Credevo fosse amore, invece era una mela.

di Charme
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Applepie ***
Capitolo 2: *** Calzettoni ***
Capitolo 3: *** Coperte ***
Capitolo 4: *** Il compleanno di un guerriero. ***
Capitolo 5: *** Gran brutto mestiere ***
Capitolo 6: *** Una serata di ben educate frivolezze. ***



Capitolo 1
*** Applepie ***


  Note Autrice:

  Ohilà! La storia che segue trae diretta ispirazione da questa  fanart (l’intero blog è delizioso, se ci entrate, vi ci perdete *^*), ed è stata modellata sul fatto che, uscito dal barile servito per la fuga dalle prigioni di Bosco Atro, il caro Fili abbia espresso il desiderio di non avere mai più nulla a che fare con le mele. Inutile dire che non l’ho accontentato.

  I personaggi non mi appartengono, mi pare chiaro.

  La storia è dedicata a tutti gli amici e parenti cui sono stati assegnati alter ego nanici, in particolare alla nostra Balin personale, che compie gli anni domani.

  Non crediate di sfuggirmi, ho scritto anche delle note finali.

 

 

 

 

  Malgrado l'aura di cupa maestosità che aleggiava attorno al capo della spedizione potesse far pensare altrimenti, la compagnia dei Nani aveva modo di vivere momenti di conviviale ilarità e situazioni che contribuivano ad alleggerire l'oppressione delle responsabilità che pesavano su di loro quotidianamente.

  Ma in certi casi, il sollazzo di alcuni era causato dal disappunto di altri.

  “Cerca di comportarti da adulto. Non mi sento a mio agio, nel ruolo di fratello responsabile.” stava dicendo Kili, senza neanche curarsi di mascherare il divertimento nella sua voce.

  Non gli pervenne alcuna risposta, perché quello che teoricamente era il suo fratello maggiore si era trincerato dietro alla pratica del silenzio offeso, strategia che non aveva più probabilità di funzionare allora di quante non ne avesse avute quando Fili aveva cinque anni e si lamentava di non volere un fratellino.

  Poco lontano, un altro fratello minore cercava – invano – di far ragionare il maggiore.

  “Non si trattava certo di una critica alla tua cucina, e lo sai bene.”

  “Usa quel tono amabilmente condiscendente con qualcun altro, Bofur. Con me non attacca.”

  “Suvvia, siamo tutti un po' irritabili, dopo la fuga nei barili, e tra noi c'è chi è rimasto più segnato dall'esperienza di altri.” Continuò Bofur, sul cui volto splendeva il solito sorriso incoraggiante e benevolo. Bombur gliel'avrebbe volentieri cancellato dalla faccia a padellate, ma purtroppo sapeva che forse non sarebbe bastato.

  “Tutti noi abbiamo passato non so quante ore a farsi sballottare qua e là dalla corrente, e tutti eravamo dentro a un barile, scomodi, bagnati, nauseati e al freddo. Una volta sbarcati – finalmente – mi sono comunque messo a cucinare perché tutti potessero avere un pasto caldo, e ho arrangiato una cena più che degna di questo nome nonostante i pochi mezzi a disposizione. Per cui chiedo umilmente scusa se non ho pensato a soddisfare i capricci di un principino viziato!” esclamò Bombur, concludendo lo sfogo con un tono pesantemente sarcastico e rivolgendosi direttamente a Fili, che lo fissava con espressione offesa, stando ancora a braccia incrociate.

  Bofur e Kili si arresero all'evidenza, scambiandosi uno sguardo di comprensione.

  “Tutte quelle storie per una stupida torta di mele, che assurdità.” commentò Kili, scuotendo la testa.

  “Una buona notte di sonno e vedrai che domani nessuno di quei due testoni si ricorderà dell'accaduto.” disse Bofur, in tono complice.

  “Che cos'è successo?” domandò la voce imperiosa di Thorin Scudodiquercia, comparso in quel momento.

  “Niente di cui preoccuparsi. – minimizzò Bofur – Una piccola diatriba che ha avuto origine dalla neonata intolleranza di Fili alle mele.”

  “Voglio augurarmi che siano in grado di risolvere per conto loro e in tempi brevi un alterco sciocco e privo di fondamento: l'ora è già tarda, e dovremmo pensare di ritirarci per la notte.”

  “Zio, cos'hai nella barba?”

  Thorin assunse un'espressione stupita, ma Kili non demorse.

  “La tua barba odora di mele, e quelle si direbbero proprio briciole.”

  “Non capisco cosa tu stia insinuando.” ribatté il fiero Thorin, e l'espressione che dapprima era solo di sorpresa lasciò il posto a un atteggiamento consono a un re oltraggiato, quale evidentemente sentiva di essere.

