Fallen soul

di nozomi08
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** il giorno in cui tutto ebbe inizio... ***
Capitolo 2: *** occhi di un leone ***
Capitolo 3: *** passati dolenti ***
Capitolo 4: *** rabbia e pudore ***
Capitolo 5: *** incubi ***
Capitolo 6: *** hunter ***
Capitolo 7: *** Arriva la Night Class ***
Capitolo 8: *** Sospetti e leggende ***
Capitolo 9: *** Segreto e complice patto ***
Capitolo 10: *** Dream and pain ***



Capitolo 1
*** il giorno in cui tutto ebbe inizio... ***


“Dov’è la mia mamma?”
“Ehm, la mamma è partita, ma tornerà presto, sai?”
“E papà?”
“Anche lui, è con la mamma”
“ …. “
“Su coraggio, ora vieni con me, li aspetteremo insieme”
“No non voglio”
“Avanti Yame, andiamo!”
“No! Voglio sapere dove sono mamma e papà! Voglio vederli!”
“Te l’ho detto, sono part…”
“Non è vero è una bugia! E’ una bugia!”
“Yame…”
“Vi ho sentito prima! ‘Sono morti’ avete detto che loro non torneranno, non torneranno più!”
“No!” mi svegliai di soprassalto, respirando con affanno, le lacrime che mi pungevano gli occhi. Mi portai le mani alla testa, massaggiandomi la faccia.
“Ci risiamo con questi sogni” pensai innervosita
Mi girai verso il finestrino dell’auto, guardando di fuori. Notai che il paesaggio era già cambiato: non era quello moderno di Tokyo, fatto di case edenormi palazzi, ci trovavamo nelle zone più verdi, nella periferia. Mi chiesi per quante ore abbia dormito, ma ne avevo bisogno, mi ero stancata molto quella mattinata: prima me l'ero dovuta vedere con i bagagli, poi con la lettura obbligata di un noioso regolamento e infine le solite, interminabili raccomandazioni della mia educatrice, Talya. Non riesco a capire perché debba ancora trattarmi come una ragazzina irresponsabile, come se mi piacesse andare a caccia di guai. Ero già in una situazione complicata senza che facessi nulla.
I miei problemi incominciarono all’età di 5 anni, quando, orfana di genitori, fui portata in un orfanotrofio della caotica Tokyo, dato che non avevo nessun parente che potesse occuparsi di me. Vissi 10 anni della mia vita tra quelle mura, e per 10 anni mi sembrò di vivere dentro una campana di vetro, rinchiusa tra confini della grande città. Ma ora, devo dire, grazie a Talya, cominciai a vedere delle crepe su questa campana. Pochi giorni prima della partenza infatti, mi disse di avermi compilato un modulo di iscrizione per prestigiosa Cross Accademy (un istituto scolastico fuori Tokyo), e me l’avevano accettata, o meglio gliela avevano accettata, perché io non avevo compilato nessun modulo. In un primo momento non mi sembrò affatto male: pensavo che lo avesse fatto per il bene di una mia futura carriera, ma poi venni a sapere che il direttore di questa scuola, un certo Kaien Cross, era un suo amico di vecchia data. Per farla breve, voleva che fossi al sicuro, in un luogo raccomandato, in buone mani, a fare la brava bambina. Lo trovai estremamente irritante. L’unica cosa che mi sollevava era che almeno avrei avuto un po’ più di libertà lì, fuori dagli occhi di quella vecchiaccia...
Sentii la macchina che incominciava a rallentare, e di fronte a me scorsi l’edificio. Aveva un’aria misteriosa, che mi piacque molto, sembrava un college in stile gotico… a dire la verità mi ricordava un po’ Hogwarts.
Sbadigliai. Non vedevo l’ora di buttarmi a capofitto nel letto. Appena fermati, scesi impaziente dalla macchina, presi i bagagli e ringraziai l’autista. Arrivata davanti ad un enorme cancello, provai ad aprirlo, anche se ne dubitavo. Con mio grande stupore, mi accorsi che non era affatto chiuso.
“Che sapessero già che sarei arrivata di lì a poco?” mi chiesi sospettosa. Ma alla fine pensai che non era il momento di porsi domande e che, forse, era meglio così. Entrai, e , con un rumore secco, si chiuse. Spaziai lo sguardo intorno all’istituto, indugiando su cosa avrei passato lì dentro, e mi incamminai, non notando che, pochi metri più in là, c’era qualcuno che mi stava già aspettando…
 
NOTA DELL’AUTRICE:
Salve a tutti gente! Spero tanto che vi sia piaciuto il mio prologo! E’ la mia prima storia, perciò siate indulgenti con me ^.^” Mi scuso per eventuali errori grammaticali e soprattutto per le tempistiche della pubblicazione dei miei capitoli! Ho molti impegni durante la giornata, perciò non ho molto tempo, ahimè D: comunque, spero tanto di intrattenervi con questa mia fanfiction e aspetto con ansia le vostre recensioni :D ciaoooooooo  

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Capitolo 2
*** occhi di un leone ***


Quando quel cancello si aprì, mi sembrò di essermi ritrovata in un altro mondo, e devo ammettere che dalle mie labbra scappò un bel “wow”. La strada era asfaltata con dei mattoni di terracotta e tutt’attorno c’erano molti alberi e piante, per non parlare delle panchine in pietra e dei fiori: sembrava che fosse la natura a regnare lì, ed era magnifico. A troneggiare l’orizzonte c’erano due edifici, forse erano i dormitori Sole e Luna… non sapevo se era solo una mia impressione, ma mi sembrava che uno avesse un’aria un po’ più cupa dell’altro…
Continuai a camminare a passo sicuro, trascinandomi le valigie dietro, finchè non mi trovai di fronte ad un bivio, che portava a due cancelli.
“E ora che faccio?”pensai preoccupata
“Accidenti, questo sì che è un problema…” sospirai, portandomi una mano alla testa. Rimasi lì ferma per qualche secondo, pensando sul da farsi, ma alla fine decisi di non indugiare troppo e di lasciar decidere alla sorte. Speravo solo di riuscire ad incontrare qualcuno, così da potermi far spiegare da che parte devo andare per raggiungere l’ufficio del direttore. Era tardo pomeriggio, ma credo che sarei riuscita a beccare qualche studente. Optai per la strada a sinistra, e mi incamminai, quando sentii una voce maschile provenire alle mie spalle
“Ehi, dove pensi di andare?” disse
Io, sorpresa, mi girai di scatto, e quello che mi trovai davanti agli occhi mi lasciò senza parole: era un ragazzo alto, piuttosto piazzato, indossava una divisa nera, decorata da linee fantasiose, che esaltavano la pelle chiara. Aveva una fascia bianca con una strana rosa rossa, sul braccio destro, e i lisci capelli argentei incorniciavano alla perfezione il volto dalle linee delicate. Ma ciò che più mi impietrì fu lo sguardo: intensi occhi color ametista mi guardavano in modo freddo, ma allo stesso tempo fiero, come quello di un leone. Ne restai ammaliata, con mio grande disgusto. Tentai di ridarmi contegno.
“Oh, molto piacere di conoscerti, e tu sei…?”risposi pungente
“Il direttore mi ha mandato qui per portarti da lui. Mi chiamo Zero Kiryu.”disse, dirigendosi verso la strada che portava a destra. Girò la testa per un attimo, guardandomi con sufficienza
“Da questa parte, signorina Yame Minashigo” e si rigirò
Io gli sorrisi alle spalle
“Come vuole, signor guardian” e lo seguì senza fare storie. Non so per quale motivo, ma per un momento pensai che me la sarei spassata, con quel Kiryu intorno…
NOTA DELL’AUTRICE:
Eccoci di nuovo qua! Anche questo capitolo è fatto! ^.^ non è molto lungo, ma non vi preoccupate, perché a breve ci sarà il seguito (sempre che la soria vi piaccia :p ) ringrazio tutti per il vostro interesse e per le recensioni! Spero tanto che ne arrivino altre… Comunque, credo che sarà un po’ difficile interpretare il carattere di Zero senza modificarlo, ma mi impegnerò al massimo per riuscirci u.u alla prossima!
 

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Capitolo 3
*** passati dolenti ***


  Io e Zero facemmo tutto il tragitto verso l’ufficio senza proferire alcuna parola. Gli unici suoni che si udivano erano quelli dei nostri passi sul pavimento. Ma da quel silenzio riuscii a capire che in fondo avevo qualcosa che mi accumunava con quel ragazzo. Non mi riferisco al fatto di essere tipi di poche parole, ma intendo qualcosa di più profondo. Può sembrare assurdo, ma era come se i nostri cuori intonassero la stessa, dolente melodia. Tutto ciò mi turbava, e, sebbene sia abituata a sopportare i silenzi, questo mi metteva stranamente a disagio, come se in esso vi fosse soffocato qualche sentimento, che voleva uscire dalla voragine in cui era caduto. Mi imposi di prendere l’iniziativa. Dovevo parlare. Altrimenti sarei stata tutto il tempo con quella sgradevole sensazione nelle viscere.
“A-allora… hai detto che il direttore ti aveva mandato a prendermi…”
Lo sentii annuire. Continuai
“Ma come hai fatto a trovarmi subito, se non ti ho visto al cancello, e mi ero già addentrata?” chiesi. Lo so forse era una domanda stupida, ma non mi era venuto in mente nient’altro da dire.
“A dire la verità ti avevo già vista quando scendesti dalla macchina…”
Sgranai gli occhi: “Cooooooome? Perché allora non mi hai chiamato?”
“Non ho detto niente perché ero curioso di vedere se eri abbastanza tonta da andare avanti da sola, e ho avuto la conferma”
Percepii le mie orecchie andare in fiamme per l’imbarazzo e il mio orgoglio perforato dalla freccia scoccata dal ragazzo
“Non vale! Io…”
“Non ti è venuto in mente il fatto che il direttore, sapendo che sei una nuova studentessa la quale, peraltro, non è mai stata qui, non abbia mandato qualcuno ad aspettarti e a farti da guida?”
“Beh, io veramente…”
“E se non vedevi nessuno lì nei paraggi, non ti è venuto in mente di aspettare, o di telefonare?”
“Ma non c’è nessun numero di telefono!” sbottai
“Invece sì, stava scritto sul modulo” proferì lui
Abbassai lo sguardo, imbarazzata. Bella figura che avevo fatto…
“Non ci avevo pensato” ammisi
“Questo perché sei tonta”disse
Ebbi l’impulso di strozzarlo. Ovviamente avermi fatto notare la figuraccia non gli bastava.
D’un tratto Zero si fermò davanti una porta e bussò. Dall’altra parte si sentì un lieve ‘avanti’ ed entrò. Non feci in tempo a dare un’occhiata alla  stanza  che vidi un’uomo saltarmi letterarmente addosso.
“Aaaaaaaaaaaaaaah Yame, piccola Yame, finalmente ti vedo! Da quanto tempo!” esclamò. Si staccò un momento.
“L’ultima volta che ti vidi eri solo una neonata! Chi l’avrebbe mai immaginato che ti avrei rivisto? Ah, sei stata proprio fortunata a finire nelle mani di Talya, altrimenti non saresti mai finita qui…” disse gioioso
Io lo guardai perplessa: era un uomo sulla trentina, capelli lisci e biondi raccolti in una coda, portava occhiali dalla montatura sottile che lasciavano intravedere occhi penetranti, anche se in quel momento erano tutt’altro che penetranti. Non faceva molto freddo lì dentro, e a dire la verità nemmeno fuori, eppure lui indossava abiti veramente pesanti. Una quantità esagerata di cappotti che triplicavano il suo peso ed una graziosa sciarpa verde completavano il tutto.
“E’ lei, direttore Cross?” chiesi
“Brava! Indovinato! Sì, io sono il direttore di questo splendido istituto e ti dò il benvenuto, cara Yame!” esclamò esuberante. “Ah grazie Zero per averla accompagnata!”
“Ho solo fatto quello che mi ha chiesto” rispose lui con una faccia impassibile
“Mi scusi, lei mi ha detto di conoscermi, ma io non mi ricordo affatto di lei.” Dissi
“Conoscevo i tuoi genitori, eravamo colleghi all’associazione allora, e loro viveveno ancora qui, quando tu eri appena nata. Com’eri carina! Un’autentico tesoro! Però un giorno decisero di trasferirsi a  Tokyo, e da lì non vi ho più rivisto…” la sua espressione si fece seria “ Poi dieci anni fa ho saputo della loro morte: ho cercato di venire al funerale, ma non c’era nessuno che potesse badare all’istituto al posto mio, e lo stesso accadde quando si decise a chi lasciarti in custodia.” Sospirò “Non sai quanto mi dispiace, Yame…”
Rimasi colpita da quella rivelazione. Sapevo, anche se da poco, che lui e Talya si conoscevano, ma non sapevo che fosse anche amico dei miei genitori, e per giunta colleghi. Quindi era anche lui uno di loro…
“Oh non si preoccupi signor Cross, quello che ha fatto per me è abbastanza, e inoltre, l’orfanotrofio non è poi così male…” gli dissi sorridendogli, nel tentativo di rincuorarlo.
Lui mi guardò e, per contaccambiare, mi saltò di nuovo addosso
“Povera, piccola Yame!” piagnucolò
“Direttore la prego, si dia un contegno!” eclamai, e mi lasciò andare.
“Bene. Passiamo alle cose serie.” Disse con tono grave. Il suo improvviso cambio di atteggiamento mi lasciò un po’ perplessa…
“ Ti dirò subito che farai parte della Day Class, perciò le lezioni si svolgeranno la mattina a partire dalle 8:30. Non ti preoccupare, la tua nuova divisa la troverai sul letto della tua camera. Sono sicuro che tu abbia già letto il regolamento, ma ti ricordo che è severamente vietato aggirarsi fuori dal dormitorio Sole una volta scattato l’orario del coprifuoco ed è anche vietato saltare di proposito le lezioni per andare a zonzo nel cortile o a fare una visitina al dormitorio Luna. Se lo farai, sappi che ti aspetterà un grave provvedimento disciplinare” disse, aggiustandosi gli occhiali sul viso.
“Si, ho capito” dissi annoiata, prestando poca attenzione a quello che diveva
Ad un certo punto la porta sbattè di colpo e saltai per lo spavento. Mi girai di scatto e vidi chi aveva fatto irruzione. Era una ragazza più o meno alta come me, corti e lisci capelli castani, occhi grandi e sinceri color del cioccolato e un viso simpatico. Trovai un po’ irritante l’aura che sprigionava: ottimismo all’ennesima potenza. Ma dovevo proprio incontrare tipi del genere?
“Buonasera! Il mio nome è Yuki Cross e sono il secondo guardian. Piacere di conoscerti!”disse con il fiatone e un sorriso a trentadue denti
“Mi dispiace tanto direttore ma avevo le lezioni supplementari! Ho tentato di fare il più presto possibile!” continuò
“ Oh, andiamo Yuki, ma perché non mi chiami papà…” brontolò lui
“Pa-pa-pap… no mi dispiace ma non ci riesco, lo sa!” protestò Yuki
In nome della buona educazione, mi presentai anche io.
“Ciao, il mio nome è Yame Minashigo e sono la nuova studentessa. Piacere di conoscerti, Yuki”
“Wow, che bello, una nuova compagna di classe! Spero tanto che andremo d’accordo!” esclamò, lei, prendendomi le mani
“Lo spero anch’io” dissi. A dirla tutta, non è che me ne importava molto, dato che non ho mai voluto avere degli amici, ma sembrava scortese nei suoi confronti se non l’avrei contraccambiata.
“Fantastico. Ora contagerai anche lei con la tua tontaggine” esclamò sarcastico Zero. Lei, per ringraziare, gli fece la linguaccia
“Bene direttore io devo andare per lei-sa-cosa. Ci vediamo domani mattina Yame! E non fare caso a quel brontolone di Zero” Così, come entrò, la ragazza sparì. Ma dove la prendeva tutta quella energia? La ammiravo da una parte, ma dall’altra mi innervosiva. Forse perché non avevo una visione così ottimistica del mondo come l’aveva lei? Temetti che in quel collegio mi avrebbero contagiato. In soli pochi minuti ebbi il piacere di incontrare tre soggetti alquanto bizzarri. Giurai a me stessa che, se per qualche ragione, fossi diventata matta come loro, mi sarei uccisa da sola.
“Bene, si è fatta ora. Zero, per favore, accompagna Yame nella sua camera” chiese il signor Cross
“Come vuole, direttore” rispose lui, impassibile
“Oooooooh, chiamami papà!” brontolò di nuovo, agitando convulsamente le braccia
Così, uscimmo. Non appena fummo nel corridoio, sentii di nuovo quella strana sensazione di prima quando eravamo da soli, mettendomi ancora a  disagio. Ma stavolta non fui io a rompere quell’atmosfera cupa, fu Zero.
“Allora, da quel che ho capito, i tuoi genitori erano hunter, non è così?”
“Si, lo erano, almeno fino a quando non si trasferirono”
Seguii il silenzio di entrambi. Camminavamo fianco a fianco, i battiti del cuore alternati al nostro respiro, ma entrambi sembravamo essere da un’altra parte, lontani da lì, a inseguire, chissà quali pensieri, o ricordi. Fino a che…
“Come è successo?” chiese Zero a bruciapelo
Io lo guardai per un attimo, sorpresa ed interdetta, ma poi capii che la domanda alludeva alla morte dei miei genitori. Abbassai lo sguardo, pervasa dal dolore che mi provocavano i ricordi del passato.
“E’ quello che vorrei sapere anche io” dissi amareggiata
Lui mi guardò, un pò stupito, ma non disse nulla. Decisi di continuare a parlare, nel tentativo di distrarmi e sfogarmi allo stesso tempo.
“So che morirono quando avevo cinque anni, punto e basta. Mi dissero che fu un incidente, ma io non ci credo, non ci ho creduto nemmeno per un’istante” i miei occhi si persero nel vuoto, scorrendo nello spoglio corridoio, parzialmente ottenebrato e colmo di porte.
Forse, quello di cui avevo bisogno era soltanto che mi capisse.
“Mi dispiace” disse
“Anche a me”
A me non bastava sapere che erano morti. Io volevo conoscere come, e soprattutto chi. Perché io non credevo a quella storia dell’incidente, non credevo ad una sola parola di quelle che mi dissero allora. Sentivo che sotto c’era qualcosa che mi fu tenuto all’oscuro. Sentivo che i fatti erano ben altri. Volevo sapere cosa successe quella notte, a tutti i costi, e soprattutto, ardevo dal desiderio di vendicarmi.
“Sai, anche i miei erano hunter. Furono uccisi da un vampiro quando avevo undici anni” mi rivelò lui
Sentendo quelle parole, tornai in me, e lo guardai addolorata. Ora ecco spiegato il perché di quella sensazione dei cuori che battevano all’unisono. Cantavano la stessa felicità negata per volere del destino.
“Mi dispiace, Zero, sul serio” gli dissi sincera
“Già… poi fui adottato da quell’accoppiata di idioti padre e figlia…”
“Anche Yuki è figlia adottiva del direttore?” chiesi
“Si, anche lei… ed ora sono diventato un hunter”
Abbozzai un sorriso. Abbandonai ogni riservatezza. “Anche io, mi ricordo, dicevo di voler diventare un hunter, ed è ancora quello che voglio fare. Voglio seguire i loro stessi passi, diventare brava come lo erano loro” sospirai “Peccato che il momento per me è ancora lontano…” Lui mi guardò, e mi sentii per un attimo perforata dai suoi occhi ametista. Un brivido di piacere mi corse lungo la schiena. Rimasi perplessa da quella mia reazione.
‘Oh Yame che ti prende?!’ pensai rimproverando me stessa
“Chissà, forse quel momento, non è poi così lontano come tu pensi… non è mai troppo tardi” disse
Lo guardai per un istante, e sorrisi al pensiero. Mi ricordo che da piccolina, quando chiedevo a mia madre chi fossero gli hunter, lei mi rispondeva che erano i paladini dell’umanità, perché proteggevano gli uomini dai vampiri cattivi, ma, a volte, proteggevano anche i vampiri dagli uomini che volevano far loro del male. Da allora, le ripetevo spesso di voler diventare un hunter esattamente come lei, spinta da quell’ideale pacifista che l’animava. Quel desiderio mi era rimasto tutt’ora, ma la differenza era che, adesso, avevo un’altra priorità.
Comunque, rimasi veramente toccata da quel tentativo di conforto da parte di Zero, e gliene fui grata. Dopo aver ascoltato quella rivelazione sul suo passato, quella sera, per la prima volta, non mi sentii la sola a portarsi dietro un fardello che non avrebbe mai voluto ricevere.
NOTA DELL’AUTRICE:
Eccomi di nuovo! Stavolta ho tentato di allungare il capitolo, spero che vi piaccia! Continuate a mandarmi recensioni eheheheh ^.^

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Capitolo 4
*** rabbia e pudore ***


 “Bene, eccoci qua. Questa è la tua stanza”
Zero aprì la porta della mia nuova camera, e vidi qualcosa che mi lasciò a bocca aperta: davanti a me, oltre la finestra, si sfoggiava il più bel tramonto che avessi mai visto. Il sole era appena calato, ma ancora irradiava il cielo con i suoi caldi rossi, mentre la luna e le stelle, con alle loro spalle il profondo e calmo blu, incominciavano a impadronirsi della volta celeste. Mi sembrò di essere spettatrice di una di quelle lotte tra divinità di cui si parla solo nei libri e nelle tradizioni greche e romane. Il carro di Hèlios e quello di Selène. Il sole e la luna.
“Magnifico….” Pensai ammaliata. Quella stanza già mi piaceva solo per questo. Spostai lo sguardo intorno e mi imbattei nella visione dell’altro dormitorio. Nel guardarlo, ritrovavo presente la stessa impressione che ebbi quando lo vidi appena varcai il cancello: cupo e misterioso. Mi chiesi se era per quel motivo che era stato chiamato “dormitorio Luna”. Sembrava proprio avere l’aspetto del candido astro.
-Ehi, Zero…-
-Dimmi –
-Quello è il dormitorio Luna, non è così?- gli chiesi indicandolo
- Si, è quello- rispose. Non ero molto sicura, ma mi sembrò di aver percepito una nota di disprezzo a quella affermazione. Tenni per me la curiosità, lasciando i miei pensieri nel dubbio.
-Lì allora c’è la classe della notte…- dissi pensierosa
-Si ma non è affar tuo sapere quello che fanno, né tantomeno vederli durante le lezioni- mi disse brusco
Io lo guardai perplessa.
-Posso sapere perché ce l’hai tanto con dei semplici studenti?- gli chiesi schietta
-Sono soltanto dei cretini con un bel visetto che si danno delle arie solo perché sono figli di papà- disse. Percepivo sempre più un tono di disprezzo nella sua voce.
-Cosa c’è, sei geloso per caso?- gli chiesi sorridendo e con tono pungente, nel tentativo di stuzzicarlo. Una vendetta per la figuraccia di prima. Ma mi pentii presto di quello che avevo fatto, perché non appena mi voltai fui travolta dal suo sguardo glaciale, pieno di risentimento. Per un attimo ne ebbi paura. Abbassai lo sguardo, dispiaciuta.
-Scusa…- sussurrai
Lui spostò lo sguardo sulla finestra e si passò una mano fra i capelli.
-Ti lascio un attimo, così da poterti disfare le valigie. Passerò tra un po’ per portarti la cena. Ormai la mensa è già chiusa. A dopo.-
Sentii la porta chiudersi alle spalle, e io rimasi ancora lì, a indugiare sul paesaggio di fuori. Non l’ho nemmeno ringraziato. Ero troppo timorosa di incontrare di nuovo quegli occhi di ghiaccio, che mi pungevano come aghi su tutto il corpo. Strinsi i pugni. Perché mai quel ragazzo mi doveva far sentire così strana? Perché ebbi paura a guardarlo negli occhi? E soprattutto, perché quella sua reazione mi faceva stare tanto male? La vera ragione era che mi ero fatta trascinare nell’intensità di quei stupendi occhi. Mi ero fatta imprigionare da lui prima che me ne accorgessi. Me ne resi conto solo più tardi, per colpa del mio stupido orgoglio.
Presi un profondo respiro e diedi un’occhiata alla stanza: non era molto grande, ma per me sembrava un mini appartamento. Sotto la finestra c’era una semplice scrivania con un piccolo tavolo tondo poco più in là, a sinistra e c’era una libreria accostata alla parete di destra. Sulla parete di fronte invece c’era un’altra porta. Andai ad aprirla e mi trovai nella camera da letto. Davanti a me c’era l’entrata del bagno e sulla destra, appiccicato al muro, c’era il letto e, dall’altra parte, il guardaroba. Presi le valigie dalla camera adiacente e le posai sul letto. Non avevo molta roba con me, perciò ci misi poco a sistemare i miei abiti nell’armadio. Notai che sul cuscino si trovava, piegata, la divisa. Era come quella di Zero, solo che aveva una gonna, delle calze e un fiocco, insieme alla giacca e alla camicia bianca. Adesso che ci pensai, mi ricordai che anche quella di Yuki era uguale a questa. Decisi di andarmi a fare una doccia nel frattempo, così presi degli aciugamani e andai in bagno. Entrai al volo nella piccola doccia e ne uscii un po’ di tempo dopo. Quando feci scorrere le ante mi imbattei nello specchio che stava dietro la porta, trovandomi faccia a faccia con il mio riflesso. Avevo un corpo dalle linee sinuose, quasi provocanti, e un seno non molto prosperoso, ma sodo. I miei capelli marroni che incorniciavano il viso ovale mi scendevano fino alla vita, la frangia sfilettata che si sparpagliava sulla fronte ampia, il naso un po’ a patata. Ma quel che risaltava di più sul mio volto erano gli occhi. Le iridi di un delicato grigio perla, circondato da uno spesso cerchio grigio fumo. Dovevo ammetere che ne andavo piuttosto fiera. Quello era l’unico aspetto fisico che avevo ripreso dal mio adorato padre. Mi avvolsi un’asciugamano attorno e uscii dal bagno. Stavo per prendere i vestiti quando mi gelai al sentir bussare alla porta. Girai la testa di scatto, sperando di essermelo sognato.
-Ehi Yame apri, sono Zero!- disse la voce dietro la porta. Le mie speranze si frantumarono come vetro.
“Oh, no! Non può essere già qui, non adesso!” pensai disperata. Mi guardai intorno, come in cerca di un nascondiglio
“E ora come faccio conciata così??”
Il ragazzo bussò più forte.
Mi morsi il labbro. Che fare? Fare finta di niente, o andare ad aprire la porta lo stesso? Non potevo dirgli di passare più tardi, sarebbe stato scortese, e poi, avevo fame. Mi sentii la faccia prendere fuoco. Andai ad aprire.
-Ecco, entra pure, scusami- dissi con lo sguardo basso, soffocata dalla vergogna e nascosta dietro la porta
-Ce l’hai fatta ad aprire, eh?- disse con tono pungente
Lo sentii entrare dentro. Chiusi la porta alle mie spalle. Alzai un poco gli occhi e lo vidi posare un vassoio sul tavolino. Portava ancora la divisa. Indugiai un attimo lo sguardo sui capelli argentati, sul collo e sulle spalle larghe, facendolo correre lungo la schiena. Chiusi gli occhi indignata non appena mi accorsi di quello che stavo facendo. Mi concentrai su altro. C’era un buon profumo nell’aria, avevo l’acquolina in bocca. Il mio stomaco brontolava dalla fame.
-Ecco ti ho portato del ramen al sale. Ricetta del dirett…- si bloccò, sgranando gli occhi non appena mi vide. Mi parve di vedere un leggero rossore sulle sue guance…
-Ma si può sapere che ci fai conciata così?!- esclamò turbato
-Stavo facendo una doccia, e sono appena uscita…- risposi imbarazzata più che mai. Non mi ero mai fatta vedere in quello stato, a nessuno, nemmeno a Talya. Volevo sprofondare in quell’istante. Però da una parte avevo provato piacere nel vedere quel velo di imbarazzo, e per questo mi vergognai ancora di più.
Zero abbassò lo sguardo, portandosi una mano davanti agli occhi
-Va bene, va bene, ho capito, esco. Verrò a riprendermi il vassoio quando avrò tempo- e così dicendo, uscì dalla stanza
Io tirai un sospiro di sollievo, libera dall’oppressione del pudore. Ma il mio cuore non ebbe il tempo di calmarsi che ebbe un sussulto. Non avevo sentito rumore di passi fuori. Zero era ancora lì alla porta.
“Che ci fa ancora lì?” pensai. Aspettai. Sembrava che stesse per fare qualcosa che gli premeva, che esitasse.
-…. Buonanotte, Yame- disse infine, e udii i suoi passi afflievorirsi nel corridoio. Rimasi in qualche modo colpita da quel “buonanotte”. Non riuscivo proprio a capire quel ragazzo. Prima si dimostra freddo e scorbutico, e poi dimostra di avere un cuore caldo capace di scaldarti come la cioccolata. Provai rabbia. Ce l’avevo con lui, perché mi faceva sentire strana, anche se lo conoscevo quasi per niente. Ce l’avevo con lui perché, se continuava così, poteva rompere quell’armatura con la quale mi proteggevo dal mondo, dalla gente. La sentivo incrinarsi, a poco a poco, alla minima parola che usciva dalla sua bocca. Non potevo permetterglielo. Assolutamente. Ne valeva del mio onore. Andai a vestirmi e mi asciugai i capelli, spazientita e furente con la mia fragilità emotiva, con me stessa, per quegli atteggiamenti idioti che dimostravo in sua presenza.
“Diamine, quanto mi fa irritare! La devo piantare di reagire in quel modo! Anzi no, è lui che la deve piantare a farmi reagire così!” pensai furente
Mangiai il buon ramen in fretta e furia e mi gettai nel letto, avvolgendomi nel terpore delle coperte. Mi addormentai poco dopo, i miei pensieri divisi tra il ringraziare il direttore per l’ottima cena e il progettare di una possibile, dolce vendetta per gli affronti di quel tanto affascinante quanto scorbutico ragazzo dagli occhi viola.
 
