Once upon a time

di ClaryMorgenstern
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I; Dream within a dream ***
Capitolo 3: *** II; Nobody is healthy in London ***
Capitolo 4: *** III; Beauty is mysterious as well as terrible ***
Capitolo 5: *** IV; Tempt me ***
Capitolo 6: *** V; Years following years ***
Capitolo 7: *** VI; Lies in fear ***
Capitolo 8: *** VII; Makes me sick ***
Capitolo 9: *** VIII; Old words. ***
Capitolo 10: *** IX; By the joy and the fear ***
Capitolo 11: *** X; What is hell? ***
Capitolo 12: *** XI; Anywhere else ***
Capitolo 13: *** XII; In sunshine and in shadow ***
Capitolo 14: *** XIII; Wandered on earth ***
Capitolo 15: *** XIV; Worried about nothin' ***
Capitolo 16: *** XV; Gives you pleasure ***
Capitolo 17: *** XVI; Mighty stranger ***
Capitolo 18: *** XVII; Butterflies are free ***
Capitolo 19: *** XVIII; Ch'e sì cara ***
Capitolo 20: *** XIX; Became insane ***
Capitolo 21: *** XX - Parte prima; Never dreamed. ***
Capitolo 22: *** XX - Parte seconda; So much happiness ***
Capitolo 23: *** XXI; Ignorance ***
Capitolo 24: *** XXII; Human beings ***
Capitolo 25: *** XXIII; The hero of my tale ***
Capitolo 26: *** XXIV; Good and evil ***
Capitolo 27: *** XXV; Angeli muti ***
Capitolo 28: *** XXVI; Last refuge ***
Capitolo 29: *** Epilogo - Clockwork City ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 

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Bonjour à tous! **
Si, sono sempre io. Pronta a rompervi le scatole con l'ennesima storia. Amen! sopportatemi xD.
Mi sono cimentata in una long, questa volta. Prendetevela con questa storia se ho rimandato la scrittura della "Città di cenere" vista da Jace. E' colpa sua e.e''
Cercherò di aggiornare almeno una volta ogni sette - dieci giorni, promesso u.u

La storia non prende conto degli eventi avvenuti dopo Città di vetro o Clockwork angel.
Poi.. boh, non so. Have fun, leave a sign!
Clary.

Alla 3E, che riesce a rendere meraviglioso perfino un giorno di scuola.

Once upon a time

 

Prologo.


«Cosa ti fa pensare che stavolta sia il posto giusto?»
«Che donna di poca fede. Il mio istinto. E il mio istinto non sbaglia mai»
«Come per gli ultimi tre buchi nell'acqua?»

Clary sbuffò, annoiata da quel battibecco che andava avanti da un po' ormai. Lei, Jace, Isabelle e Alec erano alla ricerca da sei giorni di una grossa fonte di energia demoniaca nell' Upper East Side che da settimane aveva mandato in palla i sensori.
E, senza sensori, l'unica guida era l'intuito di Jace, che li aveva portati inizialmente in quasi tutte le case abbandonate del quartiere. Ed erano molte nell'Upper East Side. Dato l'immenso nulla che avevano trovato, I ragazzi avevano cominciato a controllare le fedine penali degli inquilini. Per i reati mondani c'era l'imbarazzo della scelta, chiaramente, ma per i reati particolari c'era solo una casa sospetta per aver usato magia nera cinque anni prima. Ed era appunto dove si stavano dirigendo i quattro ragazzi. Alec, annoiato come lei premeva i tasti del telefono e sorrideva al nulla, con un'aria così dolce che Clary sorrise di rimando. Isabelle e Jace stavano battibeccando come fratello e sorella, mentre la ragazza si specchiava nella parete riflettente dell'ascensore. Fu immensamente grata alle porte quando gli permisero di uscire da lì. Era trascorso un mese ormai da quando i Lightwood avevano deciso che la sua preparazione era sufficiente affinché lei potesse rendersi utile come Nephilim, ma questa era la sua prima vera missione in piena regola. Non avrebbe mai pensato che l'avrebbe passata a dividere Jace e Izzy e fare un buco nell'acqua dietro l'altro.
Il ragazzo le si affiancò in corridoio, passandole un braccio intorno alla vita. «Se neanche stavolta è il posto giusto giuro che la prendo a calci.»
Clary non fece in tempo a rispondere, che un calcio sbilanciò Jace, facendolo cadere a terra e lei insieme a lui. Clary si puntellò piano sui gomiti, ridendo. «Sempre se non ti prende a calci prima lei»
I due alzarono lo sguardo e videro Izzy fargli la linguaccia mentre proseguiva nel corridoio insieme ad Alec che continuava ad ignorarli con nonchalance.
Jace tornò a guardare lei. «Beh, dato che mi stai schiacciando con la tua ciccia potresti anche ripagarmi.»
«Io non…» Ma Jace la stava già baciando con dolcezza, giocando con la sua lingua mentre le passava le mani tra i capelli. Clary si sciolse come burro fuso e sorrise, staccandosi piano. Le ci volle qualche secondo prima che si ricordasse come si parla. «Scansafatiche.» sussurrò riaprendo gli occhi.
Jace gettò la testa all'indietro, sul pavimento di marmo. «Ma non possiamo lasciare che se ne occupino loro?» sussurrò piano, facendo scorrere la mano sul suo fianco, calda e delicata. «Potremmo andare via..»
«Non se ne parla, Wayland.» La voce di Alec arrivò da lontano, ma perfettamente udibile e minacciosa. «Se lo devo fare io, puoi scommetterci che verrai anche tu.»

L'appartamento in cui entrarono era splendido.
Se avesse avuto disegnarlo, Clary avrebbe usato carta pergamena e carboncino, per evidenziare la luce che toccava ogni cosa all'interno delle immense stanze, proveniente dalle finestre a muro incassate. L'interno, poi, era decorato finemente, da mani decisamente esperte.
L'unica pecca dell'appartamento sembrava essere il grosso pentagramma rosso sangue disegnato sul marmo bianco.
«Te l'avevo detto» gongolò Jace, dando una spallata non proprio delicata alla sorella.
La ragazza lo ignorò, chinandosi carponi per osservare meglio il simbolo. «E' sangue» concluse piatta. «fresco»
«E c'è odore di zolfo.» Alec fece il giro della stanza. «Non possono essere lontani»
Clary si alzò in piedi, lasciandoli alla loro ispezione della stanza e fece il giro del resto dell'appartamento. Il resto era bello quanto l'altro salone. Quella casa aveva più stanze di quante ne avesse il suo vecchio appartamento a Brooklyn e quella di Luke insieme.
Girò per le stanze in tondo cercando qualche cosa fuori posto, qualunque cosa. La cosa bellissima di avere un occhio da artista, è notare ciò che le altre persone non notano. Vide una mattonella di marmo nel muro del bagno, leggermente sporgente e di colore di pochissimo più chiaro, come fosse stata inserita dopo le altre.
Tirò fuori lo stilo dalla tasca e vi pose una runa piccola, semplice e nodosa. Dopo qualche secondo il marmo si sgretolò sotto i suoi occhi aprendo un varco su una stanza scura e angusta. l'unica cosa che riusciva a vedere erano una parete di cemento grezzo. L'odore di umido e stantio le arrivò alle narici con una folata, facendole lacrimare gli occhi.
Chiamò gli altri Shadowhunters a gran voce. Meno di qualche secondo, e Jace era già vicino a lei. La stregaluce nella sua mano gettava la luce angelica nella stanza oltre che produrre le ombre sottili delle ciglia sulle sue guance. Clary si sorprese a desiderare in quel momento di disegnare Jace al tenue chiarore della stregaluce, quando l' energia angelica faceva risplendere i suoi lineamenti di luce propria. Si morse le labbra per reprimere quel pensiero così inappropriato in quel momento.
Magari dopo.
Jace mosse qualche passo all'interno. «Come hai trovato questa stanza?»
«C'era una lastra di marmo qui. Ho disegnato una runa diakop e vi ho chiamato.» disse Clary entrando a sua volta nella stanza. Era più grande di quanto le era sembrata qualche momento prima.
Jace si girò verso di lei. Forse era la stregaluce, ma le sembrò che gli occhi di Jace brillassero al buio come quelli di un gatto. «Clary..»
«Jace.» Alec era in piedi poco distante da loro. La sua figura copriva un incasso nella parete. Davanti ai suoi piedi, c'erano tre corpi a terra.
Clary capì subito che si trattavano di stregoni. Uno di loro aveva un lucente paio di ali nere aperte sul pavimento di pietra, che le diedero un senso di tristezza che non seppe spiegare. Il secondo, accasciato contro la parete aveva la pelle di un bel blu mare e le labbra azzurre come quelle di una Drag Queen. Il terzo, proprio accanto agli stivali di Alec, aveva le orecchie lunghe come quelle di un Hobbit.
Clary si avvicinò e vide che nella rientranza nella parete che fino ad allora era stata coperta da Alec c'era un piedistallo di legno alto fino alla vita di lei, e sopra una statua nera lucida, come fatta di onice. Clary non riconobbe il demone rappresentato. Sembrava un grosso gufo con le corna, ma più sottile, come se avesse le proporzioni di una mangusta.
Jace fece qualche passo in avanti, avvicinandosi. «Beh, come artisti non erano un granché. Magari si sono suicidati in massa perché le loro opere fanno schifo.»
«Jace» lo ammonì Izzy. «Sii serio.»
«Sono serissimo!» indicò la statua lucente. «E' orrenda!»
Isabelle si avvicinò con aria pensierosa alla statua. «Mi sa che il senso artistico non è una caratteristica degli stregoni.» decretò. «Le fate invece.. Oh! Una volta una fata mi ha fatto un bracciale..»
Clary la ignorò e guardò meglio la statua. Non potè che concordare con Jace su quell'obbrobrio. Le ispirava un disgusto immenso, come d'altronde i demoni che voleva rappresentare. Le unghie sembravano scintillare di sangue fresco, e gli occhi erano vacui, scolpiti senza pupilla e..
Si mossero
La mano di Jace intanto si mosse verso la creatura.
Le si azzerarono i pensieri, e si bloccò per un istante. «Jace! No
Troppo tardi.
Una fortissima luce bianca e poi l'oscurità inondò la stanza, accecandola quando Jace toccò la statua.
Le urla inondarono l'oscurità.
E fu oblio.

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Capitolo 2
*** I; Dream within a dream ***


Is all that we see or seem
But a dream within a dream?
E. A. Poe


I
Dream within a dream.



Fu la luce del sole a svegliarla.
Le ferì gli occhi facendole fare le smorfie e muovere le mani come un cucciolo impazzito, come faceva quando era bambina. Ci sono quei cinque minuti, dopo il risveglio, in cui non si ha la condizione del tempo né dello spazio, ma ci si crogiola nel tepore ovattato del risveglio e delle sensazioni che porta con sé.
Poi i cinque minuti di Clary finirono, e lei si rese conto di non avere la minima idea di dove fosse, e spalancò le palpebre.
Prima ancora che la vista o l'udito riconoscessero quel luogo tetro in cui si trovava, lo fece il suo olfatto. Avrebbe riconosciuto quell'odore anche nello schifo in cui si trovava, anche senza aprire gli occhi o senza sentire il cinguettio degli uccelli fuori dalla finestra inferriata.
Era ad Idris.
In una cella, ad Idris.
Molto probabilmente era una di quelle prigioni in cui avevano rinchiuso Simon durante il suo soggiorno nella Città di Vetro.
Sembrava meno orrenda vista dall'esterno. Si trattava di una nuda stanza di pietra, con una finestrella inferriata in alto, sopra un letto duro come il marmo su cui era stata gettata. La parete che aveva di fronte era interamente fatta di sbarre grosse come pilastri dal pavimento al soffitto che le diedero la sensazione di essere un topolino in gabbia, e incassata in essa vi era una porta, anch'essa fatta di sbarre, con un pomolo d'ottone sul quale erano incise diverse rune nere. Erano rune di chiusura, Rune di sfida. Rune per intrappolare i cattivi.
Allora, perché lei era lì?
E Isabelle e Alec?
Dov'era Jace?
Si alzò e corse verso la porta, ma appena toccò le sbarre le mani le bruciarono da impazzire come se le avesse strette sul ferro per i ricci. Avrebbe dovuto saperlo che era una cosa molto stupida, come se non avesse mai visto un film d'azione. Urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni il nome di Jace e dei Lightwood ma la sua voce risuonò nel silenzio del corridoio. Quando cominciò a farle male la gola si prese una pausa, si gettò sul letto e guardò fuori dalla finestrella. Era la stessa Idris che ricordava, ma solo in quel momento si rese conto che c'era qualcosa che decisamente non andava.
La guardia era andata distrutta durante la battaglia contro Valentine, quasi sei mesi prima.
Come diavolo avevano fatto a ricostruirla così in fretta?
Ricordava che Maryse il mese precedente aveva detto loro che il Conclave si fosse appena accordato sul progetto per ricostruire la guardia. Sapeva che i Nephilim fossero veloci, ma questa era un'esagerazione.
Si tastò ogni parte dei jeans alla ricerca dello stilo che ovviamente non c'era. Così come le spade angeliche non evocate. Le avevano lasciato solo l'anello dei Morgenstern appeso in una catenella al suo collo. Peccato che non fosse in un film d'azione, se no avrebbe potuto trovarvi un coltello a serramanico o quantomeno una forcina per capelli. Così si risedette sul letto, in attesa, lasciandosi cadere la testa sulle mani.
Aspettò per almeno un'altra ora, poi sentì dei passi secchi provenire dal corridoio. Si alzò gettandosi sulle sbarre facendo ben attenzione a non toccarle stavolta.
«Ehy, fatemi uscire da qui! » urlò. «Sono una Nephilim, Santo Cielo! Non ho fatto nulla. Fatemi uscire»
«Fa silenzio.» Le sembrò che quella voce appena accennata fosse solo nella sua testa. Si chiese quanto ci volesse prima di impazzire, in prigione.
Qualche momento più tardi si accorse di non essere ancora del tutto fuori di testa, dato che, silenzioso come l'aria era arrivato un fratello Silente molto simile a fratello Geremia, ma forse i fratelli silenti si assomigliavano tutti. «Qual è il tuo nome?»
Clary si avvicinò alle sbarre, a pochi centimetri dall'archivista. «Sono Clarissa Morgenstern.» disse piatta. «Perché mi avete rinchiusa qui?»
Il fratello silente si girò per qualche istante verso il corridoio vuoto, poi tornò a voltarsi verso di lei, in silenzio.
Clary sentì il sangue sparato dritto nel suo cervello.«Rispondimi, per l' Angelo!» Ancora si meravigliava con quanta leggerezza usasse quell'espressione. Colpa di Jace e Isabelle, che la utilizzavano ogni secondo.
Le sembrò che il fratello Silente la stesse guardando con astio, anche se non avrebbe mai potuto dirlo con certezza. «Ti porteremo alla Città di Ossa»
«Ma cosa ho fatto, si può sapere?» Arrivarono delle guardie e aprirono la cella indossando dei pesanti guanti di pelle scura, si avvicinarono a lei e la strinsero con una morsa d'acciaio le braccia. Ma essendo che Clary era una ragazza e perciò restia a farsi trattare come una ladruncola, si dimenò come un'assatanata, chiedendo dove fosse Jace, chiedendo spiegazioni e forse anche urlando loro che erano delle teste di cazzo.
Ma non servì a nulla. E appena i muscoli le fecero troppo male per continuare si arrese, lasciandosi trasportare alla città di Ossa.

No, non andava affatto bene.
Non l'avevano ammanettata, anche se continuavano a tenerla stretta con forza. Forse i Nephilim preferivano la forza bruta alle manette.
Entrarono dal cimitero in cui Clary aveva avuto le allucinazioni dopo aver bevuto l'acqua del lago Lyn. Arrivando lì Clary aveva pensato che volessero seppellirla viva, ma poi erano entrati in un piccolo mausoleo ricoperto di rose rampicanti. Al posto del nome della famiglia, sotto la tettoia del mausoleo era incisa in corsivo la frase in latino che la ragazza aveva già letto nella città di Ossa di New York:
1234; Nephilim - Facilis Descensus Averni.
Percorrendo gli stretti e angusti corridoi della Città di Ossa, la portarono in quell'enorme sala in cui Fratello Geremia l'aveva portata la prima volta, la sala del consiglio. Tutti i fratelli Silenti li guardavano entrare dal loro scranno, ma Clary non badò a loro.
In piedi, in un angolo buio ben lontano dalle stelle parlanti c'erano Jace, Izzy e Alec. Quest'ultimo era libero e senza catene, come lei. Izzy era legata mani e piedi ad una sedia dall'aria scomoda con delle grosse catene di ferro con delle rune scure sopra di esse. Jace era in piedi, senza stare fermo un attimo e attorno ai suoi polsi scintillavano quelle fiammelle azzurre che aveva già visto una volta. Il sangue che colava dai suoi polsi le testimoniava che aveva lottato contro le manette, e tanto.
Quando la videro, sgranarono gli occhi insieme. Jace urlò il suo nome e corse verso di lei, ma a metà strada fu trattenuto da qualcosa che la ragazza non riuscì a vedere. Ma non si fermò e continuò a provarci fino a quando un fratello Silente gli urlò contro. O almeno Clary lo ipotizzò dato che non potè sentirlo.
Fu portata sulle stelle parlanti e la lasciarono lì. «Beh, tutto qui? Almeno speravo in qualche striscione di benvenuto.» sibilò acida la ragazza.
Jace fece un sorriso tirato. «Giurerei che passi troppo tempo con me.»
Le guardie slegarono Isabelle, che zoppico un po' non appena la fecero alzare, e portarono anche loro sulle stelle parlanti.
«Presentatevi al consiglio»
Jace fece un passo avanti con passo sicuro. Ma d'altronde Jace era sempre sicuro. Non gli avevano tolto le manette ai polsi e continuava a sanguinare. Una volta le disse che sanguinare sulle stelle parlanti poteva essere un reato. Chi sa se avesse controllato. «Sono Jonathan Christopher Lightwood. Il figlio di Valentine. Il salvatore del mondo invisibile. Il Sole delle vostre giornate di pioggia» Fece un altro passo in avanti con aria minacciosa. «Sapete benissimo chi sono.»
«Invece no» Il fratello Silente che sedeva in mezzo si alzò in piedi. «Vi siete materializzati in una chiesa di New York nel bel mezzo della messa della domenica» disse. «Avete compromesso il segreto dell'alleanza. Non siete morti lì e subito solo perché siete Nephilim. Ma né i Lightwood né i Morgenstern hanno parenti con i vostri nomi
Isabelle spinse Jace e si fece avanti. «Sottoponeteci a Mellartach, qui e subito, così vedrete se siamo dei bugiardi»
Clary portò istintivamente una mano al collo. Sentì sotto le dita il familiare freddo della catenella. «Forse non ce n'è bisogno.»
Si tolse la collana e si avvicinò allo scranno dei fratelli Silenti. Porse a quello più vicino l'anello d'argento. «Questo è l'anello dei Morgenstern, no?»
I fratelli Silenti si passarono la catenina uno alla volta, in silenzio. Clary li osservò trattenendo il fiato. Appena ebbero finito la diedero ad una guardia che gliela restituì.
«Mellartach si trova a Londra, insieme al console Wayland» disse il fratello Silente che si trovava al centro del semicerchio. «Ed è lì che vi manderemo attraverso un portale, sotto la custodia del console
Alec sbuffò. «Il console si chiama Penhallow. Il console Wayland è morto ottant'anni fa. Nel 1923 se non ricordo male.»
I fratelli Silenti si ammutolirono per qualche minuto. Stettero immobili come statue, poi si guardarono tra di loro e infine quello in mezzo agli altri si alzò e si avvicinò ai ragazzi. «In che anno siamo
Jace alzò gli occhi al cielo. «Nell'anno del mai.»
«Rispondete»
Clary si mise al fianco di Jace «Quando siamo svenuti era il 2 Dicembre del 2012.»
Il fratello non rispose. Si girò verso i suoi confratelli, in una muta conversazione. Dopo qualche minuto, si rivolse a Clary e a Clary soltanto. «Clarissa Morgenstern.» disse. «Sei disposta a sottoporti alla fratellanza?»
Clary, memore della prima volta in cui si era sottoposta ai fratelli Silenti, di primo attrito fu restia. Ma poi pensò che se volevano sondare proprio la sua mente c'era un motivo. E poi voleva proprio tornare a casa e porre fine a quella storia assurda. Così annuì, silenziosa. I fratelli Silenti ordinarono agli altri di spostarsi, e la ragazza rimase sola sulle stelle parlanti.
Le sembrò nuovamente di essere sottoposta a un plotone d'esecuzione, ad osservarla e pronti a ucciderla nel caso avesse dato la risposta sbagliata. «Dichiara il tuo nome alla fratellanza»
«Clarissa Morgenstern.»
«Chi sei?»
Clary prese fiato. «Sono un'artista. Come mia madre, Jocelyn Fairchaild. Abito a Williamsburg, New York. Sono nata nel..» e la sua mente schioccò come un elastico teso. Frammenti di immagini spezzate le si avvolsero intorno. Le stesse che stavano osservando i fratelli Silenti. Il suo passato e il suo presente.
Le immagini che aveva già visto una volta, di neve caduta e ferro battuto sotto casa di Magnus Bane mentre le cancellava i ricordi. Poi più in là, di quando aveva incontrato Simon per la prima volta al parco delle scuole elementari, e successivamente dei pomeriggi passati insieme sul divano a guardare vecchi film. Come aveva incontrato Jace, quella notte al Pandemonium Club e tutto ciò che era successo da quel momento in poi. La serra, la nave di Valentine, Idris, Jace steso senza vita sulla spiaggia del lago Lyn, l'angelo che le donava ciò che voleva più di ogni altra cosa al mondo. E poi quei sei mesi di pace in cui aveva imparato a combattere, ad usare le armi e aveva conosciuto una tranquillità che sapeva d'amore. Ed infine quell'ultima cosa che ricordava. L'appartamento bellissimo dell'Upper East Side, i cadaveri degli stregoni e l'orrida statua nera. Gli occhi vitrei che si muovevano e l'oscurità impenetrabile non appena Jace l'aveva toccata.
Poi finì tutto all'improvviso. Ma stavolta non cadde riversa sulle stelle parlanti e atterrò con delicatezza sul pavimento di marmo.
I fratelli silenti Si guardavano e, per l'Angelo se era strano, sembravano spaesati.
Alec fermò Jace, in procinto di prendere a calci gli archivisti. «Avete intenzione di renderci partecipi?»
Un fratello Silente si alzò dalle righe del consiglio. «Verrete sottoposti a Mellartach, oggi stesso. 6 Dicembre 1892



Note del titolo: Dalla poesia di Edgar Allan Poe "Dream within the dream".

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Capitolo 3
*** II; Nobody is healthy in London ***


Author's corner: Prima del capitolo, vorrei mettere in chiaro una cosa: Non ho ancora letto Clockwork Prince, perchè nella stupida libreria della mia stupida città non hanno ancora portato quello stupido libro. Che stupidi. Quindi, mi scuso per qualsivoglia errore che troverete in questa storia, che, ovviamente, provvederò a modificare dopo che metterò le mani su quel maledetto romanzo.
Detto questo, buona lettura!

Ah, my poor dear child!
The truth is that in London it is always a sickly season.
Nobody is healthy in London, nobody can be.
J. Austen

 

II
Nobody is healthy in London


Nessun posto è come Londra.
Clary aveva visto Sweeney Todd per la prima volta l'anno prima insieme a Simon in un Drive-in a Tribeca. Per tutta la settimana che seguì aveva cantato "No place like London" giorno e notte, fino a quando sua madre le aveva minacciato di farle togliere le corde vocali se non avesse smesso all'istante. Aveva ascoltato quella canzone milioni di volte, ma non l'aveva mai capita davvero.

You are young.
Life has been kind to you.


Nessun posto è come Londra perché Londra era Intrisa di magia e fumo nero. La cortina spessa di nubi non lasciava trapelare neanche un raggio di sole, dando a quel luogo un'aria tetra e cupa. Di prima vista non seppe spiegare perché sentisse la magia nell'aria, e al diavolo se il termine non era corretto. Clary sentiva la magia scorrerle intorno, nell'aria fredda e pesante di fumo, nell'acqua sporca del Tamigi che aveva visto di sfuggita dal treno, prima di arrivare, e nell' elettricità che sentiva scorrere come acqua sulla pelle.
.

Dopo la sentenza a effetto che gli archivisti avevano pronunciato alla Città di Ossa, Jace era scoppiato a ridere. «Certo. E io sono una donzella in tutù.»
Anche se Clary faticava parecchio a credere di essere finita centoventi anni nel passato, così come i Lightwood al suo fianco che se la stavano ridendo alla grande, dovette ammettere che spiegava il perché la guardia fosse stata ricostruita così in fretta.
Non era mai crollata.
Quindi scansò Jace e i Lightwood e si fece avanti. «Raccontateci cos'è successo.»
«
Abbiamo il compito di scortarvi a Londra, nient'altro.» Clary cominciava a pensare che i Fratelli Silenti fossero abbastanza ripetitivi. D'altronde, se si parla così poco vuol dire che non si ha molto da dire.
Quindi prese fiato. «Per favore.» implorò. «Siamo lontanissimi da casa e non abbiamo la minima idea di ciò che sta succedendo.»
La guardarono per un momento che le sembrò infinito, poi sentì le voci parlarle come in un sussurro, tutte insieme. «
Durante la messa della domenica presso una chiesa nell'isola di Manhattan, due giorni fa, c'è stata una forte luce bianca, e siete comparsi ai piedi dell'altare. I Nephilim e gli stregoni che sono arrivati per cancellare la memoria dei mondani vi hanno riconosciuto come Nephilim e vi hanno giudicato degni di processo. Attraverso un portale siete stati scortati ad Alicante nelle prigioni. Il vostro corpo non era ferito, sembravate dormire.» I fratelli Silenti non distolsero mai lo sguardo da lei durante il discorso. «Quando vi siete svegliati vi abbiamo interrogato qui, uno alla volta.» e non aggiunsero altro.
«Ma questo è impossibile!» Izzy scosse le catene ai polsi per dare enfasi. «Nel ventunesimo secolo non abbiamo mai avuto notizie di un qualsivoglia viaggio nel tempo. Solo leggende e storie per bambini.»
Clary alzò gli occhi verso quelli di Jace, e li trovò già diretti verso i suoi, brillando alla tenue luce delle candele. «Tutte le storie sono vere.» dissero ad una sola voce.
Izzy alzò gli occhi al cielo. «Mi davate la nausea nel 2012, Figuratevi nel 1892.»
Jace la ignorò e volse lo sguardo ai fratelli Silenti. «Come torniamo nel nostro tempo?»
Quelli si alzarono in piedi e molti lasciarono la stanza. «
Non lo sappiamo. Alcuni dei nostri faranno delle ricerche. Nel frattempo verrete affidati al console Wayland.» le guardie si avvicinarono loro, togliendo le catene a Jace e Isabelle. «Trascorrete anche questa notte nelle prigioni della Città di Ossa. Domani mattina all'alba il portale sarà aperto

You will learn.
(*)

Non poterono apparire a Londra in quanto, come aveva detto l'archivista quella mattina avevano già "attirato troppo l'attenzione", così il portale li lasciò a Southampton, con i biglietti del treno già pronti per Londra.
Il primo momento in cui i quattro Nephilim rimasero da soli, fu sul treno. Le guardie erano dall'altra parte del vagone, per non dare troppo nell'occhio. Inutile, perché né davano già abbastanza di per sé.
Non tanto Jace e Alec, che sarebbero passati inosservati persino a loro stessi, ma Clary ed Isabelle che attiravano gli sguardi su di loro come la luce attirava le mosche.
D'altronde erano ragazze, giovani e in età da marito, che indossavano dei pantaloni. Sarebbero state più invisibili nude.
Saliti sulla carrozza li avevano condotti in un vagone abbastanza isolato e spinti verso l'ultimo sedile più in fondo.
Jace sbuffò. «Ma perché non ci fate un incantesimo e la fate finita?»
Le guardie lo guardarono attonite.
Jace schioccò la lingua. «Non li hanno ancora inventati, vero?»
Quelle se ne andarono senza emettere un fiato.
«Che simpaticoni» disse Isabelle, stendendo le flessuose gambe sul sedile di Alec. «Sarebbero l'anima della festa.»
Jace si guardò intorno, controllando di non essere troppo a portata d'orecchio, quindi si avvicinò ai ragazzi e gli fece segno di farlo anche loro. «Quindi, ricapitolando:» cominciò. «Siamo nel diciottesimo secolo..»
Izzy alzò gli occhi al cielo.«Diciannovesimo, idiota.»
Jace le gettò un'occhiataccia. «Diciannovesimo secolo.» si corresse con voce dura. «Possibili attentatori al segreto dell'alleanza, sotto sorveglianza stretta e disarmati. Stiamo per arrivare a Londra e non abbiamo la minima idea di come tornare nel ventunesimo secolo.» Fece scorrere lo sguardo su ognuno di loro. «Ho dimenticato qualche cosa? »
«No, sei stato chiaro.» Alec si voltò verso il vetro della finestra. Il rigoglioso verde delle foreste Londinesi scorreva ad alta velocità accanto a loro, facendo apparire le foglie come macchie verdi indistinte. «Cosa facciamo, allora?»
«Direi di arrivare a Londra e sottoporci a Mellartach, tanto per iniziare.» Disse Isabelle con aria sconsolata. «Il resto si vedrà dopo» Clary pensò che per Izzy, come fiera americana giovane e intraprendente del ventunesimo secolo, essere spedita in un secolo dove le donne avevano gli stessi diritti degli animali fosse molto peggio delle prigioni di Alicante.
In prigione potevi urlare, almeno.

«Io odio Londra.» Fu la prima frase che Clary sentì, appena toccò il suolo inglese. «E' di una noia oserei dire mortale.»
Jace si fece avanti tra la folla, scansando Isabelle. «Allora cerchiamo di tornare in fretta a casa. » disse. «Nel XIX secolo non hanno ancora inventato l'acqua calda corrente.»
A quelle parole, Clary rabbrividì di freddo. Le guardie stavano davanti a loro, facendo spazio tra la folla per arrivare alla carrozza che li avrebbe portati all'istituto. La stazione di Southampton era chiassosa e sporca. La gente camminava svelta per andarsene da lì o per prendere il prossimo treno. Cumuli di bagagli scuri erano accatastati vicino alle carrozze mentre degli uomini dall'aria stanca li gettavano con molta poca grazia all'interno del vagone.
Clary rimase per un momento bloccata nel bel mezzo della stazione.
L'invasione delle teiere giganti.
Non l'avrebbe mai considerato come un buon titolo per un film Horror, ma lì dovette ricredersi. Perché nonostante fosse secoli e kilometri lontana da casa, la visione delle molte donne lì intorno, con abiti di crinolina e corsetti così stretti da togliere il fiato la spaventò molto, molto di più.
E Isabelle Lightwood al suo fianco era dello stesso, identico parere.
Clary non era mai stata una di quelle ragazze troppo attente ai vestiti. Se aveva le sue skechers verdi e un paio di jeans con una maglia a casaccio era a posto. Da quando stava con Jace aveva cambiato tante piccole cose, come lasciare ogni tanto un bottoncino in più slacciato nella camicia, o abbandonare i jeans per gonna e stivali. Ma era sempre sé stessa.
Solo l'idea di essere costretta a vestire in quel modo le gelò il sangue nelle vene. Ma per Isabelle, che Clary non aveva mai visto senza tacchi alti e vestiti aderenti, se non in battaglia, l'invasione delle teiere giganti era identificabile con l'apocalisse.
«Andiamo via da qui» le propose, poggiandole una mano sul braccio.
Izzy annuì, in silenzio.

L'istituto era un castello regale, situato al centro di una piazza in cui le strade erano dipartite in direzione dei punti cardinali per immergersi nei labirinti tra le case.
Jace le venne ad aprire la portiera della carrozza e ad aiutarla a scendere, come avrebbe voluto fare quella mattina arrivati alla città Silente quando lei non glielo permise. Ma ora sentì le mani calde di Jace sui fianchi mentre la poggiava delicatamente a terra e il suo respiro sul naso e sulle guancie, mentre le chiedeva: «Come stai?»
Lei mugugnò. «Potrebbe andare meglio.»
Le diede un bacio leggero, a fior di labbra. «Andiamo.»
Quando suonarono sul pesante portone di legno scuro, venne ad aprire una cameriera. Era una ragazza carina, snella dai capelli scuri in cuffietta e grembiule bianchi. E sarebbe anche potuta essere splendida, se non avesse avuto una cicatrice vistosa che le deturpava metà del viso. Ma aveva anche dei begl'occhi e labbra piene che facevano sembrare quelle di Clary dei canotti sgonfi.
La ragazza fece loro una riverenza. «Vi stavamo aspettando» disse. «Il Console Wayland e la signora Branwell vi aspettano nella biblioteca. Seguitemi»
Le guardie li precedevano nel lungo corridoio di pietra. Clary non ebbe il tempo di osservare il luogo attorno a sé data la velocità intrapresa dalla cameriera e dalle guardie, ma le parve di sentire della musica provenire dall'interno di qualche stanza.
Li accompagnarono in una sala enorme, più lunga che larga e decorata finemente in stile gotico. Disposti per la sale vi erano molti tavoli rettangolari di legno scuro diretti verso la parete in cui c'era dipinta la classica immagine di Raziel che emerge dalle acque del lago Lyn. Circa a metà della parete vi era un ballatoio con una balaustra, entrambi in legno scuro, a cui si accedeva tramite due scale a chiocciola ai lati della stanza. Inutile dire che fosse stracolma di libri che sugli scaffali percorrevano le file di pareti e il ballatoio.
Jace fischiò. «Però. Non male.»
Seduti ad uno dei tavoli rettangolari vi erano una donna e un uomo. Clary vide che la donna, anche da seduta, era molto piccola e minuta e provò un moto di solidarietà verso di lei. Aveva capelli castani raccolti sulla nuca e un bel viso con occhi scuri e svegli. L'uomo, a confronto con l'altra appariva più grande e massiccio. Aveva capelli biondo cenere già striati da lunghe ciocche bianche legati con un codino di cuoio e amichevoli occhi azzurri. Vestito con esagerata eleganza secondo Clary, ma d'altronde lui doveva essere il console Wayland. Tutto intorno a loro, sia in piedi sia addossati sulla porta già chiusa dietro di loro vi erano le guardie armate a cui andarono ad aggiungersi quelle che li avevano accompagnati fin lì.
Clary, seguendo l'esempio di Jace, Isabelle e Alec fece un piccolo inchino.
«Grazie, Sophie» disse la donna. La cameriera si inchinò e veloce uscì dalla stanza.
Il console si alzò in piedi. Aveva un sorriso cordiale e non sembrava molto contrariato per quel rompicapo, bensì incuriosito. «Buongiorno, Signori» disse. «Vorrei presentarmi, prima di cominciare. Sono il console Daniel Wayland e questa splendida signora al mio fianco» e indicò la piccoletta che intanto si era alzata dal tavolo ed era venuta loro incontro, anche lei sorridente, anche lei con la curiosità negli occhi. «E' Charlotte Branwell, la co-direttrice dell'istituto di Londra»
La signora Branwell fece un piccolo inchino con la testa. «Piacere di fare la vostra conoscenza.» Il suo accento era così dannatamente inglese che Clary glielo invidiò fino all'ultima dannatissima flessione della voce. Se lei avesse avuto l'accento inglese non sarebbe mai stata zitta.
Jace si fece leggermente avanti. «Io sono Jonathan Lightwood, e loro sono i miei fratellii, Isabelle e Alexander.» e i due ragazzi fecero una leggera riverenza. «e lei è Clarissa Morgenstern.»
Il console la guardò, piegando leggermente la testa.«Vedo» disse. «Oserei dire che c'è una vaga somiglianza anche con i Fairchild.»
Clary arrossì leggermente. Era la prima volta che la riconoscevano di primo attrito come Shadowhunters. «Mia madre è una Fairchild.»
Il console le sorrise. «Si, la chioma rossa vi ha tradito, signorina.»
E Clary arrossì del tutto. Il console si girò verso le guardie e fece loro un cenno. Portarono un fodero scuro di legno intarsiato decorato da quella che sembrava seta giapponese. Il console sguainò Mellartach e Clary la vide da vicino per la prima volta. La lama angelica trasparente come ghiaccio, spessa e affilata e l'elsa d'acciaio scolpita a forma di ali. Quella che, dopo quasi cento venti anni Valentine avrebbe gettato nel lago Lyn per evocare Raziel.
«Direi di iniziare, allora»
Le guardie li portarono ad uno ad uno in una stanza adiacente alla biblioteca. Cominciarono dalle signore, ovviamente.
Quello che accadde nella stanza era sotto il giuramento dell'alleanza. Nessuno ne potè mai fare parola.
Fu assoldato che i ragazzi erano sinceri. Il problema consisteva nel farli tornare a casa indenni e senza compromettere il passato e quindi il loro futuro.
Discussero a lungo. Clary perlopiù stava in silenzio e ascoltava i Lightwood discutere con il console. E la stessa cosa faceva Charlotte, seduta accanto a lei. Essere donna nell'epoca Vittoriana non doveva essere un compito facile, pensò Clary, e che la piccola e minuta Charlotte dovesse lottare con le unghie e con i denti solo per farsi sentire. Un po' come lei, che essendo cresciuta come mondana non aveva molta voce in qualsivoglia capitolo e solo per farsi sentire doveva fare delle stupidaggini colossali.
«Non potete tornare a New York. E' fuori questione.» stava dicendo il Console. «Avete creato fin troppo scompiglio»
Alec si appoggiò allo schienale, sconsolato.«Cosa proponete, allora Console?»
Il console parve rifletterci qualche istante. Non assomigliava granché al Wayland che aveva visto nelle foto del circolo. Ma d'altronde quella foto apparteneva a quasi un secolo più tardi, anche se aveva gli stessi capelli biondo cenere e le spalle larghe, e non è che i discendenti si assomiglino tutti. «I fratelli Silenti hanno già ricevuto ordine di cercare nei loro archivi ogni cosa vi possa essere utile. Quindi rimarrete qui, farete le vostre ricerche in questa stessa biblioteca o dove più vi aggrada, ma senza lasciare l'Inghilterra. Sotto la custodia dei coniugi Branwell.»
Charlotte fece un gran sorriso. Non doveva capitare spesso un compito così importante «Saranno al sicuro, Console.»
«Un'ultima cosa, Lottie.» aggiunse l'altro, guardandola dritto negli occhi. «La segretezza. Nessuno al di fuori di questo istituto e della Città di Ossa deve sapere nulla al riguardo.» guardò dritto negli occhi della direttrice. «Puoi assicurarmi la discrezione dei tuoi?»
«Assolutamente.»
Lo sguardo del console si assottigliò. «Anche di William?»
Charlotte alzò il capo. Piccola sì, ma fiera. «Specialmente di Will»
«Bene.» disse il Console alzandosi in piedi. «Desidero essere informato su ogni novità.» poi si rivolse ai ragazzi, i suoi occhi scintillavano al chiarore delle candele. «Benvenuti nel XIX secolo, Shadowhunters»



Note del titolo: Dal romanzo della fantastica Jane Austen "Emma"
(*) Come si capisce, si parla della canzone "No place like London" del film Sweeney Todd, the demon barber of fleet street.

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Capitolo 4
*** III; Beauty is mysterious as well as terrible ***


Beauty is mysterious as well as terrible.
God and devil are fighting there, and the battlefield is the heart of man.
F.
Dostoevsky

 

III
Beauty is mysterious as well as terrible

 

Appena la porta si chiuse dietro il console e le sue guardie, la signora Branwell tirò un sospiro di sollievo. Erano rimasti soli nella grande biblioteca. Fu deciso che le guardie sarebbero rimaste all'esterno della struttura per non destare la calma all'interno dell'istituto.
La piccola direttrice si voltò verso i ragazzi. «Vogliate scusarmi» disse. Nonostante il suo viso tradisse un certo imbarazzo, la sua voce era ferma e seria. «Le visite ufficiali mi mettono in soggezione»
Clary, che si sentiva a suo agio con la minuta signora Branwell molto più che con chiunque altro nel XIX secolo, provò a sorriderle con incoraggiamento. «Non si preoccupi, signora Branwell»
La donna rispose al sorriso, illuminandosi in viso. «Se non vi dispiace, vorrei essere chiamata Charlotte. In questo istituto siamo tutti di famiglia. E anche voi, benché di passaggio.»
Jace sospirò. «Fantastico. Allora non chiamatemi Jonathan nemmeno in punto di morte. Sono Jace»
«Alexander era mio nonno.» Disse Alec, spuntando da dietro Jace con le guance leggermente arrossate «Io sono Alec.»
Isabelle scosse le spalle, senza aggiungere nulla.
Clary si alzò dalla sedia e si avvicinò agli altri Shadowhunters già in piedi, alzando la manina da brava scolaretta. «Clary»
«Perfetto, allora.» Charlotte diede loro le spalle e si avviò verso l'enorme portone di legno della biblioteca. «Jace, Alec, Isabelle e Clary, vi do il benvenuto all'istituto Branwell.» Spalancò le porte e l'interno dell'istituto apparve nella sua interezza nel labirinto di corridoi e lanterne di stregaluce. «Vi farò fare un giro, per cominciare. Poi vi presenterò agli altri Nephilim»

Partendo dalla biblioteca, Charlotte mostrò loro l'interno dell' istituto. Cominciarono dall'armeria in cui Jace e Alec andarono in brodo di giuggiole per le armi antiche presenti lì dentro.
Alec si guardò in giro, con aria spaesata. Poi si voltò verso Jace.«I sensori non sono ancora stati inventati, vero?» sussurrò.
«No, mi pare di no.»
«E allora come diavolo faremo a trovare l'energia demoniaca?»
Jace sbattè gli occhi in paio di volte. «Questo sarà un problema.»
Izzy e Alec alzarono gli occhi al cielo contemporaneamente. «Già.»
Li guidò in ogni angolo dell'istituto raccontandone la storia. Dalla sala da ballo in cui ogni anno si svolgeva la festa di Natale alla stanza della musica, piena di strumenti musicali di ogni genere. Prima che uscissero dalla stanza, Clary scorse Jace a guardare un vecchio pianoforte a coda impolverato.
Il giro continuò fino ad arrivare alla cucine. Intenta sui fornelli c'era una donna anziana piuttosto robusta. Il fumo delle pentole le arricciava con forza i capelli che non facevano nulla per rimanere nella cuffietta. Da giovane doveva essere stata carina. Tra i denti, mentre affettava le verdure crude teneva stretta saldamente una pipa.
«Buonasera, Agatha.» (*)
La donna alzò lo sguardo su di loro e, mentre si toglieva la pipa dalla bocca e la posava sul tavolo ben lontana dalla cena, sorrise. «Buonasera, Charlotte.»Il suo sguardo percorse i Nephilim alle sue spalle. «Salve.»
«Salve» risposero loro.
Charlotte si fece indietro. «Loro sono nuovi ospiti dell'istituto, Agatha.» disse facendo un passo indietro. Presentò prima i ragazzi, che fecero una riverenza troppo sentita. Sicuramente erano assuefatti dal buon odore che permeava la cucina. Clary, che l'ultima volta che aveva mangiato era stata nelle prigioni della Città Silente e non aveva intenzione di ripetere l'esperienza, aveva l'acquolina in bocca.
«Clary e Isabelle» ed indicò loro che a loro volta piegarono il capo.
Lo sguardo della cuoca si assottigliò mentre guardava i loro abiti ma non fece commenti, e Clary gliene fu grata. «Piacere» disse.
«Agatha è al servizio dell'istituto ormai da molti anni.» disse Charlotte. «E prepara i manicaretti più deliziosi del Regno Unito e dintorni.»
Agatha sorrise. «Troppo buona Charlotte.» Un colpo di mazzotta fece saltare i ragazzi e soprattutto Jace, che quatto quatto stava allungando le mani verso un vassoio di panini al burro. «Sono sicura che lo scoprirete a cena.»
I ragazzi annuirono, spaventati e seguirono Charlotte che, dopo aver ringraziato Agatha stavano uscendo dalla cucina.
Clary si fermò sulla porta. Isabelle era rimasta ferma, in direzione della porta a guardare Agatha tagliere le verdure.
«Izzy, ci sei?»
La ragazza sembrò risvegliarsi. «Si, ci sono.» si voltò verso Agatha. «Arrivederci.»
La vecchia cuoca le sorrise. «A presto, Isabelle.»

Alla fine del giro, Charlotte mostrò ad ognuno la propria stanza già sistemata a dovere. Clary, esausta per la giornata si gettò sul letto per qualche minuto. Era il primo momento in cui si trovava da sola nel XIX secolo.
Si sentì immensamente spaesata e lontana. Non sapeva cosa fare, ne tantomeno come farlo. Per un istante la sensazione di non tornare più a casa la assalì. Pensò che non avrebbe mai più rivisto Simon né sua madre né Luke. Che non si sarebbe mai fatta una doccia calda, che avrebbe dovuto aspettare almeno tre anni per vedere un film.
L'unica piccola, magra consolazione era che Jace era lì con lei. Che sarebbe sempre stato lì con lei.
Si concesse dieci minuti di lacrime in cui lasciò andare tutto la frustrazione provata fino ad allora, tutta la paura, tutta la nostalgia di casa. Solo dopo trovò la forza di rialzarsi e si sciacquò il viso con l'acqua di un catino dietro un separé di legno intarsiato. Era gelata.
Poi sentì bussare alla porta. Era Sophie, la cameriera con la vistosa cicatrice. «Signorina Morgenstern?»
Clary uscì dal separé. «Ciao» la voce le uscì ancora un po' roca di lacrime. Sophie arrossì leggermente. Era bella Sophie, e il tenue rossore delle guance la rendeva ancora più carina. Clary si chiese quanti anni avesse. Non poteva essere molto più grande di lei «Sono venuta a chiamarla per la cena. Se vuole seguirmi.»
Clary annuì e seguì la ragazza nel corridoio. Ad aspettarli c'erano Jace e i Lightwood che si affiancarono alle due ragazze.
Jace si soffermò ad aspettarla quando Clary mise un po' di distanza tra sé e il resto del gruppo. «Hai pianto» disse, senza guardarla. Non era una domanda.
Clary tirò su col naso«Si.»
La abbracciò stretta, in mezzo al corridoio fermandosi per qualche istante. «Torneremo a casa. Te lo prometto.»
Clary si appoggiò al suo petto, sentendo il familiare battito cardiaco di Jace contro l'orecchio. Avrebbe voluto ascoltarlo per sempre. «Non puoi saperlo.»
Jace sbuffò e le diede un buffetto sul naso. «Sembri dimenticare che io so sempre tutto.»
Clary fece un risolino e un po' del peso che sentiva nel petto scomparve. Si incamminarono di nuovo per raggiungere gli altri. La stanza in cui Sophie li portò era grande abbastanza per contenere comodamente un tavolo da venti persone, già delicatamente apparecchiato per dieci persone. Sul tavolo erano posti diversi centrotavola con fiori bianchi e piatti di ceramica decorati con motivi di fiori azzurri e argentei. Sopra le loro teste pendeva un'enorme lampadario fatto di minuscole gocce di cristallo che sembravano pioggia pronta a cadere su di loro, dando alla stanza illuminata dalle candele un'aria magica.
Al tavolo vi erano già sedute tre persone. Un uomo dai capelli fulvi scompigliati che indossava una camicia candida e un panciotto azzurro dall'aria vistosa. Era abbastanza grosso e muscoloso, ma aveva l'aria di un cucciolo con cui giocare. A Clary piacque immediatamente. Al suo fianco, Charlotte che lo rimbeccava per una macchia di cenere sulla guancia che gli stava pulendo amorevolmente con un tovagliolo. E dal lato opposto del tavolo vi era una giovane donna che Clary odiò dal primo istante. Era deliziosa. Una bambolina in un elegantissimo abito vittoriano grigio chiaro con gli sbuffi bianchi. Riccioli composti e definiti di un biondo quasi irreale -sembrava argenteo-, dolci occhi castani da cucciolo indifeso e la pelle delicata e candida come una ciotola di panna. Non vide marchi scuri sulla sua pelle come invece spiccavano come pennellate d'inchiostro nero sulla pelle di Charlotte e di quello che a Clary sembrò essere suo marito.
Che, appena li videro, gli fecero cenno di sedersi sorridenti. «Grazie, Sophie» disse Charlotte. La cameriera, sempre inchinandosi, andò via.
Clary si sedette imbarazzata il più lontano possibile dalla bambolina. Al suo fianco prese posto Jace e vicino a lui Isabelle. Alec si sedette vicino all'uomo-orsacchiotto.
«Ragazzi» disse Charlotte. «Questo è mio marito, Henry Branwell. Co-direttore dell'istituto.» L'uomo fece loro un gran sorriso mentre si sedevano. «E lei è Jessamine Lovelace.»
Per l'angelo. Anche il suo nome era adorabile.
Jessamine sbattè i grandi occhi scuri. «Incantata» disse. Guardava Alec in modo molto strano e il ragazzo se ne accorse, dato che leggermente arrossato distolse lo sguardo. «Henry, Jessie, Questi sono i nostri ospiti. Clary Morgenstern, Alec, Isabelle e Jace Lightwood.»
Jessamine ignorò i ragazzi seduti al suo fianco e si rivolse ad Alec. «Allora, il ventunesimo secolo.» disse senza troppi preamboli. «Non immaginavo che tra duecento anni gli uomini si vestiranno così male.»
Charlotte la guardò truce. «Jessamine. Non essere scortese.»
Jessamine sbattè i grandi occhi scuri. «Scusami Charlotte ma almeno li hai visti bene?» Il successivo commento di Charlotte fu bloccato da un rumore di qualcosa che andava in pezzi proveniente dal corridoio, seguito subito dopo da urla di gioia e da qualche imprecazione decisamente maschile.
Charlotte dovette riconoscere la voce, perché accasciò la testa sulla mano destra, scuotendola.
La porta si aprì e due ragazzi entrarono all'interno della sala, ancora ridendo. Charlotte scattò in piedi. «In nome dell'Angelo, cos' è successo?»
«Nulla, Charlotte.» disse uno dei ragazzi.
«Già nulla.» confermò l'altro. «Ah, si è rotto il corrimano della scalinata all'ingresso.»
Charlotte diventò rossa di rabbia, ma non disse nulla. Si risedette con un sospiro. «Sedetevi.» ordinò laconica.
I due ragazzi si sedettero nei posti accanto ad Alec, ancora ridendo.
Il cervello di Clary, di solito piuttosto svelto, ci mise qualche momento a formulare un pensiero coerente.
Entrambi dovevano essere circa dell'età di Jace. Uno era alto quasi quanto Henry, pallido e fin troppo snello per essere uno Shadowhunters, ma i marchi scuri sulla sua pelle erano inconfondibili. Aveva dei capelli tanto biondi che sembravano quasi bianchi alla luce delle candele, così come gli occhi di un argento simile a quello delle lame d'acciaio e dal taglio straniero.
Ma la ragazza dedicò più tempo ad osservare l'altro ragazzo. Poco più basso dell'amico, aveva i capelli neri come quelli di Alec, così come gli occhi erano di un azzurro simile ai suoi. Muscoloso, dal fisico sottile era simile a Jace in quanto corporatura. Aveva anche le stesse dita sottili da pianista. Indossava un paio di pantaloni scuri ed una candida camicia bianca con il panciotto scuro slacciato. Aveva uno dei visi più belli che Clary avesse mai visto. Era il tipico viso che ci si aspettava da un cavaliere Vittoriano su un cavallo bianco pronto a salvare una donzella in difficoltà dalle grinfie del drago.
«Salve» disse, e anche la sua voce sembrava da paladino. Porse una mano ad Isabelle che la afferrò senza esitazioni, e fece un perfetto baciamano che lo fece sembrare ancora più sexy di quanto già non fosse. Quando poi si rivolse a lei, Clary credette di svenire, e sentì chiaramente Jace al suo fianco stringere i denti.
Il suo amico rimase fermo al suo posto e a Clary parve di vederlo ridere sotto i baffi.
«Questi sono Jem Carstairs e Will Herondale.» disse Charlotte, lanciando un'occhiataccia ai due ragazzi. «Di solito però sono più presentabili.»
Herondale.
Clary, Isabelle e Alec si voltarono simultaneamente verso Jace e lo videro sgranare gli occhi, come avesse visto un fantasma. La Nephilim si morse la lingua. Ora capiva perché avesse trovato il ragazzo così attraente.
Gli Herondale avevano il fascino nel sangue.
«Will, Jem, questi sono Clarissa Morgenstern» e indicò lei. Poi Charlotte si rivolse verso i Lightwood e parve sorridere in modo strano. «Isabelle, Jace e Alec Lightwood.»
Will guardò Isabelle inorridito, come se gli avesse fatto un grave torto. «una Lightwood?» chiese, sedendosi.
Isabelle lo guardò impassibile. «Qualche problema?»
Lui non rispose, e si voltò verso Clary accorgendosi così che la ragazza lo stava fissando. «E una Morgenstern» aggiunse. «Non ne ho mai conosciuto uno, ma si dice che siate testardi e poco inclini al perdono, oltre che di una bellezza unica. E' così?»
«Forse» rispose Jace al posto suo, anche se Clary aveva già aperto per rispondergli a tono. Poteva anche essere bello come una notte stellata, ma era anche abbastanza stronzo. «Poi posso prendervi a pugni e vedere quanto voi siate incline al perdono»
Will sorrise. Una parte del cervello di Clary registrò quando fosse bello il suo sorriso, l'altra parte le fece notare che era un sorriso di sfida. E lei c'era in mezzo. Il ragazzo si sedette proprio di fronte a lei. «Ho l'impressione che ci divertiremo molto insieme»
«Ne dubito» disse Jace.
«Io no.»
Charlotte sbattè la mano sulla tavola, facendola sobbalzare.. «William, basta così» sibilò seccata.
Isabelle usò il fazzoletto di cotone a mo' di ventaglio. «Ci state soffocando con tutto questo testosterone.» disse.
«Cambiando argomento..» disse Henry spuntando all'improvviso. Clary aveva quasi dimenticato che fosse lì.«Dov'è la signorina Gray?»
Will sembrò sgonfiarsi come un palloncino a quella domanda. Stette in silenzio, aspettando che qualcuno rispondesse.
Si fece avanti Jem, che aveva sorriso leggermente al nome della ragazza. «E' in camera sua. Diceva di non sentirsi troppo bene.»
«Tessa sta male?» chiese Will. Sembrava preoccupato.
Jem lo guardò di sottecchi. «Perché, t'interessa per caso?»
Will non rispose e fissò lo sguardo su Agatha e Sophie, arrivate giusto in tempo per servire la cena.. Le fumanti lasagne al forno fecero ricordare a Clary quanta fame avesse e vi si gettò su senza troppi preamboli. Poi servirono maiale arrosto con una cremosa salsa ai funghi e vino e come dolce un vassoio gigante di profitterole al cioccolato belga.
Quando tutti furono sazi ringraziarono Agatha sinceramente. Poi Henry si alzò e si diresse verso un armadio in fondo alla cucina. Tornò con diversi bicchieri di cristallo e una bottiglia di Whisky di malto.
Clary passò, così come Jessamine e Jem. Will si fece riempire il bicchiere due volte. Henry alzò il bicchiere. «Ai nostri ospiti. Buona fortuna.»
Jace e Isabelle alzarono il bicchiere e bevvero in un sorso. Will si volse verso di lei. «E a nuove amicizie.» e bevve anche lui.
Charlotte si schiarì la gola. «Con cosa avete intenzione di cominciare, domani?»
Clary aprì la bocca per rispondere e per la seconda volta quella sera fu interrotta. Questa volta da Jessamine «Lo so io da dove cominceranno domani.» disse infilandosi dei deliziosi guanti neri che sembravano di seta. «Li hai visti bene, Charlotte? Non passeranno mai per uomini di questo secolo. Hanno bisogno di abiti.»
Charlotte sospirò. «Jessie, non mi sembra una priorità..»
«Invece lo è.» Tagliò corto la ragazza. Clary pensò che non fosse abituata a sentirsi dire di no. «Devono passare inosservati. E, soprattutto le ragazze, attirano l'attenzione su di sé come se fossero dei funamboli in piazza.»
«Su questo concordo» aggiunse Will guardando verso di Clary. La ragazza provò il forte impulso di prenderlo a schiaffi.
Jessamine annuì, impercettibilmente. «Quindi domani li porterò a prendere degli abiti.»
«Quindi» disse Will. «Sei diventata la consulente di moda dell'istituto, Jessamine?»
La ragazza fissò stizzita gli abiti del ragazzo. «Male non ti farebbe.»
Isabelle sorrise e si distese sulla sedia. «Beh, se c'è da fare shopping, io ci sto.»
Alec e Jace mugugnarono. «Abbiamo altra scelta?» chiese Clary.
«No» risposero in coro Izzy e Jessamine
«Fantastico»



Note del titolo: Tratto dal romanzo di Fyodor Dostoyevsky "The brothers Karamazov". Personalmente, amo Dostoyevsky, quindi aspettatevi di vederlo citato spesso, così come la Austen o Edgar Allan Poe.

(*) Beh, come avrete notato, c'è qualcuno di un po' troppo vivo. Non volevo che Agatha morisse ç.ç Ho pianto come una cretina quand'è successo. Quindi ho deciso che, almeno in questa storia, Agatha è sopravvissuta ma, ahimè, Thomas è morto.

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Capitolo 5
*** IV; Tempt me ***


She is tolerable;
But not handsome enough to tempt me.
J. Austen

IV
Tempt me.


«Questo è assolutamente il vostro colore!»
Alec si rigirò nel grande specchio del negozio. Le guancie leggermente rosse stonavano con il colore del vestito. «A me non sembra»
Jessamine ridacchiò. Anche la sua fastidiosissima risata era adorabile. «Ma non siate sciocco! L'azzurro farà risaltare quelle splendide iridi chiare.»
Clary si morse la lingua per non scoppiare a ridere. Jessamine li aveva fatti svegliare all'alba per, come aveva detto lei, non perdersi la magia di Londra al primo mattino. Anche se Clary non aveva visto ancora nulla di così magico da giustificare un'alzataccia.
All' inizio aveva fatto fare loro il giro di almeno dieci boutique d'alta moda francesi per farsi dire da un parere neutro con quale abito fosse più carina. Al che Clary avrebbe davvero tanto voluto sbattere la testa contro il muro. Solo dopo aveva sorriso e disse di essere pronta per cominciare con loro.
Dai ragazzi aveva aggiunto, perché con le ragazze sarebbe stata un'impresa più ardua.
Alla prima boutique per uomini in cui erano entrati, Jessamine aveva spinto Alec sulla pedana dietro un separé di carta di riso.
Alec, imbarazzato fino al midollo, dopo quel commento sugli occhi era arrossito di colpo. «Io..» aveva cominciato a dire.
«Oh, non siate in imbarazzo» Lo interruppe però Jessamine già intenta a scegliere altri abiti per il ragazzo. «Provate questi» e gli fece porgere dalle commesse altri abiti, color vinaccia stavolta.
«Su Alec» disse Jace che intanto se la stava ridendo alla grande alle spalle del suo parabatai. «Non vorrai fare tardi alla sfilata.»
Jessamine gettò un'occhiataccia a Jace, ma non lo insultò come Clary si era aspettata. Si girò verso Alec che, ancora nel frac azzurro stava guardando i vestiti nelle mani delle commesse come un bambino spaventato. «Ignoratelo» gli disse. Poi, con voce più bassa. «State benissimo.»
Alec la guardò serio. «Vi ringrazio» disse. Clary lesse una nota molto dolce nella voce del ragazzo. «Ma per il periodo che trascorreremo qui avrò bisogno di abiti più comodi. »
Jessamine arricciò le adorabili labbra. «Oh, perfetto» disse. «Ma insisto per almeno un abito elegante per le feste.»
Alla fine vinse lei. Clary non ne aveva avuto alcun dubbio. Scelse al ragazzo un semplice abito grigio scuro con panciotto bianco latte e una cravatta azzurra, oltre che a tre diverse casacche da lavoro di colori diversi che variavano dal nero al marrone e dei pantaloni. Gli scarponi che indossava quando era arrivato, le disse Alec, sarebbero andati benissimo in qualunque secolo.
Appena Alec, con gli abiti con cui era arrivato nel 1892, scese dalla pedana, Jessamine si voltò verso Jace. I suoi occhi brillavano di una adorabile luce crudele. «Ora è il vostro turno»
Jace scosse le spalle e salì sulla pedana. «D'accordo. Ma patti chiari: io non sono la vostra bambolina, signorina Lovelace»
«Oh, non fare il bambino» gli disse Alec, seduto accanto alla sorella su una delle poltroncine color crema. «Sopravvivrai»
«Questo è lo spirito giusto» disse Jessamine. Porse a Jace gli stessi abiti da lavoro che aveva fatto provare ad Alec. Alla fine scelse per una giacca nera e una color senape, con annessi pantaloni dello stesso colore.
Clary vide Isabelle e Jessamine parlare con delle commesse, che poi portarono a Jace un fagotto di abiti. «Tocca anche a voi un abito elegante.»
Jace fece un sorriso sottile. «Ai vostri ordini, milady» e scomparve dietro il separé.
Attesero qualche minuto, poi Jace si fece vedere.
Quello che Jessamine aveva scelto era un semplicissimo abito elegante vittoriano. Giacca e pantaloni erano di un bianco candido, così come la camicia. Sopra di essa un panciotto di seta nera con bottoncini di madreperla e un ricamo a filet di una rosa in nero sul taschino. A dare un tocco di colore, una cravatta dorata dagli stessi riflessi d'oro dei capelli del ragazzo.
Sembrava appena uscito da un romanzo. Se William Herondale era bello come una notte stellata, Clary non faceva fatica a paragonare Jace ad un tramonto dai colori caldi.
Jace spalancò le braccia e abbassò il capo. «Ammiratemi pure in tutto il mio splendore»
E il bel sogno da eroe romanzesco finì. «Scendi da lì, idiota»
Jace la guardò divertito. «Idiota, io?» si sfilò la cravatta, avvicinandosi a lei. «Prova a dirlo di nuovo, se ne hai il coraggio»
Clary lo guardò strafottente dall'alto del suo metro e sessanta. «Idiota».
Jace le infilò la cravatta a mo' di collana intorno al collo e tirò, attirandola sul suo petto in una morsa di ferro e attirando le sue labbra in un bacio che all'inizio voleva essere di punizione, ma ben presto cambiò, lasciandola senza fiato.
Non durò a lungo. «Datevi un contegno» sibilò Jessamine improvvisamente vicino a loro. «Non potete dare spettacolo così.»
Jace sospirò,inondando Clary con il suo respiro. «Andiamo»
Jessamine prese gli abiti per i ragazzi, ringraziando vivamente le commesse e poi andarono alla ricerca di qualcosa per le ragazze.
Fu molto più semplice di quanto Clary pensasse. Dopo averle portate in diverse sartorie, Jessamine li portò in una Boutique d'alta moda al limitare del parco pubblico.
Clary si dovette sorbire dieci minuti buoni di lamentele per il suo fisico piatto e senza curve. Principalmente da parte di Jessamine, a cui successivamente si aggiunse Isabelle. Alla fine prese tre vestiti. Tutti e tre con scomodi corsetti che però facevano risaltare il suo quasi inesistente seno. Il primo verde pastello, per risaltare gli occhi. Il secondo blu scuro, tutto pizzi e merletti che le davano un fastidio tremendo e l'ultimo bianco candido, più elegante degli altri con ricami dorati sul polsi e sul corsetto. Perfettamente intonato a quello di Jace.
Isabelle, con quelli che scelse tra le decine di modelli, sembrava una damigella in difficoltà pronta ad essere salvata da un prode cavaliere. In altre parole era splendida. Clary al massimo assomigliava alla cugina imbranata di campagna appena arrivata in città.
Per non parlare di Jessamine con la sua aria da bambolina di porcellana.
Clary la odiava già.
«Per l'angelo!» Isabelle le strinse le spalle in un abbraccio. Trovando i vestiti adatti si sentiva a suo agio anche da teiera gigante. «Siamo favolose! Cioè, ovviamente io lo sono di più.»
Le odiava entrambe.

Appena fu fuori, Clary tirò un meraviglioso sospiro di sollievo.
Isabelle alzò gli occhi al cielo. «Oh, non essere melodrammatica!»
Jessamine saltellò in avanti e prese a braccetto Alec. «Credo che dopo questi meravigliosi acquisti ci meritiamo un gelato» disse immensamente allegra.
Alec le sorrise impacciato, mentre tentava di allontanarla con delicatezza. «Siete gentile, ma non vorremmo approfittare»
Jessamine sbattè i grandi occhi nocciola guardando Alec in viso. Clary giurò di aver visto il brillio di lacrime luccicare nei suoi occhi. «Siete molto dolce, Alec.» La voce era dolce come il miele fuso. «Ma comunque siete Shadowhunters. Ogni vostra spesa è coperta dall' Enclave.» disse. «E poi, insisto con la generosità se può farvi sentire, almeno un po', a casa.»
Calò un silenzio grato. Clary pensò che si era davvero sbagliata su Jessamine. Poteva sembrare una bambina egoista, ma in realtà era generosa e dolce.
Vide la ragazza davanti a loro, a chiacchierare amorevolmente con Alec mentre lo teneva a braccetto. Sorrideva e con le eleganti mani rivestite con dei guanti di seta rossa indicava al ragazzo le bellezze di Londra come una perfetta Cicerone.
Clary si fermò di colpo. E si morse la lingua trattenendo una risata.
«Oh, te ne sei accorta?» Isabelle si fermò al suo fianco, guardando Alec e Jessamine entrare in una gelateria dall'aria antica, con gli infissi di ciliegio. «Spero non lo scopra tanto presto. Dopo saranno dolori.»
Jace si accorse che si erano fermate e si voltò verso di loro con aria interrogativa. «Che succede?»
Clary, troppo scioccata per rispondere, si limitò a scoppiare a ridere. «Oh, mio Dio!.»
Isabelle fece un risolino. «Clary si è accorta che la cara signorina Lovelace ha una cotta per Alec.»
Jace scoppiò a ridere. «Solo adesso? » chiese. «Questo è assolutamente il vostro colore!» disse imitando la voce da bambolina di Jessamine. Guardò la porta della gelateria dietro la quale i due ragazzi erano appena spariti. «Non vedo l'ora che lo scopra! Forse allora la signorina Lovelace mostrerà il suo lato da Shadowhunter.»
Izzy sorrise, riprendendo a camminare. «Il suo lato assassino, vorrai dire.»

