Sister

di Mattimeus
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Sister

1

La circostanza in cui mi trovai in quel momento può sicuramente essere definita... inspiegabile.

Mi chiamo Mattia e sono uno studente di quarta liceo. Ma, soprattutto, sono figlio unico. Questo dettaglio, hem... sociologico? è spesso irrilevante ai fini di un racconto. Certo, può essere rilevante per questioni caratteriali, educative, demografiche. Ma che questo possa influire sulla trama di qualsivoglia storia, beh, io non lo avevo mai sentito. Comunque, giudicherete voi: potrei anche sbagliarmi.

Tornavo a casa verso le cinque, perché mi ero fermato in biblioteca dopo la scuola. Un compagno intelligentone si era offerto di aiutare noi cervellini di legno in matematica. Come dire: magari lui ci spiega meglio del professore, magari assimiliamo qualcosa per osmosi. Non era una teoria molto solida, infatti non era stato un successo. Almeno per me.

Dunque, arrivo a casa, apro la porta, tolgo scarpe e giacca, lancio lo zaino-mattone verso la camera e vado in bagno.

Il fatto che la porta del bagno fosse chiusa avrebbe dovuto già insospettirmi. Mio padre non c'era e mia madre doveva essere sul balcone a trapiantare qualcosa.

Innocente e inconsapevole, faccio per entrare. Apro la porta, ma uno strillo biondo mi ricaccia fuori. Per un istante, il mio cervello accetta lo sbaglio senza protestare, assuefatto dalle buone maniere. Ma appena il raziocinio entra in funzione, mi accorgo che la situazione è del tutto incongrua.

Torno in soggiorno e sbircio fuori dalla porta a vetri: mia madre è lì che travasa sacchi di terra. E poi mia madre non è bionda. Mi viene in mente di chiederle se abbiamo ospiti in casa, ma non vorrei fare la figuraccia di essermi dimenticato qualcosa di importante.

Tornato verso la porta chiusa, busso.

-Chi c'è?- chiedo.

In risposta la porta di apre. Davanti a me sta una ragazza della mia età, bionda. E bella.

-Oh, ma che modi. Hai così fretta di andare in bagno?-

-No. Ma tu chi sei?-

Lei mi risponde ridendo. Devo davvero essermi dimenticato una visita di qualcuno.

-Adesso fai finta di non conoscermi solo perché devi andare in bagno? Bel fratello che sei- dice lei, richiudendo la porta.

Rimango istupidito: fratello?

Ecco, ora capirete il guaio di quella situazione. Perché la prima cosa che mi venne in mente, fu che ci fosse qualcosa di terribilmente sbagliato. In me. Non che fosse uno scherzo, nemmeno che avessi appena ritrovato una sorella perduta non si sa in che modo. No, pensai di essere entrato nel posto sbagliato, nella vita sbagliata. Questo perché andai in camera e ci trovai un altro letto. Perché c'erano le sue cose in giro per la stanza. Perché nelle foto di famiglia in tutta la casa c'era anche quella ragazza bionda. Bionda. Questa cosa non andava, non c'erano mai stati capelli biondi nei rami di famiglia. L'album di foto era in soggiorno, nella cassettiera. Dovevo controllare. Sperando che lei non uscisse dal bagno in quel momento, mi fiondai a prendere l'album e tentai di nasconderlo nello zaino. Era troppo pieno, tolsi il libro di storia di ottocento pagine e infilai le foto. Poi presi lo zaino e uscii di nuovo, tanto mia madre non mi aveva visto rientrare.

Una volta fuori, mi resi conto che con buona probabilità ero uscito di senno. Volevo verificare davvero la teoria dei capelli biondi, ma il fatto che nel mio bagno ci fosse una certa mia sorella era così assurdo che avrebbe meritato delle prove più consistenti di quel breve dialogo. Il fatto che ci avessi parlato non mi sembrava una prova sufficiente e credevo ancora che l'errore di questa storia fosse mio.

