Sweet ( ? ) awakening di Sisya (/viewuser.php?uid=23876)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sweet ( ? ) awakening ***
Capitolo 2: *** Crepes for dinner? ***
Capitolo 3: *** Merry Christmas! ***
Capitolo 4: *** A too much crowded bed ***
Capitolo 5: *** Just a Milk’s tale ***
Capitolo 6: *** Hands on a Miracle ***
Capitolo 7: *** Love Actually Is ***
Capitolo 1 *** Sweet ( ? ) awakening ***
Sweet
(?) Awakening *O*
La
sveglia trillò allegramente sul comodino, come ogni mattina.
Roy
sbadigliò, sfregandosi una mano sugli occhi ancora
assonnati, e come
al solito dovette fare un enorme nonché sovrumano
sforzo per trattenersi dal carbonizzare all’istante quel
malefico
apparecchio disturbatore. Sette
e mezza. Se non si sbrigava, con ogni probabilità avrebbe
fatto
tardi. Dopo circa un nanosecondo di profonda meditazione, nel quale
rifletté a lungo sulla solerzia e sull’efficienza
che un
colonnello era tenuto a mostrare costantemente, e sui propri doveri
nei confronti dei suoi sottoposti, Roy Mustang si rigirò
pigramente
dal lato opposto del letto, portandosi il lenzuolo fin sopra la
testa. Sorrise brevemente e fece per affondare di nuovo la faccia nel
cuscino, quando un insolito e sospetto click
a
distanza molto ravvicinata gli fece capire che quella mattina avrebbe
davvero
fatto
meglio a darsi una mossa.
- Signore, le do cinque minuti - sussurrò lei, con la voce
calma di
sempre, come se gli stesse soltanto augurando il buongiorno come una
mogliettina qualunque, e non
minacciandolo con la
sua calibro nove puntata alla tempia.
Sospirò,
arrendendosi agli ottimi e convincenti
argomenti
del suo tenente. Si tirò a sedere, mugugnando qualcosa di
imprecisato; ma bastavano un soffio leggero vicino al suo orecchio,
due labbra morbide a sfioragli la fronte, e già
l’impresa di
scendere dal letto non gli sembrava più così
utopistica. Sentirla
ridere poi, lo metteva sempre di buonumore. Ancora mezzo
addormentato, recuperò la divisa da un cassetto
dell’armadio e si
diresse in tipico stile zombie
verso
il bagno, evitando per un pelo di inciampare nel tappeto e ritrovarsi
per terra con il naso spappolato.
Riza
aveva già preparato la colazione.
L’odorino
invitante di toast caldi, brioche e caffelatte lo raggiunse dalla
cucina. Si fermò un attimo sulla soglia della porta, con le
dita
strette intorno alla maniglia. Si ritrovò di nuovo a
sorridere al
pensiero che fino a poco tempo prima, se riusciva a bersi il
caffè
putrido della macchinetta era già tanto. Ma
adesso Riza sarebbe stata capace di rincorrerlo sul pianerottolo in
pigiama se solo si
fosse azzardato a uscire di casa senza aver mangiato. Erano cambiate tante cose, da quando Riza Hawkeye era diventata la sua
donna. Per
esempio, ora godeva del privilegio di stare in sua compagnia molto
più spesso, e anche solo questo era da considerarsi un
evento
grandioso. Inoltre
aveva chiuso con i vari appuntamenti notturni - su esplicito e
cordiale
suggerimento di un revolver appena caricato -
anche
se ogni tanto, era capitato che ricevesse ancora delle telefonate di
qualche sua vecchia conoscenza
che
gli proponeva di ricordare
insieme i bei tempi passati. Ovviamente,
essendo lui un uomo di indubbia
integrità morale, era sempre stato ben lungi
dall’accettare simili
sconvenienti proposte, soprattutto
da quando la sua dolce metà aveva chissà come
intercettato una
chiamata, facendogli sperimentare l’ebbrezza di dormire per
due
mesi sul divano, per la gioia della sua povera schiena. Per
di più aveva scoperto che avere una palla pelosa - meglio
conosciuta
come Black Hayate - che gli gironzolava per casa divorando una
scatola di croccantini dietro l’altra - e non solo quelle,
visto
l’aspetto pietoso che ormai avevano raggiunto le sue
pantofole da
camera - non era esattamente ciò che si aspettava da parte
di un
cane ben ammaestrato.
-
Roy Mustang sei stato avvertito! Cinque, quattro, tre, due …
- si sentì una specie di scatto metallico in sottofondo, e
il
colonnello giudicò quindi molto saggio catapultarsi dentro
al bagno
senza ulteriori ripensamenti. Se
c’era una cosa che aveva imparato in tutti quegli anni, era
che
Riza Hawkeye non bisognava farla arrabbiare, anche a costo di
scivolare sulle mattonelle bagnate e perdere qualche dente nello
scontro ravvicinato con il lavandino. Si
infilò gli stivali saltellando, dopo aver passato una
mezz’ora buona a prepararsi - o più che altro a chiacchierare con lo
specchio
- e appoggiandosi poi allo stipite della porta, si bloccò di
colpo
con una gamba a mezz’aria. Era
strano vedersela comparire davanti così, ogni giorno.
Ritrovarsi
una Riza Hawkeye che ciabattava in cucina, ancora avvolta nella sua
camicia da notte, con qualche ciocca dorata sfuggita al fermaglio, e
quell’espressione tranquilla, quasi ingenua …
era
una cosa fin
troppo impensabile per potercisi semplicemente abituare. Tutte le
volte sentiva il tremendo impulso di fermarsi a spiarla senza essere
visto, rubandole quei piccoli attimi di spontaneità che lo
coglievano sempre di sorpresa. Non
si era ancora accorta di lui. Stava addentando una mela con una voracità sconcertante, appollaiata sullo sgabello, mentre con la
mano sinistra teneva un plico di documenti in bilico sulle ginocchia,
chinata in avanti, leggermente - tanto
-
impedita dal pancione che spuntava nettamente da sotto la stoffa
azzurrina. Roy
inclinò la testa da un lato, incrociando le braccia sul
petto e
sfoggiando uno dei suoi soliti sorrisetti ironici, senza smettere di
fissarla. -
Tenente Hawkeye, sei un caso irrecuperabile - fece ad un certo punto,
scostandosi la frangia dagli occhi ed entrando a grandi falcate nella
stanza, facendola trasalire - Non ti avevo forse detto di lasciar
perdere quelle brutte scartoffie e riposare? -
Si
chinò in avanti, accostando la fronte alla sua e
accarezzandole
gentilmente una guancia.
