Soltanto una questione di prospettive di AsfodeloSpirito17662 (/viewuser.php?uid=643)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitoli 7 ed 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
PROLOGO
"Che cosa ne facciamo di lui?"
Al di là del vetro, Mathias siede in maniera composta, le manine incrociate sul tavolo quadrato, illuminato solo dalla luce asettica ed impersonale che pende dal soffitto. La camicia bianca con righine arancioni, sottili e pallide, è abbottonata fin sotto il mento. Il movimento regolare del petto, dovuto al respiro, è vagamente mascherato dal golfino color panna che la sua minuta figura indossa, sopra un paio di pantaloncini marroni. Il fascio che la lampada emana, sembra voler inglobare al suo interno semplicemente la figura del bambino, mantenendo in una vaga ombra le gambe ciondolanti sotto il tavolo, coperte sin sotto il ginocchio da un paio di calzini bianchi con abbinati dei mocassini neri e lucidi. E' l'immagine della purezza e della compostezza, in quella stanza spoglia, scialba, che Blaise può osservare attraverso il vetro trasparente -senza però poter essere osservato a sua volta. Infatti, Blaise pensa che, in qualche modo, sia ingiusto. Una sola prospettiva, un solo giudizio, una sola chance, una sola volta, un solo tempo, un solo battito, un solo cervello. Uno, uno, uno. Tutto unico nel suo genere, tutto irripetibile. Non che lui sia una persona a cui importi cosa è giusto e cosa non lo è ma, davvero, in quel momento l'idea nasce spontanea, non può fare a meno di pensare... Perché non è mai permesso avere due prospettive?
NOTE DELL'AUTORE:
Lo so, è un prologo decisamente lungo. Potevo farlo più corto visto che c'ero! (Ironia portami via). Ringrazio Arianna perché sta betando questa enorme epopea con tanta pazienza. La storia è già terminata, pubblicherò un capitolo ogni sabato. E' da più di un anno che la sto scrivendo e non credevo l'avrei mai terminata, perché mi conosco e non mi fido della mia (in)costanza. Ma dato che il miracolo è accaduto, ho il sacrosanto dovere di rendere il mondo partecipe della mia gioia. Ci vediamo al primo capitolo :) |
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
PRIMO CAPITOLO
Don't want to hear about it
Every single one's got a story to tell
Everyone knows about it
From the Queen of England to the hounds of hell
(The White Stripes, Seven Nation Army)
Blaise non sapeva sinceramente che pesci pigliare, dico davvero. E se glielo avessero chiesto, non avrebbe saputo nemmeno spiegare e descrivere la sequenza causale -no, ricercata no- che lo aveva messo inevitabilmente, con fare irrisorio, in quella situazione. Una settimana fa, se glielo avessero detto, probabilmente si sarebbe fatto una grassa risata. E ridere non gli capitava molto spesso, il che, già di per sé, sarebbe stato un evento. Ma quello. Oh, quello andava Oltre Ogni Previsione. La propria, per la precisione. Odiava sentirsi inadatto e a disagio per qualcosa. Disagio causato da una situazione che -ne era certo- non sapeva affrontare, nel modo più assoluto. Era sempre stato in grado di fare tutto, sia a scuola che fuori. Se l'era sempre cavata da solo per qualsiasi cosa e 'professionalità' era il suo secondo nome. Chiedergli di cucinare qualcosa? Bene, ce la poteva fare. Fare qualche incantesimo mirabolante? Nessun problema, era sempre stato abbastanza bravo. Tenere una conferenza sul perché è importante promuovere, per i giovani, l'arruolamento negli Auror? Spiacevole, ma lo poteva fare, se proprio doveva, dato che era anche il suo lavoro. Ruolo non desiderato ma, capiamoci... tra l'accusa di aver preso parte alla Guerra Magica in veste di Mangiamorte, con il rischio di finire ad Azkaban per il resto della sua vita ed il prestare servizi sociali alla comunità magica, rientrando come corpo di supporto speciale tra le file dei Soldatini Bianchi... aveva scelto di certo la seconda, senza batter ciglio. Il suo ruolo era abbastanza marginale, niente spargimenti di sangue sul campo, niente maledizioni, niente scontri corpo a corpo, niente di niente... per fortuna. Principalmente, la sua occupazione consisteva nel rifornire i magazzini del dipartimento Auror con pozioni utili, dato che il suo titolo di studio glielo permetteva, e di risolvere le noiose questioni burocratiche che i SignorSonoMachoCombattoICattivi Capi Auror, non potevano assolutamente perdere tempo a fare. Ma si sapeva che ogni secondo valeva una vita. Anche quella di un fottuto procione che attraversava la strada. Se non si è capito, si vuole ironizzare. Tuttavia... c'erano altresì dei lati negativi. Come quello accanto a lui, ad esempio. Il suo lato negativo si chiamava Mathias, di anni 8, statura nella media, un po' mingherlino. Vestito di tutto punto, quell'abbigliamento di certo non si adattava ad un bambino della sua età. Probabilmente trent'anni prima la cosa sarebbe passata più inosservata, soprattutto a causa di quegli antiquati mocassini da cui sbucavano i candidi calzini. Anglo - spagnolo da parte di madre, aveva l'incarnato chiaro tipico dei britannici ed un paio di grandi occhi neri che riprendevano direttamente il colore dei capelli un po' lunghi e disordinati. Blaise ebbe una spiacevole impressione di non avrebbe saputo dire esattamente cosa. Cosa ci faceva con luiun bambino così ben vestito, con i capelli spettinati? Probabilmente la cosa era del tutto irrilevante e sicuramente, non era quello il momento di porsi certi quesiti, ma non aveva potuto fare a meno di notare quel contrasto e la domanda era sorta da sola, nella sua testa. Quelli del Dipartimento erano stati proprio bravi, comunque. Scaricare i propri impicci sul primo disgraziato era una cosa che adoravano fare, soprattutto se il disgraziato in questione aveva magistralmente evitato la galera con un ripiego non gradito. Come già detto, non gli era stato chiaro il modo in cui erano riusciti ad affibbiargli la custodia temporanea di Mathias, sempre di anni 8. Oltretutto, la cosa era avvenuta a causa di unaloro negligenza. Bisognava studiare all'incirca sei anni per diventare Auror, ma se poi non si era neanche in grado di arrivare in tempo ad un attacco scatenato dai pochi restanti Mangiamorte, per salvare una famiglia ed evitare che l'ennesimo bambino potesse rimanere orfano... Blaise si morse la lingua, per evitaredi pensare qualcosa di estremamente volgare. Il Destino aveva voluto che quel fato infame, toccasse proprio a Mathias; sempre lui, il Destino, aveva deciso sadicamente di attirare in quella storia, nelle sue grinfie, anche Blaise, che di bambini non c'aveva mai capito niente e mai avrebbe voluto capire.
Figlio unico, figura paterna praticamente inesistente, cugini – nipoti - altro di età inferiore a lui zero totale, contatti con individui di età sempre inferiore a lui pari a 1,03 % calcolato su un ciclo vitale di circa 25 anni e qualche mese. Precisamente, la sua età attuale. Poteva quindi affermare, con la massima sicurezza e in pieno possesso di tutte le proprie facoltà razionali, che aveva un problema non indifferente, peggiorato dal piccolo particolare che Blaise non era stato ancora messo al corrente di quanto sarebbe durato questo impiccio.
Ad un certo punto,il suddetto problema, schiarì la voce.
"Ho sete"
Il Problema aveva sete. Certo, come aveva fatto a non pensarci prima? Il Problema era a suo carico, da quel momento. Ciò significava che avrebbe dovuto nutrirlo, abbeverarlo, fornirgli un alloggio, del vestiario e magari anche qualche giocattolo pericoloso con cui rimanere accidentalmente... no, non era la strada giusta. Così facendo quelli del Ministero avrebbero avuto, con somma soddisfazione, altra robaccia da aggiungere ai suoi capi d'accusa. Non era una buona idea, serviva un'altra strategia. Forse avrebbe potuto, sempre accidentalmente, perderlo in mezzo alla folla...? Lo poteva portare a Diagon Alley di sabato -e si sapeva che Diagon Alley di sabato veniva frequentata solo da chi amava gli atti profondamente masochistici- e poi...
"Ho detto che ho sete"
Blaise sentì nella propria testa come un fastidioso rumore di nastro interrotto senza preavviso. Abbassò gli occhi sul bambino dall'alto del suo metro e novantatre, prendendo solo in quel momento la coscienza effettiva che sì, Mathias era lì, gli stava chiedendo da bere e probabilmente aveva/avrebbe avuto anche altre esigenze che era compito suo soddisfare. Il Problema lo stava guardando con una faccia un po' troppo inespressiva e rilassata, per uno a cui erano appena morti i genitori. Se i Capi Auror o il ragazzino si aspettavano da lui un po' di compassione o checazzonesapevalui, avevano sbagliato persona. Detto molto francamente, l'interesse che nutriva per i sentimenti contrastanti e tetri che quel bamboccio poteva star provando in quel momento, era all'incirca pari all'interesse che aveva nel fare bene il proprio lavoro di 'volontariato', se così si poteva definire, dato che non era stata proprio per sua volontà. Senza contare che era proprio lui la fonte della sua attuale preoccupazione, che diamine! Le voci dei dipendenti del Ministero cominciarono ad emergere lentamente, come se giungessero da un posto lontano, sino a farsi via via più alte. Blaise si era chiuso nei suoi pensieri, perdendo la concezione del tempo e dello spazio, ed ora si stava lentamente risvegliando nell'atrio del Ministero, con la fontana al centro, le statue, i camini sempre al lavoro con le loro fiammate verdi... e Mathias che lo tirava per una manica del maglione.
"Tu hai problemi di udito" affermò, senza nessuna incertezza nel tono di voce impersonale e senza l'ombra di accento spagnolo. Ora che lo guardava bene, notava una spolverata leggera di lentiggini sul naso a patata e sulle guance chiare.
"No, ho sentito benissimo. Sto pensando a dove posso portarti per farti bere" replicò Blaise, accigliandosi. Ecco, visto? Già non gli piaceva. Cos'erano tutta quella confidenza e quella strafottenza? Perché era stato chiaramente strafottente, l'avevano visto tutti e l'aveva visto lui. Palesemente strafottente. Mathias, per tutta risposta, lo osservò di rimando tenendo il naso puntato all'insù, in direzione di quell'omone dalla carnagione scura.
"Ci sono i bagni. Hai la bacchetta per fare qualche magia. Usciti di qui, ci sono dei bar. Non credo che non ci sia nessuno, in qualche ufficio, in possesso di una bottiglia d'acqua. E, dato che dovrò vivere con te e dovrò quindi venire a casa tua, potresti anche portarmi lì e darmi l'acqua. Non mi sembra complicato ma, visto l'andazzo, mi sa che devo cominciare a prendere in considerazione la fontana"
Blaise pensò seriamente che Il Problema fosse in realtà Il Mostro. Lo osservò con un misto di inquietudine e di incredulità, aprendo leggermente la bocca senza tuttavia dire nulla, anche se avrebbe voluto. L'aveva detto sin da subito, che c'era qualcosa in quel bambino che non lo convinceva ed ora cominciava a riceverne le prime conferme. Non volle pensare di essere stato appena messo in ridicolo da un bambino di ancora anni 8, ma preferì attribuire la colpa dell'accaduto ai postumi del trauma che il Dipartimento gli aveva causato, affibbiandogli Mathias. Non era stato preparato, era distratto e sovrappensiero, l'aveva preso in contropiede, con un colpo basso, non valeva, non...
"Stammi a sentire, Mostriciattolo" piegò la schiena in avanti, così da poter osservare bene il bambino negli occhi scuri, quasi quanto i suoi "per una pacifica convivenza tengo a sottolineare la questione che la mia persona non gradirà inerzie di alcun genere, non avrà le facoltà di tollerare querimonie differenziate, non ti permetterà di fare ammenda per sproloqui e vaniloqui eccessivi e il nutrimento ed il mantenimento della propria igiene personale avverranno in maniera autonoma. E' tutto chiaro?" aveva usato un linguaggio forbito (o almeno ne avrebbe dovuto avere la parvenza) di proposito, tanto per sottolineare la differenza tra sé e lui, tra l'adulto ed il bambino, tra l'ospitante e l'ospitato, tra Il Martire ed Il Mostro. Mathias non sembrava essere particolarmente impressionato dalla premessa appena fattagli da Blaise ed anzi, l'aveva fissato negli occhi per tutto il tempo come se non stesse dicendo nulla di importante. Trascorsero dei secondi di silenzio, nei quali i due futuri conviventi rimasero a fissarsi come in uno studio applicato dell'avversario. Blaise non poteva credere di star facendo tutto quello con un bambino. Possibile che la responsabilità di lui lo stesse stranendo a tal punto?
"Arriva o no quest'acqua?"
Sì, era decisamente possibile, dannazione.
NOTE DELL'AUTORE:
Eccoci qui con il primo capitolo! Vi anticipo già da ora che non avranno lunghezze specifiche, alcuni saranno più corposi di questo, altri meno, dipende dalle esigenze della trama (vale a dire la suspance, lol). Grazie per le recensioni e come sempre grazie ad Arianna che beta la storia! Non preoccupatevi, la trama parte un po' lenta ma poi ci saranno tutti gli sviluppi del caso ;) Nel frattempo vi metto al corrente della mia enorme depressione. La penna USB dove tenevo la storia ha deciso di attentare alla mia vita, si è rotta ed ho perso 7 capitoli della fanfiction. Ovviamente, con il cuore sanguinante li riscriverò, sperando di riuscire a farli bene come i loro predecessori. Ma sono tanto, tanto depressa. ç_ç A sabato!
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 ***
SECONDO CAPITOLO
Life’s oo short to even care at all, oh
I’m coming up now, coming up now
Out of the blue, oh
These zombies in the park,
They’re looking for my heart, oh oh
A dark world aches for a splash of the sun, oh oh
(Young The Giant, Cough Syrup)
"Così tu vivi qui" esclamò Mathias, uscendo dall'ascensore e lasciando cadere la borsa e lo zaino nel grande atrio dell'appartamento di Blaise che no, non era decisamente il Maniero Zabini. Il Ministero, come aveva fatto anche con Draco, l'aveva confiscato per perlustrazione approfondita e comprovata. La stessa, durava all'incirca da... ah, sì. Dalla fine del suo settimo anno ad Hogwarts. Fortunatamente sua madre in quel periodo era già riuscita a trascinare tra le sue grinfie l'ennesimo riccone, che aveva conseguentemente sposato ed ovviamente ucciso, come da copione. Ora viveva in un bel villone nella Scozia del Nord che a bellezza e grandezza, eguagliava il vecchio e caro Maniero. Tuttavia, non si poteva certo dire che l'appartamento attuale dell'Ex Serpeverde fosse una catapecchia. Era riuscito ad accaparrarsi nella Londra centrale un bell'attico all'ultimo piano di un moderno palazzo, con delle grandi porte finestre che affacciavano direttamente sulla strada principale. Con il bambino dentro casa, il Dipartimento lo aveva già costretto a prendere le dovute precauzioni e così, aveva dovuto rendere magicamente il vetro infrangibile. Lo stile di Blaise era molto moderno e minimalista, squadrato per lo più. Non c'erano molti oggetti sui mobili dai colori scuri e dalle forme spigolose, nette. I numerosi quadri attaccati alle pareti emanavano tinte forti, che servivano a smorzare i colori scuri della mobilia. Non appena Mathias mise piede dentro casa, i personaggi dei ritratti si accalcarono tutti nel quadro della Strega Morgana, appeso accanto all'ascensore che fungeva da entrata per l'appartamento. Si sollevò dalla tela un mormorio concitato, che non riusciva a coprire del tutto gli aggraziati insulti di una Morgana indignata, ritrovatasi senza alcun preavviso schiacciata contro la propria cornice. Blaise trasse un profondo sospiro silenzioso ed uscì dall'ascensore, lasciando che le porte dell'aggeggio babbano si richiudessero tacitamente alle sue spalle. Con movimenti veloci delle dita, pigiò alcuni numeri di una tastiera montata sul muro, che serviva a bloccare l'accesso al proprio appartamento da parte degli altri condomini. Quello era il rimedio per i babbani. Per quanto riguardava i maghi, il Ministero aveva avuto la brillante idea, per sua fortuna, di ispezionare l'appartamento solo al momento del suo acquisto. Blaise aveva dunque potuto sperimentare con gioia e solerzia alcuni incantesimi di natura non proprio definita e legale, grazie all'aiuto di sua madre, che l'aveva appoggiato sin da subito nel suo progetto di andare a vivere finalmente da solo. Non che lui non fosse affezionato alla donna, ma certe volte era mostruosamente morbosa nei suoi confronti e Blaise aveva avuto il timore che un giorno o l'altro, una delle proprie frequentazioni, sarebbe sparita all'improvviso in circostanze misteriose. Per la sua incolumità mentale e per quella fisica delle persone con cui usciva, aveva preso la sofferta -non così tanto- decisione di staccarsi dalla genitrice, che in fondo, aveva degnamente colmato il vuoto della figura paterna nella propria vita. Sua madre, quando ce ne era bisogno, sapeva aggraziatamente tirar fuori le palle, ammise, anche se il pensiero un po' lo straniva -e non c'è bisogno di chiedersi il perché. Il ronzio fastidioso dei personaggi del ritratto lo distrasse.
"Blaise, fa qualcosa! Non puoi lasciare che questi balordi mi trattino in questa man-"
"Oh, sta zitta Morgana e sposta un po' quel sederone, che qui ci annoiamo tutti"
"Già, il Menestrello ha ragione. Dicci caro" la dea della beltà osservò il padrone di casa, "chi è questo giovine?"
L'ex Serpeverde li osservò tutti, non solo loro tre, ma anche gli altri che lo guardavano senza nemmeno avere la decenza di nascondere la propria avidità di sapere. Pendevano dalle sue labbra, letteralmente e Blaise per qualche attimo lo trovò perfino divertente. Cercò di ricordare perché aveva deciso di portare con sé quei quadri, azione che ripeteva ogniqualvolta questi si rendevano insopportabilmente chiassosi. Poi, una risposta (come accadeva sempre) cominciò ad affiorare lentamente nella sua testa, contrastata dall'istinto primario di prendere tutti quei maledetti quadri e gettarli nel camino, magari con un sorriso sadico a fare da contorno. Di solito quel genere di pensieri riuscivano a calmarlo e a metterlo di buon umore; in effetti, la tattica funzionò anche quella volta e Blaise poté più chiaramente ricordare il motivo per cui se li era portati tutti appresso. Quei quadri erano l'unico collegamento sicuro che aveva con il luogo dove abitava ora sua madre. Non potevano essere controllati né spiati dal Ministero e sapeva di potersi fidare ciecamente di loro, nonostante la natura un po' pettegola che li caratterizzava. Erano molto più sicuri del camino e per usare una passaporta, aveva bisogno dell'autorizzazione del Ministero, cosa che non avrebbe mai ottenuto, viste le accuse ancora valide che lo tenevano metaforicamente per le palle. Avrebbe potuto smaterializzarsi ma sia casa sua che quella della madre, erano protette da incantesimi anti smaterializzazione. Sì, decisamente quei ritratti erano ciò che più di sicuro aveva per comunicare liberamente con sua madre, che di certo sarebbe venuta a sapere a breve della presenza di Mathias in casa sua. Già non riusciva più a scorgere il Principe di Galles, tra quelli accalcati nella tela di Morgana. Probabilmente era già corso da lei a darle la notizia. Era proprio quello, infatti, il lato negativo: qualsiasi cosa o persona portasse dentro casa, non sarebbe mai potuta restare una sua cosa privata, personale. Ora, ricordava anche perché si era sempre detto che prima o poi -più prima che poi, sperava- avrebbe dovuto trovare una soluzione alternativa e drastica per mettersi in contatto con sua madre in un modo altrettanto sicuro. Un crash lo costrinse a guardare con malcelata preoccupazione verso l'angolo cottura disposto all'altro capo della stanza. Mathias stringeva in una mano una bottiglia d'acqua aperta e l'altra era chiusa quasi a pugno, come stesse reggendo qualcosa che, in realtà, non aveva. O meglio, che aveva. Infatti, sparsi sul pavimento c'erano i resti di quello che era stato un bicchiere degno di essere chiamato tale e che, probabilmente, era stato anche orgoglioso di essere un bicchiere. Mathias lo guardava con occhi sgranati - Blaise si stupì di come riuscissero a diventare ancora più grandi - e con l'aria di un cerbiatto che è appena stato colto dai fari di un'auto di passaggio.
"Tu non ti smuovevi, sembravi essere caduto di nuovo in trance..." si giustificò il bambino, senza cambiare di una virgola la propria espressione, con la mano ancora impegnata a stringere qualcosa di invisibile. Con quell'abbigliamento di tutto punto ma i capelli scarmigliati, sembrava proprio un delinquente. Cosa avrebbe dovuto fare a quel punto Blaise? Prenderlo per i capelli? Appenderlo per gli alluci al soffitto? Oppure dirgli di non preoccuparsi, che prima aveva avuto in credenza dieci bicchieri e che quindi, ne rimanevano altri nove da distruggere? Ma poi, sinceramente... che ci doveva fare lui, con dieci stramaledetti bicchieri?
"Reparo" dalla punta della bacchetta di Blaise uscì un guizzo a mala pena percettibile ed i cocci sul pavimento, similmente ad un rewind, tornarono ad unirsi come se non fosse mai successo niente e Mathias nel giro di qualche secondo, si ritrovò a stringere qualcosa di solido nella mano vuota. Il bambino sbatacchiò i suoi occhioni un paio di volte e mise a fuoco l'oggetto, magicamente tornato sano. Senza nemmeno fiatare, riempì il bicchiere d'acqua con la bottiglia che aveva già aperto e ne prese silenziosamente un bel sorso, neanche provenisse dal deserto. Blaise senza apparente motivazione, si sentì vagamente irritato. Non solo quel Mostriciattolo aveva messo le mani -senza permesso- su qualcosa di sua proprietà, ma l'aveva anche distrutto. Senza chiedere scusa. Lui, buon'anima qual era ovviamente, l'aveva aggiustato sfruttando tutte le sue doti migliori -perché ci vuole un genio, per fare un perfetto incantesimo di riparazione - . Ma il Mostro, non l'aveva neanche ringraziato. Il moro avvertì chiaramente un brivido di orrore percorrergli la spina dorsale, lento e serpentino come qualcosa di malvagio che intende insinuare idee malsane in qualcuno. Gli balenò in mente la folle idea che, forse -e dico forse- in qualità di suo temporaneo tutore, avrebbe anche dovuto insegnarli un po' di educazione. Lui, sì. Proprio Blaise Zabini.
"Merda, questo è un incubo"
Mathias gli lanciò un'occhiataccia, dando a vedere che aveva compreso con estrema perfezione, ciò che Blaise aveva appena detto. No, decisamente l'Ex Serpeverde stava iniziando in maniera alquanto errata, il suo programma educativo. Al più presto, avrebbe dovuto escogitare una buona strategia o, senza neanche accorgersene, la sua autorità sarebbe stata sabotata da quel bamboccio ambulante. Il suddetto bimbo, dopo aver appoggiato il bicchiere sul ripiano della cucina asettica insieme alla bottiglia, si girò verso di lui guardandolo con quella che sembrava proprio essere un'aria di rimprovero e disapprovazione. Blaise si sentiva un po' stordito da quella situazione, se proprio vogliamo essere sinceri. Chi diamine era il tutore, lui o il ragazzino?! La cosa che più di tutte non gradì neanche alla lontana, fu lo sghignazzare -neanche tanto discreto- del Menestrello di corte, ancora accovacciato nel quadro di quella poveretta di Morgana. Il moro si chiese cosa ci fosse di tanto divertente nell' essere per poco surclassato, senza quasi accorgersene, da un individuo di 8 dannatissimi anni. Ovviamente, si rifiutava categoricamente di vedere la situazione dal punto di vista di un... quadro! Gli bastò semplicemente lanciare uno sguardo ombroso al Menestrello e limitarsi a sventolargli la bacchetta sotto il naso dipinto, per farlo smettere seduta stante. Nel frattempo, uno scalpiccio proveniente da due cornici più a destra si fece sempre più insistente, sino a quando il Principe di Galles non arrestò la propria corsa, dando una poderosa testata contro la cornice dorata. Blaise chiuse lentamente gli occhi, mostrando così tutta l'insofferenza che provava in quel preciso momento; alzò la mano sinistra, appoggiando il pollice e l'indice lungo le tempie, il capo chinato in avanti. Sapeva già, cosa stava per accadere.
"Per tutti i fulmini! Chi ha messo qui questa cornice?!" la voce del Principe si alzò espandendosi in un lamento appena accennato per tutta la stanza. Gli occhi di Mathias erano puntati sul quadro, ma non sembrava neanche vagamente divertito da quello che era successo, anzi; la faccia era praticamente inespressiva, come se la figura ridicola del Principe, gli fosse scivolata addosso senza tangerlo minimamente. Fortunatamente Blaise non notò quel particolare, altrimenti avrebbe avuto l'ennesimo pretesto in più per rafforzare le sue credenze: quel bambino era un cyborg - e no, a tutt'oggi non abbiamo ancora fonti attendibili su cui basarci per scoprire come Blaise potesse esattamente sapere cosa fosse un cyborg. Dopo aver ritenuto di essersi lamentato abbastanza, il nuovo giunto schiarì la propria voce con fare pomposo e cavalleresco, assumendo in seguito una posizione impettita e degna d'importanza. Mise un braccio dietro la schiena e poggiò una mano sul petto, sopra le vesti da mago raffinate che andavano di moda ai suoi tempi.
"La Signora sta per arrivare, Blaise. Non vede l'ora di conoscere il ragazzo"
Fantastico. Veramente fantastico. Avrebbe dato fuoco, con estrema gioia, a tutti quei stramaledettissimi quadri. Ci mancava solo sua madre! Non aveva neanche avuto il tempo di fare mente locale e di organizzare in maniera abbastanza decente la situazione, che lei stava già venendo a salvare la sua anima da martire. La veridicità delle parole del Principe in effetti, non si fece attendere neanche tanto. Il crepitio sempre più insistente del camino avvisò tutti i presenti che un ospite ben conosciuto stava per giungere. I personaggi accalcati nel quadro di Morgana si fecero improvvisamente silenziosi, interrompendo in simbiosi qualsiasi borbottio o pettegolezzo, perfettamente coscienti del fatto che presto avrebbero ricevuto una risposta alle loro domande direttamente dalla Padrona. Questione di pochi secondi ed un'intensa fiammata verde illuminò il soggiorno, lasciando in breve il posto alla figura longilinea della madre di Blaise. Constance era una donna dalla bellezza veramente incredibile e possedeva uno charme che solo poche donne potevano vantare di avere. Neanche la madre di Draco, Narcissa, emanava tutto il fascino che invece la donna dalla carnagione scura riusciva a sprizzare. Quella della signora Malfoy era una bellezza algida. Constance era calda ed avvolgente. La donna appena giunta uscì dal camino con eleganza, non un briciolo di cenere le aveva intaccato i bei capelli morbidi, raccolti in una crocchia elaborata ma discreta o le vesti dalle tonalità scure ma dal taglio giovanile. Ad occhio e croce, non sembrava possibile potesse essere la madre di Blaise, dato il suo aspetto ingannatore: sembrava avere giusto una decina di anni in più del proprio pargolo. Constance individuò immediatamente la figura del figlio, fermo ancora praticamente davanti l'ascensore; l'unica differenza ora era che lui aveva scostato la mano dalla fronte e la stava guardando come fosse quasi in aspettativa.
"Blaise" esalò morbidamente la donna, mentre un sorriso affettuoso si faceva strada sulle labbra morbide e macchiate da un rossetto scuro, rosso. Senza degnare la casa di uno sguardo, diresse i propri passi verso il ragazzo, già allargando le braccia per accoglierlo. L'Ex Serpeverde non si sottrasse a quel contatto ricercato, dovendo piegare un po' la schiena in avanti, data l'enorme differenza di statura tra lui e la madre. Tra loro non c'era quel contenuto rispetto che invece era d'obbligo tra i componenti della famiglia Malfoy. No. Loro due erano l'uno la famiglia dell'altra e certi convenevoli, non venivano neanche presi in considerazione. Blaise non riuscì a reprimere un piccolo sorriso sulle labbra carnose, infondo era contento di vedere la madre. Lo era sempre a dire il vero ed il profumo familiare che avvolgeva la donna, riusciva a trasmettergli una calma quasi assoluta; per questo inspirò profondamente, preparandosi ad affrontare una situazione per lui del tutto scomoda ed inopportuna.
Quando si separarono, Constance aguzzò la vista con aria critica, sottoponendo il figlio ad un esame silenzioso che l'altro ormai conosceva bene; infatti, si limitò semplicemente a roteare gli occhi verso il soffitto, attendendo la sentenza che presto avrebbe decretato la donna.