  “Non insinuo niente, io. Dico solo che la porzione di torta destinata a Fili è scomparsa. Puoi ammettere senza problemi di esserti scofanato la tua porzione e la sua.”

  Zio e nipote si fissarono intensamente per qualche istante.

  “Kili, il primo turno di guardia è tuo.” Detto ciò, si girò e si allontanò.

  “Forse l'uso del termine 'scofanato' non è stata la scelta lessicale più adatta, ragazzo.” commentò bonariamente Bofur, battendo una mano sulla spalla di Kili.

  Quest'ultimo sospirò, apprestandosi a restare di vedetta, ma ai suoi occhi giovani, attenti e impertinenti non sfuggì la manovra di Thorin, che si stava togliendo briciole di torta di mele dalla barba, per poi leccarsi le dita in maniera ben poco regale. 

 

 

 

 

 

 

 

  Note conclusive:

  Ho assegnato a Bombur il ruolo di cuoco non perché volessi seguire lo stereotipo tizio grasso = cuoco, ma perché Peter Jackson stesso ha assegnato al monumentale Nano una quantità abnorme di utensili da cucina, che tra l’altro vengono da lui utilizzati anche come armi. Non mi pare di ricordare che Tolkien abbia specificato i “ruoli” dei Nani, ma se qualcuno dovesse ricordare diversamente, me ne metta al corrente.

  Ritengo di aver mantenuto i personaggi sufficientemente IC, vista la situazione, per cui avremo un Kili ridicolmente adorabile, un Bofur sorridente e ottimista da abbracciare e un Majestic!Thorin. Fili è incarognito dalla situazione, al pari di Bombur, ma mentre il primo potrebbe effettivamente essere dipinto in un atteggiamento inconsueto, visto che tutto sommato è sempre piuttosto positivo, un Bombur inca**oso è abbastanza rispondente al personaggio di Tolkien. Per farla breve, ho fatto un mix tra libro, come immagino potrebbe essere il film e il mio universo mentale personale.

  Spero abbiate gradito!

 

  Saluti,

  Charme.

 

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Capitolo 2
*** Calzettoni ***


Buonsalve!

Sono passati mesi dalla prima stesura della storia, ma siccome sono una culopesa non l’ho pubblicata prima. Approfitto infine dell’occasione del compleanno di Agne e della nascita del secondo dei suoi nipotini (cui ormai ci si rivolge come Fili e Kili) e la dedico a loro. E ai calzini di Edo/Fili, che hanno da subito monopolizzato l’attenzione.

Non preoccupatevi se non ci avete capito niente.

 

 

Drabble Night “Muse, all’armi!”

 

Pacchetto:

Ariete:
Hobbit/Lotr: Dìs, Thorin, Fili.

 

Schinieri:
Prompt: Calzettoni.

 

  Il tenebroso Thorin Scudodiquercia fissava il fuoco del caminetto senza realmente vederlo, assorto nelle proprie costanti preoccupazioni. Un popolo da riunire, un trono da riconquistare, antichi torti da vendicare, ma soprattutto un nipote di pochi anni con la passione degli agguati.

  Il figlio primogenito di sua sorella aveva trotterellato verso di lui e gli era saltato addosso, trincerandosi dietro alle sue forti braccia, che istintivamente l’avevano stretto.

  “Freddo.” Motivò Fili, con la laconicità dei suoi quattro anni, alzando la faccina impertinente verso Thorin.

  “Dìs, vogliamo muoverci, con questo lavoro a maglia? Non sono certo io a dover provvedere a tenere al caldo tuo figlio.” borbottò il Nano sbrigativamente, nel tentativo di mantenere la propria nomea di uomo burbero.

  Dìs, che ben conosceva suo fratello, non diede peso alle ultime parole. “Avrei già finito da tempo, se quel birbante non si fosse divertito a intrecciare i gomitoli. Anzi, a proposito… Fili, tesoro, intreccia i capelli dello zio, mentre la mamma finisce di lavorare.”

  Il bimbetto non se lo fece ripetere due volte, e sfogò la propria passione creativa sui capelli e sulla barba dello zio, con un risultato d’intreccio certamente… originale.

  Poco dopo, Dìs mostrò, trionfante, il frutto del proprio lavoro: due paia di calzettoni di lana, con la stessa fantasia ma chiaramente di dimensioni diverse, gli uni per Fili, gli altri per Thorin.

  “Dìs, te ne prego, i calzettoni no.”

  “I calzettoni , o ti prenderai un malanno.”

