Recorded Butterflies

di Kuri
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1°capitolo - Estate ***
Capitolo 2: *** 2° capitolo - Famiglia ***
Capitolo 3: *** 3° capitolo - Triangolo ***
Capitolo 4: *** 4° capitolo - Perché? ***
Capitolo 5: *** 5° capitolo - Bibite ***
Capitolo 6: *** 6° capitolo - Pioggia ***
Capitolo 7: *** 7° capitolo - Inizio ***



Capitolo 1
*** 1°capitolo - Estate ***


La canzone che mi ha ispirato il titolo è questa, di Olivia (inspi' Reira). Facciamo un po' di premesse, che non fanno mai male. Non sono convinta di questa ff. Attualmente ho già iniziato il terzo capitolo, e ancora sento che le manca qualcosa per decollare, malgrado il taglio che ha mi piaccia molto. Mi intriga dare un po' di luce a Satsuki, quando l'ho vista l'ho trovata così carina! ENJOY! *_______*



RECORDED BUTTERFLIES

Estate


E per l’ennesima volta è ancora estate.
Gli yukata leggeri vengono tirati fuori dalle loro buste di plastica, il condizionatore riprende a riempire tutta la casa del suo quieto ronzio.
E come ogni estate si rinnova questo rito, da anni e anni e anni, questo aggrapparsi ostinatamente alla memoria per non andare alla deriva.
All’inizio per me non era altro che un gioco, una giornata in cui tutto assumeva una prospettiva strana, dove lo scorrere di un tempo diverso si poteva leggere sui visi delle persone sedute a quel tavolo inondato dal sole accecante che entrava dalla finestra.
Poi è subentrata la noia. Che senso aveva dover sprecare un’intera giornata nell’attesa di una persona che nella migliore delle ipotesi era morta? E anche se non lo fosse stata, io non avrei mai voluto aspettare così a lungo qualcuno che era scomparso all’improvviso dopo mille e mille parole d’affetto e d’amore senza giustificarsi neppure un pochino.
Oggi dentro di me c'è un più quieto senso di accettazione nei confronti di tutto questo. È difficile lasciarsi scivolare dalle dita le pallide tracce che rimangono della felicità passata. Si preferisce curarle come piccole e delicate piantine, ed aggiungere pezzetti posticci di ricordo quando la memoria viene meno. Così anche le cose sgradevoli che sono accadute diventano più sopportabili e si può sperare di tirare avanti ancora un po'.
«Satsuki! Se non ti sbrighi questa volta davvero ti lascio qui!» sento gridare la mamma attraverso il corridoio.
«Magari!» le rispondo chinandomi verso la specchiera. Piccole mollette a forma di farfalla trattengono i miei capelli corvini ai lati della testa, richiamando la stessa fantasia stampata sullo yukata.
Mamma su questo è molto intransigente. Quando si va all'appartamento settecentosette per i fuochi d'artificio tutti devono indossare lo yukata. I nostri vengono tirati fuori la sera prima e appesi nel terrazzino per scacciare l'odore stantio di quasi un anno passato nell'armadio.
Tre yukata che sventolano piano al tepore della sera, attraversati da un venticello intessuto del frinire delle cicale.
«Dai, Satsuki, lo sai che la mamma è sempre nervosa in questo periodo dell'anno. Accontentarla non ti costa nulla.» mi dice lui affacciandosi alla porta.
Afferro la borsetta dalla scrivania. Prima di uscire dalla mia camera lo sguardo mi cade su una vecchia Yumeko con il suo yukata ormai sbiadito. I piccoli accessori di cui era corredata li ho persi ormai da tempo.
«Allora, sei pronta?»
Sollevo gli occhi per guardarlo.
«Satsuki, smettila di torturare Nobu e andiamo. Forse ci staranno già aspettando.»
Nobu annuisce con un sorriso dandomi una piccola spinta che mi fa avanzare lungo il corridoio. Quando la mamma e Nobu si sorridono così, sembra quasi che abbiano in bocca un retrogusto amaro che inquina tutto e artiglia qualsiasi speranza di felicità. Non dico che non siano sereni. Sono pieni di premure l'uno nei confronti dell'altra e ogni volta che si guardano viene sempre da trattenere un po' il respiro, quasi l'aria fosse più rarefatta. Eppure è come se mancasse loro qualcosa per essere completi, un qualcosa perso nel tempo e che non potranno mai più riavere indietro.
Nobu non è mio padre. Lui e la mamma si sono sposati dieci anni fa, dopo la separazione dei miei.
Non per questo però lo sento come un estraneo. Da sempre ho il ricordo dei piccoli regali di Nobu, di quando mi accompagnava con la chitarra nelle prove per i musical scolastici e altri mille e mille frammenti di tenerezza, che mi hanno aiutato a smorzare la mancanza di papà.
Papà.
Il mio bellissimo papà dai capelli e gli occhi scuri come la notte. Anch'io ho i capelli scuri come i suoi e mai, neppure per un momento, ho avuto la tentazione di tingerli, per non dover perdere anche questo pezzetto di lui.
Papà ha spesso la voce stanca quando parliamo al telefono. Può cercare di nascondermelo finché vuole ma è mio padre e certe cose non mi serve vederle per poterle capire.
Lavora per una grossa casa discografica statunitense, ma ha dovuto sacrificare troppo per arrivare fino a lì, dove credeva che le sue ambizioni potessero trovare almeno un po' di tregua. Questo, più di ogni altra cosa, ha ferito il suo animo. Ma per tutto quello che è accaduto io sono sicura che non sia colpa sua.
Il tragitto in metropolitana è tutto un ondeggiare quieto e silenzioso a destra e a sinistra mentre le mani un po' sudate si reggono alle sbarre.
Non so davvero come chiamare la sensazione che si impossessa di me ogni estate. È come se si creasse un senso di attesa che pervade le persone intorno a me. Tutti aspettano che accada qualcosa, anche se neppure loro sanno bene cosa si aspettano.
Non credo che si tratti del ritorno di questa Nana. Ormai non ci sperano più e in ogni caso un evento così non sbloccherebbe comunque lo stallo delle loro esistenze.
Forse la mamma, Yasu, Nobu, vorrebbero solo che lei tornasse per sentirsi dire che tutto quello che è accaduto non è stato colpa loro.
E così ripercorriamo anno dopo anno questa strada colpita dal sole, stranamente quieta per trovarsi a Tokyo, ai cui lati ondeggiano placidi lunghi fili d'erba tra il verso delle cicale.
La mamma sventola piano il proprio ventaglio di carta di riso e si sistema il collo dello yukata.
Quanto è invecchiata?
È ancora bella e la sua pelle è liscia e levigata con solo poche rughe vicino agli occhi. Eppure anche lei è stanca, come se le avessero accollato sulle spalle un peso davvero troppo grande.
Il fiume scorre placido tra gli argini erbosi. Il cielo terso e sereno è inondato dalla luce del sole. L'uragano è già passato e lo spettacolo pirotecnico di questa sera non corre alcun pericolo.
I palazzi si riflettono sulla superficie argentea dell'acqua in un paesaggio che è rimasto immutato nel tempo, come un vecchio quadro. Tra il frinire delle cicale si sente solamente lo scalpiccio degli zoccoli di legno della mamma.
Il suo cellulare trilla soffocato dall'interno della borsetta, come se fosse un suono che in questa placida quiete estiva fuori dal tempo dovesse faticare per essere reale.
«Ciao, sono Nana!» esclama con voce squillante mentre il viso le si illumina di un sorriso dolce «Sì, stiamo andando.» chiude gli occhi e scuote la testa «Grazie Naoki. Buona giornata anche a te.»
Io rallento di qualche passo, fermandomi a guardare le farfalle che svolazzano come ubriache sull'argine erboso.
Ho sentito moltissime volte le mie compagne di classe sbraitare che i genitori non le capiscono, mentre io mi sono sorpresa più volte a non riuscire a capire loro, questo gruppo di adulti che fa parte della vita della mamma e che continua a rimanere aggrappato ostinatamente ad un ricordo, un memoria i cui contorni forse stanno iniziando a sbiadire anche per loro.
Una delle tante cose che non riesco a capire è il sorriso che lega la mamma a zio Naoki.
A dir la verità “zio” Naoki non è davvero mio zio. Quando era giovane suonava come batterista nel gruppo di papà e nel tempo ha assunto anche il ruolo di allegro angelo custode della mamma. A quanto ho capito le è stato molto vicino durante il divorzio. La cosa che a me appare buffa è che Naoki è anche un ottimo amico della compagna di papà, ma questo sembra non rappresentare un problema per nessuno.
Ma quando si parla di Naoki è molto difficile definire cosa è normale e cosa non lo è. Perché Naoki è una persona che a quarant'anni si tinge ancora i capelli di biondo platino e occhieggia le studentesse da dietro le lenti rosa dei propri occhiali. Indossa improponibili camice leopardate. Non è affidabile, è decisamente bizzarro e dice sempre un sacco di cose strane. Eppure le persone in suo presenza sono meno nervose e riescono a farsi strappare un sorriso, anche se un po' tirato. A molti questa potrà sembrare ben poca cosa, ma io lo ritengo un bellissimo dono, che desidererei tanto possedere.
E invece sono solo Satsuki, che sogna tutto e niente e può solo sperare che un giorno, prima o poi, questa tensione si spezzi per vedere finalmente libere tutte le persone che amo.
«Satsuki, tu prima o poi mi farai diventare matta! Cosa ci fai lì impalata?» esclama esasperata la mamma una ventina di metri più avanti.
«Arrivo!»
I miei sandali, colpendo l'asfalto, sollevano sbuffi di polvere.
È sempre e solo una questione di sogni e speranze. La felicità o la tristezza, ogni nascita e ogni morte sono condizionate da questi sentimenti capricciosi e soggetti al destino.
Siamo in balia. Non degli dei, o del demone celeste, come forse preferirebbe dire la mamma, ma di ciò che coviamo nel cuore.
È sufficiente osservare le persone che ci circondano per comprendere questa realtà dolorosa. Nonostante i miei diciassette anni, posso assicurare che questa corsa affannosa verso un pallido baluginio che brilla ad intermittenza fa male. Un male cane.
La corrente del fiume smuove appena il riflesso dell'enorme caseggiato in stile europeo dai mattoni rossi.
La mamma si ferma e alza lo sguardo bloccando l'oscillazione lenta del ventaglio. Nobu afferra la sua mano, la stringe intrecciando strettamente le dita di lei tra le sue. È un modo per rassicurarla che lui non ha mai smesso i preoccuparsi per lei e che le è accanto, sempre.
Fanno tenerezza. Hanno quasi quarant'anni e sono così smarriti. Ma non mi viene più da piangere, quando li vedo così.
La mamma mi ha già spiegato non dimenticherà mai papà, perché le ha donato qualcosa che lei non potrà mai dimenticare. Un'accettazione senza condizioni, senza pretese di cambiamento. Lui, forse per la prima volta, l'ha fatta sentire davvero una bella persona. Non perfetta, ma a suo modo bella.
Eppure, nonostante questo, non riusciva più a stargli accanto, soprattutto da quando Nana era scomparsa e lei si era rappacificata con Nobu.
Anche oggi, quando si incontrano, papà posa su di lei uno sguardo intriso di tristezza. Lei gli ripete sempre che alla fine è stato meglio così e che anche lui è riuscito finalmente a trovare quello che cercava da tanto tempo. Ma io so che lui, dietro a quello sguardo, nasconde un melmoso lago di malinconia nel cuore. Non solo perché noi tre non siamo più una famiglia, ma anche per lei. Per le sue scarpe sempre sparse in giro, per le mollette con cui si solleva i capelli mentre fa le pulizie e per le omelettes con le faccine.
Perché i cuori delle persone non sono in grado di sentirsi e battere all'unisono?
La mamma prende dalla borsetta il mazzo di chiavi dell'appartamento settecentosette.
Il sole si riversa sulla facciata mentre i placidi suoni del quartiere riempiono la tersa aria estiva.