Tornarono all'istituto in tempo per il pranzo. Trovarono Will e Jem già al tavolo. Clary sospettò che l'antenato di Jace non si separasse mai dall'amico. Sembravano legati indissolubilmente da una cucitura a doppio filo.
Si ritrovò a pensare a come disegnarli. Per Will era un lavoro facile: Carboncino su carta pergamena, così come Jace, con una puntina di grafite azzurra per gli occhi. Armato, ovviamente. In smoking, magari, mentre scendeva da una carrozza di notte, illuminato dalla luce della luna.
Jem le ispirava gli acquerelli su tela, invece. Con schizzi pieni di colore e sfumature di luce. Lo immaginava sull'acqua pensieroso, con il mento poggiato sull'inseparabile bastone con pomo di giada e gli occhi dal taglio orientale socchiusi.
Praticamente impossibili da far stare in armonia.
Poi ricordò che non aveva con sé l'album da disegno, né tantomeno il suo astuccio di matite e pastelli. E si sentì immensamente sola senza quel piccolo pezzo di sé nel XIX secolo.
«Mi sembra triste, Clary.» Will picchiettò con un lungo dito sottile sul mento. «Possiamo fare qualcosa per farla sentire meglio?»
Jace prese Clary per mano e la invitò a sedere elegantemente, spostandole la sedia. Poi prese posto accanto a lei, proprio di fronte a Will. «Se vuole fare sentire meglio me potrebbe gettarsi nel Tamigi»
Clary gli diede una gomitata, gettandogli un'occhiataccia. «Stavo pensando che non ho con me il mio materiale da disegno» disse, tornando a guardare il ragazzo.
Lui le sorrise. «Un' artista» disse. Non sembrava neanche troppo interessato. «Se vuole potrei farle procurare tutto il necessario»
Clary arrossì leggermente, scuotendo le mani. «Non ce n'è bisogno»
Jem le sorrise. «Ai piani superiori c'è una sala per gli artisti, così come per la musica» disse. «Non viene spesso inclusa nella visita. E' in disuso da parecchio, ma sono sicuro che troverete ciò di cui avete bisogno.»
Clary rimase sorpresa. Queste cose c'erano anche nell'istituto di New York? «Grazie»
Will chinò gentilmente la testa. «Ai suoi ordini, signorina»
Lei sorrise. Poi successe qualcosa che. Se Clary avesse potuto prevedere, avrebbe schiaffeggiato Jace seduta stante.
Il ragazzo, difatti, l'afferrò a sé in un abbraccio e la baciò, con impeto e passione. In un altro contesto, Clary si sarebbe sciolta come burro tra le sue braccia, ma non lì, non nel XIX secolo e, soprattutto, non davanti a tutti.
Si staccò dopo qualche secondo. «Così va meglio.» disse, non nascondendo la soddisfazione.
Will si appoggiò sullo schienale della sedia, sospirando. «Vi sentite minacciato, per caso, Jace?»
Evidentemente, Jem decise che fosse meglio interromperli, prima di sentire la risposta che Jace tratteneva tra i denti. «Perdonate Will.» disse. Aveva una bella voce. calda e rassicurante. Le ricordò quella di Simon, anche se i due ragazzi non avevano praticamente nulla in comune. Simon Lewis era un nerd completo del XXI secolo che indossava jeans strappati e magliette con le scritte del genere: I Newyorkesi lo fanno meglio. Jem Carstairs, invece, era un elegante gentleman del XIX secolo, candido come la neve in tutti i sensi, che chiedeva scusa per il comportamento del suo amico. «Non vorrebbe fare lo stupido. Lo è e basta»
Forse erano più simili di quanto credesse.
Will assunse un'aria teatralmente ferita. «Mi hai fatto male, James.»
Alec arrivò nella sala insieme a Jessamine. Clary non si era nemmeno accorta della loro assenza. Osservò il ragazzo allontanare la sedia di Jessamine con eleganza e lei in brodo di giuggiole mentre gli faceva cenno di sedersi accanto a lui.
«Buonasera» disse la ragazza raggiante. Alec salutò con un gesto della mano. «Buonasera»
Will gettò la testa all'indietro e scoppiò a ridere. «Alec, non mi dica che la nostra Jessamine è riuscita ad accampare dei diritti su di voi.»
Alec prima lo guardò confuso, poi arrossì di colpo come se la temperatura della sala si fosse alzata all'improvviso. Aprì la bocca per ribattere ma ne uscì solo uno sconnesso «Io..non..»
Will rise. «Oh, non siate timido.» disse. «Siete una splendida coppia»
«Credo..» disse Isabelle bevendo un sorso di vino da un calice. Ma non riuscì a finire la frase. Jace le aveva dato di gomito, mordendosi le labbra per trattenere una risata.
Jessamine la guardò truce, come se l'avesse appena tradita. Magari si era illusa che quel legame chiamato moda le avesse unite ormai per sempre.
E difatti, la furiosa risposta della bambolina venne interrotta dall'ingresso di Charlotte ed Henry. Quest'ultimo sorrideva allegro, elettrizzato da chi sa che cosa. L'altra invece aveva uno sguardo stanco, ma soddisfatto.
«Abbiamo grandi novità» disse entrando. Si guardò intorno, facendo scorrere lo sguardo sui presenti. «Tessa sta ancora male?»
Clary notò che Will si era messo a tormentare Jessamine, apparentemente disinteressato al discorso. «E' ancora molto scossa per quello che è successo» disse Jem gettando un'occhiata a Will. «Non se la sente ancora»
Charlotte annuì «Capisco» si voltò verso di loro. «Abbiamo chiesto udienza a due nostri informatori del Pandemonium Club. Uno di loro è uno stregone davvero potente che penso potrà esservi utile..»
Quando la donna nominò il Pandemonium Club, Jace e Clary si guardarono immediatamente, corrugando le sopracciglia. Poi, la ragazza si volse verso Charlotte. «Pandemonium Club?»
«E' un'associazione clandestina di nascosti» spiegò Henry. «Alla quale partecipano anche alcuni mondani. Si occupa di tutti gli affari del mondo invisibile che i nascosti non vogliono far conoscere ai Nephilim»
Jem si rivolse a loro. «Non ci sarà più, nel XXI secolo?»
Jace la guardò. E lei guardò lui. Rivide in quello sguardo dorato quella notte di quasi un anno prima, o forse centodiciannove nel futuro. Riascoltò la musica altissima nelle orecchie, rivide Simon che faceva finta di ballarle accanto. I ragazzi sudati e sfatti che le volteggiavano intorno come una massa informe di sconosciuti.
Isabelle, bellissima come una Dea della purezza nell'abito bianco e il ciondolo a cuore disincarnato che le brillava sul petto. L'Eidolon con i capelli blu che spariva dietro la porta del magazzino e Jace che gli parlava, dopo averlo legato. Jace che con il suo sagace umorismo lo prendeva in giro. Jace che lottava con lui. Jace che gli piantava un coltello tra le costole.
La prima volta che aveva visto ciò che le era stato nascosto per anni.
La prima volta che aveva visto Jace.
«Ci sarà» disse il ragazzo, ancora guardandola. Il sorriso appena affiorato sulle labbra piene.
Clary sentì le labbra tendersi in un sorriso. «Ma sarà diverso.»



Note del titolo: Dal romanzo di Jane Austen "Pride and prejudice"

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Capitolo 6
*** V; Years following years ***


Questo capitolo è dedicato a F.B.
Grazie. Per il pc e un'infinità di altre cose.


Years following years steal something ev'ry day.
At last they steal us from ourselves away.
A. Pope

V
Years following years.


Il tempo, per definizione è la successione illimitata di istanti in cui si svolgono gli eventi e le variazioni delle cose. Nel corso dei millenni non ha mai subito variazioni, né incongruenze. Per definizione, il tempo è anche l'unica cosa certa dell'esistenza degli uomini.

Clary voltò pagina bruscamente. «Ma anche no»
Avevano cominciato le ricerche quello stesso pomeriggio.
Dopo il lauto pranzo, Alec li aveva praticamente trascinati in biblioteca con la forza. E, dato che ovviamente non sapevano la strada, si erano persi in uno dei diecimila corridoi dell'immenso istituto.
Furono salvati da Sophie, che gentilissima li accompagnò pazientemente nella biblioteca. Essendo già stati lì, non faticarono a orientarsi, trovando così la sezione dedicata al tempo.
Il problema era che occupava almeno tre scaffali alti il doppio di Isabelle. C'erano centinaia, se non migliaia di volumi dalla copertina scura in pelle. I caratteri incisi su di essi variavano dal dorato al brunito, finanche a qualcuno dai caratteri argentei.
Ci sarebbe voluta tutta la vita a controllarli tutti. Senza neanche la certezza di trovare ciò di cui avevano bisogno.
Clary aveva sospirato rassegnata. «Sarà meglio iniziare»
Cominciarono dai volumi più grossi. Ognuno di loro ne prese uno con sé e lo porto ad uno dei tavoli rettangolari della biblioteca.
Clary ne aveva scelto uno che parlava delle varie dimensioni del tempo. Il titolo era in latino, in caratteri antichi e argentei. Tempus est.

Il tempo è molto lento per coloro che aspettano, molto veloce per coloro che hanno paura, molto lungo per chi si lamenta, molto breve per quelli che festeggiano. Ma, per tutti quelli che amano, il tempo è eternità.

Clary si alzò spazientita e cambiò volume. Quello che aveva preso sembrava solamente un'insieme di aneddoti che non le servivano a nulla. Né scelse un altro, grosso quasi quanto il precedente. Con i caratteri bruniti recitava: Memini tempus.
Aprì il volume e si sfregò gli occhi. Erano ore che stavano controllando i libri, e nessuno aveva ancora trovato nulla di minimamente utile. Alzò uno sguardo sui suoi amici: Jace era seduto per terra con le gambe incrociate, il libro enorme in bilico sulle ginocchia e una penna stilografica in mano. A terra, vicino ai suoi piedi vi erano un rotolo di pergamena ancora pulito e una boccetta di inchiostro nero.
Isabelle era seduta al tavolo dietro di lui, che sfogliava annoiata le pagine di un tomo leggermente più piccolo del suo. Giocherellava con una piuma per scrivere che Charlotte aveva fornito loro. Anche se non avevano scritto nulla, erano state molto utili: Quella di Clary le stava tenendo fermi i capelli, anche se qualche ricciolo rosso ribelle le ricadeva sulle spalle.
Alec era seduto accanto alla sorella. La faccia poggiata sul libro che aveva di fronte, mentre dalle labbra gli sfuggiva un gemito di dolore. «Io ci rinuncio» disse sconfortato. «Non troveremo nulla qui»
Isabelle alzò una mano «Concordo»
«E io mi aggrego» disse Clary, chiudendo il tomo con uno sbuffo di polvere..
Jace chiuse di scatto il libro e lo gettò lontano, con violenza. Aveva le spalle tese e la testa tra le mani, con aria disperata.
«Che facciamo, allora?»
Nessuno ebbe nulla da rispondere. Stettero in silenzio per qualche minuto.
Alec alzò la testa dal libro. «Cerchiamo di ragionare.» si alzò in piedi e prese la penna e la pergamena che Jace aveva lasciato per terra. «Cosa sappiamo?»
Jace tolse il viso dalle mani. «Che siamo nel 1892»
Alec scrisse sulla pergamena: «Quindi, centoventi anni nel passato, rispetto a quando siamo svenuti»
«Che è opera di magia nera» ragionò Clary. «C'era odore di zolfo, nell'appartamento»
Alec annuì. «Concordo» disse. «altro?»
Jace scattò all'inpiedi. «Potrebbe essere opera di un demone» propose. «Quello rappresentato dalla statua nera»
Clary aggrottò le sopracciglia «I demoni possono viaggiare nel tempo?»
«Non ho mai sentito di un demone che potesse farlo» Izzy si massaggiò le tempie con due dita. «Nemmeno di demoni superiori»
Jace cominciò a camminare avanti indietro, mentre Alec al suo fianco scriveva. «Potrebbero averlo creato degli stregoni» ragionò. «E' già successo nel 1348. Degli stregoni avevano creato un demone da un arto che erano riusciti a strappare ad un demone superiore. Quello riuscì a scappare e portò una malattia demoniaca in Europa: La peste nera.»
Isabelle alzò gli occhi al cielo «Ma come si crea qualcosa che controlla il tempo?» chiese ironica. «Si getta un orologio nei rifiuti tossici?»
Sentirono il suono della porta che si apre. Entrò una ragazza, tutta trafelata e con il fiatone. Chiuse la porta in meno di un minuto e si appoggiò ad essa, prendendo grandi respiri profondi con gli occhi chiusi, cercando di calmarsi.
Li aprì dopo qualche minuto, quando le rallentò il respiro. Quando poi si accorse che Jace, Clary, Alec e Isabelle erano lì e la fissavano, arrossì da capo a piedi. «Sono mortificata» sussurrò. Era più alta della media: con una pelle delicata e bianca come latte candido. Una nuvola di capelli castani le contornava il viso, legati con delle forcine dorate. Aveva occhi grandi e grigi con ciglia lunghe. Non era particolarmente carina, ma aveva un non so che di affascinante ed elegante che la rendeva molto bella. Portava un vestito semplice di un pallido azzurro alternato a strisce bianche e, al collo, aveva appesa una collana di quello che sembrava rame, tesa dal peso di un ciondolo a forma di angelo. Aveva un che di familiare che Clary non riusciva a capire.
Clary scattò in piedi. «Sta bene?»
«No.. voglio dire Si.» balbettò. Si avvicinò agli altri con passo tremante. «Stavo solo..» sospirò, tentando di riprendere il controllo di sè. «Scusate. Non volevo essere scortese.» Fece un breve inchino. «Voi dovete essere i cacciatori ospiti dell'istituto.»
Jace si stiracchiò come un gatto «Già. Siamo noi» disse.
Il volto della ragazza si illuminò. «Siete di New York!» urlò. E si mise le mani sulla bocca. «mi dispiace, non volevo.» disse togliendole. «Mi chiamo Tessa Gray, e sono nata a New York anch'io»
«Beh, New York è grande» disse Alec giocherellando con una penna.
La ragazza guardò i libri. «Non vorrei intromettermi, ma cosa stavate leggendo?»
Isabelle alzò le spalle. «Sciocchezze»
«Oh, non ci sono sciocchezze, nei libri.» disse la ragazza avvicinandosi ad una libreria. «C'è più vita nei libri, ma non molta di più.» Passò una mano sulle copertine scure, prendendone uno tra le mani. «Posso esservi utile, se state cercando qualcosa» disse, aprendo il libro preso e sfogliandolo. «Ho imparato a conoscere questo posto in ogni suo angolo»
Alec si alzò. «Cercavamo incantesimi sui viaggi nel tempo»
Jace gli gettò un occhiataccia. «Sapete di qualcosa di simile?» chiese poi, rivolgendosi alla ragazza.
Tessa scosse il capo. «No. Non credo di aver mai letto di qualcosa di simile, se non in romanzi fantascientifici.»
Isabelle lasciò cadere la testa sul tavolo. Clary si sentiva dello stesso, identico umore «Siamo fregati»
«Isabelle. Mi deprimi.» Jace si avvicinò alla libreria vicino al quale c'era Tessa. Clary sentì lo stomaco stringersi leggermente. La ragazza lo stava guardando con i grandi occhi grigi aperti e interessati. «Voi mi ricordate qualcuno» gli disse.
Jace si passò una mano tra i capelli, sorridendo. «Probabilmente assomiglio al giovane cavaliere rampante dei vostri sogni»
La ragazza arricciò le labbra. «Grazie, mi avete tolto un dubbio» Il suo sguardo era triste e arrabbiato al tempo stesso. Clary ripensò allo sguardo di Will durante la cena, il giorno prima, quando Charlotte aveva nominato la signorina Gray. Troppo simile per essere una pura coincidenza.

Rimasero in biblioteca altre due ore, cercando ancora tra gli immensi volumi. Ognuno era rimasto dove era seduto prima e Tessa, prendendo un grosso volume si era seduta vicino a lei in una nicchia incassata nel muro.
Alzarono gli occhi dai libri solo quando Sophie venne a chiamarli per la cena. Tessa aveva esitato, ma alla fine si era unita a loro seguendo la cameriera.
Fu silenziosa per tutto il tragitto fino alla sala da pranzo. Prima di entrare, prese un bel respiro e si stampò sul viso un sorriso tirato che non convinse neanche Clary che l'aveva appena conosciuta.
La ragazza, d'altronde, si sentiva simile alla damigella vittoriana in un modo che non riusciva a capire. Fisicamente, non avevano nulla in comune. Clary era piccolina, sottile come uno stecchino e piatta come una tavola, con i capelli rossi e gli occhi verdi che la facevano sembrare un folletto. Tessa era alta, formosa, delicata come porcellana ma non sembrava fragile quanto sembrava Jessamine. Ed intelligente, dato che passava molto tempo tra i libri.
Incontrarono Henry e Jem in corridoio e si avviarono insieme verso la sala. Jem fece un gran sorriso a Tessa, affiancandola. Clary allungò la mano e la strinse a quella di Jace, in un tacito bisogno di conforto. Non avevano trovato nulla, niente che potesse minimamente aiutarli. Aveva bisogno di sentire la mano di Jace sulla sua, di sentirlo vivo accanto a sé per ricordarsi che tutto era possibile.
Fu fulminata da un'idea. Aprì di scatto gli occhi come se la verità fosse lampante e chiara al suo sguardo. Cristallina, come quando le rune le apparivano dentro le palpebre chiuse. Tacque, aspettando di essere sola con Jace per esporgli la follia che le aveva attraversato la testa.
Entrando in sala da pranzo la trovarono già apparecchiata a dovere come negli ultimi giorni, e si sedettero nei posti che avevano occupato. C'era anche Aghata, vicino ai camerieri con le portate già nei vassoi.
«Ottimo» borbottò Isabelle, sedendosi. «Sto morendo di fame» Solo dopo alzò lo sguardo accorgendosi della presenza di Agatha. Clary giurò che le sue guance si tinsero di rosa, ma forse era uno strano effetto delle candele. La salutarono, e lei chinò piano la testa in un muto inchino. Clary notò che stavolta non aveva con sé la pipa come le altre volte che l'aveva vista. Fece un breve cenno ad Izzy, che sorrise timidamente.
A tavola, mentre aspettavano il resto dei commensali, Jace, Alec, Henry e Jem stavano parlando di qualcosa che Clary non riusciva neanche a capire. Stavano nominando qualcosa chiamato pixie, o qualcosa del genere. Clary, con la testa poggiata sul suo pugno chiuso, si voltò verso Tessa. «Non odi anche tu quando si chiudono in conversazioni incomprensibili a noi comuni mortali?»
Tessa sorrise. «Oh, da morire.» disse. «E quando sembra che si annoino a spiegare ogni cosa per filo e per segno, ma invece ci provano un gusto immenso?» la ragazza assunse un'espressione confusa. «Ma, non sei anche tu una Shadowhunter?»
Clary sorrise. «La mia storia è un po' più complicata.»
«Adoro le storie complicate, Clarissa»
Clary. È un diminutivo di Clarissa, vero? Non è il nome che avrei scelto io.
La ragazza ebbe un singolo, breve brivido. «Clary» disse. «Non Clarissa.»
Tessa la guardo per qualche istante, ma non fece commenti «Me la racconterai, la tua storia?»
Clary si stiracchiò. «Magari un giorno» prese un morbido panino bianco dal cestino che i camerieri le avevano messo davanti. Era ancora caldo e la fragranza del pane fresco era così forte da farle venire le vertigini. Nel XXI secolo, e specie a New York, il pane non aveva mai avuto un odore così buono. Si sentiva che era fatto con grano vero, e non con schifezze chimiche.
«Ne sei innamorata, non è vero?»
Clary addentò il panino. «Da morire» disse con la bocca ancora piena.
Tessa arricciò il naso. «Parlavo di Jace» disse, guardando il ragazzo. «Lui sembra così dolce . Un vero cavaliere»
Clary lanciò uno sguardo al diretto interessato. «E' un idiota» disse, prendendo un altro morso.
Tessa la guardò sbattendo i grandi occhi grigi. «Come?»
«E' un idiota» ripetè Clary guardando verso il diretto interessato. «E' montato, superbo, troppo impulsivo e a volte davvero insopportabile.» La luce delle candele gettava una luce calda sui suoi lineamenti, facendo sembrare d'oro i capelli già biondissimi. Muoveva le mani, con le lunga dita sottili da pianista, velocemente, mimando qualcosa che Clary non riusciva a capire ma sembrava molto una maniera per usare il coltello. Quelle stesse mani che l'avevano sfiorato la pelle per controllare se sopra vi fosse la runa della vista. Che si era ritrovata addosso dopo essere caduti nel portale. La prima cosa che aveva sentito sul viso, quando si era risvegliata nella spiaggia del lago Lyn. Guardò verso Tessa. «E lo amo, si.»
Anche Tessa guardò Jace, ancora intento nella conversazione con Jem ed Henry insieme ad Alec. In quel momento entrarono Will e Charlotte, anche loro intenti in una conversazione accesa. Quando lo sguardo del ragazzo incontrò quello di Tessa, la solita spacconeria che il ragazzo mostrava crollò di colpo, per riprendere qualche secondo dopo in un sorriso che Clary aveva già visto su un altro volto.
Tessa distolse in fretta lo sguardo, cercando di mascherare il viso in un sorriso mentre si rivolgeva a Charlotte.
E Clary capì all'istante perché si sentisse tanto affine alla ragazza Vittoriana.
D'altronde, avere a che fare con gli Herondale era, di per sé, un lavoro complicato.

Un leggero bussare alla porta.
Clary saltò sul pavimento di marmo freddo con i piedi scalzi. Per dormire, Sophie, la sera prima, le aveva lasciato una vecchia camicia da notte di Charlotte. Di essere, era della sua taglia, ma era dal taglio monacale, che la copriva dal collo fino alle caviglie. Bianco panna, con qualche bottoncino per scoprire la clavicola.
Clary si era opposta con decisione, e si era messa a scavare nell'armadio della sua stanza, poi nei cassettoni e alla fine aveva trovato una vecchia camicia da uomo che le stava a dir poco enorme. Con i mutandoni vittoriani, sempre forniti dalla graziosa cameriera, aveva risolto il problema, almeno per la notte. Di giorno era ancora costretta dai vestiti che le aveva preso Jessamine, ma almeno la notte poteva ancora evitare di assomigliare ad una teiera gigante.
Quindi si alzò ed andò ad aprire alla porta in quella tenuta. Sulla porta, con i capelli scompigliati, i pantaloni della tenuta e una vecchia camicia, c'era Jace. Sorrideva, la guardava e basta con uno sguardo sveglio e attento.
«Dormivi?» Non c'era dispiacere per essere piombato nella sua stanza nel cuore della notte. come sempre, d'altronde. Non che lei stesse dormendo. Era a letto a guardare il soffitto, desiderosa come non mai di avere con sé l'album e una matita. Erano talmente in alto che dalla sua finestra riusciva a vedere il Tamigi scorrere placido come mercurio liquido. Lo avrebbe colorato con la cenere dell'incenso, usando le dita per sfumarlo dove l'acqua era meno profonda.
Invece, non aveva trovato nulla. Così, senza Morfeo che la prendesse con sé, era rimasta sveglia e vigile fin quando non era arrivato Jace.
«Profondamente» ironizzò lei. «Neanche tu?»
Jace scosse le spalle. «Ho provato a contare le pecore, ma sono scappate dall'ovile pensando che io fossi il lupo cattivo.»
Clary sorrise, facendosi da parte così che Jace potesse entrare nella stanza. Chiudendo la porta, l'unica luce proveniva dalla luna crescente fuori dalla finestra. «In effetti sei credibile come lupo cattivo»
Jace si voltò verso di lei. «Signorina Morgenstern» disse in tono d'ammonimento, mentre si avvicinava. «Invitare un uomo nella sua camera da letto a quest'ora. E' davvero deplorevole per una giovane donna.»
Clary arricciò il naso, a qualche millimetro da quello del ragazzo. «Non la facevo un puritano, signor Lightwood.»
Jace le sorrise. e, stranamente, non ebbe nulla da ridire. La baciò con tenerezza, accarezzando la bocca con la sua e giocando con la sua lingua. Quando entrambi, infine, ebbero bisogno d'aria fece per scostarla, ma Clary lo trattenne, stringendo i pugni nelle falde della sua camicia. «No» disse, senza alzare lo sguardo. «Non andare via.»
Clary non potè vedere il suo viso, ma capì che stava sorridendo dalla dolcezza con cui le sue mani la strinsero.
La ragazza alzò lo sguardo. «Resti con me?» Non voleva sembrare così fragile in quel momento, implorando Jace di rimanerle accanto, di non lasciarla sola. Forse si stava trasformando in una donnicciola Vittoriana come Jessamine. Anche se Clary dubitava che Jessamine facesse entrare uomini in pigiama in camera sua nel cuore della notte.
Jace si scostò da lei e la condusse verso il letto dove la fece sdraiare.
«Avrai la mia notte insonne sulla coscienza, se non rimani con me»
Lo sguardo nei suoi occhi era acceso e vivido.«Sarò sempre con te.»
Dopo aver accostato la tenda si stese accanto a lei, senza nemmeno provare ad avvicinarsi di qualche centimetro. Come quella notte, stesi in quella stessa maniera, a guardarsi nello stesso modo, a casa di Amatis. Le sembrava distante secoli. ed, infatti era così. l'idea le fece lacrimare gli occhi, ma le fece anche ricordare ciò che l'aveva scossa quel pomeriggio.
«Jace.» Lui, che aveva già chiuso gli occhi, li riaprì assonnato. «Ho capito come tornare a casa»
Forse pensava di stare sognando, perché si girò su un fianco e chiuse di nuovo gli occhi. «Come?» chiese con voce impastata.
Clary prese fiato. Era un'idea stupida da morire. Ma, almeno, anche se difficile, impossibile e probabilmente anche illegale, era quantomeno una speranza. Un piccolo barlume di luce in una grotta buia.
Quindi lo disse.
«Raziel»

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Capitolo 7
*** VI; Lies in fear ***


Best safety lies in fear.
W. Shakespeare.

VI
Lies in fear


Jace stette ad ascoltarla in silenzio.
Clary cominciò dall'inizio. «Pensavo a cosa sia impossibile» gli disse. «e a come sia possibile essere finiti nel XIX secolo. Poi ho pensato che tutto è possibile, e tu qui, vivo accanto a me, ne sei la prova vivente.»
Il ragazzo, sdraiato sul letto, guardava il soffitto con una mano tra i capelli. «Perché io ero morto, e ora sono vivo.»
Clary annuì.«E quindi ho pensato:Se Raziel può alterare le leggi della vita e della morte, allora può alterare anche quelle del tempo»
«Questo comporterebbe rubare Mellartach e la coppa mortale» Jace sorrise. Forse all'idea di commettere qualcosa di così illegale e folle. «Poi arrivare ad Idris, gettarle nel lago Lyn, recitando parole di cui non conosciamo nemmeno l'inizio» Già nella maniera in cui le aveva elencate, quelle gli parvero molto più che imprese. Per arrivare ad Idris, forse sarebbe stato facile con uno stilo. Ma rubare la coppa sotto gli occhi del Conclave? E Mellartach, che il console Wayland teneva gelosamente con sé nella Londra Vittoriana?
Non le sembrava neanche corretto, ad essere sinceri. Nonostante avessero infranto le leggi dell'alleanza erano stati corretti: Avevano dato loro la possibilità di difendersi. Con Simon, centoventi anni dopo non l'avevano fatto. Né con Jace. Li avevano sbattuti in cella senza tanti preamboli e da soli avevano assoldato la loro colpevolezza.
Jace si alzò a sedere, guardandola negli occhi. «Mi sembra piuttosto complicato, Clarissa»
«Almeno io ho pensato a qualcosa!» sbottò Clary, incrociando le braccia. «Da quando siamo arrivati non fai che dire che torneremo a casa e fare battute sarcastiche litigando con il tuo antenato.»
Il ragazzo fece una smorfia. «Quello lì è un idiota.» sentenziò. «Non mi assomiglia per niente»
Clary non voleva, ma le sue labbra si tesero in un sorriso. «Siete fatti dallo stesso, arrogante stampino. Stanne certo»
Jace assunse quel sorriso sghembo che le faceva venir voglia di baciarlo e prenderlo a schiaffi contemporaneamente. «Come se non ti piacesse, questo arrogante stampino»
La ragazza lo colpì con un cuscino. «Concentrati Jace.»
Jace fermò il cuscino prima che potesse abbattersi un'altra volta sulla sua testa. «No.»
«No cosa?»
«Non possiamo evocare l'angelo.» disse. Si alzò in piedi e camminò avanti e indietro per almeno cinque minuti prima di continuare.«Se lo facessimo, Mellartach e la coppa mortale non arriverebbero a Valentine»
Clary saltò. «E quindi non ci sarebbe la rivolta!» esclamò. «Salveremmo delle vite»
Jace non era dello stesso avviso. «Pensa agli Shadowhunters che hanno trovato giustizia grazie a Mellartach» le disse. «e ai mondani che sono diventati Nephilim grazie alla coppa mortale»
«Pensa invece» cominciò lei. «a quante persone hanno perso la vita nella rivolta e, successivamente nella battaglia di Idris.» gli si avvicinò, posandogli una mano sul braccio «Salveremmo Max, Jace»
Lui le sorrise. Un sorriso traboccante tristezza e malinconia. «E chi ti assicura che Max nascerà?» le chiese. «Che noi nasceremo?» Le passò una mano sulla guancia, con delicatezza. «Non possiamo alterare il futuro, Clary. E non possiamo rimediare agli sbagli di qualcun altro.»
Clary sbuffò. «Quand'è che sei diventato tu quello saggio e responsabile?»
Jace le sorrise. «Hai dimenticato affascinante e irresistibile»
«No. Ho dimenticato idiota» Gli poggiò la testa sul petto, improvvisamente a corto di energia. «La nostra unica ipotesi sfumata.»
«Vieni» la condusse di nuovo verso il letto, facendola sdraiare. Le baciò con dolcezza le labbra, prima di sussurrarle: «Domani mattina»
Clary chiuse gli occhi e si sdraiò su un fianco, di fronte a Jace. «Ti amo» le sussurrò, prima che si addormentasse.

I giorni passarono lenti e uguali tra loro.
La mattina la passavano sui libri, così come il pomeriggio, intervallato dal pranzo maestoso che Aghata preparava. Dopo ore in biblioteca, aiutati sempre da Tessa e, talvolta, da Jem, si ritrovavano per la cena.
Passarono così dieci giorni. Dodici giorni da quando si erano svegliati nella Città di Ossa, Quattordici giorni da quando erano arrivati nel XIX secolo. La sera del terzo giorno, Charlotte aveva detto loro che lo stregone suo informatore era fuori città, e che non sarebbe tornato prima di una settimana. Quindi, gli Shadowhunters non poterono fare altro che aspettare, e cercare inutilmente trai migliaia di libri della biblioteca.
Il pomeriggio del sesto giorno, Jem entrò nella biblioteca e si voltò verso Clary, chiedendole di seguirlo. Clary annuì, in silenzio. Non ebbe neanche bisogno di voltarsi per sapere che Jace li stava seguendo.
Jem li condusse per i corridoi dell'istituto. «E' un piacere avervi qui, sapete?» disse ad un certo punto, mentre svoltavano un corridoio, lasciando cadere il discorso sulle armi rinascimentali cinesi che stava avendo con Jace. Clary notò quanto quell'istituto fosse più grande di quello a New York. E anche con più corridoi. «Credo che la nostra Jessamine e la vostra Isabelle si siano trovate»
Jem aveva ragione. Jessamine e Isabelle sarebbero potute diventare parabatai se fossero nate nello stesso secolo. Isabelle aveva abbandonato le ricerche già dal secondo giorno, quando ormai tutti avevano capito che non sarebbe stata di nessuna utilità, così passava il tempo con Jessamine, o almeno così diceva loro, per imparare come comportarsi nel XIX secolo e la sera, dopo cena, gli insegnava come apparire trasparenti in quell'epoca.
«Il che è un miracolo.» borbottò Jace. «Così almeno si rompono a vicenda, al posto di rompere a noi»
Jem ridacchiò e si fermò davanti ad una porta di legno scuro, leggermente più alta delle altre del piano. «Siamo arrivati» disse.
Il ragazzo aprì la porta e li fece entrare.
Clary rimase senza parole. La sala, grande più o meno quanto la cucina dell'istituto di New York, era il paradiso degli artisti. Addossati alla parete alla sua destra, c'erano diversi cavalletti vuoti con accanto le rispettive tavolozze pulite con assortimento di pennelli di ogni dimensione e strumenti per la scultura. Nella parete alla sua sinistra, vi erano posti grandissimi armadi di metallo. Uno di essi era aperto e conteneva litri di colore a tempera e diverse tavolozze contenenti colori ad acqua. Una scatola più piccola, nel ripiano inferiore conteneva diversi carboncini e, arrotolati lì a fianco, una pila di pergamene bianche era accatastata contro la parete.
Le vennero le lacrime agli occhi per quanto era bello. «Te l' avevo promesso, mi sembra» le disse Jem, con un sorriso.
Al diavolo l'etichetta pensò Clary mentre si gettava tra le braccia di Jem e lo abbracciava. Lo ringraziò di cuore tra le lacrime di gioia e solo dopo lo sentì emettere un gemito di dolore. Clary si staccò immediatamente. «Stai bene?» gli chiese, asciugandosi le lacrime con il polsino del vestito.
Jem gli sorrise, ma Clary vide un'ombra di dolore passare per quegli occhi grigi. «Si, tranquilla» le disse, per niente convincente. «Ti piace, allora?» chiese, voltandosi verso la stanza.
Clary fece un sorriso. «E' meravigliosa» si voltò verso Jem. «Grazie, davvero»
«E' stato un piacere» disse con un sorriso. «Io torno giù, voi godetevi la sala» e li lasciò. Clary entrò nella stanza. Era anche più bella di come l'aveva immaginata, dopo che Will e Jem gliene avevano parlato. Immaginava sé stessa lì, per ore a non fare altro che dipingere, disegnare, colorare. Dare libero sfogo a ciò che lei realmente era: Un'artista. D'altronde, ce l'aveva nel sangue.
Jace entrò silenziosamente, dietro di lei. «Beh, non è male.» disse, esaminando la sala. «Se hai bisogno di un modello per il nudo, fammelo sapere.»
«Se continui a offrirti di spogliarti per fare da modello» gli disse senza voltarsi. «Un giorno sarò costretta ad accettare»
Seppe che stava sogghignando anche senza bisogno di voltarsi. «I tuoi quadri andrebbero a ruba»
Clary fece qualche passo in avanti e sfiorò una tela nuda con la mano. «Passami un carboncino» gli disse, senza sapere bene neanche cosa disegnare.
Jace, silenzioso, glielo portò. Clary strinse la presa sulla grafite, poggiandola sulla tela bianca.
Come le era già successo più di una volta prima di allora, la sua mano si mosse.
Non che non ci avesse pensato, ad usare una runa per tornare nel XXI secolo. Ma quando aveva pensato "Portale temporale", la sua mente era rimasta bianca e pulita, come quando ad Idris aveva cercato di visualizzare 'uccidi Valentine'.
Adesso che stringeva in mano il carboncino e disegnava vorticose linee scure sulla tela, pensò che il suo sangue angelico avesse finalmente deciso di risponderle e fornirle una maniera per tornare a casa.
Già quando alzò la mano dalla tela, si rese conto che non era così. Guardò il suo disegno. Era una runa fatta di vorticose linee che terminavano con un nodo che le ricordava quello usato per le impiccagioni. Era una runa che parlava di ricerca e fatica. E Clary capì subito cosa facesse.
Jace le si avvicinò. «Non vorrei sbagliarmi, ma direi che è una runa.»
Clary alzò gli occhi al cielo. «Grazie, Capitan Ovvio»
Jace ignorò il suo commento. «E' ovvio che non ci riporterà nell'epoca dell'acqua calda corrente, se no staresti facendo i salti di gioia. Cos'è che fa?»
Clary posò il carboncino sul cavalletto e si voltò verso Jace, sorridendo. «Trova l'energia demoniaca.»

Si precipitarono immediatamente in biblioteca per chiamare Alec. Quando arrivarono, si resero conto che anche Jem e Tessa erano lì, pronti ad ascoltare qualunque cosa avessero da dire.
Clary guardò Jace, e sentì quello che il ragazzo le aveva detto appena qualche giorno prima.
Non possiamo alterare il futuro.
E, silenziosamente, Clary capì di doversi tenere il suo talento con le rune per sé. Jace sciolse la mano dalla stretta e si avvicinò al fratello. «Alec alza il sedere e vieni con me.» disse, senza troppi preamboli. «Ho bisogno d'aria fresca»
«Va' con la tua ragazza» borbottò Alec con il naso su un libro dalla copertina scura quanto i suoi capelli. «Fa freddo là fuori»
Non si prese neanche il disturbo di provare a convincerlo. Lo afferrò di peso per farlo alzare e, dopo diversi minuti di lamentele, Jace la spuntò. Clary andò a continuare il libro lasciato a metà da Alec, seduto accanto a Jem. Londra doveva essere piuttosto noiosa, pensò Clary alzando il pesante volume, se Jem aveva tutto questo tempo per aiutarli nelle ricerche.
Sulla porta, Jace e Alec per poco non si scontrarono con Will, che stava entrando in quel momento. Fece un breve inchino con il capo. «Signori»
Lo sguardo di Jace si assottigliò. «Buongiorno» disse, seguito da Alec. E sparirono attraverso la porta.
Will si incamminò verso di loro, appoggiandosi allo schienale della poltrona occupata da Jem. «Ho l'impressione di non piacere molto ai vostri amici.»
Clary non alzò lo sguardo dalla pagina. Tenendo un'espressione cordiale voltò pagina. «Non badare alle apparenze. In realtà ti adorano»
Jem alzò lo sguardo sull'amico. «Volevi qualcosa, Will?»
«Se siete tutti qui a giocare ai fratelli Silenti io mi annoio» borbottò il ragazzo. «Tanto vale che vi dia una mano.»
Tessa alzò lo sguardo dal suo libro. «Che spirito altruista, Will.»
Will la guardò a lungo, in silenzio. Clary l'aveva già visto quello sguardo, tante e tante volte. È lo sguardo di chi ha qualcosa da dire. Qualcosa di fondamentale. Ma mancano le parole.
Alla fine, chiese soltanto quali libri erano ancora da controllare.
Nonostante Will, cercarono ancora per venti minuti prima di fermarsi. Clary si strofinò gli occhi con le mani, improvvisamente stanca. Una sottile nausea la costrinse a chiudere gli occhi. Creare la runa l'aveva stancata molto. Era passato un bel po' di tempo dall'ultima volta che l'aveva fatto. Così tanto che aveva pensato di averlo immaginato, quel talento. Di non averlo mai avuto. Ma poi ricordava di aver dato una speranza ai Nephilim contro Valentine, con quella runa. E allora si sentiva molto meglio.
Ma creare quella runa era stato qualcosa di diverso. Era una runa di cui non avrebbe mai avuto bisogno nella sua epoca, non con i sensori. L'angelo aveva creato quella runa, ma non l'aveva inserita nel libro grigio. Aveva fatto in modo che i Nephilim ci arrivassero da soli a come trovare i demoni. Non voleva rendergli facile il lavoro.
La nausea le passò, ed aprì di nuovo gli occhi. Erano ancora tutti come li aveva lasciati. Jem seduto su una poltrona con un libro dalla copertina marrone ed i caratteri bianchi. Tessa seduta accanto a lei con un volume decisamente più piccolo, dalla copertina nera con i caratteri di bronzo e Will, seduto di fronte a Tessa e Clary, cambiando libro ogni dieci minuti. Clary non riuscì a capire se li leggesse molto in fretta o li sfogliasse e basta.
Dopo aver cambiato libro per la sesta volta, Will si avvicinò a Tessa, posandole il viso sulla spalla. Tessa sobbalzò, evidentemente non lo aveva sentito. «Signorina Gray» le disse suadente. «Siete ferma in quella pagina da diverso tempo» le fece notare. «Devo supporre che c'è qualcosa che vi distrae.»
Tessa chiuse il libro con uno scatto così veloce che dalle pagine si librò una nuvoletta di polvere. «Sto bene, grazie»
Will sorrise ironico e tornò a sedersi sulla poltrona di fronte a loro. «Cosa avete trovato fin'ora?» chiese.
Clary si sorprese di una domanda così normale. Si passò una mano sul viso, scostando i capelli rossi. «Non molto. Solo cavolate su cos'è il tempo e il suo essere inalterabile.»
«Fin qui non mi sembra molto attendibile» prese il libro che Clary stava leggendo, sfiorandole le mani. «e nient'altro?» chiese, sfogliandolo.
«Nulla» fece Jace rientrando con Alec e Izzy. Si voltò verso Tessa, quasi arrabbiato. «Tu sei una strega, giusto?» le chiese senza troppi preamboli. «Non hai mai sentito di niente del genere?»
Clary rimase confusa per qualche secondo. All'inizio, quando non erano sicuri che lei fosse una Shadowhunters, avevano fatto immense storie sul fatto che lei rimanesse all'istituto, perché non era una Nephilim, perché era una mondana. Pensava che la legge si applicasse anche ai nascosti. Si sentì vagamente risentita.
Tessa arrossì, leggermente. «Io.. non ho mai sentito di niente del genere» disse con voce tremolante.
Will si alzò in piedi, dando le spalle a Tessa e si rivolse verso Jace, come facendo da scudo alla ragazza. «Tessa era ignara del mondo invisibile fino a tre settimane fa.» sibilò. «Se avesse saputo qualcosa, stanne certo che ve ne avrebbe fatto parola»
Jace lo guardò con lo stesso sdegno. «Allora perché non ce l'ha detto? Avrebbe potuto essere utile»
«L'unica cosa che potrebbe esserti utile e una corda con cui impiccarti»
«Oh cielo!» fece Jace con falsa aria di scuse. «Non sapevo di essere capitato nel secolo degli idioti colossali! Chiedo immensamente scusa»
Clary scattò in piedi. «Jace, adesso basta» il ragazzo la guardò per qualche secondo, prima di alzare le braccia e gli occhi al cielo e di gettarsi su una poltrona. Will ridacchiò, e Clary lo fulminò con lo sguardo. La ragazza si rivolse verso Tessa. «Perché non ce l'hai detto?»
«Perché non sono capace di fare magie» disse con un filo di voce, guardando gli stivaletti di Clary. «C'è solo una cosa che so fare.»
Jace alzò un sopracciglio biondo. «mentire con leggerezza?»
Tessa e Jem si scambiarono un lungo sguardo. Era uno sguardo di implorazione. «Tessa è una mutaforma» rispose Jem, al posto suo.
Jace scattò in piedi. «Un Eidolon
Will indicò Tessa, che aveva abbassato il capo e si accarezzava le mani. «Ti sembra per caso un demone?»
Tessa guardò Will, e lui guardò lei. Clary riconobbe nello sguardo del ragazzo quello che Jace le aveva rivolto nella cantina della tenuta dei Wayland. Quello sguardo di incoraggiamento che diceva "Alzati e fai vedere a questi idioti quanto vali" Così pieni di un fuoco vivo, di fede nelle sue capacità.
Di fede in lei.
Era uno sguardo talmente intimo e speciale, che Clary si sentì all'improvviso troppo ingombrante e di troppo.
Tessa fece un debole sorriso, guardando Will e poi si volse verso di Clary, che vide un barlume di coraggio scintillare dentro i suoi occhi. «Dammi qualcosa di tuo»
Clary non disse nulla, confusa, e si sfilò la catenina con l'anello dal collo, porgendolo alla ragazza. Era l'unica cosa di suo che avesse ancora con sè. Le avevano buttato via persino i vestiti. Avrebbe dato qualunque cosa per riavere i suoi jeans e le Skechers verdi.
Tessa prese la catenina tra le mani, stringendo le mani a coppa su di essa. Chiuse gli occhi e prese un profondo respiro.
All'inizio non accadde nulla, tanto che Clary pensò che li stesse prendendo in giro. Poi, una leggera luminosità si sprigionò dalla pelle della ragazza, mentre la figura ormai più simile ad una fiammella che ad una persona, si trasformava. Le spalle, una volta leggiadre e sottili, divennero robuste e pesanti, così come il collo di cigno si alzò e si irrobustì, non reggendo più la piccola testolina e i capelli scuri di Tessa, ma un viso aristocratico e affascinante, decisamente maschile, dai tratti duri e spigolosi, la mascella pronunciata e i serici e sottili capelli biondo cenere. Gli occhi erano molto simili a quelli di Tessa, di un grigio chiaro tendente all'azzurro, ma ne cambiò la profondità e il calore. Quelli erano freddi, duri, vitrei.
Clary fece qualche passo indietro, invasa dall'orrore.
Ho capito che la ragione per cui Jocelyn mi lasciò fu di proteggere te.
Sapeva che non era reale, lo sapeva. Ma si portò una mano alla gola, sentendo all'improvviso la lama della spada mortale premerle contro il collo.
Per colpa tua lei mi odia. E per questo io odio te.
Valentine.

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Capitolo 8
*** VII; Makes me sick ***


I am glad you are no relation of mine. [...]
and if any asks me how I liked you, and how you treated me,
I will say the very thought of you makes me sick.
C. Bronte

 

VII
Makes me sick.


Tessa lasciò andare la trasformazione con una scossa alle spalle,  essendosi accorta che il leggero abito Vittoriano non era adatto ad una corporatura come quella di Valentine.
Dopo lo shock iniziale, Clary si era voltata verso gli altri ragazzi. Tutti la stavano fissando, tranne Jace che ancora guardava Tessa, con un' ombra di nostalgia negli occhi dorati.
Quando si riscosse dai suoi pensieri, scrollò le spalle con filosofia. «Direi che hai detto la verità, ma hai sbagliato soggetto.»
Tessa impallidì. «Non era mai capitato» mormorò «Non ho idea di come sia successo»
Clary le si avvicinò e riprese la catenina dalle mani che gliela porgevano. «L'anello era di mio padre» disse piatta. «Pensavo di poterlo considerare mio. Sbagliavo.» Forse era la sua immaginazione, ma l'argento dell'anello le parve più freddo quando si posò sulla sua pelle. Si diresse verso Jace e gli prese una mano. Non disse nulla: Lasciò le parole rassicuranti che non trovò alla pressione della mano nella sua e il suo sguardo.
Jace tentò un sorriso, ma la sua bocca si contrasse in una smorfia. «Sto bene» Clary voleva credergli, ma il non aver fatto una battuta sarcastica e semi-quasi offensiva le disse che Jace non stava poi così tanto bene.
Gli strinse ancora più forte la mano, sapendo che non gliela avrebbe neanche mai scalfita, mentre lui le poggiava quella libera sulla guancia. Clary vedeva una tempesta agitarsi dentro quegli occhi dorati. «Starò bene» si corresse, con voce più flebile.
Fu Sophie a ricordare loro di essere in mezzo ad una stanza piena di persone quando fece scattare la porta per chiamarli per la cena.
Clary e Jace si tennero a distanza dagli altri, anche da Alec e Izzy che tentavano di migliorare il loro umore, e da Charlotte ed Henry che a cena volevano parlare delle novità sull'Enclave, il nome con la quale loro chiamavano il Conclave. Clary rispondeva con formule di cortesia e risposte brevi. Jace si limitava ad annuire e grugnire. Non avevano molta voglia di perdersi in chiacchiere.
Alla fine si riscossero, solo quando Charlotte disse loro che il suo informatore sarebbe arrivato la sera successiva.
«Era ora» borbottò Jace, prima di tornare al suo piatto.
Solo dopo cena Jace tornò di buon umore, quando uscì di nascosto con Alec e Izzy per usare la sua runa.
Quando a cena finita si erano ritrovati nella camera da letto di Clary per parlare in privato, Jace aveva sollevato la questione. Avevano ascoltato il piano del ragazzo in silenzio, con la ovvia aggiunta di non farne parola con gli altri Shadowhunters. Clary aveva fatto notare loro che se la runa fosse stata scoperta, il sensore non sarebbe mai stato inventato, e lei non avrebbe mai potuto ficcare nella bocca del divoratore il sensore di Jace nel suo secolo. Jace aveva sorriso al ricordo dell'inventiva della ragazza, al che Clary gli aveva lanciato un cuscino.
Clary aveva fatto da palo mentre i ragazzi raccattavano delle armi dall'armeria e si calavano di nascosto dalla finestra.
Izzy e Alec erano già sotto, essendosi calati con il rampicante della finestra. Jace, dato che poteva saltare senza ammazzarsi anche da quell'altezza, stava tardando per salutarla.
«Spiegami di nuovo perché non posso venire anche io.» disse Clary, seduta imbronciata sul suo letto con ancora l'abito vittoriano.
«Perché » cominciò Jace appuntandosi le armi alla cintura. «Qualcuno di noi deve rimanere per non destare sospetti» spiegò. «e tu sei la prima che verrebbero a controllare.»
Clary sbuffò. «E perché mai?»
Jace sorrise sardonico. «Perché manderebbero William. E sappiamo tutti quanto frema dalla voglia di entrare in questa stanza di notte.»
Clary ripensò a Will: alla maniera in cui guardava Tessa, alla maniera in cui la sua sbruffoneria tipica degli Herondale si sgonfiava quando si parlava della ragazza. Non era brava a capire quando i ragazzi erano interessati a lei, ma per gli altri non era poi così difficile. E poi pensò Forse neanche Tessa e Will lo sanno. Clary c'aveva messo una vita per capire di essere innamorata di Jace. Aveva perso tanto di quel tempo. «E tu ti fideresti a lasciarmi qui, tra le braccia di un altro Herondale nel cuore della notte?»
Jace si fermò di colpo, con un piede già sul cornicione della finestra. Si voltò a guardarla. «Non attacca con me» le fece notare sorridente. «Non farò una scenata di gelosia plateale per il tuo orgoglio.»
Clary fece un sorriso innocente. «E quella in cucina quando mi hai baciato davanti a tutti cos'era?»
Jace si voltò verso la finestra. «Touché» Saltò, e Clary fece appena in tempo a vedere l'ombra dorata del suoi capelli scivolare dalla finestra aperta.

Nei suoi sogni fatti di carta e inchiostro, Tessa Gray aveva pensato spesso a quando si sarebbe innamorata la prima volta.
Aveva immaginato che i loro sguardi si sarebbero incatenati in mezzo a un'immensa folla e che sarebbero stati attratti l'una dall'altro da un filo invisibile. Il loro primo bacio sarebbe stato magico, dopo che lui l'aveva corteggiata a lungo, e lei avrebbe visto i fuochi d'artificio quando le labbra del suo principe azzurro si fossero posate sulle sue.
Nessuna delle sue fantasie aveva mai contemplato William Herondale.
Non aveva mai neanche contemplato un ragazzo bello come Will. Non aveva mai avuto un'immaginazione così fervida. Ma soprattutto, non aveva mai immaginato che fosse..beh, come Will. Scorbutico, velenoso, villano, volgare, bello come il sole.
Talvolta dolcissimo e tenero, apprensivo, sensibile. Aveva due personalità che la attraevano e la respingevano entrambe come quel filo che aveva sempre immaginato.
Tessa, a mente fredda, non avrebbe mai voluto provare un sentimento così forte per lui. Da quando lo sentiva non aveva sentito che dolore. Lui la baciava in maniera meravigliosa, e poi la respingeva. Lui provava un dolore immenso, quando credeva che fosse morta, e poi le dava della.. prostituta sul balcone. Non direttamente, certo, ma intrinseco nelle sue parole.
Non c'è futuro per un Cacciatore che si trastulli con una strega.
Mai delle parole le avevano fatto così male.
Da quando avevano raggiunto le sue orecchie aveva sentito come un buco crescerle dentro, al centro del petto. Si era andato allargando e allargando. Non avrebbe mai pensato che l'amore di cui aveva tanto letto potesse fare così male.
Anna Karerina era morta, per quell'amore che fa male e ti distrugge dall'interno. Catherine Earnshaw era morta innamorata e delusa, dando alla luce la figlia di un uomo che non amava.
E lei? Sarebbe morta anche lei innamorata e distrutta dall'interno?
Dei passi la strapparono dai suoi pensieri. Come ogni volta che stava male, Tessa si era rifugiata nel suo mondo di carta, lasciando che l'inchiostro le lavasse via i problemi dall'animo. Alzò lo sguardo dal tomo che teneva in bilico sul grembo e guardò la porta aprirsi e William Herondale entrare all'interno della biblioteca.
Indossava la tenuta da cacciatore, quella fatta di cuoio robusto per la battaglia. Gli fasciava il corpo e lo proteggeva, ma gli permetteva anche molta più agilità di quanta fosse possibile a qualsiasi mondano. I capelli erano umidi, segno che era uscito sotto la pioggia che Tessa aveva visto scendere furiosa fuori dalla finestra. Avanzò lentamente verso la ragazza, quasi fingendo che lei non fosse lì fino a quando non arrivò al tavolo di fronte a Tessa, al quale si appoggiò con noncuranza, alzando finalmente lo sguardo su di lei.
«Ciao» mormorò.
Tessa tentò di accennare un sorriso, senza successo. «Ciao»
Indicò Jane Eyre che Tessa teneva in grembo un po' come fosse un bambino. «Leggevi?»
No, disegnavo paperelle. Da quando era diventata ironica? Si limitò a mormorare un assenso, riportando lo sguardo sul volume.
Leggi. Ignoralo. E soprattutto non stare a fissarlo.
Era un compito difficile, se lui le si sedeva accanto, sfiorando le pagine di Jane Eyre a pochi millimetri dalle sue mani. Era così vicino che le sarebbe bastato girare il volto per sfiorare il viso di Will con il suo.
Scorse le parole con un dito sulla pagina. Quando alzò lo sguardo su di lei, i suoi occhi avevano l'esatta sfumatura di un cielo in tempesta. «Tess..» mormorò solamente, guardandola negli occhi. Una parte di Tessa avrebbe sempre adorato il modo in cui lui pronunciava il suo nome. Era come se lo sentisse ogni volta come fosse la prima. La T dura, la carezza della doppia S, quando passava per le sue labbra.
Tessa deglutì con forza e distolse lo sguardo su Jane Eyre, evitando di fissare quelle labbra. «Cosa volevi, Will?»
Oh, se sentiva lo sguardo di Will su di sé. Era come una carezza fatta da una nuvola. «Leggere Jane Eyre.» disse sottovoce, come se le stesse dicendo un segreto. «Ma dato che lo stai usurpando..»
Tessa chiuse il libro di scatto e glielo porse. «Divertiti» mormorò, felice e addolorata di allontanarsi dal ragazzo. Si alzò e si avviò verso la porta, lasciando che la gonna le svolazzasse intorno. Aveva sentito Clary e Isabelle, le due ragazze del futuro, lamentarsi spesso degli abiti lunghi e dei corsetti. A lei non dispiacevano affatto. Certo, il corsetto era sempre qualcosa di fastidioso, ma adorava il modo in cui le gonne le lasciavano le gambe libere, e come la stoffa sottile del busto le si stringeva in vita. Era una bella sensazione.
Specialmente, poi, se Will ci posava sopra le mani per fermarla e farla voltare. «Non andare via» le mormorò con un tono di disperazione nella voce. Jane Eyre era stato abbandonato sul tavolo, mentre Will la guardava con il fuoco vivo negli occhi. «Ti prego, non andare via.»
Quelle parole sussurrate appena le sciolsero qualcosa dentro. Tessa sentì i suoi occhi riempirsi di lacrime mentre poggiava una mano sul volto di Will, sentendo la peluria della barba rada sotto le dita. Il ragazzo chiuse gli occhi e, sospirando, piegò il viso contro la sua mano, come se non ne avesse mai abbastanza del suo tocco. «Will» mormorò, stregata da quel contatto.
Quando aprì gli occhi, l'azzurro le parve limpido come quello di una giornata estiva a New York. Tessa non riuscì più a pensare nulla di concreto quando, in un impeto quasi violento, Will la sollevò tra le sue forti braccia e la mandò quasi a sbattere contro la libreria di mogano, mentre le sue labbra si posavano sulle sue. Nel suo ultimo attimo di lucidità, Tessa pensò che aveva sempre voluto essere baciata contro una libreria. C'era qualcosa di estremamente romantico tra i libri che s'intrecciavano alla passione di un bacio.
Erano caldi, i baci di Will, e dolci come lo zucchero filato. Le sue mani volarono ai suoi capelli, sfilando a uno a uno gli spilloni di legno che aveva usato per tenerli, facendoli cadere in voluminose ciocche sulla sua schiena. Quando poi ci passò una mano, districandoli, sospirò si sollievo sulla sua bocca.
Le sue braccia non avevano nulla di delicato, e tutto avevano della passione. La stringevano e le scolpivano nuove forme sulla pelle tenera.
Si staccarono solo quando l'ossigeno venne a mancare ad entrambi. Tessa e Will presero dei grandi respiri, senza mai distogliere lo sguardo l'uno dall'altra. Will le sfiorò una guancia con un dito. «Tess» mormorò, come sconfitto.
E fu quel tono a far ricomporre quel qualcosa dentro di Tessa. Si staccò dalla presa di Will, facendo qualche passo indietro. «No» disse con voce più ferma di quanto si era aspettata.
Il ragazzo la guardava sorpreso e ferito. «No cosa?»
«No e basta» rispose lei. «Non puoi continuare a baciarmi in un momento e allontanarmi un altro.» le guancie le si tinsero d'imbarazzo quando realizzò che le piaceva essere baciata così d'impulso. Ed era ancora più umiliante del bacio in sé.
«Tess» provò a cominciare lui, ma gli mancarono le parole. Il che era tutto dire, parlando di Will Herondale. Il suo sguardo azzurro si soffermò un'ultima volta su di lei, prima che il ragazzo in pratica scappasse con poche falcate verso la porta, lasciando Tessa ancora più distrutta e infelice di prima.
Ma, passandosi la lingua sulle labbra, la ragazza quasi riuscì a sentire il dolce sapore di Will sul palato.

Mettendosi definitivamente a sedere, Clary lanciò un cuscino contro la parete.
Si lasciò cadere pesantemente sui cuscini, con una smorfia seccata sul viso. Ancora. L'avevano lasciata a casa ancora.
Clary proprio non ce la faceva a stare ferma mentre i Lightwood erano chissà dove a fare chissà cosa con chissà quale demone mentre lei era lì, a letto a cercare di dormire. La faceva sentire piccola e inerme, come se fosse ancora bambina e sua mamma usciva di nascosto da casa per andare ad uccidere i demoni nelle strade sporche di New York. Gettò anche l'altro cuscino.
Niente da fare. Non riusciva a dormire. Accese una candela e guardò verso il grande orologio a pendolo nell'angolo della stanza. Segnava le due e un quarto del mattino. I Lightwood erano via da un'ora, almeno. La ragazza si morse un labbro, in ansia. Non le piaceva stare ferma inerme
Sbuffò. Se proprio non doveva dormire, tanto valeva che lo facesse all'aria aperta. Quindi prese gli abiti più pesanti che trovò nella stanza, un vestito di lana pesante ed un cappottino che le sarebbe piaciuto anche nel XIX secolo, ed uscì dalla stanza. Si diresse nella sala dell'arte, perché ancora non aveva dimostrato di apprezzare il dono fattole da Jem, prese una matita e un paio di fogli e si diresse, sempre silenziosamente, verso l'esterno dell'istituto passando per l'immensa scala a chiocciola.
Il freddo le arrivò pungente sulla pelle. Aveva smesso di nevicare, ma un manto candido di neve semi disciolta occupava ancora il terreno freddo. Clary attraversò il giardino sul retro dell'istituto, passando per i ciliegi innevati, verso una di quelle panche di pietra grezza che aveva intravisto mentre Sophie li aveva condotti all'interno dell'istituto.
Appena fu arrivata all'ingresso del giardinetto innevato si fermò. Si voltò velocemente per tornare silenziosa all'interno, pregando di non essere vista dal ragazzo seduto sulla panca.
La sua voce la fermò dopo qualche secondo.
«No» disse Will. «Resta»

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Capitolo 9
*** VIII; Old words. ***


So all my best is dressing old words new.
W. Shakespeare.


VIII
Old words.

 
La puntualità non era mai stata il suo forte.
Non tenendo conto di tutte le volte che in ritardo arrivava a scuola, erano davvero troppe per poterle contare, basti pensare alla puntualità che aveva avuto nel litigare con sua madre e scappare di casa la sera stessa in cui Valentine aveva trovato Jocelyn. Per non parlare poi dell'assurda puntualità che aveva avuto nell'innamorarsi di Jace, nel momento più incasinato sia della sua vita che di quella del ragazzo, come se qualcosa di più grande di lei e di lui l'avesse spinta tra le sue braccia. La puntualità che aveva avuto nel baciare Jace nel corridoio dell'istituto, facendo così che Simon, inevitabilmente, li vedesse.
Insomma, Clary e il tempo proprio non andavano d’accordo.
Così, quando poi si voltò, capì subito che quella sera aveva avuto la puntualità sbagliata nel trovarsi da sola con Will.
Era seduto su una delle panche di pietra grezza con indosso la tenuta da cacciatore. La giacca scura era abbandonata lì accanto e uno strato sottile di neve vi era appoggiata sopra, segno che doveva aver ricominciato a nevicare da quando il ragazzo era arrivato. Teneva uno stilo in mano e sulla pelle bianca della spalla stava disegnando un'iratze.  Aveva un vago odore di città metropolitana: Cenere, metallo e whisky.
La ragazza si schiarì la voce, facendo qualche passo nella neve fresca.  «Non volevo disturbarti» disse. «Non riuscivo a dormire»
Will la guardava e basta. Forse per la prima volta da quando l'aveva incontrato, quasi due settimane prima, non vi era quella solita spavalderia che animava lo sguardo degli Herondale. Erano accessi, infuocati come un camino ardente. O come una fiamma ossidrica, dato il colore. «Neanche io» rispose il ragazzo. Indicò con lo sguardo i fogli e la matita che Clary aveva con sé, stretti sotto il braccio. «Volevi disegnare?»
Anche Clary osservò il materiale. Ah, già. Era venuta a disegnare. La sua soluzione a tutti i mali dell'anima. Guardandosi intorno, però, non vide nulla che la ispirasse.
A parte Will, ovviamente. Il viso del ragazzo era illuminato dalla luce tenue della luna che filtrava da dietro la cortina di nuvole che minacciavano ancora una volta neve, ed era una meraviglia. Non perché fosse diverso dal solito, no. Ma quella sera aveva un'espressione tremendamente..mortale. Gli occhi azzurri avevano quell'esatta venatura triste da cavaliere condannato a morire che Clary aveva sempre sperato di vedergli sul viso.  Clary scosse le spalle, come cercando di togliersi di dosso quel pensiero.  «Già»
«Sei alla ricerca di un soggetto?» chiese l'altro, sinceramente curioso.
Clary si avvicinò, passando sulla neve semi disciolta. «Ti offri volontario?» chiese, sedendosi sulla panchina. Era fredda contro il suo sedere e ancora leggermente umida.
Will fece un sorriso tirato. «Rendendomi così il tuo Dorian Gray?» la sbeffeggiò.  «L'artista è un creatore di cose bellissime, Clary. E io sono già bellissimo.»
La ragazza, che 'Il ritratto di Dorian Gray'  l'aveva letto, riconobbe la citazione. «Non credo di essere all'altezza di Basil Hallward» mormorò guardandosi le mani, un po' imbarazzata.
Lo sguardo che Will le lanciò era carico di divertimento. «Non è un romanzo troppo.. esplicito per una donna?»
Clary accennò un sorriso. «Io vengo dal XXI secolo, Will. Questo è niente
«Capisco» disse lui, in risposta. Lo sguardo perso chissà dove, nel buio.
«Sai» cominciò a dire lei, catturando di nuovo la sua attenzione. «Ogni tanto mi chiedo cosa succederebbe, se rimanessimo bloccati qui.» mormorò sovrappensiero. «Se non vedessi più mia madre, né il mio patrigno, né il mio migliore amico.»
«Ci sono cose peggiori che non vederli più» disse Will. Clary gli lanciò un'occhiataccia. Perché gli uomini dovevano essere così criptici?
Non glielo doveva chiedere. Non glielo avrebbe chiesto. No.
Glielo chiese.
«I tuoi genitori sono morti?»
Will arcuò un sopracciglio scuro. «Chissà perché, sono in molti a esserne convinti. No, i miei genitori sono vivi e al sicuro.»
E fu il modo in cui disse 'al sicuro', con la voce flebile, ma dura, come se pronunciarle gli procurasse dolore, a convincerla a non fargli altre domande, anche se quelle gli pungevano la gola.
Così posò la matita nell'angolo in alto a destra del foglio, disegnando sovrappensiero un iratze. «Come ti sei ferito?» gli chiese.
Sorprendentemente, non le rispose come avrebbe fatto un Herondale, con arroganza e lode alle proprie gesta semi-suicide, ma distolse lo sguardo dal suo e sussurrò: «Gli Shadowhunters si feriscono spesso, dovresti saperlo.»
Clary annuì, mentre aggiungeva inconsciamente delle linee che nell'iratze originale non c'erano. «Il che mi porta a chiedere..» continuò il ragazzo, stavolta guardando lei. «..come mai tu non hai cicatrici.»
La ragazza alzò di scatto lo sguardo e tentò di coprire le mani, anche se non aveva senso ormai. Will la guardava incuriosito. Non che lei non avesse cicatrici. Ne aveva parecchie, collezionate in quei mesi. Ma la sua pelle non era ancora una mappa di guerra, ma solo un terreno in cui era scoppiata qualche mina.
Provò a fare la finta tonta. «Io ho cicatrici.»
Questa volta Will arcuò entrambe le sopracciglia. Accidenti. Pensò Clary. È davvero bello. «Non provare a prendermi in giro, Clarissa. Non ti si addice»
Clarissa. Dovevano smettere di chiamarla così. Clary represse a stento un brivido che le risaliva la colonna vertebrale. Valentine è morto. Si ripetè. O non è ancora nato. Comunque, non può farti male.
Non che avesse paura di Valentine. Non ne aveva mai avuta. Ma, si sentiva strana nel farsi chiamare così. Clarissa. Nessuno l'aveva mai chiamata così, tranne lui. E ogni volta che sentiva il suo nome per intero, le sembrava di essere tornata sulla spiaggia del lago Lyn, muta e immobilizzata, in balia della spada mortale sorretta dalle mani di suo padre. Cacciò giù il nodo che aveva alla gola. Non era una bella sensazione.
Dato che lei non rispondeva, Will tese il braccio. Non aveva abbassato la camicia, e la pelle tesa dai muscoli sembrava ancora più bianca alla luce della luna. Clary si chiese perché non stava morendo di freddo. Incise su di essa spiccavano le rune, nere come il cielo stellato sopra le loro teste, e, più pallide e sottili, le cicatrici di Will. Erano tantissime e si andavano intrecciando sulla sua pelle in lungo e in largo, senza lasciare spazio. Questa vita di cicatrici e morte. Aveva detto Hodge. Mai come quando vide quelle cicatrici le parve più vero.
Quasi per istinto, Clary tese il suo braccio accanto a quello del ragazzo. Eccole, le sue cicatrici. Quattro in tutto: Una sul gomito, di cerchi concentrici, fatta dallo stilo di Jace. Una sul polso, il segno di un morso di demone e delle piccole scheggiature alle nocche. Davvero patetico, in confronto a Will.
Abbassò il braccio e vide, rialzando lo sguardo, che Will la stava fissando. «Te lo dirò se mi dici come ti sei ferito.» e si risedette, prendendo il disegno lasciato a metà.
Era convintissima che non avrebbe mai ammesso di essere stato picchiato. Ne sarebbe andato del suo orgoglio, e Clary lo sapeva quanto i Nephilim fossero dannatamente orgogliosi.
 E invece si sbagliava. Chissà perché, con Will succedeva spesso. Il ragazzo resse il suo sguardo a lungo e a Clary parve di vederci qualche sorta di rispetto, sepolto sotto quell'azzurro. Poi coprì la spalla ferita abbassando la maglietta pesante della tenuta con un veloce strattone. «Sono stato coinvolto in una rissa, in una taverna nei pressi di Soho. »  borbottò velocemente.  «Cercavo informazioni su un mondano coinvolto in un furto di una Pyxis.»
Clary fermò la matita. «Un mondano?»
Will liquidò la sua domanda con un gesto della mano. «Tocca a te» le disse.
La ragazza abbassò lo sguardo sul suo foglio e continuò quello che stava facendo, anche se non sapeva ancora  con esattezza cosa fosse. «Non sapevo di essere una Nephilim fino a sette mesi fa.»
Gli lasciò il tempo di assorbire la cosa. Alzando lo sguardo, dopo qualche momento,  Clary vide che Will aveva lo sguardo lontano, ben oltre il limitare dei cancelli dell'istituto di Londra. «Fammi indovinare» Prese un mucchietto di neve caduta sopra la panchina e la modellò con le mani, nervosamente. «I tuoi genitori hanno lasciato l'Enclave e non ti hanno mai detto la verità su chi eri fino a che non sono venute le autorità a chiederti di unirti a loro.»
Clary lo fissava incantata.  E' questo che ti è successo? Non le sembrava una così buona ragione per essere un così antipatico stronzo. L'avevano abbandonato, quando poi lui aveva accettato? O erano stati loro ad averlo cacciato di casa? Dio, cosa non avrebbe dato per saperne di più. «Mia madre è scappata quando era incinta nel mondo mondano. Da mio padre, che non era esattamente un angioletto» mormorò Clary, piatta. «Non funzionò, comunque. Lui la trovò.»
Anche Will la guardava. Nei suoi occhi azzurri Clary non vide nulla. Come un mare di calma piatta. «Per questo sei inorridita quando l'hai visto oggi?»
Clary si morse la lingua. No. Avrebbe voluto rispondere. Sono inorridita per Jace. Perché per quanto possa scuotermi la vista di Valentine, a lui fa sentire qualcosa di peggio: La mancanza.
«Si» rispose soltanto. Era troppa cosa da spiegare in poche parole. Qualcosa di troppo personale. Troppo doloroso.  Lasciò cadere la matita sulla panchina umida. Aveva disegnato un'altra runa, partendo dall'iratze. Ma era diversa, decisamente. Era come se avesse unito all'originale un'altra, altrettanto complessa e lineare, incastrandola a metà.  «Dammi il tuo stilo. Ho lasciato il mio in camera»
Il ragazzo glielo porse in silenzio. Clary si alzò e si posizionò davanti a Will, a pochi centimetri dal viso del ragazzo. Le guancie le andarono in fiamme. Clary amava Jace da morire, ma ciò non significava che fosse cieca. La luce che accarezzava morbida il viso di Will gli illuminava la pelle e le guancie, leggermente rosa per il freddo, e gettava le ombre delle ciglia sugli zigomi dandogli un'aria carina e quasi infantile. Alzò lo stilo davanti agli occhi di Will, e quando lui capì la sua tacita domanda, annuì, sempre silenziosamente.
Quindi Clary posò lo stilo incandescente sulla pelle fredda del braccio del ragazzo. A parte una leggera smorfia di dolore, quando lo stilò passo sulle cicatrici della sua spalla, sembrava non la vedesse nemmeno. Appena ebbe finito, fece un passo indietro.
Osservò le cicatrici fresche di quella sera, sulla mandibola e sulle nocche, insieme al livido violaceo sullo zigomo destro. Passarono dal bianco argenteo lasciato dalla runa ad un rosa pallido, come di scottatura e alla fine scomparvero, senza lasciare traccia. «Deve essere fatta quando non sono ancora guarite del tutto» disse Clary, spiegandolo più a sé stessa che a Will. «e le cicatrici spariscono»
Il ragazzo la guardò per qualche istante, sorpreso. Poi passò una mano sulla mandibola una volta lesa «Grazie» mormorò, troppo sopreso per dire qualcos'altro.
Clary strinse tra i denti il labbro inferiore. «Così, non hai più visto i tuoi genitori» disse, incapace di trattenersi. Era più forte di lei. Proprio non riusciva a tenere quella boccaccia chiusa. Glielo diceva sempre anche Jace.
Ecco che lo sguardo del ragazzo tornava sulla difensiva. La fissò con astio, fissando i suoi occhi azzurri nei suoi verdi. Era come se la stesse valutando, e Clary si sentì vagamente come un cavallo da prezzare.
E capì che Will stava combattendo contro sé stesso, per decidere se confidarsi o no con lei. E Clary non capì perché dovesse farlo. In fondo, lei era un'estranea in quel paese e in quel secolo e, soprattutto, nella vita dell'istituto di Londra.
Eppure, ci fu qualcosa che fece sciogliere il ghiaccio negli occhi del ragazzo «Da cinque anni» disse secco. «Vivono nel Galles.» aggiunse.
Clary avrebbe voluto chiedergli come mai non vivesse con loro, ma non lo fece. Sentiva Will come sfuggirgli dalle mani e non voleva si ritrasformasse nel Will che era stato fino a quel pomeriggio. Invece si sedette e riprese foglio e matita. «Non ci sono mai stata» gli disse. «Com'è lì?»
Will la guardò scettico per qualche momento, come se non potesse credere che lei gli stesse chiedendo proprio del Galles, prima di parlare. «C'è la primavera» rispose. «E qualcosa che sembra estate. I prati verdi non sono nemmeno paragonabili alle colline londinesi, ma ci sono immense foreste ancora intatte, senza qualcuno a distruggerle per costruire le ferrovie.»
Clary intanto disegnava. Pendeva dalle sue labbra e ogni parola che usciva insieme ad un leggero sbuffo di fiato congelato dalla bocca di Will si tramutava in un tratto della sua matita. Le parlò delle foreste, dei boschi incontaminati in cui cacciava insieme a suo padre. Del lago in cui, d'estate, sua madre aveva insegnato a nuotare a lui e a sua sorella, Cecily. Dell'immensa biblioteca della casa dei suoi in cui suo padre gli aveva letto tanti libri, quando lui non sapeva ancora leggere. E Clary si trovò a disegnare un piccolo Will, seduto sulle gambe di un uomo identico a lui mentre gli leggeva qualcosa, davanti a un fuoco acceso. Sorrise di rimando disegnando il sorriso che immaginava sul viso di Will. I bambini, si disse, dovrebbero sempre essere felici.
Si fermò solo quando sentì dei passi nella strada. Anche Will scattò in piedi, improvvisamente in silenzio, agguantando la giacca. Si voltò verso di lei, la guardò per qualche istante, e a lei parve di vedere gratitudine in quelle iridi azzurre. E quindi se ne andò in un battito di ciglia. Sparì dalla sua vista un secondo prima che Clary vedesse Jace, Izzy e Alec arrivare ai cancelli dell'istituto, stanchi e coperti di neve.