Mi fermai ad un parchetto, giusto per sedermi su una panchina ed esaminare con calma le fotografie. I nonni che conoscevo avevano i capelli bianchi, quindi poteva anche essere. Ma nelle loro foto da giovani erano chiaramente scuri. Le foto più vecchie erano in bianco e nero, ma era comunque impossibile che fossero capelli biondi. Quindi era ufficiale: stavo impazzendo nel modo sbagliato. Se mi ero immaginato di avere una sorella, dovevo cambiarle il colore dei capelli.

Tornai a casa per cena. Salutai mio padre, che era tornato a casa. Mia madre era in cucina a preparare la cena. Con noncuranza, mi tolsi giacca e scarpe, misi lo zaino in camera e mi cambiai i vestiti.

Entrato in cucina, guardai con orrore la quarta sedia, normalmente inutilizzata. Mi sedetti in attesa, sperando di non vederla entrare.

Entrò invece poco dopo e si sedette su quella quarta sedia. Non era più bionda: adesso aveva il mio stesso colore di capelli, castano scuro.

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Capitolo 2
*** 2 ***


Sister

2

Occorre ora precisare che tipo di persona sono, per questo parlerò di scuola.

Perché, checché se ne dica, parlare della scuola di un diciassettenne è parlare di lui. Magari non di tutta la sua persona, magari è un parlarne scontato, sbagliato, banale. Ma occorre farlo.

Faccio questa premessa perché a scuola non vado assolutamente bene. Conosco meglio l'albero fuori dalla finestra che uno qualsiasi dei miei quaderni. Non perché abbia un particolare istinto botanico, anzi. Proprio scienze è la materia che odio maggiormente. Solo che quell'albero è la cosa che mi appartiene di più, tra tutte quelle visibili nell'aula.

Quello non è il mio mondo. Non quello dei voti, dei compiti, dello studio; non quello del lavoro, del denaro e del consumismo. Quel mondo non l'ho scelto io.

Certo, voi potete obiettare: “quale mondo, che tu ti ostini ad appellare con quello? Vorrai dire questo mondo, dato che vivi dentro!”

No. Anche se ci vivo dentro, non è il mio mondo, e quindi non mi riferirò ad esso privilegiandolo rispetto agli altri.

Ecco, io sono fatto così. Tengo ai particolari più insignificanti, perfino alle sottigliezze lessicali come questa, ma di tutto il resto non riesco a provare il benché minimo interesse.

Non ho ancora deciso quale sia il mio mondo, sono ancora indeciso, ma di sicuro non è quello che voi chiamate questo. E la scuola, purtroppo, non può insegnare cose di altri mondi, proprio no.

Il primo mondo che mi ha fatto innamorare è stato il Passato. Non la Storia, fate attenzione. Anzi, Storia mi piace quasi quanto Scienze. Parlo piuttosto di quel passato che si incontra solamente nei romanzi d'avventura vecchio stile. Ed è infatti in quei libri che ho trovato per la prima volta un mondo che mi andasse a genio: che bello sarebbe se esistessero ancora i pirati di Barbanera, quelli veri! Ma anche i cavalieri di Artù, o i guerrieri di Gengis Khan. Insomma, tutte cose di cui la “realtà” è ormai orrendamente sprovvista. Sotto questo punto di vista sono sempre stato considerato un topo di biblioteca: mai che l'insegnante abbia dovuto ricordarmi di leggere il solito libro al mese. Me li sono divorati per conto mio quei romanzi d'avventura, tutti quelli della biblioteca della scuola.

È molto simile al vostro mondo, il Passato. Tuttavia è meglio, molto più libero, avventuroso.

Dopo queste prime avventure in altri mondi, capitai in uno molto lontano e diverso, ma affine a quello del Passato: il Futuro.

Non mi sembra ci sia bisogno di spiegazioni: quanti sogni possono essere raccolti dalla fantascienza, quante possibilità, quante vite? Basti pensare all'immensità dell'universo: potendolo esplorare, come risulterebbe minuscola e insignificante la comune “realtà”!