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Capitolo 2
*** 2° capitolo - Famiglia ***


Eccoci qui... ci ho messo un po' più del solito a copiare il capitolo, ma questo perchè questa settimana ho iniziato a lavorare, e quindi il mio tempo va a cause ben meno nobili della scrittura... che dire? Sono in astinenza di Nana, non vedo l'ora che esca di nuovo in edicola (non ho ancora controllato se esce adesso a ottobre) altrimenti sclero... volevo ringraziarvi tutte per i complimenti, siete molto gentili... il problema è che questa fic non mi preoccupa tanto dal punto di vista stilistico, quando da quello emozionale. Parlare attraverso gli occhi di un personaggio che nella serie beh... semplicemente deve ancora arrivare è un po' azzardato... però se ci pensate bene è proprio la piccola Satsu-chan che mette in moto molti eventi, anche se involontariamente! In fondo al capitolo ho risposto alle recensioni... un espediente per tenervi con me fino alla fine! XD ENJOY!



Famiglia


Questo posto ha il potere di rimanere immutato nel tempo. In parte per volontà di mia madre, in parte perché non può essere altrimenti. Quando un luogo diventa il santuario della memoria di una persona il tempo si solidifica, bloccando tutto al suo interno come una goccia d'ambra.
La mamma spalanca la finestra sopra il tavolo, lasciando entrare la luce del sole. Nobu si accovaccia accanto al frigo e lo apre per controllare che tutto sia in ordine.
Ma che qualcosa sia fuori posto, in questo giorno, è semplicemente inconcepibile.
Ogni settimana, da quasi vent'anni, la mamma viene qui per pulire e tenere ogni cosa come Nana l'aveva lasciata.
Ho dovuto convivere anch'io con questo ricordo e accettare nella mia famiglia tutte queste persone che aiutano la mamma a non dimenticarla.
È stato difficile. Ancora oggi ci sono momenti in cui vorrei urlargli di lasciarmi in pace, di dire a tutti di uscire dalla vita che sarebbe dovuta essere solo mia e dei miei genitori.
Ma questo significherebbe strappare alla mamma anche l'ultimo brandello di sollievo rimasto. E soprattutto toglierle le persone che ha imparato con gli anni a considerare la propria famiglia.
Bussano alla porta.
Lei si volta e si avvicina a passetti piccoli, quanto gli consente lo yukata stretto che le fascia il corpo.
Il suo viso sorride quando vede comparire Yasu e Miu oltre lo stipite. Abbraccia Miu con trasporto, come se non la vedesse da una vita intera.
«Sono felice che tu sia venuta quest'anno...»
Poi saluta Yasu che le risponde con un cenno e abbozza un sorriso nei miei confronti.
«Non mi abituerò mai a vedere Satsuki. Assomiglia ogni anno che passa sempre di più a Takumi, e questa è una cosa inquietante.» dice avvicinandosi e abbracciandomi con affetto.
Mi piacciono Yasu e Miu.
Yasu mi piace perché l'ho sempre sentito come una presenza sicura, a differenza degli altri. Le sue attenzioni ti avvolgono come una carezza e nulla di brutto può turbarti, se lui è accanto a te. A volte mi chiedo come gli sia stato possibile sopportare sulle spalle tutte le aspettative e le paure degli altri, ma credo che Miu lo abbia aiutato a non smarrirsi.
Lei, sempre così silenziosa e scostante con gli altri non ha mai smesso di essergli compagna da quando si sono incontrati. Sono così strani, insieme, eppure standogli vicino si può sentire quasi una vibrazione di felicità.
Yasu mi accarezza i capelli.
«Vedo che non ti è passata la curiosità per le farfalle.» mi dice sfiorando le mollette con la punta delle dita lunghe.
La mamma e Miu iniziano a preparare le cose da mangiare per il pic-nic che faremo questa sera mentre i fuochi d'artificio esploderanno in cielo come fiori variopinti. Si affaccendano chiacchierando fitto tra di loro, lasciandosi scappare ogni tanto qualche risatina, come delle ragazzine.
La mamma è davvero felice quando arriva questo giorno. È agitata, nervosa, ma è felice.
Quello che mi spezza il cuore è il giorno dopo. Sul suo viso si disegna un pallido sorriso di aspettative deluse, perché ogni anno ancora spera di vederla comparire da quella porta, con la sua giacca di Vivienne Westwood dal bavero a forma di cuore. Nei suoi ricordi Nana non è mai invecchiata. Ha ancora lo sfolgorante sorriso dei loro vent'anni e un'energia travolgente.
Ora ha trovato in Miu un'amica attenta e gentile, ma non è la stessa cosa. Non è una sensazione che ti stringe lo stomaco e ti fa rimanere alzata fino a tardi. Non ti fa vivere come se il tuo mondo fosse a tre metri da terra e tutto avesse un significato relativo. Anche se Miu l'ha aiutata in molte occasioni, lei non ha mai rappresentato tutto quello che è stata Nana.
Bussano ancora alla porta.
Il mio cuore ha un sussulto. Di persone davvero speciali, nella propria vita, non può essercene più di una. Questo senso di pienezza, questo traboccare del cuore sommerso da una felicità senza scampo, non può accadere più di una volta. Perché quando il cuore viene colmato dalla presenza di una persona speciale non ci sarà mai più la possibilità di lavarne via le tracce.
Io credo di averla trovata, questa persona. E anche se fossi solamente vittima dei sussurri bugiardi del mio cuore, sarei felice ugualmente. Perché lui esiste e quindi il mio sentimento non può essere davvero un totale inganno.
Nobu si avvicina per aprire la porta.
I miei occhi sono inchiodati lì, sulla superficie bruna del legno e li sento dolere per la forza con cui fisso quella maledetta porta.
Quando penso a lui divento nervosa, mi sudano le mani e dico sempre qualcosa di molto stupido.
La porta si apre e Nobu scoppia in una fragorosa risata, allungando la propria mano per afferrare la bottiglia di saké che ha portato Ren.
«Mi fa piacere che per una volta tu non sia arrivato all'ultimo minuto!» esclama con allegria invitandolo con la mano libera ad accomodarsi «Ci sei anche tu? Perché ti sei nascosto?» dice poi, prima di richiudersi la porta alle spalle.
«Non mi ero nascosto. Sei tu che hai visto solamente il saké.»
Ogni volta, sentirlo, è qualcosa che mi stringe lo stomaco, come se stessi male. Il cuore accelera i propri battiti, tanto che ho paura quasi di vedere la stoffa dello yukata che si solleva sotto i colpi di questo tum-tum possente.
«Shin.» la mamma si avvicina a lui, lo abbraccia, lo stringe a sé come farebbe con me.
«Ciao mamma» le risponde chiudendo gli occhi e appoggiando la guancia sulla sua spalla. Deve abbassarsi parecchio per poterla tenere tra le braccia ma in quella posizione, per qualche istante, la sofferenza sembra abbandonarlo. Anche il viso di Shin ha una perpetua traccia di dolore sordo. Fin da quando lo conosco, è questo il ricordo che ho di lui. Degli occhi chiari dal taglio occidentale, la piega della bocca sottile, quasi un urlo trattenuto a stento.
Vederlo così, così vicino, ogni volta mi fa tremare le gambe.
Lui saluta tutti mentre Ren da una vigorosa pacca sulla schiena a Yasu.
E alla fine si gira a guardarmi e mi sorride.
Perché la felicità deve fare così male?
Perché mi piace un ragazzo che ha sedici anni più di me e che ogni volta che mi guarda ha un sorriso così triste?
Non è una sensazione che ho avuto solo adesso. Il suo sospetto mi accompagna da sempre e anche se so che questa mia famiglia mi vuole bene, a volte mi si forma un nodo alla gola che non so spiegare.
«Ciao sorellina...» abbraccia anche me e – il profumo dei suoi vestiti, l'odore intenso delle Black Stone che sembra permeare la sua stessa pelle – mi sento tremendamente piccola in questo abbraccio, solo una bambina smarrita in una situazione troppo intricata.
«Non fare così che Satsuki è nell'età dell'adolescenza. Si innamora in fretta.» dice Nobu portando il saké alla mamma che si sta tamponando gli occhi con un fazzolettino.
Shin scuote la testa, sorridendo appena.
«Io vado a fumare una sigaretta.» si limita a rispondere, indicando con il dito quella che era la stanza di Nana.
La mamma annuisce sorridendogli comprensiva.
«Dopo se vuoi ti aiuto ad allacciare lo yukata» gli propone «Non hai mai imparato a farlo bene.»
Lui si avvicina, la attira e sé e la posa un bacio sulla fronte.
«E' per questo che ci sono le mamme, no?»
«Io vado con lui, devo chiedergli una cosa!» esclamo appena Shin scompare oltre la porta della camera.
Quando entro nella stanza lui è già appoggiato alla finestra con il bacino, e guarda distrattamente aldilà del vetro. La fiamma dell'accendino gli riverbera sul viso magro, sottolineandone ancora di più le ombre.
Quell'accendino è vecchissimo e ormai ha consolidato il suo valore come pezzo da collezione. È un grosso globo con una croce sopra, uno dei simboli del potere della monarchia inglese e del marchio di moda di Vivienne Westwood. Subito si spande nell'aria il profumo dolciastro delle Black Stone.
Non mi parla. Si limita a fissarmi e sorridermi come si fa ad una bambina piccola.
Inspira il fumo e poi lo soffia fuori dalle labbra socchiuse.
Mi avvicino a lui con una sicurezza che in verità sento mancare ad ogni passo e gli sfilo la sigaretta dalle dita.
«Il fumo non è una cosa per i piccoli...» mi dice con un sorriso indulgente.
Espiro il fumo, ma questo mi punge acre la gola e mi ritrovo a tossire, avvampando per lo sforzo e di vergogna.
«La mamma e Nobu mi hanno detto che alla mia età fumavi già da anni!» esclamo indignata incrociando le braccia sul petto dopo che lui si è ripreso la sigaretta.
«Quei due esagerano sempre...»
Quasi non mi accorgo di essermi aggrappata a lui. Mi gira la testa e non so se è il fumo o il suo essere così vicino.
«Io non sono piccola...» mormoro appena vicino al suo viso. Ho gli occhi chiusi ed ho paura che se li aprissi il suo sguardo potrebbe distruggermi il cuore.
«Sei la mia sorellina, Satsuki. Non dovresti fare così...»
«Ma io non voglio essere la tua sorellina, Shin. Non è una cosa che ho deciso io.»
Posso sentirlo il suo respiro quieto, mentre il mio mi sembra così affannoso che la testa diventa leggera come un palloncino.
«Io non voglio essere la tua sorellina, Shin...»
«Non farlo, Satsuki. Ti farebbe solo stare male.»
Non lo sento neppure, il suo avvertimento.
Per quale motivo dovrei? Siamo arrivati mille volte a questo punto nell'ultimo anno e in ogni occasione, afferrata dall'angoscia, ho sempre fatto il passo che mi allontanava da lui.
Questa volta no. I miei piedi non si muovono, le mie mani sono contratte sulla stoffa della sua maglia e le nostre bocche sono così vicine.
«Shin, se vuoi il bagno è pronto.» dice la mamma mentre apre la porta.
Quando solleva lo sguardo verso di noi, dopo aver finto di asciugarsi le mani con uno strofinaccio, Shin si è già sollevato dal davanzale a cui era appoggiato. Dopo essersi avvicinato a lei, le circonda le spalle con un braccio e le bacia la fronte con tenerezza, quasi lei fosse davvero sua madre.
È questo pensiero a farmi avvampare, oltre alla consapevolezza di essere rimasta impietrita come una stupida vicino alla finestra.
«Satsuki, non dirmi che stavi importunando Shin come il solito...»
Apro la bocca, la richiudo, come se fossi un pesce in una boccia di vetro.
«Ma io non importuno le persone!» esclamo infine stringendo i pugni lungo i fianchi con un gesto di stizza.
«Non ti preoccupare, Hachi. Satsuki è la mia sorellina. Può disturbarmi quando vuole.» il sorriso che mi rivolge è dolcissimo e proprio per questo mi fa sentire ancora di più una stupida «Vado a fare il bagno.»
Quando anche la mamma esce seguendo Shin, io rimango sola in questa stanza.
Fuori dalla finestra il cielo inizia a tingersi di violetto e nell'aria di questa camera vuota ormai da vent'anni, ancora il forte odore delle Black Stone.


