Wonderland

di _Trixie_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo V ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 10: *** Capitolo IX ***
Capitolo 11: *** Capitolo X ***
Capitolo 12: *** Capitolo XI ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


A K. per essere il mio perfetto Wonderland.

 

Prologo
There's a woman crying out tonight, her world has change.[1]

 
 
Le campane del castello rintoccarono lugubri, annunciando la morte del re.
Accanto al grande letto dove l’uomo giaceva, il corpo ancora caldo, sedeva una giovane dal volte cereo, che stringeva convulsamente tra le mani un fazzoletto di seta.
«George!» proruppe un lamento. La porta della camera, fino ad allora tranquilla, venne spalancata con tanta forza che il rumore ricordò un colpo di cannone e una donna si precipitò all’interno.
«George!» gridò di nuovo Louise, la madre del re defunto, accasciandosi sul corpo privo di vita. La giovane non si era mossa, non un solo muscolo si era contratto. Sembrava una statua, con quella pelle marmorea e i lineamenti decisi.
«George, George, mio piccolo George!» singhiozzava l’altra, senza sosta. Finalmente, la giovane, la moglie del re defunto, mise una mano sulla spalla della suocera.
Dalla porta rimasta spalancata accorse un vecchio corpulento, seguito a ruota da due ragazzi che, data la somiglianza, non potevano che essere i suoi figli.
Louise strinse la mano della nuora, che alzò il viso verso i nuovi arrivati. Nei loro sguardi Calliope Torres O’Malley lesse una muta domanda.
«È morto» rispose loro, tornando poi a fissare il viso del marito.
Harold O’Malley si inginocchiò accanto alla moglie, ma non pianse.
Ben presto la stanza si riempì di dame, cavalieri e nobili, che porgevano i loro omaggi alla famiglia reale. Gonne eleganti accarezzavano il pavimento di pietra e spade infoderate graffiavano i muri decorati, in un silenzio glaciale interrotto solo da qualche breve singhiozzo o un colpo di tosse.
Uno alla volta gli uomini e le donne nella stanza si inginocchiarono di fronte a Callie, sussurrando brevi frasi di circostanza.
«Vostra Maestà, dovete cambiarvi d’abito» sussurrò una delle dame di compagnia nell’orecchio della regina, terminate le condoglianze. «Dovrebbe recarsi nella Sala del Trono.  Ricordate gli accordi, Vostra Maestà?»
«Cristina!» sibilò un’altra dama. Era bassa e tarchiata e aveva l’aria minacciosa. La sua pelle scura risaltava violentemente, in contrasto con quella chiara di Cristina, che aveva assunto un’espressione innocente.
«Qualcuno doveva-» iniziò con lo stesso tono dell’altra, prima di essere interrotta dalla regina.
«Cristina ha ragione».
Callie si alzò e rimase immobile per qualche secondo di fronte al corpo, anzi, no, alcadavere di suo marito, re George.
Attese che il capogiro cessasse senza trovare il coraggio di muovere un solo passo.
Una regina senza re appare già debole di per sé, uno svenimento avrebbe solo consolidato questa impressione.
«Sapervi vicini è molto importante per noi. Grazie a tutti per essere venuti» scandì Callie, temendo che la voce la tradisse.
Come un sol uomo la folla colse la nota di commiato nelle parole della loro sovrana e uscì ordinatamente dalla porta, accompagnando i passi ai bisbigli, che andarono in crescendo mentre la stanza si svuotava.
La regina trasse un sospiro di sollievo quando i cognati, Jerry e Ronny, chiusero fuori quel brusio irritante.
Accanto a lei erano rimaste Cristina e Miranda, mentre i vecchi coniugi O’Malley sembravano appartenere a un altro mondo, lo stesso del figlio: imperturbabili a ogni avvenimento a loro estraneo. Callie fece un passo verso di loro, ma Ronny la intercettò e scosse il capo.
«Devi andare, Callie, il regno ti aspetta».
Lei rimase immobile, respirare divenne improvvisamente faticoso e il  posto vuoto accanto a George incredibilmente invitante.
«Io non…» balbettò, gli occhi fissi sul volto sempre più pallido del marito.
«Sei una donna forte, Calliope Torres O’Malley, puoi farcela» intervenne Harold.
«George ti stimava» furono le parole di Louise e tanto bastò a Callie per riprendersi.
Un secondo dopo camminava spedita e a passo rigido verso i suoi appartamenti, mentre le sue dame di compagnia la seguivano a due passi di distanza. Ad attenderle, nella camera della regina, c’era Teddy Altman.
«Vi ho fatto preparare il bagno, Vostra Maestà» disse con un lieve inchino, mentre un paio di cameriere alle sue spalle la imitavano.
«Grazie» fu il secco commento di Callie, mentre Teddy accennava alle due sottoposte di uscire. Queste obbedirono e la regina si lasciò cadere su una vecchia poltrona accanto al camino.
«Vostra Maestà, vi sentite bene?» domandò Lady Miranda preoccupata.
«Bailey, sai benissimo che non c’è bisogno di osservare l’etichetta quando siamo sole» la rimproverò stancamente Callie.
«D’accordo, allora, come ti senti?»
«Uno schifo» grugnì Callie, alzandosi con un lamento. «Aiutatemi a togliere questo maledetto vestito. Pesa quanto un armatura».
«Abituati, il peso che dovrai sopportare nei prossimi mesi, o forse anni, sarà il doppio» commentò Cristina. «Metaforicamente parlando, ovvio».
«Sei sempre d’aiuto!» la rimbeccò Teddy.
«Sono solo realista» precisò Cristina, mentre Callie annuiva distrattamente, espandendo nuovamente i polmoni compressi dal corpetto troppo stretto.
«Sii più sensibile, ha appena perso il marito» le ricordò Miranda in un sussurro, tentando inutilmente di non farsi sentire dalla regina.
«Eravamo sposati solo di nome, Bailey, non ho il cuore spezzato. Eravamo uniti da un sincero affetto e da una stima reciproca, ma nulla più» sospirò Callie, sciogliendosi i capelli stretti in una rigida acconciatura. Un paio di mollette d’argento caddero a terra.
«Ma per favore!» esclamò Cristina.
La regina le lanciò un’occhiata interrogativa, mentre si dirigeva verso la vasca che Teddy le aveva preparato.
«Sei la persona più…» iniziò a spiegare Cristina, alla ricerca della parola adatta.
«Sensibile?» suggerì Lady Altman.
«Può andare. Sensibile, Callie, sei la persona più sensibile che abbia mai incontrato in vita mia. Non fingere di non avere il cuore spezzato, non con noi. Era un matrimonio programmato, ma vi siete amati» continuò Cristina imperterrita, senza degnare di uno sguardo Miranda Bailey che tentava in tutti i modi di farla tacere, mimando gole tagliate e cuori pugnalati.
«Forse ora c’è ben poco di quell’amore, ma stai soffrendo. Soffri come una moglie che ha perso il marito e come una regina che sta per condannare il proprio regno alla rovina e ne è consapevole».
«Cristina!» esclamarono in coro Teddy e Miranda.
«Andatevene. E tornate tra dieci minuti per aiutarmi a vestirmi. Convocate Owen Hunt, Catherine Avery e Ben Warren nella Sala del Trono tra venti minuti. Ah, preferirei che fosse presente anche un altro rappresentate della famiglia O’Malley. Mandate un messaggero a mio padre perché ci raggiunga il più presto possibile. Tra mezz’ora parlerò con il mio popolo» ordinò Callie, con un tono perentorio che raramente usava con le sue dame di compagnia.
Quando sentì i loro passi allontanarsi e la porta della sua stanza chiudersi, la regina trasse un sospiro di sollievo, scivolando nella vasca piena di acqua calda e schiuma.
I muscoli, doloranti per la tensione che avevano sopportato nelle ultime settimane di agonia di re George, si rilassarono, strappando un gemito di sollievo a Callie, che chiuse gli occhi, escludendo il mondo fuori da quella stanza.
Una lacrima solitaria cadde nell’acqua, mentre la portata degli avvenimenti la investiva.
Era la regina di un regno che non le apparteneva di diritto, un regno che stava per entrare in guerra per delle decisioni prese in modo affrettato. Non poteva nemmeno permettersi di piangere il marito che un tempo aveva amato, la cui morte era la causa della catastrofe che stava per abbattersi sul Regno di Picche.
Ricordava come fosse ieri il messaggero accorso al castello, accaldato e tremante, chiedendo udienza alla regina, cui venne consegnata una pergamena con il sigillo del re impresso sulla ceralacca.
 
Re George è stato ferito da un soldato di cuori che cercava di stuprare e rapire una giovane contadina del regno. Il re si è lanciato in sua difesa prima che potessimo intervenire. I  graffio riportato sul braccio non è letale, il medico che è con noi ci assicura che si ristabilirà in poco tempo, anche se l’aspetto della ferita lo preoccupa.
Stiamo tornando al castello il più in fretta possibile.
Harold O’Malley
 
Solo qualche ora dopo avevano scoperto che la ferita era stata inferta con una lama avvelenata e che per il re non c’era nulla da fare, se non sperare che le sue ultime settimane di agonia non fossero troppo dolorose.
La corte bianca aveva ascoltato il volere del popolo: il Regno di Cuori doveva pagare.
Venne inviato un ultimatum, che Callie firmò riluttante. La sua mano tremava al punto che dovettero stilare una nuova coppia del documento, dopo che la regina macchiò il primo rovesciando l’inchiostro del calamaio. L’ultimatum invitava il Regno di Cuori a una resa totale o a prepararsi ad essere militarmente annientato dopo l’ultimo respiro di George.
L’assassinio di un re poteva essere punita solo con la morte di un regno.
«Vostra maestà?»
La voce di Miranda strappò Callie alle sue riflessioni.
«Siete pronta?» chiese la dama titubante.
«Sì» la voce della regina risuonò violentemente tra le pareti marmoree del bagno. «Sì, arrivo, un attimo».
Callie uscì velocemente dalla vasca e si asciugò, tremante per il freddo. Indossò velocemente una sottoveste bianca e guardò per un ultima volta l’acqua diventata fredda.
Lì, ormai irriconoscibile, era caduta l’unica lacrima che aveva pianto. Per George, bisbigliò, prima di uscire.
In silenzio, Cristina, Teddy e Miranda la aiutarono a vestirsi, un rituale che lei detestava, soprattutto per via del corpetto che le stringeva il busto, mozzandole il respiro.
Sono vedova,pensò, mentre Teddy raccoglieva i suoi capelli in una sobria ma elegante acconciatura.
Callie osservò il proprio riflesso nello specchio che aveva di fronte. La pelle opaca, le occhiaie profonde, il vestito nero, con un unico, grande picche di seta bianca sul petto e quel volto che stentava a riconoscere come il proprio.
«È tutto pronto?» domandò poi, quando Teddy si allontanò.
«Sì, Callie. Vuoi aspettare ancora qualche minuto?»
«No, Miranda, andiamo»
Facendo appello a tutta la forza di volontà che le era rimasta, la regina uscì dai suoi appartamenti per recarsi nella Sala del Trono.
Ad attenderla trovò Owen Hunt, il Fante di Picche, Lady Avery, la donna più ricca che il Regno avesse mai visto, Ben Warren, il miglior fabbro che la terra avesse mai visto e i fratelli O’Malley, con i volti tirati e scavati dal dolore.
Callie non si sedette sul trono, non voleva far pesare su di loro la propria autorità. Si mise al centro della sala e attese che i presenti si avvicinassero, porgendole omaggi e condoglianze. Sir Hunt, Lady Avery e Warren si inchinarono, ma Callie non lasciò che anche Jerry e Ronny O’Malley li imitassero Senza considerare quella che era l’etichetta, di cui sua madre aveva cercato in tutti i modi di farle comprendere l’importanza, Callie abbracciò i cognati e notò con la coda dell’occhio Lady Cristina e Sir Owen scambiarsi un’occhiata furtiva.
«Bene» disse, schiarendosi la voce e facendo cenno alle sue dame di restare. Rimasero tutti in piedi, in cerchio, anche se ai lati della regina era stata mantenuta una rispettosa distanza. «Ci sono alcune questioni che vorrei discutere con voi. Per prima cosa» disse, voltandosi verso gli O’Malley, «vorrei chiarire la questione della successione. Io ero la regina consorte, al fianco di George, ma ora immagino che la corona passerà a-»
«A te!» esclamarono all’unisono Jerry e Ronny, sorprendendo Callie.
«Ora sei la…» incalzò Jerry, al ricerca del titolo esatto.
«La regina regnante!» incalzò il fratello.
«Non conosco a fondo il diritto del regno, almeno non riguardo a questo. Non credevo ne avrei mai avuto bisogno» disse Callie in tono lugubre. «Ma io e George non abbiamo avuto figli. A chi passerà il regno alla mia morte? Credo sia più opportuno se uno di voi due venga incoronato re».
«Non credo sia la scelta migliore» si intromise Catherine Avery. «Se mi è concesso, maestà, ritengo che la mancanza di figli non sia un problema. La corona verrà ereditata da uno dei figli di Lord Jerry o Lord Ronny. Colui o colei, che voi riterrete adatto. Da secoli gli O’Malley si sono succeduti sul Trono di Picche con questa modalità e fin’ora a funzionato»
«È vero!»
«Già!»
Concordarono i due fratelli con aria risoluta, seguiti a ruota da cenni d’assenso da parte delle dame della regina e, dopo qualche istante di ponderata riflessione, anche da un breve ma inequivocabile cenno di Sir Owen Hunt.
Callie si aspettava una reazione del genere, ma non accompagnata da un così vivace assenso. Respirò a pieni polmoni e poi proseguì con la seconda questione su cui aveva rimuginato nelle lunghe ore seduta accanto al marito incosciente.
«Grazie per la fiducia» disse, chiedendosi quanto ci avrebbero messo a capire che non era una donna adatta al comando. «Vorrei ora sottoporre al vostro giudizio un pregetto sul quale ho a lungo ponderato. Conoscete tutti i termini dell’ultimatum inviato alla corte rossa. Il popolo ha invocato a gran voce la vendetta e noi abbiamo fatto una promessa. Ora non ci rimane che scendere in guerra contro il Regno di Cuori» annunciò Callie, mentre un’atmosfera tetra scendeva sulla stanza.
«Sei contraria».
«Non vuoi vendicare tuo marito?»
«George per te l’avrebbe fatto».
«Già!»
Dissero in rapida successione i fratelli O’Malley. A quella loro abitudine Callie non si era ancora abituata e il rapido alternarsi delle loro voci la lasciava spesso intontita.
«No, sono contraria alla guerra, è vero, ma su quel ultimatum c’è la mia firma. Mio padre mi ha insegnato a compiere il mio dovere fino in fondo e a mantenere le promesse fatte. Tra poco annuncerò al popolo che siamo ufficialmente in guerra. Quello che volevo discutere con voi tutti» disse Callie, fermandosi per riprendere fiato data la foga con cui aveva risposto ai cognati, «è l’istituzione di un Consiglio Straordinario di Guerra, che mi affiancherà nel governo del Regno di Picche fino al termine dei conflitti» annunciò, lasciando tutti, con l’esclusione di Lady Avery, a bocca aperta.
«Posso chiedere, Vostra Maestà, chi saranno i membri di questo consiglio?» disse Catherine.
«Ma certamente, non crediate che la vostra presenza qui sia casuale. Lady Avery voi sarete uno dei membri, se accetterete. E anche voi, Sir Hunt. Ronny, Jerry, credete che vostro padre accetterebbe di farne parte? Altrimenti, uno di voi due potrebbe sostituirlo» domandò la regina.
«O no!»
«No, affatto!»
«Papà ne sarà felicissimo!»
«Entusiasta!»
«Il Regno Rosso deve essere annientato!»
«E con lui tutti i suoi abitanti!»
«D’accordo, va bene» tagliò corto Callie. «Ben Warren, gradirei anche la vostra presenza. Infine, Lady Miranda, sarei onorata se deciderete di farne parte anche voi. Avrò il diritto di veto sulle vostre proposte, ma alcun diritto di voto. Qualcuno desidera rifiutare l’incarico?»
Nessuno parlò, né si mosse.
«Bene, grazie per la collaborazione. Ora, se vogliate scusarmi, devo annunciare al popolo che siamo ufficialmente in guerra contro il Regno di Cuori».
 
 

 
 
NdA
Sì, lo so che dovrei concentrarmi su Autumn, ma credo di essere in grado di gestire due progetti contemporaneamente, non preoccupatevi. O forse dovreste…
Comunque, grazie per aver letto il prologo, che è incentrato interamente su Calliope, ma non preoccupatevi che arriverà anche Arizona!
Ci sono diverse analogie con Alice nel Paese delle Meraviglie, che in effetti gioca un ruolo centrale, ma come avrete intuito da questo ho tratto l’ambientazione e i tratti distintivi di qualche personaggio. Troverete riferimenti lungo tutta la storia, ma la vicenda non segue passo a passo quella di Alice, affatto!
Un’ultima cosa, la citazione iniziale  è tratta dalla canzone  [1] We believe (Good Charlotte).
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, a presto,
Trixie. 

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***


Capitolo I
Just maybe, I'm crazy. Don't you know?
I'm going under, in a world of wonder. [2]
 

 
Ricordava di essere caduta, ma non riconosceva il luogo in cui si trovava.
Il terreno era umido di pioggia e l’aria aveva un odore particolare, che non aveva mai sentito e che la infastidiva. Il cielo era cupo e minaccioso, coperto da una coltre di nubi tanto spessa da non lasciare trapelare il minimo raggio di sole. Si alzò in piedi. Attorno a lei si estendeva a perdita d’occhio una distesa di erba secca e alberi bruciati.
Un bosco dato alle fiamme,pensò Arizona, ma dove mi trovo?
Per quanto si sforzasse di ricordare, la sua memoria riportava a galla solo immagini indistinte dei suoi genitori, di suo fratello Tim, della sua infanzia e del momento esatto della caduta, il terreno che si apre davanti ai suoi occhi e una voragine senza fine ad attenderla. Poi, più nulla.
Forse nella caduta aveva battuto tanto violentemente la testa da aver danneggiato i suoi ricordi. In effetti, si stupì Arizona, era sorprendente che fosse ancora viva.
Assaporava da poco il sollievo derivante da questa considerazione, quando udì delle voci in lontananza.
«Ti dico di no, Meredith, il fronte si è spostato verso il regno bianco!» esclamò una voce femminile, con una marcata nota di autorevolezza.
Arizona si guardò velocemente intorno.
Il fronte? Quale fronte? Il suo paese era in guerra? Ma se non sapeva nemmeno da quale paese provenisse?
«No! Le truppe rosse sono in ritirata, i rifornimenti scarseggiano. Le rivolte nella Città di Cuori sono all’ordine del giorno» rispose un’altra voce, anch’essa femminile. «Doc! Doc, fermati!»
Arizona quasi svenne, vedendo un enorme cane bianco correre verso di lei lievitando a mezz’aria.
«Doc!» chiamò di nuovo la seconda voce.
«Stupido Strecane!» inveì la prima.
Arizona era paralizzata dal terrore, gli occhi fissi sul cane volante, che nel frattempo si era sistemato davanti a lei, all’altezza del bacino, offrendole la pancia per farsi accarezzare.
«Mi scusi, Doc ama le coccole» disse una donna dagli occhi verdi, raggiunta a ruota da una seconda, più vecchia, ma con gli stessi occhi chiari e penetranti.
«D-Doc?» balbettò Arizona, trovando finalmente il coraggio di parlare.
«Doc, il nostro Strecane» spiegò la giovane, indicando il cane volante con tranquillità.
«Ah. E voi chi siete?» continuò Arizona, dandosi un pizzicotto sul braccio per assicurarsi che non fosse tutto quanto un sogno. Ben presto una piccola macchia rossa si allargò sulla sua pelle.
«Io sono Meredith Grey. E, prima che tu me lo chieda sì, lavoravo come Cappellaia di corte presso la Regina Rossa e sì, mi ha cacciata perché ero amica di suo marito».
«Amica intima» la corresse l’altra donna.
«Mamma!»
«Ellis Grey, piacere di conoscerti. Tu chi sei?»
«Arizona Robbins» rispose la giovane, come un soldato interrogato dal generale.
«E da che parte stai?» chiese Meredith, guardinga. Doc intanto si era messo di nuovo a quattro zampe e annusava l’aria intorno alle tre donne.
«Io non… Io non credo di saper rispondere alla domanda» disse Arizona, colta alla sprovvista.
«Combatti per il Regno di Picche o per il Regno di Cuori, ragazza? E cosa ci fai nel Bosco delle Lacrime Rosse?» intervenne Ellis.
«Bosco delle Lacrime Rosse? È così che si chiama questo posto?» rispose Arizona, lanciando un’occhiata intorno. Ora che ne conosceva il nome quel luogo le piaceva ancora meno.
«Per tutti i cappelli, ragazzina, mi stai prendendo in giro? Da dove vieni?» domandò piccata la signora Grey.
Arizona fissò le due donne, non sapendo cosa rispondere alla seconda domanda. Si pizzicò nuovamente il braccio. Non era un sogno.
«Io non lo so, da dove vengo» disse infine.
Ellis Grey la scrutò intensamente, Meredith sembrava sinceramente incuriosita e confusa quasi quanto Arizona. Doc se ne stava mansueto sdraiato dietro la sua padrona, con il muso appoggiato sulla spalla della ragazza.   
«Come hai detto che ti chiami, ragazza?» domandò nuovamente Ellis.
«Arizona, Arizona Robbins».
«Arizona. Sei sicura?»
«Certo che sono sicura! Conosco il mio nome!» esclamò la ragazza, nascondendo la paura di aver perso anche la propria identità. Ma no, non era possibile. Lei era chi diceva di essere.
«Sei mai stata qui prima d’ora, a Wonderland?»
«No, mai, che io ricordi» rispose Arizona, spaventata dalle domande dell’altra.
«Sei sicura di chiamarti Arizona? Il tuo nome non è Alice?»
«Alice? No, io sono Arizona, gliel’ho detto, signora Grey!»
«Mamma, Arizona è sincera. Doc è tranquillo, non ha fiutato la menzogna» intervenne Meredith, facendo un passo verso Arizona. La testa di Doc cadde nel vuoto, priva del suo sostegno, ma lo Strecane si riprese subito.
«Arizona sta dicendo ciò che crede sia vero, non ciò che lo è realmente» confermò lo Doc, strappando un urlo sorpreso ad Arizona.
«Ma il cane parla!»
«Sono uno Strecane, Arizona, anche se so mordere come un cane» la corresse Doc senza scomporsi, accucciandosi sulle zampe anteriori all’altezza della vita delle tre donne.
«Doc, capisci da dove venga questa ragazza?» lo interpellò Meredith.
«Dal Mondo di Lassù, a giudicare da come si comporta. Ha lo stesso sguardo smarrito negli occhi che aveva Alice» rispose Doc, portandosi una zampa accanto al muso, come un uomo che appoggi un dito sulla tempia per pensare.
«Ma chi è questa Alice?» chiese Arizona, confusa. E poi, cosa era quel Mondo di Lassù di cui lo Strecane andava ciarlando?
«Una bambina che giunse a Wonderland tanto tempo fa. Aveva gli occhi azzurri e i capelli biondi» spiegò Meredith.
«Come me…» considerò Arizona.
«E si era persa, come te» aggiunse Ellis.
«Io non mi sono persa!» protestò Arizona. «Forse un pochino…»
«Ti sei persa più lontano di quanto tu possa immaginare, ragazzina» aggiunse Ellis in tono grave.
«E ora dove la portiamo?» chiese Meredith, senza lascare ad Arizona il tempo di rispondere.
«Alla corte bianca, e dove, altrimenti?» disse Doc, stiracchiandosi.
«Non abbiamo altra scelta e, comunque, ci stavamo già andando, no?» acconsentì Ellis, annuendo e oltrepassando Arizona che, solo allora, si accorse dello strano abbigliamento delle due donne.
Portavano entrambe dei pantaloni a calzamaglia, con una motivo a righe irregolari, e una giacca di velluto completa di coda. Ai piedi avevano due paia di scarpe identiche, anch’esse di velluto, con una fibbia d’oro.
La sua confusione cresceva in maniera esponenziale ad ogni passo che compiva seguendo Meredith e Ellis, mentre Doc le seguiva a breve distanza, giocando con gli animali che incontrava sul suo cammino.
Le domande che frullavano nella mente della ragazza erano talmente tante da confondersi a loro volta l’una con l’altra, aumentando il suo generale senso di smarrimento.
Stava impazzendo? Era sotto l’effetto di stupefacenti? O forse era tutto vero? Ma allora chi erano i soldati rossi? E la corte bianca? Era un luogo sicuro? E c’era davvero una guerra in corso? E perché Meredith e Ellis erano vestite così? E cosa era esattamente il Mondo di Lassù? E Wonderland? Era un mondo, uno Stato, una città, una nazione? E perché non ricordava nulla? Da dove era caduta? E quella caduta aveva un motivo? O era stata la casualità a condurla fin lì?
Arizona non voleva decidersi a parlare.
E se quelle donne avessero giudicato sgarbato che lei rivolgesse loro delle domande? E se l’avessero abbandonata? 
Meredith rallentò leggermente il passo, distanziando la madre e portandosi al fianco di Arizona. Doc le passò agile attraverso le gambe.
«Credo tu voglia chiedermi qualcosa, non è vero?» domandò gentilmente la giovane Cappellia, sorridendo.
«Sì, ma… non saprei proprio da dove iniziare» le confidò Arizona. Anche il solo fatto di parlare con un essere umano la rassicurava.
«Da dove preferisci, forza, spara!» la incoraggiò Meredith.
«Bene, d’accordo. Dunque, dove mi state portando, esattamente?» chiese Arizona.
«Nel Regno di Picche» rispose allegramente l’altra.
Arizona corrugò la fronte.
«Picche, hai detto? Quelle lance appuntite che non promettono nulla di buono?» domandò, spaventata.
Meredith rise.
«No, nulla del genere. Voglio dire, una volta il regno basava la propria forza sull’esercito e i loro picchieri erano i migliori di Wonderland, ma ormai le uniche picche rimaste sono quelle ricamate sugli stendardi e sul vestito della regina» spiegò Meredith, tracciando una specie di cuore rovesciato a mezz’aria.
«Una regina? Perciò c’è anche un re» disse Arizona, sovrappensiero.
«No, il re non c’è più» disse Meredith in tono cupo. «La sua morte è stata la causa di questa guerra».
«Oh» disse Arizona, senza trovare il coraggio di chiedere nuovi dettagli.
Meredith abbassò la voce e raccontò le circostanze della morte di re George.
«E ormai è quasi un anno che questa maledetta guerra continua» concluse, calciando un sasso che si trovava in mezzo a ciò che rimaneva del sentiero che stavano seguendo.
«Perciò» disse Arizona, cercando di riordinare tutte le nozioni che aveva appreso e che le vorticavano nella mente, «ci sono due regni: quello di Cuori e quello di Picche. E due Principati, il Principato di Quadri, alleato al Regno di Cuori, e il Principato di Fiori, alleato al Regno di Picche, giusto?»
«Esatto, impari in fretta!» annuì Meredith.
«E la regina Calliope ha dichiarato guerra al Regno di Cuori, per vendicare la morte del marito?» continuò Arizona, pronunciando con una certa piacevolezza il nome della regina.
«Sì, è la versione ufficiale. Ma certe voci, nel castello rosso, dicono che lei non volesse affatto dichiarare guerra, ma che venne spinta dall’opinione pubblica e dai suoi consiglieri» precisò Meredith.
«Capisco» disse Arizona, considerando, per un motivo a lei sconosciuto, questa spiegazione più che attendibile. «E posso chiederti quale è la tua storia, Meredith?»
La domanda venne seguita da un breve silenzio, durante il quale Meredith parve riflettere sulla risposta da dare. Ellis camminava ancora a passo spedito davanti a loro e Doc era scomparso alla vista, ma ad Arizona non parve un problema.
«Puoi chiederla, se vuoi» disse Meredith infine.
«Ok, allora, quale è la tua storia?»
«Fino a qualche settimana fa lavoravo alla corte rossa. Fabbricavo cappelli. Come mia mamma, è una specie di tradizione di famiglia» disse Meredith, con un sorriso malinconico.
«E ha sempre condannato la famiglia alla rovina!» esclamò Ellis Grey. «Cappellaio Matto, ecco come era conosciuto tuo nonno!»
«Forse ha ragione. In ogni caso, siamo state cacciate quando la regina rossa mi ha scoperta a parlare con suo marito, il re rosso» proseguì Meredith.
«Questa regina ti ha punita per aver scambiato qualche parola con il re? O è molto gelosa o è molto stupida» disse Arizona, sconcertata.
«Veramente» si intromise Ellis, «mia figlia e il re stavano parlando in maniera molto intima, usando la lingua più concretamente di quanto ci si possa aspettare in una conversazione».
Meredith arrossì violentemente, dando ad Arizona la conferma della veridicità delle parole della signora Grey.
«Mamma, ci siamo innamorati, lo sai che-»
«Sciocchezze, Meredith!» la zittì Ellis. «Ad ogni modo, ragazzina» aggiunse, rivolgendosi ad Arizona e avvicinandosi alle due ragazze, «evita di parlare male della regina o della corte rossa. Il fronte si è spostato, l’esercito di cuori avanza, probabilmente siamo ancora nel territorio da loro controllato. E parlare male di una regina che ama le decapitazioni non è la più saggia delle strategie».
Arizona annuì, spaventata dalle parole dell’altra.
Ancora faticava a credere di trovarsi nel bel mezzo di una guerra.
Ellis riprese a camminare velocemente e le due la seguirono. Doc balzò fuori da un cespuglio, stringendo tra i denti un ramo secco.
«Quanto manca per arrivare alla corte bianca?» domandò Arizona, dopo qualche minuto di silenzio.
«Un paio di giorni di cammino, forse tre» rispose Meredith, sbadigliando.
«Oh» fu il commento di Arizona, che non era affatto abituata a camminare tanto a lungo. «E da quanto tempo siete in marcia?»
«Dieci giorni, credo, o poco più» rispose l’altra evasiva. «Il bosco dovrebbe essere quasi terminato e da un momento all’altro sono sicura che ci imbatteremo in un villaggio».
«Perché si chiama Bosco delle Lacrime Rosse?» chiese Arizona, tanto per fare conversazione e non pensare alla lunga camminata che l’attendeva quanto per curiosità.
«Non si è sempre chiamato così. Prima era semplicemente il Bosco Grande, perché è il più grande di Wonderland» ricordò Meredith, con un’alzata di spalle. «Ma all’inizio della guerra la regina rossa diede l’ordine di bruciare il Bosco Grande, per stanare fuorilegge e fuggitivi e ridurre le risorse a disposizione del Regno di Picche, che vi faceva affidamento per procurarsi il legname. Si dice che sia stato il Fante di Cuori in persona ad appiccare il fuoco. Per giorni e notti senza fine il Bosco Grande bruciò. Gli abitanti di Wonderland tentarono di domare le fiamme, ma salvarono ben poco, quasi nulla, in effetti. Ma mentre cercavano di spegnere l’incendio, uomini e donne avevano gli occhi colmi di lacrime, che riflettevano le fiamme. Per questo ora è chiamato Bosco delle Lacrime Rosse» concluse Meredith.
«Triste, ma appropriato» disse Arizona, chiedendosi ancora una volta in che razza di guaio si fosse cacciata.
«Il bosco termina tra pochi passi, dietro quella curva dovremmo vedere il primo villaggio» annunciò Ellis, mentre Doc correva avanti e indietro, pregustando le salsicce che Meredith gli aveva promesso nei giorni in cui si erano nutriti solo di frutta e radici.
Affrettarono il passo. Incontrare essere umani e trovare un rifugio dopo essere stati cacciati da quella che era stata la propria casa sembrava un miraggio irrealizzabile, impossibile da credere.
Si lasciarono alle spalle i tronchi arsi dalle fiamme e l’erba secca e imboccarono un sentiero lastricato di pietre mal intagliate e irregolari.
Ma quando arrivarono alle porte del villaggio Ellis e Meredith si immobilizzarono, agghiacciate, mentre Doc cominciava a guaire.
Arizona non riusciva a capire cosa avesse provocato in loro una tale turbamento, nonostante la bandiera che svettava sul comignolo più alto non fosse affatto rassicurante. Al centro, in campo nero, era raffigurato un cuore così realistico che si sarebbe potuto giurare di averlo visto battere.
«Chi siete?» intimò una voce maschile alle loro spalle, per nulla amichevole.
Le tre donne si voltarono lentamente, incrociando un paio di occhi azzurri e letali quanto il ghiaccio e una schiera di archi puntati contro di loro.
«Per tutti i cappelli» bisbigliò Ellis, allibita. «Il Fante di Cuori». 