NOTA DELL’AUTRICE:
Eccomi qua di nuovo! ^.^ scusate tanto se vi ho fatto tribolare ma ultimamente sono sommersa dai compiti da fare @.@ aiuto!! Come al solito, scusatemi la presenza di errori grammaticali e/o di punteggiatura. In questo capitolo non ci sono scene rilevanti, ma ce ne saranno! Se lo avessi fatto, il capitolo sarebbe stato interminabile! Bene, voglio fare un anrticipo: fan di Kaname e compagnia, nel prossimo capitolo entra in scena la Night Class! Abbiate pazienza, lo sto progettando tra una pausa e l’altra u.u alla prossima!

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Capitolo 5
*** incubi ***


 Assassina…
Aprii lentamente gli occhi, ancora impastati dal sonno, e mi guardai intorno, in cerca di ciò che mi aveva svegliato, ma trovai ad accogliermi solo il freddo abbraccio del buio. Strano, mi era parso di sentire una voce…
Assassina…
“Io… cosa?”
Colpevole!
“Quella voce… da dove viene?”
Ero confusa. Mi metteva i brividi. Il nero nascondeva ogni cosa alla mia vista.
Una dolce melodia ruppe il silenzio dell’oscurità. Un carillon, da fuori la stanza. Aveva una melodia familiare, l’avevo già sentita, da qualche parte…
Mi alzai dal letto, attratta da quel dolce suono, e andai alla porta, uscendo nel corridoio. Anche qui era tutto buio, non c’era nessuno. Mi lasciai guidare dalla dolcezza di quella bellissima musica, senza pormi domande, senza fare caso a nulla. Nella mia mente c’era solo la certezza di dover seguire ciò che parlava dritto al mio cuore, che mi chiamava a sé. Scesi due rampe di scale e mi ritrovai in un salone grande, quello di una casa che sentivo di conoscere fin troppo bene. Avanzai il primo passo e avvertii qualcosa di viscido sotto i miei piedi. Abbassai istintivamente lo sguardo e mi trovai davanti una pozza di sangue. Terribilmente rosso, orribilmente fresco. Sgranai gli occhi, svegliata dall’ipnosi della musica del carillon. Fui pervasa dal ribrezzo di quella visione, e mi portai le mani alla bocca. In quel momento ebbi un brivido, ancor più vivo della mia paura, che mi gelò ogni singola membra. Mi guardai le mani e le scoprii anch’esse coperte di sangue, così come lo riscoprii sui miei vestiti. Sangue, sangue ovunque. Posai lo sguardo davanti a me, e mi sentii morire. A terra c’erano i miei genitori, immersi in quel mare rosso, gli occhi vuoti e tetri. Li guardai attonita. Il mio cuore aveva smesso di battere, i miei polmoni di respirare, la mia gola di proruppere alcun suono.
Guarda, il tuo peccato… sei soddisfatta ora?
Rimasi immobile, incapace di muovere anche un solo muscolo, di scappare da quell’orrore, di liberarmi della paura che mi incatenava lì.
Mostro… mostro…. Ecco cosa sei, un mostro! Il MIO mostro! Ahahahahahahah!
Quella risata aggiacciante mi penetrò fin dentro le ossa e mi riscosse. Le gambe mi cedettero, cadendo in quel lago scarlatto, e urlai a squarciagola, un urlo atroce, carico del mio panico e della mia angoscia per quello che i miei occhi avevano incontrato…
 
Mi svegliai di soprassalto, urlando terrorizzata. Un altro di quei terribili, interminabili incubi. I miei pensieri andarono a quello che avevo sognato, e sentii le lacrime pungermi gli occhi come aghi di ferro. Raggruppai le ginocchia al petto, le cinsi con le braccia. Sfogai la mia frustazione in un pianto soffocato, lasciando che i singhiozzi scuotessero il mio corpo provato e la mia anima, lacerata dal ricordo della perdita di ciò che per me una volta era la cosa più importante.
********************
Ero di un umore pessimo, la mattina seguente. Mi sentivo debole, la mente annebbiata. Tutta colpa di quell’incubo. Ma non era una novità, per me. Li ho sempre avuti, fin da quella notte. Più mi sforzavo di ricordare quel che accadde quel giorno di 10 anni fa, più venivo perseguitata da quei pessimi sogni; e ogni volta, quando mi risvegliavo, avevo il corpo spossato dai pianti di poche ore prima e sentivo sulle labbra il sapore amaro delle lacrime che accarezzarono il viso, il mio viso, così simile a quello di lei. Per quanto mi doleva ricordare, volevo trovare la verità. Volevo sapere come ha fatto la mia vita, circondata dal calore e dalla protezione della mia famiglia, ad essere sconvolta così, in un fuggevole e determinante attimo. Un attimo che cambiò il mio mondo, e ciò che ne fu parte. Un dannato attimo che mi lasciò piena di ferite irriparabili, che, forse, nemmeno l’eternità avrebbe potuto guarire. Troppo spesso immaginavo a come sarebbe stata la mia vita se fossero ancora qui, e troppo spesso mi davo della stupida e mi dicevo che era inutile; ma non potevo farci niente. Sono un essere umano, che ferisce e viene ferito, che sbaglia e tenta di rimediare, che troppe volte cade ed è costretto a rialzarsi. Siamo quelle creature che oscillano tra giusto e sbagliato, tra amore e odio, tra ragione e tentazione. Si interrogano sull’essenza della vita, sulla ragione della loro esistenza, sul loro posto nel mondo, la loro strada, che si lasciano divenire preda delle emozioni; forse non siamo nient’altro che questo: emozioni. Fragili, forti, contradditorie. Cosa poteva descriverci meglio?
Mi affacciai alla finestra e godetti della visione dell’alba. Il sorgere del sole. Una rinascita, che scandiva il passare del padre tempo sulla nostra vita e l’inizio di qualcosa che avverrà. Chiusi gli occhi un istante e respirai profondamente, assaporando l’aria fresca, nuova, inebriandomi del profumo degli alberi, dei fiori, del canto del vento. Vidi delle ragazze passare sotto al cortile. Parlavano allegramente, ridevano, si raccontavano del più e del meno: del ragazzo che loro piace, delle lezioni, delle vacanze; delle cose piccole, inutili, ma che pensiamo tanto importanti.
Amicizia. Un sentimento tanto forte, che necessita tanto altruismo e tanto affetto. Un sentimento che non avevo mai realmente provato, che potevo solo sfiorare. All’orfanotrofio, non avevo interagito molto con i miei compagni. Ho sempre scelto la solitudine, come compagna. Era stata una mia scelta, ma avevo il presentimento che quella fosse una punizione contro me stessa che celava una colpa ancora più profonda di quella che mi ero attribuita. Colpevole, peccatrice, così mi sentivo. Ma perché allora sentivo questo fardello ancora più forte, ancora più vivo? Perché sentivo che le mie colpe non erano finite? Rendermi conto di essere stata un peso non era già abbastanza? Il mio peccato… quale era il mio vero peccato?
Sospirai, e malinconica volsi gli occhi verso il cielo plumbeo, immersa in questi pensieri. Avrei tanto voluto andarmene con loro, la mia famiglia, ovunque essi siano, che sia l’inferno o il paradiso, liberi da tutto, di nuovo insieme… ma non potevo, non dovevo. Era un pensiero egoista, che non mi potevo permettere. Era come fuggire, e io non volevo scappare. Avevo un una missione alla quale dovevo adempiere, fino alla fine. Dovevo tenere duro, diventare più forte, o non ce l’avrei mai fatta.
Mi scostai dalla finestra e incominciai a prepararmi. Detti uno sguardo migliore alla divisa: era davvero bella, devo dire che mi piaceva molto, anche se non mi andava tanto a genio il fiocco…
Mi stavo ancora sistemando quando, d’improvviso, sentii bussare.
“E chi sarà ora?” pensai incuriosita
Andai alla porta, e con mia grande gioia mi trovai faccia a faccia con Zero in carne e ossa, impassibile e dannatamente bello come al solito, l’intensità dei suoi vibranti occhi che travolgeva i miei come un niente. Ci rimasi di sasso. Sul serio. Mi sembrò che il cuore avesse smesso di battere, mentre lo stomaco era in balia della tempesta. Il ricordo della figuraccia di ieri sera mi colpì con la stessa potenza di un sonoro pugno in faccia. Tra tutti, proprio LUI mi dovevo trovare di fronte?
“O mio dio, o mio dio… non poteva essere Yuki, no eh?” pensai disperata e imbarazzatissima
La mia condizione non migliorò quando mi squadrò da capo a piedi e ripiantò quelle due ametiste nel mio grigio perla. Ora mi sembravo una torcia umana. Volevo sprofondare giù negli inferi. Ora.
-Buongiorno- disse con tono piatto
-B-buongiorno- balbettai come un’idiota io, abbassando lo sguardo, non in grado di sostenere oltre il suo.
-Sono venuto per accompagnarti in classe, visto che non sai dov’è. - Continuò secco
Incapace di pensare o fare qualsiasi cosa, perché ancora piuttosto shockata, restai lì ferma alla porta, come inebetita. Potevo sentire rimbombare nella testa quella odiosa vocina che si divertiva a ripetermi incessantemente “che figuraccia, che figuracciaaaaaaaaaa…”
-Allora… vogliamo stare tutto il giorno qui o ti decidi a muoverti?- disse scorbutico
-Eh, si scusa ok, ok, andiamo…- dissi con la testa che mi girava, in preda a quell’eco malefico
Zero mi fece strada, ed io lo seguii a ruota, cercando di riprendermi. Provai a concentrarmi sul memorizzare dove dovevo andare per arrivare in classe. In pochi minuti ci ritrovammo nel cortile, percorso da una miriade di studenti che si dirigevano verso le proprie aule. Fu un po’ difficile seguire Zero in quella situazione, non facevo altro che zigzagare in quel mare di gente, tentando di non perdermelo di vista. Ringraziai il cielo che fosse alto e con un colore di capelli particolare, altrimenti mi sarebbe sfuggito. Se mi perdevo, ero fritta. Insomma, non ero mai stata in quella parte dell’accademia, non avrei avuto la minima idea di dove andare, nemmeno a rigor di logica.
Zero continuava ad avanzare a passo spedito e stargli dietro si faceva per me sempre più complicato. Accelerai il passo, finchè ad un certo punto incappai nei piedi di una ragazza, cadendo. Istintivamente tesi le mani in avanti e mi aggrappai alla prima giacchetta che trovai sulla mia traiettoria, sbattendoci la faccia. Sentii il corpo del malcapitato irrigidirsi all’impatto con il mio. Alzai inconsciamente la testa ed incrociai due occhi viola su un viso dalla pelle estremamente chiara. Realizzai che ero andata a sbattere proprio contro Zero. Sentii la mia faccia avvampare per l’ennesima figuraccia.
“Oh, cavolo! Allora qualcuno lassù deve avercela davvero con me!” pensai indispettita
-Si può sapere che stai facendo?- chiese alzando un sopracciglio
Strabuzzai gli occhi, sbigottita.
-Ma come che faccio?! Non vedi che sono inciampata?! Idiota!- sbottai furente. Ero più arrabbiata per l’umiliazione, che per lui, e poi, stavo diventando ancora più stressata perché c’era un po’ di gente che mi fissava in modo strano, come se fossi stata una lepre di fronte ad una volpe. Per non parlare del sentire bisbigliare cose come “oh, no gli ha detto idiota!” o “poverina che le farà ora?”
“Si può sapere perché mi fissano così?” pensai a disagio
Mi ricomposi in fretta, tenendo lo sguardo basso, un po’ dispiaciuta della mia reazione. Forse non dovevo proprio dirgli “idiota”, in fondo, non era lui che mi aveva fatto inciampare.
“Accidenti, tutte a me!” pensai serrando forte la mascella
-Stai bene?- chiese d’un tratto
Percepii una nota di gentilezza nella sua domanda, che mi lasciò un po’ impreparata. Non l’avevo mai sentito da lui un tono simile e sinceramente, da quel poco che ho visto del suo carattere, non me lo sarei aspettato.
-Si… grazie, è tutto ok- dissi alzando gli occhi, e quello che vidi mi stupì ancor più. Per un fugace attimo, vidi un velo di preoccupazione nella sua espressione solitamente impassibile. Mi chiesi se me lo fossi solo immaginato.
-Andiamo, altrimenti Yuki inizia a spazientirsi e diventa ancor più insopportabile di quanto non lo sia già- tagliò corto, incamminandosi di nuovo
Mi incamminai anche io, senza dire nulla, inebriata dal pungente profumo di pulito della sua giacchetta. Respirai a fondo, come per assaporarne ancora.
“L’odore di Zero…”
Lo guardai da dietro, e mi ritrovai a pensare a quella sua reazione di prima. Mi chiesi se ci fossero altri lati del suo carattere che nascondeva, e scoprii che volevo sapere di più su di lui, anche la benchè minima cosa.
“Forse, mi sto innamorando…?”
Scossi la testa. Non, non poteva essere così. Non credevo nei colpi di fulmine, troppo banali per i miei gusti ed impossibili nella vita reale. Esistevano solo nei film episodi del genere. Una cosa però la dovevo ammettere: ero attratta da lui. Mi piaceva. Non sapevo come avevo fatto a finire in questa situazione nè mi andava giù dirlo, ma era vero, non potevo negarlo, lo confermavo io stessa. Non avevo mai dimostrato tali atteggiamenti di fronte ad un ragazzo. Ma perché lui? Che sia per colpa di quella sensazione di affinità che provavo? Del fatto che eravamo entrambi orfani, che avevamo provato lo stesso dolore? O forse c’era un altro motivo?
Ripensai alla prima volta che lo vidi, qui. Mi ricordai che rimasi colpita più di tutto dalla forza che sprigionavano i suoi occhi. Non ne avevo mai incontrati del genere. A guardarli, sembrava che ti fossi trovata di fronte all’immensità del cielo e alla potenza del mare. Mi lasciò letteralmente senza fiato.
Ad un certo punto vidi Zero varcare una porta in legno. La mia nuova classe doveva essere qui. Non feci in tempo ad entrare che udii chiamare il mio nome
-Ehi, Yame quiiiiiiiiiii!- urlò Yuki agitando le braccia
-Te l’ho detto che stava incominciando ad essere impaziente… ancora poco e avrebbe superato i limiti della sopportazione. Non faceva altro che dire che non vedeva l’ora che arrivassi- disse Zero accanto a me. Si voltò un attimo a guardarmi e la mia schiena fu percossa da un brivido. Cercai di ignorarlo il più possibile.
-Ah, quasi dimenticavo, il direttore mi ha chiesto di dirti di raggiungerlo nel suo ufficio subito dopo le lezioni. Diceva che era urgente-
-Va bene, ma come mai?- chiesi. Lui fece spallucce
- non ne ho idea, quindi non chiederlo a me- rispose - non faceva altro che saltellare felice e dire in continuazione “chissà che faccia farà!”. Vallo a capire quell’idiota…-
“Insomma lo adora eh… però che strano… cosa avrà di tanto urgente da dirmi?” pensai incuriosita
Salimmo le scale e raggiungemmo l’energica Yuki. Mi detti un’occhiata intorno: l’aula sembrava come una di quelle all’università. Zero si sedette alla fila dietro ed io andai al posto che Yuki mi aveva prenotato apposta.
-Così potremmo conoscerci meglio!- spiegò radiosa
Notai che accanto a lei c’era un’altra ragazza, in quel momento intenta a leggere un libro. Sembrava uno di quei tipi calmi e composti in ogni situazione. Feci per presentarmi, ma fui anticipata dalla giovane guardian
-Ehi Yori questa è Yame, la nuova ragazza della quale ti parlavo! Yame, questa è la mia compagna di stanza, nonché mia migliore amica, Sayori!-
La ragazza alzò lo sguardo e mi trovai davanti due grandi occhi nocciola, dello stesso colore dei capelli, corti e mossi, che ricadevano soffici ai lati del tenero volto. Non chiedetemi il perché, ma mi ricordava molto un cerbiatto.
-Piacere di conoscerti. Chiamami Yori, se vuoi.- disse sorridendomi dolcemente
-Il piacere è mio, Yori- dissi ricambiando il sorriso
-Sai, devo dire che sei davvero molto bella- disse ingenuamente
Io rimasi interdetta da quel complimento. Non ero solita a sentirmeli dire.
-Eh?- dissi confusa
-Sì, lo penso anche io! Sembra una modella!- esclamò Yuki
-o-ok, Yuki, ma adesso non esagerare…- dissi
- Ma è la verità!- si lamentò – non lo pensi anche tu, eh, Zero?-
- E ora che c’entro io? –
- Andiamo è carina si o no?-
Mi diede un’occhiata veloce, squadrandomi da capo a piedi, e intanto le mie orecchie avvamparono…
- Sinceramente non mi interess… ahia!- esclamò massaggiandosi la testa. Yuki gli aveva appena dato un cazzotto
-  Sei sempre il solito, Zero Kiryu!- disse lei indispettita – Mai una volta che uscisse una parola carina da quella tua boccaccia!-
- E tu allora, invece di stare così a sprecare tempo, perché non ti decidi a metterti a studiare? Sarebbe ora!- disse Zero avvelenato
- E’ quello che dovresti fare anche tu, sapientone di un Zero!- ribattè lei
- Intanto però lui ha voti molto più alti dei tuoi…- commentò Yori. La frecciata andò magnificamente a segno.
- Se vuoi vedere il tuo adorato Kaname al ballo di fine anno, devi impegnarti di più!- continuò ridendo
Yuki diventò paonazza – M-ma con che te ne esci??- balbettò agitata
“Kaname… mi sembra di aver già sentito questo nome… ma dove?” chiesi tra me e me.
-Chi è questo Kaname?- chiesi decisa a togliermi subito il dubbio
- E’ solo l’eroe di Yuki- rispose Zero con noncuranza, il mento appoggiato sul palmo della mano. In un istante fu investito dalla fulminata d’occhi della piccola Cross. Peccato per lei che ne fu immune…
- E’ il capo della Night Class, nonché capodormitorio del dormitorio Luna- spiegò Yori
“Bizzarro… tutto questo non mi dice niente, eppure…” pensai poggiandomi il dito sulle labbra, la mano appena sotto il mento.
“Mah, forse è solo un déjàvu…” conclusi infine. Non mi andava di starci troppo a pensar su. Non era il momento di farsi tutti questi problemi insignificanti. In fondo, è solo un nome, no? Potrei averlo sentito ovunque…
- Capisco… Quindi Yuki, lui ti piace, non è così?- dissi a bruciapelo.
- Assolutamente no!- rispose lei ancora più paonazza
- E allora perché sei tutta rossa in volto?- continuai come se nulla fosse
- Ti prego non ti ci mettere anche tu, Yame!- si lamentò disperata
- Scusami Yuki, ma non capisco cosa ci sia di male ad ammetterlo, insomma, ti si legge in faccia…- bofonchiai. Giuro, non lo facevo apposta, mi veniva spontaneo dire quello che pensavo. Tutto qui. Anche io, a volte, mi rimproveravo per aver aperto bocca in certe situazioni. Essere sinceri è una magnifica cosa, ma significa anche attirare guai, qualunque siano le tue intenzioni.
- Visto? Lo dice anche lei- rise Yori
- Andiamo bastaaaaaaaaaaa!- urlò Yuki ai limiti della pazienza
- Ti vuoi dare una calmata per una buona volta?- sbrottò Zero irritato
- Aaaaaah, zitto tu!- lo zittì lei
Vidi Yori ridere di buon gusto, mentre Yuki e Zero si guardavano come cane e gatto. Provai una strana sensazione nel petto, bella, come una cioccolata calda nelle fredde serate d’inverno. Mi sentivo come se fossi tornata a casa dopo un lungo viaggio. Era così che ci si sentiva quando si stava insieme a qualcuno? Era questo quel che si provava stando con degli… amici? Era questo allora? Stare insieme?
Le mie labbra si incresparono in un largo sorriso, uno di quelli che irradiavano di luce i luoghi più tetri del mondo. Per un momento, mi godetti quella calda luce che si era fatta strada nei cupi meandri del mio tormentato cuore. E allora risi, risi come mai avevo fatto prima, felice di aver trovato, finalmente, quella che io consideravo la vera pace.
Per un istante, mi sono sentita non più stretta dalle catene della mia sofferenza.
Per un istante, fui libera.
NOTA DELL’AUTRICE:
eccomi qua di nuovo! Vi prego di scusarmi per il ritardo nel pubblicare questo capitolo *si inchina* chiedo umilmente perdono! Nello scorso capitolo, avevo detto che sarebbe apparsa la Night Class, ma alla fine non è successo. Chiedo perdono anche per questo. But don’t worry! Arriverà tra poco, anche se non avrà un ruolo centrale in quel momento… allora, aspetterò con ansia le vostre recensioni! Vi prego commentate, non sapete quanto per noi sia importante! Ricordate che le storie le scriviamo per voi, per farvi viaggiare nei vostri sogni! La cosa più brutta è pensare che ci stiamo riuscendo quando invece non è così! Quindi vi prego recensite! Solo così potrò migliorare per farvi continuare questo bellissimo viaggio! Grazie, per il vostro supporto, per tutto! A presto,
nozomi
 