Le
dita affusolate di lei si strinsero automaticamente intorno alla sua
mano. Sorrise
nel vederla arrossire ancora di più per quel gesto
istintivo. Non si
sarebbe mai immaginato di poterla vedere così. Anche
se a volte non riusciva proprio a fare a meno di prenderla in giro,
quando scomparivano inspiegabilmente
le
barrette di cioccolato dal frigorifero, o quando non riusciva ad
alzarsi da sola dal divano e sbuffava come una pentola a pressione
perché costretta a chiedere il suo aiuto, sapeva comunque
che non si
sarebbe mai stancato di guardarla camminare con
quell’andatura
dondolante, adorabilmente impacciata, e quel sorriso un po’
sciocco
sulle labbra. Riza
Hawkeye, che per tanto tempo era stata per lui soltanto il suo
braccio destro, il suo tenente perfetto. Quando
l’aveva conosciuta, gli era sembrata una delle tante. Niente
di
speciale, insomma, aveva visto anche di meglio; eppure,
chissà
perché, il suo fascino irresistibile con lei sembrava sempre
fare
cilecca …
Lui, che
riusciva sempre ad ottenere ciò che desiderava, Lui
semplicemente
non
poteva
essere respinto! Era assurdo, inaccettabile!
Un
giorno poi, Roy Mustang finalmente aveva capito.
Era
l’orario di uscita, fuori stava nevicando e tutti quanti
erano già
andati via dal un bel pezzo per rifugiarsi al calduccio.
Riza
stava ancora firmando i documenti al suo posto, così come
ormai si
era rassegnata a fare, vista la scarsa iniziativa del colonnello.
Roy
si era appena alzato dalla scrivania, stiracchiandosi pigramente,
aveva raccattato il cappotto e si era avviato verso la porta. Un
leggero tonfo però lo aveva fatto voltare e tornare sui suoi
passi.
Il suo sottotenente a quanto pare si era addormentato, stravolto, con
il capo appoggiato sul tavolo e alcune ciocche bionde che le
ricadevano sul viso, la stilografica ancora in mano. Era stato in
quel momento, che il colonnello Roy Mustang aveva realizzato che Riza
Hawkeye non era proprio per niente una
delle tante,
rendendosi conto con un certo sgomento che quella
volta, con Lei sarebbe stato completamente diverso. Così si era chinato, le aveva
coperto
le spalle col proprio cappotto, scostandole gentilmente i capelli
dalla guancia, ed era tornato alla scrivania, dove aveva passato il
resto delle quattro ore seguenti firmando fogli su fogli, lanciandole
ogni tanto delle occhiatine di sottecchi e sorridendo. Aveva
cominciato ad osservarla sempre più spesso, in ufficio,
seduto
scomposto con il mento appoggiato al palmo della mano e i piedi sul
tavolo, soprattutto mentre ascoltava le chiamate di noiosa routine,
annuendo ogni tanto al monologo del suo superiore; e Hughes intanto
lo teneva d’occhio con un sogghigno, spanciandosi poi
letteralmente
dal ridere quando, sbilanciatosi un po’ troppo,
l’intrepido
colonnello finiva per ribaltarsi con la sedia portandosi dietro tutto
il telefono. Si
era innamorato. E
un sentimento del genere, così inaspettato e sconvolgente …
fin
dal principio, aveva dato per scontato che non sarebbe stato semplice
…
ma poi
tornava a guardarla. Sempre al suo fianco, discreta e silenziosa, di
una bellezza tanto spontanea da risaltare persino sotto
l’uniforme.
E lui si diceva una volta di più che sì, valeva
comunque la pena
tentare.
Si
sporse a baciarle la punta del naso, con un sorrisone innocente, per
poi accostare un orecchio al suo ventre, passandoci sopra una mano e
rimanendo in attesa - Come sta oggi la mia principessina? Scommetto
che la mamma continua a farti fare indigestione, eh? -
sussurrò alla
pancia di Riza, ridacchiando - Pensa un po’ che ieri sera
sono
stato
pure
costretto
ad uscire di casa alle tre di notte per andare alla ricerca di un
pasticcere ancora aperto perché …
-
Riza incrociò le
braccia sul petto, un po’ offesa, e lui subito si
affrettò a
interrompersi, preoccupato. La
gravidanza sembrava averle fornito la scusante perfetta per potersi
concedere ogni tanto anche lei di mettere su il broncio e comportarsi
da ragazzina permalosa, facendo letteralmente impazzire il povero
Roy. -
Davvero
avresti
preferito
che tua figlia nascesse con un’enorme voglia a forma di
plumcake
sulla faccia? - borbottò lanciandogli un’occhiata
di traverso.
-
Mmh?
…
oh, beh …
Sarebbe stata comunque bellissima come
te -
sussurrò
sfregando la guancia contro la sua con un mugolio di scuse.
Lei
fece per ribattere qualcosa a proposito di un certo
ruffiano di sua conoscenza, ma due labbra umide e invitanti non
lasciarono spazio a ulteriori lamentele. Roy fece passare un braccio
sotto alle sue gambe, l’altro dietro alla schiena, e
sollevandola
di peso dallo sgabello la appoggiò sul bordo del tavolo
spostando
non molto elegantemente da parte le scodelle del latte per farle
posto. Riza si portò un indice sulle labbra, soffocando una risata mentre gli cingeva il collo con le braccia, accogliendo la bocca e intrecciando
le gambe intorno ai suoi fianchi - Buongiorno
anche a te, amore -
-
Che cosa state facendo voi
due?
- domandò una
vocina assonnata ma dal tono palesemente accusatorio.
Un
bimbo sui cinque anni fece capolino da dietro la porta, con il
pollice in bocca e gli occhioni scuri spalancati. Sfoggiava
un ridicolo pigiamino con degli orsetti ballerini - un capo
d’abbigliamento all’ultima
moda,
secondo il Generale Grumman, che da qualche tempo aveva scoperto la
gioia di dedicarsi allo shopping per il suo nipotino prediletto - ed
era seguito fedelmente da Black Hayate, la personale guardia del
corpo del piccolo Mustang. I due poveri genitori appena colti in flagrante si affrettarono ad
allontanarsi, fingendo con molta nonchalance
di non notare il tavolo disastrato e il colorito fosforescente delle
loro guance - Non dovresti essere ancora a letto, tu? -
borbottò Roy
con tono scocciato, girando il cucchiaino a vuoto nel suo
caffè. Il
bambino acchiappò la scatola dei cereali sbadigliando, e nel
riempirsi la tazza riuscì a versarne la metà
sulla tovaglia.
-
Tu
russi
-
-
Che cosa??
Io non russo affatto, marmocchio impertinente! - esclamò lui
scandalizzato, e ricevendo una pernacchia come risposta. Il
bambino mollò il cucchiaio nella ciotola, preoccupato,
avendo notato
l’occhiata per nulla rassicurante del padre che prometteva
solletico fino alle lacrime. Riza, rossa in faccia come un pomodoro e
ancora appollaiata sul tavolo, sospirò passandosi due dita
sulla
fronte.
Con
quei due era troppo chiedere una colazione normale dove perlomeno non
volassero fiocchi d’avena sul soffitto della cucina!
Racimolando
ogni briciolo della sua proverbiale calma, bevve un lungo sorso di
aranciata, accavallando le gambe.
