Sweet ( ? ) awakening

di Sisya
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sweet ( ? ) awakening ***
Capitolo 2: *** Crepes for dinner? ***
Capitolo 3: *** Merry Christmas! ***
Capitolo 4: *** A too much crowded bed ***
Capitolo 5: *** Just a Milk’s tale ***
Capitolo 6: *** Hands on a Miracle ***
Capitolo 7: *** Love Actually Is ***



Capitolo 1
*** Sweet ( ? ) awakening ***


Sweet (?) Awakening *O*



La sveglia trillò allegramente sul comodino, come ogni mattina. Roy sbadigliò, sfregandosi una mano sugli occhi ancora assonnati, e come al solito dovette fare un enorme nonché sovrumano sforzo per trattenersi dal carbonizzare all’istante quel malefico apparecchio disturbatore. Sette e mezza. Se non si sbrigava, con ogni probabilità avrebbe fatto tardi. Dopo circa un nanosecondo di profonda meditazione, nel quale rifletté a lungo sulla solerzia e sull’efficienza che un colonnello era tenuto a mostrare costantemente, e sui propri doveri nei confronti dei suoi sottoposti, Roy Mustang si rigirò pigramente dal lato opposto del letto, portandosi il lenzuolo fin sopra la testa. Sorrise brevemente e fece per affondare di nuovo la faccia nel cuscino, quando un insolito e sospetto click a distanza molto ravvicinata gli fece capire che quella mattina avrebbe davvero fatto meglio a darsi una mossa.
- Signore, le do cinque minuti - sussurrò lei, con la voce calma di sempre, come se gli stesse soltanto augurando il buongiorno come una mogliettina qualunque, e non minacciandolo con la sua calibro nove puntata alla tempia. Sospirò, arrendendosi agli ottimi e
convincenti argomenti del suo tenente. Si tirò a sedere, mugugnando qualcosa di imprecisato; ma bastavano un soffio leggero vicino al suo orecchio, due labbra morbide a sfioragli la fronte, e già l’impresa di scendere dal letto non gli sembrava più così utopistica. Sentirla ridere poi, lo metteva sempre di buonumore. Ancora mezzo addormentato, recuperò la divisa da un cassetto dell’armadio e si diresse in tipico stile zombie verso il bagno, evitando per un pelo di inciampare nel tappeto e ritrovarsi per terra con il naso spappolato.

Riza aveva già preparato la colazione.
L’odorino invitante di toast caldi, brioche e caffelatte lo raggiunse dalla cucina. Si fermò un attimo sulla soglia della porta, con le dita strette intorno alla maniglia. Si ritrovò di nuovo a sorridere al pensiero che fino a poco tempo prima, se riusciva a bersi il caffè putrido della macchinetta era già tanto. Ma adesso Riza sarebbe stata capace di rincorrerlo sul pianerottolo in pigiama se solo si fosse azzardato a uscire di casa senza aver mangiato. Erano cambiate tante cose, da quando Riza Hawkeye era diventata la sua donna. Per esempio, ora godeva del privilegio di stare in sua compagnia molto più spesso, e anche solo questo era da considerarsi un evento grandioso. Inoltre aveva chiuso con i vari appuntamenti notturni - su esplicito e
cordiale suggerimento di un revolver appena caricato - anche se ogni tanto, era capitato che ricevesse ancora delle telefonate di qualche sua vecchia conoscenza che gli proponeva di ricordare insieme i bei tempi passati. Ovviamente, essendo lui un uomo di indubbia integrità morale, era sempre stato ben lungi dall’accettare simili sconvenienti proposte, soprattutto da quando la sua dolce metà aveva chissà come intercettato una chiamata, facendogli sperimentare l’ebbrezza di dormire per due mesi sul divano, per la gioia della sua povera schiena. Per di più aveva scoperto che avere una palla pelosa - meglio conosciuta come Black Hayate - che gli gironzolava per casa divorando una scatola di croccantini dietro l’altra - e non solo quelle, visto l’aspetto pietoso che ormai avevano raggiunto le sue pantofole da camera - non era esattamente ciò che si aspettava da parte di un cane ben ammaestrato.


- Roy Mustang sei stato avvertito! Cinque, quattro, tre, due - si sentì una specie di scatto metallico in sottofondo, e il colonnello giudicò quindi molto saggio catapultarsi dentro al bagno senza ulteriori ripensamenti. Se c’era una cosa che aveva imparato in tutti quegli anni, era che Riza Hawkeye non bisognava farla arrabbiare, anche a costo di scivolare sulle mattonelle bagnate e perdere qualche dente nello scontro ravvicinato con il lavandino. Si infilò gli stivali saltellando, dopo aver passato una mezz’ora buona a prepararsi - o più che altro a chiacchierare con lo specchio - e appoggiandosi poi allo stipite della porta, si bloccò di colpo con una gamba a mezz’aria. Era strano vedersela comparire davanti così, ogni giorno.

Ritrovarsi una Riza Hawkeye che ciabattava in cucina, ancora avvolta nella sua camicia da notte, con qualche ciocca dorata sfuggita al fermaglio, e quell’espressione tranquilla, quasi ingenua era una cosa fin troppo impensabile per potercisi semplicemente abituare. Tutte le volte sentiva il tremendo impulso di fermarsi a spiarla senza essere visto, rubandole quei piccoli attimi di spontaneità che lo coglievano sempre di sorpresa. Non si era ancora accorta di lui. Stava addentando una mela con una voracità sconcertante, appollaiata sullo sgabello, mentre con la mano sinistra teneva un plico di documenti in bilico sulle ginocchia, chinata in avanti, leggermente - tanto - impedita dal pancione che spuntava nettamente da sotto la stoffa azzurrina. Roy inclinò la testa da un lato, incrociando le braccia sul petto e sfoggiando uno dei suoi soliti sorrisetti ironici, senza smettere di fissarla. - Tenente Hawkeye, sei un caso irrecuperabile - fece ad un certo punto, scostandosi la frangia dagli occhi ed entrando a grandi falcate nella stanza, facendola trasalire - Non ti avevo forse detto di lasciar perdere quelle brutte scartoffie e riposare? -
Si chinò in avanti, accostando la fronte alla sua e accarezzandole gentilmente una guancia.
Le dita affusolate di lei si strinsero automaticamente intorno alla sua mano. Sorrise nel vederla arrossire ancora di più per quel gesto istintivo. Non si sarebbe mai immaginato di poterla vedere così. Anche se a volte non riusciva proprio a fare a meno di prenderla in giro, quando scomparivano
inspiegabilmente le barrette di cioccolato dal frigorifero, o quando non riusciva ad alzarsi da sola dal divano e sbuffava come una pentola a pressione perché costretta a chiedere il suo aiuto, sapeva comunque che non si sarebbe mai stancato di guardarla camminare con quell’andatura dondolante, adorabilmente impacciata, e quel sorriso un po’ sciocco sulle labbra. Riza Hawkeye, che per tanto tempo era stata per lui soltanto il suo braccio destro, il suo tenente perfetto. Quando l’aveva conosciuta, gli era sembrata una delle tante. Niente di speciale, insomma, aveva visto anche di meglio; eppure, chissà perché, il suo fascino irresistibile con lei sembrava sempre fare cilecca … Lui, che riusciva sempre ad ottenere ciò che desiderava, Lui semplicemente non poteva essere respinto! Era assurdo, inaccettabile!