 

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Capitolo 6
*** hunter ***


 PREMESSA:
Sorpresa! Eccomi di nuovo! Ora penserete magari: “era ora!” e io vi dico che avete assolutamente ragione, e vi porgo le mie più sincere scuse. Purtroppo per me questi mesi stanno diventando una faticaccia, e i professori non mi fanno mai la grazia, perciò la vedo dura pubblicare i capitoli in poco tempo, ahimè -.-“ il tempo che mi rimane dopo lo studio lo dedico alla mia storia, sto facendo tutto quello che posso >.<
Vorrei tanto ringraziare lunablu-chan e vexiil-chan (posso mettere chan vero? XD ) che mi hanno recensito e dato un gran supporto, e lo fanno ancora, con tanta pazienza ^.^” ringrazio anche tutti coloro che hanno messo la mia storia tra le seguite, mi date un grande sostegno, ne sono felicissima! Bene con questo chiudo la mia lagna, alla prossima!!!
nozomi
Quella mattina per me fu un tormento dopo l’altro. I professori non facevano altro che interpellarmi e farmi domande, e conclusi che qualcuno sul serio doveva avercela con me per qualche strana ragione. Però, alla fine, riuscii a cavarmela ogni volta. Ringraziai il cielo di avere la buona memoria dalla mia.
Mi capitò anche spesso di chiedermi, tra una pausa e l’altra, quali fossero i veri compiti di un guardian. Perché lo feci?
Perché non riuscivo proprio a capire cosa ci fosse di così pesante da far addormentare Yuki e Zero nel bel mezzo delle spiegazioni. Da come reagivano i professori e la classe poi, sembrava che la cosa fosse di routine. Perfino Yori si comportava come se nulla fosse. Ma il guardian non era semplicemente una sorta di rappresentante d’istituto? Insomma, la cosa più impegnativa di quel ruolo è fare qualche rapporto, no? Comunque, non ne fui dispiaciuta della situazione. Guardare Zero dormire sul banco fu una vera goduria. Era così bello, rilassato... mi trasmetteva uno straordinario senso di pace. Sarei restata lì a guardarlo tutto il tempo.
“No! Scema! Ma che vai a pensare??” mi rimproveravo in quei momenti
 Era la prima volta che provavo forti emozioni del genere, e non avevo la minima idea di come comportarmi, né di come gestirle. Fare niente, o fare qualcosa? E così la mia testa girava e girava…
-Uffa! Di nuovo lezioni supplementari!- brontolò Yuki a fine lezione
-Dovresti riposare di più durante la notte, così non ti addormenti nel bel mezzo della spiegazione e non ti becchi lezioni extra…- esordì Yori
- Ma è impossibile per me, lo sai benissimo!- esaperò lei
-Si può sapere cosa fate voi due di notte?- mi intromisi, alzando un sopracciglio
-Le ronde- rispose Zero da dietro le nostre spalle
-E cosa ci sarebbe da controllare?- chiesi girandomi verso di lui
-Che queste oche isteriche non facciano irruzione nel dormitorio di quei nobili idioti- rispose secco, e nel farlo guardava male un gruppo di studentesse gracchianti lì accanto. Emanava un’aura maligna pazzesca, da far accapponare la pelle. Dovevano averla percepita perché poco dopo, allarmate, smisero di chiacchierare.
“Wow…” pensai
-Ehi Yame perché non fai le lezioni extra con me?- chiese Yuki con grandi occhi luccicanti – Per una volta, dai! Non mi va di stare con quello là!- bofonchiò indicando Zero
-E perché io? Andate così d’accordo voi due… siete pur sempre fratello e sorella no?-
-No che non andiamo d’accordo!- esclamarono loro in coro
-Non sarò mai il fratello di quest’ebete- brontolò
-E poi io, sorella di quel musone? Figuriamoci!- disse incrociando le braccia –E’ monotono, sempre di cattivo umore e cupo! E’ deprimente!-
-Guarda che ti sento…- sibilò lui
-Lo so benissimo, l’ho fatto apposta!- rispose brusca lei, facendogli la linguaccia. E così i due incominciarono a lanciarsi fulmini e saette dagli occhi. Scontro tra titani.
Tenetti a stento le risate di fronte a quell’alterco. Mi domandai cosa poteva accadere se c’era anche il direttore…
“Caspita! Il direttore! Devo andare da lui!” pensai all’improvviso
-Mi dispiace Yuki, ma non posso. Il direttore mi ha chiesto di raggiungerlo  a fine lezioni…- le dissi addolorata
-Non mi terrai compagnia allora?- piagniucolò
Scossi la testa, dispiaciuta, e vidi la vivacità di Yuki spegnersi di colpo. Mi mise in soggezzione quel veloce cambio di umore, non sapevo come prepararmi. Lei abbassò la testa, afflitta dalla mia risposta negativa.
-Yuki? Tutto bene?- chiesi cauta
Yori poggiò una mano sulla mia spalla, rivolgendomi uno sguardo dolce
-Non darci peso, dalle almeno cinque secondi e ritornerà come prima. Fa sempre così.-
La guardai di nuovo dispiaciuta
-Se lo dici tu…- sospirai - Beh, io vado, non voglio fare aspettare troppo il direttore. Yuki, sul serio, mi dispiace tanto, ma prometto che mi farò sdebitare, ok?- le dissi sorridendo
Lei sembrò riprendere vita, lasciandomi interdetta di fronte a quella nuova, improvvisa reazione. Dovevo cercare di abituarmi a quei suoi cambi d’umore, o ci avrei rimesso la pelle prima o poi. Per i colpi.
-Guai a te se non lo fai! Ci conto sai?- mi disse indispettita
-Certo!- sorrisi, dirigendomi poi frettolosamente negli affollati corridoi
“Quella Yuki… è proprio incorreggibile!” pensai rassegnata, con il sorriso sulle labbra
Credo che, in fondo, fui contenta di aver incontrato quella ragazza. Sprigionava talmente tanta allegria da far sembrare soleggiata una giornata piovosa. Era impossibile non farti coinvolgere dal calore di un tale sole. Perché lei, era il sole. Esattamente tutto ciò che io non sono. Esattamente tutto ciò che avrei voluto essere. Il fatto è: potevo permettermelo? Potevo rimanere lì, accarezzata dalla sua luce? O dovevo ritornare sola, tra le mie ombre?
Scossi la testa, e la mia bocca si curvò in un sorriso amaro
“Sono solo una sciocca egoista…”
Si, sarei stata travolta da quella luce, ma una volta giunto il momento, me ne sarei tornata dalle ombre dalle quali provenivo, e non ne sarei più uscita. Era giusto così. Era quello che mi meritavo per il mio egoismo.
Ma allora non sapevo che, una volta voltato le spalle al sole, dovevo fare i conti con lo splendore della luna.
Dopo pochi minuti mi ritrovai di fronte alla porta del direttore. Bussai, ma senza ricevere alcuna risposta. Bussai di nuovo, con più forza, avvicinando il capo verso la porta, l’orecchio teso su di essa. Sentii la voce del direttore dall’interno. Aveva un tono sbrigativo.
-Va bene, va bene, ci sentiamo dopo ok? Stanno bussando! Ciao, ciao- si sciarì la gola –Entrate pure!-
E così entrai, con fare titubante
-Ho disturbato una cosa importante, per caso?- chiesi educatamente
-Oh Yame, cara, finalmente! No, non ti preoccupare, nessun disturbo! Sono io che ti ho chiesto di raggiungermi, dopotutto! Prego, siediti!- disse gioioso, con un lieve cenno della mano verso le sedie di fronte a lui. Forse mi ci dovevo ancora un pò abituare, ma ormai mi ero rassegnata all’idea che il qui presente Kaien Cross, uno dei più grandi hunter esistiti nonché preside di questo sfarzoso istituto, si comportasse sempre, e dico sempre, con questi modi un po’ infantili ed euforici. Ovviamente fino a che non lo facevi arrabbiare. Allora sì, che dovresti aver paura, molta paura.
Mi sedetti su una delle sedie lì davanti alla sua cattedra, e accavallai le gambe, poggiando le mani ai lati della sua base.
-Allora, cosa voleva dirmi di così urgente direttore?- chiesi diretta
Lui fece una piccola smorfia, come se un bambino avesse messo il broncio per una caramella rifiutata. Che carino. Ma anche buffo. Tremendamente buffo.
“Credo di incominciare a capire perché Zero lo chiama idiota…” dissi trattenendo una lieve risata
-Non mi dici niente delle lezioni? Di come sono andate, dei compagni, niente di niente?- bofonchiò dispiaciuto
Sospirai, come una madre quando il proprio bambino fa i capricci
-Si, mi trovo molto bene qui, la ringrazio, e le lezioni sono molto interessanti…-
“Specialmente con un bellissimo Zero che puoi ammirare mentre dorme” continuò il mio subconscio
Arrossii leggermente e mi diedi della stupida
-… ma preferisco andare al sodo. Sa, sono molto stanca, e ho tanta voglia di riposarmi…- continuai come se nulla fosse
-E va bene, allora andiamo al sodo- proferì sconsolato –Poco fa, al telefono, ho parlato con Talya, la tua tutrice, per chiederle se era d’accordo con me a darti una cosetta…- disse tirando fuori una cosa da uno dei cassetti della sua scrivania –E’ da quando seppi che ti iscrivevi qui che ci sto riflettendo, e alla fine mi sono convinto che sarebbe stata la cosa più giusta per te. Non è stato facile persuaderla, ma ce l’ho fatta- posò davanti a me una scatolina in legno e  mi guardò con aria soddisfatta. Osservai la scatolina, dai decori semplici ma raffinati, e poi lui, con aria interrogativa
-Su coraggio che aspetti?! Apri!- mi incoraggiò il direttore, scalpitante di vedere una qualche mia reazione.
Lo accontentai ed aprii la scatola, svelandone il contenuto. Rimasi completamente incantata da quel che trovai: c’era un pugnale, un magnifico pugnale. L’elsa e la guardia ondulata erano di un intenso rosso scarlatto, incise da un motivo di steli di rose intrecciati come i rovi. La lama, scintillante al carezzare della luce, era lunga e sottile, di uno splendido nero. Mi ritrovai senza parole, catturata da quel fascino inquietante che sprigionava. Lo presi con delicatezza e me lo rigirai con cautela tra le mani, come se fosse stato fatto di cristallo.
-E’ stupendo…- mormorai rapita, dedita ad osservarlo nei suoi minimi particolari.
-Sapevo che ti sarebbe piaciuto!- esclamò felice il direttore, battendo le mani come un bambino, ma tornò subito serio –Sai, quella era l’arma preferita di tua madre. La forgiò tuo padre dalla fornace come regalo per il suo compleanno. Ricordo che era talmente contenta che sembrava le avesse regalato un diamante. Era incredibile. Tutti e due erano incredibili. Non sai quanto tu assomigli a lei Yame, tanto che quando ti guardo mi sembra di averla di fronte a me, in carne e ossa. Però, poi, vedo i tuoi occhi, e allora mi ritorna in mente lui- sospirò, lo sguardo basso e gli occhi persi in ricordi lontani –Dio, quanto mi mancano quei due…-
Mi toccò molto quello che disse in quel momento, e mi fece capire che deve aver voluto loro un gran bene. Credo che sia stato uno dei pochi ad intuire quanto mi mancavano, perché provava un po’ anche lui questa sensazione di vuoto. Il vuoto che provoca la perdita di un amico caro. Lo guardai con tenerezza, riconoscente per quei sentimenti sinceri.
-Sa cosa le dico direttore? Che sono felice che i miei genitori abbiano avuto un amico come lei, e le sono grata, per tutto quello che ha fatto per loro, veramente. Grazie- gli rivelai onestamente
Lui alzò lo sguardo su di me, gli occhi lucidi per le lacrime che fremevano ad uscire. Ebbi un brutto presentimento.
-Vi prego, apprezzo quello che state pensando ma non mi salti addosso- dissi allungando le braccia davanti a me. Da come reagì, capii che avevo colto l’intenzione nel segno.
Rivolsi di nuovo l’attenzione all’arma che tenevo in grembo. L’arma della mamma… un’arma antivampiro, che ora era stata consegnata a me…
-Direttore, ma… perché?- chiesi alzando di nuovo lo sguardo su di lui
-Perché penso che sia ora che tu diventassi hunter- fu la sua risposta secca - Non lo desideravi, forse?-
-Io…- indugiai un attimo – si, con tutto il cuore- risposi infine
-Bene, allora penso non ci sia nient’altro da aggiungere. Farai l’addestramento con me- disse deciso
-Ma, signor Cross, Talya mi ha proibito…-
-Con Talya ho parlato poco fa, come già ti ho detto, e le ho spiegato che intendo farlo. E lei, alla fine, ha accettato. Quindi non c’è nessun problema-
-Ma allora perché ora?! Perché non prima?!- chiesi arrabbiata. Ho sempre agognato di ricevere un’addestramento degno per un hunter, e nonostante le mie insistenze per anni e anni me l’hanno negato senza spiegarmi una ragione. E proprio ora che mi ero rassegnata all’idea di dover aspettare ancora molto, mi dicono che era giusto che lo facessi?!
-Perché penso sia meglio che tu sia preparata per l’imminente futuro- disse secco, con gli occhi penetranti dietro le lenti dei suoi occhiali, lasciandomi allibita. Cosa significava poi quella frase? Cos’era questo “imminente futuro”? Aveva a che fare con qualcosa?
-E poi, credo che sia sempre meglio avere una mano in più di questi tempi, no? Sei pur sempre la discendente di una prestigiosa famiglia di hunter, sarebbe un vero peccato non averti con noi all’associazione- disse suadente
A quelle parole rimasi lì, sulla sedia, pietrificata, confusa, in mano ad un tripudio di emozioni. Ero arrabbiata: avevano chiuso il mio sogno più grande in una scatola, permettendomi solo di guardarlo, e ora, dopo che mi ero dolorosamente arresa al fatto che oramai era così, me lo sventolavano sotto il naso come se mi avessero giocato un brutto scherzo. Non potevo sentirmi altrimenti. Ma ero anche felice, perché ora potevo raggiungerlo, e stavolta nessuno poteva impedirmelo. Era servito su un piatto d’argento, non più rinchiuso da una scatola. Chiusi gli occhi e feci un profondo respiro, per sbollire la mia rabbia. Dopo, lasciai parlare il mio istinto.
-E va bene direttore. Mi dica cosa devo fare- dissi guardandolo decisa. Lo vidi sorridere soddisfatto.
-Niente di particolare, in realtà. Dovrai solo venire nella mia residenza nei weekend. Si trova vicino al dormitorio Sole-
-E come faccio ad arrivarci?-
-Di questo non ti devi preoccupare. Assicurati solo di venire con il pugnale. Al resto penserò io- disse misterioso
-Noto con piacere che si sta divertendo molto a fare il misterioso…- dissi con un mezzo sorrisetto
-Decisamente!- disse raggiante, tornando al suo solito umore – Ah, quasi mi stavo per dimenticare…- disse aprendo un altro dei cassetti della sua scrivania. Stetti ancora lì, con aria interrogativa.
“Cosa sarà ora?” pensai curiosa
-Ecco qui- annunciò porgendomelo –Questo è l’astuccio con cui puoi assicurare la tua arma sotto la gonna. Si allaccia alla coscia-
-Posso quindi portarlo con me?- chiesi prendendolo. Lui annuì
-Certo, a patto che lo usi solo quando necessario- disse sottolineando la parola “necessario”. C’era un che di allusivo…
-Certamente-
-Bene- proferì –Questo è tutto. Puoi andare, ora-
-La ringrazio direttore, davvero-
Sorrise malinconico –Questo è niente, per la figlia di Haruhiko e Misaki-
Lo guardai con dolcezza e riconoscenza, prima di uscire dal suo ufficio e chiudermi la porta alle spalle. Quando fui fuori nel corridoio, un solo pensiero mi aveva attraversato la mente:
“E’ fatta. Sarò hunter.”
********************
-Pronto?-
- …. Sono io-
-Talya, cosa c’è stavolta?-
-Non sono ancora sicura se quello che stiamo facendo è giusto. Insomma, Yame… Yame potrebbe…
-Talya non devi pensare a cosa sarà Yame, ma devi pensare a come aiutarla quando succederà. Lei può diventare sia vittima che carnefice, e non sarà per sua volontà-
-Sì, lo so, lo so! Ma so anche quello che potrebbe fare lei con un’arma del genere quando si risveglierà! E, sì, lei si risveglierà sicuramente, perché sai bene quanto me che quel sigillo è debole!-
-Hai ragione, ma se noi…-
-Noi cosa Kaien? Quando il sigillo si romperà, lui giocherà la sua mossa. E sarà scacco matto. Non ha aspettato altro per tutto questo tempo. Il momento giusto. Perché lui, in realtà, non le ha mai tolto gli occhi di dosso, neanche un singolo istante. Vuole manipolarla alla prima occasione che gli capita e ora non mi aspetto di certo che se ne starà lì buono buono a ridersela al minimo errore che facciamo. No. Ci salterà addosso come uno sciame di cavallette. No, non posso permetterlo, ne va dell’incolumità di Yame. E pensare che l’avevo portata da te per aiutarmi a proteggerla, non per…-
-Frena Talya, ascoltami per una buona volta! Se Talya non riceve l’addestramento, non sarà mai capace di affrontare tutto quello! Non potrà mai difendersi! Sarà come una bambola di pezza tra le mani! Ma se noi la aiutiamo, allora potrà acquisire la forza necessaria per tener loro testa! Dobbiamo credere in lei!-
-…. Le racconterai tutto quanto?-
-Cosa?-
-Le dirai la verità? Su di lei, su quella notte…-
-Su questo ancora non lo so, probabilmente…-
-Succederà, me lo sento. E’ una ragazza intelligente. Mi auguravo che si bevesse la storia che le ho raccontato su quello che successe ai suoi genitori senza porsi ulteriori domande, ma avevo torto. Non l’ha bevuta, e ha sempre cercato di scovare la verità. Sa che può trovare le risposte che cerca all’associazione, ed è anche per questo che è così ansiosa di diventare hunter. E ora che lo sarà... ho paura Kaien. Ho paura di perderla-
-Ti capisco, ma era inevitabile. Prima o poi avrebbe scoperto tutto. E se non ci avremmo pensato noi o Yame stessa, ci avrebbero pensato lei o lui stesso. Le domande che si sarebbe posta sarebbero affiorate ugulamente, così come le risposte. Non possiamo farci nulla-
-E’ vero… e va bene Kaien, hai vinto: inizia questo benedetto addestramento. Per il bene di Yame-
-Oh, che bella notizia! Vedrai Talya, ne sarai estasiata!-
-Spero solo di aver fatto la scelta giusta…-
 

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Capitolo 7
*** Arriva la Night Class ***


ZERO’S POV
-Ah, cavolo, che scocciatura!- borbottai
Aprii la porta con irruenza e mi gettai sul letto come un sacco di patate. Tenni lo sguardo di fronte a me. All’improvviso il soffitto era diventato un soggetto interessante da guardare…
Quella giornata era stata esattamente un’autentica seccatura, come tutte le mie altre giornate del resto, e il direttore, come al solito, non poteva che peggiorarmi la situazione.
“Ci mancava solo lui. Sentirmi una merda, sempre più spossato e in preda a quelle fitte non bastava no? Ora, oltre di occuparmi di quei schifosi succhiasangue, dovevo anche fare da balia alla nuova arrivata. Prima chiede esplicitamente, a me e a Yuki, di avvicinarci a lei e di diventare suoi amici per non so quale ragione e poi mi chiede di accompagnarla questo weekend alla residenza. Per non parlare poi di stamattina, perché dovevo portarla in classe e l’altra sera per…” l’immagine di lei in asciugamano si presentò con violenza nella mia mente. Era bella da mozzare il fiato. Ricordo ancora bene il suo bel viso incorniciato dai capelli bagnati, le labbra carnose, rosse per il calore della doccia appena fatta, le guance un po’ arrossate. E poi, quel panno che poco lasciava all’immaginazione… 
“Cazzo, ma che mi prende?” sbraitai portandomi una mano sul viso, irritato dall’improvviso senso di disagio
Ecco, e come se non bastasse, avevo un altro problema adesso: lei. Già, proprio lei, Yame Minashigo. È qui da ammalapena due giorni e già mi mette i bastoni tra le ruote. Mai che mi lasciassero una buona volta in pace. Non che ce l’abbia con lei personalmente, ma c’era qualcosa in quella ragazza… qualcosa che mi faceva sentire diverso dal solito, che mi smuoveva le viscere.
Forse perché era orfana, e veniva da una famiglia di hunter come me? no, non credo sia per questo, anche se mi dispiaceva un po’ per lei.
Forse era il suo profumo? Perché aveva un odore veramente accattivante, che sicuro mi avrebbe creato parecchie palle al piede, me ne rendevo conto… Ma no, neanche questo.
O, forse, mi faceva tenerezza per la sua statura? È vero, non è molto alta, il che la fa sembrare un cucciolo, ma aveva anche delle curve provocanti. Ah, ma che mi tocca dire… Comunque no, nemmeno questo. Ma allora cos’era?
I suoi occhi? Perché erano magnifici. Forti, passionali, l’esatto opposto di quelli di Yuki.
“Yuki…” al pensare a quel nome provai una dolorosa fitta al cuore
Yuki. La mia dolce, combattiva, piccola Yuki. Esisteva qualcuno più prezioso di lei? Colei che per tutti questi quattro lunghi anni si prese cura di un mostro come me, senza mai chiedermi nulla, senza mai sapere di stare teneramente aiutando una disgustosa bestia. Vederla preoccuparsi per me ogni volta mi faceva stare male, tanto da togliermi quasi il respiro, ma al tempo stesso non potevo evitare di esserne felice, perché in quei momenti c’ero solo io nei suoi pensieri. Poteva però una creatura efferata come me meritarsi le attenzioni di un innocente angelo quale lei era? Certo che no. Come osavo voler possedere una creatura così pura, io, che ero un peccatore?
Mi sentivo peggio di uno straccio. Tutte quelle intense emozioni mi sfinivano, prosciugando le mie forze fino all’ultima goccia. Era estenuante. E poi, nel momento per me più critico, quando sono sul punto di impazzire, spunta lei, bellissima e silenziosa. Direi che ne rimasi abbastanza affascinato. O forse parecchio? Vabbè, però non fu questo ciò che più mi colpì. Se con Yuki avevo la sensazione di qualcuno che cercasse di salvarmi dalle fiamme che mi intrappolavano nel mio inferno, di tirarmi fuori, via da lì, la presenza di Yame mi dava l’impressione di non essere più solo in quell’inferno, ma in compagnia di qualcuno che era riuscito a solcare le mie barriere e che soffriva insieme a me, che capiva le mie pene e pativa in silenzio anche le proprie. E questo mi dava un senso di pace che non avevo mai provato prima, nemmeno con Yuki. Tutto ciò aveva anche avuto dei riscontri sul mio comportamento: in molte occasioni infatti, non mi ero atteggiato nel mio solito modo freddo e distaccato. Un esempio?
Uno stupido “buonanotte” detto senza motivo l’altra sera. O probabilmente perché averla vista in quel modo mi aveva dato alla testa.
Oppure oggi, quando, non rendendomene conto, mi sono preoccupato perché era inciampata per starmi dietro.
Per poi averle raccontato, con naturalezza, la sera appena arrivata, una parte di quel passato che mi sforzavo di non ricordare, come a volerla consolare dopo che mi accennò una parte del suo.
Mi chiedevo come facesse a farmi sentire così, o meglio volevo sapere perché.
Perché lei, poi?
Volsi la testa verso il comodino, gettando un’occhiata sull’orologio. Si era fatta ora di andare, era il turno del cambio con la Night Class. Facevo meglio ad affrettarmi, se non volevo sentire Yuki brontolare perché ho fatto ritardo. Sbuffai, alzandomi dal letto. Era il momento di mettere da parte tutti gli altri pensieri.