"Stai mangiando? Sei dimagrito troppo, caro"
"Ciao anche a te mamma, sono contento di vederti"
L'espressione della donna non si rabbonì neanche un poco, troppo furba per essere distratta da un nuovo argomento, ma questo Blaise lo sapeva bene. Infatti, il suo obiettivo non era stato quello di farle cambiare discorso, ma solo di allontanare il più possibile il momento in cui avrebbero cominciato a parlare del motivo della sua visita. Mathias. Già, il Mostro. Blaise si era quasi dimenticato della sua presenza, talmente era silenzioso e tranquillo. Quello, lo indusse infatti a ricercare immediatamente con lo sguardo la sua piccola figura, ferma nello stesso punto esatto di prima. Mathias, braccia a penzoloni lungo i fianchi, aveva gli occhioni puntanti su sua madre, osservandola in una maniera praticamente amorfa.Sembrava quasi che avesse assunto un atteggiamento da spettatore incurante degli avvenimenti che lo circondavano. Era... inquietante nella sua immobilità e pacatezza. Constance, seguì con gli occhi la direzione dello sguardo di Blaise, posandoli per la prima volta su Mathias; osservò il bambino con espressione indecifrabile, praticamente impenetrabile persino da parte di Blaise che la conosceva da quando era nato. Il moro poteva quasi sentire il rumore dei pensieri che affollavano la testa di sua madre, mentre lei assottigliava le palpebre in maniera un po' felina, come di solito accadeva quando un pensiero particolarmente impegnativo prendeva forma nella sua mente. Come volesse riprendere il discorso precedente, Constance schioccò sagace la lingua contro il palato, tornando a sorridere in maniera gentile perché, quando voleva, sapeva essere la donna più garbata del mondo.
"E così è lui il tuo ospite, Blaise" commentò lei, attraversando la stanza per raggiungere il bambino. Si fermò a pochi passi da lui, praticamente di fronte e la donna congiunse le mani in grembo con movenze delicate; gli occhi non avevano smesso neanche un attimo di osservare Mathias, ma in maniera abbastanza discreta, così da non creare soggezione o nervosismo. Non che il bambino sembrasse intimorito dalla situazione, anzi, alzò il visetto pallido verso l'alto, sostenendo lo sguardo profondo della donna. Constance sembrò apprezzare quel particolare, dato che avere a che fare con una persona dal carattere forte è sempre più piacevole del contrario; tralasciò il fatto che l'anglo spagnolo era ancora solo un bambino. Certi tratti dovevano iniziare a manifestarsi presto, in giovane età.
"Non volevo essere sgarbata, ma è da molto che non vedo mio figlio" iniziò la signora Zabini, riferendosi chiaramente al fatto di aver notato la sua presenza solo in quel momento. Alzò appena le sopracciglia fini, che rendevano il suo sguardo ancora più fine ed elegante, la forma dell'occhio leggermente allungata.
"Mi chiamo Constance e tu?"
Blaise aprì la bocca per rispondere come fosse lui il diretto interessato ma sua madre, che ormai lo conosceva bene, alzò una mano per invitarlo al silenzio, senza nemmeno averlo guardato; l'Ex Serpeverde richiuse la bocca, stringendo appena le labbra tra loro ma sfoggiando un'espressione neutra. Osservò Mathias restare in silenzio e gli parve quasi un miracolo, dato che per i suoi gusti aveva detto anche troppo fino a quel momento.
"Mi chiamo Mathias Ramos" rispose dopo un po' il bambino, allungando con un gesto deciso la mano aperta in direzione di Constance. La donna sorrise più morbidamente, mentre si accingeva a stringere quella piccola mano tesa verso di lei, completamente diafana messa in contrasto con la propria carnagione. Mathias aveva una stretta determinata, doveva riconoscerlo e sembrava non essere lontanamente turbato dalla disgrazia che si era da poco abbattuta sulle sue gracili spalle. Il pensiero che forse Blaise avrebbe avuto pane per i suoi denti con quel bambino, le balenò velocemente nella testa e quel che è peggio, lo trovò estremamente divertente. Per questo una ferina smorfia di soddisfazione deturpò un poco quello sfoggio di gentilezza che stava attualmente propinando. L'Ex Serpeverde si perse la scena, dato che la madre gli dava le spalle, ma se avesse visto il modo in cui ora Constance osservava Mathias, probabilmente si sarebbe già dato alla macchia. La donna, dopotutto, aveva avuto una visione positiva della situazione e non ne sembrava minimamente preoccupata. Si voltò nuovamente verso Blaise, congiungendo le mani con aria completamente deliziata.
"Non trovi che sia un bambino adorabile?" cinguettò, sfarfallando le ciglia lunghe e scure, perfettamente modellate. Sapeva benissimo che quel modo di fare, così in contrasto con il carattere del figlio, irritava quest'ultimo profondamente... altrimenti, che gusto ci sarebbe stato? Blaise strinse i denti e la linea marcata della mascella si irrigidì di conseguenza. Constance altalenò per pochi attimi lo sguardo dall'adulto al bambino, cercando di avere una visione dei due nell'insieme ed ebbe la netta sensazione che in futuro, si sarebbero praticamente adorati. Il suo sesto senso femminile raramente sbagliava, ma sapeva benissimo che ci sarebbero state delle complicazioni non indifferenti. Si trattava pur sempre di Blaise del resto e lui non aveva mai avuto a che fare con i bambini. Quando il moro, poco dopo, aprì la bocca per dire qualcosa, Constance irruppe in una risata cristallina e piacevole, ma per niente frivola.
"Non credo proprio, caro" sentenziò lei, senza nemmeno dar tempo al figlio di parlare. Lasciandosi ora Mathias alle spalle, si avvicinò nuovamente al figlio, fermandosi di fronte a lui; per osservarlo negli occhi, fu costretta ad alzare il mento ma la cosa sembrò non disturbarla minimamente. Ebbe l'accortezza di abbassare il tono di voce nel pronunciare il suo intoccabile ruolo in tutta quella faccenda.
"Anche volendo, non potrei aiutarti in alcun modo. Ho una villa da mandare avanti, insieme agli affari del mio povero defunto marito, nonché tuo ultimo patrigno" utilizzò un tono di voce melodrammatico, sventolando con grazia la mano in aria per aumentare la drammaticità di quell'affermazione, nonostante non fosse neanche lontanamente affranta.
"Di elfi domestici non se ne parla nemmeno, ricorderai meglio di me la vertenza del Wizengamot, non è vero? Tenerne anche uno solo in un centro così abitato da babbani, può essere controproducente".
Blaise, prima di quel momento, non aveva mai saputo di poter bestemmiare anche in aramaico. Ma incredibilmente, nella propria testa, ci stava riuscendo alla perfezione.Constance alzò una mano, accarezzando in maniera affabile la guancia del figlio, un sorriso sinceramente dispiaciuto a piegarle le belle labbra. Lei non era preoccupata per quella situazione così assurda, glielo si leggeva in quegli occhi scuri creati appositamente per ammaliarti e poi ucciderti dolcemente, senza neanche lasciarti il tempo di rendertene conto. Constance era proprio così, un uragano che improvvisamente entrava nella tua vita e ti portava via tutto con incontrastabile forza. Non ti lasciava neanche l'anima. Tuttavia, poteva benissimo intuire il disagio del proprio figlio e di certo, quello era un lato della faccenda che non poteva apprezzare, essendo sua madre. Ma Blaise era un ragazzo intelligente, determinato, razionale... per quale motivo non avrebbe dovuto saper affrontare la situazione? Dopo le difficoltà iniziali, sarebbe stato in grado di capire come far andare le cose nel verso giusto. Lei era diventata madre, ma nessuno le aveva insegnato ad esserlo, eppure... aveva tirato su un figlio meraviglioso -ed è in questi casi che l'obiettività e l'oggettività di una madre vanno a farsi fottere, sì-.
"Caro, ascoltami, ragiona con me. Se ti prenderai cura di questo bambino come il Ministero si aspetta che tu faccia, non credi che la situazione per te... potrebbe migliorare? Voglio dire, sappiamo entrambi che il suo affidamento non è stato causale, l'hanno fatto di proposito perché pensano che non sarai in grado di fronteggiare adeguatamente la situazione. Se dovessero avere ragione, tu daresti loro il pretesto di farti affondare sempre di più, perché odiano il fatto di non essere riusciti a sbatterti in prigione…" corrugò leggermente la fronte, ma questo non fece altro che donarle, se possibile, un'aria ancora più affascinante "e lo sai meglio di me. Ti hanno costretto a fare una determinata scelta ma non ti hanno mai detto se le cose cambieranno, in futuro. Questo bambino potrebbe essere la tua occasione per riscattarti, guadagnarti la fiducia di qualcuno e riappropriarti del trattamento adeguato che ti spetta di diritto. Non guardarlo come un peso, Blaise. Guardalo come un mezzo. Guardaquesta faccenda da una diversa prospettiva"
Blaise fissò il suo sguardo scuro e profondo, dall'aria assorta, sul volto di Mathias che in religioso silenzio, fissava la famiglia Zabini come se in realtà lui fosse solo un fantasma; l'Ex Serpeverde aveva ben compreso che non aveva a che fare con un bambino come tutti gli altri, sapeva che sarebbe stato difficile. E lo sapeva anche il Ministero, sua madre aveva ragione. Avevano previsto un fallimento in lui, ci avevano scommessosopra e chissà... probabilmente s'erano già azzardati a brindare alla loro vittoria. Blaise si immaginò qualcuno preparare la sua cella con l'accortezza dovuta al caso, lì ad Azkaban. Le guardie in giubilo alla voce di corridoio che presto lui avrebbe fatto loro una visita di lunga durata. Si immaginò l'eccitazione fremente dei Dissennatori all'idea di avere un nuovo prigioniero da spolpare vivo. Storse appena le labbra carnose da un lato, mentre l'orgoglio intrinseco nel suo carattere, dentro di lui ruggiva dall'indignazione. Avevano macchiato il nome della sua famiglia, avevano limitato la sua libertà e la sua privacy, gli avevano tolto la casa e tutto per un reato che non aveva commesso. Non sarebbero riusciti ad umiliarlo ulteriormente, né a piegarlo. Si aspettavano di vincere così facilmente, contro di lui? Bé si sarebbero presto pentiti della scelta che avevano fatto. Lui si sarebbe preso cura di quel fottuto bambino come fosse stato il suo maledetto figlio e, per Dio, fosse stata l'ultima cosa che faceva... avrebbe cambiato le carte in tavola. Per lui e per sua madre, che volente o meno, era finita in mezzo a quella faccenda per forza di cose.
Spostò l'attenzione sul volto di Constance facendo un respiro profondo ma silenzioso ed a quel punto la donna seppe di aver raggiunto il suo obiettivo. Conosceva meglio di chiunque altro suo figlio e sapeva premere i punti giusti, quando intendeva guidarlo verso una determinata strada. La signora Zabini noncredeva fermamente in quello che aveva detto, maaveva semplicemente avuto la necessità di dirlo, al fine di convincere il figlio a fare del suo meglio con quel bambino. Ne avrebbe fatto anche a meno, se avesse potuto. La donna si scostò da Blaise, stendendo le belle labbra in un sorriso rilassato ed al contempo comprensivo.
"Bene, credo che a questo punto la mia presenza sia diventata di troppo. Vi lascio soli, così avrete tutto il tempo necessario per conoscervi" voltò la testa verso Mathias, indicando con un movimento aggraziato della mano la borsa e lo zaino abbandonati senza alcun riguardo sul pavimento, vicino l'ascensore "sono tuoi quelli, Mathias?" chiese con estremo garbo ed affabilità, avvicinandosi al bambino di un paio di passi. Il Mostro, come lo chiamava Blaise, annuì silenziosamente un paio di volte, osservando la donna dalla pelle scura unire le mani tra loro con aria deliziata, come avesse ricevuto una meravigliosa notizia.
"Oh, ma perché allora non andate a fare delle compere insieme a Diagon Alley? Blaise, credo tu sappia che fin quando il bambino non sarà maggiorenne, non potrà usufruire del patrimonio dei suoi genitori. Te ne dovrai occupare tu, come per tutto il resto ovviamente" ampliò impercettibilmente il sorriso, parlando abbastanza lentamente. Doveva lasciare il tempo al figlio di metabolizzare la situazione, perché con le relazioni sociali, Blaise era stato sempre decisamente pessimo. Il fatto di dover vivere ed occuparsi di un bambino, sicuramente aveva già creato effetti devastanti sulla sua persona che ancora dovevano semplicemente uscire fuori, perché l'Ex Serpeverde reagiva in maniera abbastanza lenta alle novità. E proprio per questo, anche con fare più violento, Blaise si passò una mano sulla faccia ed annuì inerme. Cos'altro poteva fare, del resto? Si era appena ripromesso che si sarebbe comportato come un bravo tutore, alla faccia di quegli avvoltoi del Ministero che non vedevano l'ora di fregarlo. Constance annuì soddisfatta dall'atteggiamento positivo -in realtà passivamente negativo- del proprio pargolo e si rivolse per ultimo a Mathias.
"E' stato un piacere fare la tua conoscenza Mathias Ramos e se dovessi aver bisogno di qualcosa che Blaise non è in grado di darti, ma ne dubito enormemente, parla pure con quel valoroso cavaliere che vedi lì dentro" il Principe di Galles gonfiò il petto con estremo orgoglio, nel momento in cui il dito della signora Zabini indicò proprio lui "così verrà a cercarmi subito ed in men che non si dica, sarò qui per entrambi. Buon pomeriggio, miei cari!"
Quando sua madre sparì nel camino, Blaise comprese che spettava a lui prendere in mano la situazione a quel punto. O meglio, l'aveva sempre saputo ma la consapevolezza di doverlo effettivamente fare lo schiaffeggiò barbaramente. Schiarì la gola, sentendo gli sguardi dei personaggi accalcati nel quadro di Morgana che tentavano di perforargli il cranio per leggere i suoi pensieri. Avrebbe giurato che sua madre si sarebbe raccomandata con loro di farle sapere tutto quello che sarebbe successo in casa sua da lì fino a quando non si sarebbe liberato del Mostro. Avrebbe fatto in modo di farla raggiungere esclusivamente da notizie positive, perché lui ce la poteva fare. Era una persona adulta, razionale e indipendente mentre l'altro era solo un moccioso di 8 anni ancora confuso sulla sua identità sessuale - come se un bambino potesse sapere cosa fosse un'identità sessuale a quell'età - .
"Bene, mettiti il giacchetto, usciamo"
NOTE DELL'AUTORE:
Oh, eccoci qui con il secondo capitolo. Come sempre il mio doveroso ringraziamento ad Arianna che beta la storia, in secondo luogo a voi che avete il coraggio di recensire :D
Per chi fosse curioso di vedere che volto immagino per Mathias: http://img.poptower.com/pic-60650/mason-cook.jpg?d=600 (Mason Cook)
Lo so che vi state chiedendo dove diavolo è Neville... abbiate pazienza fino al terzo capitolo ;) |
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
TERZO CAPITOLO
Your time will come if you wait for it, if you wait for it
It’s hard, believe me… I’ve tried
But I won’t wait much longer ‘cause these walls they’re crashing down
And I won’t wait much longer ‘cause these walls they’re crashing down
And I keep coming up short
(Imagine Dragons, Amsterdam)
Cosa, in nome di Merlino, cosa esattamente gli aveva fatto credere anche per un solo istante che l'idea di sua madre fosse una buona idea? Blaise quasi ringhiò, nel camminare circa un metro avanti a quel moccioso. Dentro di sé pregò che qualcuno lo rapisse e lo portasse via proprio mentre lui non stava guardando. Sarebbe stato un incidente, un accadimento non previsto ed avrebbe pianto copiosamente dal dolore davanti a quelli del Ministero, per il suo piccolo ed adorabile Mathias scomparso, rapito da qualche malvivente da quattro soldi.
Erano ormai due ore che camminavano senza sosta per tutta Diagon Alley, entrando ed uscendo da negozi d'abbigliamento senza stringere neanche uno straccio di busta. E vi piacerebbe sapere perché? Potreste ben immaginarlo, io credo, se solo vi impegnaste un po'. Mathias sembrava essersi messo in testa di rendere la vita di Blaise un vero e proprio inferno e lo stava facendo con quella tipica sfacciataggine che solo i bambini sono in grado di sfoggiare. Entravano in un negozio, quel ragazzino accettava di provare il mondo sotto consiglio della commessa e poi alla fine... diceva che nulla era di suo gradimento. Nulla. Ma non era tanto il fatto di non riuscire a trovare niente che andasse bene al Mostro, la cosa ad irritare Blaise... era il modo in cui lo diceva. Con aria di sufficienza, come se quel moccioso stesse facendo un favore a lui, come se lo stesse graziando anche solo della sua presenza. Questo l'ex Serpeverde non poteva assolutamente tollerarlo. D'accordo che Mathias gli era stato affidato, d'accordo che si era proposto di essere un tutor eccellente ma l'altro sembrava remargli contro con un tale divertimento da rendere quella situazione ancora più avvilente e scomoda di quanto già non fosse. Non gli piaceva avere il moccioso tra i piedi ma immaginava che anche a Mathias non piacesse essere lì con lui; allora perché non venirsi incontro e facilitarsi le cose? Purtroppo il bambino, invece, sembrava aver trovato un lato piuttosto piacevole in tutta quella situazione: provocarlo. E per quanto Blaise odiasse ammetterlo, ci stava anche riuscendo bene, perché sapeva che lui non poteva reagire, o almeno non poteva sbilanciarsi troppo in recriminazioni varie. Ma in qualità di tutor, aveva il sacrosanto diritto e dovere di farsi valere e, per la miseria, l'avrebbe costretto a comperare un maledetto abito entro la fine della giornata o non si sarebbe più chiamato Blaise Zabini. Arrestò bruscamente il passo ed attese che il bambino, con inerzia, lo raggiungesse. Mathias invece di fermarsi accanto a lui, come niente fosse lo superò e tirò dritto per la sua strada, impunemente, in un ennesimo tentativo di provocazione. L'ex Serpeverde strinse i denti irrigidendo la mascella ed allungò un braccio in avanti, afferrando senza tante cerimonie una manina del Mostro; voleva giocare alle prese di potere? Bene, l'avrebbe accontentato molto volentieri, perché non aveva tempo né voglia di stare dietro alle turbe di un ragazzino di cui non gli importava assolutamente niente. Il bambino allargò gli occhioni nocciola per la sorpresa e si voltò verso Blaise strattonando il braccio con l'intento di liberarsi dalla sua presa, senza però riuscirvi. Infatti, Zabini aveva intrappolato la mano di Mathias in una morsa autoritaria e nonostante i tentativi del bambino di ostacolare la sua avanzata, il ragazzo ricominciò a camminare con determinazione, diretto ad una bottega proprio lì vicino, specializzata in abbigliamento maschile per bambini.
"Lasciami!"
"No"
"Lasciami ho detto!"
"E io ho detto di no"
"Mi stai facendo male!"
"Non è vero"
"Mi metterò ad urlare!"
"Fa pure, ti zittirò tanto velocemente con una fattura che neanche avrai il tempo di rendertene conto"
Mathias gli lanciò uno sguardo infuocato, in grado di incenerire, ma non pronunciò più neanche mezza parola. Blaise si sentì talmente soddisfatto ed inorgoglito da quel risultato che si promise di minacciarlo più spesso in futuro. Spinse la porta della bottega ed il loro ingresso fu accompagnato da uno scampanellio allegro. L'interno del negozio era caldo ed accogliente, molte persone occupavano i corridoi occupate a visionare la merce sugli scaffali e a stare dietro ai bambini presenti.
L'ambiente era illuminato con delle candele fluttuanti che emanavano una luce calda e morbida, aiutando a mettere a proprio agio i clienti; l'odore del legno che componeva i pavimenti e le pareti, dava un tocco inspiegabilmente famigliare a quella bottega. Forse era proprio questo che attirava le persone con prole al seguito: il senso di famiglia che riusciva a suscitarti. Purtroppo tutto questo ebbe giusto il minimo effetto su Blaise che, richiusosi la porta alle spalle, abbassò lo sguardo su Mathias senza lasciargli però la mano. Temeva che se la sarebbe data a gambe levate e lui non aveva la minima intenzione di rincorrerlo in giro per Diagon Alley.
"Adesso sceglierai qualcosa, te la proverai e la indosserai, è chiaro?"
"Io non metterò mai niente!"
"Oh, sì che lo farai ed anche alla svelta"
"Ti ho detto di no, scimmione peloso!"
"Ma che cazz-... scimmione peloso?! Stai molto attento a come mi ti rivolgi mucchietto d'ossa, perché se non farai quello che ti dir- ah! Infido mostriciattolo rivoltante, torna qui!"
Dopo l'offesa di Mathias, Blaise aveva sgranato gli occhi praticamente indignato e si era lasciato sfuggire mezza parolaccia. Inutile dire che il suo grado di irritazione era vertiginosamente salito, perché il bamboccio lo costringeva ad essere un cattivo tutore. E mentre Blaise aveva ripreso a minacciarlo, dato che ci stava trovando gusto, Mathias aveva ben pensato di assestargli un poderoso calcio sullo stinco, dileguandosi subito dopo come un razzo tra gli scaffali del negozio. Zabini aveva piegato la schiena in avanti, massaggiando con una mano grande il punto offeso e si era morso il labbro inferiore per evitare di divenire estremamente volgare in un luogo pubblico pieno di altri piccoli mostri uguali a quello che l'aveva appena barbaramente aggredito. Alzò lentamente lo sguardo iniettato di sangue e sete di vendetta dal pavimento ed iniziò a perlustrare l'ambiente con minuziosità, la bacchetta già nascosta nella manica del cappotto nero, dal taglio inglese, che indossava. L'avrebbe preso, ovviamente. E una volta preso, l'avrebbe torturato lentamente ed una volta riportato a casa, sarebbe accaduto quello che in realtà avrebbe dovuto fare sin dall'inizio: appenderlo per gli alluci al soffitto. Non gli importava più se a sua madre fossero giunte notizie negative; quelli da convincere erano i membri del Ministero e basta, no? Che i suoi quadri facessero pure i pettegoli, ma lui avrebbe strozzato quel Mostro! Come un ambasciatore di sciagure, iniziò ad aggirarsi tra i vari scaffali silenziosamente e data la sua vertiginosa altezza, non gli fu difficile farsi un quadro generale della situazione. Mathias non era sciocco, non si sarebbe mai nascosto dietro un mobile o in un camerino, no; almeno questo di lui, Blaise era riuscito ad intuirlo. Il Mostro avrebbe fatto qualcosa di infantile ma astuto, se messo in atto da un ragazzino. Continuò a camminare tra gli scaffali mostrando una certa tranquillità, come fosse stato un semplice cliente impegnato ad osservare la merce; ovviamente non perse mai di vista la porta, per evitare che sfruttando una sua distrazione, quel ragazzino gli scappasse da lì proprio sotto il suo naso.
"Salve, posso aiutarla?" una commessa dall'aria cortese gli si accostò con discrezione. Blaise prese tra le mani una magliettina senza neanche guardarla, preferendo piuttosto continuare a far vagare lo sguardo falsamente disinteressato ed annoiato per il resto del negozio.
"Stavo solo guardando, grazie lo stesso" la liquidò freddamente, senza neanche lasciarle il tempo di replicare. Sbagliava o quel cappotto lì infondo aveva dei capelli che sbucavano fuori dall'apertura del collo? Assottigliò in maniera felina le palpebre sugli occhi scuri e dalla forma allungata, mentre con circospezione iniziò ad avvicinarsi verso l'indumento appeso ad una stampella. Ora che la distanza era ridotta, poté affermare con sicurezza che non aveva avuto un'allucinazione. Si trattava proprio di ciuffi di capelli castani e scompigliati, esattamente come quelli di Mathias. Blaise fletté le ginocchia e si accovacciò davanti al cappottino rosso. Allungando una mano, afferrò la linguetta della lampo e lentamente, iniziò a tirarla verso il basso. Mano a mano che la lampo si abbassava, il volto di Mathias iniziò a farsi sempre più visibile, sfoggiando un'espressione contratta, con gli occhietti chiusi strizzati al massimo, come si stesse sforzando di diventare invisibile. Se non fosse stato così profondamente incazzato probabilmente a Blaise sarebbe venuto anche da ridere. Aprì completamente il giacchetto e rimase inginocchiato davanti a lui, ad osservarlo con un'espressione mortalmente seria in volto. Non gli sarebbe sfuggito e non l'avrebbe lasciato uscire di lì senza prima aver comperato qualcosa, che l'idea gli piacesse o meno. Era divenuta una questione di principio. Mathias si azzardò ad aprire un occhietto, ritrovandosi a fissare il volto nero - in senso di umore ma sì, anche di carnagione - di Blaise. Rimase immobile ed in silenzio, con le braccia ancora infilate nelle maniche del cappotto e le gambe tirate su, vicino al petto, per non farle uscire dall'estremità inferiore dell'indumento oramai aperto. Le abbassò lentamente e solo dopo circa un minuto, si permise di sbuffare infastidito.
"Non farò mai quello che vuoi tu"
"Possiamo restare qui anche tutta la notte e se dovesse essere necessario saremo qui anche domani e dopodomani, il giorno dopo ed il giorno dopo ancora..."
"Tu non mi piaci!"
"Neanche tu mi sei mai piaciuto e dopo quello che hai fatto oggi le tue possibilità di far salire la percentuale della scala di gradimento che avrei potuto provare nei tuoi confronti è pari allo 0,0%. Ma farai ugualmente quello che ti dico io"
"Costringimi!"
Mathias alzò fieramente il mento verso l'alto, osservandolo con aria di sfida. Quel bambino non sapeva contro chi si stava mettendo ed un atteggiamento così sfrontato avrebbe potuto procurargli non poche grane in futuro, perché non tutti potevano essere dei santi martiri come il nostro povero Blaise Zabini, che tra l'altro dovette farsi una violenza immane per impedirsi di strappargli tutti i capelli a mani nude. Ma lo sguardo omicida che stava sfoggiando nei riguardi del marmocchio, lasciava intendere benissimo tutte le sue reali intenzioni e quello che avrebbe voluto volentieri farne di quel mucchietto d'ossa. Fu per questo che lui gli si rivolse.
"Zabini tutto bene?"
Contemporaneamente, Blaise e Mathias smisero di lanciarsi occhiate fulminanti per spostare l'attenzione sul ragazzo che si era appena fermato accanto a loro, intento ad osservarli entrambi dall'alto con espressione discretamente perplessa.
Neville Paciock era cambiato dai tempi della scuola ma, nello stesso tempo, era riuscito a mantenere un qualcosa di tipicamente suo che Zabini non avrebbe saputo ben definire. I capelli castani, lasciati crescere in maniera incontrollata, gli coprivano il collo e lo sguardo, disordinati; i lineamenti del volto si erano fatti più marcati, privandolo di quell'aria da eterno bambino di cui tutti credevano non si sarebbe mai liberato. Le guance rimaste abbastanza floride ed il mento erano vagamente ombrati da un accenno di barba e gli occhi avevano acquisito una notevole profondità, come il tono di voce. Non sarebbe mai stato alto quanto Blaise, ma nessuno avrebbe potuto considerarlo obiettivamente basso. Spalle larghe, corporatura nella norma, Neville aveva l'aria di un ragazzo florido e perfettamente in salute. Nonostante l'aspetto oramai totalmente adulto, quella spolverata di lentiggini sul naso riuscivano a fargli mantenere un'aria un po' impacciata e tenera. Blaise sospirò silenziosamente ed in maniera discreta, riportando l'attenzione su Mathias che, dal canto suo, era ancora intento a studiare quel ragazzo dall'aria gentile che si era avvicinato.
"Sì Paciock, grazie per l'interessamento. Va tutto splendidamente"
"Portami via"
La voce del ragazzino risultò chiara e decisa, nel pronunciare quella richiesta perentoria nei riguardi di Neville. L'ex Grifondoro allargò leggermente gli occhi, preso in contro piede dalle parole del bambino. Aveva capito male o gli aveva appena chiesto di portarlo via? Abbassò lo sguardo su Zabini, notando la maniera in cui il ragazzo sfoggiava un po' forzatamente un atteggiamento pacato; ciò che lo tradiva, era l'espressione del volto irrigidita in modo piuttosto innaturale. Neville con aria un po' confusa, alzò una mano grattando con indecisione la testa e fece altalenare per qualche secondo lo sguardo da uno all'altro. Mentre Mathias sembrava essere completamente sicuro di sé, nel mantenere i suoi occhietti scuri puntati in alto verso di lui, Zabini sembrava star contemplando molteplici possibilità sui mille ed uno modi per mantenere la calma con un certo raziocinio senza dover scadere necessariamente in atteggiamenti degni di un barbaro incivile. O almeno, questa fu l'impressione che ne trasse Neville dato che non poteva certo dire di conoscere il suo vecchio compagno di scuola come fosse un suo amico, tutt'altro. Non sapeva neanche perché si era intromesso in quella faccenda, ad essere totalmente onesti; stava andando alla ricerca di un regalo tra gli scaffali, quando aveva visto da poco lontano il volto del ragazzo contrito in un'espressione di tale disapprovazione da averlo leggermente inquietato. Sicuramente Neville non condivideva con Blaise una tale confidenza da permettersi di impicciarsi dei suoi affari, ma non credeva neanche di aver commesso chissà quale errore. Aveva posto una semplice domanda, garbata e discreta, non intendeva insistere se l'ex Serpeverde dimostrava palesemente di non avere intenzione di approfondire la questione. D'altro canto Mathias, sembrava volerlo tirare in ballo eccome, a dispetto dei desideri di Blaise che avrebbe fatto volentieri a meno di mettere al corrente chicchessia della situazione in cui si trovava. Non amava dare spettacolo e non amava che le persone venissero a conoscenza della sua vita, privata e non. L'unico con cui aveva un rapporto di amicizia abbastanza solido era Draco ma al di fuori di lui, nessuno sapeva qualcosa che lo potesse riguardare, neanche stronzate come il suo colore preferito o la sua data di nascita.
