Sister di Mattimeus (/viewuser.php?uid=82908)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 1 *** 1 ***
Sister
1
La circostanza in cui mi trovai in quel
momento può sicuramente essere definita... inspiegabile.
Mi chiamo Mattia e sono uno studente di
quarta liceo. Ma, soprattutto, sono figlio unico. Questo dettaglio,
hem... sociologico? è spesso irrilevante ai fini di un racconto.
Certo, può essere rilevante per questioni caratteriali, educative,
demografiche. Ma che questo possa influire sulla trama di
qualsivoglia storia, beh, io non lo avevo mai sentito. Comunque,
giudicherete voi: potrei anche sbagliarmi.
Tornavo a casa verso le cinque, perché mi
ero fermato in biblioteca dopo la scuola. Un compagno intelligentone
si era offerto di aiutare noi cervellini di legno in matematica. Come
dire: magari lui ci spiega meglio del professore, magari assimiliamo
qualcosa per osmosi. Non era una teoria molto solida, infatti non era
stato un successo. Almeno per me.
Dunque, arrivo a casa, apro la porta,
tolgo scarpe e giacca, lancio lo zaino-mattone verso la camera e vado
in bagno.
Il fatto che la porta del bagno fosse
chiusa avrebbe dovuto già insospettirmi. Mio padre non c'era e mia
madre doveva essere sul balcone a trapiantare qualcosa.
Innocente e inconsapevole, faccio per
entrare. Apro la porta, ma uno strillo biondo mi ricaccia fuori. Per
un istante, il mio cervello accetta lo sbaglio senza protestare,
assuefatto dalle buone maniere. Ma appena il raziocinio entra in
funzione, mi accorgo che la situazione è del tutto incongrua.
Torno in soggiorno e sbircio fuori dalla
porta a vetri: mia madre è lì che travasa sacchi di terra. E poi
mia madre non è bionda. Mi viene in mente di chiederle se abbiamo
ospiti in casa, ma non vorrei fare la figuraccia di essermi
dimenticato qualcosa di importante.
Tornato verso la porta chiusa, busso.
-Chi c'è?- chiedo.
In risposta la porta di apre. Davanti a me
sta una ragazza della mia età, bionda. E bella.
-Oh, ma che modi. Hai così fretta di
andare in bagno?-
-No. Ma tu chi sei?-
Lei mi risponde ridendo. Devo davvero
essermi dimenticato una visita di qualcuno.
-Adesso fai finta di non conoscermi solo
perché devi andare in bagno? Bel fratello che sei- dice lei,
richiudendo la porta.
Rimango istupidito: fratello?
Ecco, ora capirete il guaio di quella
situazione. Perché la prima cosa che mi venne in mente, fu che ci
fosse qualcosa di terribilmente sbagliato. In me. Non che fosse uno
scherzo, nemmeno che avessi appena ritrovato una sorella perduta non
si sa in che modo. No, pensai di essere entrato nel posto sbagliato,
nella vita
sbagliata. Questo perché andai in camera e ci trovai un altro letto.
Perché c'erano le sue cose in giro per la stanza. Perché nelle foto
di famiglia in tutta la casa c'era anche quella ragazza bionda.
Bionda. Questa cosa non andava, non c'erano mai stati capelli biondi
nei rami di famiglia. L'album di foto era in soggiorno, nella
cassettiera. Dovevo controllare. Sperando che lei non uscisse dal
bagno in quel momento, mi fiondai a prendere l'album e tentai di
nasconderlo nello zaino. Era troppo pieno, tolsi il libro di storia
di ottocento pagine e infilai le foto. Poi presi lo zaino e uscii di
nuovo, tanto mia madre non mi aveva visto rientrare.
Una volta
fuori, mi resi conto che con buona probabilità ero uscito di senno.
Volevo verificare davvero la teoria dei capelli biondi, ma il fatto
che nel mio bagno ci fosse una certa mia sorella era così assurdo
che avrebbe meritato delle prove più consistenti di quel breve
dialogo. Il fatto che ci avessi parlato non mi sembrava una prova
sufficiente e credevo ancora che l'errore di questa storia fosse mio.
