Isolate

di Sophie Hatter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte I ***
Capitolo 2: *** Parte II ***
Capitolo 3: *** Conclusione ***



Capitolo 1
*** Parte I ***


Nota di inizio: nonostante io abbia letto il settimo libro, ci tengo a precisare che questa storia si basa su una speculazione da me sostenuta a prescindere dalla lettura del libro stesso, che faceva parte delle mie teorie già da prima di aprire Deathly

Nota di inizio: nonostante io abbia letto il settimo libro, ci tengo a precisare che questa storia si basa su una speculazione da me sostenuta a prescindere dalla lettura del libro stesso, che faceva parte delle mie teorie già da prima di aprire Deathly Hallows. Dunque, sentitevi liberi di leggere questa storia senza il pericolo di incappare in spoiler, perché non verrà tenuto alcun conto di ciò che è accaduto nel settimo libro. La maggior parte dei riferimenti riguardano Harry Potter e Il Principe Mezzosangue.

Questa fanfiction è stata scritta per partecipare al concorso estivo Storie Inquietanti, indetto da Harriet sul forum di EFP. Non posso certo dire che sia stata un’impresa facile, in quanto per me era la prima volta che sperimentavo questo genere di storia; in più, sono andata a scegliermi un personaggio protagonista e una forma (la scrittura in seconda persona) su cui non avevo mai lavorato prima (sicuramente una campionessa della furbizia). Però la pensata che ho avuto è stata questa, e per fortuna non ho avuto problemi a portarla fino in fondo.

Preciso che il titolo è ripreso da una canzone dei Paradise Lost, la stessa che cito anche in apertura alla fanfiction.

Altra piccola precisazione. Gli spazi nel testo sono voluti. Sono pause o respiri, che mi servono per dare una cadenza al testo.

 

Detto tutto ciò, vi auguro buona lettura.

Jane

 

 

 

 

Marzo 1979

 

 

 

I'm sent for eradication

By whom I cannot know,

But I'm lost without a chance in Hell,

I'm the last one out, I can't avoid this.

Exposed to fire, but I'll burn another way.

A victim of the future, I embrace the tourniquet.

(Paradise Lost, “Isolate”)

 

 

 

Sei stato scelto.

Da Lord Voldemort.

Non è una cosa che ti capita tutti i giorni, Regulus.

 

Ti senti eccitato. È la tua prima missione di una certa importanza, questa, e hai intenzione di svolgerla per bene.

Non farai errori.

 

 

La casa è stata evidentemente abbandonata da parecchio tempo. La pioggia di quel tetro pomeriggio oscuro scroscia con insistenza sopra il tetto scalfito dai colpi del vento, scivola freneticamente nelle grondaie e si riversa sul giardino incolto che ti toccherà attraversare per riuscire ad arrivare alla porta scardinata che ti attende all’ingresso.

 

Ti sporcherai tutti gli stivali di fango, Regulus.

 

Sospiri, rassegnato, solo una lieve smorfia a solcare il tuo volto signorilmente contratto. Devi fartelo entrare in testa. Per Lord Voldemort, questo e altro.

Sai che non puoi più scegliere cosa fare e cosa no.

Sforzarti di recitare sempre la parte del figlio ubbidiente ti è servito ad assuefarti in fretta ad una simile logica.

È solo la tua parte più sconsiderata che scalpita in simili frangenti.

 

 

Vai, Regulus.

 

 

Attraversi il viale calandoti con più energia il cappuccio del mantello da viaggio sulla testa, per poi scostarti una ciocca di capelli umidi dagli occhi. I tuoi piedi affondano nella melma in cui il sentiero si è trasformato e il picchiettio incessante delle gocce d’acqua ti riempie le orecchie, impedendoti quasi di udire il frusciare delle tue vesti appesantite.

 

Ancora poco e sarai all’asciutto, non preoccuparti.

 

I tuoi passi si sforzano di essere sicuri, a dispetto della scivolosità del terreno. Pare che il sole stia per tramontare; il cielo si è tinto d’un bigio più fosco, e la casa sembra essere diventata ancora più buia.

 

Il giardino è davvero in uno stato pietoso, comunque.

Le erbacce hanno invaso tutto il selciato. Un peccato, perché sembrava suggestivo. E a te piacciono le case ben tenute, Regulus. Ma non hai tempo da perdere in futili contemplazioni; hai un compito da svolgere per conto dell’Oscuro Signore, e hai la ferma intenzione di dimostrarti all’altezza delle sue aspettative.

Il tuo timore va di pari passo con la tua determinazione, del resto.

 

Ecco, sei sotto il portico. Sali i gradini, li senti scricchiolare. Sono di legno, marcio probabilmente. Non osi attaccarti al corrimano; di sicuro è ridotto anche peggio. Non sai da quanto questa catapecchia sia stata abbandonata; la persona a cui apparteneva è morta sei mesi fa, uccisa di persona dall’Oscuro Signore.

Particolare di estremo interesse, senza dubbio.

L’Oscuro Signore si scomoda personalmente soltanto per pochi, eccezionali soggetti, che tu sappia.

Per il momento, oltre ai Paciock e ai Potter, questa Dorcas Meadowes è l’unica che tu abbia appreso essere stata cacciata personalmente da Lord Voldemort. Non conosci i dettagli, non sei ancora arrivato così in alto da poterti permettere un simile privilegio, purtroppo; tuttavia, con la missione che ti è stata affidata, è probabile che finirai per scoprirne di più.

Per questo il tuo passo è sicuro e il tuo volto deciso, mentre entri dentro quella casa fatiscente.

 

All’inizio c’è solo il buio, il cigolio acuto dei cardini e il vento che ulula rabbiosamente all’esterno, dopo aver fatto richiudere la porta con un colpo secco che ti fa quasi sobbalzare.

Poi la tua vista comincia ad abituarsi, e comprendi di trovarti in un grande salone semivuoto illuminato dalla scarsa luce proveniente dalle poche finestre non sigillate.

 

 

La fretta di fuggire, forse.

 

 

Cominci a riflettere su quanto debba essere terribile essere braccati da Lord Voldemort in persona mentre compi i primi, esitanti passi nell’ingresso. La tua sicurezza è svanita quasi di colpo di fronte a quel vuoto fatto di mobili coperti da bianchi teli grezzi, con le finestre sigillate da una fuggitiva, con quel corridoio che là in fondo sembra condurre alle scale per il piano di sopra.

 

Avanzi, e uno spiffero gelido ti percorre sinuosamente la nuca.

Volgi lo sguardo attorno, una, due volte, estrai la bacchetta e sussurri Lumos.

Fuori ancora imperversa lo scrosciare dell’acqua.

 

Non ti ha detto che cosa cercare, Regulus.  

Sai soltanto che devi liberarti di tutto ciò che potresti considerare compromettente.

Riguardo l’Oscuro Signore, probabilmente.

Ti sembra tutto molto strano e non credi di aver davvero compreso qualcosa di quella storia, ma prosegui ugualmente.

 

 

Soltanto la tua fedeltà sarà ricompensata.

 

 

Le assi del pavimento scricchiolano. Come i gradini. Di legno marcio. Senti improvvisamente gocciolare, e ti accorgi che il soffitto ha un buco da cui entra l’acqua che infanga il mondo esterno.

È un ticchettio costante che rompe il silenzio come un fastidioso rubinetto che perde, solo più incisivo e amplificato dal vuoto.

 

Un altro soffio d’aria gelida ti induce ad infilare una mano in tasca, mentre l’altra continua ad illuminare il pavimento con quel flebile fascio di luce.

Forse devi cominciare a dare un’occhiata intorno.

 

Ci sono degli scaffali, alla tua destra. Immerso nel suono del pavimento che scricchiola, ti avvicini per esaminarli. Libri, fogli di pergamena, lettere, vasi da fiori, candelabri e statuette di porcellana. Decidi che brucerai tutto il materiale cartaceo; non puoi perdere l’intera nottata ad esaminare pagina per pagina tutta quella piccola biblioteca. Appena la pioggia cesserà, ammucchierai tutto quanto in giardino e accenderai un bel falò, così magari riuscirai a riscaldarti. Il freddo ti sta penetrando nelle ossa, e l’aria è interamente satura di umidità.

 

Il tavolino circolare è completamente vuoto, carico soltanto di polvere. Sollevi i cuscini delle poltrone uno ad uno e ottieni solamente di farti scappare un poderoso starnuto, che sembra rimbombare sinistramente in tutta l’abitazione per poi placarsi e ripiombare nel silenzio. Ti fermi un attimo a scrutare l’oscurità, senza emettere suono. Ricordi con fastidio quando tuo fratello Sirius ti prendeva in giro perché da piccolo avevi paura del buio, prerogativa che ti aveva evitato, fortunatamente, di possedere lo sconsiderato coraggio necessario ad essere Smistato a Grifondoro.

Non ti importa. Sai bene di avere qualità di molto superiori rispetto alla cieca audacia del tuo rinnegato consanguineo, e ormai il suo ricordo ti brucia soltanto un poco.

Per te è come se non esistesse più, dopotutto.

 

L’attaccapanni alla sinistra della porta è carico di mantelli, ma le tasche sono tutte vuote. Ti pulisci con una smorfia le mani impastate di ragnatele; una simile sporcizia non è certo adatta ad uno del tuo rango. Lord Voldemort avrebbe anche potuto mandare Travers o Rosier ad occuparsi di un simile compito, anziché l’unico erede della Casata dei Black; sei certo che se Walburga lo venisse a sapere s’infurierebbe non poco.