Inarcò
un sopracciglio. In fondo, si ricordò, la sua fondina non
era poi
molto lontana.
I due uomini di casa, bloccandosi nel bel mezzo di un inseguimento, si scambiarono un’occhiata nervosa.
Roy
acchiappò il bambino da sotto le spalle posandolo
velocemente sulla
sedia, e assecondando un naturale istinto di conservazione, prese
posto a sua volta. Riza allungò una mano per scompigliare i
capelli
del figlioletto, che le rivolse un sorrisetto con i baffi di latte ai
lati della bocca. Erano
un vero disastro come famiglia …
ma forse
era proprio per questo che li amava così tanto.
Roy
Mustang si chiuse la porta alle spalle e scese i gradini con passo
ciondolante.
Prese
un respiro profondo, godendosi la prospettiva di quella che si
annunciava una tranquilla passeggiata.
I
caldi raggi del sole s’infilavano tra gli alberi del viale,
giocando a nascondino tra i rami e sgusciando qua e là nelle
zone
d’ombra.
Da
qualche mese si era ormai abituato a fare la strada da solo, senza la
presenza costante di Riza che lo seguiva.
E
un pochino gli mancava, doveva ammetterlo. Un pochino tanto.
Soprattutto
da quando in ufficio gli era stato assegnato come sostituto
temporaneo un donnone con una particolare predisposizione per i begli
ufficiali. Si calcò il cappello sulla testa, rabbrividendo al solo pensiero di cosa lo aspettava, e infilandosi subito le mani in tasca in cerca di
calore. Ogni
respiro si condensava nell’aria fredda del primo mattino.
Dopo aver
mosso qualche passo, controvoglia, non fece neanche in tempo a
sospirare di disappunto che si sentì tirare per la manica e
fu
costretto a voltarsi, chinando il capo, e ritrovandosi il suo
primogenito attaccato alla divisa, che lo fissava con occhioni
imploranti. Oh-Oh.
Quello
sguardo
non prometteva mai niente di buono.
-
Che cosa ci fai tu
qui?
Ritorna subito
dentro! - esclamò dopo un attimo di sorpresa, scuotendo
l’indice
con un tono che non ammetteva repliche. Il
bimbo scosse la testa con decisione e incrociò le braccia
sul petto,
imbronciandosi. Si era infilato le scarpe e la sua giacca a vento
preferita, ma sotto aveva ancora il buffo pigiama. I capelli neri un
po’ arruffati gli ricadevano sulla fronte aggrottata, le
manine si
aggrappavano disperatamente alla stoffa dell’uniforme.
-
Io vengo con te! -
Roy
si passò una mano sulla faccia, sospirando.
Ancora!
Si
accovacciò sulle gambe per guardarlo fisso negli occhi.
-
Non si può, lo sai. Ora torna dentro. Su, da bravo,
obbedisci -
Il
bimbo gonfiò le guanciotte, impuntandosi ancora di
più e scuotendo
di nuovo la testa.
-
Se non mi fai venire …!
-
esclamò ad un
certo punto stringendo i pugnetti in segno di sfida. Roy
inarcò un sopracciglio -
Io
vado a raccontare al nonno e alla
mamma che
sabato non
sei venuto a prendermi a scuola per stare a dormire sul divano! -
- C-che
cosa
…? -
balbettò Roy preso in contropiede, strabuzzando gli occhi -
Che stai
dicendo? …
ma
ma io
sono venuto sì
a …!
-
e qui poi realizzò cosa effettivamente stesse tramando quel
piccolo
ricattatore -
Arrrgh!
Ma
da chi diavolo
avrai preso??
E va bene, d’accordo! - Lo
prese per mano, borbottando qualcosa di incomprensibile tra i denti,
e cominciando a camminare mentre il bambino gli teneva dietro con un
sorrisone vittorioso stampato sulla faccia. -
…
papà
? - chiamò dopo un po’ con voce cantilenante,
scrollandolo per un
braccio - Comprami una frittella -
-
Eh?
Come
sarebbe a dire una
…?
-
Il
bimbo sfoderò un'altra smorfietta eloquente, così
simile alla sua,
che Roy si ritrovò per la seconda volta zittito nel giro di
pochi
minuti.
Sbuffando
come un bollitore del the, lo strattonò
dall’altro lato della strada, nascondendo alla
bell’è meglio un
sorriso sfacciatamente orgoglioso dietro al giornale. Perché
lo
sapeva, non c’era altro luogo al mondo in cui avrebbe voluto
essere, al di fuori di dove si trovava ora. La
felicità in fondo è un concetto del tutto
relativo. E una frittella
caramellata gocciolante di cioccolato che si impiastriccia sulla
faccia del tuo piccolo sgorbio, ci si
avvicina
parecchio, no?
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Capitolo 2 *** Crepes for dinner? ***
Crepes for dinner
?
Roy
si arrotolò le maniche della camicia fino sotto i gomiti con
espressione stranamente concentrata.
Infilò
i guanti, aprì e richiuse le dita più volte, come
per saggiarne la
consistenza. Uno schiocco leggero, e subito una fiammella
scoppiettante si accese dal nulla, rimbalzando sul suo indice destro.
L’alchimia era qualcosa di spaventoso, certo, ma allo stesso
tempo,
in situazioni particolarmente critiche, poteva risultare un alleato
prezioso da sfruttare a proprio favore. Infatti, come previsto, i due
occhioni subito si spalancarono, affascinati. Roy, assicuratosi con
un certo compiacimento di avere tutta l’attenzione su di
sé, da
inguaribile esibizionista qual era sempre stato, ritenne dunque
opportuno mettersi all’opera in quella che, non
c’erano dubbi,
sarebbe stata ricordata negli anni a venire come una delle sue
imprese più brillanti e meglio riuscite.
D’altra
parte, se c’era di mezzo una sfida, il colonnello non era
tipo da
tirarsi indietro. Certo che no.
Dando
un’altra sbirciatina alla pagina del ricettario, giusto per
essere
sicuro, cominciò a rovistare dentro la credenza, alla
ricerca degli
ingredienti. Sostenuto
come sempre dal suo incrollabile ego, il pensiero che forse tutta
la faccenda era nettamente più facile a dirsi che a farsi
non lo
aveva sfiorato neppure per un attimo. Roy Mustang (appena
auto-elettosi per l’occasione primo chef
di Central City) si
calò dunque in un silenzio quasi religioso, rotto solo ogni
tanto da
una specie di leggero risucchio di sottofondo. Seduta a gambe
incrociate, una bambina dai codini biondi e dalla faccia paffuta
prese un lungo sorso dalla cannuccia del suo frappè,
osservandolo
con interesse dedicarsi a quella che in teoria
sarebbe dovuta
essere la loro cena.
-
Ah Ah! Osserva attentamente il tuo papà,
piccola. Chi dice
che non so cucinare, eh? guarda un po’ qui. Op!