Un giorno poi, Roy Mustang finalmente aveva capito.
Era l’orario di uscita, fuori stava nevicando e tutti quanti erano già andati via dal un bel pezzo per rifugiarsi al calduccio.
Riza stava ancora firmando i documenti al suo posto, così come ormai si era rassegnata a fare, vista la scarsa iniziativa del colonnello.
Roy si era appena alzato dalla scrivania, stiracchiandosi pigramente, aveva raccattato il cappotto e si era avviato verso la porta. Un leggero tonfo però lo aveva fatto voltare e tornare sui suoi passi. Il suo sottotenente a quanto pare si era addormentato, stravolto, con il capo appoggiato sul tavolo e alcune ciocche bionde che le ricadevano sul viso, la stilografica ancora in mano. Era stato in quel momento, che il colonnello Roy Mustang aveva realizzato che Riza Hawkeye non era proprio per niente
una delle tante, rendendosi conto con un certo sgomento che quella volta, con Lei sarebbe stato completamente diverso. Così si era chinato, le aveva coperto le spalle col proprio cappotto, scostandole gentilmente i capelli dalla guancia, ed era tornato alla scrivania, dove aveva passato il resto delle quattro ore seguenti firmando fogli su fogli, lanciandole ogni tanto delle occhiatine di sottecchi e sorridendo. Aveva cominciato ad osservarla sempre più spesso, in ufficio, seduto scomposto con il mento appoggiato al palmo della mano e i piedi sul tavolo, soprattutto mentre ascoltava le chiamate di noiosa routine, annuendo ogni tanto al monologo del suo superiore; e Hughes intanto lo teneva d’occhio con un sogghigno, spanciandosi poi letteralmente dal ridere quando, sbilanciatosi un po’ troppo, l’intrepido colonnello finiva per ribaltarsi con la sedia portandosi dietro tutto il telefono. Si era innamorato. E un sentimento del genere, così inaspettato e sconvolgente fin dal principio, aveva dato per scontato che non sarebbe stato semplice … ma poi tornava a guardarla. Sempre al suo fianco, discreta e silenziosa, di una bellezza tanto spontanea da risaltare persino sotto l’uniforme. E lui si diceva una volta di più che sì, valeva comunque la pena tentare.

Si sporse a baciarle la punta del naso, con un sorrisone innocente, per poi accostare un orecchio al suo ventre, passandoci sopra una mano e rimanendo in attesa - Come sta oggi la mia principessina? Scommetto che la mamma continua a farti fare indigestione, eh? - sussurrò alla pancia di Riza, ridacchiando - Pensa un po’ che ieri sera sono stato pure costretto ad uscire di casa alle tre di notte per andare alla ricerca di un pasticcere ancora aperto perché - Riza incrociò le braccia sul petto, un po’ offesa, e lui subito si affrettò a interrompersi, preoccupato. La gravidanza sembrava averle fornito la scusante perfetta per potersi concedere ogni tanto anche lei di mettere su il broncio e comportarsi da ragazzina permalosa, facendo letteralmente impazzire il povero Roy. - Davvero avresti preferito che tua figlia nascesse con un’enorme voglia a forma di plumcake sulla faccia? - borbottò lanciandogli un’occhiata di traverso.

- Mmh? … oh, beh … Sarebbe stata comunque bellissima come te - sussurrò sfregando la guancia contro la sua con un mugolio di scuse.
Lei fece per ribattere qualcosa a proposito di un
certo ruffiano di sua conoscenza, ma due labbra umide e invitanti non lasciarono spazio a ulteriori lamentele. Roy fece passare un braccio sotto alle sue gambe, l’altro dietro alla schiena, e sollevandola di peso dallo sgabello la appoggiò sul bordo del tavolo spostando non molto elegantemente da parte le scodelle del latte per farle posto. Riza si portò un indice sulle labbra, soffocando una risata mentre gli cingeva il collo con le braccia, accogliendo la bocca e intrecciando le gambe intorno ai suoi fianchi - Buongiorno anche a te, amore -


- Che cosa state facendo voi due? - domandò una vocina assonnata ma dal tono palesemente accusatorio.
Un bimbo sui cinque anni fece capolino da dietro la porta, con il pollice in bocca e gli occhioni scuri spalancati.
Sfoggiava un ridicolo pigiamino con degli orsetti ballerini - un capo d’abbigliamento all’ultima moda, secondo il Generale Grumman, che da qualche tempo aveva scoperto la gioia di dedicarsi allo shopping per il suo nipotino prediletto - ed era seguito fedelmente da Black Hayate, la personale guardia del corpo del piccolo Mustang. I due poveri genitori appena colti in flagrante si affrettarono ad allontanarsi, fingendo con molta nonchalance di non notare il tavolo disastrato e il colorito fosforescente delle loro guance - Non dovresti essere ancora a letto, tu? - borbottò Roy con tono scocciato, girando il cucchiaino a vuoto nel suo caffè. Il bambino acchiappò la scatola dei cereali sbadigliando, e nel riempirsi la tazza riuscì a versarne la metà sulla tovaglia.

- Tu russi -
- Che cosa
?? Io non russo affatto, marmocchio impertinente! - esclamò lui scandalizzato, e ricevendo una pernacchia come risposta. Il bambino mollò il cucchiaio nella ciotola, preoccupato, avendo notato l’occhiata per nulla rassicurante del padre che prometteva solletico fino alle lacrime. Riza, rossa in faccia come un pomodoro e ancora appollaiata sul tavolo, sospirò passandosi due dita sulla fronte.
Con quei due era troppo chiedere una colazione normale dove perlomeno non volassero fiocchi d’avena sul soffitto della cucina!
Racimolando ogni briciolo della sua proverbiale calma, bevve un lungo sorso di aranciata, accavallando le gambe.
Inarcò un sopracciglio. In fondo, si ricordò, la sua fondina non era poi molto lontana.
I due uomini di casa, bloccandosi nel bel mezzo di un inseguimento, si scambiarono un’occhiata nervosa.
Roy acchiappò il bambino da sotto le spalle posandolo velocemente sulla sedia, e assecondando un naturale istinto di conservazione, prese posto a sua volta. Riza allungò una mano per scompigliare i capelli del figlioletto, che le rivolse un sorrisetto con i baffi di latte ai lati della bocca. Erano un vero disastro come famiglia
… ma forse era proprio per questo che li amava così tanto.