 

Peccato che tu non sia nella posizione più adatta per contestare gli ordini dell’Oscuro Signore.

Nessuno lo è.

Nemmeno tua cugina Bellatrix, che tanto si vanta della sua collocazione nella gerarchia dei Mangiamorte.

Poco ti importa anche di lei, ormai. Verrà il giorno in cui giungerà anche per te l’occasione adatta a dimostrare a tutti quanto vali davvero, e allora persino tua cugina ti porterà il rispetto che meriti.

 

La credenza sulla parete di fondo contiene solo un vecchio servizio da tè, perciò ritieni di poter passare a ispezionare il piano di sopra; più prosegui e più ti domandi che cosa Lord Voldemort vuole che tu estrapoli da quella casa, ma per poterlo dire con sicurezza sai di dover prima perlustrare tutte le stanze mancanti.

Conosci l’arte della pazienza, a differenza di tuo fratello Sirius, e non ti poni alcun problema.

Ti avvii verso il corridoio che dà sulla sala d’ingresso con passo sicuro e misurato, guardandoti attentamente intorno e indirizzando con mano ferma il fascio luminoso della bacchetta di fronte a te. L’androne su cui sbuca il corridoio è più illuminato della stanza all’ingresso, e sul fondo vi si affaccia una scala; ha delle grandi finestre, ma al suo interno vi sono solamente un vaso portaombrelli e dei quadri appesi alle pareti. Nulla si muove, lì intorno, soltanto la polvere vortica tumultuosamente illuminata dai fasci di luce che attraversano le finestre.

 

 

È all’improvviso che quel suono ti raggiunge l’orecchio.

Il suono di un pianoforte, limpido, triste e fioco al tempo stesso. Proviene chiaramente dal piano di sopra. Sul momento hai uno scatto, poi ti irrigidisci in un attimo, domandandoti chi diavolo ci possa essere in quella casa a suonare un pianoforte; ti viene in mente che potrebbe semplicemente essere stregato, ma procedi con estrema cautela nonostante i mille pensieri rassicuranti che la tua confidenza in te stesso ti espone razionalmente in sequenza per sedare la tua momentanea agitazione.

 

Una cosa è sicura, e te ne rendi conto, Regulus; devi andare al piano di sopra.

 

È una nenia cupa, quella che senti suonare. Una melodia ipnotica, insinuante, qualcosa che ti attira più di quanto vorresti. Il silenzio della casa ti pesa addosso mentre sali le scale. Sembra che ogni crepa nel muro ti osservi, che ogni lampada pendente dal soffitto tenga d’occhio i tuoi movimenti, pronta ad approfittare della tua prima distrazione. Tieni la bacchetta ben alzata di fronte al viso, preparato a reagire non appena ce ne sia bisogno; non sai che cosa ti troverai davanti, riesci a vedere solo la penombra delle scale e la polvere che vortica illuminata dai fasci di luce provenienti dalle finestre rotte, e più sali più il suono del pianoforte si fa limpido nelle tue orecchie.

I battiti del tuo cuore accelerano irrimediabilmente.

Sai che non devi aver paura, che sei un mago abile e che hai i riflessi pronti, all’occorrenza; ma l’inspiegabilità del fenomeno t’inquieta, e non riesci ad impedire al tuo corpo di reagire.

Senti le pupille dilatarsi e le ginocchia tremare, quando arrivi in cima.

Di scatto ti guardi indietro, giù, preso da un istintivo timore. Potrebbe essere una trappola, e ti rendi conto che devi stare molto attento. Lord Voldemort non aveva previsto tutto questo, ma la proprietaria della casa era una strega, e tu sei solo, lì dentro, solo con la tua bacchetta.

 

O almeno lo speri.

 

Deglutisci ed avanzi, determinato a non farti intimorire da queste sciocchezze, deciso a farla finita una volta per tutte. Il suono triste e ovattato ti guida fino alla seconda stanza sulla sinistra del corridoio del piano di sopra, e ad ogni scricchiolio del pavimento ti maledici e rallenti. La porta è aperta, lo vedi, dà sull’interno. Scorgi già un angolo del locale, ancora un pavimento in legno e un muro bianco e spoglio, il tutto immerso nella penombra. Il tuo cuore, ormai, batte al ritmo flebile e rapido della melodia. Abbassi la bacchetta, stringi i pugni, ti appoggi con la schiena alla parete e poi conti fino a tre, prima di agire.

 

Uno.

 

Due.

 

Tre.

 

Nulla.

 

Lì dentro non c’è assolutamente nessuno, perciò puoi riprendere a respirare. Il pianoforte ha smesso di suonare, come hai posato un piede all’interno della stanza. Non c’è altro, lì dentro; solo quello strumento a coda che, per quanto Babbano, ti è sempre sembrato oggettivamente piuttosto elegante. Ma nient’altro.

 

Decidi di entrare e ti avvicini, lentamente.

 

Il tuo mantello scivola sul pavimento al ritmo dei tuoi passi.

 

Il fruscio per poco non ti fa voltare.

 

Vorresti sederti allo sgabello e sfiorare i tasti d’avorio in preda a pensieri malinconici, ma ti rendi conto che tutto ciò a cui hai assistito finora non è immediatamente spiegabile e comprendi che quel nobile oggetto potrebbe benissimo essere stato maledetto per mettere fuori combattimento gli intrusi non graditi. Un piano piuttosto ben congegnato, senza dubbio. Ma tu sei un Mangiamorte. Non ti farai certo mettere nel sacco da una persona così stolta da schierarsi contro Lord Voldemort.

 

Non hai avuto molta possibilità di scelta, Regulus, e lo sai.

Era con lui, o contro di lui.

E non avresti mai potuto resistergli, se avessi optato per la seconda possibilità. Così come non potranno resistergli il tuo sciocco fratello e i suoi amici. Dicono di essere pronti a dare la vita, ma chi poi, di fronte al momento conclusivo, accetta con totale serenità il suo fato avverso? Chi può trattenersi dal protestare a gran voce nell’attimo in cui tutte le sue speranze future, i suoi progetti e i suoi anni ancora da vivere vengono stroncati con un colpo netto?

 

Nessuno sarebbe felice di andare incontro alla morte.

 

Ancor meno consapevolmente.

 

Perciò tu hai fatto quello che dovevi fare.

Hai scelto. In nome della tua pragmatica razionalità, non di qualche stupido e vanesio ideale.

 

E sarai tu che porterai avanti il buon nome della tua famiglia, non Sirius.

 

Sirius farà la fine del cane con il mero conforto dei suoi pseudo fratelli accanto a sé.

Tu non sarai così, Regulus.

Tu non hai nessuno per cui valga la pena dare la vita.

 

Decidi che è ora di proseguire. Quel pianoforte è riuscito ugualmente a metterti di malumore, anche se ti sei mantenuto a debita distanza. Ti incammini verso la porta, gettandoti un’ultima occhiata alle spalle per controllare che tutto rimanga immobile al suo posto, poi sollevi di nuovo la bacchetta ad illuminarti la via e ti dirigi verso la stanza di fronte a quella del pianoforte, dalla cui porta socchiusa filtra decisamente meno luce.

 

Anche stavolta ti avvicini con circospezione. Anche stavolta trattieni il respiro, mentre la mano sudata quasi ti scivola sulla maniglia. Spalanchi la porta con un colpo secco e illumini freneticamente ogni angolo, dopodiché puoi stare sicuro che anche lì dentro non vi è anima viva.

 

Questa stanza è decisamente più piena delle altre che hai esplorato finora. Ha un tavolo circolare, al centro, delle sedie intorno e sulla sinistra un camino in pietra. Un cassettone sulla destra, una credenza in fondo, un divano di fianco al camino e un comodino di fianco alla porta. E non è grande come le altre, anzi. Per questa volta ti è andata meglio, Regulus.

 

Ti avvicini lentamente al camino. Spazzi elegantemente via le ragnatele con una mano e ti trovi di fronte ad una serie di fotografie incorniciate. Sono tutte completamente prive di vita; soltanto un turbine di foglie secche vortica nell’angolo di un boschetto autunnale che si scorge nella terza da sinistra. Passeggi lentamente davanti a quelle immagini vuote, osservandole con un certo interesse; non hai mai visto verificarsi un fenomeno simile. Sei sempre stato abituato alle fotografie animate, anche se non hai mai amato molto farti ritrarre; il vanesio della famiglia è sempre stato Sirius, con la sua tracotante bellezza, la sua ostentazione ribelle.

Ancora pensi a Sirius, e un po’ ti brucia.

Non lo vorresti.

Ti sembra crudele che la memoria continui a tormentarti, perché tutta quella rabbia che covavi dentro di te quando il suo abbandono si è dimostrato definitivo è soltanto un ricordo umiliante, una manifestazione di una debolezza che non ti puoi più permettere; ora sei grande, Regulus, esegui gli ordini dell’Oscuro Signore, presto i tuoi meriti verranno riconosciuti e non hai certo tempo da perdere in simili elucubrazioni. Perciò, sarà davvero meglio per te che tu ci dia un taglio…

 

 

Un momento.

 

 

Il pizzicore alla nuca aumenta, mentre tieni gli occhi fissi su quell’ultima fotografia nell’angolo destro della mensola.

Fai un passo dopo l’altro, lentamente, per avvicinarti, ed è all’improvviso che lo noti; con il cuore in gola, ti sforzi di mantenere la calma ma hai paura di avvicinarti troppo.

 

Ragiona. Sei abbastanza sicuro che poco fa non ci fosse nessuno riflesso in quello specchio.