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Capitolo 10
*** IX; By the joy and the fear ***


He knew she was there
by the joy and fear that overwhelmed his heart.

L. Tolstoy



Capitolo IX
By the joy and the fear.

 
Isabelle Lightwood si gettò sul letto. «Un immenso buco nell'acqua.»
Jace con una pezza di cotone intanto si frizionava i capelli umidi, camminando nervosamente avanti e indietro. «Lo so che rendo molto bene bagnato, ma non ci tenevo così tanto a dare spettacolo.»
Clary, in piedi accanto alla finestra della sua stanza, faticava parecchio a non scoppiare a ridere come un'idiota. Era stato un reale buco nell'acqua. Dopo aver applicato la runa sulle vie acciottolate di Londra, la runa si era illuminata creando una sottile luce che aveva cominciato a correre verso est. Seguendola, i ragazzi erano arrivati alle sponde del Tamigi e, non essendosi accorti dell'interruzione brusca della strada, dei viaggiatori li avevano quasi investiti con una carrozza facendo finire Isabelle, che aveva tentato di scansarsi, nel fiume. I ragazzi si erano precipitati nelle acque torbide per aiutare la sorella, che da quando erano usciti dall'acqua, sporchi e con il vago odore di una discarica, non aveva smesso un attimo di inveire contro Clary e la sua runa. La quale non avevano neanche potuto rifare: Avevano perso l'unico stilo che avevano con sé nelle acque sporche del fiume.
Jace si passò una mano tra i capelli e, quando la tolse, qualcosa vi era rimasto impigliato. Sembrava un alga, ma era nera e aveva anche un pessimo odore. Il ragazzo inorridì e, con uno scossone, se la tolse dalla mano. Clary non resistette più e scoppiò a ridere come una cretina, rotolandosi sul pavimento.
Jace le puntò un dito contro. «Si, ridi!» disse. «Ora vediamo se ridi!»
Fu così veloce che Clary non lo vide neanche. Arrivò davanti a lei e la prese di peso, caricandosela sulla spalla. Clary, che continuava a ridere come un'ossessa, intanto batteva fiocamente i pugni sulle sue spalle, senza successo. «Jace» disse, con la voce rotta dalle risate. «Lasciami andare!»  Lui, ovviamente, la ignorò. La portò di peso nella stanzetta adiacente, in cui era stato posta vasca piena di acqua, quindi la gettò nella vasca senza tanti complimenti. Clary rinvenne in superficie prendendo una grande boccata d'aria. Era freddissima. Di certo, pensò, non potevano svegliare Sophie per chiederle un bagno caldo. Jace chinato in ginocchio accanto alla vasca che incombeva sopra di lei, sorridente con le maniche fradice fino ai gomiti. «Ora siamo pari.» sentenziò.
Per tutta risposta, Clary gli sputò dell'acqua sul viso. «Ora siamo pari.» L'acqua gocciolò fredda sul viso di Jace, fermandosi sulle sue ciglia dorate prima che Clary lo prendesse per il bavero della giacca e attirasse le labbra sulle sue, in un bacio ghiacciato e caldo al tempo stesso. Le labbra di Jace erano calde e morbide contro le sue. Le sue mani penetrarono l'acqua fredda per posarsi sulla sua schiena, mandandole brividi di calore su per la sua spina dorsale gelata. Le passò una mano tra i capelli, scostandoglieli indietro e fermando una mano sul suo collo, per stringerla a sé e amplificare quel contatto pieno di calore e gelo.
Nonostante il calore di quei baci, Clary ebbe presto freddo. Jace la fece uscire dalla vasca e l'avvolse con una grande coperta.  L'acqua le gocciolava ancora dai capelli rossi che, Clary ne era sicura, avrebbe dovuto sanguinare per pettinarli il giorno successivo. Vide una gocciolina d'acqua cadere dalla chioma bionda di Jace. A differenza di Clary, che sapeva di avere l'aria di un pulcino dalle piume rosse bagnato, Jace, con i capelli incollati alla tempia, la sporcizia del fiume sulla pelle e l'odore acre di acqua stagnante, era sempre il suo bellissimo Jace.
E ora la stava stringendo in quell'asciugamano improvvisato, togliendole l'acqua dai capelli, senza distogliere nemmeno per un secondo lo sguardo dal suo. Si chinò lentamente e raccolse con le labbra una goccia d'acqua sulla sua guancia. Un contatto così fioco, rispetto ai baci di prima. Ma una gradevole sensazione di calore era già nata all'altezza del suo petto, come un nuovo cuore di cioccolato fuso.
 
Dopo essersi asciugati erano tornati nella camera da letto di Clary, dove Isabelle e Alec stavano discutendo sulla sua runa localizzatore. Clary notò che, sul comodino vicino al letto, c'era un vassoio d'argento con sopra due tazze bianche di thè fumante. «Chi ha fatto il thè?» si sedette sul letto ne prese una. Il calore le passò per le mani facendole tornare la sensibilità alle dita.
«Io» rispose Izzy, prendendo un sorso dalla sua tazza che teneva in mano.
Jace, che si stava portando la sua alle labbra, si fermò a qualche millimetro dal bordo. «Non mi avvelenerà, vero?»
Izzy lo guardò accigliata. «Divertente, davvero»
Clary prese un sorso di thè. Era delizioso, alla faccia di Jace. Caldo al punto giusto, con qualche goccia di limone e zucchero.
Jace prese un biscotto al miele dal piattino che Alec teneva in bilico sulle gambe. «Come avete fatto a entrare in cucina?» chiese masticando. «Per l'angelo, questa roba è fantastica!» e prese altri tre biscotti, ficcandoseli in bocca con molta poca grazia.
Isabelle assunse un'espressione disgustata. Si volse verso Clary. «E tu hai davvero il coraggio di baciare quella bocca?»
Clary arrossì di colpo.  «Già» mormorò.
Jace  si voltò verso di loro, ingoiando i biscotti. «Disse colei che ha baciato Simon-il-vampiro»
Al nome di Simon, Clary fu presa da una morsa di preoccupazione. Chissà che stava facendo, nel suo tempo. Se si era accorto che loro erano spariti. Se si fosse chiesto come stava, o se l'avrebbe mai rivista: Così come Clary stava facendo da più di una settimana, da quando era arrivata nel XIX secolo.
Portò le ginocchia al petto e le strinse, con le piccole braccia sottili. Avrebbe così tanto voluto il suo migliore amico con sé, in quel momento. Sapere come avrebbe fatto Simon ad uscire da lì in uno dei suoi giochi di ruolo. Probabilmente con qualche drago del tempo situato nella torre più alta del castello più remoto del paese più lontano.
Poi si accorse che si era di nuovo persa tra i suoi pensieri, notando lo sguardo di Jace su di sé.  «Quindi, che facciamo adesso?» chiese, cambiando argomento.
«Domani sera ci riproviamo» sentenziò Izzy, alzandosi in piedi e stiracchiandosi come un enorme gatto dalla pelliccia nera. «Evitando di cadere nuovamente nel Tamigi.» prese il fratello per la collottola, facendolo alzare in piedi. «Muovi il sedere, Alexander.» disse, ignorando i lamenti del fratello. «Dobbiamo riportare le tazze in cucina prima che Agatha si accorga che le ho rubato le chiavi.»
«Povera donna.» mormorò Jace. «Speriamo non debba mai assaggiare come cucini tu.»
Clary scoppiò a ridere, mentre Isabelle fulminava Jace con lo sguardo e Alec usciva dalla stanza ridendo. Jace si voltò verso di lei. I capelli ancora umidi gli si arricciavano sulla nuca, dopo la doccia fredda. Aveva le guancie arrossate e gli occhi lucidi. «Dov'eravamo rimasti?» chiese, avvicinandosi. «Ah, ora ricordo» le labbra di Jace erano a qualche centimetro dalle sue.
Clary gli sorrise con dolcezza. «Sciacquati il viso» gli sussurrò, picchiettando sulle sue labbra. «Hai un po' di briciole qui.»
 
Jace lasciò la sua camera all'alba. Alle prime luci del mattino, Clary si era lasciata andare ad un dolce risveglio, come tutte le notti in cui Jace dormiva al suo fianco. Ma, rendendosi conto che Jace era ancora al suo fianco l'isteria prese il sopravvento. Strillò, e Jace, svegliandosi di soprassalto, scattò all'inpiedi ed, essendo ancora mezzo addormentato, inciampò sui suoi stessi passi.  Quando finalmente si rese conto di non potersi fare trovare nella stanza della ragazza, si dileguò ancora nella tenuta che aveva la sera prima, quando era tornato e con gli stivali incrostati di fango e sporcizia. Clary trattenne a stento le risate e si lasciò cadere sul letto, sentendo di meritare qualche altra ora di sonno.
Jessamine, chiaramente, non era dello stesso avviso quando mandò Sophie a svegliarla alle otto del mattino. Clary mugugnò, con solo qualche ora di sonno sulle spalle, e si sciacquò il viso con l'acqua fredda, senza un gran risultato. In quel momento avrebbe dato un rene per un caffè.
Arrivando in sala da pranzo, si rese conto che neanche i Lightwood erano troppo attivi quella mattina. Izzy era seduta in silenzio, con le labbra arricciate in una smorfia e le braccia incrociate. Un thè fumava nella tazza di fronte a lei senza che la ragazza lo degnasse di uno sguardo. Jace non era ancora arrivato, e Alec aveva i capelli sparati da tutte le parti e con gli occhi socchiusi girava il cucchiaino nel thè come per riflesso catatonico. Non pareva nemmeno troppo vivo.  Jessamine abbassò la tazza di porcellana nella quale il suo thè fumava bollente e gettò uno sguardo pieno di dolcezza ad Alec. «Alec stai bene?»
Alec mugugnò un sì di risposta.
«Alec è solo un po' stanco.» disse Isabelle, riscuotendosi un po' dal suo torpore. «Questa situazione è stressante»
Jessamine guardo Alec con un aria premurosa da infermierina «Basta, oggi niente ricerche» sentenziò seria. «Oggi andremo al parco»
Alec, mentre continuava a girare convulsamente il cucchiaino nel thè, si girò verso Jessamine. «Okey» mugugnò. «Sono troppo stanco pure per controbattere.»
Tessa si unì a loro, insieme a Jem e a Jace, quando si degnò di arrivare in sala da pranzo. Hyde Park splendeva alla luce di un tenue sole quel pomeriggio.  Chissà perché, si unì a loro anche Will, quando lo incontrarono all'ingresso dell'istituto.
Clary stentava a capire il perché: Sembrava che detestasse la maggior parte di loro.  Stesero una grande coperta ricamata sulle sponde di un piccolo laghetto dove le rane saltavano e gracidavano con allegria.
«Che meraviglioso sole!» esclamò Jessamine. «rarissimo in questo periodo.»
Clary alzò lo sguardo. Non era proprio sole. Era piuttosto una fiammella fioca quasi oscurata dalla cortina delle nuvole, o poco ci mancava.
Jem si sedette stendendo le gambe. «E' il sole migliore che si possa ottenere a Londra» disse.
Isabelle si stese sulla coperta e scostò la treccia nera da sotto la testa. «Non mi prenderò mai una tintarella decente così.»
«Una che cosa
«Niente» sospirò Izzy.
Clary, con il carboncino in mano, intanto si dedicava a Jessamine. Si rese conto che era come disegnare una bambolina di porcellana nella stessa  identica posizione: Le gambe piegate elegantemente sotto  il corpo con le gonne che si aprivano a campana sopra  di esse,  le mani intrecciate sul ventre e un sorriso mesto sulle labbra mentre parlava con Isabelle. Passò il carboncino con leggerezza per rappresentare i riccioli delicati della ragazza.
Jace poggiò il mento sulla sua spalla, guardando il suo disegno, accarezzandole la spalla con movimenti circolari e delicati. «Se glielo fai vedere si monterà la testa» sussurrò con delicatezza nel suo orecchio. Clary alzò lo sguardo sulla ragazza. Jessamine sembrava piuttosto occupata con Alec. Di certo, pensò trattenendo una risata, non era lei che le interessava in quel  momento.
Anche Jem le si avvicinò. «Posso?» chiese, indicando i fogli accatastati in disordine sulle sue gambe. Clary sorrise e, nonostante fosse sempre restia a mostrare i suoi disegni considerandoli qualcosa di troppo personale, li passò a Jem perché, in fondo, era merito suo se poteva farli. «Certo»
Jem sfiorò i fogli con estrema delicatezza, sfogliandoli uno ad uno. «Sono davvero bellissimi, Clary» commentò il ragazzo. Anche Will era rivolto verso i suoi disegni da sopra la spalla dell'amico. Arrivato ai disegni della sera prima, quelli che la ragazza aveva fatto guidata dalla voce di Will, Jem alzò lo sguardo su di lei. «Il Galles?»
Cavolo. Non era mai stata brava ad inventare balle al volo. «Ho trovato delle immagini in un libro, nella biblioteca» disse, evitando cautamente lo sguardo di Will che sentiva bruciare sulla pelle del viso. Scrollò le spalle, liquidando la questione. «Mi piacevano le foreste, tutto qui»
Jem la guardò per qualche altro secondo prima di sorridere serafico e cambiare disegno. Will stava ancora guardando lei, Jace guardava Will. Clary si lasciò cadere sull'erba. «Avete finito?» chiese seccata.
Jace sorrise e si lasciò cadere al suo fianco. Clary spostò le braccia e vide Alec soffocato dalle chiacchiere di Jessamine che guardava loro con un'aria di disperazione. Clary si domandò quanto mancasse ancora prima che Alec scoppiasse.
Jem si soffermò su un disegno. Era uno dei primi che aveva fatto, quella mattina. Raffigurava lui, Tessa e Will, in uno schizzo frettoloso, neanche finito. Mancavano buona parte delle gambe dei ragazzi e il vestito e i tratti del viso di Tessa erano solo abbozzati. Il ragazzo passò un dito sui capelli di Tessa con leggerezza, prima di continuare a scorrere. «Sei davvero brava» disse Will, quasi sovrappensiero. «A tratti davvero notevole»
«Oh, non sono d'accordo» disse Jem cambiando foglio. «Ha un talento straordinario con la carta»
Clary arrossì. «Grazie» balbettò riprendendosi i disegni prima che arrivassero al ritratto di Jace spaparanzato sul suo letto, quella mattina.
Tessa, che fino a quel momento era stata silenziosa seduta in disparte, con un grande volume poggiato sulle gambe, alzò il capo, voltando il capo verso il cielo. «E' il tramonto» disse.
Anche Clary alzò lo sguardo. Il cielo si era tinto di arancione, segno che si era fatto tardi e che dovevano tornare all'istituto per incontrare l'informatore di Charlotte. Le dispiacque parecchio quando lasciarono il parco alle spalle.
Hyde Park era di gran lunga differente dal tanto amato Central Park, a casa. Ma la memoria le aveva richiamato alla mente quei pomeriggi passati con Jace ad allenarsi al parco che sfociavano quasi sempre in pick-nic con il take-away di Taki. Aveva album interi di disegni riempiti da quelle immagini. Ricordi dolcissimi nella sua memoria di pace e tranquillità.
Era già buio quando il cocchiere fermò la carrozza davanti all'istituto. Charlotte era lì, in piedi e attenta. Un lume acceso nella mano e un'espressione tremendamente seria sul viso giovane
Will e Jem erano già scesi dalla carrozza, posizionandosi di fronte a lei. «Sono qui?» chiese Jem
Charlotte annuì, in silenzio. A Clary non piacque quel silenzio. Non presagiva nulla di buono.
Si avviarono per i meandri dell'istituto. In una delle scalinate immense che portavano in basso, Jace si voltò verso Jem e Will. Avevano perso Isabelle e Jessamine all'ingresso, ormai già dell'idea della loro inutilità. «Non avete niente di meglio da fare?» chiese, seccato.
«Non proprio» disse Jem.
«Londra è abbastanza noiosa in questa stagione.» Aggiunse Will.
Jace guardò Jem. «Ci sono delle cose che vorrei tenere segrete» disse, tentando di rimanere cordiale.
Jem resse il suo sguardo, accennando un sorriso. «Charlotte ha garantito sulla nostra riservatezza. Di certo non vorremmo farle rimangiare la parola data.»
I due ragazzi si osservarono per un lungo momento. Poi, Jace scrollò le spalle. «Va bene» disse. «Ma se tu fai casini» e puntò un lungo dito sottile verso Will. «E' la volta buona che ti prendo a calci.»
Will sogghignò. «E se fossi tu, a combinare guai?»
Anche Jace sorrise.  Le ricordò la smorfia che può fare un bambino con una confezione di bombette. «Si vede che non mi conosci. Io non combino guai. Faccio le cose poco bene, al massimo»
Clary si voltò di scatto, fermando la coda in mezzo al corridoio. «Adesso basta»  Il sangue le ribolliva nelle orecchie per la rabbia che provava. Adesso era arrivata al limite. «Tu» e si voltò verso Will. «Sei così irritante che mi viene voglia di strapparti la lingua. Magari potrei donarla alla scienza per scoprire nuovi tipi di veleno micidiale.» Will aprì di scatto gli occhi, apparentemente troppo sorpreso per dire qualcosa. Jace scoppiò a ridere e Clary si voltò inviperita verso di lui. «E tu sei così immaturo e insicuro che mi ricordi un bambino di cinque anni. E mi tratti come una palla con cui vuole giocare un altro bambino.  Io ti amo, ricordi? Se la smettessi di fare l'idiota ogni tanto te ne accorgeresti.» e detto questo non aspettò una risposta e, voltando le spalle a quegli idioti, se ne andò al fianco di Tessa, che si stava sforzando per mantenere un'espressione seria. «Li hai lasciati senza fiato»
«Magari un po' d'aria sarà uscita dalla loro testa.»
Tessa si voltò verso i ragazzi rimasti indietro. «Sono ancora lì fermi che ti fissano»
«Amen» sospirò Clary «Sono stufa di quegli idioti.» Le mancava così tanto Simon. Anche lui aveva avuto le sue scenate di gelosia, al tempo in cui credeva di essere innamorato di lei. Ma Simon la faceva sentire importante, perché, anche se sembrava brutto dirlo così, Simon era troppo checca per fare l'uomo strafatto di testosterone.  Tra Simon e Clary, era lei che portava i pantaloni. Beh, soprattutto perché Simon indossava prevalentemente i Jeans.
Arrivarono ad un'immensa porta di metallo a due battenti. Charlotte infilò una chiave angelica nella serratura, che si aprì con un sonoro Click. Prima si spalancare la porta, l'istitutrice si voltò verso di loro. «Will, Jem confido nella vostra capacità di chiudere la bocca e l'essere affascinanti.» si rivolse a Jace ed Alec. «Dovrete essere educati e per nulla scontrosi. Ai nostri ospiti non piace essere contraddetti. E, in caso contrario immagino che Will frema dalla voglia di mostrarvi l'uscita.» e poi sorrise con dolcezza a Clary, come se non avesse bisogno di raccomandare anche lei. «Sta tranquilla» le disse, guardando le mani che Clary si stava tormentando. «Anche se di solito mordono, non lo faranno» La porta si aprì su un grande spazio che le fece mancare l'aria nei polmoni. Sembrava un'antichissima camera blindata di pietra grezza, con degli enormi pilastri di pietra a sostenere il pesante soffitto adornato di candelabri scintillanti. Qualcuno doveva averla addobbata per farla sembrare più confortevole. Le pareti erano cosparse da arazzi che richiamavano le forme delle rune, alti almeno il doppio di Clary. Sulla parete di faccia all'entrata era posizionato un'enorme specchio dalla cornice dorata nel cui centro vi era una fontana alta più o meno un metro e mezzo, di base circolare sul cui centro era posizionata una statua di Raziel, dai cui occhi sgorgavano le lacrime che davano l'acqua alla fontana. Sicuramente voleva essere accogliente, ma senza né porte, né finestre, né qualsiasi altra cosa potesse portare aria all'interno della stanza Clary si sentiva più in trappola che accolta.
Non che le persone al suo interno avessero bisogno d'aria, comunque. Erano in due: su una delle sedie di velluto nero posizionate in un angolo della stanza c'era una donna. Alta anche da seduta, bellissima e bionda, con i riccioli composti alla perfezione sulla nuca. Clary cominciò a chiedersi se le donne nel XIX secolo londinese fossero tutte così. Indossava un elegantissimo vestito nero e rosso tutto frange e merletti e un cappello dall'enorme visiera su cui erano legati, con un nastro rosa, diverse rose rosse. Il suo viso era uno splendore: le labbra piene, la pelle candida e perfetta con le gote leggermente rosse e i lucenti occhi verde mare.
Ma nessuno dei ragazzi del ventunesimo secolo guardava la donna, ma il suo compagno. Clary ci aveva messo qualche secondo a focalizzare perché quel viso le fosse tanto familiare. I capelli neri erano completamente privi di glitter, lisci e tirati indietro in un codino. Il vestito sempre e comunque eccentrico, di un viola scuro con redingote nera e tanto di monocolo, dietro i quali i suoi occhi verdi da gatto brillavano di divertimento. Clary e Jace  si voltarono verso Alec. Il ragazzo aveva la bocca spalancata in un'ironica caricatura dei cartoni animati, così come gli occhi azzurri. Non era come se avesse visto un fantasma, ma come se stesse osservando uno dei suoi peggiori incubi diventare realtà. Era sbiancato completamente e dovette aprire la bocca più volte, prima che potesse uscirne un suono coerente.
«Magnus»

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Capitolo 11
*** X; What is hell? ***


Fathers and teachers, I ponder, "What is hell?"
I maintain that it is the suffering of being unable to love.
F. Dostoevsky

X
What is hell?


Magnus Bane piegò gentilmente la testa di lato, con curiosità. «Vi conosco, per caso?»
Alec boccheggiò come un disperato bisognoso d'aria. «Tu.. Io..» non sembrava riuscire a dire nulla di concreto «..Noi
Jace alzò gli occhi al cielo e gli diede una gomitata sulle costole, talmente forte che Clary sentì il rumore del colpo del gomito sul petto di Alec. «Contegno, Lightwood.» sibilò, poi.  Quindi, si avvicinò alla donna seduta, che insieme a Magnus aveva osservato divertita la scena. Doveva essere un bello spettacolo, per loro. Gli umani.  «Scusate mio fratello» disse Jace con tono caramelloso. «E' ancora sotto shock per tutti questi eventi»
La donna sorrise, scoprendo una fila perfetta di denti bianchi e affilati. «Non lo metto in dubbio» la sua voce aveva un'adorabile flessione francese. Clary si fermò ad osservarla meglio. Nel suo secolo, aveva sempre dato per scontato che a Magnus piacessero gli uomini. Per tutti quei glitter, insomma. Non l'avrebbe mai immaginato al fianco di una donna come quella. Era davvero bellissima, di quelle bellezze che sarebbero state perfette sotto il pennello di un'artista. Stranamente, però, non le venne la voglia di disegnarla. Il che era parecchio strano. Immaginò che, se l'avesse fatto, poi la carta avrebbe preso fuoco. 
Charlotte si sistemò su una delle poltroncine di velluto nero. Clary notò distrattamente che le donne nel XIX secolo non accavallassero mai le gambe. «Lady Belcourt, questi sono Jace e Alec Lightwood e Clarissa Morgenstern.» Clary s'inchinò e Jace, facendo altrettanto, prese Alec per un braccio per costringerlo a chinarsi. «Ragazzi, lasciate che vi presenti Lady Camille Belcourt e il suo compagno, Magnus Bane.»
Alec non parlava ancora. Continuava ad alternare lo sguardo da Camille a Magnus con gli occhi sbarrati e la bocca socchiusa. Almeno, pensò Clary, non balbetta più.
Magnus fece qualche passo in avanti, appoggiando il viso sorridente ad una mano. «Charlotte, non mi avevi detto che erano così affascinati. Avrei portato una macchina fotografica per immortalarli.»
Clary tirò un sospiro di sollievo dentro di sé. Era un sollievo sapere che dentro quell'uomo in gorgiera viola scuro c'era il Magnus che aveva conosciuto lei. E che, quindi, li avrebbe aiutati senza dubbio.
«Insieme a William e James.» Lady Belcourt guardava Jem e Will come si potrebbe guardare un favoloso dipinto ad olio appeso alla parete.  «Curiosi come sempre, a quanto vedo.»
Will sorrise arrogante e fece un profondo e falsissimo inchino senza avvicinarsi di un solo passo. «E' sempre un piacere rivedervi, Camille.»
Magnus allungò una mano ed estrasse dalla tasca del panciotto un vistosissimo orologio a cipolla. Sembrava fatto d'oro e, incise sul retro, c'era un delicato motivo di rose rampicanti e le sue iniziali. M.B.  Premendo un pulsante lo fece scattare. «Charlotte, cara, credo sia meglio iniziare.» disse. «Per quanto particolarmente io ti adori, non sei la mia unica alleata, per così dire.»
Le guance di Charlotte si colorarono di un leggero rossore, ma lei non commentò in alcun modo. «Prego, sedetevi.» disse, invece, rivolta ad Alec, Jace e Clary che erano ancora in piedi, indicando le sedie di velluto nero. «Né Camille né Magnus sanno il motivo della loro convocazione, se non che ci serve un consulto su un incantesimo sconosciuto.» disse, poi. «Credo che voi possiate spiegare loro le dinamiche dell'accaduto meglio di me.»
Clary fece un sorriso alla direttrice. «Grazie»
Jace, invece, arcuò un sopracciglio in direzione di Magnus. «Credi davvero di poterci aiutare?»
Anche Magnus arcuò un sopracciglio, e Clary si sorprese nel constatare che non vi era attaccato nessun piercing scintillante. «Ne dubiti per caso, cacciatore?»
«E' un no?»
Magnus fece un sorriso arrogante. «Ti sorprenderebbe sapere quante cose rientrano nelle mie conoscenze. Diciamo soltanto che Londra non basterebbe a contenerle.»
Il ragazzo si sistemò meglio sulla sedia. «Come il tuo ego» disse. Magnus fece un sorriso, ma non disse nulla, piegando leggermente la testa in direzione di Jace.
«Quello che ti sto per dire» cominciò poi il cacciatore. «Non solo non deve uscire da questa stanza, ma neanche da questo secolo»
Entrambi furono sorpresi dalla seconda parte della richiesta, ma nessuno fece commenti e giurarono di mantenere il segreto.
Così, Jace si mise dritto sulla sedia e cominciò a raccontare ogni cosa da principio.
Dei picchi di energia demoniaca, della casa nell'Upper East Side, degli corpi degli stregoni caduti in terra senz'ordine preciso e, scandendo con minuzia i particolari, della statua nera che fungeva da vettore che li aveva portati centoventi anni nel passato.
Quando ebbe finito di parlare, si passò la lingua sulle labbra e si passò una mano tra i capelli, gettando la chioma bionda all'indietro. «Allora, stregone, potresti illuminarci su quanto è successo?»
Magnus, che aveva seguito tutto il discorso di Jace pendendo dalle sue carnose e belle labbra, aveva le pupille dilatate dall'attenzione. Si era chinato come inseguendo le parole che uscivano dalle labbra di Jace. Quindi, sciolse le mani che aveva continuato a unire e separare per tutta la durata del discorso di Jace e si alzò in piedi, camminando verso la fontana di Raziel. Accostò le mani a coppa sotto il viso dell'angelo e raccolse un po'  d'acqua cristallina, prima di gettarsela tutta d'un fiato sul viso. Diverse gocce cadevano dal viso affilato dello stregone, quando si voltò di nuovo verso di loro. «Siete ancora qui, quindi non è un'allucinazione.»
Will fece un classico colpo di tosse per coprire una risata. «Non hai una così fervida immaginazione, spero.»
«Dipende da cosa ho ingerito» disse tornando a sedersi. «Allora: Non ho mai letto né studiato di un incantesimo del genere, ragazzo. Però girano delle voci nel mondo invisibile da dopo la morte di De Quincey.» sorrise. «Sono più che altro chiacchiere da ubriachi, a mio avviso.» si sistemò meglio sulla sedia. Le ultime goccioline caddero dal suo viso, formando dei piccoli cerchi brillanti sul velluto nero. «Si dice che degli stregoni stiano lavorando su un incantesimo capace di controllare il tempo»
 
Era calato il silenzio da dopo le ultime parole di Magnus. Tutti fissavano lo stregone in attesa che aggiungesse qualcosa, ma sembrava aver finito tutto con quell'unica frase.
Alla fine, fu Tessa a rompere il silenzio. «Incantesimi per controllare il tempo?»chiese con tono quasi di scherno. «Sembra qualcosa da romanzo fantascientifico»
Will scosse le spalle. «A te tutto sembra qualcosa da romanzo.»
Charlotte gli lanciò un occhiataccia, poi si rivolse allo stregone.  «Continua, Magnus»
Magnus prese un grosso respiro prima di risedersi sulla sedia ovattata. «In realtà non c'è nient'altro. Nulla, nichts, nada.»
Camille gli pose con leggerezza una mano sul braccio e Clary sentì con estrema chiarezza i denti di Alec stringersi anche da quella distanza.  «Credo che tu debba essere più chiaro» gli disse con dolcezza.
Magnus le accarezzò quasi distrattamente la mano posata sul suo braccio, prima di continuare. «Un paio di giorni fa mi trovavo ad una riunione del Pandemonium Club. E, sapete com'è» ammiccò verso di loro. «Una vincita qui ed un bicchiere là dopo un paio d'ore a malapena ricordavo il mio nome» sorrise sornione. «Ma ho ben chiara nella mia mente l'immagine del tavolo verde a cui ero seduto e dello stregone accanto a me, che si vantava dell'incantesimo sul tempo che aveva inventato. Il suo partner al tavolo gli ha dato uno schiaffo sulla nuca sibilandogli di non spiattellare certe informazioni in giro quando l'incantesimo non era ancora completo»
Quindi si zittì di nuovo.
«..e?»
«E niente.»
«Perfetto.» Jace sospirò. «Non c'è che dire. Sei stato illuminante.»
Clary gli lanciò un'occhiataccia. «Ci sei stato utile, invece» disse lei, rivolgendosi allo stregone. «Adesso sappiamo dove cercare.»
Jace si volse verso di lei, incurvando un sopracciglio. «Ah si?»
«Si» confermò Clary, dura. «Sappiamo che è un incantesimo che non possiamo trovare in un libro. Perlomeno, non in questo secolo. » disse. «Quindi tutto quello che dobbiamo fare è trovare questo stregone.»  Clary si sporse dalla sedia e prese il blocco da disegno che aveva portato con sé al parco e se lo pose sulle gambe, quindi alzò lo sguardo su Magnus. «Puoi descrivermelo?»
Magnus la guardò curioso per qualche secondo, l'ombra di un sorriso sulle labbra, poi disse  «Mi pare ricordare fosse biondo. Il resto è silenzio.»
Clary sospirò e si strinse il labbro inferiore tra i denti. «E saresti capace di riconoscerlo se lo vedessi?»
Magnus chinò la testa di lato, leggermente. «Ci posso provare.»
Will si alzò in piedi, stiracchiandosi come un gatto appena sveglio in una maniera che le ricordò terribilmente Jace di primo mattino. «Quand'è la prossima riunione del Pandemonium Club?»
Fu Camille a rispondere. «Tra un paio di giorni, nella tenuta invernale di Ragnor Fell. Darà una festa per il suo ritorno in città» assottigliò lo sguardo, volgendolo a Jace e Will. «Uno di voi due giovani potrebbe farmi da accompagnatore alla serata. Per trovare lo stregone, chiaramente.» Ora anche Clary, insieme ad Alec, stringeva i denti. Non le piacque affatto come Camille aveva pronunciato accompagnatore guardando fisso Jace, che ora era scattato in piedi, quasi contemporaneamente a Will. Sembrava se lo volesse mangiare. o peggio.
«Vado io!» pronunciarono insieme i due ragazzi, poi si voltarono l'uno verso l'altro, guardandosi in cagnesco. «Sono già stato ad una festa del Pandemonium» disse Will con durezza. «So già come comportarmi. tu no.»
Jace sorrise tagliente. «Ti hanno già visto. Conoscono la tua faccia. Potresti non passare poi così tanto invisibile.»
Clary si voltò verso Alec, mentre gli Herondale continuavano a litigare. «E se andassi tu?»
Lo sguardo di Alec era fisso su Camille, che si godeva la scena dei ragazzi che litigavano sorridendo insieme a Magnus.  Era pallido come un lenzuolo se non per le guance tinte di rosso scarlatto come se avesse la febbre alta. «Neanche morto» disse piatto. Clary lo capì benissimo.
Dopo un po' Charlotte capì che non sarebbero arrivati a nulla, quindi si alzò e divise i ragazzi che continuarono a fissarsi in cagnesco. «Andrete entrambi» sentenziò. «E se vi sbranate a vicenda, tanto meglio»
A quel punto entrò Sophie, nella grande stanza. Era leggermente pallida, notò Clary, e la cicatrice risaltava come fosse fresca. «Signora Branwell» chiamò. «Il console Wayland chiede udienza nella biblioteca»
Charlotte si alzò in piedi e, congedandosi dagli ospiti, sparì dietro la porta insieme alla cameriera.
Camille si voltò verso Tessa. «Theresa, mia cara credo che tu possa tenere la tua pelle, stavolta.» le disse. «C'è gente che ancora si ricorda quando hai usato la mia.»
Tessa arrossì di colpo. «Io..» cominciò, ma Jem la interruppe mettendole una mano sul braccio in un gesto di infinita dolcezza. «Non mi sembra. De Quincey è morto, così come la sua combriccola. Non avete granché da temere, ormai.» disse con acidità.
Quel commento spiazzò Clary. Jem, fino a quel momento era stato un tipo, come li chiamava sua madre, tutto "coccole e bacini". Un tipo di ragazzo che non usciva mai con commenti acidi e risposte pronte. Un tipo completamente diverso da Jace  e Will, per dirne una. Guardò la mano pallida del ragazzo ancora ad accarezzare la spalla di Tessa, e poi si voltò verso Will, anche lui attento a guardare la scena incurante di Jace che gli stava sibilando contro qualcosa.  Will aveva uno sguardo che Clary aveva già visto in Jace quel pomeriggio a casa di Magnus Bane, a Brooklyn, quando Simon le aveva baciato il polso con la bruciatura. Una tristezza infinita, mista ad un'impotenza distruttiva e a una gelosia velenosa come l'arsenico.
La porta del rifugio si aprì così all'improvviso che Clary trasalì per la sorpresa. Charlotte entrò, interrompendo il discorso. Sorpassò i ragazzi senza degnarli di uno sguardo e si diresse verso Magnus e Camille. Gli disse qualcosa che Clary non riuscì a sentire. I due convennero insieme alla piccola direttrice, li salutarono cordialmente, specialmente Camille, e facendo notare che non vedevano l'ora che arrivasse il giorno della festa, diretta ai due Herondale. Quindi, si voltò. Fece cenno a lei, Jace e Alec di seguirlo. Si alzarono tutti e si avviarono verso la porta, ma Charlotte si voltò verso Jem e Will. «Restate qui.» ordinò, secca. Usò un tono così duro che persino Will non si mosse.  Quindi gli Shadowhunters del futuro seguirono la direttrice fuori dalla porta. Alec si attardò sull'uscio, gettando un'ultima occhiata al suo interno. Quando poi Jace gli pose una mano sulla spalla, quello trasalì e si avviò per il corridoio al loro fianco, facendo appena un cenno di saluto.
«Che succede?» Chiese Clary a Charlotte, senza ottenere risposta.. Usciti dal lungo corridoio che portava al rifugio trovarono Isabelle ad aspettarli. Clary fece la stessa domanda alla ragazza. Lei scosse la lunga chioma scura in un cenno di diniego. «Non ne ho idea» disse. «Ero sotto nelle cucine insieme ad Aghata e Sophie è venuta a chiamarmi con urgenza. Che cosa ha detto l' informatore?» chiese, mentre prendevano delle scale che conducevano ai piani inferiori.
Jace le disse tutto ciò che Magnus aveva detto loro. Izzy fece un lungo fischio, voltandosi verso il fratello. «Mi dispiace davvero Alec.»
Il ragazzo rispose con una scrollata di spalle, in silenzio.
Intanto erano arrivati al piano più basso dell'istituto. Era spoglio, angusto e buio. La poca illuminazione che c'era proveniva da delle fiaccole appese al muro che avevano sostituito le stregaluci del piano superiore.  C'era decisamente un pessimo odore, là sotto. Stantio e umidità che si mescolavano e un odore ferroso che ricordava vagamente quello del sangue.
Prendendo una fiaccola, Charlotte li condusse per il corridoio fino a condurli ad una porticina che si aprì sotto il suo tocco, su una scalinata ancora più buia. Clary si aggrappò al braccio di Jace per non cadere. La scala li portò su un corridoio ancora più inquietante dell'altro. Non si sarebbe sorpresa troppo se all'improvviso fosse comparso Freddie Krueger da una delle nicchie nella parete.
La ragazza rabbrividì, e non solo di freddo. La fiaccola di Charlotte illuminò il corridoio che conduceva direttamente a delle stanze spoglie, con solo un letto a brandina e un separé al loro interno, separate dal corridoio solo da delle gigantesche sbarre  incassate nel pavimento.
Erano prigioni.
In una di esse, all'inizio del corridoio, le parve di vedere una figura fumosa all'interno. Ma, prima che potesse voltarsi e dirlo a Jace, quella era già sparita.
Di certo non voleva imprigionarli. Erano stati scagionati da Mellartach. E allora, perché erano lì?
Circa a metà corridoio si trovavano delle persone. Una era il console Wayland, uguale a come Clary l'aveva visto l'ultima volta. Serio e austero nel suo abito grigio scuro vittoriano. Sembrava parecchio stanco ed innervosito. Stava parlando con Charlotte che si era avvicinata a lui e sembrava altrettanto stanca e nervosa.  Al fianco del console c'erano due ragazzi. Il primo era il più alto dei due, con un fisico asciutto, di carnagione chiara con capelli castani scompigliati ad arte e occhi verdi che brillavano alla luce del fuoco. Le ricordava qualcuno, ma non seppe dire chi. L'altro era leggermente più basso del compagno, con i capelli neri e corti e occhi poco più chiari di quelli del ragazzo al suo fianco. Aveva la carnagione di un bellissimo color caffèlatte e sorrideva, con un sorriso così contagioso che anche lì sotto, con poca luce e poca aria, fece venire a Clary voglia di sorridergli di rimando. La pelle di entrambi era segnata da vorticose linee nere che si avvolgevano intorno al collo, alle braccia e sulle mani.
Ad un certo punto il console annuì e si rivolse ai due ragazzi al suo fianco. «Gabriel, Luigi, svegliatelo.»
I due ragazzi non se lo fecero ripetere ed entrarono nella cella dietro le loro spalle. Dopo qualche momento si sentirono delle urla inumane e fastidiosamente familiari che si conclusero all'improvviso, sostituite da dei lamenti soffocati e un rumore che sembrava uno sputo. Il console allora fissò lo sguardo su di loro. «Entrate e ditemi se riconoscete questo prigioniero.»
Clary, mossa da una strana sensazione, fu la prima ad entrare, precipitandosi all'interno della cella. Si fermò appena dopo l'entrata, la bocca improvvisamente secca, gli occhi sgranati. Gabriel e Luigi stavano tenendo fermo un ragazzo dai capelli castano scuro, vestito con quelli che erano decisamente dei jeans strappati e una maglietta con la scritta: "L'altra T-shirt è in tintoria" Sporco di sangue, probabilmente suo, diverse ecchimosi che andavano già guarendo sul viso, sulle braccia e sul corpo. 
Lo sguardo di Simon Lewis traboccava  ira e odio quando le iridi castane si puntarono su di lei.

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Capitolo 12
*** XI; Anywhere else ***


 

Author's corner: Buondì a tutti! Allora, vorrei farvi sapere che, in questo capitolo, si fa conoscenza del primo OC della storia, già accennato nel capitolo precedente: Luigi De Luca. E' un personaggio originale, quindi ne detengo i diritti.  Anche se chiamarlo originale è una parola grossa. (Non so nemmeno io perchè lo sto puntualizzando, ma vabbè.)  emm, niente. Basta così. Una recensione è sempre gradita e godetevi il capitolo!


A true friend is someone who is there for you
when he'd rather be anywhere else.
L. Wein

 

Capitolo XI
Anywhere else



Clary ricordava vagamente un episodio avvenuto la sera del suo sesto compleanno.
Era ancora  piccola ed innocente, così tanto che anche in piedi non arrivava al bordo del tavolo. Sua mamma e Luke l'avevano portata alla fattoria e avevano preso la torta più grande che Clary avesse mai visto in tutta la sua vita, con il cioccolato e le fragole. Sembrava davvero buonissima. Avevano invitato anche Simon, come ad ogni compleanno da quando si erano conosciuti, e seduto al tavolo della cucina guardava la torta come se non mangiasse da un mese. Ma Clary aspettava a spegnere le candeline che stavano bruciando lentamente sulla torta. Sua mamma e lo zio Luke, che stava girando il video con la sua piccola cinepresa, le avevano detto di esprimere un desiderio. E Clary ancora non aveva deciso.
Poi fece un gran sorriso, si fece un po' più in alto, poggiando i gomiti sul tavolo,  e disse: «Desidero conoscere il mio papà» e soffiò sulle candeline, spegnendole una ad una.
Sua madre si era quasi strozzata con il vino che stava bevendo, e zio Luke aveva chiuso di scatto la videocamera, voltandosi verso sua madre.
Lei l'aveva guardata. Dapprima  sembrò spaventata, poi semplicemente triste. Si alzò e la strinse in un abbraccio. Clary sentì il cuore della sua mamma battere molto forte contro le sue orecchie. «Attenta a quel che desideri, Clary. Potrebbe avverarsi»
E, una settimana più tardi, Clary scoprì che suo padre, John Clark Fray, era morto
in guerra.
 
Attenta a quel che desideri.
Per quanto stupido, era l'unica cosa a cui Clary riusciva a pensare mentre guardava Simon ringhiarle contro nella cella angusta nella Londra del diciannovesimo secolo.
«Lasciatelo andare.» Quelle parole non uscirono con un lamento come si era aspettata, ma come un ordine autoritario che neanche i due Shadowhunters che tenevano fermi Simon provarono a disubbidire. Lo lasciarono andare e il vampiro cadde di peso sul pavimento, tossendo sangue. Clary si gettò in ginocchio e lo prese tra le braccia. La protesta di Simon le arrivò flebile alle orecchie e tentò di respingerla, come un cucciolo che lotta contro una rete, ma lei era troppo forte e lui troppo debole. Si arrese, continuando a tossire e sporcandole di macchie rossastre il vestito che le aveva preso Jessamine. Probabilmente l'avrebbe uccisa, ma non le importò.
 «Che significa?» Disse la voce di Jace, alle sue spalle. Era arrabbiato.
Il console fece cenno a Gabriel e Luigi di uscire dalle segrete. I due annuirono e se ne andarono, visibilmente seccati. Poi il console si rivolse di nuovo a loro.«E' stato trovato nelle vostre stesse condizioni, nella stessa chiesa e nello stesso punto.» disse. «Non è stato ucciso perché pensavamo potesse essere utile per trovare una soluzione, ma afferma di non ricordare nulla, neppure il suo nome.»
Clary accarezzò i capelli di Simon, in silenzio. Come ci era arrivato fin lì? Come diavolo aveva fatto a trovare l'appartamento nell'Upper east side? Anche se non poteva togliersela di dosso, le scacciò con violenza la mano che gli stava accarezzando i capelli. Probabilmente, pensò Clary ingoiando l'amarezza, le avrebbe fatto meno male se l'avesse morsa.
«Com'è possibile?» Questo era Alec.
«Sta a noi chiederlo a voi, Shadowhunter.»  replicò il console con severità. «Questa storia dura da troppo.  Trovate una soluzione, e sperate che non arrivino altre sorprese nella chiesa di San Patrizio.» si voltò verso Clary. Gli sembrò di vedere compassione nel suo sguardo, o forse se l'era solo immaginato. «Resterà qui, così scoprirete se ricorda qualcosa.» E quindi, dopo aver dato disposizioni a Charlotte, se ne andò.
Charlotte le si avvicinò. «Lo conosci, allora?»
Clary alzò lo sguardo sulla minuta direttrice. Aprendo la bocca per parlare, scoprì di averla troppo secca. Annuì piano. «Potete lasciarmi sola con lui?»
Lo sguardo di lei era piuttosto triste. «Clary, io non credo..»
«Resto io con lei» fece Jace, portandosi avanti. «Non le farà del male, stia tranquilla.»
Charlotte passò lo sguardo dall'uno all'altra, poi guardò Simon e sospirò. «Dieci minuti, non uno di più» e si allontanò per il corridoio con Alec e Isabelle al fianco.
Jace fissò il punto in cui erano spariti fino a quando non si sentì distintamente il rumore di una porta che si chiude. Quindi, si voltò verso di lei. «Tieni questo» e gli porse uno stilo. Chissà dove l'aveva preso. «Se prova a farti del male è la volta buona che ci resta, topo.» Gettò un'ultima occhiata a Simon, che aveva chiuso gli occhi contro il suo petto, e si incamminò verso l'uscita.
«Jace!» urlò Clary.
 Il ragazzo si fermò, senza voltarsi.
Le tremava la voce. «Grazie» sussurrò.
Il ragazzo voltò appena il viso verso di lei e sorrise silenzioso. Poi andò via.
 
«Tu non sai chi sono, vero?»
Un sorriso ironico. «Dovrei?»
Dopo che Jace li aveva lasciati soli Clary si era alzata e l'aveva afferrato di peso per portarlo sul duro letto nell'angolo della stanza. Appena l'aveva poggiato, Simon l'aveva respinta con violenza, ma era ancora troppo debole per farle male sul serio. Fisicamente, perlomeno.
Clary, però, non era una sprovveduta. Tracciò una runa di divisione tra se e il letto, molto meno violenta delle sbarre di ferro benedetto che gli avrebbero bruciato la pelle delle mani al primo tocco.  Quindi, posò lo stilo a terra e si sedette incrociando le gambe sul pavimento. «Sono Clary. Clary Fray.» Optò per il nome con cui Simon l'aveva conosciuta, per provare a far scattare un processo mnemonico nel suo piccolo cervello da newyorkese.  E difatti Simon la guardò a lungo prima di
parlare  «Tu sei una Nephilim»
«Si»
«E io sono un vampiro»
«Grazie Capitan Ovvio.»
Il suo sguardo era tinto di confusione. «Perché non vuoi farmi del male?»
Clary gli sorrise. «Perché sono la tua migliore amica.»
Simon non commentò la sua risposta. «Dove siamo?» chiese invece.
La ragazza prese un gran respiro. «All'istituto di Londra, nel 1892.»
Il suo sguardo disorientato passò su ogni oggetto presente nella cella: Il letto, la finestrella inferriata nella parete, il lugubre bagno e le sbarre di ferro della porta. «Io non sono di qui, vero?»
Lei scosse la testa. «Io e te siamo di New York, in America. E siamo del XXI secolo, se è questo che intendevi davvero domandarmi.»
Adesso la confusione era nitida nel suo sguardo. «Come siamo arrivati qui?»
«Vorrei tanto saperlo anche io» Ora toccava a lei fare domande. «Cos'è la prima cosa che ricordi?»
Ci pensò su a lungo. «Una luce» rispose poi, titubante. «Una fortissima luce bianca e poi il risveglio in prigione, gli uomini strani con gli occhi cuciti e il portale che mi ha portato qui. Poi te. Come ci siamo conosciuti?»
Clay appoggiò la schiena alla parete. «All'asilo. Mi hai salvato da dei bulli che mi stavano dando fastidio. Ti sei quasi rotto gli occhiali e sei caduto prendendo una bella botta.» Sapeva bene che il suo sguardo si stava facendo limpido di lacrime. «Siamo amici da allora.»
Simon annuì impercettibilmente. «Ricordo del cioccolato.» ammise.
Stettero in silenzio alcuni minuti. Lui scrutandola attento, cercando nel viso di lei qualunque cosa potesse essergli familiare, qualcosa che potesse sentire come già visto, già sentito, già percepito. E lei si abbandonò a quell'indagine che le faceva venire la pelle d'oca. Le sembrava di essere un animale sconosciuto di cui si doveva testare la pericolosità.
Infine, Simon perse la posizione di ostentata difesa che aveva tenuto fino a quel momento e si rilassò sul letto. «Se sei la mia migliore amica, dimmi qualcosa che nessuno sa di me.»
Clary corrugò la fronte. «E come fai a sapere se è la verità?»
«Tu fallo.»
Sospirò. Chissà che voleva dimostrare. La ragazza ispezionò tutto il repertorio delle informazioni che aveva su Simon, rendendosi conto così, all'improvviso, che erano un' infinità.  Sapeva la taglia dei suoi vestiti, che personaggio avesse a Dungeons and Dragons, che tipo di colluttorio usasse, il rituale idiota che faceva prima di ogni concerto della sua band, le sue assurde teorie sul sex-appeal vampiresco, il nome della prima ragazza che aveva baciato. Ma tra tutte queste informazioni che solo una migliore amica può sapere, scelse la più idiota che le venne in mente.
«Sei diventato vegetariano a dieci anni, dopo aver visto una puntata dei Simpson.» gli disse. «Sai, quella in cui Lisa va alla fattoria e decide di diventare vegetariana per non nuocere agli agnellini. Dopo la scena in cui il maiale arrosto viene buttato hai deciso che non avresti più toccato carne in vita tua.»
Simon sostenne il suo sguardo. Non vide comprensione nei suoi occhi, né ragione. «Piuttosto ironico per uno che è diventato un vampiro, non ti pare?»
 
Clary si chiese quand'era stata l'ultima volta che avesse passato del tempo a parlare in quel modo  con Simon. Era stata così impegnata in quei mesi: Allenamenti, Jace, lezioni di demonologia, Jace, tornare a scuola, Jace. Forse passava un po' troppo tempo con lui.
Non aveva di certo smesso di vedere il suo amico. Riusciva sempre a ritagliare quei pomeriggi di puro ozio gettati sul divano di casa di Luke. Ma non parlavano così da una vita. Forse da prima ancora di Alicante, da prima che lei sapesse la verità su di sé e sul mondo che li circonda. O forse non avevano parlato mai davvero così.
Dopo la risposta di Clary alla sua prima domanda era rimasto in silenzio per così tanto tempo che la ragazza si era chiesta se un topo gli avesse mangiato la lingua. Cosa che non era da escludere, considerando lo schifo che c'era in quella prigione. Dopo, diffidente, aveva cominciato a porle delle domande a cui lei rispondeva, ricordava e, delle volte, taceva. Non aveva senso, si disse, ricordagli di certe cose che lo avrebbero solo fatto star male come la morte del padre.
Poi avevano sentito un rumore assordante provenire dai piani alti. Subito dopo Jace era comparso con un gran sorriso sul volto e delle macchie di cenere sulle guance e i capelli biondi. «Che vi siete persi!» esclamò ridendo.
«Cosa diavolo è successo?»
«Beh» cominciò Jace. «Accidentalmente una nidiata di topolini può essere entrata nella camera da letto di Jessamine Lovelace e questa può aver cominciato a dare i numeri.»
Le ci volle qualche secondo perché le rotelle nella sua testa facessero due più due. I suoi dieci minuti erano scaduti e Jace le aveva regalato altro tempo. «Perché l'hai fatto?» la sua voce voleva essere accusatoria, allora perché aveva usato un tono dolce?
Jace scosse le spalle e aprì la porta della prigione. «Cominciavo ad annoiarmi» richiuse la porta e si sedette accanto a lei sul freddo pavimento di pietra. «Allora, scoperto niente?»
Clary scosse la testa. «Credo che l'amnesia sia temporanea, però. Riesce a ricordare qualcosa.»
Da quando era arrivato gli occhi di Simon non avevano perso nemmeno un attimo Jace, che, chiaramente, non potè fare a meno di tenere chiusa la bocca.  «Che c'è?» gli chiese. «Oggi abbiamo finito lo zero negativo. Però puoi ordinare un menù arteria recisa a soli 5.99 $»
Simon continuò a fissarlo. «E' sempre così idiota, o solo con me?» chiese rivolto a Clary.
«E' sempre così idiota.»
«Buono a sapersi»
«Io sono ancora qui.»
Clary sorrise. «Si, ce ne siamo accorti»
Sorrise anche Simon, e Clary raggelò. Il sorriso del suo amico aveva scoperto i canini aguzzi, eccitati e svegli dalla fame. Clary si chiese quanto tempo fosse passato dall'ultima volta che si era nutrito. Jace si irrigidì al suo fianco, e dando prova di sangue freddo e davvero poco tatto glielo chiese.
Simon, per tutta risposta, inarcò le sopracciglia.
Jace si diede la mano sulla fronte e si rialzò in piedi. «Vado a vedere se Aghata ha della carne fresca.»  Un lamento da parte di Simon. «Accontentati.» gli disse Jace che se la stava ridendo alla grande.
Simon lo guardò andare via. «Quello non mi piaceva neanche prima, vero?»
Clary sogghignò. «Direi proprio di no.» si sistemò meglio sulla pietra fredda. «Cosa facciamo?» chiese lui.
Lei sospirò. «Non ne ho idea»
Sentirono nei passi nel corridoio, che non appartenevano a Jace. «Signorina Morgenstern?» era una delle guardie che avevano portato qui Simon. I capelli scuri erano leggermente scompigliati ed aveva uno sguardo piuttosto seccato. Sotto il braccio teneva una bottiglia di vetro colorato contenente qualcosa che le sembrò vino. «Il signor e la signora Branwell vi vogliono parlare in biblioteca.»
Gettò uno sguardo a Simon. «Va'» le disse lui. «Sopravvivrò. Più di te, dato che io sono immortale.»
Clary si alzò in piedi avvicinandosi al letto. «Tornerò domani. »
Lui scosse le spalle. «Probabilmente mi troverai qui.»
Appena Clary fu fuori dalla cella, il Nephilim entrò e porse a Simon la bottiglia. «Tieni» gli disse. «E, comunque, mi dispiace per averti dato un pugno sul naso»
Simon lo guardò confuso, poi si rivolse a lei. «Non mi sta per avvelenare, vero?»
Clary guardò il ragazzo. Sembrava leggermente offeso. «No, credo di no.» sorrise a Simon. «Ci vediamo»
Lui le fece un cenno portandosi la bottiglia alle labbra. «ci vediamo»
Si incamminò nel corridoio insieme a quell'altro Nephilim. A circa metà corridoio lui si diede un leggero schiaffo sulla fronte. «Che maleducato» borbottò.  «Il mio nome è Luigi De Luca. E lei deve essere Clarissa Morgenstern»
Clary gli rivolse un sorriso tirato. «Clary» disse. «Piacere»
«Mi dispiace per il suo amico» le disse. «Non mi è dato sapere cosa sta succedendo, ma vorrei poter fare qualcosa per aiutarla.»
Clary gli lanciò un'occhiata scettica. «Mi prendi in giro?» gli chiese.
Lo sguardo che lui le lanciò le parve offeso. «Per niente»
Al piano di sopra c'erano sei paia di occhi pronti a fissarsi su di lei al suo ingresso. Beh, almeno quattro paia. Gli occhi azzurri di Will erano intenti, come del resto tutte le membra del ragazzo, a litigare con l'altro Shadowhunter, che Clary dedusse fosse Gabriel e che aveva portato Simon nelle prigioni. Era rosso in viso come un pomodoro maturo e altrettanto sembrava pronto a esplodere.
Appena lei fu dentro la stanza, Charlotte fece cenno a Sophie di scortare fuori Luigi e Gabriel, che sembrava particolarmente lieto di poter uscire. Clary si sedette di fronte a Charlotte. L'istitutrice le sorrise amorevole e piena di compassione.  «Stai bene?» le chiese.
Prima che potesse risponderle, fu Will a prendere parola. «Certo che sta bene, Charlotte» pronunciò, serio. «C'era il suo paladino a proteggerla per tutto il tempo, non è così?»
Clary gli lanciò un calcio da sotto il tavolo. Will guaì di dolore. «Sto molto meglio,ora. grazie.»
«Jace non ha voluto rivelarci quale sia la tua relazione con il figlio della notte.» disse Henry. «Ha detto che era qualcosa che solo tu potevi spiegare.»
Jace, che alla parola relazione aveva stretto pericolosamente la mascella, sbuffò. «Non la capisco nemmeno io, figurarsi spiegarla.»
Clary gli sorrise, grata. «Si chiama Simon Lewis. Aveva diciassette anni quando è stato trasformato, circa sei mesi f.. Sei mesi prima di finire qui. Siamo amici da quando eravamo piccoli.»
Henry annuì distrattamente.  «Ricorda qualcosa di come sia arrivato qui?»
«Nulla di nulla.»
Charlotte si sporse leggermente sul tavolo. «Sarò diretta, Clary» le disse. Un'espressione troppo seria le tirava il giovane viso «C'è la possibilità che ci stia nascondendo qualcosa?»
Clary sostenne il suo sguardo. «A voi? Quasi sicuramente. A me no.»
Charlotte sospirò.  «Conosciamo la tua buona fede, Clary. Quindi capirai quando ti dico che ogni sua azione ricade sulla vostra responsabilità.»
La ragazza scattò in piedi. Pensò a circa una cinquantina di insulti magnifici da pronunciare in quel momento, probabilmente tutti già nel repertorio degli scaricatori di porto, ma poi si morse la lingua. Non aveva senso insultare Charlotte o la razza dei Nephilim, probabilmente stava solo eseguendo gli ordini del Conclave. Però poteva dire qualcosa.
«D'accordo.» cominciò.  «Tutte le azioni di Simon, buone o cattive che siano possono ricadere sulla mia persona. In questo momento Simon non è nel possesso completo delle sue facoltà mentali, quindi può andare. Ma ad una condizione: Trovategli un posto migliore dove stare. Le prigioni non sono un luogo adatto per una persona innocente.»
Will sbuffò. «E cosa proponi, sentiamo? Una bella camera con vista su Green Park
Clary incrociò le braccia al petto. «Le cose stanno così: O Simon verrà trattato come una persona e non come immondizia oppure io e lui ce ne andremo.» si girò verso la minuta direttrice che alle sue ultime parole era pericolosamente impallidita. «Mi dispiace Charlotte.»
Anche Will scattò in piedi. Gli occhi azzurri si fissarono nei suoi tradendo rabbia nemmeno lontanamente controllata. «Credi davvero che vi permetterei di uscire da qui senza concludere questa faccenda?»
Clary sorrise avvicinandosi di qualche passo al ragazzo. «Sono riuscita ad entrare ad Idris con un licantropo attraverso un portale illegale. Credi davvero di spaventarmi?»
Gli occhi di Will erano ardenti come l'inferno. «Falso come Giuda, direi.»
Clary scosse le spalle. «Forse hai ragione. Chiamiamo il console, forse ha ancora Mellartach con sè»
Fu Jem a interrompere il battibecco emettendo un lungo fischio dalle labbra sottili.  «Will, basta così.» disse Henry, stranamente autoritario, mettendo una mano sulla spalla del ragazzo che se la tolse di dosso con una scrollata. «Possiamo organizzare meglio il rifugio» le propose con una certa serietà. «facendo portare una branda e un armadio per dei vestiti che gli procureremo. E' il massimo a cui possiamo arrivare.»
Clary ci pensò su. Era sempre meglio delle prigioni. «Va bene» acconsentì.
Charlotte chiamò Sophie e le sussurrò qualche parola. La cameriera uscì e dopo qualche minuto fu di ritorno con Gabriel e Luigi, che appena entrati si protesero in un inchino. «Signori» dissero a mo' di saluto.
Charlotte si alzò in piedi. «Il figlio della notte..» Clary le lanciò un occhiataccia e lei si corresse.  «Simon Lewis verrà spostato nel rifugio fino a nuovo ordine.» Disse, autoritaria. «Potete scegliere le camere che più vi aggradano. Vi prego soltanto di farcelo sapere, insieme ai turni di guardia che avete intenzione di fare per sorvegliare il signor Lewis.»
Luigi sorrise affabile. «Ai vostri ordini, Milady.»
Will lanciò uno sguardo di fuoco a Gabriel. «Quindi resterà qui?» Chiese a Charlotte.
Gabriel fece quella che a Clary parve una smorfia di puro disgusto. «Per quanto mi piacerebbe non dover più rivedere la tua faccia, Herondale, l' Enclave mi ha dato una missione.»
Clary sospirò, e mentre ascoltava i due Shadowhunters vittoriani litigare, si chiese ancora una volta se esistesse sulla faccia della terra, in questo e nei secoli futuri e passati, una persona che Will non facesse esasperare.

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Capitolo 13
*** XII; In sunshine and in shadow ***


Author's corner: Buongiorno a tutti! Allora, ho aggiornato prima questa volta per fare una specie di regalo (Che regalo del cavolo, lo ammetto) per chi (Come me T.T) domani tornerà tra i banchi di scuola e chi c'è già tornato. Quindi. Buona Fortuna! A chi comincia l'ennesimo anno al liceo - Scientifico (come la sottoscritta), classico, magistrale, o industriale che sia -, a chi comincia l'anno alle medie, o la sessione di esami all'università. Buona fortuna in particolare a questi ultimi e a chi quest'anno dovrà affrontare la maturità.  Va bene, la smetto di annoiarvi e deprimervi con le mie ciancie scolastiche. Sopravvivete a quest'anno. è tutto ciò che vi serve.
A presto, se sopravvivo.
ClaryMorgenstern



Gaily bedight, A gallant knight,
In sunshine and in shadow

E.A. Poe

XII
In Sunshine and in shadow



Le carrozze avevano un pessimo odore.
Clary scostò leggermente le tendine di seta nera, per far si che un po' d'aria le arrivasse fresca sul viso. Da piccola aveva sempre voluto salire su una carrozza quelle volte che sua madre l'aveva portata a Central Park e lei aveva guardato affascinata dai magnifici cavalli che portavano in giro i turisti per il parco. Sua madre, però, non glielo aveva mai permesso.  Adesso si chiedeva se dipendesse dal fatto che le guidassero delle fate senza licenza.
Si sistemò i guanti di seta, mordendosi il labbro inferiore per la tensione. Si stava già pentendo amaramente di aver accettato di partecipare a quello stupido piano. Gettò un occhiata a Jace silenzioso al suo fianco. A degli occhi inesperti avrebbe potuto apparire rilassato, quasi annoiato, accasciato alla parete della carrozza con nonchalance, mentre si sistemava i guanti anche lui, ma Clary lo vedeva dalle sue mani incapaci di stare ferme e dai suoi occhi freddi quanto fosse nervoso mentre teneva sott'occhio Will, rigido al suo posto nell'altro sedile di seta nera. Lui stava guardando fuori dal piccolo finestrino con la testa persa chissà dove. Più di una volta Simon le aveva fatto notare quanto tempo passasse a fantasticare, senza spiccicare parola e ignorando il mondo intorno a lei. Clary non aveva mai pensato a come potesse  sembrare in quei momenti. Aveva la stessa espressione di Will? Con gli occhi vivi e brillanti e la bocca semidischiusa per lo stupore di qualcosa che vedeva solo lui?
Simon, nell'altro sedile accanto a Will, si tormentava le mani nervoso, ignorato dalle altre persone presenti nell'abitacolo. Né lui né Clary avrebbero dovuto essere lì, ma era stata un'idea di Camille, ovviamente.
 