I fuochi d'artificio esplodono in una miriade di scintille contro lo sfondo nero della notte.
Ma io non sono felice. Le risate che di tanto in tanto scoppiano in mezzo alla folla, i respiri trattenuti, i vaghi moti di stupore mi danno solo fastidio.
A diciassette anni si può essere infastiditi e arrabbiati per un milione di motivi, ma queste sono cose che gli adulti non potranno mai capire.
La mamma alza il dito verso il cielo all'ennesimo scoppio di faville colorate e ride spensierata, stringendosi al braccio di Nobu.
Giro lo sguardo verso Shin, seduto sulla coperta accanto a me e lo osservo fissare a sua volta il cielo, anche se il suo sguardo sembra assente, solo un'inerzia indolente. Anche se il cielo fosse vuoto, in questo momento, per lui sarebbe lo stesso.
E io vorrei solo che si accorgesse di me, che puntasse gli occhi nella mia direzione e mi vedesse davvero, anche solo per una volta. Invece così tanti fantasmi avvolgono la vita della mia famiglia che, inevitabilmente, anche io finisco per rimanerne soffocata.
E mentre tutti se ne stanno con il naso all'insù, io abbasso la fronte sulle ginocchia singhiozzo piano, bagnando di sale la stoffa dello yukata.





NanaOsaki: Io propendo per il fallimento... poi vedremo!
SakiJune: Non ci sono grandi sorpresone, nella fanfiction... però chi può mai dirlo? Però credo che la piega di alcuni eventi ti piacerà! (sono una ruffiana scandalosa...)
etoil noir: Il tuo commento mi ha ispirato molto... diciamo che ho ripensato un po' a quello che mi hai detto, e ho modificato un po' quello che era il mio obbiettivo iniziale... quindi non posso che ringraziarti moltissimo per l'ispirazione! *________*
majinannetta: E' un piacere sentirsi seguiti anche in decisioni un po' di "nicchia", come quella di usare la povera Satsu-chan... grazie mille dei complimenti!

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Capitolo 3
*** 3° capitolo - Triangolo ***


Ci ho messo una vita a copiare, ma davvero queste settimane il tempo mi è stato completamente succhiato via! Mi dispiace di non avere tanto tempo per rispondere ai commenti... lo farò la prossima volta. Comunque ringrazio tutte le persone che mi hanno seguito, siete sempre gentilissimi! XD