NdA 
E perciò... chi sarà il Fante di Cuori? u.u Si accettano scommesse! 
Parlando di cose serie, la canzone [2] è Topsy Turvy, Family Force 5, che, tra le altre cose, fa parte dell'album Almost Alice, la colonna sonora di Alice in Wonderland di Tim Burton <3 
Al prossimo capitolo, 
Trixie :)

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***


Capitolo II
I’m alone on the journey, I’m alive nonetheless.[3]

 
 
«Cappellaie, che piacere rivedervi» salutò sardonico il Fante di Cuori, scendendo da cavallo.
«Sir Mark Sloan, la vostra brutta faccia non è cambiata di un millimetro» disse Meredith, con la follia negli occhi e la rabbia nel cuore.
«E questa bella giovane in vostra compagnia chi è, dolci signore?» domandò l’uomo, scendendo da cavallo. Alle sue spalle gli occhi del manipolo di soldati che lo accompagnava puntarono su Arizona.
«Cosa ti importa? È solo una ragazza» intervenne Ellis, facendo un passo avanti.
«Una ragazza vestita assai stranamente, Cappellaia».
Arizona si sistemò il maglione e lisciò delle pieghe inesistenti dei jeans con una mano in un gesto automatico. I suoi vestiti, di strano, non avevano proprio nulla. Piuttosto, l’armatura nera con un cuore enorme dipinto sul petto era quanto di più strano avesse visto indossare a un uomo.
«Vieni dal Mondo di Lassù?» domandò il Fante di Cuori, rivolgendosi direttamente ad Arizona.
«Io non so nemmeno cosa sia questo Mondo di Lassù!» esclamò la ragazza spavaldamente. Quel Sir Sloan non le piaceva nemmeno un po’, con quella sua faccia troppo bella per essere umana e il ghigno strafottente.
Ellis e Meredith gemettero.
« Tutti a Wonderland sanno del Mondo di Lassù» disse il Fante. «Perciò tu non vieni da nessun angolo di Wonderland».
«Come faccio a provenire da un posto che non conosco?»
«Come fai a stare in un regno che non conosci?»
«Non ha il benché minimo senso!» 
«Bentornata a Wonderland, Alice» rispose l’uomo, avvicinandosi alla ragazza che stava interrogando.
«Io non sono Alice. Il mio nome è Arizona» ripeté questa.
«Occhi azzurri e capelli biondi» disse il Fante, prendendo una ciocca dei capelli di Arizona tra le mani. La giovane si ritrasse disgustata.
«Non ci sono dubbi, tu sei Alice».
«Oh, andiamo, Sir Sloan! Come può essere Alice? Quella Alice a quest’ora sarà già morta!» esclamò Ellis Grey. «E Quella Alice non ha mai portato vestiti tanto strani, né era tanto insolente, nemmeno nei periodi peggiori».
«Occhi azzurri, capelli biondi. Tanto basta a far di lei una minaccia e voi, care signore, la state proteggendo» continuò il Fante imperterrito, facendo un cenno alle guardie perché legassero le tre donne.
«Stavo giusto tornando alla Fortezza Rossa, non vedo l’ora di portarvi in dono alla mia amata regina» commentò Sir Sloan, con un’enfasi particolare sulla parola amata che ad Arizona fece accapponare la pelle.
«Fante di Cuori, questo è il Regno di Picche. Qui non avete alcuna autorità» disse Ellis, con più calma di quanto Arizona potesse immaginare in una situazione del genere.
«Abbiamo da poco conquistato questo villaggio, che è stato raso al suolo e i suoi abitanti uccisi, se non sono riusciti a scappare in tempo. La nostra bandiera sventola e non incontrerai altro se non cuori da qui alla corte rossa».
Il Fante di Cuori indicò tre soldati e fece l’oro cenno di avvicinarsi alle donne.
Quando uno di loro afferrò Arizona, le cercò di divincolarsi, mordendo la mano del soldato dai capelli neri che cercava di legarle le mani con un pezzo di corda ruvida.
«Jackson? Jackson Avery? Per tutti i cappelli, come puoi servire quell’uomo?» domandò incredula Meredith, rivolgendosi al soldato che si stava occupando di lei.
«Meredith» disse questo con tono rassegnato.
«Abbiamo giocato insieme, da bambini! Eravamo amici! E ora tu vuoi portarmi in un posto orribile, dove sicuramente la mia testa andrà a decorare la sommità della Torre delle Decapitazioni. Mi fai schifo!» urlò Meredith.
«Lasciate almeno andare mia madre! Non ha fatto niente».
«Tanto per iniziare ti ha messa al mondo e ti ha educata, sei così per causa sua» scandì Sir Mark, per nulla toccato dalle urla di Meredith.
Ellis Grey non aveva cercato di liberarsi. Aveva semplicemente offerto i polsi uniti perché li legassero, ma quando un soldato si era avvicinato, li aveva ritratti.
«No. Sir Mark Sloan, sarete voi a legarmi, perché voi avete dato l’ordine» disse, rivolgendosi al Fante.
«Con vero piacere, Lady Ellis Grey» acconsentì l’uomo.
«Non sono una Lady, Sir, non tollero questi insulti» disse, reprimendo un gemito di dolore quando il Fante strinse la corda, più forte del dovuto.
«Avete sposato Lord Grey e questo fa di voi una Lady».
«Avete finito, soldatini da quattro soldi?» gridò poi Sir Sloan, guardandosi attorno solo per rendersi conto che sia Meredith che Arizona erano state legate. La giovane Cappellaia osservava un punto in lontananza, verso il centro del villaggio, come se covasse una segreta speranza. Forse, pensò il Fante di Cuori, spera che un contingente bianco spunti all’orizzonte per liberarle, povera illusa.
Arizona lo guardava con sguardo carico di odio e sfida, ma la cosa non lo preoccupò affatto. Le persone che lo odiavano erano decisamente di più di quelle che provavano affetto per lui, ci era abituato.
Rimontò a cavallo e ordinò ai soldati di farsi carico di una prigioniera ciascuno, così che non rallentassero la galoppata fino alla Fortezza rossa attraverso il Bosco delle Lacrime Rosse.
 
Erano passati ormai tre giorni da quando le donne erano state catturate, ma nessuna di loro aveva rivolto la parole ai soldati e si rifiutavano di rispondere alle domande di Sir Mark Sloan.
Perché questa ragazza che sembra Quella Aliceè con voi?
Volete aiutare il Regno di Picche, non è vero?
Dove avete trovato questa donna?
Stavate andando al Castello Bianco? Gli ordini della regina erano chiari: fuori dalla corte, ma non dal regno.
E tu, Meredith, non avevi uno Strecane, che fine ha fatto?
La regina vi taglierà la testa, questo è poco ma sicuro.
Ellis e Meredith parlavano tra di loro ogni volta che ne avevano l’occasione. Ellis raccontava la propria passata gloria alla figlia, che ascoltava rapita, come se non avesse mai conosciuto sua madre prima di allora. Arizona interveniva raramente, attenta alle parole delle altre due, con più interrogativi che risposte nella testa.
Si sentiva sola, in un posto che non conosceva, prigioniera di una guerra che non la riguardava minimamente, accusata di essere Quella Alice, qualunque cosa significasse.
Oltre al senso di solitudine e smarrimento, al dolore di gambe e busto dovuto alle tante ore passate in sella, alle fitte alla schiena e alle braccia, colpa delle notti trascorse su un terreno umido e scomodo, al sentirsi sporca e affamata, perché non c’erano state occasioni per lavarsi e il cibo era poco, andava ad aggiungersi una profonda inquietudine per il futuro, ma soprattutto una strisciante sensazione di privazione, come se le mancasse qualcosa di davvero importante, che non riusciva a identificare completamente.
Provava un disperato quanto inconscio bisogno di correre verso il Castello Bianco, in qualunque direzione questo si trovasse, e non ne capiva il motivo.
Lei non lo conosceva, non ci era mai stata, non sapeva chi fosse questa Regina di Picche, questa Calliope. Eppure anche solo il pensiero di quella donna sconosciuta con un nome tanto bello bastava a strapparle un sospiro malinconico e sofferente. Ed era lei che sognava la notte, quando il buio calava su quel bosco spettrale e il freddo si insinuava nel suo corpo.
Forse era solo un primitivo bisogno di protezione e rassicurazione, l’umana debolezza di cercare aiuto in situazioni difficili. Già, forse.
 
«Io ti odio».
«Oh, la giovane Lady Grey si degna di parlarmi, quale onore» commentò Jackson ironico.
Era il sesto giorno di viaggio e Sir Mark Sloan voleva raggiungere la Fortezza Rossa prima di sera. Jackson era convinto che ci sarebbero arrivati solo sfiancando i cavalli e avrebbe preferito fare una pausa, ma con il Fante di Cuori era meglio non discutere, soprattutto quando si trattava di raggiungere la regina rossa.
«Abbassa la voce, non voglio che il tuo amico Sloan mi interroghi» disse Meredith. «Almeno questo puoi farlo, in ricordo della nostra passata amicizia?»
«Meredith, io sono ancora tuo amico» la corresse Jackson bisbigliando, senza guardare la ragazza. Forse così nessuno avrebbe capito che finalmente aveva aperto bocca.
Meredith si guardò i polsi e fece scorrere lo sguardo sul cavallo sul quale si trovava, imprigionata tra le braccia di Jackson che teneva le redini.
«No, noi non siamo amici, soldato rosso» sputò. «Cosa ne pensa April?»
Quello era un colpo basso e Meredith lo sapeva. April Kepner era una giovane nobildonna di campagna, di cui Jackson si era innamorato anni prima. E lei amava lui.
La famiglia Kepner detestava la regina rossa, odio condiviso anche da parte degli Avery.
Jackson non rispose.
«E Lady Catherine cosa direbbe, Jackson?»
«April è diventata dama di compagnia della regina e il giudizio di mia madre non conta nulla, per me. Se ne è andata, mi ha abbandonato. Dicono abbia un posto d’onore alla corte bianca» rispose lapidario il soldato.
«Stai scherzando? Me ne sono andata per una decina di giorni e i miei migliori amici diventano lacchè della corta rossa?» disse Meredith esterrefatta, tentando di non alzare il tono di voce. 
«Non puoi capire, Meredith».
«Capisco eccome. Siete due voltagabbana, senza spina dorsale né cervello. Probabilmente siete persino stati voi due a spifferare alla regina il mio segreto!» accusò la ragazza.
«Di te e del re?» domandò Jackson. «No, non siamo stati noi due, non l’avremmo mai fatto, Meredith, accidenti! Davvero, non riesci a capire chi sia stato?»
«Non lo sapeva nessun’altro, Jackson, nessuno. Perciò dimmi, chi è stato, se non voi due?»
«Non sarò certo io a dirtelo!» esclamò Jackson.
Meredith era titubante. Conosceva bene Jackson, erano cresciuti insieme a corte, correndo attorno alle gonne delle dame e tra le gambe dei cavalieri, perciò sapeva capire quando stava mentendo. E in quel caso era terribilmente sincero.
Ma chi altri era a conoscenza del segreto? Chi avrebbe potuto tradire lei e il re?
O, forse, era solo diventato molto bravo a mentire, in quei dieci giorni in cui Meredith era stata allontanata dalla corte. Se ne era andata lasciando un giovane ragazzo pieno di ideali e di risentimento contro la regina rossa, che stava riducendo il regno alla fame per una stupida guerra. L’aveva lasciato tra le braccia di April Kepner, la ragazza più limpida e sincera che avesse mai conosciuto. E ora lei era diventata la dama di compagnia della donna che aveva condannato a morte il vecchio Lord Kepner e Jackson serviva nell’esercito rosso.
«Bugiardo» sputò Meredith.
«Comunque, anche se non siamo più amici, ti farà piacere sapere che io e April ci sposeremo, tra qualche mese» annunciò Jackson.
«Non potrò partecipare al matrimonio, spiacente, Jackson. Tra qualche mese gli avvoltoi avranno già banchettato con la mia testa» disse Meredith, prima di chiudersi nuovamente in un silenzio ostinato, lasciando Jackson con il cuore gonfio di inquietudine e la familiare sensazione di solitudine.
 
Il sole era ormai tramontato da ore quando Sir Mark Sloan diede l’ordine di fermarsi e accamparsi per la notte.
Non avevano ancora raggiunto la corte rossa, ma i cavalli erano stremati e continuare senza la luce poteva essere pericoloso. I soldati scesero velocemente da cavallo e montarono le tende da viaggio con più solerzia del solito.
Trangugiarono la cena, poi l’accampamento sprofondò nel silenzio.
Il Fante di Cuori non riusciva a dormire, sapendo di essere così vicino alla sua regina, ma non potendola raggiungere, così intimò alla sentinella di guardia di andare a dormire e prese il suo posto.
Era un compito noioso, ma almeno aveva qualcosa da fare. Non che ci fosse il pericolo di una minaccia concreta tanto lontano dal fronte e così vicini alla Fortezza Rossa, ma la vita gli aveva insegnato ad essere prudente. Per questo i suoi nervi si tesero quando sentì un ramo spezzarsi, come se fosse stata calpestato.
Si guardò intorno guardingo, attendendo il prossimo rumore.
«Non innervositevi, Fante di Cuori, voglio solo parlare» disse una voce femminile che non stentò a riconoscere.
«Lady Ellis Grey» disse Sir Sloan, rilassandosi. «Avete ritrovato la lingua?»
«Lei non è Quella Alice, nonostante la somiglianza» disse la donna sedendosi accanto a lui.
«Come fate ad esserne sicura?» indagò il Fante.
«Intuito di donna e intuito di Strecane».
«E dove è ora questo Strecane?»
«Non ne ho la più pallida idea. Lo Strecane adora Meredith, con me ha poco a che fare» rispose Ellis sinceramente, con un’alzata di spalle.
«Perché sei venuta a parlarmi?» volle sapere Sir Mark.
«Lei non è Quella Alice, ma si è perduta tanto quanto lei ed è arrivata a Wonderland in un momento critico. Non credo che il suo arrivo sia casuale, Sir Sloan» disse Ellis in tono grave.
«Credete sia una minaccia per il Regno di Cuori?»
«Ho già detto troppo, Sir».
«Cosa volete?»
«La libertà per me e mia figlia e in cambio vi dirò quello che so su quella ragazza» disse Ellis, sicura di sé.
«Non posso concedervi la libertà. Prima dovrò discuterne con la regina» rispose il Fante di Cuore freddamente.
«Certamente, che stupida. Voi non fate nulla senza l’approvazione della vostra amata, non è vero?»
«Lady Grey, questi non sono affari che la riguardano. Piuttosto, ditemi, come conoscete tante cose su questa ragazza?» indagò Sir Mark Sloan, deciso a non farsi ingannare dalla vecchia Cappellaia.
«Vi ricordo, Fante di Cuori, che non siete l’unico ad aver vestito i panni di amante. Vi ricordate Lord Richard Webber?»
«Un traditore della corona, osò discutere con la regina e lei si mostrò clemente. Invece di decapitarlo, lo bandì semplicemente dal regno» confermò Sir Sloan.
«Esatto. Fu un errore, da parte della regina. Lui sa molte cose, molte più di quante ne possiate immaginare, Sir Sloan. Ed è un brav’uomo, è stato come un padre per Meredith» ricordò Ellis. «Certo, non come Thatcher: sempre in giro per locande a ingravidare le cameriere!»
«Dove avete incontrato Lord Webber?»
«Questi non sono affari che la riguardano» tagliò corto Ellis. «E ora vogliate scusarmi, vorrei riposarmi almeno un po’ prima che sorga l’alba. Meditate sulle mie parole, Fante di Cuori».
La vecchia cappellaia si allontanò con una velocità sorprendente.
Sir Mark Sloan si alzò in piedi e svegliò il primo soldato che incontrò per ordinargli di fare la guardia, poi si coricò. Aveva molto a cui pensare prima dell’arrivo dell’alba.
 
 
 
 
Nda
Iniziamo con  i versi della canzone, tratti da [3] The poison, All American reject ;D 
E ora passiamo alle comunicazioni di servizio: per il prossimo capitolo dovrete aspettare fino al 23 aprile e chi sa già qualcosa perchè mi ha estorto informazioni con piani malvagi non spifferi nulla! (Sì, Lara, sto parlando di te u.u)
A presto, Trixie :D

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Capitolo 4
*** Capitolo III ***


Capitolo III
Beauty queen. She had some trouble with herself. He was always there to help her.
She always belonged to someone else. [4]

 
 
Arizona era nauseata.
Si erano rimessi in cammino all’alba e poco dopo erano usciti dal Bosco delle Lacrime Rosse. Avevano seguito una stretta strada serpeggiante, malamente lastricata, che si snodava attraverso piccoli villaggi dall’aria desolata.
Ovunque Arizona volgesse lo sguardo, con suo gran disappunto, si imbatteva in enormi cuori rossi. All’inizio l’aveva trovato curioso, ma ora la irritava e basta.
La Fortezza Rossa era più vicina al Bosco delle Lacrime Rosse di quanto si aspettasse e qualche ora bastò per arrivare in vista della Città di Cuori. In lontananza, sopra i tetti di case e botteghe, si ergeva un castello enorme, per la maggior parte dipinto di rosso, circondato da un profondo fossato.
I cavalli del manipolo di soldati guidati dal Fante di Cuori procedevano al passo, così Arizona distinse immediatamente il rumore degli zoccoli di altri cavalli avvicinarsi al galoppo.
«Sir Mark Sloan, vi stavamo aspettando, ben tornato» esordì uno dei cavalieri appena giunti.
«Generale Preston Burke. Come sono le acque a corte?» domandò Mark Sloan.
«Abbastanza tranquille, Sir, procede tutto come d’abitudine» lo rassicurò l’altro.
«L’ultima decapitazione?»
«Il giovane Charles Percy, Sir».
Indignata dalla calma con cui era stata posta la domanda e infuriata per la tranquillità con cui quella sottospecie di generale aveva risposto, Arizona non poté fare a meno di domandarsi in che razza di posto fosse capitata. Esercitando un notevole autocontrollo si impose di non farsi assalire dal panico. Lei non aveva fatto nulla di male, voleva solo tornare a casa, dovunque essa fosse.
«Il motivo?» volle sapere il Fante di Cuori.
«È stato sorpreso mentre importunava Lady Kepner. La regina ha agito nel migliore dei modi» lo informò Burke.
«Ma certo, generale» concordò Sir Sloan. «Vi affido il comando dei soldati, mentre io vi precedo alla Fortezza Rossa. Ci sono tre prigioniere. Due di loro le conoscete già,si tratta delle nostra care Cappellaie» continuò il Fante, in tono autorevole, «la terza viene dal Mondo di Lassù. Non fate domande, saprete tutto a tempo debito» si congedò, facendo un veloce cenno del capo al sottoposto prima di partire al galoppo verso la sua regina.
 
