?" mi chiese tranquilla.
Sentivo che mi osservava, i miei lineamenti, le mie espressioni, incantata come io ero stata con lei. Ed era in attesa di una risposta sincera che mi ero ripromessa di non negarle.
"Sono una di quelle?" chiesi senza guardarla negli occhi.
Ma il suo silenzio mi costrinse a voltare il viso e incontrai il suo, corrucciato.
"Sono una di quelle persone cattive?" chiarì.
E stavolta i miei occhi erano fissi di nuovo nei suoi. E ne fui grata.
Perché il suo sguardo sincero, tranquillo, mi salvò da un baratro da cui sarebbe stato difficile riemergere.
"No." dichiarò con sicurezza, quasi con ammirazione. "Non lo sei mai stata."
Un sorriso sollevato mi dipinse le labbra, eppure abbassai lo sguardo, imbarazzata.

Potevo essere stata una stronza coi fiocchi, cattiva e sprezzante con tutti, ma se Brittany non mi credeva una cattiva persona, se Brittany credeva in me, se era lei e anche solo lei a farlo, dopo quello che era accaduto, allora doveva essere vero.
Solo lei poteva restituirmi la fiducia di cui avevo bisogno, così come l'ossigeno per respirare e il cuore per ricominciare a vivere.


 

 


Brittany's PoV



Era tutto così perfetto; noi due: di nuovo vicine, di nuovo insieme.
Potevo nuovamente godere del suo viso, dei suoi occhi scuri e confortevoli, della sua pelle invitante.

Nonostante la sofferenza, la malinconia, non avevo mai realizzato quanto veramente mi fosse mancata Santana.
Riuscì a capirlo solo una volta che la ebbi di nuovo con me, di nuovo fra le mie braccia.
Il mio corpo ci aveva messo un attimo a riconoscere il suo; e meno di un attimo a sentirsi completo come una volta, o forse ancora di più.

Era a lei che ero destinata, a lei che apparteneva il mio cuore, la mia anima, il mio corpo.

Capì quanto mi fosse mancato tutto quello: sentirsi bene, completi, sereni.
Sentire di appartenere a qualcuno e, abbracciandolo, appagare quella sensazione di mancanza.
Solo adesso potevo sentirmi viva, libera, felice.
Eppure sentivo come un ago, un piccolo fastidio dietro la schiena, la mia coscienza fastidiosa, che mi ricordava che non sarebbe stato così per sempre; che non dovevo abituarmi a quello stato di benessere, poiché così com'era tornato mi sarebbe stato tolto.
E sempre quel fastidio mi rammentava che era inutile correre, inutile godersi quella quiete, perché mancava qualcosa.
Avevamo entrambe voluto ignorare le parole, le spiegazioni, ancora una volta.

Ci eravamo distese e a lungo perse l'una negli occhi dell'altra.
Ma non potevo ignorare il masso che incombeva sulle nostre teste, sui nostri cuori.
Il peso che sentivo schiacciarmi il petto, mozzandomi il fiato, era il peso delle cose in sospeso che stavamo tentando di tacere.

E non volevo fare la guasta feste, non volevo essere io quella a riportarci coi piedi per terra, giù da quel letto e da quel sogno che stavamo fingendo di vivere.
Soprattutto non adesso che lei sembrava così serena, così fiduciosa, così rassicurata dalle mie parole sincere.
Eppure l'ago pungeva, fastidioso e doloroso, da non riuscire più ad ignorarlo.
Le parole divennero inevitabili.

Mentre guardavo i suoi occhi così dentro i miei, lasciai comunque che la testa prevalesse sul cuore, affranta e sconfitta.

"Quanto ti tratterrai?"
La mia domanda balzò nei suoi occhi così come la dura realtà.
Vidi nei suoi occhi la consapevolezza.
La vidi cadere dal sogno, dal letto, dalla sicurezza in cui l'avevo protetta.

Abbassò lo sguardo. Rifletteva.
Potevo percepire i suoi conflitti, le sue discussioni interiori, il peso che improvvisamente incombeva anche sul suo povero cuore.

Mai, mai e poi mai, avrei voluto infliggerle questo, altro dolore, altra sofferenza.
Ma dovevamo essere sincere: non potevamo continuare a guardarci negli occhi, perderci e crogiolarci in una stanza senza tempo, senza fiatare, senza avere il coraggio nemmeno di toccarci, per paura che tutto svanisse, che fosse tutto davvero un sogno.

"Non lo so..." rispose sinceramente, dopo qualche minuto. "Un giorno, forse due. Poi dovrò tornare all'università."
Stavolta fu lei a sconvolgere me; non credevo avessimo davvero così poco tempo.

Anni e anni ci separavano, andavano recuperati, e tutto quello che ci era concesso era -un giorno, forse due-.
Era inaccettabile!
Che destino beffardo era mai questo?!
"E tu, suppongo...?!" abbozzò, risollevando gli occhi su di me.
"Devo tornare a New York. Ho preso un paio di settimane di ferie, ma dopo..."
"Lavori?"
Lessi stupore e ammirazione nella sua voce, nei suoi occhi, mentre tentava di distrarsi dalla crudele realtà, dal tempo tiranno.
Annuì tristemente, lasciando intendere quanto mi fregasse poco del lavoro, della mia vita a New York, di quella finta conversazione, ora che lei era con me.

Poi abbassai lo sguardo.
Lei dapprima mi guardò: sentivo il suo sguardo su di me, potevo anche scorgerlo con la coda dell'occhio; poi intuì i miei pensieri.
Capì che portare avanti quella commedia non avrebbe aiutato, così abbassò anche lei il capo e tacque.
Ripiombammo in un silenzio meno piacevole di prima, ma necessario.
Ripercorsi in quegli istanti cosa avesse significato per me Santana: nella mia adolescenza, nella mia crescita, persino quando non mi era stata vicina, era il suo pensiero che mi aveva dato la forza di andare avanti.
La amavo, intensamente. E non potevo credere che dopo tutti quegli anni, dopo aver avuto l'occasione di incontrarci ancora, di sistemare le cose tra noi e ricominciare, quella stessa occasione risultasse totalmente inutile, insignificante, se non ancora più struggente.
Avevo riassaporato un pezzetto di felicità, l'aveva avvertita il mio corpo, l'aveva provata il mio cuore, e ora mi veniva portata via, di nuovo.
Mi veniva portata via la completezza, la mia ragione di vita.
Mi veniva strappato il cuore.
Le lacrime non fui in grado di frenarle.
Perché potevo essere cresciuta, ma il mio cuore era rimasto bambino: sincero e spontaneo.
Se il mio cuore era triste, il mio viso lo avrebbe mostrato.
La maturità per me non avrebbe mai significato incapacità di espressione o, peggio ancora, necessità di mentire.
Non avrei mai indossato alcuna maschera.
Se crescere avesse significato questo, come anni addietro aveva creduto Santana, allora mi sarei rifiutata di farlo; sarei rimasta un'eterna bambina.

E da una lacrima ne vennero fuori altre cento, mille, tra singhiozzi e gemiti, ancora troppo poco per esprimere il dolore che stava soffrendo il mio cuore.

E non potevo vederlo, potevo solo sentirlo, ma Santana piangeva con me.
Lo sentivo dai sobbalzi irregolari del materasso dettati dai nostri singulti.
Lo sentivo dai lamenti che emetteva, anche lei, ad intermittenza.
Ma soprattutto lo sentivo perché lo sentiva il cuore, il nostro unico cuore.
Avevano ripreso a battere all'unisono, a parlarsi, dopo tanto tempo, lontani anche loro e finalmente riuniti.
Il suo cuore sentiva il mio stesso dolore, lo stesso strazio, la stessa paradossale situazione in cui ci trovavamo costrette.

E avrei voluto urlare, ma non sarebbe servito a nulla.
Avrei voluto prenderla e scappare. Ma quel maledetto ago continuava a pungere dietro la mia schiena.
Perché doveva essere tutto così dannatamente complicato?
Non potevamo tornare a qualche anno fa? Portare questa nuova Santana indietro nel tempo con me?
No, non si poteva. Ed in parte era giusto così.
Solo ora capivo il forte significato del nostro legame.
Solo così avevamo acquisito il giusto senso di appartenenza, di amore, di destino.

Sentì la sua mano lentamente scivolare sul materasso, sotto la mia, abbandonata pesantemente accanto al mio corpo.
I lamenti si interruppero, i miei occhi si schiusero un po' e, sebbene ancora offuscati dalle lacrime, distinsero nettamente le nostre mani unite, le nostre dita intrecciate.
La sua pelle più scura in contrasto con il pallore della mia, ma non c’era niente di più bello.
Le fissai a lungo.
Era così che dovevano essere, così che dovevamo essere.
Unite, come le nostre mani.

Rialzai gli occhi pronti per incontrare i suoi, che già mi attendevano.

I suoi occhi belli erano ancora pieni di lacrime, ma il suo sorriso non mentiva.
Sorrisi tristemente anche io per ringraziarla di quel gesto consolatorio, di quella solidarietà che almeno ci era concessa.
Eravamo tornate quelle di una volta.

"Me lo fai un regalo di Natale?"
"Tutto quello che vuoi."
La sua totale prontezza, la sua incredibile sincerità, mi resero fiera della scelta che aveva fatto il mio cuore.
"Stringimi..."
La implorai con gli occhi lucidi, ancora provati, stringendo appena le dita ancora intrecciate alle sue, per invogliarla ad estendere l’abbraccio delle nostre mani anche a tutto il corpo.

E dopo un solo secondo di esitazione, forse solo per la sorpresa della mia rischiosa richiesta, si accostò a me delicatamente, avvolse le braccia alla mia schiena, intrecciò le sue gambe alle mie, si assicurò che ogni parte dei nostri corpi fosse in contatto, avvolto.
Non discostò gli occhi dai miei finché non fu sicura di avermi schiacciata a sé, di avermi stretta e protetta con il suo corpo caldo, profumato, indimenticabile.

Le punte dei nostri nasi si toccarono e la vidi per un attimo spostare lo sguardo sulle mie labbra.
Io attesi, indecisa, combattuta su cosa sperare.

Tornò a guardarmi dritto negli occhi con i quali si scusò.
E io seppi che non poteva farlo. Non poteva, come non potevo io.
Avrebbe significato distruggerci definitivamente, prima che il tempo a nostra disposizione fosse finito.
E poi... non servivano le labbra, i nostri corpi si stavano già baciando.

Affondai il viso nell’incavo del suo collo, poco più su del suo petto, e soffiai flebilmente, nel silenzio dei nostri respiri, le parole che non avevo avuto il coraggio di dire guardandola negli occhi.
“Sappi solo che qualsiasi cosa accada, ieri, domani e per sempre, noi due ci apparteniamo.”
Non avrei potuto proseguire, perché le parole mi morirono in gola.
Lei annuì quasi impercettibilmente e poi le sue lacrime mi bagnarono il collo.
Inspirai il suo profumo, mi strinse forte, ancora, e poi preferimmo sognare.



Piccola nota:

Un parto, signore e signori!!!  Volevo uccidermi!
E so che ci potrebbero essere milioni di errori, so anche che sarete tutte prese dal nuovo episodio di stanotte, ma era ora o mai più!
Meglio ora, no? xD
Vi assicuro, se non pubblicavo questa schifezza adesso, domattina avrei cancellato tutto!
Spero vi piaccia lo stesso nonostante il dramma... come al solito!
Let me know! :*

E ci tengo a ringraziare tutti quelli che leggono, recensiscono e altro.
Senza "piccoli" incentivi, come il vostro entusiasmo e la vostra fiducia, non starei qui a pubblicare e a crederci almeno un po' :)
A presto!
_CodA_












 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Ciò che ci inibisce o che ci fa pentire di non esserci inibiti: il senso di colpa.

Il senso di colpa latente e più tagliente di una lama durante l’accusa.
Ci fa rimpiangere azioni, pensieri, persone, dando vita al rimpianto.

Eppure, senza di esso, commetteremmo atti spesso irrazionali, istintivi, pericolosi.
E chi può dire che sia sbagliato?

Brittany's PoV


Non avevo solo dormito, non si trattava di aver semplicemente chiuso gli occhi ed essersi abbandonati al materasso per accontentare un corpo stanco.
Avevo riposato il corpo, avevo ristorato l'anima, cuore e membra avevano fatto la pace, avevano ripreso a convivere.
E avevo finalmente sognato, cullata da quel dolce profumo: il dolce profumo di Santana.
Come avevo potuto così stupidamente confonderlo con quello di qualcun'altro?
Come avevo solo potuto pensare che il suo profumo potesse essere simile, o addirittura uguale, a quello di un'altra persona?
Dawn poteva aver indossato una simile fragranza, ma il profumo particolare di Santana era quello che si creava mescolato con l'odore naturale della sua pelle, dettaglio essenziale che lo rendeva unico, inconfondibile,

Fu così che il suo dolce ed inimitabile profumo mi aveva trasportato a tempi passati, alla nostra adolescenza, ad una strana e non percepita felicità, ad una calma e ad una sicurezza lontana, al nostro amore forte e vivo, che mi bruciava il petto e mi faceva battere il cuore ogni mattina appena sveglia, e mi aveva permesso di sognare.

Mi sentivo avvolta, protetta com'ero dalle sue braccia, dalle sue gambe, dal suo petto, dal suo respiro. E, anche se avessimo dormito all'aria aperta, il mio corpo sarebbe rimasto scaldato dal suo.

Solo quando un leggero soffio fresco sfiorò le mie spalle, mi destai lentamente e presi coscienza della realtà.
Aprì con estrema calma gli occhi, prima l'uno e poi l'altro, cercando di mettere a fuoco gli oggetti attorno a me e di riordinare i pensieri.
Mentre il calore, che mi aveva protetto fino ad allora, evaporava dalla mia pelle e dai miei vestiti, mentre mi raffreddavo gradualmente eppure inesorabilmente, mi svegliai del tutto e capì di essere sola su quel letto ormai freddo.
E sentivo l'aria rinfrescarsi, il vento alzarsi progressivamente.
Mi sostenni sui gomiti e alzai la testa in cerca di qualcosa... di qualcuno.
E fortunatamente la vidi.
Santana era seduta sull'ampio davanzale della finestra aperta e guardava fuori.
Doveva essere presto, perché le luci che le illuminavano il viso erano quelle grigio azzurrine dell'alba.
Mi incantai ad osservarla, rapita com'ero dalla sua riscoperta bellezza.
I capelli nerissimi mossi all'indietro dal vento, che urtavano contro la tenda che oscillava in movimenti simili.
Gli occhi suoi scuri, colpiti dalla luce, erano limpidi, ma le sue palpebre socchiuse erano sintomo di una tristezza, di un pensiero opprimente, che troppo bene conoscevo.
Stringeva le mani sulla sua gamba destra, piegata leggermente, col ginocchio all'altezza quasi della sua testa.
E fissava il giardino, le case, i viali, la neve, il cielo, la natura, che conciliava i suoi pensieri.
Spesso Santana aveva bisogno di isolarsi, di pensare nel silenzio e nel buio assoluto. Poteva fare la stronza, creare caos e scompiglio, ma quando qualcosa le stava veramente a cuore, quando doveva riflettere su qualcosa che aveva reale importanza, doveva regnare il silenzio e la calma, non ne faceva parola con nessuno.
Ed ecco che ancora una volta sarebbe stato errato giudicare dall'apparenza.
Perché un corpo calmo e tranquillo può contenere anche il più inquieto degli animi.

Sapevo che quei momenti di chiarezza erano preziosi per Santana, così preziosi da averla spinta a lasciarmi sola su quel letto, pur sapendo che potesse essere una delle ultime occasioni che aveva di stringermi così.
Così necessario per pensieri troppo pressanti, troppo opprimenti.
Chiederle come stesse quindi non avrebbe avuto senso.
Potevo percepire il suo umore scuro e travagliato.
Forse non avrei potuto fare niente, ma lasciarla così, abbandonata a se stessa, non era giusto, e volevo aiutarla, volevo che una volta tanto affrontassimo il problema insieme, un passo alla volta.
Non poteva continuare a rinchiudersi per sempre nelle sue personali prigioni, con i suoi personali conflitti.
E soprattutto non ora che il problema era anche mio, che lo vivevo anch'io in prima persona.
Si sarebbe dovuta arrendere alla mia costanza, alla mia testarda volontà di aiutarla, di aiutarci.

Una più forte ondata di vento mi diede modo di iniziare a parlare.
"Mmm.. senti che buon profumo, quest'aria sa di buono.." sussurrai dapprima, per farla abituare alla mia improvvisa voce.
Si voltò piano verso di me, ancora seria in viso, ancora dentro i suoi pensieri, ma consapevole del mio risveglio.

"C'è qualcosa di magico nell'odore della legna bruciata a prima mattina, più che la notte. Di notte è scontato, è prevedibile. Mentre la mattina, con le prime luci del sole e quell'odore, quasi un sapore, ancora vivo, si percepisce l'incanto. L'odore della legna che brucia, scotta, contro la neve fresca appena posata sull'erba."

Riaprì gli occhi, che avevo chiuso nell'enfasi delle mie parole, e la vidi guardarmi.
E lentamente un sorriso comparve sulle sue labbra: piccolo, accennato, ma pur sempre un sorriso.
Ricambiai il gesto con più sicurezza, ma una vibrazione nella tasca del mio pantalone mi distrasse completamente.
Estrassi il cellulare e notai solo allora lo schermo lampeggiare ad intermittenza, indicando le 10 chiamate perse e un messaggio appena ricevuto.