 

L’immagine ritrae una stanza, forse una camera da letto. Tutto ciò che l’inquadratura comprende è un muro spoglio, un attaccapanni con dei mantelli logori sulla destra, una cassettiera di legno con un candelabro acceso e un grosso specchio appeso sopra di essa, incrostato di vecchiaia e ormai appannato.

 

Distogli un attimo lo sguardo. Forse ti sei sbagliato.

No, ci hai visto giusto, Regulus: il cuore ti batte più forte e nello specchio è riflessa l’immagine di una donna, inquadrata dal busto in su, un volto magro e incavato incorniciato da capelli crespi.

 

Provi a pensarci. Forse prima l’hai confusa con le ombre riflesse, e non ti sei accorto della sua presenza. Forse non ci hai fatto caso perché eri distratto, forse hai solamente preso un abbaglio.

Eppure la donna ora è lì, nella foto, lo sguardo basso e l’espressione muta.

 

Ti sembra razionalmente ridicolo che qualcuno si faccia fotografare in quel modo, ma hai già sentito il pianoforte suonare da solo e questa potrebbe essere soltanto l’ennesima stranezza.

Fai ancora un altro passo e ora le sei di fronte, immobile, hai quasi paura di respirare per non svelare la tua presenza. Osservi in silenzio i suoi lievi movimenti, sforzandoti di trattenere il fiato.

 

Ma a un certo punto la donna alza il volto e ti guarda fisso negli occhi, con uno sguardo di fuoco che ti fa sobbalzare di colpo. Il tuo respiro accelera e ci metti un attimo a recuperare la calma, mentre il fascio di luce tremola nella tua mano destra.

 

Ti domandi come sia possibile che quel ritratto fotografico abbia avvertito che ti trovavi al suo cospetto, e non riesci a staccare gli occhi di dosso dal suo sguardo nero, da quel volto incavato, da quell’espressione di morte che ti guarda nell’anima.

Sembra passare un’eternità prima che la donna faccia qualcosa, poi la vedi voltarsi lentamente all’indietro e mettersi a sfogliare qualcosa che sembra un grosso libro poggiato su un tavolo, un tavolo che sta davanti a quella che, sullo sfondo, sembra essere la mensola di un caminetto.

 

 

Aspetta.

 

 

Pur avendo quasi paura di staccare gli occhi da quell’immagine, ti volti con circospezione e te lo trovi lì alle spalle, quel mobile, illumini lo specchio con la bacchetta ed esso ti restituisce l’ombra riflessa del tuo volto pallido e contratto in un irreale gioco di somiglianze, ed eccolo lì, tra te e la cassettiera, quel tavolo verso cui la donna si è voltata mentre ti guardava.

Non hai fatto molto caso a tutto questo, prima.

 

Ti avvicini, sei al centro della stanza. I cuscini delle sedie sono completamente tarlati, la polvere ricopre quell’unico, vecchio volume dimenticato sul bordo insieme ad una tazza da tè. Ne osservi la copertina, ormai pienamente coinvolto in ciò che quella casa ti sta svelando; il titolo è illeggibile, così ne sfogli le pagine, con febbrile curiosità. Improvvisamente, il contenuto ti fa pizzicare la nuca. Te ne accorgi. È un libro di magia nera, pieno di incantesimi in grado di far accapponare la pelle a chiunque; la tua fronte si corruga mentre lo osservi, ti domandi che cosa se ne facesse un membro dell’organizzazione che lotta contro il Signore Oscuro di un simile testo, e la paura comincia ad insinuarsi dentro di te. Non capisci che cosa stia succedendo, Regulus, la tua razionalità non ti è d’aiuto e tutto questo potrebbe farti impazzire, se tu non fossi perfettamente in grado di mantenere i nervi saldi.

 

Il controllo di te stesso prima di tutto, Regulus.

Te l’hanno insegnato bene.

E tu hai sempre imparato la lezione con diligenza e applicazione, a differenza di tuo fratello.

 

Respira. Prova a pensare, non fare caso alle atrocità che ti passano sotto gli occhi. La finestra è stata sbarrata e la poca luce che fino a un momento fa filtrava dall’esterno sta lentamente svanendo, insieme al sole che se ne va inghiottito dalle colline all’orizzonte. Puoi soltanto immaginarlo, mentre ascolti ancora il ticchettio incessante e confuso della pioggia. Ora si fa più forte, è uno scroscio continuo, ti invade le orecchie e sembra quasi rimbombare nella stanza, tra poco giungerà il lampo e poi il tuono, improvviso e terribile. Il freddo ti fa sudare e quasi non ti senti più i piedi, ma devi andare avanti, Regulus. Oramai la curiosità è troppa.

 

Le pagine sembrano intrise di gocce di sangue, in certi punti; alcune sono strappate in un angolo con il segno che pare quello di un morso, e le immagini sono soltanto buchi neri, tracce fumanti di teschi confusi sullo sfondo, un ghigno vuoto che perseguita l’immaginazione per poi svanire e lasciare il posto a grida sottili di sottofondo. Non hai mai sfogliato un libro come quello. Non c’è nulla che descriva minuziosamente gli effetti degli incantesimi, soltanto accenni mostruosi che fanno contorcere le viscere. Movimenti di bacchetta e formule sussurrate per riprodurre la morte. Hai sempre nutrito un certo segreto terrore per cose come quelle, Regulus, e mentre il silenzio ti circonda come una cappa di nebbia ti dimentichi che ti sei votato a quel genere di magia, stupefatto e inorridito.

 

Poi torni a riflettere, attentamente, con metodo.

L’Oscuro Signore voleva che tu trovassi questo libro e lo distruggessi, o non è neppure al corrente della sua esistenza? E se così fosse, che ne devi fare, tu, di una simile mostruosità? Che ne devi fare di quella casa? Perché…

 

Ti volti, improvvisamente all’erta, puntando con violenza il fascio di luce della bacchetta sulla fotografia in cui è apparsa la donna. Spalanchi gli occhi di colpo. Ti fissa, terribile, ti squadra da sotto in su, tenendo in mano il libro aperto circa verso la fine. Ne spiana le pagine con una mano, come per lasciare il segno, poi lo richiude e si volta di nuovo a posarlo sul tavolo, tornando a tenere lo sguardo immobile verso il basso.

 

Dev’essere lei. Dorcas Meadowes. La proprietaria della casa. Ti sembra assurdo e incredibile ma qualcosa dentro di te sa che sta cercando di dirti qualcosa attraverso quella foto e quel libro e tutto il resto, e il tuo buonsenso improvvisamente svanisce. Ti sforzi di staccare gli occhi da quella fotografia, ormai del tutto terrorizzato da quello sguardo, assuefatto alla paura che torni a fissarti di nuovo mentre non te ne accorgi. Deglutisci, ti costringi a respirare e ce la fai. Apri il libro alla prima pagina e ci trovi dentro un foglio di pergamena, con la calligrafia minuta di quello che dev’essere stato il bibliotecario.

 

Londra. Data del prestito. Nome. Data indicata per la restituzione.

È evidente che quel libro non è mai tornato al suo posto.

 

Vai in fondo, cercando le pagine più segnate dalla piega di chi ci si è chinato sopra. Ignori i sussurri di morte, ti rendi solamente conto che la pioggia è cessata e che il silenzio ti fa paura, arrivi dove ti sembra di intravedere il calco maggiore sulle pagine e sfogli, febbrile, leggendo gli incantesimi riportati uno per uno.

 

 

Maledizioni. Anatemi. Cose orribili, Regulus.

Lo pensi, e ancora te ne dimentichi.

Che tu sei parte di questo mondo.

Ma cosa ha più importanza per te, Regulus? La purezza del sangue, o il vederlo sgorgare?

 

 

Ci sono delle macchie di inchiostro, lì.

Un’orecchia alla pagina, e delle macchie di inchiostro.

In un punto preciso.

 

L’intestazione della pagina dice Horcrux.

 

Horcrux. Non hai mai sentito nominare quella parola.

 

Il tuo sguardo si risolleva furtivamente dalle pagine, mentre ti accorgi del silenzio spettrale che ti è calato attorno. Scruti con un diffuso tremore la fotografia della donna, ma dopo diversi secondi in cui non osi sbattere le ciglia lei continua a rimanere con gli occhi fissi sul libro, apparentemente intenta a leggere.

Continui a pensare che sia assurdo, ma non hai altre possibilità davanti a te.

Non puoi mollare tutto e andartene da lì. Vorresti, Regulus, e lo sai, quella faccenda sta diventando molto più complicata del previsto; ma poi come faresti a presentarti di nuovo al cospetto dell’Oscuro Signore, sapendo che non hai obbedito ai suoi ordini? Non solo non ne sarebbe contento, ma ti farebbe del male, colpirebbe te e magari anche la tua famiglia soltanto per punirti della tua negligenza. Sai di che cosa è capace l’Oscuro Signore; l’hai visto scatenare tutta la sua fredda collera su alcuni dei tuoi compagni ben più di una volta. Non puoi permetterti di fuggire, e anche se ciò fosse possibile la tua smania di sapere che cosa c’è dietro tutto questo non potrebbe essere placata, lo sai. Vuoi trovare una spiegazione razionale a tutto questo, Regulus. Devi credere che ci sia. Il pianoforte stregato e la fotografia non stanno lì per caso. E anche quel libro. Quell’incantesimo che non hai mai sentito nominare.

 

 

Horcrux.

 

 

Sfogli le pagine all’indietro dopo aver gettato un’altra fugace occhiata alla porta, constatando che ormai il buio ha invaso la casa; arrivi all’apertura di quella sezione del libro, e un sospiro spettrale si innalza dalle pagine, facendoti sobbalzare e gettare il volume sul tavolo.