Arizona gemette nel rendersi conto che il Cortile d’Ingresso della Fortezza Rossa era a forma di cuore, con la punta rivolta verso l’enorme portone di legno di quercia da cui erano entrati dopo aver percorso un ponte levatoio.
Attraversare la Città di Cuori in sella a un cavallo le aveva dato la possibilità di osservare la gente da una prospettiva privilegiata. La maggior parte delle persone erano donne dal volto duro e le mani rese callose dal lavoro, vecchi troppo stanchi per reggersi in piedi e bambini cenciosi che giocavano nel fango delle vie. Non vide ragazzi sani e forti, solo un giovane sparuto privo di una gamba. Probabilmente l’aveva persa in guerra, insieme a molti suoi coetanei.
Non vide nemmeno ragazze giovani e le poche di cui incrociò lo sguardo si affrettarono a rientrare in casa o a dileguarsi in un vicolo alla vista dei soldati.
In realtà sembrava che tutti, vecchi o bambini, cercassero di evitare i soldati.
«Ben arrivati, signori» disse una voce che Arizona riconobbe immediatamente, mentre scendeva da cavallo.
Mark Sloan era appena uscito da una stretta porta laterale e tutti i soldati si misero sull’attenti.
«Slegate le mani alle prigioniere, ma sappiate che chi proverà a scappare verrà decapitata seduta stante» chiarì il Fante di Cuori con un sorriso cordiale.
Tre soldati si affrettarono a liberare le mani delle donne, che si massaggiarono i polsi e, nel caso di Arizona, anche il collo.
«Cappellaie, seguitemi, prego. Jackson, per favore, scorta la nostra giovane Arizona nella stanza degli ospiti nella Torre Ovest. Troverai Lady Kepner ad attendervi» ordinò Mark, facendo l’occhiolino al suo sottoposto. Arizona rimase sorpresa da quel gesto colmo di cameratismo da parte del Fante di Cuori, ma ritenne opportuno limitarsi a seguire il soldato senza fare domande.
Sospirò, nel vedere Ellis e Meredith, le uniche persone gentili con lei in quel mondo, scomparire dietro la porta da cui era arrivato Sir Sloan.
Chissà se una di loro tre avrebbe conservato la testa per ricordare quella piccola avventura.
Arizona attraversò una serie di stretti corridoi alle spalle di un taciturno Jackson, seguendone i passi alla luce di flebili torce.
«Eccoci arrivati» furono le uniche parole che Jackson le rivolse di fronte a una porta di legno con un battente a forma di cuore. Il soldato bussò e insieme attesero qualche secondo.
Una giovane dai capelli rossi aprì la porta dall’interno e il suo volto si illuminò di uno dei sorrisi più belli che Arizona avesse mai visto in vita sua.
«Jack-, emh, Lord Avery, che piacere rivedervi sano e salvo» balbettò la ragazza confusa, arrossendo.
Arizona non faticò a capire che i due giovani passassero più tempo a darsi deltu che del voi.
«Il piacere è tutto mio, Lady Kepner. Ho scortato la ragazza, ve ne occupate voi, ora?» rispose Jackson, imperturbabile, se non per le dita della mano destra, con cui il giovane continuava a tamburellare sulla propria gamba.
«Sì, certamente» annuì Lady Kepner, lanciando un breve sguardo ad Arizona, come se solo in quel momento si fosse accorta della sua presenza. «Temo che vi dobbiate fermare a guardia della porta, Lord Avery, ordini della regina» aggiunse poi.
Jackson Avery annuì con un secco gesto del capo prima di voltarsi, dando le spalle ad April e assumendo il proprio ruolo di guardia.
Lady Kepner sorrise ad Arizona e si mise da parte per far entrare la ragazza.
Sorpresa di trovare tanta gentilezza nella fidanzata, o forse amante, di un soldato di cuori, la giovane esitò, prima di entrare in una stanza circolare e confortevole.
Era arredata sobriamente e la luce, entrando da grandi finestre con vetri colorati, creava strani disegni sul pavimento di pietra.
«Sono Lady April Kepner, dama di compagnia della regina, ma potete chiamarmi April» si presentò la giovane. Aveva i capelli rossi e numerose lentiggini sparse sulla pelle chiara del viso.
«Arizona Robbins» rispose l’altra, chiedendosi se la gentilezza di April fosse sincera o simulata.
«Ehm, la regina desidera incontrarvi tra circa un paio d’ore. Vi aiuterò a lavarvi e indossare vestiti più…» iniziò Lady Kepner, senza sapere come concludere la frase senza offendere Arizona.
«Appropriati?» aggiunse questa.
«Sì, ecco, infatti» arrossì la dama di compagnia. «Vi ho anche fatto preparare qualcosa da magiare, immagino sarete affamata» aggiunse, indicando un piccolo tavolo circolare di fronte al camino, colmo di ogni prelibatezza. La pancia di Arizona gorgogliò.
«A dire il vero, preferirei prima lavarmi» rispose tuttavia, sentendosi troppo sporca per sedersi tranquilla sulla sedia di velluto accanto al tavolo e godersi il pasto senza preoccupazioni.
«Ma certo, seguitemi».
Arizona venne condotta in una piccola stanza adiacente, dove una cameriera aveva appena finito di riempire d’acqua calda una vasca bianca.
«Grazie, Miss Reed, puoi andare» disse April gentilmente. La ragazza le rivolse uno sguardo carico d’odio e risentimento e il tono delle sue parole sfiorò l’insolenza.
«Per me è un piacere servirvi, Lady Kepner».
April arrossì, ma non commentò e attese che la cameriera avesse lasciato la stanza prima di parlare.
«Avete bisogno di aiuto, Arizona?»
«No, affatto, grazie, April» rispose l’altra. Spogliarsi di fronte a una sconosciuta sarebbe stato alquanto imbarazzante.
Lady Kepner annuì e lasciò la piccola stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Arizona sentì una sedia strisciare sul pavimento.
Si tolse in fretta i vestiti sudici, abbandonandoli a terra in un angolo. Inorridì di fronte al proprio riflesso nel grande specchio ovale appeso a una parete. I capelli biondi sembravano paglia e aveva un graffio sulla guancia sinistra, ma non sapeva come se l’era procurato. Aveva lividi su tutto il corpo, causati da sassi e irregolarità del terreno con cui aveva convissuto le ultime notti, e piccoli punti rossi, soprattutto su braccia e gambe, opera di insetti a lei sconosciuti. L’interno delle cosce era ricoperto da piaghe, frutto delle tante ore passate in sella.
Gemendo per quel campo di battaglia che era il suo corpo, Arizona distolse lo sguardo e si immerse nella vasca, la cui acqua divenne immediatamente di uno sgradevole color fango. Con una spugna trovata lì accanto si strofinò vigorosamente la pelle, chiedendosi per la prima volta se quello fosse un incubo, non più un sogno.
Quando uscì dall’acqua torbida si guardò intorno, avvolgendosi in un morbido asciugamano e chiedendosi quali vestiti indossare. I suoi erano sporchi e Lady Kapner aveva parlato divestiti appropriati. Il suo occhio cadde infine su una sedia accanto dove erano ordinatamente ripiegate delle sottovesti e delle maglie bianche, di diversa misura.
Ad occhio, Arizona scelse quelle che sembravano starle meglio e le indossò. Nella stanza non trovò altro, così uscì titubante.
Vide Lady Kepner chiudere la porta di ingresso e allontanarsi velocemente per raggiungerla. Era rossa in volto.
«A-avete trovato il bagno di vostro gradimento?» balbettò.
«Certamente, grazie» rispose Arizona, fingendo di non aver notato l’imbarazzo dell’altra.
«Venite, ora vi aiuto ad indossare il vestito che è stato fatto preparare per voi» disse April, aprendo un grande armadio di legno. All’interno vi erano in realtà tre o quattro vestiti, tutti identici, da quel che riusciva a vedere Arizona, ma anche questi di diversa grandezza.
«Dunque» disse Lady Kepner meditabonda, «questo dovrebbe fare al caso nostro».
Prese uno dei vestiti, mostrandolo ad Arizona. Prevalentemente rosso, aveva disegni bianchi e neri che si intrecciavano sulla gonna, come rami che si attorcigliavano attorno a cuori palpitanti.
Arizona lo giudicò di pessimo gusto, ma non era certo quello il momento di mettersi a discutere a riguardo.
April prese anche una striscia di stoffa rigida che Arizona, con orrore, riconobbe come un corpetto.
«Posso?» domandò Lady Kepner, invitando l’altra a voltarsi.
Il busto di Arizona venne stretto in una morsa e chiuso da lacci di seta.
«Mi dispiace» si scusò April, stringendo. Quando ebbe terminato, aiutò Arizona ad infilare un secondo corpetto più morbido e vi allacciò le maniche del vestito. Poi adagiò la gonna a terra e,  dopo che Arizona si mise al centro, la sollevò, allacciandola in vita e nascondendo i nastri all’interno.
«Finito!» esclamò April soddisfatta, tirando un sospiro di sollievo. «Ogni volta è una tortura».
Arizona annuì e mosse qualche passo, impacciata. Aveva bisogno di abituarsi a tutta quella stoffa.
«Volete mangiare?» domandò April, indicando il tavolino di prima, dove il cibo era stato coperto con piatti vuoti.
«Sarebbe fantastico, sì, grazie» annuì Arizona.
Sedendosi a tavola, Arizona si chiese se il cibo fosse avvelenato ed esitò. Ritenendola una preoccupazione insensata - perché darsi tanto pena per avvvelenarmi quando la regina ama decapitare? - iniziò a mangiare con gusto, cercando di darsi un contegno.
«Venite dal Mondo di Lassù, Arizona?» domandò gentilmente April.
Arizona inghiottì il boccone di carne che stava gustando prima di rispondere.
«Immagino che sia così che voi chiamate il posto da cui vengo. Ma posso chiedervi dove siamo?»
«A Wonderland. Non ne avete mai sentito parlare?»
Arizona fece un cenno di diniego con il capo, non riuscendo a trangugiare il boccone troppo grande che stava masticando.
«Ha diversi nomi: Sottomondo, Paese delle Meraviglie, Undergroud. Non ne avete sentito nessuno?»
«Nessuno. Ma il Mondo di Lassù è tanto lontano?» chiese Arizona.
«Solo se non si sa dove andare» rispose enigmaticamente April, con un’alzata di spalle.
«Oh» disse Arizona, confusa. «Questo è il Regno di Cuori?»
«Sì» annuì April, «vi trovate nella Fortezza Rossa, alla corte della regina».
«Posso chiedervi qualcosa su questa regina rossa? Quale è il suo nome? Conosco la regina bian-»
«Oh, no!» esclamò April con impeto. «Scusatemi, voglio dire, quella che conoscete non è affatto regina, a Wonderland. Qui a corte vige l’obbligo di chiamarla l’Usurpatrice».
«Capisco» disse Arizona, accigliandosi. Non le piaceva affatto l’idea di chiamare Usurpatrice la regina Calliope.
April accostò la propria sedia a quella di Arizona e parlò bisbigliando.
«Il nome della regina rossa è Addison, ma non è prudente parlare di lei, in nessun caso» rivelò Lady Kepner.
«È davvero tanto terribile?» domandò Arizona, che stava perdendo interesse per il cibo ora che era sazia.
«Abbassate la voce!» intimò April. «Volete conoscere la sua storia? Ma badate bene, rischiamo la testa».
«La mia è già a rischio, ma la vostra? Perché volete rischiare tanto?»
April sorrise amaramente.
«La mia storia non è importante ora».
«D’accordo, allora, ditemi della regina rossa» annuì Arizona.
«Divenne regina quando era ancora molto giovane, alla morte della madre» iniziò April, subito interrotta da Arizona.
«E suo padre? Non poteva governare il regno?»
«Il Capitano Montgomery non aveva alcun interesse a riguardo, ma fu costretto a fare da reggente alla figlia. In ogni caso, lo fu solo di nome, mai di fatto» spiegò April.
«Oh».
«La giovane regina sposò l’altrettanto giovane Derek Shepherd, Lord di Quadri. Erano innamorati, all’epoca. Io ero molto piccola, perciò non ho ricordi, ma mio padre» disse April, fermandosi per respirare a pieni polmoni, come se fosse sul punto di scoppiare in lacrime, «mio padre mi raccontava spesso storie a riguardo, per farmi addormentare. Il Regno di Cuori prosperava e persino il più povero degli abitanti aveva cibo a sufficienza per sé e per la propria famiglia. Si cantavano le virtù della regina e le lodi del re, non c’era angolo di Wonderland dove non si brindasse alla loro salute».
«E poi cosa accadde?» volle sapere Arizona.
Il tono di April si incupì.
«Il re divenne malinconico e triste. Non c’erano eredi, ma questa non sembrava essere la causa della tristezza del re. La regina era frustata e stanca. Qualcosa, nel loro rapporto, era cambiato. Semplicemente, non si amavano più. Discutevano, si evitavano, erano in continuo disaccordo. Si racconta persino che una volta re Derek stesse per picchiare la regina e che a salvarla sia stata Amelia Shepherd, la sorella del re.
Il regno iniziò ad avvizzire, l’economia ad arrancare, il popolo chiedeva pane e l’esercito rosso, comandato dal Fante di Cuori, dava alla gente solo calci e frustrate. Ma le cose migliorarono, per un breve periodo, quando la regina rimase incinta. Peccato che il figlio fosse però di Sir Mark Sloan. Il re andò su tutte le furie, minacciò di invalidare il matrimonio, di dichiarare guerra al regno, di uccidere il Fante. Aveva il sostegno del popolo, che non amava e ancora non ama, Sir Sloan».
«Ma il re e la regina non si amavano più. Perché re Derek ha reagito con tanto sdegno? È un uomo così orgoglioso?» intervenne Arizona.
«Re Derek è orgoglioso, ma la vergogna di marito tradito era marginale. Sir Sloan era il migliore amico del re, erano cresciuti insieme alla corte di Quadri. Ma la cosa più importante è che Amelia Shepherd era la promessa sposa di Sir Sloan. Da allora i pettegolezzi del regno si riferiscono a lei come alla Lady Nera, per via del suo umore» continuò April, con tono sconsolato.
«La situazione precipitò velocemente e la regina perse il bambino. I più maligni del regno dicono che sia stata lei stessa a causarne la perdita. Sir Sloan e la Lady Nera convolarono a nozze qualche mese dopo, ma la tristezza e la miseria dilagavano, non solo a corte, ma in tutto il regno. In segreto, i tradimenti della regina con il Fante di Cuori continuarono e Lord Richard Webber, Gran Consigliere del Regno, li scoprì. Venne condannato all’esilio e i pettegolezzi vennero messi a tacere. Il re si spense pian piano, diventando l’ombra di sé stesso. Gli Shepherd erano preoccupati. Mio padre, che era stato Maestro d’Armi di re Derek, venne inviato dal Principato di Quadri alla corte rosse. La sua testa…»
April si fermò e respirò più volte, cercando di calmarsi e di ricacciare le lacrime. Arizona le posò una mano sulla spalla e April la strinse, prima si riprendere il racconto. «La sua testa fu la prima ad essere esposta sulla Torre delle Decapitazioni. Aveva fatto domande troppo indiscrete, aveva chiesto l’annullamento del matrimonio di re Derek e della Lady Nera. Da allora non passa settimana senza che una nuova testa spunti sulla cima della Torre».
«E la Cappellaia, Meredith Grey?»
«L’hai vista? È viva? Come sta?» chiese April, con una nuova speranza negli occhi.
«L’ho incontrata nel Bosco delle Lacrime Rosse insieme a suo madre e a Doc, lo Strecane. Stanno bene, sono state molto gentili o, almeno, Meredith lo è stata. Sono state portate alla Fortezza Rossa con me, ma ci hanno separate quando Jackson mi ha condotta qui» raccontò brevemente Arizona.
«Hanno legato loro un nastro rosso intorno al collo, quando sono arrivate?»
«No» rispose Arizona, confusa dalla stranezza della domanda.
«Buon cuore, grazie, significa che la regina non ha intenzione di decapitarle!» esclamò Lady Kepner.
«Meredith mi ha detto di aver avuto una relazione con il re rosso» disse Arizona, sollevata dal sapere che la vita delle Cappellaie non era in pericolo, ma curiosa di conoscere quella storia fino in fondo. Perché la testa di Meredith era ancora attaccata al corpo della proprietaria, dato l’affronto rappresentato per la regina?
«Sì. La regina aveva qualche sospetto, ma nessuna certezza. Stava diventando pazza. Meredith e Derek erano innamorati, il re aveva ripreso un po’ della vecchia baldanza, anche se badava bene a nasconderla. Poi, un giorno, il Fante di Cuori intimò alle Cappellaie di lasciare la corte, ma non il regno. Ellis Grey non fece una piega, ma Meredith era disperata. Allontanarsi dal re le era insopportabile. Lord Grey non alzò un dito in favore di moglie e figlia e lasciò che queste venissero allontanate».
«E così la regina aveva scoperto i tradimenti del marito. Che grande ipocrita» commentò Arizona.
«Non esattamente» la corresse April. «Lady Ellis Grey parlò con il re, costringendolo a confessare tutto alla regina. Era l’unico modo per assicurarsi che la testa della figlia non venisse esposta sulla Torre per Alto Tradimento alla Corona».
«Oh» fu tutto quello che Arizona disse. Rifletté sulle parole di April fino a quando i suoi pensieri non furono interrotti da un leggero bussare, che fece sussultare entrambe come due ladre colte con le mani nel sacco.
Il volto di Jackson Avery fece capolino altre la soglia della porta.
«Scusatemi, signore, ma la regina desidera vedervi, Arizona Robbins. Lady Kepner, è richiesta anche la vostra presenza» aggiunse il ragazzo.
«Certo, Lord Avery, arriviamo subito» annuì April.
Il terrore attorcigliò le viscere di Arizona, le cui forze erano completamente concentrate nello sperare che nessun nastro rosso andasse a decorare la sua gola.
 
Addison Adrienne Forbes Montgomery Shepherd era una donna dotata di una rara bellezza. Quella bellezza che ti fa rimanere a bocca aperta, che ti fa tremare le gambe e seccare la gola. Ed era proprio questo lo stato in cui si trovava Arizona, anche se due dei sintomi erano probabilmente dovuti alla paura che le attorcigliava le viscere.
Seduta su un trono dallo schienale più alto del necessario, la regina rossa sorrideva alla nuova arrivata come se stesse ammirando un pregiato trofeo, di cui andare orgogliosa. Alla sua destra si ergeva il Fante di Cuori, fasciato in un completo talmente ridicolo che Arizona avrebbe voluto ridere nonostante la situazione. Una calzamaglia rossa avvolgeva le gambe tornite dell’uomo tale e quale a una seconda pelle e una casacca bianca con un unico cuore al centro gli ricadeva sulle spalle, come una federa sgualcita.
Ma fu un altro uomo ad attirare l’attenzione di Arizona. Moro e dagli occhi azzurri, avrebbe probabilmente potuto competere con la bellezza della moglie se non fosse stato per quell’aria così triste e malinconica che lo privava di ogni accenno di vitalità. Sedeva rigido sul suo trono di legno intagliato e guardava un punto fisso di fronte a lui, come se da quello dipendesse la sua sopravvivenza.
«Arizona Robbins » annunciò un araldo qualche istante dopo che Arizona ebbe messo piede nella Sala del Trono, «e Lady April Kepner di Campo Puro, al cospetto di Vostra Maestà».
Lady Kepner si diresse a passi sicuri verso la regina rossa, seguita a ruota da Arizona, che si sentiva ancora terribilmente impacciata in quelle gonne troppo ampie e in quel corpetto troppo stretto. Dietro di lei sentì Jackson Avery seguire i loro passi.
Camminando attraverso due attonite ali di spettatori, Arizona giunse di fronte al re e alla regina e si inchinò, come le aveva mostrato April pochi minuti prima in uno dei tanti corridoi che avevano seguito nel loro tortuoso tragitto.
«Potete alzarvi, ora» disse Addison, dopo qualche istante in cui aveva attentamente giudicato la figura della nuova arrivata dal Mondo di Lassù. Arizona si rialzò in silenzio, ma senza osare guardarsi intorno o la regina direttamente negli occhi. Decise che il terzo scalino che portava alla piattaforma del trono sarebbe stato un buon punto da fissare per tutta la durata di quello snervante colloquio.
«Grazie, Lady Kepner. E anche a voi, Lord Avery» disse la regina facendo un cenno con la mano ai due ragazzi, che si disposero ai lati della sala con gli altri nobili. Ad Arizona parve di riconoscere, sbirciando a destra con la coda dell’occhio, la vecchia Ellis Grey.
«Dite di chiamarvi Arizona Robbins, non è vero?» domandò la regina rossa ad Arizona.
«Mi chiamo Arizona Robbins, Vostra Maestà» disse la ragazza, alzando lo sguardo sulla regina. Dopotutto April non le aveva spiegato nulla su dove dovesse guardare.
«E non siete Alice?»
«Non conosco alcuna Alice, Vostra Maestà».
Il volto di Addison, notò Arizona, aveva abbandonato qualsiasi espressione e questo la rendeva spaventosa. Se almeno avesse avuto anche una sola, sottile piega delle labbra, un impercettibile ammiccamento negli occhi, Arizona avrebbe potuto farsi un’idea di quello che passava nella testa della regina rossa.
«Lady Kepner vi ha trattata doverosamente?» continuò Addison.
«Magnificamente, Vostra Maestà».
«Siete sazia, Arizona? Ammesso che questo sia il vostro vero nome».
«Il mio nome è Arizona. E sono sazia, grazie dell’interessamento, Vostra Maestà» rispose Arizona, stanca di terminare ogni frase con Vostra Maestà.
«Come siete arrivata a Wonderland dal Mondo di Lassù?»
«Non me lo so spiegare, Vostra Maestà».
La regina rossa rimase in silenzio per qualche minuto, come se stesse riflettendo. Nulla aveva turbato il suo volto di pietra, su cui Arizona iniziò a distinguere lievi rughe attorno a occhi e labbra. Forse il re rosso non era l’unico che si andava spegnendo in quella corte e la bellezza della regina era tanto fugace quanto illusoria, più prossima a finire che a sbocciare.
Il Fante di Cuori si chinò verso Addison, bisbigliando veloci parole nell’orecchio della regina, questa annuì e rivolse un cenno di assenso a Sir Sloan prima di rivolgere un sorriso, o qualcosa di molto simile, ad Arizona.
«Bene, Arizona Robbins, credo di avervi già tediata a sufficienza. Lady Kepner vi accompagnerà nella vostra stanza» disse la regina rossa. «Lord Avery, sareste così gentile da assicurarvi che nessuno disturbi la nostra ospite?»
«Certamente, Vostra Maestà» annuì Jackson, emergendo dalla folla con April al seguito. Il ruolo di Jackson, intuì Arizona, era farle da cane da guardia così che lei non potesse fuggire dalla Fortezza. Precauzione inutile, dato che non aveva alcun posto dove rifugiarsi.
Arizona si chiese se dovesse dire qualcosa nel congedarsi e lo sguardo di allarme di Lady Kepner la convinse che sì, qualcosa doveva fare. Presa dal panico, vedendo la sua bella gola già circondata da un lucente nastro rosso, Arizona inspirò con sollievo quando l’attenzione dell’intera sala venne catturata da una porta laterale spalancata con impeto.
«Bianconiglio! È forse questo il modo di irrompere nella sala del trono?» sbraitò il Fante di Cuori. Arizona si chiese da cosa derivasse un soprannome tanto buffo per un giovane uomo dalle spalle larghe e il viso torvo. Sembrava perseguitato da un dolore che da solo non riusciva a sostenere, tormentato da un’imperdonabile colpa che lo stava divorando.
«Porto notizie, notizie importanti» tagliò corto il ragazzo, vestito con vecchi abiti laceri, ma rammendati nel modo migliore. «Riguardano l’Usurpatrice».
«Qualsiasi cosa tu abbia da-» iniziò Sir Sloan.
«Voi, potete andare» intervenne la regina, facendo un brusco cenno della mano verso Arizona, Jackson e April. «E anche voi» aggiunse verso il resto della corte, che si mosse con un frusciare di abiti e uno scalpiccio di tacchi, ma senza sussurri. La libertà di parola doveva essere sconosciuta in quel luogo, pensò Arizona. La giovane del Mondo di Lassù seguì Lady Kepner senza fare domande, accompagnata dalle parole della regina.
«Bianconiglio, parla, che notizie hai su Calliope?»
 
 
 
NdA
Ed eccoci a un nuovo martedì! Capitolo leggermente più lungo rispetto ai precedenti e finalmente sappiamo con certezza chi è la Regina di Cuori, complimenti a chi ha indovinato! ;D
Ora fa la sua bella comparsa il Bianconiglio, chi sarà mai? Ammetto che il non rivelare le corrispondenti identità dei personaggi in Grey’s Anatomy mi sta divertendo, ma la cosa non è intenzionale! :D
Comunque la canzone iniziale è She will be loved, Maroon 5..
A martedì prossimo, bella gente che recensisce per farmi felice,
Trixie :)

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Capitolo 5
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV
Crazy days, dreamin’ in the midday sun,
miles away, thinking ‘bout the things that I’ve done.[5]


 

 
«Credo sia una stupidaggine, Calliope».
La carrozza sobbalzava lungo il sentiero sconnesso attraverso il Bosco delle Lacrime Rosse, sollevando dietro di sé terra e polvere.
«Ti prego, non ricominciamo a discuterne» rispose la regina bianca, sollevando gli occhi al cielo spazientita.
«Stai mettendo a rischio la tua vita» le ricordò nuovamente Carlos Torres, come se fosse un’accusa, non un avvertimento.
«Ho messo a rischio la mia vita il giorno in cui ho deciso di intraprendere questa maledetta guerra, papà» rispose glaciale la ragazza.
«Ti stai cacciando nella tana del lupo».
«So cosa sto facendo. E non ti ho obbligato a seguirmi» gli ricordò Callie, scostando le tende della carrozza per osservare il brullo paesaggio esterno. Ciò che rimaneva del Bosco Grande, quegli alberi carbonizzati, quell’aria di desolazione e sconfitta, era il ritratto dell’animo della Regina di Picche, che piangeva la perdita di un soldato insieme a ogni madre, moglie o figlia, gridava la paura di non sopravvivere al prossimo combattimento insieme a ogni guerriero e implorava per la propria vita insieme a ogni prigioniero di guerra.
«Quella Montgomery non vede l’ora di legarti al collo un nastro rosso e trattarti come l’ultima dei mendicanti, Calliope, ma finché sarò in vita non lo permetterò. Dovevo accompagnarti».
La voce di Carlos tremava di rabbia e si addolcì solo nel pronunciare il nome della figlia.
«Grazie, papà» gli sorrise Callie, distogliendo lo sguardo dal Bosco delle Lacrime Rosse per guardare il padre. «Ma ricordati che quella Montgomery è la stessa bambina dai capelli rossi che giocava con me nei giardini del Castello di Fiori e, arrossendo, ti ringraziava con un bacio sulla guancia quando ci portavi a cavalcare nel Bosco Grande».
«Non è più un’innocente bambina, è una donna, una donna crudele che osa chiamarti Usurpatrice. Da quando in qua la Regina Bianca di Wonderland è un’Usurpatrice? Te lo dico io da quando, Callie, da quando dilaga l’eresia!» inveì il Principe di Fiori.
La regina bianca non badò alle parole del padre, già troppe volte ascoltate, e tornò ad osservare il paesaggio fuori dalla carrozza, chiedendosi nuovamente in cuor suo come avesse potuto permettere che quella rovina dilagasse a Wonderland.
Ogni ora che passava l’esercito bianco perdeva terreno, falciato dai crudeli colpi inferti dai soldati rossi, alle dipendenze di Sir Sloan. Disciplinato, implacabile e letale, l’Esercito di Cuori era un’arma di morte ben oleata, in cui ogni uomo conosceva il proprio compito e lo eseguiva senza riserve.
Alle orecchie della regina erano giunte informazioni inquietanti. Si sussurrava che le famiglie di disertori e soldati poco efficienti venissero imprigionate e torturate e che persino molte nobildonne, in apparenza ospiti alla corte rossa, fossero in realtà ostaggi del Fante di Cuori per assicurarsi la fedeltà di mariti e figli.
Calliope non stentava a credere che, almeno in parte, queste voci fossero fondate. I metodi moralmente discutibili di Sir Mark Sloan erano risaputi in ogni angolo di Wonderland, così come gli scandali che lo vedevano protagonista.
In ogni caso, non si poteva certo dire che non sapesse come vincere una guerra. Ha un obbiettivo e non si fermerà finché non l’avrà raggiunto, diceva a volte Owen Hunt, senza sapere in che modo evitare le grandi perdite in termini di vite umane e territori che il Fante di Cuori infliggeva all’esercito bianco, decisamente meno disciplinato e temibile di quello rosso.
Contadini e artigiani male armati, giovani irruenti e vecchi eccessivamente prudenti, troppi volontari inconsapevoli del pericolo che stavano per affrontare e pochi soldati ben addestrati: questo era l’esercito che il Regno di Picche aveva messo in campo.
E per quanto l’abilità bellica del fante bianco fosse indiscutibile, con un tale esercito sarebbe stato difficile vincere la guerra. Nei primi mesi l’entusiasmo e la rabbia nutrita nei cuori aveva permesso all’esercito bianco di guadagnare terreno e ottenere vittorie fulminee, ma ben presto la superiorità militare dei soldati rossi aveva ribaltato la situazione e ora il vessillo del Regno di Cuori sventolava fiero a poca distanza dalla Città di Picche.
Per questo motivo Calliope aveva deciso di recarsi di persona presso la corte rossa con una proposta di pace e un’esigua scorta, che certo non sarebbe bastata a salvarle la testa nel caso in cui Addison avesse deciso di decapitarla. E poi c’era la questione dello Strecane.
Doc si era presentato al Consiglio Straordinario di Guerra all’improvviso, sospeso a mezz’aria, facendo sobbalzare gli uomini e le donne riuniti in una stanza debolmente illuminata.
Tra tutti, la prima a ritrovare la parola fu Lady Avery.
«Strecane, qual buon vento ti porta da noi? La Montgomery vuole la tua pelosa testa?»
«No, Lady Avery, sono venuto per portare notizie alla Regina di Picche» aveva risposo Doc, senza scomporsi minimamente.
«Notizie? Vieni per conto della regina rossa?» volle sapere Owen, prendendo parola prima che lo facesse Callie.
«No, vengo per conto della giovane Cappellaia».
«Meredith Grey?» aveva domandato Catherine Avery, che anni prima aveva vissuto alla corte rossa e conosceva bene la ragazza, amica del suo unico figlio, Jackson.
«Vorrei parlare solo con voi, Vostra Maestà, se possibile» aveva detto lo Strecane, rivolgendosi direttamente alla regina bianca.
Calliope aveva riflettuto per qualche secondo sulla richiesta di Doc, prima di parlare.
«Mi dispiace, non credo sia possibile. Queste» aveva infine detto, indicando con un ampio gesto della mano i membri del consiglio, «sono persone fidate, sentiti libero di parlare come se fossimo soli, Strecane».
«Un vecchio accecato dal dolore, una dama di compagnia, la madre di un soldato rosso, un popolano, un padre che non esiterebbe a vendere il regno per la salvezza della figlia e l’uomo che non vince uno scontro da settimane. Sono queste le persone di cui vi fidate, Vostra Maestà?» aveva elencato lo Strecane, con un sospiro teatrale. «L’amataDecapitatrice ha gioco facile contro di voi».
«Stupido sacco di pulci» aveva abbaiato Lady Bailey.
«Osate mettere in dubbio il mio giudizio?»
«No, naturalmente, Vostra Maestà» aveva negato Doc, per nulla sincero.
«E allora di’ quello che devi, altrimenti vattene» aveva ordinato Calliope, piccata per l’analisi negativa che lo Strecane aveva fatto riguardo il Consiglio Straordinario di Guerra.
«Come desiderate, Vostra Maestà» aveva annuito Doc. «Alice è tornata».
Nella stanza era calato il silenzio, mentre il consiglio assimilava la notizia e lo Strecane si godeva l’atmosfera che aveva creato.
«A dire il vero non è proprio quella Alice, ma potrebbe esserlo. Dice di chiamarsi Arizona, occhi azzurri e capelli biondi. Il vostro tipo, Maestà» aveva commentato, sorridendo furtivo nel vedere le guance di Calliope infiammarsi. «Si è smarrita e ora si trova alla corte rossa, fatta prigioniera insieme alle Cappellaie, che volevano rifugiarsi nella vostra corte».
«Stavano venendo qui? E perché?» aveva domandato Lady Miranda.
«Oh, la vecchia Ellis ha fatto la spia alla Montgomery riguardo la relazione tra Meredith e il re rosso. La Decapitatrice non l’ha presa molto bene, ma si è limitata a bandirle da corte proibendogli però di uscire dal regno e spacciare segreti di stato» aveva risposto Doc con noncuranza.
«Hai detto che potrebbe essere quella Alice, come puoi dirlo?» aveva chiesto Carlos Torres.
«Istinto di Strecane. E parola di Lord Webber».
«Lord Webber? Richard Webber?» aveva domandato Catherine Avery.
Lo Strecane aveva annuito.
«A volte si intrufola di nascosto a corte, per incontrare Ellis. Non siate gelosa, Lady Catherine»
«Cosa ha detto esattamente Lord Webber?» aveva insistito il Principe di Fiori.
«Che Alice stava tornando. Wonderland è attraversata dalle guerre e Alice si è persa di nuovo.
La ragazza sanerà queste terre e queste terre le indicheranno la strada. Quando c’è di mezzo Alice va sempre a finire così» aveva riflettuto lo Strecane. «In ogni caso, dice che è da lei che dipendono le sorti della guerra».
«E ora si trova nella mani della Montgomery, fantastico!» aveva commentato Carlos, battendo un pugno sul tavolo.
«Calma, papà. Quella ragazza potrebbe non essere Alice, dice di chiamarsi Arizona» gli aveva ricordato Calliope.
I membri del Consiglio si erano messi a parlare tutti insieme, cercando di sovrastare l’uno le parole dell’altro e lo Strecane ne aveva approfittato per accostarsi all’orecchio della regina.
«Recatevi alla corte di cuori, avanzate la proposta di pace e portate via Arizona, verrò con voi, anche se non mi vedrete».
Quando Calliope si era voltata per incontrare il volto di Doc, questo era sparito.
Erano state necessarie ore di accese discussioni e dibattiti per convincere tutti i membri del consiglio a concordare con la decisione della Regina di Picche di portare una proposta di pace alle corte rossa. Owen Hunt si era dichiarato immediatamente d’accordo, a patto che la regina fosse scortata da un numeroso contingente di soldati comandati da lui stesso. Per convincerlo a limitare la scorta a una manciata di cavalieri, Calliope era ricorsa a Cristina. Dopo qualche minuto in compagnia della donna il Fante di Picche aveva acconsentito ad una piccola scorta ai suoi comandi.
Il più difficile da convincere fu Carlos Torres, che cedette solo quando Callie si appellò all’amore figliare, e che aveva insistito per andare con lei ad ogni costo.
Lasciando il Regno di Picche nelle mani della famiglia O’Malley, ancora devastata dal dolore, e del resto del Consiglio Straordinario di Guerra, Calliope Torres era infine partita con due carrozze accompagnata da Lady Altman, Lady Yang, il Fante di Picche, il Principe di Fiori, una decina di soldati a cavallo scelti tra i migliori e nessuna certezza di poter conservare la propria testa ancora a lungo, se non l’antica amicizia che la legava alla Regina di Cuori.
«Vostra Maestà» la voce tesa del Fante di Picche strappò Callie ai suoi pensieri, «siamo in vista della Città di Cuori, ancora nessun movimento di soldati nemici».
Calliope si limitò ad annuire, chiedendosi per la prima volta se suo padre avesse ragione e pregando perché in Addison fosse rimasta un po’ di quell’umanità, bontà e tenerezza che aveva da bambina.
 