Neville e Blaise si incontravano un paio di volte durante la settimana al Ministero ed il loro rapporto consisteva unicamente nel rifornire le dispense pozionistiche di erbe che potessero tornare utili al francese (perché sì, Zabini non era certamente un cognome inglese e questa era sempre stata una cosa talmente elementare da dedurre che nessuno vi si era mai soffermato sopra). Neville stava portando a termine gli studi per acquisire un dottorato in erbologia ed aveva quindi instaurato una sorta di collaborazione con il Ministero, prima di divenire a tutti gli effetti un ricercatore ufficiale. Quindi, tralasciando convenevoli come 'ciao' oppure 'tutto bene?' e classiche domande di pura circostanza e cortesia sociale, erano praticamente due sconosciuti.
"Piantala"
"Io faccio quello che mi pare!"
"Non finché vivrai sotto il mio tetto!"
"Io non ci voglio stare sotto il tuo tetto!"
"La decisione non spetta né a te né a me, adattati!"
"Riportami indietro, voglio cambiare tutore!"
"Taci!"
Blaise quasi ringhiò, nel sibilare l'ultima parola. Paciock era proprio di fianco a loro, non gli andava che sentisse quelle cose e traesse chissà quali conclusioni. Gli lanciò un'occhiata, notando che la sua espressione se possibile, era anche più confusa di prima. Il francese premette due dita sugli occhi, massaggiandoli lentamente in completo silenzio. L'avrebbe riportato indietro molto volentieri a dire il vero, ma lui gli serviva per cercare di riconquistare un po' di quei diritti che il Ministero gli aveva simpaticamente negato. Non era passato neanche un giorno e già sentiva di star perdendo il controllo sulla situazione. Lui odiava non avere controllo su qualcosa e pretendeva che il corso degli eventi fluisse perennemente come lui aveva pianificato. Era un calcolatore ed i calcolatori non apprezzavano gli imprevisti né chi si impegnava in maniera tanto accanita a distruggere l'equilibrio della loro organizzazione. Neanche a dire che poteva fare qualcosa, perché più di minacciarlo in serie non avrebbe potuto sbilanciarsi o il Ministero ne avrebbe approfittato alla grande. Aveva come la sensazione di trovarsi in un vicolo cieco o di essere un cane che cercava scioccamente di modersi la coda. Con ancora le dita sugli occhi chiusi, sentì Paciock schiarirsi con titubanza la gola; il fruscio dei vestiti del Grifondoro gli fece capire che l'altro si era accucciato vicino a loro, nella stessa posizione assunta da Blaise.
"Zabini, non so se... se lo sai. Cioè, avresti dovuto immaginarlo ma... ma al Ministero quasi tutti sanno di questa cosa. Qualcuno ha sparso la voce e bè... le voci lì dentro corrono in fretta, lo sai no?"
Le dita di Blaise smisero di ruotare lentamente sugli occhi ed anzi, vennero scostate lentamente per permettere agli stessi di schiudersi e di fissarsi mortalmente burrascosi sul volto del Grifondoro. Avrebbe dovuto immaginarlo? Immaginare che cosa? Che tutti lì dentro avevano il diritto ed il permesso di sapere anche quando andava in un maledetto bagno mentre lui non aveva potere su nulla? Inumidì le belle labbra con la punta della lingua, velocemente, ed una brevissima risata ironica gli scappò dalla gola. Certo, tutti sapevano.
"Benvenuti nella vita di dominio pubblico di Blaise Zabini" sussurrò con una certa inflessione che denotava fastidio, nel tono di voce profondo, particolarmente caldo ed avvolgente. Zabini aveva una bella voce, anche se piuttosto roca. Era un peccato che generalmente parlasse poco a causa della sua natura così riservata. Neville corrugò appena la fronte, osservandolo con un lieve accenno di preoccupazione; forse non avrebbe dovuto informarlo di quel particolare ma comunque sarebbe venuto a saperlo lo stesso, lavorando al Ministero. Aveva semplicemente anticipato le cose. La voce del Grifondoro invece, era molto più limpida e giovanile anche se al momento risultava nello stesso tempo cauta, nel parlare. Infondo Zabini avrebbe potuto benissimo mandarlo a farsi benedire, per essere ancora lì presente ad impicciarsi degli affari suoi.
"Mi dispiace, attualmente sembra essere proprio così. Credo che quelli del Ministero l'abbiano fatto di proposito, sai. Intendo la storia dell'affidamento..."
"Oh Paciock, 20 punti a Grifondoro per l'ottimo spirito di osservazione, davvero"
"Ehi! Sono l'unico che non ha trovato niente per riderci sopra!"
"E immagino che per questo dovrò porgerti i miei più sentiti ringraziamenti. Dimmi, come potrò mai ripagare la tua infinita benevolenza?"
"Questo atteggiamento così ostile non ti porterà da nessuna parte. Posso immaginare che tu sia nervoso, ma-"
"Quando vorrò il tuo parere al riguardo, Paciock, sarai informato da me personalmente"
"Voglio andare via!"
"Sta zitto, Mostro"
"Non chiamarlo Mostro, così non fai altro che farlo indispettire di più!"
"Ah, adesso è lui quello indispettito!"
"Signor Paciock, mi aiuti, quest'uomo mi ha maltrattato!"
"Piccola carogna che non sei altro, che razza di bugie vai raccontando in giro?! Non ti azzardare mai più a dire una cosa del genere, potrebbero sentirti!"
"Minacciandolo lo istighi, Zabini..."
"Che mi sentano allora! QUEST'UOMO MI HA MALTRAT-"
Blaise si affrettò a tappare con entrambe le mani la bocca di quel piccolo demonio, voltando velocemente la testa prima a destra e poi a sinistra. Nessuno sembrava essersi accorto di quello che stava accadendo tra quegli scaffali e la gente continuò a compiere i propri acquisti come non avesse sentito nulla. Il francese si permise di trarre un profondo respiro misto a sollievo ed irritazione; non poteva permettersi di perdere la calma altrimenti avrebbe dato la soddisfazione più grande che il Ministero potesse avere a quei quattro balordi che lo avevano incriminato solo perché aveva un rapporto di amicizia evidente con Draco Malfoy. Abbassando leggermente le palpebre sugli occhi, Blaise assunse uno sguardo dall'aria tipicamente minatoria e sbilanciandosi sulle punte dei piedi, inclinò la schiena in avanti per avvicinare il viso a quello del bambino ancora incastrato dentro quel maledetto cappottino rosso. Lo osservò da una distanza decisamente ridotta ed iniziò a parlare lentamente, affinché ogni parola si imprimesse bene nella testa del Mostro, in modo tale da evitare di doversi ripetere in futuro. Zabini gradiva dire le cose una volta sola.
"Chi comanda qui sono io, Mathias. Finché il Ministero non ti troverà una famiglia disposta ad adottarti e spero che lo faccia in fretta, dovrai vivere con me. Il che significa che dovrò nutrirti, fornirti un alloggio e del vestiario. La cosa non piace a te e non piace a me, eppure è così. Oggi siamo qui per comprare e, ti giuro, compreremo. Altrimenti non ci muoveremo dal negozio. Sono stato chiaro?"
Iniziò a togliere lentamente le mani dal volto del bambino, temendo ricominciasse ad urlare da un momento all'altro; l'unica cosa che voleva, era andarsene via da lì e liquidare la questione, oltre che Paciock stesso. Per i gusti di Blaise, il Grifondoro aveva sentito anche troppo e la cosa non aveva fatto altro che innervosirlo più del necessario. Sperava francamente che Mathias si decidesse a collaborare, perché la quantità della sua pazienza era veramente irrisoria. Il piccolo anglo-spagnolo si limitò a fissare Blaise in silenzio, gli occhietti ridotti a due fessure e le labbra strette tra loro per la rabbia. Con movimenti intrisi di forza, liberò freneticamente le braccia dal cappottino e rimase in piedi, immobile, davanti quello che sarebbe dovuto essere il suo tutore da lì a non sapeva neanche quanto. Un silenzio pesante cadde sul quel trio strampalato e fu solo quando dopo circa una trentina di secondi Mathias iniziò a scuotere forte la testa, che Neville decise nuovamente di intervenire, in barba al proprio buon senso che gli gridava di lasciar perdere e tenersi fuori da ciò che riguardava solo ed unicamente Zabini.
"Il problema è questo? Non riesci a trovare niente che ti piace?"
Mathias osservò il ragazzo in silenzio, senza spiccicare parola e sembrava anche non avere nessuna intenzione di cominciare a farlo. Per tutta risposta, il Grifondoro allungò una mano verso di lui, sorridendogli gentilmente ed in maniera amichevole.
"Io mi chiamo Neville e, da quanto ho capito, tu dovresti essere Mathias, non è così?"
Blaise osservò il coetaneo con la fronte leggermente corrugata ed uno sguardo diffidente. Cosa diamine si era messo in testa Paciock? Qual era il motivo di quell'atteggiamento tanto aperto e disponibile? Cosa poteva importargliene a lui, se non riusciva a farsi rispettare neanche da un moccioso, nella maniera più elementare possibile? Voleva forse prendersi gioco di lui? Dimostrargli quanto fosse più bravo a farsi obbedire da quel piccolo Mostro? Blaise non credeva, nella maniera più assoluta, nel semplice spirito immolatore altrui. Non credeva nella bontà gratuita o nel volontariato... volontario. Paciock doveva avere in mente qualcosa ma se pensava davvero di riuscire a combinare impicci ed imbrogli proprio sotto il suo naso, aveva fatto un grosso errore di valutazione perché il Serpeverde non si sarebbe lasciato battere od umiliare da nessuno. Per l'amore di Merlino, il Ministero avrebbe potuto togliergli anche le mutande ma non c'era essere umano sulla faccia della terra in grado di sottrargli il suo orgoglio. E credeva anche non ci fosse nessuno in grado di trattare civilmente con quel bambino.
"Paciock, lascia stare. Me ne occupo io qui, continua pure a fare quello che stavi facendo"
"Zabini, non mi permetterei mai di sottrarti questa magnifica responsabilità ma tu non mi sembri essere esattamente il tipico fan dei bambini. Visto che sono qui, cerco solo di dare una mano ad entrambi, dato che sembra proprio non riusciate a venirvi incontro"
"Sì, sono Mathias"
Il bambino strinse la mano di Neville solo a quel punto. Blaise avrebbe giurato che lo fece solo per cercare di irritarlo ancora di più. Ed era davvero malcelata ironia quella che aveva udito, mascherata tra le parole del fu compagno di scuola? C'era qualcosa che non andava, in tutto quello. Il mondo aveva iniziato a girare al contrario e lui se l'era perso? Non solo faticava a farsi rispettare da un bambino di ancora anni 8 ma Paciock – Paciock - si prendeva anche il lusso di parlargli con fare ironico. Il Serpeverde lì in mezzo era lui. Solo lui possedeva l'esclusiva autorità di fare uso illimitato e gratuito di ironia, nessun altro! Sembrava che il mondo avesse cambiato la sua prospettiva senza prendersi la decenza di avvisarlo.
"D'accordo Mathias, ti va se ti aiuto a scegliere qualcosa di bello? Sicuramente l'idea di passare qui il resto della tua vita non ti piacerà, no?" sorrise, l'ex Grifondoro, in un modo così fiducioso che avrebbe potuto invogliarti a fare ciò che diceva sul serio. Dopo qualche istante di esitazione, il bambino annuì e si avviò tra gli scaffali del negozio, senza aspettare il suo nuovo amico. Paciock, sorridendo con un'ombra di tenerezza sulle labbra nell'osservare Mathias, voltò poco dopo la testa verso Blaise, che lo stava guardando con uno sguardo indecifrabile. Neville sfarfallò un paio di volte le ciglia con perplessità, aveva fatto qualcosa di sbagliato?
"Cosa c'è?" domandò infatti, sentendosi un po' a disagio sotto quegli occhi scuri, così profondi ed allo stesso tempo così calcolatori, intrisi di razionalità.
"Niente" rispose l'ex compagno di scuola, scuotendo brevemente la testa. In verità qualcosa c'era eccome. Gli bruciava. Oh, come gli bruciava l'essere stato aiutato da Neville Paciock! Perché quell'imbranato era riuscito a farsi ascoltare e lui no? In cosa stava sbagliando? Blaise si alzò in piedi, con espressione granitica; se si fosse lasciato andare sicuramente non sarebbe riuscito a reprimere una smorfia. Neville si alzò qualche frazione di secondo dopo di lui, ma non disse nulla, limitandosi a lanciargli uno sguardo un po' frastornato. Zabini osservò il ragazzo dargli le spalle ed inoltrarsi tra gli scaffali, per andare ad aiutare quel piccolo Mostro cadutogli tra capo e collo. Circa mezz'ora dopo, si erano ritrovati tutti e tre alla cassa, in fila per pagare il conto. Anche Neville sembrava aver trovato il regalo che stava cercando, mentre Mathias aveva spontaneamente scelto un giubbotto invernale dall'aria molto calda, una camicia celestina e dei pantaloni di velluto marrone. Blaise aggrottò la fronte, nel poggiare quegli indumenti sul bancone, trovando decisamente antiquato il modo in cui il bambino era solito vestirsi. Anche la prima volta che l'aveva visto al Ministero, oltre quel vetro, aveva pensato che avesse un'aria strana, sin troppo composta, racchiuso in quegli abiti dallo stile passato. Con disinteresse adocchiò il pigiamino celeste che l'ex Grifondoro stringeva tra le mani.
"E' per tuo figlio?" domandò atono, tanto per fare conversazione. Prima di andare via avrebbe dovuto anche ringraziarlo, il minimo che poteva fare era rendere la cosa più facile possibile.
"Cosa?" Neville sbatacchiò le palpebre con aria confusa e il francese non poté fare a meno di pensare che quel ragazzo sembrava vivere perennemente su un altro pianeta.
"Quello" biascicò, indicando con un breve cenno del mento la magliettina con sopra stampata una tigre in versione peluche. Neville abbassò lo sguardo osservandola per qualche secondo e poi sembrò finalmente capire.
"Oh, no, no! E' per il figlio di un mio amico. Harry Potter, te ne ricorderai no?" sorrise con gentilezza. Certo che se lo ricordava Potter, chi mai avrebbe potuto scordarlo? Sapeva che si era sposato con una Weasley grazie alle notizie sui giornali, ma che i due avessero fatto prole gli era sfuggito. Grazie a Dio non poté fare a meno di pensare. Se c'era un motivo per il quale prediligeva il sesso maschile a quello femminile, era che almeno non avrebbe rischiato di avere prole di alcun genere in mezzo ai piedi. Con disappunto di sua madre, la dinastia Zabini sarebbe terminata con lui, proprio così.
"Sì, certo" rispose distrattamente, porgendo una carta magica alla cassiera affinché potesse saldare il conto. Mathias era rimasto in silenzio accanto a Paciock con lo sguardo puntato verso il pavimento. Incredibile come in certi momenti riuscisse a diventare praticamente invisibile. Blaise afferrò la busta contenente gli indumenti del bambino e si scostò per fare spazio all'ex Grifondoro.
"Bene, adesso dobbiamo andare" iniziò, temporeggiando per qualche secondo. Ma quante lentiggini aveva quel Paciock sul naso?! "Bé... ci vediamo al Ministero. E grazie" concluse con distacco, stirando le labbra in maniera un po' forzata, in quello che sarebbe dovuto essere un sorriso cortese. Neville sembrò non fare caso al fatto che Zabini ce la stesse mettendo tutta per ringraziarlo e gli sorrise splendidamente. Quando sorrideva, sulle guance apparivano due fossette che ti facevano venire voglia di prenderle a morsi. Zabini corrugò appena la fronte. Non l'aveva pensato davvero.
"Figurati non c'è problema. Ci vediamo presto eh, Mathias? Mi raccomando, fai il bravo!" esclamò allegramente, scompigliandogli i capelli più di quanto già non fossero. Il bambino gli lanciò uno sguardo un po' incupito ma non disse nulla. Docilmente, seguì fuori dal negozio Blaise, senza spiccicare parola. D'accordo, era stata una giornata strana, stressante e decisamente troppo lunga per i gusti del francese. Qualunque minaccia Paciock avesse usato per riuscire a rendere così mansueto quel piccolo Mostro, lui ne era incredibilmente grato.
NOTE DELL'AUTORE:
Non posso. Semplicemente, non posso davvero aspettare lo scoccare della mezzanotte quando ho appena scoperto che, grazie ad un mio amico (al quale ho promesso la mia mano), ho recuperato tutti i dannati capitoli persi. TUTTI. Cioè. Non posso descrivere la mia gioia, NON POSSO. E quindi ho detto 'fanculo, lo pubblico adesso il capitolo, sono troppo euforica!!' E quindi... eccolo qui! Grazie ad Arianna che mi beta e mi sopporta. E grazie al Signore Dio Celeste di tutti i cieli per avermi dato una seconda possibilità. Ho capito la lezione, lo giuro! Parlando di cose serie... finalmente è apparso il benedetto Neville! Ve l'avevo detto che sarebbe bastato pazientare! ;) Buona Immacolata in anticipo!
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Capitolo 5 *** Capitolo 4 ***
QUARTO CAPITOLO
I’m waking up to ash and dust
I wipe my brow and I sweat my rust
I’m breathing in the chemicals
I’m breaking in, shaping up, checking out on the prison bus
This is it, the apocalypse
(Imagine Dragons, Radioactive)
Blaise fece la sua comparsa tra un guizzo di fiamme verdi, trascinandosi dietro quello che aveva tutta l’aria di essere un bambino non molto diligente. Il francese non teneva la sua mano, ma gli stringeva il polso, cosa che aveva dovuto necessariamente fare per non perderselo in uno dei vari camini attraverso i quali erano passati. Quando le scarpe toccarono il duro marmo nero del Ministero, Blaise lo mollò immediatamente con fare piuttosto incurante, pensando invece a togliere dal mantello quella poca fuliggine che lo aveva imbrattato. Mathias, anni 8 di origine anglo-spagnola, restò immobile poco dietro di lui, con le braccia mollemente abbandonate lungo i fianchi magri. Erano passati un paio di giorni dal divergente incontro con Paciock all’interno della bottega di Diagon Alley. Precisamente, due giorni di inferno. Sicuramente, starete immaginando morte e pestilenza a casa Zabini; vi starete figurando un Mathias cadere preda di tutta la sua subdola malvagità infantile, intento ad attuare piani di sabotaggio nei confronti della già – di – per – sé – merdosa vita del fu Serpeverde. Ma niente di tutto questo era mai accaduto. Cancellate pure le previsioni apocalittiche dalla vostra mente, gente, perché quelli erano stati i due giorni più silenziosi di tutta la sua vita. Addirittura in determinate occasioni era stato costretto a controllare cosa Mathias stesse facendo, per assicurarsi che fosse ancora vivo e non si fosse ucciso (non che l’evento l’avrebbe toccato particolarmente, ma vallo a spiegare a quei balordi del Ministero, poi, che non meriti di finire ad Azkaban solo perché un Mostro ha deciso di uccidersi senza neanche avere la decenza di consultarti). Aveva parlottato con i quadri la sera in cui erano tornati a casa dalle compere, attendendo che Mathias fosse andato a dormire. Aveva spiegato loro la situazione, in maniera che capissero abbastanza la gravità della cosa (tralasciando tuttavia dettagli che intendeva riserbare per sé) e aveva chiesto loro di tenere d’occhio il ragazzino ventiquattro ore su ventiquattro; era una merce preziosa, non poteva rischiare che facesse cose stupide, altrimenti altri capi d’accusa si sarebbero aggiunti alla sua lista. Tuttavia... non poteva dire di ritenersi tranquillo. Che fine aveva fatto il bambino rissoso che si era opposto con tutte le sue forze a Diagon Alley, due giorni prima? In quella faccenda c’era qualcosa che non gli quadrava e Blaise sentiva di non fidarsi, di quel ragazzino. Messa così, la cosa suonava più che ridicola. Non avere fiducia in un bambino... neanche si stesse parlando di un pazzo psicopatico; d’altro canto Blaise aveva le sue ragioni. Non di rado l’aveva colto intento a fissarlo con uno sguardo così intenso e nello stesso momento vuoto, privo di sentimenti, che non aveva potuto fare a meno di sentirsi irrequieto. Rare volte in vita sua c’era stato qualcuno che aveva avuto il potere di scombussolarlo particolarmente ma quel ragazzino in determinati frangenti era in grado di fargli accapponare la pelle. Non solo era avvolto perennemente nel suo silenzio, ma sembrava nello stesso tempo non provare niente. Il Serpeverde non era un esperto di emozioni e sentimenti, quindi poco avrebbe potuto comprendere di quella situazione, ma di certo non era stupido. Mathias era un bambino a cui era stata appena sterminata tutta la sua famiglia davanti gli occhi e... non c’era stata praticamente nessuna reazione sconclusionata, da parte sua. Si limitava a rimanere in silenzio, qualche volta lanciare delle frecciatine decisamente troppo argute per uscire dalla bocca di un bambino di otto anni e poi... lo fissava. Anzi, no, Blaise si sentiva studiato. E la cosa non gli piaceva affatto.
“Stammi vicino, non gironzolare, non parlare con nessuno, non toccare niente” esclamò in tono annoiato Blaise, cominciando a dirigersi verso gli ascensori. A distanza di due giorni, ancora si aspettò un’obiezione da parte sua eppure... il Mostro fece come gli era stato detto. Iniziò a seguirlo, tenendo la testa china ma gli occhi sollevati, osservando i volti della gente che frenetica si dirigeva da tutte le parti in maniera ordinata. Il francese corrugò appena la fronte, senza tuttavia fermarsi per controllare se lo stesse effettivamente seguendo; una parte di sé ancora sperava che quel bambino potesse sparire nel nulla, fuori dalla sua vita. Entrarono all’interno dell’ascensore, mentre una voce meccanica, femminile, iniziò ad elencare le destinazioni. Piano dopo piano, Blaise dovette affrontare gli sguardi indiscreti dei dipendenti del Ministero. Ogni volta che qualcuno saliva sull’ascensore, un’occhiata generale diretta a lui ed al bambino sembrava essere d’obbligo, come fosse divenuta una prassi. Fortunatamente il francese era dotato di un autocontrollo a dir poco inquietante e per tutta risposta, ogni volta il suo sguardo si limitava a mirare dritto di fronte a sé , senza degnare alcuno anche di un solo cenno di riconoscimento. Come Paciock gli aveva simpaticamente anticipato, oramai tutto il Ministero conosceva la sua storia ed ovviamente ciò che dietro vi si celava in realtà; grazie a questo piccolo dettaglio, aveva avuto il tempo di prepararsi psicologicamente a quell’impatto e decidere la tattica più adatta da attuare. Sapeva che speravano di vederlo preda di una crisi di nervi e probabilmente si stavano chiedendo se stesse riportando indietro il bambino, se si fosse arreso a qualcosa che non era in grado di affrontare. Bé se era questo che volevano, Blaise avrebbe dato loro tutto il contrario. Mantenne il controllo, sì, perché così facendo avrebbe fatto trasparire una certa sicurezza e la sicurezza voleva dire avere in mano la situazione. Purtroppo, il Serpeverde ancora non sapeva che di lì a poco non avrebbe avuto in mano proprio niente. Arrivarono finalmente al Livello 2, adibito all’Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia e comprendente il reparto Auror, per i quali (mestamente) lavorava. Data la presenza del Mostro, non sarebbe più potuto andare a lavorare al Ministero, altrimenti avrebbe dovuto portarselo dietro e quello (ovviamente col solo fine di complicargli la vita) non era permesso. Sarebbe dovuto restare a casa con lui e preparare le pozioni necessarie da lì. L’idea non lo entusiasmava molto, prima di tutto perché casa sua non era un luogo adatto dove preparare pozioni, secondo perché così avrebbe reso i mobili pregni dell’odore delle misture e terzo... perché sperava di riuscire a liberarsi almeno per qualche ora al giorno di quell’abominio. Purtroppo il Ministero, branco di imbecilli, aveva preventivato anche quell’evenienza. Sospirò silenziosamente, percorrendo un lungo corridoio. Le pareti erano tempestate di volantini mostranti i volti dei ricercati, poster di squadre di Quidditch e foto di gruppo delle divisioni minori e superiori di Auror. Una grande bella famiglia, davvero commovente. Giunto in fondo al corridoio, dopo aver superato svariate porte che davano sugli uffici dei piccoli soldatini bianchi, aprì una porta alla sua destra. Oh, meraviglioso, era già lì.
“Paciock. Hai dormito qui stanotte?”
La voce ironica del Serpeverde attirò l’attenzione del Grifondoro, che smise di impacchettare alcune erbe in scatole chiuse con scotch magico. Sbatacchiò le palpebre un paio di volte, cercando di capire la battuta che l’altro aveva appena fatto. Perché era una battuta, non è vero?
“No, veramente... sono venuto prima perché volevo salutare Harry e dargli il regalo... non abbiamo mai occasione di vederci, tra i suoi impegni ed i miei...” biascicò, alzando una mano per grattare con aria dubbiosa la testa. Quella frangia sbarazzina che gli cadeva sugli occhi irritava Blaise. Sentì le mani prudere, avrebbe voluto tagliarla per guardarlo negli occhi. Mathias in quel momento, pur rimanendo silenzioso, fece un passo avanti e finalmente Neville notò anche la sua presenza. Non appena il ragazzo dall’aria gioviale poggiò i suoi occhi nocciola sul bambino, le sue labbra si stesero in un sorriso allegro e sereno, con tanto di fossette annesse. Aggirò il tavolo da lavoro e con un paio di falcate, raggiunse il piccoletto per salutarlo da vicino.
“Ehi, Mathias! Come andiamo?” chiese, poggiandogli con delicatezza una mano sulla testa. Aveva un’aria un po’ cupa, per cui suppose che i rapporti tra lui ed il francese non dovessero essere migliorati di molto in quei due giorni. Mathias alzò il visetto pallido verso di lui e lo osservò con uno strano luccichio in fondo agli occhi scuri, quasi quanto quelli di Blaise. Neville arcuò appena le sopracciglia, aveva come la sensazione che il bambino volesse dirgli qualcosa ma che si astenesse dal farlo.
“Ciao” rispose semplicemente Mathias, continuando ad osservarlo con occhi apparentemente tranquilli. Non aggiunse nient’altro, limitandosi a restare sotto la mano di Neville in maniera incredibilmente docile, cosa che avrebbe innervosito incommensurabilmente Blaise, se solo il bambino non si fosse mostrato docile anche nei suoi riguardi, negli ultimi due giorni. Per certi istanti, aveva pensato per davvero che quel giorno a Diagon Alley, Paciock avesse lanciato qualche strano incantesimo sul bambino mentre lui era distratto. Poi però, internamente, aveva riso di sé stesso perché, diamine... il ragazzo era un Grifondoro, non so se mi spiego. Probabilmente, se avesse anche solo pensato di poter fare un simile riprovevole atto, si sarebbe suicidato ed avrebbe preteso di essere inserito nella lista di quelli a cui spettava l’eterna dannazione delle fiamme infernali. Oh bé, sì, in certi momenti sapevaessere proprio poetico, soprattutto quando intratteneva interessanti monologhi con la sua mente eccelsa, l’unica in grado di ascoltarlo e di replicare in maniera colta ed attenta. Non poté impedirsi di pensare a Draco ed alle sue risposte traboccanti di sarcasmo allo stato puro, condito con una buona dose di humour nero; il biondo con il suo modo di fare sapeva alleggerire l’anima e la coscienza di Blase, ma non era mai stato un ottimo consigliere, neanche nei riguardi di sé stesso, visti i suoi precedenti. E probabilmente se non ci fosse stato Blaise a mettergli un po’ di sale in zucca durante gli anni della guerra, evitandogli di compiere certe cazzate da Guinness dei Primati, probabilmente il bel culo etero di Malfoy in quel momento, starebbe spalmato su uno dei letti della prigione di Azkaban. Blaise non era modesto e non gradiva neanche fingere di esserlo; perciò, quando giungeva il momento di prendersi qualche fottuto merito, lo faceva e basta.
“Cerchiamo di farla breve per piacere, Paciock. E’ tutto lì quello che mi occorre?” con un cenno del mento, l’ex Serpeverde indicò le scatole presenti sulla propria scrivania, che con sommo dispiacere, non avrebbe visto più per chissà quanto tempo. Dato che avrebbe dovuto condurre tutti gli incarichi ministeriali dal proprio appartamento, Neville era stato incaricato di rifornire le dispense con i prodotti mancanti ed anche di imballarli adeguatamente, affinché non si rovinassero e non perdessero le loro proprietà magiche. Essendo un pozionista, Zabini avrebbe potuto benissimo svolgere quel lavoro da solo ma era grato per il fatto che, una volta tanto, il Ministero avesse deciso di delegare ad altri il lavoro sporco che invece era solito fare lui. Ecco, gli mancava di dare una lucidata a corridoi e cessi, per poter dire di essersi occupato veramente di tutto. Storse appena le labbra in una breve smorfia insofferente, mantenendo comunque una compostezza invidiabile. Paciock tolse la mano dalla testa di Mathias ed alzò gli occhi su di lui, osservandolo inizialmente con aria perplessa. Di nuovo. Blaise fu seriamente tentato di chiedergli se quell’espressione da tontolone la sfoggiasse di proposito oppure no. Ma del resto, a che sarebbe servito scoprirlo? Di certo non l’avrebbe irritato di meno. Attese che Neville realizzasse da solo, a cosa il francese si stesse riferendo (perché tanto sarebbe accaduto, bisognava soltanto lasciargli i suoi tempi). Infatti, qualche attimo dopo lo sguardo dell’ex Grifondoro seguì la direzione indicatagli dal mento di Blaise ed i suoi occhi sembrano tramutarsi in un paio di lampadine. Eureka! Gridò una voce atona e priva di gioia, nella testa del francese.