Ma è il mondo fantastico ad essere il mio preferito. Perché la fantasia consente di fare a meno perfino di quelle regole che la fantascienza si porta ancora dietro. Quale maggiore libertà è possibile di questa? Elfi, draghi, e qualunque cosa possa essere immaginata! Come sì può a questo punto pensare di vivere in un mondo brutto, grigio e cattivo come la “realtà”? La magia, la magia! È lei la vera grande assente del mondo nel quale voi vivete. Senza magia, l'esistenza non ha alcun senso.

Capirete quindi come il mio rendimento scolastico possa essere compromesso dalla mia visione delle cose. Per ottenere le promozioni mi è sempre bastato stupire i professori nell'ultimo mese di scuola, giusto con qualche sufficienza. Durante gli altri otto, del mondo comune non c'è nulla di rilevante da menzionare.

E che c'entra l'albero, mi chiederete.

L'albero fuori dalla finestra è un araldo, seppur misero, di quei mondi che tanto sarebbero migliori di quello nel quale mi trovo imprigionato. Un albero è un possessore della magia, una reliquia del mondo antico. Quell'albero è la mia fuga dalla grigia noia dell'aula.



Perdonatemi, mi sono dilungato eccessivamente. Tutto questo rischia di uscire dal racconto della mia situazione, anche se ne costituisce lo sfondo. Per questo ritorniamo subito alla mia prima cena con... mia sorella.

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Capitolo 3
*** 3 ***


Sister

3

È ovvio che non possa essere una coincidenza. Appena mi accorgo che il colore dei suoi capelli è sbagliato, cambia.

La osservo.

È seduta di fronte a me, mentre agli altri due lati del tavolo siedono i miei genitori, come se nulla fosse. È perfino probabile che effettivaente non sia nulla, dato che nessuno oltre a me sembra mostrare stupore.

Dietro alla mia migliore faccia impassibile, cerco ancora di capire chi altri possa essere la ragazza che sta cenando con la mia famiglia. È bella davvero, non solo nei lineamenti. Pare che emani un'aura di pace e condiscendenza, tanto che mi sento quasi in colpa a sospettare di lei.

Nel frattempo la cena scorre come se nulla fosse: la mamma chiede al papà come è andata al lavoro, il papà chiede a noi due della scuola. Cose da famiglia, insomma. E lei è simpatica, la cena con lei sembra una cosa del tutto...

D'un tratto, mi guarda.

Voglio dire, mi fissa negli occhi, mi guarda veramente. Non l'aveva ancora fatto e mi sembra di capire il perché. D'incanto, tutta la nuvola di simpatia cade, come fosse finta. Nei suoi occhi io la vedo, così come lei vede me. È una persona vera, di carne ossa e mente, e probabilmente anche d'anima. Non mi sta più simpatica, non mi sento più in colpa con lei, semplicemente perché non la conosco. Ho la certezza di non aver mai visto quegli occhi.

Ma di tutto questo all'esterno non si vede niente. Il contatto con lei dura un istante e la cena riprende allegra come prima. Io sto al gioco, lei è mia sorella, va bene così. Con una scusa idiota mi alzo da tavola e vado in camera mia. No anzi, adesso è camera nostra. Il suo letto è quello in alto, bene.

Ora potete davvero capire la situazione in cui mi trovavo. La “realtà”, il mondo fisso, immutabile, con le sue leggi e i suoi soliti obblighi, aveva contraddetto se stesso: era cambiato. Ma il problema non era questo. Il problema era che io avevo sempre desiderato che cambiasse. E, per questo, non volevo crederci.

-Perché stai al buio?-

Era lei. Perfino la sua voce era sorridente. E io non mi ero nemmeno accorto di non aver acceso la luce. La accese lei.

-Scusa, ho mal di testa- Fu la prima cosa che mi venne in mente.

-Un'altra giornata pesante a scuola?-

-Già...-

-E il tuo albero come sta?-

Trasalii. Come poteva saperlo?

-Bene.-

-Oh, come sei di poche parole. Ti lascio in pace.-



Stetti al gioco. Lei era mia sorella e io fui suo fratello. Come potete biasimarmi? Io ho sempre desiderato avere una sorella.