Triangolo


«Papà, ti prego, ti prego, ti prego!» esclamo congiungendo le mani di fronte al viso.
Lui sbuffa appena, assumendo un'espressione contrariata.
«Satsuki, ne abbiamo già...»
«Ma la mamma mi ha detto di sì!»
Alzo su di lui lo sguardo. Riconosco che è scorretto usare questi mezzi per ottenere le cose. Quando i tuoi genitori sono separati e sentirsi è causa di una sensazione dolorosa, nessuno dei due vorrà mai verificare i permessi concessi ai figli dall'altro, anche se suona chiaramente fasullo.
Chiude gli occhi sconsolato, sospirando con enfasi.
«Credo che sia inutile continuare a dirti di no, allora.»
«Grazie papi!» esclamo con un gridolino gettandogli le braccia al collo. Lui risponde stringendomi forte a sé e mi sembra quasi di sentirlo sorridere quando mi bacia la guancia con tenerezza.
Adoro il mio papà. E mi sento sollevata quando viene in Giappone per un paio di mesi, perché anche se la mamma fa del suo meglio e Nobu è sempre gentile con me, lui rimane comunque mio padre e nessuno potrebbe farmi cambiare idea sul bisogno che ho di lui.
È bisogno di una carezza. È bisogno di guardarlo in viso e pensare: “Ecco, io inizio da qui.”
È molto invecchiato in questo ultimo anno. Credo che il rapporto con la sua compagna non vada affatto bene. Quando sono andata a trovarli a Los Angeles l'ultima volta, lei era stranamente silenziosa nei suoi confronti e in compenso mi aveva rapita per pomeriggi interi, trascinandomi in sfrenate ore di shopping.
Stare seduti a tavola la sera con papà e Reira, in quei giorni, è stata una delle cose più imbarazzanti che ricordi.
«Stai bene, papi?» gli chiedo appoggiando entrambi i palmi delle mani sulle sue guance ben rasate.
«Si, Satsu-chan. Risento solo un po' del fuso orario e dei tuoi capricci» mi risponde con dolcezza, passandomi una mano tra i capelli.
Dal corridoio che porta alle camere da letto arriva il suono di passi ovattati.
«Ciao Satsuki!» mi saluta Reira entrando nel soggiorno.
Reira è ancora bellissima. I capelli lunghi e appena ondulati, il viso sottile che la fa apparire molto più giovane, il portamento elegante. Tutto fa di lei l'immagine perfetta di una principessa.
Dovrebbe essere felice, avrebbe l'obbligo di esserlo, eppure anche lei sembra condannata a questo sprofondare, a questo lento scivolare nel fango denso dei propri sentimenti.
Mi chiedo sempre come sia stata possibile una simile concentrazione di adulti infelici nella mia vita.
«Ciao Reira!» mi avvicino a lei e le stringo le spalle baciandola sulle guance. Quando tocco il suo corpo coperto dall'abito a fiori avverto le ossa che tendono la pelle, come se di lei non fosse rimasto nient'altro.
Non ho alcun motivo per odiare Reira. Da quando riesco a ricordarmi, i miei genitori non sono mai stati insieme più del tempo necessario per rendere felice me. Quindi i loro attuali compagni non riesco proprio a vederli come degli avversari. Semplicemente ci sono sempre stati.
«Satsu-chan è venuta qui perché deve andare ad un concerto e non vuole che sua madre si preoccupi, se sta fuori fino a tardi» dice papà avvicinandosi al pianoforte al centro della stanza e iniziando a rovistare tra gli spartiti. Non la guarda neppure mentre le parla, come se fosse preferibile pensare che lei sia un fantasma piuttosto che una persona in carne ed ossa, da affrontare.
«Ti porta Naoki?» mi chiede Reira. Scuoto la testa e lo sento questo sorrisetto che mi sale alle labbra involontario e che mi fa arrossire un po'.
«No, Naoki era impegnato. Ha una nuova fiamma. Mi accompagna un'altra persona.»
Stringo le labbra, ondeggiando appena sui talloni fissandomi le punte dei piedi.
«Chi è questa persona?» chiede papà voltandosi verso di me. Il suo sguardo è preoccupato e quasi duro.
«Nessuno.» rispondo sollevando le spalle. Eppure sento le guance sempre più bollenti.
«Satsuki, voglio sapere immediatamente chi ti sta venendo a prendere.» la sua voce è ferma.
Un tale tono imperioso nei miei confronti non l'ho mai sentito.
«È tardissimo, devo andare a prepararmi!» esclamo quasi sobbalzando, sbattendo il pugno della mancina sul palmo aperto dell'altra mano.
La mia corsa verso la stanza che papà e Reira riservano sempre per me è precipitosa e mi chiudo dentro, appoggiando la schiena contro la porta.
Sospiro, chiudendo gli occhi.
Ci ho messo quasi un'ora a convincere Shin ad accompagnare in macchina me e le mie amiche al concerto. Non voglio che papà mi dica di no all'ultimo momento e non si sa neppure per quale motivo.
Lui non parla mai degli amici della mamma. Ogni tanto chiede come sta Yasu, ma nulla di più.
È questa la cosa che più detesto nei miei genitori. Hanno avuto una vita così straordinaria che con l'età non gli sono rimasti altro che segreti e cose non dette.
Probabilmente se papà avesse fatto l'impiegato ora non avrebbe lo sguardo così addolorato e io non starei così male, costretta in questo ruolo di impotente spettatrice.
Non riesco a capirli. Anche se allungo le mani, quello che afferro non sono altro che fantasmi che per me non hanno alcun significato.
Anche io sono uno dei loro fantasmi.
Bussano piano alla porta della camera e io sento il toc-toc rimbombare vicino al mio orecchio.
«Satsuki, posso entrare?» chiede la voce dolce di Reira un po' attutita.
«Entra pure...» le dico scostandomi con un colpo di reni.
Lei fa capolino dalla porta, socchiudendo gli occhi mentre sorride. Quando sorride, Reira sembra avere ancora vent'anni.
«Se vuoi ti aiuto a scegliere qualcosa da mettere per il concerto.»
Mi lascio cadere sul letto. Adoro questi piccoli tocchi occidentali.
«Sì, grazie. Anche se io avevo pensato alla canotta con le farfalle e la gonna a pieghe gialla.»
Reira si volta a sorridermi, interrompendo la rassegna dell'armadio.
«Non viene a prenderti il papà di una tua amica, vero?» mi chiede con un sorriso luminoso, come se qualcuno avesse riattivato un ricordo caro dentro di lei.
Reira è il tipo di persona che crede molto nel vero amore, con la testardaggine di un'adolescente, un po' come la mamma.
«Sì...» le rispondo abbassando lo sguardo. Sento le guance imporporarsi «È così evidente?»
«In un certo senso.»
Prende la gruccia alla quale è appesa la mia gonna gialla lunga fino alle ginocchia e la accosta alla canotta che le avevo indicato, accennando un moto di assenso con il capo.
«Tu sei una ragazza speciale, Satsuki. Sei curiosa, allegra e hai tutta la dolcezza di tua madre» riprende a dire porgendomi i vestiti «Ma in questi ultimi mesi sei molto cambiata. Sei diventata più silenziosa, riflessiva, come se qualcosa ti turbasse. E in questo assomigli in tutto a lui.» dice indicando fuori con un cenno del capo «Amare qualcuno non dovrebbe spingerti ad essere diversa da quello che sei. Le idealizzazioni non piacciono mai a nessuno, con il trascorrere del tempo.»
Mi alzo dal letto avvicinandomi al grande specchio dell'armadio. Sovrappongo i capi alla mia immagine.
«È molto più grande di me. Ha quasi il doppio della mia età. E per lui sono troppo piccola. Quindi devo fare qualcosa, capisci?» mi volto verso di lei di scatto.
Le sento pungermi gli occhi, queste lacrime che fino ad adesso avevo creduto di poter trattenere. Non è un pianto con singhiozzi e tremiti ma solamente lacrime che cadono, lasciando una scia tiepida lungo le guance.
Le braccia di Reira mi avvolgono, confortevoli e tiepide.
«Ti capisco bene. Ma non devi preoccuparti, Satsu-chan. È impossibile non trovarti meravigliosa. Vedrai che prima o poi tutto si sistemerà. E sono convinta che questa sera ti troverà bellissima.»
Chiudo le braccia intorno al suo corpo e lascio che lei mi stringa a sé con più forza.
Vorrei davvero che fosse così. Dentro di me c'è tutta la speranza che sono riuscita a raggranellare, ma mi sembrano davvero poche briciole.
«Preparati. Io intanto vado a prenderti un mio paio di orecchini che credo ti staranno d'incanto.»
Rimango ancora un istante a fissare la porta quando lei se la richiude alle spalle.
Come fa a sentirsi così sola? Ha tutto quello che potrebbe desiderare: una carriera come cantante da quasi vent'anni, è bellissima, tutti la conoscono e la amano e ha un compagno meraviglioso come papà.
Perchè allora è così sola da avere bisogno dell'amicizia di una ragazzina come me?
Quando ero più piccola papà veniva molto di rado in Giappone. Era sempre così impegnato con il lavoro, con Reira e tutto quello che rappresentava che preferiva non venire affatto a trovarmi piuttosto che apparire distratto da altro durante i nostri incontri.
Sono state tutte queste attenzioni di papà a renderla così infelice?
Indosso lentamente gli abiti, lasciando scivolare la stoffa fresca sul corpo. Mi siedo alla specchiera ed inizio a truccarmi. È come stendere un leggero velo che deforma le prospettive, che aggiunge strato dopo strato gli anni la cui mancanza mi rende infelice. Perchè mi sarebbero sufficienti un paio di anni in più e sono sicura che Shin mi verrebbe con occhi diversi e non solo semplicemente come la sua sorellina.
Sento il suono del citofono riecheggiare per casa, attutito appena dalla porta chiusa della mia camera.
Alzarsi di scatto e fiondarsi fuori dalla stanza è questione di un attimo.
Perché le ginocchia mi tremano così?
«È per me, è per me!» grido affacciandomi sull'entrata, alla figura di papà che mi rivolge le spalle mentre tiene il ricevitore del citofono appoggiato all'orecchio.
È questione di un secondo, le ginocchia, lo stomaco, tutto dentro di me è stretto da una morsa che mi fa mancare il respiro e mi costringe ad aggrapparmi alla parete per non cadere.
Il viso che papà volge verso di me è severo, come non lo avevo mai visto prima. Ha la bocca stretta in una fessura sottile e mi fissa senza parlare.
«C'è Shin per te, Satsuki. Perché?»
Lo ha detto con una calma che mi fa scorrere un brivido lungo la schiena.
Alle mie spalle sento cadere qualcosa che tintinna argentino. C'è Reira e per terra un paio di orecchini a forma di farfalla, forse cadutogli dalle mani che ora tiene immobili lungo i fianchi.
Stringo il manico della borsetta che ho con me con forza.
Guardo papà con una determinazione che forse non possiedo neppure. L'unica cosa che so è che l'uomo che amo è lì fuori che mi aspetta, mentre mio padre mi fissa come se dovesse impedirmi a tutti i costi di raggiungere la porta.
«Shin mi accompagna al concerto.» sto stringendo così così tanto la borsetta che potrei quasi spezzarla, da un momento all'altro.
«La mamma lo sa?»
«Sì. È stata lei a chiedergli di farlo.»
Non vorrei mentire, ma cosa potrei fare? Non voglio farmi sfuggire la felicità dalle mani come è successo ai miei genitori.
Papà spinge un pulsante nel quadro del citofono vicino alla porta e rimane lì immobile, con la mano appoggiata alla maniglia e lo sguardo fisso.
Alle mie spalle sento Reira respirare con un leggero affanno, come se una mano le stesse stringendo la gola, soffocandola.
Io, ammutolita, aspetto. Solo le mani si contraggono di tanto in tanto. Anche se avessi mille domande da fare a mio padre, e in questo momento il mio cervello è completamente vuoto, dalla gola non mi uscirebbe altro che un raschio stentato.
È tutto immobile. Non una parola, neppure un respiro.
Bussano alla porta e papà distoglie gli occhi da me per spalancarla e fissare Shin. Lui sbatte appena le palpebre incredulo, cerca me come se avesse bisogno di capire davvero quello che sta accadendo, ma sento il suo sguardo scivolarmi addosso come se fossi invisibile per andare a posarsi alle mie spalle.
Reira smette di respirare.
Poi papà alza veloce la mano, strappa la Black Stone dalla bocca di Shin e la schiaccia con forza contro lo stipite della porta.
«Non voglio che fumi di fronte a Satsuki.»
Non può essere possibile. Non posso credere che mio padre mi abbia davvero fatto una cosa simile.
«Ma sei impazzito?» grido piantandomi di fronte a lui con i pugni stretti lungo i fianchi.
Vorrei guardare Shin ma il solo pensiero di incrociare i suoi occhi mi fa avvampare.
Penserà che sono una bimbetta. Penserà che non sono nient'altro che una sorellina capricciosa e viziata.
Papà non risponde. Mi guarda e basta, come se fossi stata io a ferirlo.
Mi mordicchio le labbra e sento le lacrime pungere gli occhi con rabbia.
Sto per piangere. Sto per mettermi a frignare come una mocciosa di fronte a Shin e riesco solo a stare immobile, fissare papà e sperare che accada qualcosa che mi faccia scomparire.
Perché nessuno fa nulla?
Perché questi tre adulti non dicono qualcosa ma si limitano a fissarmi come se tutto dipendesse dalle mie parole?
«Ti odio!»
È esagerato, è irrazionale, è un urlo che probabilmente non ha alcun senso di esistere ma esce insieme alle lacrime e non potrei fermarmi neppure se lo volessi.
Il viso di papà è ancora immobile, duro, quasi non avesse sentito le mie parole.
«La mia vita non è affare tuo. Non ci sei mai stato!»
Le lacrime sono irrefrenabili e non vedo né lui né Shin quando mi precipito fuori dalla porta e tutto il mondo assume questa dimensione acquosa e la bocca sa di amaro e di delusione.



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Capitolo 4
*** 4° capitolo - Perché? ***


Capitolo inserito a metà della storia, quasi di fretta, perchè mi ero accorta che "mancava un pezzo"... e giuro che non riesco a capire come sia successo! Come sapete sono in anticipo di un paio di capitoli rispetto alla pubblicazione. Insomma, la scorsa settimana, mi preparo per concludere il penultimo capitolo e penso: "Ma scusa... alla fine Sa-chan non doveva andare ad un concerto?" E perciò ne è uscito questo caccoso capitolo (l'aggettivo è mio.. -.-)



Perchè?