Roy Mustang si chiuse la porta alle spalle e scese i gradini con passo ciondolante.
Prese un respiro profondo, godendosi la prospettiva di quella che si annunciava una tranquilla passeggiata.
I caldi raggi del sole s’infilavano tra gli alberi del viale, giocando a nascondino tra i rami e sgusciando qua e là nelle zone d’ombra.
Da qualche mese si era ormai abituato a fare la strada da solo, senza la presenza costante di Riza che lo seguiva.
E un pochino gli mancava, doveva ammetterlo. Un pochino tanto.
Soprattutto da quando in ufficio gli era stato assegnato come sostituto temporaneo un donnone con una particolare predisposizione per i begli ufficiali. Si calcò il cappello sulla testa, rabbrividendo al solo pensiero di cosa lo aspettava, e infilandosi subito le mani in tasca in cerca di calore. Ogni respiro si condensava nell’aria fredda del primo mattino. Dopo aver mosso qualche passo, controvoglia, non fece neanche in tempo a sospirare di disappunto che si sentì tirare per la manica e fu costretto a voltarsi, chinando il capo, e ritrovandosi il suo primogenito attaccato alla divisa, che lo fissava con occhioni imploranti.
Oh-Oh. Quello sguardo non prometteva mai niente di buono.
- Che cosa ci fai
tu qui? Ritorna subito dentro! - esclamò dopo un attimo di sorpresa, scuotendo l’indice con un tono che non ammetteva repliche. Il bimbo scosse la testa con decisione e incrociò le braccia sul petto, imbronciandosi. Si era infilato le scarpe e la sua giacca a vento preferita, ma sotto aveva ancora il buffo pigiama. I capelli neri un po’ arruffati gli ricadevano sulla fronte aggrottata, le manine si aggrappavano disperatamente alla stoffa dell’uniforme.
- Io vengo con te! -
Roy si passò una mano sulla faccia, sospirando.
Ancora! Si accovacciò sulle gambe per guardarlo fisso negli occhi.
- Non si può, lo sai. Ora torna dentro. Su, da bravo, obbedisci -
Il bimbo gonfiò le guanciotte, impuntandosi ancora di più e scuotendo di nuovo la testa.
- Se non mi fai venire
…! - esclamò ad un certo punto stringendo i pugnetti in segno di sfida. Roy inarcò un sopracciglio - Io vado a raccontare al nonno e alla mamma che sabato non sei venuto a prendermi a scuola per stare a dormire sul divano! -
-
C-che cosa …? - balbettò Roy preso in contropiede, strabuzzando gli occhi - Che stai dicendo? ma ma io sono venuto sì a …! - e qui poi realizzò cosa effettivamente stesse tramando quel piccolo ricattatore - Arrrgh! Ma da chi diavolo avrai preso?? E va bene, d’accordo! - Lo prese per mano, borbottando qualcosa di incomprensibile tra i denti, e cominciando a camminare mentre il bambino gli teneva dietro con un sorrisone vittorioso stampato sulla faccia. -
papà ? - chiamò dopo un po’ con voce cantilenante, scrollandolo per un braccio - Comprami una frittella -

- Eh? Come sarebbe a dire una …? -
Il bimbo sfoderò un'altra smorfietta eloquente, così simile alla sua, che Roy si ritrovò per la seconda volta zittito nel giro di pochi minuti.
Sbuffando come un bollitore del the, lo stratto
nò dall’altro lato della strada, nascondendo alla bell’è meglio un sorriso sfacciatamente orgoglioso dietro al giornale. Perché lo sapeva, non c’era altro luogo al mondo in cui avrebbe voluto essere, al di fuori di dove si trovava ora. La felicità in fondo è un concetto del tutto relativo. E una frittella caramellata gocciolante di cioccolato che si impiastriccia sulla faccia del tuo piccolo sgorbio, ci si avvicina parecchio, no?

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Capitolo 2
*** Crepes for dinner? ***


Crepes for dinner ?


Roy si arrotolò le maniche della camicia fino sotto i gomiti con espressione stranamente concentrata.
Infilò i guanti, aprì e richiuse le dita più volte, come per saggiarne la consistenza. Uno schiocco leggero, e subito una fiammella scoppiettante si accese dal nulla, rimbalzando sul suo indice destro. L’alchimia era qualcosa di spaventoso, certo, ma allo stesso tempo, in situazioni particolarmente critiche, poteva risultare un alleato prezioso da sfruttare a proprio favore. Infatti, come previsto, i due occhioni subito si spalancarono, affascinati. Roy, assicuratosi con un certo compiacimento di avere tutta l’attenzione su di sé, da inguaribile esibizionista qual era sempre stato, ritenne dunque opportuno mettersi all’opera in quella che, non c’erano dubbi, sarebbe stata ricordata negli anni a venire come una delle sue imprese più brillanti e meglio riuscite.