«L’Usurpatrice Calliope Torres chiede udienza a Sua Altissima Maestà la Regina di Cuori Addison Adrienne Forbes Montgomery, unica e vera Regina di Wonderland» annunciò un araldo di bassa statura e un torace enorme.
In fondo alla Sala del Trono, tronfia e altera, sedeva la regina rossa attorniata dalla sua corte, che annuì velocemente.
Le porte della sala vennero spalancate e un piccolo corteo circondato da una doppia fila di soldati rossi fece il suo ingresso. Alla testa camminava la Regina di Picche, per nulla intimorita dalla situazione, con un nastro rosso attorno alla gola.
Gli uomini e le Lady che avevano deciso di accompagnare Calliope seguivano la loro regina con passo sicuro, ogni collo impreziosito da una striscia scarlatta.
Ai piedi del trono i soldati rossi si inchinarono, ma nessuno della corte bianca li imitò.
«Ciao, Addison, come stai?» sorrise amabilmente la Regina di Picche.
«Non c’è male, ma credo che starò meglio quando vedrò la testa dell’Usurpatrice sulla cima della torre nord» rispose Addison.
«Ho sentito dire che ora la chiamano Torre delle Decapitazioni».
«E io ho sentito dire che senza il Consiglio Straordinario di Guerra non sai governare il Regno di Picche».
«Quel consiglio, se tutto va bene, a breve non avrà più ragione di esistere, Addie» la informò Calliope con voce sicura, nascondendo tutto il terrore che le ruggiva nel petto dietro uno scudo di spavalderia. Il nastro rosso sembrava scavarle la carne e sentiva piccole gocce di sangue scivolarle lungo il collo fino al seno, lungo la schiena, fermarsi nell’incavo della spalla.
Ma, di certo, si ripeteva, si tratta solo della mia mente, distorta dalla paura di trovarsi a un passo dalla morte.
«Stai parlando del fatto che sto per annientarti definitivamente?» domandò la regina rossa, sollevando risa di scherno nella corte che la circondava e che fino a quel momento non aveva fiatato.
Callie dubitò fortemente della spontaneità della reazione.
«Sto parlando di una proposta di pace» rispose la Regina di Picche dopo aver atteso che le risate di placassero.
«Ti arrendi?»
«No. Ti propongo un accordo di pace» chiarì Callie.
«Un accordo che non ho nemmeno l’intenzione di prendere in considerazione, Callie. Dimmi, perché mai dovrei porre fine a una guerra che sto per vincere? Il mio esercito è inarrestabile e tu, l’Usurpatrice, sei ai miei piedi con una sentenza di morte scritta nell’animo. Perciò, quale minaccia costituite, tu e il tuo stremato regno, per me?» chiese Addison, con un’ironica dolcezza.
«Uccidimi, esponi la mia testa sulla Torre delle Decapitazioni e fai sapere in ogni angolo di Wonderland della mia morte. E poi aspetta, aspetta che la mia gente attacchi il tuo esercito e si riprenda le sue terre, aspetta che le madri combattano per i figli e i mariti per le mogli. Quando hai ucciso mio marito George il popolo si è infiammato, il popolo ti odia e l’odio può essere una forza devastante, dovresti saperlo. Uccidimi, Addison, e non passerà una luna prima che un soldato bianco ti punti la picca al collo e non ci pensi due volte prima di vendicare la mia morte».
La regina rossa rimase in silenzio, scrutando torva il viso della regina bianca.
Nella testa della Regina di Cuori la voce della ragione, o forse della pazzia, consigliava di proseguire quella guerra che stava per vincere, quella guerra che l’avrebbe portata a dominare di fatto su ogni terra di Wonderland. Ma nel cuore, in quel cuore da regina indurito dagli eventi, la consapevolezza di esser odiata con tanto ardore fece germogliare il disprezzo per sé stessa e la paura della solitudine.
Che valore avrebbe avuto dominare un luogo che avrebbe preferito vederla morta e che tramava ogni minuto congiure contro di lei, attribuendole ogni male e ogni colpa?
«Daremo il via ai negoziati di pace» disse infine, dopo un silenzio che a tutti parve interminabile, «ma a una sola condizione».
«Quale?» chiese Calliope, nascondendo a stento un sospiro di sollievo.
«Che tu, Calliope, ti consegni come ostaggio per tutta la durata delle trattative».
«No!» urlò Carlos Torres, facendo un passo avanti e affiancando la figlia.
«Principe Torres, lei non ha alcuna voce in capitolo» disse la Regina di Cuori con tono glaciale e senza degnare l’uomo di uno sguardo.
«Papà» lo ammonì Callie con un bisbiglio.
«Sarò io il tuo ostaggio, Addison» proseguì Carlos senza esitazioni.
«Papà!» questa volta l’esclamazione della Regina di Picche fu chiaramente udibile a tutta la corte.
«Sono il padre della regina, sono il Principe di Fiori, sono un ostaggio conveniente per te. Se succedesse qualcosa a Calliope mentre è qui, Addison, la colpa ricadrebbe su di te e con essa la sventura. Ma se io dovessi morire, a nessuno importerebbe».
«Papà...» questa volta quello di Callie fu un gemito addolorato.
Il silenzio cadde nuovamente sulla sala ad accompagnare le riflessioni silenziose della Regina di Cuori.
«Voi due, venite avanti» disse, infine, indicando due persone alle spalle della regina bianca. «Presentatevi».
«Lady Cristina Yang di Voncrelito» rispose pronta una delle dame di compagnia di Calliope, facendo un passo avanti.
«La-Lady Theodora Altman. Di Bivio Irato» rispose con voce leggermente tremante la seconda, affiancando Cristina.
«Anche loro rimarranno qui come ostaggi» decretò Addison, dopo aver annuito.
«Addison, hai già mio padre come garanzia» protestò Callie.
«Voglio anche loro» ripeté la Regina di Cuori fermamente.
Lady Cristina si sistemò accanto al Principe di Fiori, tenendo gli occhi fissi sulla regina rossa. Quando capì il significato del gesto, anche Teddy la imitò.
«Con il vostro permesso, mia Regina» disse Lady Yang, spostando lo sguardo su Calliope e sottolineando in questo modo a chi andasse la sua assoluta fedeltà, «vorrei rimanere come ostaggio insieme a vostro padre presso la corte rossa».
«Anche io, Vostra Maestà, con permesso» confermò Lady Altman.
La regina bianca spostò lo sguardo dalle sue dame alla Regina di Cuori e infine sul resto degli uomini che l’avevano accompagnata.
Gli occhi del Fante di Picche erano lucidi, ma nessuna lacrima scivolò sulle sue guance di pietra.
«D’accordo, ma credo sia giusto, a questo punto, che anche io abbia i miei ostaggi» annuì Calliope. «Il re rosso viene al Castello di Picche con noi».
 







NdA
E finalmente è arrivato martedì!
Ma bando alle ciance, la canzone [5] è All I Need, Firstcom e questo capitolo non vi dice chi è il Bianconiglio, ma dato che sono buona, vi consiglio di dare un’occhiata a questo ;D
Che altro dire? Fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo, ci vediamo martedì!
Trixie :D 

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Capitolo 6
*** Capitolo V ***


Capitolo V
There’s no escape. So keep me safe. This feels so unreal. [6]

 
«Recupera quella ragazza e portala alle carrozze» borbottò lo Strecane, facendo il verso alla Regina di Picche. «La fa facilelei, ma è a me che tocca fare il lavoro sporco. Conosci il posto, saprai orientarti bene, ha detto. Peccato che questa fortezza sia un labirinto, accidenti. E ora dove sono finito?»
Lo Strecane camminava a mezz’aria, guardandosi intorno e annusando a destra e sinistra, senza riconoscere alcun odore a lui familiare. Quella doveva essere una delle aree del castello che non frequentava con Meredith, perciò si trovava lontano sia dagli appartamenti reali che dalle stanze riservate alle Cappellaie.
E anche dalla cucina, come gli ricordò il gorgogliare del suo stomaco.
A un bivio, lo Strecane si fermò per qualche secondo, indeciso. Destra o sinistra?
La sua coda penzolò per qualche secondo, prima di fermarsi indicando il corridoi di destra.
«Coda fortunella, spero che tu abbia ragione, altrimenti ti inseguo fino ad acchiapparti, questa volta» la avvisò lo Strecane, prima di proseguire verso destra accompagnando ogni passo a una lamentela.
«Non farti vedere da nessuno. Presta attenzione, Strecane. Saranno tutti nella Sala del Trono ad assistere al mio colloquio con la regina, devi agire velocemente. Come se non lo sapessi. Sono uno Strecane, non un qualunque sacco di pul-»
Doc tacque non appena urtò una superficie dura che lo fece retrocedere.
«Ma guarda, lo Strecane!» biascicò una voce maschile che Doc riconobbe all’istante.
«Lord Grey!» 
Doc agitò la testa, facendo sbatacchiare le orecchie. Forse gli avvertimenti della regina bianca non erano del tutto infondati, ma questo non glielo avrebbe mai detto.
«Avete una bottiglia in mano, che strano, siete ubriaco prima di pranzo» commentò lo Strecane, realizzando che, se anche qualcuno avesse ascoltato i farfugliamenti di Lord Grey, difficilmente gli avrebbe creduto. In tutta Wonderland erano note le sue abitudini poco salutari riguardo i liquidi ingeriti.
«Stupido cane, non sono affatto ubriaco» lo contraddisse l’uomo barcollando. «Dove è la mia piccola Meredith? Le sei sempre attaccato alle gonne» indagò l’uomo, incespicando attorno allo Strecane per controllare che non si nascondesse dietro di lui.
«Siete chiaramente sobrio, Lord Grey, ma, vedete» disse Doc, voltandosi per guardarlo di nuovo negli occhi. «la giovane Lady Grey non è con me. Mi hanno detto che è con quella strana ragazza del Mondo di Lassù, sapete dirmi dove si trovano?» tentò lo Strecane, senza avere la minima idea di dove fosse Merdith. A quell’ora poteva tranquillamente essere già morta, decapitata non appena aveva messo piede nel castello. Nelle segrete, come aveva controllato mentre cercava Arizona, non vi era alcuna traccia né di una né dell’altra. Il suo cuore peloso, come Meredith a volte lo definiva, sperava con tutto sé stesso di trovare la più giovane delle Cappellaie viva e vegeta.
A quella ragazza, che lo aveva salvato da una vita di solitudine, era sinceramente affezionato. Non glielo aveva mai detto e mai lo avrebbe fatto, perché Meredith aveva ragione, Doc aveva un cuore peloso: una capacità di amare ben nascosta dietro strati di pelo e apparente freddezza.
«La giovane Lady Grey? Non parlavo della mia Lexie, Strecane, parlavo di Meredith! Sai dove è?» sbraitò Lord Grey, agitando la bottiglia che aveva in mano e dalla quale non uscì nemmeno una goccia. Doc notò che era vuota e sospirò.
«Sì, Meredith, è con la ragazza del Mondo di Lassù. Ora, per trovare Meredith, dovete dirmi dove si trova la ragazza del Mondo di Lassù, allora, Lord Grey, potete aiutarmi?»
«La ragazza del Mondo di Lassù? Quella che somiglia a quella Alice e che tutti dicono si tratti di quella Alice, ma che sostiene di non essere quella Alice e di chiamarsi Arizona, anche se si è persa come quella Alice?» chiese Lord Grey, corrugando la fronte nello sforzo di concentrarsi sulla richiesta di Doc, che nascose la propria impazienza con una scodinzolata di frustrazione.
«Sì, Lord Grey, quella Alice che dice di chiamarsi Arizona, sapete dove si trova?»
«Con mia figlia, Meredith Grey, anche se non ricordo chi me l’ha detto!» sorrise Lord Grey,felice di poter aiutare lo Strecane.
Doc si trattenne dal ringhiargli contro, spazientito. Quell’uomo non era altro che una perdita di tempo.
«E per caso qualcuno vi ha detto dove si trova quella Alice?» tentò un’ultima volta Doc, senza speranze.
«Ma certo, Strecane, lo sanno tutti che quella Alice che dice di chiamarsi Arizona si trova in una delle stanze degli ospiti del torrione Ovest».
L’irritazione di Doc crebbe davanti all’atteggiamento flemmatico di Lord Grey.
«E noi dove siamo?»
«Nella Fortezza Rossa! Dimmi, ti ha dato di volta il cervello, Strecane?»
«Cuore infranto, la sua idiozia non ha fondo» borbottò Doc, prima di tornare a rivolgersi a Lord Grey. «In che punto della Fortezza Rossa? Che ala è, questa?»
«Ala? Non vedo alcuna ala!»
Lo Strecane ringhiò e puntò su Lord Grey, appoggiando l’umido naso contro quello arrossato dell’uomo.
«Dove accidenti siamo, Lord Grey? Come arrivo al torrione Ovest il più velocemente possibile?»
«Dr-dritto da quella parte, fino alla Torre delle Decapitazioni. Da lì, proseguite lungo gli appartamenti reali e arrivate a-al torrione Ovest» disse Lord Grey, paonazzo.
«Grazie, è stato un piacere parlare con voi» tagliò corto Doc, allontanandosi di qualche passo dall’uomo e prefigurandosi il percorso che avrebbe dovuto seguire nella propria testa. 
Dopo pochi secondi lo Strecane scomparve agli occhi di Lord Grey, spostandosi velocemente secondo le indicazioni dell’uomo. Che gli Strecani sapessero scomparire e comparire a proprio piacimento da luogo in un altro era una leggenda. Era necessario conoscere non solo la destinazione, ma anche il percorso da seguire. Di fatto, si trattava semplicemente di spostarsi a una velocità incomprensibile per la mente umana, nulla più.
Ma nessuno, anche intuendo la verità, sarebbe mai riuscito a trovare uno Strecane disposto ad ammetterla.
In pochi secondi si trovò al primo piano del torrione Ovest, dove alloggiavano i servi e le cameriere assegnate agli ospiti. Immaginando che ad Arizona fosse stata assegnata una delle stanze meno lussuose, lo Strecane salì al secondo piano. Lì, in genere, alloggiavano dignitari minori o coloro che, per loro sfortuna, erano incappati nell’antipatia della Regina di Cuori.
Rendendosi invisibile agli occhi umani, Doc seguì l’andamento circolare della torre, annusando l’aria nella speranza di sentire il profumo di Meredith, ma nulla. Sentiva solo la scia di Arizona e riconobbe quella di Jackson Avery, mischiata a un altro odore a lui familiare, ma che non riuscì a riconoscere.
Finalmente lo Strecane vide il soldato rosso, appostato fuori da una porta che, ne era sicuro, nascondeva Arizona.
 
Jackson fissava assorto un punto di fronte a sé, tra la quattordicesima e la quindicesima fila di mattoni grigi. La parete che aveva di fronte, la stessa spoglia parete che fissava da ore, contava esattamente ventidue righe di mattoni in verticale e trentatré mattoni in orizzontale, dalla piccola finestra all’armadio di legno che conteneva biancheria pulita.
Vi aveva curiosato poco prima, vinto dalla noia.
Detestava fare la guardia, turni infiniti ad attendere un pericolo che puntualmente non si presentava, con la sola compagnia dei proprio pensieri, seppur piacevoli.
Nella sua mente c’era April, solo e perennemente April. April che lo guardava da ogni singolo e freddo mattone, April che gli strappava un sorriso al solo pensarla, April che si trovava dall’altro lato di una porta che non poteva oltrepassare.
Ordini di Sir Sloan. Senza contare che, probabilmente, non avrebbe resistito alla tentazione di baciarla, che quella Arizona o Alice o comunque la si volesse chiamare, fosse presente o meno.
«Avery! Sir Sloan ti attende nel Cortile d’Ingresso, immediatamente!»
«Come? Generale Burke, siete voi?»
Jackson drizzò la schiena, guardandosi intorno alla ricerca di Preston Burke. Che la noia gli giocasse brutti scherzi?
«E chi mai potrei essere? Andate nel Cortile d’Ingresso, un soldato sta arrivando per darvi il cambio, ma Sir Sloan non può aspettare» ripeté il generale Burke.
Jackson sentì dei passi affrettati allontanarsi e scendere le scale.
Sorpreso e confuso, Jackson fissò il muro ancora per qualche secondo, prima di voltarsi verso la porta alle sue spalle.
«A presto, April» bisbigliò, prima di seguire il generale Preston Burke verso il Cortile d’Ingresso.
 
«Strecane!» urlò April Kepner, alzando gli occhi dal lavoro di cucito che teneva sulle ginocchia.
«Doc? Dove ti eri cacciato?» domandò invece Arizona, che stava osservando il mondo di Wonderland dalla piccola finestra accanto al letto.
«Salve, signore, sono venuto a salvarvi» annunciò Doc, mimando un goffo inchino a mezz’aria e riconoscendo quell’odore familiare avvertito poco prima come quello di Lady Kepner.
«Scherzi? Sei scappato non appena hai visto i soldati rossi!» protestò Arizona indignata.
«Così non mi fate affatto onore, Arizona Robbins, io non sono scappato. Meredith mi ha chiesto di avvertire il castello bianco, di chiedere aiuto» disse Doc, sincero. A volte gli capitava, di dire la verità, così, anche senza volerlo. «Ma non perdiamoci in chiacchiere, dobbiamo scappare, la carrozza della Regina di Picche ci aspetta».
«Calliope è qui?» chiese Arizona, illuminandosi.
«Arizona Robbins, tu chiami la regina bianca con il suo nome» osservò lo Strecane, incuriosito.
«Non si può?» indagò Arizona.
«Sì, cioè, no, voglio dire, è una regina» bisbigliò April.
«Ma…»
«Sì, ve bene, d’accordo, rimandiamo a più tardi le discussioni riguardo l’etichetta, signore, cosa ne dite di andarcene prima che Jackson Avery torni? Io posso rendermi invisibili, ma per voi sarebbe un problema».
«Dove è Jackson?» chiese April allarmata.
«Mi ero dimenticato di quanto le donne sapessero essere loquaci nei momenti meno opportuni. Jackson sta bene, Lady Kepner» la rassicurò Doc. «Ma ora dobbiamo scappare, così da essere certi che la nostra amata Regina di Cuori vi faccia saltare la testa».
«Ci porterai dalla regina bianca?» domandò Arizona.
«Sì, Arizona Robbins»
«Allora andiamo, April, possiamo andarcene, non dovrai più servire una donna che disprezzi!» esclamò la giovane del Mondo di Lassù, dirigendosi verso la porta con gran sollievo di Doc.
«Io non… Io non mi fido. Tu non fai mai niente per niente. Quale è il tuo prezzo, Doc?» volle sapere April, che ancora non si era alzata.
«Lo sai quale è il mio prezzo, April» rispose Doc, gelido.
«Non l’avrai indietro. Non avrai indietro nessuna delle due».
«Lo so. Volevo solo provare a portarla via da qui. Credevo fosse con Arizona» disse lo Strecane, con lo stesso tono.
April rimase in silenzio per qualche istante, mentre Arizona teneva impaziente la mano sulla porta, senza capire nulla di quel discorso privo di soggetti.
«D’accordo, andiamo, allora» sospirò April, visibilmente nervosa. Si alzò facendo cadere a terra il lavoro di cucito e si chinò a raccoglierlo, urtando la sedia su cui era seduta fino a pochi istanti prima, che produsse un rumore sinistro sbattendo contro il pavimento, subito coperto dall’urlo spaventato della stessa April.
Quando tornò il silenzio, Doc sospirò.
«Lady Kepner, fate attenzione, per favore. Non vorrei che qualcuno ci scoprisse, sapete?»
April lo guardò rabbuiata e con aria colpevole, affrettandosi a lasciare tutto a terra per raggiungere Arizona.
«Aspettate solo un secondo» disse loro lo Strecane, facendo passare la testa attraverso la porta per vedere il corridoi esterno.
«Via libera!» assicurò, retrocedendo per riportare la testa nella stanza.
Arizona aprì la porta, seguita da April, mentre lo Strecane le superava per fare strada. Camminando tanto lentamente Doc faticava ad orientarsi all’interno della Fortezza Rossa, dovendo scegliere quei luoghi che sapeva essere meno frequentati e perciò pieni di polvere. La Fortezza era grande e nonostante le centinaia di servitori che vi si aggiravano silenziosi, sarebbe stato impossibile tenerla in una stato impeccabile da cima a fondo, c’erano sempre zone dimenticate o abbandonate, alcune erano persino chiuse da anni. 
«Per di qua!» intimò Doc, spingendo le ragazze in un corridoio laterale, non appena udì il suono di passi sul pavimento. April si nascose, cercando di controllare il respiro irregolare e di cancellare dalla mente l’immagine della propria testa sulla Torre delle Decapitazioni e di Jackson che piangeva senza sosta, accusandola di aver messo volutamente a rischio la sua vita e di averlo abbandonato. Probabilmente sarebbe stato meglio non scappare, ma era troppo tardi per tornare sui propri passi.
«Calliope» sussurrò Arizona, che si era sporta dall’angolo della svolta in cui lo Strecane aveva detto di nascondersi.
La donna che era passata nel corridoio parallelo e che Arizona aveva intravisto grazie a un breve passaggio perpendicolare era stata una visione durata un battito di ciglia, ma la giovane era certa si trattasse della regina bianca.
Capelli neri, come l’abito a lutto che portava, con perle bianche a impreziosirli.
«Arizona!» la riscosse April, sibilando, tirando la ragazza per una manica del vestito. «Nasconditi!» 
«Nascondersi? State forse scappando?»
Una voce femminile ghiacciò le vene di April, che si voltò lentamente per guardare in volto la donna che aveva parlato.
«No, certo che no, Lady Hahn, avete frainteso, ovviamente» tentò Lady Kepner, arrossendo violentemente.
Arizona, alle spalle di April, aveva gli occhi sbarrati, ma non a causa di Erica Hahn. Nel suo orecchio, chissà come o perché, lo Strecane stava sussurrando velocemente istruzioni e avvertimenti.
«Non cercarmi con lo sguardo, Arizona Robbins, non mi vedresti, ma ascoltami bene. Tutta la Fortezza Rossa vi sta cercando, non so come sia stato possibile, ma la regina ha scoperto della vostra fuga. Hanno perquisito le carrozze della Regina di Picche, sospettano di lei, ne stanno affrettando la partenza. Dovete cercare un'altra via di fuga. Correte, correte a più non posso, i soldati si stanno organizzando, non potete lasciare loro il tempo di farlo. Arizona Robbins, corri»
«April, corri» disse Arizona, non appena lo Strecane tacque. Afferrò una mano di Lady Kepner e sollevò lo scomodo vestito con quella libera, trascinando la ragazza finché questa non si mise a correre.
Alle loro spalle sentirono la voce stridula di Erica Hahn chiamare le guardie, che tuttavia tacque quasi immediatamente.
Grazie, Doc,sussurrò Arizona, imboccando un corridoio laterale senza conoscerne la direzione.
Chissà dove l’avrebbe portata. Verso l’uscita? Verso Calliope? O verso i soldati rossi e la Torre delle Decapitazioni?
 
 
NdA
Per prima cosa, vorrei fare una precisazione che mi sono dimenticata di fare nello scorso capitolo!
Lady Cristina Yang di Voncrelito e Lady Teddy Altman di Bivio Irato si chiamano in questo modo per un motivo ben preciso. Voncrelito è l’anagramma di ventricolo, mentre Irato lo è diatrio, che come sapete sono collegati al cuore ;D
Riguardo a Cristina, lito- viene usato nella terminologia tecnica con il significato di pietra o roccia, mentre “von” in tedesco precede molti nomi di passato nobiliare e significa di o da.
Passando a questo capitolo, la canzone iniziate è Grace diKate Havnevik, che forse qualcuno di voi riconoscerà ;D
A presto con il prossimo capitolo (e sperando di non aver dimenticato nulla),
Trixie :D 

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Capitolo 7
*** Capitolo VI ***


Capitolo VI
 
Three travelers ford the river and southward journey on
the road is lined with peril, the air is charged with fear
The shadow of his nearness weighs like iron tears [7]

 

 
«April, mi dispiace tanto, non volevo cacciarti in questo guaio» sussurrò Arizona, circondata da una decina di soldati rossi, la schiena contro quella di Lady Kepner, che non aveva il coraggio di rispondere.
Il Fante di Cuori sogghignò.
«Lo sapevo che sarebbe stato meglio rinchiuderti nelle segrete, Alice» commentò l’uomo, facendo cenno a uno dei suoi uomini di legare le mani delle due ragazze.
«Non così in fretta, Sir Sloan» disse una voce glaciale alla destra di Mark, che immediatamente si voltò in quella direzione.
«Jackson, mi chiedevo dove fossi finito. Parleremo dopo della tua incapacità di fare un semplice turno di guardia» lo avvertì il fante rosso, con cipiglio minaccioso.
Lord Avery, a cavallo e accompagnato da un decina di soldati tra fanti e cavalieri, tenne a bada la paura lanciando un breve sguardo in direzione di April, i cui occhi si spalancarono nell’osservare il ragazzo. Attorno al collo, appena sopra l’allacciatura del mantello, Jackson si stava annodando un sottile nastro rosso. Gli uomini attorno a lui lo imitarono.
«Cosa diavolo..?»
«Ammutinamento, Sir Sloan. Io e questi uomini non abbiamo più intenzione di servire la Decapitatrice» dichiarò Jackson abbassando le mani e sguainando la spada.
«Ora, se permettete, gradirei che queste ragazze siano lasciate libere» continuò.
«Ti ha forse dato di volta il cervello, ragazzo?! Metti via quella spada e fingerò che tu non abbia parlato!» lo rimbeccò il fante.
«Lascia andare le ragazze, Sloan».
«Lo sapevo che ti saresti rivelato una dannata testa calda come tua madre. È per Lady Kepner, non è vero? Stai mettendo a rischio la tua vita per una donna. Puoi avere tutte le donne del reame, metti via quella spada».
La bocca di Jackson si piegò in quello che sarebbe dovuto essere un sorriso di disprezzo, ma che la paura trasformò in una smorfia di disgusto.
«Non mi fai paura, tu e il tuoesercito. In quanti siete, dieci uomini?»
Jackson non rispose, elencando nella propria testa le ragioni che lo avevano spinto a combattere attivamente il regime della corte rossa. La più importante si chiamava April ed era quella bellissima ragazza che Sloan aveva velatamente minacciato di punire, nel caso in cui si fosse apertamente opposto alla Regina di Cuori. Ma ora che Lady Kepner stava tentando la fuga, lui avrebbe fatto di tutto pur di aiutarla, anche mettere a rischio la propria vita.
Il Fante di Cuori scosse la testa con aria di sufficienza, tornando a dare le spalle a Lord Avery e al suo piccolo manipolo di soldati.
«Legatele» ordinò poi, facendo cenno ai propri soldati in direzione di April e Arizona. Due di loro, titubanti, si mossero verso le ragazze, scossi dall’alterco cui avevo appena assistito.
Jackson spronò il cavallo, la spada alta e ben stretta tra le mani, pronto ad abbatterla sul massiccio corpo di Mark Sloan.
Il Fante di Cuori estrasse la spada con un unico, fluido movimento del braccio, con un’eleganza che, Jackson doveva ammetterlo, gli aveva sempre invidiato.
«Ragazzino, ti ho insegnato io a brandire una spada» sogghignò Sir Sloan, parando il colpo di Jackson senza scomporsi. Il cavallo del giovane ribelle indietreggiò.
«So come combatti, so quali sono i tuoi colpi preferiti, sono come ti muovi. Conosco le tue potenzialità, le tue abilità. Cosa credi di fare, Jackson Avery, contro l’uomo cui devi tutte le conoscenze?»
Tra i presenti, il silenzio scese con una coperta pesante. Né i soldati con i nastri rossi attorno al collo, né gli accoliti di Sir Sloan avevano il coraggio di muoversi. Lady Kepner aveva fatto un passo verso Jackson nel momento della sua comparsa e ora lo fissava immobile.
Jackson, negli attimi di stallo che seguirono il suo futile attacco al Fante Rosso, avrebbe giurato di poter sentire il battito di cuore di Lady Kepner.
«Io non ti devo niente, Sloan» sputò Jackson, alzando nuovamente la spada per attaccare. «Uomini!»
Il suo piccolo drappello di soldati sguainò le spade, ingaggiando una battaglia che non avevano alcuna possibilità di vincere.
Un cavallo passò di fronte ad April, quasi travolgendola tanto era vicina e lei indietreggiò, inciampando e urtando Arizona, che la sostenne a stento.
«Scappate!» urlò loro Jackson, il viso sudato e la cotta di maglia graffiata.
Mark Sloan tentò un affondò nella direzione del ragazzo e lo mancò per un soffio.
Scappare? E dove? Dove è il portone? All’inizio dello scontro era alla sua sinistra, ma ora?
«Le battaglie a cavallo non sono mai state il tuo forte, ragazzino» lo schernì il fante.
Gli zoccoli dei cavalli, le urla dei soldati, i nitriti dei cavalli, lo stridere dell’acciaio, tutto che accadeva intorno ad Arizona la confondeva. La ragazza afferrò saldamente Lady Kepner per il braccio, tentando di trascinarla fuori dallo scontro. Ogni due passi era costretta a cambiare direzione, ostacolata da un cavallo di passaggio, due uomini che combattevo e, una volta, persino un cadavere. Arizona cancellò quell’immagine dalla testa all’istante, per evitare di vomitare e impedì ad April di guardare.
Infine, trovarono una catasta di casse vicino a un muro, dietro le quali si ripararono.
«Lady Kepner» urlò una voce maschile, che Arizona non riconobbe. «Ali-, Arizona?».
L’uomo si stava avvicinando, il richiamo si faceva sempre più nitido.
Arizona si sporse dal suo nascondiglio, rinunciando a consolare April, ma continuando a tenere ben saldo il suo braccio. Lady Kepner ripeteva in continuazione il nome di Jackson singhiozzando e cercava di liberarsi dalla stretta di Arizona per raggiungere il ragazzo.
Un cavaliere, dall’armatura sporca di polvere e con un graffio lungo la tempia, si fece largo tra gli uomini intenti a combattere fino a loro, stringendo le briglie di due cavalli. Al collo, con gran sollievo di Arizona, aveva un nastro rosso.
«Ho ordini precisi da parte di Lord Jackson. Aiutarvi nella fuga, a qualsiasi costo» annunciò, quando fu abbastanza vicino perché le due ne potessero udire la sua voce.
«Montate a cavallo, spingeteli al galoppo in quella direzione, il portone per ora è in mano nostra, ma non so per quanto tempo ancora» disse.
Arizona annuì alzandosi in piedi e trascinando April con sé, che ancora tentava di divincolarsi per raggiungere Lord Avery.
«April!» urlò Arizona, cercando di scuoterla. «April, lui vuole che tu scappi, ok? Dobbiamo scappare, lui se la caverà»
«Ja-Jackson, n-on vo-glio sca-ppare» singhiozzò Lady Kepner, gli occhi puntati sulla battaglia. «Jackson!» gridò poi, disperata, non riuscendo a scorgerlo con gli occhi.
Arizona lanciò un’occhiata al cavaliere che ancora stringeva le briglie tra le mani.
«A qualunque costo» disse questo. «Tieni» aggiunse, dando le redini dei cavalli ad Arizona, che le afferrò dopo un attimo di incertezza.
Il cavaliere  si avvicinò ad April e la sollevò cingendola dalla vita, indietreggiò nuovamente verso i cavalli e la caricò su uno di questi cercando di metterci tutta la delicatezza possibile. Tentativo non facile se compiuto da un uomo in armatura nei confronti di una lady dalle gonne voluminose e il cuore così straziato da farla gridare e agitare con quanta forza ha in corpo.
Arizona non si sarebbe stupita nel vedere spuntare una fila di artigli dalle dita di Lady Kepner.
«Prendi l’altro cavallo» ordinò l’uomo ad Arizona, salendo sulla sella, appena dietro April, che ancora si dimenava. Il cavaliere la circondò con un braccio per provare a placarne i movimenti. Di far tacere i singhiozzi inframmezzati alle urla non c’era possibilità.
Arizona fece come le era stato detto, cercando di ricordarsi i rudimenti dell’ippica appresi da bambina con suo padre, al maneggio.
«Sai gestire un cavallo?»
«Credo di sì».
Il cavaliere la squadrò, ma non c’era tempo di discutere. I combattimenti si stavano acquietando e come c’era da aspettarsi la fazione ribelle aveva riportato molte morti. La quasi totalità del piccolo manipolo, in effetti. Arizona non vide Jackson da nessuna parte. Il Fante di Cuori, sceso da cavallo, stava estraendo la spada insanguinata da un uomo con un nastro rosso intorno al collo.
«Segui il mio cavallo, al galoppo, dobbiamo andarcene» le disse e senza lasciarle tempo di replica si voltò, spronando l’animale al galoppo.
Arizona imitò i suoi movimenti, ma la presa sulle redini era incerta e il cavallo sbandò a destra e a sinistra, prima che la ragazza trovasse la fermezza necessaria per guidarlo.
I due animali si aprirono un varco attraverso i pochi combattimenti ancora in corso, tutti a terra. La maggior parte dei cavalieri aveva perso il cavallo e ne era stato disarcionato nei primi minuti dello scontro.
Il cavaliere dal nastro rosso incaricato di aiutare le due giovani della fuga si voltò una sola volta per controllare che Arizona fosse illesa e sul suo volto si dipinse un’espressione sollevata.
Quando varcarono il portone d’ingresso alla Fortezza Rossa, i soldati che ne controllavano i meccanismi lanciarono un fischio acuto, poi manovrarono gli ingranaggi e, lanciando un ultimo sguardo dietro di sé, Arizona vide che stavano sbarrando l’accesso. E l’uscita.
I soldati ribelli avevano deciso di sacrificare la propria vita per lei e per Lady Kepner.
Un velo di lacrime le inumidì gli occhi.
 
