Neverland

di AC_Vicolo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Artie ***
Capitolo 2: *** Peter ***



Capitolo 1
*** Artie ***





 1. Artie 

A volte Artie si chiedeva se la sua camera potesse essere catalogata come quella di un bambino di due anni o come quella di un pedofilo. Insomma, con i suoi ben quindici inverni sul groppone aveva decisamente superato la tenera età di un bambino a cui possono piacere le fiabe di Walt Disney.  Tuttavia, era ancora troppo giovane per calzare i panni di un maggiorenne in astinenza. Forse era una di quelle bimbeminchia in cerca di avventura? No, lei avventura non ne cercava affatto. Forse una categoria di persone come lei esisteva e lei non lo sapeva?
Se ve lo state chiedendo, Artie era una ragazza. Il suo vero nome era Ginevra, ma suo padre aveva iniziato a chiamarla Artù da quando aveva mostrato grande interesse nei combattimenti con la spada. Da Artù, poi, era diventata Artie e così era rimasta. La sua camera, da quando ne aveva memoria, era sempre stata tappezzata con decine di foto e poster di Peter Pan. Ne aveva ua vastissima collezione: sulla parete verde c’erano tutte immagini prese dal film di Walt Disney, sulla due pareti blu c’erano fotogrammi del film realizzato nel 2003 e sulla parete rossa c’erano ritagli vari di molte rappresentazioni in musical, soprattutto della prima in assoluto, risalente al 1905, e anche alcuni remake goth. Lei ne andava fierissima, anche se un po’ se ne vergognava. Aveva un attaccamento morboso a quella bellissima fiaba, cosa poteva farci? Forse era proprio perché si riconosceva nel protagonista. Forse vedeva in entrambi uno spadaccino che avrebbe voluto rimanere piccolo e spensierato per sempre.
Ormai si era abituata a non trascorrere le serate su Facebook, come tutti i suoi amici, ma a rimanere nel letto o ad esercitarsi con la spada, fantasticando su un suo possibile essere la tanto agognata Wendy. Sperava che un giorno Peter sarebbe arrivato e l’avesse portata con se, a Neverland. Fantasie assurde, ovviamente.
Artie aveva poche amiche femmine, infatti il suo migliore amico era un maschio. Si chiamava Billie e lo aveva conosciuto un anno prima. Si erano incontrati per la prima volta nel parco vicino casa loro. Lei si stava allenando con la sua spada preferita che, logicamente, aveva chiamato Peter. Lui le si era avvicinato dicendole di essere uno schermitore e, da quel giorno, avevano combattuto quasi ogni pomeriggio.
Lui le aveva anche dato il primo bacio. Dopo una settimana che stavano insieme, però, avevano concluso che la loro relazione funzionava di più quando erano amici. Intanto lei gli aveva confessato dello stato della sua camera e della sua strana passione. Billie era l’unico a saperlo, oltre ai suoi genitori.
Una mattina di giugno lei lo aspettava, come al solito, seduta su un muretto a metà strada tra le loro case. Era l’ultimo giorno di scuola e a Londra il clima era mite, come al solito. Il suo amico era in ritardo di ben cinque minuti, di questo passo le avrebbe fatto fare tardi. Si alzò di malavoglia e fece per incamminarsi verso scuola per un viale ampio ed alberato, quando qualcuno da dietro la chiamò.
- Aspetta! –
Storse il naso. Chi era quella stronzetta bionda che la chiamava? E che voleva da lei? Stava per andarsene, quando la ragazza continuò : - Vai alla St George High, per caso?
Si girò e le rispose : - Si, perché?