Camille aveva chiesto un'udienza nell'esatto momento in cui era venuta a conoscenza della presenza di un figlio della notte proveniente dal futuro. Charlotte le aveva chiesto il suo consenso, prima di prendere una decisione e Clary in quel momento pensò che non fosse un'idea così malvagia se a muovere Camille era, come lei aveva detto, solo curiosità. Lei era una vampira e, come le aveva detto Jace, anche molto potente e sapeva della seconda natura di Simon molto più di quanto sapesse lei.
Se ne era pentita amaramente quando poi aveva visto la potente vampira entrare nel rifugio attrezzato per essere l'alloggio di Simon. Aveva guardato il ragazzo con una luce ardente negli occhi, nascosta da un' innocua e solo apparente curiosità.
Avevano parlato a lungo, quei due mentre gli altri Shadowhunters e Magnus restavano in silenzio. Gabriel e Luigi attendevano fuori dalla porta non avendo il permesso di essere a conoscenza della situazione.
Dopo un po', Camille voltò il viso verso Magnus che annuì, senza sorridere. Successivamente, la vampira si rivolse a Charlotte.  «Sono dell'idea che Simon debba partecipare alla festa del Pandemonium»
Clary scattò in piedi all'istante, percorsa da un moto di rabbia. «Assolutamente no.» aveva strillato.
Camille non rispose con lo stesso ardore, ma piegò la testa gentilmente di lato. «Mi dica, signorina, vuole tornare nel suo tempo?»
La ragazza fu presa alla sprovvista da quella domanda, tanto che perse l'ardore che l'aveva spinta a urlare contro una potente vampira vittoriana. «Mi pare ovvio» disse.
Gli occhi verdi di Camille si strinsero. «Allora deve esserci. E' ancora un uccellino.E' pressoché innocente e sono pronta a scommettere che non ha mai tolto la vita a nessuno»
Clary impallidì leggermente. «A nessuno di vivo, no.» ammise, un po' risentita. «Ma non vedo come questo possa essere utile in qualche modo» disse Jace, alzandosi in piedi e mettendosi al suo fianco. Alec stava seduto, crogiolandosi in un silenzio imbarazzato come ogni volta che aveva visto Magnus nel 1892. Simon intanto fissava Clary, silenzioso e inebetito da quella conversazione senza prenderne minimamente parte.
Fu Magnus a rispondere. «Parleranno con lui più facilmente, se lo vedono così innocuo.»  disse. «Potrebbero confidargli dei pettegolezzi e delle dicerie di cui non parlerebbero ad una vampira potente come Camille. In fondo, come potrebbe nuocergli? È solo un uccellino che ha appena imparato a volare.»
Prima che Clary potesse obbiettare che Simon non era un diavolo di uccellino, ma una persona che non doveva essere usata come capro espiatorio, Simon si alzò in piedi, con le mani infilate nei jeans - Henry gli aveva offerto dei vestiti di quando lui era più giovane, ma Simon aveva rifiutato gentilmente, sostenendo che tenere i suoi abiti poteva aiutarlo a capire chi fosse- e si rivolse a Camille. «Va bene. Verrò..»
Camille sorrise entusiasta, come se avesse appena ricevuto il giocattolo che tanto bramava. «Saggio ragazzo»
«..ad una condizione.»
Clary si morse le labbra. Conosceva troppo bene Simon, per non sapere quale sarebbero state le sue prossime parole. Quindi si lasciò cadere di nuovo sulla poltrona, sospirando con malinconia. Simon si voltò verso di lei, prima di cominciare a parlare. «Clary deve venire con noi.»
Camille arcuò le sopracciglia e a Clary venne voglia di darle un pugno. «E perché, di grazia?» chiese. Jace si era ammutolito, guardando Simon. Leggermente pallido e con le nocche sbiancate dalla stretta in cui le teneva, guardava Simon alternando occhiate di rabbia e rispetto. Era ovvio che Jace non la voleva a quella festa. Come al solito voleva lasciarla a casa ad aspettare nel timore che si facesse del male. A suo eterno merito c'era che non lo disse mai ad alta voce.
«Lei mi conosce» disse Simon, guardandola negli occhi per la prima volta da quando era entrata nel rifugio. «Sa chi sono io, molto meglio di quanto possa averlo mai saputo io stesso.»

 
«Raphael»
Clary alzò lo sguardo su Simon. Il ragazzo si stava guardando le mani, come alla ricerca di qualcosa che sperava di trovare lì ma non c'era.
Will distolse lo sguardo dal finestrino e lanciò un'occhiata di traverso al vampiro. «Che nome da pezzente»
Simon lo ignorò e si rivolse a Clary, con la perplessità negli occhi. «Ricordo questo nome. Non ricordavo il tuo, ma ricordo questo.»
Clary sospirò, guardando anche lei le mani del ragazzo. Non erano sottili come quelle di Jace, proprio no. Erano mani grandi, con dita forti e nocche nodose come quelle di un ragazzino non ancora cresciuto del tutto.
E che non sarebbe cresciuto mai. «Raphael è il nome dell'idiota che ti ha trasformato»  disse Jace, spostando lo sguardo da Will a lui. «Come te lo sei ricordato?»
Simon alzò le mani davanti al viso. «E' scritto qui, in qualche maniera. Lo riesco a sentire.»
Will fece un sorriso sottile. «Questa è la cosa più omosessuale che abbia mai sentito.»
«Per quanto mi duole ammetterlo» disse Jace. «Concordo con lui»
Clary diede un leggero schiaffo alla nuca bionda al suo fianco. «Lascia perdere questi idioti» sibilò, rivolta a Simon «Cos'altro ricordi?»
Lo sguardo di Simon era limpido come uno specchio d'acqua. Ma non mostrava nulla di nulla del vecchio Simon se non il solito calore di quegli occhi scuri che Clary aveva imparato a conoscere nel corso di quegli anni. «Niente»
Eppure, lei sapeva che non era vero. Ma sapeva anche che glielo avrebbe detto a tempo debito.
Fuori dal finestrino, nel frattempo, Londra scorreva veloce sotto il loro sguardo come milioni di macchie di diverse tonalità di grigio, che lasciò il posto al verde quando arrivarono nella campagna in cui si trovava la tenuta invernale di Ragnor Fell.
La carrozza si fermò con un sussultò. Jace e Will si scapicollarono per scendere per primi. Simon e Clary rimasero ancora qualche istante nell'abitacolo, osservandoli confusi. «Ma perché fanno così?» chiese lui, fissando i due ragazzi, eleganti e bellissimi sotto la luce della luna, a mangiarsi di insulti che l'avrebbero fatta rabbrividire anche con quaranta gradi all'ombra.
«Sono maschi» disse Clary come se quelle due laconiche parole potessero spiegare ogni cosa.
«Lo sono anch' io» Simon non la guardava. Aveva lo sguardo perso oltre il cielo pieno di stelle. La luna era appena a un quarto della sua forma e brillava come un sorriso di sfida dall'alto.
Clary fu inondata da una tenerezza fuori luogo. «Tu sei Simon» gli disse. «Chissà per quale ragione, sei un maschio evoluto rispetto a quei cavernicoli»
Con lentezza, Simon spostò lo sguardo su di lei. «Ricordo un'altra cosa» le disse.
La ragazza annuì piano. «Si, lo so.»
Lui la guardò confuso. «davvero?»
Avrebbe voluto non dover mai ricordarglielo. Che almeno in quel periodo potesse  dimenticare tutto il dolore che lei gli aveva procurato. Tutte le volte che l'aveva ferito e lasciato sanguinante. Ma lei non comandava i suoi sentimenti, per sfortuna, e mai avrebbe potuto. «Si, eri innamorato di me»
Lui la fissò a lungo. «E adesso?»
Lei scosse le spalle. «Stai frequentando Maia. Non sono sicura che tu ne sia innamorato, ma ti piace molto.» disse. «E, a proposito, si incavolerà parecchio se non torniamo presto a casa»
Simon sorrise. «Dev'essere una tosta.»
In quel momento, Jace aprì la portiera dal suo lato della carrozza. «Avete intenzione di fare la muffa lì?»
Clary sospirò, e le venne in mente quella volta da Madame Dorothea, quando lei aveva letto a Jace le foglie del thè. «Ti innamorerai della persona sbagliata» gli aveva detto. E, chissà come, era successo davvero. Lei non avrebbe potuto essere che la persona più sbagliata per Jace. La figlia naturale dell'uomo che lo aveva cresciuto. C'era una così tale ironia in questo che ogni volta che ci pensava a lungo le veniva da ridere. Ma poi, guardando il viso di Jace mentre le porgeva una mano per aiutarla a scendere pensò che non ci si poteva davvero innamorare della persona sbagliata per un semplice motivo: Perché, quando ci si innamora, ci si innamora davvero, non c'era mai niente di sbagliato.
 
«Signorina, gradisce qualcosa da bere?» un pixie dall'aria allegra le stava porgendo un vassoio d'argento con sopra dei meravigliosi calici di vetro dal lungo stelo a forma di viticci di rosa, colmi di vari liquidi dai diversi colori scintillanti.
Clary era ancora scottata, così come Simon, dall'ultima volta che le sue labbra avevano toccato qualcosa di oscura provenienza per accettare. Quindi scosse il capo, silenziosa. Rivolse uno sguardo al suo signore - faticava da morire solo a pensarla quella parola associata a Simon, figurarsi pronunciarla -  e lo vide a cercare con gli occhi Camille che si trovava appena davanti a loro, insieme a Magnus, a chiacchierare sulla festa insieme a quelli che sembravano stregoni. Jace e Will erano dietro di lei, silenziosi e rigidi come delle eleganti guardie del corpo. Jace guardava Camille, ovviamente, come un perfetto succube dovrebbe fare. Ma Clary sapeva che con i suoi affilatissimi sensi da cacciatore non la perdeva d'occhio nemmeno un istante. Lei e Simon erano appena un po' distanti, in attesa di essere presentati al padrone di casa dalla vampira.
Camille si voltò verso di loro con un bellissimo sorriso sul volto candido.  «Oiseau» chiamò con voce allegra. «Avvicinati»
Simon si irrigidì accanto a Clary. «Sta parlando con me?» le chiese in un sussurro.
Gli si avvicinò per abbassare il tono di voce. «penso di si.»
Lo sguardo che Camille rivolse loro non sembrava più così allegro. Simon si incamminò verso la vampira e Clary si tenne a debita distanza da brava soggiogata quale doveva fingere di essere.
Camille passò il ventaglio sotto il mento di Simon per alzargli il viso. «Voglio presentarvi il mio nuovo uccellino» disse. Clary potè giurare di sentire una nota di vibrante orgoglio nella voce della vampira. «Simon Lewis»
Gli occhi di uno dei due stregoni scintillarono quando si posarono su di Simon che, intanto, si era irrigidito al suo fianco. «Un americano» dichiarò. «Affascinante» aveva i capelli biondi, tanto chiari da sembrare bianchi alla luce delle candele, e lisci, legati all'indietro con un cordino di pelle marrone scuro, con occhi castani e la pelle verde, come la schiuma del mare. Labbra piene e morbide e mani dalle dita sottili che le ricordavano delle penne stilografiche. Tutto in lui, dalla pelle verde alle scintille di magia che emanava, e le piccole corna che gli si attorcigliavano sul capo urlavano a gran voce la parola stregone.
Simon rimase in un ostinato silenzio. Lo stregone rise. «Non sembra una persona loquace.»
Camille rise di rimando, con una risata cristallina. «Ormai dovresti conoscermi, Ragnor. L'ho scelto per questo.»
Clary frenò all'ultimo secondo l'impulso di sbarrare gli occhi. Ragnor Fell. Quell'uomo che le stava davanti, quello stregone con un bicchiere cristallino tra le lunghe dita mentre sorseggiava solo l'angelo sapeva che cosa, era lo stesso uomo che avrebbe aiutato sua madre a fuggire da Valentine, lo stesso che le avrebbe fornito la pozione che l'aveva mandata in coma. Lo stesso che dopo più di cento venti anni di vita sarebbe stato ucciso da suo fratello.
Obbiettivamente, Clary non capì perché si fosse stupita tanto. Sapeva che lo stregone avrebbe partecipato alla festa.
Dopotutto, erano in casa sua.
Non osò alzare gli occhi per incontrare quelli di Jace, così come il ragazzo non spostò lo sguardo da Camille.
Allora Simon fece qualcosa che la sorprese. Un inchino, leggermente accennato, col capo. «E' un piacere conoscerla, Mister Fell.» disse, con una voce che Clary gli aveva sentito usare spesso con i loro professori. Un falsissimo rispetto di facciata.
«Lady Belcourt mi ha parlato così tanto di voi che mi sembra conoscervi già.» spostò il braccio e porse la mano a Clary, che pose la propria sulla sua. «Lei è Clarissa, una mia amica»  pronunciò l'ultima parola con ironia, cosicché  Ragnor fece un aperto sorriso. «Oh si, lo immagino.»Si rivolse a Clary in una piccola riverenza. «Avete un'amica bellissima, non c'è che dire.»
«Lo so, grazie.»
Clary arrossì leggermente e non disse nulla. Ma non arrossì per Ragnor Fell, né per Simon. Del primo non le importava assolutamente nulla, e del secondo sapeva già tutto ciò che c'era da sapere. Arrossì perché sentì Jace, al suo fianco, pianissimo per non farsi sentire da nessuno, emettere un leggero ringhio. Lo sapeva che Jace fosse geloso di lei. Glielo aveva dimostrato tante e tante volte. Ma saperlo e vederlo erano due cose completamente diverse.
L'altro stregone che era con Ragnor Fell, che secondo Clary aveva bisogno di perdere una tonnellata o due, batté la mano pesantemente sulla spalla di Simon, ridendo appena. «Vieni con me, ragazzo» gli disse con la sua voce cavernosa. «Mi è venuta una certa sete»
Simon le lanciò un'occhiata che sarebbe potuta apparire impaurita. E difatti era proprio così. Ringraziò il cielo per aver insistito per portare delle armi con sé. Sentì il freddo del metallo sulla coscia dove  un pugnale d'argento era infilato in una giarrettiera, così come la spada angelica non evocata nello stivale destro e lo stilo in quello sinistro.
 Clary li seguì silenziosa verso il bancone dove diverse fate stavano mescolando cocktail dai colori scintillanti. Lo stregone si avvicinò al bancone e si rivolse ad una fata dai capelli verdi come le foglie, lunghi fino alla vita che li teneva fermi con una fascia di rami intrecciati. «Scotch per me e un Queen Elizabeth per il mio amico, splendore.» lei sorrise e cominciò ad armeggiare con le bottiglie dietro di sé.
Simon sogghignò. «Date i nomi di regine ai Cocktail?»
Lui rise forte. «Solo ai migliori»
La fata verde porse un bicchiere dal lungo stelo a Simon. Il cocktail era rosso e corposo e, chiaramente, odorava di sangue. Ma c'era una nota metallica che Clary non riuscì a capire. Elegante, come in molti drink, una fragola era infilzata nel bordo del bicchiere.
Simon, con più autocontrollo di quanto Clary credesse, ne prese appena un sorso e fece un'espressione strana, per poi sorridere. «La Regina Elisabetta. Anche nota come la Regina vergine
Clary represse a forza un conato di vomito. Sangue di vergine. Sangue di una ragazza... Beh, come lei. Strappato con chissà quali mezzi perché un vampiro potesse avere un cocktail migliore. Clary era dell'idea che solo questo fosse sufficiente per arrestarli tutti.
Lo stregone rise di gusto, ingoiando il contenuto del suo bicchiere in un sol sorso. «Hai gusto, ragazzo!» gli disse battendogli un'altra volta la mano sulla schiena. «Il sangue delle vergini ha sempre quel qualcosa in più, vero?»
Simon bevve ancora dal suo bicchiere. «Si, direi di si»
Clary si girò appena per vedere Will che li stava fissando. Un'espressione divertita sul bel volto. Si rigirò stizzita, ignorando lo sguardo puntato su di sé.
«Benjamin» disse una donna bellissima, con lunghi capelli corvini, in un abito rosso elegante appoggiandosi con disinvoltura alla spalla dello stregone che avevano davanti. «Non mi presenti ai tuoi amici?»
«Certo» stringendole la vita le fece un baciamano perfetto. «Questa è Lady Aimee.» disse. Poi si rivolse a lei  «Lui è il nuovo uccellino di Camille, insieme ad una sua amica»
Aimee guardò Simon con un distratto interesse. «Devo dire che Camille ha un certo gusto.» sorrise affabile. Simon non si smosse di un millimetro. «Non si può dire lo stesso di te, mio caro.»
Ahi.
Clary non si scompose . In quel momento avrebbe potuto stravincere a poker per la facciata perfetta che stava tenendo.
«Oh non dire così, Aimee.» la rimproverò Benjamin con una leggera pacca sulla mano. «Trovo che per essere un mezzo folletto sia adorabile. E totalmente adatta ad un uccellino.»
Ecco perché Camille non aveva obbiettato sulla sua presenza. Perché sapeva che lei non sarebbe mai sembrata una Shadowhunter là in mezzo. Senza farsi notare girò leggermente il viso verso Camille, e la vedeva esporre Jace e Will come fossero due manufatti antichi da museo che si portava in giro. Era strano sentirsi così infinitamente piccoli e invisibili, dopo che appena qualche momento prima si era sentita così bella sotto lo sguardo di Jace.
Ciononostante, in quel momento non era una ragazza. Era una Nephilim in missione che voleva solo tornare a casa. I problemi di autostima li doveva lasciare da un'altra parte.
Nel frattempo, Lady Aimee e Benjamin li avevano condotti ad una serie di divanetti posti in fondo alla sala, facendo accomodare Simon su un divano nero con rifiniture rosso scuro. Lei, come gli avevano fatto notare, poteva stare comodamente in piedi con gli altri succubi mentre gli altri due si sistemavano alla sua sinistra.
C'erano già diverse persone sedute sugli altri divani.  Una mescolanza di stregoni, vampiri e fate che conversavano amabilmente su vari argomenti che risvegliavano l'interesse generale. Ogni tanto persino Simon prendeva la parola, dimostrandosi un attore migliore di quanto Clary avrebbe mai potuto pensare.
«..per non parlare degli accordi.» stava dicendo stizzita una vampira dall'aria esotica con una favolosa pelle color caramello. «Sono la più grande idiozia cui i Nephilim ci abbiano mai obbligato. Per carità.»
Simon corrucciò le sopracciglia. «Obbligato?» chiese, improvvisamente attento alle chiacchiere intorno a lui. «Credevo fosse un'alleanza.»
Benjamin rise di gusto ticchettando le dita sul bicchiere cristallino che teneva stretto fra le dita cicciottelle. «Oh, piccolo uccellino. Se l'ingenuità fosse una malattia, saresti morto da un pezzo.» prese un lungo sorso e fece schioccare la lingua prima di continuare. «Credi davvero che noi avessimo una qualche scelta? Che, dopo che i Nephilim ci hanno offerto un'alleanza, avessimo davvero la possibilità di rifiutare
A Clary venne in mente Il Padrino. Il console in nero, dietro una scrivania che diceva ai nascosti: Vi farò un'offerta che non potrete rifiutare. Si morse la lingua per non ridere.
«Continuo a non capire»
«Se avessimo rifiutato di stringere un'alleanza, saremmo sembrati ostili.» disse Lady Aimee, contemplando il suo vino rosso. «Sarebbe scoppiata una guerra tra Nascosti e Nephilim. Una guerra che, per quanto mi dolga ammetterlo, non avremmo mai potuto vincere.» prese un lungo sorso di vino. «Invece, accettando questa farsa, possiamo continuare a fare quel che vogliamo, finchè quei bastardi del cielo non lo scoprono»
Simon annuì sorridendo. «E se lo scoprissero?»
Metà di coloro che erano sui divanetti scoppiarono a ridere. «Ti prego, piccolo!» sospirò un uomo che sembrava sulla cinquantina. «Sono troppo impegnati a sentirsi importanti per dare conto a noi che infrangiamo quegli stupidi accordi.»
Clary accusò malamente il colpo. La conosceva bene l'opinione dei Nascosti sugli Shadowhunters. Magnus gliela aveva ribadita parecchio. E sottolineata. E mandato sms per ricordargliela. Non era bello essere lì, impotente, mentre quei deficienti deridevano lei e la razza a cui apparteneva. Per un momento gli ricordarono Valentine che disprezzava ciò che invidiava alla follia.
«A proposito di infrangere gli accordi» disse Benjamin asciugandosi gli occhi dalle lacrime. «Dov'è finito quel piccoletto di Cameron?»
La Shadowhunter tese bene le orecchie sull'argomento. «E chi lo sa?» fece una fata seduta accanto a Simon. «Magari sta ancora cercando di inventare l'incantesimo che lo farà diventare famoso come Merlino!» disse le ultime parole imitando una voce nasale, leggermente stridula da ragazzo non ancora cresciuto del tutto.
L'uomo sulla cinquantina sospirò. «Che bellezza. l'essere giovani e innamorati della fama e delle novità.» disse con aria malinconica. «Cameron potrebbe davvero farcela a compiere quell'incantesimo. È intelligente e decisamente testardo.»
Ditelo. Dite quale maledetto incantesimo sta cercando di fare.
Sarebbe bastata una sola parola e avrebbero finalmente saputo chi e cosa cercare.
«Bah» sbottò Benjamin. «A me sembra solo un ragazzino presuntuoso.»
Aimee fece un sorriso sottile. «E il fatto che sia l'allievo prediletto di Ragnor Fell non influisce minimamente sul tuo giudizio, immagino»
«Assolutamente» confermò Benjamin. «Anche io sono stato l'allievo prediletto di Ragnor. Non è una cosa così speciale.»
Dall'occhiata che molti gli rivolsero, Clary dubitò fortemente che fosse così.
Da quel momento cambiarono argomento di conversazione, passandolo a pettegolezzi amorosi di cui non le importava un fico secco. S'interruppero solamente quando sentirono un rumore stridente metallico per tutta la sala. All'improvviso delle spesse finestre di metallo lucido si sovrapposero a quelle delicate di vetro decorato. Con un sonoro Click anche le porte della sala si chiusero, bloccando tutti i partecipanti alla festa dentro.
«Nessuno uscirà da questa sala.» La voce di Ragnor Fell si sparse per tutta la sala, fredda e tagliente come la lama di un rasoio. «Fino a quando il Ladro non restituirà ciò che mi è stato sottratto.»

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Capitolo 14
*** XIII; Wandered on earth ***


I know that ghosts have wandered on earth.
Be with me always — take any form — drive me mad! [...]
I cannot live without my life! I cannot live without my soul!
E. Bronte

 

XIII
Wandered on earth


 

All'inizio sembrò quasi che Ragnor Fell non avesse aperto bocca.
Per un po' tutti continuarono a farsi gli affari propri, come d'altronde si fa di solito ad una festa. «Il solito esagerato» sospirò Aimee, posando il bicchiere di vino vuoto sul vassoio d'argento che un cameriere lì accanto le porgeva, per poi prendere un altro colmo.  «Magari non trova la bacchetta» disse Simon, scatenando una risata poco sobria generale.
Ma dopo qualche momento, la sensazione di essere in trappola cominciò a diffondersi negli invitati portando con sé diffidenza e rabbia.
La goccia che fece traboccare il vaso fu la collisione tra un soggiogato ed un cameriere.
In condizioni normali sarebbe finita con un paio di scuse balbettate o, al massimo, una piccola scaramuccia.
Se il soggiogato non fosse stato William Herondale.
«Brutto incompetente!» stava, difatti, urlando il ragazzo, strattonando il povero cameriere allibito per il bavero della camicia. «Se con la tua goffaggine avessi colpito Lady Belcourt ti avrei già ucciso.»
Come se gliene importasse davvero qualcosa. Pensò Clary stizzita. Dopo quasi due settimane aveva imparato a conoscere quando Will faceva qualcosa per farla o con fini più reconditi. Questa era decisamente la seconda. Ma il perché il caro signor Herondale volesse attaccare briga con un insulso cameriere le era ancora sconosciuto.
«Io..» stava provando a dire quest'ultimo, prima che la voce freddissima di Will lo interrompesse. «Tu cosa? sei un idiota? un incompetente?» elencò sprezzante. «Tutte cose che so già.»
Camille intanto si godeva la scena, alle spalle di Will insieme a Jace, senza intervenire. Clary provava il forte impulso di prenderla a schiaffi, e ne capì il motivo quando la vampira posò il una mano elegantemente inguantata sul braccio di Jace in una carezza.
Gli ospiti riuscivano sentire il suo sangue ribollire di rabbia, sotto le urla di Will?
Un collega del cameriere si era avvicinato, provando a far calmare Will. Il ragazzo disse qualcosa che nessuno riuscì a sentire nell'orecchio del cameriere. Subito dopo scoppiò la rissa.
I due camerieri si buttarono su Will con veemenza, bloccandogli le braccia e picchiandolo due contro uno. Jace, per un attimo, si godè la scena ma poi si voltò verso Camille, che annuì sorridente, e andò ad aiutare Will, scrollandogli di dosso i camerieri come se non pesassero più di qualche chilo.
Ma ormai il fuoco aveva cominciato a divamparsi. Non solo i camerieri, ma anche i baristi si erano uniti alla rissa, così come alcuni tra stregoni e vampiri, a poco a poco, vennero immischiati. In meno di dieci minuti la sala era diventata un campo di battaglia truculento in cui vecchi rancori e disprezzo mal sopito erano venuti a galla in quella che non sembrava la prima rissa che il Pandemonium Club affrontava.
Clary perse Simon di vista quasi subito dopo l'inizio di quel casino, quando il ragazzo era andato ad aiutare Will e Jace, ed era rimasta sola ai margini della sala, tentando di confondersi con la parete alle sue spalle. Si rese conto, con immenso stupore, che non erano solo gli uomini a darsele di santa ragione in quell'inferno di membra sanguinanti e carne lacerata, ma anche diverse donne, tra le cameriere e le invitate, stavano dando prova di immensa crudeltà. Difatti le parve di intravedere Lady Aimee con i denti infilati nel collo di uno stregone malconcio.
Il peggio, però, doveva ancora venire.
Cercando di evitare che uno dei divani le venisse addosso, quando un paio di vampiri lo lanciarono nella sua direzione, si scostò dalla parete e si avviò verso uno dei corridoi che conducevano alle cucine, adesso vuote. Occupavano una sala di poco più piccola della sala da ballo in cui si stava svolgendo la festa. Le ricordò la cucina della scuola, dove lei e Simon una volta erano stati mandati in punizione a pulire i piatti per aver messo dei sassolini nella minestra della prof di Algebra. Era stata colpa sua, comunque. Lei metteva insufficienze ingiustificate, loro le mettevano i sassolini nella minestra. Karma.
Il frastuono della sala le impedì di sentire i passi che l'avevano seguita fin giù. Lo sentì solamente quando l'estraneo la mise un braccio intorno alle braccia e una mano sulla bocca per impedirle di urlare.
«Era tutta la sera che mi lavoravo Aimee per divertirmi insieme a lei.» Le sussurrò una voce untuosa all'orecchio. La riconobbe all'istante e sgranò gli occhi, perché l'aveva sentita chiacchierare tutta la sera del più e del meno con Simon, rivolgendosi raramente a lei come folletto o come Ehy tu. «Per colpa del tuo amico dovrò accontentarmi di te» l'uomo se la rigirò tra le sue braccia, sempre tenendola stretta e mormorò qualche parola in una lingua che lei non conosceva. Dopo, le tolse le mano dalla bocca e Clary, più che per istinto che per paura, cominciò a urlare. Ma con orrore si accorse di non avere voce per farlo. «Incantesimo di silenzio»  le sussurrò con la bocca a qualche centimetro dalla sua e gli occhi piantati nei suoi. «Non che riuscirebbero a sentirti,con il casino che stanno facendo, ma non vogliamo correre rischi. Non è vero, folletto
 
D'accordo. Scendere nelle cucine da sola era stata una pessima idea.
Se ne rese conto sentendo lo sguardo di Benjamin su di se, un attimo prima che lui calasse con la bocca sulla sua, in un bacio che di passione non aveva niente e tutto aveva del possesso che lui voleva marchiarle addosso.
Quando Sebastian l'aveva baciata, sulle rovine della tenuta dei Fairchaild, l'aveva capito dopo qualche momento, con una stilettata di gelo che le era corsa nelle vene, quanto quel bacio fosse sbagliato. Nell'esatto momento in cui le labbra dello stregone avevano trovato le sue, fu assalita da una forte nausea nel capire quanto fosse sbagliato, ma che stavolta non poteva impedirlo. Perché Benjamin le teneva stretti i polsi con le mani e, avendola costretta a sedersi su uno dei tavoli ed essendosi posizionato a forza tra le sue gambe, facendole peraltro male, non riusciva a  muoversi per poterlo cacciare. Era in trappola e quando se ne rese conto le sfuggì, senza che lei potesse trattenerlo, un gemito di dolore di cui lui si approfittò per poter violentare la sua bocca con la lingua. E seppe che quello non era l'unico posto che lui avesse intenzione di profanare.
Le pose senza tanti preamboli una mano sul seno, tirando il vestito fino a che la ragazza non sentì la stoffa pregiata lacerarsi sotto le sue mani, mostrando così la camiciola sottostante. Clary non riuscì più a resistere e chiuse la lingua di lui tra i denti con forza, fino a quando non sentì il sangue inondarle, caldo e ferroso, la bocca.  Benjamin si staccò di scatto dalla sua bocca e Clary sorrise trionfante quando lo vide sputare sangue e pulirsi la bocca con la manica della giacca. Ma fu solo un attimo, prima che lo schiaffo la colpisse forte in pieno viso. «Stupida puttana.» le sibilò sul viso, stringendola forte nelle spalle mentre lei si dimenava per raggiungere gli stivali. Se solo fosse riuscita ad arrivare alla spada angelica.. «Vedi di stare ferma e buona, altrimenti potrei smettere di essere gentile
Se avesse avuto la voce, il suono della sua risata acida sarebbe arrivato anche al piano superiore, sopra  il frastuono della rissa che ancora le arrivava sommesso alle orecchie.
Questa volta la bocca di lui le raggiunse il petto, strappando coi denti la stoffa del vestito e la camiciola, lasciandole scoperti i suoi piccoli seni. Non poteva vederli per via della poca luce che c'era nelle cucine. Ma sentiva il fiato caldo dello stregone su di essi e, dopo, la bocca di lui a tormentare quello sinistro. Le lacrime uscirono da sole, senza che lei se ne accorgesse.  L'unica cosa che riusciva a pensare era Non così. Per l'Angelo, non così.
Solo quando lo sentì staccarsi dalla sua carne tornò a respirare. «Adesso stai ferma» le sibilò duro all'orecchio. Le lasciò i polsi, ma continuava a tenerle ferme le gambe ripiegate dolorosamente sotto il tavolo, cosicché non riuscisse comunque a muoversi o a raggiungere gli stivali. Lo sentì distintamente sbottonare i pantaloni e il tonfo sordo che fecero quando caddero sul pavimento.
Subito dopo, sentì quelle stesse mani sulle sue cosce. Clary le chiuse distinto, facendosi molto male quando lui le strinse la carne in una morsa d'acciaio per farle riaprire. Tentò di urlare, tento di piangere, tentò di cacciarlo via. Tutto inutile. Lo sentì alzarle la gonna e chiuse gli occhi. Se doveva sentirlo, almeno non voleva vederlo.
Quando non sentì più le mani su di sé, la prima cosa che pensò fu che stesse facendo un qualche incantesimo di contraccezione. Ma poi le venne in mente che gli stregoni sono sterili, quindi aprì gli occhi. Vide una luce di cui prima non si era resa conto e, a tenerla in mano, poggiata su delle lunghe dita da pianista, c'era Jace. Benjamin era stato scagliato a terra e coi pantaloni calati fino alle caviglie. Jace stava fermo e in piedi sulla porta, a guardare lo stregone con sguardo allucinato e poi lei e poi di nuovo lui. Si riscosse quando Benjamin tentò di rialzarsi in piedi e si mosse di scattò per prendere le armi nascoste nella giacca.
Clary, stavolta, fu più veloce. Prima che Jace potesse mettere mani alle armi Clary aveva già sfilato Sitael dagli stivali e l'aveva evocata, notando con piacere che non serviva la voce affinché gli Angeli l'ascoltassero. La luce della spada angelica le gettò dei riflessi bianchi sul petto, facendo luce sui marchi scuri che fino ad allora erano stati nascosti dal buio. E i marchi scuri sul suo petto furono l'ultima cosa che gli occhi di Benjamin videro, prima che lei gli piantasse la spada angelica nello stomaco.  La sfilò, gocciolante di sangue e la conficcò di nuovo all'altezza del petto. Benjamin la guardò allucinato prima in viso e poi di nuovo sul seno, prima di accasciarsi a terra come un bambolotto a cui sono stati tagliati i fili.
Non era la prima volta che uccideva un nascosto: Due mesi dopo che il suo addestramento era iniziato, aveva accompagnato gli Shadowhunters di ruolo in una retata in un covo di lupi mannari che vendevano polvere di fata. Per i  nascosti e gli Shadowhunters non era nociva, dava solo una forte sballata, ma ai mondani a cui l'avevano venduta aveva causato una reazione fortissima, seguita sempre da una morte dolorosa. Quando erano andati a fermarli ed ad arrestarli, alcuni avevano afferrato la roba ed erano scappati, ma molti altri di loro avevano contrattaccato. Un grosso lupo era arrivato alle spalle di Clary e l'aveva atterrata, e lei, prima che potesse accorgersene, gli aveva piantato un pugnale d'argento nello stomaco. Mentre moriva, il lupo aveva ripresola sua forma umana e Clary aveva visto nei tratti del suo viso qualcosa che gli aveva ricordato Luke. E se anche lui fosse stato il padre di qualcuno? E se qualcuno lo avesse amato nella maniera in cui lei amava Luke?
Era corsa fuori dalla casa e non era riuscita a fare due passi prima che le gambe le cedettero e che vomitasse sull'erba fresca del giardino. C'erano volute tre settimane prima che Jace le facesse riprendere l'allenamento, ma solo perché Jace sapeva essere dannatamente insistente.
Ma in quel momento, mentre il corpo di Benjamin perdeva la vita, Clary non si sentì nauseata. Solo un freddo disprezzo che non era assolutamente da lei. Ma, come pensò dopo, forse tutte le donne nel suo caso si sentivano così.
Sitael cadde a terra con un tintinnio, senza nessuno che la tenesse. Si girò verso Jace ancora piangendo, incapace di smettere, e si gettò tra le braccia del ragazzo, che le aprì d'istinto per accoglierla. Gli inumidì la camicia di lacrime e moccio mentre lui le accarezzava i capelli, piano, e le mormorava frasi sconnesse e parole dolci per farla stare meglio. Clary non seppe quanto tempo rimasero in quella posizione: Lei a piangergli addosso e lui ad accarezzarla e mormorarle che andava tutto bene. Il tempo tornò a scorrerle addosso solo quando si staccò dal suo petto, ora umido, e lo guardò in viso, tirando su col naso. Lui scese piano con lo sguardo dai suoi occhi arrossati al suo petto, facendole ricordare all'improvviso di avere il vestito divelto quasi fino allo stomaco, e di avere quindi il seno esposto al poco chiarore della stregaluce di Jace.
E si rese conto in quel momento che il primo uomo ad aver fissato il suo seno nudo era stato Benjamin. La nausea l'avvolse stretta fra le sue spire, mentre tentava di coprire con quel che rimaneva del suo vestito il petto. Jace le fermò le mani con delicatezza, si tolse la giacca bianca e gliela gettò sulle spalle, chiudendo a uno a uno i bottoni di madreperla. Arrivato all'ultimo bottone, appena sotto la sua gola, un'imprecazione sfuggì dalle sue labbra. «Avrei tanto voluto che la prima volta che ti avessi visto mezza nuda fosse diverso.» le sussurrò, piano, con delicatezza, come se stesse tastando il terreno.  Clary, forse per nervosismo o forse perché Jace le parole proprio non sapeva usarle nel modo giusto in certe situazioni, tese le labbra in un sorriso e aprì la bocca per dire qualcosa, constatando che anche dopo la morte dello stregone l'incantesimo permaneva.
Si indicò la gola e aprì la bocca, emettendo un fiato roco. Chissà come, Jace capì. «Gli altri sono riusciti a uscire» le disse, senza smettere di tenerla stretta. «Camille conosceva una falsa finestra non chiusa. Io sono tornato a cercarti.»
Il suo sguardo si inondò di tenerezza, e seppe che lui l'aveva visto anche alla poca luce della cucina.
«Usciamo fuori da questo inferno.»
 
Ora moriamo.
Clary si morse la lingua per reprimere quel pensiero fuori luogo. Jace le aveva detto che Camille aveva fatto chiudere la finestra, dopo che erano usciti tutti, per non far scappare nessun'altro dalla festa. Quindi, dovevano usare un'altra via per uscire.
La ragazza aveva capito esattamente come quando il ragazzo la condusse per le scale al piano di sopra, verso il terrazzo.
Era quasi l'alba quando uscirono all'esterno. Un chiarore rossastro si stava spandendo nel cielo con lentezza, impedendo così ai vampiri di usare quest'uscita.
Poi, appena arrivati al cornicione, Jace la strinse così forte che a Clary sfuggì un altro gemito di paura, allontanandosi di scatto. «Scusa» le disse, mentre una rabbia fredda gli passava nello sguardo. «Ma devo, se non vuoi cadere»
Clary strinse i denti e si accoccolò sul suo petto. Quindi, Jace saltò.
Se la ragazza avesse potuto urlare, probabilmente quel suono le avrebbe bucato le orecchie. Clary vide il mondo muoversi a una velocità mortale attorno a sé, e l'aria fredda arrivarle sulla pelle come se avesse aperto il finestrino mentre andava a cento all'ora. Chiuse gli occhi, conscia che sarebbe morta appena toccato terra, e invece fu la voce di Jace a farle sapere che erano ancora vivi e fermi sul prato Londinese che circondava la tenuta di Ragnor Fell. «Siamo ancora vivi, puoi smettere di fare l'idiota.»
Clary gli lanciò un'occhiataccia, mettendo bene in chiaro chi fosse l'idiota tra loro due. Al che Jace sorrise come un perfetto idiota, conducendola attraverso il giardino verso il retro della casa. Camille stava in piedi, discutendo con Simon di solo Dio sa che cosa, mentre Magnus tentava di ignorarli al fianco di Will, che per sua natura, continuava a ignorare tutti fino a quando non li scorse arrivare da dietro la casa.
«Finalmente» borbottò. «Se avete finito di fare i piccioncini in privato credo che possiamo anche andarcene»
Clary e Jace gli lanciarono un'occhiataccia coordinata, facendolo stare zitto. Poi il ragazzo si rivolse a Magnus. «Le hanno fatto un incantesimo di silenzio. Puoi fare qualcosa?»
Magnus neanche la guardò, lo sguardo fisso su Camille e Simon, ma mosse la mano con un gesto sprezzante, lasciando cadere nell'aria fredda del mattino qualche scintilla azzurra, e Clary sentì come se una grossa sciarpa pesante le fosse stata tolta dal collo. «Grazie» disse, con la voce ancora un po' roca.
Magnus scrollò le spalle. «Andiamo via?»
«Ottima idea» convenne Will, gettandosi la giacca sulle spalle e andando a recuperare i due vampiri chiacchieroni.
Lo sguardo di Jace si era fatto sottile. «Magnus»  lo stregone si voltò. «Cos'è stato rubato?»
Magnus sospirò. Clary capì che stava per dire qualcosa che molto probabilmente avrebbe preferito tenere per sé. «Un libro di incantesimi. Ragnor Fell è geniale, davvero.» disse. «Inventa molti incantesimi di suo pugno» il suo sguardo si perse oltre gli alberi che circondavano la casa. «Anche molti sul tempo. Di solito blandi, come farlo scorrere più in fretta o più lentamente, a volte molto forti, come riuscire a fermare lo scorrere del tempo per diversi minuti su una persona.»
«Quanto forti?»
Gli occhi dello stregone scintillarono, posandosi su Jace. «Ragnor non è coinvolto, Nephilim. L'avrebbe sbandierato ai quattro venti già da un po' se così fosse.»
«Magari è ancora incompleto» suggerì Clary, facendosi avanti. «Il che spiegherebbe perché gli stregoni nel nostro tempo sono morti una volta usato il portale.»
Magnus annuì sovrappensiero. «Possibile, certo»
In quel momento arrivò la carrozza nera lucente dell'istituto e un'altra, di un bel rosso brillante al suo seguito. Camille, prima di avviarsi verso la seconda carrozza insieme a Magnus, fece loro un bel sorriso scoprendo i denti bianchissimi. «Come sempre, è stato un piacere.» disse mielosa. «Chissà, Will. Magari un giorno potremo andare ad una festa insieme senza che degeneri in un inferno»
Will sorrise di rimando, con una strana luce negli occhi. «Ne dubito, Madame
 
Nella carrozza correva un ovattato silenzio, nella quale ogni persona dell'abitacolo stava lentamente abituandosi alla quiete dopo la tempesta.
Il primo a riscuotersi fu Will, posando uno sguardo sottile alla giacca di Jace ancora avvolta nelle sue spalle. «Se le hai rovinato il vestito, Jessamine non te lo perdonerà mai.»
Clary avvampò di colpo. E la nausea tornò prepotente nel suo stomaco, impedendole la rispostaccia che avrebbe tanto voluto dargli.
«Non è che tu possa proprio parlare» disse Simon, ammiccando alla camicia di Will strappata in più punti e macchiata di sangue, con ogni probabilità non suo. «Non sono sicuro che il sangue si lavi facilmente.»
«Sono certo che sei un esperto di bucato, vampiro.»
«Si chiama Simon.» disse Jace, con sorpresa di Clary. «Solo io ho il diritto di chiamarlo con epiteti offensivi.»
Quello non la sorprese per niente.
Will lo ignorò palesemente. «Che hai fatto al vestito? Non ti ho vista nella mischia.»
Dio benedica Simon Lewis e tutte le future e passate generazioni di gente come lui. Pensò la ragazza quando Simon interruppe il discorso, evitandole di inventarsi una balla. Non ne aveva proprio voglia, di parlarne.
«Abbiamo un nome per quello stregone» disse.
Jace e Will si fecero immensamente attenti. «Che aspettavi a dircelo, idiota!» Will aveva quasi urlato. «Che arrivasse l'inquisizione spagnola?»
Simon lo ignorò, rivolgendosi a Jace, più propenso ad ascoltarlo che a prenderlo in giro anche se l'oro nei suoi occhi potevano sembrare saette pronte a incenerirlo.  «Cameron. Non sappiamo il cognome»
«Hanno detto che è l'allievo prediletto di Ragnor Fell.» aggiunse Clary, stiracchiandosi sul sedile. 
Will emise un sospiro. Sollievo? Esasperazione? «Diteci le parole che hanno detto: Con esattezza
Clary si schiarì la voce e riferì la conversazione a cui aveva assistito. Jace attese fino alla fine, ma quando Clary chiuse la bocca, scoppiò a ridere. «E sei stata tutta la sera a farti insultare senza dire una parola
La ragazza strinse i denti, mordendo l'umiliazione. «Già.» Aveva le lacrime agli occhi dal ridere, quel cretino.
Clary gli lanciò un'occhiataccia. «Smettila di ridere.»
E lui continuò. «Perché dovrei?» si piegò in due sul sedile.
«Vuoi seriamente che io ti uccida, Jace?»
Smise all'istante.
E cominciarono gli altri due.

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Capitolo 15
*** XIV; Worried about nothin' ***


Questo capitolo è dedicato alla mia migliore amica, Teresa.
A cui è dedicata anche l'intera storia.
Buon compleanno, amore mio.

No problem, my dear.
When you are with me you should be worried about nothin'.


Capitolo XIV
Worried about nothin'


«Sei preoccupata?»
Tessa girò il viso e sorrise al ragazzo che le si stava sedendo affianco. «Un po'» ammise, un po' a se stessa un po' a lui.
Jem le diede un delicato colpo scherzoso con il bastone sulla spalla. «Non dovresti.» la rassicurò. «Saranno qui a momenti.»
Tessa scosse le spalle, lo sguardo perso nelle ombre londinesi. Tenere a William Herondale era un lavoro duro, e  Jem poteva capirla meglio di chiunque altro. «Perché ho paura che abbia fatto una sciocchezza?»
«Perché è di Will che stiamo parlando. Fare sciocchezze è quello che gli riesce meglio» Un sospirò sfuggì dalle labbra di Tessa, congelandosi subito nel freddo della notte invernale. «Oltre, s'intende, al far uscire tutti fuori di testa.»
Lei sorrise appena. «Credo che se ne siano accorti anche i ragazzi del futuro.» disse.
Jem si passò il pomo di giada sotto il mento, con aria pensierosa. «Ho paura, Tessa, che ci sia qualcosa che non ci hanno detto.»
La ragazza voltò il capo verso l'amico. «Qualcosa di brutto?»
«Non necessariamente» asserì. «Ma qualcosa di importante sul perché siano arrivati qui.»
«Ma» cominciò lei. «Sono stati sottoposti alla spada mortale, no? Ho letto il codice: I cacciatori non possono mentire sotto Mellartach»
Jem annuì. «Anche questo è vero.» si sdraiò sui gradini puntellandosi sui gomiti. La luna gettava riflessi bianchi sulla sua figura facendolo sembrare uno schizzo a matita nera su un foglio bianco.
«Pensi che dovremmo parlare di quello che è successo?»
Tessa girò lo sguardo verso Jem, le guance già rosse e bollenti.
 
Quando nei romanzi aveva letto di bellissime fanciulle, usate e abbandonate, aveva letto che faceva male. Aveva immaginato, sentito sulla pelle e nell'anima, quanto facesse male.
Ma tutto quel dolore passivo che dalla lettura era passato sulla propria pelle non era assolutamente nulla in confronto a quello che provava adesso.
Sapeva esattamente come doveva sentirsi; Spezzata, incompleta, umiliata. Invece non sentiva nulla. Immersa nel vuoto e così lo fissava attonita quel vuoto, lasciando il tempo a scivolarle addosso senza uscire dalla stanza.
Accanto al suo letto giacevano diversi libri, chiusi e lasciati a impolverare. Forse per la prima volta in tutta la sua vita, non aveva voglia di leggere.
Colpi leggeri alla porta la riscossero abbastanza da farle girare il viso e vedere Jem entrare dalla porta, stagliando un rettangolo di luce nella stanza. Prima di parlarle, accese la torcia di stregaluce sul suo comodino. Era stata Charlotte a portargliela, un paio di giorni prima, sapendo che Tessa preferiva la luce della pietra runica che dava a tutto un'aria soffusa e misteriosa.
Poi le si avvicinò e si sedette sul letto. «Vorrei sapere perché hai deciso di diventare un'eremita in questa stanza, ma so che non me lo dirai»
Per qualche ragione le venne da sorridere. «Stai qui» gli sussurrò, quasi in una supplica. «Stai solo qui.»
Senza voltarsi, sentì il corpo del ragazzo spostarsi sul letto e avvicinarsi a lei, tanto che ne sentì il respiro caldo sulla nuca. «Per tutto il tempo che vuoi.»
«Puoi rimanere qui per sempre, allora?» eccole quelle lacrime che aveva trattenuto fino ad allora. Si sfogarono in sole due gocce, silenziose, che segnarono la strada sulle sue guancie.
Nella sua voce, sentì un sorriso. «Sempre» e dopo quel sorriso lo sentì sulle labbra, quando Jem le posò sulle sue. La sua bocca era fresca e dolce, come quei panini dolci che Sophie le aveva portato quella mattina, ma che lei non aveva neanche sfiorato. Fresca come la neve che aveva visto scendere dalla sua finestra. Con la voglia di uscire per sentirla sulla pelle, ma senza la forza per farlo.
Quando si staccò da lei, Tessa si aggrappò alle sue spalle. «Usciamo da qui» gli sussurrò con le labbra intrise del suo sapore.
Quando uscirono, la ragazza vide una figura emergere dal tenue chiarore del corridoio. Will camminò verso di loro coi i capelli bagnati: Segno che era appena stato sotto la neve. Le venne in mente quando l'aveva trovato fradicio d'acqua Santa in soffitta, e le sue guance si tinsero di rosso, sentendo il senso di colpa farsi spazio nelle sue vene per arrivare dritto al cuore. E prima che quel senso di colpa glielo fermasse, il cuore, voltò le spalle a entrambi i ragazzi e corse dalla parte opposta alla loro, facendosi spazio nell'istituto verso l'unico posto in cui si sentisse al sicuro: La biblioteca.
E, dopo aver chiuso la pesante doppia porta di legno, si rilassò contro la parete, esalando un sospiro di sollievo.

 
A eterno merito di Jem, non ne aveva fatto parola davanti a nessuno. Aveva come fatto finta che non fosse successo nulla, rimanendo sempre dolce e gentile come sempre. Tessa era così confusa che non sapeva bene dove orientare i propri pensieri.
Non sapeva chi fosse, né cosa volesse, né tanto meno chi volesse.
Ma non è una vera scelta. disse una vocina cattiva nascosta nella sua testa. Will non ti vuole. Te l'ha detto chiaramente.
Nei romanzi lo chiamavano Triangolo amoroso. Ma Tessa si sentiva più come in un baratro senza uscita. Ma pensò anche che baratro non fosse un termine troppo romantico.
«Mi dispiace» sputò di getto. «Da quando sono qui non ho fatto altro che rovinarvi l'esistenza» la voce le si ruppe. «Mi dispiace, Jem» ripetè, infine, crollando. «Mi dispiace davvero»
Sentì il tocco della sua mano prima ancora di avvertirlo fisicamente. «Ascoltami bene, Tessa.: Non pensare mai più una cosa del genere.» le intimò, con voce più dura di quanto Tessa si sarebbe mai aspettata dal ragazzo. «Mai più» si fermò qualche istante, in cui lo sguardo gli scivolò dagli occhi verso le sue labbra. «Siamo Shadowhunters. La vita normale non fa per noi. A ben pensarci, una vita senza problemi, con tutto questo potere, sarebbe piuttosto noiosa. Non ti pare?»
Ed eccola lì, la vera somiglianza tra Will e Jem. Entrambi, con poche parole, erano capaci di sconvolgerle il mondo.
Una forte luce li inondò, avvertendoli così che la carrozza dell'istituto era appena passata dal cancello nero e si stava fermando nell'immenso cortile.
Will scese dalla carrozza, appena le ruote si fermarono,  con un salto elegante, atterrando sulla neve fresca. «Vi siete persi una gran festa» disse loro avvicinandosi. «Chiacchiere socievoli, ottime bevande, una rissa, persone deliziose...»
«Non ti sentire un gran figo.» Jace Lightwood camminava con leggerezza nella notte, avvicinandosi a Will. Tessa si chiese se tutti i cacciatori si assomigliassero così tanto o se riguardasse solo Will e Jace. «Se non ci fossi stato io ti avrebbero fatto a pezzi.»
Will fece un gesto sprezzante. «Quando?  Quando corrompevi le virtù della cara Clarissa o quando avevi paura di rovinare la giacca?»
«Fossi in te smetterei di parlare della virtù della mia ragazza finchè hai ancora l'abilità di parlare.»
La chiamata in causa diede uno schiaffo alla nuca bionda di Jace, arrivando insieme al vampiro Simon, così forte che anche Tessa sentì il colpo. «Fossi in voi smetterei di parlare e basta» disse lei. «Tanto non esce mai niente di sensato dalle vostre bocche»
«..Io non ne sarei così sicuro» Disse Will, con un sorriso sottile. «Sai, ho ricevuto diversi complimenti...»
Clary lo fermò con un gesto della mano. «Visto? Niente di sensato.»
Per la prima volta da quando era arrivato, Will porse lo sguardo a Tessa. Il suo sguardo la percorse tutta, dalle scarpette di raso ai capelli raccolti sulla nuca, fino ad arrivare alle mani di Jem sul suo viso. «Io vado dentro» disse. E sparì oltre la porta.
Simon scosse le spalle nel freddo della notte londinese. «Quello lì ha dei seri problemi»
Tessa sentì lo sguardo di Jem addosso, mentre fissava il punto in cui Will era appena sparito. «Concordo»
 
Isabelle stese le lunghe gambe sul pavimento, stendendo i muscoli. «Quindi, abbiamo un nome per il nostro piccolo Houdini  ed una carica» sbadigliò. «Oltre ad avere la conferma che Camille sia una poco di buono»
La voce di Alec arrivò sonnacchiosa da dietro il letto. «Non avevo bisogno di conferme» indossava una giacca e pantaloni scuri, con sopra un panciotto tenuto slacciato che gli dava un aria romantica, insieme allo sguardo triste dei begl'occhi azzurri.
Clary non si era cambiata. Indossava ancora il vestito strappato e la giacca di Jace sopra di esso. Non riusciva a stare seduta: continuava a fare avanti indietro per la stanza di Isabelle sentendo perfettamente addosso lo sguardo di Jace, seduto sulle gambe di Alec, che la seguiva passo per passo. «Così non abbiamo risolto niente!» strillò ad un certo punto Clary, incapace di trattenersi. «Abbiamo un nome stentato detto da alcuni ubriachi, a cui ci ha condotto uno stregone a quanto pare non molto affidabile!»
Un mugolio arrivò dalla figura di Alec, ma non aggiunse nulla. Da quando era spuntato Magnus in quella storia Alec si era come bloccato. Riusciva solo a fare ricerche e assentire. Non era mai stato un tipo molto loquace, ma adesso parlava solo in presenza di Jessamine, e solo perché era impossibile tacere sempre quando qualcuno di parlava a raffica.
«Lo sappiamo, Clary» Jace si alzò e le pose le mani sulle spalle, fermandola. Clary le scosse levandoselo di dosso. Uno sguardo ferito passò nei suoi occhi dorati, ma fu solo un secondo prima che lo sguardo da stronzo riprendesse il sopravvento.«Ma è qualcosa! Fino a ieri non avevamo nulla»
Clary guardò Jace, poi volse lo sguardo a Isabelle e ad Alec, stesi sul letto. La sua nuova famiglia, con Simon al piano di sotto nel rifugio. Abbassò lo sguardo. «Scusate» disse con voce flebile. «Ho bisogno di un po' d'aria.»
Non aspettò una risposta. Afferrò un paio di fogli e una matita e scappò dalla stanza prima che qualcuno potesse seguirla.
Si fermò quando i suoi stivaletti toccarono la neve fresca, appena caduta.
Camminò nel freddo della notte, consapevole che era sola per la prima volta da settimane. Era bello poter pensare senza nessuno attorno. Si stese su una delle panchine di pietra e posò i fogli sulle gambe, sentendo il freddo della neve passarle attraverso le calze sottili, dritto alle sue terminazioni nervose. E tirò un sospiro di sollievo.
Solo dopo ebbe paura.
Per l'ultima volta che era rimasta sola.
Scattò in piedi e, chinandosi a prendere il foglio lasciato sulla panca, si accorse che qualcun altro era venuto a cercare un po' di tranquillità lì fuori.
Will si avvicinò silenzioso e si sedette sulla panchina di pietra, vicino a lei. «Avresti bisogno di dormire, sai? Sembri messa male»
«Senti chi parla.»
Il ragazzo ghignò. «E' impossibile per me apparire meno che splendido»
Clary non rispose, consapevole che, se avesse aperto bocca,  avrebbe maledetto il DNA per aver reso Jace così uguale a quel ragazzo dai capelli neri e gli occhi azzurri. Così diverso da lui fisicamente, ma così uguali dentro.
Ed essendo così uguali dentro, Clary sapeva benissimo -le battute acide, l'esaltazione di sé, la voglia di solitudine- che Will stava decisamente male in quel momento, e che sarebbe morto prima di ammettere di aver bisogno di aiuto.
Quindi non se ne andò. Si rimise seduta bagnandosi tutto il vestito e la schiena. Tanto, pensò, era già bello che rovinato.
«Sai, se ti sforzassi andresti molto d'accordo con Jace.» gli disse. «Potreste sciorinarvi in elogi sulla vostra persona fino alla nausea.»
Lo sguardo di Will era perso nel vuoto. Chissà dov'era la sua mente contorta. «Le persone uguali si respingono, Clarissa.»
Clary si trovò a non poter essere più d'accordo, e più di una volta questo discorso le aveva dato da pensare.
Cosa c'entravano lei e Jace?  Jace era un cacciatore esemplare, lei al massimo riusciva a non cacciarsi nei guai, quando ci riusciva. Lui era splendido, alto e affascinante, Clary era una bambolina di pezza. Lui le citava intere poesie d'amore, lei a malapena riusciva a dirgli che l'amava.
Ma Clary era follemente innamorata di quell'idiota biondo cenere. Se ne era resa conto ad Alicante, a casa di Amatis, quando gli aveva tirato i piatti addosso.
Non era certo stata l'occasione più romantica del mondo. Ma ci sono momenti, nella vita, in cui ci si accorge che la persona che ci fa incazzare più di tutti, è quella che ami alla follia. Tirandogli il secondo piatto aveva realizzato che nessuno l'aveva mai fatta incazzare tanto e che non avrebbe mai amato nessuno, quanto amava lui.
E, per quanto fosse una cosa sciocca e decisamente insensata, Clary sapeva che Jace provava lo stesso per lei. Lo sentiva nelle sue mani, quando la sfiorava. Lo sentiva nella sua voce, quando le parlava. E nei suoi occhi quando le urlava contro.
L'amore è decisamente un sentimento bizzarro.
«Allora, Tessa è uguale a te?»
Forse era meglio tenere la bocca chiusa.
Will scattò con la testa verso di lei. «Non parlare di Tessa.» sibilò, cattivo fissandola negli occhi. Forse era la tempesta in quegli occhi azzurri, forse l'acredine nella voce, forse le mani contratte lungo i fianchi, forse era tutto l'insieme che fecero scattare in Clary una reazione di difesa. Scattò in piedi, stranamente senza inciampare sui propri piedi, e si portò a debita distanza dal ragazzo, la mano poggiata sul fianco a pochi centimetri dallo stilo.
L'espressione di Will rimase incollerita, anche se sembrava piuttosto confusa. Il ragazzo rimase comunque seduto sulla panchina di pietra, fissandola per qualche minuto, poi alzò le braccia al cielo. «Per l'Angelo, non ho intenzione di farti del male! La gente non si infuria nel XXI secolo?»
Clary sentì il nodo che provava alla gola sciogliersi a poco a poco, e quando la sentì finalmente libera, parlò. «Mi dispiace. Sono stata inopportuna» Cominciava a pensare di essersi trasformata in una bambolina inerme.
Will sembrò valutare se stesse parlando sul serio, poi fece un gesto scocciato con la mano. «Tessa non è uguale a me.» disse, senza guardarla. Lo sguardo perso nella piccola foresta che sfioccava dietro l'istituto. «Tessa è come un romanzo» disse ad un certo punto.  E Clary seppe che quelle parole che stavano per uscire dalle labbra di Will non le aveva mai ascoltate nessuno, men che meno Tessa, e con altrettanta certezza, sapeva di dover prendere un foglio e la matita per fermarle nel tempo. «È avvincente, è romantica, è divertente. È passionale, è sagace, tenta di correggerti sempre. È una continua sorpresa, ad ogni nuova pagina. E, chiaramente, è il tipo di romanzo che non vorrei finire mai. Da leggere ogni volta come fosse la prima»
Clary rimase in silenzio qualche minuto, passando la matita sul foglio. Il disegno le si era già creato nella testa, ad ogni emissione di fiato del ragazzo: bastava solo passare lì il carboncino, più in basso qualche linea..
Quando alzò lo sguardo su di lui, William Herondale era sparito.

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Capitolo 16
*** XV; Gives you pleasure ***


Author's corner: Quarto Liceo scientifico: Dico solo questo. Happy CoLS Day!

Think only of the past as its remembrance
gives you pleasure
J. Austen

Capitolo XV
Gives you pleasure


Quando tornò nella sua camera, vi trovò Jace. Aprì la porta silenziosamente con gli stivaletti alla mano - li aveva sfilati per via del rumore dei tacchetti sul pavimento- ed era entrata nella stanza buia. Lui era in piedi e camminava avanti e indietro per la camera, passando ogni tanto le mani tra i capelli biondi. La stava aspettando.
Jace, da cacciatore esperto qual'era, aveva i sensi più sottili e sviluppati che Clary avesse mai visto. Secondi, per quanto le dolesse ammetterlo, solo a quelli di Valentine. Ma, quando si trattava di lei, Clary sapeva che Jace si faceva distrarre da qualunque cosa la riguardasse. Per questo, preoccupato per lei, non si era ancora reso conto che lei era lì, con lui.
Dove sarebbe rimasta sempre: Al suo fianco.
Quindi, prese fiato. «Jace» Il ragazzo si fermò all'improvviso, con le mani ancora tra i crini biondi, e lentamente voltò il viso verso di lei. Una marea di emozioni gli attraversò il volto: Sollievo, rabbia, esasperazione, felicità, tristezza. Tutte insieme le vennero incontro, quando lui corse ad abbracciarla.
Quando lui sospirò di sollievo, il suo fiato le solleticò il collo, facendola ridere. Lui le mormorava parole all'orecchio, ma erano troppe e troppo veloci perché lei potesse capirle. Sicuramente, volevano rassicurarla, farla stare bene. Ma l'unica cosa che poteva farla stare bene era stare lì, tra le sua braccia forti e calde, a sentire il battito accelerato del suo cuore. Jace aveva lo stesso odore che aveva la prima volta: Sapone e limone. Ma, insieme a quello, c'era un aroma di sottofondo, più delicato e fragrante.
Era profumo d'amore.
Dopo un tempo che le parve troppo breve, lui si staccò da lei. Le sembrò che le avessero strappato una gamba o un braccio. «Ti ho cercata ovunque» disse infine, con uno scintillio freddo negli occhi. «Ovunque» ripetè. «All'aperto, in cucina, nella sala dell'arte, in ogni stramaledetta stanza di questo maledetto istituto!» La sua voce era dura, ma ferita. «Dov'eri?»
Clary aprì la bocca per ribattere con acidità. Erano affari suoi, con chi era. Ma quando fece per dare la sua acidissima risposta, vide di nuovo quel lampo ferito negli occhi di Jace.
Era talmente assurdo che le venne da ridere. Jace, grande e grosso com'era, si comportava come un deficiente geloso perché era un gran cretino insicuro.
Ingoiò il veleno che le opprimeva la gola. «Jace» disse, con calma. «Ero nel giardino sul retro, avevo bisogno di pensare.»
«Ed era con Will, che avevi bisogno di pensare?» l'acidità nella sua voce le fece fare un passo indietro. Come si permetteva a parlarle così? Ora la risposta acida non se la sarebbe evitata per niente al mondo. Ma, prima che lei potesse dire qualcosa, lui l'abbracciò di nuovo. «Scusa» le mormorò con disperazione. «Scusa. Scusa. Scusa.» continuò a ripeterlo per un eternità e, ogni volta, il nodo che sentiva in gola si sciolse un po' di più. «Scusa» ripetè, e Clary seppe che era l'ultima. «Quando ho visto che neanche Will era nella sua stanza, ci ho visto rosso.»
«E' capitato lì per caso. Abbiamo parlato un po' e se né andato.» disse Clary. «Avevo bisogno d'aria fresca. Mi sentivo in trappola.»
Lui si scostò immediatamente, per lasciarle aria. «Ehy!» disse, tornando ad abbracciarlo. «Non così tanta aria!»
La sua risata le scosse il petto. Jace le pose un dito sotto il viso, per sollevarglielo con delicatezza. Quando la baciò, lo fece con immensa delicatezza, posando le sue labbra sulle sue come se le stesse posando su un vaso di cristallo delicato.
La baciò con infinita delicatezza e dolcezza, e ben presto a Clary non bastò più. Fermamente, ma dolcemente, lo mandò a sedere sul letto e si sedette a cavalcioni su di lui. I suoi capelli rossi facevano da velo intorno a loro, come a dividerli dalle brutture del mondo esterno. Non si era mai sentita così al sicuro, come tra le sue braccia.

C'era Jace, sul suo letto. Dormiva con ancora il vestito elegante addosso. Aveva però ancora addosso il panciotto scuro slacciato, le cui falde si aprivano sul petto ampio del ragazzo. Clary non ricordava di averlo mai visto così sereno e rilassato. Forse perché non si era mai soffermata a vederlo dormire.
Si ritrovò ad immaginare un piccolo Jace, steso sulle coperte dell'istituto, con i riccioli che gli ricadevano sul viso, troppo lunghi per non farlo, e i pugni già forti che si stringevano con forza sulle coperte quando stava facendo un brutto sogno. O magari con Alec lì affianco, steso dal lato opposto del letto dando la schiena a Jace.
Clary era ancora sveglia, al suo fianco. Non riusciva a dormire, aveva troppa adrenalina in circolo. Così era rimasta lì guardarlo prima addormentarsi, e poi dormire. Un idea le passò come un lampo nella testa. Probabilmente Jace non glielo avrebbe perdonato. Il più delicatamente possibile, si alzò dal letto. Jace non si diede nemmeno la pena di essersi accorto che lei si fosse alzata. Prese da terra il plico di fogli che aveva portato con sé, arrotolò il disegno di Will e lo pose sulla scrivania, scoprendo un foglio bianco.
Il sole era sorto quando posò la matita.
Molto probabilmente l'avrebbe pagata cara la notte in bianco, ma soffiando sul foglio per togliere i rimasugli di grafite e osservando Jace dormiente sul proprio letto, Clary pensò che ne fosse valsa la pena. Quindi si alzò e andò nel bagno adiacente. Si tolse finalmente di dosso il vestito e lo gettò con poca grazia in un angolo della stanza. Abbandonò la giacca di Jace sul pomello della porta. Si sciacquò e si infilò il suo pigiama improvvisato. La stanchezza le pesava addosso come un mantello di piombo sulle spalle, così quando uscì dalla stanza e si gettò sul letto, nel poco spazio che il corpo di Jace le lasciava, il sonno la prese immediatamente.