Il tragitto in macchina è immerso in un silenzio denso come melassa in cui mi sembra di affondare irrimediabilmente.
Shin non ha detto ancora una parola. Mentre andavamo verso la casa di Mizune e poi quella di Aiko, non mi ha neppure guardata e io ho sentito il mio corpo sprofondare sempre di più nel sedile e ho davvero desiderato che accadesse, ho davvero desiderato di scomparire per non dover vedere più quello sguardo chiaro che fissava duro la strada e la linea rigida della mascella contratta in uno spasmo che non sembra di semplice concentrazione ma di rabbia e delusione.
Vorrei allungare una mano e sfiorarlo. Vorrei sentire il tepore della sua pelle, come una settimana fa su quel davanzale, mentre fumava placido la sua sigaretta e il mio tremore era molto diverso da quello che mi cattura adesso il corpo.
Nella mia testa ci sono solo domande, “perché” che si affollano scavalcandosi tra frammenti di ricordi. Vorrei solo capire, io non ho mai chiesto altro.
Sapere se Shin prova qualcosa per me e se non è così, sapere cosa c'è che non va in me.
Perché deve esserci per forza qualcosa di sbagliato.
Perché lui avrebbe l'obbligo di amarmi solo per tutta l'adorazione che io provo nei suoi confronti e non penso che sia stupido pretenderlo.
Shin svolta lungo la strada in cui si trova l'enorme struttura in cui si terrà il concerto di uno dei tanti gruppi di idols che spopolano in questo ultimo anno.
Aiko dal seggiolino posteriore si aggrappa al mio collo.
«Che bello, Sa-chan! Grazie di aver chiesto a Shin di accompagnarci!» esclama forte al mio orecchio quasi strangolandomi. Poi volta lo sguardo scuro verso Shin e lo fissa con un sorrisone.
Non riesco a sentirmi parte di questa allegria. In questo momento gli urletti di Mizune e l'insistenza con cui Aiko le chiede se le stiano bene i capelli li sento lontani anni luce, come se in fin dei conti fossi già una vecchia che ha scordato i travolgenti sentimenti della giovinezza.
Doveva essere la mia serata perfetta. Tutto doveva essere semplicemente perfetto e come in una favola stupenda Shin si sarebbe accorto di me e mi avrebbe confessato di avermi amata da sempre.
E invece papà ha rovinato ogni cosa. Lui che non si è mai curato di nessun'altro che della sua vita e della carriera di Reira, si è ricordato che sono sua figlia e ha rovinato tutto in modo orribile.
Mi mordo il labbro inferiore per impedire alle lacrime di scendere lungo le guance.
Quando l'auto si ferma Mizune e Aiko scattano giù con una velocità inaudita, abbracciandosi in mezzo al grandissimo parcheggio su cui sovrasta la mole dell'auditorio e gridando, così come fanno più o meno un'altra ventina di ragazzine della nostra età, iniziano ad avviarsi verso l'entrata sfavillante di luci dorate.
«Sa-chan, non vieni?» mi chiedono interrompendo il ticchettio dei tacchi rosa contro l'asfalto.
«Arrivo tra un attimo. Tanto abbiamo i posti numerati.» rispondo stringendo le braccia contro il corpo, come se fosse molto più freddo di quanto in realtà sia la serata di tardo estiva.
Shin scende dalla macchina e già sulle sue labbra è appoggiata la Black Stone. Fa per allungare la mano verso il cruscotto dell'auto e afferrare il grosso accendino di Vivienne Westwood ma le sue dita sembrano avere una leggera contrattura e rimangono sospese a mezz'aria. Poi porta la mano alla tasca della giacca e ne prende un accendino anonimo con cui accende la sigaretta.
Mi avvicino di qualche passo, ma i suoi occhi duri mi bloccano dove mi trovo.
Non riesco più a respirare.
Non guardarmi così, o non riuscirò mai più a sentire l'aria che gonfia i miei polmoni. Se tu mi guardi così, tutto dentro di me diventa secco e muore.
«Mi avevi detto che eri a casa di una tua amica, Satsuki.» dice con voce bassa, parole che potrebbero essere spazzate via dalla confusione che ci circonda nell'ampio parcheggio e che arriva pulsando dall'auditorium.
«Io...» barcollo facendo un passo in avanti, allungo la mano verso di lui, ma le lacrime hanno il sopravvento e stringo il pugno davanti alla bocca mentre un singhiozzo mi esce dalle labbra. Sento le loro scie tiepide rigarmi il viso.
«Tu mi hai detto che eri a casa di una tua amica!» grida Shin all'improvviso sollevando il volto.
Sussulto, ferita e sconvolta da una furia che non mi sarei mai aspettata e non riesco neppure a chiedermi perché reagisca così per quella che non è stata nient'altro che la piccola bugia di un'adolescente che voleva mostrarsi più grande di quello che è.
I passi che avevo conquistato verso di lui li perdo, ritraendomi per la paura.
Perché il suo viso ora mi fa davvero paura, quel volto così bello dai tratti sottili e vagamente occidentali che quando sorride si illumina di dolcezza e di malinconia.
«Shin, io...» le parole non vogliono saperne di uscire. Solo singulti strozzati e mangiucchiati dall'affanno, mentre nella mia testa le domande non lasciano spazio a nient'altro.
«Io non l'ho fatto apposta!» piagnucolo cercando di scacciare ogni lacrima con il dorso della mano, ma mi sembrano così tante da non riuscire a fermarle più.
Shin si porta la mano libera alla testa, stringendo nel pugno ciuffi di capelli, come se la consapevolezza di ciò che ha visto facesse troppa fatica a farsi strada in lui.
«Perché fai così? Era solo mio padre, non significa nulla...» mormoro tirando su con il naso mentre sento le parole che si spezzano in gola tanto il mio corpo è scosso.
Mi volge le spalle e io riesco solo a vedere le volute di fumo che si alzano pallide sullo sfondo scuro della notte.
«Pensavi non sapessi chi è tuo padre, Satsuki? C'ero, quando sei nata.»
Io non lo so. Quando penso a Shin, quando lui è di fronte a me, ogni consapevolezza si perde e io non sono più cosciente della realtà che mi circonda. Mi ritrovo con la testa vuota se non per le speranze e i sogni assurdi che traboccano dal cuore senza fine, senza che nulla possa fermarli.
Credevo che tutto sarebbe stato molto più facile.
Non riesco ad arrendermi. Malgrado le sue parole dure e lo sguardo vuoto, non posso credere di non riuscire a raggiungerlo, di non potermi aggrappare a quelle spalle coperte dalla giacca nera come sto facendo ora, affondando il viso che singhiozza sulla superficie tiepida della sua schiena.
«Perché non ti piaccio, Shin? Perché continui a considerarmi solo come una sorellina? Io ti amo, Shin. Ti amo così tanto che mi sembra di morire.» mormoro ed è come se tutto il parcheggio si fosse fatto improvvisamente deserto, come se al mondo non esistesse nessun'altro, ma solo il suo respiro sotto la mia guancia e i palmi aperti delle mie mani.
«Sono parole troppo grandi, Satsuki. E ogni volta che le pronunci potranno solo farti del male.» dice a voce bassa.
Scuoto la testa con decisione mentre i singhiozzi si fanno sempre più forti.
«Non è vero. Io ti amo, lo so, ne sono sicura...»
Shin fa un passo in avanti e io non posso altro che rimanere immobile a sentire il suo corpo che si stacca dal mio. Le mie dita annaspano nel vuoto cercando di afferrarlo, prima che sia troppo lontano anche solo per distinguere il colore dei suoi occhi.
È nel momento in cui lui si volta per guardarmi che la mia mano riesce finalmente ad afferrare il bavero della sua giacca.
Le mie labbra incontrano le sue mentre tento disperatamente di aggrapparmi a lui, di affondare le unghie nella stoffa perché non possa strapparmi e gettarmi via.
Con gli occhi chiusi premo la bocca sulla sua immobile e nulla è come mi sarei aspettata.
Doveva essere un istante magico. Doveva essere il mio primo bacio perfetto, un ricordo da cullare nel cuore nei momenti più difficili e sulla base del quale confrontare tutti quelli piacevoli, sapendo già che nulla avrebbe retto il confronto.
Dove si trova la perfezione in questo istante? È come se un folletto dispettoso si fosse divertito a sottrarmela da sotto il naso e sogghignasse nascosto nel suo angolino.
Perché le mani di Shin riescono a staccarmi così facilmente? Perché è già scomparso il suo sapore sulle labbra, come se avessi ingoiato un boccone amaro?
«No, ti prego... no...» lo mormoro piano mentre lui con le mani appoggiate sulle mie spalle mi allontana da sé, mettendo tra di noi tutta la distanza formata dalle braccia tese ma che in realtà è molto più vasta.
«Vai, Satsuki. Vai al concerto con le tue amiche. Io ti aspetterò qui, ma ora tu devi andare.»
Continuo a piangere e a scuotere la testa, ma tanto non servirà a nulla. Anche se continuassi a piangere per tutta la notte, anche se urlassi o lo implorassi, non cambierebbe nulla.
Shin stacca le mani dalle mie spalle e si volta verso la macchina, nascondendomi il suo viso.
Arretro di qualche passo, mordendomi il labbra inferiore.
Poi mi volto e inizio a correre verso l'entrata dell'auditorium, stringendo i denti per non permettere ai singhiozzi di togliermi il respiro.
Quando arrivo al grande portone spalancato nel quale si indirizzano gli ultimi ritardatari, mi volto a dare un'occhiata al parcheggio immerso nell'oscurità.
E vedo Shin seduto a terra con la schiena contro la macchina che si stringe la testa tra le mani, come se un peso enorme gli avesse schiacciato le spalle.
Di qualsiasi risposta, in questo momento, davvero non saprei cosa farmene. Non potrebbe radunare tutti i pezzi del mio cuore e incollarli in modo sghembo al centro del mio petto per permettermi di continuare a vivere.
Tutto è morto qui.





E ora un po' di dialogo con i lettori!

Liveinthedark: grazie mille, sei gentilissima! Mi fa piacere che tu ti sia immedesimata, l'obbiettivo era proprio quello: far rivivere quelle che sono le confusioni portate dal primo amore, le emozioni di cui siamo e siamo state vittime... ma non piangere! Tutto si sistema, e anche la povera Sa-chan troverà la sua pace!
ValHerm: pensa che la scena tra Reira e Shin me la sono immaginata frammento per frammento prima in testa, tanto che poi mi è risultato un po' difficile immedesimarmi di nuovo in Satsuki! Nella mia testa Reira è bellissima in questa ff, tragica e bellissima, perciò sono contenta di aver coinvolto anche una sua fan come te!
majinannetta: grazie mille della fiducia e della fedeltà! *__* Come dicevo anche prima ho cercato di spremere fino in fondo quelle che alla fine sono state anche le mie emozioni (sono un po' vecchietta, il tempo per il primo amore è quasi finito, ma non la voglia di sentirsi innamorate), e mi rende piena di orgaglio vedere che sono riuscita a coinvolgervi!

Grazie anche a tutti gli altri lettori, alla prossima, che sarà molto, molto presto!

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Capitolo 5
*** 5° capitolo - Bibite ***


Vorrei dirvi qualcosa su questo capitolo, ma credo che non lo farò... vi dico solo che io l'ho amato moltissimo e ho amato moltissimo anche la spalla di Sa-chan, ma come è possibile non amarlo?? Cioè, è semplicemente fantastico e siccome è l'unico che non sta con nessuno, perciò me lo prendo io! Ops, ho detto anche troppo... buona lettura!