Dawn:
-Spero che tu stia bene. Ho detto a tua madre che eri da Santana, per non farla preoccupare. Ma non ne sono sicura per cui, ti prego, rispondi presto! -


"Tutto bene?"
La sua voce flebile, eppure allarmata, mi fece sollevare il capo.
"Oh sì.. niente di che.. devo solo rispondere a questo messaggio..."
"E' quella Dawn? Il tuo cellulare non smetteva di vibrare..."

Il suo tono leggermente offeso ed al contempo aggressivo mi prese alla sprovvista.
Sapevo che Santana era una persona possessiva e gelosa, capivo anche le sue ragioni, ma non era proprio il caso di una scenata, non adesso, non dopo la scorsa notte.

"Sì, voleva sapere che fine avessi fatto... era preoccupata."
"Cos'è, il tuo cane da guardia?"
"No, semplicemente un'amica che si preoccupa per me dopo avermi vista sparire ieri sera..." risposi a tono, indispettita.
"Solo un'amica?"

La guardai con la bocca spalancata, sorpresa dalle sue parole dirette, dalla sua sfacciataggine, dalla rabbia con cui mi guardava come se fossi stata colpevole di qualcosa.
Inizialmente non riuscì a proferir parola, sperando che lei ritirasse quella frase con delle scuse sincere. Ma il suo sguardo restava, carico di gelosia, fisso nel mio.

"Non so dove tu voglia arrivare con queste insinuazioni, ma credo sia in ogni caso meglio chiuderla qui!" risposi con decisione, indignata, e distogliendo poi lo sguardo dal suo per mettermi a sedere.

"Insinuazioni? Solo insinuazioni?! Vuoi dirmi che non c'è niente tra di voi? Saresti capace di negarlo?"

Capì che la Santana che avevo visto poco prima riflettere davanti alla finestra doveva aver pensato a lungo, troppo a lungo, e sicuramente su troppe cose.

"Santana, ma cosa...? Che ti prende?"

"Vedi? Non fai che evitare di rispondere!" incalzò lei, senza smorzare i toni.

"Non sto evitando niente! Trovo solo tutto questo completamente insensato!" mi agitai, alzandomi dal letto e facendo qualche passo verso di lei, ancora sul davanzale.

"Insensato? Insensato è tutto questo! Questa... menzogna!" urlò, alzandosi e venendo verso di me.

Era troppo arrabbiata per ragionare, per parlare lucidamente; lo sapevo e mi dispiaceva vederla così. Era nel panico.
E io volevo restare calma, ma le sue domande ed il suo tono mi indisponevano, istigandomi a risponderle con altrettanto astio.

"Ma perché parli così? Cos'è successo?"

"Ah questo sono io a chiederlo a te..." commentò con un sorriso di scherno, ironico e cattivo.

Quando faceva la stronza con me non potevo sopportarlo, non senza una motivazione.
Non solo era difficile entrare nei suoi grovigli mentali, dovevo anche fare i conti con la sua inappropriata ironia!

"Oh insomma, Santana, cosa vuoi che ti dica?" domandai retoricamente esasperata.

"Ci sei andata a letto?" chiese a bruciapelo, con voce bassa ed impassibile.

E lì per lì mi spiazzò.
Sapevo che cercava conferme, sicurezza e protezione.
Ma non potevo dargliele, non così.
In questo modo ci saremmo solo fatte del male e lo sapeva. Sembrava quasi lo facesse apposta.
Ma intanto, nonostante tutte le mie considerazioni, la domanda restava priva della sua risposta. Incombeva sulle nostre teste, aleggiava tra noi, nella tensione che si era man mano creata con le parole, i toni e la disperazione, la pressione che quella situazione aveva portato.

Negare avrebbe significato mentirle.
Confermare l'avrebbe uccisa.
In tutt'e due i casi ne uscivamo sconfitte entrambe.
Non c'era modo di salvarsi, e lei lo sapeva.
E se era la verità quella che andava cercando...

Abbassai dapprima il capo imbarazzata e poi cercai le parole, anche se di giuste non ne esistevano.
"Siamo state insieme, tempo fa..."

All'improvviso il senso di colpa, che aveva voluto addossarmi con quelle insinuazioni, mi investì completamente, lasciandomi inerme, priva di forze e di pensieri.
Era come se avessi confessato un delitto.
Sebbene fino ad un attimo prima fossi stata consapevole di non aver fatto nulla di male, adesso, ad alta voce, con il suo sguardo nei miei occhi, la sua gelosia nella mia testa, le mie azioni apparivano tremendamente sbagliate.
Non lo erano; avevo avuto ogni diritto di tentare di rifarmi una vita, esattamente come lei.
Ma sentendo la sua voce ed il suo dolore, sapevo che tutto questo le appariva come uno sporco tradimento.

I suoi occhi, mentre lei focalizzava le mie parole, si riempirono di lacrime che stentavano ad uscire.
Era troppo sconvolta per trovare la forza di voltarsi, ma ancora troppo orgogliosa e testarda per lasciarsi andare alle lacrime davanti a me.

Non doveva andare così, non era necessario che lei lo sapesse.
Aveva deciso di infliggersi una ferita inutile e mi aveva reso la sua carnefice.
Non era giusto.

"Santana..." provai, avanzando di un passo.

La sua immobilità, seppur dettata dallo shock, mi permise di continuare ad avvicinarmi.

"Santana, ti prego... ascoltami..."

Cercavo con la mia voce di calmarla e riportarla alla realtà.
Volevo che ascoltasse quello che avevo da dirle. Era importante che sentisse le mie ragioni, volevo che capisse. Ma di ragioni concrete, pensandoci, non ne avevo;
Nessuna che avesse più alcuna importanza.
Per quanto tentassi di restare calma, mi stava trascinando nel panico e nella confusione assieme a lei.

Sfiorai le sue spalle con le mani e poi le strinsi.
Lei non si mosse, non rifiutò il mio tocco; a questo punto non ero sicura nemmeno che lo percepisse. Non riuscivo a capire quanto fosse lucida.
Aveva lo sguardo umido fisso verso il pavimento, con le labbra leggermente schiuse ed un corpo rigido al quale non sembrava più appartenere.

"Santana... Santana guardami, ti prego..."

Lentamente risollevò lo sguardo su di me. Si perse per qualche secondo nei miei occhi e sempre lì si ritrovò.
Poi iniziò a muovere le labbra per dire qualcosa, ma le lacrime la precedettero;
le rigarono il viso sino al mento, macchiando entrambe le guance.

"E'-è troppo tardi, non è vero?" balbettò lievemente.

E' capì finalmente le sue motivazioni, i suoi intenti, i suoi grovigli.
Aveva solo voluto trovarsi faccia a faccia con la dura realtà; qualcun'altro, al di fuori di se stessa, che le dicesse che aveva combinato l'ennesimo disastro, che le ricordasse che le sue occasioni le aveva sprecate.

Mi apparve così piccola, così indifesa.
Era completamente distrutta, in parte anche per colpa mia.
Non volevo fare altro che stringerla.

Con le mani ancora salde sulle sue spalle, poggiai delicatamente la mia fronte alla sua, chiudendo gli occhi contemporaneamente ai suoi, ed iniziammo a respirare.

Dovevamo riprenderci da troppe emozioni, troppi scossoni emotivi che ci stavano provocando un collasso.

Lasciai fluire il tempo. Ascoltai il suo respiro farsi più regolare, meno spezzato dai singhiozzi; lasciai che il vento dalla finestra ci colpisse e ci inebriasse i polmoni di aria fresca e nuova.
Ne avevamo bisogno.

Di nuovo, l'odore della legna, della neve fresca, il freddo, mi ricordarono che era Natale. Uno strano e nuovo Natale.
Ma un Natale con Santana.

Presi coraggio, un altro respiro.

"Sono stata via di casa per due anni, oramai... e ho tentato di costruirmi una vita lontano da tutto e tutti... ho tentato..." mi soffermai.
"...ma la mia non è vita senza di te."
Cacciai ancora l'aria che avevo trattenuto e strinsi forte gli occhi per non far uscire le lacrime. Sentì le sue mani poggiarsi sulle mie, sopra le sue spalle, e sorrisi, aspirando il suo profumo. "Dio, avevo dimenticato cosa fosse la felicità..."

Sentì sorridere sollevata anche lei, mentre avevamo le nostre fronti a contatto e gli occhi ancora chiusi.
"Non sarà mai troppo tardi." Volevo che almeno questo fosse chiaro.
"Per te, Santana Lopez, il mio cuore sarà sempre pronto ad accoglierti, oggi o tra vent'anni."

Smisi di parlare ed aprì le palpebre, aspettando che lei facesse lo stesso.
Una volta di nuovo occhi negli occhi, le sorrisi dolcemente.
"Ci apparteniamo, ricordi?" le chiesi retoricamente rammentando le parole della sera prima.

E lei non annuì, non disse nulla.
Si limitò ad alzarsi leggermente sulle punte, chiudere semplicemente gli occhi e baciarmi.

Catturò il mio labbro superiore ed i miei occhi si serrarono, improvvisamente incantata da quella sensazione familiare delle sue labbra carnose che si stringevano sulle mie, con delicatezza.
Strinsi istintivamente di più le mie mani sulle sue spalle e le sue dita risposero all'istante, intrecciandosi alle mie.
Sentivo la morbidezza della sua bocca, il calore della sua pelle, il suo respiro interrotto.
Non ci volle molto per farmi desiderare di più, per rendermi impaziente, famelica.
Una volta che le nostre labbra si furono riconosciute, risultò naturale approfondire quel bacio.
Separai le nostre fronti e mi avvicinai a lei, schiacciandomi contro il suo corpo.
Le sue dita liberarono le mie e volarono dietro il mio collo per portarmi verso di sé e le mie mani finirono sulle sue guance, sui suoi capelli, sulla sua nuca.
La stringevo e la carezzavo pregando che quell'attimo, quel bacio, non avesse mai fine.
La sua lingua venerava la mia, facendomi perdere del tutto il controllo.

Una bocca non era abbastanza per saziare la mia sete, la mia fame di lei.
La volevo, tutta. E quel bacio passionale ne era la prova.

Ma un bacio non poteva cancellare del tutto i nostri pensieri, le nostre preoccupazioni.
Soprattutto non le sue.

"Britt..." mormorò sulle mie labbra.

Io tornai con calma al suo labbro superiore sfiorandolo con il mio.
"Britt... dovremmo andare di sotto.." pronunciò in pieno tormento interiore, tentando di dire di no alle mie labbra mentre mi stringeva con forza contro di sé, con le dita strette alle mie ciocche bionde.

"...p-prima che la signora Fabray sospetti qualcosa..."
Concluse e, non so con quale forza di volontà, riuscì ad impedire alle sue labbra di scontrarsi nuovamente con le mie.
Riposizionò le nostre fronti una contro l'altra e chiuse gli occhi per riprendersi.
Io non ci riuscì. Ero in balia del suo bacio, delle sue labbra, del suo profumo, dei suoi capelli setosi e delle sue mani su di me.

"Ci vediamo di sotto..." sussurrò, lasciando frantumare il suo fiato caldo, le sue parole, contro la mia bocca ancora troppo vicina.

Ancora una volta il calore lasciò posto al freddo.
Ero stordita, incapace di ragionare e desiderosa ancora di quelle splendide labbra.
Ero innamorata.



Un ulteriore squillo mi destò.
"Pronto?" risposi vagamente, ancora incapace di formulare pensieri concreti che non fossero legati al sapore di quel bacio.

"Brittany, ma dove diavolo sei finita? Iniziavo a preoccuparmi! Sono andata a dormire pensando di trovarti qui al mio risveglio e a tua madre per poco non veniva un infarto quando le ho fatto notare che non eri tornata! Ho passato l'ultima ora a tranquillizzarla senza sapere realmente cosa dirle!!!"
Quella valanga di urlanti parole stonarono le mie orecchie distratte. Non ero realmente connessa alle sue frasi, alla realtà. Tutto quello che percepì fu la sua ansia.
"Dawn, calmati... Sono a casa di Quinn..."
"Ottimo, ho anche mentito a tua madre! Le ho detto che eri da Santana!"
"Beh tecnicamente Santana è con me quindi... niente di grave."
Aver detto il suo nome mi fece perdere nuovamente nel ricordo di ciò che era accaduto. Era lì con me, qualche minuto prima, stretta a me in quell'angolo della stanza; e mi baciava.
Non era passato nemmeno un giorno e avevamo già ceduto alle vecchie abitudini: intense, ma dolorose.

Cosa sarebbe accaduto adesso?
"...Britt, mi stai ascoltando?"
"Eh... Dawn, scusa è che.. non ho dormito molto.." mentì rapidamente.

"Dicevo... hai intenzione di passare la giornata là? Perché tua madre non vedeva l'ora di riaverti per Natale e adesso questo..."
"Questo..." mormorai in un sussurro, una riflessione su una parola così vaga, così indefinita, esattamente come quella situazione, quello strano rapporto con Santana che sembrava ripreso come se non fosse stato mai interrotto.

"Allora?"
La pressione che stava mettendo in ogni parola, la sua voce continua, il senso di colpa che ancora una volta cercava di divorarmi, erano diventati estenuanti.
Volevo che tutto sparisse, compresa Dawn, cosicché avessi qualche minuto per pensare. Solo qualche minuto...
"Britt, ci sei?"
Lasciai andare un sospiro esasperato e mi rassegnai all'idea di non avere tempo per riflettere, per fare ordine nel mio caotico e lento cervellino.

"Sì, Dawn, sì. Dì a mia madre che torno per pranzo, devo risolvere prima.. delle cose..."
"Già..." commentò astiosamente.

Sapevo che non sopportava particolarmente tutta quella situazione, la mia repentina vicinanza a Santana che rendeva radicale ogni mio comportamento.

In sua presenza, me ne rendevo conto, cambiavo completamente.

Divenivo irrequieta, impaziente, distante, con tutti. Perché concentravo ogni mio lato positivo su di un'unica persona.

Ed era inaccettabile, per non dire infantile e patetico, ma non potevo assolutamente controllarlo. E in fondo tutto ciò mi faceva sorridere. Era Santana l'unica, l'unica per cui corpo e spirito perdevano ogni controllo.

"Credi di poter resistere qualche ora?" le chiesi, sebbene una sua risposta negativa non avrebbe minimamente cambiato i miei programmi.

"Sì, credo di sì... la tua famiglia è simpatica. Poi ho tua madre da tranquillizzare..."
"Grazie, Dawn! Non sai quanto significhi per me! E' il migliore regalo di Natale che potessi farmi!"
"E la foto allora?"
La foto. Mi ricordai di un'altra foto, identica alla mia, eppure più stropicciata, che andava restituita alla legittima proprietaria.
"Stupenda anche quella, ovviamente. Allora a più tardi, eh?"
La liquidai rapidamente, senza fare nemmeno attenzione alle sue ultime parole, ma aspettando solo che passassero i secondi necessari per chiudere la telefonata.


Scesi rapidamente le scale di casa Fabray, cercando di darmi un tono agli ultimi due gradini, non sapendo chi potessi incontrare in quella grande casa.
Varcai silenziosamente la soglia della cucina e sullo stipite della porta mi fermai ad osservare Santana e Quinn che si scambiavano poche parole a bassa voce.
Quinn era in pigiama e stringeva tra le mani una tazza di tè fumante, mentre Santana, che le stava di fronte, sorseggiava quello che doveva essere un caffè, probabilmente macchiato come piaceva a lei.
Sembravano serene, soprattutto Santana.
Non aveva più quell'aria preoccupata e contrita. Il suo viso era rilassato, nonostante nei suoi occhi sostasse un alone di tristezza e malinconia.

E sorrisi.
Ero contenta che finalmente quelle due avessero trovato un equilibrio, un rapporto salutare in cui riporre fiducia.
Sapevo che per Santana, per tanti anni, ero stata l'unica ancora di salvezza; saperla sola mi aveva distrutto.
Ma ora capivo di aver fatto la scelta giusta.
La mia partenza ci aveva permesso di maturare, perdere quella totale dipendenza che ci aveva rese deboli.
La lontananza aveva messo in luce le cose importanti, gli affetti veri.
E ci aveva fatto rendere conto anche di quanto avessimo bisogno l'una dell'altra, io e Santana, in un modo completamente diverso.
Non avevo bisogno di lei perché non sapessi difendermi, attraversare la strada o vivere nel mondo reale.
Avevo bisogno di lei perché, una volta imparato a fare queste cose da sola, volevo qualcuno che mi accompagnasse lungo la strada.
Era lei la compagna che avrebbe reso piacevole ogni viaggio.


"Ehi biondina! Che fai qui in piedi?"
Con quelle parole ed una pacca rumorosa sulla spalla, il Matt che mi era stato presentato la sera prima rese nota la mia presenza.

Abbozzai un sorriso alle due che si erano voltate meravigliate verso di me.
"Buongiorno... c'è del tè?" chiesi nervosamente, rivolgendomi a Quinn ed evitando accuratamente gli occhi di Santana.

"Appena fatto!" sorrise lei, contenta di potermi accontentare.
Si voltò a versarmene una tazza e me la porse.