Quando il Cavaliere Senza Nome, come lo aveva ribattezzato Arizona durante quella folle cavalcata a rompicollo, acconsentì alla richiesta della giovane di fermarsi a riposare, era ormai notte fonda.
Cercò una radura nascosta, lontana dal sentiero. I rami degli alberi aggiunsero nuovi graffi al volto di Arizona e quando la giovane scese da cavallo sentì le piaghe non ancora guarite dalla sua precedente cavalcata aprirsi di nuovo.
Il cavaliere fece scivolare April, che dopo qualche ora aveva smesso di gridare e divincolarsi, giù da cavallo, adagiandola con attenzione sul prato, appoggiata al tronco ruvido di un albero.
Era sprofondata in una tormentata apatia e questo allarmava Arizona, che si avvicinò e le prese una mano, stringendola.
«April? Mi senti? Siamo al sicuro, adesso, grazie a Sir Senza Nome» bisbigliò, senza ottenere alcuna attenzione dalla ragazza.
«Poco lontano dovrebbe esserci un ruscello» disse il cavaliere. «Vado a prendere dell’acqua».
Arizona annuì, senza distogliere il proprio sguardo pieno di apprensione da April.
«È di poche parole, ma è gentile, credo» disse, cercando in tutti i modi di scuotere la ragazza. «Evidentemente Jackson si fida-»
«Jackson» soffiò April, alzando gli occhi.
Arizona rimase spiazzata dallo sguardo della giovane.
Tutto, in lei, era disperazione.
«Jackson voleva che scappassi. Devi essere forte. Per lui, per Jackson» tentò Arizona, sentendo il vuoto nelle proprie parole.
April si limitò ad annuire, abbassando lo sguardo di nuovo.
Arizona rimase accanto a lei fino al ritorno del Cavaliere Senza Nome.
«Nessun miglioramento?» chiese, porgendo una borraccia ad Arizona. La giovane bevve avidamente, rendendosi conto all’improvviso della sete che aveva e della gola secca.
Nell’oscurità non riusciva a distinguere chiaramente i lineamenti del giovane, nonostante la luna piena, ma le parve di vederlo sorridere.
Arizona terminò di trangugiare l’acqua fredda, piccole goccioline le scivolarono sul mento, prima di rispondere.
«Solo al suono del nome di Jackson» rispose Arizona.
April sospirò.
«April, bevi un po’» le disse dolcemente Arizona. Lady Kepner la guardò, fissò gli occhi sulla borraccia.
«Acqua?»
«Acqua fresca» confermò Arizona.
«Devo essere forte, per Jackson» sussurrò April, più a sé stessa che alla coppia stranamente assortita che l’aveva portata fin lì.
Arizona annuì e April bevve, a sorsi moderati, come se dovesse ricordare a sé stessa perché o, meglio, per chi lo stava facendo.
«E così tu sei quella strana ragazza del Mondo di Lassù che dice di non essere Alice» disse il cavaliere dopo qualche secondo.
«Io non sono Alice, io sono Arizona, sono stanca di ripeterlo a tutti, accidenti!»
«Abbassa la voce, Arizona, non ho la minima idea di dove siano i soldati rossi. Ci fermeremo qui per poco, un’ora al massimo, non siamo abbastanza lontani da quell’inferno» disse l’uomo.
Arizona grugnì.
«Tu chi sei?» domandò poi.
«Sir Taylor, ma puoi chiamarmi Matthew» si presentò l’uomo, stringendosi nelle spalle.
«D’accordo, Matthew, piacere» annuì Arizona, prendendo la borraccia che April le tendeva e porgendola nuovamente all’uomo.
«Torno a riempirla. Porto anche i cavalli con me, saranno stremati» annunciò il cavaliere e solo quando si allontanò Arizona notò che zoppicava lievemente a destra.
Non vi badò e scivolò in un leggero torpore, rassicurata almeno in parte dal calore del corpo di April, ancora assente se non per le occhiate indagatrici che iniziava a lanciare intorno, per studiare l’ambiente che la circondava.
Dopo un tempo che ad Arizona parvero minuti, Matthew la scosse e le disse gentilmente di risalire a cavallo.
«Terrò io le redini del tuo cavallo, così potrai continuare a riposare» aggiunse, aiutando Arizona a mettersi in piedi e quasi caricandola sull’animale.
«Ma tu?» biascicò Arizona, cercando di riemergere dal mondo dei sogni.
«Non preoccuparti, sono abituato a lunghi turni di veglia» la rassicurò Matthew, sistemando April in sella e sistemandosi di nuovo dietro di lei.
Il buio circondò Arizona, che badò solo per un istante all’intenso odore di stalla che le punse le narici quando si accasciò sul collo del cavallo, troppo stremata persino per replicare.
 
Quando Arizona riaprì gli occhi e si sistemò in sella, il paesaggio attorno a lei era completamente cambiato. Il morbido tappeto del sottobosco aveva lasciato spazio a una terra arida e polverosa, gli alberi erano scomparsi, così come qualsiasi tipo di vegetazione. Attorno, sparsi qua e là, c’erano solo pochi sassi isolati.
«Dove accidenti siamo finiti?» borbottò Arizona.
Matthew, accanto a lei, le rivolse un sorriso divertito.
«Buongiorno» la salutò. «Siamo diretti all’Occhio del Gigante. Questa è la Striscia Arida e la denominazione è letterale: è una lunga, lunghissima fascia di terra in cui non cresce nulla» spiegò Matthew.
Arizona decise di non indagare ulteriormente sulle stranezze di quel posto. Quale genere di fenomeno naturale avrebbe mai potuto provocare le condizioni della Striscia Arida?
«April come sta?» s’informò.
«Ha parlato nel sonno, un paio di volte, ma non si è mai svegliata. Credo abbia fatto brutti sogni, a volte si era agitata e il respiro si è fatto a tratti irregolare».
Arizona annuì. Anche lei aveva fatto brutti sogni. Immagini confuse di cadaveri e sangue, soldati uccisi perché lei potesse scappare, mani che chiedevano la sua vita sporgendosi dal bordo dell’inferno, voci che chiamavano il suo nome, che la chiamavano Alice, che la accusavano delle morti del giorno precedente.
Non aveva mai visto un uomo morire, non aveva mai voluto vedere un cadavere. La morte la terrorizzava al punto tale che non aveva mai nemmeno voluto salutare per l’ultima volta suo fratello, morto in guerra.
Fratello.
Lei aveva un fratello, in quel Mondo di Lassù che ricordava in modo confuso. Un fratello morto in guerra, per la precisione, fatto che le provocava un dolore intenso, lì, nel petto, nel punto in cui il suo cuore batteva.
Ma l’aveva ricordato, aveva ricordato di avere un fratello.
Sorrise appena, rimanendo in silenzio per qualche minuto, cercando di far riemergere nuovi ricordi, dettagli di suo fratello, della loro famiglia.
Più Arizona cercava di inseguire questi ricordi, di afferrarli, questi fuggivano, scivolandole tra le mani.
Alla fine, decise di pensare ad altro.
«Quanto ci metteremo ad uscire da qui? Fa un caldo impressionante» disse, rivolgendosi al cavaliere che aveva rispettato il suo silenzio. Non aveva forse detto che si trovavano in una lunga fascia di terra praticamente deserta? E, per quanto ne sapeva lei, non avevano né cibo, né, tantomeno, acqua.
«Tra qualche ora ne saremo fuori, anche se pensavo di fare una brave sosta nell’Occhio del Gigante, per vedere un amico» rispose Matthew affrettandosi per calmare il terrore che aveva letto negli occhi di Arizona. «Stiamo percorrendo la Striscia Arida per il suo lato breve, non ti preoccupare».
«Per un momento mi ero lasciata prendere dal panico. Ti ho anche dato dell’idiota, scusami» disse Arizona.
«Non c’è problema» minimizzò il cavaliere.
«Cosa è l’Occhio del Gigante?»  s’informò poi, la ragazza.
«Aspetta, tra qualche minuto lo vedrai da te» rispose Matthew e in effetti non si sbagliava.
In men che non si dica arrivarono a destinazione e Arizona scese da cavallo. Per un secondo, le gambe indolenzite non ressero il suo peso, ma si ripresero quasi subito.
La giovane del Mondo di Lassù mosse qualche passo.
«Attenta, fossi in te non mi avvicinerei troppo» la avvertì Matthew.
Sotto di lei, Arizona vide un profondo strapiombo, arido come la terra che lo circondava da un lato e dall’altro, se non per un cerchio azzurro, che a lei non parve tanto più grande di una pozzanghera. Attorno, c’era una striscia più scura, che Arizona indico a Matthew.
«Credo che sia l’unica traccia di vegetazione che vedremo oggi» disse lui. «Ora capisci perché lo chiamano Occhio del Gigante
Arizona annuì, facendo vagare lo sguardo lungo lo strapiombo. I margini, per via della prospettiva, si avvicinavano l’uno all’altro.
«Non è solo un’impressione, i lembi si avvicinano davvero fino ad unirsi. È un occhio enorme, cosa ne dici di scendere?» propose Matthew, indicando una discesa accanto alla parete di roccia che Arizona fino ad allora non aveva notato. Ad occhio e croce Arizona decise che quella doveva essere un’opera umana, ma preferì non chiedersi chi fosse tanto pazzo da realizzarla.
«Scherzi?»
«Affatto. Svegliamo April. Credo sia meglio condurre i cavalli a piedi, anche se la discesa non è eccessivamente ripida, preferisco non correre rischi. Se succede qualcosa a una di voi due Jackson mi uccide» disse Matthew.
«Sempre che non sia già morto» commentò Arizona ad alta voce, prima di potersi trattenere. Forse Lord Avery era amico di Matthew e il suo commento non era affatto gentile, per quanto verosimile.
Il cavaliere la guardò e un’ombra passò sul suo volto, ma poi sospirò.
«Probabilmente hai ragione».
«Scusa, non avrei dovuto… Non volevo…».
«Non importa, ma forse è meglio non dirlo davanti a Lady Kepner» disse Matthew, prima di dare dolci colpetti ad April chiamandola per nome.
Mentre la ragazza cercava di riprendersi e abituarsi a camminare, lottando contro il torpore e contro l’idea di Jackson in pericolo, Matthew legò le redini di uno dei cavalli alla sella dell’altro, così da poterli condurre entrambi stringendo una sola briglia.
Quando tutto fu pronto, bevvero a turno la metà dell’acqua a disposizione, cercando di ignorare i morsi della fame. Infine, iniziarono a scendere nell’Occhio del Gigante.
 
 
NdA
Prima di tutto, scusate l’assenza, ma purtroppo sono stata impegnata! (Aspettatevi tutte le recensioni degli aggiornamenti che ho mancato in questo periodo, a proposito! ;D)
Passando alla canzone, questa volta è tratta da The Necromancer (Rush), che ha una storia un po’ particolare, forse alcuni la conosceranno ;D
Bene, spero che il capitolo vi sia piaciuto, a presto,
Trixie :D 

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Capitolo 8
*** Capitolo VII ***


Capitolo VII
 
Home is not the same place that it was; time goes by and changes everything.
I left so many things behind me, my favorite things I took away 
were my memories and my dreams.
[8]



C’era Jackson. Nei disegni delle nuvole nel cielo, nei riflessi del sole sull’armatura del cavaliere, nella polvere calpestata dai cavalli.
C’era Jackson nel sibilare del vento e nel ronzare degli insetti.
C’era Jackson sulle labbra di April, nella sua testa, nel suo cuore.
C’era Jackson, c’era Jackson dappertutto, eppure April non sapeva se Jackson fosse vivo.
Jackson c’era, eppure poteva non esserci.
Perciò April continuava a mettere un piede davanti all’altro, scendendo nell’Occhio del Gigante, senza curarsi di ciò che avrebbe trovato sul fondo.
Destro. Sinistro. Jackson. Destro. Sinistro. Jackson. Destro. Sinistro. Jackson.
«April».
Destro. Jackson. Sinistro. Jackson. Destro. Jackson.
«April!»
«Cosa c’è?» chiese April, voltandosi verso Arizona, che la stava chiamando con insistenza.
«Qui c’è un’altra di quelle piccole cavarne» disse la ragazza, in piedi a qualche passo di distanza. Evidentemente Lady Kepner non si era fermata insieme ai suoi compagni di viaggio, ma aveva proseguito, troppo assorta nei suoi pensieri, troppo assorta in Jackson, per accorgersi del mondo.
April lanciò uno sguardo a quell’angusta rientranza nella parete, di cui il fianco del dirupo era costellato a intervalli regolari. Quando l’Occhio del Gigante era attraversato di frequente dai viaggiatori, servivano come riparo per la notte, e anche se ora erano sfruttati di rado, potevano ancora svolgere egregiamente il loro compito.
Matthew aveva stimato due, forse tre giorni di discesa e altrettanti di risalita, che sarebbe stata ancora più faticosa, così quei rozzi ripari potevano tornare utili.
April tornò sui suoi passi e raggiunse Arizona e Matthew. Il cavaliere stava già conducendo all’interno della caverna i cavalli, che sfioravano il soffitto con le orecchie.
«Credo che qui staremo bene, un po’ stretti, ma al riparo» commentò Matthew.
Arizona si lasciò cadere stancamente a terra, mentre April annuì distratta.
Al riparo? E al riparo da cosa? L’unica cosa dalla quale voleva trovare riparo, in quel momento, era il dolore di non avere Jackson vicino. Perché lui, in quel cortile, aveva rischiato la vita per lei.
«Tieni, mangia» disse il cavaliere, porgendo ad April una strana radice recuperata chissà dove. «Il sapore non è dei migliori, ma è nutriente».
«Grazie» disse Lady Kepner, afferrando la radice e dandole un morso. Un gusto leggermente amaro le pizzicò la lingua. Arizona sputò il suo boccone.
«Ma è disgustosa!» protestò, pulendosi la lingua con le dita.
«Ma è tutto quello che abbiamo! Non cresce altro nel raggio di miglia, perciò non voglio più vederti sputare. E devi mangiare, se vuoi arrivare viva al Castello Bianco» la rimbeccò Matthew.
Gli occhi di Arizona si illuminarono.
Il Castello Bianco. Calliope.
Con un enorme sforzo di volontà Arizona inghiottì ciò che rimaneva della sua radice, poi si addormentò con la testa poggiata alla sella che aveva tolto dal suo cavallo.
La sua ultima immagine da sveglia fu April, seduta all’entrata della piccola caverna con gli occhi rivolti al cielo.
E poi, in un attimo, non era più April…
 
…era Calliope.
Indossava uno strano abito bianco, lungo fino a metà coscia e aperto sul davanti.
Camice.Le suggerì una piccola voce nella testa. Calliope indossa un camice. E uno stetoscopio.
Arizona rise, di quella sua risata argentina, alla parola stetoscopio, portandosi una mano alla gola solo per scoprire che anche lei aveva uno stetoscopio. Non ebbe il tempo di interrogarsi sull’utilizzo di quello strumento dal nome strano, perché Calliope sfrecciò davanti a lei per una frazione di secondo, tra due corridoi bianchi, scomparendo alla vista.
Non si trovava più nella caverna scavata nella roccia, non indossava più quegli assurdi abiti che ostacolavano il cammino suo e di April, facendole sudare almeno tanto quanto Matthew nella sua armatura.
Aveva un camice anche lei e vestiti del tutto simili a quelli che indossava quando era arrivata o, meglio, caduta a Wonderland.
«Calliope!» provò a chiamare, ma la voce le morì in gola, così decise di inseguire la donna che sembrava averla stregata.
Vagò per corridoi anonimi, sui quali file e file di porte si aprivano rivelando stanze tutte uguali, con bambini, donne e uomini doloranti e qualcuno, pochi, in realtà, in via di guarigione.
Ospedale. Intervenne di nuovo quella stessa voce nella testa, che Arizona non tardò a identificare con la propria. Allora, forse, sto solo ricordando il Mondo di Lassù. Ma perché c’è Calliope? Chissà, forse sono solo confusa…
Andava riflettendo Arizona, in quel luogo che ad ogni passo trovava sempre più familiare.
Perciò, ora, quello che so di me è che sono Arizona Robbins e ho un fratello, morto. L’ospedale mi è familiare, indosso il camice e so maneggiare uno stetoscopio. O almeno credo. Infine, sono sicura di essermi presa una cotta incredibile per Calliope.
Arizona provò di nuovo a chiamare la donna, ma la voce non voleva saperne di uscire, ma continuava a camminare e ad affacciarsi a ogni porta.
Finalmente, quando vide Calliope, una bionda le si parò davanti, tra lei e la donna che aveva inseguito tanto a lungo. Arizona avrebbe riconosciuto quel volto tra mille. Lady Hahn, così l’aveva chiamata April alla Fortezza Rossa.
«No» disse Arizona e questa volta un sussurro uscì dalle sue labbra.
«Devi lasciarla andare, Arizona» disse Lady Hahn, con una voce lievemente mascolina. «È mia, mi serve».
«No!» protestò la ragazza del Mondo di Lassù, allungando la mano al di là della Hahn e afferrando un lembo della veste di Calliope. Questa si voltò e le sorrise, di un sorriso triste, che incrinò il cuore di Arizona.
«Lasciala, Arizona!» ripeté Lady Hahn con rabbia, afferrando a sua volta Calliope.
«No, no, no!»
«Ho detto lasciala, accidenti!»
«No, non la meriti!»
«Arizona, lascia andare la presa, dobbiamo rimetterci in viaggio!»
Il volto di Lady Hahn si confuse con quello di Matthew, Calliope scomparve, solo per riapparire un attimo dopo e scomparire ancora. Questa volta non tornò più.
 
«Oh» mugugnò Arizona, quando si accorse di stringere con forza la sella che le era servita da cuscino. «Oh, scusa, credevo… Lascia stare».
«Non importa» disse Matthew con un sorriso, porgendole una radice mentre si alzava per finire di sellare i cavalli. April, seduta contro una parete, stava già masticando la sua con aria assente.
Arizona scosse la testa e masticò la sua radice, la cui amarezza, ora, al confronto di quella che provava per la fine del suo sogno, sembrava quasi piacevole.
«Sono ore che camminiamo, Matthew, non possiamo fermarci a riposare alla prossima caverna?» si lamentò Arizona, i cui piedi lanciavano urla di protesta. «E poi si muore di caldo, non potremmo riposarci di giorno e camminare di notte?».
«E poi questa notte mi dirai che hai troppo freddo per camminare e rimpiangerai il caldo del giorno» la rimbeccò Matthew, stanco di sentire i lamenti della giovane.
Anche lui aveva caldo, sotto l’armatura, e sudava molto, ma di notte era troppo pericoloso procedere per quel sentiero, dove un passo falso ti costava la vita.
Quella mattina Arizona e April avevano deciso di togliere almeno gli strati di gonna più ingombranti, con il risultato di aver fatto arrossire Matthew fin alla punta dei capelli. Lui non era certo abituato a vedere Dame in sottoveste e poco più.
Gli abiti delle due donne pendevano dal dorso di uno dei due cavalli.
Arizona mugugnò qualcosa a mezza voce, prima di tacere e continuare a camminare senza lamentele.
L’acqua nelle borracce iniziava a scarseggiare e il fiume sottile che scorreva sotto di loro e che si gettava in un lago enorme era quanto di più invitante Arizona potesse vedere nel raggio di miglia.
April aveva ancora l’aria assente, anche se mostrava sorprendenti capacità d’iniziativa nelle questioni pratiche, ma dalle sue labbra non uscivano lamentele, né richieste di acqua o cibo, mangiava e beveva quando le veniva offerto e Arizona a volte la sentiva sussurrare il nome di Jackson.
Per questo, quando finalmente il sentiero divenne pianeggiante e lo scrosciare del fiume sempre più vicino, Arizona non si stupì nel vedere Lady Kepner svenire tra le braccia di Matthew.
 
Quando April riaprì gli occhi, si trovò distesa su una superficie morbida. Sopra di lei un tetto di roccia rinforzato da travi di legno sorreggeva una lampada, appena sufficiente per rischiarare l’ambiente.
Si trattava di una piccola stanza, arredata rozzamente e un po’ in disordine, ma non sembrava sporca. 
Indossava dei vecchi vestiti dalla foggia contadina, che sembravano appartenenti a una donna più alta di lei e aveva una benda fresca sulla fronte. Qualcuno doveva avergliela appoggiata sugli occhi da poco.
Si sentiva stanca e indolenzita, i suoi piedi erano fasciati e la benda era macchiata di sangue in alcuni punti. Nel camminare non si era accorta dei danni che si era preoccupata, troppo assorta nel dolore di non sapere nulla di Jackson.
Il suo cervello lo riteneva morto da tempo. Chi sarebbe stato in grado di sopravvivere al Fante di Cuori e al suo esercito?
Ma il suo cuore non voleva crederci e perciò rimaneva sospesa in quel limbo, tra la vita e la morte, non osando sperare. Perché lei era innamorata di Jackson e non glielo aveva nemmeno detto.
Stava per sprofondare di nuovo nel sonno e nell’incoscienza, rifiutando di affrontare la realtà quando una voce carica di rabbia la distrasse.
«No, ho detto! No! Io non prendo parte alle vostre dannate guerre!»
«Abbassa la voce» gli intimò un altro uomo, che April riconobbe come Matthew.
Un sussurro femminile, di cui April non riuscì a cogliere le parole, fu seguito dallo strisciare di una sedia sul pavimento. Qualche passo e la porta della camera in cui si trovava.
«Sei sveglia. Come ti senti?» disse Arizona, sedendosi sul bordo del letto.
«Meglio, grazie. Sono svenuta?»
«Già. Matthew è diventato bianco come un cencio. Credo che avrebbe preferito affrontare un’armata piuttosto che vederti svenire. Avresti dovuto vedere la sua faccia quando ti ha portata in braccio fin qui. Passava dall’adorazione al terrore nel giro di pochi secondi» disse Arizona, nel tentativo fallimentare di tenere la mente di April lontana da pensieri negativi.
«E ora dove siamo?» domandò Lady Kepner dopo un breve sorriso.
«Nella tana del Bianconiglio» rispose Arizona.
«Karev? Alex Karev?»
«Sì, l’hai visto a corte, no?»
«Sì, lo conosco» confermò April, mentre un’ombra passò sul suo volto.
Arizona intuì che tra i due dovesse essere successo qualcosa, qualcosa di spiacevole, ma preferì non indagare in quel momento. E poi non era nemmeno tanto sicura che la cosa la riguardasse.
«Hai fame? C’è la minestra ancora calda. Non ha nulla di speciale, ma almeno non è amara come quelle dannate radici» chiese invece.
April annuì, improvvisamente affamata.
Quando Arizona uscì per portarle da mangiare, si concesse un minuto per chiudere gli occhi e ricordare quel giorno di tanti anni fa.
 