“No, ho iniziato da poco in realtà. Devo chiudere una decina di scatoloni ancora. Ma se mi aiuti probabilmente faremo prima...” si azzardò, oltre che ad avanzare una proposta così oltraggiosa e neanche tanto velata, pure a lanciare un mezzo sguardo che probabilmente stava cercando di far passare per convincente. La linea della mascella di Zabini si irrigidì ma il ragazzo non disse nulla. Trascorsero alcuni minuti di silenzio, durante i quali Mathias decise di attuare una specie di dipartita, addentrandosi con sguardo curioso all’interno dello studio, lasciando che quei due si scambiassero sguardi poco interpretabili.
“Fatti da parte” biascicò infine Blaise, senza curarsi di nascondere tutta la contrarietà che provava. Neville gli lanciò uno sguardo mezzo stralunato, come se si fosse aspettato tutt’altra cosa da parte sua. Si posizionò all’estremità sinistra della scrivania, affinché anche il francese potesse trovare spazio per maneggiare scatoloni ed usufruire a iosa di scotch appiccicoso, che essendo magico, se ti si attaccava alle dita poteva avere lo stesso effetto che produceva la colla babbana a presa rapida.
“Davvero?”
“Devo ripensarci?”
“No no, per carità... ah! Tieni, per quello ho portato una scatola apposita, le ho fatto un incantesimo per mantenere l’interno caldo!”
“Ma non dirmi, Paciock, hai avuto un’idea geniale”
“Non mi sembri molto sincero...”
“Davvero? Me ne dispiaccio sentit- maledizione! Stai più attento con quello scotch!”
“Oddio, scusami! Non l’ho fatto di proposito è che, sai, certe volte le cose mi scivolano dalle mani... eh eh...”
“Non l’avrei mai detto che, in effetti, certe cose non cambiano mai...”
“Penso che tu abbia rag- ehi! Aspetta un momento, che vuoi dire?!”
“Quello che ho detto. Odio ripetermi”
“Perché devi parlare sempre in maniera così enigmatica? E’ una cosa che non ho mai capito della tua personalità!”
“Oh-oh, adesso passiamo alle confessioni intime? Cos’è, imballare scatoloni ti apre il cuore, Paciock?”
“Ma cosa diamine vai blaterando, non mi sembra proprio di averti fatto una confessione!”
“Oh mio Dio, stai davvero arrossendo? Cioè, sul serio?”
“Smettila di dire cose che mi mettono in imbarazzo!”
“Ti ho detto di tenere quel maledetto scotch lontano dalla mia persona e non farmelo ripetere!”
“Ti dico che non lo faccio a posta, santo cielo! Cos’è, hai paura che te lo appiccichi da qualche parte?”
“Prima di tutto, definisci ‘qualche parte’. In secondo luogo, sì Paciock, ho paura di te perché sei l’essere più imbranato che io abbia mai avuto la sfortuna di conoscere”
“Ah, bene, quindi è questo che pensi di me! Pensi che io sia un... un... un imbranato!”
“Sì è quello che penso e non capisco perché questo intermezzo colloquiale stia sopravvivendo così a lungo dato che in tutto il tempo in cui abbiamo collaborato, ci siamo fatti bastare un ‘ciao’ ed un ‘alla prossima’!”
“Perché hai così tanti problemi a scambiare due chiacchiere in tranquillità? E poi se non avessimo iniziato non avrei mai scoperto cosa pensi veramente di me!”
“Oh e adesso che lo sai immagino che tu ti senta un uomo perfettamente realiz- Paciock, seriamente, dovresti guardare quello che fai invece di atteggiarti ad offeso dell’anno...”
“Io sono perfettamente cosciente di quello che faccio!”
“Ah sì? Mi fa piacere, considerando che tra noi due chi si è appena incollato tre dita sei tu...”
“Ma che diavolo...? Oh. Oh merda”
“Ma bene, è in questi casi che si ha il piacere di scoprire la reale personalità di un individuo. Mi complimento con la tua conoscenza di vocaboli, hai appena guadagnato zero virgola cinque punti sulla scala della mia stima...”
“Zabini, francamente, ti sembra normale avere una scala della stima per la gente? Piuttosto, aiutami! Adesso come faccio?!”
“Non è normale intrattenere discussioni con te, in realtà. E poi vorrei chiedermi per quale motivo mi poni certe domande come se le risposte dipendessero da me, ma, sai che c’è? Non me lo domanderò perché se lo facessi ammetterei che la risposta mi interessa. Ma non è così”
“Che... che...”
“Ce la puoi fare, Paciock...”
“Che egoista!”
Zabini chiuse l’ultimo scatolone con un’espressione che definire soddisfatta sarebbe un mero eufemismo. Lisciò con i palmi delle mani lo scotch affinché aderisse bene e voltò la testa verso Neville, osservando la faccia oltraggiata del Grifondoro. Il ragazzo teneva ancora la mano sospesa a mezz’aria, come se stesse aspettando che Blaise facesse qualcosa. Il francese abbassò lo sguardo sulle tre dita incollate di quell’imbranato senza far sparire quel sorriso affascinante ed irritante dalla faccia e parlò in maniera del tutto tranquilla.
“Non so proprio come aiutarti Paciock, davvero, sono mortificato. Prova ad andare al San Mungo, ma credo che dovranno amputarti le dita...”
“Che diavolo stai dicendo?” Neville sbiancò, letteralmente, allargando un po’ gli occhi da cerbiatto.
“Oh, lascia stare. Conosco certe storie che ti farebbero accapponare la pelle. Lo scotch magico una volta che si attacca è praticamente impossibile toglierselo di dosso. Ti ricordi Theodore Nott, della mia casa? Non so se l’hai visto ultimamente, ma va girando con un pezzo di scotch attaccato alla guancia, perché di certo non possono asportargli la faccia. Ovviamente comprenderai cosa voglio dire...”
“Oh Merlino... oh Mio Dio...” Neville indietreggiò, andando a sbattere con la schiena contro l’armadio oramai vuoto di Blaise; abbassò gli occhi sulle dita incollate, osservandole in uno stato di trance profonda, gli occhi vacui e l’espressione così desolata che Blaise fu quasi tentato di dire che stava semplicemente scherzando. La tentazione non fu abbastanza forte tuttavia e rimpicciolendo gli scatoloni, decise di infilarli nella tasca interna del mantello nero che indossava, senza spiccicare parola, lasciando Paciock in quello stato comatoso. Si voltò, ricordandosi che con lui era andato al Ministero anche il Mostro; lo cercò con lo sguardo, mentre una ruga di preoccupazione gli deturpava la fronte scura. Non l’aveva più visto né sentito da quando era entrato! Qualche secondo dopo, lo trovò che sistemava la borsa di Neville sulla cassapanca vicino la finestra. Irrigidì la mascella e si avvicinò al bambino con ampi passi.
“Cosa stai facendo?” domandò con tono perentorio ed indagatore. L’aveva visto muoversi in maniera furtiva e la cosa non gli era piaciuta neanche un po’. Mathias, senza perdere la sua compostezza distaccata, alzò il nasino all’insù per guardarlo negli occhi e scrollò appena le spalle gracili.
“Era scivolata a terra, l’ho rimessa al suo posto” commentò semplicemente, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni di velluto con estrema noncuranza. Ovviamente il francese non credeva ad una sola parola di quello che gli aveva detto il ragazzino, ma non gli sembrava né il momento né il luogo adatto per mettersi a sindacare, quindi si limitò a poggiare una mano sulle scapole del Mostro per sospingerlo senza tante cerimonie verso la porta. A casa avrebbe indagato più a fondo sulla faccenda, pensò, mentre lanciava un ultimo sguardo sospettoso alla borsa dell’ex Grifondoro. E a proposito di Paciock, questi si trovava ancora in uno stato confusionale, quando Blaise si apprestò a salutarlo.
“Bé Paciock, è stato un vero piacere. Condoglianze per le tue dita, ci risentiremo quando avrò bisogno di altri ingredienti, tanto il tuo biglietto da visita ce l’ho!”
“Le mie dita... no, non può essere... le mie dita!”
“Ciao...” la voce di Mathias passò praticamente inosservata.
“Oh mio Dio, oh no!”
Il francese senza fare una piega, inforcò la porta abbandonando con il cuore pesante il proprio ufficio. Chissà quando l’avrebbe rivisto... e chissà per quanto ancora avrebbe dovuto vegliare su quella specie di mutante, ponderò, abbassando con fastidio gli occhi su Mathias, poco avanti a lui. Si chiese per quanto sarebbe potuta durare ancora quella sorta di mutismo nella quale il bambino si era chiuso. Se da una parte Blaise era felice del fatto che il Mostro evitasse di disturbarlo più del dovuto, dall’altro non era per niente tranquillo. E, cielo, com’era imbarazzante ammettere una cosa del genere, per colpa di un individuo di anni otto! Tuttavia, a differenza di Draco, quando c’era da smascherare una verità, lui lo faceva senza troppi rigiri di parole o pensieri. Mentre Malfoy aveva il brutto vizio di negare la realtà quando gli era scomoda, costruendo interessanti e ridicoli castelli per aria, lui filava dritto al punto per comodità. Prima si individuava il problema, prima poteva risolverlo. E lui odiava i problemi. Mathias era un problema. Mathias era un problema che non poteva risolvere senza dover ricorrere all’omicidio e all’occultamento del cadavere. Mathias era un problema che per essere risolto, avrebbe richiesto l’infrangere numerose leggi che avrebbero aggravato la sua situazione. Ma Mathias, da un’altra prospettiva, era anche il problema che poteva risolvere il suo problema! Blaise sospirò pesantemente, chiuso nell’ascensore insieme al bambino. Poteva solo sperare che presto sarebbe capitato qualcuno desideroso di adottare un ragazzino caratterialmente instabile. Ma chi avrebbe mai voluto un bambino inumano come Mathias? Rabbrividì al pensiero che forse sarebbe finito con il tenerlo a vita. Irrigidì la mascella e le spalle, improvvisamente colmo di un’ira non pronunciabile. No, non l’avrebbe permesso. |
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Capitolo 6 *** Capitolo 5 ***
QUINTO CAPITOLO
Out here in the fields
I fight for my meals
I get my back into my living
I don’t need to fight
To prove I’m right
I don’t need to be forgiven
(The Who, Baba O’Riley)
La risposta alle riflessioni di Blaise non si fece attendere molto. Un paio di giorni dopo la visita al Ministero, le cose dentro casa divennero insostenibili. Se prima Mathias aveva deciso di emulare un'ombra, divenendo una presenza quasi impalpabile, improvvisamente era anche arrivato alla conclusione che quel gioco l'aveva annoiato e che era ora di cambiare. Erano oramai due settimane che il francese stava lottando tra la vita e la morte, cercando di evitare che gli scoppiasse un embolo da qualche parte. Lui odiava i bambini. Li odiava, li odiava, li odiava. Non aveva mai chiesto a nessuno di ricordargli perché, ma Mathias l'aveva fatto a prescindere dai suoi desideri. Le risposte a tono erano aumentate in maniera esponenziale, gli atteggiamenti irriverenti erano all'ordine del giorno ed ogni fottuta azione era diventata una lotta all'ultimo sangue. A partire dalla mattina quando Blaise doveva praticamente costringerlo a mangiare per non farlo morire di fame o a bere, per non farlo morire disidratato. Perché, sì, il Mostro aveva deciso di fare lo sciopero della fame. Così, senza motivo. Non avendo un cazzo da fare, aveva ben pensato 'ma sì, complichiamo la vita già merdosa del mio tutore!' Poi aveva anche deciso di fare lo sciopero dell'igiene e se non era Blaise a trascinarlo sotto la doccia, tra le urla isteriche del moccioso comprensive di graffi sul pavimento in moquette nel tentativo di cercare un appiglio e di lottare e non dargliela vinta, lui non si sarebbe più lavato. Tanto perché scioperare era una cosa banale, troppo semplice, aveva ben pensato di aggiungerci qualcosa che abbellisse il tutto e lo potesse rendere più interessante! Se prendeva bicchieri in mano, li lasciava cadere. Se prendeva piatti, ne rovesciava il contenuto. Quando Blaise lo placcava e con le dita gli spingeva le guance per fargli aprire la bocca, a volte il bambino riusciva a morderlo a sangue. Inoltre Mathias sembrava essersi votato al culto del nudismo (o forse esisteva un tipo di sciopero anche per quello?) e ogni volta che toccava vestirlo, la situazione diventava una tragedia greca. Si nascondeva, spariva, lottava, graffiava, mordeva, urlava. Un indemoniato, un posseduto! Blaise portava sempre più ferite di guerra e sempre meno con sopportazione. Con le penne gli imbrattava il muro di disegni assurdi e la notte, pur di far perdere sonno a Blaise ed innervosirlo, lo costringeva a stare alzato per impedirgli di distruggere qualcosa. Ma il peggio non era ancora arrivato! Giunto il giorno in cui la pazienza del francese andò a farsi benedire, i due ebbero una discussione pesante che sfociò in qualcosa di inaspettato.
"La devi piantare! Si può sapere che cosa c'è che non va in te? Dimmelo! Sono giorni che fai il diavolo a quattro, ma a che pro?!"
"Io faccio quello che mi pare, quando mi pare e come mi pare!"
"Non credo proprio e smettila di rispondermi così una buona volta, ragazzino, perché la mia pazienza nei tuoi riguardi è davvero terminata e la smetterò di essere così gentile!"
"Dovrebbe importarmi? Non è un mio problema se mi hanno affidato a te. Voglio proprio vedere, che cosa farai, mister gentilezza"
"Non provocarmi Mostro, non ci provare neanche o giuro ch-"
"Giuri che? Eh? Che cosa? Ma piantala! Ed anzi, ti dirò di più: da questo momento in avanti ti converrà fare come dico io altrimenti la pagherai!"
"Piccolo viscido superbo, con che coraggio ti azzardi a parlare così?"
Mathias sorrise. Anzi, no, sogghignò in maniera così meschina e melliflua che Blaise capì di essere stato messo con le spalle al muro ancora prima di ascoltare la risposta del bambino. Eccolo, il momento che tanto aveva temuto. Eccolo, il momento che tanto aveva atteso. Per settimane aveva avuto l'impressione che quel bambino non fosse come tutti gli altri, che avesse qualcosa di strano. Lo inquietava, spesso l'aveva colto a studiarlo silenziosamente, ad osservare le proprie mosse. Blaise assottigliò le palpebre, guardandolo in maniera algida ed irrigidendo la mascella. Se ancora non gli aveva messo le mani addosso era solo per grazia divina ed ad un certo punto qualsiasi persona al suo posto, se ne sarebbe fregata di ciò che avrebbe potuto pensare il Ministero, preferendo abbassare la cresta di quell'essere sgradevole ed impertinente. Erano notti che non dormiva decentemente ed aveva anche paura di farlo, quando il Mostro crollava dal sonno per la stanchezza, nel timore che il bambino potesse svegliarsi prima di lui e combinare qualche danno. Aveva ringraziato una miriade di volte l'esistenza dei quadri, che lo aiutavano a vegliare su di lui. Ma Blaise non ne poteva più. Aveva perennemente i nervi a fior di pelle, le occhiaie arrivavano fino ai piedi, si scordava addirittura di mangiare per stare dietro e quella piaga umana e non si faceva la barba da giorni. Non si era mai trascurato così tanto in vita sua e si sentiva stanco, come se un Dissennatore non l'avesse privato dei suoi ricordi felici, ma delle sue energie. Gli occhi gonfi e rossi, erano solo uno dei segnali che potevano dare qualche avvisaglia del crollo fisico e nervoso che stava subendo il francese. La responsabilità di quel bambino non suo era davvero grande.
"Cosa credi, che sia stupido?" iniziò Mathias, calibrando attentamente il tono di voce, in maniera insinuante "o forse credi che sia sordo. Ho sentito benissimo cos'hai detto ai tuoi stupidi quadri, la sera che sono arrivato in casa tua. Stavo solo fingendo di dormire"
Il cuore di Blaise perse qualche battito ed il mondo attorno a lui si congelò.
"E quindi io sarei la soluzione al tuo insignificante problema, non è vero? Ma se le tue soluzioni le tratti tutte così, dovrò riconsiderare le mie osservazioni sulla tua intelligenza, Blaise. Mi tieni qui per raggiungere il tuo scopo..." si zittì per un attimo, inarcando appena le sopracciglia con espressione indifferente "...e tra poco si terrà la visita mensile al Ministero, quella dove mi chiederanno se va tutto bene e cose del genere. Te ne ricordi, vero?"
Blaise inghiottì con una certa difficoltà, senza distogliere lo sguardo da quello scuro e profondo di Mathias, decisamente troppo, troppo arguto per appartenere a quello di un bambino. Se ne era dimenticato. Come aveva potuto dimenticarsene? In un lampo, realizzò che forse il trambusto che il bambino aveva creato in quei giorni, era mirato proprio a quello: concentrando tutte le attenzioni del francese su di lui, probabilmente Mathias aveva sperato di distrarlo da i suoi impegni futuri. Blaise allargò un poco gli occhi, con un'ombra di incredulità infondo allo sguardo. Non poteva crederci. Draco avrebbe riso di lui a vita, se l'avesse saputo. Burlato da un ragazzino. Non era possibile. Mathias tornò a sorridere, quando vide la comprensione negli occhi di Blaise. Non era possibile. Mathias non poteva avere otto anni. Ci doveva essere qualche spiegazione logica e razionale, a tutto quello.
"Chi tace non sempre acconsente e dalla tua faccia deduco che è il tuo caso. Dunque, mi chiedevo... cosa accadrebbe se mi lamentassi di te, Blaise? Intendo lamentarmi più del necessario. Non penso che sarebbe una buona cosa per te. Ed anche se tu provassi a dire che sto mentendo, non credo mi sottoporrebbero ad un esame della Veritaserum. Infondo, è la mia parola, orfano indifeso, contro la tua, individuo con la fedina sporca. Non solo! Credere a me inoltre farebbe comodo anche a loro, data la voglia incontenibile che hanno di sbatterti in prigione. No, non credo proprio che si prenderebbero la briga di verificare la veridicità delle mie parole..."
Blaise strinse i pugni talmente forte che le nocche divennero bianche e le unghie si conficcarono nel palmo della mano. Calma, si disse, mantieni la calma. Inspira. Espira. Un leggero tremito gli percorse le spalle, ma non era di certo dovuto alla paura. Piuttosto era causato dalla rabbia. Rabbia cieca nei confronti della propria stupidità! Come aveva potuto scavarsi in quel modo la fossa da solo? Non aveva mai fatto una cosa più... più irresponsabile di quella in tutta la sua vita! Il modo in cui si era macchiato la fedina era addirittura più giustificabile! Ed ora avrebbe dovuto prendere ordini da un ragazzino di otto anni? Chiuse gli occhi lentamente e poggiò due dita sulle palpebre, restando in silenzio a ragionare. Tuttavia, più ci pensava più giungeva alla conclusione che non c'erano vie d'uscita per lui: o faceva come gli stava dicendo Mathias o il bambino l'avrebbe incastrato. Sottoporlo a qualche incantesimo strano non se ne parlava, il Ministero teneva d'occhio la sua bacchetta. Pozioni? No, perché al rapporto mensile il bambino veniva sottoposto ad una visita medica totale e ne avrebbero trovato le tracce. Aveva le mani legate ed il carceriere era un ragazzino. Se solo Blaise avesse saputo che la sua vita avrebbe preso quella piega, sarebbe diventato Mangiamorte anche lui e si sarebbe lasciato uccidere durante la guerra. Pensò a Draco, che viveva in libertà vigilata ma non si sentì meglio, neanche un po'. Ebbe l'istinto di storcere le labbra ma si trattenne con fervore, restando inespressivo; non gli avrebbe dato anche la soddisfazione di vederlo piegarsi emotivamente. Abbassò la mano dalla faccia e riaprì lentamente gli occhi, puntandoli sul viso di Mathias, che era ancora intento ad osservarlo con una faccia sorniona. Dio, l'avrebbe cruciato. Blaise non aveva mai usato una maledizione senza perdono su qualcuno, perché solitamente riusciva ad essere abbastanza inquietante anche solo con lo sguardo. Ma, ve lo giuro, in quel momento ne avrebbe fatto un uso riprovevole, recuperando tutti gli anni che aveva perso.
"Fai sul serio?"
"Mai stato così serio in vita mia"
"Davvero ti aspetti che adesso io mi abbassi a darti retta?!"
Mathias lo osservò in silenzio e per una misera frazione di secondo a Blaise parve di vederlo vacillare. Fu un momento tuttavia troppo breve per dargliene certezza ed il bambino si limitò a stringersi nelle spalle con una notevole non chalance. Il francese smise quasi di respirare, mentre un tremito appena percettibile prese possesso delle sue mani. Voleva fare del male. Non gliene fregava un cazzo se davanti aveva un individuo di otto schifosi anni. Voleva fargli male, gliene voleva fare talmente tanto che non si sarebbe fermato fin quando non avesse visto uscirgli sangue addirittura dagli occhi. Erano anni che stava lavorando sulla sistemazione della sua reputazione. Anni. Anni di sudore, fatiche, sacrifici, umiliazioni. Aveva perso molte cose e con estrema fatica, stava ancora cercando di riguadagnarsele. E che cosa credeva di fare quella bestiaccia? Credeva davvero di poter apparire così dal nulla nella sua vita, capitargli tra capo e collo, creare l'inferno e di distruggere in un battito di ciglia tutto ciò che con difficoltà era riuscito a ricostruire in quegli anni? Blaise per un attimo vide completamente tutto nero. Udì un fischio sordo riempirgli le orecchie ed avendo paura di sé stesso, si voltò velocemente e ad ampie falcate, raggiunse il tavolo del soggiorno. Afferrò i bordi con entrambe le mani e piegò la schiena in avanti, restando in silenzio. Inspirò profondamente un paio di volte, cercando di calmare i battiti furiosi del suo cuore, con il desiderio di violenza che ancora gli scorreva nelle vene. Mentre Draco amava creare draghi con le parole, lui era sempre stato una persona piuttosto istintiva; più fatti e meno chiacchiere. Trattenersi in un momento del genere gli richiedeva uno sforzo inimmaginabile. Cercò di pensare lucidamente e come se qualcuno avesse deciso di inviargli un aiuto miracoloso, la voce di sua madre gli riempì la testa. Se la immaginò essere lì, ad assistere a quel momento e cercò di pensare a cosa avrebbe detto, a cosa avrebbe fatto. Ma sicuramente lei non si sarebbe mai lasciata incastrare in maniera talmente infantile e Blaise doveva pagare per il suo funesto errore. Nella sua testa, Constance usò un tono freddo ed autoritario, quello che solitamente usava quando necessitava di far tornare il figlio in sé. L'ex Serpeverde si innervosiva abbastanza facilmente e la madre aveva avuto spesso a che fare con lui in quegli attimi così destabilizzanti; era quindi nato il bisogno di adottare una tattica che potesse essere più o meno efficace, che lo aiutasse a non dare completamente di matto. E quando Blaise dava di matto, non c'era ragazzino che poteva impietosirlo o fermarlo. Sua madre gli disse di calmarsi e riflettere. Gli disse che era inutile piangere sul latte versato e che oramai quel che era successo, era successo. Gli ordinò di concentrarsi sulla situazione attuale e di continuare a fare i suoi interessi. Se questo avrebbe voluto dire dover accontentare i capricci di un ragazzino, bé, allora l'avrebbe fatto senza tante storie! C'era ancora una possibilità di ripulire la sua fedina e non poteva azzardarsi di mandarla in fumo. Non tutto era perduto ed in una situazione critica come quella, bisognava andare a cercare il risvolto positivo per non affondare. Il bambino avrebbe potuto continuare a rappresentare un motivo di riscatto, solo che da quel momento lo scambio di favori sarebbe divenuto reciproco. Non era una tragedia. Constance lo osservò con occhi decisi e severi, emanando un'aura di determinazione che sconvolse Blaise. Diamine, la stava solo immaginando eppure era come se fosse lì con lui a riprenderlo per i capelli prima di permettergli di fare qualcosa di stupido. La donna gli disse cosa fare: avrebbe mollato il tavolo, prima di sbriciolarselo tra le sue mani (e sarebbe stato un peccato rovinare delle mani così graziose! aggiunse civettuola) e avrebbe drizzato la schiena, dignitosamente. Si sarebbe voltato, avrebbe guardato il bambino ed avrebbe stretto un patto con lui -facendogli credere di avere il coltello dalla parte del manico, aggiunge egli stesso, accodandosi alla voce di sua madre. Ma Constance non si lasciò scavalcare. Blaise, piantala, in questi frangenti il tuo orgoglio cessa di esistere per lasciare spazio al tuo futuro. Vuoi o non vuoi tornare ad essere una persona rispettabile? Fallo per la gioia della tua mamma! Dicevo, stringerai un patto con lui e vi verrete incontro. Ricordati che ha otto anni, cosa pensi che possa pretendere un bambino di quest'età? Cerca di essere ragionevole, sei sempre stato un ragazzo intelligente, hai preso da me! Pretendo di non essere smentita! E dato che sua madre proprio non ne voleva sapere di essere smentita, il francese fece come gli era stato consigliato. Lasciò la presa sul tavolo con cautela e cercò di rilassare le spalle, prima di drizzarsi. Inspirò un ultima volta, rischiarando la mente nel tentativo di riprendere il controllo sul suo umore. Gli bastò qualche secondo per prepararsi psicologicamente, prima di voltarsi verso Mathias, che era rimasto immobile alle sue spalle. Lo sguardo del bambino fu subito sul suo volto, algido e distaccato, la traccia di vittoriosa soddisfazione già sparita da quei lineamenti infantili. Sapeva che le cose sarebbero andate come voleva lui e non aveva bisogno di festeggiare ad oltranza, Blaise l'aveva capito.
"D'accordo, tu fai un favore a me ed io ne faccio qualcuno a te"
Mathias rimase in silenzio, come stesse soppesando attentamente le parole dell'ex Serpeverde. Assottigliò le palpebre sugli occhi, arricciando appena la punta del nasino.
"Non mi sembra tu sia nelle condizioni adatte per contrattare..."
"No, infatti. Ma se dirai qualcosa contro di me e mi sbatteranno in prigione, magari ti affideranno a qualcun altro. E chi ti dirà se questo qualcun altro non possa essere addirittura peggiore del sottoscritto? Inoltre, non credo proprio che ne esistano tante di persone in giro, da poter ricattare come stai facendo tu con me. Magari al prossimo a cui verresti assegnato, non andrebbe così a genio l'idea di prendere ordini da un ragazzino..."
Mathias storse le labbra da un lato, ammettendo dopo qualche secondo che Blaise non aveva tutti i torti. Qualcun altro al posto suo non avrebbe avuto nessun motivo per assecondare il suo volere ed invece con lui, poteva cercare di fare i suoi porci comodi premendo sulla scusa del ricatto. Rimase un paio di minuti in silenzio, mentre i quadri nella stanza avevano il naso praticamente appiccicato alla cornice pur di non lasciarsi sfuggire una singola parola. Il Principe di Galles aveva già indossato il suo mantello azzurro, pronto a cavalcare sino a casa della Signora Zabini, con l'intento di raccontarle tutto per filo e per segno, ma Blaise non ci fece caso, troppo impegnato ad osservare il volto del bambino, a coglierne ogni minima sfumatura per intuirne i pensieri. Che cosa avrebbe dato per osservare quale processo compiva il suo arguto cervellino! Alla fine Mathias interruppe il silenzio, sospirando brevemente.
"Affare fatto. Ma ti avverto... indispettiscimi una sola volta ed il nostro accordo salta!"
"Lo stesso vale per te. Se dopo aver accontentato i tuoi desideri, racconterai comunque cose malevole nei miei riguardi al Ministero, l'accordo salta" e lì più nessuno mi fermerà dal metterti le mani addosso concluse con un pensiero cupo, il francese.
Mathias annuì distrattamente, come se la cosa non gli interessasse davvero.
"Adesso fammi da mangiare. Ho fame"
NOTE DELL'AUTORE:
Eccoci qui! Posso ufficialmente dire che i capitoli saranno VENTIDUE più l'epilogo! La storia più lunga (e più completa XD) di tutta la mia misera carriera da fanwriter. Considerando che SUQDP è già bella che finita, ho già impegnato la mia mente in progetti secondari. Sono indecisa che concentrarmi ancora sul fandom di HP con una Pansy/Draco oppure cambiare proprio categoria (Merlin, per la precisione). Mah, vedremo! Grazie ad Arianna per la sacrosanta pazienza e anche a chi legge in silenzio :D un saluto, vi auguro buona viglia e buon Natale! Chissà che Babbo Natale non vi porti un capitolo in anticipo! |
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Capitolo 7 *** Capitolo 6 ***
SESTO
CAPITOLO
When she was just a girl,
She expected the world,
But it flew away from her
reach,
So she ran away in her
sleep.
And dreamed of paradise,
Paradise,
Paradise,
Every time she closed her
eyes.
(Coldplay, Paradise)
Blaise
lasciò che le gocce di acqua pulita scivolassero lungo il
volto, percorrendo dolcemente la mascella marcata sino a gettarsi nel
vuoto dal mento spigoloso. Il rumore dell'acqua aperta riempiva il
vuoto d'aria che galleggiava nel suo cervello martoriato. Era giunto
ad una conclusione, in quelle tre settimane durante le quali aveva
potuto assaggiare amaramente le conseguenze dell'accordo stipulato
con Mathias. Era sceso a patti con sé stesso, sin da quando
aveva lasciato la scuola. Non che la cosa gli fosse mai piaciuta, ma
certe circostanze non ti lasciano nessun'altra prospettiva.