A svegliarla fu un urlo.
Clary scattò seduta, in preda al panico e vide Jace, con lo sguardo ancora appannato dal sonno, già in piedi e con le mani su una spada angelica.
Dopo qualche secondo si rese conto che più che un urlo era uno strilletto, decisamente femminile.
Era Sophie. Appoggiata allo stipite della porta, con le mani alla bocca e un'espressione sconvolta sul viso, mentre li fissava.
Clary seguì lo sguardo della cameriera su di sé, e si scoprì con solo la camiciola e i mutandoni vittoriani addosso, come aveva dormito tutte le notti nel XIX secolo. Una spallina della camiciola si era scostata ed era scesa lungo il suo braccio, lasciando scoperta più pelle di quanto fosse opportuno in quell'epoca. In qualsiasi epoca. La rimise a posto, mentre le sue guancie si tingevano di rosso. «Sophie, non è come credi» cominciò a dire lei, mentre Jace si rilassava e si gettava di nuovo seduto sulla poltrona. «Non ci siamo resi conto..»
Ma Sophie non seppe mai di cosa non si erano resi conto. La cameriera si schiarì la voce, recuperando da terra gli asciugamani che aveva lasciato cadere. «Vado a prendervi degli altri asciugamani» e sparì oltre la porta.
Jace ridacchiò. «La pagheremo cara, questa.»
Clary gli lanciò un'occhiataccia. «Che c'è?» fece lui, guardandola di sottecchi. «Molte donne pagherebbero con moneta sonante pur di avermi nel loro letto, sai?»
Clary gli lanciò un cuscino.
Quando arrivarono nella biblioteca, dove una Sophie mezza sconvolta aveva detto loro di andare, diverse paia di occhi si puntarono su di loro. L'unico a cui non sembrava importare l'immensa figuraccia dei ragazzi era Alec, che se ne stava sdraiato su uno dei sedili con gli occhi chiusi e le mani intrecciate sullo stomaco. Se Clary non avesse visto la tensione con cui teneva strette le mani, avrebbe giurato stesse dormendo.
I due ragazzi si sedettero tranquillamente facendo finta di niente. Ma, ovviamente, se c'era l'opportunità di metterli in imbarazzo, poteva non essere colta?
«Sai, Clarissa?» Avrebbe dovuto aspettarselo che Izzy volesse vendicarsi per la sua ultima runa. «Sei terribilmente pallida. Hai dormito bene, stanotte?»
Jessamine, seduta al fianco della ragazza, si stava sistemando i guanti color crema. «Oh. E io che credevo avesse sempre quell'aspetto»
Clary le ignorò, rivolgendosi a Charlotte che, per quanto fosse un adulta e una Nephilim, aveva anche lei uno sguardo severo. «Sappiamo qualcosa di questo Cameron?»
Lo sguardo dell'istitutrice si addolcì un po' «Molto poco» disse. «Come ci hai detto tu per adesso è l'allievo prediletto di Ragnor Fell, ma lo stregone ne cambia uno ogni due mesi. Abbiamo scoperto grazie agli archivi che è stato registrato come stregone di recente, quindi non deve avere di più di venti - venticinque anni di vita. Il suo segno distintivo sono delle ali nere, ma pratica periodicamente un incantesimo per nasconderle.»
Ali nere.
Clary lasciò cadere la testa sul tavolo. Il colpo della sua testa contro il legno fece un gran rumore. Ecco che voleva dire sua madre quando le diceva che aveva la testa dura. Fece per spostare il capo ma una fitta di dolore glielo fece lasciare lì dov'era.
Dove sarebbe rimasta anche lei. Lì dov'era.
«Clary!» Jace le alzò la testa, facendola posare sul morbido del sedile dietro di essa. «Clary, ci sei?»
«L'avevo detto io che non aveva una bella cera..»
Clary si riscosse dal torpore «Ali nere» mormorò, quasi a imprimere meglio quelle parole sulla lingua.
L'oro negli occhi di Jace era fuso di preoccupazione. «Si. Ali nere. Cosa c'è?»
Al posto di rispondere, Clary si alzò e si diresse verso la sua camera, facendo cenno a Jace di non seguirla. Tornò qualche momento più tardi, con un disegno che aveva fatto uno dei primi giorni in cui era arrivata. Raffigurava la stanza di pietra grezza in cui c'erano i cadaveri degli stregoni e la statua nera che li aveva condotti lì. L'aveva fatto per tentare di capirci qualcosa, per cercare quel particolare fuori posto che li aveva condotti fin lì. Finora, comunque, non aveva avuto successo.
Posò il disegno sul tavolo, posando un dito sullo stregone più vicino all'entrata, con un lucente paio di ali nere aperte a ventaglio sul pavimento. «Ali nere.» concluse, piatta.
Se Cameron era uno degli stregoni morti nel XXI secolo, non avevano più niente. E tutto quello che avevano fatto fino a quel momento era stato inutile.
Gli altri Nephilim si erano chinati sul disegno. «Ma non è possibile!» disse Charlotte ormai esasperata. «Magnus ha detto di averlo visto dopo che voi siete arrivati in questo secolo.»
«Deve aver inscenato la sua morte» concluse Jace. Clary immaginò le rotelle nel suo cervello girare all'impazzata. «Ma perché? Si è reso conto che le ali nere sono fuori moda?»
«Starà scappando da qualcuno» propose Clary. «Oppure non voleva fare da cavia per l'esperimento, e ha dato le sue sembianze ad un altro stregone.»
«Direi che non aveva torto» disse Izzy che si controllava i capelli in cerca di doppie punte. «Tutti gli altri sono morti»
«Ma noi no»
Tutti si voltarono verso Alec, silenzioso come un topolino fino a quel momento. «Noi no» ripetè. «Siamo vivi e illesi. Simon è sopravvissuto, ma ha perso la memoria. Gli stregoni, invece, sono morti»
Clary si diede della stupida per non averci mai riflettuto sopra. Si chiese se fosse a questo che stava pensando Alec, ma molto più probabilmente i suoi pensieri erano diretti verso orizzonti meno pragmatici.
Charlotte annuì. «Dev'esserci qualcosa collegato alla razza o al sangue.»
La porta si aprì all'improvviso, così inaspettata che Clary saltò sulla sedia per lo spaventò. Entrò Luigi De Luca, lo Shadowhunter di guardia a Simon insieme a Gabriel. «Scusate l'intrusione» Clary non l'aveva mai notato fin'ora, ma aveva un adorabile accento mediterraneo. «Io e Gabriel ci siamo accordati sui turni di guardia»
Charlotte annuì, grata. «Si, arrivo.» e si alzò per andarsi a sedere in un altro tavolo per discutere con Luigi.
Isabelle si chinò si sporse oltre Jace per arrivarle più vicina. «Chi è quel figo?»
Clary sorrise dando un occhiata a Luigi, seduto e chino sul tavolo di fronte a Charlotte. La stregaluce gettava bagliori argentei sulla sua pelle color cappuccino. Non potè che concordare con Isabelle. Luigi era, effettivamente, uno schianto. «Luigi De Luca. Fa la guardia a Simon»
«Come se Simon avesse bisogno di una guardia» borbottò la ragazza. «Una farfalla è più pericolosa» si gettò indietro i capelli corvini, gettandone un po' in faccia a Jace, che le tirò un ricciolo per dispetto. «De Luca.. Questo nome l'ho già sentito»
«Ci credo» confermò Henry. «I De Luca sono la famiglia di Shadowhunters più potenti d'Italia.»
«Voci di corridoio dicono che abbiano pure relazioni strette con il Papa.» aggiunse Jem quasi distrattamente. Aveva passato tutta la riunione a chiacchierare con Tessa, ignorando tutti gli altri. «Credo sia il parabatai di Gabriel»
«E allora perché è stato mandato in Inghilterra?» chiese Clary. «Non ci sono demoni in Italia?»
Jem fece un verso strano, molto simile a un colpo di tosse per coprire una risata mal riuscito. «I De Luca hanno un trattamento..particolare, per così dire.» disse. «Sono furbi. Non hanno mai intralciato i piani dell'Enclave, si sono sempre tenuti in disparte nelle decisioni importanti. In cambio, fanno quello che gli pare.» Clary guardò Luigi sorridere affabile a Charlotte e lei arrossire leggermente. Si chiese quante volte avesse ottenuto quello che voleva semplicemente sorridendo così.
«Luigi va dove vuole, quando vuole. Si fa affidare qualunque missione gli piaccia. Evidentemente, doveva interessargli il vostro amico»
«Mi sembra piuttosto viziato» osservò Tessa con un cipiglio severo che le ricordò quello di Charlotte.
«Oh, ma non è Simon ad interessargli» Will spuntò all'improvviso dietro Henry. Clary si accorse solo in quel momento della sua assenza alla riunione. Aveva i vestiti stropicciati e gli stivali sporchi di fango fresco, come si evinceva anche dalle impronte che aveva lasciato sul pavimento della biblioteca. I capelli neri erano umidi e lucenti al chiarore della stregaluce, doveva essere uscito sotto la neve, e emanava un odore così forte di gin che Clary lo sentì anche dalla distanza che li separava, arricciando il naso. «Ha una cotta per Jessamine»
La diretta interessata agitò il ventaglio con noncuranza. «A nessuno interessano le tue assurde teorie, Will.»
Il ragazzo fece un sorriso sottile. «Allora me le sono immaginate le lettere d'amore che ti manda.»
La ragazza rispose al sorriso con altrettanta perfidia «Saranno i fumi dell'alcool»
Il battibecco si interruppe all'improvviso. Luigi e Charlotte avevano finito di parlare e si stavano avvicinando al tavolo. Luigi sorrise affabile. «Buonasera» disse in italiano, con una voce che mandò un brivido per la colonna vertebrale di Clary. Jace le lanciò un occhiataccia. «Dovrò ricordarti con chi ti hanno beccato a letto meno di mezz'ora fa.» le mormorò all'orecchio, avvicinandosi a lei per tirarle un ricciolo rosso sfuggito dalla penna con cui teneva alti i capelli.
Clary gli sorrise maliziosa. «Quale tra i tanti?» Ma in realtà quella gelosia un po' le piaceva. Certo, era decisamente fastidiosa le volte in cui si scontrava con Will che, poi, per lei non provava assolutamente nulla. Nessuno con un briciolo di cervello avrebbe mai pensato che Will potesse provarci con lei davvero, vedendo come il ragazzo guardava Tessa.
Era così che gli Herondale ci provavano con le ragazze: Le prendevano in giro, facevano battute sarcastiche e semi-quasi offensive e le guardavano in quel modo. Come un angelo caduto potrebbe guardare il paradiso.
Che idioti, gli Herondale. Ma forse era la loro idiozia a renderli così dannatamente, fastidiosamente e orribilmente affascinanti.
Dopo qualche momento in cui si erano persi in chiacchiere sulle condizioni di Simon, Sophie venne a chiamarli per la cena. Era sempre silenziosa con loro, Sophie. Sin da quando erano arrivati. Certo, la bella scenetta di quella mattina non aveva aiutato a migliorare la situazione, ma Clary aveva la strana sensazione di non piacerle molto. Luigi li seguì affabilmente, continuando a chiacchierare del più e del meno con loro. Era la prima volta che si univa a loro per cena.
Per quella sera, Aghata aveva preparato loro uno stufato di pesce-spada ricco di erbe dal sapore ricco e forte, con involtini dello stesso rosolati con la menta. E per dessert una crostata di marmellata di albicocche con crema chantilly.
Clary si chiese il perché di quel cambiamento improvviso di menù, e sospettò che fosse collegato al loro nuovo ospite.
«Simon è davvero interessante, per essere un vampiro» stava dicendo Luigi portandosi un boccone di pesce alle labbra. «Ha più volte preso in giro Gabriel»
«Comincia a piacermi» annotò Will.
Clary posò la forchetta con troppa forza sul piatto. «Ma si può sapere perché voi» e indicò Jace e Will «ce l'avete tanto con Simon?»
«mmh, fammi pensare.» Jace si portò una mano al mento con aria pensierosa. «E' un idiota. Parla di argomenti idioti. E si veste come un idiota»
«E non dimenticare quella faccia da idiota» aggiunse Will.
Jace sorrise, dandosi uno schiaffo sulla fronte. «Giusto!» Quando Clary lo colpì con la forchetta, fece pure un verso stizzito. «Stai diventando manesca.»
«Solo perché tu stai diventando più idiota»
Jem rise. «A discolpa di Will, lui se la prende con tutti.»
Isabelle scoppiò a ridere «Come tutti gli Herondale di qualunque secolo!»
Nella stanza calò il silenzio.
Isabelle si morse le labbra con aria colpevole. «L'ho detto davvero?»
Clary sospirò. «Si, l'hai fatto» guardò Will. Aveva spalancato i grandi occhi azzurri, che si erano come congelati. La forchetta bloccata nelle mani e lo sguardo attonito e fisso come in una buffa caricatura dei cartoni animati.
E anche Tessa, dall'altra parte del tavolo, aveva uno sguardo sconvolto. Ma, sotto di esso, Clary vi lesse un dolore enorme che si preparava come una marea ad esplodere.
Anche Charlotte, che sembrava il tipo di persona che ormai non si sorprendeva più per nulla, pareva sconvolta.
Solo Luigi, ovviamente, non era sconvolto «Che succede?» disse, rompendo il silenzio nella stanza.
Will si riscosse con un brivido che gli scosse le spalle e, come fosse un riflesso istintivo, come fosse l'unica cosa possibile da fare, il suo sguardo si volse verso Tessa. E allora sbiancò del tutto, si alzò dalla tavola e uscì dalla stanza, lasciando dietro di sé solo il profumo dell' acqua di colonia.

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Capitolo 17
*** XVI; Mighty stranger ***


If all else perished, and he remained, I should still continue to be;
And if all else remained, and he were annihilated, the universe will turn in to a mighty stranger.

E. Bronte

Capitolo XVI
Mighty stranger

 

La brezza notturna londinese scosse i capelli neri di Will, quando quello spalancò la porta e uscì all'esterno. Jem osservò la sua figura snella muoversi veloce per scappare. Perché era quello che Will faceva: Scappava. L'aveva fatto dai suoi, per chissà quale motivo. Da Tessa, appena qualche minuto prima, e adesso stava scappando da lui.

Jem strinse il braccio del suo parabatai, con forza. «Fermati.» il ragazzo non si voltò nemmeno. Jem aveva subito seguito il suo parabatai, non appena quello era sparito oltre la porta della sala da pranzo. Appena l'aveva afferrato, quello si era fermato nel bel mezzo del giardino innevato, guardando fisso davanti a sé. Se Will non voleva guardarlo, era finita. «Lasciami, James» il sentire il suo nome per intero, fece capire a Jem quanto la questione fosse seria. Ma questo lo sapeva già. L'aveva capito all'istante, cosa passava per la testa dell'amico, per qualcosa che va ben al di là del legame dei parabatai.

Il fatto che una delle ragazze del futuro avesse conosciuto un Herondale, voleva dire che Will avrebbe avuto dei figli, essendo l'unico erede maschio della famiglia. E, per quanto questo di per sé non fosse una catastrofe, Jem capiva qual'era il vero problema.

Che non li avrebbe avuti con Tessa, perché lei è una strega.

Una morsa di vergogna strinse lo stomaco di Jem. Era una persona orribile, si sentiva una persona orribile. Solo l'Angelo sapeva quanto sangue orribile e malato gli scorresse nelle vene.

Era orribile perché era contento per sé stesso, perché sapeva che Tessa non avrebbe fatto parte del futuro di Will.

Era contento della tristezza del suo amico.

Era contento perché voleva Tessa per sé, solo per sé.

«E se ti lascio che succederà? Farai qualche stupidaggine mostruosa, probabilmente suicida?»

Will tirò il braccio con forza, facendogli perdere la presa. «Non sei mio padre. Né mio fratello. Non puoi dirmi cosa fare.»

«Will.»

Entrambi i ragazzi si voltarono, all'unisono. Era un atteggiamento che avevano spesso, in battaglia. Ma lì non erano davanti a un nemico.

Ma a lei. Tessa era lì, in cima alle scale, a guardarli. Il calore negli occhi grigi di Tessa fece sgonfiare Will come un palloncino. La ragazza gli si avvicinò con lentezza, scendendo i gradini uno a uno. «Will» ripetè, lentamente, con un tono che Jem le aveva sentito usare solo un'altra volta: Quando aveva scoperto che suo fratello era un traditore.

Era dolore. Profondo e antico quanto il mondo.

Will e Tessa si guardavano, con gli occhi fissi l'uno sull'altra. Grigio e azzurro, strega e Nephilim. Forse si riduceva a qualcosa di molto più semplice: Uomo e donna.

Tessa non mi ha mai guardato così. Si ritrovò a pensare Jem, con una vena d'amarezza. E mai lo farà

Will si era fermato con solo una sua parola. Lei, l'unica donna capace di fermare William Herondale dal fare una stupidaggine, l'unica in grado di svegliarlo dalla sua profonda apatia.

L'unica che Will avesse mai amato.

Jem fece un sorriso rassegnato. Non avrebbe mai vinto, quella partita. Con ogni probabilità non era mai neanche stato in gioco. Doveva solo fare un passo indietro e uscire di scena.

Tessa fece un sorriso sottile, come di scuse. «E' ancora qui, Charlotte»

La direttrice uscì dal suo nascondiglio dietro alla porta. «L'angelo sia lodato.» disse, avvicinandosi. «Eravamo pronti per andare a cercare il tuo cadavere» questo era Jace, dietro Charlotte insieme Clarissa e Alec.

Evidentemente Will non era negli interessi particolari di Isabelle Lightwood.

Per la prima volta da quando era arrivata, Will scostò lo sguardo da Tessa e, a sorpresa di Jem, li posò su Clary.

«Dimmi chi è.»

 

Maledetta Isabelle e la sua linguaccia.

Clary si morse il labbro inferiore. Guardava Will, in mezzo al giardino innevato in pieno Dicembre, con dolore vero e palpabile nei begl'occhi azzurri. Erano molto simili a quelli di Alec, pensò Clary, che erano di appena qualche tono più chiari.

Resse lo sguardo del ragazzo. «Sei davvero sicuro di volerlo sapere?»

Lo sguardo di Will perse un po' di quella fredda sicurezza che li animava. Ma quel che disse, fu un secco «Si»

Clary guardò Jace. Lui assunse un'espressione disgustata, per poi sospirare con teatralità. Si lasciò cadere sui gradini che portavano all'entrata dell'istituto. La tettoia li copriva quel tanto che bastava per non farci cadere sopra la neve, ma non per lasciarli asciutti, inumidendo così i pantaloni scuri che Jace indossava. «I Lightwood sono i miei genitori adottivi.» disse, alzando lo sguardo su Will. «I miei genitori biologici si chiamavano Celine e Stephen Herondale.»

L'unica traccia di colore che il viso di Will aveva mantenuto scomparve completamente. Il suo sguardo scivolò da Jace a Tessa, e poi fu lui a scivolare. Clary lo vide nei suoi occhi, quella piccola traccia di umanità che a poco a poco scivolava via dal suo sguardo. Era vitreo e piatto quando si voltò e, senza voltarsi indietro, cominciò a correre verso la notte londinese.

Clary sospirò. «Farà qualcosa di molto stupido, vero?»

Tessa si girò verso di lei. «Come fai a dirlo?» la sua voce era cattiva, ma Clary sospettò che fosse la preoccupazione. «Non lo conosci nemmeno.»

La Nephilim le si avvicinò, posandole una mano sul braccio, per tranquillizzarla. «Conosco gli Herondale» disse. «So che sono potenzialmente autodistruttivi e idioti quando succede qualcosa di brutto.» e stalker psicopatici, amanti passionali e uomini meravigliosi.

Lo sguardo di Clary si pose su Jace, ancora seduto sui gradini a guardarla. Pensò a quella volta in cui, dopo che Maryse l'aveva cacciato di casa, era andato all'Hunter's moon a bere whisky dorato come i suoi capelli ed attaccare briga con dei lupi mannari. Ricordava lo sguardo disperato che aveva visto nei suoi occhi color caramello quando era arrivata nell'ufficio di Freaky Pete.

E seppe dov'era andato Will.

Scattò all'improvviso e si volse verso Jem. «Un bar, frequentato da nascosti.»

Lui sbattè le palpebre, sorpreso. «Come?»

Clary alzò le braccia al cielo, eccitatissima per quell'illuminazione. «Scommetto la mia collezione di fumetti che Will è andato in un bar frequentato da nascosti!»

Jem la guardò a lungo, meditabondo. «È più che probabile.»

La ragazza si avvicinò a Jem e volse lo sguardo verso Tessa. «Dobbiamo andare a cercarlo»

«Non vedo il perché.» Charlotte strinse le braccia al petto. Indossava solo una vestaglia leggera sopra un vestito, doveva gelare. «Will sparisce spesso, e torna sempre a casa.»

Jem pose una mano sul braccio di Charlotte. «Credo abbia ragione. Stavolta è diverso, Charlotte.» si girò verso Clary. «La Devil Tavern, il Blue dragon e il Mermaid. Potrebbe essere uno qualunque di questi tre.»

Charlotte sospirò, posandosi teatralmente la fronte sulla mano. «Va bene. Dividiamoci, allora.» I suoi grandi occhi marroni si posarono su ognuno di loro, lentamente. «Io ed Henry andremo al Mermaid.» il marito annuì, silenziosamente.

«Tessa verrà con me.»

A sorpresa di tutti, non fu Jem a dire quelle parole, ma Jace, che intanto si era avvicinato alla ragazza. Jem li osservò per qualche secondo, la preoccupazione nei begl'occhi d'argento, ma dovette concordare che quella era l'idea migliore. Doveva esserci almeno una persona che Will conoscesse bene. Se fossero andati solo Jace e Clary, probabilmente avrebbero solo peggiorato le cose.

Quindi, mezz'ora dopo, Jem e Clary si ritrovarono su una carrozza che si dirigeva verso il Blue Dragon. Clary osservò Jace porgere una mano a Tessa nell'aiutarla a salire sulla carrozza, poi la piccola porta chiudersi e li vide sparire nel buio della notte londinese.

Jem, stranamente, era silenzioso. Clary aveva avuto modo, in tutto quel tempo, di imparare a conoscerlo. Jem era senza ombra di dubbio una splendida persona. Lo Yang complementare allo Yin che era Will. Era gentile, dolce, premuroso, generoso anche verso coloro che conosceva appena. Ed era innamorato di Tessa.

Quella consapevolezza le sciolse il cuore. Perché Clary sapeva, e Tessa sapevano e forse, in cuor suo, anche Jem sapeva che la ragazza non avrebbe ricambiato il suo amore con la stessa intensità. Sorrise con premura al ragazzo. «E' al sicuro» gli disse. Jem voltò di scatto la testa verso di lei. «Jace è un ottimo cacciatore. Tessa è in buone mani»

Il ragazzo le sorrise. «Non credi di essere di parte?»

«Se ti raccontassi ciò che Jace è in grado di fare, non mi crederesti.» scostò le tendine. Dell'istituto ormai se ne vedevano soltanto le guglie, mentre la carrozza svoltava verso Fleet street. «è davvero incredibile»

Jem la guardò con una domanda nello sguardo, il mento poggiato sul bastone di giada. «Vuoi chiedermi qualcosa, vero?» gli chiese lei.

Lui sorrise. «Scusa per l'invadenza»

Clary scrollò le spalle. «Spara.»

«Come è successo che un' artista, una dolce ragazza come te si sia innamorata di..» sembrarono mancargli le parole. Alzò un braccio e fece un gesto vago con la mano «Beh, di un Herondale» le sorrise, come di scuse.

Clary si ritrovò a pensare alla risposta. «Non è che io abbia avuto scelta.» cominciò. «La mia è una storia complicata, Jem. Non sapevo di essere una Shadowhunters fino a sette mesi prima di finire in questo secolo. Ad un certo punto mi sono ritrovata con mia madre in coma, mio padre che mi voleva morta e senza un posto dove andare. Jace mi ha salvata, mi ha portato all'istituto e mi ha aiutato a scoprire chi fossi. e, a mano a mano che conoscevo me stessa, scoprivo anche lui. Dovresti saperlo: C'è molto di più di un cinico idiota sotto la corazza con cui gli Herondale si rivestono.»

Jem sospirò. «Ci vuole fatica per scoprirlo, però.»

La ragazza sorrise. «Non ho mai detto che fosse facile.»

Un vago sorriso balenò nelle labbra del ragazzo. «Tocca a te.»

Clary ci pensò su a lungo e, quando fece per parlare, la carrozza si arrestò di colpo. Fuori dal finestrino Clary vide una logora strada londinese, bagnata di pioggia mista a cenere e polvere. Nel palazzo di fronte si accalcavano ogni genere di nascosti pronti a entrare in una minuscola porta di quella che poteva anche sembrare una farmacia, prima che l'incantesimo le scivolasse di dosso, rivelando una grossa porta di legno tarlato, sopra la quale era inciso a fuoco nel legno un dragone, raffigurato con le piccole zampe anteriori poggiate sulla parte superiore della porta e uno sguardo truce nei pallidi occhi gialli. «Siamo arrivati.» disse.

 

«E' davvero qui che si è rintanato quell'idiota?»

Tessa si spostò nel sedile, per poter raggiungere il finestrino e guardare anche lei fuori, verso la strada londinese in cui avevano appena svoltato. «è.. pittoresco.»

«No. È una bettola.»

«Si, assolutamente.»

Jace fece un lungo sospiro. «Dannazione. A William e alla mia testardissima ragazza.»

Tessa si chiuse in un silenzio piatto, mordendosi le labbra. Jace lo conosceva bene, quel silenzio. Lei non aspettava che una scintilla, quindi lui gliela diede. «Chiedimelo.»

Lei sbattè piano le palpebre, finta ingenua. «Cosa?»

«Qualunque cosa ti stia passando per la testa.»

La ragazza si stava martoriando il polsino del vestito, decisamente nervosa. Jace notò che da quando erano saliti sulla piccola carrozza nera Tessa non lo aveva mai guardato negli occhi. «Tu e Clarissa.. state per sposarvi?»

La bocca di Jace si fece d'improvviso secca, così come il cuore cominciò a battergli all'impazzata, neanche avesse di nuovo davanti Abbadon. «Noi..» si schiarì la voce. «No, non stiamo per sposarci.»

Tessa arrossì di colpo. «L'anello, che porta al collo.» cominciò a dire. «Quando me l'ha dato mi sono trasformata in un uomo. E l'uomo ti ha riconosciuto, sconvolto. Pensavo di essere te. »

Jace stette in silenzio, a lungo. Chiuse gli occhi per qualche secondo, sentendo sulle spalle la pressione del braccio di suo padre, come se lui fosse ancora lì con lui. Come se tutte le bugie e gli anni passati non fossero mai esistiti. Provò ad immaginare un mondo dove Jace e Valentine fossero davvero padre e figlio. Dove sarebbero potuti essere felici veramente.

Ma per quanto bello potesse essere, quel sogno continuava a scivolargli dalle mani come acqua. Non c'era lei, in quella fantasia. E Jace avrebbe potuto immaginare paradisi terrestri e realtà magnifiche, ma se Clary non ne faceva parte sarebbero stati tutti un' immensa cosa estranea. «Se ti dicessi che io e Clary avevamo lo stesso padre, cosa diresti?»

Come era ovvio, Tessa sgranò gli occhi inorridita. «Tu e Clary siete fratelli?»

Jace le sorrise. «La regina della corte Seelie sostiene che tutti gli Shadowhunters siano fratelli, perché discendono tutti da Raziel.» disse. «Ma se intendi che abbiamo gli stessi genitori, Non è così.» E anche se non fosse stato così, non gli sarebbe importato. Quando aveva scoperto che non erano davvero imparentati, era stato felice, ovviamente. Ma se non fosse successo, se fossero stati fratelli davvero, e lei avesse voluto stare con lui in ogni caso, Jace avrebbe mandato al diavolo il Conclave e tutti quelli che si sarebbero opposti. Non avrebbe permesso che un po' di DNA gli impedisse di stare con la donna che amava.

Bloccò la ragazza, che stava per ribattere, con un gesto della mano. «Il padre biologico di Clary mi ha cresciuto per dieci anni. Il mio padre biologico è Stephen Herondale. Sfortunatamente, aggiungerei, perché questo significa che sono imparentato con quell'idiota del tuo amico.»

Lo sguardo di Tessa si perse nella Londra sporca e fumosa fuori dal finestrino. «Già, è vero.»

«Ti piace proprio quel cretino, eh?»

Tessa arrossì fino alle punte dei capelli e scosse con forza le mani, sembrando ancora più rossa. «No, no!» disse, a voce un po' troppo alta. «Non è così, davvero.. Non so cosa te l'abbia fatto pensare..»

Jace sbuffò. «Ma fammi il favore. Lo so di essere oltremodo attraente, non sono mica stupido.»

La ragazza sospirò. «E non dimenticare modesto» si guardò le mani, così strette tra loro che le nocche erano sbiancate. «Lui non mi vuole.» mormorò, piano, come una confessione.

Jace dubitava fortemente che fosse vero ma, da come gli occhi di Tessa si inumidirono, spostandosi a guardare di nuovo fuori, il ragazzo capì che non si trattava soltanto di un sospetto.

Si sporse un po' dal sedile e le strinse la mano con un gesto imbarazzato, distogliendo lo sguardo. «Allora è un idiota.»

Lei si girò verso di lui, guardandolo negli occhi per la prima volta e facendo un sorriso mezzo tirato. «Grazie.» Era carina, Tessa. Aveva un bel viso, dolce. Delle labbra piene e guance rosee. Gli occhi erano simili a quelli di Valentine: Grigio chiaro, con screziature azzurre.

Ma, nonostante ciò, non la trovava bella. Era da un bel po' ormai che non trovava una ragazza bella. Le vedeva carine, sapeva, obbiettivamente, quanto fossero attraenti Aline, Isabelle o la regina delle Fate. Ma nessuna di loro destava minimamente l'interesse di Jace.

Perché loro non erano Clary.

E seppe che anche per Will era lo stesso. Non voleva davvero Clary, nè Isabelle.

Perché loro non erano Tessa.

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Capitolo 18
*** XVII; Butterflies are free ***


I only ask to be free. Butterflies are free.
Mankind will surely not deny to Harold Skimpole what it concedes to the butterflies!
C. Dickens

Capitolo XVII
Butterflies are free

 

 
La carrozza si fermò bruscamente nel bel mezzo della strada. Il cocchiere, che, come gli aveva detto Tessa, si chiamava Peter, aprì di colpo lo sportello dalla parte di Jace. «Mi dispiace, signori.» disse. Aveva uno spiccato accento scozzese, notò Jace. «Non possiamo proseguire più di così.»
Jace lo ringraziò e quello si spostò. Il ragazzo, con un piccolo salto posò i piedi sulla via acciottolata. Era una notte umida che gli faceva arricciare i crini biondi alla base della nuca. Provò ad immaginare come dovesse essere quell'umidità sui capelli di Clary. Li aveva resi indomabilmente ricci, come per lui, alla base della nuca? O la ragazza li aveva alzati, lasciando così solo qualche ricciolo ribelle a sfiorargli, quasi distrattamente, il collo?
Scosse il capo, tentando, almeno per qualche momento, di levarsi Clary dalla testa. Si voltò e porse una mano a Tessa per aiutarla a scendere. La mano inguantata della ragazza si strinse nella sua, mentre anche Tessa poggiava i piedi sull'asfalto. Jace, ad uno sguardo più attento, riconobbe distrattamente la strada che portava a Blackfriars Bridge. Quando era stato a Londra, insieme a Valentine aveva attraversato molte volte il ponte per arrivare in una zona di Londra di cui Jace aveva solo qualche ricordo: Fumo grigio che nascondeva la visuale di diverse persone dall'aria mortalmente esausta e di uomini dai capelli e pelle bianchi come la neve.
Con Valentine, però, non si era mai soffermato sulla taverna incastrata quasi di straforo in uno dei muri alla sua destra.
Sui pannelli di legno sopra la porta troneggiava il nome del locale: The Devil's Tavern.
Era ricoperta da grandi finestroni dai vetri ricordanti vagamente un rombo. La luce che proveniva dall'interno era  tinta di sanguigno, così come quel quadrato di luce che si riversava in strada attraverso la porta aperta.  Dietro i vetri si muovevano ombre scure, senza alcun dubbio inumane. Jace riconobbe un paio di alte corna tra di esse. Risate ad alto volume si mescolavano con della musica troppo dolce per un bar.  e, sopra di essa, Jace e Tessa sentirono con estrema chiarezza qualcosa che diede loro la prova che Will si trovava all'interno di quella taverna.
«CHE COSA HAI DETTO SU MIA MADRE?»
Tessa emise un lungo ed esasperato sospiro.  «Will è qui.»
Jace scosse le spalle, avvicinandosi all'entrata. «Indubbiamente.»
Entrando, i due ragazzi videro l'inferno riverso all'interno della taverna. Jace aveva visto una così grande quantità di nascosti raggruppati in un sol luogo soltanto durante la seconda rivolta contro Valentine. Vampiri ubriachi erano tutti accavallati sul bancone. Puzzavano di Gin e sangue da far schifo. Scioccando Jace, al loro fianco la puzza di cane bagnato mista a birra scadente segnava la presenza dei licantropi, non più sobri dei vampiri. Gli stregoni, di solito non molto socievoli, avevano abbandonato ogni finzione ridendo rumorosamente assieme ai vampiri e ai licantropi. c'era anche qualche fata, seduti a dei tavolini in fondo al locale lontani dalla luce delle fiaccole. Erano visibilmente brilli, anche se piuttosto silenziosi.
E al centro della sala c'era Will. I capelli neri erano umidicci e creavano un'aureola nera sopra la sua testa. I semplici calzoni e casacca vittoriani erano bagnati e stropicciati nel punto in cui un enorme licantropo dall'aria non troppo sveglia lo teneva stretto nella camicia. Will, però, stava sorridendo beato. «Ripetilo se ne hai il coraggio, piccolo bastardo.» gli sibilò in faccia il bestione. Jace storse il naso, immaginando che il fiato del lupo non dovesse proprio profumare.
Will fece un sorriso crudele, che si rispecchiava nei diabolici occhi azzurri. Aprì la bocca per la risposta piccata che ovviamente aveva, ma si bloccò quando i suoi occhi, quasi involontariamente, incontrarono quelli di Tessa, che si era sporta un po’ avanti, andando incontro a Will. Era sbiancata e aveva stretto le mani al petto, preoccupata.
Jace si chiese se avesse anche lui quell’espressione quando guardava Clary. Will sembrava un totale ebete, con la bocca spalancata e gli occhi sgranati, le guance leggermente arrossate e le mani che non riuscivano a stare ferme. Se si fosse visto con quell’espressione da pesce lesso, probabilmente Jace si sarebbe preso a schiaffi da solo ed ebbe il vago sospetto che anche Will l’avrebbe fatto volentieri.
Anche se la Devil Tavern era gremita di gente, Will e Tessa si guardavano come se il mondo intorno fosse scomparso, dissolto in un ammasso di polvere. Esistevano solo gli occhi dell’altro, in una maniera così intima che persino Jace si sentì di troppo.
L’incantesimo si spezzò non appena il bestione che teneva Will per la collottola seguì lo sguardo del ragazzo arrivando a fissare Tessa a sua volta, con un’espressione famelica.
«Oh, guarda chi abbiamo qui!» disse. Aveva un che nella voce che ricordava l’ululato di un lupo. Gettò Will da una parte, che intanto cercava di divincolarsi dalla sua presa, così forte che, quando il ragazzo batté contro il muro Jace sentì il rumore delle ossa rotte persino da quella distanza. Will imprecò e descrisse di nuovo molto dettagliatamente la madre del lupo mannaro, mentre quello si voltava, ora lentamente, verso Tessa.
Jace sospirò, e sfilò lo stilo dalla cintura. Dubitava seriamente che Will avesse il suo con sé. Lo lanciò e quello cadde, tintinnando sul pavimento di pietra sudicio vicino alle gambe di Will. Il ragazzo guardò prima lo stilo, sorpreso, poi, alzando lo sguardo, Jace. Lui gli fece un cenno e poi sparì dalla sua visuale, piazzandosi velocemente tra Tessa e il lupo mannaro che si era incamminato verso di lei.
Gli afferrò con forza il braccio peloso che aveva alzato per afferrare la ragazza. «Scusa, non ci hanno presentati» fece Jace. Il lupo mannaro sbarrò gli occhi, come se all’improvviso un gatto si fosse messo a parlare. Strinse con la mano libera la mano del lupo, con tanta forza che quella gli diventò di un malsano bianco latte. Il lupo urlò. «Io sono quello che ti farà a pezzi se provi a toccare di nuovo questa ragazza. Capito?»
Quello ringhiò, e il grosso lupo apparve nei suoi lineamenti quando lo guardò con odio negli occhi. Jace sorrise di sfida, stringendo ancora di più, fino a che un guaito di dolore sfuggì dalle labbra del nascosto. «Hai capito
Per tutta risposta, il lupo si sputò sugli stivali.
Jace abbassò lo sguardo per un secondo sulle sue scarpe, poi lo rialzò sul nascosto che lo stava guardando con un ombra di trionfo negli occhi scuri. «Beh, sai, tanto va il lupo al largo..»
E, con un solo movimento, gli spezzò il polso.
Il lupo guaì di dolore. Jace gli lasciò andare il braccio, guardandolo urlare e imprecare stringendo forte il polso rotto tra le grosse dita tozze.
Will spuntò all’improvviso, un iratze appena fatto spiccava sulla pelle bianca del braccio, ma non era un normale iratze, notò Jace. Lo schema di base era quello, ma c’erano delle linee nuove che si intrecciavano a quelle vecchie, trascrivendo una runa nuova e antica al tempo stesso, più potente di una normale.
Clary.
Will scattò e afferrò il lupo mannaro per il collo, con molta più violenza di quanto avesse fatto l’altro pochi minuti prima, sbattendolo con poca grazia sul muro come se non pesasse più di una bambola. Il Nascosto divenne bianco come un cencio, tentando di prendere aria con la bocca. «Non devi toccarla»
E il suo ringhio sembrò molto meno umano di quello di un lupo.
Finalmente, il proprietario della taverna si decise ad arrivare e interrompere la faida. Liberò il lupo dalla presa di Will, lo prese per la logora giacca che indossava e lo buttò fuori da lì con poca grazia. Poi si girò, e gettò uno sguardo a Will, Jace e Tessa. Di certo non li avrebbe buttati fuori in quella maniera. Jace e Will erano cacciatori e Tessa era una fanciulla. Ma li guardò con durezza e gli disse, con voce ferma. «O ordinate qualcosa, o andate via.»
Will grugnì. «Non ho finito il mio Gin.»
Il proprietario guardò dei cocci di vetro a terra, dove si andava espandendo una chiazza di liquido trasparente. «Direi proprio di si, invece.»
Déjà-vu. Ecco perché Clary li aveva fatti andare alla ricerca di Will in una taverna di nascosti. Alzò gli occhi al soffitto, esasperato. Stupido DNA. Negli ultimi tempi gli stava provocando più danni che altro.
Si gettò la giacca sulle spalle e guardò Tessa e Will. «Andiamo via. Questo posto puzza di cane bagnato.»
E, ignorando gli sguardi indignati che mezza platea gli rivolse, fece per uscire dalla taverna, seguito dagli altri due. Ma si bloccò all’ultimo secondo, prima di valicare la soglia.
«Il prossimo giro lo paga il Signore del tempo, cari amici.» e la folla manifestò il proprio apprezzamento con urla e grugniti.
Jace si girò di scatto verso il bancone. C’era una leggera corrente, adesso, all’interno del locale. In un primo momento Jace pensò che fosse dovuta alla porta sul retro che avevano appena aperto, ma lo capì appena vide chi si era appena seduto al bancone.
Era un ragazzo. Più grande di Jace di almeno un paio d’anni. doveva averne venticinque, a occhio e croce. Indossava una  casacca nera  dall'aria elegante e pantaloni dello stesso colore. I capelli color sabbia erano molto corti, sporchi di quello che sembrava olio per motore e sudati, così come i vestiti. Aveva l’aria di una persona che non dorme da giorni, come si vedeva dalla barba folta e dalle occhiaie violacee sotto gli occhi. Ma i suoi occhi, che erano di un castano scurissimo, erano accesi da chissà che cosa. Brillavano di soddisfazione e compiacimento.
Ma quello che aveva attratto l’attenzione di Jace era un lucente e splendido paio di ali nere, grandi quanto una coda di pavone e altrettanto belle, ad ogni movimento mandavano riflessi dei colori più svariati, alimentando la corrente all’interno del locale.
Fermò Will e Tessa che si stavano incamminando con un gesto della mano, poi, sempre silenzioso, indicò il ragazzo al bancone. I due ragazzi sgranarono gli occhi.
«Cameron» borbottò un vampiro alla sua destra. «Te l’abbiamo già detto. Smettila di rompere con questa storia.»
Cameron batté una mano con poca grazia sulla spalla dell'altro nascosto, così forte che quello quasi si strozzò con il suo whisky. «Non hai capito, Bernie. L’ho finito. Il mio incantesimo è finalmente completo.»
A Jace non servì nient’altro. Scattò più veloce che potè. Afferrò Cameron per le spalle e lo sbattè contro il muro, facendogli sbattere violentemente l’osso sacro contro il muro. Dalle labbra del ragazzo sfuggì un urlo di dolore che Jace bloccò prendendolo per la gola.
«Grazie amico!» sbraitò il vampiro al bancone, alzando il suo bicchiere. «E’ la volta buona che chiude la bocca.»
Jace sorrise e fece un cenno al lupo con la testa. Lo stregone si stava lamentando e cercava di togliere la presa dal suo collo, ovviamente invano. Le ali nere sbattevano nervosamente. Jace spostò la mano dal braccio alla bocca, facendo smettere quelle fastidiose lamentele. «Ora io e te andremo a prendere un po’ d’aria fresca, okay? Fai si con la testa.»
Cameron annuì, spaventato a morte.
Jace lo staccò dal muro e lo portò all’esterno dalla porta sul retro. Fuori faceva un freddo cane, e non passò molto tempo prima che i capelli e i vestiti di Jace si riempissero di neve. Anche le ali di Cameron si riempirono di neve, diventando ancora più lucenti e brillanti al contrario del suo viso, che era una maschera di paura. Will, al fianco di Jace, aveva un sorriso di sfida che gli accendeva il bel volto.
Tessa se ne stava vicina alla porta, stringendosi con le braccia per attutire il freddo. Will la guardò per un secondo, poi si tolse la giacca e gliela mise sulle spalle senza battere ciglio. Lei lo guardò grata, ma non aggiunse nulla. «Non fategli del male» disse invece, guardando Jace.
Jace la ignorò e guardò meglio Cameron, che non distoglieva lo sguardo dal suo. Capì di aver sbagliato, quello stregone aveva al massimo diciannove anni. Gli sembrava più grande sotto la luce calda delle candele. «Allora, Cameron.» cominciò, lasciandogli il collo. Il ragazzo prese dei gran respiri, posando le mani sulle ginocchia, come se avesse corso la maratona. «Abbiamo sentito che hai creato un gran bell’incantesimo.»
Una scintilla di sfida accese lo sguardo scuro dello stregone. «Non vedo come possa interessare a dei cacciatori» sputò, velenoso.
«Ci piace allargare i nostri orizzonti» disse Will, giocherellando con qualcosa che gli scintillava tra le mani. Quando passò sotto il cono di luce di un lampione, Jace capì che si trattava di uno stiletto affilatissimo. «Sai.. anche attraverso i secoli.»
«Buon per voi.» Questo ragazzo ha la lingua troppo lunga. Pensò Jace distrattamente. Mi sa che dovrò tagliargliela.
Lo sguardo di Cameron, ancora terrorizzato, passò su tutti loro fissandosi, infine, su Tessa. Sgranò gli occhi. «Tu!» urlò. «Tu sei una strega! Non puoi permette che mi uccidano!»
Anche Tessa sembrava terrorizzata. I suoi occhi grigi cercarono quelli di Will, come avrebbero sempre fatto. «Se gli dici quello che vogliono sapere» disse, senza distogliere lo sguardo da quello di Will. «Non ti faranno del male» e spostò lo sguardo su Jace, come sfidandolo a smentirla.
«Ha ragione» Jace si voltò di nuovo verso Cameron. «Non lo faremo»
Will si mosse velocissimo. Un secondo prima stava fermo a giocherellare con lo stiletto argentato con manico di ferro, l'attimo dopo lo stiletto era conficcato a fondo nel muro di pietra, a pochi millimetri dal volto di Cameron. Il ragazzo spostò lo sguardo sull'arma, sudando freddo. «Ma se non parli, la mia mira potrebbe migliorare.»
Cameron spostò lo sguardo terrorizzato su ognuno di loro, ripetutamente. Si passò una mano sul viso, le ali che sbattevano nervosamente spostando la neve fresca. «Va bene» si arrese. «Che volete sapere?»
Jace sentì la rabbia ceca montargli dentro il petto. In meno di un secondo fu davanti a lui, a pochi millimetri dal suo viso. «Io sono arrivato qui dal ventunesimo secolo perché tu hai un maledetto complesso d'inferiorità.» ringhiò sul suo viso. «Dimmi come faccio a tornare nel ventunesimo secolo. E, bada, non te lo sto chiedendo.»
Cameron sgranò gli occhi e, inaspettatamente sorrise, come se Jace gli avesse appena detto che il suo più bel sogno si era realizzato. «Tu..sei arrivato qui? E come è successo, quando? E come diavolo fai a essere ancora vivo
Jace strinse i denti, con forza. «Devi dirlo tu a me!» ringhiò, con forza. Estrasse un coltello di ferro benedetto dalla cintura e lo puntò alla sua gola. «Cominci a stancarmi»
«Servono delle cose» disse Cameron, balbettante. «Uno stregone, e la statua di Befrik
Jace strinse più forte. «Beh, è una fortuna che abbiamo te, che sicuramente hai la statua, no?» alzò lo sguardo al cielo nero terso. Stava per ricominciare a nevicare. «Cos'altro?»
Cameron deglutì con forza, prima di parlare. «Sangue di donna, per nutrire Befrik»
«Bene» Jace si voltò un secondo, senza mollare la presa sul collo del ragazzo, e si rivolse a Will. «Prendete la carrozza e tornate all'istituto. Ditegli quello che sappiamo e di raggiungerci.»
Will storse la bocca. Non gli piaceva che gli venisse detto cosa fare. «Vuoi rimanere qui da solo?»
«Vuoi lasciare andare Tessa sola fino all'istituto?»
Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte. Gli lanciò un ultimo sguardo con quello che gli sembrò rispetto, ma con Will niente era sicuro, e sparirono entrambi nella notte.
«Hai combinato un bel casino» disse a Cameron. «E non mi piace che degli idioti si intromettano nella mia vita»
Il ragazzo sembrava a corto di parole. «Volevo solo essere qualcuno» piagnucolò, dopo qualche minuto di silenzio. «Volevo che dopo anni si ricordassero di me.»
Lo sguardo che Jace gli rivolse avrebbe potuto tagliare il metallo. «Fidati: Di certo io mi ricorderò la tua brutta faccia finchè vivo.» guardò il muro di pietra logoro del vicolo, e gli venne in mente quello della stanza in cui avevano trovato gli stregoni morti. «Abbiamo trovato i tuoi amici a New York.» disse, sovrappensiero. «Tu che ci fai a Londra?»
Cameron rispose pronto. «Il mio maestro è qui.»
«E allora..»  gli venne un'idea. «..avevi bisogno del suo aiuto, non è vero? È coinvolto anche Fell,» 
Dando prova di una fermezza su cui Jace non avrebbe mai scommesso, Cameron mantenne un espressione fiera e dignitosa. «Il mio maestro non c'entra. È tutto merito mio.» sibilò. «L'idea è venuta a me, l'incantesimo l'ho scritto io e io l'ho messo in atto.»
«Sacrificando una delle tue cavie al tuo posto» ringhiò Jace sulla sua faccia. «Immagino che Ragnor Fell abbia insistito perché andassi tu.»
La sua espressione vacillò per qualche secondo. Cameron deglutì un paio di volte prima di continuare. «Amanda era inutile.» la sua voce si era fatta immensamente sottile e flebile. «Si è offerta lei, ma il maestro non ha voluto. Così ho usato la magia»
«E l'hai mandata a morire al tuo posto»
«Io..io non potevo sapere che sarebbe morta!» la sua voce aveva un che di piagnucolante. «Non sapevo che sarebbero morti!» ripetè, scandendo bene le parole.
Jace scosse la testa. Sembrava molto Clary in quel momento. Lo stava interrogando senza fargli male e con calma. «Era il tuo incantesimo, come potevi non saperlo?»
Cameron distolse lo sguardo dal suo, e Jace capì che stava per dire qualcosa che non gli sarebbe piaciuto per niente. «Non era probabile, ma nemmeno impossibile.» C'era un qualcosa nel suo tono… qualcosa che non gli stava dicendo.
«..e cos'altro,?»
Si morse la lingua per non rispondergli. In meno di un secondo Jace sfilò un pugnale dalla cintura e lo lanciò verso Cameron, infilzando la sua casacca contro il muro, senza colpirlo nel corpo, come un sacco di patate. «Cos'altro
Lo stregone sbiancò completamente e mise le mani sul coltello per sfilarlo, ma le rune incise sul metallo gli bruciarono la pelle e tolse subito le mani, scuotendole con forza. Imprecò a gran voce e Jace alzò un sopracciglio. Erano piuttosto scurrili, questi Vittoriani. «Ho usato una runa, va bene?» urlò, all'improvviso. «Ho incantato una fottutissima runa dal libro grigio e l'ho usata per creare Befrik. Lui ha fatto tutto il resto.»
«Un demone, vivo grazie a una runa?»  Era un concetto talmente tanto sconvolgente che Jace non riusciva proprio ad arrivarci. La sua testa continuava a sbatterci contro come un grosso muro invisibile.
«Beh, non è proprio una runa» fece un sorriso sbilenco. «O almeno, lo era. Adesso è qualcosa di nuovo. Qualcosa di mio
Jace fece un ringhio forte e basso, che gli scaturì dal profondo della gola. «Adesso» disse. Si avvicinò lentamente alla parete e con un solo movimento sfilò la lama dalla parete come se la stesse estraendo da un tagliere. «Pianterò questo coltello in qualcosa di tuo
Il coltello brillò intensamente sotto la luce calda del lampione a gas,mandando i riverberi sul viso di Jace e di Cameron, illuminando la rabbia del primo e la paura del secondo. Lo stregone fece un ultimo, disperato, tentativo. Mosse veloce una mano, trasformando il suo coltello in una candela accesa che si spezzò subito, sotto la pressione delle sue dita.
Jace aprì la mano e lasciò cadere i rimasugli di cera rimasti impigliati in essa, sbattendo le mani l'una contro l'altra. «Cameron» cominciò, pazientemente. «Io sono un cacciatore» disse quelle parole con lentezza, come se stesse parlando con un bambino non particolarmente sveglio. «Hai la minima idea di quante armi io abbia addosso?»
E, per enfatizzare, scostò la giacca, lasciando intravedere la spessa cintura di cuoio intorno alla sua vita, su cui erano appesi ancora quattro pugnali di diverse dimensioni, cinque spade angeliche non evocate, dei Chackram, tre grossi coltelli da macellaio e sei piccolissimi coltelli da lancio, lunghi quanto uno spiedino e affilati quanto le lame di un rasoio. Afferrò proprio uno di quelli, ed ebbe la grandissima soddisfazione di vedere il ragazzo deglutire, profondamente terrorizzato.
 «Ehy» disse una voce alle loro spalle «Cosa diavolo state facendo

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Capitolo 19
*** XVIII; Ch'e sì cara ***


 

Author's corner: Fan cattivi. Non avete recensito l'ultimo capitolo, sono offesa.
                             (Scherzo, ovviamente. Però eccheccavolo! Fatemi sentire che ci siete!)


Libertà va cercando, ch’è sì cara / come sa chi per lei vita rifiuta
D. Alighieri


Capitolo XVIII
Ch’è sì cara


La voce era indubbiamente maschile e, se lo aveste chiesto a Jace, vi avrebbe risposto anche molto irritante.
Per un istante, un solo minuscolo istante, il ragazzo distolse lo sguardo da Cameron. Quanto poteva contare un istante, Jace lo capì sentendo un rumore simile a una vampata di fuoco alle sue spalle, e seppe, ancora prima di voltarsi, che Cameron era sparito nel buio della notte Vittoriana.
Jace imprecò a voce così alta da destare degli uccelli addormentati in un albero vicino al marciapiede e i topi del vicolo. Prese il coltello che teneva in mano e lo scagliò contro il muro, con così tanta forza che scalfì la pietra grezza del muro logoro.
Una mano lo afferrò con forza, e lui si rese improvvisamente conto che la voce che aveva fatto fuggire Cameron doveva appartenere a qualcuno, logicamente.
Quel qualcuno era un poliziotto. Indossava uno spesso cappotto e uno di quei ridicolissimi cappelli a campana, altra cosa che Jace non avrebbe indossato nemmeno da morto. Jace gli lanciò un occhiataccia velenosa. «Lasciami» ordinò.
«Te lo puoi scordare giovanotto» borbottò quello. e, all'improvviso, fece scattare un paio di manette al polso che teneva fermo, e poi all'altro. Jace era talmente tanto sorpreso che non aveva nemmeno provato a combattere. E poi si rese conto di essere stato arrestato. Da un poliziotto mondano. Il suo sangue angelico ribolliva d'indignazione e Jace imprecò di nuovo.
«Smettila di dire oscenità!» gli sbraitò quello addosso. «Andiamo in centrale, delinquente!»
Jace gli lanciò un'occhiataccia. Va bene, era armato e stava minacciando qualcuno con un coltello, ma questo mica gli dava il permesso di chiamarlo delinquente.
Quel pensiero lo bloccò per un istante.  Prese un bel respiro e provò a ricominciare da capo. «Mi scusi, ma c'è stato un errore» disse con tutta la calma di cui era capace. «Vede, io non stavo..»
«Risparmiati le chiacchiere per la centrale, delinquente.» borbottò, e lo condusse verso una carretta che doveva essere la versione vittoriana di una volante della polizia, strattonando le manette. Il metallo gli tirò la pelle, ferendolo in diversi punti sui polsi. Abbassò lo sguardo su di essi, e vide una striscia rossa dove le manette lo stavano stringendo. Gli fece venire in mente l'inquisitrice, che l'aveva ammanettato senza una valida ragione, così come stava facendo quel poliziotto, e si sentì invadere da una rabbia ceca.  Aveva imparato che non gli piaceva essere ammanettato.
Strattonò le mani con forza, stuzzicando ancora di più le ferite sui polsi. Quelle dannate manette mondane erano maledettamente resistenti. «Ho altri progetti per stasera, idiota» gli ringhiò contro Jace. «Toglimi questi dannati arnesi. Prima di fare giochini strani dovresti offrirmi una cena!»
Il poliziotto gli lanciò un'occhiata sconvolta, come se Jace si fosse messo a parlare in una lingua mai sentita. «Sei per caso stordito dall'oppio?»
Jace mosse le mani a ventaglio sotto il naso, facendo sferragliare le manette. «L'unica cosa che mi stordisce è il tuo alito. Mai sentito parlare di igiene orale?»
Il mondano aveva un'espressione completamente inebetita, con la bocca spalancata e gli occhi sgranati.
«Evidentemente no» confermò Jace.
Quello gli lanciò un'occhiataccia orrenda. «Adesso mi hai proprio stancato» gli urlò, sputacchiandogli in faccia. Lo spinse con forza nella carretta. «Andiamo»
Naturalmente, Jace avrebbe potuto tranquillamente prendere a calci quell'irritantissimo poliziotto che gli aveva fatto fuggire l'ostaggio, distruggere quella maledetta carretta e anche ballare la samba, tutto senza togliere le manette. Ma avrebbe fatto un bel casino, e nelle sue condizioni non era proprio una brillante idea.
«Vedremo di insegnarti l'educazione, giovanotto.» Fu l'ultima cosa che Jace sentì, prima che la carretta si mosse.
Ti piacerebbe.
 
«L'ultima volta che Jace è sparito..» Isabelle Lightwood era in piedi nella biblioteca dell'istituto di Londra, che continuava a fare nervosamente avanti indietro sugli altissimi stivali che aveva con sé quando era arrivata nel XIX secolo, la frusta arrotolata nel braccio come un serpente velenoso, e altrettanto letale. «..l'ho trovato in una pozza del suo stesso sangue con un pugnale puntato al cuore.»
Will, appoggiato a una delle librerie con una noncuranza glaciale, scosse le spalle. Era arrivato un'ora prima insieme a Tessa nella carrozza con cui Jace era partito alla sua ricerca. Aveva raccontato loro quello che era successo nella locanda e nel vicolo. Inutile dire che Isabelle, Alec e Simon avevano fatto i salti di gioia. Clary no. Li avrebbe fatti insieme a Jace, quando fosse tornato. Henry e Charlotte non avevano perso tempo ed erano andati subito a prendere Jace e Cameron, tornando mezz'ora dopo, con la bellissima notizia della sparizione non solo di Cameron, che aveva lasciato solo il puzzo di magia nera dietro di sé, ma anche di quell'idiota di Jace.
Clary si lasciò cadere la testa tra le mani. Ma, ogni tanto, qualcosa di sensato poteva farlo? «Io ancora non mi spiego perché l'avete lasciato solo.»
Lo sguardo di Will, quando saettò su di lei, era duro e piatto. «Non avrei mai lasciato tornare Tessa da sola.» Non stava guardando la ragazza, come lei non guardava lui, eppure c'era qualcosa nella loro postura, nelle loro braccia lasciate con noncuranza lungo i fianchi, da far sembrare quasi che si stessero tenendo per mano.
Clary rispose con uno sguardo altrettanto duro. «E perché non è rimasta lei» e fece un cenno in direzione di Tessa.
Will alzò un sopracciglio, scettico. Ma insomma! Sapevano farlo tutti tranne lei? «E, di grazia, cosa avrebbe potuto fare Tessa?» chiese. «Senza offesa» aggiunse Jem per Will, dalla poltrona
La ragazza scosse le spalle con noncuranza, chiaramente abituata.
Clary batteva le dita nervosamente sul bracciolo della poltrona, come faceva Jace, spesso e volentieri, quando era nervoso.
«Mi avete rotto» sentenziò. Si alzò dalla poltrona e andò verso la porta. «Vado a cercare quell'idiota. Qualcuno viene con me?»
Neanche a dirlo e Alec era già al suo fianco. Isabelle arrivò subito dopo, scandendo la camminata con colpi secchi dei tacchi alti. A sorpresa di Clary, anche Jem e Henry si unirono a loro. Charlotte non c'era. Aveva preso l'influenza o qualcosa del genere. Henry non aveva voluto dire niente di più.  Jem le fece un bel sorriso rassicurante, Clary notò che aveva le pupille leggermente dilatate, come se stesse guardando una forte luce, ed Henry le diede una leggera pacca sulla spalla. «Lo troveremo» le disse.
Clary, incapace di dire alcunché, si limitò ad annuire.
«Io potrei essere utile» Tessa gli si avvicinò lentamente, quasi avesse paura della sua reazione. «Se troviamo qualcosa di suo.»
Mancava solo Will. Il ragazzo gettò un'occhiata a Jessamine, seduta composta in una delle poltrone a esaminarsi le punte dei capelli. Li aveva ignorati per tutta la sera e continuava a ignorarli. «Da solo con lei non ci resto» sentenziò Will, avvicinandosi anche lui a quella specie di riunione presso la porta.
«Non possiamo lasciare l'istituto senza protezione» obbiettò Henry.
«C'è Charlotte»
«Sta male»
«Jessamine è una cacciatrice valida.» ribatté Will.
Persino la diretta interessata gli lanciò un'occhiataccia, ma poi il suo viso si illuminò in un sorriso malizioso. «Alexander» chiamò con voce dolce, civettuola. «Perché non rimani tu?»
Alec arrossì da capo a piede. Will gli diede una spallata scherzosa. Clary vide luccicare in quello sguardo azzurro qualcosa che sapeva di perfida consapevolezza.
Era ovvio che Will sapesse. Anzi, probabilmente tutti lo sapevano. Tranne Jessamine.
Alla fine, Alec ritrovò la parola. «E' il mio parabatai» rispose. E quelle poche e semplici parole spiegarono tutto. Clary capì che Alec si sentiva offeso dall'insinuazione che avrebbe potuto lasciare solo il suo parabatai
Jessamine mise il broncio. «Okey»
Henry alzò gli occhi al cielo. «Rimango io. Voglio fare compagnia a Charlotte.» e sparì, dietro le porte di legno.
Will sogghignò. «Adesso lo chiamano 'fare compagnia'?»
«Allora io me ne vado a letto» Jessamine prese le sue cose e s'incamminò verso la sua stanza. «Non è bene per una signorina rimanere in piedi fino a quest'ora.»
Clary guardò l'orologio a pendolo a ridosso della parete. Era appena mezzanotte. Se fosse stata nel suo secolo a quest'ora sarebbe stata con Simon davanti alla tv con pizza e patatine. Ma d'altronde, lei non era una signorina.  «Sbrighiamoci.» disse, incamminandosi.
Jem la fermò. «L'uscita è di là, Clary.»
«Non possiamo andare alla ceca.» Rispose Clary, pronta. «Ci servono due cose. La prima, è una delle camicie che Jace ha usato.»
Corse nella stanza del ragazzo e ne prese una di quelle appese allo schienale di una sedia. Clary storse la bocca. La stanza di Jace era, come sempre, troppo pulita., mentre teneva stretta in pugno la camicia candida e portandosela contro il naso. Clary sorrise. Sapeva di Jace.  «E la seconda..» disse uscendo, senza finire la frase. E si diresse a passo spedito verso le viscere dell'istituto, dove si trovava il rifugio. Will spalancò le porte con un gesto plateale. Simon era girato di spalle. Si era tolto i pantaloni ed era rimasto solo con la maglietta e i boxer. Stava suonando una chitarra immaginaria, e Clary dovette ammettere che era meglio di quando ne suonava una vera.
Si girò di scatto quando si accorse che erano tutti lì a fissarlo. Aveva gli occhi spalancati ed era, se possibile, ancora più bianco del solito. Probabilmente se avesse potuto sarebbe arrossito da capo a piede.
Will inarcò un sopracciglio scuro. «Vedo che ti stai divertendo» commentò.
Le mani di Simon scattarono a coprire i boxer. «Che ci fate qui?» disse, con la voce più acuta di almeno due ottave.
Clary gli si avvicinò. «Ci serve il tuo aiuto»
Simon le fece un sorriso imbarazzato. «Qualunque cosa per te.»
«Abbiamo perso Jace. Devi aiutarci a trovarlo»
Una smorfia comparve sulla bocca del suo amico. «Ho detto "qualunque cosa"» Sospirò. «E va bene. Ma avrò bisogno dei pantaloni.»
 
Henry aprì la porta della propria camera da letto. Charlotte era lì, sdraiata a letto con una pezzuola bagnata sulla fronte. La fiamma di una candela tremolava appena nel comodino accanto al letto. «Cara?» fece, entrando.
Arrivò appena un mugolio da parte di Charlotte. Si tolse la pezzuola dalla fronte gettandola nel catino di fianco al letto. «Ciao, Henry» fece, rimettendosi a sedere. «Avete trovato Jace?»
«Sono usciti tutti, tranne Jessie, a cercarlo.» rispose Henry sedendosi sul letto, accanto alle gambe della moglie. «Tu come stai, piuttosto?»
«Bene» mentì lei con leggerezza. Nel corso degli anni, aveva imparato a leggere anche le più piccole espressioni di quel volto tanto amato. Di come, quando era nervosa, si mordicchiava le unghie, ormai rovinate anche dalle battaglie, o come quando si imbarazzava, e distoglieva immediatamente lo sguardo. Era fiera, la sua Charlotte.
«Charlotte, rimettiti a letto» le mormorò. Le mise le mani sulle spalle e la portò di nuovo giù. In caso normale, lei non glielo avrebbe mai permesso, ma stava male quindi si lasciò cadere, accarezzando distrattamente le mani di Henry sulle proprie spalle.
«Vieni qui» gli disse, invece.
Henry si tolse le scarpe e scostò le coperte, mettendosi così anche lui a letto. Mise un braccio attorno alle spalle della moglie, traendola a sé. Bruciava di febbre. «Per l'Angelo, Lottie. Stai bruciando..»
«Sciocchezze» fece lei, puntigliosa. «E' solo una banale influenza. Domani starò meglio.»
Henry alzò gli occhi al soffitto. «Certo. Ora riposa»
Passò un tempo infinito, nel quale Henry pensò che Charlotte si fosse addormentata tra le sue braccia, ma a un certo punto sentì le sue mani, fredde per l'influenza, sulla guancia. Sobbalzò.
«Henry» fece lei, guardandolo. Gli occhi marroni brillanti come due gemme.
«Charlotte! Mi hai spaventato» sospirò lui.
Lei fece un sorriso. Quel sorriso. Quello segreto, che condivideva solo con lui, e nemmeno così tanto spesso. «Aspetto un bambino»
 
«Avete idea di quanto questo sia imbarazzante?»
Simon, con i ritrovati pantaloni, stava in testa al gruppo. Subito dietro stavano Clary e Alec, entrambi preoccupati alla stessa maniera. Era strano. Una volta, Alec aveva amato Jace come lei lo amava in quel momento, e adesso era lì a cercarlo insieme a lei, come un fratello preoccupato. Alec Lightwood le piaceva ogni giorno di più.
Dietro di loro Tessa e Isabelle stavano avendo un'accesa discussione sulla rispettiva opinione di rispettabilità. Clary le aveva ignorate da principio. Jem e Will chiudevano il gruppo strampalato. Stavano sghignazzando su qualcosa, ma Clary li stava ignorando. Non le piaceva quando Jace spariva nel nulla. Le dava un fastidioso senso di mancanza, quasi le avessero strappato un braccio.
Erano a Gloucester Road, a girare in tondo da qualcosa come mezz'ora. Si mordicchiava nervosamente le unghie, guardando Simon andare in giro seguendo il suo inquietante fiuto vampiresco. «Mi dispiace Simon» gli disse, sincera. «Potrai prendertela con Jace, appena lo ritroviamo»
Lui scosse appena le spalle, raddrizzandosi. «Ho l'impressione che farei qualunque cosa, per te.»
Lei gli sorrise appena, anche se lui era voltato. «Anch'io, per te.» mormorò, e lo vide sorridere appena.
Clary lanciò un'occhiata ad Alec, al suo fianco. Indossava la tenuta da cacciatore, lui che poteva, e aveva infilato le mani nelle tasche per proteggerle dal freddo. Sembrava piuttosto nervoso, ma non preoccupato. Le sue spalle erano rilassate, sotto la giacca pesante.
«Alec?» lui si voltò appena, verso di lei inarcando un sopracciglio scuro con curiosità. Clary l'aveva visto fare abbastanza spesso a Magnus da capire da chi avesse preso quel gesto. «Non sei..preoccupato?»
Il ragazzo la guardò con interesse per qualche secondo, prima di parlare. «Io sono sempre preoccupato per Jace» rispose, con appena un accenno di sorriso sulle labbra. Clary si ritrovò a pensare che Alec era proprio un bel ragazzo, quando sorrideva. «Ma se intendi nello specifico di questo momento, no.»
 La ragazza aggrottò le sopracciglia, confusa.  «Perché no?»
Alec le sorrise compiaciuto. «Non hai ancora finito di studiare il codice, vero?»
Clary arrossì. «Mi mancano giusto un paio di capitoli» mormorò imbarazzata.
«Beh» cominciò lui. «Quando lo finirai, scoprirai che i parabatai sono molto più legati di quello che credi.» Nonostante il freddo, si tolse la giacca pesante e scostò la maglietta, mostrando un marchio scuro sulla spalla. Una semplice linea ricurva a cui se ne intrecciava un'altra. Aveva una vaga luminosità, come un vaso di lucciole coperto da un telo. «Io so sempre come sta Jace. Sempre. »
La ragazza sentì mancargli un battito. Così Alec aveva sentito quando Jace è morto, nel bel mezzo della battaglia di Idris. Non riusciva a pensare a una consapevolezza peggiore al mondo. Sentire morire il tuo migliore amico, mentre tu non puoi fare niente. Poco importava che poi Jace fosse sopravvissuto. Alec lo aveva sentito morire. Guardò Alec che ora fissava dritto davanti a sé, dopo essersi rimesso la giacca. Aveva la mascella contratta. Chissà se era a quello che stava pensando.
«Comunque» disse, tornando a guardarla. «Nel caso ti interessasse saperlo, adesso è parecchio incazzato»
Clary sentì le sue labbra tendersi verso l'alto, e Will sogghignare. La ragazza lo zittì con un'occhiataccia prima che lui potesse dire una delle sue solite cretinate tipiche degli Herondale.
«Oh andiamo, Clarissa» fece lui in tono scherzoso. «Sarà da qualche parte a intrattenere giovani fanciulle piene di speranze..»
Clary gli fece un dolce sorriso. «Qualunque cosa esca dalle tue belle labbra, Will, non vale la mia attenzione. A meno che non sia l'attuale ubicazione di Jace.» "Ubicazione"? E da quando lei usava termini come ubicazione? Scosse le spalle, come per scrollarsi qualcosa di dosso. Doveva tornare nel suo secolo, e alla svelta.
Will fece un sonoro schiocco con la lingua. «Belle labbra?»
Lo sguardo di Clary si addolcì, mentre si posava sulla labbra rosse del ragazzo. Erano quel tipo di labbra che avresti voluto baciare per sempre, rosse e piene, morbide e vellutate al tatto. «Sono uguali a quelle di Jace.» e, detto questo, si voltò e  si affiancò a Simon. Will non disse niente, ma Clary sentì comunque il suo sguardo premerle sulla schiena.
All'improvviso, Simon si fermò. Storse il naso, come se avesse sentito un odore tremendo. «Sento superbia e un cipiglio di arroganza...»
Jem scosse le spalle con noncuranza. «Sarà Will»
Simon rise. «Ha un vago sentore di metallo e prodotti chimici»
Gli occhi grigi di Tessa brillarono nel buio della profonda notte Londinese. «New York» mormorò, quasi tra sé.
Il cuore di Clary si gonfiò quasi fino a farle male. «Jace» sussurrò. Simon scattò e Clary lo seguì d'istinto. Corsero per diversi minuti, sfrecciando tra le strade sporche e piene di ogni schifezza possibile e immaginabile. Il ragazzo si fermò all'improvviso in mezzo alla strada. Clary non se ne accorse e gli finì addosso, ruzzolando insieme sulla strada acciottolata. Clary finì con la fronte sul petto di Simon, le mani sulle sue braccia in una posizione alquanto ambigua. «Ahi!» gemette Simon, quando lei si rialzò massaggiandosi la fronte. Il petto di Simon era più duro di quanto ricordasse. «Fa' attenzione, Fray!»
Clary sgranò gli occhi. «Come mi hai chiamata?»
Anche Simon fu sconvolto dalle sue stesse parole. Si tirò a sedere, reggendosi sui palmi delle mani. «Clary Fray» ripetè, come assaporando le parole.
La ragazza fece un debole sorriso. «Non mi chiamavi così da una vita»
Furono interrotti dal resto del gruppo, che arrivò subito dopo, trovandoli seduti a guardarsi scioccati e un po' sollevati, nel buio della notte. «Allora?» chiese Will, evidentemente scocciato.
Simon si riscosse, e indicò il palazzo alla loro destra. Era come una di quelle vecchie fotografie ad effetto seppia. Il palazzo era fatto di pietra con le mattonelle sporgenti, di un color grigio scuro. Delle scalette portavano alla porta d'ingresso, che si stagliava grande nella parete, composta da delle porte scorrevoli di legno scuro. Ai lati della porta, due grosse lampade tonde gettavano un bagliore giallastro sulle scale e sulla strada e, sopra di essa, c'era un cartello di legno lucido, decorato finemente nei bordi, ma rovinato da tempo e pioggia.
Scotland Yard era inciso in grandi lettere nere su di esso.
Isabelle fece una risatina nervosa. «Chissà perché, ma lo sapevo che prima o poi si sarebbe fatto arrestare.»
Clary, al fianco della ragazza, scosse le spalle. «Non è una sorpresa, in effetti.»
Entrarono all'interno. Era piuttosto affollato, nonostante fosse ormai mezzanotte passata. C'erano diversi mondani evidentemente sbronzi e rumorosi, oltre ai poliziotti in divisa vittoriana (A Clary prudevano le mani per la voglia di disegnarla), con cappello a campana e pesanti mantelli di un bel colore blu notte.
All'improvviso le venne il desiderio di indossarne una. I capelli rossi che le sfuggivano dal berretto, e il mantello che le arrivava fin quasi alle caviglie, con i bottoni sulla clavicola.
Okey, il risultato era orrendo, lo ammetteva. Ma sarebbe stata più a suo agio che con quel fastidioso corsetto. Non poteva indossare la tenuta da cacciatrice per andare in giro. Dannato diciannovesimo secolo. La parte meno nobile di lei pensava, però, che lo strettissimo corsetto facesse sembrare la sua seconda scarsa una terza abbondante.
Will si fece avanti, schiarendosi la voce. «Lasciate fare a me»
Tessa gli lanciò un'occhiata scettica, ma non disse nulla. Will si lanciò in avanti verso il bancone più vicino, dietro il quale c'era una ragazza con dei grossi occhiali a fondo di bottiglia e capelli scuri. Aveva anche lei la divisa da poliziotto, ma con sotto una lunghissima gonna scura. Clary alzò gli occhi al cielo. Dannate teiere giganti.
«Mi scusi» disse Will, con un tono molto basso e dolce. La ragazza al bancone alzò lo sguardo su di lui, arrossendo di colpo. Clary sentì distintamente Tessa trattenere il fiato, al suo fianco. «Sto cercando mio cugino. È alto più o meno così» e indicò l'altezza con una mano. Nel farlo, aveva sfiorato distrattamente, la mano della ragazza, che era arrossita completamente, ancora incapace di dire alcunché, se non guardare Will inebetita. Tessa, Clary e Isabelle la capivano perfettamente. «è biondo, con occhi castano chiaro e la pelle pallida. Di certo non è bello come me» e fece un risolino leggero, che avrebbe fatto scogliere anche un cuore di pietra.
La ragazza sembrò ritrovare l'uso della parola. «Credo..» si schiarì la voce con forza. «Credo che lei stia cercando il ragazzo che ha portato il signor Harriet.» indicò un poliziotto in fondo alla stanza, con un grosso pancione dei folti baffi che Clary immaginò passasse tutto il tempo ad attorcigliarsi. «Ha urlato parecchio, arrivando qui» aggiunse la ragazza. «Imprecava e si dibatteva dalle manette. Hanno dovuto legarlo con le corde per farlo stare fermo.»
E, come a confermare le parole della ragazza, una voce maschile familiare arrivò chiara, limpida e incazzata alle orecchie di Clary. «Ma avete mai dato una pulita qua sotto? Credo che pure i funghi abbiano i funghi!»
Clary fece un bel sospiro di sollievo. «E' lui.» fece Will alla ragazza, sempre sorridendole. «Possiamo vederlo?» le chiese, con voce civettuola.
E, chiaramente, la poliziotta non potè che annuire sommessa. Si alzò, prendendo un anello con appese almeno una dozzina di piccole chiavi di ferro e fece cenno loro di seguirla.