 
“Bene. Allora a noi due, Night Class”
 
YAME’S POV:
Mi ritrovai per la mente mille pensieri mentre mi accingevo a ritornare nella mia stanza, dopo il colloquio con il direttore. Prima di tutto, ero felice, perché non solo avevo ricevuto una stupefacente arma antivampiro, per giunta della mia defunta madre, ma avevo anche ricevuto il permesso di ricevere uno speciale addestramento per diventare un hunter a tutti gli effetti, e non vedevo l’ora di cominciare. Ma avevo un altro rompicapo per la testa: non riuscivo a distogliere l’attenzione da quella frase enigmatica pronunciata dal direttore:
“Penso sia meglio che tu sia preparata per l’imminente futuro”
Cos’avrà voluto dire con quella citazione? Di quale “imminente futuro” stava parlando? Era qualcosa di cui mi sarei dovuta preoccupare? Sempre se alludeva a qualche cosa, perché quella che ebbi fu solo una sensazione. Eppure, qualcosa mi diceva che quella frase non era da trascurare… chissà cosa aveva da nascondere…
Entrai nella mia camera e mi feci una doccia veloce, stavolta portando prima il mio cambio nel bagno. Fare una figuraccia come quella dell’altra volta era già abbastanza, non ne volevo una seconda. Quando uscii gettai un’occhiata al pugnale sul letto: proiettava riflessi minacciosi sul soffitto, come se fosse in procinto di aggredire una sua vittima. Lo presi e me lo rigirai di nuovo tra le mani, osservandolo ancora un po’. Dovevo ammettere che quell’oggetto era per me irresistibile, e ad impugnarlo sentivo una travolgente scarica di adrenalina che sconvolgeva ogni fibra del mio corpo. Sì, decisamente, fremevo dalla voglia di usarlo e di vedere come me la cavavo. Mi ricordava quando giocavo con le spade di legno insieme a papà. Correvamo da una stanza all’altra facendo finta di essere in uno di quei film di avventura, sfidandoci anche a duello. L’episodio più divertente fu quando dovemmo affrontare il “mostro nell’armadio” che altri non era che un bizzarro cappotto della mamma. Finimmo per scombussolare l’intero guardaroba, facendola imbestialire. Però, anche se faceva l’arrabbiata, sapevo che in fondo si era divertita anche lei ad assistere alla scena, glielo leggevo nel luccichio dei suoi occhi. A quei ricordi non riuscii a trattenere un sorriso. Per me momenti come questi erano il tesoro più prezioso, che non avrei ceduto mai e poi mai. Sforzandomi di tornare alla dolorosa realtà, presi l’astuccio che il direttore mi aveva dato e lo allacciai alla coscia, infilandoci poi il pugnale. Ci stava perfettamente, e la gonna, sebbene fosse piuttosto corta, lo nascondeva bene. Averlo lì con me mi rassenerava,  non so perché, e mi trasmetteva grande forza e sicurezza. Da quell’istante in avanti non lo lasciai nemmeno un attimo.
“Incredibile, tra due giorni inizierà il mio addestramento. Ancora non ci credo” pensai tutt’altro che calma
Finalmente hunter. Non riuscivo a togliermelo dalla testa. Il mio sogno. Lo volevo per passione; lo volevo per seguire le orme dei miei genitori; lo volevo per renderli fieri, perché li amavo e li ammiravo con tutta me stessa; lo volevo per potermi riscattare. Sono sempre stata da loro protetta, coccolata, amata come se fossi stata una principessa. Se prima ne ero felice, ora me ne pentivo. Avevo aperto gli occhi troppo tardi. Avevo scoperto che fino a quel momento avevo sempre da loro ricevuto, e mai dato. Mai un “grazie”, mai un gesto di riconoscenza, un aiuto. Allora non lo avevo mai considerato, ma comportandomi in quel modo, non ero diventata altro che un peso per la mia famiglia, per quelli che amavo. Così presi la decisione di non essere più un peso per gli altri. Avrei ceduto loro anima e corpo. Sarei diventata apatica verso tutto, verso la gente, anche verso me stessa, e avrei trattato rudemente chiunque avesse tentato di avvicinarmi. Lo avrei fatto per il loro stesso bene. Li avrei trattati in modo freddo, così che non avrei potuto gustarne il dolce sapore della compagnia, per non diventare un fastidioso impiccio alla loro esistenza, per ricordarmi dei miei errori passati, ma li avrei anche guardati attentamente da lontano, perché, nel caso che avessero avuto bisogno di aiuto, allora mi avrebbero trovato lì davanti, pronta a sacrificarmi per mantenere la mia promessa di riscatto alle mie colpe. D’ora in poi sarei stata io quella che avrebbe protetto. Per questo fui ancora più convinta di voler diventare un grande hunter. Mi sarei chiusa dentro quest’armatura fatta di indifferenza e solitudine, per poter diventare più forte, per resistere ai colpi che mi sarebbero stati afflitti. Volevo difendere tutto ciò in cui loro avevano creduto fortemente, che avevano servito con lealtà per anni e anni. Questo era il mio riscatto alle mie colpe, al mio egoismo. Questo era il mio “grazie”. E nel pacchetto, si presentava anche la volontà di far chiarezza e la prospettiva di una truce vendetta.
Delle grida di eccitazione mi riscossero dai miei pensieri. Provenivano dall’esterno.
“Cosa sarà mai tutto questo baccano?” pensai mentre mi affacciavo alla finestra
Vidi che c’era un gran viavai di studenti per il cortile, ragazze specialmente, tutte, all’apparenza, molto concitate. Stuzzicata da tanta euforia, decisi di andare a controllare personalmente. Finii velocemente di vestirmi ed uscii fuori, aggregandomi alla fiumana e lasciandomi guidare da loro. La folla si fermava vicino ad un cancello, e lì si sparpagliava in trepidante attesa. D’istinto alzai lo sguardo oltre il muro, dietro il quale riconobbi il dormitorio Luna, quieto ed enigmatico come sempre.
“Ma che ci fa qui tutta questa gente? Sembra di stare alla fiera” pensai disorientata. Scrutai ancora la massa infervorata.
“Ho capito. Indaghiamo sul posto va’” constatai infine
Mi avvicinai disinvolta a due ragazze lì vicino, anche loro particolarmente infervorate come le altre.
-Ehm, scusate…- dissi per attirare la loro attenzione. Voltarono la testa verso di me, con aria interrogativa
-Potrei chiedervi come mai tutta questa calca qui?- continuai
-Ma come, non lo sai?!- esclamò una di loro, guardando la sua compagna con esagerato stupore. Atteggiamento che mi lasciò un po’ in disappunto.
-Veramente… no- risposi acida
-È l’ora del cambio della Night Class! Tra poco uscirà fuori!- esclamò l’altra entusiasta. Ci rimasi di sasso. Seriamente.
-Cioè, fammi capire, tutta questa agitazione solo perché deve uscire uno stupido gruppo di studenti?- chiesi attonita
-Non è uno stupido gruppo di studenti, è la Night Class! Aspetta e vedrai con i tuoi stessi occhi!- rispose una delle ragazze con disappunto. Alzai gli occhi al cielo
-Sì… certo…- dissi con una punta di sarcasmo, congedandomi da loro
“Questi sono tutti pazzi! Sono finita in un manicomio per caso?” pensai
 “Meglio che me ne vada, non ho alcun interesse a restare qui un minuto di più…”
Quando mi accinsi a tornare indietro però, sentii una voce familiare provenire qualche metro più in là:
-State indietro, prego! L’ora del coprifuoco è scattata perciò tornate immediatamente indietro nelle vostre stanze!-
Al suono di quella voce mi girai di scatto
“Yuki?” pensai stupita
E infatti eccola lì, la piccola Cross, che se la stava vedendo con un branco di ragazze particolarmente fomentate, nel disperato tentativo di trattenerle dall’avventarsi sul cancello che portava al dormitorio. Con tanto di fischietto al collo.
-Ragazze vi prego state indietro!- urlava scoraggiata
Poverina. Tutta sola in balia di quelle bestie sovraeccitate.
“Un momento. Se Yuki è lì, allora non dovrebbe esserci Zero con lei?” pensai trepidante, girando la testa di qua e di là, nella speranza di scovare dei capelli argentei da qualche parte. Ma niente.
“Dove si è cacciato?!” pensai un po’ accigliata. Insomma, escludendo la mia spudorata voglia di rivederlo, lasciare Yuki così era un po’ esagerato no? Bastavano altri pochi minuti e sarebbe finita calpestata a sangue da tutta questa folla!
Sospirai. Non erano affari miei, ma non potevo permettere un omicidio in luogo pubblico. E poi, diciamocela tutta, l’atteggiamento esagerato di tutte quelle studentesse mi stava mi stava facendo perdere la pazienza. Mi feci largo tra la fiumana, a volte dando degli spintoni, fino a raggiungere Yuki, che appena mi vide sgranò gli occhi.
-Yame? Ma tu che…?-
-Dopo Yuki, dopo, ora dammi qua!- la interruppi strappandole dal collo il fischietto. Lo poggiai sulla bocca e soffiai con forza. La folla si zittì per qualche secondo, e io ne approfittai.
-Allora gente, non avete sentito quello che ha detto?! Forza, portate quei vostri bei fondoschiena nelle vostre stanze, di corsa!- urlai spazientita
-E chi saresti tu per ordinarcelo? Non sei nemmeno una disciplinare!- si espresse contrariata una ragazza tra le prime file, seguita dai cenni di assenso delle compagne vicine
-No, infatti non lo sono, ma se mi fate perdere la pazienza, e ci sono quasi, siate sicure che diverrò il peggiore dei vostri incubi- dissi minacciosamente piantando loro addosso il migliore dei miei sguardi truci -Perciò a cuccia, plebaia!- ringhiai infine inarcando leggermente l’angolo del labbro superiore. Le ragazze ammutolirono all’istante spaventate, prese alla sprovvista dalla mia inquietante reazione. Sorrisi compiaciuta, con una Yuki che, dietro di me, mi fissava sbalordita. Probabilmente “plebaia” era stato un termine un po’ eccessivo, ma non me ne rammaricavo. Mi aveva aiutato a sorbire l’effetto desiderato.
Certo, in questo genere di cose forse Zero era più bravo, ma io non ero sicuramente da meno.
Intanto, il cancello del dormitorio si era aperto alle nostre spalle, distraendo da me le attenzioni delle ragazze, lasciandole tutte con il fiato sospeso. Afferrai il braccio di Yuki, ancora attonita, trascinandola con me ad uno dei lati dell’enorme ferraia.
-Wow… Yame, sei stata mitica! Ma come hai fatto?!- esclamò meravigliata, riscuotendosi dallo stato di attonimento
-Diciamo solo che ho molta esperienza- le risposi sorridendo, ridandole il fischietto in mano
Quando la tanto attesa Night Class fece capolino nel cortile, fummo travolte da un’ondata di acute grida da parte delle studentesse della Day Class. Osservandoli da vicino, dovetti ammettere che con quell’élite di studenti c’era veramente da rifarsi gli occhi: erano tutti dannatamente belli, e per questo non mi piacevano. Per niente. Belli, ricchi e dalle maniere composte. C’era qualcosa che non quadrava. Troppa perfezione.
-Aidoh sempai!!!- esclamarono calorosamente le ragazze dietro di noi, accogliendo con passione l’aitante ragazzo biondo che apriva la fila
-Buongiorno ragazze! Noto con piacere che siete carine come al solito!- le ricambiò lui esuberante, guardando poi verso di me
-Mmmm, guarda guarda faccie nuove, eh?- disse mentre mi cinse le spalle con noncuranza, mantenendo i suoi penetranti occhi azzurri fermi nei miei –Lo sai che sei davvero molto bella?- continuò con voce suadente, avvicinando il viso al mio, tanto che potevo sentire il suo caldo respiro scendere lungo il collo –Hai anche un buon profumo…-
-Se stai cercando di sedurmi, sappi che con me non attacca, don Giovanni- dissi glaciale, guardandolo storto
Lui, assai divertito, aprì bocca per rispondere alla mia provocazione, ma Yuki fu pronta a precederlo.
-Aidoh sempai, non è meglio forse se lasci le cose a me e te ne torni dagli altri?- chiese gentilmente
-Ma…!-
-Hanabusa, è meglio se fai come lei ti dice- proruppe una voce dietro le nostre spalle. A parlare era stato un ragazzo alto, dallo sguardo languido, anche lui tremendamente bello, con morbidi e mossi capelli castano scuro, piuttosto lunghi. Ebbi una sgradevole sensazione al petto quando lo vidi. Portai una mano sull’addome, non capendo perché mi stavo sentendo strana. Cercai di celare il mio improvviso malessere, facendo finta di niente.
-Sì, subito nobile Kaname!- esclamò Aidoh, affiancandosi svelto ad un ragazzo e una ragazza dai capelli castano chiaro della Night Class appena passati
-Buongiorno Yuki, tutto bene? Dev’essere dura per te, gestire tutto questo…- le disse il ragazzo con premura, abbozzando un sorriso
-K-Kaname!- esclamò sorpresa lei, diventando tutta rossa –S-sì sto bene, grazie!-
“Quindi è questo il famoso Kaname…” pensai mentre spostava la sua attenzione su di me
-Noto con piacere che abbiamo con noi una nuova studentessa- disse cordiale
-Sì è una mia compagna, si chiama Yame- disse allegra Yuki
Per un attimo ebbi paura. Non appena i nostri sguardi si incrociarono, il mio petto fu colpito da improvvise fitte e si presentò un acuto mal di testa, lasciandomi senza fiato. Istintivamente portai entambe le mani ai lati del capo, gemendo sotto lo sguardo incredulo dei due.
-Ehi Yame, ma stai bene?- chiese preoccupata Yuki
-Si sto bene, mi è solo venuto un forte mal di testa- mentii a denti stretti, mentre il dolore si faceva sempre più forte
Uccidilo…
Sgranai gli occhi, incredula.
Uccidilo… Su, fallo! Ahahahahahahah!
Quella voce, quella risata agghiacciante… La conoscevo. Era quella dell’incubo. Ma perché la sentivo anche ora in pieno giorno? Che fossi in preda alle allucinazioni?
“Che mi sta succedendo?” pensai preoccupata, sudando freddo
-Forse è il caso di accompagnarla in infermeria- propose Kaname, facendo vagare sul mio corpo uno sguardo sospettoso e indagatore
-Le lezioni stanno per cominciare, Kuran. È meglio per te se lasci il resto a noi- disse una voce carica di disprezzo
Inaspettatamente sentii una mano poggiarsi salda sulla mia spalla. Mi voltai, spaesata dalle fitte sempre più intense, e trovai Zero accanto a me, spuntato da chissà dove, che fissava Kaname con odio profondo, ai limiti della ragione, intimorendomi terribilmente.
-Mi fai paura, signor prefetto- disse Kaname con aria divertita, congedandosi da noi e raggiungendo il suo gruppo –Più tardi verrò ad accetarmi delle condizioni di salute della vostra compagna, se non ti dispiace Yuki-
-No, certo che no- disse Yuki, mentre Zero continuava a riservargli uno sguardo rancoroso
Non appena il ragazzo della Night si allontanò, sia il mal di testa che le fitte si afflievolirono fino a quasi scomparire. Tirai un mezzo sospiro di sollievo, ma ancora dovevo carburare quello che mi era appena successo.
-Yame, come va adesso?- chiese nuovamente Yuki, scrutandomi attentamente sia lei, che Zero, alquanto turbati
-M-meglio, mi sento meglio grazie- le risposi sorridendo nervosa
-Sei sicura di non voler fare un salto in infermeria?- insistette, perplessa della mia risposta
-Sì, ne sono sicura. Dev’essere la stanchezza. Probabilmente non ho dormito abbastanza e mi sono sforzata troppo, tutto qua. Tranquilla, non è nulla di cui preoccuparsi-
Invece c’era da preoccuparsi eccome. Non era normale che capitassero cose del genere, all’improvviso, e nemmeno sentire in pieno giorno voci che hai sentito solo nei tuoi incubi. Quello che mi lasciò più incredula fu che ebbi l’impressione che i dolori si facevano più acuti a seconda della mia vicinanza con quel Kaname. Sembrava quasi che ne fosse lui la causa. E poi, perché avrei dovuto ucciderlo? Cosa voleva quella voce da me? Che mi fossi solo immaginata tutto?
Tutti quei pensieri mi stavano sfinendo. Forse ero davvero stanca.
 -Forza, avanti voi, che ci fate ancora qui?! Filate dritte nei vostri dormitori! Non vi rendete conto del fastidio che ci date starnazzando qua e là come galline ogni santo giorno?!- urlò Zero fuori di sé. Le ragazze obbedirono all’istante, correndo via impaurite
-Devo dire che le tue arti oratorie sono impeccabili- commentai ancora dolorante
-Già, peccato che la puntualità non sia altrettanto- disse acida Yuki
-Ah, zitta, mi farò perdonare. E poi, è meglio che vada anche tu, noi qua abbiamo parecchio da fare- disse sbrigativo
-Ho capito, ho capito allora vi lascio- dissi spazientita incamminandomi verso la direzione opposta –Ci si vede-
-A domani Yame!- salutò Yuki raggiante, agitando la mano
-E vedi di riposare- minacciò Zero
Percepii le guance tingersi di un leggero rossore, e, senza voltarmi, ricambiai il saluto con un gesto della mano. Sarei stata molto felice di quelle attenzioni, sì.

 
Se solo la mia mente non fosse stata da un’altra parte.
 
Yame…
Mi chiamò piano una voce. Accoccolata ancora tra le coperte, mi rigirai su un fianco, aggrottando la fronte in un’espressione perplessa, ma tenendo ancora gli occhi chiusi.
Yame… canticchiò di nuovo
Dischiusi leggermente gli occhi. No, non era una voce, ma la voce.
-Cosa vuoi ancora da me?- biscicai, mettendomi seduta
Oh, nulla in particolare, solo affacciarti allo specchio…
-Ma qui non c’è uno specchio- puntualizzai, stando al suo gioco
Sì che c’è. Devi solo alzarti dal letto disse divertita
-E se non volessi farlo?-
Mi renderesti molto triste
-Allora credo proprio che non lo farò- dissi rimettendomi sotto le coperte. La voce ridacchiò divertita. Le lenzuola si tirarono giù di scatto, da sole, mosse da una forza misteriosa.
-Ehi, ma che…?- esclamai sgranando gli occhi
Lo farai invece, perché lo voglio io
E così dicendo, di fronte a me apparve dal nulla un comunissimo specchio.
Coraggio, affacciati
Rimasi ferma, immobile sul letto, guardinga. Ero certa che quello fosse solo un altro di quei miei pessimi sogni, eppure…
Non essere così tesa, pensala ad un gioco
-E come fai a sapere se questo “gioco” mi piacerà?- chiesi sprezzante
Lo so e basta. Ti conosco più di quanto pensi, sai? Conosco anche cose su di te che tu stessa non sai… Per esempio, che fine hanno fatto i tuoi amati genitori
Sentii il corpo irriggidirsi a quelle sconcertanti parole
-Come fai a saperlo?- sussurrai interdetta
Diciamo che lo so, o meglio visto… rispose ridacchiando
Lo stavo prendendo troppo sul serio.
-Che cosa hai visto?- chiesi d’istinto, con nelle orecchie il suono del battito accelerato del mio cuore
Ah-ha non barare. Prima lo specchio…
Strinsi le lenzuola tra le mani, le labbra strette a tal punto da sembrare un filo sottile, la fronte leggermente imperlata di sudore freddo. Ancora tesa e diffidente, obbedii. Mi alzai dal letto, un po’ titubante, e mi incamminai a passo lento verso lo specchio che stagliava di fronte a me.
Brava bambina, ci sei quasi…
Non appena mi trovai lì davanti, vidi nient’altro che il mio riflesso. Voltai la testa indietro, spaziando lo sguardo nel cupo buio della stanza.
-Allora? Tutto qui il tuo “gioco”?- domandai provocante alla voce, il mio corpo stremato dalla tensione che stavo accumulando
Tu sta’ a guardare
Sprezzante, mi rivoltai verso lo specchio, e per poco il mio cuore perse un battito.
La mia immagine era scomparsa, e al suo posto c’era quella di una donna dalla bellezza quasi eterea. Aveva dei lisci capelli di un rosso carminio che le scendevano fin sotto alla vita del corpo armonioso, evidenziando la pelle chiara del delicato viso, dall’espressione indecifrabile. Le labbra erano rosse e piene, ben disegnate, e gli occhi, grandi, erano due pozze nere, con leggere sfumature di un rosso vivo nell’iride. Indossava gli stessi vestiti che avevo in quel momento, e non aveva nulla di spaventoso di per sé.
Eppure, stavo tremando come una foglia.
Stavo sudando freddo.
Il respiro si era fatto mozzo.
Gli occhi la fissavano sbarrati.
Avevo paura di lei.
Sentii dietro di me i passi di qualcuno che si avvicinava, e appoggiò le mani, fredde e sottili, sulle mie spalle. Sentivo il suo respiro sulla cute, e mi fece rabbrividire ancora più.
Yame, ti presento Adhara. Ma, forse tu la conosci già… In fondo, avete molto in comune, come puoi ben vedere… molto più di quanto tu possa immaginare ridacchiò
-C-chi sei tu? Quale è il tuo nome?- sussurai con voce tremante
La figura dietro di me chinò la testa delicatamente, fino a sfiorare il mio lobo, portando le labbra vicine all’orecchio. Guardando lo specchio, vidi alle spalle della ragazza un uomo avvenente e dall’espressione inquietante, il volto, parzialmente oscurato dal buio circostante, era incorniciato da capelli scuri, lunghi e mossi, e da due raccapriccianti occhi rosso scarlatto. La sua bocca si disegnò in un mostruoso ghigno, che mise in evidenza due feroci canini.
Rido
NOTA DELL’AUTRICE:
Oh, eccomi finalmente resuscitata! Perdonatemi ancora l’attesa, rimedierò sicuramente, sempre che mi vogliate ancora ^.^” credo che ora però i miei ritmi dovrebbero farsi più svelti… spero che anche questo chappy (ormai lo chiamo così XD) vi piaccia! Grazie ancora a tutti per il vostro sostegno! Bene ora mi eclisso, alla prossima!
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 8
*** Sospetti e leggende ***


Rido
Il Sanguepuro
Il vampiro tra i vampiri
Il re delle tenebre
Ecco chi mi ero ritrovata alle spalle, di fronte a quello specchio
Ecco chi era la voce dei miei incubi
Nel pieno della notte, quando ancora la luna era padrona del firmamento, mi svegliai per l’ennesima volta di soprassalto, in uno scatto talmente irruento da prendermi il torcicollo. Mi massaggiai dolente il collo, respirando profondamente, passandomi poi stanca una mano sul viso, umido. Ero matida di sudore, e le coperte erano sfatte. Incominciavo a stufarmi sul serio di tutti quegli incubi, sempre più strani e senza senso. Volevo tanto riuscire a dormire per una volta come si deve. Sospirai. Ero veramente sfinita. Ripensai al sogno, e alla ragazza sullo specchio, Adhara, e mi vennero di nuovo i brividi. La rosa dannata. L’hunter assassino. La vampira Sanguepuro. Tutti gli hunter conoscevano la sua storia, il suo volto, e tutti l’avevano temuta ed ammirata. Era stata la prima vampira ad aver saputo maneggiare le prime armi anti-vampiro senza ridursi in cenere. Visse in un tempo molto lontano, agli inizi dell’interminabile battaglia tra umani e vampiri, quando nacquero i primi hunter della storia.
Lei, fu una di questi.
Una di quei Sanguepuro che si ribellarono contro la loro stessa razza, per schierarsi dalla parte degli umani superstiti, allora soggiogati dai vampiri e dai loro miserabili capricci.
Diede corpo ed anima per vedere realizzato il suo ideale di pace. Fu un’autentica eroina, bella, passionale, forte e spinosa come una rosa, tanto da essere considerata la leader tra gli stessi hunter, e, ancora oggi, nessuno di loro fu in grado di eguagliarla. Se c’era lei come guida, ogni cosa sembrava possibile, e tutto filava liscio come sperato. La vittoria sembrava così vicina da poterla sfiorare con le mani.
Un giorno, però, qualcosa inaspettatamente andò storto.
Il suo amato fratello, che aveva sempre lottato al fianco della sorella, fu ben presto soggiogato, catturato da un altro Sanguepuro, e da lui torturato, fino allo stremo. La trappola che aveva creato per la “traditrice” riscontrò successo.
Infatti Adhara, disperata, tentò, da sola, di liberare il fratello, il suo futuro sposo, introducendosi di nascosto nella dimora del vampiro che lo aveva catturato ed incatenato. Il suo sforzo fu tutto inutile però: venne prontamente accerchiata dai seguaci del nemico e, senza poter alzare neanche un dito per non mettere a rischio la vita dell’amato, fu costretta a firmare un patto che l’avrebbe condannata per l’eternità.
La sua vita, in cambio di quella del fratello.
Un semplice e fatale scambio, che lei accettò senza esitazione.
Fu la loro fine, e l’inizio dell’inferno.
Adhara, per un tempo da sembrare interminabile, fu vittima di continui soprusi e torture, le condanne per il suo tradimento verso i suoi simili.
Finchè alla fine, Adhara raggiunse le sponde della pazzia.
Una volta che riuscì ad uccidere coloro che l’avevano imprigionata, sterminò tutti, umani e vampiri, senza fare distinzioni, diventando l’esatto opposto di quel che era: una spietata assassina, spesso alla mercè del suo “padrone”. Anche se il tempo passava ed il suo corpo rimaneva ancora integro, lei in realtà era già morta, così come tutto ciò che aveva faticosamente costruito e in cui aveva ciecamente creduto. Tutto andò in briciole, e allo stesso modo, le speranze degli hunter. Il fratello che tanto aveva amato da sacrificare la propria esistenza, prese l’amara decisione di porre pace alla sua anima straziata, ormai certo di non poterla più guarire.
Fu proprio quella scelta che la portò, finalmente, alla morte.
Il resto, fu storia e leggenda.
Quel vampiro, quel Rido, nel sogno, mi aveva detto che avevo un legame speciale con lei. Quale fosse, per me era un mistero, sul quale rimurginavo con insistenza.
Scossi la testa, dandomi della stupida. Era stato solo un sogno. Punto e basta. Niente pensieri, né preoccupazioni, perchè era tutta una mia fantasia. Eppure esitavo.
Perché mi era sembrato così reale?
Mi alzai dal letto, ancora assonnata, e mi diressi con passo pigro in bagno, desiderosa di rinfrescarmi la faccia ed approfittarne per bere un po’ d’acqua. Quando le fresche gocce mi avevano imperlato il viso, alzai lo sguardo sullo specchio, e vidi qualcosa di sconcertante.
Per un dannato attimo mi sembrò che i polmoni avessero smesso di respirare, il cuore di emettere alcun battito, il corpo di muovere il benchè minimo muscolo. I miei occhi si erano come incatenati di fronte al piccolo specchio. C’era una frase sulla sua superficie, scritta con quello che mi sembrava sangue.
Ricorda, Yame: ormai sei MIA
-No… non può essere vero…- sussurrai incredula. Sperando che stessi ancora sognando, mi stropicciai gli occhi, massaggiandomi le tempie. Non appena li riaprii, diedi di nuovo una fugace occhiata allo specchio: l’inquietante scritta non c’era più. Sollevata, misi le mani tra i capelli e scoppiai in un risolino isterico.
-Bella questa… ora sono quasi certa di stare diventando pazza- dissi tra i risolii –Non  ci siamo, ho bisogno di una boccata d’aria…-