  “Non prendo malanni, io!” protestò Thorin, prima che Fili gli sventolasse insistentemente davanti i suoi calzettoni.

  “Cìo, calshini ‘guali.” Impose, biascicando, e Thorin diede l’addio alla propria dignità sotto il ghigno mefistofelico di sua sorella.

  Intimamente, Thorin era felice di poter lasciare da parte i propri fardelli e godersi un po’ di calma familiare, ma d’altra parte, era proprio per poter tornare ad avere una famiglia, una casa, che doveva portare avanti i propri progetti di riconquista. I buoni presagi potevano manifestarsi sotto qualunque forma. Persino sotto quella di calzettoni imbarazzanti.

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Capitolo 3
*** Coperte ***


  Note Autrice:
  Salve! Terza storia della raccolta un po' casuale, in cui vediamo Fili alle prese con la notizia di un fratello. Tra i personaggi comparirà anche il prode Pirli, che sarebbe il marito di Dìs, unico personaggio inventato e che esula dall'universo di Tolkien. Papà Pirli (e il suo nome buffo) appartengono a lady hawke e Charme, e se qualcuno ce lo tocca mordiamo forte.
  Se riscontrate boiate od orrori me lo fate sapere? Ma magari mi fate sapere anche se vi è piaciuta, eh :)






  Stava per verificarsi un importante avvenimento, nelle vite dei giovani coniugi Dìs e Pirli, e l’evento consisteva nell’annunciare all’unico figlio della coppia che ben presto non ci si sarebbe più rivolti a lui come ‘unico’, bensì come ‘primogenito’. Naturalmente questo compito era stato delegato al papà, perché al momento Dìs sosteneva di essere a malapena in grado di sopportare i continui assalti del demonietto nel suo grembo, figurarsi se poteva rispondere alle mille perplessità che certo il piccolo Fili, in piena ‘fase dei perché’, avrebbe esternato.
  A Pirli, quindi, non restò che sospirare e andare incontro al proprio destino. Quando entrò nella cameretta del bambino era già riuscito a strutturare uno di quei bei discorsi pieni di poesia, simbolismo ed eufemismi che si tirano fuori con i bambini per evitarsi l’imbarazzante ingombro della verità, ma Fili lo precedette, cacciandogli in mano una statuetta di un Orco e spiegando sommariamente al papà perplesso che lo stava per sconfiggere.
  “Perché io sono l’eroe – gli spiegò, mostrandogli la statuetta di un guerriero Nano – e ho pure una spada.”
  Pirli si diede da fare, interpretando grandiosamente l’Orco, per poi affrettarsi a recuperare la figurina che rappresentava il Re e premiare così quell’eroe valoroso.
  A gioco ultimato, Pirli tirò fuori l’argomento che gli premeva.
  “Fili, ti piacerebbe avere un compagno di giochi più o meno della tua età?”
  Il bambino lo guardò con fare incuriosito, poi gli chiese dove fosse.
  “Non c’è ancora, ma arriverà tra un po’. Io e la mamma ti daremo un fratellino”, rivelò infine Pirli, e attese la reazione el figlio, sperando per il meglio. La speranza non fu disattesa.
  “Oh, bene. Tu giochi bene, papà, ma un fratellino mi piacerebbe. Quando hai detto che arriva?”
  “Tra qualche mese. Ma dovrai aspettare un po’, prima di poter giocare con lui, perché sarà piccolo, quando arriverà.”
  Fili si produsse in una smorfia scontenta. “Ma poi farà quello che gli ordinerò?”
  “Neanche per idea. Ma in compenso sono sicuro che, se gli chiederai gentilmente di fare qualcosa per te, lo farà senza dubbio.” Gli sorrise con fare incoraggiante e gli diede un buffetto, e il bambino si accucciò contro il suo fianco.
  “Papà? Ma ora dov’è il fratellino?”
  “Oh, adesso si trova nella pancia della mamma.”
  Gli occhi sgranati di Fili annunciarono chiaramente che lo riteneva un pessimo posto in cui giocare a nascondino.
  Oltre che dalla giovanissima età di Fili, che non aveva ancora compiuto cinque anni, una simile ignoranza in materia era pienamente giustificabile dalla tremenda penuria di bambini nella stirpe dei Nani, riconducibile a sua volta alla mancanza di donne. Anche per questo, non era inconsueto che una coppia giovane non si fermasse a un solo figlio.
  Al momento, però, a Pirli restava un problema ben reale da risolvere, e cioè che probabilmente suo figlio era convinto che la mamma potesse aver mangiato suo fratello.
  “Vedi, Fili, adesso il tuo fratellino è così piccolo che ha bisogno di stare dentro la pancia della mamma, perché altrimenti sarebbe indifeso. Ora è come un pulcino dentro il suo uovo; deve starsene bene al caldo, così, quando alla fine sarà pronto, uscirà.”
  Il piccino parve impressionato da una simile, sapiente rivelazione, e annuì al papà.
  Pirli sorrise al suo bambino e lo strinse a sé, fiero di come aveva affrontato l’importante notizia.
 