Mi fermai ad un
parchetto, giusto per sedermi su una panchina ed esaminare con calma
le fotografie. I nonni che conoscevo avevano i capelli bianchi,
quindi poteva anche essere. Ma nelle loro foto da giovani erano
chiaramente scuri. Le foto più vecchie erano in bianco e nero, ma
era comunque impossibile che fossero capelli biondi. Quindi era
ufficiale: stavo impazzendo nel modo sbagliato. Se mi ero immaginato
di avere una sorella, dovevo cambiarle il colore dei capelli.
Tornai a casa
per cena. Salutai mio padre, che era tornato a casa. Mia madre era in
cucina a preparare la cena. Con noncuranza, mi tolsi giacca e scarpe,
misi lo zaino in camera e mi cambiai i vestiti.
Entrato in
cucina, guardai con orrore la quarta sedia, normalmente inutilizzata.
Mi sedetti in attesa, sperando di non vederla entrare.
Entrò invece
poco dopo e si sedette su quella quarta sedia. Non era più bionda:
adesso aveva il mio stesso colore di capelli, castano scuro.
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Capitolo 2 *** 2 ***
Sister
2
Occorre ora precisare che tipo di persona
sono, per questo parlerò di scuola.
Perché, checché se ne dica, parlare
della scuola di un diciassettenne è parlare di lui. Magari non di
tutta la sua persona, magari è un parlarne scontato, sbagliato,
banale. Ma occorre farlo.
Faccio questa premessa perché a scuola
non vado assolutamente bene. Conosco meglio l'albero fuori dalla
finestra che uno qualsiasi dei miei quaderni. Non perché abbia un
particolare istinto botanico, anzi. Proprio scienze è la materia che
odio maggiormente. Solo che quell'albero è la cosa che mi appartiene
di più, tra tutte quelle visibili nell'aula.
Quello non è il mio mondo. Non quello dei
voti, dei compiti, dello studio; non quello del lavoro, del denaro e
del consumismo. Quel mondo non l'ho scelto io.
Certo, voi potete obiettare: “quale
mondo, che tu ti ostini ad appellare con quello?
Vorrai dire questo mondo,
dato che vivi dentro!”
No. Anche se ci
vivo dentro, non è il mio mondo, e quindi non mi riferirò ad esso
privilegiandolo rispetto agli altri.
Ecco, io sono
fatto così. Tengo ai particolari più insignificanti, perfino alle
sottigliezze lessicali come questa, ma di tutto il resto non riesco a
provare il benché minimo interesse.
Non ho ancora
deciso quale sia il mio mondo, sono ancora indeciso, ma di sicuro non
è quello che voi chiamate questo. E la scuola, purtroppo, non
può insegnare cose di altri mondi, proprio no.
Il primo mondo
che mi ha fatto innamorare è stato il Passato. Non la Storia, fate
attenzione. Anzi, Storia mi piace quasi quanto Scienze. Parlo
piuttosto di quel passato che si incontra solamente nei romanzi
d'avventura vecchio stile. Ed è infatti in quei libri che ho trovato
per la prima volta un mondo che mi andasse a genio: che bello sarebbe
se esistessero ancora i pirati di Barbanera, quelli veri! Ma anche i
cavalieri di Artù, o i guerrieri di Gengis Khan. Insomma, tutte cose
di cui la “realtà” è ormai orrendamente sprovvista. Sotto
questo punto di vista sono sempre stato considerato un topo di
biblioteca: mai che l'insegnante abbia dovuto ricordarmi di leggere
il solito libro al mese. Me li sono divorati per conto mio quei
romanzi d'avventura, tutti quelli della biblioteca della scuola.
È molto simile
al vostro mondo, il Passato. Tuttavia è meglio, molto più libero,
avventuroso.
Dopo queste
prime avventure in altri mondi, capitai in uno molto lontano e
diverso, ma affine a quello del Passato: il Futuro.
Non mi sembra
ci sia bisogno di spiegazioni: quanti sogni possono essere raccolti
dalla fantascienza, quante possibilità, quante vite? Basti pensare
all'immensità dell'universo: potendolo esplorare, come risulterebbe
minuscola e insignificante la comune “realtà”!