Visto? - con
un largo movimento di braccio fece ruotare la padella, e una specie
di frittata panciuta si rivoltò in aria spargendo un odorino
agrodolce - Ah Ah! Sono un fenomeno, eh?
Op! - Ancora
un altro salto, un po’ più in alto - Ora vedremo
se la mamma avrà
ancora il coraggio di venirmi a dire che non sono neanche in grado di
accendere un fornello! Op! Op! - Una
critica personale per sminuire il suo grande orgoglio maschile, ecco
cos’era stata! E lui ovviamente non
poteva passarci sopra.
Non poteva accettare così spontaneamente quella
constatazione tanto
assurda! Eh no! ne andava del suo amor proprio
ferito! Ah,
ma gliel’avrebbe fatta vedere! Eccome!
Riza
si richiuse la porta di casa alle spalle con un sospiro sollevato,
lasciando cadere i sacchi della spesa sul tappeto. Si
inginocchiò
per scrollare la neve rimasta sulla giacca a vento del figlioletto,
con le guance accese dal freddo e i guanti premuti sulla bocca per
farsi caldo. Il bambino si sfilò in fretta la sciarpa,
correndo
tutto trafelato fino in cucina per salutare. Si bloccò sulla
soglia,
guardandosi intorno sorpreso. In rapida successione, notò: la sua sorellina che si rotolava per terra dalle risate. Una frittata
dall’aspetto malconcio spiaccicata sul soffitto. Suo padre
che
armeggiava con la rubrica del telefono, la cornetta appoggiata su una
spalla e un’ espressione che non lasciava dubbi
sull’accaduto. -
Che sta succedendo di là? - domandò Riza
vedendolo tornare indietro
con una faccia corrucciata. Il bambino incrociò le braccia,
assumendo una posa composta, e premette un labbro tremolante contro
l’altro nel disperato tentativo di rimanere serio -
Stasera si mangia cinese -
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Capitolo 3 *** Merry Christmas! ***
Merry
Christmas!
Roy
sprofondò nella sua poltrona preferita con aria alquanto
sconvolta,
una vena pulsante in fronte; aprì il giornale ad una pagina
imprecisata, cercando con ben scarsi risultati di isolarsi dallo
stato di caos generale del suo povero, ed ormai ex-tranquillo
appartamento. No, si disse, non poteva star succedendo davvero.
Doveva
esserci per forza una spiegazione logica!
Eppure, più
continuava a guardarsi intorno e più si convinceva di essere
finito
in una gabbia di matti. Era il primo anno in assoluto che, di buon
accordo, avevano deciso di passare le feste tutti insieme, ma mai,
mai si sarebbe immaginato di rincasare, la sera del
venticinque, e ritrovarsi coinvolto in un putiferio senza precedenti.
Stentava quasi a riconoscere casa sua. Da ogni angolo di soffitto
pendevano festoni colorati e ghirlande, e un inquietante pupazzo di
neve mezzo sbilenco lo fissava dal davanzale col suo sorriso
sdentato. Perciò
non appena gli era stato possibile, Roy si era appartato subito
nell’unico angolino che sembrava essere miracolosamente
scampato
all’invasione di lustrini e pacchetti colorati, facendosi
scudo con
la prima cosa che aveva avuto sotto mano per non essere coinvolto in
frenetici preparativi dell’ultimo minuto. In quel momento, un
generale Grumman come non si era mai visto prima - o quasi - gli
passò accanto con un oh-oh-oh degno del
vero Babbo Natale,
sfoggiando il tradizionale costume rosso e una barba da repertorio.
Roy
avvertì l’immediato bisogno di scomparire dentro
l’imbottitura
della poltrona.
Breda,
rassegnatosi all’eventualità di dover indossare un
grembiule
palesemente rosa, si era barricato in cucina, dove
ora stava
ingaggiando una lotta epica col tacchino da farcire, minacciando a
colpi di mestolo chiunque osasse disturbarlo. Havoc, non volendo
essere da meno, aveva ben pensato di occuparsi dell’albero di
Natale, e adesso ondeggiava in equilibrio precario sulla scaletta,
col puntale sottobraccio e la faccia di uno che stava per svenire da
un momento all’altro. E come se non bastasse, ci si era messo
pure
il maggiore Armstrong che, offertosi molto gentilmente di sistemare
gli addobbi esterni, adesso penzolava dal balcone appeso per il filo
delle luminarie, esibendosi in uno spettacolare numero acrobatico che
stava lasciando di stucco l’intero vicinato.
Stava
giusto or ora considerando tutti i pro e i contro di una ritirata
strategica nel ripostiglio, ma fu costretto ad accantonare il suo
geniale piano per fare i dovuti onori di casa ad un certo nanetto di
sua conoscenza - Purtroppo ci si rivede, stupido Taisa, eh? -
Roy abbassò il giornale con un gesto vagamente stizzito,
ritrovandosi a fissare la faccia beffarda del maggiore degli Elric,
che si era appena stravaccato sul divano accanto a lui, appoggiando
con molta poca grazia i suoi enormi anfibi sul tavolino del
soggiorno. - Colonnello, non ascolti questo maleducato. Grazie mille
per averci invitati, e Buon Natale! - esclamò Winry
precipitosamente, tendendogli un sacchetto infiocchettato, e
lanciando intanto a Ed un’occhiata così spaventosa
che lui non ci
pensò neanche due volte a rimettersi subito in piedi e
risistemare
persino la stoffa del divano dove si era seduto.
-
Ehm … Sì.
Volevo
dire, grazie per l’invito -
-
Caro fagiolino, sono spiacente di non potermi intrattenere
più a
lungo con voi, ma riesco sempre a capire quando sono di troppo.
Scommetto che tu e questa incantevole signorina entro breve avrete
ben altro a cui pensare. Mi raccomando, godetevi la festa - Rivolse
un inchino galante a Winry, che lo ricambiò con
un’occhiata
altrettanto confusa e imbarazzata, e sogghignò,
allontanandosi, nel
notare il sorriso strafottente di Ed che si spegneva
all’istante
per lasciar posto ad un pallore bianchiccio, quando finalmente si
accorsero del rametto di vischio appeso proprio sopra di loro. -
Grrr! Dove sta andando, dannato …
colonnello?! Non si
abbandona un compagno in difficoltà! Colonnello!
… ehm,
Winry non dobbiamo mica … Winry! Che
cosa stai facend…?
-
- Buon Natale, Acciaio -
- Riza?
Sei qui? - Si
richiuse la porta alle spalle, appoggiandoci sopra la schiena, e
rimase a osservarla mentre si stiracchiava sul loro letto, ruotando
la testa contro al cuscino e voltandosi a guardarlo con un pigro,
bellissimo sorriso sulle labbra leggermente arricciate in su. - Come
sta procedendo di là? - domandò lei mettendosi a
sedere con uno
sbadiglio insonnolito, lanciandogli un’occhiata a
mo’ di scusa
per averlo lasciato da solo in balia della febbre natalizia esplosa
tra i sottoposti. - Si sono fatti prendere un po’ la mano,
forse …
ma sta tranquilla, la maggior parte dei muri è
ancora in piedi …
credo -
-
Sono stati così carini a preoccuparsi per me; hanno
insistito perché
non facessi niente e … -
-
E così hanno deciso di demolirci la casa -
sussurrò lui sorridendo
a sua volta, andando a sedersi sul bordo del letto.