«Tesoro, vai con la mamma, salite sul carro» disse Lord Kepner, spingendo la figlia all’interno della grande casa.
La quindicenne April, che stava imparando dal padre il nome delle piante più comuni e come riconoscerle, gli lanciò uno sguardo infastidito. Nel notare l’espressione feroce di Lord Kepner, ne seguì lo sguardo, che scrutava in lontananza.
Uomini a cavallo si stavano avvicinando velocemente, portando il vessillo della Regina di Cuori.
«Perché dei soldati stanno venendo verso di noi?»
«Non ti deve importare. Vai con tu madre, April, corri. Dirigetevi verso il Principato di Quadri e da lì al Castello Bianco» ripeté l’uomo, prima di portarsi due dita alla bocca e fischiare. Due suoni brevi e acuti fecero mobilitare l’intera casa e April lo riconobbe come un segnale, un segnale che solo lei non conosceva.
«Cosa sta succedendo?!» chiese, quando uno degli uomini di suo padre li raggiunse armato, porgendo una delle due spade che aveva in pugno a Lord Kepner.
«Quel dannato Fante Rosso si è mosso in fretta. Ancora un giorno e la mia famiglia sarebbe stata in salvo» lo sentì dire April.
«In salvo? Papà, in salvo da cosa?» urlò la giovane, quasi disperata. I cavalli si avvicinavano sempre di più e il pericolo cresceva con il diminuire della distanza, ma April ancora non sapeva che cosa avrebbe dovuto temere, esattamente.
«Bambina, devi andare dalla mamma. Papà ha avuto una discussione a corte, qualche giorno fa e contraddire chi conta, in quel posto, è pericoloso. Devi andare, io arriverò subito» disse Lord Kepner, abbracciando sua figlia e sussurrandole un tenero ti voglio bene nelle giovani orecchie.
«Portala da Lady Kepner, la starà cercando» disse poi, porgendo la figlia all’uomo che aveva portato la spada.
«Papà! Voglio rimanere!» tentò invano la giovane, mentre il soldato la trascinava quasi di forza verso la grande casa.
L’ultima immagine che April conservò di suo padre è quella di un uomo dalle spalle larghe, stagliato contro uno sfondo di armature scintillanti e stoffe rosso sangue.
Quando finalmente il soldato trovò Lady Kepner e le affidò la figlia, April udì lo stridere dell’acciaio in lontananza, dove aveva lasciato suo padre, mentre ora si trovavano nei pressi della stalla.
Sua madre le baciò la fronte, poi  la fece salire sul retro di un carro coperto, dove trovò ad attenderle la governante e qualche baule. L’uomo al comando, che April riconobbe come uno dei giardinieri e che, ne era sicura, aveva un debole per la governante, fece schioccare la frusta e il carro partì traballando, solo per fermarsi dopo qualche secondo.
April si era chiusa in una muta protesta e quando una voce intimò al vecchio giardiniere di scendere dal carro, la madre le fece segno di continuare a tenere la bocca chiusa.
«Chi sei?»
«Un semplice giardiniere, generale».
«Cosa porti sul carro?»
«Nulla, generale» rispose il giardiniere, ma la sua voce tremò.
«Guardate dentro» ordinò il generale ai suoi soldati.
April si strinse alla madre, mentre la governante le si parò davanti, quando il telo del carro venne alzato dai soldati rossi.
«E voi questo lo chiamate nulla?» domandò il generale a cavallo, avvicinandosi al retro del carro.
«Sono solo…» tentò il giardiniere.
«Sono solo Lady Kepner e figlia, con una donna di cui non m’importa nulla».
«Sir Preston Burke, le intimo di lasciarci andare» disse Lady Kepner, stringendosi più forte alla figlia.
Il generale Burke sorrise e i suoi soldati lo imitarono.
«Uccidete il carrettiere e quella specie di carrettiera, legate le Kepner» tagliò corto il generale e i suoi uomini si mossero.
Nel trambusto che seguì, April fu sballottata a destra e a sinistra.
La prima a cadere fu la governante, che si gettò sulla spada sguainata di un soldato che minacciava il giardiniere. Questi, vedendo la donna che amava stramazzare a terra, si gettò su di lei e la stessa spada macchiata del sangue della donna lo trafisse.
Lady Kepner urlò e si divincolò, morse uno dei soldati e la sua veste si strappò in più punti, tutto per evitare che i soldati rossi mettessero le mani sulla figlia.
Quando l’ultimonodella donna si spense nell’aria, April seppe che qualcuno aveva ucciso sua madre. Sangue scuro macchiava i vestiti di madre e figlia e Lady Kepner si lasciò cadere a terra.
April piangeva, piangeva già da molto e non se ne era nemmeno resa conto.
Alzò gli occhi sui soldati, che la guardavano compiaciuti.
«Soldato Karev, lega quella ragazzina e mettiti a guida del carro. Il Fante Rosso vorrà le prove della morte della Lady».
Un giovane soldato dall’aria spavalda balzò sul carro e con una corda strinse i polsi di April in una morsa, così come i piedi. La lasciò, accanto al corpo senza vita della madre, a piangere tutte le silenziose lacrime che aveva in corpo.
Avvicinandosi a quella che fino ad allora era stata la sua casa, quello che era stato il suo mondo, dalla tela del carro filtrava un bagliore minaccioso. Quando April trovò il coraggio di guardare attraverso una fessura, vide un incendio che si levava alto dall’intera proprietà del Kepner.
«Lord Kepner è perito nell’incendio, sir! Non abbiamo il corpo» disse uno dei soldati, quando vide arrivare Preston Burke. Il generale annuì e ordinò di tornare in fretta alla Fortezza Rossa.
April non tornò mai più in quel luogo.
I giorni seguenti furono i più bui della sua vita, chiusa in un’angusta e sporca cella della Fortezza Rossa, con gli abiti ancora insanguinati.
Ricordava Karev che le portava del pane e dell’acqua a intervalli regolari e che le dava calci nei fianchi per svegliarla. Il soldato non rispondeva alle domande di April e in più di qualche occasione la schiaffeggiò per la sua insistenza.
Le ordinava di mangiare, se April si rifiutava di ingoiare il suo misero pasto, decisa a lasciarsi morire di fame e sete e la minacciava con la spada. Quando Karev le graffiava la pelle del collo con la punta, si decideva a mangiare.
Aveva ancora qualche cicatrice lasciata dalla sua spada, che stava ben attenta a nascondere.
Alla fine, dopo giorni e giorni d’isolamento e minacce e graffi, Karev le disse che la Regina Rossa le aveva concesso la grazia, a patto di giurare fedeltà alla corona come rappresentate della famiglia Kepner.
April si rifiutò più e più volte e nemmeno i graffi profondi che Karev le lasciò bastarono a fiaccarne le volontà.
Fu solo quando la condussero di fronte a una cella identica alla sua e le mostrarono chi la occupava, che April cambiò idea: accasciato su un pagliericcio lercio e identico al suo, stava rannicchiato Jackson, la schiena coperta da ferite fresche che, April avrebbe potuto giurarlo, erano il risultato di una fustigazione. Sembrava privo di sensi, la ragazza sperò che stesse solo dormendo.
«Giura la fedeltà alla Regina Rossa, April Kepner e anche il tuo innamorato avrà salva la vita. Rifiutati e nessuno dei due vedrà la prossima alba» le sibilò Alex Karev nell’orecchio, stringendole il braccio fino a farle male.
April annuì e qualche giorno dopo si trovò in ginocchio ai piedi di Addison Montgomery.
 
«Ti ho portato anche un bicchiere d’acqua».
La voce di Arizona fece trasalire April, che si ricompose immediatamente e annuì grata. Vivere, ecco quello che doveva fare.
E combattere, per fare in modo che il sacrificio dei suoi genitori non fosse vano.
E poi c’era Jackson. Era una possibilità remota, ma forse era ancora vivo e doveva almeno provare a fare tutto il possibile per lui.
Perciò ora non le rimaneva altro da fare che raggiungere il Castello Bianco e schierarsi a fianco della Regina di Picche.
Forse la Decapitatrice aveva davvero deciso di stringere la pace, ma April aveva imparato a dubitare della sua parola.
«Sei affamata» commentò Arizona, con un sorriso.
«Ho deciso di reagire, Arizona, ho fame di vendetta e non sai quanta».
 
 
NdA
La canzone è [8] Memories & Dreams, Donna Hughes.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, nonostante la brutta vicenda di April. Al prossimo aggiornamento,
Trixie :D 

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Capitolo 9
*** Capitolo VIII ***


Capitolo VIII
 
Here I stand, helpless and left for dead.
Close your eyes, so many days go by.
Easy to find what's wrong, harder to find what's right. [9]

 
 
Le carrozze partirono sobbalzando sull’acciottolato e Sir Owen incitò i conducenti come se stessero rallentando i cavalli di proposito.
Calliope si sporse dal finestrino della carrozza, urlando per sovrastare il rumore degli zoccoli e delle ruote di legno sulla strada.
«Sir Owen Hunt! Sir Owen!»
Il fante bianco si avvicinò alla regina, regolando l’andatura del suo cavallo.
«Vostra Maestà» disse l’uomo, inclinando lievemente il capo.
«Perché ci stiamo allontanando tanto in fretta? Ho avuto a malapena il tempo di salutare mio padre. Se non mi avessi trascinato via sarei riuscita a convincerlo che tutto questo è una follia. Rimanere ostaggio della Montgomery-»
«Vostra Maestà, scusatemi se vi interrompo, ma ora è essenziale allontanarsi dalla Fortezza Rossa. C’è stata un combattimento, un’insurrezione, dicono che sia stata a causa della Vostra presenza».
Sir Owen spronò i cavalli e tornò ad urlare ordini. Ma Calliope non avrebbe mai potuto dimenticare lo sguardo che aveva letto negli occhi del suo fante. Era perso, con Cristina nella mani della Regina di Cuori e temeva ad ogni respiro di poterla perdere per sempre.
Tutto ciò che ancora lo teneva legato a questo mondo era la speranza di riavere indietro la donna che amava e per alimentare questa speranza e renderla concreta c’erano solo due modi: negoziare al più presto la pace o vincere la guerra se la Montgomery non avesse rispettato i patti.
«Calliope?» disse una voce maschile proveniente da un angolo in ombra della carrozza.
La regina distolse gli occhi dal paesaggio, sullo sfondo vedeva già ciò che rimaneva del Bosco delle Lacrime Rosse.
«Derek Shepherd» sorrise Calliope, ricordandosi dell’ospite che l’accompagnava. Non amava pensare a lui come a un ostaggio, in fondo lo conosceva da ben prima che diventasse re. Era stata Addison a presentarglielo, durante un banchetto di mezza estate.
«Allora, cosa ne pensi?» le aveva chiesto, mentre Derek si allontanava parlottando con George, che allora era già Re Bianco e marito di Callie.
«Sembra un tipo apposto, anche se un po’ cupo, è il Principe di Quadri, vero?» aveva risposto.
Sembrava un tempo così lontano, ora, con una guerra che avrebbe potuto prendere qualsiasi piega e due amiche che si spartiscono un intero mondo, con troppe responsabilità e potere, e nessuno in grado di aiutarle.
«Perché mi hai voluto come ostaggio? Sei cambiata tanto, come Addison? Non eri una ragazza da ricatti, una volta».
«Puoi tornare alla Fortezza Rossa anche ora, se vuoi, Derek»
«Cosa?»
«Addison sa perfettamente che non sarei mai in grado di torcerti un capello, sa che il mio è un bluff e io so che lei lo ha capito, ma lei questo lo ignora» disse Calliope, sorridendo amaramente.
«E allora perché hai insistito tanto per portarmi qui?» domandò Derek, confuso.
«Meredith Grey» disse una terza voce, che fece sussultare entrambi. Nella carrozza non c’era nessun altro, oltre a loro.
«Per mille picche smussate, Strecane!» esclamò Calliope dopo un secondo di sbigottimento.
Una testa di cane apparve nel ben mezzo della carrozza, seguita dal resto del corpo.
«Quante teste coronate, in questa carrozza» disse Doc.
«Cosa hai detto di Meredith?» domandò subito il re rosso, sporgendosi verso l’animale.
«Ho riferito alla regina bianca la tua storiella con Meredith» iniziò lo Strecane.
«Non è affatto una storiella!» 
«Il re che si innamora di una Lady di basso rango? È la storiella più antica del mondo. Ma è una storiella che può tornare utile. Tu sei vicino alla Regina Rossa, conosci i suoi piani, puoi unirti a Calliope».
 «E perché dovrei? Addison rimane mia moglie e ha Meredith. Come minimo le farebbe tagliare la testa se-»
«Lei non ha Meredith» disse Doc. «La tua storiella viaggia nella carrozza che ci segue».
«Voglio vederla!» esclamò Derek, incapace di credere alla veridicità di quella storia.
«Non possiamo fermarci, Sir Owen esploderebbe se dessi un ordine del genere» intervenne Calliope. «Derek, sull’antica amicizia che ci lega e che gli eventi hanno  incrinato, credimi, Meredith è al sicuro. Promettimi il tuo aiuto in questa guerra e per negoziare la pace».
Derek Shepherd tacque, rimuginando sulle parole della Regina di Picche. Le carrozze sfrecciarono nel Bosco delle Lacrime Rosse.
«D’accordo, Callie, ti aiuterò. Ma nessuno dovrà saperlo, la mia famiglia è troppo vicina alla Corte Rossa».
«Addison Montgomery non farebbe mai del male a degli alleati, gli uomini di Quadri le servono, se vuole mantenere il vantaggio numerico. I tuoi sono al sicuro».
«Mia madre e le mie sorelle, forse, ma non Amelia. Sarebbe un gioco da ragazzi per Sir Sloan farla fuori per vendetta e farlo passare per un tragico incidente» disse con rabbia Derek.
«La Lady Nera non teme suo marito» disse lo Strecane. «Sir Sloan dovrebbe temere tua sorella, Derek, conosce molti funghi. Anche velenosi, non solo allucinogeni».
«Cosa accidenti vai blaterando, Strecane?» saltò su Derek.
«Oh, nulla» disse Doc. «Ora torno da Meredith, si annoierà in quella carrozza deserta».
«Deserta?» domandò la Regina di Picche. «Strecane, il tuo compito era portare in salvo Arizona. Questa Arizona non è con Meredith?»
«Sfortunatamente nella fuga Arizona è stata distratta dal vostro passaggio e quella titubanza è stata decisiva. Lady Hahn l’ha vista e ha lanciato l’allarme, ma non c’era modo di farla giungere alle vostre carrozze. Owen Hunt aveva molta fretta di partire» disse lo Strecane e, Callie ne era certa, si sarebbe stretto nelle spalle se solo fosse stato un uomo.
«Perciò abbiamo solo la giovane Cappellaia e il triste re rosso con noi?»
«Sì, la condanna a lavorare nelle stalle ha facilitato il compito di farla fuggire» spiegò lo Strecane, sparendo alla loro vista, ma solo per comparire qualche secondo dopo. «Quasi dimenticavo. Temo che Addison sia convinta che voi abbiate rapito Alice e Lady Kepner. Fossi in voi mi preoccuperei per le teste della mie dame. E del Principe di Fiori».
Il volto di Callie sbiancò visibilmente e rimase senza fiato.
Re e regina di due regni in guerra si persero ognuno nei propri ricordi.
Calliope vagava nella casa paterna, ricordando i giorni felici trascorsi in famiglia, le cavalcate nei boschi, le feste che duravano giorni interi, i ricchi banchetti, durante i quali sua sorella Aria non mangiava più di un boccone per pietanza, per non perdere la linea, mentre lei e suo madre facevano a gara a chi mangiasse di più senza scoppiare. Era sempre lui a vincere.
Anche Derek si era perso nel passato, nel ricordo di una famiglia felice che non poteva più tornare, non dopo la prematura morte di suo padre per colpa di banditi mascherati, di cui ancora non conosceva l’identità e non dopo il suo matrimonio e quello di Amelia. Nonostante Meredith, che gli dava una gioia che non credeva di meritare, lui era un uomo sconfitto dalla vita.
 

***


«Alex si unisce a noi» annunciò Sir Matthew.
«Cosa?» domandò April, confusa.
Avevano trascorso qualche giorno nella tana del Bianconiglio, ma ormai era ora di riprendere il cammino verso il Castello Bianco e risalire dall’Occhio del Gigante.
«Mi unisco a voi» ripeté il ragazzo, brusco. Non era un ragazzo dai modi educati, era rude e di certo non aveva nulla del cavaliere, nonostante Matthew avesse garantito che a suo tempo faceva una bella figura in armatura in sella a un cavallo nero, con il suo sorriso strafottente.
«Non se ne parla nemmeno!» protestò April, stupendo persino Arizona.
L’ostilità mostrata da Lady Kepner nei confronti di Karev, che li aveva ospitati gentilmente nella sua casa, nonostante non fosse spaziosa, era un mistero per Arizona. Evidentemente tra i due doveva esserci della vecchia ruggine, anche se Alex stesso sembrava sorpreso dalla rabbia che April gli mostrava.
«Ci tradirà tutti quanti, come minimo i soldati rossi stanno già galoppando qui per riprenderci. Dobbiamo andarcene e mettere più strada possibile tra noi e questo dannato coniglio! È una maledetta spia al servizio della Regina di Cuori, è un infido verme! Forza, Sir Karev, perché non raccontate ad Arizona del vostro soprannome?»
«Non sono più sir da molto tempo, ormai, Lady Kepner» disse cupo Alex, puntando lo sguardo a terra.
«April, per favore, cosa c’è che non va?» domandò Matthew, accostandosi alla ragazza e arrossendo violentemente.
«Alex Karev serviva nell’esercito di cuori» sputò April, inviperita.
«Anche io, eppure non-»
«Fu il mio aguzzino, nel periodo che passai in cella a causa del coraggio di mio padre, mi prese a calci, mi sputò addosso, mi derise. Alex Karev si assicurò che fossi umiliata, come Lady, come donna, come essere umano. Ecco cosa c’è, Matthew. E ci venderà al migliore offerente alla prima occasione utile, dannazione!» inveì April, infiammandosi in volto e puntando un dito accusatore contro Alex a più riprese. Poi uscì dalla tana del Bianconiglio, sbattendosi violentemente la porta alle spalle.
Matthew guardò smarrito Arizona, che ancora non riusciva a spiegarsi fino in fondo il motivo di tanta ira, e poi spostò il proprio sguardo su Alex, confuso, prima di seguire April e chiamarla a gran voce.
Arizona aveva osservato con attenzione Alex, che dopo un momento di smarrimento, aveva compreso di cosa parlasse Lady Kepner, perché un barlume di conoscenza gli si era accesso in viso, prima di spegnersi e mutarsi in rammarico, vergogna e senso di colpa.
Nella stanza calò il silenzio, interrotto dal tonfo profondo provocato dal pugno che Alex tirò alla parete e che fece sobbalzare Arizona. La ragazza lasciò cadere a terra la tazza di te che aveva stretto con tanta forza da quando April era balzata in piedi.
«Scusate, Arizona» sussurrò Alex, massaggiandosi le nocche e chinandosi davanti a lei per raccogliere i cocci.
«Scusatemi voi, Alex, non volevo» bisbigliò lei, aiutando il Bianconiglio, nonostante i nervi nel suo corpo le urlassero di raggiungere April e Matthew, lontano da Alex e dai suoi pugni. Non si era mai ritenuta una persona coraggiosa.
«Non datemi del voi, vi prego, sono solo il Bianconiglio» disse lui, accennando un sorriso triste.
«Allora non darmelo nemmeno tu, sono solo la Ragazza del Mondo di Lassù».
Alex alzò il viso per incontrare gli occhi di Arizona, finì di raccogliere i cocci e poi si mosse per gettarli nel lavandino, infine, tornò a sedersi di fronte ad Arizona, senza trovare il coraggio di parlare, senza trovare le parole.
La ragazza si alzò e prese un vecchio straccio, lo bagnò e poi tornò a sedersi. Tamponò delicatamente le nocche sanguinanti di Alex, mentre altre ferite, ferite di cui non ricordava altro se non il tipo di sutura necessario per chiuderle, le si affollavano nella mente.
«Vuoi sapere la mia storia, Arizona Robbins?» domandò Alex. «Non è una bella storia».
La ragazza annuì e continuò a pulire la mano di Alex accompagnata dalla voce del Bianconiglio.
 
Ero Sir, è vero, ma della classe più bassa, poco più che uno scudiero. Mio padre sperperò tutto il suo denaro e quello della dote di mia madre prima di sparire per sempre dalla mia vita, lasciandomi una famiglia sulle spalle e nessuna risorsa.
Sir Sloan lo sapeva e mi invitò a corte, promettendomi un ingaggio nell’esercito e più oro di quanto potessi spenderne. Avevo poco più che quindici anni e ovviamente accettai, accecato dalla possibilità di sistemare la mia famiglia, dare un’ottima istruzione a mio fratello, una cospicua dote a mia sorella per assicurarle un buon marito e pellicce calde, vestiti leggeri, cappelli frivoli a mia madre, qualsiasi cosa volessero.
I soldati rossi mi accolsero come uno di loro, mi aiutarono a perfezionare le mie tecniche di combattimento che, nonostante avessi avuto un maestro d’armi da bambino, come tutti i giovani sir e Lord, lasciavano alquanto a desiderare.
Erano vili, violenti e sanguinari e io divenni come loro, per non restare solo e perché questo a Sir Sloan piaceva. Ed era lui ad avermi promesso l’oro.
Quando fui addestrato a puntino, tenuto lontano dalla mia famiglia, divorato dalla fame di guadagno e sangue, venni affidato al comando di Preston Burke.
Qualsiasi cosa il generale Burke ordinasse, io ero pronto ad eseguirla. Lui prendeva ordini dal Fante di Cuori, lui avrebbe potuto mettere una buona parola  riguardo me nell’orecchio di Sir Sloan.
Se Burke ordinava di razziare, diventavo un razziatore, se ordinava di rapire, ero io il rapinatore, se l’ordine era di uccidere, io ero l’assassino. Fui molte cose, sotto il comando di Burke, cose di cui mi vergogno, cose che ancora non riesco a capire come possano essere compiute, cose che spesso, di notte, mi fanno desiderare di non essere mai nato. 
Poi, un bel giorno d’estate, mi innamorai di una ragazza, una delle serve della Fortezza Rossa. Lei non aveva alcun titolo nobiliare, il mio non valeva nulla, non pensai ci fossero ostacoli per noi.
Si chiamava Isobel, Isobel Stevens, ma tutti la chiamavano Izzie. Era bellissima e terribilmente superba.
Difficilmente si trova una donna, nella Fortezza Rossa, che non si sia mai venduta per ottenere qualcosa in cambio: più soldi, più potere, più gioielli per le Lady, un pezzo di pane per non morire di fame, un vestito per non morire di freddo, qualche moneta per comprare l’unguento in grado di salvare il marito, il figlio o il fratello per le più disperate.
Ma non Izzie. Izzie era il chiodo fisso degli uomini della Fortezza Rossa, era la donna che tutti si vantavano di aver avuto, ma che nessuno aveva posseduto in realtà.
Nessuno tranne Sir Sloan. Era una storia che si sussurrava a bassa voce, perché non si parla di Sir Sloan, Sir Sloan può essere solo elogiato.
C’era un bandito, prigioniero nelle segrete della Fortezza, di cui era innamorata. Si chiamava Denny Duquette, figlio di ricchi commercianti che lasciò tutto per qualche scorribanda.
In cambio della libertà dell’uomo, Izzie si vendette a Sloan e qualche giorno dopo Denny tornò a casa dei suoi genitori,con l’unico obbligo di prestare servizio per quindici anni nell’Esercito di Cuori come condanna.
Portò Isobel a casa dei suoi genitori, la riempì di gioielli preziosi e vestiti di seta, sembrava una bella favola per lei, per la ragazza povera che aveva toccato il fondo prima di salire sulla vetta.
Ma Sir Sloan non ama il lieto fine. Denny Duquette morì in un misterioso incidente durante lo scontro con una banda ben armata di banditi. Era il giorno prima del suo matrimonio con Izzie.
Lei rimase per qualche tempo a casa dei Duquette, ma quando questi si trasferirono nel Principato di Quadri, lontani dai ricordi del figlio, Izzie non ebbe l’animo di seguirli e abbandonare la vecchia madre, che non voleva lasciare la sua decrepita casa.
Tornò come serva alla Fortezza Rossa, un fantasma grigio e spento, al punto che quasi, quando tornò, stentai a riconoscerla.
La corteggiai, mi respinse, mi odiò, mi sputò addosso parole velenose, ma io non ci badai. Ero abituato ad essere maltrattato. E poi ero innamorato. Le portavo fiori di campo, bigiotteria di poco valore rubacchiata qua e là, una fetta di pane in più da regalare e sua madre e pian piano accettò me, Alex Karev, l’uomo più viscido del pianeta, nella sua vita.
Izzie tornò a sorridere, qualche volta un’ombra le passava sul volto, a causa di Denny, ma stava bene e continuò a stare bene fino a quando la situazione non giunse alle orecchie di Sir Sloan.
Non so quale genere di infatuazione avesse nei confronti di Izzie, ma credo fosse  semplice egoismo. Con le lusinghe, promettendomi promozioni, mi intimò di lasciare perderequella sguattera certo non adatta a un sir, come diceva lui, ma ormai ero sordo da quell’orecchio, troppo innamorato per lasciar perdere.
Mi toccarono i lavori più umili, come fare da aguzzino a Lady Kepner, per proteggere me e Izzie. Abbassai la testa ed ero felice di farlo, per me e per lei.
Era tutto per Izzie, era tutto per amore. Anche a lei toccarono i lavori più umilianti, ma eravamo insieme, eravamo felici.
Finché un giorno Izzie sparì, nessuno sapeva niente di lei, io impazzii.
Solo molti giorni dopo scoprii che Sir Sloan l’aveva fatta giustiziare, accusandola di un furto che ero stato io a commettere, non lei.
Era un piccolo anello, un cerchietto d’argento trafugato a un mercante ospite di Sloan, un certo Samuel Bennett.
Andai da Sloan e gli puntai la spada alla gola, quando i soldati rossi, i miei stessi compagni, mi rinchiusero in una di quelle celle che io stesso avevo passato ore a sorvegliare, persi tutta la mia audacia. Ogni giorno Sloan mi veniva a trovare, prima che mi portassero da mangiare. Sapevo che, una volta che il fante se ne fosse andato, mi avrebbero portato del pane e un bicchiere d’acqua e io avevo fame e sete, sempre.
Fiaccò il mio spirito, cercò di cancellare il ricordo di Izzie e credo che ci riuscì e di questo mi vergogno, mi vergogno di tutto il mio passato.
Quando finalmente mi lasciarono libero, dovetti promettere la mia libertà in cambio. Formalmente rimango un soldato rosso, ma di fatto riferisco alla Regina di Cuori tutti gli spostamenti del Regno di Picche, fin da prima della guerra.
Mi sono comportato da vigliacco per tutta la vita, per questo mi chiamano Bianconiglio. Se non mi fossi venduto alla Fortezza Rossa, a quest’ora sarei morto, morto da tempo. Ma non era la morte a spaventarmi, no, era il dolore, la prospettiva di essere torturato per ore a terrorizzarmi. E così tradii Izzie, torturata e uccisa perché innamorata di me e da me amata. Sono diventato uno dei tanti venduti alla corte rossa, per una vita che nemmeno merito di vivere.
 
La ferita di Alex aveva smesso di sanguinare, ma Arizona continuava a tamponarla con lo straccio, toccata dalle parole del ragazzo.
«Non è vero» disse infine, ritirandosi da Alex, che piegò le dita e nascose una smorfia di dolore. «Non è vero che hai tradito Izzie, la ricordi ancora. E la vita che fai, il pentimento e il senso di colpa che provi, Alex, non sono una punizione sufficiente per gli sbagli che hai fatto?»
«Nemmeno mi conosci» sputò il Bianconiglio.
«Mi hai raccontato la tua storia».
«Ad ogni modo, è stato bello conoscerti, Arizona Robbins» tagliò corto il ragazzo, alzandosi e tendendole la mano destra.
«Credevo avessi deciso di venire con noi al Castello di Picche, di farla finita con tutta questa pagliacciata».
Sul volto di Alex si dipinse un’espressione confusa e il giovane lasciò cadere la mano lungo il fianco.
«Sai quello che ho fatto, vuoi ancora viaggiare con me? Cosa ti dice che non ti venderò alla Montgomery?» disse. «Lady Kepner ha ragione, sono un infido verme».
«Le persone cambiano, sir».
«Non sono piùsir».
«Come, sir?»
«Sei insopportabile, almeno tanto quantoquella Alice».
«Io non sono quella Alice, sono Arizona Robbins» protestò Arizona, per l’ennesima volta.
«Lo so, non sei innocente nemmeno la metà di Alice. E non hai i capelli lunghi e fluenti di Alice e nemmeno i suoi occhi chiari, i tuoi sono più scuri. Ad ogni modo la Montgomery è convinta che sarai tu a decidere le sorti della guerra e ti vuole. Finché non sarai tra le sue mani, non stipulerà mai la pace, insisterà per averti sotto la sua custodia. Crede che la Regina di Picche ti possa usare come arma o qualcosa del genere. Da quello che mi ha detto Matthew, sai usare a malapena un coltello, figuriamo una spada» disse Alex scuotendo la testa e tornando a sedersi. «Perciò, nessuno sa chi tu sia».
«Sono Arizona Robbins! E, perché tu lo sappia, non ho intenzione di essere la dannata arma di nessuno!» esclamò la ragazza del Mondo di Lassù, infiammata dalle parole di Alex. Lei non era un oggetto che i potenti di Wonderland potevano decidere di disporre a proprio piacimento.
Il Bianconiglio scosse la testa per caso.
«Nessuno capita a Wonderland per caso, nessuno si perde in queste terre senza un obbiettivo».
I due rimasero in silenzio, ciascuno meditando su sé stesso.
Sobbalzarono quando la porta d’entrata si aprì, rivelando un’irata April e un arreso Matthew.
«Puoi venire con noi, Alex, se lo desideri. Ma non potrai portare armi e sarai sotto la mia sorveglianza» disse il cavaliere, imbarazzato.
«Non è un prigioniero!» protestò Arizona.
«No, lascia stare, d’accordo» acconsentì Alex. «Arizona, posso viaggiare con voi?»
«Certo, ma-»
«Allora riposeremo ancora qui, per questa notte. Ho qualche provvista che potremo portare con noi e faremo rifornimento d’acqua, ma non ho cavalcatura né armi» disse Alex. «Finché si tratta di risalire l’Occhio del Gigante non mi servirà, ma poi sarebbe meglio proseguire il più velocemente possibile, se non vogliamo che i soldati rossi ci inseguano».
«Vedi? Li ha già avvisati!» lo accusò April.
«No, non ho avvisato nessuno, ma sono ben pochi i territori ancora in mano alla Regina di Picche. Non ci devono inseguire, Lady Kepner, non ne hanno bisogno, saremo noi ad andare da loro. Se vogliamo arrivare alla corte bianca, dovremo passare attraverso territori e villaggi sotto il dominio della Montgomery e non posso garantire che ne usciremo indenni».  
 