O scegli il peggio o ti becchi il peggio del peggio. Blaise era
sempre stata una persona attenta, capace di ragionare e di prendere
decisioni giuste per la sua vita, la sua carriera... probabilmente la
situazione in cui era precipitato poteva indurre a pensare il
contrario ma, sì, ammetteva che Draco Malfoy
era
stato l'unico errore di tutta la sua vita. Donargli la sua lealtà
e la sua amicizia, aveva decisamente sventrato
tutto ciò che la sua persona mostrava e ricopriva nella
società magica. Come poteva per cui un singolo errore
pregiudicare completamente il suo destino? Destino...
le labbra piene del ragazzo si tirarono in un sorriso che non
arrivava agli occhi, pensieroso. Lui non aveva mai creduto nel
destino ed ancora, in quel momento, non ci credeva; perché
nonostante Draco l'avesse trascinato con sé negli abissi della
disgrazia, Blaise non sarebbe mai stato capace di voltargli le
spalle. Se qualcuno gli avesse chiesto com'era stata possibile la
nascita di un rapporto così stretto tra una persona riservata
come lui ed un narcisista, egocentrico, egoista, viziato come Draco
Malfoy... non avrebbe potuto rispondere. Lui stesso si era posto
svariate volte la stessa domanda, ma... la curiosità non era
mai stato in grado di togliersela. Perché era amico di Draco?
Cosa aveva spinto entrambi a legarsi così l'uno all'altro?
Blaise era irrimediabilmente omosessuale e Malfoy era praticamente il
fratello che non aveva mai avuto. Con sua madre spesso impegnata in
matrimoni e funerali di vario genere, stranamente l'unica persona
che si era sempre ritrovato al fianco, a scuola, durante le feste,
durante le estati... era stata Draco. Non avevano mai progettato
niente, il tutto era avvenuto come fosse stata una cosa ovvia
passare del tempo insieme. Era un'amicizia nata da sola e
probabilmente era stata anche la situazione famigliare di Draco, a
farli silenziosamente avvicinare. Avevano un rapporto singolare,
fatto di insulti e frecciatine poco comuni. Ma del resto, erano
due persone poco comuni. Ci si poteva aspettare altro, da loro? Non
fraintendete, non è che Blaise nel fondo del suo cuore fosse
una persona tenera, romantica o dolce. Qui si sta parlando di
pragmatismo. Vedere le cose come effettivamente sono e dare loro il
nome che gli spetta. Mentre Draco tendeva a negare la realtà
per fare il duro della situazione o vagheggiare sette volte su otto,
Blaise semplicemente, per pura questione di pragmatismo, schiettezza
e semplicità, andava dritto al punto. C'era amicizia tra loro?
Sì. Gli voleva bene? Sì. Lo odiava? Molto spesso.
Niente fronzoli, niente esagerazioni di vario genere o osservazioni
profonde. Le risposte a monosillabi erano le sue preferite. Sì,
no, boh, forse. Ma non era quello il punto. Il punto era Mathias.
Mathias che da tre settimane tentava senza sosta di umiliarlo. Come
se di umiliazioni, da quando il Ministero aveva deciso di rendere la
sua vita un inferno, non ne avesse ricevute già abbastanza.
Non aveva mai visto un bambino così... intelligente, cazzo.
Perché doveva ammetterlo, Mathias era un bambino dannatamente
sveglio, furbo. Ed era solerte appellarsi al loro accordo solamente
in pubblico. Quand'erano a casa, soli, andava tutto abbastanza bene.
Le solite litigate, gli sguardi astiosi, i silenzi pesanti. Ma se
uscivano, la sua vocetta irritante, saccente, non tardava mai troppo
a dirigerlo come una marionetta. Fai questo, fai quello, dì
questa cosa, nega quell'altra, fai la verticale e cammina sulle mani
in mezzo a Diagon Alley, vai a giocare a mosca cieca in mezzo ad una
partita di Quidditch, corri nudo per Hogsmeade... d'accordo, forse si
stava un po' allargando, ma il concetto era quello. Anche perché
Mathias, per come era fatto, non gli avrebbe mai chiesto di fare un
qualcosa di così... plateale. Lui lo umiliava sottilmente, con
i sotterfugi. E non gli importava se lo spettatore di turno non era
in grado di cogliere l'opera che stava mettendo in atto. Per lui
l'importante era che fosse Blaise, a capire l'intento delle sue
parole e delle sue richieste e lui ovviamente capiva, oh
se capiva. La dentatura perfettamente bianca, incise il labbro
inferiore. Con le mani appoggiate sul lavabo, mentre l'acqua
scorreva, appariva semplicemente come un ragazzo, con l'espressione
un po' pensierosa, ma tutto sommato tranquillo, rilassato.
Però
aveva
deciso.
Anche perché, quella mattina, aveva mandato allegramente a
puttane il suo accordo.
"Lui
ha detto che le piaci"
La
ragazza sbatté le palpebre, osservando il visetto del bambino
con espressione un po' confusa. Solo quando adocchiò Blaise,
le guance assunsero una delicata tonalità rosea.
"Blaise
guarda, è diventata rossa! Mi scusi signorina, ma è la
verità! Non è vero?"
No
che non era vero. Lui era omosessuale, per la miseria ed anche molto
felice della sua condizione. Lei aveva i capelli i biondi come il
miele e quando allungò un braccio per dare il gelato tutti i
gusti più uno al bambino dall'espressione furbetta, Blaise
notò che la pelle pallida era ricoperta di lentiggini. Lui
odiava le lentiggini, le trovava disgustose. Anche Paciock aveva le
lentiggini sul naso. Strinse le labbra in una linea sottile, per
impedirsi di fare una smorfia poco cortese.
"Blaise,
diglielo che è vero, se no poi pensa che sono un bambino
bugiardo"
Il
ragazzo si preparò, per l'ennesima volta, a stare al suo
gioco.
"Ho
fatto una semplice constatazione dei fatti, dicendo che la trovo una
ragazza graziosa"
La
biondina sembrò in difficoltà, mostrandosi un po'
impacciata nel rivolgere un sorriso delicato all'indirizzo dell'Ex
Serpeverde. Dal suo canto, lui sapeva bene che non sarebbe finita lì.
Mathias si avvicinò al bancone e con la manina fece cenno alla
ragazza di avvicinarsi. Quella, chinatasi in avanti, tese le orecchie
ed il bambino le parlò come stesse svelando un segreto,
premurandosi però di utilizzare un tono di voce poco discreto.
"Lui
si vergogna perché è timido, ma prima mi ha chiesto di
chiederti se ce l'hai il fidanzato..." leccò il gelato
con gusto, sfoggiando un'espressione così ingenua da sembrare
vera.
D'accordo,
intendiamoci. Non è che sciocchezze del genere sarebbero state
in grado di metterlo in imbarazzo. Lui adorava... giocare, davvero. E
non gli avrebbe dato molto fastidio flirtare, anche per gioco, con
una donna. Era il fatto che a manovrarlo così fosse un
bambino, ad innervosirlo. Se la situazione fosse stata diversa,
probabilmente avrebbe potuto anche soprassedere sulle orribili
lentiggini di quella femmina, per farsi due risate. Lei spostò
con un imbarazzo che andava crescendo lo sguardo su Blaise, ma la
risposta alla pseudo domanda di Mathias fu pronunciata da qualcun
altro.
"Ci
sono problemi, Maggie?"
Maggie,
che nome scialbo e privo di personalità. Non avrebbe mai
potuto davvero flirtare con una persona di nome Maggie. Un ragazzo,
apparentemente suo collega, dall'altro lato del bancone in silenzio
si era avvicinato, sino a cogliere la natura della loro
conversazione. Blaise espirò silenziosamente, perché
dal modo in cui il tipo aveva posto la domanda, aveva compreso che
molto probabilmente si trattava della dolce metà di... Maggie.
"No
Ben, non è niente..."
"Sei
tu il fidanzato di Maggie?"
Blaise
rimase in silenzio, contemplando la meravigliosa possibilità
di soffocare il Mostro con la sua stessa lingua lunga. Il suddetto
Ben, nel replicare alla schietta domanda del bambino, spostò
con occhi cupi lo sguardo direttamente su Blaise. Il 'nemico'. Si
prese due secondi per soppesarlo in maniera grossolana e l'altro
ipotizzò che probabilmente, il ragazzo, stava cercando di
valutare se fosse un avversario poco pericoloso. Quanti anni poteva
avere, diciotto? Diciannove, forse? Aveva l'aria di chi era fresco di
diploma. Dallo sguardo che il gelataio ricevette in risposta al suo
esame silenzioso e dalla cessazione di quel ridicolo studiarsi,
neanche fossero due animali, Blaise dedusse che aveva capito di non
doverlo provocare scioccamente. Infondo non era malaccio, con quei
capelli lunghetti un po' arruffati e gli occhi nocciola. Gli sarebbe
dispiaciuto un po' dover usare le maniere forti.
"Sì,
sono io"
"Oh
no, che peccato! Blaise le aveva anche comprato dei fiori, sai..."
Maggie
non sapeva cosa rispondere ed era in evidente difficoltà. C'è
da dire che lo sguardo del bambino, così... strano, era in
parte la causa di quella difficoltà. Ben corrugò la
fronte e sfoggiò un'espressione che al Serpeverde non piacque
affatto. Ah, l'amore... nonostante il gelataio aveva ben compreso di
trovarsi davanti una persona poco incline alle scempiaggini, il suo
legame con la cara, dolce, maledettamente lentigginosa Maggie, lo
forgiava del coraggio di sfidarlo nonostante i suoi timori. Che
processo affascinante. Blaise si strinse appena nelle spalle,
mostrando una faccia da schiaffi tale che sarebbe stata in grado di
innervosire anche Ruf. Non intendeva prendere quella situazione sul
serio e magari, mantenendo un profilo basso, la questione si sarebbe
conclusa in fretta e senza nessun morto.
"Suppongo
che staranno bene anche sul tavolo del mio soggiorno"
"Però
ti sarebbero piaciuti di più nella camera di Maggie, avevi
scelto il colore in modo tale che il mazzo fosse anche in tinta con
le pareti della sua stanza..."
Blaise
indurì la linea della mascella. Mathias stava esagerando
perché le sue parole avrebbero davvero potuto causare dei seri
problemi. Gli lanciò un'occhiata di avvertimento ed il
bambino, per tutta risposta, leccò il gelato con l'espressione
leziosa di un gatto sdraiato sotto l'ombra di un albero in piena
estate. Lo stava maledettamente provocando a contraddire ciò
che aveva detto. Era davvero disposto a fare il suo gioco solo per
impedirgli di raccontare maldicenze sul suo conto a quegli imbecilli
del Ministero? Cosa gli assicurava che dopo averlo umiliato così
non avrebbe comunque infranto il loro accordo? Non c'era nulla di
firmato.
"Hai
seguito Maggie sin sotto casa sua?"
Ben
era diventato rigido ed in fondo allo sguardo, fu facile notare
l'irritazione destata dal dubbio piantato dalle parole di Mathias.
Aprì e chiuse le mani lentamente, più volte, rimanendo
immobile come fosse stato colpito da un Pietrificus. Maggie, divenuta
ormai cinerea sul volto dai lineamenti morbidi e gentili, altalenava
gli occhi azzurri dal proprio ragazzo a Blaise. Si azzardò ad
allungare una mano verso Ben, nel chiaro tentativo di indurlo a
lasciar perdere, ma lui con un gesto del braccio la scostò
bruscamente. Ah, il giovane aveva un carattere irrequieto allora.
Blaise sostenne lo sguardo perforante del gelataio, ma non rispose
alla sua domanda. Sapeva che qualsiasi cosa avesse detto, l'avrebbe
semplicemente fatto infuriare ancora di più. Inoltre, adesso
che ci pensava, lui non poteva neanche permettersi di-
"Impedimenta!"
"Protego!"
"Everte
statim!"
"Protego,
Expelliarmus!"
"Rictusempra!"
"Protego!"
"Vigliacco!
Reducto!"
"Stupeficium!"
Il
corpo di Ben fece un volo tremendo ed andò a sbattere contro
la parete alle sue spalle, scivolando poi a terra, inerme. Maggie
strozzò il principio di un urlo nella propria gola e con gli
occhi azzurri sgranati, corse fino al giovane, chinandosi accanto a
lui. Blaise, il respiro accelerato, non disse una parola. Strinse
maggiormente la propria bacchetta nel pugno, ma il suo cervello si
rifiutò di fermarsi un attimo. Era nei guai, nei guai più
neri ed assoluti. Mathias accanto a lui, aveva smesso di leccare il
gelato e si era fatto improvvisamente serio e silenzioso. Blaise
inumidì le labbra con la punta della lingua ed osservò
Maggie cercare di far rinvenire il suo ragazzo. Merda. Inizialmente
aveva provato soltanto a difendersi, senza usare altri incantesimi ma
poi, al sentirsi dare del vigliacco non ci aveva visto più e
la prima parola che era riuscito a vomitare, era anche quella che
l'aveva appena fregato. Puntuale come un orologio svizzero, udì
provenire da una delle finestre chiuse un picchiettio sordo ed
irritante, simile ad un chiodo che ti viene inserito nel cervello.
Prima ancora di voltarsi e lasciare la via libera al barbagianni
appena arrivato, aveva già compreso di cosa si trattava. Con
un incantesimo silenzioso fece aprire le ante della finestra e
l'animale, svolazzando rumorosamente, lasciò cadere tra le
mani del francese una busta sigillata con il timbro del Ministero.
Senza aspettare ricompense o risposte, il barbagianni abbandonò
il negozio e subito dopo, fu come non fosse mai stato lì.
Blaise inspirò lentamente, in silenzio, stringendo la busta in
un pugno e la bacchetta nell'altro. Non ci fu bisogno di ordinare a
Mathias di seguirlo, quando abbandonò il negozio in religioso
silenzio, perché il bambino non gli staccò per un
attimo gli occhi di dosso. Buttò il gelato in un secchio sulla
via di Diagon Alley e tornò a casa con il suo tutore.
"Blaise?"
Morgana,
con atteggiamento discreto, si inserì nella cornice della
ninfa, appesa sulla parete opposta a quella dello specchio. Fu
proprio attraverso il riflesso del vetro, che il ragazzo osservò
la Strega con un'espressione cupa e greve. Lui stesso, sembrava
emanare una certa aurea di pericolosità che indusse Morgana ad
accostarsi alla ninfa, come se la sua sola vicinanza le infondesse un
certo coraggio. Non parlò, ma con lo sguardo la invitò
a continuare. Non sembrava avere molta voglia di essere disturbato.
"Tua
madre è arrivata, ti aspetta in salotto..."
Schiarendosi
appena la gola, restò immobile qualche secondo, socchiudendo
le labbra come dovesse aggiungere qualcos'altro; ci mise solo pochi
secondi a ripensarci ed abbassando lo sguardo, con un tocco gentile
sulla spalla della ninfa abbandonò il quadro, probabilmente
diretta alla sua postazione. A Morgana toccava sempre il lavoro
sporco. Ogni volta che Blaise non era di buon umore e c'era qualche
cosa di importante da comunicargli, gli altri personaggi inviavano
sempre lei in avan scoperta. Ma era la prima ad essere schiacciata
malamente contro qualche cornice se c'era bisogno di spiare od
origliare. Il Serpeverde adocchiò la ninfa, che provò
ad abbozzare un sorriso non molto convinto; spostò in seguito
gli occhi nero petrolio sullo specchio ed osservò il proprio
volto. Nonostante la pelle scura, due occhiaie macchiavano il colore
perfetto dell'epidermide. Gli occhi dal taglio allungato erano un po'
gonfi a causa delle borse e rossi per la stanchezza. Da molte notti
non riusciva a dormire, colpa di pensieri troppo rumorosi. Passò
una mano sulla faccia, stropicciando le palpebre e si staccò
dal lavabo, richiudendo l'acqua.
"Tesoro,
perdonami se non sono potuta venire prima, ma ho avuto delle cose
che- Blaise?"
Non
aveva fatto in tempo a mettere piede in salotto che con voce
chiocciante, sua madre aveva immediatamente preso parola. Ma
qualcosa, sul volto del figlio, doveva averla distolta velocemente
dalle giustificazioni che si era preparata. Il Principe di Galles
qualche settimana prima le aveva riferito per filo e per segno la
discussione che c'era stata tra Blaise e Mathias, quella riguardo il
loro pseudo accordo. Il ragazzo si chiese distrattamente come mai non
si era domandato il perché della mancanza di una visita
immediata da parte di sua madre. Decise che aveva troppe cose a cui
pensare, troppi problemi da risolvere ed impicci da sbrogliare, per
porsi anche un quesito del genere.
"Mamma.
Come stai?"
Splendidamente,
visto il suo aspetto impeccabile, come sempre. Bella, come sempre. Un
tailleur blu notte le fasciava le forme sinuose del corpo scuro. La
camicetta di seta bianca dava quel tocco di classe ed eleganza mai
eccessiva. La natura aggressiva della donna, era sottolineata però
dalle decolleté zebrate. Le strisce scure, invece che nere,
erano blu come il tailleur. Constance corrugò lievemente la
fronte e si avvicinò di qualche passo a suo figlio,
permettendo alla propria mano di sfiorarne la guancia; il rumore dei
tacchi delle scarpe erano attutiti dalla soffice moquette color
panna.
"Cos'è
accaduto?"
Dritta
al punto come sempre. Del resto, Blaise doveva pur aver preso da
qualcuno. Era contento di essere uguale più a sua madre che a
suo padre. Non sapeva neanche dov'era. Da quando aveva tradito la
madre per un'altra, il francese non l'aveva più visto né
sentito ed anzi, aveva volontariamente acquisito il cognome di
Constance in segno di rifiuto totale della figura paterna. Blaise
socchiuse le palpebre senza battere ciglio ed osservò il volto
della madre con fare taciturno. Constance temeva le sfuriate del
figlio, ma temeva ancora di più quando invece non le faceva.
Con espressione apprensiva, la donna lasciò cadere la mano
dalla guancia di Blaise e permise alle braccia di accarezzarle i
fianchi, semplicemente attendendo che il figlio capisse da solo da
che punto iniziare. Insistere o mettergli fretta era una pessima
idea. Di certo però, quell'atteggiamento stranamente quieto ed
allo stesso tempo inquieto, le lasciava intendere che qualcosa di
grave era accaduto. Possibile che dipendesse solo dalla discussione
che lui e Mathias avevano sostenuto? Mathias...
"Dov'è
il bambino?"
Gli
occhi di Blaise sfuggirono allo sguardo penetrante della donna per
dirigersi verso un punto indefinito alla sua destra.
"Non
lo so"
"Prego?"
"Non
lo so, mamma! Dannazione, non lo so!"
Constance
sfarfallò le ciglia, decisamente interdetta. Blaise aveva
iniziato con un tono basso, sino a pronunciare le ultime parole con
voce alta e decisamente frustrata. Nervosamente, il ragazzo si passò
una mano in mezzo ai capelli e, alla stregua di un leone selvaggio
rinchiuso in una gabbia, iniziò a marciare avanti ed indietro
per il soggiorno, con gli occhi puntati a terra e le mani piantate
sui fianchi. Era un completo fascio di nervi e le rughe sulla fronte
denotavano il suo stato d'animo. Constance si mosse con cautela sino
a raggiungere il tavolo di cristallo. Abbandonò con gli occhi
la figura del figlio solo per adocchiare la lettera spiegazzata ed
aperta, appoggiata sulla superficie immacolata e trasparente del
tavolo.
Gentile
Sig. Zabini,
abbiamo
avuto notizia che a Diagon Alley, questa mattina, alle dieci e
trentasette minuti, è stato da Lei praticato, o da chi faceva
le veci della Sua bacchetta, un incantesimo di offesa. Come Lei sa, a
seguito delle restrizioni che Le sono state imposte dal Tribunale del
Wizengamot durante l'udienza datata 14 giugno 1999, non Le è
permesso compiere determinati incantesimi, in appello al Decreto per
la Ragionevole Restrizione delle Arti Magiche per i Pregiudicati,
1665, Comma D. La informiamo inoltre che è invitato a
presentarsi negli uffici del Ministero in occasione della visita
mensile ufficiale in merito alla custodia affidatale di Ramos Mathias
Alan, nella giornata di domani pomeriggio. Coglieremo l'occasione per
valutare il suo recente utilizzo della magia.
Buona
giornata!
Cordialmente,
Mafalda
Hopkins
Ufficio
per l'uso improprio delle Arti Magiche
Ministero
della Magia
"Blaise,
smettila di scavare nel pavimento e dimmi cos'è accaduto"
"Se
ne è andato"
"Che
vuol dire se n'è andato?!"
"Ha
preso l'ascensore e se ne è andato mamma, ecco che vuol dire!"
"E
tu l'hai lasciato fare?"
"Certo
che l'ho lasciato fare, di chi credi sia il merito di quella
convocazione?"
"Stai
dicendo che ti ha costretto ad utilizzare la magia?"
"Mi
ha messo nella condizione di doverlo fare!"
"Blaise,
maledizione, stiamo parlando di un bambino di otto anni" "Quello
non è un ragazzino, è un Mostro! Tu non l'hai sentito
parlare, non hai visto che cosa è capace di macchinare!"
"Sei
fuori di te, cerca di controllarti, stai vaneggiando"
"No
mamma non sto vaneggiando affatto e francamente ne ho piene le tasche
di dover stare attento a quello che dico, a quello che faccio, a chi
frequento e anche ai ragazzini!"
"Non
è un bambino qualunque, rappresenta la chiave per riottenere
la tua credibilità!"
"Al
diavolo la credibilità, non ho intenzione di passare un minuto
di più a farmi umiliare da un ragazzino di otto anni! Il
Ministero ha già abbastanza controllo di per sé sulla
mia vita, ma chi ho ucciso per meritarmi di cadere così in
basso? A questo punto tanto vale meritarmela sul serio una pena per
Azkaban"
"Non
parli sul serio!"
"Mi
ci avvicino molto in realtà. Sono giorni che non dormo, perché
a causa di quel maledetto accordo -mio Dio, sto parlando di un
accordo con un bambino, lo vedi come sono caduto in basso?- sono
costretto ad assecondare i capricci e le sevizie di un ragazzino che
come sport principale ha scelto quello di cercare di dimostrarmi la
superiorità della sua posizione! Il Ministero mi pressa perché
non posso fare incantesimi, il Ministero mi pressa perché da
quando quel Mostro vive con me non ho avuto più molto tempo
per portarmi avanti con le pozioni, il Ministero mi pressa per
assicurarsi che il bambino venga trattato nel migliore dei modi, il
Ministero mi pressa perché vuole che io fallisca!"
"Ed
a quanto vedo tu gli stai rendendo le cose molto semplici"
"Dannazione,
no! Ci ho provato, ci ho provato per davvero, altrimenti non avrei
mai accettato di scendere a compromessi con lui, per la miseria! Non
avrebbe potuto semplicemente, che so, morire in quel maledetto
agguato, proprio come i genitori? No, troppo semplice, certo!"
"E'
questo quello che gli hai detto per indurlo ad andarsene via così?"
"Ho
detto quello che penso e non mi importa di che fine abbia fatto,
troverò altri modi per riacquistare uno straccio di
credibilità"
"Blaise"
"Da
quando se n'è andato ho pensato a cosa poter raccontare al
Ministero. Non credo che ne uscirò completamente pulito, ma
tant'è, schifo per lo schifo, sarà una macchia in più
da cancellare"
"Blaise"
"Domani
pomeriggio mi presenterò senza il bambino. Dirò chiaro
e tondo che non ne voglio più sapere niente"
"BLAISE!"
Il
ragazzo si immobilizzò in mezzo al salotto, puntando gli occhi
neri, vacui e nervosi, sul volto della madre.
"Domani
tu ti presenterai al Ministero con il bambino. Vallo a cercare"
Zabini
restò fermo al suo posto, in silenzio, senza muovere il minimo
muscolo, come fosse caduto in una specie di trance.
"Blaise.
Vallo a cercare adesso"
NOTE
DELL'AUTORE: ah! Ve l'avevo detto che Babbo Natale vi avrebbe portato
un capitolo in più, questa settimana! Non siate miscredenti :D
buon Natale e buon Santo Stefano! Grazie ad Arianna
che mi beta questo mondo e pure l'altro, grazie a chi legge, chi
aggiunge la storia alle seguite/preferite/ricordate e chi
recensisce/ha recensito/recensirà! Sono piena di gioia e
amore, sarà il Natale? Comunque, per chi nei precedenti
capitoli si fosse perso l'immagine che ho io di Mathias,
la ripropongo: http://img.poptower.com/pic-60650/mason-cook.jpg?d=600
(Mason Cook). Direi che ha una faccia abbastanza da stronzetto, no? Tornando tuttavia a
spendere un attimo due paroline su Mathias... mi rendo conto, che un
bambino di otto anni, semplicemente, NON PUO' essere così. Non
esiste, né in cielo né in terra. Ma dovete anche
cercare di capire che è in una situazione piuttosto
delicata... più avanti nella storia, spiegherò perché
ho voluto caratterizzarlo in maniera così marcata. Se lo
dicessi adesso potrebbe apparire incomprensibile. A venerdì!
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Capitolo 8 *** Capitoli 7 ed 8 ***
SETTIMO
CAPITOLO
No
one knows what it’s like
To
be the bad man
To
be the sad man
Behind
blue eyes
No
one knows what it’s like
To
be hates
To
be fated
To
telling only lies
(The
Who, Behind Blue Eyes)
“Brutta
storia, amico mio”
Draco versò
dell’altro vino rosso nel calice di Blaise, in quello che era
il fantasma di un maniero un tempo davvero molto prezioso. Osservò
i vestiti umidi dell’altro ragazzo, semi sdraiato su una
poltrona accanto al camino acceso. Cercò di incontrarne lo
sguardo, ma Blaise fissava il soffitto come fosse stato una
marionetta senza volontà né anima.
“So
che probabilmente a voi gay questi commenti creano dei traumi
irreversibili, ma te lo devo dire. Hai una faccia di merda”
In quel
momento, gli occhi neri del francese incontrarono quelli grigi
dell’inglese; il riverbero delle fiamme in quei mari scuri,
donava allo sguardo una luce un po’ folle. Con un respiro molto
profondo, di chi cerca un controllo che riesca a far mantenere un
minimo di sanità mentale, Blaise ingollò il vino come
fosse stato la sua ultima ancora di salvezza; o come l’ultimo
desiderio di un condannato. Draco si sedette sul divano posto vicino
alla poltrona, puntando gli occhi verso le fiamme del camino, con
espressione assorta. Aveva i capelli molto corti, di un biondo
praticamente assurdo. E, come sul volto di Blaise, qualche ruga di
troppo deturpava quella bellezza un po’ malata. Quei segni
erano la memoria perenne di ciò che avevano passato e di ciò
che avevano deciso di passare. Blaise si era catapultato a casa sua
alle quattro e mezza del mattino, bagnato fradicio a causa della
pioggia e con un aspetto così spettrale da essere riuscito a
far spuntare un’altra ruga sul volto del giovane Malfoy. Tra un
bicchiere di vino e l’altro, gli aveva raccontato quello che
era successo, di come il Ministero aveva cercato di metterlo alle
strette e di come quel bambino, a sua volta, era riuscito a farlo.
Draco aveva ovviamente stentato a credere alle sue orecchie perché
se c’era qualcosa che poteva dire di sapere con certezza su
Blaise – e lui, per la miseria, lo conosceva veramente bene –
era l’impossibilità di sconvolgere o sorprendere quel
finocchio europeo.
“Non
pensavo che l’avrei mai detto Blaise, ma... questo giro credo
che abbia ragione tua madre” tentò, con un tono di voce
un po’ zoppicante.
Proprio
come aveva previsto, l’amico gli riserbò uno sguardo che
sarebbe stato in grado di uccidere anche una cosa inanimata.
“Senti,
usa la tua cazzo di ragionevolezza. Lo fai sempre, non puoi
evitarmela quando davvero serve! Voglio dire, guardati intorno!”
esclamò ed allargò appena le braccia, inglobando nella
sua frase l’aspetto fatiscente del salone; una fatiscenza che
si riverberava in tutte le stanze della casa.
“Blaise,
in qualità di merda quale sono, ho lasciato Pansy per mettermi
con Astoria. Sposandola in futuro, potrò permettermi di
tornare a fare una vita da signore. Io amavo Pansy, ma amavo ancora
di più la bambagia in cui sono sempre vissuto. Andiamo, amico.
Noi non siamo nati per questo, non lo siamo affatto. Io ho scelto un
matrimonio di convenienza, ho ferito la donna che amo ancora ed ho
scelto una vita di costrizione. Perché sono un viziato del
cazzo e mi metto sempre al primo posto. Mi sono comportato come un
figlio di puttana. Tu, maledizione... tu che hai la possibilità
di non fare la fine che ho fatto io, di non fare le scelte che ho
fatto io, di cavartela con qualcosa di più pulito e
dignitoso... dico, davvero ci stai rinunciando?” concluse, la
fronte corrugata, la vestaglia di seconda mano aperta, sotto la quale
Blaise poté intravede un pigiama grigio, anche quello di
seconda mano. Da quanto tempo Draco indossava cose del genere? Malfoy
si era sempre sentito e comportato da Lord. Mai, in tutta la sua
vita, c’era stato un attimo in cui aveva pensato che gli esseri
umani fossero tutti uguali. La sua scala gerarchica era molto chiara,
al riguardo. Prima venivano le famiglie ricche e purosangue. Poi
venivano le famiglie purosangue. Poi... no, la scala gerarchica si
fermava lì. Per il resto del mondo sarebbe potuta sembrare una
sciocchezza, ma Blaise era perfettamente conscio del fatto che a
Draco, condurre una vita del genere, doveva gravare in maniera
spaventosa. Abbassò gli occhi sul proprio bicchiere vuoto,
rigirandoselo pensierosamente tra le mani. Percepiva lo sguardo del
biondo sul suo volto ed all’improvviso, gli venne da ridere.