Bibite


L'auto sportiva è ferma proprio di fronte al cancello della scuola come se al proprietario non importasse nulla delle regole della strada. Il colore richiama l'attenzione come un pugno nello stomaco, un giallo allegro e solare che non può non essere notato.
Appena la vedo all'uscita vorrei mollare la cartella qui sul selciato, voltarmi e tornare a scuola per chiudermi nello sgabuzzino degli attrezzi sportivi.
Invece Naoki, appoggiato al cofano con naturalezza, le gambe accavallate, mi saluta alzando la mano e agitando le dita.
È imbarazzante. Insomma, sarà un amico di famiglia, ma ho diciassette anni ed è imbarazzante farsi venire a prendere a scuola da un tipo stravagante come Naoki, anche se ha un'auto sportiva.
Quando vede un gruppo di studentesse avvicinarsi al cancello spinge indietro i capelli biondo platino e ride fragorosamente.
«Ciao Satsu-chan!» esclama a voce alta.
Eppure non sta esagerando di proposito i propri gesti per esibizionismo. Naoki è così, e basta. E forse è proprio questo ad averlo reso più felice degli altri, con il trascorrere del tempo.
Essere sé stessi perché non potrebbe essere altrimenti.
Piacerebbe molto anche a me, riuscirci.
«Ciao Naoki...» mugugno aprendo la portiera e gettando dentro la cartella. Lui distoglie a fatica lo sguardo dalle studentesse e si volta a guardarmi. Stringe le labbra, come se qualcosa lo contrariasse.
«Sei pallida, Satsu-chan. Cosa succede?»
Assottiglio gli occhi.
«Se sei qui vuol dire che qualcuno ti ha raccontato tutto. Non fare domande inutili.»
Naoki apre la bocca orripilato dalla mia risposta, completamente senza parole, mentre io mi lascio cadere sul sedile di pelle dell'auto.
«Quando ti comporti così assomigli tantissimo a Takumi. E questa cosa è inquietante! Non mi libererò mai del suo spettro.» lo sento dire mentre gira attorno al cofano dell'auto e viene a sedersi accanto a me, al posto di guida.
«E ti perseguiterà finché non ti deciderai a vivere più responsabilmente la tua vita.» gli rispondo incrociando le braccia sul petto mentre Naoki inserisce la prima e sgomma sull'asfalto di fronte alla scuola con un fastidioso stridio di pneumatici.
Non risponde, si limita a fissare la strada attraverso le lenti colorate degli occhiali, stringere le labbra con concentrazione e l'auto prende velocità tra le strade trafficate.
Quando mi accorgo che non sta andando verso casa mia o l'appartamento di papà e Reira mi rilasso sul sedile avvolgente con un sospiro.
«Dove stiamo andando?»
«A rilassarci un po'. Tu ne hai proprio bisogno, Sa-chan.» mi risponde Naoki con un sorriso, svoltando con l'auto in una stradina affollatissima. Quando si ferma al semaforo una massa compatta di persone ci passa davanti marciando impettita sulle strisce pedonali.
Io e Naoki siamo così. Nessuna delle persone che conosciamo ci considera abbastanza adulti e di conseguenza, secondo loro, quello che diciamo non è che valga davvero qualcosa.
«Lo sai che sei molto carina con la divisa scolastica, Sa-chan?» mi dice Naoki voltandosi verso di me con un sorriso enorme che gli invade tutta la faccia.
E parte sgommando, senza neppure guardare la strada.
Istintivamente cerco di aggrapparmi a qualsiasi cosa, puntando i piedi sul cruscotto, ma l'auto scivola via tranquillamente, proseguendo la sua folle corsa lungo la lingua d'asfalto.
Forse è proprio per cose come queste che non ci prendono sul serio.
Io ancora troppo bambina, ma ossessionata costantemente dal desiderio di essere adulta.
Naoki, di crescere, proprio non ne ha voglia.
A volte lo tratto male, però in fondo mi piace quando mi viene a prendere a scuola e a volte mi porta poi al karaoke oppure a fare spese a Shibuja, lasciandomi comprare tutto quello che voglio.
A dir la verità mi chiedo come faccia a sostenere uno stile di vita così sfarzoso.
«Perché mi stai guardando male, Sa-chan?» piagnucola lui all'improvviso. Non faccio in tempo a rispondere perché lui inchioda con l'auto, facendo fischiare le ruote sull'asfalto.
«Ma sei impazzito?» grido con le mani posate sul cruscotto.
Naoki scende dall'auto rivolgendomi un sorriso e facendomi cenno con la mano di scendere.
La strada in cui ci troviamo è stranamente tranquilla, per trovarsi a Tokyo. Quando alzo lo sguardo, la mia attenzione è catturata dall'insegna rosa e bianca del locale davanti al quale Naoki si è fermato.
Alza anche lui lo sguardo insieme a me mentre infila le mani nelle tasche dei pantaloni.
«Oggi ci vuole proprio un frappé alla fragola bello grosso.»
Arriccio il naso.
«Cosa? Un frappé alla fragola? Non sono più una bambina!»
Naoki ridacchia, sollevando le spalle con un gesto noncurante.
«Quando lo avrai tra le mani vedremo se la penserai ancora così, Satsu-chan...» mi dice dandomi un colpetto sulla schiena per spingermi verso la porta rosa del locale, dalla vistosa maniglia a forma di gelato.
Quando Naoki entra salute le commesse con un allegro gesto della mano e queste gli rispondono cordialmente, chinando appena la testa.
«Due frappé alla fragola!» grida in mezzo al locale alzando la mano con l'indice e il medio sollevati.
In un certo senso credo che tutti invidino a Naoki questa capacità di vivere sopra le righe e la spensierata leggerezza con cui lo fa.
Quando ci sediamo ad un tavolo isolato lui lancia un'occhiata soddisfatta al locale pieno di ragazzine e poi punta gli occhi su di me, aspettando.
Io abbasso lo sguardo, mi fisso le unghie come se la loro forza improvvisamente mi interessasse.
«È stata Reira a chiamarmi e raccontarmi tutto, Sa-chan. Tuo padre era molto triste per quello che è accaduto.» inizia a dire togliendosi gli occhiali dalle lenti rosa e passandosi una mano tra i capelli. Quando una delle cameriere si avvicina con due enormi bicchieroni colmi di frappé schiumoso, lui le sorride gentilmente.
Afferro il mio con entrambe le mani e porto la cannuccia colorata alla bocca. È fresco e piacevole ed ogni sorsata mi risolleva. Il sapore intenso della fragola si spande nella mia bocca.
«Takumi è sempre stato un uomo molto attaccato al lavoro.» prende a dire Naoki, mentre il suo sguardo sembra perdersi nei ricordi del passato «In qualsiasi momento della sua vita ha sempre e solo pensato a come poter esaltare la voce di Reira. Era questa la sua unica preoccupazione. Nulla poteva distoglierlo dal suo obbiettivo, neppure tua madre, anche se lui ha sempre fatto molto per starle vicino.»
Le parole di Naoki hanno una dimensione di sogno e assomigliano tanto agli sbiaditi ritagli di giornale che la mamma conserva ancora.
Io rimango aggrappata con entrambe le mani al bicchiere come una bambina e ascolto avida le parole di quest'uomo così strano sperando di trovarvi una risposta. Perché forse, se riuscissi a capire finalmente i miei genitori, potrei anche comprendere cosa mi sta accadendo e dimenticare più in fretta il dolore di ieri sera.
«E poi sei arrivata tu. E proprio Takumi, che non riusciva mai a rilassarsi, è riuscito finalmente a tratte un sospiro di sollievo. Per tuo padre sei l'unica speranza di non perdersi, Sa-chan.»
I miei occhi sono piantati su Naoki, sulla speranza di sentirmi finalmente raccontare la verità su tutti loro.
Lui distoglie lo sguardo da me e persa improvvisamente tutta la serietà che aveva addosso fino a qualche secondo fa, occhieggia allegramente in giro per il locale, soffermandosi soprattutto sui gruppetti di liceali.
«Tutto qui?» gli chiedo sollevando un sopracciglio.
«Già!» risponde lui serafico «Quindi non essere troppo arrabbiata con papino, ok?»
Mi alzo di scatto appoggiando i pugni chiusi sul tavolino per sollevarmi.
Non so neppure io perché in questi ultimi giorni io mi stia comportando così. È come se il mio corpo stesse reagendo ad una sensazione dolorosa mentre il cervello si chiede confuso cosa stia accadendo e cerchi una via d'uscita che non è mai esistita.
Lo sguardo di Naoki ridiventa serio e avvolgendo la mano tiepida intorno al mio polso mi spinge a sedermi di nuovo.
«Non chiederti che cosa ne è stato dei tuoi genitori e di tutti noi, Satsuki. Sapere cose di questo genere non ha mai fatto bene a nessuno di quelli che vengono dopo. È giusto che tu possa vivere al tua vita senza condizionamenti.»
Mi lascio cadere di colpo sulla sedia. Al frappé ancora di fronte ai miei occhi di tanto in tanto scoppia qualche bollicina sulla superficie.
«Perché continuate tutti a dirmi così, senza che qualcuno mi spiega il motivo?» appoggio una mano sul petto «Non sono una bambina, anche se tutti pensate il contrario!»
Naoki incrocia con lentezza le gambe, facendo ondeggiare il piede chiuso in uno stivaletto di cuoio. Lascia cadere il braccio all'indietro e con l'altra mano afferra il bicchiere di vetro e porta la cannuccia alla bocca.
«Credi che riusciresti ad osservarli con lo stesso sguardo, se io ti dicessi qualcosa di quello che sono stati?» si interrompe per dare una lunga sorsata al frappé «Già loro non riescono a separarsi dal loro passato. Sarebbe ingiusto che tu ne rimanessi intrappolata.»
«Perché non ho dei genitori normali?» sussurro tra i denti, stringendo i pugni chiusi sulle ginocchia. La scia tiepida di una lacrima mi percorre una guancia.
Naoki si sporge verso di me osservandomi con un sorriso di comprensione.
«Sai quanto avrei desiderato io dei genitori come i tuoi?»
Scuoto la testa. Le ho sentite mille volte queste parole. Le mie amiche me lo dicono sempre quando vedono gli abiti alla moda della mamma e l'auto con cui papà viene a prendermi a scuola quando è in Giappone.
Vorrei solo poter gridare quando sono arrabbiata che non mi capiscono, ma in verità sono io a non capire loro.
Non capisco la mamma quando passa ore a sfogliare album zeppi di ritagli di giornale oppure quando papà si ferma a fissare fuori dalla finestra per lunghissimi minuti, assorto.
In quei momenti loro non ci sono più. Sono ricordi, rimpianti, frammenti di lacrime e mille e mille parole mai dette.
«Satsuki...» la mano di Naoki incontra la mia «So che non dovrei dirti queste cose e se tuo padre mi scoprisse me ne farebbe pentire amaramente. Ma io ti voglio bene. Sono stato la prima persona a cui tua madre ha mostrato come aveva preparato la tua cameretta. E soprattutto odio non vederti più sorridere come tempo fa...»
Quando alzo gli occhi su di lui, Naoki mi guarda con gentilezza, cercando di farmi coraggio.
«Un anno prima che tu nascessi, Shin e Reira ebbero una relazione. Tuo padre, appena scoprì la cosa, fece di tutto per separarli, mettendo in Shin dubbi circa il suo amore per Reira e isolando sempre di più lei, sommergendo la band di lavoro. Quando poi Shin venne a sapere che Takumi aveva lasciato tua madre per stare con Reira... la prese molto male. Quello che è rimasto sospeso tra di loro è qualcosa che rischierà di schiacciarti, Sa-chan, se avrai la sfortuna di trovarti sotto.»
E lo sento ancora nelle orecchie il respiro di Reira, quel tentativo affannoso di riprendere respiro per non morire.
«Non è vero...» sussurro mentre scuoto piano la testa in senso di diniego e le lacrime non possono fare a meno di cadere. Non è nient'altro che un pigolio, un ultimo tentativo di non pensare alle bugie dietro i sorrisi di tutti e alle parole false che mi sono sentita dire.
Mi alzo di scatto in piedi.
Li odio. Li odio tutti. Ma soprattutto odio me perché non riesco a smettere di piangere e di sentirmi piccola e stupida, e sperduta in qualcosa più grande di me.
«Sa-chan...» quando la mano di Naoki mi sfiora il braccio lo respingo con violenza e i capelli mi si appiccicano alle guance bagnate di lacrime.
La mia mano urta il bicchiere con il frappé che va a schiantarsi a terra, andando in frantumi. Sulle punte delle mie scarpe schizzano alcune gocce rosa.
Nel locale cala il silenzio. Immobile e fermo, mentre quella palude rosa si allarga sempre di più.
«Non è vero...»
Mi volto e inizio a correre verso la porta. Le suole delle mie scarpe fanno scricchiolare i frammenti di vetro per terra.
Urto la porta d'entrata, cerco di afferrare la maniglia ma non vedo nulla. C'è solo il nero profondo dei miei capelli, lacrimi e singhiozzi senza respiro.
Quando sono finalmente in strada mi fermo, ansimando appena con le mani piantate sulle ginocchia.
Tutto quello che mi hanno detto era una bugia.
Tutta una bugia.
Sento la porta aprirsi, accompagnata dal un leggero scampanellio.
Inizio a correre lungo la strada con sempre meno aria nei polmoni.
In alto, da qualche parte nel cielo ormai scurito, risuona il rombo suono di un tuono.





E ora faccio un po' la fastidiosa!