Finalmente l’altra la raggiunse, arrancando sui tacchi a spillo. – Ciao, mi chiamo Sallie. È il mio primo giorno qui e non ho idea di come arrivare a scuola! Ho visto che hai grossomodo la mia età, quindi ho pensato di chiedere a te…
- Certo, vieni con me.
L’idea di percorrere il tragitto con Sallie la irritava da morire. Perché diavolo doveva presentarsi a scuola proprio l’ultimo giorno, se poi non sarebbe venuta per tre mesi?!  Di sicuro avrebbe fatto amicizia con tutte le altre troiette il giorno stesso e poi non la avrebbe più calcolata, semmai si fossero incrociate per strada. Erano quasi arrivate, quando Sallie si fermò di scatto e si mise a frugare nella borsetta che si era portata dietro.
“Chi sa dove terrà i libri…” pensò Artie.
- Aiuto! Il lucidalabbra!
“Dio, no…”
- Ginevra, dobbiamo tornare indietro! Non posso andare a scuola senza il lucidalabbra!- si era messa a urlare la biondona, strattonandola.
- Mi dispiace, ma non possiamo tornare indietro. Faremo tardi!
Sallie scoppiò in un piantino sommamente fastidioso e continuò a lamentarsi  finche Artie si decise ad accompagnarla di nuovo a casa.
- Andiamo a casa tua! – Disse la bionda. – Casa mia è più lontana, in questo modo faremo prima.
Acconsentì. Doveva pur avere un lucidalabbra, da qualche parte.
La costrinse a correre, nonostante i suoi borbottii sul fatto che con i tacchi che aveva le facevano male i talloni. Arrivarono a casa di Artie in qualche minuto.
Accompagnò Sallie dentro, ma le chiese di aspettare fuori dalla sua stanza. Non voleva che una tipa così vedesse tutti i suoi poster e i suoi gadget. Entrò e si mise a frugare dentro i cassetti.
Proprio mentre si accingeva a tirare fuori il lucido, sentì il rumore della porta che si apriva e il flash di una fotocamera quasi la accecò.
- Oh mamma! Billie aveva ragione! Sei una pervertita! Ahahahahaha!
Sallie era entrata e aveva fotografato la sua stanza con il cellulare. Artie era rimasta senza parole.
- Me lo aveva detto che mi avrebbe fatta divertire se mi fossi messa con lui! Ahahahaha! Non riesco a fermarmi!
- Tu, stronza…
Mentre la biondona rideva, Artie si fiondò su di lei, le prese il cellulare di mano e lo gettò con forza sul pavimento. Lo schermo di frantumò in mille pezzi.
Sallie scoppiò a piangere e si mise a buttare tutto all’aria, gridando che adesso avrebbe dovuto ripagarglielo.
- Te lo fai comprare dal tuo caro fidanzatino un telefono nuovo, troia!
La prese dai capelli e la spinse fuori di casa chiudendo la porta con la doppia mandata. Poi scappò a piangere nella sua stanza.
Billie, il suo migliore amico! Si era venduto per una così!
- Fanculo! Fanculo a Billie, a me stessa e a te! - gridò  guardando uno dei suoi poster. Lanciò una spazzola addosso all’immagine del povero Peter che la guardava sorridendo e si gettò sul suo letto. Rimase lì a piangere fino a sera. Aveva sentito i suoi genitori tornare, ma si era rifiutata di aprire la porta e spiegar loro perché si era assentata da scuola.
Dovevano essere circa le dieci, quando si alzò dal letto e smise di piangere. La prima cosa che pensò di fare fu avvicinarsi al poster che aveva colpito con la spazzola.
- Senti, mi dispiace… - disse  giocherellando con un laccio della felpa della squadra di scherma. – Non devo arrabbiarmi con te. Infondo, sono io che sono una pazza maniaca. Insomma, nonostante abbia quindici anni, ho appesi in camera decine di tuoi poster e adesso ti sto addirittura parlando! Cristo! Devo avere qualcosa che non va se il modo migliore che ho di sfogarmi è quello di parlare con un tuo poster, Peter…
- Allora perché ti ostini a parlare con un mio poster?