-
Checché ne dica tu, criticone che non sei altro …
- replicò
Riza facendogli la linguaccia e dandogli un buffetto sul braccio - Io
non avevo mai festeggiato un Natale così prima
d’ora e … mi
piace. Tanto - rivolse lo sguardo al soffitto,
un’ombra di
malinconia sul viso rilassato. Ricordava bene anche lui tutti i
dicembri passati a casa Hawkeye, il camino spento, nessun pacco
colorato a ravvivare l’atmosfera, nessun padre amorevole che
prendeva la sua bambina sulle ginocchia per farle gli auguri. Roy si
allungò per prendere la sua mano, e quando la
trovò strinse forte,
portandosela al volto e lasciando un leggero bacio sulla punta delle
dita infreddolite. - Sta nevicando! - esclamò Riza,
slanciandosi giù
dal letto con una velocità impressionante e correndo subito
alla
finestra; tese una mano verso di lui per farsi raggiungere,
appoggiando l’altro palmo aperto sul vetro - Su, vieni a
vedere, è
bellissimo -
-
Sì, davvero
bellissimo -
replicò lui soprappensiero; ma non stava guardando fuori.
Forse
dopotutto, era qualcosa di più di un semplice giorno
dell’anno,
con tanta neve e un adorabile signore troppo grasso che si ostinava a
infilarsi dentro i camini, nonostante un girovita non più
così
invidiabile. E nel sorriso ebbro di felicità della donna che
amava,
riflesso nel vetro appannato della finestra, proprio lì, Roy
Mustang
trovò il regalo più bello. Si avvicinò
a lei, cingendole la vita
da dietro con un braccio, e appoggiando il mento sulla sua spalla
scoperta.
-
Oh-oh-oh! Cara signorina, come posso aiutarla? Sono
a sua
completa disposizione! - questo era il generale Grumman, giusto un
po’ alticcio, che era andato ad aprire la porta ad
una povera
ed ignara signora del piano di sotto, venuta a lamentarsi del rumore,
e già che c’era a pigliarsi pure un pezzo di
panettone a sbafo. -
Jean!! Cosa hai intenzione di fare?!
- questo invece
era Fuery che guardava allibito un sottotenente Havoc che, in piena
crisi nervosa, stava tentando di potare l’abete in soggiorno
con un
paio di forbici. - Qualcuno mi aiuti! Quest’orrida bestiaccia
sta
cercando di mangiarsi il nostro pranzo!! - questo era ovviamente
Breda che, inseguito da un Hayate ancora più giocherellone
del
solito, correva disperato per tutta la cucina col suo prezioso
vassoio di antipasti, cercando di salvare il salvabile. - Ed! Su!
Svegliati! Ed? non puoi sempre farmi fare queste
figure! Ed?!
- questa invece era la povera Winry, che continuava a
scuotere
per la camicia il suo cavaliere, lungo disteso sul pavimento, in
stato confusionario e con la faccia in fiamme. -
Colonnello! Tenente! Oddio, Armstrong è caduto
giù! - Sarebbe
stata certamente una lunga, lunga vigilia …
Riza
sollevò leggermente la testa, chiedendogli con lo sguardo se
fosse
oppure no il caso di intervenire.
Lui
alzò gli occhi al cielo e scosse brevemente il capo,
tornando a
fissare di fuori; e notò stavolta un nuovo elemento
decorativo nel
giardino: un grosso cumulo di neve dal quale ogni tanto spuntavano, a
intervalli regolari, delle aureole di stelline dall’aria alquanto
familiare. Riza
rideva, appoggiata a lui, una mano sul pancione, l’altra
intrecciata con la sua.
Forse
non era poi tutto così perfetto, ma
andava bene così.
Sì,
andava - decisamente - bene così.
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Capitolo 4 *** A too much crowded bed ***
A
too Much crowded
bed
Senza
preoccuparsi per una volta di abbandonare le pantofole in disordine
sul tappeto, Riza sguscia al calduccio, sotto le lenzuola,
rannicchiandosi su se stessa con un sorrisetto compiaciuto. Roy nello
stesso momento esce dal bagno, sbadigliando sonoramente, e con molta
classe ciabatta fino al suo lato del letto. Lui armeggia con le
coperte, rigirandosi da tutte le parti come un forsennato alla
ricerca della posizione ideale; i suoi piedi freddi si sfregano
inavvertitamente contro le sue gambe, facendola sussultare, e come
riflesso condizionato un cuscino raggiunge Roy dritto in faccia. Una
risata. Lui che si gira di nuovo, cercandola. E poi eccolo, quel suo
sorriso nella penombra della stanza, quel profumo deciso e
avvolgente. Puntuale,
come sempre, il braccio che le sfiora leggermente la schiena,
arrivando poi a cingerle la vita e attirarla più vicina a
sé.
Socchiude gli occhi, beandosi nel suo abbraccio caldo. Non esiste
miglior rimedio ad una giornata estenuante in ufficio, tra scartoffie
da firmare e il protocollo rigido da seguire, se non il sollievo di
potersi ritrovare, la sera, in quella loro intimità troppo a lungo negata, faticosamente conquistata, sopraffatti da un impellente bisogno di carezze, del calore dell’altro. Un fruscio, loro che scompaiono sotto al groviglio di lenzuola. C’è
forse bisogno di specificare che era quello il momento preferito
della giornata del colonnello Mustang? Un momento assolutamente
perfetto e irripetibile? Il sorriso di Roy che, pericolosamente, man
mano va allargandosi sempre di più; Riza che non sa
trattenersi e
alza gli occhi al cielo, accorgendosi che lui già ha preso a
lottare
coi bottoni della sua camicia da notte. No,
vero?
Fuori
dalla camera, proprio in quello stesso momento, un bambino si alza in
punta di piedi e appoggia un occhio alla serratura per sbirciare
dentro. Basta
guardarlo, tutto arruffato e con una faccia da far concorrenza a un
sonnambulo, per capire che è stato appena buttato
giù - neanche
troppo gentilmente - dal letto. Dietro di lui, la sorellina si
aggrappa al suo braccio, scuotendolo per una manica e guardandosi
intorno con aria timorosa. -
Perché non entriamo? Maes? Per
favore, non mi piace
stare qui al buio -
-
Ssh! Potevi pensarci prima di venire a svegliarmi, no?
E comunque queste sono cose da poppanti! -
bisbiglia il
ragazzino aggrottando la fronte - Io te l’avevo detto che si
stavano baciand… -
-
Si può sapere cosa ci fate ancora in piedi a
quest’ora voi due?!