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Capitolo 4
*** 4 ***


Sister

4

Quando si deve fare una scelta importante, una scelta veramente importante, una scelta di vita insomma, è d'obbligo soppesare ogni aspetto della questione e considerare ogni possibilità. In particolare, ci si ritrova a fare un bilancio della propria vita fino a quel momento per poter capire le solite cose: chi siamo, dove andiamo, cosa cerchiamo.

Alcune scelte sono più difficili di altre. Sono quelle che ti chiedono di rinunciare a qualcosa. È allora che i ricordi diventano improvvisamente più pesanti, come macigni dal quale slegarci solamente per scegliere a quali altri incatenarci.

Per me, decidere di cambiare fu facilissimo. Quasi senza esitazione, accettai la nuova realtà che mi si era presentata davanti: avevo una sorella.

Per quanto possa essere un cambiamento banale, fu la prima vera occasione di ribellarmi alla “realtà”. Perché quella era una cosa assolutamente impossibile. Per questo feci il bilancio della mia vita fino a quel momento, soppesai ogni aspetto della questione e considerai ogni possibilità. Sentii i miei ricordi farsi pesanti, ma molto meno di quello che mi ero aspettato. A me non piacevano i miei ricordi, facevano parte di una storia banale e noiosa. Così vi rinunciai. Decisi che se mi impedivano di avere una nuova sorella, semplicemente erano sbagliati e privi di valore.

E ne valse la pena.

Scoprii che era un anno e mezzo più grande di me e che aveva già la patente. Studiava filosofia all'università e che un'estate era andata come volontaria in Kenya.

Per scoprire il suo nome invece mi occorse un po' più di tempo, dato che stranamente per quei primi non capitava nessuna occasione in cui nostri genitori la chiamassero esplicitamente. In quel frangente spesi gran parte del mio tempo libero in aula a fantasticare sul suo nome e su cosa avesse fatto mentre era in Kenya. Pensai a vari nomi, di tutti i tipi. In questo caso il dizionario di latino fu molto prodigo di ispirazioni, ma non molto valide. Mi venne il terrore che mia sorella si chiamasse Lampronia.

Dopo la scuola andai in biblioteca. Ora che ci penso, per era diventato una specie di covo segreto: non si può parlare, quindi nessuno può dirti cosa fare. Era per questo probabilmente che mi ci trovavo così bene. Sfogliai qualche testo di mitologia alla ricerca di nomi interessanti: Andromeda, Elena, Elettra, Gaia ... non me ne piacevano altri. Chiusi il libro insoddisfatto e guardai fuori. Stava per piovere, forse era meglio rincasare. Almeno mi sarei presentato da lei senza avere pretese sul suo nome, in modo da non rimanere deluso.

Rimasi un momento ad ascoltare la pioggia che stava iniziando a cadere sul mondo, inerme. Quando pioveva, sentivo di odiare di meno la “realtà”: il paesaggio subiva ineluttabilmente la pioggia, non poteva farci nulla. Come me. Come Ofelia, nell'Amleto.

Amavo il personaggio di Ofelia da quando l'avevo conosciuto. Anche lei era una vittima del mondo, anche lei era impotente. Ma non avrei mai voluto quel nome per mia sorella. Non volevo che fosse come me.

Beatrice, quello era il nome giusto. Beatrice è un personaggio di Much a do about nothing, una donna volitiva, capace di esprimere sempre il suo parere e di cambiare ciò che non le va a genio. Ed è anche la guida di Dante. Di una sorella così avrei avuto bisogno.



Mentre tornavo a casa cercando di bagnarmi il meno possibile, provai una sensazione strana. Avevo cercato il nome per una persona che esisteva già da tempo. L'assurdità di tutto questo era dolorosamente palese, ma la mia decisione di stare al gioco era irremovibile. Non mi interessava il motivo di tutto questo, se mi stavo immaginando tutto allora volevo che fosse come piaceva a me. Pensai: se uno deve impazzire, meglio farlo del tutto. Sì, era così. Mi ero inventato proprio una bella massima. Se fossi diventato famoso, di sicuro sarebbe stata citata a sproposito da chiunque.



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