Sai che è normale, che è incantato. Hai sfogliato altri libri di magia Oscura, mentre eri a Hogwarts, approfittando del tuo incarico di Prefetto per trattenerti in Biblioteca oltre l’orario consentito. Tuttavia ora non riesci a mantenere il controllo sul tuo corpo, e questi scatti prevaricano la tua volontà; ti passi una mano sulla fronte, sotto la frangia ricciuta che te la ricopre, scendendo fino ad accarezzarti la gola mentre cerchi di calmare il respiro. È essenziale che tu mantenga la calma. Qualsiasi cosa ci sia sotto tutto questo lo scoprirai, ma non hai nulla di cui temere.

Quella donna è morta, la casa è vuota.

Non saranno certo una fotografia e un pianoforte a minare il tuo sangue freddo.

 

Leggi bene l’introduzione della sezione, a cui prima avevi riserbato soltanto un’occhiata rapida e distratta. Parte VII. Magia Oscura di livello alto. Quindi, questa faccenda degli Horcrux è qualcosa di veramente terribile.

 

Torni alla pagina precedente, rintracci la macchia d’inchiostro. Il carattere è piccolo, ma tu hai ancora paura di avvicinarti troppo. Avvicini la bacchetta per farti più luce e sforzi la vista, bloccando il respiro, mentre ancora nulla si muove intorno a te.

 

 

Horcrux

 

Si tratta di magia Oscura di livello elevatissimo. La cultura magica ha spesso cercato di occultare l’esistenza di questo tipo di incanto, ritenendolo uno dei più abominevoli mai inventati da mago o strega esistiti. La sua genesi è tuttora incerta, essendo le fonti scarse e spesso di difficile credibilità; c’è chi lo vorrebbe attribuire a Salazar Serpeverde in persona.

Creare un Horcrux è uno dei metodi più efficaci per preservare l’immortalità dell’anima di un mago. Una volta creato un Horcrux, l’anima si scinde in due parti, e il mago o la strega non può essere annientato totalmente finché non vengono distrutte tutte le parti della sua anima.

Il primo e fondamentale passo per creare un Horcrux è compiere un omicidio, cosa che ha comportato, nel corso dei secoli, la denuncia, l’attacco e il bando di tale incanto. È l’omicidio a rendere possibile la scissione dell’anima. In seguito al complesso rituale sotto elencato, la parte di anima scissa viene confinata in un oggetto predestinato, oggetto che sarà possibile distruggere solo tramite incantesimi particolari e poco noti ai più. La procedura per creare un Horcrux richiede grande padronanza della magia Oscura e totale mancanza di scrupoli nei confronti della vita altrui.

 

 

 

Sollevi lo sguardo, mentre un brivido ti percuote.

La stanza è diventata nera come la pece.

 

 

Non vuoi sapere come si fa, Regulus. Provi una strana e spaventosa confusione di fronte a ciò che sta sotto i tuoi occhi, ma non desideri proseguire oltre. Non capisci perché debba essere importante sapere tutto questo. Non lo sai, non lo vuoi sapere e non vuoi più perdere tempo in quella casa fatiscente.

 

Richiudi il libro con un tonfo, e quello esala un gemito spettrale. Quando ogni rumore cessa, torni a fissare la mensola del caminetto. Dorcas Meadowes è scomparsa dalla fotografia.

 

Improvvisamente, però, ti rendi conto che un’altra di esse si è improvvisamente animata. Ti alzi dalla sedia facendo stridere le gambe contro il pavimento e ti avvicini sollevando la bacchetta, ad occhi sgranati. Dove prima non c’era altro che una sala comune di Hogwarts vuota, ora sta una piccola folla di ragazzi quasi immobili.

 

È Serpeverde. La sala comune di Serpeverde. Non è esattamente come la ricordi, ma le sembianze sono le stesse. I volti sono seri, d’altri tempi. Acconciature cotonate per le ragazze, scriminatura severa per i maschi. Dev’essere vecchia di molti anni.

 

Mentre i tuoi occhi si abituano lentamente al buio, fai qualche passo avanti per osservare meglio quelle facce compunte. Una di loro sembra la tua Dorcas Meadowes. Lo stesso viso spigoloso e appuntito, gli stessi capelli crespi, lo sguardo basso. Speri che non si alzi a guardarti. Gli altri non li riconosci, non hai idea di chi siano. No, un momento, forse lo sai. Uno di loro ti ricorda molto Rabastan Lestrange. Un altro sembra un Marcus Avery molto più giovane di com’è ora.

Un altro ancora ti fissa con uno strano sorriso sulle labbra e uno sguardo sinistramente ammaliante, anche se potresti giurare di non averlo mai visto in giro.

Eppure, qualcosa di lui ti suona decisamente familiare.

 

L’immagine ti attrae. Non hai più la forza di andartene. Ti chini maggiormente su di essa, sollevi una mano e la sollevi dalla mensola polverosa.

 

Un attimo dopo uno strappo allo stomaco ti coglie totalmente impreparato, e tutto intorno a te prende a vorticare furiosamente.

 

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Capitolo 2
*** Parte II ***


Nota dell’autrice: ringrazio molto SakiJune e FireAngel per le recensioni positive, ne sono davvero molto onorata

Nota dell’autrice: ringrazio molto SakiJune e FireAngel per le recensioni positive, ne sono davvero molto onorata. La storia prosegue con la seconda parte. Buona lettura.

 

 

 

 

Solo dopo diversi secondi i tuoi piedi toccano di nuovo terra.

Buio, intorno a te, buio e nebbia.

 

Non capisci dove ti trovi.

 

La pioggia scroscia insistente sopra la tua testa, ti guardi intorno voltandoti freneticamente da una parte all’altra. Intravedi delle sagome immobili intorno a te, luci di candela, cipressi neri poco lontano.

 

Un cimitero.

Sei in un cimitero.

 

I tuoi occhi si spalancano per l’orrore, mentre osservi una ad una le lapidi che ti stanno intorno.

 

Nomi sconosciuti, ceri accesi, fiori fradici d’acqua.

 

Siepi che circondano i viali.

 

È notte, e lì dentro non c’è nessuno.

 

 

Dove sei finito, Regulus?

 

 

Ansimi, mentre ti scosti i capelli bagnati dalla fronte. Impazzirai, ormai ne sei certo. Cosa ti sta succedendo, perché proprio a te? Perché quella Passaporta ti ha catapultato in un cimitero? Che vuole quella donna da te?

 

Getti via la fotografia. Nel fango. Non ti interessa. Che vada al diavolo.

 

Ne osservi i resti scomposti sparsi sulla ghiaia.

 

 

Sembra che ci sia qualcosa di strano.

 

 

Ti chini a terra, le tue ciglia grondano acqua, raccatti quel pezzo di pergamena che stava incastrato nella cornice, dietro la fotografia, e quella specie di ciondolo a forma di croce argentata. Fai luce con la bacchetta mentre ti rialzi, le ginocchia quasi ti cedono, quello che leggi sul foglio di pergamena è piuttosto chiaro. La calligrafia è giovanile, stretta e ordinata.

Ti proteggi con il mantello per evitare che l’acqua lavi via l’inchiostro.

 

Anno scolastico 1944/45

 

Da sinistra a destra:

 

Wilelmina Davies, io, Laura Burke, Rabastan Lestrange, Antonin Dolohov, Tom Riddle, Marcus Avery, Simon Pucey.

 

 

Tom Riddle.

 

Il ragazzo con il sorriso ammaliante, sinistro, quello che ti sembrava familiare.

 

Sai che quello era il vero nome dell’Oscuro Signore.

 

 

Probabilmente lui si sarebbe infuriato molto se avesse saputo che tu ne eri a conoscenza, ma non eri stato tu a compiere ricerche di tua iniziativa o ad intrometterti in affari che non ti riguardano.

Te l’aveva detto Albus Silente, una volta.

 

Quando ancora eri a Hogwarts, ti aveva convocato nel suo ufficio. Quel periodo lo ricordi bene, ti stavi preparando per il tuo imminente ingresso nella cerchia dei Mangiamorte. Tua madre e tuo padre ti avevano spronato a farlo, ad unirti all’Oscuro Signore, perché solo così la vostra famiglia avrebbe potuto conservare intatti i suoi antichi privilegi di sangue. Tu eri la loro unica speranza, dopo che Sirius vi aveva così vergognosamente abbandonati.

 

In realtà, altre motivazioni ti hanno spinto ad abbracciare la causa di Lord Voldemort in maniera molto più influente rispetto alle preoccupazioni per la tua Casata. Sirius si era definitivamente allontanato da voi e aveva trascorso un’altra estate a casa dei Potter, per poi tornare a scuola e vantarsi continuamente in tua presenza del fatto di aver trovato una famiglia normale che gli voleva bene per ciò che era; tu hai cominciato ad odiarlo, a giurare e spergiurare che mai saresti diventato come lui; alcuni dei tuoi compagni di Casa, come Severus Piton, Adam Wilkes, Evan Rosier, John Mulciber, avevano iniziato ad avvicinarsi a te, a smettere di storcere sottilmente la bocca quando ti parlavano perché eri il fratello di un reietto, a proporti un efficace metodo di riscatto della tua persona.

 

Poi, Albus Silente ti aveva convocato nel suo ufficio. Apparentemente senza nessun motivo.

 

Ti raccontò la storia dell’Oscuro Signore.

Tom Riddle.