 
  Quel pomeriggio Dìs si stava godendo un po’ di inattesa ma gradita frescura in quel caldo agosto, e a quanto pareva il piccino nel suo grembo aveva provvidenzialmente deciso di fare lo stesso.
  Dìs era una donna energica, ma il nascituro la stava mettendo a dura prova. Non ricordava di essere stata così spossata, quando era in attesa di Fili. Forse quella volta era una femmina. Di certo sua madre si era premurata di dirle più volte quanto lei stessa fosse stata indisciplinata, a differenza dei suoi fratelli, Thorin e Frerin.
  In quel momento il bambino pensò bene di assestarle un bel calcio, giusto per ricordarle chi comandava.
  Maschio o femmina, avrebbe fatto bene a essere la creatura più adorabile dell’Ered Luin, per compensare quei mesi d’inferno.
  Uno scalpiccio e una testolina bionda attirarono l’attenzione di Dìs, scuotendola dal torpore. Non senza difficoltà, Fili si arrampicò caparbiamente sul letto dei genitori, quindi stese sulla mamma una coperta e contemplò il risultato con soddisfazione.
  “Tesoro, che combini? Non ti pare che faccia già abbastanza caldo?” gli fece notare Dìs, a cui pareva di essere all’interno di un forno.
  “C’è vento. E tu e la nonna dite sempre che bisogna coprirsi, quando c’è vento.”
  “Io e la nonna diciamo che tu devi coprirti, quando c’è vento. I bambini devono stare attenti a non prendere il raffreddore.”
  “Ma il mio fratellino è anche più piccolo di me, quindi avrà freddissimo, poverino. Tienilo sotto la coperta e non farlo uscire, mi raccomando.”
  Detto questo, Fili saltò giù dal letto e trotterellò via.
  Dìs scostò immediatamente la coperta, tornando a respirare, ma una vocina stridula la rimbrottò subito dopo.
  “Mamma! Ti ho detto di non farlo uscire! Guarda che papà me l’ha detto, che sei un uovo, per cui bisogna aspettare che sia pronto a uscire, e intanto deve stare al caldo”, e le lanciò sopra un’altra coperta.
  Pirli, scherzosamente o intenzionalmente, aveva definito sua moglie in molti modi, ma ‘uovo’ non gliel’aveva ancora mai detto. Avrebbe voluto chiedere spiegazioni a Fili, ma lui era sparito di nuovo, e Dìs non aveva proprio voglia di alzarsi per inseguirlo.
  Il bambino rispuntò di lì a poco, rallentato dalla bracciata di coperte che quasi gli impedivano di vedere dove stesse andando.
  “No, no, no. Fermo, non ci provare nemmeno”, intervenne subito Dìs, nel vederlo avvicinarsi col suo minaccioso carico “Non so proprio cosa possa averti detto tuo padre, ma ti posso assicurare che tutte queste coperte proprio non mi servono, a meno che tu non stia cercando di far scoppiare dal caldo me e bollire tuo fratello come una patata.”
  Dìs era una brava madre, ma alle volte la sua appartenenza alla stirpe di Durin e il retaggio che ne derivava erano fin troppo evidenti. L’onestà e l’amore per la franchezza sono infatti doti rimarchevoli, ma esistono persone, come ad esempio i bambini, con cui vanno dosate con parsimonia.
  In quel caso specifico, un abuso di questi elementi convinse il piccolo Fili di aver appena ucciso il suo fratellino non ancora nato. E di fronte a questa drammatica prospettiva la reazione più plausibile da parte di un bambino di quattro anni è quella di mettersi a piangere.
  Così, mentre Fili belava e piangeva inconsolabilmente tra le braccia di sua madre, in camera irruppe un preoccupatissimo Pirli.
  “Cosa sta succedendo?”, domandò, mentre Fili pareva aumentare la portata del proprio dolore strillando ancora più forte.
  “Non lo so!” esclamò Dìs, che in tutta sincerità non aveva idea di cosa avesse mai potuto dire di male.
  “Fili, bambino mio, che ti è successo?”, chiese Pirli, cercando di calmare il figlioletto “Pensavo fossi felice di avere un fratellino, non è così?”
  Per tutta risposta, Fili raddoppiò le urla. La mamma lo prese in braccio e se lo strinse al seno, un po’ per consolarlo, un po’ per soffocare l’intensità del pianto, che stava oggettivamente diventando preoccupante.
  “Cosa diamine è successo?”
  “So solo che ha cominciato a portarmi coperte su coperte, e, a tal proposito, non ho idea di che baggianata tu gli abbia raccontato, perché se ne è venuto fuori con la storia che io sarei un uovo e che il bambino ha bisogno di caldo, come se non ce ne fosse già abbastanza…”
  “Io non volevo fare del male al fratellino, mamma, devi credermi!” mugolò Fili, tra le lacrime e i singhiozzi.
  “Ma certo che ti crediamo, sciocchino, non piangere. Perché dovresti avergli fatto male?”
  Fili rivolse gli occhioni umidi al papà.
  “La mamma ha detto che l’ho fatto bollire.”
  A quel punto perfino Pirli, che era il Nano dall’anima più bonaria e gentile che Mahal avesse messo sulla Terra di Mezzo, guardò in cagnesco Dìs. Perché era la nana che amava di più al mondo e portava in grembo suo figlio, ma tutto ha un limite.
  “Ma che c’entra”, si difese lei “stavo solo scherzando.”
  Lo sguardo di Pirli comunicò eloquentemente che si trattava di uno scherzo orrido e certo non alla portata di un bambino di quattro anni, e alla fine gli sforzi congiunti di entrambi i genitori riuscirono a persuadere Fili che suo fratello era vivo e perfettamente in salute. Come conferma finale, gli permisero di accostarsi al pancione della mamma e sentire i movimenti del nascituro, cosa che lo tranquillizzò.
  “Se gli dico una cosa, lui mi sente?”
  “Certamente.” Lo rassicurarono i genitori, esortandolo a parlare. Fili sorrise e si rivolse con decisione a un punto poco al di sopra dell’ombelico della mamma, doveva aveva stimato che dovesse trovarsi il viso del suo fratellino.
  “Ciao, io sono il tuo fratello grande. Quando vuoi uscire, io sono qui. E scusa per prima, non pensavo che i bambini fossero come le patate.”
  Dìs ebbe la decenza di puntare lo sguardo lontano per evitare l’occhiata del marito.
  “Fammi indovinare: un altro scherzo dei tuoi?” commentò gelidamente Pirli.
  Dìs si mantenne sul vago, anche per timore di risvegliare brutti pensieri nella mente del figlio, e Pirli preferì evitare di indagare oltre, borbottando qualcosa che sembrava tremendamente simile a: “Lo stesso senso dell’umorismo del fratello.”
 