D’altra parte, se c’era di mezzo una sfida, il colonnello non era tipo da tirarsi indietro. Certo che no.
Dando un’altra sbirciatina alla pagina del ricettario, giusto per essere sicuro, cominciò a rovistare dentro la credenza, alla ricerca degli ingredienti. Sostenuto come sempre dal suo incrollabile ego, il pensiero che forse tutta la faccenda era nettamente più facile a dirsi che a farsi non lo aveva sfiorato neppure per un attimo. Roy Mustang (appena auto-elettosi per l’occasione primo chef di Central City) si calò dunque in un silenzio quasi religioso, rotto solo ogni tanto da una specie di leggero risucchio di sottofondo. Seduta a gambe incrociate, una bambina dai codini biondi e dalla faccia paffuta prese un lungo sorso dalla cannuccia del suo frappè, osservandolo con interesse dedicarsi a quella che in teoria sarebbe dovuta essere la loro cena.
- Ah Ah! Osserva attentamente il tuo papà, piccola. Chi dice che non so cucinare, eh? guarda un po’ qui. Op! Visto? - con un largo movimento di braccio fece ruotare la padella, e una specie di frittata panciuta si rivoltò in aria spargendo un odorino agrodolce - Ah Ah! Sono un fenomeno, eh? Op! - Ancora un altro salto, un po’ più in alto - Ora vedremo se la mamma avrà ancora il coraggio di venirmi a dire che non sono neanche in grado di accendere un fornello! Op! Op! - Una critica personale per sminuire il suo grande orgoglio maschile, ecco cos’era stata! E lui ovviamente non poteva passarci sopra. Non poteva accettare così spontaneamente quella constatazione tanto assurda! Eh no! ne andava del suo amor proprio ferito! Ah, ma gliel’avrebbe fatta vedere! Eccome!
Riza si richiuse la porta di casa alle spalle con un sospiro sollevato, lasciando cadere i sacchi della spesa sul tappeto. Si inginocchiò per scrollare la neve rimasta sulla giacca a vento del figlioletto, con le guance accese dal freddo e i guanti premuti sulla bocca per farsi caldo. Il bambino si sfilò in fretta la sciarpa, correndo tutto trafelato fino in cucina per salutare. Si bloccò sulla soglia, guardandosi intorno sorpreso. In rapida successione, notò: la sua sorellina che si rotolava per terra dalle risate. Una frittata dall’aspetto malconcio spiaccicata sul soffitto. Suo padre che armeggiava con la rubrica del telefono, la cornetta appoggiata su una spalla e un’ espressione che non lasciava dubbi sull’accaduto. - Che sta succedendo di là? - domandò Riza vedendolo tornare indietro con una faccia corrucciata. Il bambino incrociò le braccia, assumendo una posa composta, e premette un labbro tremolante contro l’altro nel disperato tentativo di rimanere serio - Stasera si mangia cinese -


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Capitolo 3
*** Merry Christmas! ***


Merry Christmas!


Roy sprofondò nella sua poltrona preferita con aria alquanto sconvolta, una vena pulsante in fronte; aprì il giornale ad una pagina imprecisata, cercando con ben scarsi risultati di isolarsi dallo stato di caos generale del suo povero, ed ormai ex-tranquillo appartamento. No, si disse, non poteva star succedendo davvero. Doveva esserci per forza una spiegazione logica! Eppure, più continuava a guardarsi intorno e più si convinceva di essere finito in una gabbia di matti. Era il primo anno in assoluto che, di buon accordo, avevano deciso di passare le feste tutti insieme, ma mai, mai si sarebbe immaginato di rincasare, la sera del venticinque, e ritrovarsi coinvolto in un putiferio senza precedenti. Stentava quasi a riconoscere casa sua. Da ogni angolo di soffitto pendevano festoni colorati e ghirlande, e un inquietante pupazzo di neve mezzo sbilenco lo fissava dal davanzale col suo sorriso sdentato. Perciò non appena gli era stato possibile, Roy si era appartato subito nell’unico angolino che sembrava essere miracolosamente scampato all’invasione di lustrini e pacchetti colorati, facendosi scudo con la prima cosa che aveva avuto sotto mano per non essere coinvolto in frenetici preparativi dell’ultimo minuto. In quel momento, un generale Grumman come non si era mai visto prima - o quasi - gli passò accanto con un oh-oh-oh degno del vero Babbo Natale, sfoggiando il tradizionale costume rosso e una barba da repertorio.
Roy avvertì l’immediato bisogno di scomparire dentro l’imbottitura della poltrona.

Breda, rassegnatosi all’eventualità di dover indossare un grembiule palesemente rosa, si era barricato in cucina, dove ora stava ingaggiando una lotta epica col tacchino da farcire, minacciando a colpi di mestolo chiunque osasse disturbarlo. Havoc, non volendo essere da meno, aveva ben pensato di occuparsi dell’albero di Natale, e adesso ondeggiava in equilibrio precario sulla scaletta, col puntale sottobraccio e la faccia di uno che stava per svenire da un momento all’altro. E come se non bastasse, ci si era messo pure il maggiore Armstrong che, offertosi molto gentilmente di sistemare gli addobbi esterni, adesso penzolava dal balcone appeso per il filo delle luminarie, esibendosi in uno spettacolare numero acrobatico che stava lasciando di stucco l’intero vicinato.

Stava giusto or ora considerando tutti i pro e i contro di una ritirata strategica nel ripostiglio, ma fu costretto ad accantonare il suo geniale piano per fare i dovuti onori di casa ad un certo nanetto di sua conoscenza - Purtroppo ci si rivede, stupido Taisa, eh? - Roy abbassò il giornale con un gesto vagamente stizzito, ritrovandosi a fissare la faccia beffarda del maggiore degli Elric, che si era appena stravaccato sul divano accanto a lui, appoggiando con molta poca grazia i suoi enormi anfibi sul tavolino del soggiorno. - Colonnello, non ascolti questo maleducato. Grazie mille per averci invitati, e Buon Natale! - esclamò Winry precipitosamente, tendendogli un sacchetto infiocchettato, e lanciando intanto a Ed un’occhiata così spaventosa che lui non ci pensò neanche due volte a rimettersi subito in piedi e risistemare persino la stoffa del divano dove si era seduto.
- Ehm Sì. Volevo dire, grazie per l’invito -
- Caro fagiolino, sono spiacente di non potermi intrattenere più a lungo con voi, ma riesco sempre a capire quando sono di troppo. Scommetto che tu e questa incantevole signorina entro breve avrete ben altro a cui pensare. Mi raccomando, godetevi la festa - Rivolse un inchino galante a Winry, che lo ricambiò con un’occhiata altrettanto confusa e imbarazzata, e sogghignò, allontanandosi, nel notare il sorriso strafottente di Ed che si spegneva all’istante per lasciar posto ad un pallore bianchiccio, quando finalmente si accorsero del rametto di vischio appeso proprio sopra di loro. - Grrr! Dove sta andando, dannato … colonnello?! Non si abbandona un compagno in difficoltà! Colonnello! ehm, Winry non dobbiamo mica … Winry! Che cosa stai facend…? -
- Buon Natale, Acciaio -