- Un Roy col pigiama
mezzo sbottonato fa la sua comparsa sulla soglia della porta, con le
braccia incrociate al petto e l’aria scocciata. Decisamente,
quello
era un fuori programma non troppo gradito. Fa passare lo sguardo da
uno all’altro dei suoi bambini, quando finalmente realizza cosa
ci fosse che non andava. No. Non
di nuovo …!
(-
Possiamo restare, mamma? -
-
No - risponde Roy al suo posto.
-
Certo che potete restare - ribatte Riza, lanciandogli
un’occhiataccia.
-
Ma … ma … ma!? - comincia a
balbettare lui, alla
frenetica ricerca di una motivazione che reggesse.
-
Non mi vuoi
nel lettone con
te, papà? - la bimba lo guarda da sotto in su, con due
occhioni
imploranti.
Dannazione.
Così non era valido però …)
Il
bambino, accoccolato sopra di lui, gli sta schiacciando la pancia,
scalciando tra le coperte nel sonno. Roy prova a scuotersi un
po’
ma come risposta ottiene solo un brontolio infastidito. Cerca anche
di recuperare un pezzetto di lenzuolo, ma la piccola non sembra tanto
d’accordo di uscire dal bozzolo in cui si è
avvolta lasciandolo
del tutto scoperto. Sospira, rassegnato. Forse sarebbe stato
più
saggio raccattare un cuscino dall’armadio e andare a fare
compagnia
ad Hayate nella sua cuccia. Fa per girarsi, tentando di trovare
almeno una posizione più comoda, ma sente le braccia di Riza
che
s’irrigidiscono, stringendosi di più intorno al
suo collo. Un
respiro caldo contro la guancia infreddolita, e poi il suo nome
sussurrato debolmente tra le labbra socchiuse. Sorride.
Un
momento perfetto?
Beh.
Quasi.
-
Roy? -
Un
soffio caldo vicino all’orecchio e un grugnito poco gentile
in
risposta - Roy? -
Sbatte
le palpebre un paio di volte, faticando a mettere a fuoco.
-
Cosa …? Che ore sono, mh? -
-
Soltanto le undici -
-
Dormono tutti e due, non preoccuparti - borbotta, rigirandosi poi
dall’altra parte.
-
Appunto - Riza si stringe la coperta al petto con un sorrisetto
stranamente malizioso, mentre scivola scalza giù dal letto e
tende
una mano -
Se ci stringiamo un po’ il divano non è
così stretto, no? -
sussurra con aria innocente, ridendo dell’espressione a dir
poco
sbigottita di lui. E Roy, i cui riflessi tutto sommato non erano poi
così lenti, si affretta a raggiungerla, intrecciando le dita
nelle
sue e lasciandosi guidare fuori dalla camera. Adorava
il modo di ragionare del suo tenente.
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Capitolo 5 *** Just a Milk’s tale ***
Just
a Milk’s tale
Edward
Elric sta seduto sul divano di casa sua con le gambe divaricate e le
braccia tese in avanti, lo sguardo imbambolato, perso nel vuoto, e la
bocca contratta in una smorfia a dir poco terrorizzata. Si domanda,
per la trentesima volta, come diavolo ha fatto a
cacciarsi in
una situazione del genere. Vorrebbe grattarsi la fronte, che prudeva
già da un bel po’, ma ha le mani occupate; e poi
comunque a
pensarci bene è meglio di no, visto che un solo movimento
falso
potrebbe scatenare l’irreparabile. Come aveva potuto
lasciarsi
convincere a …? Il
bozzo che ha sulla testa fa ancora male, dopo lo scontro ravvicinato
con una chiave inglese.
Ah.
Ecco come. Quello sì che
era stato un argomento
persuasivo.
La
bambina però non sembra poi così dispiaciuta di
rimanere a
penzoloni sopra alle ginocchia del padre, stranamente neanche tanto
infastidita dal metallo freddo dell’automail a contatto con
la
pelle, ma si limita ad osservarlo con un sorrisetto curioso e
sdentato che - ma forse era solo una sua impressione - nascondeva una
sfumatura un pochettino ironica. Appoggiato sul cuscino di fianco a
lui, immobile, ritto, messo lì quasi apposta per
sbeffeggiarlo, ecco
la causa del suo problema. Un oggetto assai pericoloso, se maneggiato
da inesperti, che poteva vantare un potenziale distruttivo ai limiti
dell’immaginabile! Un orrendo, tragico,
spaventoso,
assolutamente agghiacciante … biberon?
-
Winry? -
chiama lui con una
chiara nota di panico nella voce - Ehi?
Winry? - riprova, riluttante, ruotando
gli occhi
disperato in cerca di aiuto o, molto
più probabilmente, di una via di fuga. La bambina comincia a
muoversi di qua e di là, adesso irrequieta, scalciando i
piedini
dalle calze troppo lunghe, e rivolgendogli un urletto di rimprovero.
Si protende in avanti, e allunga una mano paffuta verso di lui
afferrandogli il naso con la stessa espressione scocciata di sua
madre. Edward sospira, liberandosi dalla presa della figlia e
baciando il palmo della manina aperta. Lo
sa benissimo cosa avrebbe voluto dire. Non
ci sai proprio fare, eh papà?
- Ma … ma
piccola, non so cosa … -
balbetta cercando di suonare convincente, più rivolto a se
stesso
che non a quella faccetta imbronciata - … Winry! - Ed eccola che finalmente appare, come un angelo in salopette e con uno
sbafo di olio sulla guancia, gli occhi che faticano a stare aperti. E
lui si sente subito un po’ in colpa per averla disturbata. In
fondo
ha passato tutto il pomeriggio ad occuparsi dei suoi automail; e dal
fatto che per poco non rischia di sbandare contro il portaombrelli
nell’ingresso, si potrebbe facilmente dedurre che ha
parecchie ore
arretrate di sonno. -
Ed! C-che
cosa …?
- borbotta, strofinandosi una mano sulle palpebre, ma la sua
espressione si addolcisce non appena vede il suo uomo di casa in
serie difficoltà, mentre la figlioletta si agita da tutte le
parti.
- Mi
dispiace, Winry, sul
serio, non volevo seccarti ma
… ma! È
più forte di me, non -
balbetta lui, alla ricerca di una misera scusa che regga. La ragazza
si porta una ciocca bionda dietro all’orecchio, sedendosi a
gambe
incrociate sul tappeto, di fronte ai due. Inarca un sopracciglio,
come incitandolo a continuare.
-
Ehm … -
Sospira
di stanchezza, ma sul suo viso si accende l’increspatura di
un
sorriso intenerito.
-
Sei una frana, Edo - sussurra dolcemente, prendendo la bimba dalle
braccia del padre e appoggiandola sulle proprie ginocchia.
Si
allunga per recuperare il biberon abbandonato a se stesso sul cuscino
e se lo porta meccanicamente alle labbra, con un gesto acquisito con
l’esperienza, per controllare la temperatura. - Come
può piacerle
quella robaccia? Sicura che sia proprio mia figlia?