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Capitolo 20
*** XIX; Became insane ***



I became insane, with a long intervals of horrible sanity
E. A. Poe


Capitolo XIX
Became insane


«Sapete per cosa è stato arrestato?» Quando Will usava quel tono, Clary si sentiva le gambe molli. Se non avesse smesso di usarlo, lei lo avrebbe preso allegramente a calci, per due ragioni.
La prima era che, se non avesse smesso, persino lei si sarebbe buttata ai suoi piedi.
La seconda era Tessa.
Nel capire i sentimenti degli altri non era mai stata troppo brava. Già a capirlo bastava Simon. Ma quello che c'era tra Will e Tessa l'aveva capito subito, e per spiegarselo si era detta che era un'affinità che sentiva con la ragazza. Entrambe si erano innamorate di un Herondale con la lingua lunga e fascino a non finire. Gli Herondale erano fatti così: Esasperanti. Talvolta velenosi, talvolta dolcissimi. Affascinanti, ma troppo consapevoli di esserlo.
Avrebbero dovuto fondare un club. "Le ragazze innamorate degli Herondale". Sarebbe stato molto numeroso.
La voce della poliziotta la riportò alla realtà, interrompendo le sue fantasticherie. «E' stato trovato armato in un vicolo, e ha oltraggiato un pubblico ufficiale. Il signor Harriet sosteneva anche che fosse sotto l'effetto dell'oppio.»
Isabelle ridacchiò. «No, lui è sempre così.»
La ragazza si fermò davanti ad una porta di metallo scuro, che aprì con l'unica chiave grande del mazzo. La porta si aprì sotto la pressione della sua mano, dando luogo ad una stanza mediamente grande. Al suo interno c'erano una decina di grosse gabbie incassate nel pavimento. Le sbarre erano grosse, certo, ma niente che uno stilo non potesse abbattere.
Perché non ha usato lo stilo?
Si rese conto di averlo chiesto ad alta voce solo quando Will si sfilò dalla cintura uno stilo. «Perché lo ha dato a me» spiegò, guardando verso la poliziotta per controllare che non li stesse guardando. Quando  rimise il cilindretto nella cintura, quello brillò sotto la calda luce delle candele.
Le labbra di Clary si piegarono in un sorriso. Molte delle gabbie incassate erano occupate, la maggior parte da uomini sbronzi e nauseabondi. Quando Izzy passò vicino a una di esse, uno dei detenuti la prese per un polso tirandola contro le grosse sbarre. «Sciao bellissima.» brontolò sul viso della ragazza. Izzy fece una smorfia schifata. Il suo alito non doveva proprio profumare. Prima che quello potesse dire qualcos'altro, Isabelle tirò con forza il polso, e il detenuto, mantenendo la presa, andò a sbattere con violenza la fronte contro le sbarre di ferro. Mollò la presa su Izzy e cadde sul pavimento sporco, guaendo di dolore.
«Idiota»
 
Jace era disteso sul pavimento sporco della cella, a guardare il soffitto. Fin'ora aveva contato dodici macchie di umidità, tre scarafaggi, quattro macchie di muffa di un colore verdastro e ventisette, proprio ventisette, ragnatele.
Storse la bocca. Le prigioni dei fratelli Silenti non erano proprio uno splendore riguardo a comodità e / o confort, ma quantomeno erano pulite. Si era sdraiato per terra perché, quando l'avevano portato giù, aveva visto un'enorme macchia umidiccia sul materasso. Sarebbe morto prima di toccarlo, figurarsi sdraiarcisi sopra.
Così, guardava il soffitto. Il suo stilo ce l'aveva Will, e quel cretino di Jace se l'era ricordato solo quando ormai era stato chiuso là dentro. Oh, se aveva urlato quando se n'era reso conto. Aveva preso a pugni il muro così forte che si era scheggiato le nocche e probabilmente anche rotto qualche osso della mano. E inveito contro Will, ovviamente.
E quello stronzo del suo antenato era là fuori, libero e illeso, dato che aveva il suo dannato Stilo. Ma la cosa che lo faceva più incazzare era il fatto che era con Clary.
Non che Jace non avesse mai sperimentato la gelosia.
Ne sentiva ancora il sapore acre sulla lingua, quando pensava a Simon che baciava la bruciatura di Clary, a casa di Magnus Bane. Simon era rimasto vivo dopo averlo fatto per due motivi: Uno, uccidere i mondani era dannatamente illegale. Due, Clary ci sarebbe rimasta male. E quello era un motivo sufficiente, almeno per lui, per fare qualunque cosa. Avrebbe bruciato le terra dalle fondamenta se questo significava la felicità di Clary.
Ma con Will era diverso. Clary, la sua Clary, era attratta da un altro ragazzo mentre loro stavano insieme. Lo faceva sentire strano e dolorante, in qualche maniera, come certi di quei veleni demoniaci. Poco importava che Jace e Will fossero imparentati, alla lontana. Jace sapeva che Clary non si sarebbe mai innamorata di Simon. Mentre con Will, non ne aveva la certezza.
Jace non era mica uno stupido. L'aveva capito che Will veniva dal Galles, l'accento tradisce tutti, e i disegni di Clary non erano di certo una coincidenza. Aveva smesso di credere alle coincidenze un bel po' di tempo fa.
Una di quelle notti l'aveva sognato. Clary che lo lasciava per stare con Will e che decideva di restare nel XIX secolo. Dopo si era svegliato sudato e tachicardico, in preda a un attacco di panico. Si era alzato di scatto dal letto ed era corso in camera della ragazza. Quando aveva aperto la porta e aveva visto Clary guardarlo sollevata e felice dalla soglia, solo allora si era calmato. Lei lo amava. Se lo ripeteva spesso. Aveva scelto lui, sopra ogni altra cosa al mondo. Quelle frasi gli trapassavano il cervello, come un mantra.
Avresti potuto avere qualunque cosa al mondo, ma hai scelto me.
Ma io non voglio nient'altro al mondo.

Continuava a ripeterselo.
Ma riusciva a crederci solamente quando lei era con lui.
Sentì dei passi nel piccolo e angusto corridoio che conduceva alla sua gabbia. Sperò che fosse da mangiare: Stava morendo di fame.
Voltò appena il viso e vide degli stivaletti da donna con il tacco basso ad appena un metro da lui, a dividerli solo le sbarre. Jace aggrottò le sopracciglia. Non gli sembrava che le poche donne lì, alla centrale, indossassero degli stivaletti firmati.
Alzando lo sguardo gli apparvero delle gambe, minute, magre ma comunque robuste, segnate da piccole e quasi invisibili cicatrici pallide da stilo. Una runa nera per la velocità in battaglia spuntava sulla caviglia come il titolo nero sulla prima pagina di un romanzo.
Oh, ma le avrebbe riconosciute ovunque, quelle gambe! Il piccolo neo sotto il ginocchio, il segno di un morso che gli aveva fatto lui, un pomeriggio a Central Park.  La pelle tenera, sotto il ginocchio che aveva sentito tante e tante volte sotto le dita.
E difatti, alzando lo sguardo, vide Clary guardarlo con lo sguardo pieno di angoscia nei begl'occhi verdi, con le mani così strette sulle sbarre da essere sbiancate. La bocca era semiaperta, in una smorfia trattenuta.
Jace scattò in piedi in meno di un secondo mise le mani sulle sue. Clary si rilassò visibilmente e sorrise, così che Jace si ritrovò a pensare che niente, assolutamente niente, al mondo, valesse quanto il sorriso di quella ragazza.
Voleva dirle parole dolci, parole rassicuranti, parole d'amore.
«Cameron è scappato»
Già. Esattamente quello.
Clary abbandonò l'espressione preoccupata e assunse un cipiglio accigliato. «Ma chi se ne importa!» gli inveì contro, quasi urlando. «Come diavolo hai fatto a farti arrestare?»
Jace sorrise. Quella era la sua Clary. Le raccontò in breve cos'era successo da quando Will e Tessa se n'erano andati.
Lei fece una smorfia. «Tieni» gli disse, porgendogli uno stilo che brillò leggermente, quando toccò la sua mano. «Usalo quando ce ne saremo andati, ti aspettiamo qui fuori.»
Saremo. Ti aspettiamo.
«Chi altro c'è?»
Clary lo guardo confusa, poi sorrise. «Oh, siamo solo io e Will, sai com'è.»
Lo sguardo del ragazzo si accigliò. «No. Non lo so»
Lei gli fece un sorriso. Quel sorriso. Quello che gli avrebbe fatto passare qualunque cosa. «Vuoi sapere perché mi piace Will?»
No. non voleva saperlo. Né ora né mai. «Dimmelo.»
Sfilò una mano dalle sue e la passò attraverso le sbarre, posandogliela con dolcezza su una guancia. «Avete le stesse labbra.» e con un dito scese leggermente a sfiorargli il labbro inferiore in una carezza.  «E la forma dei suoi occhi mi ricorda la tua» mormorò con dolcezza. Risalì con quello stesso dito fino ai suoi occhi, che lui chiuse d'istinto, beandosi nel calore delle sue mani sulla pelle. «Avete la stessa lingua lunga, la stessa arroganza.» continuò, sempre accarezzandolo. «E io ti amo. Qualunque cosa mi ricordi te, mi piace. Persino Will.»
Jace posò la mano sulla sua, intrecciando le dita. Il calore di quella mano gli era passato rovente per le vene, fino al cuore. «Ti amo anch'io.»

Clary si strinse il busto con le braccia. Faceva un freddo dannato lì fuori, e il cappotto di lana non serviva a niente per lenire la situazione. La neve aveva ricominciato a cadere soffice attorno a loro, cristallizzandosi tra i riccioli di Clary, appuntati sulla nuca. Quando era uscita dalla stazione di polizia, aveva trovato gli altri ad aspettarla fuori sulla neve. Will, che mentre Clary era con Jace aveva distratto la poliziotta, stava appallottolando una grossa massa di neve, rendendola perfettamente sferica. Arrivando da dietro, Clary gliela fece cadere dalle mani.
Will le lanciò un'occhiataccia. «Non farmi cadere le palle»
«Troppo tardi»
Scoppiarono tutti a ridere tranne Tessa, e Clary sospettò che non l'avesse capita.
Il familiare sfrigolio di uno stilo sul metallo li fece voltare. Dalla finestrella inferriata di Jace stavano cadendo delle scintille rosse come fuochi d'artificio.
Quando poi le sbarre caddero sulla neve schizzando sui loro stivali, la tesa bionda di Jace comparve sulla finestrella. «Oh, ciao» disse a voce bassa. «Body - surfing?»
Clary alzò gli occhi al cielo. «Salta e basta»
Jem la guardò scettico. «Clary» le mormorò piano, come se stesse parlando con un bambino. «Sono almeno cinque metri»
«Avanti, salta!» lo incitò Will con una faccia da scemo dipinta sul viso.
Jace lo prese in parola. Posò i piedi sul cornicione della finestrella e le mani sulle uniche sbarre rimaste ai suoi lati. Chiuse gli occhi e, quindi, saltò, dandosi una spinta con le gambe. Si librò in aria come un passerotto al primo volo, ma con molta più grazia. Atterrò proprio davanti ai piedi di Will, schizzando neve fresca sugli stivali del ragazzo.
«Buonasera» disse allegro. «Visto che eravate tutti qui, volevo fare un salto.»
Will fece un sorriso crudele. «Vedo che la cella non ti ha annodato la lingua»
«Ti sarebbe piaciuto, non è vero?»
Oh. La sua lingua lunga. A un certo punto tutta la preoccupazione di Clary traboccò fuori da sé, e si gettò tra le braccia di Jace, in lacrime. L'ultima volta che aveva avuto così bisogno di stringerlo a sé era stato sulle sponde del lago Lyn. Sentì il torace duro sotto la guancia e i muscoli sodi e tesi delle spalle sulle mani, quando lo strinse. Simon aveva ragione: Sapeva di prodotti chimici e metallo, ma più di tutto sapeva di Jace: Quel vago sentore di sapone e limone. Sapeva che era una frase scontata, ma era il suo profumo preferito.
Jace all'inizio fu bloccato dalla sua reazione, e a Clary erano salite le lacrime agli occhi. Odiava a morte quella sensazione di fragilità che si sentiva montare dentro. Lei non era fragile, né lo era mai stata. Ma era un vaso di cristallo nelle mani di Jace: Solo lui avrebbe potuto farla a pezzi.
Poi, con estrema dolcezza, le aveva accarezzato la schiena con la mano destra e, con la sinistra, le aveva sfilato gli spilloni che le tenevano i capelli, per poi passarci le mani. Clary sorrise sul suo petto, cominciando a singhiozzare.
«Shhh» fece lui, sulla sua guancia. «Va tutto bene. Sono tutto intero»
Sospirò. Chiuse le mani a pugno sul suo petto e si allontanò da lui, guardandolo negli occhi dorati. Erano pieni di tenerezza. Chissà che aspetto patetico doveva avere, con gli occhi arrossati e le guance rosse per il freddo, i capelli scarmigliati al vento. Si alzò sulle punte dei piedi, stringendo i pugni nella sua maglietta, sporca in più punti, e lo baciò. Un suono rauco uscì dalla sua gola. Quel suono le passò rovente nelle vene, arrivandole al cuore. Sciolse i pugni e alzò le braccia avvolgendogliele intorno al collo, fino a giocare con i capelli troppo lunghi sulla nuca. Le mani di Jace scesero per un momento sui suoi fianchi, prima di risalire sul proprio collo e sciogliere la stretta delle sue mani e interrompere il bacio. Le sorrise mesto, facendole l'occhiolino.
E poi si rese conto di stare facendo un po' troppa scena.
Se ne rese conto solo dopo un po'. Si staccò da lui velocemente, arrossendo di colpo. Ovviamente tutti li stavano fissando. Cavolo. Tessa, poi, aveva uno sguardo strano, corrugato. Come se le mancasse qualche pezzo. E Will sembrava aver ingoiato qualcosa di molto amaro. Jem era imbarazzato fino al midollo, e si vedeva nelle guancie rossissime. Anche Simon era visibilmente imbarazzato, anche se lui non era arrossito per ovvie ragioni. Izzy e Alec, che a quelle scene si erano ormai abituati, dato che avevano l'abitudine di entrare senza bussare nelle stanze, si erano educatamente voltati.
«Oh, e smettetela di fissarci» borbottò, rossissima in viso, incominciando a incamminarsi verso l'istituto. Sentì, più  che vedere, Jace sogghignare alle sue spalle. «La mia ragazza, signori e signori» Solo la nota d'orgoglio nella sua voce le impedì di tornare a prenderlo a schiaffi. «E ora andiamo via, prima che capiscano che me la sono filata.»
 
Sulle porte dell'istituto, a sorpresa di tutti, trovarono Jessamine e Sophie. Strano, soprattutto, perché ormai erano le due del mattino, a occhio e croce. La cameriera aveva un'espressione tremendamente seccata e Clary la capiva benissimo. Stava tenendo dritto un ombrello sopra la sua testa e quella di Jessamine per coprirle da una neve che non stava nemmeno cadendo. Aveva l'aria di farlo da un po', il suo braccio era un po' più bianco del normale.
Jessamine, invece, aveva un'aria realmente preoccupata, che abbandonò solo quando i suoi occhi si posarono su Alec e videro che era illeso e sano. Non lanciò nemmeno un'occhiata ai suoi amici né a Jace. «Oh, grazie al cielo» disse sollevata, abbracciando Alec con estrema delicatezza, nemmeno fosse stata al suo capezzale. «Ero così preoccupata!»
Inutile dire che Alec arrossì da capo a piede.
«Ciao, Jessie» Will si scosse la giacca, per togliere gli ultimi rimasugli di neve semidisciolta. «Si, stiamo tutti bene. Non c'era bisogno che ti preoccupassi così per tutti noi.»
Jessamine lo guardò in tralice per circa un secondo, prima di tornare a guardare Alec. «Nessuno era preoccupato per te, Will.»
«Io si» rispose prontamente Jem, con un'aria vagamente risentita.
«Anche io» disse Tessa, altrettanto piccata, gettando un'occhiataccia a Jessamine. «E anche tu, sebbene non lo ammetti.»
Will la guardò per un istante, distogliendo subito lo sguardo. Un vago rossore si spanse sulle sue guancie, e non per la neve.
Oh mio Dio! Will arrossito!
Jessamine nemmeno li degnò di uno sguardo. «Cielo, Alec. Starai gelando» schioccò le dita davanti a Sophie in un modo molto irritante. «Vai a fare del thè caldo»
Sophie alzò gli occhi al cielo e se ne andò, evidentemente grata di allontanarsi da lei.
«Sophie, non ce né bisogno» disse Alec. La voce vagamente grata ed esasperata al tempo stesso. «Vogliamo solo andare a dormire.»
Sophie si inchinò appena. «I signori Branwell vogliono parlare con lei, signor Lightwood» disse poi, rivolgendosi a Jace, che arcuò un sopracciglio dorato.  «Domani mattina, ovviamente» aggiunse poi, vagamente imbarazzata.
«Va bene» borbottò Jace.
Si separarono: Jem, Will, Tessa, Isabelle e Alec andarono all'interno insieme a Jessamine e Sophie, mentre Clary, Jace e Simon si incamminarono verso il retro, per accompagnare Simon al rifugio. Mentre camminavano, Clary fu colta da una domanda. «Simon» Lui la guardò interrogativo. «Dove sono le tue guardie?»
Simon scosse le spalle. «Stasera toccava a quello italiano. Ma ha ricevuto una messaggio strano» e mimò nell'aria una specie di volata di fumo. «Mi ha detto di non fare cose stupide e si è volatilizzato.»
«Molto affidabile» commentò Jace.
«Invece, lui è a posto» obbiettò Simon. «Luigi è simpatico, e sa un sacco di barzellette divertenti. Almeno, fino a un paio di giorni fa» aggrottò le sopracciglia. «Mentre l'altro, quello inglese, è di una noia mortale»
«Chi, Gabriel?» chiese Clary.
«Si, Gabriel. Il parente di Alec e Isabelle.»
Clary e Jace si bloccarono all'improvviso. E Simon si voltò a guardarli. Con le mani nelle tasche e l'aria trasandata era la personificazione della noncuranza.
«Sei serio?» gli chiese Jace, sorpreso.
«Si» rispose Simon, alzando un sopracciglio scuro. In effetti, per lui non doveva essere troppo scioccante. «Di cognome fa Lightwood.»

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Capitolo 21
*** XX - Parte prima; Never dreamed. ***


Author's corner: Se avessi continuato di questo passo questo capitolo l'avreste avuto davvero per Natale lol. Chiedo scusa a chiunque gliene freghi qualcosa di questa storia, ma i buoni voti nella mia scuola non li regalano. L'unica è studiare. Tra scuola, First e vita sociale mi soprendo di trovare il tempo per riuscire a respirare. Anyway, godetevi il capitolo. Spero di pubblicare il prossimo quanto prima.

 

He went to the church, and walked about the streets, and watched the people hurrying to and for, and patted the children on the head,
and questioned beggars, and looked down into the kitchens of homes, and up to the windows, and found that everything could yield him pleasure.
He had never dreamed of any walk, that anything, could give him so much happiness.
C. Dickens

Capitolo XX; Parte prima
Never dreamed


Natale arrivò senza che nessuno se ne accorgesse.
Un giorno stavano togliendo il sedere sodo di Jace dalla prigione, e all'improvviso Charlotte, finalmente guarita e più raggiante che mai, informava loro che tra due giorni ci sarebbe stata la festa di Natale.
Clary aveva fermato la forchetta a mezz'aria. Stavano mangiando tutti insieme a cena, come al solito. E Charlotte era tutta contenta e elettrizzata per quella festa. Ogni quattro anni il Conclave organizzava una festa mista tra Nascosti e Shadowhunters, in occasione degli accordi. Clary aveva voglia di parteciparci quanto di essere investita da un treno.
Jessamine aveva battuto le mani entusiasta e cominciato a blaterare infinitamente di vestiti coordinati e festoni colorati. Clary non pensava fosse il tipo di persona che adorava feste miste. Pensava fosse un tipo da soiree o thè delle cinque.
«Io ci sto» Isabelle sembrava elettrizzata, e Clary non capì perché. Forse, si disse, voleva solo una ventata di vita. Da quando erano arrivati, erano rimasti sempre e solo a fare ricerche su ricerche. I libri non facevano per Izzy.
«Charlotte» cominciò Clary con dolcezza. «Non credo che sia...»
«Prima che tu possa declinare l'invito, Clary, è stato il console in persona a invitarvi.» Un sorriso mesto, e a Clary venne in mente che forse, dopotutto, era stato un suo suggerimento. «Non vorrete declinare un suo invito, vero? Inoltre, Alec e Isabelle vogliono partecipare»
Jace si voltò verso Alec, alzando un sopracciglio. «Ah si?»
Alec sembrava aver ingoiato qualcosa di molto amaro. «Si.» e poi, a voce così bassa che solo Clary e Jace, che erano al suo fianco, poterono sentire. «Jessamine me l'ha chiesto l'altra sera con l'inganno. Non potevo rifiutare.»
E, come a confermare le sue parole, Jessamine, dall'altro capo della tavola, scoccò un radioso sorriso ad Alec. Clary deglutì. L'Angelo la fulmini se sarà lì quando scoprirà la verità.
«Vi ha incastrati» disse Jem sorridente.
Clary si morse il labbro con forza. Sua madre, quando era piccola, l'aveva portata spesso a delle noiosissime feste nelle gallerie d'arte in cui esponeva i suoi quadri.
E lei le aveva odiate a morte. C'erano solo uomini noiosi e donne troppo occupate a vantarsi dei propri averi per dire qualcosa di interessante.
Jace prese un sorso di vino rosso. «Io passo»
Lo sguardo di Charlotte si addolcì, posandosi sul ragazzo. «Non siete obbligati» disse. «Certo che no. Ma avete bisogno di distrazione, e di un po' di divertimento.» disse. «Sarà divertente» aggiunse poi, con gli occhi da cucciolo.
Jace alzò lo sguardo su di lei. Forse voleva guardarla con durezza e dirle che no, non sarebbe venuto alla festa neanche morto, ma lo sguardo implorante di Charlotte doveva averlo sciolto, perché si sgonfiò come un palloncino, arrendendosi. «E va bene» sbuffò. «Ma non indosserò il Frac.»
E, nonostante le profonde  lamentele da parte di Jessamine, Jace l'ebbe vinta.
 
Il ventitrè Dicembre del 1892, alle sette di sera, Clary si ritrovò a scendere un'immensa scalinata Vittoriana situata nell'istituto di Londra, con il favoloso abito di seta bianca e dorata, stivaletti color crema e un fine girocollo d'oro. Sophie le aveva raccolto con grazia i capelli sulla nuca, facendoli sembrare un delicato salice piangente di riccioli rossi. Clary li adorava.
Forse per la prima volta nella sua vita, era arrivata per prima. Jessamine li aveva costretti ad andare a prepararsi sin dalle quattro del pomeriggio, cosicché Clary era fortemente in anticipo. Si sedette su una delle poltroncine dell'ingresso e accavallò le gambe. Si guardò in giro. Campo libero. Così, prendendo un bel respiro, allentò un po' i nodi che le stringevano il corsetto. E fu immensamente grata all'aria che le entrò nei polmoni.
«Carina» mormorò una voce conosciuta, dall'oscurità. «Non deve essere troppo comodo.»
«Oh, sta zitto Will» borbottò imbarazzata.
Il ragazzo stette zitto e le si avvicinò, sempre più vicino, fino a che non arrivò che a pochi centimetri dal suo viso. Quanto a lui, indossava un semplice completo da sera bianco e nero. Ma niente era solo semplice, se lo faceva sembrare ancora più bello del normale. Gli occhi azzurri risaltavano come gemme preziose, l'unica traccia di colore, a parte le labbra rosse.  Clary si morse il labbro. Gli uomini in ghingheri erano la sua fantasia segreta. «Non capisco perché le donne si alzino i capelli» mormorò, prendendole un ricciolo tra le lunghe dita. «Trovo che i capelli sciolti siano molto meglio. Specie tra le dita»
Clary allontanò nervosamente la sua mano. «Per darvi la pena di scioglierli, mi sembra ovvio»
Lui fece un mezzo sorriso. «Ne sapete proprio una in più del diavolo, eh?»
La ragazza fece un sospiro carico di segreti, e andò nervosamente avanti e indietro per il corridoio. In quel momento, vide arrivare Jace, insieme a Izzy.
Isabelle, ovviamente, era bellissima. Indossava un abito di un intenso rosso scuro che le lasciava scoperte le spalle, l'abbondante decolté, e buona parte delle braccia, su cui risaltavano i marchi scuri che non aveva bisogno di nascondere. A contornare la scollatura, le maniche e l'orlo del vestito c'era dell'elaborato pizzo nero. Al posto di raccogliere i capelli verso l'alto, aveva fatto una lunga treccia nera in cui aveva infilato, qui e là, delle piccole rose rosse. Al collo indossava la collana che Clary le aveva visto indosso la prima volta che l'aveva vista: la grossa catena tesa sotto il peso dell'enorme rubino. Sembrava una damigella spagnola.
Ma quello che interessava a Clary non era certo Izzy. Jace, al suo fianco, indossava l'abito bianco e dorato che aveva scelto Jessamine. Quello che le faceva contrarre diversi muscoli del ventre in maniera deliziosa. Accidenti se era bello. Ed era tutto suo. Il pensiero la fece sorridere.
Il ragazzo le si avvicinò, squadrandola da capo a piede con uno sguardo lento che le fece rizzare i capelli sulla nuca. «Bel vestito» le disse sorridente.
«Anche il tuo» mormorò Clary con le guancie in fiamme.
«Ehy!» fece Isabelle seccata. «Nessuno nota quanto io stia bene?» girò la testa dall'altra parte, offesa. Incrociando le braccia al petto.
A sorpresa di tutti, Jace le prese una mano e, con gentilezza, le fece fare un piccolo giro. «Sei bellissima» le mormorò suadente.
Isabelle arrossì leggermente, ma fortunatamente solo Clary se ne accorse. «Così va meglio» commentò.
Jace aggrottò le sopracciglia, e chissà perché a Clary venne da ridere. «Dove sono Alec e Jessamine?» Chiese interrompendo il piccolo idillio.
«Dietro di te»
Alec e Jessamine stavano scendendo le scale, e a Clary venne in mente quella vecchia poesia di un poeta italiano che le avevano fatto studiare a scuola.
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale /e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. Alec, difatti, stava dando il braccio a Jessamine per aiutarla a scendere, nella perfetta posa da principe azzurro. Perché Alec era proprio così. Il ragazzo di cui tutte si sarebbero innamorate: Dolce, gentile, non troppo ciarliero, disponibile, intelligente.
Peccato che fosse innamorato.
E, come se questo di per sé non bastasse come impedimento, era innamorato di un uomo. Bella sfida, per Jessamine.
La quale, comunque, ce la stava mettendo tutta per rendersi carina per lui. Aveva i capelli raccolti verso l'alto in un elegantissimo chignon, tenuto fermo da un diadema brillante. Indossava un abito di quella che sembrava seta giapponese, di un adorabile azzurro cielo. La scollatura non era troppo ampia, ma l'abito era molto stretto sul decolté, evidenziandolo. Solo Jace, Clary e Izzy sapevano che Alec non lo avrebbe mai nemmeno degnato di uno sguardo, il decolté di Jessamine.
Alec, al suo fianco, non era da meno. Jessamine aveva fatto proprio un ottimo lavoro sui suoi abiti, per intonarli al suo. Camicia bianca, panciotto nero, giacca, cappotto e pantaloni neri: L'unico tocco di colore era il fazzoletto di seta azzurra che aveva annodato intorno al collo. A dargli il colpo di grazia, era il cilindro nero sulla testa, che si sistemava ogni dieci secondi, a disagio. Se solo il loro Magnus l'avesse visto così.
«Non siamo adorabili?» cinguettò Jessamine accostandosi a loro.
Alec era visibilmente imbarazzato fino al midollo, troppo rigido e serio. Clary immaginò che non avesse mai dovuto avere a che fare con ragazzine cotte di lui.Poverino.
«Una meraviglia» commentò Isabelle prima di voltarsi e spalancare le porte.
 
«Simon, smettila di fissarmi»
Simon distolse lo sguardo imbarazzato. «Non ti stavo fissando» mormorò guardando intensamente il soffitto della carrozza.
Isabelle gli fece un piccolo sorriso. «Si invece, ma non fa niente.»
Lui riportò gli occhi nei suoi con rammarico. «Scusa» biascicò. «Ma..sei molto..» sembrava faticare a trovare le parole. «..bella»
Alleluia. Era riuscito a dire qualcosa di sensato.
Clary distolse lo sguardo dai due, imbarazzata. Non si sarebbe mai abituata a quelle scenette melense tra Isabelle e Simon. Mai. Le facevano sempre più spesso, sia nella loro epoca che in quella. Se si piacevano così tanto, che si mettessero insieme e la facessero finita con queste sviolinate. «Dove si trova la festa?» chiese allora a Jessamine, impegnata a monopolizzare, come sempre, l'attenzione di Alec.
Lei fece un sorriso sottile. «E' una sorpresa» disse allegra.
«Sto cominciando a stancarmi delle sorprese» commentò Jace. «Mi manca la vecchia e tranquilla normalità»
«A chi lo dici» borbottò Clary.
Nella carrozza, c'erano solo loro sei. Will, Jem, Tessa, Charlotte ed Henry avevano preso l'altra in dotazione dell'istituto. Avrebbe di gran lunga preferito stare con Charlotte ed Henry. Jessamine la metteva in uno strano stato di soggezione, come se la sua presenza le fosse sempre molto sgradita. e, ogni qual volta cercava di intavolare una discussione con Alec le lanciava un'occhiataccia corrosiva quando il veleno di divoratore.
Beh, era pure piuttosto logico. Lei era l'unica ragazza del futuro che potesse rubarle Alec. Il pensiero le faceva salire una risata dal profondo dell'anima, ma la bloccava appena in tempo.
Isabelle, Alec e Jace stavano parlando di un qualche congegno che Henry aveva mostrato loro un paio di giorni prima. Jessamine, pur non prendendo parte alla conversazione, pendeva dalle labbra di Alec. Così Clary si appoggiò allo schienale in pelle della carrozza, scostò la tendina e gettò un'occhiata all'esterno. Londra scorreva a ultra velocità intorno a loro, ma lei riusciva comunque a distinguere i dettagli nei coni di luce dei lampioni: Le locande ancora aperte e la folla che ne usciva o entrava, mondani in che giravano per le piazze tutti armati di cappotti pesanti e ombrelli, anche se quella sera non minacciava pioggia. I poliziotti che facevano girare i manganelli in cerchio, come Clary aveva visto fare tante volte nei cartoni animati.  Si ritrovò a pensare che a Londra qualunque cosa apparisse magica, persino il bagliore della luce a gas sulle pozzanghere per strada.
Quando la carrozza si fermò, Clary spalancò la bocca nel vedere la residenza in cui si erano fermati.
La prima cosa che le saltò all'occhio fu il giardino. Un immenso, enorme giardino che, a occhio e croce, misurava almeno trenta acri. Subito dopo notò la statua dorata in cima al monumento di marmo. Clary l'aveva studiata a una delle lezioni della Tisch. Era un monumento in onore alla regina Vittoria, ma tutte le foto che aveva visto non gli rendevano giustizia.
Poi, l'immenso palazzo.
Non era esattamente come Clary lo ricordava, ma lei l'aveva visto solo in foto, e nel XXI secolo. Di sicuro nel corso del tempo era stato modificato. Ma lo schema del palazzo era uguale: Una grande struttura poligonale perfettamente simmetrica, divisa a metà solamente dall'immensa porta d'ingresso decorata fino all'ultimo millimetro.
Si voltò verso Jessamine inarcando un sopracciglio. «Buckingham Palace?»
Lei alzò le spalle, come di scuse. «Il Conclave ha stipulato diversi contatti d'amicizia con la regina Vittoria.» disse con una voce molto saccente. Clary pensò che doveva essersi letta un po' di storia inglese, per una volta, prima di andare lì.
Jace e Alec, ai lati della carozza, scesero, aiutando le relative compagne a scendere. La differenza era che Jace l'aveva fatto con naturalezza, prendendole dolcemente una mano, accarezzandole il dorso con piccoli movimenti circolari. Come ogni volta che lui la toccava, Clary aveva sentito le scintille.
Alec sembrava, invece, un robot  programmato a comando. Braccio sinistro dietro la schiena, braccio destro teso a prendere la mano di Jessamine, sguardo quasi vitreo. Era una visione inquietante. Jace aiutò anche la sorella a scendere. Simon, per fare lo scemo, scese saltando, atterrando con leggiadria sulla strada umida senza scivolare. Questo non sarebbe mai successo da mondano. Allora sarebbe scivolato battendo il sedere, avrebbe perso gli occhiali e si sarebbe lavato tutti i vestiti nel cercarli nella neve umida.
Il che sarebbe stato un peccato, dato che per la festa c'era l'obbligo dell'abito elegante. Henry gli aveva dato uno dei suoi di un paio d'anni prima. Sembrava un abito da cerimonia, tipo matrimonio. E, nonostante fosse molto bello, Simon continuava a tormentarsi le maniche, a disagio. E Clary sapeva benissimo a cosa stava pensando, perché era la stessa cosa a cui stava pensando lei: Rivoglio i miei jeans.
Così, gli si avvicinò e gli diede di gomito. «Prova a indossare un corsetto, poi vediamo se ti lamenti»
Lui le lanciò un'occhiata spalancata. «Non so nemmeno cosa sia. Ma, dal nome, sembra scomodo.»
Alzò gli occhi al cielo. Quello era il suo Simon. Quello che, delle cose da ragazza, non sapeva niente. «Lascia stare, Simon.»
Isabelle arrivò all'improvviso e lo prese a braccetto, prendendolo di sorpresa. . «Jessamine mi ha appena detto che si deve entrare in coppia.» disse sorridente. Simon era leggermente intimidito «Coppia?» mormorò.
La ragazza sospirò, esasperata. «Simon, noi stavamo per andare a letto assieme. Credo che entrare a braccetto con me non ti ucciderà»
Sembrava che Simon avesse inghiottito qualcosa di molto amaro, perché deglutì diverse volte e balbettò parole sconnesse tipo Io? Te? Davvero? pazzia? Ubriachi?
Clary gli diede per l'ennesima volta di gomito, lasciando Isabelle a fargli ordine nella testa, e si avvicinò a Jace. Il ragazzo non la guardò, ma avvicinò la mano di modo che lei gli prendesse la mano. Non dissero nulla. Erano quelli, i momenti che Clary preferiva. Quelli in cui non avevano di parlare per comunicare. Nonostante all'inizio non volesse venire, era elettrizzato. E Clary sapeva perché.
Quella era la loro prima festa del Conclave in cui andavano insieme. Se si voleva escludere quella ad Alicante per festeggiare la vittoria contro Valentine. Ma, per Clary, quella non era stata una festa, ma una continua veglia: Avevano ricordato tutte le morti di quei giorni, sparato fuochi d'artificio nel cielo ancora rannuvolato, e danzato su quella piazza ancora sporca di sangue.
Delle guardie, all'ingresso, controllarono i loro nomi su una lista enorme e poi li fecero entrare. Guardandoli meglio, Clary capì che erano lupi mannari.
Attraversarono diversi saloni e corridoi, per poi sbucare nella sala da ballo. Era, a dir poco, enorme. Almeno quanto tre volte il suo vecchio appartamento a Manhattan. Fuori dalle immense finestre, una mezzaluna gettava il suo bagliore all'interno della sala. Il soffitto a volte era decorato da diversi mosaici all'italiana e sorretto da immensi pilastri decorati di blu. Tra di essi vi erano dei divanetti color rosso scuro con i contorni di seta dorata. Per dare luce a tutta la sala, diverse lampade a olio bruciavano nei quattro angoli della sala e tra i divani, con l'aiuto di un immenso lampadario che pendeva sopra le loro testa. E, infine, in un palchetto in fondo alla sala, una piccola orchestra riempiva l'atmosfera di musica. Clary non riconobbe con esattezza il brano che stavano suonando, ma le parve di averla già sentita. Non bastavano gli occhi per guardarlo, da quanto era bello. Le quasi vennero le lacrime agli occhi da quanto quella sala era meravigliosa.
Di solito, la festa di Natale dei Nephilim si svolgeva all'interno dell'istituto. Ma, come le aveva spiegato Charlotte, ogni quattro anni, in onore degli accordi, viene organizzata una festa mista tra Nephilim e l'alta società dei Nascosti. E, dato che un quarto di loro non poteva entrare nelle chiese, veniva organizzata in diverse località. L'ultima location era stata Hyde Park, opportunamente coperto per proteggere dalla neve.
Un elegante mondano in abito da sera li annunciò a uno a uno, e Jace e Clary fecero il loro ingresso nella sala da ballo.
La ragazza riconobbe qualche viso conosciuto. Charlotte ed Henry che parlavano con dei nascosti in fondo alla sala. Camille Belcourt e Magnus, a poca distanza da loro, che si stavano intrattenendo su uno dei divanetti insieme a diversa gente.  Il console Wayland, in fondo alla sala, vestito, come sempre, con un abito oltremodo elegante e serio. Sembrava ancora più grande di quel che Clary ricordasse. Al suo fianco, c'era un uomo che Clary non aveva mai visto ma che gli parve familiare.
Era alto e, neanche fosse a un funerale, tutto vestito di grigio topo.  Almeno si intonava ai capelli, grigi anch'essi, così come la carnagione. Il viso era ossuto e aquilino,con un grande naso sottile e il mento aguzzo; Clary si ritrovò a pensare che da giovane doveva essere stato proprio un bel ragazzo. Ma, allora, con quell'espressione così dura e ferrea, sembrava un boia pronto a sferrare un colpo mortale. Tessa, che si era appena unita a loro, insieme a Jem, rabbrividì leggermente. Clary si chiese se fossero entrati insieme come coppia. «Chi è?» le chiese Clary.
«Benedict Lightwood.» rispose Jem.
«Quell'uomo mi inquieta» aggiunse Tessa, distogliendo lo sguardo. Era molto bella in quel vestito rosa antico. La scollatura, decorata da piccole roselline dello stesso colore, le lasciava scoperte la pelle candida delle spalle. La parte inferiore era composta da eleganti balze che si aprivano su delle sottili scarpe rosa scuro. A chiudere il vestito sulla vita, come se il corsetto di per sé non bastasse, aveva un grande fiocco che si chiudeva sulla schiena, e a Clary ricordava una buffa coda.
Sophie le aveva raccolto i capelli in due trecce che poi aveva appuntato sulla nuca, facendole sembrare un nido d'ape. Due riccioli le sfuggivano intenzionalmente al lati del viso. A Clary quell'acconciatura non piaceva, ma doveva ammettere che le donava. Immancabile, al collo portava il suo angelo meccanico.
Jem, invece, portava un completo grigio chiaro molto semplice. A dargli un'aria mortalmente affascinante era l'elsa di una spada che spuntava dal fodero, attaccato alla cintura del ragazzo. Clary sospettò che la portasse per bellezza.
Dei camerieri passarono tra la folla, portando con sé vassoi d'argento sopra i quali stavano diversi bicchieri colmi di bevande colorate. Clary ne prese uno e lo assaggiò, senza la paura di venire trasformata in un topo. Era Champagne alle fragole, constatò. Le bollicine le solleticarono deliziosamente la gola, quando scese giù. Jace le fece una smorfia e quindi si rivolse al cameriere. «Non avete qualcosa che non sia rosa?» chiese Jace.
Il cameriere sbiancò. «Andrò a chiedere, signore.» e scappò nella direzione opposta.
«Non andrà a chiedere un cavolo.» borbottò.  «Beh, se proprio devo rimanere sobrio, almeno divertiamoci.» prese Clary per mano e la condusse sulla pista da ballo. Fece scorrere la mano destra dalla sua spalla alla sua schiena con lentezza, lasciandole una scia di calore sulla pelle. Con l'altra le strinse la mano che aveva portato in alto. I suoi occhi brillavano di uno scintillio dorato. Quindi, avvolti dalla musica classica suonata dall'orchestra, la fece volteggiare. Le mani di Jace erano forti come lo erano in battaglia, e altrettanto ferme. Ma al tempo stesso erano delicate e leggere. Era solo un ballo, un semplice ballo. I seni di Clary erano schiacciati contro il petto di Jace, cosa che non la aiutava a mantenere la concentrazione.
Era brava a ballare, Clary. Glielo aveva insegnato Luke, nel salotto di casa sua, sopra la libreria. All'inizio, per farla stare un po' più alla sua altezza, l'aveva fatta salire su una pila di libri, e Clary aveva volteggiato sulle parole e sulla carta, sentendo di quasi di volare mentre Luke la prendeva in braccio facendola girare.
Con Jace era tutt'altra storia.
Jace la stringeva con forza, premendosela tutta addosso. Le sue mani le premevano le scapole, sui fianchi stretti dal corsetto, sulle spalle, le braccia. A un certo punto non capiva dove finisse la sua pelle e cominciasse quella di lui. La sua pelle, la pelle di lui. Il suo respiro, il respiro di lui. Il suo battito, il battito di lui. Le fece quasi esplodere il cuore quando le fece fare una giravolta.
Non era come ballare con Luke.
Luke la faceva volare. Jace le fece spuntare le ali.

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Capitolo 22
*** XX - Parte seconda; So much happiness ***


Author's corner: Ho un paio di scuse da fare. Come sempre, scusate il ritardo. Lo so che mi odiate tanto. Scusate anche perchè il capitolo è piccolissimo, ma l'ho scritto trecento volte e non è mai uscito più grande di così, così mi sono arresa. E scusate a *spoiler* a tutti coloro che sono per il Jem/Tessa.  Lo so che non ve ne frega niente, però è sempre meglio dirlo!


He went to the church, and walked about the streets,
and watched the people hurrying to and for, and patted the children on the head,
and questioned beggars, and looked down into the kitchens of homes,
and up to the windows, and found that everything could yield him pleasure.
He had never dreamed of any walk, that anything, could give him so much happiness.
C. Dickens

Capitolo XX; Parte seconda
So much happiness




Il whisky scese liscio sulla sua gola come fosse acqua.
Will Herondale fece appena una smorfia prima di chiamare l'ennesimo cameriere per cambiare il suo bicchiere vuoto con un altro colmo di liquido ambrato. Che mandò giù velocemente quanto gli altri.
Era appoggiato a una delle colonne, le braccia strette al petto e lo sguardo fisso sulla sala. Charlotte ed Henry stavano ballando in un angolino appartato, guardandosi teneramente. Notò distrattamente che Charlotte non aveva ancora bevuto nulla. Quel deficiente di Gabriel Lightwood stava ballando con quell'altra deficiente della sorella, rigido come un manico di scopa. Will alzò gli occhi al soffitto. E questo dovrebbe essere un soldato?
Clary e Jace stavano ballando da almeno venti minuti nella loro bolla privata di amore zuccheroso. Gli sarebbe piaciuto da morire andare e farla scoppiare con giusto qualche parola. Non per Clary e Jace in sé, ma per lo sguardo che avevano quando si guardavano. Era lo stesso sguardo con cui Charlotte guardava Henry, con cui suo padre guardava sua madre. Un amore così vivido e bruciante da far quasi male. Li invidiava così tanto da far male. Perché loro potevano averlo, quello sguardo? Perché c'era una donna che li guardava così?
Senza ombra di dubbio, era lo stesso sguardo con cui lui guardava Tessa.
Will ormai l'aveva capito di essere condannato. Si era innamorato di lei dal primo momento in cui l'aveva contraddetto, o forse da quando l'aveva colpito con la brocca. Nessuna donna al mondo l'aveva mai ferito, emotivamente o fisicamente. Lei era stata capace di fare entrambi quando ancora non conosceva nemmeno il suo nome.
Siete per caso ubriaco fradicio?
Ah, quella lingua! Velenosa come quella del diavolo, e altrettanto dolce come il frutto proibito che esso offriva.
Poco importava che fosse una nascosta. Per quel che lo riguardava, poteva anche essere Lilith in persona, Will l'avrebbe amata comunque.
Ed era il fatto di sapere che non era l'unico a fermarlo.
Non era uno scemo, Will. L'aveva letto negli occhi del suo parabatai quanto sentimento condividessero per quella giovane. Jem era totalmente e indiscutibilmente innamorato di Tessa. Così come lo era Will.
Destino crudele. La persona più importante della sua vita gli impediva, senza saperlo, di stare con la donna che amava.
Represse la voglia di prendere a pugni il muro e sfilò un altro bicchiere dal vassoio che gli era appena passato accanto. Era gin, quello, ma sarebbe andato bene comunque.
Tessa e Jem stavano ballando sulle note del Minuetto. Lei gli teneva quasi distrattamente una mano sulla spalla, come posata lì per caso, e lui le stava stringendo i fianchi con delicatezza, quasi fosse la sua ancora.
La canzone finì, e Jem e Tessa si separarono. Will li osservò mentre il ragazzo s'inchinava al suo cospetto, con evidente venerazione, e lei gli sorrideva con dolcezza. Da che lui ricordasse, Tessa non gli aveva mai sorriso con dolcezza. Non riuscì a trattenersi quando poi Jem si diresse al bancone in fondo alla sala per qualche minuto, bevve ciò che rimaneva nel bicchiere che teneva stretto in mano e si diresse verso di lei.
Stava chiacchierando con qualcuno. Un ragazzino basso e ancora non troppo cresciuto che la guardava con sguardo ammirante. Will li lanciò un'occhiataccia assassina da dietro la schiena di Tessa e quello sbiancò, mormorò delle parole di scuse in direzione della ragazza e se ne andò. . Tessa, con lentezza, si voltò verso di lui e Will si rese conto di non sapere cosa dirle. I suoi occhi si tinsero di una sfumatura più cupa quando si posarono su di lui e il sorriso le si smorzò. Era amaro sapere il dolore che gli procurava, come se fosse costretto a bere del veleno di demone.
Will deglutì con forza. Era davvero bellissima. Non bella come Jessamine, che assomigliava a una di quelle inquietanti bambole di porcellana che collezionava sua sorella Cecily, ma bella come lo era l'Angelo che emergeva dalle acque. Perfetta per i suoi occhi. Le ciglia le gettavano ombre scure sulle guancie, che erano di un adorabile rosa acceso.
«Ciao» mormorò quindi Will, ritrovando nella sua mente pensieri che non fossero la bocca di lei sulla sua.
«Ciao» fece lei, in risposta. Tra le mani stringeva un bicchiere di vino bianco che mandava delle bollicine verso l'alto.
Lo stringeva con forza. Aveva le dita bianche dalla pressione. «Ti stai divertendo?» le chiese
Tessa fece un timido sorriso. «Si, è una festa splendida.» rispose guardandosi intorno. «E poi, ho sempre desiderato visitare Buckingham Palace.»
Will fece un sorriso sottile. «E dovresti vedere le sale segrete della Regina. Non puoi immaginare cosa le piace fare quando il popolo è dormiente»
Lei scosse le spalle, trattenendo una risata. «Ad esempio?»
«Giochetti strani, sai com'è..» scrollò le spalle con filosofia. «Non sono alle guardie piace usare le catene»
Tessa fece una smorfia per nascondere il divertimento. «Avrei dovuto saperlo che eri un esperto in maniera. Ma la regina non è troppo grande per te?»
«Non mi dirà che è gelosa, signorina Gray» le rispose ammiccante.
Le guancie della ragazza si tinsero di un adorabile rossore. Bevve un goccio di champagne per nasconderlo. «Certo che no, signor Herondale. Mi preoccupavo per la salute mentale della regnante»
Will sorrise. «Il regno è al sicuro. Almeno per il tempo di un ballo» e lasciò in quelle parole una domanda inespressa ma che gli premeva nella gola da quando l'aveva vista, quella sera, scendere le scale dell'istituto e salire nella carrozza. L'aveva guardata come un ceco guarda nei propri sogni: Con la disperazione e la nostalgia di qualcosa che non si è mai potuto avere. Le porse una mano cercando di nascondere il tremore. Se lei l'avesse rifiutato allora, sarebbe finita. Will avrebbe capito che il suo cuore apparteneva a Jem, e sarebbe finita.
Tessa rimase immobile per qualche tempo fissando la mano che lui le offriva, tanto che Will cominciò a preoccuparsi. Poi, tremando realmente, fuori e dentro, posò il bicchiere di Champagne sul tavolo e posò la mano sulla sua.
 
Così discesi del cerchio primaio /giù nel secondo, che men loco cinghia, / e tanto più dolor, che punge a guaio. 
Nei momenti più oscuri della sua vita, Tessa si era sempre rifugiata nei libri.
Quando i suoi genitori erano morti, lei non sapeva nemmeno leggere. Glieli leggeva la zia Harriet, mentre lei, seduta sul piccolo lettino, la ascoltava rapita dagli avvenimenti. Nathaniel non prestava attenzione quasi mai: Era sempre distratto da qualcos'altro.
Quando le sorelle oscure l'avevano trattenuta. La sera, nel freddo letto della sua prigione, si rifugiava nel calore della carta stampata, capace di trasportarla in un posto lontano da ogni malvagità e dolore.
A Buckingham Palace, quella sera di Dicembre, non c'era niente che Tessa dovette temere di per sé. Solo Will, e la mano che le offriva per ballare. Una paura folle di accettare quel piccolo spiraglio le aveva catturato il cuore. e, come ogni volta che aveva paura, non potè che rifugiarsi almeno mentalmente in quel suo mondo di carta.
Will era ancora lì, fermo e paziente, con una mano tesa verso di lei e l'altra posata dietro la schiena. La cosa sconvolgente era che glielo stesse chiedendo. Will non chiedeva mai niente: Pretendeva e basta.
Alzando gli occhi nei suoi, infine, vi vide dentro una tale insicurezza che le fece sciogliere il cuore, come quello di Francesca si era sciolto per Paolo. E decise di dannarsi per sempre, così come la ragazza italiana, prendendo la mano che il giovane le offriva.
…cotali uscir de la schiera ov’è Dido, / a noi venendo per l’aere maligno, / sì forte fu l’affettuoso grido.
Tessa lo soffocò quel grido che sentì premerle nella gola. Will le fece appena un sorriso, stringendo con forza la sua mano. La condusse  in quell' aere maligno, tra le altre anime dannate, in mezzo alla folla mista tra angeli e demoni, con una dolcezza infinita.
Forse sarebbe stato meglio scegliere un altro libro. L' Inferno di Dante era troppo funesto nei suoi pensieri confusi e accaldati. Accaldati dal vino che aveva bevuto, dalla folla che le si stringeva intorno, dallo sguardo di Will, che sentiva bruciante su di sé. Ripensandoci, forse, l'Inferno era proprio perfetto.
La prima volta che lei l'aveva corretto, era stato proprio parlando dell'opera dell'Alighieri. Allora lui le aveva detto che non sbagliava mai. Eppure, con lei di errori ne aveva fatti parecchi.
Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende / prese costui de la bella persona / che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende.
La mano di Will era gentile, mentre si posava sulla sua spalla e scendeva delicatamente fino al fianco. Tanto quanto era gentile la sua voce, mentre le diceva di portare le mani al suo collo. Tessa lo fece, lentamente, e sentì le dita formicolare quando si posarono sulla pelle della nuca di Will. Le venne da sorridere, nel constatare che anche la pelle di lui fosse accaldata quanto la sua.
Amor ancora l'offendeva. La teneva stretta fra le sue spire, che per lei erano le braccia forti di Will, la lasciava senza respiro, ancora più del corsetto stretto, e le faceva battere il cuore come un uccellino sbatteva le ali.
..mi prese del costui piacer sì forte, 
Costui che adesso la stava guidando sopra le note dell' Aria sulla quarta corda.  Il piacer si forte, che come poteva vedere, ancora non l'aveva abbandonata. Ma il punto tra di loro non era quanto lei volesse lui, Tessa sapeva di averlo sempre voluto e, per quanto le era costato ammetterlo, l'avrebbe voluto per sempre, ma quanto lui volesse lei.
E non solo i suoi baci o il suo corpo, ma tutta lei. Tessa abbassò lo sguardo, improvvisamente stanca di tutto questo. Stanca di lui che la portava in paradiso e subito dopo la gettava all'inferno. Stanca di sé stessa, che non riusciva a tener lontana dal ragazzo, e stanca di quel gioco senza uscita che era il suo rapporto con Will.
 E quella a me: «Nessun maggior dolore / che ricordarsi del tempo felice / ne la miseria;
Perché c'erano, quei momenti felici, con Will. Quando l'aveva baciata in soffitta, il suo primo bacio, al sapore dell'acqua Santa e del sangue. Quando avevano parlato di libri, e quando lui con l'espressione di chi ha appena perso tutto era venuto a salvarla nel rifugio.
Il problema era ciò che avveniva dopo i momenti felici. Quel maggior dolore che Tessa era stufa di provare: Non era così che  voleva che andassero le cose. Lei voleva il bello e il brutto, voleva il sole e la luna. E voleva il Will dolce e il Will amaro. Lo voleva in ogni sua sfumatura, mentre lui, di lei, non sembrava voler niente.
Non si era nemmeno accorta che avevano smesso di ballare e che ora lui la stava trascinando in un luogo più appartato. Solo quando il vento freddo le arrivò sulla pelle, si rese conto di non essere più nella sala da ballo. Alzando lo sguardo si rese conto di essere su uno dei balconcini annessi alla sala. Faceva molto freddo e Will, togliendo le mani da lei, si tolse la giacca e, sfiorandole con delicatezza la pelle, gliela poggiò sulle spalle. Lei mormorò appena un ringraziamento.
Quando leggemmo il disiato riso / esser basciato da cotanto amante, / questi, che mai da me non fia diviso, / la bocca mi basciò tutto tremante. 
Era lì, che voleva arrivare la sua testa, continuando a citare i versi del Quinto canto dell' Inferno.
Gli occhi di Will erano un oceano vivo incastrati nei suoi. Sarebbe bastato un solo passo, affinché le labbra del ragazzo toccassero le sue. Un solo passo verso quell'inferno che continuava a chiamarla. Verso il girone di quegli amanti che avevano ceduto alla passione, anche solo una volta.
Paolo e Francesca vi stavano meglio che sulla terra: Tormentati dal vento infernale erano insieme. In vita, non avevano potuto.
E allora Tessa decise di dannarsi per l'eternità. Si alzò sulla punta delle scarpette di raso, perché nonostante fosse più alta della media non arrivava all'altezza di Will, e posò le labbra su quel disiato riso.
Will rispose al suo tocco con ardore. Le passò una mano tra i capelli, sciogliendoglieli con dolcissima lentezza sulle spalle, e l'altra sui suoi fianchi, come se stessero ancora ballando. C'era tutto il calore di cui aveva bisogno, in quel bacio.  Tutte le certezze che aveva cercato, tutto l'amore che aveva sempre voluto. E poco importava se sarebbe tutto finito insieme a quel bacio che sapeva di Whisky e gin. La sua anima era già dannata per l'eternità.
Will si separò da lei in un secondo, facendo scorrere la mano che fino a un attimo prima era tra i suoi capelli, sulla pelle del viso.  «Tess...» disse, boccheggiando aria come un disperato. «Io..»
E la porta si aprì. Jem entrò nel balconcino con un bel sorriso sul volto, prima che gli morisse sul viso quando il suo sguardo si posò su di loro.
E caddi, come corpo morto cade.

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Capitolo 23
*** XXI; Ignorance ***


Author's corner:  Hi everybody! Ho un annuncio da fare: Once upon a time è finito! Non nel senso che questo è l'ultimo capitolo, nel senso che l'ho finito di scrivere u.u  Thess è l'unica persona a sapere come va a finire a parte me, ovviamente. Quiiiindi, si spera che io possa aggiornare più regolarmente, d'ora in poi.
Comunque sia, buona Vigilia di Natale, e tanti auguri per domani! Che il vostro Natale sia pieno di libri e cioccolata(?) !