- Riza? Sei qui? - Si richiuse la porta alle spalle, appoggiandoci sopra la schiena, e rimase a osservarla mentre si stiracchiava sul loro letto, ruotando la testa contro al cuscino e voltandosi a guardarlo con un pigro, bellissimo sorriso sulle labbra leggermente arricciate in su. - Come sta procedendo di là? - domandò lei mettendosi a sedere con uno sbadiglio insonnolito, lanciandogli un’occhiata a mo’ di scusa per averlo lasciato da solo in balia della febbre natalizia esplosa tra i sottoposti. - Si sono fatti prendere un po’ la mano, forse ma sta tranquilla, la maggior parte dei muri è ancora in piedi credo -
- Sono stati così carini a preoccuparsi per me; hanno insistito perché non facessi niente e -
- E così hanno deciso di demolirci la casa - sussurrò lui sorridendo a sua volta, andando a sedersi sul bordo del letto.
- Checché ne dica tu, criticone che non sei altro - replicò Riza facendogli la linguaccia e dandogli un buffetto sul braccio - Io non avevo mai festeggiato un Natale così prima d’ora e mi piace. Tanto - rivolse lo sguardo al soffitto, un’ombra di malinconia sul viso rilassato. Ricordava bene anche lui tutti i dicembri passati a casa Hawkeye, il camino spento, nessun pacco colorato a ravvivare l’atmosfera, nessun padre amorevole che prendeva la sua bambina sulle ginocchia per farle gli auguri. Roy si allungò per prendere la sua mano, e quando la trovò strinse forte, portandosela al volto e lasciando un leggero bacio sulla punta delle dita infreddolite. - Sta nevicando! - esclamò Riza, slanciandosi giù dal letto con una velocità impressionante e correndo subito alla finestra; tese una mano verso di lui per farsi raggiungere, appoggiando l’altro palmo aperto sul vetro - Su, vieni a vedere, è bellissimo -
- Sì, davvero bellissimo - replicò lui soprappensiero; ma non stava guardando fuori. Forse dopotutto, era qualcosa di più di un semplice giorno dell’anno, con tanta neve e un adorabile signore troppo grasso che si ostinava a infilarsi dentro i camini, nonostante un girovita non più così invidiabile. E nel sorriso ebbro di felicità della donna che amava, riflesso nel vetro appannato della finestra, proprio lì, Roy Mustang trovò il regalo più bello. Si avvicinò a lei, cingendole la vita da dietro con un braccio, e appoggiando il mento sulla sua spalla scoperta.

- Oh-oh-oh! Cara signorina, come posso aiutarla? Sono a sua completa disposizione! - questo era il generale Grumman, giusto un po’ alticcio, che era andato ad aprire la porta ad una povera ed ignara signora del piano di sotto, venuta a lamentarsi del rumore, e già che c’era a pigliarsi pure un pezzo di panettone a sbafo. - Jean!! Cosa hai intenzione di fare?! - questo invece era Fuery che guardava allibito un sottotenente Havoc che, in piena crisi nervosa, stava tentando di potare l’abete in soggiorno con un paio di forbici. - Qualcuno mi aiuti! Quest’orrida bestiaccia sta cercando di mangiarsi il nostro pranzo!! - questo era ovviamente Breda che, inseguito da un Hayate ancora più giocherellone del solito, correva disperato per tutta la cucina col suo prezioso vassoio di antipasti, cercando di salvare il salvabile. - Ed! Su! Svegliati! Ed? non puoi sempre farmi fare queste figure! Ed?! - questa invece era la povera Winry, che continuava a scuotere per la camicia il suo cavaliere, lungo disteso sul pavimento, in stato confusionario e con la faccia in fiamme. - Colonnello! Tenente! Oddio, Armstrong è caduto giù! - Sarebbe stata certamente una lunga, lunga vigilia

Riza sollevò leggermente la testa, chiedendogli con lo sguardo se fosse oppure no il caso di intervenire.
Lui alzò gli occhi al cielo e scosse brevemente il capo, tornando a fissare di fuori; e notò stavolta un nuovo elemento decorativo nel giardino: un grosso cumulo di neve dal quale ogni tanto spuntavano, a intervalli regolari, delle aureole di stelline dall’aria alquanto familiare. Riza rideva, appoggiata a lui, una mano sul pancione, l’altra intrecciata con la sua.
Forse non era poi tutto così perfetto, ma andava bene così.
, andava - decisamente - bene così.


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Capitolo 4
*** A too much crowded bed ***


A too Much crowded bed


Senza preoccuparsi per una volta di abbandonare le pantofole in disordine sul tappeto, Riza sguscia al calduccio, sotto le lenzuola, rannicchiandosi su se stessa con un sorrisetto compiaciuto. Roy nello stesso momento esce dal bagno, sbadigliando sonoramente, e con molta classe ciabatta fino al suo lato del letto. Lui armeggia con le coperte, rigirandosi da tutte le parti come un forsennato alla ricerca della posizione ideale; i suoi piedi freddi si sfregano inavvertitamente contro le sue gambe, facendola sussultare, e come riflesso condizionato un cuscino raggiunge Roy dritto in faccia. Una risata. Lui che si gira di nuovo, cercandola. E poi eccolo, quel suo sorriso nella penombra della stanza, quel profumo deciso e avvolgente. Puntuale, come sempre, il braccio che le sfiora leggermente la schiena, arrivando poi a cingerle la vita e attirarla più vicina a sé. Socchiude gli occhi, beandosi nel suo abbraccio caldo. Non esiste miglior rimedio ad una giornata estenuante in ufficio, tra scartoffie da firmare e il protocollo rigido da seguire, se non il sollievo di potersi ritrovare, la sera, in quella loro intimità troppo a lungo negata, faticosamente conquistata, sopraffatti da un impellente bisogno di carezze, del calore dell’altro. Un fruscio, loro che scompaiono sotto al groviglio di lenzuola. C’è forse bisogno di specificare che era quello il momento preferito della giornata del colonnello Mustang? Un momento assolutamente perfetto e irripetibile? Il sorriso di Roy che, pericolosamente, man mano va allargandosi sempre di più; Riza che non sa trattenersi e alza gli occhi al cielo, accorgendosi che lui già ha preso a lottare coi bottoni della sua camicia da notte. No, vero?


Fuori dalla camera, proprio in quello stesso momento, un bambino si alza in punta di piedi e appoggia un occhio alla serratura per sbirciare dentro. Basta guardarlo, tutto arruffato e con una faccia da far concorrenza a un sonnambulo, per capire che è stato appena buttato giù - neanche troppo gentilmente - dal letto. Dietro di lui, la sorellina si aggrappa al suo braccio, scuotendolo per una manica e guardandosi intorno con aria timorosa. - Perché non entriamo? Maes? Per favore, non mi piace stare qui al buio -
- Ssh! Potevi pensarci prima di venire a svegliarmi, no? E comunque queste sono cose da poppanti! - bisbiglia il ragazzino aggrottando la fronte - Io te l’avevo detto che si stavano baciand-
- Si può sapere cosa ci fate ancora in piedi a quest’ora voi due?!
- Un Roy col pigiama mezzo sbottonato fa la sua comparsa sulla soglia della porta, con le braccia incrociate al petto e l’aria scocciata. Decisamente, quello era un fuori programma non troppo gradito. Fa passare lo sguardo da uno all’altro dei suoi bambini, quando finalmente realizza cosa ci fosse che non andava. No. Non di nuovo …!