Ma è il mondo
fantastico ad essere il mio preferito. Perché la fantasia consente
di fare a meno perfino di quelle regole che la fantascienza si porta
ancora dietro. Quale maggiore libertà è possibile di questa? Elfi,
draghi, e qualunque cosa possa essere immaginata! Come sì può a
questo punto pensare di vivere in un mondo brutto, grigio e cattivo
come la “realtà”? La magia, la magia! È lei la vera grande
assente del mondo nel quale voi vivete. Senza magia, l'esistenza non
ha alcun senso.
Capirete quindi
come il mio rendimento scolastico possa essere compromesso dalla mia
visione delle cose. Per ottenere le promozioni mi è sempre bastato
stupire i professori nell'ultimo mese di scuola, giusto con qualche
sufficienza. Durante gli altri otto, del mondo comune non c'è nulla
di rilevante da menzionare.
E che c'entra
l'albero, mi chiederete.
L'albero fuori
dalla finestra è un araldo, seppur misero, di quei mondi che tanto
sarebbero migliori di quello nel quale mi trovo imprigionato. Un
albero è un possessore della magia, una reliquia del mondo antico.
Quell'albero è la mia fuga dalla grigia noia dell'aula.
Perdonatemi, mi
sono dilungato eccessivamente. Tutto questo rischia di uscire dal
racconto della mia situazione, anche se ne costituisce lo sfondo.
Per questo ritorniamo subito alla mia prima cena con... mia sorella.
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Capitolo 3 *** 3 ***
Sister
3
È ovvio che non possa essere una
coincidenza. Appena mi accorgo che il colore dei suoi capelli è
sbagliato, cambia.
La osservo.
È seduta di fronte a me, mentre agli
altri due lati del tavolo siedono i miei genitori, come se nulla
fosse. È perfino probabile che effettivaente non sia nulla,
dato che nessuno oltre a me sembra mostrare stupore.
Dietro alla mia
migliore faccia impassibile, cerco ancora di capire chi altri possa
essere la ragazza che sta cenando con la mia famiglia. È bella
davvero, non solo nei lineamenti. Pare che emani un'aura di pace e
condiscendenza, tanto che mi sento quasi in colpa a sospettare di
lei.
Nel frattempo
la cena scorre come se nulla fosse: la mamma chiede al papà come è
andata al lavoro, il papà chiede a noi due della scuola. Cose da
famiglia, insomma. E lei è simpatica, la cena con lei sembra una
cosa del tutto...
D'un tratto, mi
guarda.
Voglio
dire, mi fissa negli occhi, mi guarda veramente.
Non l'aveva ancora fatto e mi sembra di capire il perché. D'incanto,
tutta la nuvola di simpatia cade, come fosse finta. Nei suoi occhi io
la vedo, così come lei vede me. È una persona vera, di carne ossa e
mente, e probabilmente anche d'anima. Non mi sta più simpatica, non
mi sento più in colpa con lei, semplicemente perché non
la conosco. Ho la certezza di
non aver mai visto quegli occhi.
Ma di tutto
questo all'esterno non si vede niente. Il contatto con lei dura un
istante e la cena riprende allegra come prima. Io sto al gioco, lei è
mia sorella, va bene così. Con una scusa idiota mi alzo da tavola e
vado in camera mia. No anzi, adesso è camera nostra. Il suo letto è
quello in alto, bene.
Ora potete
davvero capire la situazione in cui mi trovavo. La “realtà”, il
mondo fisso, immutabile, con le sue leggi e i suoi soliti obblighi,
aveva contraddetto se stesso: era cambiato. Ma il problema non era
questo. Il problema era che io avevo sempre desiderato che cambiasse.
E, per questo, non volevo crederci.
-Perché stai
al buio?-
Era lei.
Perfino la sua voce era sorridente. E io non mi ero nemmeno accorto
di non aver acceso la luce. La accese lei.
-Scusa, ho mal
di testa- Fu la prima cosa che mi venne in mente.
-Un'altra
giornata pesante a scuola?-
-Già...-
-E il tuo
albero come sta?-
Trasalii. Come
poteva saperlo?
-Bene.-
-Oh, come sei
di poche parole. Ti lascio in pace.-
Stetti al
gioco. Lei era mia sorella e io fui suo fratello. Come potete
biasimarmi? Io ho sempre desiderato avere una sorella.