"E per me niente?" chiese offeso Matt, sedutosi accanto a me.

"Parla piano!" lo ammonì dapprima Quinn. "Cosa vuoi?"
"Un caffè, se possibile" rispose con un sorriso mellifluo a cui la bionda sembrò non resistere.
Mi distrassi nel sorseggiare il mio tè e non mi accorsi delle occhiate insistenti che stavo ricevendo.

"E voi due... perché siete già vestite e non siete in pigiama? Sono appena le 7 e mezza del 25 mattina!"

Il mio sguardo volò rapido ad incontrare quello di Santana, che mi guardava con il mio stesso imbarazzo e panico.

Non avevamo fatto niente di male, c'era una spiegazione sensata a tutto quello, eppure entrambe le nostre menti sembrarono catapultarsi a quell'ultimo avvenimento, a quel delizioso bacio, che ci fece colorire le guance.

"Brittany non aveva con sé ricambi e Santana sarà rimasta così per solidarietà, mi pare ovvio..." rispose Quinn di spalle, mentre versava il caffè.

Grazie al cielo aveva trovato lei le parole per entrambe!
E consapevoli dei nostri pensieri, ci tuffammo a bere dalle nostre tazze, per nascondere gli occhi imbarazzati l'una dall'altra.

Quando rialzai lo sguardo, per controllare che lei non mi stesse più guardando, l'occhio cadde sulla sua bocca, improvvisamente catturato dalla lingua che si era passata lentamente sulle labbra per pulirle da quell'ultima goccia di caffè.
Deglutì a fatica.

Sembravamo essere tornate ad avere 15 anni e la sensazione non mi dispiaceva più di tanto. Adoravo riscoprire l'intensità di quei sentimenti.
Ciò che detestavo era però l'essere di nuovo proiettati in una situazione di stallo di cui sembrava non avessimo il pieno controllo.

"... non conosco esattamente i programmi di mia madre, ma credo che potremmo organizzare una breve gita noi quattro."

Fui catapultata in una conversazione che per me non aveva né capo né coda.
Quinn sembrava parlasse già da un po' e sembrava scortese chiederle di ricominciare, per cui tentai di restare vaga.

"Ho promesso a mia madre di essere da lei per pranzo..."
"Così presto?"
Una Santana sconvolta non riuscì a tenere a freno la lingua, a dispetto dell'orgoglio e dell'imbarazzo.

Annuì tristemente e la stanza calò nel silenzio dettato dai nostri animi angosciati.

"Beh puoi sempre raggiungerci..." provò Quinn.

"Non credo sarà possibile. Sono tornata ieri ed ho passato la serata qui..."
Santana in uno scatto felino lasciò la tazza sul marmo e si catapultò rumorosamente su per le scale.

Abbassai il viso sconfitta.

"Vado a parlarle"
"No, vado io. Non preoccuparti, Quinn." La ringraziai con un sorriso e poi mi alzai per andare ad imboccare le scale.


Quando aprì la porta della stanza che avevamo condiviso, la prima cosa che vidi furono le sue spalle, la sua schiena, i suoi capelli neri.

Aveva il volto leggermente abbassato verso la scrivania su cui poggiava le mani.

Era tesa.

Richiusi la porta dietro di me e attesi parole che non vennero fuori.

"Hai intenzione di parlarmi o...?"
"Potrei chiederti la stessa cosa!" ringhiò lei, senza voltarsi.

"Senti, vuoi passare le ultime ore a litigare?"
Si voltò rapidamente e percepì il dolore sul suo viso, nonostante fossimo distanti.
"E di chi è la colpa?"
"Che significa?" chiesi sconvolta da quell'accusa.

"Non mi sembra che tu sia molto dispiaciuta di andartene. Anzi! Sembra che tu abbia fretta. E non fai nulla per cambiare le cose..."
"Mi pare che neanche tu stia facendo granché!"
"Perché non so cosa fare!"
"Nemmeno io!"

Piombò il silenzio, dopo quel breve ma intenso scambio di urla.
Mi sentivo affaticata, come se avessi sostenuto una battaglia. Ed era così.
Stavo lottando con lei, contro le nostre paure, contro il tempo, contro le circostanze; contro l'invincibile staticità delle cose.

Ripresi forza e la guardai nel mio stesso stato, poggiata alla scrivania, con i dubbi che le si leggevano in volto.

"Dobbiamo smetterla di fare così..."

"Perché? E' l'unico modo rimastoci per dimostrare che ancora ci teniamo, che ancora lottiamo per noi." sussurrò senza guardarmi.
Le sue parole rassegnate per un momento mi trassero in trappola, mi convinsero quasi della loro falsa verità. Ma guardandola, osservandola bene, distrutta dal suo stesso sentimento, capì che si sbagliava.

"E quello?" domandai indicando il suo pugno destro stretto in una morsa attorno al tubicino d'oro che le avevo regalato.

Il suo sguardo ricadde sulla sua stessa mano, come se non si fosse resa conto di averlo preso, di averlo stretto forte sino a quel momento.

Quella distrazione mi permise di avvicinarmi cautamente a lei.

"E quella?" chiesi ancora, indicando la catenina con la volpe che aveva legata al collo.

Strinse istintivamente il ciondolo tra le dita, forse finalmente consapevole di indossare tutti i segni della sua lotta.

"E questo...?" chiesi in un sussurro, oramai di fronte a lei, prima di accorciare le distanze e annullarle in un bacio;

Breve, a fior di labbra, eppure carico dei ricordi e dell'emozione del nostro primo.


Mi separai lentamente da lei, dalle sue labbra e dal suo viso, e la guardai negli occhi, una volta che si fu ripresa.

"Abbiamo lottato silenziosamente per tutti questi anni... non serve a niente urlare."

Abbassò subito il capo, colpevole, ammutolita dalle mie azioni e dalle mie parole.

Ma, con un dito sotto al suo mento, la costrinsi a sollevarlo e guardarmi.

"Passa questi due giorni con me..." la supplicai con un sorriso.

"E poi?" mi chiese lei, sfiduciata.

"Beh, potremmo vederci ogni Natale e-"
"Non lo stai suggerendo davvero..." mormorò, abbassando la testa, incredula e scostandomi da lei per potersi allontanare.

"Ci sto provando, Santana. Hai qualche idea migliore?" chiesi innervosita, seguendo i suoi movimenti con lo sguardo.
Si voltò di scatto, con un sorriso e una luce ritrovata negli occhi, come se non avesse aspettato altro che quella domanda.

"Potresti venire all'università con me, laurearti e..."
"L'università non è per me, lo sappiamo entrambe."
Stavolta fui io ad abbassare lo sguardo, sentendomi sconfitta.
"Non dire così! I corsi sono diversi e si adattano anche a diverse esigenze. Inoltre si tratterebbe solo di quattro anni..."
Parlava con tale fiducia, speranza, che per poco mi sembrò reale, fattibile.
Ma non era così semplice.

Avevo un lavoro ormai a New York, una casa, qualche amico, Dawn...

In parte significava mandare all'aria gli ultimi due anni della mia vita, vanificarli.

Eppure desideravo ardentemente che Santana facesse parte della mia nuova vita.
Ma non potevo chiederle di trasferirsi con me a New York, non potevo stravolgerle la vita, o addirittura rovinargliela. Dovevo trovare una soluzione.

Trovai i suoi occhioni fiduciosi ad attendermi e non potevo, non volevo, deluderli.

“Potrei tornare a casa, per un po’...”

A quelle parole vidi il suo volto illuminarsi, comparve un sorriso incredulo ed uno sguardo esterrefatto.

“Dici sul serio?” mi chiese, per non rischiare di abbandonarsi ad una vana euforia.

“Dico sul serio” confermai con un sorriso sincero.

E nel giro di un secondo mi saltò addosso senza che me ne fossi resa conto.

Avvinghiò le gambe alla mia schiena, mi cinse la nuca con le braccia e affondò la testa nel mio collo.

“Grazie, grazie, grazie, grazie...” continuava a ripetermelo all’orecchio, con la voce rotta dal pianto; lacrime felici, stavolta.

La strinsi forte.
In quel abbraccio così completo, pieno di gioia, sollievo e amore, lasciai andare il fiato che avevo trattenuto. Mi liberai del tutto e mi abbandonai alle sue braccia, mentre lei faceva altrettanto.

Mi baciò il collo, la guancia. Poi mi cinse il volto con le mani e catturò le mie labbra con le sue, fin quando non ebbe bisogno d’aria.
“Ti amo...” fui pronta a confessare ancora, dopo anni, stringendola ancora a me, su di me, occhi negli occhi.

Lei con un sorriso allentò la sua presa, tornò coi piedi per terra e si calò a prendere il tubicino che aveva lasciato cadere dall‘entusiasmo.

La sua reazione mi aveva lasciato sorpresa ed a tratti infastidita.
Ma capì ben presto il perché delle sue azioni.

“Sapevo sarebbe arrivato il giorno in cui avrei svelato questo segreto...”
Sotto i miei occhi ancora un po’ confusi, selezionò la lettera B, l’iniziale che permetteva l’apertura. Estrasse il foglio e lo srotolò di fronte a me, esibendolo con un sorriso felice e coinvolgente che mai le avevo visto indossare.
Lessi e con un sorriso condivisi la sua felicità.



-Ti amo, Brittany-


Piccola nota:
Ci avevo pensato a far finire tutto così, ma non credo sia giusto. Troppo incompleto, troppo. 
Non so ancora se il prossimo sarà l'ultimo capitolo, il definitivo, o se magari sarà l'ultimo seguito da un epilogo. Devo capire.
Intanto spero vi sia piaciuto il capitolo (che faticaccia!!!!) e le svolte che ha preso.
Let me know!!!
E adesso mi riposo che è quasi l'una e sto scrivendo e correggendo da ore!!! :/
Ciao ragazzuole :)
_CodA_






 

 

 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


La determinazione: tante persone ne fanno a meno, vi rinunciano, per la quantità di energie che impiega, per la forza necessaria, per il coraggio che si deve avere, per possederla.
Essere determinati è insito in noi, innato; qualche volta possiamo diventarlo.
Ma non possiamo mai smettere.
E la determinazione, se alimentata, cresce;
viva più che mai in un ideale, un sentimento, uno sguardo, in un intreccio di dita, da cui trarre forza.


Santana's PoV

Non so per quanto tempo continuammo a fissarci, sorridenti, mentre reggevo quel pezzo di carta oramai stropicciato, ma che aveva impresso il mio più grande segreto.

Ed ora che il segreto era stato svelato, ora che ero stata capace di rivelarlo, rivelare me stessa con esso, ammettere i miei sentimenti, sentivo davvero di poter ricominciare.
E qualcosa nel viso di Brittany mi suggeriva che anche lei era pronta a farlo.
Mi guardava, fiera e commossa, ma incapace di frenare la curva del suo sorriso, il luccichio nei suoi occhi, pieni di sollievo e felicità.
Era pietrificata dall’intensità di tutti quei sentimenti con cui l’avevano travolta tre semplici parole.
Passato almeno un minuto, però, iniziai a trovarmi scomoda in quella situazione, i suoi occhi fermi su di me iniziarono a mettermi in allarme; volevo che dicesse qualcosa, che mi dicesse che andava tutto bene e che era felice, come me.
“Britt, dì qualcosa. Io.. ”
Fui travolta da un abbraccio che non avevo visto minimamente arrivare.
Aveva spalancato le braccia e le aveva richiuse rapidamente, strette, forte su di me.
Sentì il suo respiro caldo e affannato sulla mia spalla, lentamente percepì anche le sue mani sulla mia schiena premermi forte contro di sé.
Abituandomi alla sua presa salda, al suo corpo caldo, mi sentì protetta.
Chiusi gli occhi e respirai piano.
L’avevo di nuovo tra le mie braccia, schiacciata contro di me, quasi per diventare una sola persona. E in realtà già lo eravamo;
Perché mi sentivo annullata in lei, completamente persa tra la sua pelle ed il suo profumo.
“Sono contenta di averti ritrovata...”
Un sussurro meglio di qualsiasi altra dichiarazione d’amore.
La conferma di cui avevo bisogno per poterla stringere forte a mia volta, per abbandonarmi sicura alle sue braccia, felice di non emergerne mai più.
Mi sentì di nuovo piccola, una bambina, la bambina che non ero mai stata, che andava protetta, coccolata, amata.
E, mentre la vecchia Santana Lopez sarebbe scappata da tutto questo, da sentimenti che avrebbe definito -sciocchi- e -da poppanti-, adesso la nuova me si tuffava senza paura in questa vasca di emozioni.
Finalmente ero cresciuta, ero divenuta una vera donna, illuminandomi della più semplice e forse banale delle riflessioni:
i sentimenti non erano mai stati per i deboli, ma per gli esseri umani.
E non c’era niente di più giusto che lasciarsi abbracciare da Brittany, lasciarsi amare da colei che amavo.
I nostri respiri si placarono entrambi. Era passato il bisogno impellente che aveva avuto di gettarsi su di me e stringermi forte. Restava però il desiderio di godersi l’una la presenza dell’altra, di continuare ad amarsi in un silenzio senza tempo.
“Non ti lascerei andare mai.” confessò.
“E allora non farlo...” risposi disperata, poggiando più comodamente la testa sul suo petto, con gli occhi chiusi, senza allentare la presa sulla sua schiena.
La sentì sorridere.
“Mi piacerebbe tanto, ma si sta facendo tardi...”
Mi limitai a stringerla più forte, a schiacciare la testa sul suo seno tanto da sentire il cuore battere forte sotto la sua pelle.
Non volevo fare altro che stringerla e sentire il suo cuore avvolta dal suo profumo.
“Ti prometto...” iniziò catturando la mia attenzione “..ti prometto che una volta uscite da questa stanza, non cambierà niente. Sarò ancora più decisa a recuperare gli anni perduti e mostrare al mondo là fuori di cosa siamo capaci insieme”
Sorrisi ancora sulla sua pelle, orgogliosa della sua forza, del suo coraggio, della sua voglia di combattere ancora.
Ma sebbene le sue parole fossero convincenti, pronunciate con quella voce tremendamente sicura e sensuale, il rifugio tra le sue braccia era molto più convincente; molto più allettante, molto più concreto.
"Pronta ad andare?"
Avrei voluto dire di no, perché in effetti affrontare il mondo di colpo mi sembrava un passo ancora troppo grande, ma non volevo deluderla, non volevo essere debole.
Volevo essere forte e coraggiosa per lei, dovevo renderla fiera della sua scelta.
Con calma mi staccai dal suo corpo accogliente, le regalai un sorriso sincero e annuì.
E, persuasa definitivamente dal sorriso che mi restituì, accettai la sua mano e mi lasciai condurre al piano di sotto.



"Hallelujah! Iniziavamo a credere che vi foste ammazzate a vicenda!"
Le parole di Matt passarono totalmente inosservate.
Lo sguardo di Quinn fu catturato dalle nostre mani intrecciate, dai nostri evidenti, seppur lievi, sorrisi.
E io la guardai, seguì il suo sguardo e poi tornai a guardarla.
Era felice per noi; tutto era come doveva essere, finalmente.
Io e Brittany ci stavamo prendendo la nostra rivincita, e non avrei potuto sperare in amica migliore che ci supportasse.
"Prendete qualcosa? Non avete finito la vostra colazione..." pronunciò Quinn con quella sua voce melliflua, quasi in un sussurro, temendo di spezzare qualcosa: quel legame perfetto tra le nostre dita, quell'aura di serenità che ci proteggeva.
"No, grazie" rispose, prontamente, Brittany; io ero al suo fianco, ma non avrei potuto dire niente, non sarei riuscita a parlare. Credevo ancora tutto così surreale e idilliaco.
"Passeremo la giornata a casa dei miei, non vorrei fare aspettare ancora mia madre. In fondo... sono anni che non mi vede!" concluse con un sorriso e aspettandosene altri in cambio.
Ma mancava qualcosa.
"Che cosa le hai fatto?"
La domanda di Matt portò l'attenzione su di me.
Sentì i loro sguardi posarsi, indugiare, cercare qualsiasi cosa, ma io non li vedevo realmente, ero bloccata nei miei pensieri, nella mia felicità, nell'accettazione di una realtà ancora troppo surreale, che si tramutava in una semplice increspatura delle mie labbra.
"Che le hai combinato? L'hai drogata, per caso?" chiese allarmato lui, lasciando il suo sgabello per precipitarsi a guardarmi negli occhi e scrutare le mie pupille.
"Scusami...?" iniziò Brittany risentita.
"Dico... ma sei scemo?"
"Quinn, ma guardala! Non è lei!   Lopez!! Ci sei? Mi senti? Terra chiama Lopez!"
Continuavo a sorridere, mentre lui sventolava in modo agitato le mani, schioccando le dita come per farmi risvegliare.
Ma io ero già sveglia, era quello il bello. Non stavo sognando, era tutto vero.
"Niente! E'... è.."
"..cotta!" completò Quinn per lui, guardandomi rassegnata, ma felice.
"Già" concordò Matt allontanandosi quasi disgustato.
"Preferivo la Santana Lopez disperata; almeno quella, quando si incazzava, aveva le palle!" asserì riaccomodandosi sul suo sgabello dietro l'isola.
Di sott'occhio notai il volto di Brittany diretto verso il mio. Mi guardava e io non potei fare a meno di guardarla incantata a mia volta.
Quella dea bionda era mia, mia e solo mia!
"A me piace ogni versione di Santana Lopez, ogni aspetto originale" pronunciò Britt senza staccare i suoi occhi azzurri dai miei.
"Dio buono, sto per vomitare!"
Quinn, che era rimasta incantata a guardarci come un miraggio, assimilò le sue parole e si avvicinò a lui per un pugno sul braccio.
"Ma piantala! E' solo invidia la tua! E continua ad ingozzarti coi biscotti!" completò ficcandogliene uno in bocca.
"Beh.." cominciò Brittany voltandosi verso Quinn, distogliendomi da quello stato catatonico ".. noi dobbiamo andare. Quinn, è stato un piacere rivederti."
"Anche per me, tesoro" rispose lei abbracciandola brevemente.
"Spero di riuscire a vederti più spesso, soprattutto ora che mi fermerò un po' a Lima.."
"Come? Cosa?" chiese presa alla sprovvista.
Britt sorrise dell'esatta reazione che si aspettava di suscitare con una tale notizia.
"Ho deciso di tornare a Lima per qualche tempo e...  vedere come va"
Quinn spostò quasi impercettibilmente il suo sguardo su di me e poi tornò a sorridere verso Britt.
"Allora ci conto!"
Brittany annuì e poi, lentamente, in un graduale distacco, lasciò la mia mano per potersi allontanare e concederci qualche minuto da sole.
"Vado a recuperare le tue cose." mi rassicurò prima di uscire dalla cucina. "Scimmione, perché non vieni ad aiutarmi con i bagagli?"
"Ma.. io veramente.."
"Muoviti!" urlò Quinn guardandolo con astio per tutto il tragitto fin fuori dalla cucina.