 
Prima di vedermi spuntare fuori dal nulla anche gli zombie
 
Sapevo che quello che stavo per fare era contro le regole dell’istituto, ma avevo il disperato bisogno di farlo. Ne andava della mia sanità mentale. Non appena mi fui finita di vestire aprii la finestra e saltai giù sicura, atterrando sulla morbida erba dell’aiuola con un leggero tonfo. Sollevai  la testa verso la finestra della mia camera: non era molto alta, perciò calcolai che se avessi approfittato dell’albero lì vicino, avrei potuto arrampicarmi e ritornare dentro senza destare sospetti. Passare per i corridoi era imprudente, rischiavo di poter essere vista.
Inspirai a pieni polmoni l’aria fresca della notte, e mi incamminai per il cortile silenziosa e tranquilla, distraendomi ogni tanto alla vista di piante e fiori che non conoscevo. Avevo proprio bisogno di una passeggiata, finalmente mi sentivo rilassata, anche se l’ansia tornava padrona del mio animo ogni qual volta che udivo un rumore strano, che alla fine si rivelava un falso allarme. Che potevo farci? È quello che si prova quando sei consapevole di stare infrangendo le regole… al limite potevi solo essere espulso.
Gironzolando incurante di qua e di là, felice di avere la testa più leggera, non mi accorsi di essermi avvicinata troppo al dormitorio Luna. Mi stavo appena chiedendo come mai le gambe mi avevano portato proprio lì, quando sentii qualcuno sghignazzare eccitato. A giudicare dal tono squillante, dovevano essere delle ragazze… sorrisi sorniona. A quanto pare, non ero l’unica ad aver infranto le regole quella notte. Curiosa, andai ad impicciarmi, ascoltando attentamente le risatine e cercando di capire da dove provenivano, dirigendomi verso di loro. Certa di essere ormai vicina, mi arrampicai agilmente su un albero, per precauzione, raggiungendo uno dei rami più alti ed adatti a reggere il mio peso. Fu così, che le vidi tra le fronde del gigante verde. Eccole lì infatti, qualche metro più in là, due studentesse della Day Class, entrambe accovacciate una di fronte all’altra, intente ad armeggiare con quella che mi sembrava fosse una macchinetta fotografica. Vedendo quanto fossero agitate, e sapendo quanto le ragazze della Day andassero ghiotte dei ragazzi della Night, fu facile per me giungere ad una conclusione.
“Non dirmi che sono venute fin qui, a quest’ora, solo per fotografare di nascosto gli studenti della Night Class?!” pensai perplessa “No, questo è il colmo” fui sul punto di scoppiare a ridere, ma fui distratta dal profilo di una figura poco distante dalle ragazze.
-Mi è sembrato di aver detto che è severamente vietato soggiornare al di fuori del proprio dormitorio dopo l’orario del coprifuoco!- le rimproverò una voce squillante, che ormai conoscevo alla perfezione: Yuki. Questa volta non fui sorpresa di vederla, mi aveva detto che facevano anche le ronde per evitare che succedessero cose come questa.
Le due giovani si voltarono di scatto verso di lei, capendo di essere state colte in flagrante.
-Oh, no! È una della disciplinare!- esclamò una di loro con gli occhi quasi fuori dalle orbite
-Uffa! Devono stare sempre a rovinare tutto!- brontolò l’altra
-Voglio i vostri nomi e le classi, e non aspettatevi alcun trattamento di riguard…ma stai sanguinando?!- esclamò allarmata la guardian ad una delle due
-Oh, si, mi sono sbucciata il ginocchio quando sono accidentalmente inciampata sul brecciolino poco prima…- disse distrattamente la ragazza –Ma riesco a camminare-
-Cavolo, questa non ci voleva- imprecò turbata –Svelte, tornatevene nei vostri dormitori!-
-E perché?-
-Fate come vi ho detto!-
Yuki era molto agitata, si vedeva. Ma cosa c’era da allarmarsi così tanto per un ginocchio sbucciato? All’improvviso la vidi irriggidirsi e girarsi di scatto, tirando fuori dalla gonna un bastone allungabile
-Chi va là?- urlò ostile
D’ un tratto di fronte a lei spuntarono un ragazzo dai capelli castano chiaro con, al suo seguito, quell’Aidoh che avevo incontrato quel pomeriggio al cancello del dormitorio. A quanto pare sorridevano entrambi divertiti.
-Che paura! D’altronde, cosa ci si poteva aspettare dalla figlia del preside?- disse divertito il castano
-Oh mio Dio!S-sono Hanabusa Aidoh e Akatsuki Kain della Night Class!- esclamarono felici le ragazze, arrossendo notevolmente alla vista dei due giovani
“Quindi quello accanto ad Aidoh si chiama Kain…” conclusi
-Cosa ci fate voi due qui?- chiese severa Yuki
-Sei cattiva, Yuki. Abbiamo semplicemente sentito l’odore di sangue e siamo venuti a controllare- disse pacato Aidoh. Chiuse gli occhi ed annusò l’aria, come a gustarsela –Mmm, che buon profumo- commentò lascivo
-Aidoh, ti avverto: se ti azzardi a toccare loro anche un solo capello, giuro che io…-
-Ma di cosa stai parlando?- la interruppe Aidoh avvicinandosi, afferrando il bastone che Yuki teneva minacciosamente davanti a sé –Il delizioso profumo di sangue che abbiamo sentito… era il tuo- continuò afferrandole la mano, sbigottendola.
Aveva ragione. Il suo palmo era cosparso da una grossa macchia scura: stava sanguinando. Strinsi con maggior forza il ramo dove mi ero aggrappata. Il corpo era teso, in allerta. Un umano non poteva fiutare l’odore di sangue da così lontano. Ma un vampiro sì.
-Sai Yuki?- disse sensualmente, chinandosi leggermente verso di lei –Tu mi stai…- continuò portando la sua mano sanguinante vicino alla bocca carnosa –veramente…- leccò con lussuria parte del sangue, facendo trasparire gli orridi canini –…tentando- e, per finire, la morse, senza esitazione, senza riguardi nei confronti delle due povere studentesse lì accanto, sotto lo sguardo taciturno dell’amico e quello sconcertato di Yuki.
Anche io, sull’albero, osservavo la scena con sgomento. I miei sospetti erano fondati: era un vampiro.
-No, non può essere! È un vampiro!- esclamarono le ragazze costernate, spostando lo sguardo da Yuki ad Aidoh, da Aidoh a Yuki, che, riscossa dal momento, provò a dimenarsi dalla presa
-Aidoh, basta, smettila!-
-Di più…- disse lui con voce rauca
-Uh?- disse confusa
-Ne voglio di più… posso prenderlo dal tuo collo?- chiese sfacciatamente cingendola con il suo braccio
Era disgustoso anche il solo guardarlo. La lingua che leccava avidamente la bocca sporca di sangue, gli occhi diventati rosso scarlatto, i canini affilati, ben in vista.
Un mostro, ecco cos’era.
Non sapendo se intervenire o meno, guardai preoccupata le due ragazze, che ormai avevano assunto un colorito cereo. Pochi istanti, e cascarono a terra entrambe, svenute. Lo stupore era stato per loro troppo forte.
-Non ci provare Aidoh, lasciami andare!- protestò Yuki, continuando a dibattersi inutilmente
Sfoggiai un sorriso trionfante quando vidi arrivare Zero e puntare una pistola contro la testa del vampiro.
-È rigorosamente proibito bere sangue entro i confini della scuola. Sentire l’odore del sangue, berlo… finalmente hai rivelato la tua vera natura, vampiro- disse con astio, enfatizzando l’ultima parola. I suoi vibranti occhi comunicavano un odio sconfinato, difficile da descrivere a parole.
Ebbi un pessimo presentimento.
-Zero, no, fermo!- lo pregò Yuki
-Su Kiryu, non ti agitare, era solo un assaggio- disse provocante Aidoh, pulendosi il sangue rimanente sulla bocca con il torso della mano.
Fu la perdita del controllo.
Uno sparo.
Poi il silenzio.
I tre si guardarono intorno, confusi, non capendo cosa fosse successo. Lessi lo stupore negli occhi di Zero quando mi vide davanti a lui. La pistola era fumante, il braccio che la teneva alzato. Aveva sparato in aria il colpo, mancando il bersaglio, grazie a me. Istintivamente mi ero buttata giù dall’albero, correndo a perdifiato verso Zero, afferrandogli il braccio ed alzandoglielo, evitando il peggio.
-Sei stupido per caso? Vuoi farti espellere, o ancora peggio, farti processare?- gli urlai contro adirata, con il fiatone per la corsa
-Yame? Da dove sei sbucata?- disse interdetta Yuki, ora libera dalla presa di Aidoh
-Fiuu, ci è mancato poco- disse lui sollevato. Persa la pazienza, in un attimo gli fui addosso. Gli tirai forte la cravatta rossa, costringendolo a portare il viso alla stessa altezza del mio.
-E tu, sei ancora più stupido di lui!- ringhiai guardandolo furente –Come ti viene in mente di bere sangue in quel modo, di fronte a delle umane!- gli afferrai il viso e lo girai verso le ragazze svenute –Guarda cosa hai combinato con la tua cretinata!-
-Pfff-
-E tu non ridere, Kain! Perché non l’hai fermato?!- lo rimproverai
-Frena un attimo, ma chi ti credi di essere ragazzina?- chiese acido Aidoh, togliendosi la mia mano dalla faccia
-Una che vuole stare ben lontana dai guai!- risposi incrociando le braccia al petto
-Ah, si? Eppure, non dovresti essere qui, tu! Quindi, non sono l’unico ad essere nei guai!- puntualizzò Aidoh
-Questi non sono affari tuoi, Sua Intelligenza- dissi sarcastica, accennando un inchino verso di lui, con l’intenzione di farlo innervosire
-Tu, piccola…!- disse prendendo fuoco
-Hanabusa, modera i tuoi atteggiamenti-
-Nobile Kaname!- esclamò sorpreso Aidoh. Infatti, dietro di noi comparve il seducente capodormitorio della Night Class, serio e composto come lo vidi la prima volta
-Dovresti stare più attento la prossima volta, quell’arma è stata fatta per uccidere creature come noi, non scherzare- gli disse autoritario –Mi prenderò cura io di loro due adesso- disse rivolgendosi a noi –Il direttore vorrà un rapporto completo di quello che è appena successo… vi dispiace?-
-Eh? Che c’entro ora io?- chiese Kain, sentendosi tirato in ballo
-Non hai fatto nulla per fermare Aidoh, quindi sei colpevole quanto lui, Kain- spiegò calmo Kaname
-Per te va bene, Zero?- chiese Yuki, guardando l’amico, che sospirò irritato
-Portali semplicemente via dalla mia vista- sentenziò guardando altrove
-Volete che ce ne occupiamo noi delle ragazze?- chiese gentilmente Kaname
-No, credo sia meglio portarle dal direttore. Ci penserà lui a modificare la loro memoria- riflettè Yuki -Senza offesa, Kaname- disse con un timido sorriso
Sorrise a sua volta –Non c’è problema. Mi dispiace molto per quello che è successo, spero di non aver risvegliato brutti… ma… si sente bene?- chiese preoccupato con un cenno del capo nella mia direzione. Tutti si girarono a guardarmi curiosi.
La verità? No, non stavo affatto bene. Ero sbiancata. Appena quel Kaname spuntò fuori, si ripresentarono le dannate fitte e l’acuto mal di testa, esattamente come quel pomeriggio. Mi sentivo debole, molto debole. Forse per questo ero impallidita. Non riuscivo a tenere a bada quel forte malessere, che peggiorò quando Kaname cominciò ad incamminarsi sospettoso verso di me. Ad ogni passo che faceva, il dolore si faceva sempre più insopportabile, tanto da trasparire sul mio volto, trasfigurato dalle smorfie. Il mal di testa era diventato un continuo, assordante martellare, mentre le fitte erano come delle spade affilate, piantate nel petto senza pietà. Non ce la facevo.
Kaname ormai era ad un soffio da me, e nei suoi profondi, rossastri occhi potevo leggere sospetto e diffidenza, mischiati ad una lieve preoccupazione  e un po’ di spasso. Non si fidava di me, lo percepivo, e si divertiva di ciò. Mascherava tutto sotto i modi gentili ed affabili dei quali i nobili erano soliti. Nauseante.
Io intanto, mi sentivo mancare a quella vicinanza, annaspavo fortemente.
-Hai la febbre, per caso?-
“No che non ce l’ho idiota! E io so che tu lo sai! Vattene via!” pensai spazientita con quel briciolo di lucidità rimastomi, maledicendolo
-Kuran, non…- provò a fermarlo Zero, ma troppo tardi
Mi posò riguardoso una mano sulla fronte, per accertarsi che non ce l’avessi. Il suo tocco era fresco e delicato sulla mia pelle, ma io, dentro di me, sentivo bruciare come in preda al calore delle fiamme. Fu troppo per me.
Sentii il respiro mozzarsi
La vista appannarsi
I suoni si fecero ovattati
Le gambe cedettero come castelli di carte
Feci solo in tempo a vedere il viso di Zero sconcertato, e Yuki che scattava verso di me, urlando il mio nome.

 
E poi, il buio più totale
 
Caffè.
Intenso, amaro, semplice odore di caffè.
Fu la prima cosa che sentii quando mi risvegliai dal mio piccolo coma. Non avevo la più pallida idea di quanto tempo restai senza sensi. Forse ore, giorni. Dischiusi lentamente gli occhi, mettendomi pian piano seduta. Stavo adagiata su qualcosa di morbido e caldo, un letto. Mi guardai intorno, e mi riscoprii in quella che sembrava un’infermeria. I mobili, pieni di medicine ed aggeggi vari per ogni evenienza, erano illuminati dalla luce del sole che filtrava dai vetri delle finestre, dischiuse dalle tende, dando un tocco dorato al cupo marrone del legno. La stanza pareva ancora più luminosa, grazie al bianco candido delle pareti. Sbadigliai, ancora stordita dalle lunghe ore che passai dormendo profondamente. Niente incubi stavolta, e ne fui lieta. Mi riscossi un po’ sentendo il buon odore del caffè farsi sempre più forte, e dall’uscio vidi spuntare il direttore con in mano una bella tazza fumante. Sorrise sollevato quando mi vide, trattenendosi poi dal saltarmi addosso per via di una mia occhiataccia.
-Buongiorno, Yame, vedo con piacere che ti sei svegliata! Come ti senti?- chiese allegro, sedendosi su una sedia accanto al mio letto
-Meglio, molto meglio ora, grazie-
-Menomale, è un sollievo per me… per noi… eravamo molto preoccupati per la tua salute- disse
Abbassai lo sguardo, rattristata. Eccola, di nuovo: quella dolorosa sensazione che mi stringeva il petto. Uno stelo di rovi che si intreccia voglioso intorno al tuo cuore, ferendolo, graffiandolo, avvolgendosi ad esso così fortemente da toglierti la capacità di respirare; e più ti dimeni, più la sua morsa si fa intensa ed incessante. Così mi sentivo. Avevo fatto preoccupare qualcuno, ero stata di nuovo un peso, un disturbo, e ciò mi buttò ancora giù, nelle profondità del mio buio, tra quei ricordi che erano diventati la mia rovina, i graffi sulla pelle creati dai rovi che si erano attorcigliati intorno me. Per quanto mi sforzassi a non provocare disagi, alla fine fallivo miseramente ogni volta. Sorrisi amareggiata, e per l’ennesima volta, ingoiai ubbidiente il boccone amaro, sopprimendo ogni lamento del mio penoso cuore.
-Lo so- dissi triste, con voce roca -e mi dispiace, ma non so come mi sia potuto capitare. È successo così, all’improvviso- tacqui, deglutendo, indecisa, tenendo lo sguardo sulle mie mani in grembo. Non ero certa se raccontargli di Kaname, non volevo farlo preoccupare ancora di più con le mie paranoie, non dopo quello che ora gli avevo fatto. Così, per evitare di causargli ulteriori disturbi, presi la decisione di tenermelo per me, al momento –e poi, dopo essermi sentita male, non ricordo più nulla…- continuai, alzando poi lo sguardo su di lui –Per caso lei sa cosa è successo?- chiesi
-Beh, è semplice…- disse sorseggiando con gusto il suo caffè –dopo che sei svenuta, Zero ti ha preso in braccio e ti ha portato fin qui in infermeria. Era la prima volta che lo vedevo con un chiaro accenno di preoccupazione sul suo viso, mi ha stupito- disse bevendo un altro sorso
-Come?! Zero mi ha portato in braccio fin qui?!- esclamai imbarazzata, sgranando gli occhi, spiazzata da quello che avevo appena sentito
-Sì. Mi ha anche aiutato a spogliarti della divisa, sai, per rinfrescarti: annaspavi molto e scottavi in un modo allucinante… ci hai fatto veramente paura-
-No, un momento, mi ha… cioè, mi avete anche spogliato?!- esclamai ancora più imbarazzata, assumendo un colorito viola
Annuì –Già, e spesso è anche venuto a vedere come stavi, insieme a Yuki, ovviamente… ah, che bravi i miei figliuoli!- disse sospirando, portando una mano sul viso.
Lo guardai come inebetita. Oramai boccheggiavo come un pesce fuor d’acqua, per lo schock
-M-ma quanto ho dormito?-
-Più o meno tre o quattro giorni-
-Cosa?! Così tanti?- urlai sorpresa
-Shh- disse passandosi l’indice sulla bocca –Non ti agitare, riposati ora, che sei ancora debole- mi disse dolcemente, come se fossi stata la sua piccola bambina – Ora dovrei andare, ma prometto che ripasserò più tardi- disse scompigliandomi i capelli –Capisci, no? Normale amministrazione…-
-Sì, certo…- dissi, mentre si alzò. Stava per andarsene, quando si soffermò un attimo sulla soglia
-Ah, quasi dimenticavo…- disse girandosi per guardarmi –questa volta, date le circostanze, voglio chiudere un occhio, ma, se verrò di nuovo a sapere di una tua scappatella fuori dal dormitorio a quell’ora, sappi che non sarò magnanimo come lo sono stato oggi- disse severo, rivolgendomi uno sguardo tagliente
-Ehm, va bene…- risposi nervosa, ricordandomi della mia piccola fuga “illegale”. Se mi fossi trovata in un’altra situazione, credo che a quel punto mi sarei trovata in guai seri. Per una volta, ero stata fortunata, in un certo senso.
Vedendo che avevo afferrato il concetto, il direttore mi sorrise con un’aria un pò stanca ed uscì, sparendo nei corridoi. Non so perché, ma mi sembrò che il direttore quel giorno fosse di umore diverso, più… triste. Non era nel suo solito “stile Kaien Cross”. Mi chiesi se fosse stato in preda a chissà quali inquietudini…
Ancora sovrappensiero, mi posai una mano sulla testa, laddove mi aveva scompigliato i capelli. Le mie guance si arrossirono un poco, ripensando alla sensazione di calore ed affetto che mi aveva procurato con quel piccolo, insignificante gesto. La sua mano mi ricordò molto quella di mio padre, del quale mi si ripresentò forte la mancanza

 
-Cavolo…- bofonchiai

Yame…
Mugugnai, rigirandomi sull’altro lato, avvolta nelle calde ed accoglienti coperte
Sono venuto a trovarti…  canticchiò
“No, ti prego, non di nuovo!” pensai piagnucolando disperata, volenterosa di continuare a dormire tranquilla ed indisturbata. Scocciata, presi il cuscino e me lo misi sulla testa, nella vana speranza di non sentirlo più. Lui, per contro, ridacchiò alla mia reazione, come se si fosse trovato ad assistere allo spettacolo di un buffo pagliaccio.
Suvvia, non sei contenta di rivedermi?  domandò con tono scherzoso
-No- dissi secca da sotto il cuscino
Così mi offendi  commentò, fingendosi oltraggiato  e pensare che ero passato a vedere come stavi…
-E perché? Ti faccio pena? Guarda che sei l’ultimo a cui debba chiedere pietà- dissi acida, ancora con la faccia premuta sotto il morbido guanciale –e poi non ti devi preoccupare, perché non ne ho per niente bisogno, specialmente della tua!-
Uhm, ma come siamo crudeli…
Spazientita, sbuffai arresa, scansando malamente il cuscino e mettendomi seduta –Oh, ma perché parlo con te? Sei soltanto un brutto scherzo nella mia testa!- brontolai, rivolta più a me stessa che a lui
Ne sei sicura?
Alzai lo sguardo, guardandolo dritto di fronte a me, puntando le pupille nei suoi occhi scarlatti. Pensai che quel suo sorrisetto e l’aria da strafottente che aveva ora si intonavano perfettamente sul suo bello e terribile viso diafano
-Che vuoi dire?- chiesi perplessa ed irritata
Senza degnarsi di rispondere, incominciò ad avvicinarsi verso di me, chinandosi lievemente e posando le mani sulla ringhiera del letto, caricandone parte del peso
Sicura… che io sia solo frutto della tua immaginazione?  chiese con una punta di minaccia, e sorrise, mostrando apertamente i suoi canini. Ebbi un fremito lungo la schiena, per tutta la pelle.
-Perché, cosa sei?- chiesi simulando un sorrisetto altrettanto sfacciato
Il tuo padrone
Risi -Non credo proprio. Io non sono il cane di nessuno-
Oh si invece. Sei il mio dolce ed ubbidiente cagnolino  disse ridacciando
-Ti ho già detto che io non sono il cane di nessuno, né tantomeno il tuo- ringhiai
Immaginavo che saresti stata un tipo ribelle… testarda, proprio come la tua adorata mammina…
-Non ti azzardare a mettere in mezzo mia madre! Cosa ne sai tu di lei?!- gli urlai guardandolo furente. Non lo sopportavo. Non sopportavo la sua faccia, quel suo odioso sorrisetto, i suoi occhi, che mi mettesse paura, che mi facesse battere il cuore a mille, che avessi l’istinto di scappare via da lui, il più lontano possibile –Cosa ne sai di loro? Che cosa ne sai di quello che abbiamo passato? Sei solo un sudicio succhiasangue evanescente!- continuai velenosa
Frena, frena tigre, quante domande! Sai Yame, in questo mondo ogni cosa ha il suo prezzo da contrattare. Se vuoi sapere quello di cui sono a conoscenza e toglierti tutti questi dubbi, devi pagare il TUO prezzo.
-E sentiamo, cos’è che vorresti in cambio?- domandai sarcastica. Abbandonò la ringhiera del letto e si mosse ancora più vicino, prendendomi delicatamente il mento tra le mani. Erano fredde come il ghiaccio, proprio come l’altra volta.
Che tu accetti di essere il mio cagnolino per tutto il resto della tua vita  disse suadente, ancorando le sue pupille ardenti nelle mie. Con uno schiaffo, scansai bruscamente le mani dal mio viso, ancora più arrabbiata di prima
-Mai!- gridai decisa, con gli occhi che prorompevano fiamme. Rise di nuovo
C’era da aspettarselo… Oh beh, allora vuol dire che attenderò ancora un po’…  disse avviandosi verso la porta dell’infermeria, lasciandomi alle spalle  ma ti conviene arrenderti. Oggi ho avuto la prova di quanto sperato… sei già mia. Ancora poco, e lo sarai completamente e per l’eternità  continuò euforico
Rimasi completamente pietrificata dopo quelle parole. Avevano qualcosa di terrificante.
-Cosa vorresti insinuare?- chiesi confusa e tremante, fermandolo per un momento. Girò lentamente la testa, mostrandomi un sorriso agghiacciante, maligno.
Dammi retta Yame: stai lontana da Kaname, se non vuoi vedere sparso altro sangue… perché, sai, è facile perdere il controllo…
Detto questo, si rigirò e sparì, in una nuvola di fumo nero, lasciandomi più sconcertata di prima, senza parole e con le palpebre spalancate.
Per quale ragione aveva tirato in mezzo Kaname, ora?
Mi lasciai cadere di nuovo sul soffice materasso, a peso morto, continuando a guardare il soffitto, incapace di riprendere sonno. Lui, le sue frasi, erano per me un enigma, che mi lasciava tra le mani mille dubbi e nessuna certezza. Se volevo trovare le risposte che cercavo, da sola, senza cedere ai ricatti di quella stupida ed insulsa pseudo-immagine illusoria, c’era una sola cosa che potevo fare: consultare gli archivi dell’Associazione Hunter.

 
E dovevo farlo al più presto.
 