SakiJune: aiuto! Ma tu non eri una sostenitrice del pairing Shin/Reira? Cosa è successo? :P I tuoi commenti li apprezzo sempre molto, perchè hai una sorta di "visione obbiettiva" dei rapporti all'interno di Nana (per quanto il nostro amore ci conceda di essere obbiettive) perciò stimolano molto la mia curiosità. Approposito... ma la Yasu/Miu è una delle storie che hai scritto? Io sono una maledetta, perchè ho letto solo una tua storia e invece tu sei carinissima e commenti tutte le mie... è_é comunque io la vogliooooooo! Voglio quella storiaaaa!
Liveinthedark: Cucciola, non piangere più! *___* Spero che questo capitolo ti abbia dato un po' di tregua, però anche tu che mi ascolti Kuroi Namida! XD Ottima colonna sonora però! *bussa alla porta di casa di Liveinthedark con una confezione per un anno di kleeneks* Grazie per i tuoi complimenti... ma mi sa che alla Yaza-sama non sono degna neppure di portare le tavole in tipografia!
ValHerm: Mi sa che al punto di adesso Sa-chan non l'ha proprio capito che si cresce dopo un amore non corrisposto! Ma crescerà, come lo abbiamo fatto tutte noi... ma poi, come non ci si potrebbe innamorare di uno come Shin che a 34 anni circa io me lo immagino come un figo pazzesco? Impossibile!
majinannetta: Accontentata! Questa volta sono stata abbastanza veloce! Grazie mille per tutto, ma aspetta a commuoverti... la parte peggiore deve ancora arrivare! Il prossimo capitolo è di un intenso patetismo di quelli che piacciono tanto tanto a me!

Grazie anche a tutti gli altri, il prossimo sarà molto probabilmente l'ultimo appuntamento per Recorded Butterflies! Questo perchè sarà un aggiornamento corposo fatto di due capitoli. Mi dispiace quasi lasciare la storia, ma non è mai detto... finita una storia se ne inizia un'altra, no? Bacini!

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Capitolo 6
*** 6° capitolo - Pioggia ***


Arrivati a questo punto posso solo dire una cosa: SCUSATEMI!
Mi dispiace se c'era qualcuno che ci teneva a questa storia, visto come l'ho maltrattata, trascurandola senza alcun pudore. In parte posso solo giustificarmi dicendo che la mia vita ha affrontato alcuni assestamenti piuttosto "forti" ma tutti in senso molto positivo, perciò don't worry! *___* Ho cambiato due lavori (e finalmente ne ho trovato uno che mi piace moltissimo) e ho superato (dopo essere stata miserevolmente segata) il mio ultimo esame universitario. Adesso rimane solo la laurea, ma questo non mi impedirà di scrivere.
Vi ringrazio se finirete di leggere questa storia, soprattutto le lettrici più affezzionate: ValHerm, majinannetta, etoil noir, LiveintheDark, SakiJune e NanaOsaki... siete state tutte gentilissime e pucciosissime, molto ma molto nanose! *_____* Ma i due grazie più grandi sono per Keiko e Mommika, che mi hanno tirato le orecchie fino a convincermi a terminare la storia. Grazie mille cucciole! ^^
So che vi deluderò con questi ultimi due capitoli, sono consapevole del fatto che c'è stato un calo di stile, ma spero vogliate perdonarmi. ENJOY!!!



Pioggia


Quando esco dalla metropolitana, le nubi ricoprono ormai tutto il cielo e l'aria soffia fredda, anticipo dell'autunno che sta arrivando.
Non so quanto ho singhiozzato, nascosta dallo schermo nero dei capelli, seduta sul seggiolino del treno che mi ha portato fin qui, sotto l'appartamento di papà.
Non riesco a capire nulla di quello che Naoki mi ha detto, è come se mi trovassi sott'acqua, avvolta da un velo finissimo che non c'è modo di lacerare.
Vorrei solo che qualcuno mi dicesse cosa sta accadendo. E cosa dovrei fare.
I miei piedi, chiusi nelle scarpe nere della divisa scolastica, mangiano l'asfalto del marciapiede e il palazzo dal colore giallo vivo è sempre più vicino.
Ed è lì che lo vedo. In piedi vicino al portone, con le braccia abbandonate lungo i fianchi e il viso rivolto verso l'alto.
Il profilo immobile di Shin fa rallentare la mia corsa finché non mi fermo a qualche passo da lui.
«Shin...» sento le mie labbra tendersi in un sorriso folle.
Folle perché non posso credere, dopo le parole di Naoki, di poterlo vedere ancora e che anche lui possa guardarmi e sorridere piegando appena la testa di lato.
Eppure è strana la luce che brilla nel suo sguardo, come se qualcuno avesse riacceso una fiammella che da tanto tempo covava sopita.
E ho paura, così tanta paura che mi sembra di provarla solo ora per la prima volta.
«Shin...» dico ancora, allungando una mano verso di lui.
Lui scuote piano la testa, come se questo potesse bastare a tenermi lontana.
«Mi dispiace, Satsuki. Non avrei mai voluto che tu provassi questa cosa.» mi dice togliendo la mano dalla tasca dei pantaloni e allungandola verso di me per tergermi una lacrima.
«Perché non sono abbastanza?» chiedo con gli occhi spalancati.
Attraverso la stoffa della divisa scolastica iniziano a penetrare le prime gocce di pioggia, che punteggiano anche l'asfalto ai miei piedi di macchie scure.
«No, Satsuki. Perché c'è stata sempre e solo lei. Mi dispiace.»
Urto la sua mano con un colpo secco della mia, mentre i capelli iniziano ad appiccicarsi al mio viso.
«Cosa posso farmene delle tue scuse?» grido stringendo forte i pugni lungo i fianchi.
«Hai ragione, non servono a nulla.»
Improvvisamente una consapevolezza mi attraversa il corpo, facendomi sussultare. Sollevo il viso verso Shin e devo avere davvero uno sguardo folle a vedere l'espressione contratta di preoccupazione che gli si forma sul volto.
«Tu mi hai usato per vendicarti di mio padre...»
La pioggia ormai scroscia intorno a me e mi assorda. Colpisce il marciapiede e l'asfalto e rimbalza sulle mie gambe.
Non sento il freddo, malgrado sia zuppa di acqua gelida. Non sento nulla e davvero non vorrei sentire più nulla per tutto il resto della mia vita.
«Non l'ho mai fatto, Satsuki. Malgrado tutto il rancore che ho provato verso Takumi, non mi sono mai comportato così nei tuoi confronti. Sei la mia sorellina.» e mi sorride così dolcemente, mentre dice quelle parole, che sento le gambe tremare ancora «Ho solo voluto proteggerti da tutto questo. Ma sei come tua madre. Anche lei ha sempre dovuto vivere tutti i suoi sentimenti fino in fondo, malgrado le raccomandazioni degli altri.»
Arranco, mentre tutto è distorto da questo ansito affannoso.
Non ci sarà mai più aria per me e questo silenzio, fatto dal fragore sempre più intenso della pioggia, finirà per soffocarmi.
«Un giorno ripenserai a me e ti stupirai di quello che hai provato. Sorriderai, guarderai il tuo compagno, e già ti sarai dimenticata di me. In un certo senso sono felice che tu mi abbia detto cosa provavi, perché so che in questo modo le parole non dette non continueranno a tormentarti per sempre.»
Lo dice con un'espressione quasi serena sul viso e mi sorride.
Tento di allontanare i capelli dalla faccia, piagnucolando come una bambina.
«Sì, ma adesso io cosa faccio?» mormoro tra un singhiozzo e l'altro.
Lui mi guarda con sconforto e solleva appena il palmo delle mani.
«Mi dispiace, Satsuki, ma io non ho questa risposta. Per molto tempo non l'ho avuta neppure per me, e persino ora non so se è quella giusta.»
Digrigno i denti.
Tutte questa parole di consolazione non mi servono a nulla, perché domani avrò sempre queste mani vuote e tristi a stringere sogni vani e irrealizzabili. I sogni dei baci di Shin, dei suoi sussurri d'amore che mille volte ho sentito durante il sonno.
«Io... non so cosa farmene di te!»
Lo grido con quanto fiato ho in corpo, perché più farà male, più mi strapperà le corde vocali, meno mi renderò conto di quanto ho perso, irrimediabilmente.
È in quel momento che il ticchettio imperioso dei tacchi si fa udibile sopra lo scroscio della pioggia.
Io e Shin voltiamo la testa in direzione dell'entrata del palazzo.
Le iridi scure e dilatate di Reira fissano attraverso le gocce grigie. Scavano l'aria, affamate ma allo stesso tempo ricolme di timore, finché non si posano sulla figura di Shin. Fa un passo, ondeggiando. Poi stende in avanti le braccia con i palmi aperti, come una bambina che cerca di afferrare una bambola posta su uno scaffale troppo alto.
«Shin...»
Lo dice come se fosse l'unico pensiero compiuto che la sua mente è in grado di formulare. Come se in quel nome, nel suo formarsi tra quelle labbra perfette e rosa, ci fosse il senso di tutta una vita sommersa nel dolore e nel rimpianto.
Le loro dita si sfiorano, quasi avessero la paura di rivelarsi concreti l'uno per l'altra. Socchiudono le labbra, febbricitanti di anni di silenzio.
Osservo attonita il loro abbraccio, lo scoppio di lacrime di Reira che affonda il viso nella spalla di Shin, lui che le accarezza i lunghissimi capelli stringendola a sé con uno straziante sentimento di esclusività.
Arretro ancora di alcuni passi.
È come se Reira e Shin mi avessero strappato i battiti dal cuore.
Gli adulti sono tutti dei bugiardi.
Tutte le parole di affetto, i gesti gentili di Reira, erano solo atti ipocriti. Gli sguardi di Shin, crudeli derisioni. Le parole di tutti, tutto quello che mi hanno detto sempre – sempre – era solo una menzogna.
Mi volto e inizio a correre lungo la strada, completamente accecata dalla rabbia e dalla delusione.
I miei piedi calpestano le pozzanghere fangose sulla strada, mentre le gocce danzano con riflessi folli intorno a me come schegge di vetro.
Quasi non sento il rombo potente dell'auto che risale la strada. Tutto è fragore, fuori e dentro, una confusione che mi schiaccia il cranio facendo stridere i denti dal dolore.
Sollevo gli occhi e mi blocco in mezzo alla carreggiata solo quando dall'auto che avanza lungo la strada provengono i suoni acuti del clacson.
I fari risplendono nel buio e si fanno sempre più vicini, tagliando con la loro luce la superficie dell'acqua come lame.
Reira grida, mentre sento Shin urlare indistintamente il mio nome.
E ripenso alla prima volta in cui i miei occhi si sono posati su di lui e tutto è cambiato in modo irreversibile. Era l'estate di due anni fa, e come ogni estate c'era il nostro appuntamento all'appartamento settecentosette. Io e la mamma eravamo arrivate con molto anticipo durante la mattinata invasa dal sole e dal frinire delle cicale, e lei si era già messa a sbrigare tutte le faccende che ripeteva con meticolosità almeno una volta alla settimana.
Poi la porta si era aperta e Shin era entrato, coperto come sempre dagli avvolgenti occhiali da sole e dal cappellino. E mi aveva sorriso.
Forse è stato davvero quello il momento in cui ho realizzato di non essere più una bambina. Che sentivo, che provavo un calore al centro del petto ben diverso da una semplice emozione o dal piacere ingenuo degli infanti.
Volevo quel sorriso con un'intensità mai provata prima, come mai avevo provato desiderio verso un nuovo modello di Yumeko. Tutti i balocchi, all'improvviso, non avevano più importanza o significato. La bellezza non risiedeva più nella plastica colorata e in pastelli multicolori, ma in un corpo caldo e vivo che sfuggiva a tutti gli imperativi del mio mondo di principessina.
Mi aveva chiesto di aiutarlo a ripassare le battute dello sceneggiato che stava preparando e in cui avrebbe rivestito il ruolo del protagonista, come sempre nelle ultime produzioni televisive di un certo successo.
E mentre sussurravo vicino a lui, seduti a quel tavolo sotto alla finestra, frasi audaci e inappropriatamente adulte, avevo iniziato ad amarlo con consapevolezza.
L'auto frena, graffiando l'asfalto con le gomme. Lo stridore di quel morso disperato invade la strada, l'intero quartiere, tutta la mia testa.
Sussulto appena quando la carrozzeria gialla e lucida si ferma a pochi centimetri dalle mie gambe magre infilate nelle calze della divisa scolastica, dopo che l'auto è slittata di lato sull'asfalto bagnato.
Rimango ad ansimare sotto la pioggia che non accenna a smettere, sollevando le spalle sotto le spinte del mio respiro affannoso. Oltre il finestrino chiuso vedo il viso sconvolto di mia madre, le lacrime che disegnano le sottili rughe sul suo bel viso. Appoggia i palmi delle mani sul vetro appena appannato, come se quello fosse l'unico contatto che ci è concesso. Come se tutti i miei silenzi e le confidenze trattenute avessero alzato uno schermo trasparente tra me e lei, impedendoci di sentire le parole reciproche.
L'altra portiera si apre e si richiude con un tonfo quasi di rabbia.
Le mani di Naoki si stringono attorno alle mie spalle mentre mi scuote come se fossi una bambolina, una Yumeko sbiadita dal tempo.
«Cosa avevi intenzione di fare, Satsuki?» grida mentre i suoi occhi, dietro le lenti a contatto azzurre, mi guardano con furore. La pioggia gli appiccica i capelli al lato del viso, su cui una furia autentica lotta con una sorta di paura potente.
«Non farci prendere mai più uno spavento del genere, Sa-chan, altrimenti io non potrò tenere fede alle mie promesse...» [1]
Naoki mi stringe contro il suo petto, avvolgendomi in un abbraccio caldo che odora di uno sfrontato profumo, sicuramente di qualche marca prestigiosa, indelebile sotto la coperta umida della pioggia.
«Sa-chan...»
La voce flebile della mamma sussurra vicino al mio orecchio. Mi volto per osservarla.
In questo momento non ho la forza per pensare a nulla. Il mio cuore è frantumato, il mio amore più bello è svanito come uno ristagno d'acqua sotto il sole impietoso di una giornata di sole.
Allungo le mani verso di lei, aggrappandomi alla stoffa della maglia che indossa. Singhiozzo forte, come quando quando i bambini della scuola elementare mi prendevano in giro perché non avevo un papà che mi venisse a prendere fuori dal cancello.
«È tutto passato, piccola mia. Sono qui. La tua mamma è qui.»
Continuo a piangere, priva di pensieri e di emozioni, solo con la voglia di frignare e disperarmi finché non rimarrà più nulla, finché tutto si sarà consumato come l'ennesima estate afosa mangiata dall'avanzare inesorabile del vento freddo.