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Capitolo 2
*** Peter ***



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2. Peter

In piedi sulla finestra di Artie c’era un ragazzino che la scrutava con le braccia conserte. Era alto più o meno un metro e ottanta e dimostrava circa sedici anni. Aveva i capelli castani e scompigliati che necessitavano assolutamente di essere tagliati e gli arrivavano sotto il collo. Il suo fisico era atletico, ma secco; i suoi occhi verde scuro con qualche sfumatura smeraldo. Indossava una vecchia camicia sporca e logora e dei pantaloni di tela marrone combinati altrettanto male. Sembravano essere stati ricavati da un sacco, ma Artie non ne era sicura. La sua espressione era compiaciuta e la smorfia che aveva stampata sul volto lo faceva sembrare parecchio sicuro di se.
Il primo istinto di Artie, da brava schermitrice, era stato quello di impugnare la spada, però questa era rimasta a mezz’aria. La ragazza era imbambolata in una perfetta seconda posizione, con la bocca semiaperta e gli occhi sgranati.
Lui decise di spostarsi dal davanzale e volò sul suo letto, dove non si preoccupò di appoggiare i piedi logori.
- Uhm… è comodo. A Neverland non ce ne sono così, ti dispiace se me lo porto?
- Tu… Cristo, sono pazza seriamente.
Artie lasciò cadere la spada e si accuccio in un angolo con le mani strette sulle tempie. Il ragazzo si avvicinò a lei e le toccò la fronte.
- Cos’hai? Stai male?
Lei si alzò di scatto.
- Tu… tu non sei reale! Vattene via! Butterò i poster, ma vattene via! - urlò indicando la finestra.
 Lui si offese e andò ad accovacciarsi sul letto dicendo: - No! Hai idea di quanta strada ho fatto per venire da te?
- Ok, questo non è normale… Senti, se non esci da quella finestra entro i prossimi dieci secondi giuro che chiamo i miei genitori! Aspetta… ma tu non sei reale, loro non possono vederti!
- Ok, magari un po’ sei pazza…
Si avvicinò da lei, porgendole la mano. – Piacere, sono Peter - disse.
- Pan? – rispose titubante la ragazza, che ormai si era rassegnata a parlare col suo subconscio, porgendogli la mano a sua volta.
Lui si ritrasse bruscamente e brontolò : - Cavolo, no!
- Allora il tuo cognome qual è…?
- Magari me lo ricordassi…
Artie si alzò dal pavimento. – Aspetta… mi stai dicendo che non ti ricordi come ti chiami?
- Non, non ne ho idea…
Il ragazzo svolazzò sul mobile attaccato ad una delle pareti azzurre, squadrò un’immagine di Jeremy Sumpter che guardava Campanellino e piegò leggermente la testa. – Chi è questo che guarda Trilly?
La ragazza cominciava a prendere gusto nel parlare con lui. – Lui… lui sei tu. Ma non tu veramente! Sei tu come ti descrivono qui, nel mondo reale!
Peter si girò di scatto e rispose : - Guarda che non c’è mondo più reale di Neverland. Non hai idea di cosa parli.
Si fece vicino alla ragazza e la prese per le spalle. – Tu devi venire con me.
Ecco. Adesso Artie doveva scegliere: saltare addosso a lui e urlar di non aver aspettato altro durante tutta quanta la sua vile esistenza o ragionare e pensare anche un po’ a ciò che avrebbe lasciato? Optò per una via di mezzo.
- Io… si, certo che voglio venire con te!
Peter sorrise. I loro visi erano ad una distanza di dieci centimetri e, dato che lui era anche un bel ragazzo, la ragazza decise di approfittarne.
- Non è che vorresti un ditale…?
Peter si staccò bruscamente e la guardò stranito. – Mi spieghi cosa dovrei farmene di un ditale?!
Artie ci era rimasta male. Parecchio male. Poi riflettè. – Aspetta… tu come fai a sapere cos’è un ditale?
Peter guardò in basso. – Li… li usava mia madre, quando ancora vivevo con lei.
Lei gli si avvicinò ed esclamò: - Quindi tu non sei un bambino mai nato! Tu… tu vieni da qui!