"Allora.." sussurrai con un sospiro.
"Allora... eccoci qua..." lei fece altrettanto.
"Io.."
"Credi di star facendo la scelta giusta, San?"
Sapevo che Quinn sarebbe rimasta la parte razionale di me, la mamma preoccupata che non avevo mai avuto, la sorella maggiore che mi guardava le spalle. E soprattutto l'amica che, senza mezzi termini, mi diceva la sua.
"E' Brittany che voglio, è lei che ho sempre voluto" risposi, pronunciando finalmente parole sensate con serietà e passione.
"Voglio dire.. vi siete rincontrate ieri.. avete parlato ma.. Se lei si pentisse di restare qui? Se fosse accaduto troppo in fretta?"
"Fretta?" risi amaramente delle sue stupide obiezioni che volevano solo creare scompiglio alla mia situazione idilliaca. "Non credo di averci mai messo tanto tempo per una decisione, Quinn. Per anni ho negato a me stessa i miei sentimenti per lei, per anni ho rimpianto di essermi lasciata sfuggire l'opportunità di vivere questa storia, non sarò così stupida da ripetere lo stesso errore due volte!"
La mia determinazione, l'occhio lucido che però non aveva ceduto alla convinzione delle mie parole, sembrarono calmarla; forse finalmente quella storia valeva per lo meno un tentativo anche ai suoi occhi.
"Dovevo sentirtelo dire! Sono felice per voi!"
E lo splendido sorriso che mi rivolse mi fece capire che lo pensava davvero.
"Prendetevi cura l'una dell'altra, mi raccomando!"
Mi disse all'orecchio premurosamente, mentre mi abbracciava forte, forse come raramente era successo tra noi.
"Lo faremo" la rassicurai.
E, prima che potessi versare anche solo una lacrima, la voce di Brittany mi riportò a lei, alla realtà del momento, alla felicità che mi attendeva.
"E' tutto pronto!"
"Arrivo!" risposi.
Guardai ancora una volta Quinn, con un sorriso raggiante che mai avevo indossato prima.
Era innegabile: ero felice.



"Credi che sia giusto presentarsi qui, insieme, senza nemmeno avvisare?" chiesi preoccupata a Brittany, mentre guardavamo casa sua dall'esterno, tra la neve che accennava a sciogliersi sul prato, crogiolandoci nell'attesa e nella preoccupazione.
Chiedevo a lei, volevo che mi confermasse che non c'era pericolo, che sarebbe andato tutto bene, che sarebbero stati tutti felici per noi, proprio come lo era stata Quinn.
Ma leggevo esattamente le mie stesse paure sul suo volto, sulle sue labbra tirate, nei suoi occhi fissi.
E nonostante questo, dopo un mio lungo sospiro carico di tensione, prese la mano che avevo lasciato ricadere sul fianco, la strinse nella sua, intrecciò le sue dita alle mie, per l'ennesima volta quella mattina.
E gliene fui grata perché, non so come, quel gesto sembrava darmi la forza necessaria per affrontare i dubbi, le incertezze e le paure.
"Andrà bene"
Alle sue parole secche, mi voltai per guardarla, ma lei stavolta non mi donò i suoi occhi; temeva che avrei letto la menzogna che vi si nascondeva.
Così fui io a stringerle la mano.
"Male che vada, la mia auto l'ho parcheggiata proprio di fronte, non ci mettiamo niente a scappare!"
Ma non appena ebbi concluso la frase, strinsi gli occhi, conscia dell'errore che avevo fatto. Non volevo riaprirli, non osavo nemmeno immaginare come fosse la sua faccia ora: magari rossa di rabbia, con le sopracciglia aggrottate e gli occhi fiammanti.
Eppure la presa della sua mano era ancora salda nella mia.
Lentamente schiusi le palpebre e la vidi lì, impassibile, che mi fissava.
"Nessuno scapperà, né oggi né domani. Intesi?"
I miei occhi furono rapiti dai suoi, bloccati da quella voce decisa, priva di rancore o rabbia.
"Intesi.." sussurrai.
Accennato un passo, la seguì subito, stringendo ancora la sua mano, chiedendomi se però, una volta entrate, avrei dovuto lasciarla andare. Fu lei a darmi una risposta un attimo prima di bussare alla porta, voltandosi verso di me con un viso improvvisamente trasformato, prossimo al pianto.
"Non mi lasciare la mano, ok?"
"Ok.."
Cercai di sembrare il più sicura possibile, calma, e non totalmente impressionata dal suo stato di panico.
Suonò il campanello e a tempo di record la madre aprì la porta di mogano che conoscevo bene.
Ero così presa dall'ansia, dalla preoccupazione, dal dover tranquillizzare me per calmare anche Brittany, che avevo dimenticato che avrei finalmente rimesso piede in quella che era stata la mia seconda casa, il mio rifugio, il mio Natale.
Ma non ebbi modo di rifletterci a lungo.
L'istante in cui realizzai di star per varcare quella soglia, compiendo uno dei passi più grandi di tutta la mia vita, mi ritrovai faccia a faccia con la signora Pierce che, al quanto stupita, ci fissò imbarazzata.
"S-s-santana?! Non ti aspettavo, non sapevo nemmeno fossi in città! Britt, perché non mi hai detto che era in città? Avremmo organizzato una cena tutti insieme, come ai vecchi tempi! Vieni cara, entra!"
Con una valanga di parole e una mano sulla spalla, la signora Pierce mi spinse ad occupare l'atrio di casa, e io mi trascinai Brittany, che sembrava frastornata da ciò che accadeva, probabilmente più da ciò che credeva sarebbe accaduto.
Eppure era stata così sicura, così calma, fino a qualche minuto prima!
Questo repentino cambiamento mi mandava in confusione, senza che potessimo parlarne, senza che vi potessi porre rimedio.
Non riuscì a stare al passo della madre di Brittany, figuriamoci al passo delle sue parole!
"...sei diventata proprio una donna, è incredibile come passi il tempo..."
E nella confusione, nei disperati tentativi di capire di cosa andasse farneticando rumorosamente, mentre scompariva nel salone, i miei occhi si fermarono sulla figura che ci aveva appena raggiunto.
Dawn sostava allo stipite della porta, con le braccia intrecciate sotto al petto, un viso serio, contrito, e lo sguardo fisso sulle nostre mani intrecciate.
Non era come lo sguardo di Quinn, non era approvazione o felicità quella che si leggeva nei suoi occhi.
Provai istantaneamente rabbia.
Aveva avuto la mia Brittany, la donna a cui apparteneva il mio cuore da sempre, non aveva saputo renderla felice e adesso non riusciva ad accettare che lo fosse con me.
La cosa mi mandava in bestia.
"Che problemi hai?"
"Santana..." mi ammonì prontamente Brittany, stringendo più forte la mia mano, avendo notato lo sguardo teso che avevo rivolto a Dawn e che adesso mi stava ricambiando.
Quest'ultima invece di parlare, rispondere alla mia domanda, con impertinenza sbuffò rumorosamente, alzando gli occhi al cielo, e sparì in cucina.
"No, dico, ma l'hai vista?! Vuole la guerra!"
Brittany mi costrinse a girarmi completamente verso di lei, a guardarla negli occhi, a perdermi momentaneamente in quelle iridi azzurre innamorate di me.
Era bellissima.
"San.. San ascoltami, devi promettermi che cercherai di andare d'accordo con Dawn."
"Ma-"
"So che non è facile. Ma ho bisogno di sapere che non sarà necessario perderla;
è lei che si è presa cura del mio cuore durante tutto questo tempo..."
Abbassai la testa, sconfitta. Sapevo che era la verità, sapevo anche che non ne aveva nessuna colpa, ma quelle parole ferivano, colpivano in pieno petto, stracciavano fili di ferite appena cucite.
Sapevo che non era il pronunciarle a renderle vere, ma evitando di dirle, sarebbero scomparse, se non per sempre, il tempo necessario per accettarle.
"La puoi fare questa promessa? Per me?"
Era impossibile, nonostante il tumulto di tristezza e angoscia che mi stringeva il petto, poter dire di no a quegli occhi supplicanti, quel viso preoccupato, a quell'amorevole voce che mi chiedeva di fare la brava, di dimostrarmi matura, la donna che tutti avrebbero desiderato al proprio fianco.
E io, per lei, l'avrei fatto mille volte senza esitazione.
Sorrisi, cercando di non tradire la ferita sanguinante che continuava a bruciare, e annuì.
E poco mi importava della ferita quando, con la mano libera dalla mia, mi strinse una guancia e mi baciò.
"Ti amo tanto"
Era la conferma, le parole di cui sentivo il bisogno, l'impellente bisogno, per sapere che i miei sentimenti erano ricambiati, che i suoi erano forti e determinati come i miei.
"Ti amo anch'io" risposi flebilmente.
Lei sorrise felice, serena di nuovo.
Mi ricordai che anche lei era fragile, che anche lei, nonostante il viso sempre solare, le energie a mille e i pensieri positivi, aveva le sue paure, le sue angosce, forse più dolorose e acute delle mie, proprio perché costretta a nasconderle.
"Cerchiamo tua madre... l'ho vista sparire nel salotto parlottando e credo che a breve si accorgerà della nostra assenza.."
Annuì e ci incamminammo mano nella mano verso il salotto.
La madre era intenta a preparare il tavolo, addobbato di rosso e di verde,
Notai subito il grande albero di Natale, che si illuminava ad intermittenza, in fondo alla stanza e fui investita dai ricordi.
Non avrei mai creduto che ritrovare le cose esattamente com'erano, come le avevo lasciate, mi avrebbe fatto quest'effetto.
Sentivo finalmente di poter far parte di qualcosa, di potermelo godere, comprendendo l'importanza che quel rituale, il Natale e Brittany in sé avevano acquisito con il passare degli anni.
"Ragazze, eccovi! Stavo decidendo l'assegnazione dei posti..." concluse meditando a lungo. Non capivo se volesse spostare le sedie col pensiero o se aspettasse un'illuminazione. Aveva un che di surreale.
"Mamma, non credo ce ne sarà bisogno.." tentò di fermarla Britt, restando assieme a me un po' in disparte.
"Oh tesoro, ho invitato un bel po' di persone per pranzo! Credo che sarà necessario stabilire i posti!"
Non mi resi conto della situazione fin quando Brittany non parlò con voce sottile.
Le succedeva solo quando era molto emozionata, ed i suoi occhi mi suggerivano che non erano emozioni positive stavolta.
"Mamma... ma perché?"
"Oh, tesoro, come perché?! La tua famiglia vuole rivederti, vuole stare con te!" rispose tranquillamente la madre, con tale incuranza che desiderai improvvisamente farle sparire il sorriso con un sonoro ceffone.
"Ma... è.. è con te che voglio stare, mamma. Pensavo che avremmo passato questi giorni insieme.."
Il tono di voce tremante, quegli occhi lucidi, il viso più pallido del solito: era chiaramente sotto shock e allibita dalle parole e dalle azioni della madre, improvvisamente distante, quasi glaciale con quel sorriso inopportuno stampato sulla faccia.
"E saremo insieme! Insieme anche ai parenti!"
La osservavo continuare ad aggirare l'enorme tavolo che occupava il salone, sistemando posate e tovaglioli, spostando di pochi millimetri una candela rispetto al cesto del pane, continuando a distrarre lo sguardo da noi, continuando a camminare veloce, senza mai fermarsi.
"Perché fai così? Mamma, per favore, non possiamo essere solo io e te e...?!"
"Oh, non dire sciocchezze! Non vorrai essere egoista e risultare scortese nei confronti dei tuoi familiari che, oltretutto, ti hanno vista sparire anche questo terzo Natale!"
Mi sentì all'improvviso terribilmente fuori luogo. Era a causa mia se la sera prima Brittany era fuggita via, lasciando gli ospiti, i parenti, la madre, che avevano avuto, solo poche ore prima, occasione di rivederla.
La mano tremante nella mia, però, mi ricordò che non ero io quella che aveva bisogno d'aiuto, non ero io che, con autocommiserazione e disagio, avevo bisogno d'attenzione, ma lei; lei che stava assistendo ad un totale blocco della madre, una madre da sempre affettuosa che improvvisamente si stava comportando come se sua figlia non contasse niente, come se non esistesse; e chi meglio di me poteva capirla?
Dovevo starle vicina, ricordarle che c'ero io a volerle bene, c'ero io ad amarla;
Che lei non aveva fatto nulla di male, nulla di sbagliato. Poteva continuare a fidarsi di me e del mondo. La madre, prima o poi, avrebbe fatto i conti con se stessa perché, diversamente dalla mia, a lei importava qualcosa di sua figlia, le aveva sempre voluto bene.
Questo comportamento distaccato, anche se poteva non sembrare, ne era solo la conferma.
"Mamma! Che importa se ho perso il Natale assieme a loro! Voglio passarlo con te!"
Brittany iniziava ad agitarsi. Lo sbalordimento iniziale era passato e aveva lasciato posto alla frustrazione, alla rabbia, al bisogno di chiarire e non lasciare tutto in sospeso.
Ma la madre sembrava non volerne sapere. Si ostinava a girare in tondo, tornando sempre al punto di partenza, ripetendo gesti inutili solo per prendere tempo, per occupare la mente ed impedirle di prendere il sopravvento sulle sue parole.
Il silenzio che ora regnava era interrotto solo dal respiro affannoso della mia Brittany, che tratteneva quella voglia di combattere e urlare, e dalle posate che Mrs Pierce lasciava sbadatamente urtare di tanto in tanto.
Io ero ferma, immobile, trattenevo il respiro e lo lasciavo andare silenziosamente solo quando necessario. Avrei voluto scomparire, ma sapevo che dovevo restare per lei, per la bionda che stava al mio fianco, che mi amava e che io amavo, che aveva bisogno di me ora più che mai, e che stringeva la mia mano come fosse l'unica cosa che le fosse rimasta, la sua unica certezza e l'unica che fosse importante.
"Mamma, ti prego, aspetta! Sono qui adesso, perché non vuoi festeggiare con me, perché non mi vuoi nemmeno guardare?"
Quella domanda, così diretta, ghiacciò la madre sul posto e, non so esattamente perché, la sua reazione immobilizzò anche me, più di quanto non lo fossi già.
Trattenevo il respiro proprio come se fossi stata io sua figlia.
Temevo qualsiasi risposta.
Era questa la conversazione che sarebbe dovuta avvenire tra me e mia madre, tanti anni prima.
Perché non mi ascolti? Perché non mi guardi? Perché fai finta che io non esista?
Ma il coraggio mi era sempre mancato, avevo avuto troppa paura delle risposte, senza pensare che non averle affatto mi avrebbe gettato ugualmente nello sconforto, persa tra i -se- e i -ma-, nell'eterno rimorso.
La mia vita era fondata sui rimorsi.
Forse era questo il motivo per cui avevo sentito il bisogno vitale di chiarire con Brittany, di riprendere la nostra storia, darci le possibilità che ci eravamo negate, che io avevo reso impossibile anche solo pensare.
Riponevo in Brittany la risoluzione del mio eterno rimorso; seppure con esito negativo, avevo bisogno di porre la parola fine, capire se potevo o meno rimarginare la frattura di un rapporto madre-figlia trascurato, anzi, inesistente.
Brittany attendeva disperatamente una risposta, proprio come me, ma con maggior vigore, con coraggio e furore, con il desiderio negli occhi di non lasciare le cose in sospeso. Voleva che la madre alzasse lo sguardo su di lei e iniziasse a parlare.
Ma la signora Pierce fissò terrorizzata per alcuni secondi la tavola che aveva preparato.
"Ho lasciato le patate in forno..."
E senza aggiungere altro, scomparso il sorriso, con occhi e gesti svuotati da qualsiasi emozione, si diresse in cucina.
Mentre io mi lasciavo stupidamente prendere dal panico, credendo che il destino mi stesse mandando un qualche strano messaggio, confinandomi nell'inquietudine dell'incertezza, dell'irrisolvibile incomunicabilità, mi sentì strattonare e focalizzai i miei occhi su ciò che stava accadendo.
Misi a fuoco la mano che stringeva la mia, il braccio che mi tirava e i capelli biondi che si muovevano scompostamente all'indietro.
Brittany. Dovevo mettere a fuoco Brittany.
Quando voltammo l'angolo della stanza, seguendo esattamente il tragitto della madre verso la cucina, intravidi di profilo i suoi occhioni azzurri, sconvolti, umidi, sfuggenti.
La seguivo senza dire niente, trascinata, poco cosciente di ciò che mi circondava.
Ma di lei dovevo tenere conto, dovevo restare collegata alla sua realtà, al suo mondo e alle sue emozioni.
Feci l'unica cosa che sentivo di poter fare, senza interferire troppo o troppo poco: strinsi più forte le mie dita tra le sue, facendole sentire il calore, la vicinanza, l'amore.
Il mio pollice in automatico carezzò il dorso della sua mano.
-Sono qui con te-
Le aveva sussurrato la mia pelle.
Due secondi dopo, il tempo di percepire il contatto, di costringere la mente a deviare lo scorrere dei pensieri, convogliare riflessioni e sensazioni verso un palmo di mano, le sue dita risposero alla stretta.
Quel saldo intreccio il suo -Grazie-.