 
  La famiglia dei Monti Azzurri fu benedetta dalla nascita di un altro bambino verso l’inizio della stagione delle piogge, quando il paesaggio aveva appena iniziato a colorarsi del rosso dell’autunno. Al bimbo, che godeva di piena salute ed era nato senza complicazioni di sorta, fu dato il nome di Kili.
  Qualche ora dopo la nascita il piccolo Kili fece conoscenza con suo fratello, che accolse il nuovo arrivato dicendo che se lo aspettava più grande. Ma era un bambino accomodante, e quando gli spiegarono che con il tempo sarebbe cresciuto e avrebbero potuto giocare insieme, Fili parve soddisfatto.
  Raccomandandogli grande attenzione e tenendolo d’occhio, Dìs e Pirli gli misero il fratellino tra le braccia, e lui studiò per bene quella creaturina così piccola, con un ciuffo di capelli nerissimi e gli occhi ancora chiusi.
  Inebriato dal pensiero di poter parlare per la prima volta al fratello senza barriere di sorta, Fili decise di sussurrargli qualcosa al minuscolo orecchio.
  “Un po’ ci assomigli, a una patata. Una patata rossa. Ma va bene lo stesso, sai. Ci penso io a te.”
  Non era granché, come frase, e nessuno dei fratelli ne portò a lungo il ricordo, ma servì a sancire una lunga serie di segreti sussurrati e condivisi.
  Fu invece qualcos’altro a rimanere per molto tempo nella mente di Fili, malgrado non se ne sapesse spiegare il motivo. Basti comunque sapere che, finché suo fratello era nei paraggi, Kili non soffrì mai il freddo, perché laddove c’era Fili, si poteva star certi che ci fosse anche una coperta.