-
se ne esce fuori lui dopo averla osservata imbarazzato. Winry si
limita a lanciargli un’occhiata raggelante, poi si rilassa e
sorride, porgendo il beccuccio gommoso alla bambina, che ci si
attacca con la boccuccia protesa, e comincia a poppare tutta
soddisfatta. Lui rimane un attimo stranito, fissandole entrambe. -
Che cosa ti succede adesso? Qualcosa non … va?
- domanda
Winry sbadigliando.
Edo
scuote la testa lentamente, con la vaga consapevolezza di non dover
avere una faccia molto intelligente in quel momento. E poi
bisognerebbe considerare anche quel calore all’altezza dello
stomaco, un senso di benessere che si diffondeva a poco a poco nel
suo corpo. - Per tutti i bambini è normale, sai?
Beh.
D’accordo, quasi tutti - si corregge
notando la sua occhiata
scettica - Semplicemente perché sa di casa,
Ed - sussurra
Winry accarezzando dolcemente la testolina biondiccia sotto di lei -
Di famiglia, e anche d’amore in un certo senso - Lui
annuisce. E poi nota un piccolo alone sul labbro inferiore della
ragazza, bianco e luccicante.
Le
porta una mano sotto il mento per alzarle la testa, e ride alla sua
faccia sorpresa.
-
… Posso? -
Non
attende neanche la risposta, e appoggia la bocca sulla sua, appena
dischiusa in una subito soffocata esclamazione di stupore.
Chiude
gli occhi, assaporando a fondo quel sapore insolito, ma non certo
sgradevole. Si stacca, un po’ più lentamente del
solito, e si
ritrova a fissarla, lei, con la bocca ancora mezza spalancata, che
arrossisce furiosamente, e distoglie in fretta lo sguardo borbottando
qualcosa come stupido fagiolo. Solitamente,
anche dopo averla baciata, a sentire una cosa del genere non avrebbe
retto nessuna scusante, e sarebbe stato un ottimo pretesto per una
litigata coi fiocchi … ma stasera no,
stasera è troppo
innamorato, e può anche chiudere un occhio. La
bimba gli rivolge un sorrisetto sdentato.
Che
ti avevo detto, papà?
Latte.
Winry. Una combinazione che risultava quantomeno convincente, per non
dire allettante.
E
lui, Edward Elric, prode alchimista di Stato, la cui famosa
avversione per il latte era nota a chiunque nel
raggio di
cinquanta miglia, si ritrova adesso costretto ad ammettere per la
prima volta in vita sua che quel liquido bianchiccio e dolciastro -
in circostanze normali del tutto raccapricciante - tutto sommato …
non era poi così male.
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Capitolo 6 *** Hands on a Miracle ***
Hands on a Miracle
Dedicato a Shatzy,
Buon compleanno, ti voglio bene!
- Ciao - fa lui, avvicinandosi di qualche passo, un po' esitante.
- Ciao - risponde lei, inclinando il capo da un lato, sul cuscino.
- … Come … come ti senti? - Si concede una lunga occhiata al sorriso stanco ma orgoglioso della sua donna, mentre le si siede accanto sul letto, e non ha bisogno di altre risposte; poi sposta lo sguardo sul fagottino che lei stringe tra le braccia, deglutendo appena.
- E lui … lui è …? -
- Sì, è proprio lui - risponde Riza ridendo nel tendergli il fagottino.
Roy lo solleva tra le braccia con una sorta di timore riverenziale, e mentre il neonato si stiracchia, spostando i due occhi nerissimi su di lui, Roy sussulta nel sentire la stretta incredibilmente salda di quell'esserino minuscolo, il suo esserino, di quella manina protesa nello spazio ristretto tra la coperta e l'alone caldo che ne fuoriusciva fino a prendergli il mignolo.
Si volta a fissare Riza, battendo le palpebre, e sussurra qualcosa.
- Anche io - sillabano le labbra di lei, curvandosi a loro volta.
"Perché quando un bambino appena nato stringe con il suo piccolo pugno,
per la prima volta, il dito di suo padre, lo mantiene intrappolato per sempre"
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Capitolo 7 *** Love Actually Is ***
Love
Actually Is (all around)
-
Sicuro che puoi pensarci tu, allora? - domandò Riza con aria
apprensiva, in pigiama e ciabatte sulla soglia di casa.
-
Ma certo, tesoro. Passo io. Non c'è problema -
replicò Roy
sfoderando un sorriso incoraggiante e attirandola a sé per
schioccarle un bacio. -
Okay. Però ricordati di arrivare puntuale, mi raccomando, e
portagli
qualcosa da mangiare, e … - cominciò lei contando
sulla punta
delle dita. -
Riza? - la chiamò lui, divertito. Lei sollevò lo
sguardo, perplessa
- Ho capito, sta' tranquilla. Guarda che devo solo andare a prendere
Maes a scuola, posso cavarmela, dico sul serio. Te lo riporto a casa
tutto intero, fidati. Tu pensa solo a rimetterti a letto e riposare - Riza
gli rivolse un sorrisetto a mo' di scusa, sollevandosi in punta di
piedi per baciarlo di nuovo.
-
Va bene. Mi fido -
-
Brava bimba -
-
Roy? -
-
Dimmi -
-
Alle quattro, mi raccomando -
-
Tesoro, sinceramente, sto cominciando a credere che tu mi ritenga un
padre del tutto irresponsabile -
-
Ma no, che dici, non del tutto. Solo un pochino - replicò
lei
ridendo mentre lo sospingeva fuori dalla porta.
-
Ah, grazie per la fiducia. E come marito invece, come me la cavo? -
domandò sornione.
-
Sei ancora passabile, tranquillo, ma adesso vai o farai tardi -
-
Ah, è così? Eppure, oserei dire che l'altra notte
è stata un po'
più che solo passabile, mmh
…? -
Riza
alzò gli occhi al cielo, arrossendo suo malgrado e
arricciando le
labbra a metà tra il divertito e l'esasperato.
-
Al lavoro! Fila! -
Roy
gli arrivò incontro correndo a perdifiato.
-
Oddio, Maes, scusa … Ehm, sai, c'era tanto di quel traffico
… -
Il
bambino adocchiò distrattamente la strada deserta intorno a
sé.
-
Ti sei addormentato - concluse quindi, scrollando le spalle.
-
No! … Sì-no! Insomma
… -
-
Non fa niente, non lo dirò alla mamma -
-
Ah. Beh. Grazie. Allora, come è andata oggi? -
-
Bene - replicò lui atono, entrando in macchina.
-
Okay, ehm ma … -
-
Senti, puoi mettere in moto e basta? - sbottò il ragazzino,
stizzito.
Roy
richiuse la bocca, esitante, rassegnandosi allo scomodo silenzio
calato tutto d'un tratto nell'abitacolo.
Ma
fu quando, una volta rincasati, sentì la porta della
cameretta
sbattere, che davvero si rese conto di essere un
completo
disastro.