Una volta in cucina osservammo in silenzio la madre cacciare effettivamente le patate dal forno e poggiare la teglia sul marmo dell'isola.
Brittany aspettava impaziente una nuova reazione, una parola, qualsiasi cosa le desse la conferma che la madre per lo meno l'ascoltasse.
Lei combatteva, per entrambe, e io mi sentivo una nullità a confronto, incapace di reagire, persa com'ero in quella sensazione di sconforto e imminente fallimento; indossavo occhi disperati che mai avevo mostrato ad altri che non fossero i miei specchi.
Ma, cercando una distrazione, un modo per legarmi alla realtà, un modo che non fosse Brittany e la sua lotta, nonché la mia sconfitta, lo sguardo cadde su colei che sostava allo stipite dell'altra porta d'entrata per la cucina.
Dawn mi guardava, probabilmente già da un po', scontrosa e irritante.
All'istante seppi in quale altro sentimento rifugiarmi, seppi come evadere dalla paura.
La vecchia Santana Lopez l'aveva fatto per anni.
Dovevo concentrare le mie forze verso la gelosia, verso la rabbia, verso l'odio.
Riversare l'odio che provavo verso me stessa su qualcun'altro mi risultava talmente facile... e poi era così liberatorio!
Già solo pensarci mi stava lentamente cambiando.
I miei occhi focalizzavano solo lei ora.
Dawn: le sue labbra tirate, le sopracciglia incurvate, gli occhidi sfida.
Sapevo esattamente come sfruttare a mio favore i suoi impulsi, tutta l'energia negativa che stava trattenendo nel viso contratto e le braccia strette al petto.
Ero pronta: bastava un passo verso di lei per rivendicare la mia superiorità, dimostrando che non avevo alcun timore di avvicinarmi.
Voltai il mio corpo verso di lei, feci un passo e poi una mano stretta alla mia mi impedì ogni altro movimento.
Brittany non l'aveva fatto apposta, non aveva cercato di fermarmi, non si era accorta di nulla; semplicemente la sua presa era forte, potente, e mi aveva all'istante ricordato di lei, mi aveva ancorata a lei.
Mi voltai a guardarla, ancora immobile con lo sguardo fisso sulla madre, e sorrisi impercettibilmente.
Ogni pensiero negativo era sparito, ogni intenzione dimenticata; c'era solo lei, lei che senza saperlo riusciva a calmarmi, cambiarmi, rendermi la persona migliore che lei meritava.
Quando guardai nuovamente Dawn, la beccai a fissare la nostra stretta di mano, ancora più gelosa e stizzita. Poi si voltò dall'altra parte, fissando fuori dalla finestra, volendo ignorarmi completamente.
Non serviva mostrarmi superiore, non c'era bisogno di fare scenate, ribadire la posizione che doveva mantenere; era già tutto chiaro.
Bastavano le dita di Brittany che schiacciavano le mie, la fiducia e la forza che traeva dalla mia sola presenza, a rendere evidente l'amore sincero che ci univa.
E nessuno poteva competere.

Trionfavo in silenzio, mentre tornavo a guardare Brittany, aspettando con lei, ma senza pensare più tanto alla situazione irrisolta che si era cristallizzata sotto ai nostri occhi.
"Allora?"
La voce stridente tradiva l'impazienza, non senza ragioni.
La madre sostava dietro l'isola, mescolando ancora le patate con una forchetta senza che ce ne fosse alcun bisogno.
"Allora cosa, tesoro?"
Ed ecco tornare il sorriso, più tirato di prima, mentre cercava qualcos'altro su cui impegnare gli occhi e la mente.
Si diresse verso il frigorifero e poi tornò dov'era per preparare dell'insalata.
Si muoveva a scatti tra le credenze e le ante aperte e chiuse rapidamente, la velocità della routine.
"Mamma, guardami.. cosa c'è che non va? Parlami.."
La signora Pierce la ignorò completamente, mantenendo quello stupido sorriso sulle labbra mentre si dedicava ad altre faccende.
"Margaret, sai per caso dov'è quel maglione di lana che mi regalasti due Natali fa?!"
Il signor Pierce fece il suo ingresso in cucina senza fare troppo caso a noi, all'atmosfera, non per insensibilità, ma semplicemente perché non se l'aspettava, non poteva averne idea.
"Oh buongiorno, ragazze! Non vi ho sentito arrivare!"
Io e Dawn ci limitammo a sussurrare un -buongiorno- e sorridere, imbarazzate, coscienti della situazione di cui non potevamo informarlo.
"Randy, hai visto nel cassetto centrale?"
La voce spazientita della moglie spezzò ancora il silenzio.
Mi voltai subito a guardare Brittany che non aveva salutato il padre, non aveva detto niente, ma aspettava ancora che la madre si decidesse a parlare.
Ero preoccupata.
Ma, poiché continuava a fissare sua madre senza accorgersi del mio sguardo, tornai anch'io a seguire i loro discorsi.
"Prova, allora, nell'anta del mobile alto. Lì metto tutte le cose natalizie. Anche questa maglia che hai va benissimo, però!"
"Quella è più nuova! Ma.. tesoro, tutto bene?"
Di qualcosa Mr Pierce si era finalmente accorto. Aveva osservato gli occhi della moglie scorgendo ciò che avevo visto anche io: panico.
"Certo, ho solo mille e uno cose a cui pensare!"
Non volendo approfondire e credendo alle sue parole, si scambiarono un sorriso fugace e il marito lasciò nuovamente la cucina.
Prima che Brittany potesse ribadire un suo invito a parlare, la signora Pierce parlò.
"Dawn, cara, ti dispiacerebbe portare questa teglia al centro della tavola?! Ho già posizionato il sottopentola!"
"Nessun problema, signora Pierce!"
"Oh, che sciocchezze! Quante volte ti devo dire di chiamarmi Margaret?!"
Dawn sorrise impacciata, già diretta verso il salotto, impaziente di scampare a quella situazione.
“I condimenti!” esclamò poi la madre come se ci fosse chissà quale emozione nel ricordarsi tale futilità.
“Mamma...”
Avendo la testa ancora nella porta del frigorifero notai nettamente l’aria di uno sbuffo evaporare dalla sua bocca.
Neanche a Brittany sfuggì e approfittò di quel segno di debolezza.
“Mamma, possiamo parlarne? Cosa c’è?”
La madre chiuse la porta e tornò alle sue faccende, riprendendo l’apertura dei vari mobili alla ricerca di qualcosa che sembrava non trovare mai.
Brittany era stanca di doverla seguire velocemente con gli occhi, stanca di parlare ad una schiena, ad un sorriso tanto ostentato quanto falso, stanca di non avere risposte.
E sbottò, senza preavviso.
“Insomma!!! Vuoi fermarti un attimo e starmi a sentire?!?!”
Forse era la prima volta che vedevo Brittany veramente arrabbiata, spazientita, che alzava la voce.
Da adolescente era sempre stata solare e aveva imparato a lasciarsi scivolare addosso le cattiverie e i fastidi degli altri. Niente sembrava davvero turbarla. E, seppure accadeva, le sue reazioni erano sempre molto pacate.
Questa improvvisa reazione sorprese me e sicuramente anche la signora Pierce, almeno per i primi 10 secondi.
Poi la sua espressione cambiò. La stessa rabbia con cui si era animata Brittany infervorò gli occhi chiari della madre.
Il sorriso era scomparso.
“Fermarmi?!?!? Fermarmi??? Io non posso assolutamente fermarmi!!! Perché se mi fermo, se ti guardo negli occhi, qui a due passi da me, se ti vedo gironzolare per casa, adesso anche con Santana proprio come ai vecchi tempi, io torno indietro col tempo, dimentico che tu ora non vivi più qui, mi abituo di nuovo alla tua presenza, e lasciarti andare ancora sarà più doloroso di prima!”
Ci fu un attimo di silenzio.
Gli equilibri andavano lentamente ristabiliti, ma sembravamo tutt’e tre bloccate.
Io ero spaventata dalla signora Pierce, che era sempre stata pacata e adorabile, proprio come la figlia. Brittany invece era sotto shock. La osservai: aveva la bocca semiaperta, gli occhi inondati di lacrime che ancora stentavano ad uscire.
Volevo abbracciarla, ma non sarebbe servito a niente. Non ero io la causa della sua sorpresa, del suo dolore, ma la consapevolezza di non essere riuscita a capire la madre, di non essere riuscita a capire di averla ferita, tanti anni prima e ancora adesso.
Margaret Pierce era paonazza in viso. Recuperava un po’ di fiato e cercava di ossigenare nuovamente il cervello.
Aveva finalmente messo le carte in tavola, aveva fatto la prima mossa e ora aspettava una reazione dell’avversario.
Era necessaria una reazione, di qualsiasi tipo, e lo shock di Brittany, che prolungava l’attesa, non faceva che divorarmi da dentro.
La tensione non faceva che crescere, ora che la signora Pierce aveva dato sfogo ai suoi pensieri, alle sue preoccupazioni, ora che guardava Brittany dritta negli occhi invitandola a reagire, con la presunzione di essere dalla parte del giusto, dalla parte offesa, che doveva vendicare un dolore.
Strinsi inavvertitamente la sua mano, più per riflesso che altro, e in quello stesso istante una lacrima precipitò dall’occhio destro di Britt, dritta sul mento.
Lo shock era passato.
Stava tornando alla realtà, con coraggio era pronta ad affrontarla.
Schiuse le labbra, cercò tra i pensieri, il cuore e la lingua, le parole giuste da dire, le parole adatte, le parole.
Un’esitazione poco prima di muovere le labbra e suonò il campanello di casa, che spezzò il silenzio, spezzò la tensione, spezzò il momento.
Brittany e la madre si guardarono ancora negli occhi per qualche istante, pochi secondi, entrambe profondamente dispiaciute, eppure raggelate da un sentimento che era stato troppo tempo tenuto nascosto.
Si guardarono consapevoli che ancora una volta non potevano parlarne, che ancora una volta il discorso sarebbe rimasto in sospeso, mentre il dolore non faceva che acuirsi, ora anche nell’animo di Britt.
“Vado ad aprire”
Queste le uniche parole secche, prima che la madre uscisse.
Peggio del silenzio ovattato, in cui credevo di essere, ci fu percepire il respiro profondo di Brittany, che ancora tentava di assimilare le parole e gli avvenimenti.
La bocca era ormai chiusa e quando mi rivolsi totalmente verso di lei, le lacrime iniziarono a scorrere senza freni.
La guardai affranta, disperata per la mia impotenza.
Le accarezzai una guancia cercando di portar via qualcuna di quelle lacrime amareggiate.
“Sono una pessima figlia”
“Oh no, Britt... Ti prego, no. Non devi nemmeno pensarlo!”
La attirai verso di me e lei si rifugiò sul mio collo.
Le accarezzai dolcemente i capelli biondi, facendo scorrere la mano anche sulla sua  schiena, mentre si lasciava andare al pianto.
Separò le nostre mani per potermi abbracciare, per potermi stringere a sé più forte che poteva, per poter sentire sotto le dita anche altra pelle, tutto il mio corpo, che la cullava.
“Shhh...” continuavo a sussurrare, sperando trovasse un po’ di pace e un po’ di calma in quel dolce suono, nella mia voce. “Sei stata sempre un’ottima figlia, la migliore che si potesse desiderare. Tua madre ti ama tanto, così tanto da non sopportare di doverti perdere ancora..”
Le mie parole sembrarono peggiorare la situazione. Il pianto aumentò, si fece più rumoroso e io non sapevo cosa fare.
Capì che oramai non piangeva solo per la situazione con la madre.
Stava sfogando le emozioni di quei giorni, tutte, in una sola volta.
Aveva già pianto la prima sera, al buio tra le mie braccia, ma quello era stato quasi un pianto di gioia.
Era arrivato il momento di un pianto di liberazione. Doveva rinascere forte come prima, ma non poteva farlo se non si liberava della frustrazione, dello sconforto, della malinconia, dell’angoscia, di quelle catene che volevano affondarla.
Qualsiasi cosa avessi detto non sarebbe servito a niente. Dovevo limitarmi a stringerla, cullarla, essere lì per lei, con lei, condividendo le sue lacrime.
E potevo farlo. Volevo.
Se avessi potuto avrei assorbito io la tristezza per lei!
Non avrei mai voluto vedere lacrime in quegli occhi così belli.
Una volta che riemerse dal mio collo, sentì quasi un vuoto. Era così naturale che fosse vicino a me, il più vicino possibile; così naturale da sentirne il bisogno.
Avrei sentito sempre la sua mancanza, in ogni istante della mia vita, perché era una parte di me.
“Va un po’ meglio?” azzardai a chiedere, una volta che si fu stropicciata gli occhi, ormai contornati di rosso, come una bambina, come le avevo visto fare mille volte tanti anni prima.
Ringraziai, dentro di me, che certe cose non cambiassero mai.
“Poco”
Ma il fatto che rispondesse era già un gran segno. Potevo finalmente dire qualcosa, senza che peggiorassi la situazione.
“Britt...” sussurrai il suo nome, carezzandole la guancia sinistra ancora bagnata. “...sei una persona meravigliosa, una donna fenomenale e una figlia adorabile. Prima o poi lasciamo tutti casa; chi in un modo, chi in un altro. Siamo destinati a crescere. Tua madre deve solo farsene una ragione. Probabile che volesse solo poterti dire -ciao- prima che tu partissi...”
Lei abbassò lo sguardo, sconfitta, sentendo nuovamente i sensi di colpa inondarle gli occhi.
“... ma stavolta può dirti -bentornata-.” le ricordai, concludendo con un sorriso.
Risollevò il capo a quelle parole rassicuranti, ricordando il motivo principale per cui avevamo avuto tanto impazienza di parlare con la madre, e mi restituì un sorriso sincero, uno di quelli belli che solo lei aveva e che solo a me donava.
Uno strano vociare raggiunse le nostre orecchie in un lento crescendo.
I parenti stavano invadendo casa rumorosamente e non c’era più tanto tempo per momenti di quiete ed intimità.
“Pensiamo a sopravvivere al pranzo coi parenti; per il resto c’è tempo. Non ti pare?”
Le offrì nuovamente la mia mano che iniziava a sentire la mancanza della sua.
La accettò senza nemmeno guardarla, senza esitare, la strinse e mi sentì nuovamente completa, capace di poter respirare davvero.
 

Piccola nota:

Allooooooooora... prima di tutto mi rendo conto di dovervi delle scuse! xD
Dovete perdonarmi per la lunghissima attesa per questo capitolo, ma, tra vari esami ed impegni, questo capitolo, più che essere stato un parto (come al solito), ha avuto un lungo travaglio!
Spero che comunque il capitolo abbia ripagato l'attesa e che vi sia piaciuto (non vi nascondo, però, che non mi convince per niente, per cui... siate clementi!)
In oltre devo ringraziare quelli di voi che in un modo o nell'altro mi hanno sostenuto e spronato a continuare, quelli che hanno aspettato silenziosiamente e chi, con una parola, mi ricordava teneramente di darmi una mossa xD
Il capitolo non è l'ultimo, per la gioia di qualcuno, e non so nemmeno se lo sarà il prossimo. Ci sono cose da sistemare...

Intanto cosa pensate di questo capitolo? Ho deluso qualche aspettativa? Troppo lento? Noioso?
Leeeeeeeet meeeee know!!!!

Spero di aggiornare al più presto (lo so che lo dico sempre, ma io ci spero davvero! ahahah)
Grazie ancora a tutti!

_CodA_ 






 

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


I segreti.
Quelli che custodiamo veramente, per onorare la parola data.
Quelli che chiudiamo dentro di noi, per paura o vergogna.
Quelli che stanno stretti, nel loro essere segreti, e vogliono solo essere parole libere.
I segreti che ad una sola persona confesseremmo. Altrimenti a nessuno, perché preziosi.
Segreti così dolorosi da esplodere.