(- Possiamo restare, mamma? -
- No - risponde Roy al suo posto.
- Certo che potete restare - ribatte Riza, lanciandogli un’occhiataccia.
- Ma … ma … ma!? - comincia a balbettare lui, alla frenetica ricerca di una motivazione che reggesse.
- Non mi vuoi nel lettone con te, papà? - la bimba lo guarda da sotto in su, con due occhioni imploranti.
Dannazione. Così non era valido però …)


Il bambino, accoccolato sopra di lui, gli sta schiacciando la pancia, scalciando tra le coperte nel sonno. Roy prova a scuotersi un po’ ma come risposta ottiene solo un brontolio infastidito. Cerca anche di recuperare un pezzetto di lenzuolo, ma la piccola non sembra tanto d’accordo di uscire dal bozzolo in cui si è avvolta lasciandolo del tutto scoperto. Sospira, rassegnato. Forse sarebbe stato più saggio raccattare un cuscino dall’armadio e andare a fare compagnia ad Hayate nella sua cuccia. Fa per girarsi, tentando di trovare almeno una posizione più comoda, ma sente le braccia di Riza che s’irrigidiscono, stringendosi di più intorno al suo collo. Un respiro caldo contro la guancia infreddolita, e poi il suo nome sussurrato debolmente tra le labbra socchiuse. Sorride.
Un momento perfetto?
Beh. Quasi.


- Roy? -
Un soffio caldo vicino all’orecchio e un grugnito poco gentile in risposta - Roy? -
Sbatte le palpebre un paio di volte, faticando a mettere a fuoco.
- Cosa …? Che ore sono, mh? -
- Soltanto le undici -
- Dormono tutti e due, non preoccuparti - borbotta, rigirandosi poi dall’altra parte.
- Appunto - Riza si stringe la coperta al petto con un sorrisetto stranamente malizioso, mentre scivola scalza giù dal letto e tende una mano - Se ci stringiamo un po’ il divano non è così stretto, no? - sussurra con aria innocente, ridendo dell’espressione a dir poco sbigottita di lui. E Roy, i cui riflessi tutto sommato non erano poi così lenti, si affretta a raggiungerla, intrecciando le dita nelle sue e lasciandosi guidare fuori dalla camera. Adorava il modo di ragionare del suo tenente.


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Capitolo 5
*** Just a Milk’s tale ***


Just a Milk’s tale


Edward Elric sta seduto sul divano di casa sua con le gambe divaricate e le braccia tese in avanti, lo sguardo imbambolato, perso nel vuoto, e la bocca contratta in una smorfia a dir poco terrorizzata. Si domanda, per la trentesima volta, come diavolo ha fatto a cacciarsi in una situazione del genere. Vorrebbe grattarsi la fronte, che prudeva già da un bel po’, ma ha le mani occupate; e poi comunque a pensarci bene è meglio di no, visto che un solo movimento falso potrebbe scatenare l’irreparabile. Come aveva potuto lasciarsi convincere a …? Il bozzo che ha sulla testa fa ancora male, dopo lo scontro ravvicinato con una chiave inglese.
Ah. Ecco come. Quello sì che era stato un argomento persuasivo.


La bambina però non sembra poi così dispiaciuta di rimanere a penzoloni sopra alle ginocchia del padre, stranamente neanche tanto infastidita dal metallo freddo dell’automail a contatto con la pelle, ma si limita ad osservarlo con un sorrisetto curioso e sdentato che - ma forse era solo una sua impressione - nascondeva una sfumatura un pochettino ironica. Appoggiato sul cuscino di fianco a lui, immobile, ritto, messo lì quasi apposta per sbeffeggiarlo, ecco la causa del suo problema. Un oggetto assai pericoloso, se maneggiato da inesperti, che poteva vantare un potenziale distruttivo ai limiti dell’immaginabile! Un orrendo, tragico, spaventoso, assolutamente agghiacciante biberon?
- Winry? - chiama lui con una chiara nota di panico nella voce - Ehi? Winry? - riprova, riluttante, ruotando gli occhi disperato in cerca di aiuto o, molto più probabilmente, di una via di fuga. La bambina comincia a muoversi di qua e di là, adesso irrequieta, scalciando i piedini dalle calze troppo lunghe, e rivolgendogli un urletto di rimprovero. Si protende in avanti, e allunga una mano paffuta verso di lui afferrandogli il naso con la stessa espressione scocciata di sua madre. Edward sospira, liberandosi dalla presa della figlia e baciando il palmo della manina aperta. Lo sa benissimo cosa avrebbe voluto dire. Non ci sai proprio fare, eh papà?
- Ma … ma piccola, non so cosa … - balbetta cercando di suonare convincente, più rivolto a se stesso che non a quella faccetta imbronciata - … Winry! - Ed eccola che finalmente appare, come un angelo in salopette e con uno sbafo di olio sulla guancia, gli occhi che faticano a stare aperti. E lui si sente subito un po’ in colpa per averla disturbata. In fondo ha passato tutto il pomeriggio ad occuparsi dei suoi automail; e dal fatto che per poco non rischia di sbandare contro il portaombrelli nell’ingresso, si potrebbe facilmente dedurre che ha parecchie ore arretrate di sonno. - Ed! C-che cosa …? - borbotta, strofinandosi una mano sulle palpebre, ma la sua espressione si addolcisce non appena vede il suo uomo di casa in serie difficoltà, mentre la figlioletta si agita da tutte le parti. - Mi dispiace, Winry, sul serio, non volevo seccarti ma … ma! È più forte di me, non - balbetta lui, alla ricerca di una misera scusa che regga. La ragazza si porta una ciocca bionda dietro all’orecchio, sedendosi a gambe incrociate sul tappeto, di fronte ai due. Inarca un sopracciglio, come incitandolo a continuare.