Anni dopo si sarebbe reso conto del perché, ma in quel momento
non avrebbe saputo dirlo. Semplicemente, rise; le labbra tese, la
voce calda e le spalle scosse ad intervalli. Draco lo osservò,
inarcando le sopracciglia, ma anche le sue labbra erano arricciate in
un principio di risata. E che altro c’era da fare, se non
quello?
“E’
da mezzanotte che lo cerco, non so più dove guardare”
confessò Blaise, una volta calmato quel disperato momento di
ilarità. Sentiva che poteva ancora riprendere in mano le
redini della sua vita, perché forse Draco stava messo anche
peggio di lui.
Proprio in
quel momento, un picchiettare contro le vetrate alte del salone,
attirò l’attenzione di entrambi. Draco corrugò la
fronte, osservando il folto barbagianni con aria interrogativa.
“Non
lo conosco” commentò, alzandosi e dirigendosi verso la
finestra per permettere al volatile di entrare. Era diventato raro
ricevere posta da quelle parti e quando succedeva, proveniva sempre
da quelle tre o quattro persone abituali.
“Sarà
il Ministero che vorrà mettermi sotto inchiesta perché
mi sono permesso di ridere nonostante tutti i loro sforzi di indurmi
al suicidio spontaneo”
Lo humour
di Blaise certe volte rasentava davvero il cinismo più osceno
e scioccante, ma Draco, che ne era un buon stimatore, si ritrovò
a ridacchiare sinceramente divertito dalle sue parole. Il barbagianni
una volta entrato, invece che lasciar cadere la lettera ai piedi del
padrone di casa, planò elegantemente verso Blaise. Si
appollaiò sul bracciolo della poltrona e tese la zampetta, in
attesa che il francese prendesse la lettera. I due Serpeverde si
scambiarono uno sguardo interrogativo. Anche Blaise non era in cima
alla lista delle persone cui qualcuno avrebbe mai voluto scrivere.
Poi, un’idea gli balenò per la testa.
“Forse
è lui!” esclamò, sciogliendo quindi la pergamena
dalla zampa del volatile con dita nervose. Allisciò il pezzo
di carta e gli occhi scorsero velocemente quelle poche parole vergate
con inchiostro bordeaux. Corrugando la fronte, alzò lo
sguardo, puntandolo verso Draco che nel frattempo gli si era
avvicinato. Dalla finestra ancora aperta entrava un’aria gelida
che neanche il grande camino, era in grado di contrastare. Il
barbagianni, senza neanche aspettare un cenno, si alzò in volo
dal bracciolo della poltrona, sparendo dalla finestra in un fruscio
di ali e piume. Blaise allungò la pergamena verso Draco,
affinché la potesse leggere, cosa che il biondo non si fece
ripetere due volte.
Ciao
Zabini,
sono
Neville! Cioè, Neville Paciock! Non so quanti Neville conosci
ma ho preferito specificare.
Bè
comunque, volevo solo dirti che Mathias è qui. Da me. A casa
mia.
Quindi
bè, ecco, ho pensato che forse ti avrebbe fatto piacere
saperlo.
Così
magari lo vieni a recuperare.
Visto
che domani, cioè oggi, avete la visita al Ministero.
Ma non è
che lo so perché mi sono impicciato.
Cioè,
tutti lo sanno al Ministero.
Ecco, è
tutto.
Ah, no!
Se giri
il foglio c’è l’indirizzo di casa mia.
A presto
(?)
Neville.
Neville Paciock.
“Perché
pare ritardato anche quando scrive?”
Blaise rise
di nuovo e strappando la pergamena dalle mani di Draco, si alzò
in piedi. Ora sapeva dove andare.
OTTAVO
CAPITOLO
Where
do we go from here?
Where
do we go from here?
I
threw some rocks up at your window
I
broke some rocks right through your window
(Imagine
Dragons, Rocks)
La casa di
Neville Paciock era un edificio discreto, situato nella periferia di
Londra, zona 4 circa. In termini babbani voleva dire un'ora e anche
più dal centro, in macchina. Ma in termini magici
corrispondeva allo schiocco di una materializzazione. Quello ancora
poteva farlo, stranamente. Osservò come tutte le case in quel
quartiere si assomigliassero molto. Erano piccole villette che si
dislocavano su due piani e dati i comignoli, parevano proprio essere
comprensive di camino. Il comignolo di Neville emanava fumo, segno
che in casa il camino era acceso; e se il camino era acceso, qualcuno
era sveglio. A meno che non si fosse trattato di persone
irresponsabili o soggette a qualche deficit mentale... nel caso di
Paciock, tutte le possibili soluzioni erano potenzialmente reali.
Rimase fermo davanti il numero 23, osservando il vialetto di cemento
che l'avrebbe condotto fino alla porta. Il giardino era ben curato e
qualche strana pianta decorava le fiancate della casa, sicuramente
roba tutt'altro che babbana ma passabile per tale. Il cielo si era
fatto di una tonalità più chiara, oramai alle cinque e
un quarto del mattino circa, l'alba era più che vicina. I
passi di Blaise vennero accompagnati dal quiete silenzio di un
quartiere che dorme, quando lo condussero dritto di fronte la casa di
Neville. Preferì bussare, perché il suono del
campanello avrebbe stonato in mezzo a tutta quella tranquillità
(o apparente tale che fosse). Nel giro di qualche secondo, dei passi
un po' impacciati precedettero l'arrivo di Neville dall'altro lato
della porta; armeggiò con il chiavistello, prima di liberare
l'uscio e far spuntare fuori il suo naso lentigginoso. Gli occhi
castani del Grifondoro, incontrarono subito il volto di Blaise.
Sfarfallò le ciglia un paio di volte, sembrando vagamente
sorpreso dal ritrovarselo lì, sulla soglia di casa.
"Sei
venuto" commentò e dal tono di voce, Blaise ebbe
l'impressione che fosse sveglio da molto tempo; si chiese per la
prima volta da quanto tempo Mathias fosse lì.
"Ovviamente.
Mi fai entrare o dobbiamo discuterne immersi in una temperatura di 2
gradi circa?" domandò con aria sarcastica, alzando un
sopracciglio in segno di ulteriore ironia.
Come colto
in pieno errore, imbarazzato Neville si fece da parte, invitando
silenziosamente il Serpeverde ad entrare. Subito, il calore della
casa investì Blaise come una carezza morbida, dandogli un
senso di benessere che migliorò il suo umore di mezza tacca.
L'aspetto di uno straccio, quello sì che avrebbe richiesto un
po’ più di tempo prima di potersene liberare. I
pavimenti erano in legno chiaro e la mobilia era un'accozzaglia di
stili tra vecchio e moderno che fece quasi sanguinare gli occhi di
Blaise. Da qualsiasi fessura, cassetto o mensola sbucavano
cianfrusaglie di ogni genere, fogli di carta, libri, appunti, scatole
di varie dimensioni e colori, piante... sembrava essere in un
laboratorio dove era appena esplosa una bomba. Almeno il pavimento
era sgombro, ma sulle pareti non c'era spazio per appendere anche un
quadro. Blaise rimpianse internamente la comodità e l'ambiente
spartano della propria abitazione, priva di qualsiasi gingillo.
L'aria era satura dell'odore di torta di mele e di prodotti per la
cura delle piante, una sorta di medicinale biologico. Arricciò
la punta del naso, mentre Neville chiuse la porta in faccia al gelo
del mattino. Percorso il breve corridoio, Blaise si ritrovò di
fronte ad una scalinata.; alla sua destra c'era l'entrata verso il
salotto, alla sua sinistra quella verso la cucina, dove la luce era
accesa. Ma il bagliore del fuoco proveniva dal salone.
"Vieni,
stiamo di qua" anticipò Neville, conducendolo verso la
cucina. Le stoviglie utilizzate per la cena erano appoggiate sul
ripiano della cucina, in attesa di essere solo asciugate; Blaise notò
che erano ancora bagnate, quindi dovevano essere state lavate poco
prima del suo arrivo. Le esaminò velocemente ed il cervello
registrò due piatti e due forchette. Mentre slacciava il
cappotto pesante, impedì ad una vena sulla tempia di
scoppiargli fragorosamente. Lui stava andando in giro come un matto
da mezzanotte... e quel piccolo figlio di... No Blaise, la violenza
porta solo altra violenza. Stava di fatto però che Mathias era
lì addirittura dall'ora di cena. Oh, quanto avrebbe voluto,
quella piccola e simpatica vena, saltare per aria ed imbrattare
quella bella cucina. Neville dovette percepire una certa tensione
provenire dal Serpeverde, tant'è che si diresse verso la
credenza e tirò fuori il bollitore.
"Faccio
un po' di tè" commentò, con tono di voce vagamente
titubante.
Se il
Grifondoro stava cercando di temporeggiare, Blaise glielo avrebbe
permesso. Perché, francamente, anche lui aveva bisogno di
tempo. Tempo per cercare di ideare una nuova strategia su come
approcciarsi nei confronti del bambino, su come risolvere quella
situazione, su come porsi durante la visita di controllo al Ministero
e su quale diavolo di scusa raccontare per aver utilizzato un
incantesimo di offesa contro un cazzo di gelataio un po' troppo
allegro.
Appoggiò
il cappotto sulla spalliera della sedia e senza neanche chiedere il
permesso, prese posto al tavolo, togliendosi anche i guanti, ma
lasciando la sciarpa. Non voleva dare l'idea di volersi trattenere lì
più di quanto non fosse necessario ed anzi, la prospettiva
della dura giornata che lo attendeva non faceva altro che acuire la
sua voglia di risolvere in fretta quella faccenda. Con un incantesimo
Neville accese il fuoco della macchina del gas, lasciando scaldare
l'acqua in maniera del tutto naturale. Si voltò verso Blaise,
notando che questi stava fissando il suo pigiama bordeaux con righine
gialle. Nuovamente, cadde in uno stato di imbarazzo abbastanza
soddisfacente per il francese, ma a dispetto del periodo scolastico,
seppe mantenere un controllo ineccepibile. Aveva imparato a fare
finta di niente e la cosa gli riusciva anche piuttosto bene. Si
sedette davanti al Serpeverde e, dopo aver stabilito un contatto
visivo con lui, la questione venne aperta senza mezzi termini.
"Dov'è
lui?"
"E'
sul divano, si è addormentato circa dieci minuti fa"
"Come
fa ad essere qui?"
"Aveva
un mio biglietto da visita, deve averlo preso quella volta al
Ministero"
"L'avevo
visto rovistare tra le tue cose"
"Infatti.
Sopra il biglietto c'è ovviamente il mio indirizzo, dato che è
qui dove lavoro. Essendo ancora studente non posso avere un
laboratorio mio"
"Come
avrebbe fatto ad arrivare sino a qui?"
"A
quanto dice, con i mezzi pubblici. Non so dove abbia potuto prendere
i soldi"
"La
tua arguzia cosa ti suggerisce?"
Neville
rimase brevemente in silenzio, rendendosi conto della banalità
di quell'osservazione.
"Mi ha
detto che non andate molto d'accordo"
"In
effetti ne dice tante, di cose. La maggior parte sono fesserie"
"Mi
sembra un bambino piuttosto intelligente, non credo che-"
"Oh, è
piuttosto intelligente, te lo posso assicurare. Proprio per questo
può raccontare bugie maledettamente credibili"
"Quindi
non è vero che gli hai detto che sarebbe dovuto morire anche
lui durante l'attacco di un mese fa?"
"Questa
non è una cosa che ti riguarda"
"Ha
iniziato a riguardare anche me dal momento in cui ho aperto la porta
e me lo sono ritrovato davanti bagnato fradicio e con un pacchetto di
M&M's nello zaino come cena"
"Mi
sembra tu la stia rendendo più tragica di quel che è"
"Dimmelo
tu quanto è tragica allora"
"Se ho
dei doveri nei riguardi di qualcuno, grazie a Dio non sei tu Paciock"
"Zabini
guardami in faccia, non sono il ministero, voglio solo cercare di
aiutarti"
"Non
ho mai guardato da nessun'altra parte e ti assicuro che non vedo
ragioni per le quali dovrei coinvolgerti"
"Perché
la situazione ti è chiaramente sfuggita di mano. Anzi ti dirò
di più: non l'hai mai avuta sotto controllo"
Blaise
indurì la mascella e perforò il volto di Neville con
uno sguardo che avrebbe potuto uccidere. La consapevolezza personale
era un conto, ma sentirselo sbattere così in faccia... era un
altro. Già da tempo era sceso a patti con se stesso e, sì,
aveva dovuto ammettere che gli errori c'erano stati. Fin dall'inizio.
Se si trovava in quella situazione, probabilmente era anche
colpa sua. Ma nessuno, nessuno doveva prendersi la libertà
di dire cosa stesse facendo bene e cosa male. Neanche Constance.
Neville non fu in grado di sostenere quello sguardo perforante a
lungo e, qualche secondo dopo, abbassò il suo sulla superficie
del tavolo, incrociando le dita delle mani. Sapeva di aver affermato
qualcosa di molto forte, trattandosi poi di un tipo come Zabini. Ma
dato che continuava insistentemente a rifiutare la mano che gli
veniva tesa, il Grifondoro aveva deciso di adottare una tattica più
brusca. Aveva già pensato all'eventualità di essere
lentamente tagliuzzato e poi dato in pasto ai coccodrilli che
sicuramente Zabini allevava come animali domestici, ma per Mathias
aveva deciso di rischiare. La situazione di quel bambino lo toccava
da vicino. Anche lui era cresciuto senza genitori, non li aveva
praticamente mai avuti. Però c'era stata sua nonna, la sua
fantastica, determinata nonna, senza la quale probabilmente sarebbe
stato perso. O forse già morto. Quindi era conscio anche
dell'importanza di avere accanto a sé qualcuno che fosse
pronto a sostenerti, a proteggerti e spronarti, anche se sua nonna lo
faceva un po' a modo suo. E se il destino aveva deciso che Blaise
doveva essere quella persona per Mathias, Neville avrebbe cercato di
fare tutto quello che era in suo potere, per rendere la cosa più
facile. Lo faceva per Mathias, perché nessun bambino dovrebbe
restare solo. Sempre.
"Posso
darti una mano con Mathias"
"E
come intenderesti fare?"
"Fai
pure l'ironico, ma ci so fare più di te con i bambini"
"Non
ne dubito, la mentalità è simile"
"Perché
devi sempre offendermi?"
"Chiamasi
obiettività, Paciock"
"No,
chiamasi superiorità"
"Vuoi
dire che saresti più maturo di me? Vorresti seriamente
insinuarlo?"
"Non
lo sto insinuando, lo sto dicendo"
"Sei
diventato arrogante, Paciock. E' l'influenza di Potter?"
"Chi è
ora il bambino?"
"Non
ho ben capito come vorresti graziarmi del tuo misericordioso
intervento"
"Faremo
una sorta di terapia"
"Pardonnez-moi?"
"Vi
aiuterò a trascorrere le giornate nella maniera più
giusta possibile"
"Stai
scherzando"
"Davvero?"
"Vorresti
fare il parassita...?"
"No,
ci vedremo a pranzo, a cena e forse qualche pomeriggio, dipende dai
miei impegni"
"Impegni.
Numerosi, noto"
"Lavorando
da casa posso gestire il mio tempo come voglio"
"Cos'era
quell'inflessione vagamente pavoneggiante insita nelle tue parole?"
"Chiamasi
obiettività, Zabini"
"Questo
l'avevo detto io"
"Davvero?
Non ricordo"
Neville
sfoggiò un piccolo sorrisetto da anima pura ed innocente.
Blaise si accorse in quel momento che il Paciock dei tempi della
scuola era bello che andato. Si trovava davanti un giovane uomo,
forse un po' imbranato, ma dalla mente abbastanza brillante da averlo
portato ad essere uno degli Erbologi di maggior successo nel loro
paese quando ancora doveva terminare i suoi studi. Era rimasta quella
sorta di spontaneità mista ad ingenuità, ma il coraggio
e la determinazione avevano forgiato quelle due caratteristiche
rendendole una piacevole sfaccettatura della sua persona. Blaise si
ritrovò ad osservare le lentiggini che punteggiavano il naso
del Grifondoro, senza provare il consueto disgusto. Lui aveva sempre
odiato le lentiggini. Rimasero qualche secondo in silenzio,
interrotto solamente dal fischio del bollitore. Neville si alzò
dalla sedia e spense il gas. Aprì la credenza e tirò
fuori due tazze, riempiendole di acqua calda. Mise le bustine del tè
all'interno delle tazze ed a tavola portò una zuccheriera, due
cucchiaini e il cartone del latte. Poggiò una tazza davanti a
Blaise ed una la tenne per sé. Non era il servizio migliore
che avesse mai ricevuto, ma Blaise convenne che per una volta, si
poteva anche fare. Del resto, lui non era come Draco. All'idea
dell'amico, posto nella sua situazione, non riuscì a
trattenere uno sbuffo di risata sarcastica. Neville lo osservò,
mentre girava lo zucchero nel tè e corrugò la fronte
con una punta di incertezza. All'interno della cucina, mano a mano
che il giorno si faceva spazio nella notte, la luminosità era
percettibilmente aumentata.
"La
cosa non mi convince, Paciock" commentò il francese,
versando un po' di latte nel tè bollente. Iniziò a
girare con il cucchiaino, senza aver preso zucchero.
"Io
voglio fare così"
Una voce
roca, mezza insonnolita, catturò l'attenzione di entrambi.
Voltandosi verso l'entrata della cucina, Blaise vide Mathias, con un
pigiama decisamente troppo grande per lui, capelli asciutti e puliti,
volto stanco e profonde occhiaie sotto gli occhi. I capelli arruffati
gli avrebbero dato un'aria probabilmente tenera, se solo Blaise non
avesse saputo che razza di mostriciattolo fosse in realtà.
Corrugò leggermente la fronte ed inaspettatamente la sua testa
venne invasa dalla voce di Neville. Tanto per cominciare, evitiamo
di chiamarlo mostro, mostriciattolo o altri epiteti poco gradevoli,
vuoi? Il Serpeverde spostò lo sguardo sull'ex compagno di
scuola per coglierlo sul fatto, ma l'altro aveva tutta l'attenzione
per Mathias. Gli sorrideva gentile, con quelle fossette sulle guance
così boh, e lo invitava ad avvicinarsi. Blaise restò
congelato sul posto. Non aveva appena pensato con la voce di Paciock.
No. No, assolutamente improbabile, scientificamente impossibile,
matematicamente incalcolabile. Si costrinse a guardare di nuovo il
bambino, concentrandosi su di lui. Era la priorità assoluta.
Mathias si era seduto accanto a Neville e guardava Blaise con
espressione apertamente ostile. Non sfoggiava più quell'aria
di superiorità che gli aveva sempre propinato da quando
l'aveva prelevato al Ministero. Quella che aveva sul volto era
l'espressione ostile di qualcuno che era stato ferito e che non aveva
intenzione di dimenticare. E che avrebbe ottenuto vendetta, in un
modo o nell'altro. Probabilmente la sua vendetta sarebbe stata quella
di costringerlo ad una vicinanza forzata con quell'imbranato di
Paciock. Pensandoci a mente fredda, in effetti, era una vendetta
abbastanza crudele. Blaise lo osservò a lungo, soppesando
attentamente la situazione ed i vari risvolti che questa avrebbe
potuto assumere. Non aveva idea di come avrebbe affrontato la
giornata e l'idea che Paciock cercasse di fare da terapista
improvvisato francamente pareva ridicola.
"Bel
modo di porsi" commentò Blaise, comunque pizzicato dal
tono di pretesa che aveva usato il bambino.
"Non
ti meriti altro" sputò l'altro, con tono di voce
graffiante ed arrabbiato.
Neville
poggiò una mano sulla spalla di Mathias, prendendo un sospiro
leggero.
"Mathias,
proviamo a chiederlo insieme. E aggiungiamoci il 'per favore', vuoi?"
Il tono
gentile e calmo del Grifondoro parve avere l'effetto di un balsamo
lenitivo sui nervi del bambino. Mathias gli lanciò
un'occhiatina, apparentemente quasi dispiaciuta, come avesse fatto
qualcosa di sbagliato. Passarono lunghi attimi di silenzio, durante i
quali Mathias studiò attentamente il volto di Blaise da sotto
la sua folta frangia, usandola come una sorta di difesa.
"Facciamo
come dice Neville... per favore"
Blaise non
poté credere alle sue orecchie. Allargò
impercettibilmente gli occhi, spostando lo sguardo sul Grifondoro che
lo osservava con un sorriso incoraggiante, impegnato a donare una
carezza sulla testa del bambino. Cioè. No dai,
parliamone. Erano giorni che si dannava per cercare di
ottenere un po' di rispetto da quel coso, e Paciock arrivava
tutto lindo e pinto e ci riusciva nel giro di qualche ora.
Cioè.
L'idea che
forse il Grifondoro sarebbe potuto essere un buon terapista invece
che un fallimento totale, si fece strada nella sua coscienza. Sì,
anche Zabini aveva una coscienza, piccola piccola, ma ce l'aveva.
Guardò Mathias, ma il bambino aveva lo sguardo fisso sul
tavolo. Era evidente che aveva fatto quel gesto di cortesia soltanto
per far piacere a Paciock. Ma l'aveva fatto e a Blaise non
interessava se la natura fosse di origini sincere o meno.
"Blaise?"
La voce del
padrone di casa lo riscosse dalle sue osservazioni ed il ragazzo
osservò entrambi. Doveva rispondere.
"...
d'accordo" sputò fuori, senza troppo entusiasmo. Del
resto la situazione restava ancora critica.
L'espressione
serena di Neville tuttavia, sembrava esprimere tutt'altro parere.
"Adesso
che siamo tutti e tre d'accordo, cerchiamo di capire come affrontare
questa giornata"
NOTE DELL’AUTORE:il
capitolo DOVEVA essere relativamente corto, perché di semplice
transizione. Però questa settimana è speciale, perché
tra Natale e Capodanno anche io sono un poco più buona! Come
già specificato nella risposta ad alcune recensioni, ho
GIURATO e SPERGIURATO
che dal prossimo capitolo Neville sarebbe stato talmente tanto
presente che avreste iniziato ad odiarlo. D’accordo? D’accordo.
E inveeece. Inizierete ad odiarlo precisamente a partire da questo
capitolo. Poi non dite che non vi penso, eh! Le sorprese, con questa,
sono finite per davvero. I prossimi aggiornamenti avverrano con una
puntualità e rigidità mostruosa, vi avviso! Approfitto
per augurarvi in anticipo buon anno nuovo e per ringraziare come
sempre Arianna per
il lavoro di betaggio! :D p.s. sto cercando una beta volenterosa
che si immoli per la mia piccola Merthur (Merlin). Chi volesse
aiutare questa povera anima pia (che sarei io), clicchi con il ditino
sulla messaggistica privata! <3
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
NONO
CAPITOLO
Who
knows what's right? The lines keep getting thinner My age has
never made me wise But I keep pushing on and on and on and on
(Imagine
Dragons, Nothing Left To Say)
Hesperia
Sludge sorrise con affabilità, mentre Blaise e Mathias
prendevano diligentemente posto nel suo ufficio, seduti l’uno
accanto all’altro come due bravi cittadini della comunità
magica. Entrambi immersi in un completo sobrio ma elegante, entrambi
mantenutisi su tonalità scure, osservavano la donna con
espressione indecifrabile. Indecifrabile non per stranezza, ma per
mancanza di comunicatività. Erano giunti in perfetto orario,
nonostante gli imprevisti incontrati lungo il percorso, il che aveva
messo Blaise di ottimo umore perché lui odiava arrivare in
ritardo. Sicuramente Neville, che stava pazientemente attendendo
l’esito di quel colloquio nella sala principale del Ministero,
seduto sul bordo della fontana, avrebbe avuto da ridire sulla
definizione di ‘ottimo umore’ se collegata ad una persona
come il lui. Non ci voleva la scienza per notare che l’umore
del Serpeverde era tutt’altro che ottimo, soprattutto dopo aver
assimilato la consapevolezza di doversi far aiutare da qualcuno. Con
estrema urgenza, tra l’altro. Nonostante fosse imbevuto e
forgiato d’orgoglio, al contrario di Draco, Blaise sapeva bene
quando giungeva il momento di smetterla di rendersi ridicoli,
pretendendo di continuare su una linea non più praticabile
solo per mere questioni di orgoglio. Difatti, aveva orgogliosamente
accettato la sconfitta. La sconfitta di una battaglia, certo, ma per
lui la guerra era tutt’altro che chiusa miei cari. E mentre
stava seduto lì in silenzio ad analizzare il sorriso sornione
di Hesperia Sludge, la sua mente si districò tra vari
pensieri, nei quali era compreso lo svelare la misteriosa natura di
Neville Paciock. Sicuramente Paciock e lui avevano caratteri
decisamente contrastanti, come il giorno e la notte, ma cos’è
che rendeva una persona più in grado di fare qualcosa rispetto
ad un’altra? In ambito scolastico, è plausibile che
qualcuno possa essere portato più per una materia che per
un'altra. Ma Mathias non era una materia scolastica. Quindi perché
Neville sembrava riuscire così bene (tra l’altro con
estrema facilità), dove lui invece falliva? D’accordo,
forse aveva mancato un po’ di impegno, ma il dettaglio non
poteva bastare come giustificazione. Non per lui. Che Neville
riuscisse a guardare la situazione con una prospettiva diversa dalla
sua?
“Allora
miei cari, noto con piacere la vostra puntualità”
snocciolò Hesperia, stendendo le labbra fini sporcate con un
rossetto
arancione acceso
che
non si abbinava per niente con i capelli castani e crespi e gli
occhietti piccoli, di un celeste acquoso. Era la classica donna che,
nonostante una certa età, adorava abbigliarsi ed acconciarsi
come una ragazzina, divenendo talmente appariscente da risultare
volgare e potenziale oggetto di derisioni velate. Blaise tuttavia la
conosceva per tutt’altra cosa: se poteva esistere su quella
terra una degna rivale di Rita Skeeter, quella era sicuramente la
Signora (Signorina, prego!) Sludge. Difatti si vociferava fossero
migliori amiche. E dietro quel sorriso così zuccheroso che lei
era solita propinare con tanta facilità a chiunque osasse
rivolgerle parola o sguardo, si celava solo un’estrema,
profonda ed insana voglia di sputtanarti. Gli occhietti acquosi
sembravano in grado di scavare la faccia della gente, per arrivare al
cervello e carpirne informazioni potenzialmente compromettenti da
spargere per i corridoi del Ministero. Blaise non aveva dubbi
riguardo il fatto che se tutto il Ministero davvero era a conoscenza
della situazione in cui si trovava, doveva sicuramente ringraziare
Hesperia. C’era anche da dire che, tra loro due, non era mai
corso buon sangue perché lui non aveva mai sopportato la sua
tendenza a cercare di farsi gli affari suoi. Da quando Hesperia si
era resa conto che Zabini la teneva di proposito a distanza, tra loro
era cominciata una specie di guerra fredda.
“Ci
tenevo particolarmente a deludere le sue aspettative, Miss*
Sludge”
“E’
Ms, prego”
“Oh,
escludendo me, sono certo che tutto il Ministero ne sia a conoscenza”
Hesperia
strinse le labbra tra loro per qualche secondo, mantenendo un
invidiabile controllo. Ovviamente Blaise, con quella simpatica
parlantina di cui Madre Natura (o Madre Constance) l’aveva
dotato, era in grado di indispettirla ogni sacrosanta volta nel giro
di qualche secondo. Inutile dire che per lui, quello sport, era quasi
orgasmico. Il ragazzo
incrociò le dita delle mani poggiate sul grembo e distese le
labbra carnose in un sorriso molto diplomatico. Mathias, invece, si
limitava a fissare il volto della donna con sguardo profondo ed
intelligente: impossibile non sentirsi a disagio. Hesperia si mosse
irrequieta sulla sedia, cercando una posizione più comoda,
mentre gli occhi si altalenavano da una figura all’altra, prima
di sostare sul bambino. Blaise sapeva esattamente cosa avrebbe
cercato di fare la donna. Lanciò di sottecchi uno sguardo
all’imperturbabile volto di Mathias, che non aveva ancora
aperto bocca, chiedendosi se si sarebbe attenuto a ciò che
avevano concordato. Inumidendo le labbra secche con la lingua,
Hesperia la fece schioccare contro il palato.
“Allora
Mathias, oramai è passato un mese, non è così?”
“…”
“Oh”
civettò Hesperia, quando si rese conto che il bambino non
avrebbe pronunciato una parola “cos’è quel faccino
scuro? Non sei felice?”
L’avevano
sentita la nota sadica di pseudo trionfo nella voce della Sludge, i
colleghi dell’ufficio accanto? Dovevano per forza averla
sentita. Chissà se anche Paciock giù nella Hall l’aveva
sentita. Sicuramente sì, diamine. Mathias voltò la
testa verso Blaise, piantando i suoi occhietti scuri in quelli
altrettanto neri del francese.