Brittany's PoV

Parenti. Tanti parenti. Così tanti da sembrare una ciurma, un esercito, una mandria affamata di cibo, notizie, gossip familiari e chiacchiere insensate.
C'erano più persone della sera prima, più gente di ogni Natale e di ogni festività;
mia madre si era data davvero da fare.
Aveva voluto un pranzo in grande stile, riunire tutti, per il mio ritorno:
incolpandomi di non essere rimasta la sera prima e punendomi con altro tempo sprecato, sottratto a noi, a me e lei, e a Santana.
Santana...
Sedeva accanto a me silenziosamente, con la testa sul piatto, cercando di tagliare in pezzi sempre più piccoli un pugno di fagiolini e patate.
Cercava qualcosa per impegnare la mente e il corpo, qualcosa per distrarsi, ma io leggevo l'imbarazzo nei suoi occhi bassi che, per tutta la durata del pranzo, non avevano incontrato i miei.
Decisi di smettere per un attimo di pensare a mia madre, ai parenti che impegnavano la tavola coi più disparati e fastidiosi rumori, e mi rivolsi con dolcezza a lei, che aveva chiaramente bisogno di me.

"Ehi..." sussurrai, posandole delicatamente una mano sul ginocchio.
Ma, persa com'era nei suoi pensieri e nei suoi fagiolini, quell'improvviso tocco la spaventò, facendola sobbalzare sulla sedia.
Le rivolsi un sorriso tranquillizzante; la mia mano ferma e lo sguardo fisso su di lei.
La osservai chiudere gli occhi e posarsi una mano sul petto, mentre il suo battito si normalizzava dopo lo spavento.

"Nervosetta?!" chiesi retoricamente in una risata soffocata, mentre riapriva le palpebre.
"Intuitiva..."
"Oh andiamo... sono io ad essere circondata dai parenti..."
"Esatto! I tuoi parenti, tutti. Ignari di trovarsi in mezzo ad una guerra fredda..."
"Dici?" le domandai retorica.
Si girò completamente verso di me, scioccata e incredula.
"No, ma... hai notato vero che tua madre non ti degna più di uno sguardo?! Chiede agli altri di passarle le cose, anche se sei tu quella più vicina; non ti ha rivolto la parola nonostante, tecnicamente, siamo tutti qui per festeggiare te. Non senti anche tu un ticchettio?"

Avevo notato ogni cosa. Ero stata attenta ad ogni singolo gesto di mia madre, ad ogni parola. Sapevo perfettamente che palleggiavamo una bomba pronta ad esplodere.
Eppure avrei tanto voluto che non fosse così. Che per una volta non fosse tutto così dannatamente complicato.
Ero cresciuta, avevo imparato a fare scelte e a subirne le conseguenze, avevo sofferto.
Era ancora necessario tutto quel dolore? Era davvero indispensabile complicare le cose, quando sarebbe bastato un abbraccio, magari anche una lacrima, per perdonare e riprendere da dove tutto si era interrotto?
Ma soprattutto... quando mai c'erano stati tanti segreti tra noi?
Subivo ancora il peso del, forse eterno, segreto che avevamo io e Santana.
Non riuscivo a credere che, per anni oramai, mia madre avesse fatto finta che fosse tutto ok, che non ci fosse rancore da parte sua.
Più ripensavo alle sue parole, più mi convincevo che avevamo bisogno di parlare, di chiarire. E se significava guerreggiare, ero pronta a farlo.
Ma lei no, preferiva il silenzio, lasciandomi agonizzante ed impotente.
Preferiva una maschera, quando io, di mentire, non ne potevo proprio più.

"Ehi, ti ho rabbuiato? Perdonami, non volevo.."
Strinsi la mia mano sul suo ginocchio, tornando alla realtà e impedendole di continuare.
"Non è colpa tua, non scusarti..."
Mi avvicinai pericolosamente a lei per sussurrarle quelle parole ed, improvvisamente, la voglia di tranquillizzarla con un bacio, anche a fior di labbra, si fece impellente.

"Ehm!!!"

Quello schiarimento di voce, fin troppo familiare, mi fece riprendere a malincuore il controllo delle mie azioni. Mi allontanai lentamente dal viso di Santana, sedendomi meglio sulla sedia per ricompormi. Poi alzai lo sguardo di fronte a me.
"Dawn... volevi dire qualcosa?" chiesi, leggermente innervosita, sebbene sapessi che mi aveva appena evitato l'ennesimo problema.

"Sì. Contegno."

Vidi la sedia di Santana alla mia sinistra muoversi repentinamente all'indietro.
"Senti...!!" cominciò minacciosa.
Afferrai appena in tempo il suo polso destro per tenerla giù, seduta, ed impedirle una scenata.
"Per favore..." iniziai a bassa voce, mentre lei riportava la sedia più vicino al tavolo. "...finitela di comportarvi come due bambine! Non è il momento! Vi chiedo di cessare ogni ostilità per oggi. Potreste farlo, per me?" le supplicai, spostando nervosamente lo sguardo preoccupato da una all'altra.
Ci fu uno scambio di sguardi d'odio tra le due e poi vidi Santana alzare gli occhi al cielo.
"E va bene!" sbuffò, cosciente della situazione, dell'atmosfera grigia che aleggiava.
"D'accordo." concluse con sufficienza Dawn, spostando rapidamente lo sguardo sugli invitati.
"Stringetevi la mano." ordinai ad entrambe un secondo dopo.
"Starai scherzando, spero!" sbottò Santana, stringendo più forte le braccia incrociate al petto.
Con un gesto del capo indicai Dawn di fronte a lei, invitandola seriamente a darsi una mossa.
Alzò per l'ennesima volta gli occhi al cielo prima di lasciar scivolare rapidamente una mano al centro del tavolo per poter incontrare la sua.
Dawn, riluttante, la strinse.
"E' solo rimandato..." disse tra i denti Santana.
"Ci puoi scommettere..." rispose Dawn a tono, aumentando la forza nella sua presa.
"Farò finta di non aver sentito.." conclusi, tornando al mio piatto, mentre loro facevano lo stesso.
Tirai un lungo sospiro cercando di liberare la mente, cercando di non pensare, ma era diventata una cosa troppo complicata da fare.
Non riuscivo a ricordare il momento esatto in cui avevo smesso di essere spensierata come lo ero stata per tutta la mia adolescenza.
Forse il giorno del diploma...
Forse quando mi ero resa conto di essere innamorata di Santana.
Sì, doveva per forza essere quello il momento.
Quando realizzai di essere innamorata della mia amica, della mia migliore amica, della ragazza che mi capiva con uno sguardo, che mi rimaneva accanto quando gli altri andavano via; che mi difendeva da tutto e tutti, anche se io non gliel'avevo mai chiesto.
Quando capì che era l'unica persona di cui non avrei potuto più fare a meno.
Anche se ci avessi provato, anche se l'avessi desiderato con tutte le mie forze, mi sarebbe stata necessaria come l'aria.
Era il mio pensiero al mattino, la mia gioia perenne, il mio sogno notturno.
Sapevo che bastava pensare ai suoi capelli corvini, ai suoi occhi scuri, per sentire il calore avvolgermi, per sentire di essere amata e protetta come meritavo.
Capivo solo ora che amare significava anche complicazioni.
Amare voleva dire mettersi in gioco, fino in fondo, rischiare. E tener conto improvvisamente di un'altra persona, curarsi di lei meglio di se stessi.
Sapevo perfettamente che io mi sarei presa cura di Santana meglio di chiunque altro, come lei faceva e avrebbe fatto con me.
Ed eccola lì, al mio fianco.
Con la coda dell'occhio spiai ancora la sua figura.
Era ancora alle prese coi fagiolini, ma meno impassibile stavolta.
I capelli neri le ricadevano fluidi davanti al viso, ma potevo leggerne lo stesso ogni espressione, ogni movimento.
Era nervosa, gelosa, spazientita. E io sorrisi. Perché quelle erano le sue complicazioni; quello era il suo amore per me.
Mi risultava così poco chiaro come un amore così lampante, sincero, così poco pretenzioso, andasse tenuto nascosto, celato, segreto, agli occhi e alle orecchie degli altri, della gente e dei parenti.
Perché mai avrebbero dovuto giudicare male l'amore?
Non erano anche loro innamorati come me?
Santana tanti anni prima si era negata la felicità. L'aveva negata anche a me, dimenticando di curarsi di me, mettendo da parte l'amore.
Non ne avevamo parlato, ma era chiaro che adesso fosse pronta ad amare, ma non sapevo a quale prezzo.
Forse a costo del sole.
Io ero pronta a diventare il suo segreto, sebbene lo trovassi profondamente ingiusto.
Io volevo la luce per lei, volevo il sole, volevo il mondo intero per lei.
Perché io avrei dovuto lottare per poterglielo donare, quando per gli altri era così scontato?

"A che pensi..?"
La sua voce dolcemente preoccupata mi distolse da quei cattivi pensieri.
Mi voltai per risponderle serenamente, ma qualcuno mi chiamò dalla parte opposta della tavolata, costringendomi a darle le spalle.

"Brittany! Allora! Raccontaci un po', cos'hai fatto negli ultimi due anni?"
Era lo zio Albert: grassoccio e baffuto, col naso sempre rosso.
-Allergia!-  diceva. Ma la conoscevano tutti la sua propensione a bere sempre un bicchiere di troppo.
Era comunque innocuo, un tipo simpatico tutto sommato.
Almeno quando non diveniva la pedina di un gioco pericoloso a cui non sapeva nemmeno di star partecipando!
In un istante tutti gli occhi si puntarono su di me, curiosi.
Per qualche secondo il mio sguardo vagò sul piatto, sulle posate, sulla tovaglia che mai avevo trovato così interessante.
Ero a disagio.

"Beh... zio Albert... due anni sono tanti..."
"Oh su, raccontaci!!! Non sei mai stata timida!"
Non era timidezza la mia. Era confusione.
Come raccontare quel periodo, come descriverlo senza entrare in dettagli che mai avrei voluto confidare così apertamente?!

"Da dove comincio..? Ho... ho trovato lavoro! Diversi lavori a dir la verità!" smorzai con una risata. "Ho preso in affitto un appartamento..."
"Hai capito?! La nostra Brittany è cresciuta!"
Istintivamente l'occhio mi cadde sul tavolo più piccolo riservato ai bambini, alle spalle di Dawn che mi sedeva di fronte, dove i miei cuginetti erano impegnati a sporcarsi di sugo e a riempirsi di coca-cola.
Non sembrava essere passato tanto tempo dall'ultima volta che avevo anch'io seduto a quel tavolo, preoccupandomi solo dei regali, della famiglia felicemente riunita.
Non sedevo più lì, ero tra gli adulti adesso, per davvero; per quanto potesse essere strano e sconvolgente, ero come ognuno di loro.

"E dicci... nessun fidanzato all'orizzonte? Nessun ragazzo che fa la corte ad una bella ragazza come te?"

Guardai mia madre, in piedi dall'altro capo del tavolo, che raccoglieva i piatti.
Non lo feci apposta, lo feci senza neanche pensarci.
E nel suo sguardo ricambiato capì perché.
Lei sapeva, lei l'aveva sempre saputo. E non aveva mai detto niente, mai proferito parola.
Ignoravo se perché avesse voluto negarlo, fingere che non fosse realtà, o semplicemente perché avesse voluto concedermi spazio e tempo per capire da sola.
Sapeva di me e Santana, sapeva che non avevo mai mostrato interesse particolare in nessun altro. Lei, sempre e solo lei.
Così continuai a guardarla, complice, ma anche spaventata.
Cosa si supponeva che io dicessi? Mentire, sviare, svelare?
Mentire significava proteggere me e Santana, o comportarsi da codardi?
Eludere la domanda non sarebbe stata una risposta.
E svelare...  nemmeno riuscivo a pensare a quante cose comportasse.
Un segreto più è tenuto nascosto, più si carica di migliaia di significati che altrimenti non gli avremmo neanche attribuito.
Ora come ora svelare significava rivelare l'impensabile, sorprendere e sconvolgere.
Significava avere coraggio e decidere per due.
Significava forse anche dichiararsi e fare coming out.
Significava, a questo punto, ufficializzare un rapporto ancora instabile, ancora incerto.
E più pensavo alle conseguenze, più mi rattristavo. Perché non era più lo stesso.
Perché non era più ammettere, con orgoglio, di amare Santana, e basta.
Mia madre attendeva come gli altri, più ferma di loro però, più impietrita, ma mai come Santana, di cui non sentivo più il respiro sui capelli.
Tratteneva il fiato, moriva, straziata dall'attesa, incapace di decifrare quale sarebbe stata la mia decisione.

"A dire il vero... sto con una persona..." risposi distogliendo lo sguardo da mia madre. Non volevo guardarla mentre lo dicevo. Non volevo leggere i suoi occhi, non volevo che fosse lei la prima a giudicarmi, non l'avrei sopportato.
A quella breve risposta la tavolata si rianimò di chiacchiere, come se fosse stata la notizia del secolo. Io mi poggiai allo schienale della sedia per fissare il vuoto e riprendere a respirare.
Ma sentivo lo sguardo di Santana fisso su di me e sapevo che era spaventata.
Semplicemente avevo preso la mia decisione, volevo affrontarla ed ero pronta a subirne io le conseguenze. Lei doveva limitarsi a starmi vicino.
"E chi è? Quando ce lo presenti?" tentò di sovrastarli lo zio Albert.
"Veramente la conoscete già.."

A Dawn andò di traverso l'acqua che stava bevendo. Iniziò a tossire forte, attirando l'attenzione di tutti che credettero di aver fatto i conti giusti sulla nuova arrivata.
Si voltarono rapidamente verso di me, con visi interrogativi ed espressioni confuse.
Fortunatamente Dawn si riprese in tempo tra un colpo di tosse e l'altro.

"Oh, no! Non sono io! Almeno non quella attuale..."
"Dawn!" la rimproverai per essersi lasciata scappare quel dettaglio.
Santana fissò lo sguardo sgomento su di lei.
Io mi affrettai a recuperare il viso di mia madre, incerta su come avrebbe reagito a quella nuova notizia inaspettata.
Ma tutti intercettarono la direzione del mio sguardo e in un baleno gli sguardi furono su di lei che era ancora in piedi, ancora con i piatti accatastati davanti a sé e lo sguardo perso su Dawn.

"Margaret... tu lo sapevi?"

Ancora una volta fu lo zio Albert a parlare a nome di tutti, ma stavolta a sproposito.
Il silenzio calato rese l'attesa preoccupante.
In un attimo il vociare era cessato, i visi avevano smesso di vorticare, di balzare da una parte all'altra del tavolo, mescolando gli sguardi. Adesso tutti eravamo in attesa, della persona sbagliata.

"Di mia figlia non so più niente, oramai..." concluse sconsolata.
E io non potevo accettarlo.

"Perché continui a fare la vittima? Cosa ti ho fatto?"
Attirata la sua attenzione, la situazione cominciò a degenerare.
Le carte erano davvero in tavola, le pedine pronte a giocare, il filo della bomba sganciato.

"Tu... tu non sai cosa significa essere una madre. Crescere per anni la propria figlia, ritrovarsela grande da un giorno all'altro e scoprire che è scappata, senza una spiegazione valida, senza alcuna spiegazione! Non sai cosa significa essere una madre e sentire di aver perso la propria figlia, di non averla mai capita forse! Ho fallito..."

Le sue parole mi avevano sicuramente toccata. Mi sentivo spiazzata da quelle emozioni forti che non avevo preso in considerazione, perché troppo lontane da me.
Sapevo di essere stata un'incosciente, di essermi comportata da immatura per inseguire la maturità. Ma non riuscivo a pentirmi della mia scelta, non potevo rinnegare quello che avevo fatto, cosa e chi c'era stato lungo il cammino.
La persona che ero diventata era l'insieme di tutto ciò che mi aveva accompagnato.
Anche un viaggio improvviso verso una città grande e sconosciuta.
Anche la totale assenza di genitori ed amici.
Anche la lontananza dal mio unico amore.
Dovevo a tutto questo un ringraziamento.
E in fondo anche i miei genitori, sostenendomi da lontano, lasciandomi camminare da sola, avevano contribuito. Solo che questo non potevano saperlo.

"Hai ragione... non posso sapere cosa significa essere una madre. Ma so cosa significa amare qualcuno, preoccuparsi, sentirsi impotenti. Ti chiedo scusa."
Abbassai il capo, un po' in imbarazzo.
"So di non aver agito nel migliore dei modi per voi, ma lo era per me. Mamma.." cercai lo sguardo anche di mio padre, seduto a capotavola alla sinistra di mia madre. ".. papà. Siete stati fondamentali anche se distanti. Vi ho tenuti costantemente aggiornati sulle mie decisioni, sui cambiamenti… nel modo in cui una figlia che cresce deve fare con i suoi genitori."
Feci una breve pausa e poi tornai a rivolgermi solo a lei.
"Io non sono madre, ma tu sei stata figlia a tua volta. Sono sicura che puoi capirmi."

"E invece non ci riesco, Brittany. Non ci riesco!" rispose frettolosamente sconsolata.

Che razza di risposta era? Cosa voleva dire? Magari che aveva perso ogni speranza? Che rinunciava a me?