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Capitolo 4 *** 4 ***
Sister
4
Quando si deve fare una scelta importante,
una scelta veramente importante, una scelta di vita insomma, è
d'obbligo soppesare ogni aspetto della questione e considerare ogni
possibilità. In particolare, ci si ritrova a fare un bilancio della
propria vita fino a quel momento per poter capire le solite cose: chi
siamo, dove andiamo, cosa cerchiamo.
Alcune scelte sono più difficili di
altre. Sono quelle che ti chiedono di rinunciare a qualcosa. È
allora che i ricordi diventano improvvisamente più pesanti, come
macigni dal quale slegarci solamente per scegliere a quali altri
incatenarci.
Per me, decidere di cambiare fu
facilissimo. Quasi senza esitazione, accettai la nuova realtà che mi
si era presentata davanti: avevo una sorella.
Per quanto possa essere un cambiamento
banale, fu la prima vera occasione di ribellarmi alla “realtà”.
Perché quella era una cosa assolutamente impossibile. Per questo
feci il bilancio della mia vita fino a quel momento, soppesai ogni
aspetto della questione e considerai ogni possibilità. Sentii i miei
ricordi farsi pesanti, ma molto meno di quello che mi ero aspettato.
A me non piacevano i miei ricordi, facevano parte di una storia
banale e noiosa. Così vi rinunciai. Decisi che se mi impedivano di
avere una nuova sorella, semplicemente erano sbagliati e privi di
valore.
E ne valse la pena.
Scoprii che era un anno e mezzo più
grande di me e che aveva già la patente. Studiava filosofia
all'università e che un'estate era andata come volontaria in Kenya.
Per scoprire il suo nome invece mi occorse
un po' più di tempo, dato che stranamente per quei primi non
capitava nessuna occasione in cui nostri genitori la chiamassero
esplicitamente. In quel frangente spesi gran parte del mio tempo
libero in aula a fantasticare sul suo nome e su cosa avesse fatto
mentre era in Kenya. Pensai a vari nomi, di tutti i tipi. In questo
caso il dizionario di latino fu molto prodigo di ispirazioni, ma non
molto valide. Mi venne il terrore che mia sorella si chiamasse
Lampronia.
Dopo la scuola
andai in biblioteca. Ora che ci penso, per era diventato una specie
di covo segreto: non si può parlare, quindi nessuno può dirti cosa
fare. Era per questo probabilmente che mi ci trovavo così bene.
Sfogliai qualche testo di mitologia alla ricerca di nomi
interessanti: Andromeda, Elena, Elettra, Gaia ... non me ne piacevano
altri. Chiusi il libro insoddisfatto e guardai fuori. Stava per
piovere, forse era meglio rincasare. Almeno mi sarei presentato da
lei senza avere pretese sul suo nome, in modo da non rimanere deluso.
Rimasi un
momento ad ascoltare la pioggia che stava iniziando a cadere sul
mondo, inerme. Quando pioveva, sentivo di odiare di meno la “realtà”:
il paesaggio subiva ineluttabilmente la pioggia, non poteva farci
nulla. Come me. Come Ofelia, nell'Amleto.
Amavo il
personaggio di Ofelia da quando l'avevo conosciuto. Anche lei era una
vittima del mondo, anche lei era impotente. Ma non avrei mai voluto
quel nome per mia sorella. Non volevo che fosse come me.
Beatrice,
quello era il nome giusto. Beatrice è un personaggio di Much a do
about nothing, una donna volitiva, capace di esprimere sempre il
suo parere e di cambiare ciò che non le va a genio. Ed è anche la
guida di Dante. Di una sorella così avrei avuto bisogno.
Mentre tornavo
a casa cercando di bagnarmi il meno possibile, provai una sensazione
strana. Avevo cercato il nome per una persona che esisteva già da
tempo. L'assurdità di tutto questo era dolorosamente palese, ma la
mia decisione di stare al gioco era irremovibile. Non mi interessava
il motivo di tutto questo, se mi stavo immaginando tutto allora
volevo che fosse come piaceva a me. Pensai: se uno deve impazzire,
meglio farlo del tutto. Sì, era così. Mi ero inventato proprio
una bella massima. Se fossi diventato famoso, di sicuro sarebbe stata
citata a sproposito da chiunque.
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