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Capitolo 4
*** Il compleanno di un guerriero. ***


Note autrice:
Storia scritta per l'iniziativa Drabble in itinere, che sembra una cosa seria e professionale, e in realtà è un modo creativo per passare il tempo durante un lungo viaggio.
Dedicata al mio caro brò e compagna di malefatte lady hawke, che oggi compie gli anni e quindi va osannata più del solito.
Prompt: Borchia
Canzone (usata con intenti epici ma in netto contrasto coi marmocchi protagonisti): Dovakhin http://www.youtube.com/watch?v=UsnRQJxanVM

 


Malgrado le continue rassicurazioni di mamma Dìs, il giovane Kili rimaneva dolorosamente convinto che Fili gli portasse ancora rancore per ciò che era successo due settimane prima, quando, desideroso di poter emulare il fratello maggiore, già iniziato alle pratiche del combattimento, Kili non aveva resistito e aveva indossato il suo giubbetto di cuoio e provato la sua spada, non più di legno e non ancora di acciaio temprato, ma comunque una lama di metallo vero, e quindi una tentazione troppo forte per il bambino, che pure conosceva la gelosia ossessiva di suo fratello nei confronti di ciò che era suo, e suo soltanto.
  Probabilmente, se gliel’avesse chiesto, avrebbe acconsentito a farglieli provare, ma Kili voleva l’ebbrezza di vedersi armato come un guerriero, senza suo fratello lì dietro, a ricordargli che non era certo lui il più grande, il più alto o il più forte.
  Solo che, intento com’era ad aggiustarsi il giubbetto troppo grande e mulinare la spada troppo pesante, non si accorse che Fili era arrivato, e non sembrava affatto felice di vedere che qualcuno stava usando le sue cose senza permesso.
  In un’imitazione inquietantemente realistica di zio Thorin, Fili non ebbe bisogno di dire niente, limitandosi a guardare Kili con aria di deluso rimprovero, mentre l’altro pigolava parole di scusa.
  Non erano rimasti segni dell’arrabbiatura, e Fili era tornato il fratello di sempre, ma la sua attrezzatura da addestramento era adesso sottochiave, e Kili si convinse di aver perso la fiducia del fratello.
 
  Passarono ancora cinque giorni, ed esattamente tre mesi dopo il Giorno di Durin, arrivò finalmente il compleanno di Kili.
  Fu con gioia inesprimibile che il piccolo si vide consegnare un giubbetto identico a quello di Fili, e gli fu detto che avrebbe iniziato l’addestramento alle armi non appena lo avesse desiderato.
  “Ora!” esclamò Kili, al colmo della felicità, correndo fuori.
  Quattro secondi dopo tornò indietro, baciò sua madre, abbracciò suo fratello e afferrò suo zio per mano, trascinandolo fuori.
 
  Dopo un estenuante ma gratificante pomeriggio trascorso a farsi insegnare le basi della tecnica con la spada, Kili era stravolto dalla stanchezza ma raggiante come non mai. Senza preavviso, abbracciò nuovamente suo fratello, in un cozzare di borchie e cuoio.
  “Grazie.” Gli disse.
  “Per cosa?”
  “Per aver convinto lo zio ad anticipare il mio allenamento.”
  Fili ricambiò l’abbraccio, favorevolmente stupito dall’acume del fratellino.
  “Era l’unico modo per non farti più rubare le mie cose – e gli fece un buffetto sul naso – E ora allontanati, ché puzzi.”
  “Tu puzzi di più.”
  “Il tuo è puzzo, il mio è odore di guerriero.” Chiarì Fili.
  “Se il valore in battaglia si misurasse così, state pur certi che sareste entrambi due grandi guerrieri.” Li riprese mamma Dìs con affetto, quindi li spedì a fare il bagno.

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Capitolo 5
*** Gran brutto mestiere ***


Pacchetto: FIXER UPPER
- Potremmo farlo, sai? Scappare. Vivere nei boschi. Tu e io potremmo farcela. (Hunger Games)
- Supernatural:http://1.bp.blogspot.com/-7uVYwPKX0W4/UdtJ8QkwPgI/AAAAAAAAE0k/tgujvrgetME/s1600/Phantom%2BP.jpg
L’immagine funge da ispirazione solo per la consueta faccetta marpiona di Dean. Perché sì.
 
Nota: i dialoghi originali mi sfuggono completamente e non ho le banane di andarmeli a risentire. Troppa Tauriel. Troppissima. Abbiate pietà.
Ulteriore nota: i dialoghi in corsivo segnalano che il discorso si svolge in elfico, di cui naturalmente ho una conoscenza plenaria e sfaccettata – dovreste sentirmi mentre imito l’accento di Lothlorien, nemmeno Galadriel saprebbe dire la differenza – ma non pretendo che ce l’abbiate tutti. Per cui Lingua Corrente per tutti.
La scena, com'è facilmente intuibile, è la mia personale versione del momento in cui i Nani vengono individuati dagli Elfi a Bosco Atro, subito dopo l'attacco dei ragni. Ho trovato che fosse uno dei momenti più geniali del film, per cui non potevo certo esimermi dal rappresentarlo a mio modo.
Non c'è bisogno di dire che Fili volontariamente non si premura di appurare il genere dei propri interlocutori elfici.