Lui si adombrò. – Ti racconterò tutto più tardi, quando saremo arrivati. Adesso, tieni questa! –
Le lanciò un sacchettino. La ragazza lo aprì e ne tirò fuori una fiala. – Devo… devo berla?
- No! Non lo fare, ti manda al cimitero immediatamente! Fai così…
Peter le si avvicinò, le prese la fiala di mano e ne versò un po’ del contenuto sul pavimento. Dopo pochi secondi i piedi della ragazza si staccarono dal pavimento e Artie cominciò a levitare.
- Questo è GRANDIOSO! – urlò lei. – Ma come… come fai?!
Peter sorrise beffardo. – Ti anticipo una cosa: di tutto ciò che credi sia reale, possono essere ampliate le potenzialità. È un concetto che tu sicuramente conosci, è chiamato Magia.
Artie era stupefatta. Quindi la Magia esisteva, eccome se esisteva! Si chiese come fare a spostarsi, ma le bastò immaginare il movimento da fare ed esso si compì in un batter d’occhio. Fece qualche altra prova percorrendo più volte il perimetro della stanza.
- È … è meraviglioso. Peter, tu non hai idea del regalo che mi hai fatto!
Peter sorrise. – Già… ora, ti va di uscire?
La ragazza non ebbe il tempo di contestare, perché Peter salì sul davanzale e, di punto in bianco, di gettò nel vuoto. Artie emise un urlo di terrore, ma lui si rialzò dal nulla e fu di nuovo davanti alla sua finestra.
- Avanti, vieni con me  - le disse porgendole la mano.
Artie sorrise.
– Certo –
Prese la mano di Peter e insieme si librarono sul suo giardino. Tutto sembrava così piccolo e lontano; appartenente ad una dimensione che per loro era ormai troppo piccola. Un nuovo universo si apriva davanti agli occhi di Artie: un luogo dove poteva pensare ciò che le pareva, dove tutto quanto prendeva lucentezza e trasporto grazie al nuovo concetto che aveva della realtà.
All’inizio fu un po’ difficile rimanere in equilibrio perché la sua mente volava nei posti più sperduti e, in un attimo, si ritrovava cento metri più avanti.
Peter invece volava tranquillo. Scrutava dritto davanti a se, senza mai distogliere lo sguardo.
Si stavano dirigendo a Nord, notò la ragazza. Stavano volando da dieci minuti, quando lui si fermò e, indicando due stelle vicine, disse: - Noi ci dirigiamo verso la seconda a destra. Tienimi la mano e, quando ti faccio segno, trattieni il respiro. L’area sarà parecchio rarefatta tra un po’.
Artie annuì e strinse la mano di Peter. Cominciarono a salire sempre di più, tanto che, superato uno strato di nubi, ormai non vedevano più i palazzi sulla terra. Il vento era più forte e lei cominciava a fare fatica a sopportare la pressione.
Tutto intorno a loro diventò blu profondo e Peter le fece segno di prendere aria. Così fece e  si sentì tirare con una forza incredibile. Ma tanta era la forza, quanto era grande la resistenza che l’aria opponeva. Voleva gridare, ma sapeva di non poterlo fare perché poi non sarebbe più riuscita a prendere fiato.
Ma la densità dell’atmosfera circostante diventava sempre più forte, tanto che ad Artie sembrò di essere trascinata attraverso un solido. Aveva paura, voleva gridare che stavano per morire, che lei non riusciva più a tenere il fiato. Ma, proprio quando stava per aprire bocca, un luce abbagliante la accecò. Peter ce le trascinò dentro.
Tutto era buoi, ora. Anche il blu denso in cui erano stati immersi prima era svanito; aveva lasciato il posto all’oscurità. Però potevano respirare tranquillamente. Anche la super-pressione era sparita, levitavano come qualche minuto prima in camera di Artie.
- Peter…
- Vieni, dobbiamo seguire loro! – disse lui indicando un piccolissimo bagliore.


Ciao a tutti! :) Perchè non recensite?! *Sigh sigh*
Faccio così schifo? D:
Vabbè...
Spero che la storia vi piaccia e, VI SCONGIURO, lasciate una recensione :)

ℭhronyϟ

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