- Ehm … -
Sospira di stanchezza, ma sul suo viso si accende l’increspatura di un sorriso intenerito.
- Sei una frana, Edo - sussurra dolcemente, prendendo la bimba dalle braccia del padre e appoggiandola sulle proprie ginocchia.
Si allunga per recuperare il biberon abbandonato a se stesso sul cuscino e se lo porta meccanicamente alle labbra, con un gesto acquisito con l’esperienza, per controllare la temperatura. - Come può piacerle quella robaccia? Sicura che sia proprio mia figlia? - se ne esce fuori lui dopo averla osservata imbarazzato. Winry si limita a lanciargli un’occhiata raggelante, poi si rilassa e sorride, porgendo il beccuccio gommoso alla bambina, che ci si attacca con la boccuccia protesa, e comincia a poppare tutta soddisfatta. Lui rimane un attimo stranito, fissandole entrambe. - Che cosa ti succede adesso? Qualcosa non va? - domanda Winry sbadigliando.
Edo scuote la testa lentamente, con la vaga consapevolezza di non dover avere una faccia molto intelligente in quel momento. E poi bisognerebbe considerare anche quel calore all’altezza dello stomaco, un senso di benessere che si diffondeva a poco a poco nel suo corpo. - Per tutti i bambini è normale, sai? Beh. D’accordo, quasi tutti - si corregge notando la sua occhiata scettica - Semplicemente perché sa di casa, Ed - sussurra Winry accarezzando dolcemente la testolina biondiccia sotto di lei - Di famiglia, e anche d’amore in un certo senso - Lui annuisce. E poi nota un piccolo alone sul labbro inferiore della ragazza, bianco e luccicante.
Le porta una mano sotto il mento per alzarle la testa, e ride alla sua faccia sorpresa.
- … Posso? -


Non attende neanche la risposta, e appoggia la bocca sulla sua, appena dischiusa in una subito soffocata esclamazione di stupore.
Chiude gli occhi, assaporando a fondo quel sapore insolito, ma non certo sgradevole. Si stacca, un po’ più lentamente del solito, e si ritrova a fissarla, lei, con la bocca ancora mezza spalancata, che arrossisce furiosamente, e distoglie in fretta lo sguardo borbottando qualcosa come stupido fagiolo. Solitamente, anche dopo averla baciata, a sentire una cosa del genere non avrebbe retto nessuna scusante, e sarebbe stato un ottimo pretesto per una litigata coi fiocchi … ma stasera no, stasera è troppo innamorato, e può anche chiudere un occhio. La bimba gli rivolge un sorrisetto sdentato.
Che ti avevo detto, papà?

Latte. Winry. Una combinazione che risultava quantomeno convincente, per non dire allettante.
E lui, Edward Elric, prode alchimista di Stato, la cui famosa avversione per il latte era nota a chiunque nel raggio di cinquanta miglia, si ritrova adesso costretto ad ammettere per la prima volta in vita sua che quel liquido bianchiccio e dolciastro - in circostanze normali del tutto raccapricciante - tutto sommato non era poi così male.


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Capitolo 6
*** Hands on a Miracle ***


Hands on a Miracle


Dedicato a Shatzy,
Buon compleanno, ti voglio bene!




- Ciao - fa lui, avvicinandosi di qualche passo, un po' esitante.
- Ciao - risponde lei, inclinando il capo da un lato, sul cuscino.
- Come come ti senti? - Si concede una lunga occhiata al sorriso stanco ma orgoglioso della sua donna, mentre le si siede accanto sul letto, e non ha bisogno di altre risposte; poi sposta lo sguardo sul fagottino che lei stringe tra le braccia, deglutendo appena.
- E lui lui è …? -
- Sì, è proprio lui - risponde Riza ridendo nel tendergli il fagottino.
Roy lo solleva tra le braccia con una sorta di timore riverenziale, e mentre il neonato si stiracchia, spostando i due occhi nerissimi su di lui, Roy sussulta nel sentire la stretta incredibilmente salda di quell'esserino minuscolo, il suo esserino, di quella manina protesa nello spazio ristretto tra la coperta e l'alone caldo che ne fuoriusciva fino a prendergli il mignolo.
Si volta a fissare Riza, battendo le palpebre, e sussurra qualcosa.
- Anche io - sillabano le labbra di lei, curvandosi a loro volta.


"Perché quando un bambino appena nato stringe con il suo piccolo pugno,
per la prima volta, il dito di suo padre, lo mantiene intrappolato per sempre"

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Capitolo 7
*** Love Actually Is ***


Love Actually Is (all around)



- Sicuro che puoi pensarci tu, allora? - domandò Riza con aria apprensiva, in pigiama e ciabatte sulla soglia di casa.
- Ma certo, tesoro. Passo io. Non c'è problema - replicò Roy sfoderando un sorriso incoraggiante e attirandola a sé per schioccarle un bacio. - Okay. Però ricordati di arrivare puntuale, mi raccomando, e portagli qualcosa da mangiare, e … - cominciò lei contando sulla punta delle dita. - Riza? - la chiamò lui, divertito. Lei sollevò lo sguardo, perplessa - Ho capito, sta' tranquilla. Guarda che devo solo andare a prendere Maes a scuola, posso cavarmela, dico sul serio. Te lo riporto a casa tutto intero, fidati. Tu pensa solo a rimetterti a letto e riposare - Riza gli rivolse un sorrisetto a mo' di scusa, sollevandosi in punta di piedi per baciarlo di nuovo.
- Va bene. Mi fido -
- Brava bimba -
- Roy? -
- Dimmi -
- Alle quattro, mi raccomando -
- Tesoro, sinceramente, sto cominciando a credere che tu mi ritenga un padre del tutto irresponsabile -
- Ma no, che dici, non del tutto. Solo un pochino - replicò lei ridendo mentre lo sospingeva fuori dalla porta.
- Ah, grazie per la fiducia. E come marito invece, come me la cavo? - domandò sornione.
- Sei ancora passabile, tranquillo, ma adesso vai o farai tardi -
- Ah, è così? Eppure, oserei dire che l'altra notte è stata un po' più che solo passabile, mmh …? -
Riza alzò gli occhi al cielo, arrossendo suo malgrado e arricciando le labbra a metà tra il divertito e l'esasperato.
- Al lavoro! Fila! -