Ignorance never settles a question
B. Disraeli

 


Capitolo XXI
Ignorance

 

Con ogni probabilità, Alec si era innamorato di Jace la prima volta che l'aveva visto.
Lui aveva appena tredici anni, e Jace era seduto su un divano della biblioteca, infagottato in abiti troppo grandi per lui. Si stringeva le braccia, come in cerca di altro calore guardandosi gli stivali incrostati di fango. E Alec l'aveva trovato bello come si trova bello un fiore sopravvissuto al freddo dell'inverno. Vivo, nonostante la morte che lo circondava.
Con Magnus era stata tutta un'altra storia.
La prima volta che l'aveva visto, l'aveva trovato piuttosto irritante, a essere sincero. Vestito in quella maniera eccentricamente orrenda, col glitter ovunque si potesse mettere e truccato come una Drag Queen di infima categoria.
Eppure, l'aveva trovato bello.
Non si era innamorato subito, di lui. C'era voluto tempo e fatica. E dolore, molto dolore. Per entrambi. Alec ci aveva rimesso parte della sua sanità mentale nel capire che tipo di amore provava per il suo parabatai e per quello che provava per il folle sommo stregone di Brooklyn.
Ad un certo punto si era reso conto di aver sempre idealizzato Jace in qualcosa  che forse lui non era proprio. Se l' era sempre figurato come l'amore della sua vita e l'arrivo di Clary l'aveva dovuto mettere di fronte a quella verità: Il Jace nella mente e nel cuore di Alec era solo quello: un'idea. Un'immagine sfocata e fatta di desideri repressi e verità non dette. Di tutto ciò che il suo cuore voleva e la realtà gli negava.
Mentre Magnus era un uomo di carne e sangue. Era calore sotto le dita e dentro l'anima ed era molto di più di quell'amore che aveva idealizzato nei confronti di Jace. Era un amore reale e tangibile: Era realtà pura e incontrastata.
Ma, nel lento cammino che Alec aveva percorso conoscendo Magnus, aveva conosciuto molto di sé. E la scelta di stare con Magnus non l'aveva fatta per nessuno tranne che per sé. Scegliendo Magnus Bane, aveva scelto per la prima volta in vita sua di essere felice.
Ma come faceva a essere felice, se in quel momento lo vedeva felice insieme ad un'altra persona?
Il veleno della gelosia gli scorreva corrosivo nelle vene, quella sera. E tutte le sere in cui aveva visto Camille Belcourt. Alec aveva sentito parlare di lei anche nel suo tempo. Era una vampira potente e bellissima. Di quelle bellezze che durano, letteralmente in eterno.
Come avrebbe potuto competere un misero Nephilim di diciotto anni appena, insicuro come un adolescente e senza niente di speciale?
Stava pensando a tutto questo e a molto altro mentre ballava con Jessamine Lovelace. Al contrario di quello che pensavano Jace e Clary, Jessie era simpatica. Molto dolce, delle volte, divertente e persino sagace. Bisognava solo conoscerla bene.
Il problema consisteva solo nel fatto che, prima o poi, Jessamine avrebbe preteso qualcosa di più da quel rapporto. Qualcosa che Alec non aveva la minima intenzione di darle. D'accordo, Jessamine era molto bella, lo ammetteva. Ma lo era come la Gioconda. Si vedeva che era bella, lo si constatava, ma mica la si voleva.
E sperò di ritardare il più possibile il momento di spezzarle il cuore. Era qualcosa che non gli era mai successo: Dover spezzare il cuore ad una ragazza. Forse perché alle ragazze lui non si era mai nemmeno avvicinato.
La melodia finì con un ultima nota e Jessamine e Alec si separarono tra gli scrosci di applausi per l'orchestra. Alec le accennò un sorriso.  «Vado a prendere da bere» le mormorò. Non appena si allontanò di un passo, fu felice di constatare che l'ennesimo pretendente le si era avvicinato chiedendole un ballo.
Seduti su uno dei divanetti rossi vicino al tavolo del buffet, c'erano Jace, seduto composto sul divanetto sorseggiando qualcosa che sembrava scotch, Clary al suo fianco che chiacchierava con una fata dai lunghi capelli color delle foglie secche e Isabelle, seduta comodamente con le gambe su quelle di Jace, che cercava di scacciarsele di dosso, invano. Appena lo vide, sua sorella gli fece posto. «Allora, la signorina Lovelace ti ha lasciato libero?»
Alec la indicò tra la folla. «Sopravvivrà senza di me per un ballo o due»
Clary si voltò verso di lui sorridente e raggiante. Nonostante non nutrisse poi più tanto risentimento nei suoi confronti, Vederla così felice in quel momento gli diede sui nervi. «Lo sapevate che le fate mangiano il polline? Io no.»
Jace alzò gli occhi al cielo, facendole pat-pat sulla chioma rossa. «Ha bevuto troppo champagne» mormorò divertito, guardandola con uno sguardo traboccante dolcezza.
«Non è vero.» mugolò Clary addolcita dalle carezze del ragazzo. «Solo...» alzò quattro dita della mani, per poi correggersi e aggiungere altre due. «..sei»
«A stomaco vuoto. » rise Isabelle.
«Senti chi parla!» esclamò Clary. «Tu nei hai bevuti...» aprì entrambe le mani a ventaglio sventolandole davanti all'altra. «..tanti così!»
Isabelle si sporse con fare altezzoso, facendo scendere le gambe da quelle di Jace. «Io però sono sobrissima.» ma, nel pronunciare quelle parole, aveva avuto un piccolo singhiozzo.
Jace rise e, posando il bicchiere sul tavolo, si alzò in piedi passando un braccio sotto le gambe di Clary e un altro dietro la schiena, per portarsela di peso. «Ti porto a prendere una boccata d'aria, ubriacona»
Clary rise appena accoccolandosi sul petto del ragazzo. «Ti avverto» mormorò. «Se mi fai volare, è la volta buona che ti vomito addosso.»
Alec non sentì la risposta di Jace, che si era allontanato ridendo verso le scale. «Vado anche io» disse Alec in direzione della sorella. Lei arcuò le sopracciglia. «Lasciami stare, okey?» sbottò poi. «Lui può starsene con quella lì e io non posso ballare con Jessamine?»
Isabelle sospirò. «Non farle del male, Alec.»
Quelle parole lo colpirono. Sono io a essere ferito. Avrebbe voluto dire. Sono io a star male.
Senza dire nulla si avviò al tavolo. Disposte sul banchetto c'era ogni tipo di leccornia gli venisse in mente: Agnello, maiale, vitello, coniglio in ogni salsa e in ogni cottura. Piatti vegetariani, piatti vegani, timballi di foglie e miele per le fate, caraffe di sangue animale per i vampiri, carne al sangue per i licantropi. C'era di tutto e di più. Gli tornò dell'appetito e andò per prendere uno spiedino misto quando sentì una mano sporgersi accanto alla sua.
Una mano piena di anelli.
«Alexander, giusto?» gli chiese Magnus Bane portandosi alla bocca uno degli spiedini. l'olio aveva reso le sue labbra brillanti sotto la luce della candele, quasi fosse lucidalabbra.
«Si» mormorò Alec meccanicamente, distratto dal pensiero di quelle labbra. Delle sue labbra. «Buona serata» e si voltò per andarsene.
Ma lo stregone fu più veloce. Si piazzò davanti a lui, sbarrandogli la strada. «Ho la strana sensazione che vi sentiate a disagio in mia presenza» gli fece notare lui.
Alec resse il suo sguardo. Erano le stesse iridi. Gli venne da pensare. Lo stesso verde. E quelle erano le stesse labbra che aveva baciato, le stesse mani che lo avevano toccato. Era il suo Magnus, e al tempo stesso non lo era. Esisteva peggiore sensazione di amare qualcuno che non sa nemmeno chi tu sia? «Non vedo perché. Nemmeno vi conosco.» Quanto gli parvero amare sulle labbra, quelle parole.
«Dimostratemelo, allora.» posò il contenuto delle sue mani sul tavolo, per poi porgergliene una mentre posava l'altra dietro la schiena. «Concedetemi un ballo»
Alec sbiancò. «Non mi sembra una buona idea..»
Magnus alzò lo sguardo infastidito. «Vi preoccupa che l'Enclave e i nascosti ci vedano, Alexander? È solo un ballo.» e, facendo un gesto verso la sala, fece notare ad Alec che c'erano molte persone dello stesso sesso a ballare insieme, anche se per la maggior parte erano femmine.
Alec indietreggiò appena. «Io..non..»
«Oh, per favore. Ho vissuto parecchio, Alexander. Ma se è questo a preoccuparvi..» schioccò le dita e un velo trasparente calò intorno a loro. Alec se ne accorse dal leggero brillio che aleggiava intorno a loro, come se fossero circondati da migliaia di minuscole lucciole. «..possiamo evitare che ci vedano.»
«La mia compagna...»
Magnus sorrise. «Sopravvivrà senza di voi per un ballo o due.» disse, ripetendo le parole che lui aveva ripetuto prima a Isabelle.
Alec sospirò. Magnus era fatto così: quello che desiderava, lo prendeva. Senza esclusione di colpi. E glielo faceva desiderare anche a lui. Quindi, accettò la mano che lo stregone gli porgeva. Lui sorrise di trionfo posando una mano sulla sua schiena e portando le loro mani unite in alto.
Attorno a loro solo le note di Lacrimosa.
Magnus lo stava facendo volteggiare, perfetto padrone di sé e del ballo. Alec si ritrovò a pensare che forse quell'epoca era più azzeccata, per lui, rispetto alla sua. E poi, doveva ammettere a sé stesso che non stava affatto male, con quella redingote nera.
«Allora» fece Magnus ad un certo punto. «Nel vostro tempo c'è qualcuno che reclama il vostro cuore?»
Alec sorrise appena, con tristezza. «Oh, si.» Ballare con un uomo era strano. Sentire il petto duro contro il proprio, al posto del seno soffice di Jessamine, e le mani ruvide da uomo. Stranamente bello, si corresse.
Lo stregone parve appena contrito. «E lui com'è?»
«In un certo senso è come voi.»
Magnus arricciò le labbra in un sorriso. «Affascinante e incredibilmente divertente?»
Alec arrossì appena, ma questo non gli impedì di sorridere a sua volta, mentre il suo filtro bocca-cervello andava in tilt.
«No, uno stregone.»
Quindi, si staccò da lui. Un'espressione scioccata che si mescolava solo alla sorpresa, sul suo viso. Provò il profondo desiderio di allontanarsi da Magnus, e in fretta. Tanto che andò a sbattere contro qualcuno. Non gli capitava mai, ovviamente. Come Shadowhunter si supponeva che avesse una grazia perfetta. Certo, quando non aveva appena ballato con un uomo che amava e che non si ricordava di lui.
«Attenzione» sibilò un uomo. Quello contro la quale era andato a sbattere. Era Gabriel, una delle guardie del diurno. Assunse un'espressione strana. «State bene?»
«Si certo» borbottò Alec. «Avete visto Jessamine Lovelace, per caso?»
Gabriel fece un sorriso. «E' piuttosto..occupata, al momento.» Spostandosi, gli offrì la vista di Jessamine, bella come l'aveva lasciata, mentre ballava con Luigi de Luca. Alec fu piuttosto sorpreso. Da quello che aveva capito, Luigi avrebbe dato qualunque cosa per un ballo con Jessie, eppure da come ballava in quel momento sembrava come un automa: Troppo meccanico, troppo freddo. Guardando Jessamine, gli parve un po' delusa. Forse si era aspettata che, dopo tutte quelle dichiarazioni d'amore, lui le mostrasse quanto l'amava, quantomeno in un ballo.
Alec scrollò le spalle e si mise al fianco di Gabriel. «Comunque» gli disse, attirando l'attenzione del ragazzo. «Io sono Alexander. Alec.» gli avevano detto dei suoi legami di parentela con Gabriel, anche se qualcosa l'aveva già intuita. Quel ragazzo era la quasi copia di suo padre: I tratti del viso, la forma degli occhi, la curva del naso, il fisico asciutto ma col petto e le spalle larghe. Era come guardare suo padre da giovane, con dei capelli e occhi diversi. Si domandava come avessero fatto Isabelle e Jace a non accorgersene. Comunque, il console era stato chiaro. Nessuno, all'infuori di loro e dell'istituto Branwell doveva essere a conoscenza del loro segreto. Se il console non lo aveva detto a Gabriel e Luigi, non sarebbe stato certo lui a farlo.
Gabriel si voltò verso di lui. Aveva uno sguardo di sufficienza nei confronti dell'universo che gli dava sui nervi. «Gabriel Lightwood» e strinse la mano che Alec gli porgeva.
Mentre osservava Jessamine ballare con Luigi de Luca, l'attenzione di Alec fu sviata da qualcos'altro. Vicino al colonnato, Camille e Magnus si stringevano per un ballo, con mani molto più lascive di quelle che Alec aveva mai posato su Jessamine. Magnus teneva le mani sui fianchi di Camille, tendendo le lunghissime dita verso il basso. Alzò poi la mano sinistra per accarezzarle il viso, sfiorandole quasi distrattamente un'altra guancia, che di certo di Camille gli interessava molto di più.
Ma chi voleva prendere in giro?  Non poteva continuare a fingere in quel modo, ad amare segretamente un uomo che amava una donna, mentre un'altra donna stava già decidendo i fiori per il loro matrimonio. Azzurro o blu, probabilmente, per intonarlo ai suoi occhi.
Intanto che Alec era perso nei suoi pensieri, la canzone era volta al termine. Jessie e Luigi si erano separati tra scrosci di applausi. Alec notò qualcosa, nello sguardo di lei. Era risentita, parecchio, perché lui non le aveva dimostrato quanto la amasse. Piuttosto melodrammatica.
Jessie si affrettò nuovamente verso di lui, trotterellando allegra. «Che cafone, quel de Luca. Mi ha fatto una corte spietata per mesi, e adesso che gli faccio la concessione di un ballo mi tratta così...»
«Jessie» la interruppe Alec. Se non l'avesse fermata, sarebbe andata avanti ore. Jessamine Lovelace era una maestra dell'arte del blaterare. Le prese le mani e la condusse in uno dei balconcini liberi. Mentre passava, aveva visto Jem, Will e Tessa in uno di essi.  «Devo dirti una cosa.»
Gli occhi di Jessamine erano castano scuro. L'esatto colore del cioccolato al latte. Quando loro ballavano, o quando erano soli a parlare, o quando semplicemente si sfioravano, sembravano quasi schiarirsi, diventando solo di poche  tonalità più scuri di quelli di Jace. In quel momento, erano quasi color oro dalla felicità.. «Oddio, Alec. Si, si e ancora si!» disse saltellando, e portandosi le mani al viso per coprire la bocca. «Mi aspettavo una proposta in grande, con fiori e festoni, quantomeno un anello, ma va benissimo anche così, Si, si, niente mi renderebbe più felice!»
Cazzo. Era l'esatto opposto di quello che voleva. E allora fece una cosa che, per l'Angelo, fu più difficile di ogni cosa avesse mai fatto in quel momento. Persino più della battaglia di Alicante, persino più di vedere Magnus e Camille insieme. «Jessamine, hai frainteso.» disse. Jessamine bloccò all'istante il fiume di parole che uscivano dalla sua bocca. «Io non voglio sposarti, né mai lo vorrò»
Le spezzò il cuore.
Gli occhi le si riempirono di lacrime amare. «Ma..perché?»  la sua voce era piagnucolante. «Stiamo così bene, insieme.»
A malincuore, Alec si trovò ad annuire. «E' vero, ma vogliamo cose diverse...»
«Non è così! Entrambi vogliamo essere felici, e perché non esserlo insieme?» ribatté lei.
Alec, in preda al panico, giocò la sua ultima carta. «Io dovrò tornare nel mio tempo, Jessie. Come potremmo mantenere vivo un matrimonio?»
«Potremmo» disse lei, con voce sottile. «Se mi portassi con te»
Ahi. Era lì, che voleva arrivare. Se ci pensava su, era la soluzione più logica. Anche ammesso che non avesse funzionato con lui, nel ventunesimo secolo sarebbe stata libera di vivere sola, non lavorare, sposarsi e vivere felice con un marito fantoccio. Ciò che, nel XIX secolo non poteva fare, non ancora.
Non aveva più scampo. Non avrebbe mai rinunciato a quell'idea, mai. Quindi non c'era niente da fare, se non dirle la verità.
Chiuse gli occhi e sospirò. Jessamine prese quel gesto come una sconfitta, ma quando poi lui aprì gli occhi, fu quasi come se Jessamine lo sapesse già.
«A me piacciono gli uomini, Jessamine.»
Gli occhi scuri di Jessie si spalancarono. «Tu che cosa
Alec indietreggiò. «Io..»
«No, tu niente.» Era diventata rossissima dalla rabbia, intonata alla perfezione con il vischio sopra le loro teste. Che ironia. «Per un mese mi hai fatto credere una cosa che non sarebbe mai potuta essere possibile!»  Le guancie erano in fiamme, e non per il freddo.
Alec si rese conto di dover smettere di osservarla e dire o fare qualcosa. «Jessie, mi dispiace. Ma non è colpa mia..»
«Si, invece!» urlò. Non aveva mai visto una donna più arrabbiata di così in vita sua. Nemmeno sua madre. Alec fece per aprire la bocca di nuovo, ma fu allora che il vaso di Jessamine traboccò. Gli diede uno spintone che lo fece finire dritto sul cornicione. Alec fu così sorpreso da non reagire nemmeno. Lei si avvicinò di nuovo minacciosa e gli puntò il tacco della scarpetta nel piede. Alec cadde a terra per il dolore.
All'interno della sala, la musica e le chiacchiere erano troppo alte perché qualcuno potesse sentirli. Il silenzio era calato tra di loro, e fu interrotto da qualcosa che Alec non si sarebbe mai aspettato.
Jessamine scoppiò a ridere.
Non una di quelle risate nervose che fanno le ragazze quando sono arrabbiate, o una risata incredula che di solito sfociava in lacrime. Era un riso vero e autentico. La ragazza si lasciò cadere in ginocchio. «Mi dispiace, Alexander» disse, tra le risa. «Non volevo farti male.»
Anche Alec si mise a ridere, mettendosi a sedere sul freddo pavimento. «E' stato un bel colpo» disse, senza che gli sfuggisse l'ironia della situazione.
Jessie gli passò una delle sue manine tra i capelli. «Sono solo stanca di innamorarmi della persona sbagliata» disse, con una dolcezza che sapeva di tristezza. «Vorrei solo che qualcuno riuscisse a salvarmi.»
Alec le prese la mano che gli stava accarezzando ai capelli e la strinse tra le sue. «Lo troverai, Jessie» le disse. «Sei una ragazza bellissima, e dolce, e arguta, e puoi anche stendere un uomo.» sorrise, e lei con lui. «Hai solo diciassette anni. Non hai alcuna fretta.»
Lei tirò su col naso, alzando gli occhi su di lui. «Grazie» disse, e sembrava sincera. «Quindi, direi che è finita.»
Alec scosse le spalle. «Si, Jessie. Direi di si.»
«Ho una domanda» gli disse. Lui le fece un cenno, come a dire 'vai'. «Hai mai baciato una ragazza?»
Alec arrossì di colpo. Scosse il capo.
«Beh» disse allora.  «Se mai succederà che cambierai idea, un giorno, vorrei essere io la prima.»
Alec capì. Raddrizzò la schiena e le prese entrambe le mani tra le sue. Aveva le guancie arrossate e lo sguardo vivo. Alec si chinò, con lentezza, e posò le labbra su quelle di Jessamine. Sapeva di fragole e neve. Erano labbra morbide, labbra delicate, labbra di fanciulla. Le mani di Jessie erano delicatissime tra i suoi capelli, come le carezze sulle sue guancie.
Quando si separarono, Jessie sorrise, poggiando la fronte su quella di Alec. «Chiunque reclami il tuo cuore» gli disse. «è un uomo fortunato.»
Alec strinse la mano di Jessamine, sulla sua guancia. «Lo è anche chiunque reclamerà il tuo.»

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Capitolo 24
*** XXII; Human beings ***


Author's corner: Ecco il primo capitolo del 2013! E' elettrizzante, non trovate? Siamo un po' più vicini all'uscita di CPss e CoFH, per non parlare del film di City of Bones. Sono tornata a casa ieri sera e, vogliate scusarmi, ero troppo rincretinita per aggiornare! Quiiindi, ecco che vi lascio il capitolo ventidue prima di cominciare a studiare. Direi che è proprio arrivata l'ora di prendere i libri, va'.  Bye!

And if it's good enough, it will last as long as there are human beings.
E. Hemingway

 

Capitolo XXII
Human beings


Le piccole fiammelle delle fiaccole sembravano danzare al ritmo della musica in allegretto dell'orchestra.
Clary chiuse gli occhi e si lasciò andare anche lei a dei movimenti brevi e sconnessi, come fosse anche lei una di quelle fiammelle ondeggianti e vive. Di sicuro, si sentiva in fiamme.
Oh si, era proprio ubriaca.
E pensare che aveva bevuto troppo solo all'addio al nubilato di sua madre, dove Isabelle aveva versato una bottiglia intera di vodka gelata nel punch alla frutta che aveva fatto Maryse. Aveva ballato come un'ossessa con sua madre e con Izzy. Aveva persino chiamato Jace e, in un impeto tragico di sincerità alcolica, gli aveva detto quanto infinitamente l'amasse, chiudendo poi la telefonata.
Inutile dire che Jace si era precipitato al Pandemonium, dove le ragazze stavano festeggiando la seconda ultima notte da single di Jocelyn, abbandonando l'addio al celibato di Luke. Quando arrivò, Clary notò che odorava di bosco e sangue, e si era chiesta cosa cavolo stessero facendo i ragazzi.  Dopo averlo rassicurato della sua sicurezza, sempre per quell'impeto di sincerità più alcolica che sua, l'aveva trascinato nello stanzino dove lui, Alec e Isabelle avevano incastrato l'Eidolon, la notte che aveva cambiato le loro vite. E lì, contro quella porta, l'aveva baciato con trasporto ignorando le risate di lui, mentre le cingeva i fianchi. Non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce, nemmeno da ubriaca, ma desiderava baciarlo già da quella notte.
E aveva baciato Jace a lungo anche durante la festa di Natale del 1892. Molto a lungo. Adesso stava nel corridoio che conduceva alla sala da ballo, aspettando che Jace ritornasse con la sua giacca, con un sorriso poco sobrio stampato sul viso.
Ma, ben presto, il sorriso abbandonò il suo viso quando un conato di vomito le risalì per la gola. Bagno. Ho bisogno di un bagno. Aprì la prima porta che le venne a tiro, sgattaiolò dentro la stanza - che aveva tutta l'aria di essere uno studio - e vomitò in una delle piante ornamentali. Dopo che il suo stomaco smise di ucciderla, si passò una mano sulla bocca e si lasciò cadere contro la parete della stanza, mentre il sorriso ebete tornava ad aleggiarle sulle labbra.
In un attimo di solitaria lucidità si rese conto di avere bisogno di aria fresca, e subito. Uscendo dalla stanza, che adesso non aveva più un così buon odore, vide che Jace non era ancora arrivato.
Scosse le spalle, andandosene verso il giardino. Tanto, si disse, Jace l'avrebbe trovata.
Lui l'avrebbe trovava sempre. Loro si sarebbero trovati sempre.
Uscendo dalla porta d'ingresso, uno dei mondani spalle larghe all'ingresso del palazzo reale le aveva sorriso, e Clary aveva appena accennato le labbra in risposta. Quello fece un piccolo inchino con la testa, mormorandole un augurio per una buona serata e, notando quanto Clary fosse poco coperta, gli aveva offerto la sua giacca. La ragazza aveva tentato di desistere, ma quello aveva insistito. Aveva un buon odore, come di bosco o qualcosa del genere.
Certo che erano strani, gli uomini Vittoriani. Ma forse erano solo gli inglesi, a essere strani. Cortesi, forse era più azzeccato. A New York non molti erano cortesi. Poteva avvenire un omicidio sulla 5th Avenue e nessuno avrebbe fatto nulla per impedirlo.
L'erba del giardino reale scricchiolava sotto i suoi stivali. L'aria fredda le arrivò sul viso, accendendole le guancie di un rossore intenso. Era una sensazione fantastica quel fresco dopo tutto il caldo che sentiva lì dentro.
Siccome era il ventitrè di Dicembre, fuori non c'era nessun altro. Non aveva nevicato di nuovo, ma delle nuvole scure in cielo promettevano pioggia. Negli spazi luminosi tra di esse, vi si intravedeva sprazzi di cielo coperti di stelle. Clary non ne aveva mai viste così tante in vita sua, né di così luminose.
Per tenersi un po' al caldo, passeggiava per il giardino. Intravide un cane correre tre le fontane, cercando di acchiappare una cavalletta.
Ad un certo punto del suo girovagare, vide Luigi De Luca, una delle due guardie di Simon, camminare a passo svelto a pochi centimetri dalla struttura, come se volesse rendersi invisibile. Lo aveva già visto, quella sera, ballare insieme a diverse compagne al centro della sala e anche insieme a Jessamine. Cosa ci faceva lì fuori?
Lo vide svoltare un angolo e quindi sparire dalla sua vista. Senza riflettere lo seguì, più silenziosamente che potè. Ma, quando poi si ritrovò lì, nascosta da uno spigolo del palazzo, colui che vide non fu Luigi, ma Ragnor Fell insieme ad un altro ragazzino giovane, che lei non conosceva.
Un ragazzo biondo, di appena vent'anni, con un lucente paio di ali nere sulla schiena.
Cameron.
Clary si nascose nuovamente dietro la parete e sfilò lo stilo dalla giarrettiera - ancora si stupiva di quando spesso le indossasse, quelle cose-. Si tracciò una piccola runa tonda alla base dell'orecchio, per acuire l'udito. Sentì quindi, la voce di Fell insieme a quella di Cameron, più alta e stridula di diverse ottave.
«Il ragazzo deve collaborare,» Stava dicendo quest'ultimo. «e fin'ora non ne ha voluto sapere..»
«Costringilo» fu la secca risposta di Fell. «L'ultimo esperimento come è andato?»
«Tutto perfetto. È andato e tornato sano e salvo»
«E la seconda cavia?»
«E' sopravvissuta all'esperimento, ma è morta dopo un paio d'ore, dopo aver smaltito il sangue.»
Sentì Ragnor Fell fare un ringhio strano, quasi animalesco. «Quindi bisogna per forza avere sangue d'Angelo, per sopravvivere?»
«Da quanto ci risulta, si.»
Ragnor disse una parola in una lingua che Clary non conosceva, aspra e dura. «Dannazione, ragazzino. Devi risolvere questo dannato problema, o non potremo farcene nulla»
In quel momento il cane che Clary aveva visto prima, quello che rincorreva la cavalletta, arrivò scodinzolante verso di lei abbaiando con forza. Clary tentò di fargli cenno di stare zitto, ma ovviamente fu invano.
«Chi va là?» la voce di Fell si fece sempre più vicina, mentre Clary tentava di scappare. Fu troppo lenta, e gli stregoni la videro.
Clary fu veloce. Si sporse a prendere una delle spade angeliche che teneva nascoste negli stivali - Per quella strana voglia femminile di essere letali e carine al tempo stesso - e una morsa glaciale le strinse le viscere, quando non la trovò.
Gliele aveva tolte Jace, perché aveva paura che si facesse male da brilla.
Bel lavoro, Jace.
Scattò di nuovo in piedi e corse verso l'entrata della tenuta reale. Dei lampi di luce le volarono accanto e le sembrò di essere entrata nell'ultimo film di Harry Potter, durante la battaglia di Hogwarts.
E fu proprio un lampo verde, infine, a colpirla e farla cadere a terra. Ma, al contrario dell' Anatema che uccide, quel lampo le aveva solo immobilizzato le membra, facendola cadere come un sacco di patate sull'erba umida.
Si sentì trasportare per gli stivali in un luogo più appartato, quindi delle mani artigliate la fecero voltare. Clary vide sopra di sé Cameron e Ragnor Fell. Il primo sembrava entusiasta, mentre il secondo parecchio confuso.
«La conosci?» chiese il Sommo stregone al suo discepolo.
«Si» rispose questo. «E' Clarissa Morgenstern, una delle due ragazze arrivate dal futuro»
Il ghigno entusiasta ora apparve anche sul viso di Fell. «Meraviglioso.» mormorò d'apprezzamento. «Portala al laboratorio e ripeti l'esperimento con il sangue della signorina.» disse. «Ti raggiungerò appena posso.»
«E se si chiedono dov'è finita?»
«Non preoccuparti» disse Fell. Prendendola per le spalle e facendola alzare. Clary odiò sentirsi così inerme e mai come nella sua vita volle sputare in faccia su quel ghigno contento. «La signorina tornerà dai suoi amici molto presto.» quindi, le strappò una ciocca di capelli. Clary sentì le lacrime salirle dal dolore. Se la strinse nel pugno chiuso e mormorò delle parole in quello che le parve purgatico. Quindi aprì la mano e gettò in terra i suoi capelli, che avevano cominciato a brillare di una forte luce rossa, come fili di rame incandescenti. Quelli cominciarono a muoversi e a cambiare, aumentando le loro dimensioni a dismisura. La materia malleabile divenne ben presto molto familiare, e Clary vide sé stessa davanti ai suoi occhi, uguale in ogni singolo dettaglio, persino nei suoi vestiti. Ragnor Fell le tirò un ricciolo in segno d'apprezzamento. «Mi sono sempre piaciuti, i capelli rossi» mormorò Cameron. «Adesso torna dentro.» disse alla lei che non era lei.
L'altra Clary si prostrò ai piedi di Fell in un modo che le fece venire la nausea, quindi s'incamminò verso l'entrata.
Clary sentì un moto di nausea, nel vedere che anche nel camminare era la sua esatta copia.
 
Nell'angolo Nord-Ovest del Palazzo di Wenstminster, anche conosciuto come House of Parliament, nel cuore di Londra, sorgeva il Big Ben.
Si supponeva che questo soprannome derivasse dal nome di un membro della camerata dei comuni, Benjamin Hall.
Nella tradizione degli Shadowhunters, non era così. Il codice diceva che il Big Ben era stato eretto in memoria di Benjamin Lightfire. Il primo Console della storia del Conclave che, insieme a Jonathan Shadowhunters aveva fondato Idris.
Ad Alicante, in una delle piazze principali, si trovava una sua statua che lo raffigurava ma, lo stesso Jonathan Shadowhunters aveva ammesso che fosse troppo poco per uno dei suoi più cari amici. Quindi aveva fatto innalzare, a suo nome, l'immensa torre che sovrastava la città natale del Console: Londra.
Era questo a cui Clary stava pensando quando il cavallo a cui era legata si era fermato davanti all'immenso orologio. Sul cavallo aveva sentito un formicolio strano alle membra, segno che l'incantesimo che l'aveva immobilizzata era scomparso.
Però riusciva a muovere solo tre dita per ogni mano e il collo: Il resto era stretto da delle corde ruvide che le avevano scottato le mani quando lei le aveva tirate.
Cameron, seduto dietro di lei sul cavallo, scese con un piccolo salto che fece svolazzare le sue ali color della notte. Quindi, tirando una corda, se la tirò di peso sul marciapiede. Cadde in piedi, per quel miracoloso equilibrio dei cacciatori, proprio davanti allo stregone.
Lui la stava guardando con gli occhi brillanti. Tese una mano e le accarezzò i capelli, con infinita delicatezza.  «Spero proprio che tu sopravviva» sospirò. «Potremmo andare in qualunque secolo vogliamo, qualunque età..»
Clary, per tutta risposta, fece scattare il collo e gli morse la mano. Cameron la tirò via e si allontanò di scatto da lei, reggendosi l'arto ferito. Clary fece un sorriso pieno d'astio.  «Fatto male?» chiese, con finta innocenza.
Lui le lanciò un'occhiataccia, per poi scrollare le spalle. Mormorò qualche parola e il sangue smise di uscirgli dalla mano e il piccolo segno dei suoi denti scomparve. Con quella stessa mano, poi, tirò un'estremità delle corde che la legavano per condurla all'interno.
«Sai, dovresti essermi grata» le disse, mentre strattonava la corda per farle oltrepassare l'uscio. Entrarono in un luogo senza luce, e tutto scomparve dagli occhi di Clary. La paura le congelò un attimo le membra. Non le piaceva per niente essere sola e al buio insieme a Cameron. Proprio per niente. «Grazie a me stai per entrare nella storia»
Clary alzò gli occhi al nero soffitto e non rispose.
Cameron seguì il suo esempio e la condusse per dei corridoi. Clary inciampò un paio di volte nei gradini che non riusciva a vedere. Svoltando una volta, una ragnatela le finì dritta in bocca. Scosse la testa cercando di togliersela di dosso. Una luce comparve all'improvviso da una fiaccola e Clary si ritrovò con le spalle al muro e Cameron davanti agli occhi. Le stava togliendo con tocco leggero la ragnatela dal viso, come se stesse sfiorando un cristallo prezioso.  Clary si scansò. «Cosa vuoi da me?»
Lui la guardava con sguardo infuocato. «Che tu mi aiuti col mio incantesimo» spiegò con voce roca. «E poi» allungò di nuovo la mano che era rimasta a mezz'aria per toglierle un ciuffo di capelli dal viso. «Tu mi piaci. Dal primo momento che ti ho vista»
Clary sgranò gli occhi. «Ma se è la prima volta che ci vediamo!»
Un urlo soffocato li distrasse, facendo alzare a entrambi lo sguardo verso l'alto. «Andiamo» disse lui. Le pose una mano sulla schiena, per condurla con dolcezza verso le scale adesso illuminate. Clary scosse la schiena, per levarsela di dosso.
Quella che oltrepassarono era una porta di legno scuro, logora dagli anni e dall'umidità. Cameron vi pose una mano e la aprì, sorprendentemente, senza cigolii. Quindi la tenne aperta, aspettando che lei entrasse. Quando Clary, ovviamente, non si mosse, lui sospirò e la tirò per un capo della corda. Clary inciampò nei propri piedi entrando nella stanza.
Essa era enorme. Una decina di metri per otto, all'incirca. Negli angoli e al centro della stanza dei grossi macchinari partivano dal pavimento e andavano ben oltre il soffitto, attaccati a delle grosse rotelle che giravano senza sosta con lentezza estenuante. Una grosse chiazza d'olio nero  andavano allargandosi vicino a ognuna di esse.
E, legato con grosse e fibrose corde a uno dei macchinari, c'era Luigi De Luca.
Clary urlò il suo nome, ma lui non si mosse. Il suo petto si alzava e si abbassava regolarmente, segno che era ancora vivo. La Nephilim strattonò le corde con cui Cameron la teneva legata, ma erano troppo forti. «Cosa gli hai fatto?» urlò allo stregone.
Lui ebbe pure la faccia tosta di avere un'espressione ferita. «Non gli ho fatto nulla» disse. «Si sarà addormentato.»
Cameron strattonò le corde e se la tirò addosso, a un centimetro dal viso, sciogliendo le corde che la tenevano stretta. Quelle caddero a terra con un tonfo sordo.
Sentì le braccia formicolargli e bruciare nei punti in cui erano più strette. Si allontanò di scatto da lui e corse da Luigi. Gli alzò il viso e, illuminato dalla luce, le sembrò il normale viso del ragazzo: la pelle di quel meraviglioso color cappuccino, le ciglia scure e le labbra piene, anche adesso con l'ombra di un sorriso. Lo scosse con forza e uno sfarfallio delle palpebre offrì a Clary la vista dei suoi occhi verdi. «Signorina Morgenstern..» mormorò. «Per l'Angelo, ha preso anche lei?»
«Si, ma non preoccuparti. Ce ne andremo da qui» gli disse lei col tono più incoraggiante che potè.
Cameron si avvicinò di qualche passo. «Mi dispiace contraddirti, mia cara, ma non potete.» disse. «Questa stanza è vincolata da un incantesimo. A meno che non lo conduca io stesso, nessun Nephilim può uscire da qui.»
Clary gli lanciò un'occhiata rabbiosa. «Non ci puoi tenere qui per sempre»
Il sorriso di Cameron andava da un orecchio all'altro. «No, è vero. Ma, se riesco a trovare il modo, posso sempre tornare indietro.»
 
«Non è qui, Jace.»  la voce di Isabelle gli arrivò fastidiosa alle orecchie, come un lamento. Ma forse il lamento era solo nella sua testa.
«Lo vedo da solo che non è qui!» Tirò un calcio alla parete, facendosi molto male. Il dolore gli schiarì leggermente la vista offuscata. Doveva vedersi con Clary in corridoio, per portarle la giacca, ma lei non c'era. L'aveva cercata ovunque in quel maledetto palazzo e nel maledetto giardino, ma niente. Adesso erano all'esterno, al freddo, a cercare Clary che, ovviamente, lì non c'era.
Ma c'era mai una volta che facesse ciò che le chiedeva, senza farlo uscire di testa? No, chiaramente, perché poi non sarebbe stata più la sua Clary. Si morse la lingua per bloccare il fiume di imprecazioni che gli bruciava la gola.
E allora la vide.
«Jace?» Eccola lì, spuntare dal nulla, col vestito bianco e oro che le svolazzava intorno nella fredda notte di Dicembre. A un certo punto della serata i fermagli non avevano retto più e i suoi capelli si erano sciolti e arricciati per l'umidità, come Jace li preferiva. Espirare tutta l'aria che aveva nei polmoni e correre ad abbracciarla fu una sola cosa. Sembrava quasi che le sue forme fossero fatte apposta per le sue mani: I fianchi appena pronunciati, le spalle sottili, la curva dei seni. Tutto in lei gli era familiare, come fosse il suo corpo.
E fu proprio per questo che la sbattè con forza contro la parete, bloccandole la gola con un braccio.
Lei respirò a fatica, cercando di prendere aria dalla bocca e mormorando, quasi in un'implorazione, il suo nome con la voce di Clary.
Ma a chi voleva darla a bere? Avrebbe riconosciuto Clary, la sua Clary, anche da cieco, sordo e muto. Lei aveva quel profumo di inchiostro fresco e erba tagliata e di casa. Solo stringerla tra le braccia gli faceva venire in mente un focolare caldo e un giardino. Figli che giocano e ridono, e lei incinta e felice tra le sue braccia.
Ogni volta, senza esclusione di colpi. Tranne quella. E poteva voler dire solo una cosa:
Lei non era la sua Clary.
Sentì con chiarezza Isabelle e Alec urlargli contro, senza sentire una minima risposta da parte sua. Le loro mani addosso per cercare di toglierglielo di dosso.
Con una scrollata di spalle, se li tolse di dosso. «Non è Clary» sibilò, velenoso, spostando lo sguardo da quella cosa con le sembianze di Clary. «Non è lei» ripetè. «E' un incantesimo»
Quella che sembrò la mano di Clary andò ad accarezzargli una guancia. «Amore, sono io» mormorò con voce flebile, sottile.
E quella fu la più grande delle conferme. Lei non lo aveva mai chiamato 'amore', e mai l'avrebbe fatto.  «Risparmiati le cazzate» le sibilò, duro. «Dov'è lei?»
E allora la cosa perse la sua maschera. Perse l'espressione dolce di Clary, e i lineamenti di lei assunsero un'aria ostile e cattiva. «E' andata. Fattene una ragione.»
Premette ancora di più il braccio, fino a che un respiro sordo non le uscì dalla gola, poi lo rilassò leggermente. «Di certo non hai un buon udito. Dov'è lei?»
Un leggero ringhio uscì dalle sue labbra. «Al laboratorio» disse, dura. «Ma non ho idea di dove sia»
Lo sguardo di Jace si assottigliò. «E' la verità?»
Lei fece un sorriso cattivo, con le labbra di Clary. «Io ti amo, Jace. Non ti mentirei mai.»
L'ira gli fece vedere rosso per qualche momento. Rosso, come i capelli che stringeva tra le dita. In un attimo di lucidità si rese conto che quelli erano davvero i capelli di Clary. Li aveva sentiti così tante volte, tra le dita, che li avrebbe riconosciuti ovunque.
A profondo malincuore, se ne avvolse una ciocca tra le dita e tirò, strappandogliela. Quella urlò, imprecando. Okey, forse in quello assomigliava a Clary. Quindi, si staccò da lei e andò da Alec e Isabelle, a poca distanza da lui che parlavano fitto fra di loro. Quando lei lo vide, corse dalla cosa con le sembianze di Clary, per tenerla ferma. Jace annodò la ciocca, quindi se la strinse nel pugno. «Alec, dammi il tuo stilo» disse. Il ragazzo glielo porse e Jace tracciò una runa sulle nocche sbiancate dallo sforzo.  La runa andò a fondo nella sua carne come avrebbe potuto fare una pietra nell'acqua di uno stagno. Chiuse gli occhi ma non vide oscurità. Ciò che vide furono ingranaggi su ingranaggi, cosparsi d'olio nero e grasso. Clary, seduta accanto a Luigi de Luca, con le palpebre pesanti mentre cercava di rimanere sveglia. In piedi accanto a loro, all'interno di un pentagramma di sangue, con le ali nere che si muovevano eccitate, c'era Cameron.
Aprì di scatto gli occhi. «So dov'è.»
 
Clary appoggiò le mani sul pavimento per farsi leva, alzandosi in piedi. Le gambe non le ressero a lungo, e dovette aggrapparsi alla colonna per non cadere. Cameron le aveva fatto bere a forza un decotto che le aveva levato le energie e che le faceva sentire le gambe deboli, e Clary lo avrebbe preso a calci volentieri. Probabilmente era lo stesso che aveva dato da bere a Luigi. Il ragazzo era sdraiato sul giaciglio da quando era arrivata. Alternava momenti di sonno a momenti assonnati di veglia.
«Da quanto tempo sei qui?» gli chiese Clary, a un certo punto.
Luigi aprì gli occhi assonnati. Alzò con lentezza una mano, per fare un gesto vago. «Due settimane, a occhio e croce.»
Clary strinse i denti. «Il decotto deve averti confuso le idee. Ti ho visto alla festa, stasera.»
«Non ero io» fece Luigi. Nonostante avesse usato un tono pacato, Clary capì che era piuttosto incazzato. «Gli servivano informazioni su di voi, così Cameron si è infiltrato prendendo il mio aspetto.»
Clary sbiancò. Luigi è simpatico, e sa un sacco di barzellette divertenti. Almeno, fino a un paio di giorni fa. Aveva detto Simon. Quanto era riuscito a capire, Cameron di loro? Dio, che idioti a non esserci arrivati prima.
«Non prendertela» le disse lui, tornando a chiudere gli occhi. «E' colpa mia. Mi sono fatto catturare come un cretino.» disse l'ultima parola nella sua madre lingua, e Clary trattenne una risata.
«Come è successo?» gli chiese lei.
La luce argentea della luna donava ai tratti angelici di Luigi un tocco più chiaro, come fosse avvolto da una nuvola di magia. «Stavo parlando con Jessamine, in giardino» un leggero sorriso comparve inconsapevolmente sulle labbra del ragazzo. «A un certo punto se né andata, lasciandomi solo all'esterno. Credo di essermi distratto a osservarla e a un certo punto mi sono ritrovato svenuto, credo per magia. E mi sono svegliato qui.»
Clary alzò gli occhi al cielo. «Jessamine Lovelace?» chiese con tono divertito.
«Proprio lei» confermò Luigi, con un sospiro. «La mia Beatrice. È bellissima, non è vero?»
Clary annuì, totalmente d'accordo, anche se di certo lei non la vedeva come la vedeva lui. «Già»
«E lei non mi ama» mormorò Luigi, con lo sguardo lontano secoli. «Mi ha sempre visto come un giovane viziato che ottiene sempre quello che vuole.» disse. «Ma non importa. Io so che prima o poi aprirà gli occhi e vedrà che il mio sentimento è puro come la neve.»
Luigi aveva paragonato Jessamine a Beatrice, la donna amata da Dante Alighieri. Clary sapeva, dai suoi studi, che Beatrice non aveva mai ricambiato i sentimenti del poeta. Una vena d'amarezza le corse per le vene, ma non disse nulla.
Appoggiandosi alla parete per camminare, Clary arrivò alla porta. La aprì: Vedeva solo un corridoio illuminato dalle candele e il ciglio delle scale. Alzò una mano, che le sembrava fatta di piombo, e fece per farla passare attraverso la porta, ma quella non la trapassò. Si poggiò come su una lastra invisibile, come se fosse fatta di un fumo solido. Cominciò a pensare di essere una perfetta idiota, lì in piedi con la mano a mezz'aria.
A un certo punto sentì una mano sulla sua. Un tocco caldo, leggero. Alzò gli occhi piena di speranza, amore e fiducia.
E provò solo disprezzo, quando vide che era la mano di Cameron. Clary la tolse subito, guardandolo con astio. Anche se era inutile: Più lei lo fulminava con lo sguardo, più lui le sorrideva. «E' il momento» con uno scatto veloce le prese il polso e la tirò fuori. Clary tentò di divincolarsi, ma nulla. Quella maledetta pozione le aveva distrutto le forze. «Su, principessa. Il nostro amico ci aspetta»
La condusse per il corridoio, stringendole con dolcezza un braccio. Le dava sui nervi tutto questo riguardo che aveva per lei, come se stesse cercando di impressionarla. Le faceva venire la nausea.
Oltrepassarono una porta a due battenti, entrando in una sala piccola. Clary gelò:
C'era una cosa, lì dentro.  Una cosa di metallo, lucido e scintillante. Ma aveva le sembianze umane, le braccia umane e un viso umano. Un umano di metallo, con gli occhi vitrei e spenti. Aveva persino dei capelli. Sembravano di lana filata e nera, lisci come spaghetti. Se ne stava ferma in un angolo, immobile come una statua. Si bloccò sulla porta. Cameron si fermò a guardarla, e seguendo il suo sguardo vide cosa l'avrebbe fatta bloccare. «Non preoccuparti di quello» tentò di tranquillizzarla. «Fa solo ciò che dico.»
«Ora sono molto più tranquilla!»
Cameron fece un sorriso sottile. «Adoro la tua lingua lunga» le si avvicinò, sinuosamente. Clary rabbrividì. «Chissà qual è il suo sapore..»
Clary era troppo debole, per quel maledetto decotto, e lui la stringeva con troppa forza. Non sarebbe mai riuscita a liberarsi. Lui si avvicinò sempre di più, fino a quando lei sentì il suo fiato sulle labbra. Tentò di scansarsi, ma lui si ritrasse immediatamente, l'ombra del sorriso ancora sulle labbra. «Tranquilla, mia cara. Sono un gentiluomo.»
E, detto questo, estrasse un coltello dalla lama d'argento.

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Capitolo 25
*** XXIII; The hero of my tale ***


 

The hero of my tale,
whom I love with all the power of my soul,whom I have tried to portray in all his beauty,
who has been, is, and will be beautiful, is Truth.
L. Tolstoy

 
 


Capitolo XXIII
The Hero of my tale.


Alec aveva imparato, negli anni, a seguire Jace senza fare domande solo in un poche occasioni. Quando gli aveva confidato, per la prima volta, di voler essere lui a uccidere gli assassini di suo padre, ad esempio. O quando si era fissato con l'idea di andare a recuperare Clary, dopo che l'avevano vista per la prima volta al Pandemonium. Delle volte era proprio impossibile fermare Jace senza farsi del male.
Il ragazzo vide il suo parabatai riporre la ciocca di capelli in tasca con estrema delicatezza, quasi avesse paura che potessero sparire nel nulla.
Così come aveva paura che Clary sparisse per sempre.
Alzò lo sguardo su di lui. «Abbiamo bisogno di Will e Jem.» disse, e senza aspettare una risposta si precipitò all'interno di Buckingham Palace.
Alec e Isabelle ebbero appena il tempo di accorgersene prima di precipitarsi dietro il loro fratello. «L'ultima volta che li ho visti, erano in uno dei balconcini»
«Dovranno rimandare a dopo le chiacchierate imbarazzanti.» fu la secca risposta di Jace. Si tenne in un silenzio teso mentre spalancava le porte della sala da ballo. La musica era troppo alta perché i commensali potessero accorgersene, ma un cameriere venne sbattuto a terra a gambe all'aria. Jace non lo degnò nemmeno di uno sguardo, dirigendosi spedito verso i balconcini. Tessa e Will vicino al cornicione, molto vicini e Jem che li guardava dalla porta. Nessuno stava parlando.
«Mi dispiace interrompere questo piccolo menage a trois»  disse con l'aria tutt'altro che dispiaciuta. «Ma ho bisogno di voi.»
 
Will alzò un sopracciglio. «E' davvero qui che si nasconde?» chiese. «Poteva trovare un luogo meno..appariscente»
«Io ancora non capisco cosa ci faccia lui qui» sbottò Isabelle,  guardandolo di traverso. Stavano su una carrozza, nel cuore di Londra. Davanti a loro il Big Ben si confondeva con le tenebre del cielo.
Il diretto interessato le lanciò un'occhiata annoiata, come se fosse matto. «Non avrei mai lasciato venire Jem da solo»
Izzy alzò gli occhi al cielo. «E perché Jem è qui?» chiese. «Senza offesa» aggiunse poi, gettando un'occhiata alle sue spalle, dov'era Jem.
«Tranquilla. Sono abituato ad avere idioti intorno.»
«Concordo» disse Alec, al fianco di Jace, guadagnandosi un'occhiataccia da quest'ultimo.
Erano arrivati davanti a un palazzo che Jace conosceva bene, e di sicuro anche Will e Jem. Il Big Ben si stagliò davanti a loro come una delle torri antidemone di Alicante, come fossero  pronte  a bucare il cielo per arrivare agli Angeli sopra di esso. Jace scese dalla carrozza ancora prima che quella si fosse fermata. Era stata Isabelle ad averlo condotto a forza su quell'affare, sostenendo che di certo non gli avrebbe fatto bene farsi tutta quella strada di corsa, per poi combattere. A Jace non sarebbe importato: Avrebbe percorso pure l' Inferno, per raggiungere Clary. Stare chiuso nella carrozza era stato frustrante, ma almeno aveva avuto il tempo di fare e farsi fare i marchi da Alec.
La porta che conduceva all'interno era di legno massiccio, a due battenti. Jace si precipitò a spalancarla, ma appena fece un passo dentro le viscere della struttura, una forza immane lo scaraventò all'indietro, facendolo battere con la schiena a terra. Il ragazzo rimase per qualche istante senza fiato dal dolore, poi riscattò in piedi.
Sulla porta, c'era una cosa. Lucida come la lama di una spada angelica, e Jace non dubitò che fosse altrettanto letale. Alta come il doppio di un essere umano, ne aveva anche le parvenze. Spalle larghe, gambe lunghe e braccia sottili. Il viso era al contempo simile a tutti i visi e unico a sé stesso. E in una delle grosse mani teneva un martello grosso almeno quanto il braccio di Jace. Appena il ragazzo si rimise in piedi, la cosa di metallo lo brandì contro di lui.
«E' un automa!» gridò la voce di Will. Aveva usato un tono allarmato, ma con una traccia di fredda rabbia tagliente quanto il metallo di cui era composto l'automa
Sentì Jem, al suo fianco, trattenere il respiro. «Mortmain» mormorò.
E non ci fu più tempo per le spiegazioni. L'automa brandì qualcosa che teneva nella mano sinistra. Un coltello da macellaio macchiato d'olio nero, grosso quanto una mazza da baseball.
Isabelle fece scorrere la frusta, che le scese dal braccio come un serpente fatto di fili d'oro. Schioccò con un colpo sonoro andando a colpire la cassa toracica, le braccia, le gambe di quella cosa. Quella aprì la bocca e urlò. Sembrava il rumore di quando una volta, a New York, aveva messo dei sassolini nel frullatore di Maryse.
Jace scattò in piedi, estraendo al tempo stesso due chakram dalla cintura. Li fece volare con uno scatto e quelli andarono a colpire il collo della creatura. Dalla ferita uscì una colata di olio nero come la pece, ma a parte quello sembrò che non se ne fosse neanche accorto.
Allora Will e Jem scattarono, da affiatati parabatai, come fossero una cosa sola. Will al sinistro e Jem al destro, si attaccarono alle braccia della creatura. Cercando di scrollarseli di dosso, quella fece un giro su sé stessa come fosse una strana creatura dei cartoni animati. Jace guardò Alec e vide che anche lui lo stava guardando. Un solo cenno da parte del fratello, e Jace scattò verso di lui. Alec congiunse le mani e Jace mise sopra di esse il proprio stivale e spiccare un balzo. Finì, con un salto elegante, su un abete solitario sul ciglio della strada. Tenendosi con le gambe per non cadere, si chinò a prendere il suo parabatai, portandolo con sé sull'albero. La creatura di metallo continuava ad andare girando con Will e Jem al seguito, Jace riusciva a sentire la risata bassa e profonda di Will che si mescolava a quella più alta di Jem.
Alec e Jace dovettero aspettare qualche secondo, poi la creatura si avvicinò all'abete. Saltarono insieme, finendo ognuno su una delle due spalle dell'automa.  Isabelle fece schioccare la frusta dorata, che andò ad avvolgersi nelle gambe di metallo della creatura, immobilizzandola.
Insieme estrassero la lama angelica e con un sol colpo, fatto di quella simmetria  perfetta che solo i Parabatai potevano avere, gli tagliarono la testa.
Con un tonfo attutito dall'erba morbida, la testa di metallo colpì il terreno e per un secondo gli parve che quegli occhi senza pupilla fossero davvero quelli di un cadavere.
Il corpo rimase immobile dov'era, come preso da una strana sorta di rigor mortis.  Jem e Will furono i primi a scendere, poi Alec. Jace rimase lì dov'era per qualche secondo. Per un secondo, un solo istante, aveva visto qualcosa muoversi in una delle finestre: una piccola fiamma rosso scuro.
Clary.
«Scendi da lì!» era la voce di Isabelle, cenciosa alle sue orecchie. «Ce ne potrebbero essere altri, dobbiamo andare.»
Lui saltò, atterrando proprio accanto a lei. «Non credo» disse. Si girò e diede un calcio potentissimo alla creatura, che cadde come un sacco di patate sull'erba umida. «Credo che non pensassero arrivasse qualcuno in grado di buttarlo giù.»
Will arcuò un sopracciglio. Come gli aveva fatto notare Clary, era una cosa che anche lui faceva spesso. «Davvero credevano che non avremmo cercato Clary?»
Jace fece un sorriso, estraendo la ciocca di Clary, setosa tra le sue dita. «Credevano che non avrei capito la differenza» mormorò assente. «Ma di lei non sanno niente. Né di me. Né di noi.»
S'incamminarono per la porta lasciata spalancata dall'automa, più lentamente, stavolta. La strada illuminata dalla stregaluce che Alec teneva tra le dita.  Seguirono un corridoio polveroso. Quello culminava in un immenso corridoio buio.
All'improvviso, sentirono un grido. Nel cuore di Jace si spezzò qualcosa: Era la voce di Clary. «Muoviamoci» disse solamente, e scattò verso il corridoio di sinistra. Corse così come gli aveva insegnato suo padre: Così veloce da rendere tutto intorno a sé una macchia indistinta di colore.
Quando il corridoio finì su un pianerottolo, Jace non ci pensò due volte a prendere le scale che portavano al piano superiore. Sulla cima delle scale, Jace sbattè contro qualcosa di molto duro. Un rivolo di sangue gli bagnò il labbro, ma non se ne curò. Aprì gli occhi, davanti a sé non aveva niente. Provò a camminare di nuovo, ma era come se ci fosse un muro invisibile tra Jace e il pianerottolo. Alzò una mano e la posò su quel muro invisibile. Estrasse lo stilo dalla cintura: la runa diakop si creò sinuosa sotto la punta del suo stilo, articolata come il fiocco di un pacco regalo. Ci fu un rumore stridente come di metallo che si accartoccia e il muro invisibile si dissolse in un cumulo di polvere grigiastra che si andò a depositare sui suoi stivali.
Jace era in testa, sul gradino più alto delle scale, Will immediatamente dopo, Jem, Isabelle e quindi Alec, essendo troppo strette le scale perché potessero starci tutti. Quando infine il muro si fu dissolto del tutto, Jace fece per continuare a muoversi, ma si fermò subito. Un assordante boato aveva fatto tremare le scale e le mura della struttura. Jace non mosse un muscolo. «Cos'è stato?» chiese.
«Non lo so» rispose Will, guardandosi intorno. «Ma di certo non erano dei topolini.»
Il rumore tornò più forte: Fu solo un momento prima che le scale cominciassero a crollare sotto i ,loro piedi. Nel tempo di un respiro, Jace estrasse un pugnale dalla cintura e lo conficcò nel legno dei pavimento del piano superiore, aggrappandovisi prima che la solidità sotto i suoi piedi sparisse. Gettando uno sguardo ai suoi compagni, vide Will tenersi per una sporgenza della parete con le dita talmente bianche da sembrare ossa. Jace spostò la presa sulla mano sinistra e tese l'altra al ragazzo. «Will!» gridò.
Will alzò lo sguardo su di lui. Si sporse e afferrò la sua mano. Jace tirò con tutta la forza che aveva in corpo, sentendo le ossa del suo braccio quasi spezzarsi per lo sforzo, e tirò Will sul pavimento del piano superiore a cui lui era aggrappato. Provò un sottile piacere nel constatare che aveva sbattuto la faccia sulle assi di legno. Imprecando, il ragazzo si tirò su e, afferrandolo per le braccia, porto Jace con sé. Il ragazzo urlò di dolore: Doveva essersi slogato una spalla. Tenendosi il braccio ferito, Jace si sporse sul baratro. Le scale erano crollate fino alle fondamenta: Jace riusciva a vedere con chiarezza le macerie accatastate in fondo. Sul pavimento del piano inferiore, dalla quale poi erano arrivati alle scale, c'erano Isabelle e Jem inginocchiati sul pavimento intorno ad Alec, sdraiato a pancia in su con gli occhi chiusi e un colorito pallido. Jace urlò il suo nome, ma quello non rispose.
Jem alzò lo sguardo su di lui. «E' svenuto, ma sta bene» gli disse. «Occupati del mio parabatai, io mi prenderò cura del tuo»
Jace non se lo fece ripetere due volte, anche se detestava ricevere ordini. In un attimo di distrazione, si chiese quanti anni avesse Jem. Si volse verso Will, anche lui con lo sguardo fisso al basso. «Alza la manica» gli disse. Will obbedì, scoprendo la pelle del braccio. Come tutti gli Shadowhunters, la pelle diafana del ragazzo era costellata di cicatrici pallide da stilo. Jace vi contribuì, disegnandovi con mano esperta un iratze.
Erano strani, gli inglesi. Pensò Jace, tracciando la matrice di linee scure dell'iratze. La loro pelle era di un bianco innaturale, bianca come il latte. Le rune scure sulla sua pelle spiccavano come inchiostro sulle pagine di un libro.
Quando ebbe finito, porse lo stilo a Will, che fece la stessa cosa sul suo braccio. Jace strinse i denti. Immaginò che lo avesse fatto a posta a calcare con lo strumento. Finito, gli porse lo stilo e Jace se lo rinfilò nella cintura.
Quindi, si sporse di nuovo. Alec era sveglio, adesso. Si era messo a sedere mentre si reggeva la testa. Isabelle stava facendo i marchi a Jem, nel frattempo. Quando li videro, alzarono tutti lo sguardo. «Che facciamo adesso?» chiese Izzy, urlando per farsi sentire.
«Ci dividiamo» fu la risposta di Jem, «Troveremo un'altra strada, voi continuate a salire.»
Jace annuì. «Ci vediamo in cima» Jace lanciò un'occhiata ad Alec, che a sua volta lo stava fissando. A un suo cenno, Jace si alzò. «Andiamo, Herondale» disse a Will, mentre quello si rialzava in piedi. «A quanto pare siamo io e te, adesso.»
Il grugnito poco entusiasta di Will si rispecchiava alla perfezione col suo stato d'animo. Non che Jace facesse molta attenzione a lui, comunque. Mentre passavano per i corridoi, alla ricerca della fiamma di capelli rossi di Clary, Jace non faceva che pensare a lei. Di quanto fosse stata bella quella sera, mentre ballava stretta a sé, tra le sua braccia. Di quanto fosse stato felice per un momento, semplicemente guardandola. Aveva letto in quello sguardo un amore profondo quanto il suo. Tutto questo, solo per averla stretta tra le braccia il tempo di un ballo.
Da quello che aveva visto prima, Clary doveva essere in cima alla struttura. Jace e Will continuarono a salire per un tempo che gli parve infinito, segnando ogni corridoio nuovo con lo stilo per evitare di tornarci due volte.
A rompere il silenzio calato tra i due, fu Will. «Che intendevi con 'non sanno niente di noi'?»
Jace gli lanciò un'occhiata da dietro le proprie spalle. Alla luce delle candele, vide nei tratti di Will qualcosa che gli ricordò vagamente le fotografie che aveva visto di Stephen Herondale. Un po' la forma del mento e senz'altro il taglio degli occhi. Clary aveva ragione: Avevano gli occhi identici, se non per il colore. «Sei mai stato innamorato?» Gli chiese, al posto di rispondere.
Will non rispose, tenendo lo sguardo fisso sull'ennesimo corridoio che stavano attraversando.
Visto che non ottenne risposta, Jace continuò. «Tessa, non è vero?» disse con l'ombra di un sorriso. Diede un calcio a una porta alla sua destra, spalancandola. All'interno c'erano solo dei vecchi banchi impolverati accatastati l'uno sull'altro. «Io la amo, lo sai? Clary.» disse, un po' a sé stesso, un po' a Will. «E ho passato più tempo di quanto tu possa immaginare ad amarla da lontano. Io la amo, e lei ama me. E non c'è niente, assolutamente nulla, che possa cambiare questo fatto. Evidentemente, chi ha fatto quell'incantesimo credeva che non avrei riconosciuto una copia. Ma loro non possono creare una seconda Clary, per quanto possa essere simile.»
«Parli di questo amore come se fosse  una forza inarrestabile e pura» disse Will, con rabbia. «Ma forse lo sopravvaluti, ed è stata solo fortuna.»
Jace fece un sorriso sottile. «Nessun maggior dolore / che ricordarsi del tempo felice / ne la miseria;»
«Non citarmi Dante» sbottò Will. «L'amore non è perfetto e non per tutti esiste un lieto fine.»
Il ragazzo fece un verso esasperato. «Perché devi pensare alla fine? Che ti importa di quello che succederà?»
«Mi importa eccome. Se scelgo Tessa, posso perdere molto altro.» disse.
Jace piantò i piedi e si fermò. Will lo imitò, qualche passo più avanti, guardandolo interrogativo. «Tu e Tessa siete fratelli?» chiese.
«Cosa?» sbottò scioccato l'altro.
Il ragazzo lo guardò truce. «Rispondi.»
Will aveva uno sguardo disgustato. «No, certo che no.»
«E allora» fece Jace. «Non permettere a nulla e a nessuno di impedirvi di amarvi. Io lo so cosa vuol dire che tutto ciò che provi è disgustoso e  sbagliato. Ci sono passato. E non posso sopportare che l'amore vada sprecato in questo modo. È troppo prezioso, per essere perduto così.»
Seguì un lungo silenzio, in cui Jace e Will si guardarono in cagnesco.
Infine, quest'ultimo disse: «Stai cominciando a parlare come una donnicciola.»
«Beh, almeno io ho ancora le palle. Tu puoi dire lo stesso? »
 
La runa appena fatta sulla pelle bruciava come la capocchia di un fiammifero appena spento. Jace aveva sfilato la cravatta e aveva gettato la giacca scomoda. In battaglia, solitamente, indossava quella di pelle spessa della tenuta per proteggersi da lame e veleni.
La leggera giacca di lana era il totale opposto. Avrebbe potuto stapparla Clary con le unghie. Jace e Will erano arrivati all'ultimo piano del Big Ben.
Segnando le due del mattino, il rintocco delle lancette era stato così forte che Jace l'aveva sentito all'interno della cassa toracica e nel cranio. Aveva cercato di nuovo la posizione di Clary, con la runa. L'aveva vista al buio, tra le braccia di Cameron. Lui aveva qualcosa in mano, qualcosa di affilato e brillante alla luce delle candele. Un coltello, e lo stava puntando al suo avambraccio, con precisione chirurgica verso le vene. Chiuse gli occhi con forza, per combattere la nausea che lo aveva afferrato, e quando li riaprì vide Will.   «È con Cameron. Devono essere in questo piano» disse Jace, la voce sottile per la rabbia.
«Ho già controllato le porte» disse Will. «Non è dietro nessuna di queste»
«Dev'essere nascosta da un incantesimo. L'ho vista.»
Will sospirò. «E come diavolo facciamo a scoprirla?»
Jace cominciò a camminare avanti e indietro per il corridoio. Clary poteva essere dietro una qualunque di quelle porte, celata dal suo sguardo dalla magia. Lei, proprio lei che era magia pura. Se fosse stata lei, a doverlo cercare, se ne sarebbe uscita con una super-runa personalizzata "Trova Jace"creata su due piedi.
Si fermò. Non doveva trovarla. L'aveva già fatto, per quei capelli rossi inconfondibili al tatto e alla vista. L'avrebbe sempre fatto.
Doveva riuscire a vederla, come lei aveva sempre visto lui. E non si riferiva dell'atto fisico del vedere in sé, ma una visione più profonda ancora.  Lei lo vedeva. Vedeva il ragazzo bastardo e testardo al limite dell'inverosimile, un ragazzino spaventato da solo in una città sconosciuta, il bambino che piangeva per un falco ucciso.
Insieme, loro erano perfetti, da ogni angolazione possibile.
Per questo sapeva cosa fare.
 
Erano a casa di Magnus, Jace e Clary soli.
Il simpaticone di Magnus li aveva visti litigare per una sciocchezza, dopo la festa, e allora aveva fatto sparire tutti gli ospiti e, prendendosi Alec a braccetto, era sparito dietro la porta d'ingresso, facendola poi sparire.
Voleva dar loro un po' di privacy, per far pace e, ubriaco com'era, aveva pensato che murarli vivi lì dentro fosse la soluzione migliore.
Logica sbronza.
La migliore.
Dopo averla sfruttata, quella privacy, Clary aveva sospirato, staccandosi da lui e aveva sfilato lo stilo dalla cintura di Jace.
«Mostrare ciò che è stato nascosto» aveva mormorato, mentre si sedeva a gambe incrociate sul pavimento e faceva scorrere la punta dello strumento sulle piastrelle sporche. La figura venuta a formarsi era lineare e schematica. E la porta traballante si era mostrata ai loro occhi, inizialmente come una massa sfocata e senza forma, per mostrare ciò che era stato nascosto dalla magia.

 
«Mostrare ciò che è stato nascosto» mormorò Jace, riaprendo gli occhi. Lo stilo era ancora nella sua mano destra, ancora leggermente caldo dopo la runa fatta.
Si lasciò cadere a terra e disegnò la runa. Semplice, schematica, lineare, precisa come una formula matematica. Will lo guardava attento, senza perdersi una mossa.
Alcune ciocche di capelli biondi gli ricaddero sul viso, ma lui non le scostò. Alzò il viso. Due porte comparvero sui muri paralleli del corridoio, come masse di colore scuro sfocate, rovinate da tempo e umidità.
Dietro una di quelle due porte, c'era Clary.
Jace si rialzò in piedi, togliendosi la cenere dai pantaloni. «Andiamo» e s'incamminò nel corridoio ma fu fermato dalla mano di Will, che si strinse in una morsa d'acciaio attorno al suo braccio.
«Per l'Angelo, cosa diavolo era quello?»
Jace pensò in fretta. «Una runa» rispose meccanicamente.
Lo sguardo azzurro di Will si assottigliò. Un lampo azzurro di rabbia e sconcerto. «Ti prego di non prendere in giro la mia intelligenza, Lightwood.» sibilò. «In questo momento sono il tuo unico alleato. Hai bisogno di me, quindi devi dirmi la verità.»
«Fattelo dire: Hai un'ossessione strana per la verità.» disse Jace, piccato. Quindi strattonò il braccio per liberarlo dalla presa.
«Voi due siete strani» disse Will, come se lui non avesse parlato. «Tu e Clarissa. Isabelle e Alexander sono strani come possono esserlo due Americani.» storse il naso, come se quella parola fosse nauseante.
Jace fece un sorriso sottile. «Anche Tessa è Americana, se non ricordo male.»
L'altro ragazzo fu velocissimo. In un secondo l'aveva fatto sbattere spalle al muro, premendogli il braccio sinistro sulla gola. Jace, però, non era un ragazzino qualunque da mettere al tappeto. Afferrò con forza il braccio di Will e, chinandosi all'improvviso, fece leva sulla schiena e lo scaraventò a terra. Will cadde di peso, battendo ogni osso della spina dorsale.
Il ragazzo fece un passo verso Will. «Non me ne potrebbe importare di meno della tua curiosità» gli disse, guardandolo negli occhi. Azzurro contro oro. Erano simili a quelli di Alec, e si chiese dove fossero i suoi fratelli. «Ma hai ragione. Ho bisogno di te per trovare Clary. Quindi, ti propongo un accordo.» Gli porse una mano, per aiutarlo ad alzarsi. Will lo guardò scettico. Forse immaginava che ci tenesse uno spillo pronto a pungerlo. «Tu adesso mi aiuterai, e in cambio, quando sarà tutto finito, ti dirò tutto ciò che vuoi sapere.»

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Capitolo 26
*** XXIV; Good and evil ***


Author's corner: Qualcuno di voi fa il liceo? Qualcuno di voi ricorda l'orrendo periodo del fine quadrimestre, quando interrogazioni e compiti vi soffocano, quando certi professori vi tolgono, letteralmente, la voglia di vivere? Ecco, allora potrete capire cosa sto passando ora come ora. Sono sfinita, esausta, stanca. L'unica cosa che mi salva è scrivere, a trovarne il tempo, già scarso di suo. Scusate lo sfogo. Dovrei smetterla, lo so.
Godetevi il capitolo.


All human beings are commingled out of good and evil
R. Stevenson


Capitolo XXIV
Good and evil



Isabelle Lightwood diede un calcio a una carcassa di metallo grossa quanto uno sportello di una macchina. «Credo che questo fosse l'ultimo» disse.
Il fratello stava facendo una runa di guarigione sulla pelle di Jem. Era bianca come una ciotola di panna, così come i capelli e il viso. Isabelle riusciva a vedere l'intrico di vene scure sotto di essa. «Lo credo anch'io» rispose il ragazzo. Quando Alec ebbe finito la runa sulla, lo ringraziò e si avvicinò a Isabelle. Odorava di marchi appena fatti, sudore e zucchero bruciato. «Questi» disse, indicando la carcassa di un automa con la lama di una spada angelica. «Sono gli automi di Mortmain. Quelli non ancora perfezionati.»
«Il mondano che da la caccia a Tessa?» rammentò Izzy, da quello che le aveva raccontato Jessamine. «E cosa diavolo c'entra con Cameron?»
«Credo che sia stato un aiuto reciproco» disse Alec, ragionando. «Si, insomma, che ognuno abbia aiutato l'altro. Mortmain ha fornito gli automi a Cameron come protezione, in cambio di qualcosa da lui.»
Jem sbiancò, ancora di più di quanto non fosse già. «Tessa» mormorò.
«Non  credo» disse Alec, tendendo di tranquillizzarlo. «L'avrebbero già presa, a questo punto»
«E allora cosa?» chiese Izzy.
Alec si rivolse a Jem. «Cosa potrebbe volere Mortmain da voi?»
Jem sembrò riprendersi con una scossa di spalle. «A parte Tessa, spiarci. Abbiamo scoperto tutte le sue spie.»
Un rumore come di metallo che va in pezzi li distrasse. Era profondo, anche troppo. E veniva dall'alto. «Dobbiamo sbrigarci» disse Alec, incamminandosi. Erano rimasti bloccati in uno dei corridoi del terzo piano dagli automi, come spuntati all'improvviso da  tutte le porte contemporaneamente. Le carcasse di tutti quegli automi ora rimanevano gocciolanti olio sul pavimento di legno. Doveva ammettere che Jem era un ottimo soldato, anche se si stancava troppo facilmente.
Alec scavalcò senza fatica  le carcasse con un salto, così come Izzy che atterrò con un leggero tonfo degli stivali neri. Jem ci mise un po' di più. Alec alzò un sopracciglio. «Serve aiuto?» gli chiese.
Lo sguardo di Jem, benché sofferente, era fiero. «Grazie, ma ce la faccio.» rispose.
«Comuuuuuunque.» fece Izzy, per attirare l'attenzione di Alec al suo fianco. «Non mi hai detto com'è finita con Jessamine»
Alec le lanciò un'occhiataccia. «Ti sembra il momento adatto, Isabelle?»
«Sono tremendamente curiosa, Alexander.»
Alec guardò Jem, che scosse le spalle come a dire: Non ci posso far nulla
«Izzy, io non credo...»
«Jem lo sa, Alec.»
Il ragazzo si fermò all'improvviso. «Che vuol dire che lo sa?» sibilò con tono acido verso il ragazzo.
Jem divenne di un rosso innaturale, a causa della pelle molto più delicata del normale. Fece per rispondere, ma fu bloccato da Izzy. «Lo sanno tutti, Alec» con voce molto più morbida. «Tranne Jessamine, ovviamente.»
Alec fece un verso strozzato, voltandosi verso Jem. Quello lo guardò con un'aria davvero sofferente. «Se n'è accorto Will.» disse a mo' di scuse. «All'incontro con Magnus Bane. E Will non sa tenere la bocca chiusa»
Alec sospirò. «Lo sa anche Jessie, adesso.» mormorò.
«Ahi.» fece Isabelle. «Come sta?»
Alec scosse le spalle. «Credo che stia più male per non poter venire nel futuro con noi, piuttosto che per non diventare mia moglie» al solo pensiero di sposarla, gli veniva mal di testa.
Un sospiro da parte di Jem. «Ci odia così tanto?»
«Non credo che odi voi» commentò Alec. «Credo che odi essere una Shadowhunter e basta. Vorrebbe essere una semplice mondana»
Izzy camminava dritto davanti a sé. «Ogni tanto piacerebbe anche a me.» disse. «Ma poi mi ricordo di quanto mi piaccia indossare lame e mi passa. Inoltre, ci sono un sacco di giocattolini carini. A partire da Simon.»
 