 
NdA
Ciao a tutti ;D
Allora, iniziamo subito con le precisazioni, la canzone è [9]Dance with the devil (Breaking Benjamin).
Per chi seguiva anche Private Practice il nome Samuel Bennett avrà sicuramente ricordato qualcuno ;D In questo caso è un mercante amico di Sloan, è un ruolo nel quale lo vedo bene, in fondo.
Il capitolo è stato un po’ più lungo del solito e la colpa è di Alex, ma spero che vi sia piaciuto!
Scusate il ritardo nel rispondere alle recensioni, a presto,
Trixie :D

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Capitolo 10
*** Capitolo IX ***


Capitolo IX
 
Maybe I’m in the black, maybe I’m on my knees,
maybe I’m in the gap between the two trapezes,
But my heart is beating and my pulses start [10]
 

 
Il portone d’ingresso si chiuse, proteggendo April, Arizona e Matthew dal pericolo della Fortezza Rossa e Jackson ormai non aveva più nulla da perdere.
Non aveva famiglia, amici o fidanzata: qualcuno era scappato, qualcun altro era morto, altri erano semplicemente scomparsi, come suo padre.
L’ultima immagine che aveva di lui era quella di un uomo stanco, sconfitto dagli anni, incapace di sostenere ulteriormente la carica di Fante di Cuori. Aveva servito Bizzy Montgomery, madre dell’attuale regina, prima di suicidarsi nella torre più alta del castello degli Avery.
Erano passate settimane prima che qualcuno lo trovasse, nessuno si arrischiava mai a salire fino al sottotetto delle torri a causa di polvere, pipistrelli, ragni e assi pericolanti. Era stata la puzza ad attirare una cameriera in quelle stanze dimenticate.
Da giorni tutto il regno rosso era alla ricerca di Lord Avery, il Fante di Cuori, nessuno sapeva dare notizie certe, nonostante la lauta ricompensa che Catherine Avery aveva promesso, ogni traccia si rivelava falsa, ogni indizio era un buco nell’acqua.
Lord Avery era semplicemente scomparso.
Jackson allora era poco più di un bambino, aveva dodici anni, e la corte rossa per lui non era altro che un’affascinante luogo di incontro per dame ingioiellate e cavalieri blasonati.
Cresciuto nella bambagia, venne segnato profondamente dalla violenza compiuta da suo padre e del repentino cambiamento che questa provocò in Lady Avery, che fino ad allora era stata una donna all’apparenza frivola, dal carattere allegro e solare e anche un po’ libertino, come si sussurrava nel castello. Non che Jackson sapesse l’esatto significato della parola, ma riconosceva la nota di biasimo che le vecchie cameriere vi infondevano, nel pronunciarla.
Dopo il ritrovamento del marito, Catherine s’incupì e divenne estremamente protettiva nei confronti di Jackson, atteggiamento che infastidiva non poco il giovane, considerato il più viziato tra i nobili.
Finché un giorno Lady Catherine sparì, proprio quando Addison Montgomery non riusciva più a far passare come incidenti i numerosi incendi delle proprietà nobiliari di persone a lei scomode, come quella dei Kepner.
Sul comodino di Jackson rimase un piccolo biglietto, nell’elegante grafia di sua madre.
 

Buona fortuna, Jackson, un giorno capirai perché me ne sono andata.
Ti voglio bene, mamma.

 
Nessuna scusa, nemmeno la più banale, da quelle parole traspariva solo la certezza di Lady Catherine che il suo abbandono non era altro che la cosa più giusta da fare per lei e per Jackson.
Da quel momento il giovane Lord Avery l’aveva odiata, ma nonostante questo sapeva che sua madre doveva avere delle buone ragioni, che lui non vedeva né conosceva, ma dovevano esserci. In ogni caso, per quanto si sforzasse di capirla, il suo abbandono era stato un tradimento, né più né meno di quello di suo padre.
Da quel momento, era stato solito pensare a se stesso come un orfano.
Al castello degli Avery non aveva altri amici che il suo giovane scudiero Charles Percy e Reed.
Lui era morto, fatto decapitare dalla Decapitatrice per aver tentato di sedurre Lady Kepner, il che era del tutto vero, ma di certo non meritava la morte per sciocchezza del genere, nonostante infastidisse tanto Jackson.
Reed aveva nutrito una rabbia rancorosa nei confronti di April per giorni, dopo la morte di Charles, ma poi anche la sua testa era finita sulla Torre delle Decapitazioni. Jackson non ricordava nemmeno l’accusa. Furto, probabilmente. Era l’accusa che usavano i soldati per incolpare e giustiziare le cameriere. Era più che plausibile che una povera e bisognosa cameriera rubasse a una ricca dama. La vera ragione era la parlantina di Reed e le sue critiche al governo della Montgomery.
E poi c’era Meredith, la ragazza che sua madre avrebbe voluto come nuora: primogenita di una famiglia di antica nobiltà e con più soldi di quanti Lord Grey avesse potuto lapidarne passando la vita nelle osterie e nelle bettole della città.
Da secoli gli Avery e i Grey combinavano matrimoni ad ogni occasione propizia, ma ormai i tempi erano cambiati e tra uno scandalo e l’altro il matrimonio era saltato, con gran sollievo di Jackson e Meredith, troppo presa dal suo re persino per provare a salvarsi la pelle.
Almeno Ellis Grey aveva dimostrato un po’ di furbizia e amore materno.
Infine c’era lei, April Kepner. L’ultima persona da amare che gli era rimasta vicino, ma ormai se ne era andata anche lei, lontano, al sicuro, su suo ordine.
Le urla di April gli avevo straziato il cuore e la sua voce faceva più male delle stilettate con cui Sir Sloan si divertiva con lui.
Jackson aveva visto cadere i suoi compagni ad uno ad uno, uccisi dai soldati rossi, e si era affrettato a retrocedere in una rientranza del muro, dove i soldati non avrebbero potuto affrontarlo. In ogni caso, non ce ne sarebbe stato bisogno, perché Sir Sloan voleva giocare con la sua preda e una volta sistemati tutti gli altri ribelli, aveva ordinato di lasciare stare Jackson per occuparsene personalmente.
Più che un combattimento, il loro si era rivelato essere un inseguimento. Jackson sapeva di non poter battere in alcun modo Sir Sloan, che gli aveva insegnato la maggior parte delle tecniche di combattimento quando si era presentato a corte, orfano e senza nessuno che lo potesse indirizzare nella vita.
Lui era stato il suo insegnante e sarebbe riuscito ad apprezzarlo nonostante tutto se solo non avesse minacciato la vita di April.
«Solo i codardi scappano, Avery!» aveva urlato il fante di Cuori, in uno dei numerosi corridoi della fortezza in cui erano finiti correndo uno dietro l’altro, senza meta.
Jackson sapeva anche questo, la fuga è da codardi, ma a quanto pare scappare era un talento degli Avery, che lui aveva ereditato dai genitori, non puoi fare nulla contro la tua natura.
Aveva parato un affondo di Sir Sloan, che lo aveva raggiunto e ora lo spingeva con le spalle al muro. Sotto la forza del colpo, Jackson retrocesse, trovandosi a sporgere da una finestra.
Il Fante di Cuori gli puntò la spada alla gola.
«Ad Addison piacciono le teste mozzate, ma la tua mi sembra troppo calda, forse è meglio raffreddarla con un po’ d’acqua, non credi?» disse Sir Sloan e prima che Jackson potesse capire il significato di quel gioco di parole, si ritrovò a precipitare da almeno sette metri d’altezza, nelle fredde e basse acque del fossato.
La sua ultima immagine da cosciente fu il viso di April, poi ci fu l’impatto con l’acqua, con le dure rocce del fondo. Non vide altro che buio.
 
***
 
«Mia regina, mi sentirei più sicuro se abbandonassimo l’attuale direzione e ci dirigessimo verso sud, per costeggiare l’Occhio del Gigante» disse Sir Owen Hunt una sera, nel bel mezzo del Bosco delle Lacrime Rosse.
I cavalli erano stanchi dopo la sfrenata corsa cui il Fante gli aveva sottoposti in quei giorni e gli uomini, che avevano dormito cavalcando o nella carrozza, avevano bisogno di sgranchirsi le gambe.
«Perché lo dite, Sir Owen?»
«Quelle strade sono più sicure, le pattuglie dei soldati rossi vi passano assai raramente».
«C’è una tregua, non siamo più in guerra» disse Calliope.
«Appunto. Se dovessimo incontrare i soldati della Montgomery e si venisse alle armi, come crede che interpreterebbe la faccenda la corte rossa? Sono sicuro che la notizia della possibilità di pace stia correndo di bocca in bocca per tutta Wonderland, ma sicuramente non ha raggiunto gli isolati accampamenti dei soldati rossi. Verremo attaccati e risponderemmo con le armi e questo sarebbe interpretato come una violazione degli accordi di tregua, con tutte le conseguenza che comporta» spiegò pazientemente Sir Owen, la cui voce si incupì sul finire del discorso.
«E tre teste innocenti finirebbero per decorare la Torre Nord della Fortezza Rossa» bisbigliò amaramente la regina bianca, afflosciandosi.
Erano seduti ai lati del sentiero, su ceppi o sassi, esposti a ogni genere di pericolo, predoni e soldati inclusi, Sir Owen aveva ragione.
«D’accordo, costeggiamo l’Occhio del Gigante, sarà lunga e faticosa, ma almeno è  più sicura».
 

***

 
La risalita dal fondo dell’Occhio del Gigante fu più difficile e lunga di quanto Arizona si aspettasse.
I cavalli arrancavano faticosamente sulla salita, April aveva un’espressione di ira costantemente dipinta in volto e Alex era scontroso e taciturno. Matthew era semplicemente rassegnato, ma tentava in tutti i modi di tenere Alex lontano da April.
I polpacci di Arizona urlavano di dolore ad ogni passo, così come il resto dei suoi muscoli. Si sentiva sporca e costantemente affamata.
Karev aveva svuotato la dispensa e avevano caricato tutto il cibo di cui disponevano su uno dei cavalli, mentre l’altro aveva borracce piene d’acqua, ma in ogni caso avevano deciso di razionare il cibo, per ogni evenienza, perciò mangiavano il minimo indispensabile.
A differenza della discesa, la risalita richiese un giorno di cammino in più e una notte in più passata in una di quelle piccole rientranze, dato che procedevano più lentamente sia a causa del maggior dispendio di energia richiesto, sia perché non avevano più il terrore di essere inseguiti dai soldati rossi.
Arizona si svegliava ogni mattina leggermente rattristata, perché nei suoi sogni la bella regina non compariva più, ma nonostante questo c’era una bambina dai tratti ispanici a sostituirla e a rallegrare inspiegabilmente il cuore di Arizona.
Non aveva la minima idea di chi fosse quella bambina, anche se la sua mente le associava un nome: Sofia.
Nonostante questo, non riusciva a capire come potesse essere legata a lei, a parte il profondo affetto che le suscitava quel piccolo volto dai capelli neri e la strana somiglianza a Calliope, per il resto rimaneva una completa sconosciuta.
Sul far della sera del terzo giorno finalmente il terreno tornò pianeggiante e Arizona si accasciò a terra chiedendo dell’acqua, che Alex le porse con un grugnito. Accanto a lei si sedette April, cui passò l’acqua.
Matthew, che ancora si ostinava a portare l’armatura nonostante il caldo e la fatica, era inquieto.
«Cosa hai, Scatola di Latta?» gli domandò Alex sgarbatamente.
Arizona avrebbe voluto uccidere il Bianconiglio ogni volta che mostrava quella rudezza che non gli apparteneva.
In fondo lui era il ragazzo che l’aveva portata in groppa per un paio d’ore quando era diventata troppo pallida per fare un altro passo e quello che aveva vegliato sul suo sonno, controllando che respirasse la notte appena passata.
Non era il soldato rosso Karev, era solo un ragazzo spaventato dalla vita che reagiva con la peggior difesa adottabile, la violenza.
«C’è qualcosa che non mi convince» rispose Matthew, scrutando verso quello che Arizona giudicò il nord.
Alex aveva anche provato a insegnarle come orientarsi con il sole e con le stelle e Arizona aveva imparato in fretta, nonostante facesse ancora un po’ di confusione.
A Wonderland il sole tramonta a est e sorge ad ovest, passando per il nord e non per il sud. Di notte era più facile, perché laGrande Punta, una conformazione di stelle a triangolo isoscele, puntava sempre ad ovest.
«Per indicare che dopo la notte, sorge sempre e comunque il sole» aveva detto Alex.
«Sarà, ma a me sembra tutto normale» biascicò il Bianconiglio in quel momento, rivolgendosi a Matthew.
«E invece no, zitti tutti, ascoltate» rimbeccò Matthew, portandosi un dito sulle labbra e una mano a coppa intorno all’orecchio.
Arizona tacque, ma non udì nulla se non il soffio di un debole venticello.
«Mi ricorda qualcosa» bisbigliò Matthew, mentre Arizona leggeva sulle facce di Alex e April che loro non sentivano nulla, proprio come lei.
«Ti ha dato di volta il cervello, Scatola di Latta?»
«Taci» sibilò Matthew. «Non capisco che rumore sia, ma sta aumentando».
Passò qualche minutò prima che quel rumore regolare e continuo giungesse anche alle orecchie di Arizona e degli altri.
Quando Matthew lo riconobbe, un espressione di terrore si dipinse sul suo volto.
 

***

 
«Vostra Maestà, vedo una manciata di uomini a piedi con due cavalli di fronte a noi, credo siano soldati rossi» disse Sir Owen accostandosi alla carrozza della Regina di Picche.
«Addison non invia mai soldati rossi intorno all’Occhio del Gigante. Il Bianconiglio ci avvisa di ogni movimento qui intorno» intervenne Derek. «Devono essere disertori. Il Bianconiglio gli aiuta, facendo fuggire le loro famiglie dalla città di Cuori prima che qualcuno possa vendicarsi su di loro».
«Derek, sei sicuro?» chiese Calliope.
«Sì. Se fossero soldati rossi sarebbero tutti a cavallo, armati di tutto punto e con le bandiere bene in vista».
«No, mi sembra di riconoscere una sola armatura e… una donna» disse Sir Owen titubante, stringendo gli occhi per vedere in lontananza. «No, aspettate, ci sono due donne» aggiunse dopo un attimo.
«Sono disertori con le famiglie, Sir Owen, non possono farci alcun male» disse Derek, annuendo.
«Derek ha ragione, dovremmo aiutarli» aggiunse Calliope.
«Non lo so, Mia Regina, di questi tempi è meglio non fidarsi di nessuno» rispose titubante il Fante di Picche.
«Ti proibisco di attaccarli o spaventarli in qualsiasi modo. Ci parleremo e decideremo cosa farne» concluse la Regina di Picche.
 

***

 
«Cavalli? Cavalli e carrozze?» esclamò April Kepner in preda al panico. «Se è uno scherzo non è affatto divertente!»
«Guarda tu stessa, April» rispose il cavaliere, mentre la ragazza si alzava di scatto per affiancarsi a lui.
«Cavalli! Cavalli e carrozze! Cavalli e carrozze e soldati!» esclamò a raffica Lady Kepner, portandosi le mani tra i capelli. «I soldati rossi ci hanno trovato, ci riporteranno alla Fortezza e ci decapiteranno uno ad uno, dopo averci torturato per giorni. Tranne tu, ovviamente, Bianconiglio, perché gli hai avvisati!» lo accusò la ragazza, dirigendosi verso Alex e iniziando a tempestargli il petto di pugni. «Perché sei un lurido doppiogiochista, ve l’avevo detto che di lui non ci si poteva fidare. Ci ha traditi tutti quanti, alla prima occasione utile, lurido verme, torna nella tua dannata tana».
Alex cercò di ripararsi dai pugni della ragazza, ma con scarso successo, e tirò un sospiro di sollievo solo quando Matthew arrivò a dividerli, stringendo uno dei polsi di April, rossa dalla foga.
«April, calmati, è impossibile che sia stato lui, non l’ho perso di vista un solo secondo» cercò di calmarla il cavaliere.
Arizona accorse per bagnare con un po’ d’acqua le nocche dai tagli poco profondi di April, che si era ferita con le cinghie del giustacuore in pelle di Alex.
«Ragazze, scendete per una decina di metri nell’Occhio del Gigante» sibilò il Bianconiglio, gli occhi fissi sulle carrozze e sui cavalli in avvicinamento. «Rimanete lì fino a quando non avrò chiarito le cose con i soldati».
«No!» protestò April immediatamente, urtando Arizona e versandole addosso la quasi totalità dell’acqua contenuta nella borraccia. «È loro complice!» lo accusò di nuovo, puntando il dito verso di lui.
«April, rimango io con lui» intervenne immediatamente Matthew, spingendo Lady Kepner verso Arizona e facendo segno a quest’ultima di trascinarla via con la forza, se necessario.
La Ragazza del Mondo di Lassù annuì e fece come le era stato suggerito, un po’ convincendo April un po’ spingendola per qualche metro verso il basso, dove le pareti dell’Occhio del Gigante le avrebbero protette dalla vista ai soldati in avvicinamento.
Nonostante questo, man mano che le carrozze si avvicinavano, una malinconica tristezza si faceva largo nel suo cuore, i cui battiti accelerarono senza tregua.
Tu-tum. Tu-tum.
Il rumore degli zoccoli divenne facilmente riconoscibile.
Tu-tum-tu-tum.
Le grida d’incitamento degli uomini ai cavalli giunsero alle orecchie di Arizona.
Tutumtutumtutum.
Un uomo dalla voce possente diede l’ordine di fermarsi, prima di rivolgersi ad Alex e a Matthew.
«Sono Sir Owen Hunt, Fante di Picche, e vi ordino di identificarvi immediatamente» disse, prima che una spada, probabilmente la sua, venisse sguainata.
«Sir Owen, vi avevo ordinato di non spaventarli» intervenne una voce femminile.
Il cuore di Arizona impazzì, si fermò di colpo per poi riprendere lentamente a battere, accelerando vorticosamente.
Tu-tum. Tu-tum-tu-tum. Tutumtutumtutumtutum.
Quella voce…
Arizona chiuse gli occhi.
«Sono la Regina di Picche»
I muscoli tremarono, cedettero.
Questa mattina non ho mangiato, ricordò la giovane in un lampo, prima di sentire l’urlo di April e il duro impatto con il terreno.
 
 
NdA
La canzone [10] è Every Teardrop is a Waterfall, dei Coldplay.
Arizona e Calliope sono davvero vicine, vedremo se riusciranno a incontrarsi, nel prossimo capitolo. Mentre Jackson…
Spero che vi sia piaciuta, fatemi sapere quanto mi state odiando per aver interrotto il capitolo sul più bello e scusatemi il ritardo,
Trixie :D

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Capitolo 11
*** Capitolo X ***


Capitolo X
 
Be my mirror, my sword, my shield. [11]

 
 
 
Quando riprese conoscenza la prima cosa che percepì fu il freddo, un freddo che penetrava le ossa attanagliando il cuore, stringendolo in una morsa letale, da far mancare il fiato.
Il suo corpo era adagiato su qualcosa di morbido, in un luogo che faticò a mettere a fuoco, dal soffitto basso e le pareti di legno.
Il suo cervello non era ancora completamente lucido quando una voce risvegliò gli ultimi neuroni ancora addormentati.
«Come vi sentite, Sir?»
Jackson sbatté velocemente le palpebre, scorgendo la figura di una giovane ragazza dai capelli ricci e la carnagione scura.
Lord Avery provò a parlare, ma, non appena aprì la bocca, il ragazzo iniziò a tossire, i polmoni protestarono e con orrore si accorse di sputare acqua.
La giovane accorse accanto al letto, aiutandolo a sedersi e dando piccoli colpi alla schiena di Jackson, che le afferrò la mano con forza, mentre ricordava il dannato scontro con Sir Sloan e la folle idea di ribellarsi alla corte rossa. Sentì la propria mano scivolare da quella della ragazza e si accorse di essere sudato, nonostante solo qualche attimo prima avesse freddo.
I muscoli della sua gola non rispondevano ai comandi, sentiva gocce di sudore scivolargli lungo la fronte, rumori raschianti provenire dai suoi polmoni, il cuore battere sempre più velocemente, mentre il terrore cresceva e la tosse continuava, senza sosta. E quella sensazione di soffocamento…
Sembrò durare un’eternità, ma tutto cessò nel giro di qualche minuto, lasciando il ragazzo stanco e debilitato, con i muscoli doloranti per lo sforzo.
La giovane lo aiutò a stendersi nuovamente.
«Dovreste provare a dormire, Sir» consigliò poi, con un sorriso che Jackson avrebbe voluto ricambiare. Ma quella tosse lo aveva stancato tanto che non riuscì a fare altro che chiudere gli occhi e sprofondare nuovamente nel sonno.
 

***

 
Sobbalzava, stesa su un letto troppo piccolo che la obbligava a tenere le gambe in una strana posizione e con il cuscino più scomodo sul quale avesse mai posato la testa.
Sobbalzava e la schiena le doleva terribilmente, ma mai quanto la testa, che sembrava sul punto di scoppiare da un momento all’altro.
Solo allora Arizona ricordò lo svenimento, la sete, il caldo e la sua voce, la voce di Calliope. Doveva averla sentita mentre era priva di conoscenza.
Aprì lentamente gli occhi, portandosi un braccio dolorante alla fronte solo per trovarvi una benda.
«Ben svegliata, Arizona Robbins» bisbigliò una voce, che fece immediatamente credere alla ragazza di essere ancora nel mondo dei sogni.
Arizona guardò verso l’alto, incontrando il viso gentile della Regina di Picche, e solo allora realizzò che il cuscino del quale si era mentalmente lamentata non erano che le gambe di Calliope e il letto non era che lo scomodo sedile di una carrozza.
Il problema però rimaneva: cosa ci faceva leilì, sulle gambe di una donna che aveva sognato e desiderato di sognare?
«Non so molto su come ci si rivolge a una testa coronata. E non mi trovo nelle condizioni di fare un inchino, Vostra Maestà, sono desolata» disse invece, accompagnando il tutto con una smorfia e senza accennare affatto ad alzarsi. Il fatto era che ora quella sistemazione non le sembrava affatto male.
Calliope ridacchiò.
«Non importa, puoi anche darmi del tu, Arizona Robbins, se non c’è nessuno nei paraggi. Sai, la noiosa etichetta di corte» disse, come se la Ragazza del Mondo di Lassù capisse perfettamente in cosa consistesse questa etichetta di corte. Ma Arizona non avrebbe saputo cosa fare a corte, in nessun caso. «Come ti senti, ora? Sei rimasta incosciente a lungo».
«Bene, credo. Dove siamo?» domandò alzandosi lentamente e a malincuore.
«Da qualche parte tra l’Occhio del Gigante e il Principato di Fiori» rispose Calliope, pensierosa.
Arizona annuì, accorgendosi solo mentre la regina parlava di altre tre persone sedute di fronte a loro nella carrozza.
I suoi compagni si erano addormentati uno accanto all’altro, con Sir Matthew a dividere April e Alex.
«Nessuno di loro voleva stare nella stessa carrozza di Meredith e Derek» sussurrò Calliope, che aveva bisbigliato tutto il tempo.
April aveva le mani intrecciate in grembo, appoggiata alla spalla di Scatola di Latta, che per l’occasione aveva tolto la parte superiore dell’armatura poco prima di addormentarsi, a giudicare dal guanto di metallo che in parte gli ricopriva ancora la mano.
La vista del Bianconiglio strappò un sorriso ad Arizona: spettinato, con la bocca spalancata e le braccia incrociate, grugniva e ciondolava con la testa ogni volta che le ruote della carrozza passavano una buca o un sasso.
E poi si ricordò di quel nome. Derek, il re rosso. Cosa ci faceva il re rosso nella carrozza della regina e per di più con Meredith?
«Il Re di Cuori?» disse, senza accorgersi di aver parlato.
«Diciamo che durante la mia visita ad Addison sono stata costretta ad uno scambio poco equo» sorrise amaramente la Regina di Picche. «Ma non parliamone. Piuttosto dimmi, hai fame? Alex Karev si è mangiato l’equivalente di tre pasti regolari dei miei soldati».
«Sì, a dire il vero, ho fame» ammise Arizona, prima di affrettarsi a d aggiungere un Maestà al termine della frase.
«Non ce ne è bisogno» rispose Calliope. «Del Maestà, intendo. Guarda ai tuoi piedi, dovrebbe esserci un cesto. Magari Alex ha lasciato qualcosa per te».
Arizona sorrise, sicura che Alex avesse pensato anche a lei.
Le sue aspettative non andarono deluse e iniziò a mangiare, cercando di non abbuffarsi, mentre sentiva gli occhi della Regina di Picche che la scrutavano. Non ebbe il coraggio di controllare se fosse una sua impressione o meno, ma di certo non avrebbe esitato ad osservare Calliope se solo ne avesse avuto l’occasione.
Quando ebbe inghiottito anche l’ultimo pezzo di pane, Arizona si accasciò soddisfatta contro il sedile della carrozza. Non si era accorta di essere tanto affamata se non dopo il primo boccone. 
Si guardò intorno, facendo scivolare più volte lo sguardo sulla figura di Calliope, senza soffermarsi, come se la sua attenzione fosse costantemente catturata da altro: il paesaggio, la punta dello stivale di Alex, le mani delicate di April, il guanto di ferro di Mattew, il soffitto della carrozza e le sue pareti e persino il pavimento, ma mai la Regina di Picche.
In realtà le cose stavano molto diversamente e nell’animo di Arizona vi era un tale tumulto di emozioni che la ragazza non ne voleva sapere di analizzarle, ma si accontentava di riconoscervi il sollievo, la gioia e una certa attrazione verso Calliope, cui tendeva ogni fibra del suo essere e per la quale gli occhi dolevano tanto era sforzo di evitarne la figura.
«Ti senti a disagio, Arizona Robbins?» domandò la Regina sorridendo candidamente e dando ad Arizona una scusa per guardarla.
La Ragazza del Mondo di Lassù si impose di non arrossire e ci sarebbe sicuramente riuscita se si fosse trovata di fronte a una donna normale, anche se attraente. Il problema era che Calliope era una regina e una regina è un’autorità.
E lei, con le autorità, aveva sempre avuto grossi problemi.
Così Arizona arrossì e balbettò qualche sillaba sconnessa e priva di senso, prima di riuscire a parlare abbastanza chiaramente perché Calliope la potesse capire.
«A-Arizona» disse semplicemente, continuando solo dopo lo sguardo confuso della regina. «Chiamami solo Arizona».
«Oh, d’accordo. Ma ti senti bene?»
«Sì, sì, certo» ridacchiò nervosamente Arizona, sobbalzando nell’udire Alex grugnire e masticare qualche parola, mentre apriva gli occhi.
«Come, Alex?» disse Arizona, che non aveva colto le sue parole.
«Ti sei svegliata» iniziò il Bianconiglio, prima di fermarsi e sbadigliare, «finalmente. E grazie del passaggio, Maestà».
«Sono una regina generosa, Bianconiglio, ma non stupida» iniziò Calliope, con sguardo neutrale. «Hai servito Addison Montgomery per anni, cosa si suppone che faccia con te? Il mio Fante insiste perché ti rinchiuda in una cella e ti tenga in catene, sostiene che tu sia una spia»
«No!» protestò Arizona. «Volevo dire, no, Vostra Maestà, Alex Karev… Lui… non, non è una spia, ci stava aiutando a raggiungere le vostre terre».
«È così, Maestà» confermò Alex.
Calliope sembrò soppesare il giudizio di Arizona per qualche minuto, prima di replicare.
«E quali prove puoi fornire alla corte bianca, a riguardo? Se anche io ti credessi, certo non puoi aspettarti che Lady Catherine Avery o Sir Owen Hunt ti accolgano a braccia aperte».
«Chiedetemi quello che volete, Maestà».
«Le parole sono menzogne. La maggior parte delle volte, almeno».
«Alex non-» iniziò Arizona, immediatamente interrotta da Alex.
«Lei ci salverà. È perduta, per questo potrà trovare la strada. So chi è, so che è l’unica speranza per Wonderland, so che senza di lei, il nostro mondo, il nostro intero mondo, sarà perso per sempre. Lei è lo specchio, lei la spada, lei è lo scudo».
Arizona si trovò immersa nel silenzio più profondo della sua vita, con la sgradevolissima sensazione di essere il soggetto di quel lei tanto vagheggiato da Alex.
Alla fine, fu di nuovo la Regina di Picche a parlare.
«Come lo sai?»
«L’Occhio del Gigante è un deserto, le voci risuonano, l’eco arriva alle mie orecchie facilmente» rispose Alex enigmatico.
La Regina di Picche non rispose, ma posò il suo sguardo duro negli occhi di Alex, fino a quando il Bianconiglio sospirò.
«Lord Richard Webber. Mi disse di decidere da che parte stare, a quale regina confidare le mie parole. Non l’ho detto alla Regina di Cuori, l’ho detto a voi, Maestà. Credetemi».
«Parole, non fatti. E alla Regina di Cuori cosa hai rivelato?»
«Io nulla, la Regina di Cuori crede che lei sia Quella Alice, per questo la voleva» disse Alex e Arizona sbiancò.
Non c’erano più dubbi, la Regina e Alex parlavano di lei. Cosa avevano detto? Che era lo specchio, la spada e lo scudo? Ma cosa voleva dire? Lei non era Quella Alice, lei non era nulla di tutto questo, lei era Arizona, solo Arizona.
«Ma lei non è Quella Alice. E non è nemmeno L’Alice Sbagliata» disse Calliope in tono grave, voltandosi verso Arizona.
«No, Maestà, lei non è nemmeno L’Alice Sbagliata» confermò Alex Karev.
«Lei è Arizona Robbins, Bianconiglio, e potrà distruggerci o salvarci tutti».
 