Roy gli arrivò incontro correndo a perdifiato.
- Oddio, Maes, scusa … Ehm, sai, c'era tanto di quel traffico … -
Il bambino adocchiò distrattamente la strada deserta intorno a sé.
- Ti sei addormentato - concluse quindi, scrollando le spalle.
- No! … Sì-no! Insomma … -
- Non fa niente, non lo dirò alla mamma -
- Ah. Beh. Grazie. Allora, come è andata oggi? -
- Bene - replicò lui atono, entrando in macchina.
- Okay, ehm ma … -
- Senti, puoi mettere in moto e basta? - sbottò il ragazzino, stizzito.
Roy richiuse la bocca, esitante, rassegnandosi allo scomodo silenzio calato tutto d'un tratto nell'abitacolo.
Ma fu quando, una volta rincasati, sentì la porta della cameretta sbattere, che davvero si rese conto di essere un completo disastro.
Per fortuna Riza era ancora addormentata nella loro stanza, e non sembrava essersi accorta di nulla. Roy sospirò di sollievo.
- Andiamo, Maes, aprimi. Ti ho comprato le frittelle. Lo so che non hai fatto merenda -
Qualche secondo di silenzio.
- … quelle al cioccolato? - domandò infine la sua vocina attutita, ancora un po' diffidente.
- Certo - Roy sorrise alla porta, trionfante. Qualche altro secondo, seguito poi dallo scatto della serratura.
- Va bene. Entra allora - Maes se ne stava sdraiato a pancia in giù sul letto, la faccia tragicamente sepolta sotto il cuscino.
- Ma che ti prende? Si può sapere? È successo qualcosa a scuola? … Che cos'hai? -
- Niente - mugugnò il bambino, scuotendosi leggermente.
- Non può non essere niente. Ehi. Qual è il problema? -
- … -
- Avanti, puoi parlarmene -
- Tanto non potrai aiutarmi. Nessuno può - sbottò.
- Non importa. Dimmelo comunque. Voglio almeno sapere cosa c'è che non va -
- Lo vuoi sapere davvero? -
- Ma certo -
- Beh. La verità è che … mi sono innamorato -
Roy sbatté un paio di volte le palpebre. - Eh? - domandò, sbalordito.
- Mi sono innamorato! - ripeté Maes da sotto il cuscino, con voce un po' più alta.
- … Ah - fece Roy, piuttosto esitante - Ma scusa, non sei un po' troppo piccolo per essere innamorato? -
Maes sospirò, come se gli avesse appena chiesto una cosa molto stupida. - No - esclamò, con un verso sofferente.
- Ehi - lo chiamò Roy ridacchiando e dandogli una scrollata, per la quale ottenne solo un leggero bofonchiare in risposta - Ehi, Maes, non è mica una brutta cosa. Anzi, direi che è grandioso! Ehi, esci da lì sotto, andiamo, fare lo struzzo non ti si addice proprio -
Il bimbo obbedì e finalmente riemerse, un po' più spettinato e immusonito di prima.
- Non ci vedo proprio niente di grandioso. Niente di niente - borbottò.
- Come si chiama lei? - chiese Roy con un sorrisone entusiasta.
- Mmfgh -
- Eh? -
- Mmmfgh -
- Maes non capisco se parli nel maglione -
- … Elimfgh -
- Maes … -
- Elicia! Si chiama Elicia! Soddisfatto? -
- E-Elicia Hughes? - Maes s'illuminò, annuendo più volte.
A Roy venne quasi da ridere. Il vecchio Hughes, se fosse stato lì, non l'avrebbe di certo presa troppo bene.
- Ehm. D'accordo. Allora, in questo caso … beh, penso che dovresti dirle ciò che provi - concluse con una certa solennità.
- Eh? Non esiste! Lei non sa neanche come mi chiamo. È più grande di me, ed è la ragazza più bella della scuola … -
- Non c'è storia che un Mustang venga rifiutato da una ragazza - fece Roy con un sorrisetto tronfio. Maes inarcò un sopracciglio.
- La mamma ti ha rifiutato - obbiettò - Un sacco di volte -
- Ehm. Questi sono solo dettagli inutili -
- Ma non ci riesco - mugugnò il bambino - Io non sono coraggioso come te -
- Ma Maes, la prima volta che ho detto a tua madre che l'amavo … io ero semplicemente terrorizzato -
- E la mamma invece? -
- Oh, lei è stata grandiosa -
- Ti ha baciato? -
- No, mi ha dato dell'idiota -
- Non ci credo! - esclamò Maes - E poi cos'è successo? -
- Aehm. Il resto te lo racconterò quando sarai un po' più grande, eh? -
Roy ridacchiò, spettinandogli i capelli in una carezza goffa e affettuosa.
- E quindi, la piccola Elicia, eh? Chi l'avrebbe mai detto? Hai capito il nostro ometto, che birbante … -
- Daiii~ non è divertente! - Roy sorrise al broncio del figlio, lasciandosi cadere all'indietro sul letto con un sospiro.
- Senti, magari non sarò proprio il massimo come papà, ma sul serio, faccio del mio meglio. Anche se il mio meglio alle volte fa schifo, lo so - Maes rise - Ma tu vedi di ricordarti che ti voglio bene, impiastro, d'accordo? E comunque, tornando a noi, lo sai qual è il solo e unico rimedio accertato da tutti i dottori del mondo, per le pene d'amore? -
- Quale? - chiese l'altro incuriosito, con un piccolo sorriso.
Roy gli piazzò il sacchetto ancora caldo del panettiere sotto il naso. Il bimbo sgranò gli occhi, sorpreso.
- Frittelle al cioccolato. Funzionano sempre, ti assicuro - concluse con aria saputa - Allora, ce le mangiamo o no? -
- Ehi, papà, la vuoi sapere una cosa? - fece Maes, il sorriso che si allargava - Il tuo meglio va benissimo -


- Mmh? Ma che stai facendo? -
Riza si volse a fissarlo, che entrava a torso nudo a letto con lei.
- Roy, ti attaccherò il raffreddore così. Sul serio, non … -
- Non importa. Ho troppa voglia di abbracciarti -
- Ma Roy, hai i piedi ghiacciati, fermo! - fece lei ridendo nel divincolarsi.
- Mmh, prenditela con tuo figlio. È stato lui a ricordarmi che dovevo dirti una cosa -
- Che cosa? - chiese lei, battendo le palpebre sorpresa.
- Che ti amo - rispose lui con semplicità - Tantissimo -


Per: Elicia Hughes. Da: Maes Mustang.
Ehi. Ciao. Senti, lo so che sono più giovane di te.
Ma mio padre dice che posso sempre compensare gli anni che mancano con l'infallibile fascino dei Mustang.
Mio padre alle volte dice delle vere idiozie. Quindi penso che crescerò ancora un po' prima di chiederti di essere la mia ragazza.
Nel frattempo, mentre aspettiamo, ti va una frittella con me? Offro io.


Avete visto? Ho creato una nuova coppia *O* Sono un genio, modestamente xD
La storia si ispira ad una scena dell'adorabilissimo film Love Actually che ovviamente consiglio a tutti ^O^
Mmh, l'ho notato solo ora e non so perchè, ma le frittelle ricorrono spesso in questa raccolta O_o
Dev'essere il mio subconscio che mi suggerisce di mangiarmi una frittella, mah XD
Il capitolo poteva venire molto meglio, ma sono alle strette, mi riduco sempre all'ultimo ç.ç
Beh, insomma, BUON ROYAI DAY a tutte !!



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