Di come si fosse lasciato pervadere dall’odio e si fosse votato ad una causa di morte, di come non avesse mai amato né fosse riuscito a farsi amare.

Ricordi di essere rimasto piuttosto confuso nel sentire Silente parlare di Lord Voldemort in quei termini così umani, quando tutti lo temevano e nemmeno osavano pronunciare il suo nome, ma anche allora avevi capito di non avere scelta. Ascoltavi di continuo le fredde discussioni dei tuoi genitori riguardo a Sirius, quando eri a casa, il modo bieco e privo di pietà con cui parlavano di lui. Tu volevi essere il loro orgoglio. Il loro motivo di vanto. Segretamente hai sempre saputo di essere più debole di Sirius; meno coraggioso, meno pronto a rischiare. Ma poi è arrivata la tua opportunità. Quella di essere il figlio prediletto. Proprio dove Sirius aveva fallito.

 

 

Dunque, Dorcas Meadowes era una Serpeverde.

Ti sembra assurdo, o quantomeno anomalo; Serpeverde era la Casa dell’Oscuro Signore, e lei si era schierata contro di lui, morendo di sua mano.

 

Infili quel pezzo di pergamena e quel ciondolo nella tasca del mantello, poi ti rimetti in piedi e ti guardi intorno.

 

Sei costretto a non far mai smettere di vagare lo sguardo; hai paura, Regulus. Paura che qualcosa salti fuori da quelle tombe. Ti vergogni ad ammetterlo, ma è così. Non ami i morti, non ami nemmeno i cimiteri. Hai visto alcuni tuoi compagni Mangiamorte resuscitare dei cadaveri, ed è stato orribile. E ora, quella stramaledetta Passaporta di cui non avevi certo previsto l’esistenza ti ha condotto direttamente lì.

In mezzo a file di lapidi. Tremante per il freddo e grondante d’acqua.

 

 

Ci dev’essere un motivo se sei lì, Regulus.

 

Sicuramente ci dev’essere.

 

Finora, tutto ciò con cui sei venuto a contatto in quella casa aveva una consequenzialità, se non un senso. Dovevi scoprire degli Horcrux. Dovevi sapere che Dorcas Meadowes aveva conosciuto Tom Riddle.

 

Dev’essere stata lei stessa a predisporre tutto quanto. Prima di morire, evidentemente. Forse si aspettava che fosse qualcun altro ad entrare in casa sua, non un Mangiamorte, ad ogni modo. Tutto deve essere connesso, in qualche maniera. E ormai sta a te rimettere insieme i pezzi, Regulus. Non hai la forza di mollare tutto e andartene.

 

Rifletti. C’è qualcosa, lì dentro, che devi cercare. Il pezzo mancante che ti può essere d’aiuto per comprendere. Si tratta soltanto di…

 

 

Eccola.

La cosa che cercavi.

Proprio lì, davanti a te.

 

 

Un tuono squassa improvvisamente il cielo illuminando momentaneamente di una luce spettrale il cimitero, e in tutta la chiarezza del lampo leggi il nome scolpito sulla parete di quella cripta.

 

Meadowes.

 

La tomba di famiglia, in cui troverai le risposte.

 

Stringendo il pugno sulla bacchetta recuperi la calma in un sospiro, sussurri Alohomora di fronte al pesante portone ritrovando la sicurezza nella tua voce e a testa alta ti avvii verso le scale che portano al sotterraneo. Ti fai avanti con circospezione, ogni tuo passo rimbomba. Non è come il pavimento della casa; questo è in pietra, fredda, scivolosa per l’acqua che i tuoi stivali vi hanno trascinato dentro. Intravedi la luce dei ceri, in fondo. Il silenzio dell’interno ti fa rabbrividire, in confronto al rumore dell’acqua che scroscia alle tue spalle. Ti guardi indietro, soltanto una volta, per vedere il cielo squassato da un lampo che scompare dietro di te.

 

Ti fai ancora luce con la bacchetta, ma per te non sarà mai abbastanza. Hai bisogno di vedere con chiarezza ciò che ti sta intorno, mentre quelle scale sono soltanto buie.

 

La porta sbatte violentemente, dietro di te.

Ti fa sobbalzare.

Scendi le scale aderendo con la schiena alla parete, pronto a lanciare un incantesimo contro chi si parerà sull’ingresso della cripta.

Ma evidentemente era soltanto il vento che senti fischiare là fuori.

 

Allontani di nuovo una ciocca di capelli bagnati dagli occhi. Scendi gli ultimi gradini, ormai la porta è fuori dalla tua visuale. Qualcosa in meno di cui preoccuparsi. Fai luce sui loculi all’interno, diverse generazioni sono sepolte lì. L’odore di chiuso ti dà la nausea, ma ormai ci sei. Devi avere le risposte. È lì che tutti gli indizi conducono.

 

La tomba di Dorcas Meadowes è l’ultima sul fondo. Ti guardi intorno, cercando un suggerimento per la prossima mossa, ma lì non c’è assolutamente nulla. Solo quella dannata nicchia contenente le ceneri del fantasma che ha deciso di perseguitarti. E se ci fosse andato Rosier o Travers, a perquisire casa sua, che accidenti sarebbe successo? Non avresti mai saputo nulla di tutto questo, lo sai per certo. Loro si sarebbero limitati ad incendiare la casa e ad osservarla bruciare. Tu invece hai voluto scavare nei segreti di una morta, perché, Regulus?

 

Oh, lo sai. Perché è lei che l’ha voluto.

 

Hai sempre fatto ciò che gli altri ti hanno ordinato di fare, Regulus. Ti sei unito ai Mangiamorte come i tuoi genitori hanno voluto, sei andato in quella casa come Lord Voldemort ti ha comandato. Sei stato cresciuto così. È una reazione automatica, per te, per l’educazione a cui sei stato sottoposto. Quando qualcuno più potente di te ti affida un compito, tu lo porti a termine. E ora, Regulus? Stai prendendo ordini da una donna che combatteva dalla parte opposta, te ne rendi conto?

 

Ma è più forte di te.

L’hai capito sin dall’inizio.

 

È lei che ti comanda.

 

 

Ti senti segretamente in colpa per quello che stai per fare, senti ancora il rumore della pioggia e puoi soltanto pregare che nessuno ti scopra, ma alla fine lo fai.

 

Diffindo!”

 

La copertura del loculo esplode in mille pezzi.

Ti proteggi il volto con un braccio, per evitare di essere colpito.

Poi ti avvicini, lentamente, e osservi con il volto contratto il contenuto della nicchia.

 

Una delle due urne contiene le ceneri di Dorcas Meadowes, com’è inciso sul coperchio. L’altra non reca alcuna iscrizione. La estrai lentamente, con attenzione, poi con un colpo di bacchetta risistemi la tomba violata. Non è colpa tua, del resto. È stata lei ad architettare tutto questo. Puoi solo immaginare come sarà sembrato strano, a chi ha ritrovato il suo testamento, leggere che voleva essere sepolta insieme a quel vaso d’argento.

 

Anche ora che tremi dal freddo e senti l’umidità colarti sotto i vestiti, si tratta soltanto di rimettere insieme i pezzi mancanti.

 

Ed è ora che tiri fuori dalla tasca il ciondolo a forma di croce.

 

Horcrux. Tutto è collegato.

 

 

Ti basta rigirare il vaso tra le mani mentre tieni ancora la bacchetta puntata a farti luce per trovare ciò che stai cercando.

È un’incisione scavata nella superficie, esattamente la forma giusta.

 

Inserisci il ciondolo, come se fosse la chiave di una serratura.

Mormori “Horcrux” a bassa voce.

 

È sufficiente.

Il vaso si apre.

 

 

Il suo contenuto è argenteo come il materiale di cui è fatto. Liquido, denso, non hai bisogno d’altro per capire di che cosa si tratta.

 

Lei vuole che tu veda.

È questa la chiave.

 

Ti chini sulla superficie del vaso e ti sembra di intravedere la Sala Grande, laggiù. Gli studenti ne affollano i tavoli, alcuni attendono in piedi, titubanti…

 

 

Ti chini maggiormente e vieni risucchiato all’interno di quei ricordi.

 

 

 

***

 

I ragazzi al centro della Sala sono in attesa di essere Smistati. È il primo di settembre di molti anni fa, una sera buia e grigia, ingannata dal finto cielo del soffitto. È un professore che non conosci a svolgere il compito che al tuo primo anno a Hogwarts era affidato alla McGranitt, quello di reggere il Cappello Parlante di fianco al famigerato sgabello con un foglio di pergamena nell’altra mano.

Dorcas Meadowes è in disparte, avvolta nel suo mantello. Fissa la Sala Grande con uno sguardo da adulta, che non si addice per nulla alla sua giovane età. Prima di lei sono in tanti ad essere chiamati. Poi viene il suo turno, subito dopo Lestrange, Rabastan. Il Cappello Parlante rimane sulla sua testa per diversi minuti.

Serpeverde!” è il grido finale.

Dorcas Meadowes raggiunge il tavolo, ed è solo poco dopo che a loro si aggiunge un giovane di bell’aspetto. “Riddle, Tom” aveva appena chiamato il professore. Non aveva dovuto attendere troppo per trovare il suo posto.

 

 

***

 

L’ambientazione cambia. Dorcas ora è seduta intorno ad un tavolino rotondo insieme ad altre cinque o sei persone, direttamente posta sotto lo sguardo penetrante di un professor Slughorn ancora biondo. Si lascia scrutare come se niente fosse, fissando il bordo della tovaglia, attendendo in paziente e rispettoso silenzio.