Disclaimer: vi stupirò dicendovi che i personaggi non mi appartengono. Elradel sì, ma non è un merito che definirei notevole.

Ogni commento sarà benaccetto.
Ciao-ciao,
Charme.


 
 




  “Perquisiteli. Che nessun’arma resti in mano loro. Questi Nani sono pieni di risorse.” Ordinò Legolas alla pattuglia. I suoi uomini annuirono e procedettero. Dovevano proprio essere tempi oscuri, se i Nani osavano insozzare Bosco Fronzuto con la loro laida presenza.
  Elradel poteva vantare di far parte del corpo di guardia scelto di Re Thranduil da molti secoli, e mai avrebbe pensato che un giorno gli sarebbe toccato accollarsi l’ingrato compito di tastare un Nano, e pensò con rammarico che avrebbe dovuto lavarsi via la pelle con uno strigile, perché l’orrenda sensazione data dal contatto con quegli orrendi gnomi pelosi scomparisse.
  Un pugnale nascosto sotto la rozza casacca di uno di quegli esseri finì in un sacco destinato a un’attenta fumigazione.
  “Ehi, vediamo di stare attenti. Dalle mie parti si offre almeno qualcosa da bere, prima di mettere le mani addosso.”
  Elradel guardò con disprezzo tangibile il Nano che aveva parlato. Magnifico, gliene era toccato uno con il senso dell’umorismo.
  “Se dipendesse da me non ti toccherei nemmeno con una pertica lunga sei iarde, Nano.” Commentò, senza abbassarsi a parlare una lingua che il Nano potesse comprendere.
  “Io però la mamma non te l’avevo mica offesa.” Ribatté il Nano, mentre osservava con aria corrucciata l’ennesimo pugnale che gli veniva estratto dai risvolti della casacca.
  Elradel constatò che rivolgere parola a quell’orrido subumano era un’autentica perdita di tempo, e optò per il silenzio.
  “Senti un po’, già che ci sei, dammi una grattatina sulla schiena, ché non ci arrivo…”
  L’Elfo lo fulminò con lo sguardo, ma il Nano non parve colpito.
  “Ignoralo, Elradel, cerca soltanto di innervosirti.” Intervenne il Principe, che aveva assistito alla scena.
  “Certamente, mio signore.”
  “Ah, ho capito, hai un debole per i capelli biondi. Non ti sentire intrappolata dalle convenzioni, vivi il tuo sogno e fatti avanti con la biondina, lì. È un po’ secca, ma magari a te piace…”
  Il volto di Elradel parve diventare un tizzone ardente, ma l’Elfo non proferì parola, dando sfogo alla propria furia scagliando a terra l’ennesimo pugnale – seriamente, quanti pugnali aveva indosso quel coso maledetto? – e facendogli emettere un tonfo sordo malgrado il terreno fosse ricoperto da uno spesso strato di muschio.
   La perquisizione proseguiva, e il Nano si faceva sempre più impertinente, e il silenzio ostinato dell’altro non sembrava sufficiente a farlo demordere.
  “Davvero, sono onorato da tutte le tue attenzioni, e forse in un’altra situazione ti avrei assecondata. Potremmo farlo, sai? Scappare. Vivere nei bosc-”
  “Mio signore, non li si può proprio imbavagliare? Almeno questo qui?” Elradel sentì che era giunto il momento di chiedere delle ferie. O perlomeno un consistente aumento di stipendio.

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Capitolo 6
*** Una serata di ben educate frivolezze. ***


Mix tra pacchetto 8 di Maiwe e pacchetto Frozen heart di MedusaNoir.

Prompt: Simpaticamente
Canzone: I see fire - Ed Sheeran
Citazione: - Era, si disse, la differenza tra l'essere trascinato nell’arena ad affrontare una battaglia mortale e scendere nell'arena a testa alta. (Harry Potter)
 
 
Per la costruzione di Galion mi sono rifatta quasi totalmente al Maiwe-verse, mia fonte ispiratrice primaria. A lei i meriti e a me gli eventuali demeriti. L'unico personaggio di mia invenzione è Elradel, inventato nello scorso capitolo di questa stessa raccolta.
 