***

C’erano sette gradini davanti a lei, sette passi la separavano dal patibolo, dalla morte. I muscoli si tendevano, ogni volta che sollevava il piede per avvicinarsi alla sua esecuzione, e un ricordo, nitido e definito, affiorava nella sua memoria, come se lo stesse rivivendo di nuovo.
 
Il primo gradino la riportò alla sua infanzia, negli appartamenti reali della corte rossa, dove suo padre esercitava il nobile mestiere del Cappellaio e, ad ogni punto che applicava, si lamentava di aver avuto una sola figlia e per giunta femmina. La madre di Ellis Grey era morta di parto dando alla luce due gemelli: Ellis e Elios, dono del Sole.
Il piccolo era morto qualche giorno dopo la madre.
«Avrei preferito tuo fratello» diceva spesso il vecchio padre di Ellis, ripetendo improperi contro il destino crudele che gli aveva strappato il figlio maschio e la moglie, lasciandolo senza possibilità di avere altri eredi se non una ragazzina cupa e taciturna, buona a nulla.
Il vecchio Cappellaio non avrebbe mai preso in considerazione l’idea di risposarsi, era un uomo crudele, è vero, ma aveva amato la moglie, aveva amato la moglie con tutto il cuore e, forse, questo cuore era morto insieme a lei.
La piccola Ellis crebbe con lui, non la più felice delle bambine, ma nemmeno la più infelice. Lei si collocava a metà e faceva di tutto perché il padre potesse amarla, con quel cuore che non aveva più, impegnandosi e imparando l’arte della Cappelleria, nella quale era avvantaggiata dalle sue mani piccole e precise.
Era la migliore in tutta Wonderland, ma, cosa più importante, era la migliore di tutta la sua antica e gloriosa stirpe di Cappellai, e questo la rendeva immensamente orgogliosa.
 
Il secondo gradino la vide sposa di Lord Thatcher Grey, che aveva chiesto la sua mano con gran sorpresa di tutti, compresa quella di Ellis. Non era destinata a sposarsi con un Lord, con un cortigiano, un ricco mercante, un valoroso generale, forse, ma non un Lord.
E, in ogni caso, Ellis, diciottenne Cappellaia dalle mani fatate, non aveva la minima intenzione di sposarsi. Lei sarebbe stata l’ultima della sua stirpe, lei sarebbe stata la migliore.
Ma Thatcher Grey era innamorato di lei e il vecchio Cappellaio, che da mesi ormai non riusciva ad abbandonare il suo letto, insistette perché Ellis accettasse la proposta.
Più denaro, più prestigio, più tutto, più era perfetto.
Ellis, forse memore della passata soggezione del padre, forse profondamente convinta che un matrimonio non avrebbe potuto fare molti danni, accettò.
Non amò Thatcher Grey, non amò il suo castello immenso, pieno di spifferi e non amò lavorare nelle stanze migliori che il marito le mise a disposizione, ma lo apprezzò.
Apprezzò Lord Grey e le sue attenzioni, a volte morbose, a volte insistenti e gli fu grata per la figlia che le diede, ma non riuscì mai ad amarlo e dopo quattro anni scappò dal castello dorato di Lord Grey.
 
Il terzo gradino era la ragione per la quale aveva lasciato Thatcher Grey.
Ellis aveva incontrato Lord Richard Webber alla festa che il marito aveva organizzato per il loro anniversario di nozze. Era bastato uno sguardo perché la donna si rendesse conto che anche lei era un essere umano che, a differenza di suo padre, lei un cuore ce l’aveva, ma che, semplicemente, si era sempre ostinata ad amare l’uomo sbagliato.
Ellis aveva sbagliato, fino ad allora, credendo che l’affetto, il cuore, i sentimenti, potessero essere indirizzati in qualche modo, guidati dalla ragione.
Sfortunatamente, il suo cuore aveva deciso di battere per un uomo già sposato.
Ad ogni modo, comunque, bastarono una buona dose di accortezza e discrezione per costruire con una Richard una relazione, sporca, furtiva, colpevole, ma almeno avevano una relazione.
 
Il quinto gradino era l’alcolismo. L’alcolismo di Thatcher, l’alcolismo di Richard. Gli uomini più importanti della sua vita, aveva notato, finivano con il cadere preda dell’alcolismo. Forse era colpa sua o forse del destino, in ogni caso, quella che ci perdeva era lei.
Quando tornò a vivere nei vecchi appartamenti del padre, alla corte rossa, dove era apprezzata Cappellaia di Corte, Ellis portò con sé anche la piccola Meredith e questo improvviso allontanamento da Thatcher, sussurravano i più informati, aveva spinto Lord Grey a rifugiarsi nell’alcol. Ellis aveva anche saputo, attraverso voci di corridoio, di come suo marito amasse trascorrere le giornate in compagnia di una certa ostessa che, nel giro di qualche mese, ebbe due figli, da padre sconosciuto in teoria, ma noto in partica.
Richard cercò il conforto nella bottiglia non solo a causa di Ellis, ma anche della Regina di Cuori, Lord Webber infatti era stato consigliere di corte per molti anni, sotto il precedente regnante, e ora che il regno stava andando in rovina, anche lui iniziava a cadere a pezzi. Quando poi Ellis gli chiese di scegliere tra lei e Lady Webber, non ebbe il coraggio di spezzare un cuore per salvarne due, così, per trovare conforto, cercava l’oblio di una bottiglia.
 
Il sesto gradino era Meredith, era quella figlia che non credeva di volere, era quella figlia che amava, amava più di sé stessa, era la promessa di immortalità, perché se anche lei quel giorno fosse morta, Meredith avrebbe continuato a vivere.
Era una brava Cappellaia, ottima a dire il vero e, forse, con un po’ di pratica sarebbe diventata migliore di Ellis.
Per Meredith aveva e avrebbe fatto di tutto, per Meredith aveva mentito alla Regina Rossa.
«Tua figlia è sparita, insieme a Quella Alice» aveva sibilato il Fante di Cuori, serrandole la gola con le mani. «Dove sono andate?»
Ellis, da canto suo, non aveva la minima idea di dove si fosse cacciata sua figlia, né se fosse implicata con la sparizione di Arizona, dell’Arma, come le era parso di capire dai farfugliamenti di Lord Webber in uno dei loro incontri clandestini. Probabilmente Meredith aveva deciso di tentare la fuga da sola, ora che Derek era diretto al Castello Bianco.
Stupida ragazzina innamorata, aveva pensato, prima di mentire spudoratamente per la vita della figlia.
«Lei non ha fatto nulla. Ho organizzato io la fuga di Quella Alice e ho costretto Meredith ad andare con lei, entrambe, ormai si trovano Al Di Là».
Sloan l’aveva schiaffeggiata, Sloan l’aveva insultata, Sloan l’aveva umiliata. Sloan l’aveva condannata a morte. Ma nulla aveva più importanza, perché lui aveva creduto alle sue parole, era convinto che le due ragazze si trovassero Al Di Là delle montagne, un posto sconosciuto, di cui non si hanno testimonianze. Perché si può andare oltre, sempre oltre, ma non si può mai, mai tornare indietro da Al Di Là.
Arizona e Meredith, ovunque fossero, per la Regina di Cuori e il suo Fante, erano come morte, scomparse, volatilizzate sotto il loro stesso naso.
 
Ellis stava salendo il settimo gradino, ma Meredith era salva.
Il settimo gradino evocò il buio che l’attendeva, il settimo gradino fu l’unico a scricchiolare sotto i suoi passi, il settimo gradino accolse la sua testa, quando Addison Montgomery diede ordine al suo Fante di decapitarla per alto tradimento alla Corona.
 
 
 
NdA
Ok, forse ci sono troppe “Alice” in questa storia ;D Allora, non so chi di voi abbia visto Alice in Wonderland di Tim Burton, ma nel film con Quella Alice si parla inizialmente dell’Alice di Lewis Carroll, la bambina che cade nel Paese delle Meraviglie, incontra il Bianconiglio, rischia di perdere la testa, ecc., insomma, indica l’Alice della storia classica.
Con L’Alice Sbagliata, invece, si indica l’Alice che, nel film, cade nel mondo di Wonderland ed è destinata a grandi imprese.
La nostra Alice non è nessuna delle due, a quanto pare, ma è lo specchio, la spada, lo scudo come cantano i [11] Coldplay inViva la vida.
Grazie mille per la pazienza, a presto,
Trixie <3
P.S. Sì, finalmente si sono incontrate, ma attenzione, c’è una Lauren in ogni universo pronta a distruggere quanto di più bello vi possa esistere u.u

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Capitolo 12
*** Capitolo XI ***


Capitolo XI
 
Look me in the eyes
and tell me you don’t find me attractive. [12]

 
 
 
 
«Eccoci qui, nella casa della mia infanzia» sospirò Calliope, togliendosi il mantello da viaggio non appena ebbe varcato la soglia di un edificio immenso che, più che casa, Arizona avrebbe definito castello. Nonostante fosse più piccolo della Fortezza Rossa e meno maestoso, aveva quel tocco elegante e delicato che sapeva appartenere alle favole: le mura in pietra, il portone di legno grezzo e antico, lo stemma della famiglia che sventolava gagliardo, seppur a mezz’asta, e l’edera, soprattutto l’edera, che si arrampicava e attorcigliava attorno alle torri slanciate, si faceva strada tra le fessure del muro, sussurrava i segreti degli abitanti di quel luogo al vento.
Arizona e Alex seguivano alla regina, scortata dal Fante di Picche che continuava a dichiararsi del tutto contrario a quella visita al Principato di Fiori, ma la regina aveva insistito tanto per portare di persona la notizia a sua madre, che l’uomo si era dovuto rassegnare.
L’intera comitiva, che ora si era allineata alle spalle della regina, aveva accolto con sollievo quella sosta.
Con la coda dell’occhio Arizona vide Alex osservare il pavimento con curiosità e fare strani ghigni nella direzione dei suoi piedi. La giovane gli diede un’energica gomitata, per poi lanciargli un’espressione interrogativa. Il Bianconiglio si piegò nella sua direzione, sussurrando.
«I Torres a quanto pare sono dei maniaci delle pulizie, accidenti, mi ci posso specchiare in questo dannato pavimento!»
Arizona abbassò gli occhi e dovette dargli ragione: il marmo bianco le restituiva con esattezza i lineamenti del suo viso, sporco e stanco, ma sembrava privo di ogni genere di maltrattamento, avvicinandosi, probabilmente avrebbe individuato piccole cicatrici lasciate dalle sue recenti avventure, ma per il momento lei non voleva saperne e smise di scrutare il proprio riflesso, spostando gli occhi più avanti, su un riflesso che le era ben più caro del proprio.
Arizona studiò attentamente i lineamenti della regina, fino a quando Alex non la riscosse dai suoi pensieri.
«Conosci l’avventura della regina con Erica Hahn? Non ti facevo tanto informata sui pettegolezzi di Wonderland. Comunque, lasciala perdere, non è pane per i tuoi denti» concluse, facendole l’occhiolino.
Arizona non ebbe il tempo di chiedere altre spiegazioni e aggiunse le domande nate da quell’osservazione di Alex all’infinito elenco delle “questioni preoccupanti”, come lei definiva tutti quei segreti, sussurri e problemi dei quali era all’oscuro, ma con cui aveva certamente a che fare. Non da ultima, la storia di tutte quelle Alice.
L’attenzione di tutta la compagnia si spostò sul ticchettare proveniente dall’ampia scala di fronte a Calliope, dalla quale una donna dai capelli scuri scese tenendo le ampie gonne raccolte, così da non inciampare. Procedeva spedita, ma non si mise a correre e, certo, non mancò di contegno.
Abbracciò la regina e, dai lineamenti tanto simili che Arizona scorse nel riflesso del marmo, non c’era alcun dubbio che si trattasse della madre di Calliope.
Era dipinta, sul volto dell’anziana donna, un’apprensione del tutto particolare, propria delle madri ansiose per il destino di una figlia che ha dato, in passato, troppi grattacapi alla famiglia. La cosa stupì Arizona, che certo non credeva che la Principessa di Fiori potesse in qualche modo biasimare la figlia d’esser diventata Regina, e attribuì quell’impressione all’inesattezza del riflesso.
Dopo i dovuti convenevoli, Calliope presentò i componenti del suo seguito.
«Sir Owen Hunt, che ha insistito tanto per farmi avere una scorta non necessaria e che già conosci, mamma» disse la regina, con una strana intonazione.
Ad Arizona parve che i misteri di Wonderland, o almeno quelli legati alla donna che in parte governava quelle terre, aumentassero ad ogni secondo.
La Principessa di Fiori sorrise al cavaliere con calore e lasciò che le baciasse la mano.
«Sir Owen, ogni volta è un piacere rivedervi, sono sicura che sareste un ottimo marito se solo decideste di prendere moglie. Siete ancora un’anima dedita all’avventura e ai combattimenti, Sir?» 
La domanda della donna fece arrossire violentemente il povero Fante, che salutò con rispetto la principessa, aggiungendo che la sua anima era esclusivamente a servizio della regina, come si aspetterebbe da un fante di valore. Non aggiunse nulla riguardo a una futura signora Owen.
Calliope tagliò corto quello scambio di battute, procedendo a presentare Alex, verso il quale la Principessa di Fiori diede sfoggio di una cortese freddezza, nonostante le rassicurazione della regina sulla sua lealtà.
Dopodiché fu il turno di Arizona, che destò gran stupore anche presso le dame che avevano raggiunto la madre di Calliope.
Alla ragazza parve di distinguere chiaramente, nei bisbigli e ripetutamente le parole Mondo di Lassù e Quella Alice. La principessa si limitò a serrare severamente le labbra e a scrutarla, come se cercasse di leggerle l’animo, poi le diede un benvenuto privo di qualsiasi inflessione cui Arizona riuscì a rispondere a malapena balbettando.
La sua inferiorità apparve ancora più evidente quando April diede prova di una compostezza invidiabile e Matthew si comportò da perfetto cavaliere.
«Il Re Rosso in questa casa, al braccio della Cappellaia. Calliope, credo che tu mi debba più di qualche spiegazione. E tuo padre è già tornato alla Reggia di Picche? Non lo vedo» disse la Principessa di Fiori, senza nemmeno stringere la mano a Derek e Meredith, ai quali aveva lanciato a malapena un’occhiata prima di voltargli le spalle.
«No, mamma, papà non è alla Reggia. Potresti ordinare che ai miei ospiti siano accordati alloggi adatti al loro rango. A tutti gli ospiti, mamma, il Re di Cuori è mio ospite e con lui anche Meredith Grey e Alex Karev».
«Sei tu la regina» rispose enigmatica la Principessa di Fiori, prima di dare disposizioni alla servitù. «Calliope, cara, per quanto vi fermerete?»
«Una notte» rispose la giovane.
«Partiremo all’alba, milady» aggiunse Sir Owen Hunt, come se non fosse sicuro che quel suo accorgimento fosse adottato. Calliope annuì di malavoglia.
«Perfetto, noi dobbiamo parlare. Sir Owen ci farà da scorta, voi andate» disse la Principessa di Fiori, prendendo la figlia sotto braccio mentre Arizona veniva condotta nella direzione opposta da una sorridente dama bionda.
 

***
 

«Come hai potute vendere il tuo stesso padre alla Montgomery, Calliope?» domandò pacatamente Lucia Torres, che si era abbandonata in una poltrona di velluto e si reggeva la testa con una mano. Quello era fin troppo da sopportare per lei, da quella figlia che, pur amandola, continuava a essere fonte di dispiaceri.
Aveva pensato di morire una volta, molti anni prima, quando le erano stati sussurrati pettegolezzi di corte, di quella Erica Hahn che passava fin troppo tempo con sua figlia.
Ma questo, perdere il marito per mano della figlia, questo era troppo.
«Non ho venduto papà!» protestò subito Calliope, che si alzò in piedi con le gote arrossate.
«E allora illuminami, per quale motivo mio marito si trova prigioniero della donna che non aspetta altro che la distruzione di tutto ciò che amo? E perché sotto il mio tetto hanno trovato ospitalità Derek Shepherd e la sua sgualdrina?»
«Meredith Grey non è una sgualdrina, mamma. E Derek è la mia assicurazione sulla vita di papà. È stato lui stesso a offrirsi come ostaggio».
«Non avresti dovuto permetterglielo. Sei la regina, avresti dovuto ordinargli di non farlo» disse Lucia con forza.
«No, non avrei potuto! Io quanto regina devo pensare al bene del mio regno, in quanto figlia a quello della mia famiglia» precisò Calliope, in piedi di fronte alla madre.
«E così hai anteposto il regno alla famiglia» la accusò sua madre alzandosi a sua volta in piedi.
«No, mamma, no! Tra poco la guerra sarà finita, grazie a papà. E non corre alcun pericolo! Ho fatto ciò che avrebbe giovato a più persone, anche se avrebbe potuto far del male a me. È così che lui mi ha cresciuta» le ricordò la regina di Picche.
Lucia Torres tornò a sedersi e si prese la testa tra le mani. Rimase in silenzio per qualche secondo e quando anche Calliope tornò a sedersi, trovò il coraggio di parlare.
«Non è nemmeno il tuo vero padre» disse, in un bisbiglio.
«Cosa?»
La Regina di Picche sperò di aver frainteso le parole della madre.
 

***

 
«Sono Lady Lauren Boswell» si presentò la dama bionda che aveva mostrato ad Arizona la sua stanza. «Figlia di Lord Boswell di Silver Cave».
«Io sono Arizona Robbisn. Solo Arizona Robbins» arrossì la ragazza, non ancora abituata a tutti quei nomi altisonanti.
«Sei la ragazza del Mondo di Lassù, non sei solo Arizona» le fece notare l’altra, in piedi nel mezzo della stanza. «E sei anche la più bella ragazza del Mondo di Lassù che io abbia mai visto».
«Sono l’unica ragazza del mio mondo che tu abbia mai visto» le fece notare Arizona, ridendo compiaciuta e decidendo di rivolgersi a lei con il tu. Forse aveva sbagliato qualcosa di quell’etichetta di corte di cui tutti sembravano seguire le regole, ma Lauren non se ne dimostrò infastidita.
«Hai ragione. Mi hai scoperto. Sei la ragazza più bella che abbia mai visto a Wonderland» si corresse Lady Boswell, prima di uscire dalla stanza di Arizona con un sorriso malizioso.
 

***
 

Sfortunatamente la Regina di Picche aveva capito benissimo quello che la madre le aveva detto.
«Il tuo vero padre è morto. Era un brav’uomo, comunque».
«Non ricordo altri che papà come… papà»
«Non eri ancora nata, quando lui morì non sapevo nemmeno di essere incinta. Lo sposai a diciassette anni. Era il figlio di Lord Lightswood, lo conosci bene» raccontò Lucia Torres, con lo sguardo perso nel vuoto.
«Sì, veniva spesso qui quando ero bambina».
«Lui sa che sei sua nipote. Luke Lightswood morì per un male ignoto, che gli divorò lentamente l’addome. Nessuno seppe salvarlo. Quattro mesi dopo-» una lacrima scese solitaria sulla guancia di Lucia. «Quattro mesi dopo sposai il Principe di Fiori, Lord Torres».
«Papà lo sa?»
«Sì, certo che lo sa. Ti ama come se fossi sua figlia, lo sai»
«Aria dice sempre che mi preferisce a lei» commentò Callie, ancora scossa dalla notizia.
«E come dargli torto? Ti ha cresciuta come se-»
«No, mamma, non come se. Mi ha cresciuta da figlia, perché io sono sua figlia» la corresse la Regina di Picche.
«Comunque, non avresti dovuto venderlo alla Montgomery, non dopo tutto quello che ha fatto per te» la rimproverò Lucia. «Ti ha dato un nome, un nome prestigioso, quando potevi essere solo l’orfana di Lightswood. Lui ti ha fatta diventare qualcuno e ti ha amata, ancora prima che nascessi. Non avresti dovuto consegnarlo alla Montgomery. E al diavolo il regno»
Calliope si alzò e uscì dalla stanza, troppo sconvolta per sostenere ulteriormente una discussione con sua madre.
 

***

 
Arizona decise di approfittare del bagno caldo che Lauren Boswell le aveva preparato secondo le regole dell’ospitalità di casa Torres, non appena era entrata in quella stanza.
Iniziò a spogliarsi e si immerse nell’acqua calda, pensando che, dopotutto, non era poi così male essere stata catapultata in un mondo del tutto nuovo, per trovarci delle donne stupende. Wonderland, il Paese delle Meraviglie.
Iniziava a intuire il perché di quel nome.
Si chiese che cosa significasse il commento di Alex riguardo la regina e soprattutto si chiese se la sua attrazione nei confronti di Calliope fosse tanto evidente.
Forse dovrei provare a nasconderla, si disse, insaponandosi, dopotutto con una regina non credo proprio di avere speranze. Per di più era sposata con un uomo, perciò non credo che sia interessata a me se non come ad Arizona Robbins, lo specchio, la spada, lo scudo. Qualsiasi cosa significhi per Wonderland.
 

***

 
Calliope vagò a lungo per le stanze del castello dove era cresciuta dopo aver congedato Sir Owen, che era rimasto a fare la guardia al colloquio con sua madre.  
Si chiese se Aria fosse a conoscenza di questo segreto, ma probabilmente aveva tenuto all’oscuro di tutto anche lei. Forse lo aveva scoperto per caso, mettendo il naso dove non doveva, come era solita fare.
Comunque Aria era lontana, in viaggio con il giovane marito, Lord Foxtail. Amavano viaggiare e nemmeno la guerra aveva impedito loro di farlo. Semplicemente, scrivevano più spesso a casa per far sapere che stavano bene.
In un lungo corridoio, Calliope si imbatté in uno dei tanti ritratti di famiglia disseminati per il castello. Sua madre insisteva per averne uno nuovo ogni anno. In alcuni era stato costretto a posare anche George.
Calliope osservò il proprio volto e quello del padre, eppure non vi trovò atro che la naturale somiglianza tra padre e figlia: stessi occhi, stessi lineamenti, stesse impressioni.
Si chiese se fosse possibile che sua madre si fosse sbagliata, ma se Lucia Torres avesse avuto qualche dubbio circa la paternità di Calliope, certo non le avrebbe rivelato di essere solo l’orfana di Lightswood.
Persino i suoi occhi, dunque, la ingannavano.
Distolse lo sguardo dal ritratto e riprese a camminare, senza meta, lasciando che fossero i suoi piedi a decidere quale percorso seguire.
 

***

 
Più tardi, Lauren era tornata per accertarsi che Arizona non avesse bisogno di nulla e la trovò alle prese con i lacci di un vestito che era stato preparato per lei.
Lady Boswell rise, divertita.
«Arizona Robbins, si vede che vieni da un altro mondo» commentò. «Da voi le donne si vestono da sole?» domandò, piegando la testa di lato con curiosità.
«Certo, perché?» rispose Arizona, decidendo di abbandonare quell’inutile battaglia e lasciando che il vestito scivolasse a terra. Sotto aveva una morbida sottoveste bianca, lunga fin sotto alle ginocchia. Le guance di Lauren arrossirono violentemente.
«Perché qui le donne vengono vestite dalle loro dame di compagnia. E non si mostrano così spudoratamente in sottoveste» disse lady Boswell, avvicinandosi per raccogliere il vestito di Arizona e sistemarlo attorno al corpo della ragazza, che sollevò i capelli per facilitarle il compito.
«Oh» disse. «Da noi quella che voi chiamate sottoveste potrebbe tranquillamente essere scambiata per un semplice vestito» spiegò Arizona, sentendo le mani di Lauren attorno ai fianchi, sotto il seno, vicino alla clavicola. Si muovevano leggere, sistemando la stoffa del vestito e eliminandone le pieghe. Lungo la schiena, le dita di Lauren iniziarono a stringere i fiocchi che avevano fatto impazzire Arizona.
«Dimmi se stringo troppo» la avvertì Lady Boswell, con voce roca.
Arizona annuì, improvvisamente confusa.
«Anche tu sei molto bella» disse solo, senza riflettere. Sapeva di non aver mentito, ma sapeva anche di aver omesso un particolare. Trovava Lauren bella, è vero, ma non la più bella. Quel titolo spettava di diritto a Calliope.
Lauren sorrise, stringendo l’ultimo fiocco.
«Finito. Girati, vediamo se è tutto a posto».
Arizona fece come le era stato chiesto e Lauren non tolse le proprie mani dai fianchi dell’altra ragazza.
Fece scorrere il suo sguardo da terra fino alla sommità del capo di Arizona, soffermandosi a lungo sulle labbra e ritornandovi alla fine. Lauren strinse leggermente la presa e la ragazza del Mondo Di Lassù si morse il labro, facendo un passo verso di lei.
 

***

 
«Arizona, spero di non disturbare» Calliope bussò alla porta delle stanze della ragazza.
Era lì che i suoi piedi l’aveva portata. Forse, sapeva che la chiave della salvezza del regno si trovava dietro quella porta.
O, forse, le piacevano oltre il consentito le fossette di Arizona.
Una ragazza bionda aprì la porta alla Regina, visibilmente infastidita, ma purtroppo era la bionda sbagliata.
«Oh, credevo fossero gli alloggi di Arizona Robbins» esclamò confusa Calliope.
«Sì, sì, maestà, eccomi» sorrise la ragazza del Mondo di Lassù, raggiunta Lauren. «Volete accomodarvi, maestà?»
«Vedo che siete in compagnia, non importa, tornerò un’altra volta» rispose la regina, con un’inquietudine inspiegabile nell’animo.
«Me ne stavo andando» si intromise Lady Boswell, aggiungendo maestà solo dopo qualche secondo di pausa.
«Ci vediamo, Arizona» disse Lauren, stringendo le dita di Arizona e dandole un inatteso bacio sulla guancia, che colorì le fossette della giovane. Le fossette, però, erano dovute alla presenza di Calliope.
«Sì» disse solo, senza capire le implicazioni di quello scambio di battute e facendosi da parte per far entrare la regina, mentre Lauren si allontanava lungo il corridoio.
«Non sarei venuta se avessi saputo che ti trovavi in dolce compagnia, scusa» disse tra i denti Calliope, quando rimasero sole.
«Oh, no, mi stava solo aiutando a vestirmi» minimizzò Arizona.
«Non stento a crederlo» fu l’acido commento di Calliope. «Comunque quel vestito ti sta molto bene».
«Grazie. Eri venuta per parlarmi?» domandò Arizona, in imbarazzo.
«No, cioè, sì, no».
«Calliope» la chiamò Arizona, prima che si potesse controllare.
Quel nome, il suo nome, le era sfuggito dalle labbra prima che potesse fermarlo. Aveva un buon sapore, notò Arizona, chiedendosi per un istante se anche le labbra della proprietaria del nome ne avessero uno uguale.
«Nessuno mi chiama Calliope» disse la regina, avvicinandosi.  
«Oh, mi dispiace, maestà, io non volevo…» le parole di Arizona rimasero sospese in aria per qualche secondo, poi la ragazza trovò di nuovo il coraggio di parlare.
«Anzi, sì, io volevo. Devo essere sincera con te, Calliope, perché a quanto pare sono non so che genere di arma per te e hai bisogno di me, perciò voglio essere sincera. Non so come funzioni esattamente qui, a Wonderland, o cosa ne potrai pensare tu, ma nel mio mondo, a volte, le donne si innamorano di altre donne. E io credo, anzi, e io so di avere una cotta per te, una cotta enorme. Ma so che sei una regina, so che hai delle responsabilità e so che hai avuto un marito: lo so di non avere possibilità, ma volevo essere sincera con te. Perciò, eccomi, sono Arizona Robbins e ho una cotta per te».
Aveva parlato velocemente, senza quasi respirare e gesticolando freneticamente.
Cosa diavolo stava facendo? Se era scampata alla decapitazione della Montgomery, certo ora nessuno le avrebbe tolto la reclusione nelle celle di quel castello per pazzia. O omosessualità. Per quanto ne sapeva lei, poteva tranquillamente essere etichettato come un reato in quel mondo.
Comunque, non avrebbe finto di essere un’altra donna solo per non passare da criminale.
«Non avresti dovuto dire niente» disse Calliope, avvicinandosi alla ragazza.
Respiravano ciascuna il profumo dell’altra, come per saziarsene.
La regina disegnò con il dito una delle fossette di Arizona, che non riuscì a trattenere il brivido leggero scaturito da quel tocco.
«Perché no?» domandò.
Calliope non rispose, Calliope sorrise, di un sorriso amaro e dolce allo stesso tempo.
Perché Calliope sapeva che ciò che stava per fare era sbagliato, eppure aveva tutta l’intenzione di sbagliare. E poi Calliope sapeva che certe cose, semplicemente, non possono essere evitate.
Così Calliope baciò le labbra di Arizona, e lasciò che la ragazza la abbracciasse, attirandola a sé, come a nessun altro era stato consentito di fare da molto tempo.
 
 
 
 
NdA
C’è mancato davvero poco al bacio tra Arizona e Lauren, gente, ma non il mio cuore non ha retto allo sforzo e ho eliminato la scena, nonostante pensassi di scrivere un doloroso e dettagliato paragrafo sulle aggressive labbra di Lauren e la titubanza di Arizona u.u
La canzone [12] è Where does the good go, Tegan and Sara (no, non quella Sara! :D)
Scusate il ritardo, ma spero che il bacio finale tra Callie e Arizona sia abbastanza per farmi perdonare ^^”  
A presto,
una fanwriter molto scostante negli aggiornamenti,
per gli amici Trixie. 

 

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