Meadowes, giusto? Tua madre è per caso Miranda Yaxley? Avevo sentito dire che si fosse sposata con un certo Meadowes, sì, me n’era giunta notizia… diversi anni fa, già…”

Dorcas attende pazientemente che il professore finisca di parlare. Poi riunisce le mani in grembo e annuisce.

“La notizia era esatta. Miranda Yaxley è mia madre”.

“Oh, bene, bene. Ho frequentato Hogwarts con lei. Molto dotata. È ancora iscritta al circolo dei Pozionisti di Manchester? Io ho dovuto abbandonare da quando mi hanno chiamato ad insegnare, troppo poco tempo libero, eh, sì…”

Dorcas non risponde, lascia parlare il professor Slughorn e lo osserva perdersi nei suoi ricordi di gioventù. Si guarda intorno e sospira, quasi impercettibilmente.

Gli altri ragazzi che le stanno intorno continuano a sorridere.

 

 

***

 

Ora è la sala comune di Serpeverde. Il gruppo di ragazzi dello Smistamento sembra più grande, devono essere al terzo o quarto anno. Tutti seduti in semicerchio attorno al fuoco, su poltrone e divani verdi con rifiniture argentate.

È Tom Riddle che conduce la conversazione. Molti dei ragazzi lo osservano con sguardi carichi di stima e di lode.

“Oh, io credo che Grindelwald sia un gran mago. Uno dei più grandi mai visti. È stato dotato di poteri assai grandi, e di idee illuminate. Ha tutta la mia più sincera… ammirazione”.

Dorcas guarda Tom Riddle con un disprezzo malcelato negli occhi, il volto contratto in una smorfia di rabbia. Si sforza di mantenere il controllo e di non dare nell’occhio, ma a Tom Riddle sembra non sfuggire nulla di ciò che gli succede attorno.

“Qualcosa non va, Dorcas?”

Suona gentile, comprensivo, quasi accorato. Dorcas recupera la sua espressione muta e solleva lo sguardo su Riddle, sfoggiando un lieve sorriso gelido.

“Assolutamente nulla, Tom. Solo, non sono certa di poter condividere la tua ammirazione per Grindelwald”.

 

La guardi, attentamente. Conosci bene quel modo di fare. Il manuale del perfetto Serpeverde, esattamente come te l’hanno insegnato. Se non sei d’accordo con qualcuno dei tuoi compagni di Casa, esprimiti in toni misurati e sottili. È l’etichetta. Le buone maniere.

 

 Tom Riddle lascia svanire a poco a poco il sorriso mellifluo.

“Accetto la tua diversità di vedute, ma ti sarei grato se tu mi chiamassi come abbiamo concordato, Dorcas. Lo preferisco di gran lunga. È un nome dal suono molto più originale”.

Sulla sala comune cala il silenzio. Dorcas contrae lievemente un muscolo sulla guancia. Tiene le mani strette in grembo, mentre distoglie lo sguardo da Tom Riddle; fissa con intensità l’orlo del tappeto come per ammirarne le decorazioni e poi sospira leggermente, tornando a fissare il suo interlocutore.

“Se la cosa è di tuo gradimento… Voldemort” risponde, scandendo attentamente le parole. Sorride, ma è solo apparenza. Le mani sono sempre più strette.

Tom Riddle non dice nulla. Annuisce, abbozza un sorriso compiaciuto e si volge verso Rabastan Lestrange, domandandogli qualcosa a proposito dei suoi cimeli di famiglia.

“Vogliate scusarmi” dice Dorcas con voce sottile, ricevendo in cambio il tacito assenso delle sue compagne. Si alza dalla poltrona con grazia e si dirige verso il dormitorio femminile.

 

Sai che devi seguirla, Regulus. Non sei altro che una presenza nei suoi ricordi, nessuno si accorgerà di te.

 

Dorcas è entrata nella sua stanza. È sola, ma se ne accerta gettandosi un paio di occhiate furtive alle spalle prima di inginocchiarsi di fianco a quello che dev’essere il suo letto. Tira fuori il baule, lo apre e corre con mani tremanti a svolgere un ritaglio della Gazzetta del Profeta conservato dentro un vecchio libro di scuola.

Una lacrima le scende sulla guancia, silenziosamente.

 

Ti senti terribilmente inopportuno, ma lo fai. Ti inginocchi di fianco a lei e sbirci sopra la sua spalla, per leggere la testata di quella pagina di giornale.

 

Thelonius Meadowes e sua moglie Josephine assassinati da Grindelwald

 

Trovati morti ieri notte, erano emigrati in Romania vent’anni fa

 

 

Dunque è questa la ragione per cui Dorcas Meadowes non è certa di poter provare ammirazione per Grindelwald.

 

Questo è il motivo per cui non entrò mai a far parte della stretta cerchia di Lord Voldemort.

 

 

***

 

Di nuovo, un cambio di scenario. Ora c’è l’ufficio di Slughorn a fare da contorno alla scena d’altri tempi. Intorno a lui sono seduti una dozzina di ragazzi, prevalentemente con i colori di Serpeverde indosso. È senza dubbio una delle sue riunioni. Il professore ridacchia sotto i baffi divertito dalle battute sofisticate del giovane Tom Riddle e tutti gli altri accompagnano la scena con sorrisi di partecipazione. Perfino Dorcas finge di farlo.

 

Osservi la scena con un’espressione accigliata. Non sei mai stato uno dei favoriti di Slughorn, nonostante ti sembrasse di non dispiacergli. Sempre per colpa di Sirius, immagini. Severus invece, lui sì che rientrava nelle sue grazie. Ti aveva introdotto ad uno di quei patetici festini, una volta. Da uno dei ricordi precedenti ti è chiaro il motivo per cui Dorcas Meadowes si trova lì, e non fai fatica ad immaginare le ragioni per cui il professore abbia richiesto anche la presenza di Tom Riddle.

 

Quando la riunione finisce, tutti sciamano verso l’uscita discutendo tra loro riguardo ad una relazione da consegnare. Dorcas è l’unica che se ne sta in disparte, senza parlare con nessuno.

Si chiude la porta alle spalle, lentamente, è stata l’ultima ad uscire. Non le dà un colpo abbastanza forte, però. Fa per rimettere mano alla maniglia quando trattiene il respiro e si ferma un attimo ad ascoltare, sentendo una voce giovanile provenire dall’interno.

“Signore, volevo chiederle una cosa”.

Dorcas si ferma, il freddo ottone della maniglia a contatto con la pelle. Rimane lì immobile senza respirare, per diversi istanti.

“Signore, mi chiedevo cosa sa degli… degli Horcrux”.

Si sente soltanto Slughorn borbottare qualcosa a proposito di “roba molto Oscura”, prima che Dorcas si decida a lasciar andare la maniglia e allontanarsi dall’ufficio del professore.

 

***

 

L’ufficio del Preside. È Silente che siede dietro alla cattedra.

“Voglio entrarci” sta dicendo Dorcas, lasciandosi sfuggire una certa trepidazione dalla voce. Silente la osserva con attenzione da dietro gli occhiali a mezzaluna.

“Signore… lei lo sa che non stavo dalla sua parte” mormora poi, in tono più composto, tentando di recuperare il contegno e di farsi valere su un piano più razionale.

“Questo lo so, Dorcas” le risponde il Preside.

“E allora perché non vuole dirmi di sì?”

Silente si porta una mano alla tempia, pensieroso.

“Non credo possa essere la migliore delle opzioni per te in questo momento. Tuo padre è appena morto, e…”

“È stato ucciso! Ucciso dai suoi sgherri, solo perché ha mandato al diavolo il fratello di mia madre… so che lui sta con loro, so che sono stati loro…”

Silente sospira. Dorcas ha il volto contratto dalla rabbia, come quando Riddle ha nominato Grindelwald.

“Ti sei mai domandata perché il Cappello Parlante ti abbia smistata a Serpeverde, Dorcas?”

Lei alza lo sguardo recuperando rapidamente il sangue freddo, non più alterata dalle emozioni.

“Sì, e credo anche di saperlo. Ho sempre ambito alla soddisfazione di una vendetta personale più di qualsiasi altra cosa”.

Silente continua a massaggiarsi la tempia. Il silenzio scandisce i secondi come un invisibile pendolo.

“Mio padre non meritava di morire. E nemmeno i miei nonni”.

“Lo so perfettamente, Dorcas, credimi. Ma anche tu non meriti di morire”.

“Lo farò, se è necessario. Non ho più paura di lui”.

Silente solleva lentamente il suo sguardo penetrante, fissandola diritto negli occhi. Per un attimo, sembra intuire qualcosa che prima non era nell’aria.

“C’è qualcosa che desideri dirmi, Dorcas?”

La donna esita per diversi istanti, stringendosi le mani. Poi sembra smettere di respirare.

“L’ho sentito, una volta, parlare con il professor Slughorn, quando eravamo a scuola. A proposito di qualcosa chiamato Horcrux”.

Il volto di Silente s’incupisce all’istante.

“Sa di che cosa si tratta, signore?”

“Sì, ma è ben lungi da me il divulgare ai miei ex studenti la sostanza di una simile mostruosità”.

“Ritenevo di avere il diritto di saperlo, signore, considerato che sono stata io a…”

“Lo escludo categoricamente, Dorcas”.

 

Ora comprendi perché si sia dovuta recare alla Biblioteca di Magia e Stregoneria di Londra per attingere informazioni a riguardo.

Tutti i tasselli cominciano ad andare al loro posto.

 

“Mi faccia entrare, signore. Vi fornirò tutte le informazioni utili che potrò ricordare. Gliel’ho detto, non ho più paura di lui”.