Restò a guardarlo per qualche interminabile secondo,
ricambiato con una ben celata apprensione. A casa del Grifondoro i
patti erano stati stipulati chiaramente ma quel bambino risultava
talmente imprevedibile che Blaise, sinceramente, un volta faccia se
lo aspettava più del suo giuramento a fare come gli era stato
detto.
“Se
i suoi genitori fossero stati uccisi un mese fa e fosse stata
catapultata in un luogo che non conosce, costretta a vivere con una
persona che non conosce, lei sarebbe in grado di definirsi una
persona felice?”
Hesperia
Sludge aprì la bocca, sì, ma non ne uscì una
parola. Le guance assunsero una tonalità rosata, mentre le
labbra venivano richiuse. La situazione cadde preda di un silenzio
imbarazzante, durante il quale la donna si accorse di non potersi
appellare all’ingenuità di un bambino qualsiasi. Anzi,
mentre spostava gli occhi piccoli ed acquosi verso Blaise, il
pensiero che quei due fossero simili in maniera quasi sconcertante le
balenò nella testa. Appoggiò le spalle allo schienale
della poltrona e schiarì la gola, prendendo tempo. Tempo per
escogitare una nuova strategia ed anche per recuperare un po’
la faccia. La domanda da lei posta, diciamocelo, non era stata
esattamente brillante come lei aveva pensato. Peccato rendersene
conto solo dopo.
“Dunque”
esordì, scandendo lentamente le parole per incrociare le mani
sulla scrivania “descrivetemi questo mese di convivenza tanto
per cominciare”
“Intenso”
“Estasiante”
La
Sludge li osservò con occhi scettici. Parlare all’unisono
e per giunta con un tono di voce che dire robotico sarebbe riduttivo,
non era molto incoraggiante. Blaise se ne accorse e si sforzò
di sorridere. Più che altro, sfoggiò un paio di labbra
tese e basta. Mathias se ne sbatté altamente delle apparenze.
“Mathias
come definiresti il trattamento del signor Zabini nei tuoi riguardi,
caro?”
“Accettabile”
“Definisci
accettabile”
“Mangio,
bevo, vado al bagno, dormo ed ho la paghetta. Le serve sapere quante
volte mangio, quante volte bevo, quante volte vado al bagno, quante
ore dormo ed a quanto equivale la somma della mia paghetta?”
“Arr-
non credo sia necessario, caro. Uhm, dunque… ritieni che il
signor Zabini possa aver avuto o abbia tuttora delle mancanze nei
tuoi riguardi?”
“Sì”
Anche
se se lo aspettava, Zabini avvertì il sangue congelarsi nelle
vene. Rimase immobile come una statua di granito, gli occhi neri
fissi sul volto rugoso di Hesperia. Sapeva bene che, se avesse
voltato la testa verso Mathias, non avrebbe risposto più delle
sue azioni. Al diavolo la diplomazia di Paciock, avrebbe ucciso quel
Mostro! D’altro canto però, riuscì a non perdersi
l’ombra di un sorriso felino farsi spazio sul volto della
donna, che lei simulò abilmente con un breve colpo di tosse,
ansiosa di sentire il resto.
“Non
temere caro, parlane tranquillamente. Il Ministero intende tutelarti
e se sarà necessario, verrai affidato ad un’altra
persona”
“Non
mi permette di bere alcool. Questa cosa mi disturba enormemente”
Stavolta
fu il turno di Blaise dover simulare un colpo di tosse. Il sangue
ricominciò a scorrere. Hesperia sfarfallò le ciglia con
espressione inebetita. Avvertiva la chiara sensazione di essere
appena stata sbeffeggiata da un bambino di 8 anni senza poterlo
evitare. Restò con le labbra dischiuse per qualche secondo,
cominciando a mostrare lievi cenni di disagio. Quell’incontro
non stava andando come lei aveva immaginato.
“D’accordo,
passiamo avanti. Mathias dietro la porta alle mie spalle c’è
un ambulatorio dove verrai sottoposto ad una visita di controllo. Un
medimago ti sta già attendendo, per favore, raggiungilo”
Il
bambino, diligentemente, scivolò giù dalla sedia e
senza dire una parola si diresse verso l’ambulatorio. Una volta
rimasti soli, Hesperia e Blaise si guardarono con fredda cortesia.
“Cos’è
successo a Diagon Alley, signor Zabini?”
“Come
mai lo chiede a me e non al bambino?”
“E’
lei che ha lanciato l’incantesimo. O vorrebbe farmi credere che
è stata opera del bambino?”
“Come
al solito lei sottovaluta la mia intelligenza”
“Oh,
allora non me lo dica, sbadatamente le è stata sottratta la
bacchetta ed è stato qualcun altro ad utilizzarla al posto
suo, non è così?”
“Io
faccio bene a sottovalutare la sua, di intelligenza”
“Signor
Zabini non è nella posizione adatta per permettersi certe
spiritosaggini. In qualità di funzionario del Ministero le sto
chiedendo di espormi i fatti accaduti a Diagon Alley nella giornata
di ieri. Avrà sicuramente ricevuto il gufo di Mafalda”
“La
Signora Hopkins, immancabile come sempre”
“E
dunque?!”
“Mathias
si trovava in difficoltà con un gelataio”
“Un
gelataio. Lei ha aggredito un gelataio”
“No,
è il gelataio che ha aggredito noi”
“Il
gelataio vi ha aggrediti. Cos’è, ha iniziato a
scagliarvi contro coni e coppette?”
“No,
però ha provato a schiantarci”
“Lei
parla al plurale”
“Non
le sfugge niente”
“Non
mi faccia perdere la pazienza. Il gelataio ha provato a schiantare
entrambi?”
“Se
non fossi intervenuto sì, ci avrebbe schiantati entrambi”
“Sa
signor Zabini, lei ha la fama d’essere un bravo mentitore”
“Sa
Miss
Sludge, rifiutando di dare credito alle mie parole automaticamente
contribuisce anche a rendere questo colloquio ancora più
inutile di quanto già non sia. Ha ben due alternative.
Attendere che il bambino esca dall’ambulatorio e parlare con
lui, oppure convocare il gelataio e chiedergli chi è che ha
attaccato briga per primo. Mi sono limitato a svolgere il mio compito
di tutore, salvaguardando l’incolumità del bambino”
“Oh,
immagino quanto le stia a cuore la sua incolumità. Sarà
sicuramente in cima alla lista delle sue priorità”
“Vede?
Non le sfugge niente”
“Oppure
potrei usare la Veritaserum”
“Fortunatamente
il pozionista tra noi due sono io, quindi lei probabilmente non sa
che sarebbe contro la legge usufruire di tale pozione al di fuori di
un serio processo presieduto dalla corte del Wizengamot”
“Sono
sicura che per lei il Ministero farebbe volentieri un’eccezione”
“Oh,
non ne dubito, ho sempre ricevuto un trattamento speciale dal
Ministero”
Si
sorrisero cordialmente, rimanendo seduti composti ai loro posti. In
quel momento la porta dell’ambulatorio si aprì e ne uscì
Mathias, seguito da un medimago di mezza età. Hesperia attese
che entrambi facessero il giro della scrivania, per poter osservare i
loro volti senza doversi girare. Non parlò, mantenendo le mani
incrociate sulla scrivania si limitò ad osservare l’uomo
in camice color sabbia. Le nuove divise del San Mungo, imperdibili.
Il tipo stringeva tra le mani una cartellina, ma non ebbe neanche
bisogno di guardarla quando iniziò a parlare prestando
attenzione solo alla Sludge.
“Il
ragazzo è sano come un pesce, Hesp. Tutti i valori sono esatti
e non è stato soggetto all’assunzione di nessun tipo di
pozione né vittima di incantesimi recenti”
Hesperia
parve non apprezzare molto quella notizia. La giornata stava
decisamente peggiorando e se è vero che il buon giorno si vede
dal mattino, si sarebbe conclusa in maniera davvero pessima. Sospirò
pesantemente, osservando il bambino con sguardo vitreo, mentre la
luce della vittoria lentamente si assopiva nei suoi occhietti
azzurrognoli.
“Mathias,
cos’è successo a Diagon Alley?”
“Un
gelataio matto ci ha aggrediti. Se non ci fosse stato Blaise
probabilmente mi sarei ritrovato schiantato. E’ stata colpa
mia, ho iniziato io a litigarci”
“Perché
l’avresti fatto?”
“Perché
mi annoiavo”
“Perché
ti annoiavi…”
La
donna appoggiò una mano alla fronte, massaggiandosi le tempie
con due dita. Con un cenno del mento attirò l’attenzione
del medimago.
“Falli
uscire da qui” sentenziò, con un tono che lasciava
trapelare una vaga esasperazione. Quei due sembravano essersi messi
d’accordo per farla ammattire. E Mathias, poteva anche star
mentendo ma lei non poteva dimostrarlo. Non era stato sottoposto ad
incantesimi costrittivi, non aveva ingerito nessun tipo di pozione e
se avesse provato ad usare il Veritaserum con lui, di certo sarebbe
finita con il farsi arrestare. Blaise ed il bambino si alzarono e
senza dire una parola, raggiunsero l’uscio dove il medimago li
attendeva con la porta già aperta. Nel momento in cui
varcarono la soglia, Blaise si sentì di una leggerezza
sconvolgente, leggero come non si sentiva da quando Mathias era
piombato nella sua vita. Udì un click alle sue spalle e si
voltò, incontrando il legno scuro della porta chiusa.
Decisamente più in basso, Mathias sfoderò un sogghigno
degno di Draco Malfoy.
“Così
impari a dirmi certe cose” sentenziò semplicemente, già
avviandosi verso gli ascensori che li avrebbero riportati alla hall.
Blaise non commentò e, dovette ammettere con se stesso, se
l’era anche un po’ cercato quel breve momento in cui il
bambino l’aveva mandato nel panico. Sì, lo ammise
davvero; aveva detto delle cose incivili. Quando Neville riuscì
a scorgere i loro volti tra la folla, l’espressione decisamente
più distesa del francese gli fece nascere un bel sorriso sulle
labbra. Blaise notò di nuovo le fossette sulle sue guance e le
trovò graziose. Fortunatamente, fu il suo inconscio a
pensarlo.
*Miss
viene usato quando c'è una certa confidenza, mentre Ms è
più formale. Blaise lo fa di proposito per provocarla.
NOTE
DELL'AUTORE:
Oh, finalmente è venerdì, evviva! Anche se oggi mi
aspetterà il tour de force a lavoro, non potevo non aggiornare
prima di avviarmi! Dunque, le cose iniziano lentamente ad assumere
forma e a mettersi in un certo ordine. Credo che la parte divertente
di questa storia inizierà proprio da qui. Come già
detto, ci ho messo più di un anno a scrivere SUQDP a causa
della mia incostanza. E mi sembra che è proprio intorno a
questi capitoli, il momento in cui ho preso una pausa di qualche mese
prima di ricontinuare a scriverla, quindi potreste notare una leggera
variazione di stile nel metodo di scrittura. No, è inutile che
ci speriate, non sarà meno introspettiva e non sarò
meno logorroica nel descrivere i sentimenti dei personaggi xD
ringrazio Arianna
che ha betato questo capitolo, sperò farà in tempo a
dare uno sguardo anche al prossimo altrimenti dovrò
pubblicarlo senza averlo fatto controllare :/ ringrazio i vecchi ed i
nuovi che hanno aggiunto la storia tra le seguite/ricordate/preferite
e
ringrazio tutti quelli che hanno recensito
:D senza
voi che mi date soddisfazioni, sarebbe una vita vuota e grigia y_y al
prossimo venerdì! <3
p.s.
sto male e ho l'influenza, qualche recensione in più potrebbe
accelerare il processo della mia guarigione.
Faccio
tanto per dire, eh.
Ciao.
ù_ù
|
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
DECIMO
CAPITOLO
Can
nobody hear me?
I’ve
got a lot that’s on my mind
I
cannot breathe
Can
you hear it, too?
Can
nobody hear me?
I’ve
got a lot that’s on my mind
I
cannot breathe
Can
you hear it, too?
(Imagine
Dragons, Hear me)
“Smettila
di spingere!”
“Ssshhh
abbassa la voce, Giovanna!”sibilò.
“Se
c’è qualcuno che civetta troppo quella è
Morgana!” una protesta sommessa.
“Come
osi?! Non fate altro che invadermi quando meglio credete voi!”
“Lady
Morgana, non temete, finché sarò qui nessuno sfiorerà
le vostre sfumature!”
“Don
Chisciotte, questa era romantica dieci anni fa, cambiate registro per
l’amor di Camelot” un mormorio di assenso generale,
intermezzato da alcune risate soffocate.
“Invece
voi dovreste prendere esempio da lui, Sir Lancillotto”
“Da
quando dividiamo la stessa tela, Ginevra, ho smesso di provare
attrazione per voi” un altro giro di ilarità non troppo
ben celata, le guance della Regina che si imporporavano di
indignazione.
“State
zitti! Non sento!”
“Ma
non c’è niente da sentire!”
“Ma
dov’è andato il Principe di Galles?”
Una
vena sulla tempia di Blaise iniziò a pulsare. Non era mai
stanco di chiedersi perché diavolo dovesse tenere quei quadri
dentro casa. Non poteva comperare, ad esempio, una di quelle
diavolerie babbane che si usavano per comunicare a distanza? Perché
lui e sua madre dovevano per forza usare i maledetti quadri? Lui era
intelligente, non ci avrebbe messo molto a capire come far funzionare
un telefono! In quei pochi istanti durante i quali non volava una
mosca, il ticchettio dell’orologio appeso sul muro era l’unica
cosa a riempire il silenzio. A tavola, Mathias seduto davanti a lui,
giocava con la forchetta pulita fingendo di infilzare la tovaglia. Il
francese, invece, se ne stava seduto composto con le mani appoggiate
sul grembo. Anche le sue posate erano pulite. Pure quelle
dell’ospite, lo erano. Ma certo che lo erano, considerando che
l’ospite non era presente. Blaise lanciò un’occhiata
bieca all’orologio. Le sette. Eppure era stato molto chiaro,
quella mattina. A casa sua si cenava alle sei e mezza, non un minuto
di più, non un minuto di meno. La collaborazione con
quell’imbecille di Paciock, iniziava già con il piede
sbagliato. Blaise era un fervente adoratore della puntualità,
essere in ritardo gli causava delle irritazioni cutanee non
indifferenti, per il nervoso. Quando invece erano gli altri ad essere
in ritardo, senza poter fare nulla per bloccarli, incantesimi oscuri
di ogni genere iniziavano a corteggiare sadicamente la sua
immaginazione, facendogli desiderare di poterli testare sul diretto
interessato od interessata che fosse. Aveva già valutato
l’ipotesi che il Grifondoro potesse essersi perso, conoscendo
per fama il suo spirito di iniziativa ed adattamento, ma si rifiutava
categoricamente di uscire per andarlo a cercare. Un conto era
accettare una sorta di collaborazione, che aveva intenzione di
concludere il più in fretta possibile, un conto era essere
costretti a preoccuparsi per l’incolumità altrui. Che
poi, preoccuparsi era una parola decisamente grossa. Provvedere
sarebbe stato molto più appropriato. Gli occhi del francese
scivolarono sulle pietanze che aveva preparato –perché,
sì, è vero: la necessità fa virtù e,
modestia a parte, in cucina era un maledetto genio- ed avvertì
l’insana necessità di lanciarle contro la parete; quella
dove erano appesi i quadri, per la precisione. Mentre era intento ad
allungare un braccio per mettere in atto ciò che aveva
brillantemente escogitato, l’ascensore emise un soffice suono,
segnalando l’arrivo di qualcuno. Aveva avvertito il portiere
dell’arrivo di Paciock ed aveva rivelato al ragazzo stesso il
codice da inserire nell’ascensore per accedere al suo
appartamento. Poco dopo averlo fatto, un brivido di orrore era
serpeggiato lungo la sua spina dorsale; non perché aveva messo
il Grifondoro in condizioni di entrare in casa sua quando voleva
(tanto, essendo un mago, anche senza codice in un modo o nell’altro
se davvero l’avesse voluto, ci sarebbe riuscito comunque) ma
perché in mente gli tornarono le voci di corridoio che erano
circolate durante il suo terzo anno scolastico. Si era raccontato che
Paciock era stato in grado di perdere tutte le parole d’ordine
del suo dormitorio. Blaise puntò gli occhi neri verso le porte
dell’ascensore che si aprivano, augurandosi ardentemente che il
ragazzo fosse diventato più attento. Un Neville accaldato, con
i capelli sparati da tutte le parti e le guance arrossate dal freddo,
ne inciampò fuori un po’ goffamente. Aveva il respiro un
po’ accelerato di chi aveva probabilmente fatto le cose di
corsa. Gli occhi castani del ragazzo adocchiarono Blaise e Mathias
seduti al tavolo e sul suo volto comparve un’espressione
irrimediabilmente colpevole. Mathias lo osservò, con le
sopracciglia leggermente alzate dalla curiosità.
“Scusatemi
sono in ritardo!” esalò, con voce un po' affannata.
“Non
ce ne eravamo accorti...”
“Lo
so, lo so, ma un cliente ha voluto delle cose all’ultimo
momento e non ho potuto dirgli di no!”
“Eri
sotto Imperio?” Blaise gli scoccò un'occhiata
raggelante.
“Cos-
no!”
“Allora
avresti anche potuto dire che avevi un impegno”
“Non
sai come diventa insistente quando gli si nega qualcosa!”
replicò Neville, piccato.
“L’hai
voluta tu questa cosa,
Paciock, quindi vedi di farla come si deve”
Sospirando,
Neville si tolse la sciarpa iniziando a slacciare il cappotto.
“Hai
ragione, scusa”
Ancora
oggi Blaise si rifiuta di ammettere che quello ‘scusa’
pronunciato con un tono di voce così arrendevole e soffice fu
in grado di farlo sentire in colpa per essere stato così
antipatico. Quando Neville finalmente si sedette a tavola, ognuno
iniziò a servirsi da solo dai vassoi. Il francese aveva
preparato uno stufato di agnello con le patate ed un po’ di
spinaci. Una cena sobria ma soddisfacente, non intendeva far venire a
Paciock strane idee e si era mantenuto su un profilo basso. Ma sapeva
fare di meglio. Molto meglio. Dai quadri non volava più
nemmeno una mosca, tutti troppo impegnati ad osservare la scena con
tanto d’occhi. Morgana lanciò uno sguardo a Giovanna
(sì, D’Arco, proprio lei) ed ella sbalordita asserì
con un cenno del mento. Quella sera ci sarebbe stato molto di cui
discutere. Mentre le posate tintinnavano nei piatti, il ticchettio
dell’orologio accompagnava pigramente il silenzio in cui era
immersa la tavolata. Mathias e Blaise mantenevano gli occhi piantati
nel piatto mentre Neville, con la forchetta sollevata a mezz’aria,
altalenava lo sguardo tra i due. Il Grifondoro non era abituato a
tutta quella compostezza, a casa di sua nonna era cresciuto nel caos
totale, caos che si era riflesso nella sua abitazione attuale.
Ovunque andava, non c’era mai tutto quel silenzio. Corrugò
leggermente la fronte, mordicchiando il labbro inferiore con una
certa indecisione. Probabilmente sarebbe stata un’impresa più
titanica di quanto avesse immaginato ma, come aveva detto poco prima
Blaise, era lui ad essersi immischiato per primo ed era quindi suo
dovere rimboccarsi le maniche. Anche perché, un atteggiamento
collaborativo da parte del Serpeverde non se lo sarebbe aspettato
neanche a pagarlo. Aveva più fiducia in Mathias, il che era
tutto dire. Provò a schiarire la gola, mentre il cervello
elaborò velocemente qualcosa da dire.
“E’
buono!” esclamò, con convinzione. Del resto non stava
mica dicendo una bugia!
“Lo
so”
“L’hai
fatto tu?”
“Secondo
te?” l'ironia nella voce di Blaise lo indispettì.
“Non
puoi semplicemente rispondere alla domanda?”
Uno
sbuffo.
“Andiamo!
Non è divertente mangiare in silenzio”
“Da
quando mangiare deve essere anche divertente?”
“Ma
l’hai fatto tu sì o no?” insistè Neville,
che oramai aveva preso la questione sul personale.
“Sì
Paciock, l’ho fatto io”
“Ah,
lo sospettavo!” sorrise, come avesse ottenuto una sorta di
vittoria.
“E
che lo chiedi a fare?”
“Del
resto se te la cavi con quegli intrugli di pozioni, per forza devi
cavartela anche con la cucina!”
“Non
sono esattamente la stessa cosa” puntualizzò Blaise,
inforchettando una patata con aria svogliata.
“Qual
è il tuo piatto preferito?”
A
Morgana scappò un gridolino.
“Che
razza di domanda è, Paciock?” lo freddò,
assottigliando le palpebre sugli occhi.
“E’
una domanda. E il tuo Mathias, qual è?”
“La
pizza” rispose candidamente il bambino, disegnando con gli
spinaci una faccina triste nel suo piatto.
“Ah,
piace un sacco anche a me la pizza. Allora un giorno di questi la
facciamo, eh!”
“Paciock,
io non credo che-”
“A
che gusto la vorresti, Math?” Neville ignorò impunemente
la pseudo protesta di Blaise, parlando direttamente con il più
piccolo della tavola.
“Con
il bacon, il mais ed il formaggio!”
“Ah,
mi manca il mais a casa. Ma possiamo sempre comprarlo! Domani andiamo
a fare la spesa”
“No,
domani noi dob-” Blaise ci riprovò, ma anche questa
volta non ebbe molto successo.
“Io
voglio anche il dolce” Mathias infatti lo interruppe. Sembrava
davvero apprezzare l'iniziativa di Neville.
“Il
dolce?”
“Sì
il dolce”
“Non
mi stanno ascoltando. Non mi stanno ascoltando” il Serpeverde
borbottò con stizza mentre la patata infilzata veniva ora
schiacciata e tramutata in una specie di purea.
“Ma
certo, faremo anche il dolce. Ti piace la torta di mele?”
“Sì,
mia madre la faceva spesso” commentò il bambino, con
aria un po' pensierosa.
“Ah,
davvero? Dubito che la mia possa essere buona come quella di tua
madre ma ci possiamo sempre provare, che ne dici?” Neville
cercò di non farlo cadere nel pericoloso vortice dei pensieri
tristi e sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi incoraggianti.
“Sì,
ma le mele le taglio io perché mi piacciono fini”
“D’accordo,
non oserei mai! E invece cosa facciamo fare a Blaise?”
Il
francese si trovò due paia di occhi puntati contro e si sentì
messo vagamente alle strette.
“Tu
cosa vuoi fare?” gli chiese Neville con le sopracciglia
leggermente alzate.
Inghiottì
con una certa difficoltà, appoggiando le posate nel piatto.
Restò in silenzio per lunghi secondi; Paciock lo guardava con
un sorriso serafico, Mathias lo fissava senza vederlo realmente e
Morgana nel quadro era preda di una crisi respiratoria.
“Non
lo so”
“Non
c’è problema, qualcosa troveremo sicuramente, ad esempio
potresti impastare la pasta per la pizza!” concluse il
Grifondoro, sventolando una mano per aria con leggerezza.
“Sta
arricciando la punta del naso” esordì il bambino, che
non aveva smesso di guardare Blaise con occhio valutativo.
“Tu
sai cosa vuol dire quando fa così, Math?”
“Vuol
dire che non gli piace”
Blaise
restò di stucco, accorgendosi che aveva davvero arricciato la
punta del naso inconsciamente. Gli occhi scuri del ragazzo
scivolarono sul volto del bambino, osservandolo con un’espressione
indecifrabile. Non sapeva come dover interpretare quell’attenzione
da parte di Mathias nei suoi riguardi. Era un ottimo osservatore,
questo l’aveva capito sin da subito ma non si era reso conto di
poter essere un libro aperto addirittura per un bambino. La cosa non
gli piacque. Diavolo,
aveva di nuovo arricciato la punta del naso. Mathias e Blaise si
osservarono in silenzio per lunghi secondi, come due animali che si
studiano cercando di capire l’uno le intenzioni dell’altro.
Di quante altre cose si era accorto quel bambino? E quante non ne
aveva notate invece, lui? Senza sapere perché, si sentì
in svantaggio.
“Sei
sicuro Math? Mi sembra lo stia facendo un po’ troppo spesso,
questa è già la terza volta!”
Il
bambino stese le labbra in un sorrisino un po’ saputo,
inarcando entrambe le sopracciglia scure.
“Sicurissimo”
*Merde.
Il francese rese le palpebre come due fessure, senza commentare per
non aggravare la sua posizione. Tentò di mantenere
un’espressione distesa e di svuotare la mente.; a quanto
pareva, era soggetto a mostrare quella debolezza anche quando si
limitava solo a pensare qualcosa che non gradiva. Spostò lo
sguardo sul suo piatto, ricominciando a mangiare con le orecchie
piene delle chiacchiere di Paciock e di Mathias, che non era mai
stato così loquace da quando l’aveva preso con sé
dentro casa. Sarebbe stato curioso di scoprire come si sarebbe
comportato il Grifondoro al posto suo, immerso nella situazione in
cui lui si trovava da tempo. Sicuramente avrebbe fatto un pasticcio e
tutta la calma e la serenità che ostentava lì a tavola
se la sarebbe potuta solo sognare. Quando la cena giunse al termine,
Neville non si trattenne molto a lungo, informandoli che aveva
lasciato in sospeso un po’ di lavoro pur di non perdere la cena
in loro compagnia. Si scusò molto con il francese, perché
sarebbe voluto restare ad aiutarlo per mettere un po’ di
ordine. Se c’era una cosa che non si poteva dire sul conto di
Paciock, era che fosse un bugiardo; lui non era in grado di dire
bugie, la sincerità gliela si leggeva in faccia e Blaise,
semplicemente, lo seppe. Seppe che era veramente dispiaciuto. Mathias
lo salutò con un abbraccio, che il Grifondoro ricambiò
affettuosamente e Blaise, indeciso sul da farsi (e lui odiava
sentirsi indeciso), optò per un amichevole e cordiale cenno
del mento. Neville gli sorrise con serenità e sventolò
giocosamente la mano prima di augurare la buona notte e sparire
nell’ascensore. Mentre Blaise si apprestava a sgomberare la
tavola dai resti di una buonissima cena e Mathias occupava il bagno
per lavarsi prima di andare a letto, il padrone di casa avvertì
un certo disagio. Mise un piatto sopra l’altro e, appoggiando
le mani sulla tovaglia, restò immobile, in ascolto. Il bagno
era troppo lontano, non poteva udire l’acqua del lavandino
scorrere. Le finestre erano a doppio vetro, non poteva udire il
rumore della vita e del traffico giù in strada. I quadri nelle
cornici sembravano aver perso improvvisamente la lingua. L’orologio…
l’orologio ticchettava, non si era mai fermato, ma non
ricordava davvero fosse così rumoroso. Si avvicinò alla
parete ed allungò le braccia per staccarlo. Premendo un
pulsante, fermò le lancette e restò fermo davanti la
porta, stringendolo tra le mani. Non sentiva più niente. Come
un animale in gabbia, il disagio dentro di lui crebbe, salì
come una marea. Arricciando la punta del naso, mise di nuovo
l’orologio al suo posto, dopo averlo fatto tornare in funzione.
Si avvicinò al mobile dell’ingresso e senza pensarci due
volte, accese la radio magica. Le chiacchiere dei conduttori di un
programma sulle mille proprietà magiche della quercia secolare
iniziarono a riempire l’appartamento ed a quel punto, Blaise fu
pronto per ricominciare a sparecchiare.
Nel
silenzio della notte, mentre adulto e bambino dormivano
profondamente, in salotto accadeva qualcosa. Dei bisbigli sommessi.
“Non
ci potevo credere!”
“Neanche
io, hai visto che faccia ha fatto quando-” venne interrotta
quasi subito.
“Sì,
sì! Quando gli ha chiesto del suo piatto preferito! Giovanna,
francamente io-”
“No,
scusa Morgana, è da dirlo. Quando mai aveva portato qualcuno a
casa? Dai, dimmelo” parlava veloce, come volesse dire tanto ma
avesse poco tempo per farlo.
“Mai,
che io ricordi. Ma forse questa volta-”
“Questa
volta cosa? Morgana, mai. Non l’aveva mai fatto!”
“Non
lo so, eppure questo ragazzo…” si toccò una
guancia con aria pensierosa, lo sguardo perso nel vuoto.
“E
la radio? Non sapevo avessimo una radio in casa!” incalzò
nuovamente Giovanna, più interdetta che indignata.
“Oh,
sì! Questo sciagurato potrebbe anche accenderla quando ci
lascia soli!”
“L’ho
pensato anche io, santo cielo! Così non ci annoieremmo tutto
il giorno!” Giovanna sbuffò, osservando con interesse il
mobile dell'ingresso che da lì poteva solo intravedere.
“Abbassa
la voce! Se ci sentisse strapperebbe le tele!” la sgridò
Morgana, innervosita.
“D’accordo,
finiamola qua. Ma domani glielo dico, sai. Voglio la radio accesa. La
pretendo!”
*In
francese nel testo. Blaise sa parlare sia inglese che francese.