[1] Se volete sapere di che promessa si tratta, posso solo dirvi di leggere Your eyes over me, che è da intendersi come una sorta di spin-off di Recorded Butterfiles e della futura long-fic che sarà il seguito di RB... ops, ho già rovinato la sorpresa? *______*

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Capitolo 7
*** 7° capitolo - Inizio ***




Inizio


Sollevo lo sguardo verso l'alto, e non posso impedirmi di sorridere felice.
Come sempre, dall'ultima volta che mi sono trovata sotto l'appartamento settecentosette, è passato un anno. Un lungo anno fatto di un autunno piovoso, un inverno dalle luci vivide nell'aria tersa, e una primavera di trepida ansia per gli esami di fine anno, il diploma e l'esame di ammissione all'università.
Appoggio la mano aperta sul cappello, per evitare che il vento marzolino me lo porti via, mentre me ne sto con il naso all'insù e le nubi, bianche e soffici come spumose meringhe, scorrono sulla tavolozza turchese del cielo.
In una tasca degli skinny si trovano un paio di chiavi, nell'altra una busta chiusa, la cui presenza basta a farmi battere il cuore all'impazzata.
È strano come a vent'anni di distanza la stessa strada conduca me di fronte a questo palazzo di mattoni rossi in stile occidentale, come è successo per mia madre.
Come se tra i caseggiati dal gusto retrò e le sponde erbose del fiume corresse una strada dei sogni.
Il mio è a poco più di un passo. È necessario avanzare solo di pochi centimetri.
C'è voluta molta fatica per arrivare fino a qui. Ci sono voluti i sacrifici dei miei genitori, l'entusiasmo del desiderio smodato di crescere, e tante lacrime.
Io, le mie, credo di averle versate tutte l'anno scorso, quando l'estate ha lasciato il posto alle foglie secche e accartocciate dal freddo dell'autunno. Sicuramente la delusione che ho ricevuto da Shin e Reira sarà quella meno dolorosa della mia vita, ma so con certezza che è stata la più importante, quella che mi ha permesso di essere qui, ora, e di sorridere con il cuore colmo di serenità.
Quando mi ritrovai tra le braccia di Naoki e di mia madre, l'anno scorso, avevo creduto che non sarei mai più stata felice. Quando vidi il volto malinconico di mio padre, abbandonato dalla donna che per lui era stata tutto, avevo creduto che sarebbe stato impossibile avere nuovamente qualcosa di bello tra le mani.
Non abbiamo più saputo nulla di loro. Oppure, se anche Naoki e la mamma sono riusciti a mettersi in contatto con loro, hanno avuto la delicatezza di non dire nulla a me e papà. Ma questo per me non ha alcuna importanza. Ho ritrovato mio padre, che è rimasto in Giappone visto che non aveva più nulla da fare all'estero. Ho ritrovato mia madre che mi ha detto tutto quello che non sapevo di lei, i suoi sogni quando aveva la mia età, i suoi dolori, le delusioni grandissime e i mille insignificanti dettagli che costellavano le sue giornate.
Sono cresciuta. Sono diventata grande. E sto per compiere il primo passo verso l'inizio della mia vita.
Non c'è stato un vero e proprio cambiamento e non ho sicuramente iniziato da una giorno all'altro a fare qualcosa di diverso, o di più adulto.
Più semplicemente tutto ha acquisito una prospettiva diversa rispetto al mio punto di osservazione, come se avessi salito un paio di gradini per vedere un pezzetto più vasto di orizzonte.
Entro nell'atrio fresco, immerso nella penombra.
Sette piani senza ascensore in un palazzo dal gusto così particolare.
Esattamente come vent'anni fa, quando tutto è iniziato nell'appartamento settecentosette. Prima ancora che io fossi anche solo un piccolo pensiero nella testa della mia mamma, forse nulla di più che un sogno molto vago proiettato in un futuro incerto.
Invece sono qui, arrivata quando nessuno se lo sarebbe aspettato, e salgo le scale, ventuno rampe che si arrampicano quasi fino al cielo, mentre canticchio a bassa voce una delle vecchie canzoni della band di papà. Cancello con le mie parole tutte quelle dette in passato da Reira, e riscrivo la mia melodia.
Quando arrivo di fronte alla porta dell'appartamento, infilo le mani in tasca. Strattono le chiavi, che si sono incastrate in uno degli strappi della stoffa, mentre la borsa a tracolla mi scivola di lato e il cappello mi cala sugli occhi.
«A...aiuto!» esclamo mentre ondeggio incespicando sui lacci sciolti delle Converse. Un tiro più forte fa scattare le chiavi contro la porta di legno, mentre io mi ritrovo con il sedere per terra e tutte le mie cose sparse intorno.
La porta accanto a quella dell'appartamento settecentosette si spalanca di colpo e un ragazzo si affaccia sul pianerottolo, fissandomi stupito dietro le lenti degli occhiali.
«Ahi!» mi massaggio la coscia mentre tento di rialzarmi.
«Tutto bene? Ti sei fatta male?» si rivolge a me in modo molto compito, arrossendo appena quando lo guardo a mia volta.
«No, non ti preoccupare... è colpa mia che sono un disastro!» mi rimetto in piedi e mi avvicino a lui di un passo. Porta i capelli a mezza lunghezza, con un ciuffo che gli scende su lato destro del viso e gli da l'aria da bravo ragazzo.
«Sei la nuova inquilina?» indica con il dito sottile l'appartamento.
Sorrido.
«Sì.»
Quando ho chiesto a mamma e papà di lasciarmi vivere nell'appartamento settecentosette, c'è mancato poco che non gli venisse un colpo. Hanno protestato che ero troppo piccola, che non mi avrebbero mai permesso di imbarcarmi in un tale insensato-colpo-di-testa.
Ma ormai avevo deciso. Era arrivato il mio momento per spiccare il volo.
«Mi chiamo Satsuki Ichinose!» esclamo allungandogli la mano tesa.
Lui avvampa, poi porge anche la sua, ghiacciata.
«Kazuo. Kazuo Takeshima.»
«Settecentosei.»
«Già.»
Si crea un attimo di imbarazzo tra di noi, mentre io recupero le mie cose.
«Beh, allora ci vediamo, Kazu!»
Il suo rossore aumenta ancora di più, mentre il cellulare inizia a squillare dentro la tasca dei suoi jeans.
«Telefono.» dico con un sorriso, inclinando la testa di lato.
«Ah!» esclama lui. Il suo imbarazzo è evidente, e mi intenerisce. Prende il cellulare e se lo porta all'orecchio.
«Buongiorno, avvocato Takagi... sì, è tutto pronto...»
Faccio appena in tempo a sentire quelle parole prima che lui possa richiudersi la porta alle spalle.
Sorrido.
E le chiavi tintinnano, sono come una musica mentre entro nell'appartamento illuminato dal sole. La mamma ha insistito tantissimo per poterlo ripulire prima che mi ci trasferissi, e ora tutto è pronto. Nell'armadio rosa dalla linea anni cinquanta ci sono già i miei abiti, come gli mp3 sono già caricati nello stereo. Ogni cosa è stata pianificata con attenzione, e in ogni oggetto, nella cura con cui è stato predisposto, sento l'amore della mamma. Non per Nana, non per la vita che hanno avuto insieme tra queste pareti tanto tempo fa, ma per me.
Si è liberata dal passato guardando nel mio futuro.
Mi avvicino al tavolo colpito dal sole caldo.
Prendo la busta che ancora se ne stava stropicciata in una tasca dei pantaloni. La guardo a lungo, un rettangolo bianco dove si trova scritto il mio nome negli asettici caratteri formali di un computer.
Strappo con lentezza il lato corto. Le mie dita tremano un po'.
Spiego la lettera e i miei occhi corrono così veloci sugli ideogrammi che ho bisogno di qualche istante per capire il significato di quelle parole.

“Gentile Signorina Ichinose, siamo lieti di comunicarLe che...”


Un tremito, gli occhi che si chiudono, le orecchie che rombano per il flusso violento del sangue.
Ce l'ho fatta. La luce che entra dalla finestra colpisce il foglio bianco su cui è riportata la notizia più bella che mi avessero mai potuto dare. La porta del mio sogno si è spalancata.
Sopra tutti i dolori, oltre ogni difficoltà, tutto inizia da qui.
«Yatta!»





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