La mia dolce permanenza nell’infermeria durò per altri quattro giorni, per ordine del direttore. Ridestata ormai dal mio stato di incoscienza, provai più volte a chiedergli se sarei potuta ritornare a frequentare le lezioni, ma, nonostante le mie innumerevoli insistenze sul fatto che mi sentissi bene oramai, non ci fu ragione di persuaderlo. Diceva che secondo lui ero ancora troppo debole per ritornare ai quotidiani ritmi della giornata. Sebbene non amassi starmene lì ferma con le mani in mano, cercai di prendere la situazione dal lato positivo: almeno, avrei avuto un po’ più di tempo per riposarmi come si deve, e avrei saltato le lunghe e noiose lezioni di economia, che odiavo con tutta me stessa.
Inoltre, ebbi il piacere di scoprire che il direttore non scherzava sulle visite che mi facevano Zero e Yuki per sapere le mie condizioni di salute, addirittura venivano con Yori al seguito. Sinceramente non me lo aspettavo. Restavano lì con me per un po’, raccontandomi di quello che era successo durante la giornata, bisticciando e ridendo a crepapelle. Poi scappavano via, così come erano venuti, per finire di svolgere i perpetui lavori che il loro ruolo di Guardian richiedeva, promettendomi una nuova visita il giorno dopo. Quando rimanevo sola, mi soffermavo spesso a pensare a come riuscii a fare a meno di tutta quell’allegria per così tanto tempo…
Anche se, questi pensieri, andavano contro la strada che avevo scelto.
Durante quei giorni, ebbi altre grane per la testa.
Ero ansiosa, specialmente per una persona: Zero
Non lo trovavo molto in forma, lo vedevo pallido e spossato. I suoi occhi, solitamente di un vibrante viola, erano spenti, cupi, e a volte sembrava avere la testa da tutt’altra parte; e a quanto pareva, nessuno se ne curava, nemmeno lui stesso.
Qualcosa non andava: si sentiva poco bene, lo sapevo, ed ostinavo a chiedermi perché, senza però riuscire a venirne a capo.
Il motivo, lo scoprii solo l’ultima notte.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE:
salve a tutti! Eccomi di nuovo! Si, si lo so direte come al solito che sono resuscitata, e io continuerò a ripetervi che avete ragione, e anche molto -.- ma non posso farci niente, non mi danno mai tregua! D: devo allenarmi ad essere più svelta… ce la farò? Boh, ma lo devo fare per voi, quindi darò il massimo u.u ringrazio tutti quelli che mi seguono: i recensori, i lettori silenziosi, coloro che hanno messo la mia storia tra le preferite e le seguite… vi adoro tutti *.* non sapete quanta gioia mi date!!! Come al solito, perdonatemi errori grammaticali e/o eventuali u.u spero che anche questo chappy vi piaccia ;)
alla prossima cari!
nozomi
 
 
 
 
 
                                                      
 
 
 

 

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Capitolo 9
*** Segreto e complice patto ***


Era una comune serata d’autunno.
Un venticello fresco si faceva strada tra le fronde, delicato, e presagiva l’imminenza del rigido inverno.
Il solenne silenzio avvolgeva ogni rumore, rubando alle creature la musica del mondo.
Le stelle, sospese come miliardi di piccole lanterne lì, in quel vasto, scuro pezzo di cielo, indagavano quiete la vita della notte e il suo scorrere.
E la natura, dormiva serena, aspettando paziente il nuovo arrivo dell’alba.
Sì, era una comune, tranquilla serata d’autunno.
Ma lo sarebbe stata per poco.
Anch’io, come le altre creature fuori da quel piccolo mondo in cui mi trovavo, venivo cullata dolcemente dal torpore notturno, accolta dalla tiepida sensazione di riparo delle morbide coperte, assecondando la sinfonia che si creava tra il battito del mio cuore e il ritmo del mio respiro.
Ma come tanto facilmente le foglie vengono portate via dal vento, anche la mia quiete venne portata via in un soffio.
Un rumore. Un eco di passi e scricchiolii su un vecchio pavimento di legno.
Diffidente, mi alzai dal letto di malavoglia e in punta di piedi mi affacciai sull’uscio, scrutando attentamente nell’oscurità del corridoio, fuori dal campo di luce della luna, che osservava taciturna fuori dalla finestra, tra le tante luci. Strinsi le palpebre, come per vedere meglio. Una figura mi veniva incontro, con un’altra.
Si avvicinarono sempre più alla luce, i contorni si fecero più definiti.
Kaname. Con in braccio Yuki, inerme.
Li guardai con la bocca semiaperta, attonita, immobile.
Non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso, non potevo credere a quel che vedevo:
Lei, coperta di sangue.
Anche lì, vicino al collo, il liquido scarlatto imbrattava la candida camicia del suo rivoltante colore e della sua viscosa consistenza.
L’odore acre di quel peccato rosso aveva contaminato l’intera stanza, arrivando con irruenza fino alle mie narici.
La mia faccia si deformò in una smorfia mista tra il disgusto e il terrore, e mi portai di un passo indietro.
-Che le è successo?- mormorai inorridita
Ma Kaname non mi degnò di uno sguardo, una parola. Aveva gli occhi vitrei, in preda alla sofferenza, che lottavano per soffocare il piccolo barlume di rabbia.
Rabbia provocata dall’atto ignobile di qualcuno, qualcuno che non avrebbe mai dovuto osare.
Sofferenza che si portava dietro un’eternità.
Questo, stava comunicando il suo sguardo, ed io ne fui totalmente stravolta.
Respirai a fondo, presi coraggio. Non dovevo temerlo.
-Kaname, chi è stato?- chiesi di nuovo, ma lui non rispose, continuando a camminare indifferente, come se non fossi lì, come se non esistessi
Entrò in infermeria, con quell’eleganza che ripone in ogni suo gesto, e posò Yuki con estrema gentilezza sul mio letto ormai quasi sfatto.
Ed io, intanto, stavo annaspando per il malore ripresentatosi, e mi appoggiai sullo stipite della porta. Strinsi in un pugno la stoffa della veste, appena sotto il seno.
Le fitte mi stavano rilevando il dimenarsi un qualcosa nel mio stomaco, che lo mordeva, lo graffiava.
-Vuoi dirmi cosa le è successo o vuoi continuare ad ignorarmi?- chiesi con affanno, in preda ad una leggera punta d’irritazione.
Niente. Silenzio.
Che ragazzo irrispettoso.
Stavo incominciando a perdere la pazienza
“Perché mi sta ignorando? Perché si ostina a starsene zitto? Perché non me lo vuole dire? Perché non posso sapere che le è capitato? Non può comportarsi così!” urlai nella mia mente, soggiogata dal dolore fisico, offuscata dal mal di testa. Mi mancava l’aria.
Stavo impazzendo. Di nuovo.
Sentii dei fremiti di rabbia scuotere il mio corpo già scosso.
Un po’ ne avevo paura.
-Allora?- chiesi impaziente
Ancora nessuna risposta, nemmeno un fiato
Strinsi le mani in due pugni, mentre le labbra si facevano due fili sottili
Kaname si girò per guardarmi, avvertendo, però, che stava succedendo qualcosa di strano. Scorse qualcosa corrergli incontro, e, un attimo dopo, cadde a terra, incredulo. Una figura femminile gli era sopra, con delle bianche, snelle gambe a bloccargli i fianchi robusti, mentre dei lunghi capelli color cioccolato scendevano a solleticargli il volto sorpreso, e delle belle mani posate rudi sul suo petto virile. Ma quando alzò lo sguardo, oltre le linee del corpo procace, mal coperto dalla leggera veste, oltre i lineamenti del viso, oltre le labbra piene, rosse, rimase impressionato da due occhi grigi, tanto chiari da apparire quasi bianchi, che lo scrutavano irosi.
In quel momento realizzò chi gli era saltato addosso: ero stata io, presa da una rabbia istintiva, animale, della quale io stessa mi preoccupai. Mi sentivo strana. Percepivo quel “qualcosa” nello stomaco che lottava furiosamente per uscire, incurante della mia carne. Era una pessima sensazione, quasi vomitevole, che per poco riuscivo a tenere a bada. Temetti di non farcela, di finire ferocemente fatta a pezzi da quella cosa che mi stava divorando il petto a suon di morsi
Guardai intensamente Kaname, i suoi occhi, il volto, l’espressione tornata nella sua solita calma languida. Sembrava che aspettasse giocondo la mia prossima mossa. Sentii la “cosa” dimenarsi ancora di più alla sua vista.
-Perché, tu…- dissi con voce roca, aggrappandomi con forza alla sua giacchetta.
Perché quando c’era lui mi si accaniva contro tutto questo male? Che cosa voleva da me? Era lui che mi stava facendo qualche sorta di “incantesimo” per spassarsela, per dilettarsi nel vedermi soffrire? Chi si credeva di essere cavolo, un ipnotico?
Avrei voluto tanto liberarmi di questa frustrazione, di queste domande che mi premevano in gola, ma qualcosa di raccapricciante, di oscuro si stava facendo largo tra le mie membra, strisciando come un serpente attraverso il mio corpo, fino a raggiungere i meandri della mia mente, impadronendosene, approfittando del suo momento di debolezza. Mi stava come contaminando. Non sapevo più che fare. Mi stavo lasciando andare… il mio corpo… non era più… “mio”…
Ero una bambola in mano al mio burattinaio
Mantenendo il contatto visivo, portai una mano sul pugnale, per estrarlo dalla fodera. Potevo percepire il metallo affilato della lama strusciare delicatamente a contatto con il cuoio.
Che stavo facendo?
Forse fu proprio l’ultimo, misero sprazzo di lucidità a salvarmi da quell’astruso contagio, e da quell’atroce pensiero che non mi apparteneva,
“Stai lontana da Kaname, se non vuoi vedere sparso altro sangue… perché, sai, è facile perdere il controllo…”
Al richiamo di quella frase, pronunziata da quella bocca che non volevo ricordare, trasalii, scansandomi spaventata da Kaname, e incollai la schiena al letto. Sentivo il corpo rigido, il petto che si alzava e abbassava velocemente, mentre il cuore batteva talmente forte da farmi male.
Tremavo, nel mio animo.
Osservai sconcertata Kaname che, rimessosi seduto, mi stava scrutando con notevole intensità.
Che avesse capito cosa stavo per fare?
Distolsi volontariamente lo sguardo, percependo con chiarezza il peso di un’ulteriore colpa, di un altro peccato, del quale non mi riuscivo a capacitare, mentre i dubbi, le incertezze lo ancoravano a me come un groviglio di pesanti catene.
Lo sentii alzarsi, e camminare a passo lento verso la porta. Si fermò.
-Se ci tieni così tanto a sapere cosa è successo a Yuki, ti converrebbe chiederlo a Kiryu, lui ne sa molto di più- disse con una punta di astio –E un consiglio: dovresti avere molto più riguardo nei confronti di te stessa. È una vergogna, lasciarsi soggiogare così, perfino per una bestia- aggiunse, svanendo poi nell’oscurità
Incapace in quel momento di trovare un senso logico alle sue ultime parole, continuai a tenere lo sguardo basso, colpevole. Rannicchiai le gambe al petto, stringendole tra le braccia, annegando la vista nella tenue tonalità del pavimento, e soffocando ogni pensiero. Nell’immensità del silenzio, la consapevolezza di quello che stava per accadere poco prima assunse un tono ancora più grave, austero, senza pietà. Divenne ancora più vivida, e terribile. Un groppo mi si formò in gola.
Stavo per ucciderlo. Stavo per uccidere Kaname Kuran.
Premetti a me le gambe con più forza. Mi sentivo smarrita. Sola, in un bosco innevato, in preda a una tempesta, senza la più pallida idea di dove andare, di cosa fare, mentre le ombre, impercettibili, minacciavano i miei passi. Sentii le lacrime pungermi gli occhi; me ne scappò una, scendendo sinuosa sulla guancia imperlata di un leggero color porpora, calda, umida.
“Che mi sta succedendo? Prima Rido, poi Kaname, il malore, ed ora questo… Cosa vogliono da me?”
Mi girai per guardare Yuki, distesa sul letto: nonostante fosse imbrattata di sangue, nonostante l’ orribile notte che doveva aver passato, stava dormendo serena, la pace dipinta sul suo volto ingenuo. Nel vederla, riuscì a trasmettermi un po’ di quella pace, che conservai gelosamente nel mio animo, ben conscia però che di lì a poco, mi sarebbe scappata anche quella.
Sì, perché, oltre alla serenità, se ne erano andate molte altre cose dal mio io, tutte sfumate in quella serata degli orrori, nella durata di un secondo.
Il puzzle non era più tale, il disegno non era più completo ora. Avevo perso molte delle mie tessere, e dovevo ritrovarle.
Udii Yuki mugugnare, e dalle labbra sospirò qualcosa che catturò la mia attenzione:
-Zero…-
Mi venne da ripensare a quello che mi disse Kaname, azionando di nuovo i meccanismi nel mio cervello stordito.
Già, cosa c’entrava Zero?
E mentre l’odore dolciastro e metallico del sangue di Yuki impregnava intenso e violento la stanza, sovrastando su tutti gli altri, il pallido astro appena lì fuori continuava ad osservare silenzioso noi povere creature dannate, conscio di essere stato l’unico testimone dell’ imperdonabile in quella notte traboccante di un peccaminoso color cremisi.
 