 
  Sorvegliare le celle dei prigionieri era un compito di grande responsabilità e prestigio.
  Il fatto che si stesse perdendo le celebrazioni di Meleth en Gilith passava in secondo piano, perché il suo signore Thranduil gli aveva affidato una mansione d’importanza critica. E poi la Festa della Luce non era nemmeno tra le sue festività preferite. Troppa musica, troppa gente… troppa luce. Era in servizio, e avrebbe adempiuto i propri doveri con orgoglio e senza rimpianto alcuno.
  Galion si stava prendendo in giro da solo, e purtroppo lo sapeva benissimo.
  Chi – chi – avrebbe preferito la compagnia dei Nani a una serata di ben educate frivolezze* con la propria gente? Sicuramente non Galion.
  “Signor Elfo signore?” Un’orrenda voce gracchiante lo distolse dalla propria attenta opera di autocommiserazione.
  Galion non era dell’umore adatto per conversare con dei Nani, e sentiva che non lo sarebbe mai stato. Ignorò il richiamo, e per qualche secondo tornò il silenzio.
  “Signor Elfo signore?”
  Poteva sempre fingere di non parlare la Lingua Corrente. Un sacco di Elfi non parlavano la Lingua Corrente. Evidentemente c’era gente più saggia e lungimirante di lui.
  “Fili, non mi risponde.” Un’altra, orrenda voce rispose alla prima.
  “Forse non è un signore.”
  “Signor Elfo signore, sei per caso una signora?”
  No. Non poteva averlo chiesto davvero.
  Il felice proposito di non rispondergli andò a farsi benedire.
  “Vengo forse io a questionare sul tuo genere, Nano?” sbottò Galion.
  “Ma io quando una cosa non la so la chiedo. Non voglio mica rischiare di offendere qualcuno.” Spiegò Kili, adamantino.
  “Esistono curiosità che è bene mantenere celate nel proprio cuore.” Disse Galion, in un tono che ritenne essere pacato e indifferente, proprio come piaceva a lui. Era importante mantenere quel tipo di distacco, con individui del genere. Era, si disse, la differenza tra l'essere trascinato nell’arena ad affrontare una battaglia mortale e scendere nell'arena a testa alta.
  “Signor Elfo signore?”
  Distacco, Galion.
  “Sì?”
  “Ho fame.”
  “Tragicamente, non sono io a occuparmi dei pasti. Toccherà attendere.”
  “Sì, però io ho fame lo stesso.”
  “Il tuo Re ha fatto un gran parlare di tenerci come ospiti e non come prigionieri, ma inizio a pensare che ci sia un’incompatibilità culturale, se questo è il modo in cui intrattenete degli ospiti.”
  “Fatalmente, neppure le decisioni del Re sono di mia competenza.”
  Gran bella cosa, il distacco.
  “Signor Elfo signore?”
  “Sì.”
  “Non si può avere qualcosa da fare?”
  “Ecumenicamente, la meditazione è un ottimo modo per passare il tempo e riflettere sulla propria condizione.”
  “Magari lo sarà tra gli Elfi, a me sembra una noia unica.”
  Nella mente di Galion si dipinse nitidamente un’immagine dai tratti indiscutibilmente paradisiaci che riguardava l’impiego di una torcia appesa a un gancio lì vicino e la consistenza sicuramente ad alto tasso infiammabile dei peli dei Nani.
  “Simpaticamente, a me accade di essere un Elfo, perché la trovo un’attività molto rilassante.” Disse Galion, mentre in evidente contrasto con le sue parole, si torceva le mani, facendo scrocchiare le giunture.
  In quel momento la porta si aprì, e Galion accolse con gaudio l’arrivo del suo amico Elradel, della Guardia Reale. Prima che potessero scambiarsi parole di saluto, però, furono interrotti dall’ennesimo intervento dei Nani.
  “Guarda chi è arrivato, Fili!”
  “Ciao, moretta!”
  La testa di Elradel si voltò di scatto come quella di un rapace, e il suo sguardo si soffermò sul Nano che a Galion era parso meno fastidiosamente irritante.
  “E così, egli vive ancora.” Constatò con evidente rammarico Elradel.
  Galion, illuminato dall’amico sul tremendo evento della perquisizione, tentò di erudirlo riguardo al suo metodo del distacco, ma alla quindicesima interruzione dei Nani, che a quanto pareva stavano ingannando fame e sete discutendo sulle fogge degli abiti elfici, paragonandoli alle tende della nonna, la tecnica del distacco fu gettata alle ortiche.
  Avere la testa un po’ leggera non poteva certo essere peggio che sentire risuonare le considerazioni sciocche e inconcludenti dei due Nani imprigionati. Fu così che iniziò una serata di bevute che sia Galion che Elradel erano convinti non avrebbe avuto alcuna ripercussione.








*Citando la Professoressa McGranitt nel Calice di Fuoco [film].

 

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