"Adesso basta!"
Santana si era alzata dalla sedia e aveva gridato sbattendo le mani sul tavolo per attirare l'attenzione ed essere ascoltata.
Si ammutolì il brusio di sottofondo; anche il rumore di posate e gli urletti dei bambini. Aveva davvero tutti gli occhi puntati addosso.

"Sono stufa di assistere a questi melodrammi inutili! Siamo qui per un motivo, uno solo, e quel motivo è Brittany! Non ho visto neanche l'ombra di un festeggiamento degno di essere chiamato tale! E' Natale, Brittany è tornata a casa e dovremmo essere tutti più buoni e felici! Invece vedo solo musi lunghi, rancori, silenzi imbarazzanti e atmosfere spiacevoli."

Io la seguivo sorpresa e ammaliata. Sapevo che Santana avrebbe sempre preso le mie parti e sapevo anche che mi avrebbe sempre difesa da chiunque e da qualsiasi cosa. Ma non immaginavo che fosse in grado di affrontare la mia famiglia meglio di come avessi saputo fare io. Fui rapita dalle sue parole, cariche di rabbia e tensione inespressa.
Aveva sentito il bisogno di urlare per sfogare le sue emozioni. Ed ora, seguendo più che altro i suoi pensieri, poteva esprimersi con più calma.

"E' questa casa Pierce? Davvero?! Perché non la rammentavo così! Ho sempre avuto un bel ricordo delle serate passate qui. Che dico... I migliori ricordi sono quelli racchiusi in questa casa! Per tre Natali consecutivi ho avuto il privilegio di essere ospitata qui, alle dieci in punto, per scartare i regali, stare in compagnia, sentirmi parte di una famiglia che non era la mia, per fortuna..."

Abbassò lievemente lo sguardo e io seppi che stava pensando ai suoi genitori, se ancora potevano essere definiti così. Portai la mia mano delicatamente sulla sua, che poggiava in tensione sul tavolo.
Strinsi le mie dita nelle sue e lei riprese forza per credere e continuare; solo un semplice tocco.

"Il Natale in casa Pierce era la mia salvezza. Mi sentivo accolta, amata, coccolata,  anche solo per qualche ora. E non posso credere che le stesse meravigliose persone di qualche anno fa si siano trasformate così tanto. Non posso credere che il tempo abbia modificato radicalmente la vostra capacità di comprensione e giudizio, ma soprattutto di perdono."

La vidi alzare fieramente lo sguardo verso mia madre: non per sfidarla, ma per smuoverla dall'interno, come smuoveva me con la passione, l'amore e la forza che si nascondevano dietro quegli occhi scuri.

"Signora Pierce... qua c'è sua figlia. E' Brittany. Un paio di centimetri in più, i capelli lunghi e sciolti, nessuna divisa da cheerleader, ma sempre la stessa ragazza. Una giovane donna dal cuore d'oro che, chissà come, sono riuscita a conquistare..."

Senza paura o inganno aveva pronunciato quelle parole in piedi, davanti a tutti. E adesso, quella donna meravigliosa, mia, mi guardava con un sorriso innamorato e orgoglioso, che mi diceva
 -Visto? Ce l'ho fatta. Adesso possiamo essere felici!-
Strinsi di più la mia mano sulla sua, mentre la guardavo dritto negli occhi, sentendo qualche lacrima di gioia e fierezza offuscarmi la vista prima ancora di cadere giù.
Poi tornò a guardare mia madre.

"... che cosa aspetta?" le domandò retoricamente con un sorriso sicuro.

Nessuno azzardava a muoversi o a parlare.
Erano increduli e ancora curiosi di sapere quale sarebbe stata la reazione della padrona di casa.
Ma Santana era fiduciosa. Sapeva che si trattava di attendere ancora qualche istante, qualche secondo affinché il muro crollasse completamente e mia madre tornasse a fidarsi di nuovo di me, dei miei sentimenti e del nostro rapporto.
E così fu.
Mentre la osservavo in attesa, vidi il viso di mia madre trasformarsi.
All'istante la sua bocca si piegò all'ingiù, il naso si arricciò e gli occhi si velarono di lacrime, lacrime disperate di gioia e frustrazione.
Un secondo dopo iniziò a percorrere il perimetro del tavolo come fosse stato un lungo ponte a dividerci. E finalmente, attendendola alzata, mia madre mi abbracciò con forza, stringendo il viso nel mio collo e le mani sulla mia schiena.
Non mi avrebbe più lasciata andare.
Io sorrisi, lasciando scivolare ancora qualche lacrima, mentre ricordavo finalmente cosa significava sentirsi la figlia più fortunata del mondo.

"Uhhhh huuuuuuuu!!!"
Come al solito fu lo zio Albert ad iniziare ad urlare e a battere le mani.
Ma, per una volta, gliene fui grato.
Contagiati, tutti i parenti presero ad applaudire e a ridere, contenti dell'esito di quella scenata improvvisa, di quelle rivelazioni, all'apparenza, scomode.

"Io… io voglio essere come Santana, da grande!"
Dawn, con un orecchio teso alle sue spalle, intercettò quella piccola confessione proveniente dal tavolo dei bambini: era la dolce Jenny, che applaudiva assieme ai grandi, guardando estasiata il suo idolo.
E sempre Dawn, tornando a prestare la sua attenzione a noi, a una Santana raggiante e a me sorprendentemente felice, prese a battere le mani anche lei, con forza, sorridendo.



Piccola nota:

Lo so, lo so... sono mesi che manco... almeno un paio. E a quelli che mi seguono assiduamente chiedo scusa davvero. So cosa significa attendere un capitolo di una storia a cui si è affezionati!
In ogni caso, il capitolo è qui. L'avete finalmente letto, spero vi sia piaciuto, nonostante le millemila critiche che mi si potrebbero muovere (e che io stessa mi faccio!). 
E purtroppo o per fortuna questo è il penultimo capitolo. Ebbene sì, il prossimo è il definitivo, quello che conluderà, si spera bene, la storia.
Lo prevedo pieno zeppo di roba, credo lungo, per cui vi chiedo di scusarmi fin da ora se ci metterò ancora un po' a scriverlo.
Questo come al solito è stato un parto! 
E poiché mi sono dilungata tantissimo, da brava persona prolissa quale sono, concludo solo chiedendovi di farmi sapere schiettamente che ve n'è parso questo. Let me know!!!   :)


_CodA_

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Alle storie che creano Storie.
All'amore. A noi. 
Per te.


 
 


Spesso si fa l'errore di considerare un problema solo a metà.
E' come guardare una vetta dai piedi di una montagna e calcolare difficoltà, pericoli, rischi per poterla raggiungere, tralasciando però la fatica che faremo a percorrere la discesa, una volta consumate tutte le forze per arrivare in cima.
Il problema è nel suo insieme: è l'intera montagna fatta di salita, ma anche di discesa, facilitata, ma pur sempre faticosa.
Bisogna calibrare le forze per non andare troppo veloci e rischiare di rotolare giù, ma nemmeno troppo piano per evitare di fermarci del tutto.
E' necessario chiedersi sempre: cosa viene dopo? Cosa incontreremo? E come potremo affrontarlo?
La risposta non è semplice, a volte nemmeno esiste la soluzione.
Ciò che conta è avere qualcuno con cui scalare la montagna, ma, ancora di più, qualcuno che sia disposto a rimanere, dopo, per ridiscenderla insieme.








Santana's PoV


Aprì gli occhi e il biondo chiaro dei suoi capelli, illuminati dalla tenue luce dell'alba, mi colpì in pieno viso.
Brittany era coricata sul fianco sinistro e dormiva beatamente, donando a me l'opportunità di tenere gli occhi sui suoi capelli perfetti, sulla sua schiena che stringevo col mio corpo per tenere lei al sicuro, attaccata a me.
E pensare che lo stesso corpo, che dormiva beato tra le mie braccia adesso, poche ore prima era stato agitato da un animo inquieto, malinconico e disperato, che aveva dovuto lottare contro la caparbietà della madre.
Meritava un po' di riposo, soprattutto dopo i recenti e repentini avvenimenti.
Il suo ritorno in città, io e lei, sua madre, i parenti...
Quegli ultimi due giorni erano parsi davvero un'eternità.
Eppure lei non si era lamentata, non aveva osato lagnarsi di niente.
Semplicemente il suo corpo era crollato sotto il peso dello stress, parlando meglio di mille parole.
Serviva ad entrambe un po' di riposo, un po' di calma, un po' di chiarezza.
Avevo bisogno di capire, io come lei, cosa significava tutto questo: essersi dichiarate pubblicamente davanti ai parenti, aver deciso di restare a Lima, aver confermato il reciproco amore.
Sembravano decisioni indiscutibili. Quasi già concrete.
Ma io, scettica a causa del pessimismo che mi aveva accompagnato per anni, stentavo a crederci.
Frullavano nella mia mente una miriade di problemi, tante domande e tante risposte messe in attesa.


“Che succede?”

La sua voce mi fece trasalire. Ero convinta stesse ancora dormendo.

“Che vuoi dire?” risposi con un tremito nella voce che non riuscì a controllare.

Lentamente la osservai voltarsi, cambiare fianco d’appoggio per guardarmi negli occhi.
Adagiò le mani sotto la testa sistemata sul cuscino e mi attese con gli occhi preoccupati per me, eppure generalmente sereni.

“Ho sentito il tuo respiro farsi più veloce... a che pensi?”

Era lì tranquilla e pronta ad ascoltarmi, a sentire qualsiasi paranoia mi stessi facendo, pronta a risolvere qualsiasi problema fosse sorto.

Chiusi gli occhi e poi li riaprì alzandoli al cielo.
“Niente di importante” risposi con un sorriso che tentò di essere convincente.

“Tu sei importante. Parlami…”

La sua prontezza mi spiazzò. E crollò ogni barriera, come il mio sorriso.

“Ho paura.”

Si mosse leggermente, come se avesse sistemato l’orecchio per ascoltarmi meglio.

“Di cosa hai paura?”

Tirai un sospiro profondo, chiudendo gli occhi, incerta se continuare.
Temevo fortemente di spaventare anche lei, di farla fuggire ancor prima di quanto pensassi e per i motivi sbagliati.

“Ho paura della tua scelta. Che mi rinfaccerai di essere tornata qui, per me. Ho paura che te ne pentirai e proverai rancore e mi abbandonerai; e io non potrei sopportarlo, non di nuovo.”

Mi guardava negli occhi e io non riuscivo a decifrare la sua espressione e i suoi pensieri e questo mi spaventava tantissimo.

“Lo sapevo, non avrei dovuto dir-“
“Basta.” mi interruppe amorevolmente decisa, con un nuovo sguardo commosso e innamorato.
“Non sei stata tu a chiedermi di restare. E’ stata una mia decisione, presa col cuore. E non potrei mai provare rancore o rimorso nei tuoi confronti. Non rimpiangerei mai la mia scelta di amarti fino in fondo.”

Sorrisi, felice ed imbarazzata.
E lei fece lo stesso. Silenziosamente alzò la mano sinistra e ne approfittò per accarezzarmi il viso e capì, nei suoi occhi adoranti e nella sua mano delicata, che non c’era nulla da temere. Sarebbe rimasta lì con me fin quando mi avesse amato e a me bastava.
“Sai… si dice che la felicità si stenti a riconoscere, che se ne colga il senso solo una volta passata… eppure io credo che sia questa la felicità.”
Non ero riuscita a dirglielo guardandola negli occhi, improvvisamente timida, mentre mettevo in gioco tutto e mi mettevo a nudo coi miei sentimenti.
Ma lei strinse la guancia che mi stava accarezzando, si protese verso di me e mi baciò.
E capì.
Era tutto racchiuso in quell’urgenza, in quella necessità che sentivo fremere nel mio corpo e nel battito rapido del mio cuore e del suo.
Avevo bisogno di lei come dell’ossigeno.
E quel bacio, quel bacio che si andava intensificando, che ci accaldava sempre più, rappresentava la mia disperazione, quell’implacabile desiderio di farla mia, quel richiamo impellente di due anime che si cercano.
Infrangevo le mie labbra contro le sue, lasciavo scorrere le mani sul suo corpo, che lentamente scoprivo; cercavo di placare quella mancanza che sentivo nel cuore e nel corpo, la mancanza che avevo avuto di lei negli anni, la mancanza di lei nella vita.
Lei era parte di me, io lo sapevo e lei lo sapeva; e mi sarebbe mancata sempre, come un braccio o una gamba, come il cuore.
Mi sarebbe mancata, l’avrei desiderata, avrei tentato di appagare quella bramosia di lei, quella voglia di ricongiungermi alla mia metà, ma non sarebbe stato mai abbastanza;
non sarebbe bastata una vita per accontentarmi, e nemmeno altre mille.
Mi sarebbe mancata, l’avrei desiderata e l’avrei cercata per sempre.
L’avrei amata per sempre.
E ogni volta che avremmo fatto l’amore, come quella prima, ci saremmo finalmente unite, in modo unico e raro.
Avrei venerato il suo corpo, chiuso gli occhi solo se necessario, per ricordare con tutti i sensi quella magia che stavamo creando.
Avrei sentito il piacere del corpo come il piacere della mia anima che smetteva di urlare, che smetteva per un secondo di rincorrere quella metà che era il suo destino.
E lei con me. Lei con me.
Lei con me per un momento sarebbe stata sazia. Per qualche secondo.
E ripreso il respiro, mi avrebbe cercato ancora, mentre io ero già tesa nuovamente verso di lei.
L’amavo. Non poteva essere altrimenti.

“Credi che ce la faremo?” le chiesi tra i nostri respiri silenziosi, una volta che lei fu tra le mie braccia, nuda sul mio corpo, mentre l’accarezzavo dolcemente e ci cullavamo in quel calore e in quel silenzio perfetti.
“Io credo che ce la stiamo già facendo…”
Sorrisi. Sentivo il solletico delle sue dita sulle mie braccia, il calore dei nostri corpi uniti, i suoi capelli biondi che mi coprivano il seno.
Fino a quel momento mi ero sentita perduta perché lei non era stata con me.
Ora che era mia, ed io sua, ogni problema sembrava sostenibile;
sapevo che ci sarebbero state difficoltà, tante paure ancora da affrontare, ma con lei al mio fianco tutto era meno buio, sapevo di poter superare gli ostacoli, perché avrei avuto una mano che mi avrebbe aiutato ad alzarmi, se non fosse riuscita prima ad impedirmi di cadere.
Adesso avevo lei da cui tornare a casa, lei a cui raccontare la mia giornata, anche la minima sciocchezza, lei a cui affidare la mia vita e il senso di essa.
 
Guardai fuori dalla finestra e vidi che la luce chiara del giorno si era fatta intensa.
C’era sicuramente ancora aria di neve, ma erano oramai quasi due giorni che aveva smesso di nevicare e quella mattina iniziava a filtrare un po’ di sole.

“Che ne dici? E’ ora di palesarsi di sotto?”
Brittany non sembrò nemmeno avermi sentito. Continuava pacificamente a coccolarmi, a godersi il nostro momento fino all’ultimo.
“Probabile… Non so chi sia rimasto da ieri, ma dovremmo salutare per educazione.”
Rispose alla fine, ma non accennò a muoversi.

“Facciamo così” presi iniziativa “Io vado a farmi una doccia e poi vado a prepararti la colazione, così tu potrai riposare ancora un po’… ti va?”
E, senza aver atteso la sua risposta, iniziai ad aiutarla a stendersi sul cuscino e scesi dal letto.
“Non mi va mai quando devo separarmi da te…” sussurrò teneramente, mentre io infilavo velocemente una maglia e degli slip.
“Hai ragione, nemmeno a me…” risposi dirigendomi verso la porta.
“Allora che fai?” le chiesi voltandomi di nuovo verso la stanza, una volta che ebbi la mano sulla maniglia. “Vieni con me?”
Lei mi fissò per un momento: osservò il mio sopracciglio inarcato, il mio sorriso provocatorio; e lo ricambiò ampiamente, mentre io scappavo in bagno e lei correva ridendo per raggiungermi.
 
 
 
 

Entrai in cucina e, con mio sommo dispiacere, riconobbi subito le spalle ed i capelli della persona che era vicino ai fuochi, persona che mai avrei voluto incontrare in quel momento, da sola per giunta.