S’instaura ancora un muto scambio di sguardi della durata di diversi secondi, prima che Silente annuisca di fronte all’espressione determinata della donna.

“Va bene” sospira. “Dorcas Meadowes, da questo giorno fai ufficialmente parte dell’Ordine della Fenice. Ti presenterai stasera al quartier generale per la cerimonia d’iniziazione. L’ubicazione ti sarà comunicata segretamente quando sarai tornata diritto a casa”.

Dorcas esce dall’ufficio del Preside con un silenzioso sorriso sul volto.

 

 

***

 

Tutto sembra essere avvolto da un denso fumo, in quel luogo.

Si sentono volare incantesimi e maledizioni, e sagome in rapido movimento attraversano il campo visivo. Ogni tanto il tonfo di un corpo che cade a terra.

Dorcas Meadowes avanza, la bacchetta levata, con l’espressione ferocemente concentrata di chi sta cercando la sua preda in mezzo al branco.

Eccolo là, Lord Voldemort.

Sta combattendo spietatamente contro i Potter, ed è James che viene colpito all’improvviso dalla Maledizione Cruciatus. Lily getta un grido e corre in suo soccorso. Voldemort ride freddamente e avanza con la bacchetta levata, ma Dorcas non gli impedisce di fare quel passo decisivo che lo porterà a sovrastare i Potter per infliggere loro il colpo di grazia.

Si para nel mezzo e fronteggia il suo avversario senza battere ciglio, quel muscolo sempre contratto sulla guancia.

È faccia a faccia con l’Oscuro Signore, ora.

“Che sorpresa vederti qui… Dorcas” sussurra Voldemort, con un’intonazione sinistra. Lei sorride allo stesso modo.

“Ho sempre pensato che mi sarebbe piaciuto rivederti… morto”.

Tra i due ha inizio un duello senza esclusione di colpi. C’è violenza e freddezza, c’è precisione e rapidità. Dorcas colpisce con la rabbia negli occhi, anche se Voldemort è più veloce. Con un colpo particolarmente abile la colpisce alla spalla, facendole schizzare sangue dal braccio e volare via la bacchetta.

Dorcas lo guarda con odio, mantenendo fieramente la sua postura eretta.

“Tu credi che il tuo segreto sia al sicuro… Tom. Fossi in te, starei attento a guardarmi le spalle”.

Il sorriso di Voldemort diventa una smorfia. Alza la bacchetta e fa per colpire, ma l’incantesimo viene improvvisamente deviato da un Sortilegio Scudo eseguito alle spalle di Dorcas contemporaneamente da Lily e James Potter. Nel momento in cui si Smaterializzano, tutto intorno diventa bianco.

 

 

***

 

 

 

 

Stai ansimando, Regulus.

Cerca di calmarti.

 

La serie di ricordi contenuti nel Pensatoio ha avuto fine, e tu sei tornato da dove sei venuto, dalla cripta nel cimitero. Hai visto ciò che dovevi vedere, appreso ciò che dovevi conoscere. Ora il quadro della situazione ti è molto più chiaro di quanto non fosse quando sei entrato qui dentro.

Ora hai tutti gli elementi per giudicare.

 

Eppure, ti sembra di impazzire. Ti porti le mani alla bocca, la nausea di quel luogo ti dà alla testa. Improvvisamente, il buio della cripta ti avvolge da capo a piedi, e tu non sei in grado di tollerarlo, è troppo per te. Vedi ombre ovunque, vuoi soltanto fuggire. Respirando forte corri su per le scale, raggiungi il portone e scappi via, sotto la pioggia, per trovarti nuovamente circondato da lapidi e siepi e tumuli e ceri.

 

L’ululato del vento è diventato terribile.

 

Non ci pensi su una volta di più. Afferri la bacchetta, la agiti e ti Smaterializzi.

 

Via, vuoi soltanto andartene via.

 

 

***

 

 

Ci vuole un attimo perché tu ricompaia di fronte a quella villa maledetta. Quella dove tutto ha avuto inizio, dove l’angoscia di quell’inspiegabile mistero ha iniziato a pervaderti fino a farti perdere il senno a tal punto. Ti sei messo a scavare nel passato di quella donna quando avresti dovuto soltanto distruggere tutto ciò che il suo cadavere si è lasciato alle spalle, non importava di cosa si trattasse. I tuoi ordini non erano questi.

 

Il buio del bosco e della strada deserta sono insopportabili. Il rumore della pioggia attutisce ogni cosa, per quanto ne sai l’Oscuro Signore potrebbe già aver mandato qualcuno a disfarsi di te perché non sei riuscito a portare a termine un compito così banale, in qualunque momento potresti essere attaccato nel cuore di una notte tempestosa e del tuo cadavere non resterebbe traccia alcuna. Non vuoi morire, sai soltanto questo. Tu non sei un fallito, Regulus.

 

Stringi forte la bacchetta mentre corri verso la casa.

 

I tuoi stivali scivolano pericolosamente sul selciato.

 

Il mantello grondante d’acqua ti si appiccica addosso.

 

Raggiungi i gradini del portico e infine l’ingresso, la porta è chiusa come l’avevi lasciata. Te la spranghi violentemente alle spalle con un gesto dettato dal terrore e dalla disperazione.

 

Ora sembra che le pareti ti si chiudano addosso.

 

Non dovevi essere tu a scoprire tutte quelle cose orribili, Regulus. Non eri tu che dovevi lasciarti toccare il cuore dalla storia di Dorcas Meadowes. Tu sei un Mangiamorte fedele agli ordini del tuo padrone, e tutto questo non ha alcun senso. Eppure, lo sai, hai provato pietà per quella donna. Pietà per il suo dolore. Per il suo desiderio di vendetta. Per il suo coraggio, il coraggio che tu non hai mai avuto.

 

Le lacrime iniziano a mischiarsi alla pioggia che ti bagna il volto.

 

“Che cosa vuoi?” mormori, sgomento, accasciandoti sotto un peso invisibile.

“Che cosa vuoi da me?”

 

È mentre ansimi così, che il pianoforte ricomincia a suonare.

 

 

Non vuoi andarci. Non vuoi sapere altro, basta. Con te ha chiuso. Non ti lascerai gabbare un’altra volta dalle sue bieche stregonerie, tu sei un suo nemico e la tua presenza qui non ha alcun senso. Sei tornato per distruggere tutto quanto, per fare sì che nessun altro possa scoprire quanto tu hai scoperto. Voldemort ha creato degli Horcrux, bene, e allora? È stato più furbo di quanto nessuno possa immaginare, ha fatto in modo di preservarsi dalla morte e ora ascenderà al potere senza che nessuno possa essere in grado di fermarlo, non dovresti essere felice per questo? Non dovresti smetterla di tremare, di farti invadere le orecchie dalla melodia fioca che ti giunge all’orecchio dal piano di sopra? Non dovresti gioire e sentire che non avrai mai più paura, perché sotto la sua protezione neppure a te potrà essere fatto del male?

Non era questo che volevano per te?

 

Cerchi di rallentare il respiro, mentre ti stringi spasmodicamente fra le tue stesse braccia.

 

L’unica soluzione che hai è scappare. Ma non ce la fai, Regulus, hai troppa paura di quello che c’è là fuori. Per quanto questa casa ti terrorizzi, lì dentro sei solo. Nessuno verrà a farti del male. Il buio che ti avvolge è soltanto una suggestione.

 

Tuo fratello Sirius ti prenderebbe in giro, se ti vedesse così.

Lui ha sempre saputo qual era la cosa giusta da fare.

E l’ha fatta, abbandonando te e la tua famiglia.

Ha fatto ciò che voleva.

 

“E va bene” mormori. “Va bene”. Le labbra ti tremano. Andrai di sopra.

 

 

Cammini lentamente. Il fascio di luce della tua bacchetta ti illumina scarsamente il percorso. Sali le scale con il volto contratto, guardandoti continuamente ai lati e alle spalle, sopraffatto dalla paura. Che cosa succederà, ora, dopo tutto ciò che è già successo prima? Dove andrai a finire, Regulus? Come puoi saperlo?

 

Di nuovo, intravedi la stanza del pianoforte. La parete spoglia, il pavimento. Rimbombano soltanto i tuoi passi nel vuoto di quel buio pesto.

 

Per caso, entrando e facendo cessare la musica e illuminando ogni angolo della stanza il più in fretta possibile per accertarti che lì dentro non ci sia nessuno, ti accorgi di una cosa che la prima volta non avevi notato.

 

Un gancio appeso alla parete sinistra, poco oltre il pianoforte.

Sopra c’è un panno bianco che sembra coprire qualcosa di molto simile a un quadro.

 

Ti ci porti di fronte con passi incerti.

 

Sollevi la bacchetta con mano tremante e lo scopri di colpo, rivelando il volto spigoloso e severo di Dorcas Meadowes.

 

Lo osservi per qualche secondo in silenzio, scrutando di nuovo nel suo sguardo terribile, che è stato capace di perforarti. Ansimi e poi decidi che sia meglio andare a controllare le stanze mancanti, per poter recuperare la calma e decidere sul da farsi.

 

Hai fatto in tempo ad abbassare lo sguardo per qualche secondo prima di riportarlo sul dipinto e notare che ti sta fissando con un ghigno sul volto.




 

 

 

 

 

Nota: giusto per fornire i credits, le battute pronunciate da Ridde nel quarto flashback di Dorcas Meadowes sono riprese dal capitolo del Principe Mezzosangue, in cui si vede il ricordo di Slughorn (mi rifiuto di chiamarlo Lumacorno, ne aborrisco la traduzione). A tra poco con la conclusione.