Inesorabile, il tempo continuava a consumare ingordo la placida notte, incapace di saziare la sua fame.
Ogni rumore era stato inghiottito dal silenzio, glaciale, crudo; nell’istituto serpeggiava il nulla.
Gli studenti, nelle loro stanze, continuavano a vivere i loro sogni, rilassati dalla calma del loro stesso respiro.
Nel frattempo, due strane conversazioni si stavano plasmando tra le mura di un certo ufficio e quelle di una fredda stanza…
-Kaname, non credo che sia una buona idea…- disse timoroso il direttore, riaggiustandosi gli occhiali sul naso
-Direttore, lei sa quanto la rispetti e quanto appoggi i suoi propositi di pace, altrimenti non avrei mai pensato di iscrivermi a questo istituto, ed è per il bene di questa idea di armonia, che è fondamenta di questo edificio, che avevo deciso di chiudere un occhio sulla questione. Ma adesso stiamo superando il limite- disse Kaname, appoggiandosi sulla scrivania in legno di noce dietro la quale sedeva il direttore, illuminato dalla flebile luce della lampada poggiata nell’angolo lì accanto. Lo guardò dritto negli occhi, mentre la rabbia e la preoccupazione per la sua amata Yuki gli stavano facendo perdere la capacità di autocontrollo. La sua mente non faceva altro che proiettargli sprazzi di quello che poteva essere accaduto: il volto di lei trasfigurato dal dolore e dalla paura, mentre quello di lui annegava nei suoi capelli, stringendo a sé il suo corpicino, con violenza, concentrato a prendersi ogni goccia di ciò che faceva parte della sua unica ragione di vita; il rumore del dolce sangue che scorreva nella sua avida bocca gli rimbombava nelle orecchie, assieme ai gemiti della sua Yuki. Era la sua Yuki; eppure quella sera si era ritrovata tra le braccia di uno che non era lui. Non riusciva a perdonarselo. Lo faceva impazzire.
Kaien sospirò –Kaname, capisco quanto tu sia preoccupato, ma prova anche a metterti nei panni di…-
-Preside, sa chi era la vampira che undici anni fa sterminò i Kiryu?- lo interruppe Kaname, la sua voce bassa che gli vibrava irritata dal profondo delle corde vocali.  L’altro ammutolì, limitandosi a scrutarlo dietro le sottili lenti dei suoi occhiali.
“Certo che lo so. Come avrei mai potuto dimenticarmi tutto quel sangue, quell’odio che sgorgava copioso dai suoi innocenti occhi?”
Avrebbe tanto voluto dirglielo, ma il suo corpo non sentì ragioni. Restò immobile, aspettando il resto.
-Era una Sanguepuro, esattamente come me. E, come lei ben sa, quelli come “noi” possono infliggere la peggiore delle pene per gli umani. Basta un solo morso, e diventano vampiri. Se sono abbastanza fortunati, perdono la vita nel giro di pochi minuti, avvelenati; ma, se riescono a sopravvivere, allora gli verrà riservata una lenta agonia, che nessuno può immaginare, trasformandoli nelle bestie che noi siamo. Da lì, non c’è più possibilità di tornare indietro: a poco a poco il loro istinto di vampiro prenderà il sopravvento sulla ragione, e perderanno il senno. A quel punto, non potranno più saziare la loro sete, e reclameranno altro sangue. Cominceranno ad uccidere, senza sosta, senza rimorsi- premette con forza le sue esili dita sul legno, lasciando profondi solchi sotto la loro scia. Piccole schegge violarono la carne, mostrando piccoli graffi e deboli gocce di sangue. L’iride dei suoi occhi mutò in un minaccioso color cremisi
-Sto parlando dei livello E. Zero è stato morso dall’ultima Sanguepuro dei Hiou, ed è sopravvissuto. La trasformazione si è ormai completata, ne abbiamo avuto la prova questa sera. Quanto ancora vorrà aspettare prima che degeneri? Vuole lasciare che i suoi studenti rimangano esposti a un tale pericolo?- continuò duro
-No, certo che non lo voglio- ammise Kaien, aggrottando la fronte in un espressione crucciata
-Allora le conviene considerare attentamente l’idea di trasferirlo nella Night Class, ora-
“Lo voglio lontano, lontano da lei
Il direttore abbassò lo sguardo, pensieroso. Cosa fare? Pensare all’incolumità degli studenti, o ai sentimenti del suo adorato figlioccio? Chiuse gli occhi, sospirando arreso
-Zero non me lo perdonerebbe mai, ma suppongo non ci sia altra scelta…- sussurrò
-Sono lieto che lei abbia capito-
Per un effimero lasso di tempo, che sembrò perdurare per un’eternità, i due rimasero a fissarsi taciturni, ciascuno perso negli intricati sentieri del proprio pensiero, immersi in oscuri segreti, repressi in quel pugno di carne e sentimento che chiamavamo cuore.
-Direttore, ci sarebbe un’altra cosa della quale desidererei parlarle…-
-Dimmi, Kaname-
-Si tratta della nuova arrivata… Yame Minashigo-
Il direttore si irrigidì –Cos’è che ti preoccupa?- chiese con una nota di titubanza, perché sapeva benissimo che, qualunque fosse stata la risposta, non gli sarebbe affatto piaciuta. Kaname posò lo sguardo oltre il vetro della finestra che dava sul cortile ben curato, sui lineamenti perfetti della candida luna
-Quella ragazza è pericolosa- esordì, quasi in un sussurro
-Come fai a dirlo?-
Kaname tornò a fissare il direttore
-Adhara… forse questo nome le dice qualcosa?- chiese provocante il Sanguepuro, mentre l’altro impallidiva sotto i suoi occhi –Questa sera, quando ho portato Yuki in infermeria… ha cercato di uccidermi- rivelò
-Cosa?!- esclamò il direttore sconcertato
“No, non può essere… che sia… di già…?” pensò allarmato
-Ha capito bene, e ciò che più mi incuriosisce è che in quell’attimo sembrava non fosse più lei. Non so se mi spiego… sembrava fosse, in qualche modo, posseduta- disse avvicinando il volto a quello del preside –E ho ragione di sospettare che i suoi improvvisi malori non siano per niente casuali. Coincidenza poi, per chissà quale strana ragione, avvengono sempre in mia presenza. Non pensa anche lei sia insolito, direttore?- continuò pacato. Il direttore incurvò la bocca in un sorriso teso e sospirò, rassegnato di fronte alla perspicacia del giovane vampiro.
Tana.
-Immaginavo sarebbe stato difficile ingannarti Kaname… Bene, se vuoi accomodarti…- disse facendo un cenno ad una delle sedie di fronte –ti potrò spiegare tutto quello che c’è da sapere. Devi promettermi però- disse in tono grave, trafiggendolo con uno sguardo penetrante –che tutto ciò che sentirai qui dentro non dovrà mai uscire da queste mura, intesi?-
-Ma certo, signor preside-
“Sento che Talya mi squarterà vivo quando lo saprà…”
-Perfetto- esordì compiaciuto, scacciando dalla mente quella brutta prospettiva -Allora, devi sapere che…-
Intanto, nell’ala opposta…
-Cosa?! Quindi Zero… è un vampiro?!- esclamai sconvolta,con gli occhi sbarrati
-Sì…- confermò sconsolata Yuki, abbassando le iridi color cioccolato sulle lenzuola dell’unico letto dove eravamo sedute
-Ma come è possibile?- domandai indignata, guardando affranta la vistosa fasciatura sul suo collo, pensando a quanto deve aver sofferto. Quando la curai appena sveglia, potei constatare che l’aveva morsa con violenza. Le aveva lasciato dei profondi segni. Doveva essere stato molto affamato.
Yuki scosse piano la testa, facendo oscillare i morbidi capelli -Non lo so…-
Mi passai stizzita una mano nella mia folta chioma bruna. Ora il quadro tornava chiaro: gli occhi spenti, la testa tra le nuvole, il pallore… erano i segni del suo disperato tentativo di reprimere la sete. Aveva cercato di trattenersi il più a lungo possibile, ma evidentemente quella notte la situazione gli era sfuggita di mano. Volsi assorta lo sguardo oltre la finestra, focalizzandomi sulle finestre del dormitorio, illuminato dalla tenue luce notturna. Chissà cosa stava facendo adesso… Scommetto che anche lui doveva aver sofferto molto. Immaginavo che non era affatto facile convivere con una tale certezza nell’animo, ed essere obbligato tenertela solo per te.
Ma il punto era: come avevamo fatto a non capirlo prima?
Era su questo che continuavamo a riflettere, più do ogni altra cosa, nel tentativo di assimilare per bene la sconcertante rivelazione.
Per Yuki, chiederselo era più che plausibile: quattro anni vissuti insieme come fratello e sorella, e lei non si è mai accorta di nulla, e il fatto che lui non glielo aveva mai detto le faceva ancora più male, perché in una famiglia non ci dovevano essere segreti.
Mentre io… beh, non facevo altro che ripetermi che ero un’idiota. Per un hunter è una vera umiliazione non essere capace di riconoscere un vampiro che ti passa sotto il naso. Era inconcepibile, perfino per un’apprendista. Però, l’aver scoperto che Zero era una di quelle bestie mi aveva veramente sconvolta. Non mi sarei mai aspettata che un tipo come lui fosse uno di loro… un ragazzo che discendeva da una famiglia di prestigiosi hunter, e che lo è diventato grazie ad un intenso e arduo addestramento. Un hunter-vampiro. Chi se lo sarebbe mai immaginato?
Posai lo sguardo sulle mie mani in grembo. In tutta questa faccenda, c’era una cosa che mi rendeva perplessa: ripensavo continuamente a quel limpido sguardo ametista traboccante d’odio che aveva riservato ad Aidoh e ai suoi compagni poche ore prima, alla mano ferma stretta attorno alla pistola, deciso più che mai a premere il grilletto… era pronto ad uccidere uno come lui, un suo confratello. Perché?
I miei furono uccisi da un vampiro quando avevo undici anni…
Che sia questa la ragione del suo rancore?
E la Night Class… cosa era veramente? Erano davvero solo semplici studenti? O i sospetti che nutrivo nei loro confronti avevano un fondo di verità?
-Ehi Yuki…-
-Sì?-
-La Night Class… sono vampiri anche loro, non è vero?- chiesi distrattamente, tenendo lo sguardo fermo sulle mani intrecciate
-Eh?! M-ma no! Cosa te lo fa pensare?!- esclamò agitata, ridendo nervosa –E-e poi, pe-perché dovresti chiederlo a me? I-io non ne so niente…- concluse, ancor più tesa sotto le mie occhiate ambigue.
A quanto pare, avevo fatto centro.
-Oh, eccovi qui! Non mi sarei aspettato di trovarvi già sveglie!- squillò una voce
Ci voltammo di scatto, sorprese, stanando l’intruso del momento: il direttore
-Allora, come vi sentite?- chiese allegro, entrando
Alzai gli occhi al cielo -Oh, alla grande!- commentai amareggiata –Come si sentirebbe lei dopo aver scoperto che un suo compagno è un vampiro?- chiesi sprezzante.
-Ecco, beh, immagino non tanto bene- ammise grattandosi la testa, sorridendo imbarazzato
-Ma come è sagace!- esclamai sarcastica
Molto probabilmente non mi sarei rivolta a lui in modo così acido, se solo mi fossi trovata in un’altra situazione. In quel momento, mi sentivo esattamente come una bolla di sapone: leggera, fragile, che scoppia al minimo tocco con la sua scintillante superficie acquosa, svanendo nell’aria. La mia bolla, quella rivestita delle mie emozioni, delle mie certezze, era stata toccata, distrutta, lasciandomi on semplice, fatale “pof”. Ora le sentivo galleggiare dentro di me, le mie adorate, travolgenti  emozioni. Scorrevano libere attraverso il mio corpo, lo scuotevano, lo turbavano senza riguardi, senza barriere a fermarle. Mi sentivo fuoco che brucia, che corrode. Ero un vulcano in eruzione.
Crudele, il destino, vero? Entità capricciosa ed egoista, privilegiata di tenere d’occhio i fili della nostra vita. Il mio, doveva averlo tagliato da un bel po’.
Guardai il direttore avvicinarsi a Yuki con fare premuroso, accarezzarle dolcemente una guancia, chiederle come stava, se aveva paura. Mi ricordò gli stessi gesti che faceva mio padre, quelle volte che avevo avuto gli incubi o mi sentivo triste. Ricordi che per me erano come i caldi baci del sole in primavera, come le fresche gocce di rugiada sui petali di un bocciolo di rosa. Rimasi lì in silenzio, imprigionando, invidiosa, quelle tenere immagini nel grigio delle mie iridi, cercando disperatamente di dare un contegno alla mia tempesta interiore. Tirava un forte vento, gelido e turbolento, tra le vele del mio cuore.
Avrei forse dovuto confessargli che ero stata in procinto di uccidere una persona?
Chissà come avrebbe reagito… forse penserebbe che sia diventata pazza.
Le labbra rosee di Yuki si dischiusero, tessevano i suoni in parole; ma io non le sentivo. Era come se mi fossi smarrita in una folta nebbia, accerchiata dalle mani ripugnanti delle ombre. La visione di me stessa, che tiravo fuori il pugnale si era ripresentata cruda nella mia mente, diventando un chiodo fisso, tanto che mi sembrava di vedere la scena ripetersi davanti ai miei stessi occhi. In quella notte, non seppi più chi fossi, e ciò mi terrorizzava, mi confondeva. Potevo solo aggrapparmi ad un nome, il mio nome, l’unico frammento rimasto della mia identità, l’unica cosa che mi impediva dall’essere semplicemente nessuno. L’indispensabile scatola che custodiva la mia vera essenza, tutto ciò che rendeva me… beh, me.
Avevo la scatola, ma ero priva del prezioso contenuto.
Esiste cosa peggiore che perdere coscienza di sé stessi?
“Patetico” pensai con disprezzo, provando una fitta in pieno petto
-Come sta Zero?-
“Già, chissà cosa starà provando ora…”
-Sembra si sia un po’ calmato ora, lo abbiamo accompagnato nella sua stanza…-
“Deve sentirsi smarrito, proprio come me…”
-Mi dispiace molto Yuki, per avertelo nascosto per tutto questo tempo-
“Ah, le sento, le sento magnificamente: la tristezza, lo sconforto… che egoisti. Si stanno preoccupando solo dei propri sentimenti, non stanno neanche tentando di immaginare come si possa sentire lui, che, adesso, me lo immagino bene, sarà rimasto seduto ai piedi del letto, incurante del suo aspetto trasandato, con lo sguardo perso nel candore del soffitto della sua stanza. Non penserà a niente, lo so, perché la sua anima si sarà ridotta in una massa di sangue e cenere, bruciata dai sensi di colpa che lo staranno dilaniando come gli artigli di feroci belve.”
Finalmente hai rivelato la tua vera natura, vampiro
Chiusi gli occhi, angustiata
“Lo so Zero, lo so, perché ho compreso che odi i vampiri con tutto te stesso, anche se sei uno di loro. Non ne puoi fare a meno”
-Come potevo sapere che Zero era un vampiro?!- urlò angosciata Yuki. Era arrabbiata. Con lui, con sé stessa, ed era delusa. Un gusto amaro le ricopriva la bocca, oltraggiando il delicato sapore del gelato alla fragola che sempre aveva.
Erano sensazioni che non si addicevano per niente alla piccola ed innocente Yuki; sensazioni che dimenavano il suo gioioso spirito come un ramoscello scosso dalla furia del vento.
“Oh, Yuki, ti prego, prova a capire…” pensai guardandola addolorata
-Per gli ultimi quattro anni…-
-Non avresti mai potuto, mia adorata Yuki, perché Zero era un umano, prima di quattro anni fa…-
Sentii il sangue gelarsi. L’intera stanza, sembrava ora vittima della morsa del ghiaccio, sovrastata da un’innaturale silenzio. Alzai lentamente lo sguardo sul direttore, incredula a quello che le mie orecchie stavano per sentire. In un effimero istante, capii dove voleva andare a parare.
“No, non è possibile…” riuscii solo a pensare
-Quattro anni fa, la famiglia Kiryu fu attaccata da un vampiro. Zero fu l’unico sopravvissuto a quella strage-
“Proprio come mi aveva raccontato lui…” 
Yuki continuava a guardarlo guardinga, spaesata. Stringeva con forza la ruvida stoffa della gonna in due pugni, timorosa di scoprire il seguito.
-Apparentemente, era sano quando lo trovai, finché non scorsi i segni di un profondo morso sul collo-
Un brivido ci colse alla sprovvista. Attraversò l’intero tratto della nostra schiena.
Era proprio come credevo?
-È  sempre stato un umano, ma ora è un vampiro? Che sia… per via del morso?- tentennò Yuki, con voce tremante. Il direttore la scrutò per un momento, tremendamente serio.
Sicuri che era lo stesso Kaien allegro e saltellante?
-Yuki, tu non credi alla leggenda che chi viene morso da un vampiro, si trasforma in uno di essi, vero?- chiese piano –So che è incredibile, ma è vera. I vampiri possono cambiare la natura degli umani. Fanno parte di una cerchia ristretta, vengono definiti…-
-Sanguepuro- terminai con un sussurro
-Sì Yame, proprio loro- confermò il direttore, sospirando –Ma non ti devi preoccupare, Zero non è uno di loro, perciò non diventerai un vampiro Yuki- continuò con fare paterno
Guardai con apprensione Yuki: appena il direttore aveva finito di raccontarci cosa c’era dietro il passato di Zero, lei aveva abbassato lo sguardo, ostinandosi a guardare le mani frementi, come sconfitta dalla gravità dei fatti, impallidendo, mentre gli occhi le si erano fatti acquosi e le gote si erano arrossate. Doveva essere stato un duro colpo per lei, ancora più che per me, dato che ero già a conoscenza di quell’orrida diceria. Stava soffrendo molto, le si leggeva in faccia, e né io né il direttore sapevamo cosa fare per sollevarla da quello stato pietoso.
Avrei tanto voluto aiutarla, se solo non mi fossi ritrovata intrappolata nel suo stesso dannato stato confusionale.
Sentendosi evidentemente a disagio in quel clima infausto che si era creato, il direttore si congedò da noi pochi minuti dopo, lasciandoci sole nella piccola e fredda infermeria.
-Yame, ricordati l’addestramento di domani! Si comincerà alle sette della mattina, intesi?- cinguettò prima di andarsene, e dissi addio alla mia opportunità di riferirgli quanto accaduto con Kaname. Fu come rimanere con in mano una mela marcia.
Non saprei dire per quanto tempo restammo in silenzio in quella stanza, tentando di riassemblare i pezzi di un puzzle sconquassato; ma ricordo bene cosa accadde dopo.
-Yame…- mormorò Yuki, che ancora aveva lo sguardo basso
-Sì?- la spronai gentilmente
-Potrei… chiederti un favore?- chiese con voce flebile, colma di sconforto
-Spara pure!- risposi subito, sorridendole con fare materno, procurando un timido sorriso sulla bocca di lei, che poi scomparve nel giro di un secondo. Fece un profondo respiro, come per farsi coraggio a rivelarmi quello che stava per chiedere
-Se è così allora, ti chiedo per favore… prenditi cura di Zero- disse in un fiato, guardandomi dritta negli occhi con fare implorante –ti affido le sue cure- continuò, mentre gli occhi le incominciarono a inumidirsi. Il suo tono era incredibilmente deciso, ma ancora ostentava una nota di tristezza. La fissai stordita, come se avessi appena visto un Kaien felice gironzolare in mutande, con le guance improvvisamente arrossate.
-Yuki, non capisco, che intendi dire?- le chiesi confusa
Lei chinò la testa, e strinse gli occhi
-Zero è sempre stato un tipo taciturno e di poche parole, dai modi freddi, che raramente dimostra gesti di affetto a qualcuno. A prima vista, il suo volto sembra quasi una maschera: impassibile, priva di emozioni, e non esterna mai i suoi veri sentimenti. Ma io so quanto in fondo è sincero. So che si costringe a tenere il suo cuore in una fortezza di ghiaccio, dalla quale ha sempre cercato di tenermi fuori, per quanto abbia provato ad entrarvi. Mi sono sempre presa cura di lui, fin da quando, quattro anni fa, varcò la soglia della nostra casa. Ancora non riesco a comprendere per quale motivo ho deciso di farlo. Forse fu nel momento in cui i nostri sguardi si incrociarono per la prima volta, davanti a quella porta. Non avevo mai visto tanto odio negli occhi di un bambino, ma a vederlo sembrava così fragile che ebbi paura andasse in mille pezzi se l’avessi anche solo sfiorato. Ricordo che ebbi una tale premura verso di lui, della quale io stessa mi stupii. Credo che nacque da lì il desiderio di proteggerlo. Volevo riuscire a sciogliere quel ghiaccio dove si tiene imprigionato, per non farlo sentire solo, per fargli capire che, volente o no, gli sarei sempre stata accanto, a sostenerlo. Però, non appena credo di aver fatto un passo in più verso di lui, mi accorgo che, in realtà, ne ho fatto uno indietro. Ora lo capisco più che mai. Si è portato questo peso per quattro lunghi anni, si sarà sentito solo, impaurito, tormentato da una sofferenza così grande, e io cosa sono riuscita a fare? Niente, un bel niente!- urlò infine, sull’orlo delle lacrime –Stupido Zero! Perché decide sempre di fare tutto da solo?!- imprecò, stingendo la presa sulla gonna
-Yuki- la chiamai prendendole le mani –tu non hai alcuna colpa, non c’è bisogno di crogiolarti così- la rimproverai dolcemente, guardandola dritta negli occhi, che teneva ancora bassi –è stata una sua scelta- sentenziai
-E invece no Yame!- sbottò, liberandosi in modo brusco dalla mia presa. Mi scoccò un’occhiata arrabbiata –Mi ero promessa che avrei avuto cura di lui, e ho fallito! Nonostante tutto il tempo trascorso insieme, lui non si fida ancora di me, mi tiene lontana da lui! Ecco perchè ti sto chiedendo questo favore Yame! Sei l’unica persona che conosco in grado di farlo!- esclamò risoluta
In preda dall’incredulità, la fissai per un lungo momento, taciturna. I suoi grandi occhi marroni, così limpidi e sinceri, trasmettevano una grande determinazione, quella di chi è fermamente convinto delle sue scelte. Come poteva essere così sicura che ero io quella adatta a questa sua disperata richiesta d’affetto? Forse stava sbagliando persona. Io portavo solo sofferenza, disagi, per tutti coloro che mi si avvicinavano. Per questo non ho mai instaurato legami troppo forti. Anzi, non ne ho instaurati quasi per niente. Stava sbagliando decisamente persona.
-Perché? Perché io?- mormorai abbassando lo sguardo, malinconica –Come fai ad esserne così sicura?-
Notando il mio sconforto, stavolta fu lei a cercare di rincuorarmi con uno dei suoi dolci sorrisi
-Ne sono sicura perchè penso che voi vi possiate comprendere più di chiunque altro. Possedete un legame speciale, me lo sento- rispose sfregandosi gli occhi lucidi con il dorso della mano
Le rivolsi un sorriso beffardo, ridendo ironica davanti a quell’affermazione che, se fossimo stati in una favola, sarebbe stata più che perfetta.
-Chi sei per caso? Una sensitiva?- la sbeffeggiai bonaria
-No, ma diciamo che certe cose si possono indovinare facilmente, se si presta attenzione- disse in tono misterioso, sbocciando in un sorriso malizioso, privo di cattive intenzioni
-Ora facciamo pure gli Sherlock Holmes, eh?- scherzai scoccandole un’occhiata indispettita
-Non sarebbe male- commentò lei stando al gioco
A quel punto scoppiammo in una grossa risata, dimenticandoci per un attimo, anche se breve, la tensione ed i cattivi pensieri provocati dalla sorte avversa. Eravamo serene, mentre la testa si estasiava della sensazione di vuoto, del brio. Era come se nulla in realtà fosse accaduto: non ci trovavamo in un letto d’infermeria, ma sedute di fronte al tavolo della nostra camera; Zero non era un vampiro, ma un comune ragazzo della scuola del quale parlavamo spesso, perché infatuate; dei vampiri, non sapevamo neanche che esistessero, perché frequentavamo un comune liceo, dove eravamo capitate nella stessa classe; vivevamo con tranquillità, perché sapevamo di avere una famiglia che ci avrebbe dato aiuto e conforto quando ne avremmo avuto bisogno.
Sì, era una bella realtà, quella che la nostra fantasia accarezzò solo per un istante. Ma era un’illusione. Incantevole ed invitante, ma pur sempre un’illusione.
E, si sa, le illusioni purtroppo hanno vita breve.
-Allora, accetterai la richiesta di questa penosa ragazza?- chiese Yuki, sfregiandosi di un sorriso amaro, riportandoci così tra le spire dell’efferata realtà.
Non le risposi. Mi limitai ad alzarmi dalla branda, mentre lo scricchiolio della rete arrugginita attutiva l’echeggiare dei miei passi, e mi avvicinai cauta alla finestra, osservando assorta il paesaggio notturno, quasi come se ne fossi ipnotizzata. Regnava sovrano, il silenzio.
Quello che mi proponeva Yuki poteva essere la mia prima occasione di riscatto, una di quelle che tanto speravo di avere. Poteva essere l’inizio della mia scalata nel purgatorio. Ma ero lì, esitando a pochi centimetri da quel sottile e terso strato di vetro che mi separava dal mondo di fuori, quel mondo che pazientemente mi aspettava fuori da questo piccolo paradiso, pronto ad inghiottirmi con la stessa voracità di uno spaventoso buco nero. Temevo di non essere pronta, di finire per commettere un’altro tremendo sbaglio. L’ennesimo della mia vita.
Inoltre, stavamo parlando di Zero, non di un certo Lucignolo del paese dei balocchi.
Non biasimavo affatto la sua scelta. Dopotutto, fu la stessa che feci anche io, anni addietro, sebbene con qualche dettaglio di piccola rilevanza. Ora potevo comprendere per quale motivo Yuki non riusciva a capire: Zero spesso non esternava i suoi pensieri e le sue emozioni non perché non si fidasse di lei, ma piuttosto per proteggerla da sé stesso. Il massacro dei Kiryu lo aveva spinto a rinchiudersi in una fredda e spoglia prigione, a darsi in pasto al dolore e al rimpianto, pur di non condividerli con altri. La consapevolezza del suo divenire vampiro poi, doveva aver ancora più incupito la sua condizione. Se prima si crogiolava per non far soffrire altre persone per colpa di un suo misero momento di debolezza, ora lo faceva perchè si considerava lui stesso un flagello, una cosa che non avrebbe dovuto avere neanche il diritto di esistere, o peggio, di nascere. Così l’odio che provava per i vampiri, lo aveva portato ad odiare anche sé stesso. Proprio perché non voleva minacciare lo scorrere tranquillo della vita delle persone con la presenza di una creatura immonda quale si riteneva, che decise di allontanarsi dalla gente, evitando ogni contatto grazie all’aiuto di quella maschera d’indifferenza che sempre indossava, aspettando ansioso il momento in cui la sua amara e disonorevole esistenza avrebbe avuto incisa la parola “fine”.
Una mente semplice ed aperta, e forse anche un po’ ingenua, come quella di Yuki non avrebbe mai potuto afferrare tutto ciò, nemmeno con dei banali disegni. Però, era riuscita ad intuire una cosa importante: Zero si rifiutava di lottare, desiderava rimanere solo. Si stava arrendendo allo spietato destino.
Disgustoso destino che, prima o poi, si sarebbe dilettato nel trangugiarsi lentamente la sua anima, fino a che non si sarebbe portato via anche il suo ultimo soffio di vita.
Annegai lo sguardo nell’abisso celestiale, scivolando nelle tetre sfumature del cielo, incappando in una circonferenza perfetta, dotata di un magnifico candore e splendente quasi quanto il sole dorato. È di un fascino accecante, la luna. Così piccola a vederla, ma di una potenza straordinaria. Apparentemente succube della sconfinata oscurità del cielo e di quella immensa ed infinita del segreto aldilà, lei continua a splendere, opponendosi con tenacia alla morsa del buio; e più questo pare ingigantirsi fino ad inghiottirla, più il chiarore che lei emana si fa fulgido, quasi abbacinante. Si rifiuta di soccombere, e lotta fino allo stremo, avvolgendo ogni cosa con il suo niveo abbraccio di luce. In quel momento pensai che Zero forse avrebbe dovuto imparare da lei, da quel bellissimo astro, perché reagiva e basta, incurante delle sue dimensioni o della grandezza del suo oppositore. Era conscia di avere uno scopo, un posto in quel vasto ordine divino, e lo difendeva con tutto il suo splendore. Doveva capire che anche lui aveva uno scopo in questo dannato mondo, una ragione per esistere, non importava quale fosse. È su questo concetto che si fonda la nostra vita. Esistiamo per indagare sul motivo della nostra stessa nascita, per poi andare a scovare la nostra ragion d’essere, ciò cui siamo destinati, o cui vogliamo destinare. Anche gli assassini, o i ladri, possono avere uno scopo. Anche i vampiri. Facciamo tutti parte di un disegno completo, al quale non possiamo mancare, o nascondere. E se questo Zero non l’avesse compreso, allora me ne sarei occupata io, a farglielo entrare in testa. Ad ogni costo. L’avrei fatto per lui, e per Yuki. Compresi che era meglio agire e sbagliare, che starmene con le mani in mano mentre altri soffrivano sotto i miei stessi occhi. Meglio uno sbaglio da riscattare, che un rimpianto da compiangere.
Mi girai verso Yuki, che con paziente quiete aspettava il mio responso, seduta sulla branda. La vidi osservarmi con attenzione, mentre una piccola speranza scintillava vivida nelle sue pupille, colpita dai fasci della luna. Ricambiai l’occhiata con un’espressione dura, per poi sfoggiare la mia migliore aria di sfida, quella dove pensi di poter già assaporare il gusto dolce e intenso della vittoria, e le tesi la mano, forse troppo sicura di saper giocare bene le mie carte
-E va bene, ci sto!- ruggii, scatenando così la trascinante gioia di Yuki, che con un irruento scatto di reni si alzò dalla branda, saltandomi addosso per abbracciarmi, cogliendomi alla sprovvista.
Oramai non mi importava più nulla. Avevo un dovere al quale adempiere, una promessa da rispettare. Un patto per il bene di qualcuno; e niente mi avrebbe impedito dal farlo, né Kaname, né Rido. Nessuno. Potesse cascare il mondo.
Era arrivato il momento di rendere utile la mia miserabile vita. Era ora di ribadire il mio scopo.
Coraggio destino. Son pronta ad affrontare la tua tempesta.
ANGOLO AUTRICE
Uff, finalmente eccomi qua, con la sfacciataggine di presentarmi dopo questo clamoroso ritardo dalle dimensioni catastrofiche -.- scusatemi tanto, non so nemmeno io perché faccio ritardi di questa portata. Evidentemente…
Zero: sei tu che sei ritardata…
…. Ok, va bene, ha ragione lui ecco, contenti?!
Bene, ora sono molto stanca, perciò la chiudo qui. Spero tanto che abbiate la santa pazienza di perdonarmi… e di continuare a seguirmi... T.T
Al prossimo chappy… spero
Shiki: di certo, non ti seguiranno… dopo tutto questo…
Io: oh, Shiki, lasciami almeno qualche speranza!!! Non vedi già come sono afflitta??
Zero: pff
Io: e tu non ridere delle pene altrui!!!




 

 

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Capitolo 10
*** Dream and pain ***


La Cross Accademy era una delle perle più brillanti, tra gli innumerevoli istituti del Giappone: un corpo docente egregiamente qualificato e prestigiose borse di studio erano solo alcune delle carte vincenti delle quali disponeva e che assicuravano, insieme ad una tassa d’iscrizione dalle basse pretese, l’iscrizione di migliaia di studenti ogni anno, provenienti da tutto il paese ed appartenenti a tutte le differenti classi sociali. Per entrare a far parte di questa scuola, oltre a possedere una raccomandazione di un istituto gemellato o affiliato, occorreva superare un complicato esame orale e scritto, ai quali, una volta ammessi, si sarebbero succeduti intensi corsi di studio ed approfondimento. Tutto ciò decretava a fine del ciclo triennale l’uscita di giovani menti aperte e brillanti, pronti a mettere in luce le loro doti e a far fruttare gli insegnamenti acquisiti.
Degne della sua fama e del suo prestigio erano anche le dimensioni: la scuola infatti possedeva decine e decine di ettari di terra, tra cui uno splendido lago, che facevano da sfondo paesaggistico al fulcro del sapere, e fungevano anche da utile mezzo per studiare le scienze naturali…
Gli studenti avevano il permesso di aggirarsi in questo meraviglioso paradiso verde, traboccante di un’affascinante flora, intrattenendosi in lunghe passeggiate e piacevoli soste sulle panche in pietra vicino alle varie, piccole fontane circolari sparse qua e là, per godersi un po’ di relax e bearsi di una bella vista. Anche i dormitori, le dimore degli studenti, insieme alla fitta rete di stradine, annegavano in quell’oceano verde smeraldo, riuscendo così a trasmettere al luogo una rilassante e quieta atmosfera.
Gli enormi e lavorati cancelli in ferro battuto e le massicce porte di legno di ciliegio poi, delimitavano i vari ingressi alle strutture, mentre mobili dalla pregiata manifattura e muri dalle tempere calde costituivano l’arredamento principale delle centinaia di aule e camere.
Sembra quasi il palazzo di Minosse, vero?
Ecco, nascosto in quest’ angolo di paradiso, nelle vicinanze del dormitorio Sole, vi era un edificio, di dimensioni assai modeste, presso il quale molti studenti sostenevano di aver avvistato aggirarsi una figura sospetta, che altri non era che… il direttore.
Era ovvio il motivo per cui quella sottospecie di hippie fomentato saltellava felicemente da quelle parti: c’era casa sua.
Già, quella, era la confortevole dimora del preside.
Una piccola casa dotata di tre camere, un bagno, un ampio salone ed una bellissima cucina, di quelle che tutte le donne sognano d’avere, nella quale si divertiva a sperimentare le sue nuove e (secondo lui) rivoluzionarie ricette. Senza dimenticare del giardino esterno, dove, nelle ore di riposo, si dedicava al giardinaggio.
Si poteva dire di tutto su quell’idiota di Kaien, tranne che fosse un pessimo giardiniere (escluso il fatto che sia uno dei più grandi hunter).
I suoi fiori erano semplicemente magnifici.
Lo so, perché l’ho visti. In quel periodo, passavo spesso lì i weekend, dato che, a differenza degli altri, non avevo alcun posto in cui stare, né uno in cui tornare.
Dell’orfanotrofio, non volevo neanche sentirne nominare. Mi sarei trovata Talya alle calcagna…
Per questo motivo, allora decisi di accettare la proposta del direttore di passare da lui i finesettimana, insieme a Yuki e Zero.
Pensai che tanto non avevo nulla da perdere, ed inoltre avrei potuto approfittarne per starmene un po’ per conto mio, magari ad allenarmi. Un po’ di calma da tutto quel fracasso giovanile ci voleva.
Ricordo che quando Kaien ebbe la brillante idea di accogliermi in casa sua due giorni a settimana fu esattamente il giorno in cui andai alla residenza per il mio primo addestramento. Quasi non dormii la notte, per quanto ero emozionata ed in fibrillazione, tanto che il mio gallo cantò alle cinque di mattina. Due ore d’anticipo sulla tabella di marcia…
A quel punto, stufa di assecondare la mia nervosa camminata su e giù per la stanza, afferrai al volo il mio pugnale ed uscii all’aria aperta, ignorando completamente la porta ed i corridoi deserti e saltando, di nuovo, dalla finestra. Ammetto che incominciò davvero a piacermi passare da lì, perché mi trasmetteva l’eccitante sensazione del brio dei giochi proibiti.
Non appena fui fuori, indugiai un momento, gustandomi l’ebbrezza della pungente aria mattutina. Non c’era niente di meglio che assaporare con gli occhi la dolce visione dell’alba: un cielo terso, tinto d’una leggera sfumatura rosa pesca, ed il brillante cerchio dorato che troneggiava all’orizzonte, oltre la distesa verde smeraldo, estasiavano la mia vista. Sorrisi, ed alzai le braccia, inarcando la schiena, per stiracchiarmi un po’. Nessuno in giro, solo io e la mia pace. Direi che era l’ideale per cominciare la giornata con il buon umore. Andai a farmi due passi in giro, stavolta stando attenta a non incappare nel dormitorio Luna. Non volevo affatto tornare lì, non dopo quello che successe con Kaname, non ora che sospettavo con quasi certezza della natura vampira degli studenti all’interno.
Un brivido improvviso mi percosse la schiena, ripensando a quella notte. Ancora non capivo come potè succedere una cosa così rivoltante.
Scossi la testa. Non dovevo pensarci. Non volevo rovinarmi subito la giornata.
“Chissà cosa staranno facendo ora…” pensai assorta, guardando in direzione del dormitorio.
Riflettendoci con calma, mentre proseguivo la mia passeggiata, conclusi che, in fondo, con quell’ipotesi, tutto incominciava a delinearsi nel giusto senso: cogliendo un po’ di informazioni in giro, venni a sapere che la Night Class frequentava le lezioni esclusivamente di notte, al calar del sole, per poi rientrare nelle loro camere all’arrivo dell’alba. Pensai che quest’aspetto coincideva con due cose: primo, la sensibilità dei vampiri alla luce del sole, in quanto li indebolisce molto fisicamente, creandogli non poche grane; secondo, la sicurezza per gli umani. Nonostante i rigidi controlli e le rigorose norme del regolamento scolastico, poteva sempre esserci qualcuno pronto a trasgredire e a tentare di passarla liscia per assecondare il proprio famelico istinto. C’era anche un terzo punto, che io stessa fui in grado di constatare: la loro riprovevole bellezza. Una caratteristica fondamentale per attirare a sé gli umani, così da poter bere il loro sangue e riempirsi quella loro disgustosa pancia affamata. Per non parlare poi dell’assurda questione delle differenti classi sociali, programmi di studi e quozienti intellettivi. La scusa perfetta da recapitare agli ingenui studenti umani, che ci abboccarono come pesci lessi. E così la verità veniva tranquillamente celata, al sicuro.
“Ora che ci penso, anche il ruolo dei Guardian acquisisce un senso…” pensai.
I Guardian, i disciplinari, coloro che hanno il compito di assicurare il rispetto delle regole scolastiche, tanto da doversi aggirare di notte. Adesso era chiaro. Il loro ruolo principale non era quello di far rispettare le regole, ma di sorvegliare la Night Class per proteggere gli altri studenti. Questo spiegava le ronde, e anche la reazione di Yuki alla mia domanda dell’altra sera. Troppo agitata, ma nella giusta dose quando sei consapevole di dover nascondere qualcosa che non va detta. Sospirai esausta, portandomi una mano sul viso. Forse la mia mente stava correndo troppo, ed io odio le cose incerte e, soprattutto, intricate come questa, che mi fanno pensare e pensare. Come se non pensassi abbastanza.
Forse avrei dovuto chiedere direttamente al direttore e farla finita. Ma mi chiesi se era proprio il caso di immischiarsi così tanto per una cosa che, con me, non aveva niente a che fare.
Arrivai in una piazzetta circolare, avente al centro una fontana di marmo, anch’essa a pianta circolare. Mi sedetti sul bordo, per poi distendermi sulla fredda pietra, socchiudendo leggermente gli occhi, infastiditi dalla luce ora più densa. Mi soffermai a guardare il cielo, un po’ delusa. Era piuttosto noioso guardarlo, se non c’era neanche una nuvola da osservare. Sospirai di nuovo.
“Che noia…” brontolai tra me e me.
 Voltai la testa per guardare il getto d’acqua della fontana, spostandomi verso il bordo interno per accarezzare la piccola cascata lucente ed incolore. Allungai il braccio, per tangire quell’immagine di perfezione, portando la mano sotto il tenue getto. L’acqua sembrava debordante di diamanti per quanto luccicava, e la sua freschezza deliziava i miei polpastrelli, propagando la sensazione di benessere ai muscoli tesi, che si rilassarono. Lo scroscio dell’acqua era così piacevole… regalò pace ai miei sensi, come raramente mi capitava.
E fu tra le braccia di quella dolce sensazione di pace, che caddi nell’abisso dei sogni.
 