«Siete viva!» Il decotto di Luigi aveva finalmente finito l'effetto. Il ragazzo era finalmente pieno di energie e incazzato nero.
Clary fu spinta all'interno della stanza da Cameron con un po' troppa forza per uno che diceva di essere cotto di lei. La ragazza atterrò sulle ginocchia, facendosi un male cane. Gli lanciò un'occhiataccia, ma lui non la stava guardando. Aveva lo sguardo puntato su Luigi. Oscillò davanti a lui un'ampollina piena di un liquido rosso scarlatto. Il suo sangue. A vederlo oscillare così, la ferità sul braccio le pizzicò un po'. Cameron l'aveva solo fasciata. Non poteva farsi un' iratze, dato che Cameron aveva gettato il suo stilo in strada, mentre la portava lì. «Vedete di non fare cose disdicevoli mentre non ci sono.»disse velenoso.
«Sei disgustoso» sibilò Clary, rialzandosi in piedi.
Cameron fece un sorriso. «Io? Non sono io quello che ha baciato il proprio fratello»
Clary lo guardò di scatto. Aveva un'espressione di puro divertimento sul viso. Avrebbe voluto levargliela a suon di schiaffi. «Isabelle parla parecchio» disse. «Specie se sotto incantesimo»
«Ma si può sapere qual è il tuo problema con me?» urlò Clary. Aveva ormai perso le staffe.
Cameron le si avvicinò di qualche passo. «Pensi che io non sappia quello che tu sei capace di fare?» le mormorò, sempre più vicino. «Non siete bravi a mantenere segreti, mia cara. Tu sei capace di creare nuove rune. Tu crei magia. Nonostante tu non abbia una sola goccia di sangue demoniaco. È affascinante sotto un'infinità di punti di vista.» le prese il viso in una morsa crudele. «E poi, mi è sempre piaciuto ciò che non potevo avere.»
Clary alzò la mano e gli accarezzò il polso che le stringeva il viso. La morsa si addolcì di molto. Fece per stringergli la mano, cosicché lui la liberò dalla stretta.
La ragazza fece un sorriso. Uno dolce, di quelli teneri, carico di segreti mai svelati. Anche lui le sorrise, come un bambino che ottiene ciò che vuole.
E allora lei gli spezzò il polso.
Cameron guaì di dolore, imprecando in una lingua che Clary non conosceva.  La guardò pieno di rabbia e rispetto, ma non la colpì di rimando. «Dio, sei così bella anche se vorrei farti del male.»
Clary gli si avvicinò ancora e, dato che lui ancora non poteva afferrarla, lo prese per i capelli e lo gettò fuori dalla stanza dalla porta aperta. Lui sbattè con forza contro il muro, e Clary fu immensamente contenta nel sentirlo sputare sangue. «Annoverami tra le cose che non avrai mai» gli sibilò.
 
Clary sollevò per l'ennesima volta il tappeto polveroso. Nulla.
Stava cercando da almeno mezz'ora un qualcosa di affilato con cui tagliare le corde che legavano Luigi. Non se ne sarebbe mai andata lasciandolo lì, e inoltre aveva bisogno di lui per andarsene.
«Signorina Morgenstern..» fece Luigi, per richiamare la sua attenzione.
Clary rilasciò cadere il tappeto con forza, e una nuvola di polvere si alzò da terra come uno spettro in cerca di vendetta. «Per l'Angelo, Luigi. Chiamami un'altra volta così e ti ammazzo. Sono Clary.»
«Clary, allora.» disse. «Mi è venuta un'idea»
«Sono tutta orecchi.»
Lui assunse un'espressione confusa che fece ridere Clary. «Volevo dire che ti ascolto.»
«Ah, bene.» fece un sorriso. «Cercate qualcosa con cui rompere la finestra, e prendete un pezzo di vetro.»
Clary sbattè una mano contro la fronte con teatralità. «Certo. Che stupida a non averci pensato.»
Non c'era niente, però, in quella stanza di abbastanza pesante da poter rompere lo spesso vetro. Camminava avanti e indietro, come faceva Jace quando doveva pensare. Il tacchettio delle scarpe la distraeva, come un piccolo picchio nel suo cervello.
Si bloccò all'improvviso.
Caccia ai demoni e moda! Non ho mai pensato che potessero andare d'accordo.
Non puoi immaginare quanto!

Scattò verso la finestra e sferrò un calcio con tutta la forza che aveva in corpo. Lo stivaletto di pelle si graffiò appena, mentre la finestra andava in pezzi. Tese una mano. Attraversava tranquillamente la fessura creatasi. Solo la porta era vincolata dall' incantesimo. Però c'era sempre il fatto che erano a qualcosa come l'ottantesimo piano e lei non era mica Jace, che poteva saltare da altezze infinite senza nemmeno scompigliarsi i capelli. Lei aveva le rune, certo, ma solo con uno stilo a portata di mano. Cosa della quale era sprovvista, al momento.
Spezzò un pezzo di vetro con le mani, facendo attenzione a non tagliarsi, e tornò da Luigi. S'inginocchiò davanti a lui, il quale la stava guardando meravigliato. Passò con forza il vetro affilato sulle corde che dovevano essere già vecchiotte: Erano leggermente sfilacciate, sebbene ancora spesse. Si tagliarono con facilità, ma quando lasciò cadere il vetro aveva un grosso taglio sulla mano destra. Luigi si rialzò liberandosi da tutti gli ultimi rimasugli di corda. Le guardò le mani con rimorso. «Mi dispiace.»
«Fa nulla» disse, pulendosi le mani sul vestito già sporco. «Ora andiamocene da qui.»
«E come, di grazia?»
Clary si grattò la testa con fare pensieroso. «Speravo lo sapessi tu.»
Luigi scosse le spalle incredibilmente muscolose. Chissà perché, ma si era sempre immaginata gli Italiani come un popolo più colto che forzuto. Però, dopotutto, Luigi era un Nephilim. «Potremmo cercare qualcosa con la quale calarci giù.» propose.
«E con cosa? Non c'è nulla qui, a parte noi e un mucchio di cianfrusaglie metalliche.»
Luigi andò alla finestra e si sporse. «Il piano inferiore non è molto distante.» disse. «Se riusciamo a calarci fino a lì, potremo uscire.»
Clary fu colta da un'idea. «Levati la maglietta.» disse a Luigi.
Luigi le lanciò un'occhiata sconcertata. «Prego?»
«Mi hai sentito. Levati la maglietta»
«Signorina...»
Clary gli si avvicinò e gli tolse la giacca. «Non è per approfittare di te, Luigi. Possiamo usare la tua maglietta per arrivare al piano inferiore.»
«E perché non possiamo usare il suo vestito?»
Per tutta risposta, Clary arcuò le sopracciglia.
«Va bene» acconsentì Luigi.
Luigi si portò le mani al ventre per prendersi il bordo della maglia e tirarla su. Clary alzò le braccia per aiutarlo, quando la porta si fracassò con il rumore di legno fatto a pezzi.
Clary si girò furiosa, pronta ad affrontare Cameron.
Ma non era Cameron.
Era Jace, con Will al seguito. Guardava l'interno della stanza con sguardo interdetto. Will, dietro di lui, era scoppiato a ridere. «Scusate per il disturbo!»
Clary si rese conto di essere da sola, in una stanza buia coi capelli scompigliati a togliere la maglietta a un ragazzo di cui aveva ribadito più volte il fascino. .
Jace diede a Will  una gomitata così forte che Clary ne sentì il colpo da quella distanza. Il suo ragazzo fece per entrare ma Clary lo fermò, urlando. «Fermo! Non entrare!»
Il viso di Jace era il ritratto del ghiaccio. Clary si allontanò da Luigi e andò verso la porta, tendendo una mano verso di lui.
Jace fece un passo indietro, di scatto. Una gran delusione le nacque nel petto, ma non disse nulla. Si avvicinò ancora di più, lasciando cadere la mano come un peso morto accanto al fianco. Jace e Clary si fissavano. A separarli solo l'incantesimo che intrappolava lei e respingeva lui. Clary alzò di nuovo la mano e la posò sulla parete invisibile dell'incantesimo. Lo guardò e basta, lasciando in quella mano tesa tutta la paura che covava dentro.
L'insicurezza di Jace delle volte la lasciava senza fiato. Temeva, più di ogni altra cosa, che lei potesse smettere di amarlo. Ma lui non riusciva proprio a capire che lei non poteva e basta. E solo l'Angelo sapeva quanto avesse desiderato smettere di amarlo, quando pensava che fosse suo fratello. Lo aveva desiderato con tutta sé stessa, con una forza così potente da farle male all'anima. Ma non era possibile, e questo era un dato di fatto. Clary era perfettamente cosciente del fatto che avrebbe amato Jace tutta la vita e, se ci fosse stata una vita, dopo di quella, l'avrebbe amato anche allora. Non era qualcosa da cui poteva scappare, neanche volendolo con tutte le forze.
E Clary sapeva che anche Jace la pensava così. Quindi, quando lei accennò un sorriso, la sua corazza cedette. Clary lesse preoccupazione, in quello sguardo dorato, e un amore così forte e puro che quasi potè bruciare l'incantesimo che li teneva separati.
Ma non bastò a separare le loro mani, quando Jace alzò la propria e la posò su quella di lei, molto più piccola di quella del ragazzo. La punta delle dita di Clary superava di pochissimo le nocche di Jace, ma questo non le impedì di sentire le scintille su ogni millimetro di pelle a contatto con la sua.
Nemmeno Will osò interromperli.
«Chi entra non può uscire se non accompagnato da Cameron» gli disse, con dolcezza. «Stavamo cercando un modo per calarci dalla finestra»
«Troverò Cameron e gli spezzerò il collo» Lo sguardo di Jace scivolò sulla fasciatura sul suo braccio, ancora rossa di sangue.
Clary scosse la testa. «Non farlo. Abbiamo bisogno di lui per tornare a casa.»
Era stanca. Era tremendamente stanca. Voleva rivedere sua mamma e Luke, guardare la tv, leggere un fumetto, bere un dannatissimo caffè, indossare i jeans. Voleva tornare a casa sua.
«Te l'ho promesso» le disse Jace, con dolcezza. «Torneremo a casa, dovessi bruciare il mondo per riuscirci.»
Luigi spuntò da dietro le sue spalle. «Questo sarebbe preferibile di no» disse con voce divertita.
Jace gli lanciò un'occhiataccia che avrebbe potuto fondere il metallo. Non aveva dimenticato la scenetta di prima. «Dov'è Cameron?»
Fu Clary a rispondere. «Nella sala di fronte c'è solo la statua del demone. Cameron dovrebbe essere lì.»
«Non ti lascio qui.» le disse, ed era deciso, come quando le aveva detto per la prima volta che l'amava. Clary non riuscì a trattenere un sorriso, mentre una dolcezza infinita le invadeva il cuore.
«Ci sono io con lei» disse Luigi, dietro le sue spalle.
Un'altra occhiataccia da parte di Jace. «Toccala e dovranno raccoglierti con il cucchiaino, chiaro?»
«Cristallino.»
Jace scosse le spalle. Quindi, mise mano alla cintura e porse a Clary uno stilo. La guardò come aveva fatto nella cantina dei Wayland: Uno sguardo di cieca fiducia in lei, quando persino lei non ne aveva in sé stessa. «Fa' la tua magia» le disse. «Io andrò a strappare le ali di Cameron.»
E si voltò per andarsene con Will al seguito, ma dopo qualche secondo si voltò di scatto, come se si fosse dimenticato qualcosa.
Tornò da lei e con forza le prese il viso tra le mani. La baciò con forza e delicatezza insieme, fondendo dolore e passione in una composizione meravigliosa e terrificante. Quando la lasciò, avevano entrambi il fiatone. Poggiò la fronte contro la sua e le mormorò che l'amava con voce sottile, prima di andarsene.
Stavolta, Clary non ebbe più paura.
 
Non c'era che dire: Gli stregoni sapevano essere tremendamente teatrali.
Cameron era in piedi all'interno di un pentagramma rosso sangue tracciato a mano sul pavimento di legno. In ogni punta vi era una candela accesa che gettava il suo bagliore rossastro nella sala. Al suo centro si trova la statua di Befrik che li aveva portati nel XIX secolo. Due nascosti vi stavano accanto accovacciati sul pavimento, evidentemente svenuti. Erano entrambi vampiri.
Era così distratto dall'incantesimo che non si accorse nemmeno di loro. O, almeno, fu quello che Jace pensò mentre si gettava contro di lui.
Si era accorto eccome di loro, e Jace se ne rese conto quando fu intrappolato da un incantesimo, così come Will.
Cameron gli gettò un'occhiata da dietro una spalla. «Gentile da parte vostra offrirmi il vostro sangue angelico per il mio esperimento»
Si voltò. In mano teneva un affilatissimo coltello d'argento, ancora macchiato di sangue. Del sangue di Clary. La rabbia gli offuscò la vista.
Una sequela di imprecazioni uscì a fiotti dalla bocca di Jace, prima che un bavaglio andasse a coprirgli la bocca con forza.  Girandosi verso Will, notò che aveva provveduto anche a lui. «Molto meglio» commentò Cameron
Con passo lento si avvicinò a Jace, giocherellando con la lama. «Credo proprio che comincerò con te.» con la punta del coltello gli scostò una ciocca di capelli biondi che gli era finita sul viso. Jace ringhiò
«Ora capisco perché Clarissa sia tanto presa da te» cantilenò. «Sei così carino. Ma lo saresti ancora se...» e gli tagliò una ciocca di capelli. Jace pensò ad almeno un migliaio di insulti diversi, variopinti e volgari, ma per l'Angelo non potè pronunciarne nemmeno uno.
Cameron alzò di nuovo il coltello e, con lentezza estenuante, lo conficcò nella spalla di Jace. Il ragazzo sentì il lacerarsi di ogni singolo nervo con un dolore tale da appannargli la vista. Il sangue usciva copioso dalla ferita andandosi a depositare in una ciotola posta nella mano sinistra di Cameron.
Il dolore si attenuò all'improvviso, nello stesso istante in cui lo stregone gridò di dolore. C'era Clary, sulla porta, con uno sguardo fiero e acceso e una mano tesa verso avanti. L'incantesimo su di Jace si sciolse all'istante e capì cos'era successo. C'era uno stilo conficcato nel braccio di Cameron, da quanto vedeva anche in profondità. Il sangue di Jace era caduto per terra insieme alla ciotola, andando ad allargarsi sempre di più. Jace scattò in avanti e, insieme a Will, lo presero e lo sbatterono a terra sul sangue ancora caldo.
Cameron però era molto meno docile dell'ultima volta. Togliendosi lo stilo dal braccio con un unico strattone lo lanciò lontano. Muovendo le ali con forza riuscì a togliersi Jace e Will di dosso. Si alzò di scatto e andò verso la finestra. Saltò sul cornicione altissimo e lanciò un'occhiata a Clary, sorridendole appena, prima di saltare.
Vide lo sfarfallio leggero delle sue ali, nere come la pece. Jace scattò in piedi, si gettò in avanti e, con uno scatto, salì anch'egli sul cornicione e rise, saltando giù. Gli strilli di Clary li sentì anche mentre cadeva, con il rombo del vento nelle orecchie. Cameron era solo qualche metro sotto di lui. Lo afferrò per una delle ali nere. Lo stregone lo guardò esterrefatto, sbiancando del tutto. Non riusciva a credere a quello che vedeva.
Valentine aveva fatto dei suoi figli un esperimento. Di tutti i suoi figli.
A Sebastian aveva tolto ogni umanità, donandogli una forza e una velocità incontrastata.
A Clary aveva donato un enorme talento con un linguaggio appartenente solo al divino.
Jace capì il suo solo quando le suole dei suoi stivali toccarono terra con delicatezza. Le sue braccia stringevano le ali di Cameron e in quel momento era la strana parodia di un angelo caduto dal cielo. Crini biondi, muscolatura possente, e tocco leggero.
Valentine gli aveva donato le ali.

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Capitolo 27
*** XXV; Angeli muti ***


Author's corner: *rullo di tamburi* - Miei cari, ecco a voi l'ultimo capitolo. Manca solo l'Epilogo, e poi Once upon a time sarà ufficialmente concluso. E allora si che piangerò!  Ci tengo a ricordarvi che nulla verrà lasciato in sospeso, quindi pazientate. Se così non fosse, avete il diritto di picchiarmi!
Godetevi -ahimè- l'ultimo capitolo.


Camminano angeli, muti | con me; non hanno respiro le cose; |
in pietra mutata ogni voce, | silenzio di cieli sepolti.
S. Quasimodo


Capitolo XXV
Angeli muti


Camminano angeli, muti | con me; non hanno respiro le cose; | in pietra mutata ogni voce, | silenzio di cieli sepolti.
Chissà perché furono quelle le parole che vennero in mente a Jace, quando posò i piedi sul suolo londinese. Non emisero alcun rumore, come se non pesasse più di una piuma di quelle ali bianche che sfarfallavano sulle sue spalle.
Cameron, tra le sue braccia, lo guardava inorridito. Jace gli fece un gran sorriso, scostandosi i capelli dal viso.  «Lo so, sono una meraviglia.»
Uno sbattito d'ali, non sue, fecero cadere il corpo di Cameron dalle sue braccia. Il ragazzo si pose lì, davanti a lui, sorridendogli beffardo. «Prima di sentirti tanto angelico, dovresti imparare a usarle, quelle ali.»
Jace scosse le spalle. «Che ci vuoi fare? Sono sempre stato bello come un dono del cielo.»
«E anche altrettanto arrogante.» Alzò gli occhi al cielo, verso quella finestra che era stata il loro trampolino. Alzando lo sguardo anche Jace, vide Will e Luigi sporgersi dall'alto. Clary doveva essere dietro di loro.
Tornò con lo sguardo basso su Cameron e, chissà come, ebbe la certezza che stavolta non sarebbe scappato.
«Alla fine, lo sapevo che sarei finito con te» disse Cameron, con una scossa alle spalle.
Jace alzò un sopracciglio. «Per la cotta che hai per la mia ragazza? Pensi davvero che potrai mai averla?»
L'altro fece un sorriso sottile. «Non penso che tu potrai, dopo che ti avrò fatto a pezzi» Con un ampio gesto delle mani, disegnò un cerchio intorno a loro fatto di fiamme che li racchiuse. Quindi scattò con le mani, velocemente, lanciando lampi di luce pallida, che Jace evitò prontamente, ridendo. «E' seriamente questo il meglio che sai fare?»

Sono la freccia di Valentine
Saltò.
E, come tale, si andò a conficcare nello scudo di Cameron, rappresentato dalle sue ali, le mani con una presa salda su di esse. Avevano la consistenza delle piume di pavone, delicate, ma dure al tatto. Strinse i pugni e tirò, con Cameron che tentava di divincolarsi dalla sua presa. Tutto inutile, e dopo qualche secondo il rumore di uno strappo lacerante fu seguito da un urlo che squarciò il cielo cupo.
Le piume nere caddero in terra, macchiando di rosso e nero il manto candido della neve.
Jace cadde in terra sulle proprie gambe, ridendo nella notte. Cameron si voltò furioso, all'interno del suo stesso cerchio di fuoco. Il sangue gli colava lungo i fianchi in rivoli scuri e corposi, cadendo a gocce pesanti in terra. L'odio nei suoi occhi era così concentrato che Jace lo sentì sulla pelle.
Il rintocco del Big Ben lo distrasse per un secondo, e Cameron ne approfittò per fare la propria mossa. Con un solo movimento del braccio lo sbattè contro la parete della struttura. Sentiva il rintocco dell'orologio dentro la propria cassa toracica. Con una stretta della stessa mano, fu bloccato lì, come da tante funi invisibili.
Cameron si avvicinò di qualche passo. Con le fiamme dietro di sé e il sangue che continuava a cadere dal corpo, poteva davvero sembrare un demone dell'inferno. «Come mai sei caduto dal cielo,/ stella del mattino
Jace se ne uscì con una risata isterica, lasciando cadere la testa contro la fredda parete di pietra. «Citazione sbagliata.»
«Davvero?» fece Cameron. «Io la trovo perfetta.» Si avvicinò ancora, fino a che Jace non sentì il calore leggero emanato dal suo corpo.  Dalla cintura, lo stregone estrasse un coltello dalla lama d'argento, in cui si rifletté il bagliore delle luci londinesi. Lo conficcò nella sua ala sinistra dritto su un intrico di venature azzurre.
Jace non emise un fiato, ma si morse la lingua così forte che sentì il sangue sul palato. Quando lo tirò fuori dalla parete, Jace si sorprese di vedere il suo sangue rosso acceso, così com'era sempre stato. «Questo era per le mie ali.» Alzò di nuovo il coltello, brandendolo sopra  la sua testa mentre delle gocce del suo stesso sangue macchiavano la neve. «E questo, è per me.»
Jace non chiuse gli occhi. In ogni battaglia che aveva visto il suo sangue versato, aveva visto la morte dritta negli occhi e non si era mai tirato indietro. Persino quando la morte lo aveva raggiunto davvero, aveva tenuto gli occhi spalancati fino a che non ebbe esalato l'ultimo respiro. Era stata Clary a dirgli che Valentine gli aveva chiuso gli occhi, dopo la sua dipartita.
Ed era perché non ebbe chiuso gli occhi, che vide ciò che accadde dopo.
Una macchia rossa sfocata cadde a una velocità impressionante dal cielo dritta davanti a lui, prendendo Cameron in pieno. A Jace venne in mente l'apparizione dell'Angelo Nocchiero, nel Purgatorio, come una macchia rossa al centro e bianca ai lati che arrivava ad altissima velocità verso la spiaggia. Ed era proprio ad un angelo che pensò quando vide cosa fosse, quella macchia.
Clary si chinò, ed estrasse la spada angelica che Jace sospettò avesse rubato a Will. Cameron era a terra con la schiena sulla neve. Quando aprì gli occhi, scoppiò a ridere. «Certo, la magia.»
«No» disse Clary. L'ombra di un sorriso ad accenderle il viso. Piantò la spada dritta della coscia di Cameron, che urlò a squarciagola.«Le scale. Questa è magia.»Sulla sua mano destra comparve uno stilo e, con poche semplice linee, liberò Jace dalla prigionia.
Nello stesso momento in cui  fu liberato, Jace sentì qualcosa solleticargli la pelle. Alzando lo sguardo, vide le piume delle sue ali cadere, una a una, ed essere trasportate dal vento. Le vide sparire sotto il vento freddo verso il cielo e sorrise.
Perché, nonostante non ci fossero, riusciva ancora a sentirne il peso sulle spalle.
 
Di certo, però, non avrebbe potuto risaltare tutti e dieci i piani fino all'ultimo, così gli toccarono le scale. Jace saliva a uno a uno i gradini che lo separavano dall'ultimo piano. Teneva Cameron per ciò che rimaneva dei monconi delle sue ali, tirando di proposito per fargli un male cane.
Ritornò nella sala ferito dai vetri della finestra e sfatto dal vento, scavalcando ciò che rimaneva della porta. Will e Luigi stavano ancora guardando il punto dove lui e Cameron erano saltati giù. Tranne Clary, ovviamente. Lei era al suo fianco, lì dove sarebbe sempre stata.
Jace sbattè Cameron sul pavimento della sala con un colpo sonoro. «Qualcuno ha ordinato un idiota?»
Si girarono tutti verso di lui. Avevano uno sguardo scioccato e spaesato. Will anche un po' arrabbiato. «Questo» gli disse. «Rientra nelle spiegazioni»
«Teoricamente, l'ho preso io.» Puntualizzò Jace. «Quindi non ti devo niente.»
Will gli lanciò un'occhiataccia e Jace scoppiò a ridere. «Ma sono un Dio generoso, e ti concederò qualche perla di saggezza.»
Lo mandò al Diavolo.
Jace, quindi, si chinò e raccolse Cameron da terra. «Adesso tocca a te.» e lo buttò davanti alla statua maledetta. Li seguiva con lo sguardo con le sue dannate pupille di pietra. Era esattamente orribile come la ricordava.
 
Erano tornati all’istituto, dopo che Cameron gli aveva spiegato per filo e per segno come fare a tornare casa. Non avrebbero commesso errori.
Gli avevano chiesto come avesse fatto Simon a sopravvivere, dato che gli stregoni erano morti. E lui aveva risposto che non lo sapeva.
Lo sapeva Clary. Però, non poteva dirlo ad alta voce. Jace gli aveva spiegato che
Befrik era vivo grazie al potere di una runa e, per sopravvivere a una runa, bisognava avere sangue d’angelo. Cosa che Simon aveva. Il sangue di Jace.
Avevano trovato Isabelle, Alec e Jem in uno dei primi piani della costruzione, accanto a decine di carcasse meccaniche come quelle che avevano affrontato all’esterno. Sembravano un modello ancor a più arcaico, come di riserva.
Will era corso dal suo parabatai a una velocità allucinante. L’avrebbe fatto anche Jace, ma non avrebbe mai lasciato Cameron. L’ultima volta che l’aveva fatto, c’era voluto un soffio perché sparisse.
Così era stato Alec ad andare da lui. Aveva controllato che stesse bene, gli aveva chiesto cos’era successo e, senza aspettare una risposta, l’aveva abbracciato con foga.
Anche Izzy si era avvicinata a lui e l’aveva abbracciato. Era una scena piuttosto comica. I tre fratelli Lightwood che si abbracciavano uniti con Cameron schiacciato tra di loro.
Clary si era sentita un po’ fuori, ma aveva sorriso comunque. Aveva fatto un passo indietro, ma Izzy l’aveva afferrata per i capelli e l’aveva tirata con forza nell’abbraccio, facendole per altro male. Sua madre aveva avuto torto, in fondo. Gli Shadowhunters non erano poi così male.
Appena arrivati all’istituto, erano stati Jem e Will a trovare il loro benvenuto. Charlotte, Henry e Tessa erano nel corridoio d’entrata ancora con i vestiti della festa indosso. Appena li vide, Charlotte corse da Will e Jem ad abbracciarli con foga, come una mamma avrebbe potuto abbracciare i propri figli. E poi fece loro una sfuriata paurosa che a Clary ricordò molto quelle di Jocelyn, esattamente come avrebbe fatto una madre coi propri figli.
Henry, di solito un cucciolo di enorme stazza, era furioso. «Come vi è saltato in mente di andarvene dalla festa senza chiamare rinforzi? C’era tutto il Conclave radunato a Buckingham Palace! »
«Non potevamo far sapere cosa stavamo andando a fare!» ribatté Will, piccato. «Ordini precisi del Console: ‘Nessuno al di fuori di questo istituto e della Città di Ossa deve sapere nulla al riguardo’»
Charlotte diventò rossa dalla rabbia, ma non aggiunse nulla.
Fu Tessa a parlare, invece. Da quando erano arrivati, non aveva distolto un attimo lo sguardo da Will e Jem. «E di lui, cosa avete intenzione di fare?»
Jace, con una risata, si rese conto di avere ancora Cameron tra le mani. «Ah già.» disse. «Il qui presente Cameron ci riporterà a casa.»

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Capitolo 28
*** XXVI; Last refuge ***


 

Author's corner:  Ormai dovreste saperlo: Io non sono una persona affidabile. Non lo sono mai stata, nè penso mai lo sarò.
Sono andata a rileggere l'epilogo per pubblicarlo, e mi sono accorta di avere tante altre idee che non potevano rimanere solo nella mia testa a cui di sicuro manca qualche rotella. Comunque sia, è uscito un capitolo in più. Quiiindi, è questo il vero ultimo capitolo. Giuro che il prossimo sarà l'epilogo.
Godetevi il secondo ultimo capitolo(?) !


Consistency is the last refuge of the unimaginative.
O. Wilde

Capitolo XXVI
Last refuge


Una cosa che Clary aveva imparato, stando nel diciannovesimo secolo, era che ogni scusa fosse buona per organizzare una festa.
Quindi, non si sorprese più di tanto quando scoprì che Charlotte voleva organizzarne una per festeggiare il ritorno a casa e le nuove amicizie.
Però, chissà perché, questa era l'unica a cui Clary aveva voglia di partecipare.
Forse perché sapeva che sarebbe stata l'ultima volta che li avrebbe visti, l'ultima volta che avrebbe riso con loro, l'ultima volta che avrebbe sentito Will e Jace bisticciare come solo due Herondale nella stessa stanza possono fare.
Forse solo perché, vivendo per un mese con le stesse persone, condividendone i respiri e il sangue, per le battaglie combattute insieme, ci si sentiva un po' come in famiglia. O forse solo perché erano Shadowhunters, ed era qualcosa ben al di là dello spazio e del tempo a unirli.
Fattostà, però, che se fosse rimasta un solo secondo di più con Isabelle, Jessamine e Charlotte ad organizzare la festa, si sarebbe sparata in fronte. Quindi, con la scusa di andare a chiedere ad Agatha un thè, prese il cappotto di lana e uscì in strada.
Si strinse nel tessuto caldo. Quella notte aveva nevicato di nuovo, e un manto di neve bianca copriva i ciottoli londinesi. Era mattina presto, quindi era per la maggior parte ancora immacolato. Le orme dei suoi stivaletti furono le uniche a rovinarlo.
Aveva sempre desiderato vederla, Londra. Quante volte aveva sognato di dipingere ad Hyde Park, di passeggiare nella Piccadilly Circus? Certo, i suoi sogni includevano anche una visita agli Harry Potter Studios, però avrebbe dovuto accontentarsi.
Non fece in tempo ad arrivare al cancello, che qualcuno l'aveva raggiunta. Un qualcuno dai capelli biondi mossi dal vento, un cappotto lungo di lana nera e una sciarpa altrettanto scura. Camminò senza dire una parola, e sempre silenzioso la superò ed andò ad aprirle il cancello. Clary sorrise appena, senza dire una parola.
Era sempre lì, quando aveva bisogno di lui.
E Clary non dubitò mai che ci sarebbe sempre stato.
«L'ultima volta che sono stato qui è stato con Valentine» stava dicendo Jace, facendo scivolare una mano per stringerle le dita. l'unica fonte di calore di cui aveva bisogno. «Sarà stato..otto anni fa.» aggiunse.
Mentre camminavano, avevano raggiunto Hyde park sotto la neve. «E cosa avete fatto?» chiese lei.
Jace scosse le spalle. «Abbiamo incontrato gente. Tantissima gente. Demoni, shadowhunters, stregoni. E tra questi visitammo la città.» il suo sguardo era lontano. «Anche se l'unica cosa che ricordo era che salimmo sul London eye. Valentine aveva paura dell'altezza, era l'unica cosa al mondo che lo spaventasse.»
Clary rafforzò la stretta alla sua mano. Jace si voltò a guardarla e le accennò un sorriso, cosicché Clary si sentì arrossire.
Per questo sentì con chiarezza le prime stille di fresco che le toccarono le guancie. Alzò gli occhi al cielo. «Jace, sta nevicando.»
Anche il ragazzo alzò lo sguardo. Rise. «Già»
Il cielo nero era cosparso di pallini bianchi che cadevano con dolcezza. Clary li sentiva sul viso, sulla pelle scoperta delle mani e sui capelli che via via si andavano inumidendo.
Jace le prese anche l'altra mano, e con forza le diede una spinta per farla girare sotto la neve. Clary rise talmente tanto forte che non si sentì più il petto.
Nonostante i loro finissimi sensi da Nephilim, ad un certo punto gli vennero le vertigini e caddero entrambi in terra, ridendo come due folli.
Come due bambini, insieme sotto la neve.
Non riusciva a smettere di ridere. Si tirò sui gomiti e si voltò verso Jace. Il ragazzo aveva lo sguardo vivo come una stella cadente. Non le fece dir nulla, ma la attirò a sé e la baciò con dolcezza e ferocia, come se non ci fosse altro al mondo che quello, per loro. Un semplice, piccolo bacio che riuscì ad annientare tutto il gelo della neve.
Quando si staccarono, Clary rise di nuovo. Quella non era una cosa che si faceva tra bambini.
Il che le fece venire in mente un'altra cosa che faceva, quando era più piccola. Si tirò in piedi e, prendendolo per le mani, trascinò Jace con sé.
Ormai la neve cadeva da un po', e un manto candido e spesso si era depositato sul perfetto prato inglese. Quindi prese Jace per entrambe le mani, lo avvicinò a sé, lo guardo negli occhi con dolcezza, gli sorrise, e lo gettò di nuovo all'indietro, con la schiena verso il basso.
Jace alzò un sopracciglio, al che a Clary venne di nuovo da ridere. «Facciamo gli angeli della neve?»
Ora aveva proprio lo sguardo confuso. «Che cosa
Clary smise di ridere. «Non hai mai fatto gli angeli della neve?»
Jace scosse il capo. Clary fu invasa dalla tenerezza. Si mise al suo fianco, abbastanza distante, e si sedette sulla neve. «Fai come me.» Si sdraiò del tutto e aprì le braccia e le gambe. Jace la imitò con un'espressione concentrata sul viso. «Rilassati, soldato Ryan.»  disse. «E' un gioco.»
Allora mosse in alto e in basso le braccia, e a destra e sinistra le gambe, ridendo un sacco. Appena ebbe finito, si rialzò in piedi e aiutò Jace ad alzarsi, ammirando la loro opera.
Due angeli stilizzati spiccavano sulla neve. Erano talmente vicini, sembravano quasi tenersi per mano. Jace la trasse a sé per quella stessa mano, e la baciò.
 
Nella sua testa vagheggiava un'immagine simile a quella che vedeva adesso. Le proprie gambe, penzoloni da un albero non troppo alto sopra un manto di neve appena caduta.
Simon guardava in basso.  Non aveva freddo, e non ricordava di averne mai avuto. Non sapeva che cosa si provasse, ad avere freddo.
Tic tic.
Quello era il suono che aveva imparato ad associare a lei. Lei che non indossava mai nulla che non ticchettasse sul pavimento. Lei, così bella dalla prima volta che aveva posato gli occhi su di lei.
Isabelle Lightwood uscì nell'aria fresca di quella mattina. Indossava un lungo cappotto di lana grigia e, come Simon aveva sentito, degli stivali con tacchi sottili.
Il vento le scuoteva i capelli come delle fronde nere su un oceano color latte. Chissà come, ma Simon sapeva che stava cercando lui.
Perciò sorrise e disse: «Quassù»
La ragazza alzò lo sguardo. Aveva gli occhi neri, molto più scuri di quelli chiari del fratello. Credeva che gli occhi neri di solito fossero associati ad anime altrettanto nere, ma Izzy non era così.
Poteva sembrare un'anima nera, ma in realtà era rossa. Rossa  come il sangue che le era affluito alle guancie, e Simon sapeva che non era per il freddo.
Si aggrappò all'albero, e salì anche lei. Simon si scostò per farle spazio.
Adesso lo sentiva il calore. Solo con lei al fianco. Era come se una fiamma le si fosse appena seduta accanto e, quando gli sorrise, pensò che al mondo le fiamme più grandi fossero niente, in confronto a quell'unico sorriso.
«Dov'è Gabriel?» gli chiese.
Simon scosse le spalle. «Chissà. L'ho seminato a Soho.»
Lei rise. Simon non lo ricordava, ma sapeva che non lo faceva spesso. Venne da ridere anche a lui.
«Io mi ricordavo di te.»  le disse.
Lei smise di ridere, e lo guardò serio. Le donava proprio quel cipiglio concentrato. «Forse mi mancano i dati, ma quando mi hanno portato qui, io sapevo chi eri.»
Anche lei guardò giù, verso quel manto candido di neve appena caduta. Forse vedeva anche lei, come lui, quell'immagine. Simon ricordava quel calore al suo fianco.
«Credo che tu sia l'unica persona ad avermi mai conosciuto, Simon.» Appoggiò la testa sulla sua spalla, infondendole un po' di quel calore.
C'erano volte, in cui una persona sapeva esattamente ciò che doveva fare, quando doveva farlo. Ciò non toglieva che ne era terrorizzato.
Prese coraggio, e si scostò da lei. Quando Isabelle si voltò verso di lui con aria, Simon la baciò con impeto.
E, lo sentiva, era come se lo avesse fatto un milione di volte, e se lo avesse fatto un altro milione ancora non sarebbe bastato.
 
Alec si strinse nel cappotto.
Due minuti. Due minuti e me ne vado.
Perché non riusciva a dirgli di no? Perché ogni volta che lui chiamava, Alec arrivava come un povero disperato?
Perché sono curioso di sapere che vuole, ovvio.
Svoltò l'angolo, davanti a St. Katherine's way. Aveva ricominciato a nevicare, e l'entrata per il Tower Bridge era coperta di neve candida. Gli ricordò l'ultima volta che era stato a Londra, dopo la guerra contro Valentine. Insieme a Magnus. Era Febbraio, e lui stava morendo di freddo, nonostante la runa Thermis. Magnus, invece, era tranquillo con un semplice cappotto. Quando gli aveva chiesto perché non stesse morendo di freddo, l'uomo aveva sorriso e l'aveva attratto a sé, dicendogli che gli bastava guardarlo, per andare in fiamme. Al che anche Alec aveva sentito molto, molto calore.
Al diavolo. È perché lo amo.
E lo avrebbe amato sempre. In ogni secolo, sotto ogni forma, in ogni maledettissimo caso. Lo amava.
Ed era per quello, e solo per quello, che quella mattina si trovava al Tower Bridge. Perché Magnus gli aveva lasciato un biglietto, chiedendogli di vedersi in quella fredda mattina di Gennaio.
Alec arrivò a circa metà del ponte, e si affacciò a guardare giù l'acqua torbida. Era di un grigio intenso, come mercurio liquido. Scorreva con lentezza, come miele da un vaso.
«London Bridge is falling down, my fair lady.» fece una voce cantilenante alle sue spalle.
Alec sorrise. Non ebbe nemmeno il bisogno di voltarsi. «Siamo sul Tower Bridge. E io non sono una fair lady
Magnus scosse le spalle, con un sorriso. «Dettagli, signor Lightwood.»
Il ragazzo si voltò verso Magnus. Indossava un cappotto di lana nera, stranamente semplice, abbottonato fino alla gola. I capelli erano semplicemente tirati all'indietro, e Alec si scoprì curioso di andare a controllare se ci fossero dei glitter lì in mezzo. «Direi che a questo punto puoi anche chiamarmi Alec.»
Magnus sorrise. «Lo so. Ma adoro il modo in cui arrossisci quando ti chiamo così.»
Alec arrossì ancora di più. Si voltò di nuovo verso il Tamigi, che scorreva placido al contrario del sangue nelle vene di Alec, che correva all'impazzata. «Perché volevi vedermi?»
Anche Magnus si appoggiò con i gomiti alla balaustra. Era così vicino che riuscì a sentirne il calore sulla pelle. «Non ho bisogno di un motivo per voler incontrare un bel ragazzo, Alec.»
Le parole uscirono dalla sua bocca prima che Alec riuscisse a fermarle. «Dovresti, invece, vista la tua relazione con Madame Belcourt» sputò, con acidità.
Magnus si girò, un sorriso a scoprire i denti perfettamente bianchi. «Sento della gelosia, o sbaglio?»
Anche Alec si girò. «No. Quella era nella tua voce nel pronunciare il nome di Jessamine.»
«Non vedo perché dovrei essere geloso di una persona che non scuoterà mai niente in te.»
Alec strinse i denti. «Cosa ti fa pensare che sia tu a scuotere qualcosa in me?» Lui non poteva sapere che scuoteva tutto dentro di lui. La sua anima, il suo cuore, la sua carne, le sue ossa. Ogni cosa era mossa da Magnus, dentro di lui. Magnus era in lui, in un modo molto più profondo di quanto si possa mai immaginare.
Si sentì tirare per un braccio, e conosceva troppo bene quella stretta anche solo per voler scostarsi. Magnus lo strinse tra le braccia, e Alec si sentì a casa.
Ma solo quando lo baciò, si sentì in paradiso.
Le sua mani corsero al colletto di Magnus, stringendolo con forza per attrarlo a sé. Le mani dello stregone percorsero tutte le sue braccia per andare a depositarsi sui suoi fianchi. Dio, quanto gli erano mancate quelle mani, e quelle labbra, e tutto in lui. Lo scintillio verde dei suoi occhi mentre di baciavano, la pelle morbida dell'incavo del collo, il petto duro contro il proprio. Non era per niente come baciare una ragazza. Era un milione di volte meglio.
Però, forse, era meglio solo perché stava baciando Magnus. Perché con lui ogni cosa era un milione di volte meglio.
Quando si separarono in un disperato bisogno d'ossigeno, lo stregone sorrise sulle sue labbra. «Mi sembra un'ottima motivazione.»
Rabbia e umiliazione arrossirono le guancie di Alec. Dannazione pensò. l'aveva fregato ancora.
Si scostò con una spinta dallo stregone. Tutto quello che provava -rabbia, frustrazione, amarezza e una gelosia così potente da scuotere l'inferno- alla fine trovò la strada per uscire dalle sue labbra, tutto in un'unica massa informe di veleno corrosivo.
«No, Magnus. Non è gelosia quella che senti. Io sono la gelosia. Mi sta divorando le ossa e mandando la testa al diavolo.» prese grossi respiri. «Noi due stiamo insieme. Nel mio tempo, anzi oserei dire nel nostro tempo, tu mi ami. Mi ami in un modo così intenso che non capirò mai il perché. Diciamoci la verità: Io non sono Camille Belcourt. Non sono bellissimo, non ho valanghe di servitori adoranti né tanto potere da scuotere le società.» Nè sono una donna lo tenne per sé. «Non vedo perché, un giorno, dovresti preferire me a lei. Ma adesso lo so! Tu mi avevi già conosciuto, quando io ho conosciuto te! Ecco perché non mi hai mai mollato, da che ci siamo conosciuti.»
Aveva il fiatone, Alec. Era stanco, mortalmente esausto. Guardava Magnus, che a sua volta lo guardava. Aveva lo sguardo acceso, quasi divertito.
Quando poi gli sorrise, Alec represse la voglia di dargli uno schiaffo in pieno viso. Allora sì che sarebbe sembrato una donnicciola.
Tentò di prendergli la mano, ma Alec si scostò.
Non demorse.
Alec sapeva che non lo avrebbe mai fatto. Per questo cedette. Come Magnus sapeva che lui avrebbe sempre fatto.
«Ascoltami, Alexander.» disse. Dietro di lui il sole cominciava a sorgere, rischiarando il cielo con l'aurora. «Te lo dico qui, non so che diavolo di giorno sia oggi, e te lo ripeterò per ogni giorno della mia dannata vita: Da quando ti ho visto, non riesco a togliermi dalla testa l'idea dei tuoi occhi azzurri. E non so il perché: Di occhi azzurri ne ho visti a centinaia, nella mia vita. Ma sono i tuoi quelli che mi tengono sveglio la notte a pensare se sono chiusi o aperti. Cosa stanno sognando, Chi guardano?»
Allora chiuse i suoi, e ad Alec quasi mancò il respiro. «Aspetterò, Alexander.» disse, riaprendoli. «Aspetterò anche tutta la vita. Ma non è questo il nostro momento.»
Alec non disse nulla, ma allungò la mano e strinse le dita con le sue.

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Capitolo 29
*** Epilogo - Clockwork City ***


Author's corner: Woah. Siamo arrivati davvero alla fine.Sapete che quasi non ci credo? È davvero possibile che io abbia scritto tutto questo? Che durante giorni bui, giorni felici, giorni pieni, giorni di noia, notti intere, mattine e pomeriggi io abbia scritto tutto questo? È davvero possibile che io vi abbia trovato una fine?Dio, sembra davvero impossibile. Non sono il tipo di persona a cui piace mettere la parola fine. La fine di un bel libro, di un grande film o di un meraviglioso rapporto. Le cose belle non hanno una fine. Rimangono con noi, in un modo o nell'altro. Ho letto la parola fine di Harry Potter anni fa, e ancora non riesco a non piangere quando leggo "Lo spettro di una risata ancora impresso sul volto". È proprio vero. Alcune storie rimangono con noi per sempre. E magari un giorno avrò una storia tra le scelte del sito, o forse no. Magari un giorno scriverò per professione, o forse no.
Intanto questa è la prima 'fine' che riesco a porre.
E non è altro che l'inizio.

 

A Paolo.
Perchè, forse, mi ero sbagliata.
Forse non sei così male.
E, forse,  ti voglio bene.
Forse.

Epilogo
Clockwork City

Clary ordinò un caffè.
Kaelie non le sorrise. Lei sapeva di non essergli mai stata troppo simpatica, però la cosa era comunque irritante. Sorrise però a Jace quando lui ordinò il suo solito. Il ragazzo gli sorrise di rimando, bello come il sole.
«Stai cercando di farmela pagare per qualcosa?» gli chiese Clary, divertita.
Lui sbattè gli occhioni dorati con un’innocenza che di certo non gli apparteneva. «Non ho idea di cosa tu stia parlando.»
«Ah si?» chiese, un secondo prima che Kaelie tornasse con le loro ordinazioni. Nonostante il locale fosse stracolmo di clienti in attesa, il loro tavolo era sempre il primo a essere servito.
Clary verso zucchero e latte nel caffè, quindi ne prese un sorso. Dio, come le era mancato. Era dolce e bollente come piaceva a lei. Ed era come assaggiare il paradiso. Il mondo sarebbe un posto terribile, senza caffè.
Posò la tazza ormai vuota sul tavolo, e Jace arcuò le sopracciglia. «Già finito?»
La ragazza fece un sorriso innocente. «Tranquillo, possiamo sempre coccolarci.»
Jace assunse la sua migliore faccia offesa.
Clary guardò l’orologio, sgranando gli occhi. «Jace, siamo in ritardo!»
Jace sbuffò. «Rilassati, Clary. Sono solo..» guardò l’orologio appeso alla parete, facendo una smorfia. «Ok. Siamo in ritardo.»

Le tende della sala da pranzo erano rosse.
Così come il vestito di Jessamine Lovelace e quelli di tutti gli altri commensali, sotto ordini della stessa. Persino Sophie era stata costretta a indossare una cuffietta color sangue.
A Clary in fondo piaceva. Era tutto intonato con i suoi capelli. Jace le aveva spiegato che gli Shadowhunter avevano un codice anche per i colori. Nero per la battaglia, bianco per i funerali, rosso per le cerimonie, oro per il matrimonio.
Al che Clary aveva fatto una smorfia. «Il nostro matrimonio» gli disse. «Sarà in bianco.»
Jace allora aveva sorriso nell'immaginarla. «Il nostro matrimonio» sospirò, e non aggiunse altro.
Erano seduti tutti insieme, per l'ultima volta. L'ultima volta che Jace avrebbe cercato il posto più lontano da Will e Isabelle il più vicino.
L'ultima volta che Aghata e Sophie avrebbero portato loro la cena, e che Clary e Tessa avrebbero insistito affinché si sedessero con loro, per poi sentirsi reclinare ancora l'invito.
L'ultima volta che avrebbe riso con loro, parlato con loro.
Era quello che voleva, in fondo. Riabbracciare sua madre e Luke, il loro Magnus, riavere il Simon che aveva sempre conosciuto.
Ma le faceva male.


Clary e Jace lasciarono Taki di corsa, ridendo come due idioti. Si tenevano per mano e camminavano nella fredda aria di quella domenica mattina Newyorkese. Era così bello essere a casa. I rifiuti chimici provenienti dall’East River avevano un odore diverso. Il luccichio del sole su una macchia di rifiuti industriali sul marciapiede brillava in un modo diverso. Persino i topi sembravano più carini.
Ad amor del vero, un po’ le mancava Londra. Lì era tutto magico, come se ad ogni passo potesse spuntare una fata a farti le trecce. Ma forse era il semplice fascino di una città mai vista prima. In fondo, New York l’aveva vista crescere. Non poteva avere più segreti per lei.
«Sei sicura che sarà lì?» le chiese Jace, per l’ennesima volta.
Clary alzò gli occhi al cielo. «Si, Jace. Sono sicura.»
Lui le lanciò uno sguardo scettico. «E, di grazia, perché?»
La ragazza scrollò le spalle con filosofia. Stavano passando davanti a Central Park e Clary vide dei bambini giocare allegri su delle altalene. Sorrise senza una precisa ragione. «Gli scrittori vogliono sempre sapere come va a finire.»

Clary ebbe un dejà-vu.
Aveva già attraversato un corridoio vuoto e salito un paio di scale solitarie con indosso un abito lungo che per poco non la fece inciampare.
Ed era sempre da un Herondale che si stava dirigendo.
Il contesto, però, era completamente diverso.
Stava andando da Jace, quella notte ad Alicante, per avere certezze. Per ascoltare ciò che aveva bisogno di sentire, per sapere ciò che aveva bisogno di sapere.
Da Will, stava andando per dire qualcosa.
Era rimasto in disparte tutta la sera. Silenzioso, come Will in realtà non era. Ad un certo punto, quando pensava che nessuno l'avrebbe notato, se n'era andato. Clary non c'aveva pensato due volte a seguirlo.
«Per l'Angelo, mi lascerai mai in pace?»
Clary scosse le spalle. «Forse ti è sfuggito, ma stiamo per andarcene.»
Will distolse lo sguardo, lontano. «Già» fu tutto ciò che disse.
Quando non aggiunse altro, Clary si avvicinò. Non aveva preso la giacca nella fretta di andarsene, e indossava gli stessi abiti della cena. Doveva star morendo di freddo. «Cosa c'è che non va?»
Will la guardò. «Non dovevi andartene?»
«Ho ancora un paio d'ore» disse, sedendosi accanto a lui. Odorava di metallo e di ragazzo, insieme al vago odore di fumo che ormai associava a Londra e a coloro che la abitavano.
Lui la guardò sprezzante. «Non dovresti essere da Jace?»
«Non dovresti essere da Tessa?»
Will sorrise, distogliendo lo sguardo. «Che sei venuta a fare, qui? A consigliarmi
la diritta via che era smarrita? Mi dispiace Clarissa. Non ci sarà un lieto fine in questa favola.»
Clary scosse le spalle al freddo della notte. «E' questo che non capisci, Will» gli disse. «Non guardare direttamente alla fine. Non potrai mai sapere, come finirà. Va' da lei, e sii felice.»
Anche Will la guardò, e in quello sguardo azzurro Clary vide tutta la tristezza del mondo. «Non avremo un '
per sempre felici e contenti
Clary gli sorrise. «Perché non cominci con '
C'era una volta' ?»

Qui si custodiscono l'anelito di grandi cuori
e nobili parole che torreggiano sulla marea,
la parola magica che genera meraviglie alate,
la saggezza riposta che non è mai morta.

 


Queste erano le parole incise nell’ingresso principale della Biblioteca pubblica di New York.
Clary, in un primo momento, l’aveva trovato un posto perfetto.
Entrando, Clary e Jace furono investiti da un meraviglioso profumo d’inchiostro, carta antica e magia. Parlando con sua madre, una volta le aveva detto che tutti i libri conservavano un po’ dell’anima di chi li avesse letti prima di te, per questo le biblioteche erano piene di magia. In quel posto erano conservate centinaia di anni di anime libere. Perché solo chi legge, aveva aggiunto, poteva essere libero. Libero davvero, fuori da ogni schema e costrizioni. Le Biblioteche erano il luogo dove i sogni diventavano realtà.
Ogni sezione di libri era determinata da una targhetta dorata con su inciso il nome. Si estendeva in lungo in linee parallele di scaffali di legno dove spuntavano qua e là delle scalette. C’erano anche dei tavoli di legno scuro a separarli nel corridoio. Jace e Clary si diressero nella sezione di letteratura Vittoriana.
I tavolini, provvisti di un set di matite e una lampada, erano quasi tutti occupati. C’erano degli studenti che lavoravano in gruppo a una ricerca in cui Clary riconobbe qualche viso familiare della St. Xavier. Dei lettori solitari in tavoli comuni le fecero venire in mente una cosa letta una volta in un libro: “La lettura è solitudine. Si legge da soli anche quando si è in due.”
Mentre cominciava la ricerca di un libro, vide una ragazza seduta in uno dei tavolini più lontani dall’ingresso. Indossava un abito blu notte sopra un cappotto pesante e stivali neri. Indossava anche un capello nero, cosicché Clary non riuscì a vederle il viso. Però riconobbe il libro che teneva tra le mani sottili. Era il libro che stava cercando lei.

Era tutto pronto, ormai. Era passato un giorno intero da quando erano tornati sani e salvi dal Big Ben. Avevano salutato affettuosamente Sophie e si erano scusati con lei per tutto quello che le avevano fatto passare Avevano cenato un’ultima volta tutti insieme, brindando a un amicizia che sarebbe durata attraverso i secoli e alla splendida notizia che presto ci sarebbe stato un nuovo membro all’istituto.
Avevano dato a Will le spiegazioni che voleva, e in più Clary gli aveva fatto un altro regalo.
Un disegno. Uno che aveva iniziato la prima notte che si erano incontrati nel giardino innevato dell’istituto.
Raffigurava lui e Tessa, sotto un arco di rose innevato. Stavano ballando, semplicemente guardandosi. Non c’era niente di particolare o strano. Semplicemente, si stavano guardando. Fatto a carboncino era ricco di sfumature.
Will aveva alzato lo sguardo su di lei e non aveva detto nulla. Lei gli aveva sorriso e gli aveva dato un bacio sulla guancia. «Buona fortuna, idiota.»
Erano andati anche dal console, nel pomeriggio. L’avevano aggiornato personalmente di tutto quello che era successo. Avevano anche chiesto il permesso di andare ad aggiornare Magnus Bane e per salutarlo. Inutile dire che Alec non era affatto entusiasta.
«Non potete» aveva risposto il console, con voce autoritaria. «Mi sembrava di essere stato chiaro: Nessuno oltre la Città di Ossa e l’Istituto di Londra poteva esserne a conoscenza.»
Alec aveva obbiettato. «Ma Magnus ne è già a conoscenza..»
«Abbiamo già provveduto.»
Alec era sbiancato in modo allarmante. «Come?»

Il console si alzò in piedi dalla poltrona sulla quale era seduto. «Non capisco il tuo interessamento verso un nascosto, Nephilim. Comunque, non potevano saperlo. Abbiamo provveduto a cancellargli la memoria.»
Alec allora era rimasto in silenzio. Era per questo, che Magnus non ricordava di averlo già conosciuto. Non gli aveva mai mentito. Spiegava anche l’ossessione di Magnus nei confronti del ragazzo.
Gli sembrava di averlo sempre conosciuto.
Il ragazzo aveva abbassato lo sguardo e non aveva più parlato. Solo un leggero sorriso era spuntato a colorare il suo viso.
Non c’era più nulla in sospeso. Dovevano solo tornare a casa.
Mentre aspettavano che Cameron facesse l’incantesimo, Tessa si era avvicinata a Clary e l’aveva guardata con sguardo affranto. «Non mi hai raccontato la tua storia» le fece notare.
Clary aveva alzato lo sguardo su di lei. Era vero. Non aveva mantenuto la promessa. «Lo farò» le disse.
«Ci credo» rispose Tessa.
«Un giorno potremmo ricontrarci» le disse Clary. «in fondo, tu vivrai per sempre.»
Tessa aveva sorriso. «Già. Avrò il tempo di leggere tutti i libri che voglio.»
Anche Clary aveva sorriso. «Mi piace andare in biblioteca la sera tardi, quando non c’è più nessuno.» disse. «Lo farò, appena tornata a casa.»
L’incantesimo era pronto. Jace la chiamò e lei, Simon, Alec, Isabelle e Jace si posizionarono accanto alla statua. Lo sguardo di Clary percorse le persone con cui aveva vissuto nell’ultimo mese. Charlotte, Henry, Tessa, Will, Jem, perfino Jessamine.
Si girò. Quindi guardò Jace, i Lightwood e Simon.
Non potè vederlo, quando Will fece scorrere la mano verso il basso e strinse a sé la mano di Tessa.
Clary li sentì andare via.
Toccò la statua.
E fu di nuovo oblio.


Clary sorrise dando un colpo alla spalla di Jace. Indicò la ragazza che leggeva la sua copia di “Il racconto di due città”
Jace e Clary le si avvicinarono e la ragazza si tolse il cappello, lasciando scivolare un mare di riccioli scuri. Tessa sorrise loro, posando il volume sul tavolo. «Mi avete fatto aspettare una vita» disse.
Clary scosse le spalle, sedendosi con Jace al fianco. «Le storie migliori sono quelle per cui si deve aspettare.»
Era il tre Dicembre del 2012.
A New York cadeva la neve.



Note:

Capitolo uno: Il titolo viene da una delle poesie di Edgar Allan Poe, Dream within a dream.; Facilis Descensus Averni, per i pochi che non lo ricordassero, è il verso inciso all'entrata della Città di Ossa di New York.

Capitolo due: Il titolo viene dal romanzo "Emma", di Jane Austen.; 'No place like London" è la prima canzone del film di Tim Burton "Sweeney Todd - The demon barber of fleet street." Nella quale partecipa anche Jamie Campbell Bower, che reciterà Jace nel film di City of Bones. ; La descrizione del console Wayland è di mia pura fantasia ma, dopo aver letto "Clockwork Prince" ho scoperto la coincidenza. Fortuna sfacciata!

Capitolo tre: Il titolo viene dal romanzo di F. Dostoevskij "The Brother Karamazanov"; Per quanto riguarda Agatha, me ne volete davvero perché non volevo la sua morte? Fate conto che tutto il resto è uguale, solo che Agatha è rimasta viva. ; Le opinioni di Will sui Morgenstern sono di pura fantasia. Però ci sono rimasta male che in TID nessuno abbia mai nominato un Morgenstern. Insomma, sono una delle più potenti dinastie di Nephilim, no? ;

Capitolo quattro: Il titolo viene dal romanzo di Jane Austen "Orgoglio e Pregiudizio". Personalmente, sono innamorata del Signor Darcy. : Il fatto che gli abiti che scelgono Clary e Jace siano bianchi e oro è una scelta puramente estetica. Il bianco, teoricamente, è un colore da funerale, mentre è il rosso quello da cerimonia, però preferivo il bianco per dare un'impressione angelica. E poi, se proprio vogliamo essere fiscali, in occidente il colore dei funerali è il nero, anche se alle feste è un colore molto elegante.

Capitolo cinque: Il titolo viene da una delle poesie di Alexander Pope. ; Le citazioni sul tempo vengono dal mio libro di filosofia (Tutti i libri sono utili, ricordatevelo!). ; L'origine della peste nera da una malattia demoniaca è, ovviamente, pura fantasia. ; La frase che Clary ricorda: "Clary. È un diminutivo..."è una citazione dal capitolo ventitrè di Città di Ossa. ;

Capitolo sei: Il titolo è una citazione dall'Amleto di Shakespeare. ; La frase "Siete fatti dallo stesso arrogante stampino" è del mio adorabile papà. Quando gli dico che è un antipatico, lui mi risponde "Tanto siamo fatti dallo stesso, orribile stampino!" ; La stanza dell'arte è stata creata al fine della storia, non ce n'è traccia nei libri. Ho pensato: Ce n'è una per la musica, perché non una per l'arte? ; "Ho capito che la ragione per cui Jocelyn mi lasciò fu di proteggere te." è di Valentine, dal capitolo venti di Città di vetro, così come la seguente.

Capitolo sette: Il titolo viene dal romanzo Jane Eyre, citato poi più avanti nel capitolo, di Charlotte Bronte. ; "Non c'è futuro per un Cacciatore che si trastulli con una strega." è una citazione dal capitolo venti di Clockwork Angel. ; Anna Karerina è la protagonista dell'omonimo romanzo di Tolstoj, Chaterine Earnshaw è la coprotagonista del romanzo Cime Tempestose di Emily Bronte.

Capitolo otto: Il titolo è una citazione da un sonetto di Shakespeare. ; "L'artista è un creatore di cose bellissime" è una citazione dal Ritratto di Dorian Gray, ovviamente di Oscar Wilde. ; Non essendo mai stata nel Galles (ancora), non posso dire con certezza sulla costituzione del paesaggio. Le descrizioni vengono da delle foto trovate online. ;

Capitolo nove: Il titolo viene dal romanzo Anna Karerina di Tolstoj. L'espressione 'un nuovo cuore di cioccolato fuso' è una citazione da una mia interrogazione di filosofia. Era la mia libera (anche troppo) interpretazione del sublime Kantiano. Una sensazione di dolcezza e calore che senti in tutto il corpo, la sensazione di infinito dentro la finitezza di sé stessi. ; "Meravigliosa bevanda, il tè" Cit. Madame Dorothea. ; "E tu hai davvero il coraggio di baciare quella bocca?" è una citazione dal cartone 'I Simpson' ; "A tratti davvero notevole", per chi non le avesse riconosciute, sono le stesse parole che usa Jace per descrivere la bravura di Clary. ; C'è un motivo per la quale è Magnus il consulto magico dell'istituto, e non Ragnor Fell come sarebbe stato più logico. Ovviamente, c'entra anche l'incontro con Alec, ma non era il punto fondamentale. Il punto è che Ragnor Fell, nella mia visione, avesse rifiutato ogni contatto con l'istituto perché sapeva di star facendo qualcosa di illegale, e tentava di tenersi lontano dai cacciatori. La presenza di Camille, invece, è spiegata dal fatto che non si sarebbe mai lasciata scappare l'occasione di godersi la visione di Will e Jem.

Capitolo dieci: Il titolo viene da una citazione di Len Wein. ; La puntata dei Simpson a cui si fa riferimento è la quinta della settima stagione "Lisa la vegetariana" ; Luigi de Luca è un personaggio originale, e ne detengo ogni diritto. Questo personaggio è ispirato a tre Luigi diversi che ho avuto il piacere di incontrare nella mia vita: Il primo mi ha fatto desiderare di non essere invisibile, il secondo mi ha fatto capire che io sono visibile, eccome, e il terzo mi mostrato quanto sia figo anche essere invisibili: Solo così si può andare gratis ai concerti. ;

Capitolo undici: Il titolo viene da una delle poesie di Edgar Allan poe; "Sa chi sono io, molto meglio di quanto abbia mai potuto saperlo io stesso" è una frase che uso spesso io stessa, per descrivere la mia migliore amica. ; Oiseau è 'uccello' in francese, per chi non lo sapesse. ; Quando ho scritto la storia, Ragnor Fell aveva la pelle viola e non aveva le corna. Ma, siccome prima di pubblicare il capitolo avevo letto Clockwork Prince, ho adattato la descrizione al romanzo. ; Benjamin e Lady Aimee sono due personaggi originali e ne detengo i diritti. Sono ispirati al mio professore d'inglese del primo e alla mia prof di latino del secondo. Due zuccherini, insomma. ; Il nome del drink viene, ovviamente, dal nome della Regina Elisabetta I d'Inghilterra, soprannominata la "Regina Vergine", siccome non si è mai sposata e ha governato il regno da sola. Nonostante tutto, io dubito seriamente che sia morta vergine, comunque. ; Inutile dire che la citazione "Vi farò un'offerta che non potrete rifiutare" viene dal Padrino, vero? ;

Capitolo dodici: Il titolo viene dal romanzo 'Cime tempestose', di Emily Bronte.

Capitolo tredici: Il titolo viene da una dedica fatta a me, dalla mia splendida migliore amica, a cui è dedicato il capitolo :') ; Harry Houdini è uno dei più grandi, se non il più grande, illusionisti ed escapologi della storia. Personalmente, l'ho sempre adorato. ; Il riferimento all'episodio in cui Clary tira i piatti a Jace viene dal capitolo otto di Città di Vetro. ;

Capitolo quattordici: Il titolo viene dal romanzo "Orgoglio e Pregiudizio", di Jane Austen ; Sono fissata da morire con le ali. Lo scoprirete anche più avanti! ; I De Luca sono una famiglia di mia invenzione. Potete vederli come una specie di Lightwood italiani. ; Siccome nei libri non si fa riferimento a un parabatai per Gabriel, ho fatto di testa mia (Come al solito!).

Capitolo quindici: Il titolo viene dal romanzo 'Cime tempestose' di Emily Bronte. ; Siccome le streghe sono incroci tra demoni e umani, sono sterili e non possono avere figli, come viene spiegato da Jace nel capitolo sette di Città di Ossa. ; Ho sempre adorato mettere in relazione Will e Jem allo Yin e Yang. Yin è la parte femminile 'malvagia', il bianco, e lo associo con Will, coi capelli neri e un atteggiamento solo apparentemente malvagio, ma che in realtà nasconde dolcezza. Mentre Yang è la controparte maschile 'buona', il nero, e lo associo con Jem, tutto bianco e argento, con l'atteggiamento dolce e tenero, ma con il male che lo divora dentro. ; Abbadon è il demone degli abissi, quello ucciso da Simon nel capitolo diciannove di Città di Ossa.

Capitolo sedici: Il titolo viene dal romanzo 'Mark Twain' di Charles Dickens. ; L'iratze sul braccio di Will è quello che gli ha mostrato Clary nel capitolo otto. Non fatto per vanità delle cicatrici, ovviamente, ma perché lo immagino più potente e veloce di un iratze normale. ;

Capitolo diciassette: Il titolo viene dal primo canto del Purgatorio, dalla Divina Commedia di Dante Alighieri. Penso che dovrei dirlo prima o poi alla mia prof d'italiano di tutti questi riferimenti. Chissà se me lo metterà un dieci. ('esticazzi.) ; Durante la scrittura di questo capitolo, risalente a questo Giugno, credo, non avevo ancora letto Clockwork Prince. Non avevo proprio idea che Charlotte potesse essere incinta, quando si dice la fortuna! ; Stesso discorso per il collegamento dei Parabatai di Alec e Jace, più avanti. ; "Da quanto uso termini come ubicazione" è una frase che mi sono sparata io durante un'interrogazione d'italiano, guadagnandomi un'occhiataccia da mezza classe lol ; Non so quanto possa essere accurata la descrizione della divisa da poliziotto londinese, siccome l'ho presa da un fumetto.

Capitolo diciotto; Il titolo viene da una delle poesie di Edgar Allan Poe. ; Personalmente, sono la presidentessa capo supremo del Club 'Le ragazze innamorate degli Herondale'. ; "Avresti potuto scegliere qualunque altra cosa al mondo…"vengono dal capitolo venti di Città di Vetro. ; "Non farmi cadere le palle" - "Troppo tardi" è uno scambio di battute avuto con un mio amico un paio di inverni fa. Inutile dirvi che poi è scoppiata una guerra di palle di neve.

Capitolo diciannove; Il titolo viene dal romanzo 'A Christmas Carol' di Charles Dickens.; "Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale /e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino" è un passo da una delle più famose poesie di Eugenio Montale. ; Il primo bacio tra Izzy e Simon quella gran donna di Mrs Clare non si è data di mostrarcelo. Ce ne fa riferimento Izzy in CoA, all'interno della corte Seelie. ; Non so se l'ho reso bene, ma il vestito di Tessa viene descritto come quello che la ragazza indossa nella Cover originale di Clockwork Princess.

Capitolo venti: Questo capitolo, collegato al precedente, prende anch'esso il titolo da 'A Christmas Carol' di Dickens. ; "Siete per caso ubriaco fradicio" viene dal capitolo due di Clockwork Angel. ; Credo che la regina Vittoria mi stia mandando al diavolo dalla tomba. ; Tutte le citazioni in corsivo vengono dal Quinto canto dell'Inferno, dalla Divina Commedia di Dante Alighieri. ;

Capitolo ventuno: Il titolo viene da una poesie di B. Disraeli. ; Personalmente, non ho mai trovato bella la Gioconda. Non so perché tutti dicono che lo sia D: Cioè, si è un quadro bellissimo, ma lei è una cessa! ; Non so se le fate mangino o no il polline, ma in Città di Vetro una fata mangia un fiore, perciò.. ; Lacrimosa è di certo una delle mie melodie preferite. ;

Capitolo ventidue; Il titolo viene da un romanzo di Ernest Hemingway ; "Loro si sarebbero trovati sempre" è una piccola citazione rubata alla serie tv "C'era una volta". Bellissima, la consiglio a tutti. ; Tutte la storia sul nome del Big Ben è di mia invenzione, così come il nome del primo console, Benjamin Lightfire. ; è vero. Clary e Jace non si sono mai chiamati 'amore', ed è una cosa che mi piace un sacco, che non siano sdolcinati al limite del diabetico.

Capitolo ventitrè; Il titolo viene dal romanzo Anna Karerina di Levy Tolstoj ; Mortmain non appare mai all'interno della mia storia, però ha anche qui un ruolo. Minimo, certo, ma ce l'ha. ; "Nessun maggior dolore.." è una citazione dal quinto canto dell'Inferno di Dante. Ho l'impressione di averla citata un po' troppo, la commedia D: ;

Capitolo ventiquattro: Il titolo viene dal romanzo "Dr. Jeckyll e Mr. Hyde" di Stevenson. ; "Caccia ai demoni e moda! Non ho mai pensato che potessero andare d'accordo." è una citazione dal capitolo undici di Città di Ossa. ; Allora, facciamo il punto della situazione. Jace è un esperimento di Valentine, e sappiamo che quegli esperimenti gli hanno dotato un carattere più 'fragile', velocità e forza fuori dal comune persino per un cacciatore e la capacità di saltare per metri o cadere nel vuoto senza ferirsi. Io, per colpa della mia testaccia, penso sia appunto per questo. Le ali. Se ci pensate è logico. Insomma, Jace è il nostro angelo, no?

Capitolo venticinque: Il titolo, così come la prima frase, viene da una delle poesie di Salvatore Quasimodo. ; Mi è sempre piaciuta un sacco l'espressione 'La freccia di Valentine'! ;

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