 

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Capitolo 3
*** Conclusione ***


“Chi sei

“Chi sei?” mormora il ritratto, muovendo appena le labbra, con una voce acuta e sottile che sembra quasi confondersi con il cigolio di una porta. La osservi ad occhi sbarrati, completamente immobilizzato dalla paura, senza sapere più che fare. Non riesci più a capire che diavolo ti sta succedendo.

 

“Che cosa vuoi da me?” chiedi, con asprezza mista a terrore, mentre indietreggi di qualche passo verso la porta, continuando a tenere puntato il fascio di luce della bacchetta contro il dipinto. La donna sorride sollevando il capo, con aria lugubremente soddisfatta, come se fosse finalmente riuscita a farti cadere in trappola.

“Sei il figlio di Walburga, vero? Il secondo”.

Sobbalzi. Come diavolo fa a saperlo?

“Conoscevo tuo fratello, Sirius. Gli assomigli molto”.

Un moto di rabbia ti fa salire il cuore in gola. Non è vero, tu e Sirius siete completamente diversi. Sirius non sarebbe così spaventato, di fronte a tutto questo.

“Hai visto tutto?”

“Che intendi per tutto, il cimitero e il resto? Sì, ho visto tutto! Ma forse Sirius non ti ha detto una cosa, e cioè che io sono un…”

“So cosa sei”.

 

Cala il silenzio, non sai più che dire. È sconvolgente, tutto questo.

 

“Non sei l’unico che per la sua famiglia d’appartenenza è entrato in contatto con determinati soggetti”.

Oh, certo, e con questo intende dire che anche lei ha subito lo stesso identico destino. Smistata a Serpeverde perché sua madre era una Yaxley, discendente di una delle poche famiglie Purosangue non ancora estinte, compagna di scuola di Voldemort e assetata di vendetta.

“Ma tu hai visto”.

“E questo che cosa c’entra?”

“Che sai come poter sconfiggere Voldemort, lo sai perché io te l’ho fatto scoprire. Ho programmato tutto quando Voldemort si è messo a darmi la caccia, prima di cominciare a nascondermi come voleva Silente, prima di aspettare il suo arrivo per cercare di vendicarmi…”

Ma lei è lì, morta.

Un ritratto parlante.

“Non ci sono riuscita, come puoi facilmente immaginare”.

Osi guardarla negli occhi cercando di non tremare, stringendo i pugni intorno ai lembi del tuo mantello.

“E secondo te dovrei farlo io?” ribatti, irato. Potrà anche aver conosciuto Sirius, questa donna, ma non conosce te, affatto, non sa che i vostri caratteri sono diametralmente opposti e che tu sei stato destinato a fare scelte diametralmente opposte alle sue…

“Dovresti cacciarmi, io sto dalla sua parte!” esclami.

Dorcas Meadowes ti guarda con intensità.

“Fino al punto in cui ti chiederà di torturare degli innocenti… di uccidere qualcuno solo per dimostrare fino a che punto sei in grado di spingerti… di scagliarti perfino contro i tuoi familiari? Se ti chiedesse di ammazzare tuo fratello Sirius a sangue freddo tu lo faresti, Regulus? Perché è questo che ti verrà chiesto tra poco, nella posizione in cui ti trovi ora non hai ancora visto niente…”

“Sì, invece, ho visto quello che hanno fatto gli altri, e…”

“E quando toccherà a te? Sarai in grado di adempiere agli ordini senza battere ciglio?”

 

Non riesci a rispondere. Non ci riesci. Non puoi immaginare, che cosa significherà per te.

Ha detto che ti chiederanno di ammazzare Sirius. Perché è un reietto, perché è un nemico. Ammazzarlo. Non rubargli le lettere dei suoi amici come facevi da piccolo perché eri geloso, Regulus. Ti chiederanno di ammazzarlo. Potresti mai fare una cosa del genere?

 

 

Lo sai.

 

 

“Che cosa devo fare?” domandi, e il cielo viene squarciato da un lampo. Gli occhi ti si offuscano di nuovo di lacrime, mentre il ritratto continua a fissarti.

 

“Devi scegliere” risponde la voce acuta, sussurrata, il cui fruscio quasi rimbomba nel vuoto delle pareti. Devi scegliere. Devi scegliere.

 

“Io non voglio… io non voglio ammazzare nessuno” rispondi, tenendoti il volto fra le mani. Non vuoi, non l’hai mai voluto. Volevi solo riuscire a far sentire Sirius inferiore di fronte a te. Perché tu avevi tutto e lui non aveva niente. Volevi solo essere all’altezza di ciò che i tuoi genitori si aspettavano da te.

 

“Non potrai mai dire questo di fronte a Voldemort. Forse non avresti dovuto essere tu a finire qui e a scoprire quello che io già sapevo, ma tu sei entrato al suo servizio e probabilmente sai cose che io ignoravo completamente. Puoi sfruttare le informazioni e batterti contro di lui, tentare di distruggerlo prima che lui lo faccia con te. Oppure puoi aspettare che ti annienti nel momento in cui la tua coscienza ti impedirà di eseguire i suoi ordini”.

 

Si tratta di una scelta pericolosissima, Regulus.

Ti metterai a repentaglio. Te, la tua vita, la tua reputazione. Ti condannerai a morte. Andrai contro tutto ciò che hanno cercato di insegnarti in questi diciotto anni.

 

Ma solo tu puoi renderti conto di ciò a cui stai andando incontro se prosegui su questa strada.

 

Sono stati bravi a edulcorare la questione, con te. Non ti hanno parlato di cose simili. Hai conosciuto la storia di questa donna, sai che hanno fatto ammazzare suo padre solo perché aveva avuto un diverbio con un Mangiamorte. Che i suoi nonni sono morti da innocenti, assassinati da un mago di cui Voldemort ha seguito le orme. Tu non hai mai desiderato uccidere, e mai pensavi che te l’avrebbero chiesto. Troppo giovane, troppo in basso nella gerarchia. Ma arrivati a un certo punto, o si sale di gradino o si è buttati fuori. E se ti chiederanno di uccidere Sirius…

 

 

Hai sempre voluto fare la cosa più importante e più giusta, Regulus.

 

 

“Va bene. Lo farò”.

 

Il dipinto sorride. Stavolta sembra un vero sorriso, nonostante il buio delle ombre che le oscurano il volto.

 

“Prendi tutto ciò che può esserti utile e poi distruggi questa casa, come ti era stato ordinato. Indaga sul passato di Voldemort. Cerca di scoprire dove può aver nascosto i suoi Horcrux”.

“E tu, che cosa…?”

“Ho portato a termine il mio compito, ora è tempo che il mio spirito lasci definitivamente la Terra”.

 

Annuisci. Non conosci tutte le dinamiche del processo, ma riesci a comprendere. Ti rendi conto che ora tocca a te. È giunto il tuo turno, i morti devono riposare in pace.

 

 

“Addio” mormori, prima che l’immagine di Dorcas Meadowes svanisca dal ritratto. Sai che non la ritroverai più, nemmeno nelle fotografie posate sulla mensola del suo caminetto. Sai che devi cavartela da solo. Che andrai fino in fondo, perché questa è una tua scelta.

 

 

 

 

Qualche ora dopo, quando le prime luci del mattino iniziano a farsi vive, quando la pioggia ha smesso di scrosciare e ti rimane soltanto il freddo addosso, osservi la casa bruciare dall’altra parte della strada, immobile.

 

Tieni un libro sotto il braccio e reggi un vaso d’argento con l’altro.

 

 

Ti guardi intorno più di una volta per assicurarti che non ci sia nessuno a tenerti d’occhio, prima di compiere quell’operazione.

 

Poi rovesci il contenuto del vaso a terra, dove il liquido argenteo svanisce sollevando sottili volute di fumo. Ti sembra quasi di intravedere il volto di Dorcas Meadowes, lì in mezzo, per un breve attimo.

Ma sai che in realtà è tutta suggestione.

 

 

Ora sei solo, Regulus.

 

Nessuno dovrà sapere ciò che stai progettando di fare.

 

È giunto il momento di tirare fuori il tuo coraggio.

 

 

 

 

***fine***

 

 

 

 

Nota di fine fanfiction: mi sono sempre chiesta che cosa ci potesse essere dietro quel personaggio a malapena nominato, Dorcas Meadowes, “uccisa personalmente da Voldemort”. Considerato che Voldemort non si scomoda ad uccidere chicchessia, ho pensato che ci dovesse essere per forza qualcosa sotto. Ovviamente, tutto ciò che ci ho costruito sopra è solo una speculazione; collocarla a Serpeverde, comunque, non è stata una scelta casuale, ho deciso consapevolmente di provare ad incarnare in lei il riscatto di questa Casa. Non è proprio possibile che tutti coloro che ne uscivano diventassero maghi Oscuri.

Per quanto riguarda i compagni di scuola di Voldemort, mi sono attenuta a quanto viene detto nel Principe Mezzosangue (dove vengono citati Avery e Lestrange, che io ho dedotto fosse Rabastan, in quanto se fosse stato Rodolphus sarebbe stato un marito un po’ troppo vecchio per Bellatrix – okay che la Rowling non sa la matematica, però io ho pensato di aggiustare le cose in questo modo). Per quanto riguarda invece il cognome della madre di Dorcas, l’ho ripreso direttamente dall’albero genealogico dei Black, immaginando che si trattasse di una famiglia Purosangue. Nient’altro da dichiarare, se non sperare che la storia vi sia piaciuta.

 

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