 
Correvo.
Correvo a perdifiato, tra le centinaia di cadaveri sparsi per la radura, sferzata dalla fitta pioggia e dalla brutalità del vento, persa nell’oscurità.
Tuoni e lampi flagellavano la terra con la loro furia. L’etra vibrava della loro potenza.
Le gambe mi dolevano; parevano terribilmente pesanti.
Mi mancava l’aria; ma l’ossigeno pareva una freccia scoccata in pieno petto, intrisa d’un fatale veleno.
Però continuavo a correre, a scappare.
Ma da chi? Da cosa?
Perché?
Un sibilo. Sentii qualcosa afferrarmi la caviglia, e caddi nel lurido fango. Mi guardai le mani, intrise di fango e sangue secco, fin sotto le unghie.
Sangue?
Provai velocemente a rialzarmi, ma qualcuno sopraggiunse all’istante e mi bloccò, costringendomi poi a girarmi. Provai a dimenarmi dalla stretta, ma la sua presa era d’acciaio. Non riuscivo a muovere il bacino, provavo un forte dolore ai polsi.
Cos’è tutto questo?
Scorsi un delicato volto virile con due palpitanti iridi scarlatte, per poi essere risucchiate da due profonde pozze dalle sfumature cobalto.
Bellissimo.
Percepii un intenso pizzicore agli occhi e le lacrime cominciarono a scendere lungo il viso, mischiandosi con la pioggia.
Perché piangevo?
Cos’era quest’emozione che mi premeva nel petto come un macigno?
Perché desideravo ardentemente stringerlo, baciarlo?
Perché, allo stesso tempo, non volevo che mi toccasse, che mi stesse lontano?
Ero io?
Mi portò le braccia sopra la testa, fermandole ai polsi con una mano.
Non avevo nemmeno la forza di oppormi. Il mio corpo tremava, in preda agli spasmi. Volevo chiudere gli occhi, ma non lo feci.
Come se non fossi… io.
Lo vidi chinarsi sul mio volto, ipnotizzato da quelle due pozze, e lambire con dolcezza le mie lacrime, per poi scendere lungo il collo, per torturarlo con teneri baci roventi, ed incominciare a leccarlo lascivo con la sua calda e morbida lingua, indugiare esitante sulla carotide pulsante. La sua mano accarezzava lussuriosa le mie cosce, le natiche, salendo sempre più su.
Una lunga serie d’ardenti e sensuali fremiti percossero tutto il mio corpo, facendomene desiderare ancora, e ancora, come se fosse stata l’ultima volta.
E poi, senza neanche rendermene conto, provai un’acuta fitta di dolore.
Sentivo uno strano scroscio. Stava succhiando avidamente il sangue, dissetandosi la gola, riempiendosi la bocca del mio metallico sapore.
Lo sentivo scorrere via da me, ed annaspavo per quel piacevole tormento che mi straziava cuore e corpo.
Mi sentivo violata del mio essere, dei miei ricordi, delle mie emozioni.
Eppure, ne ero immensamente felice, perché era lui.
Ma lui chi?
Piccoli rivoli scarlatti mi solleticarono il collo, scendendo svelti verso il seno, ma lui li leccò voglioso tutti, come a voler custodire gelosamente per sé ogni singola goccia, gustandosi il sapore della mia carne con piccoli morsi che mi fecero rantolare. Gemetti quando mi mordicchiò il lobo dell’orecchio, mentre il suo seducente respiro caldo sulla pelle mandava il mio corpo ancora più in estasi. Insinuò frettoloso la mano sotto la sudicia maglietta strappata, accarezzandomi rude il bacino con la sua mano fredda e bagnata.
Poi, all’improvviso, sentii delle soffici ed umide labbra premere con violenza sulle mie, cogliendomi di sorpresa.
Restai immobile, attonita, mentre un turbinio d’estuose emozioni mi attraversava il corpo con la forza distruttiva di un ciclone. Il cuore stava per scoppiare. I muscoli mi dolevano per quanto tesi sotto il suo peso.
Le premeva con disperata passione, bramoso di approfondire il bacio.
Mi sentivo dannatamente confusa, e accaldata, tanto da sentirmi bruciare, e presa da una tale sofferenza che nemmeno immaginavo di poter provare.
Perché lo amavo, così tanto che lo consideravo tutto il mio mondo, se nemmeno sapevo chi era?
Al limite delle forze, dischiusi leggermente le labbra, in cerca d’aria, e tanto bastò per permettergli di insinuare scaltro la lingua, rendendo il bacio ancora più passionale, intimo, mandandomi in visibilio, mentre nella bocca sentivo scorrere il sapore delle sue labbra e del mio stesso sangue. Con la mente ormai completamente annebbiata da quel che mi stava succedendo, mi abbandonai allo spudorato istinto e alle emozioni che mi premevano dentro, rispondendo con altrettanto trasporto a quel tangito patto d’amore.
Era un turbine d’affetto e disperazione, forte come la pioggia che scendeva giù dalle minacciose nuvole, nel quale annegai senza fare resistenza. Sentivo la razionalità prendere il largo, lasciando spazio unicamente ai miei impulsi animaleschi.
Il ragazzo si staccò di malavoglia dalle mie labbra, cacciandomi fuori un mugolio di disapprovazione. Sentii di nuovo le lacrime scendere copiose, per la vergogna, la frustazione, la confusione. Lui mi guardò, in un modo che mi tolse letteralmente il fiato: vi vedevo il dolore, la costernazione, la passione, l’amore, il desiderio, la gratitudine e la nostalgia.
Come poteva una persona provare tutti quei sentimenti contrastanti, e tenerseli dentro senza dir nulla?
Come poteva, solo con quello sguardo, farmi sentir morire?
Senza distogliere il contatto dai miei occhi, avvicinò il suo bellissimo volto al mio, poggiando la fronte sulla mia tempia. Chiuse le palpebre con un leggero sospiro tremante, mentre calde lacrime vi uscirono silenziose.
-Ti prego di perdonarmi, onee-san- soffiò accorato sulle labbra, mentre la sua mano destra saliva, indugiando trepidante sul mio seno.
Fu un attimo.
Un dolore lancinante, nel petto, e trattenni il fiato, spalancando gli occhi per il terrore. Qualcosa si insinuava feroce tra le viscere, come la lama di un coltello. Una morsa attorno al mio cuore, le vene ed i capillari che si tendevano allo stremo, fino a spezzarsi. Trattenni il fiato, incapace di urlare. I polmoni si comprimevano, in cerca di ossigeno. Non sentivo più fluire il sangue. Sgorgava invece abbondante dalla parte sinistra del mio torace, imbrattandomi di un minaccioso color rosso. La vista incominciò a sfocare pian piano.
Rilassai i muscoli, ormai senza più alcun briciolo di forza, nel frattempo che la concezione del corpo sfumava dalla mia mente. Sentii “la cosa” sfilarsi dal mio petto, e guardai stordita la sua mano, coperta del viscoso liquido scarlatto, che teneva saldamente il mio cuore, che ancora batteva.
Non pensai a nulla.
Sentivo solo inebriarmi di una languida pace, che mi intorpidiva corpo e anima
Stavo per… morire?
Spostai a fatica la testa, per immergermi ancora in quel meraviglioso cobalto. Stranamente, non lo odiavo per quello che mi aveva fatto; anzi, mi sentivo addirittura grata, tanto che mi scappò un flebile sorriso, notando con gioia il suo volto divenire meravigliato tra le lacrime che continuavano a scendere delicate sulle guance perlacee. Con sguardo perduto e distrutto, il ragazzo portò il mio cuore alla sua bocca fremente, trangugiandolo a piccoli, avidi morsi. Poi, senza neanche badare all’enorme quantità di sangue che lo insudiciava insieme alla pioggia, mi sollevò con forza e mi strinse a sé, baciandomi con più trasporto di prima. Anche questa volta, non feci nulla per oppormi, e godetti del suo odore dolce e pungente unirsi al mio; godetti del sapore della sua bocca, mischiata a quello acre del mio sangue e della pioggia; godetti del calore del suo corpo avvinghiato al mio, tanto da poter sentire il suo cuore battere prepotentemente contro le costole; godetti della sua pelle liscia e dura; godetti delle sue braccia forti che mi abbracciavano come se fossi la cosa più preziosa di questo mondo infausto.
Lo amavo. Lo amavo così tanto da non poterne fare a meno, da volerlo fare solo mio. Anche se significasse procurargli ferite incancellabili.
Sarei stata ad osservarlo fino alla fine del creato.
Senza lasciarmi dalla tenera stretta, staccò lentamente il suo volto dal mio, guardandomi con lo stesso sguardo che prima mi aveva tolto il fiato. Il suo viso era contorto dal dolore che provava dentro. Chiuse gli occhi, avvilito, incapace di guardare oltre le mie iridi, e la sua voce proruppe in una frase strozzata.
Ed io, assaporai con gioia la dolcezza di ogni sua singola parola.
-Ti ho amata, cara sorella, e amarti è stata la ragione per la quale sono nato, Adhara-
Sgranai gli occhi, incredula
Adhara?
 
-Ehilà, sveglia!-
Spalancai le palpebre. Due iridi lucenti, d’un tenue verde prato, circondati da folte ciglia ben disegnate e da un mare di soffici fili color platino stavano ad un palmo dal mio naso. Sussultai per la sorpresa e cacciai un urlo, perdendo l’equilibrio, per poi fare centro dentro la fontana.
-Che cavolo!- strillai adirata, prendendo a pugni l’acqua fresca. Evidentemente non era cosa buona lasciarmi in pace almeno per un giorno. Inveì contro le forze avverse che si divertivano a farsi beffe di me, scatenando tutta la mia ira.
Ecco, tanti saluti al buon umore.
-E-ehi, stai bene?- chiese, trattenendo a stento le risate
Lo fulminai con lo sguardo, facendo forza sulle mie gambe per alzarmi, e uscii dalla fontana
-Mai stata meglio- risposi piatta
-Sono terribilmente mortificato, credimi- ammise agitato
-Sì, sì come vuoi- continuai con il mio tono piatto
Vedendo che il mio tono freddo non veniva scalfito da alcuna nota dolce, il ragazzo si preoccupò ancora di più. Mi succede sempre così, quando sono nera dalla rabbia.
-Non era mia intenzione fatti cascare lì dentro. Sai, stavo facendo una passeggiata (ricerca di pezzi per la mia collezione) quando ti ho visto sdraiata sulla fontana. Eri agitata, e stavi mugugnando sprazzi di frasi senza senso. Ho pensato che magari eri in preda a qualche incubo, e così ho ritenuto che sarebbe stato meglio svegliarti…- disse
“Ah, già, il sogno…” pensai d’un tratto, ricordandomene ogni momento. Mi passai una mano sul volto, incerta di come avevo fatto a fare un sogno del genere. Era stato talmente straziante da farmi tremare il cuore.
 Che quel maledetto di Rido avesse ragione? O quella era stata solo opera sua?
-Ok, ok, ho capito, non c’è bisogno che tu dia delle spiegazioni. Mettiamoci una pietra sopra e vissero tutti felici e contenti, va bene?- tagliai corto, volenterosa di stare da sola
-Va bene, ma sei sicura che è tutto apposto? Insomma, andare in giro conciata così…- disse imbarazzato. Mi diedi un’occhiata ai vestiti zuppi, e feci spallucce.
-Non è un dramma, per me- risposi, mentre l’altro alzava un sopracciglio
-Non hai paura di prendere qualche malanno?- chiese preoccupato
-Sono sopravvissuta a cose peggiori- risposi prontamente
Il biondo mi guardò crucciato, indeciso se intervenire o meno. Quasi mi fece tenerezza. Sospirò, avvicinandosi, per afferrarmi un braccio. Lo guardai meravigliata, non capendo cosa volesse fare.
-Non mi piace lasciarti sola in questo stato, perciò, che tu lo voglia o no, ti accompagnerò al tuo dormitorio- sentenziò deciso. Lo guardai imbronciata.
-Ti ho già detto che non c’è bisogno!- ribattei, svincolandomi dalla stretta.
“Perché insiste così tanto?! È appiccicoso!” pensai irritata, bloccandomi di colpo quando vidi la sua espressione: sorrideva, e anche di gusto, a quanto sembrava.
-Carattere difficile, eh?- mi stuzzicò ridendo -Beh, se insisti tanto, allora farò come vuoi tu, ma sappi che mi voglio sdebitare. Il mio nome è Takuma Ichijo, e se hai bisogno di qualcosa, potrai cercarmi nel dormitorio Luna, sempre che il direttore acconsenta- disse facendomi l’occhiolino, ed incamminandosi verso la parte opposta –Ci si vede, Yame Minashigo!-
Io rimasi immobile come pietra, incredula.
Dormitorio Luna? Quindi era un vampiro? Un vampiro che, pergiunta, camminava tranquillo in pieno giorno, come se fosse cosa comune. Come se fosse uno di noi, povere creature mortali.
E poi, come aveva fatto a sapere il mio nome?
Che soggetto.
Riscuotendomi dallo stato di sbigottimento, convenni che forse era proprio il caso di mettere addosso dei vestiti asciutti, dirigendomi di nuovo verso il dormitorio Sole. Ciò che mi preoccupò, lungo il tragitto, fu che incominciai seriamente a dubitare di essere finita in qualche sperduto manicomio di pazzi.
 
Mi sentivo ancora abbastanza scossa, dopo quello che accadde poco prima alla fontana. Nella testa mi ronzava con estenuante insistenza il nome di Adhara, crucciandomi con le immagini di quel doloroso sogno, così intenso, così reale, da parer far parte dei frammenti dei miei stessi ricordi.
Eppure, non era mio quel ricordo. Apparteneva ad Adhara, alla cacciatrice.
Fu come se mi fossi riflessa sulle sue memorie, e ciò mi diede da pensare sulle misteriose parole proferite da quel demonio di Rido, del quale ormai nemmeno provavo a negare l’esistenza, non dopo tutto quel che di veritiero mi accadde.
Qual’era il mio legame con lei? Esisteva veramente?
Mille domande angustianti fiorivano dal prato del mio inconscio, circondate dal profumo pungente della frustrazione.
Non era forse abbastanza quanto era successo con Kaname?
“Se hai bisogno di qualcosa, potrai cercarmi nel dormitorio Luna…”
Sorrisi amaramente. Avrei proprio avuto bisogno, d’una mano. Peccato che mi ritrovavo con le mani legate. Chi mai mi avrebbe creduto? Sarei stata presa per un folle.
L’intensità di quelle emozioni che provai nel sogno ancora scuotevano il mio giovane petto, sconcertandomi.
Uccisi dal proprio amato fratello. Che triste sorte.
Vagavo per i corridoi semi illuminati del Dormitorio Sole, persa così tanto nella cupa nebbia delle mie riflessioni, che nemmeno m’accorsi d’essermi addentrata in un’ala del dormitorio che non conoscevo. Mi guardai intorno un po’ spaesata, quando notai una porta aperta. L’unica. Mi avvicinai circospetta, con cautela, affacciandomi appena sull’uscio.
Rimasi paralizzata.
Zero era seduto sul letto, vestito d’un lungo cappotto, mentre si puntava addosso la sua amata Bloody Rose. L’indice pallido e sottile era poggiato contro il grilletto. Spalancai gli occhi.
Aveva intenzione di ammazzarsi?
No, non poteva. Non sotto i miei occhi, non dopo quello che avevo promesso a Yuki.
“Prenditi cura di Zero…”
Dovevo farlo.
Nella follia dell’attimo, gli saltai al collo, scansando con panicata irruenza il braccio avente la lucente pistola. Lo guardai con affanno dritto negli occhi, dove vi lessi una punta di sorpresa. Provai un moto di rabbia. Perché non capiva?
-Cosa volevi fare eh, stupido?!- gli urlai fremente.
-Niente- rispose lui, con il suo solito tono impassibile. Eccola di nuovo, la maschera. Sentii la rabbia salire ancora di più. Avevo davanti ai miei occhi il riflesso della parte più profonda e fragile di me stessa, quella che non riesco ad assopire.
-Bugiardo! Dì la verità, volevi spararti!- gli gridai -Sei così debole e codardo che non vedi l’ora di farti fuori!- continuai adirata.
Zero rimase in silenzio, mentre le sue iridi violacee si velavano d’un sentimento che conoscevo fin troppo bene: la colpa.
-Perché sei venuta?- chiese d’un tratto.
-Cos…? Non cambiare discorso, razza di… Ah!-
Con un agile colpo di reni, aveva capovolto la situazione iniziale: ora era lui a cavalcioni su di me. E avevo anche i polsi bloccati. Involontariamente, ripensai al sogno di Adhara.
Anche lui mi avrebbe strappato il cuore dal petto?
Mi martellava frenetico, contro le costole, ma continuavo a tenere lo sguardo fermo, adirato. Sfiorò il mio collo con la sua mano. Sentivo dei brividi espandersi per tutto il corpo, dopo il suo lieve tocco, come una malattia. Sfoggiò un sorriso sfacciato.
-Tu sai… cosa è successo a Yuki, l’altra notte, vero?- sussurrò seducente, con tono minaccioso, avvicinandosi al mio orecchio. Potevo sentire il suo respiro accarezzarmi la pelle –Il rumore che facevo mentre succhiavo il suo sangue… lo sento ancora qui, nelle mie orecchie. Nessuno sarà mai al sicuro, vicino a me- disse. Si staccò da me, e scese dal letto, per poi dirigersi verso l’uscio, afferrando il suo borsone.
-È meglio che tu stia lontana da me-
Furono le ultime parole che proferì, prima di sparire nel labirinto di corridoi.
Rimasi stesa sul suo letto, immobile, annegata tra le pieghe delle candide lenzuola. Sentivo prepotente il profumo della sua pelle, su di esse, e lo assaporai con profondi respiri. Mi sentivo abbattuta, e vuota, come il soffitto che incombeva sopra di me.
“Hai tentato di spaventarmi facendo il minaccioso, nella speranza di tenermi alla larga da quello che sei. Hai voluto proteggermi. Ma sono io che devo proteggere te, che voglio proteggere te. Voglio aiutarti a portare questo peso che ti trascini da chissà quanto tempo. Prima che sia troppo tardi”
Lui voleva rimanere solo. Non sapeva di essere amato. Non capiva che non lo avremmo mai lasciato naufrago di sé stesso.
Mai.
E lui se ne voleva andare. Lontano da qui, lontano da noi.
Uscii di fretta dalla stanza, correndo a perdifiato per i corridoi, nel cortile, cercandolo morbosa.
E poi, la vidi: la sua chioma argentea, mossa da un delicato vento che spifferava tra le fronde, facendo danzare le foglie ambrate. Camminava silenzioso, verso il confine della scuola.
Non lo avrei fatto andare via. Si sarebbe solo fatto ancora più male.
Era proprio uno stupido.
Gli corsi incontro per fermarlo, aggrappandomi alla sua schiena, in quello che sembrava l’abbraccio disperato di un’amante che vedeva partire il suo re. Affondai il viso nel tessuto del suo cappotto grigio, aumentando l’intensità della stretta. Il suo corpo era teso per la sorpresa, lo sentivo sotto la stoffa.
-Yame?- mormorò incredulo, voltando di poco la testa.
Ero stufa del dolore. Ero stufa delle pene.
Era il momento di dire basta a tutto questo.
-Non ti lascerò andare via. Non adesso. Non dopo avermi spiegato perché decidi sempre di scappare!- dissi frustrata. Lui mi afferrò le mani, e si sciolse dall’abbraccio. Non mi opposi; mantenni lo sguardo basso, colmo della collera che provavo verso di lui, verso l’ingiustizia di questo stesso mondo nel quale ero costretta a perseverare la mia misera esistenza. Anche se non lo guardavo dritto negli occhi, potevo percepire addosso l’acume del suo sguardo.
Chissà cosa stava pensando…
Forse si chiedeva perché non lo lasciavo semplicemente in pace.
-Ti conviene andartene. Non capisci? Ora che ho morso Yuki, non posso più fermarmi dal farlo. La prossima volta che accadrà, potrò anche arrivare ad uccidere- mi disse. Una punta di rabbia scomponeva il tono indifferente della sua voce. Strinsi con forza i pugni, ancorati ai fianchi.
-Ah, sì? Per questo hai deciso di andartene? Perché la bestia che è in te è troppo forte?- alzai di scatto la testa, fulminandolo con le fredde iridi. La voce copriva a stento i sentimenti che provavo –No Zero, non è la bestia che è troppo forte, sei tu che sei troppo debole!- urlai all’improvviso, mentre lo vedevo stupirsi della mia reazione –Dì la verità: hai così paura di te stesso che preferisci lasciare tutto al caso, sparendo dalla circolazione! Abbi le palle Zero, affronta te stesso diamine!- sbraitai infine tutto d’un fiato, scuotendolo per le spalle.
-E se non dovessi farcela lo stesso?- chiese scettico, con aria di sfida, avvicinandosi pericolosamente al mio viso –E se dovessi attaccare ancora, cosa farai?- soffiò sulle labbra. Voleva provocarmi, ma non caddi al suo gioco.
-Ti fermerò- risposi semplicemente, con fermezza –E poi ti prenderò a pugni- dissi sorridendo boriosa.
Lui sfoggiò un mezzo sorriso, dal gusto beffardo –Tu…-
-Non mi importa quante volte potrai perdere il controllo: io continuerò a fermarti, perché io, a differenza di te, ho la volontà di non arrendermi, per quante volte possa abbattermi- continuai, interrompendolo.
Zero rimase in silenzio, guardandomi dritto negli occhi, immergendosi nelle limpide acque grigie per esplorare l’oceano delle mie emozioni. Non se l’aspettava, una tale reazione da parte mia.
Se pensava di avermi conosciuto abbastanza per quello che sono, si sbagliava di grosso.
La vera Yame, è molto più raccapricciante di quanto si creda.
una maschera di dolore, di fronte alla quale rimasi sconcertata.
-Perché?- mormorò soltanto, tenendo i suoi bellissimi occhi fissi nei miei.
Agendo d’istinto, portai una mano sulla sua guancia, poggiandola con delicatezza, per poi sorridergli dolcemente. Vidi gli occhi di Zero sbarrarsi, diventando come quelli d’un bambino di fronte all’incanto illusorio dei giochi di magia d’un mago. Le sue guance si erano leggermente accaldate, sotto il mio tocco.
-Perché ti amiamo- fu la mia risposta.
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Salve a tutti! Allora, che dire… che faccio schifo, forse? Tre mesi, dico QUASI TRE MESI DI RITARDO! Con questo, ho seppellito l’ultimo sprazzo di dignità per me stessa. Credo che qualcuno peggiore di me non esista. Inoltre, adesso che è ricominciata la scuola, andrà di male in peggio, lo so.
Se mi odiate, beh, fate bene. Mi odio già da sola per il mio status di bradipo. Anzi, loro sono anche più veloci di me. Mi dispiace di avervi fatto passare tutto questo tempo, crogiolandovi nell’ansia dell’aggiornamento. Vi chiedo scusa, davvero, perché so come ci si sente. E questo fatto mi disgusta ancora più. Comunque, che mi seguiate o meno, sono decisa a finire la storia. Non mi insudicerò dell’oltraggio di lasciarla incompleta, qualsiasi cosa succeda.
Perciò ora vi saluto, sperando che un giorno mi possiate perdonare.
A presto,
nozomi
 
 
 
 

 

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