“Buongiorno… Dawn!”
Lei sobbalzò e poi si girò verso di me.
Io mi avvicinai a lei sorridendo, compiaciuta per averla spaventata; adoravo sentirmi potente nei suoi confronti, anche se per uno scherzetto del genere.
“Santana…”
Tornò a voltarsi verso il bollitore che aveva davanti e che non accennava a riscaldarsi.
Il suo abbassare la guardia così velocemente, senza avermi sfidato nemmeno con lo sguardo, senza aver imprecato per lo spavento o aver detto qualcosa di cattivo ora che ne aveva l’occasione, mi colse alla sprovvista.
Credevo fosse simile a me e che per questo Brittany si fosse invaghita di lei a suo tempo.
Iniziai a cercare nella credenza ciò che mi serviva per la colazione di Britt, ma quello strano silenzio che c’era mi infastidiva.
Non ero mai stata brava con le parole e di certo non ero tipa da conversazione e convenevoli, ma la sua presenza e il suo silenzio mi stavano innervosendo più delle frecciatine a cui mi ero ben presto abituata.
Notai tre o quattro pancake su un piatto che aspettavano solo di essere mangiati.
“Vedendoti avrei dovuto immaginare che non ci tenessi alla linea…”
E d’improvviso rimpiansi il silenzio che avevo tanto detestato.
Si voltò rapidamente verso di me con uno sguardo glaciale e le labbra increspate.
“Santana, cosa vuoi?”
Pensavo sarebbe esplosa di rabbia, pensavo che mi avrebbe risposto a tono, tirato uno di quei pancake addosso, pensavo che avrebbe urlato.
E invece quel suo contenersi, quella rabbia compressa, quella frustrazione che leggevo nelle sue labbra e nei suoi occhi, mi spiazzò.
Soffriva, era chiaro; non sapevo bene il perché, eppure uno strano senso di colpa mi attanagliò.
Pensai che fosse per le mie provocazioni idiote fuori luogo.
Quindi mi ricomposi.
“Niente, sono qui solo per la colazione di Brittany. Tu, piuttosto, che fai ancora qua?”
“Non torno a casa senza di lei.” rispose secca e con un tono fin troppo protettivo che mi fece saltare i nervi.
“Beh faresti bene ad avviarti, mia cara, perché lei non va da nessuna parte!” chiarì avvicinandomi a lei come se volessi sfidarla, dimostrare che anche se mingherlina ero forte e avrei potuto battermi.
Ma dall’altra parte non avevo capito che non c’erano sfidanti.
“Che vuoi dire?” chiese sbalordita.
“Hai capito bene, lei resta qui con me. E non potrai fare niente per impedirlo.”
Mi sentivo molto forte, vincente, ma non capivo che da fuori rasentavo il ridicolo.
Compresi di star esagerando quando lei, senza pensarci due volte, sminuendo la tensione che solo io credevo si fosse creata, tornò a girarsi verso il piano cottura, abbassando lo sguardo, ignorando completamente la mia presenza, tutta presa dai suoi pensieri.

“Avrei dovuto immaginarlo…” sussurrò.

Poi tornò alla realtà, sentì il bollitore fare rumore e versò il latte riscaldato in una tazza.
Osservai attentamente cosa faceva, perché qualcosa mi era familiare:
due cucchiaini di zucchero, una spruzzata di cacao e…
“Aspetta un attimo!” esclamai, puntando un dito accusatorio verso di lei.
Ma dal canto suo mi porse tazza e piatto con un viso impenetrabile e mi spiazzò ancora una volta.
“Sono per Britt. I suoi preferiti.”
Non riuscì a pronunciare altro che un flebile –grazie-.
E lei sorrise tristemente.
“So di non potertela portare via. Ho capito che vi appartenevate da una foto, dagli occhi che ha solo per te, dal modo in cui non ha smesso mai di pensarti. Non è mai stata mia.
Ma io la amo, lo capisci?”

Non sapevo assolutamente cosa fare o dire.
Le mani occupate, il senso di colpa che assumeva un perché, la gelosia.
Eppure quella donna, pressappoco una sconosciuta, quella che fino a pochi secondi prima avevo considerato una rivale, si stava esponendo a me in tutta la sua fragilità.
Mi confessava di aver perso in partenza e potevo capire la sua disperazione.
Sapevo perfettamente cosa volesse dire essere distrutti dalla consapevolezza di aver perso l’amore.

E, probabilmente, se non fosse stata la mia donna quella di cui parlava, avrei fatto il tifo per lei.
Sembrava sincera.
Io potei solo annuire in silenzio.
Avevo vinto, sì, ma non mi sentivo più tanto forte e superiore come prima.

“Sarai pure una tipa strana e odiosa, ma chissà come Britt ci ha visto del buono in te, e lei non sbaglia mai su queste cose.”
Al fatto che mi avesse offeso reagì con un semplice sbuffo e la lasciai continuare.
In fondo era la sua piccola rivincita, tutto quello con cui si poteva consolare.

“E so che ti prenderai cura di lei. Ma non farla soffrire! Altrimenti-“
“Ne morirei io per prima.” risposi incredibilmente pronta e seria.
E a lei bastò.
 “Sei fortunata.”
Ancora quel suo sorriso triste e poi mi superò per uscire e tornare di sopra, nella sua camera degli ospiti.

Appena se ne fu andata ripresi a respirare regolarmente, cercando di assimilare cosa fosse appena accaduto.
Mi sentivo stupida, in colpa per aver preso in giro un cuore spezzato.
Ma sentivo anche di meritare il cuore di Britt.
Mi diedi coraggio, lasciai la cucina e prima di salire le scale lanciai uno sguardo al salone dove vidi il signore e la signora Pierce seduti sul divano, probabilmente addormentati lì dalla sera prima.
Lui le stringeva le spalle con un braccio e lei si era abbandonata con la testa sulla sua spalla.
E capì che era quello che esattamente volevo.
Invecchiare dolcemente con Brittany, amarci fino alla fine.


Salì le scale combattuta tra la frenesia e il voler impedire che la colazione si rovesciasse sul pavimento.
Entrai in camera e Britt, coi capelli umidi e pochi vestiti indosso, sembrava essersi appisolata di nuovo, cosa che smorzò un po’ la mia agitazione, la mia euforia.
Posai piatto e tazza sulla scrivania e guardai fuori: di nuovo giorno, di nuovo sole.

“Allora… per cos’era quel fracasso sulle scale?”

Mi voltai sorridendo, contenta che non dormisse.

“Perdonami, ti ho svegliato?”
“Non preoccuparti, riposavo solo gli occhi. Allora che mi hai portato?” chiese, illuminandosi, mentre si metteva a sedere su quel grande lettone.
Le porsi il piatto e sorrisi contenta di farla felice, di vederla radiosa e finalmente serena.
Addentò uno dei pancake, ma a metà si fermò contrariata.
“Non mangi con me?”
Feci segno di no con la testa e poi, approfittando che avesse la bocca piena, con un sospiro presi coraggio.

“Britt, ho bisogno di dirti una cosa…”

“Dimmi tutto.” rispose, mascherando una leggera agitazione masticando più velocemente.

Mi sedetti di fronte a lei con le gambe incrociate e abbassai gli occhi, non più tanto sicura di farcela, non essendo mai stata brava a conciliare sentimenti e parole.

“Lo so di non essere perfetta, di avere mille difetti e mille problemi, ma, non so come, ho questa fortuna di avere incontrato te che li sopporti tutti. Perché tu sei la mia buona qualità, sei il mio pregio. Con te sono la persona che mi piace essere.”

Presi ancora fiato, cercando di nascondere le lacrime che mi erano affiorate, senza che me ne accorgessi, agli angoli degli occhi.
 
“E voglio continuare ad essere questa persona per tanto, tanto tempo.”

Mentre le dicevo questo, mentre la guardavo in quegli occhi azzurro cielo e li osservavo arrossarsi per le lacrime di gioia, mi resi conto di quanto amore scorresse tra di noi: negli sguardi, nelle parole, nelle promesse.

“Quindi…” esitai un attimo, imbarazzata. “… non arrenderti mai con me, ok?”

“Non lo farò.”

Lei mi sorrise felice, tirando su col naso e lasciando scorrere qualche lacrima.
Il mio cuore si sollevò di mille metri; sentì il peso che avevo avuto pronunciando quelle parole svanire nel nulla.
Erano chiare le mie intenzioni, erano chiare le sue.
E ciò che importava era che fossimo disposte entrambe a sopravvivere, insieme.
Pronte a mettere da parte qualsiasi cosa per capirsi, e alla fine completarsi, naturalmente, come solo a noi riusciva.




“Allora noi andiamo.”
La signora Pierce si precipitò a stringerci entrambe in un forte abbraccio.
“Mamma, andiamo a qualche isolato da qui, non al patibolo!”
“Lo so, ma è così bello riavervi qui, insieme. E ora che state anche insieme insieme… non lo so, mi si riempie il cuore di gioia a vedervi così felici! Insomma Santana, sei sempre stata la mia preferita…”
Sorrisi imbarazzatissima alla madre di Britt che, scongelatasi, sembrava essere tornata l’affettuosissima donna che mi aveva fatto da madre acquisita.
“Grazie, signora Pierce”
“Tesoro, chiamami Margaret. Oramai sei ufficialmente di famiglia!”
Brittany sorrideva di quel ritorno alla normalità e della tranquillità con la quale la madre aveva accettato la nostra relazione.
Ed essere in parte motivo di quel sorriso che aveva sulle labbra, della sua felicità, rendeva me estremamente onorata.
“Andate, allora, o farete tardi! E poi non riuscirete ad essere qui per cena!”
Mi voltai assieme a Britt per aprire la porta.

“Santanaaaaa! Aspettate, aspettate, aspettate!”

A chiamarmi era la piccola Jenny rimasta la sera prima ospite degli zii Pierce.
Mi voltai rapidamente e mi accovacciai a terra per poterla guardare negli occhi.
“Cosa c’è, J?”
La bambina adorava che la chiamassi così, la faceva sentire grande; ne ebbi la conferma da quel suo grande sorriso che non riuscì a trattenere.
“I miei genitori mi vengono a prendere tra poco. Volevo salutarti!”
Spalancai le braccia e lei mi abbracciò senza riserve.
Era strano avere un corpicino così piccolo che si avvinghiasse a me.
Non ero mai stata capace di essere affettuosa, fuggivo da ogni contatto
fisico che non fosse strettamente necessario, almeno con le persone che non conoscevo bene. Ma sentivo nei confronti di Jenny un senso di protezione, un senso del dovere, che mi faceva comportare diversamente.
Sentivo di doverlo fare perché vedevo nei suoi occhi e nei suoi gesti quanto ci tenesse, quanto fosse affezionata, chissà poi perché, a me.
E tutto sommato non mi dispiaceva nemmeno che mi dedicasse tante attenzioni e che io potessi ricambiare senza paura di essere giudicata fragile o sdolcinata.
Le strinsi forte i capelli per tenerla attaccata a me e far in modo che solo lei sentisse, come se fosse il nostro segreto.
“Ma torno, sai!? Ci rivedremo!”
Lei si staccò velocemente per leggere il mio viso e capire se stessi mentendo.
“Dici sul serio? Stavolta tornerai?”
“Mi troverai qui molto più spesso di quanto tu possa immaginare…”
E, sapendo che ci stava ascoltando, alzai lo sguardo in alto per incontrare gli occhi azzurri di Britt e le sue incantevoli labbra che ci sorridevano.





“C’è qualcuno?”
Varcammo la soglia di casa Fabray dopo aver bussato alla porta per svariati minuti.
“Quinn???” esitai entrando in salotto, mentre Britt mi sorpassava e controllava in cucina.

“Oh mio Dio!”
L’urlo allarmato di Brittany mi spaventò e mi fece precipitare da lei.
“Britt, che-?” iniziai non appena la ebbi nel mio campo visivo.
“Trovata…” disse voltandosi verso di me ad occhi chiusi.
Guardai preoccupata e curiosa al di là della sua schiena e mi si presentò uno scenario rivoltante.
“Madre de Dios, Quinn!”

La “piccola” Quinn Fabray non aveva di certo una reputazione immacolata, ma non avrei mai immaginato di trovarla sul marmo della cucina, mezza svestita, schiacciata da Matt.
 
“Ehm… ragazze… già di ritorno?! Non vi aspettavo!” balbettò lei con due sciocche rosse in faccia e la fretta nelle mani di riabbottonare la camicetta.

Mi girai anch’io come Brittany per dare il tempo ad entrambi di ricomporsi.

“Q, hai pensato anche solo per un momento che potesse entrare tua madre da quella porta e beccarvi?”
“Santana, mi sembra ovvio che non stavo pensando!” rispose a tono lei, cercando di non essere calpestata dalle mie parole.
“Ah di questo sono sicura! Se avessi pensato per un secondo non ci avresti provato con questo scimmia!” la punzecchiai girandomi con le braccia incrociate al petto e guardandola con aria di sfida dritto negli occhi.
“Ehi!” s’offese lui.
“Hai la patta aperta, cretino…”
S’ ammutolì nuovamente imbarazzato, cercando di rimediare alla sua zip, mentre Quinn scuoteva il capo sconsolata, ricordandosi da che tipo d’uomo s’era sempre lasciata attrarre.

“San, posso girarmi adesso?”

Brittany era rimasta sconvolta e voltata, con gli occhi strizzati, probabilmente cercando di ignorare anche i nostri commenti.
Mi avvicinai a lei toccandola delicatamente sulla spalla per non farla sobbalzare.
“Sì, Britt, sono presentabili ora.”
Lei tirò un sospiro di sollievo e, diversamente dal silenzio che avrebbe aleggiato per ore tra persone normali, lei, la mia dolce biondina, risolse tutto con un “è stato imbarazzante!”
Il suo commento sincero e rapido fece scoppiare a ridere sia me che Quinn;
Matt ci seguì a ruota e in pochi secondi tutti e quattro ridevamo a crepapelle.
Era un po’ come essere tornati al liceo, con un Puck leggermente diverso, qualche esperienza alle spalle, maturati, ma gli stessi di sempre.


“Aggiungerò questo agli aneddoti -i momenti imbarazzanti di Quinn Fabray-” commentai sul finire della risata.
“Non credo la lista sia molto lunga.” cercò di rimediare Quinn.
“Oh puoi scommetterci…” ribattei io. “Ma non preoccuparti! La tirerò fuori solo quando i vostri figli avranno 15 o 16 anni.”
“Chiudi il becco, Lopez.”

E risi nuovamente. Di quell’amicizia spontanea, di nuovo solare, grazie alla fiducia ritrovata che solo Brittany poteva avermi restituito.

“Beh… eravamo tornate qui per recuperare la mia roba ed eventualmente Matt, pensando che ti stesse infastidendo, ma a quanto vedo…”

“Santana, sei tornata l’arpia di sempre?” chiese lui, quasi compiaciuto.
“Oh no, questa è la versione migliorata…” risposi lanciando uno sguardo alla donna al mio fianco.

Io sorridevo adorante alla mia bella e lei faceva altrettanto, isolate dal mondo.
E Matt e Quinn sorrisero per noi.
“Piccioncine, non perdete tempo qui e andate a recuperare le cose di sopra, su! A meno che non vogliate salutare anche mia madre ora che torna…” ci spronò Quinn, vedendoci troppo prese l’una dall’altra.
Io mi risvegliai leggermente dall’incanto.
“Non ci tengo. Tua madre mi dà i brividi!”
“San, non esagerare! E’ pur sempre la madre di Quinn!” mi ammonì Britt che guardò l’altra con uno sguardo rammaricato. “Perdonala. Noi andiamo di sopra e togliamo il disturbo!”
Mi sentì trascinare verso l’uscita della cucina e Quinn rise per come la prepotente e determinata Lopez fosse tornata ad essere mansueta e silenziosa al semplice contatto con Brittany.
Sembrava che mi rendesse debole, eppure quella fragilità, quell’amore, mi rendeva la donna più potente del mondo.

“Ma non ci metteremo molto, quindi non riprendete da dove avevate interrotto. Capito, Fabray!?” le urlai una volta sulle scale, sapendo di farla sbuffare e ridendone anche senza vederla.
 

Ma Quinn non sbuffava. Era silenziosa, rifletteva.
“Quindi? Questo è quanto? Si sono ritrovate, fine e tutti vissero felici e contenti?” chiese Matt leggermente disorientato ed imbarazzato.
Quinn sorrise.
“No, questa non è una fine.”


La sentì, prima di salire l’ultimo gradino, e raggiunsi sorridente la mia Brittany.
Aveva ragione Quinn.
Questa era stata la parte facile. Avevamo messo da parte orgoglio ed errori e avevamo ricominciato. Ma dovevamo superare altre mille difficoltà, pensare al bene l’una dell’altra, crescere.
Impossibile credere che da quel momento in poi non avremmo trovato ostacoli sul nostro cammino, ma poterlo definire nostro era già qualcosa.
Ero determinata a superare ogni scoglio con lei, fin quando mi avesse voluto.
E no, non era una fine; era il nostro inizio insieme.

Guardavo al futuro adesso e c’era lei al mio fianco, sempre, ne ero certa.
Guardavo al prossimo Natale, alla prossima vigilia e a tutte quelle a venire, che con un po’ di speranza, fiducia e sicuramente tanto amore avremmo passato insieme.
Una vita scandita dal Natale.
Una vita scandita da lei.



Piccola nota:

Vorrei scusarmi veramente tanto con chi ha seguito fino alla fine questa mia storia per l'attesa immensa di quest'ultimo capitolo.
Per fortuna o purtroppo, citando Gaber, la vita è piena di impegni e mi sembrava di non trovare mai tempo, spazio e ispirazione per questa fine, forse perché credevo che scrivendola dovessi mettere far finire troppe cose.
Invece, come hanno capito Santana e Quinn, mi sono resa conto che non mettevo fine a niente, se non ad una bella (si spera) storia che potrà continuare nella vostra immaginazione.
Sì, il finale è abbastanza aperto, ma, almeno nelle storie di fantasia, perché non godersi il lieto fine?

Insomma, spero vi sia piaciuta tutta, anche questo capitolo per cui ho sudato tanto.
Tanta attesa e poi l'ho scritto in due giorni... lo so, l'idiozia.
Fatemi sapere ancora una volta cosa ve n'è parso e, chissà, magari mi beccherete in una prossima storia.
Grazie mille a tutti!

_CodA_



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