Per
fortuna Riza era ancora addormentata nella loro stanza, e non
sembrava essersi accorta di nulla. Roy sospirò di sollievo.
-
Andiamo, Maes, aprimi. Ti ho comprato le frittelle. Lo so che non hai
fatto merenda -
Qualche
secondo di silenzio.
-
… quelle al cioccolato? - domandò infine la sua
vocina attutita,
ancora un po' diffidente.
-
Certo - Roy sorrise alla porta, trionfante. Qualche altro secondo,
seguito poi dallo scatto della serratura.
-
Va bene. Entra allora - Maes
se ne stava sdraiato a pancia in giù sul letto, la faccia
tragicamente sepolta sotto il cuscino.
-
Ma che ti prende? Si può sapere? È successo
qualcosa a scuola? …
Che cos'hai? -
-
Niente - mugugnò il bambino, scuotendosi leggermente.
-
Non può non essere niente. Ehi. Qual è il
problema? -
-
… -
-
Avanti, puoi parlarmene -
-
Tanto non potrai aiutarmi. Nessuno può - sbottò.
-
Non importa. Dimmelo comunque. Voglio almeno sapere cosa c'è
che non
va -
-
Lo vuoi sapere davvero? -
-
Ma certo -
-
Beh. La verità è che … mi sono
innamorato -
Roy
sbatté un paio di volte le palpebre. - Eh?
- domandò,
sbalordito.
-
Mi sono innamorato! - ripeté Maes da sotto il cuscino, con
voce un
po' più alta.
-
… Ah - fece Roy, piuttosto esitante - Ma scusa, non sei un
po'
troppo piccolo per essere innamorato? -
Maes
sospirò, come se gli avesse appena chiesto una cosa molto
stupida. - No - esclamò,
con un verso sofferente.
-
Ehi - lo chiamò Roy ridacchiando e dandogli una scrollata,
per la
quale ottenne solo un leggero bofonchiare in risposta - Ehi, Maes,
non è mica una brutta cosa. Anzi, direi che è
grandioso! Ehi, esci
da lì sotto, andiamo, fare lo struzzo non ti si addice
proprio -
Il
bimbo obbedì e finalmente riemerse, un po' più
spettinato e
immusonito di prima.
-
Non ci vedo proprio niente di grandioso. Niente di niente -
borbottò.
-
Come si chiama lei? - chiese Roy con un sorrisone entusiasta.
-
Mmfgh -
-
Eh? -
-
Mmmfgh -
-
Maes non capisco se parli nel maglione -
-
… Elimfgh -
-
Maes … -
-
Elicia! Si
chiama Elicia!
Soddisfatto? -
-
E-Elicia Hughes? - Maes s'illuminò, annuendo più
volte.
A
Roy venne quasi da ridere. Il vecchio Hughes, se fosse stato
lì, non
l'avrebbe di certo presa troppo bene.
-
Ehm. D'accordo. Allora, in questo caso … beh, penso che
dovresti
dirle ciò che provi - concluse con una certa
solennità.
-
Eh? Non esiste! Lei non sa neanche come mi chiamo.
È più
grande di me, ed è la ragazza più bella della
scuola … -
-
Non c'è storia che un Mustang venga rifiutato da una ragazza
- fece
Roy con un sorrisetto tronfio. Maes inarcò un sopracciglio.
-
La mamma ti ha rifiutato - obbiettò - Un
sacco di volte -
-
Ehm. Questi sono solo dettagli inutili -
-
Ma non ci riesco - mugugnò il bambino - Io non sono
coraggioso come
te -
-
Ma Maes, la prima volta che ho detto a tua madre che l'amavo
… io
ero semplicemente terrorizzato -
-
E la mamma invece? -
-
Oh, lei è stata grandiosa -
-
Ti ha baciato? -
-
No, mi ha dato dell'idiota -
-
Non ci credo! - esclamò Maes - E poi cos'è
successo? -
-
Aehm. Il resto te lo racconterò quando sarai un po'
più grande, eh?
-
Roy
ridacchiò, spettinandogli i capelli in una carezza goffa e
affettuosa.
-
E quindi, la piccola Elicia, eh? Chi l'avrebbe mai detto? Hai capito
il nostro ometto, che birbante … -
-
Daiii~
non è divertente! -
Roy sorrise al broncio del figlio,
lasciandosi cadere
all'indietro sul letto con un sospiro.
-
Senti, magari non sarò proprio il massimo come
papà, ma sul serio,
faccio del mio meglio. Anche se il mio meglio alle volte fa schifo,
lo so - Maes rise - Ma tu vedi di ricordarti che ti voglio bene,
impiastro, d'accordo? E comunque, tornando a noi, lo sai qual
è il
solo e unico rimedio accertato da tutti i dottori del mondo, per le
pene d'amore? -
-
Quale? - chiese l'altro incuriosito, con un piccolo sorriso.
Roy
gli piazzò il sacchetto ancora caldo del panettiere sotto il
naso.
Il bimbo sgranò gli occhi, sorpreso.
-
Frittelle al cioccolato. Funzionano sempre, ti assicuro - concluse
con aria saputa - Allora, ce le mangiamo o no? -
-
Ehi, papà, la vuoi sapere una cosa? - fece Maes, il sorriso
che si
allargava - Il tuo meglio va benissimo -
-
Mmh? Ma che stai facendo? -
Riza
si volse a fissarlo, che entrava a torso nudo a letto con lei.
-
Roy, ti attaccherò il raffreddore così. Sul
serio, non … -
-
Non importa. Ho troppa voglia di abbracciarti -
-
Ma Roy, hai i piedi ghiacciati, fermo! - fece lei ridendo nel
divincolarsi.
-
Mmh, prenditela con tuo figlio. È stato lui a ricordarmi che
dovevo
dirti una cosa -
-
Che cosa? - chiese lei, battendo le palpebre sorpresa.
-
Che ti amo - rispose lui con semplicità - Tantissimo -
Per:
Elicia Hughes. Da: Maes Mustang.
Ehi.
Ciao. Senti, lo so che sono più giovane di te.
Ma
mio padre dice che posso sempre compensare gli anni che mancano con
l'infallibile fascino dei Mustang.
Mio
padre alle volte dice delle vere idiozie. Quindi penso che
crescerò
ancora un po' prima di chiederti di essere la mia ragazza.
Nel
frattempo, mentre aspettiamo, ti va una frittella con me? Offro io.
Avete
visto? Ho
creato una nuova coppia *O* Sono un genio, modestamente xD
La
storia si ispira ad una scena dell'adorabilissimo film Love
Actually che
ovviamente consiglio a tutti ^O^
Mmh,
l'ho notato solo ora e non so perchè, ma le frittelle
ricorrono
spesso in questa raccolta O_o
Dev'essere
il mio subconscio che mi suggerisce di mangiarmi una frittella, mah
XD
Il
capitolo poteva venire molto meglio, ma sono alle strette, mi riduco
sempre all'ultimo ç.ç
Beh,
insomma, BUON ROYAI DAY a tutte !!
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