NOTE
DELL'AUTORE:
oh, eccoci qui con il decimo capitolo! Oggi rischiavo di non
aggiornare, perché proprio oggi infatti mia madre ha subito
un'operazione (che fortunatamente ha avuto esito positivo) e non
sapevo se avrei trovato il tempo. Ma l'ho trovato ;) come sempre,
grazie a chi recensisce, segue, preferisce e ricorda questa storia:
per me vuol dire molto, dopo tutto il tempo che ci ho messo per farla
nascere. Mi state dimostrando che i miei sforzi sono valsi a qualcosa
e vi adoro per questo, sul serio. Siete meravigliosi, tutti quanti :D
Arianna non ha fatto in tempo a betare, quindi l'ho fatto io: spero
di non aver tralasciato nulla! Un abbraccio!
|
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
UNDICESIMO
CAPITOLO
Jingle bell, jingle bell,
jingle bell rock Jingle bells swing and jingle bells ring
Snowing and blowing up bushels of fun Now the jingle hop has
begun!!!!
(Bobby Helms, Jingle Bell
Rock)
“Mio
Dio, Paciock, cambia frequenza, te ne prego!” biascicò
Blaise, con un principio di emicrania
“Non
esiste! Da quando mondo è mondo, l’albero di Natale si
fa ascoltando canzoni di Natale!” Neville attaccò una
pallina a forma di cioccorana che, di tanto in tanto, gracidava
magicamente.
“Io
l’ho sempre fatto fare agli elfi”
“Ecco
perché sei una persona triste”
“Prego?”
Blaise gli lanciò un'occhiataccia, volendogli dare la
possibilità di riformulare quello che aveva appena detto.
Occasione che Neville ovviamente non colse.
“Non
fare l’albero di Natale è come non mangiare la
cioccolata d’inverno” puntualizzò il Grifondoro,
preso nel tentativo di decidere dove appendere una nuova decorazione.
“Non
mi sembra un paragone appropriato”
“Sì
che lo è, devi usare solo un po’ di inventiva. Math, io
la metterei più a destra quella, c’è troppo rosso
lì!”
Il
bambino corrugò la fronte ma non protestò, eseguendo
diligentemente.
“E
tra l’altro non capisco perché dobbiamo farlo proprio a
casa mia” tornò all'attacco Blaise, che non stava
collaborando nemmeno un po'. Preferiva limitarsi ad assistere a
quello scenario raccapricciante.
“Perché
Mathias vive qui ed è giusto che viva in un ambiente allegro!”
“… ”
“Altre
domande?” Neville si augurò che il ragazzo la smettesse
di emanare ondate di energia negativa in quella quantità
spropositata. Trattandosi di Blaise, però, avrebbe dovuto
immaginare che le sue speranze sarebbero state distrutte.
“Sì.
Anzi, un ultimatum. Se non la piantate, tutti e due, di riempirmi
l’albero di palline bordeaux e d’oro lo brucio”
“Non
lo faresti!” il Grifondoro spalancò la bocca,
oltraggiato da quella minaccia.
“Oh
sì, lo farò”
“Nev,
sì, è vero. Lo farebbe” intervenne Mathias,
spostando una stellina dorata da un ramo ad un altro, con l'aria di
chi sapeva esattamente ciò che stava facendo. Non li guardò
nemmeno.
“Ma
questi sono i colori del Natale!”
“No,
quelli sono i colori del tuo
Natale. Voglio l’argento, il blu ed anche il maledetto fucsia
se necessario!” Blaise estrasse la bacchetta, agitandola
minacciosamente verso l'albero. O forse verso Neville?
“No,
il fucsia no!” gemette il suddetto, stringendo una pallina
rossa come fosse un'ancora di salvezza.
“Allora
ti consiglio di rimediare alla velocità della luce”
“Non
hai senso del gusto, cosa c’entra l’oro con il fucsia?”
“Ti
do esattamente tre secondi” il padrone di casa non voleva
sentire ragioni. Adesso era palese dove stava puntando la bacchetta.
Neville si frappose fra lei e la sua creazione artistica.
“E
poi se c’è l’oro non può esserci anche
l’argento, diventa troppo pacchiano!” continuò
imperterrito il ragazzo, nel tentativo di persuadere la coscienza
(inesistente, lo sapeva!) di Blaise.
“Tre”
“Il
blu con il bordeaux. Ma si è mai visto il blu con il
bordeaux?!”
“Due”
“Mathias,
digli qualcosa!”
“Qualcosa”
fu la
risposta atona del ragazzino, che non aveva neanche smesso di
attaccare palline a destra e sinistra.
“Uno...”
“Oh,
aspetta, abbassa quella cosa. Abbassala! Ho capito!”
“Ottimo
Paciock”
Sospirando,
Neville sfoderò la bacchetta, adocchiando quella di Blaise che
veniva riposta con attenzione nella tasca. A colpi di incantesimo,
iniziò a cambiare colore ad alcune palline dell’albero,
sopra le note di Bianco Natal.
Quella
mattina erano andati a comprare un abete, dato che il Serpeverde
a casa non ne aveva (da quando non c’erano più gli elfi,
figurarsi!) ed avevano acquistato anche alcune decorazioni, scelte
accuratamente da Mathias.
Blaise
si era rifiutato categoricamente di essere parte attiva di quella
pagliacciata e già il fatto che avesse messo a disposizione
casa sua per ospitare quell’orribile parata di colori era da
considerarsi merito dell’intervento divino. In realtà le
cose erano andate diversamente.
Non
è che Blaise avesse messo casa sua a disposizione, ma Paciock
gli si era presentato sulla porta alle otto del mattino, munito di
muffin caldi al cioccolato ed aveva annunciato che, in quanto otto
dicembre, quel giorno avrebbero fatto insieme l’albero di
Natale. Che gioia.
Il
francese
non aveva rifiutato solo perché il Grifondoro aveva portato i
muffin. Era un malato di dolci e da quel punto di vista era
facilmente corruttibile.
Mentre
affondava i denti nel suo dolcetto al cioccolato aveva sperato che
nessuno si fosse accorto di quella debolezza. E chi glielo diceva che
Paciock non gli si era presentato a casa con quelli proprio perché
l’aveva già capito? No, troppo arguto da parte sua.
Forse glielo aveva spifferato Mathias durante qualche pranzo o cena.
Dalla prima volta che avevano mangiato tutti insieme, c’erano
stati un paio di pranzi e qualche cena, rigorosamente a casa di
Blaise. Non era stata una cosa stabilita a voce, semplicemente come
di tacito e comune accordo, ogni volta ci si organizzava per mangiare
lì.
Il
Serpeverde non si era mai chiesto come mai Neville non li ospitasse a
casa sua ogni tanto; probabilmente era dovuto al disordine che vi
regnava e forse il Grifondoro un po’ se ne vergognava.
Quella
mattina in cui Blaise aveva suonato al suo campanello, si era trovato
lì per questioni di mera necessità, non per una visita
di piacere, quindi Neville non aveva potuto rimediare al caos che
inevitabilmente lui aveva notato.
Appoggiato
al tavolino del soggiorno, con le braccia incrociate, osservava il
Grifondoro e Mathias continuare ad addobbare l’albero enorme.
Durante le volte che tutti e tre avevano passato del tempo insieme,
Mathias aveva sciolto la lingua, parlava di più anche quando
si trovava da solo con Blaise ed il ragazzo, dal canto suo,
sopportava meno il silenzio. Si era accorto che a volte poteva essere
più rumoroso di una risata.
La
sera della prima cena avevano concordato di preparare la pizza e
l’avevano anche fatta, in effetti, ma sempre a casa del
Serpeverde. Per fortuna che c'era stato lui o quel pazzo di Paciock
avrebbe fatto saltare qualcosa per aria; nonostante fosse cresciuto,
la sbadataggine cronica gli era rimasta incollata al culo.
Il
giorno prima Constance era andata a far visita al figlio, tutta
gioiosa e pimpante per aver trovato Mathias in casa. Sano e salvo. E
così anche la pellaccia di Blaise era sopravvissuta all’ira
di sua madre; come al solito, i quadri le erano stati molto fedeli,
spifferandole il possibile ed anche in quel momento, se ne stavano
tutti zitti zitti incollati alle loro cornici con gli occhi sbarrati.
Mathias
in quel momento stava cospargendo della neve finta sulle punte
dell’albero, mentre Neville si stava occupando delle luci. Il
salotto sembrava più piccolo con quell’ingombro ma
Blaise ebbe la sensazione di trovarsi in una stanza più
accogliente, anche se non l’avrebbe mai ammesso. Fuori stava
nevicando, aveva da poco iniziato ed il cielo era di un bianco quasi
accecante; probabilmente ne avrebbe avuto per gran parte del giorno.
L’atmosfera in casa Zabini era abbastanza distesa, anche se il
proprietario e l’affidato non si potevano dire dei tipi molto
eloquenti. Ma a questo rimediava Paciock con la sua parlantina
sciolta.
“Oh,
adesso manca la cioccolata calda!” esclamò Neville, con
l'aria di qualcuno molto soddisfatto di sé.
“Non
vorrai appendere anche quella all’albero?” la voce
sarcastica del Serpeverde si era accodata subito a
quell'esclamazione.
“Zabini,
cosa ti succede? Hai appena fatto una battuta!”
“La
vuoi ancora la cioccolata?”
“Ah,
sei tornato normale”
“Nev,
la panna. Io voglio anche la panna” li interruppe Mathias,
cieco e sordo come al solito ai loro continui battibecchi. O forse
fingeva di non notarli?
“Zabini,
ce l’hai la panna?” chiese quindi Neville.
“Credo
di sì”
Si
trasferirono tutti in cucina e mentre il francese tirava fuori il
necessario per preparare la calda bevanda, Neville si mise all’opera.
Mathias se ne stette un po’ sulle sue, spostando il peso da un
piede all’altro sulla soglia della cucina e poi fece dietro
front. Tornando verso il salotto, adiacente alla cucina, sprofondò
nel divano ed aprì un libro di favole portatogli quella
mattina da Neville; lo poggiò sulle ginocchia e ne lesse
silenzioso il titolo. Tra le mani stringeva Beda il Bardo. Il bambino
sorrise di un sorriso che sapeva di nostalgia.
Blaise
lo seguì con lo sguardo finché poté, poi si
voltò verso il Grifondoro restando in silenzio.
Con
aria assorta e braccia conserte, poggiato contro il mobile della
cucina, seguiva ciò che le mani di Neville facevano. La
presenza del ragazzo era diventata quasi normale e tutta la
diffidenza che c’era sempre stata nei loro saluti relativamente
cortesi si era un po’ sfaldata.
Blaise
non poteva continuare a trattare come un’estranea la persona
che lo stava aiutando così tanto. Perché, sì, da
quando Neville si faceva vedere in giro le cose erano migliorate. Non
che lui e Mathias si adorassero, ma per lo meno erano arrivati al
punto di non cercare di ammazzarsi a vicenda. Il che, per Blaise,
andava più che bene ed avrebbe anche potuto troncare
quell’invadenza lì, se solo non ci fosse stata la
minaccia di un ritorno alle origini da parte di Mathias.
Comunque
andavano le cose, il bambino lo teneva alle strette con i suoi
capricci. Perché Paciock era un capriccio, nient’altro.
Si
riscosse, quando si accorse di essere osservato a sua volta
dall’altro ragazzo. Colto in flagrante continuò a non
dire nulla, limitandosi a maledirsi mentalmente.
Neville
inarcò le sopracciglia con aria interrogativa, accendendo il
fornello per far scaldare il latte con la polvere di cioccolata.
“Come
sta andando al ministero?” la buttò lì così,
il Grifondoro, cercando di intavolare una conversazione.
“Non
lo so, Paciock. E’ un mese che lavoro da casa e l’ultima
volta che ci ho messo piede c’eri anche tu” rispose
blandamente Blaise, spostando lo sguardo sul pentolino dal quale già
si sollevava un invitante odore dolciastro.
“Bè
allora vai alla grande. Considerando che lì dentro nessuno
pare andarti a genio...” la voce di Neville tentennò, ma
Blaise non seppe dire se per ironia o per paura di aver azzardato
troppo con le parole.
“Stai
scherzando?” disse lui infatti, già sulla difensiva.
“Perché?”
“Niente
ti suggerisce che forse possa essere io a non andare a genio agli
altri?” continuò Blaise, che la sua ironia, la lasciò
percepire molto chiaramente.
“No”
rispose candidamente Neville, tenendo d'occhio la cioccolata in
preparazione.
“Ma
che diav- Paciock fai sul serio?”
“Certo
che sono serio, perché non dovrei?”
Blaise
allargò gli occhi, sbatacchiando le palpebre un paio di volte
con espressione perplessa. Si chiese se il Grifondoro non avesse
sbattuto la testa da qualche parte.
“Non
fare quella faccia, ho capito benissimo che ti riferisci alla
reputazione che hai. Ma nonostante io sia a conoscenza di tutte le
voci
possibili ed immaginabili, non mi sembra di star trattandoti come tu
fossi un delinquente” spiegò il Grifondoro, con tono di
voce spiccio.
“E’
diverso”
Blaise
si sentiva infastidito. Infastidito da cosa, poi?
“Perché
è diverso?”
“Perché...
perché sì!”
Neville
fece un piccolo sospiro paziente, girando con un cucchiaino la
cioccolata nel pentolino per non farla attaccare ai bordi e
mantenerla liquida.
“Io
credo che forse dovresti guardare le cose da un’altra
prospettiva.
Tu parti da casa già con l’idea che gli altri ti
tratteranno in un determinato modo a causa di quello che hai passato.
Ti si legge in faccia la certezza che hai su quello che ti aspetti
dagli altri. Non te ne rendi conto ma assumi un atteggiamento
difensivo come se tu, davvero, dovessi pentirti di qualcosa e
difenderti da questo. La gente non è idiota Blaise, le nota
queste cose. Quindi si comporta di conseguenza, non credi?”
Il
diretto interessato non disse una parola, si limitò ad
osservare il Grifondoro con un’espressione indecifrabile,
tant’è che Neville si morse l’interno della
guancia con aria quasi pentita.
Dal
canto suo Blaise non sapeva se ritenersi offeso dall’analisi
critica appena fattagli oppure se doversi mettere a riflettere su ciò
che gli era stato detto.
A
primo impatto, l’ondata di rabbia che lo assalì per
quella franchezza spietata che l’altro aveva usato nei suoi
confronti, suggeriva l’uso di insulti e di inviti a farsi
ognuno gli affari suoi. Gli unici che si prendevano la briga di
sbattergli in faccia le cose come stavano erano Draco e sua madre, ed
il primo lo faceva anche piuttosto malamente ma, tant’è,
a caval donato non si guarda in bocca e Malfoy era stato sempre
l’amico più sincero che avesse mai avuto. Piuttosto che
perderlo preferiva tenerselo così poco
delicato come era.
Blaise
indurì il profilo della mascella, respirando silenziosamente
perché, al contrario di Draco, prima di parlare preferiva
ragionare; certo, quella volta che aveva ‘insultato’
Mathias non aveva ragionato così a fondo prima di parlare ma
era pur sempre un essere umano, i momenti di sclero li aveva anche
lui ogni tanto.
Quando
l’onda della rabbia iniziò di poco a calmarsi, con suo
stesso sommo stupore Blaise sentì entrare in scena una sorta
di imbarazzo.
Le
parole di Neville iniziarono a farlo sentire quasi in torto, come se
quello esplicato dal Grifondoro fosse il ragionamento più
logico del mondo a cui lui non era mai arrivato. Sentì di
essere come un bambino capriccioso, per il quale il mondo ce l’ha
sempre con lui.
Ringraziò
di avere la pelle scura, perché ebbe la sensazione di essere
vagamente arrossito.
Dopo
quel fugace momento di umanità, tornò di nuovo
l’irritazione.
Ma
chi diavolo credeva di essere Paciock, per arrivare addirittura a
suggerirgli cosa pensava e cosa si aspettava dagli altri? Neanche si
conoscessero da una vita! Aveva parlato con una tale sicurezza che
non gli era poi molto piaciuta.
Strinse
le labbra carnose in una linea sottile, abbassando gli occhi scuri
verso il pentolino dal quale saliva un filo di vapore, a suggerire
quanto già scottasse la bevanda. Adesso il latte, amalgamato
con la polvere di cioccolata, era diventato denso e cremoso grazie al
calore.
“Senti,
non intendevo farti la paternale. Scusami se ti ho offeso, lo so di
parlare troppo certe volte, ma non me ne rendo conto” biascicò
il Grifondoro, non sapendo bene che cosa dire.
Blaise
lo osservò brevemente.
“Già...”
La
cosa che gli dava più fastidio era che Neville aveva espresso
un concetto intelligente. Blaise poteva essere irritato quanto voleva
e non era questione di conoscere a fondo una persona o meno. Per fare
un’osservazione del genere, non c’era bisogno di chissà
quale conoscenza dell’altro. Certe cose si percepivano e basta,
lui lo sapeva, perché gli era capitato con altri.
La
cosa che gli dava più fastidio, oltre quella di Neville che
aveva detto una cosa intelligente, era che lui non ci aveva mai fatto
caso; non ci aveva mai pensato! Aveva sempre dato per scontata la sua
posizione e quella che avrebbero assunto gli altri nei suoi
confronti.
Per
carità, c’era chi veramente lo trattava con falsa
cortesia perché per davvero s’era fatto un’idea
nei suoi riguardi tutta sbagliata; ma poteva esserci anche chi,
condizionato dal suo stesso umore ed atteggiamento, lo trattava con
falsa cortesia anche non intendendo farlo. Forse in certi casi poteva
essere lui stesso l’artefice di ciò che riceveva; forse
aveva davvero il potere, a seconda di come si poneva, di influenzare
il comportamento degli altri nei suoi confronti.
Blaise
corrugò la fronte e tornò ad osservare il volto di
Neville che ora sfoggiava un’espressione un po’ mesta.
Evidentemente si sentiva in colpa.
La
cosa non sorprese più di tanto il Serpeverde; ce lo vedeva un
tipo come il Grifondoro a sentirsi in colpa per ogni minima cosa.
Quello che lo avrebbe sorpreso, se solo ci avesse fatto caso, fu il
desiderio di rassicurarlo.
Blaise
gli passò tre tazze mentre spegneva il fornello. La cioccolata
era pronta.
“Forse
hai ragione” disse improvvisamente il padrone di casa, con tono
diplomatico.
Neville
alzò gli occhi castani verso di lui, le guance punteggiate di
lentiggini.
“Davvero?”chiese,
senza celare la sua sorpresa.
“Sì.
Voglio dire, non lo so. Di certo c’è una buona dose di
Ministero che, sul serio, non mi può soffrire. Ma devo
ammettere che anche io non facilito le cose. Non mi sforzo poi molto
di sembrare... non lo so, amichevole?”
Il
Grifondoro annuì, ma non si azzardò a parlare. Aveva
paura di poter interrompere quel momento più unico che raro,
durante il quale il Serpeverde non gli si rivolgeva con parole
ironiche o poco pazienti (come di solito, invece, faceva).
Blaise
si strinse appena nelle spalle e tolse il pentolino dalle mani
dell’altro, per versare lui stesso la cioccolata nelle tazze.
“Diciamo
che io non sono invogliato ad usare più cortesia dello stretto
necessario. E da questo, forse loro sono invogliati a fare
altrettanto. Non ci invogliamo a vicenda” sorrise,
spontaneamente, trovando divertente quel gioco di parole, stando
attento a non far fuoriuscire la cioccolata dal bordo.
Neville
lo osservava con uno sguardo intenso e riflessivo, mentre un piccolo
sorriso faceva capolino anche sulle sue labbra.
Le
sue guance ne approfittarono per arrossire fugacemente, libere dallo
sguardo del francese.
Blaise
era bello quando sorrideva.
“Wow”
“Cosa?”
Blaise non distolse gli occhi dalle tazze, ma gli lanciò
un'occhiatina fugace.
“Allora
sai essere amichevole anche tu!” esclamò Neville,
smorzando i toni.
“Vai
a farti maledire, Paciock”
“No,
dai, stavi andando bene!” rise, agitando la panna su e giù,
ancora con il tappo.
“Passami
la panna”
“Ecco,
adesso fai finta di niente” sbuffò, assecondando la sua
richiesta.
“La
vuoi anche tu?”
“Sì
la voglio, ma rispondimi quando ti faccio notare qualcosa”
“Questa
è tua. Porta quest’altra al martire nell’altra
stanza” disse Blaise e spruzzò un'altra generosa dose di
panna sulla cioccolata destinata a Mathias, comportandosi come se
Neville non gli stesse neanche parlando.
“Sto
aspettando” gli fece notare quello, con le sopracciglia alzate.
“Si
sta già raffreddando Paciock, ti consiglio di sbrigarti”
“Oh,
ma lo vedi! Non c’è niente di male nell’essere
persone normali sai!”
“Ah,
è vero, i cucchiaini”
Blaise
aprì un cassetto, frugando rumorosamente tra le varie posate.
“E’
proprio questo che intendevo prima!” continuò Neville,
senza demordere. La sua tenacia era da ammirare, senza dubbio.
“E
i tovaglioli, se quel mostro mi imbratta il divano lo uccido”
il Serpeverde controllò un altro cassetto, prendendo tutto il
necessario.
“Avevamo
detto niente epiteti offen- oh, aspettami, ti sto parlando!”
Da
che Blaise ne ha memoria, quella fu una cioccolata calda davvero
molto buona. E quello fu il loro primo albero di Natale.
NOTE
DELL'AUTORE: Wow, eccoci qui con l'undicesimo capitolo! Non posso
crederci, siamo già ad 11! Che gioia! Ragazze, questa
settimana siete state davvero meravigliose, le vostre recensioni mi
rendono sempre più felice, siete la mia gioia <3 Come al
solito, un pensiero sentito va anche a chi si limita a leggere
silenziosamente, perché anche questo vuole dire tanto! Grazie
ad Arianna che è riuscita a betare il capitolo e che
ogni tanto mi salva da figuracce davvero imbarazzanti! Mi ha fatto
molto piacere sopratutto il fatto che abbiate trovato Neville molto
IC! Diciamo che ci tenevo particolarmente, sia a questo, che ai
vostri pareri sui quadri! Sono uno dei primi elementi che ho subito
voluto inserire nella storia! Che dire? Spero che anche questo
capitolo possa essere all'altezza dei precedenti! Un abbraccio!
|
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Capitolo 12 *** Capitolo 12 ***
DODICESIMO
CAPITOLO
When
I was a young boy
I
was living for the moment
The
world was wide open
I
had every choice
But
with so many choices
I
just didn’t know what to do now
All
I say is just forget it
(James
Morrison, One Life)
Blaise
si mosse furtivo tra le scaffalature. Non poteva crederci, era
inaccettabile. Non poteva credere di star facendo
sul serio una
cosa del genere.
Scorse
con gli occhi i titoli di alcuni libri, alternando momenti di confusa
follia a momenti di crudele lucidità mentale. Lui doveva
liberarsi di quei quadri. Era una vita
che se lo prometteva, ma non era mai passato ai fatti per chissà
quale oscura ragione. Al diavolo il comunicare con sua madre tramite
vie sicure, avrebbero trovato un altro maledetto modo. Ma era
arrivato ad un punto di non ritorno, sul serio.
Cercò
di capire come diavolo avessero fatto ad influenzarlo così,
Ginevra e la sirena; c'erano Morgana e Giovanna che prima l'avevano
rincoglionito di chiacchiere per... non riusciva a ricordare neanche
per quanto tempo. Poi, improvvisamente, erano subentrate Gwen e la
donna pesce e si erano ritrovati a parlare tutti di regali.
Regali, una parola che avrebbe allarmato Blaise sin dalle prime
sillabe se solo quelle quattro comari non l'avessero rimbambito a
forza di parlare senza prendere fiato.
Ricordava
che in mezzo ai loro discorsi, per dei momenti era subentrata la
parola radio
collegata alla parola noia,
collegate a loro volta entrambe alla parola regali.
Che era collegata alla parola Natale.
Da lì, era come essere stato smaterializzato al Ghirigoro
(smaterializzato dai quadri stessi, contro la sua volontà!) Si
grattò la testa con aria incerta, condizione che gli si
addiceva davvero poco. Non era abituato a non sapere che cosa fare e
considerando che quello che stava per fare (no,
che era stato indotto con l'inganno a fare!)
toccava o avrebbe potuto toccare una certa sfera emotiva, gli creava
un leggero disturbo.
Morgana
aveva parlato di un gelido cuore e solo dopo qualche istante Blaise
aveva capito che si stava riferendo a lui. Al gelido cuore aveva
accostato l'infelicità di un bambino orfano costretto a
passare il Natale senza i genitori per la sua prima volta ed aveva
descritto l'ipotetica gioia che un piccolo pensiero nei suoi
riguardi, avrebbe potuto procurargli. Giovanna aveva parlato di
ingratitudine ed ovviamente, anche lei stava indirettamente
descrivendo la sua visione del Serpeverde. All'ingratitudine aveva
accostato il disprezzo di una cara e brava persona come Neville
Paciock, che si
stava facendo in quattro per aiutarlo!
(testuali parole) e che, come minimo, una piccola sciocchezzuola per
Natale la meritava di diritto. Per continuare questa sviolinata, Gwen
e la donna pesce avevano architettato un slogan: un quadro felice
oggi, è un quadro felice domani! Regalaci una radio nuova, del
resto noi ti siamo fedeli quanto lo siamo a tua madre e la fedeltà
va ripagata! Lo slogan era una mezza scusa, in realtà, per
ripiegare ancora una volta sulla scia dell'ingratitudine; avrebbero
dovuto tutti dar ragione al parere di Giovanna? Blaise avrebbe dovuto
rischiare di guadagnarsi l'appellativo di ingrato solo per
l'indecisione di regalare o meno una radio? E guardaci negli occhi
quando ti parliamo, Blaise! Ma loro erano in quattro e lui era da
solo e la sua confusione andava via via aumentando. Come si faceva a
guardare contemporaneamente quattro astute lavatrici di cervello
negli occhi?
Il
francese, per istinto primordiale, seppe che sarebbe stata una cosa
pericolosa da provare, quindi non ci si era impegnato poi molto. Ma
oramai era troppo tardi e l'incanto malvagio aveva fatto effetto sul
nostro povero sfortunato che, assicuratosi il profondo sonno
pomeridiano di Mathias, era uscito per assolvere il suo oscuro
compito.
Non
era mai stato più nel panico di così.
Le
uniche persone cui Blaise avesse mai regalato qualcosa si potevano
contare sulle dita di una mano: sua madre, Draco e se stesso. Per
ovvie ragioni conosceva Constance come le sue tasche, dunque non era
mai stato particolarmente arduo trovare un dono che fosse adatto per
la donna; Draco era un principino viziato, che amava le comodità
e tutto ciò che avesse un valore superiore ai mille galeoni
(che fosse anche un secchio per la spazzatura od un gratta schiena,
l'importante era il prezzo) e di conseguenza anche in quel frangente
il suo compito s'era reso quasi irrisorio.
Per
quanto riguardava se stesso... bé, non c'erano parole; lui
sapeva sempre ciò che voleva ed era abituato ad ottenerlo,
come Draco del resto. Sotto quel lato erano molto simili.
Con
la mente galleggiante nel nulla più vario, un'illuminazione
l'aveva colpito metaforicamente parlando in piena fronte: l'otto
dicembre aveva visto Mathias leggere un libro sul divano, un libro di
fiabe. In realtà aveva involontariamente notato che al
bambino, in generale, piaceva leggere.
Girando
per gli scaffali del Ghirigoro, corrugò la fronte, sforzandosi
di ricordare quali fossero le sue principali letture. Purtroppo, a
causa della scarsa attenzione che esercitava nei riguardi di Mathias,
tutto ciò che gli si presentò alla memoria fu un
immenso buco nero, di dimensioni bibliche. Lo stomaco gli si annodò,
ma scacciò velocemente la sgradevole sensazione di vergogna;
non aveva motivo di vergognarsi. Così, immerso fino al collo
nel reparto narrativa per ragazzi, prossimo a proclamarsi disertore
del Natale, accadde che un libro decise di emanare un lieve
scampanellio, uguale a quello di uno scaccia pensieri.
Blaise,
con espressione sia interrogativa che guardinga, voltò la
testa verso destra, cercando con gli occhi la fonte di quel suono. In
mezzo alle altre copertine spiccava più di tutte quella bianca
di un libro senza il titolo. Avvicinandosi, con curiosità lo
prese tra le mani ed incredibilmente, sotto i suoi stessi occhi, la
copertina iniziò a cambiare colore ed a prendere forma;
all'interno, le pagine bianche venivano magicamente macchiate da
fiumi di parole ed il volume del libro, mano a mano che i capitoli
apparivano dal nulla, aumentava sempre più.
Alla
fine della storia Blaise si ritrovò a stringere tra le mani un
libro di favole francesi, che sua madre era solita leggergli quando
era bambino. Con aria stupita lo osservò, rigirandoselo tra le
mani, non credendo ai suoi occhi; era una vita che non vedeva quel
libro, quasi se l’era scordato! E come potevano venderlo
proprio lì, al Ghirigoro? Tra l’altro in lingua
francese! Fermò un ragazzo che lavorava lì, volendo
soddisfare la sua curiosità.
“Mi
scusi”
“Mi
dica!” rispose il librario, con un sorriso mite.
“Dove
siete riusciti a procurarvi questo libro?” chiese Blaise
mostrandogliene la copertina.
“Ah,
ha trovato il Libro Mutaforma!” esclamò quello, con
un'occhiata soddisfatta sul viso giovane.
“Prego?”
“Sì,
il Libro Mutaforma! Assume diverse sembianze a seconda di chi lo
afferra! Lei sicuramente starà stringendo un libro che
desidera fortemente leggere oppure che ha un valore affettivo. Ma io,
vedo solo una copertina bianca, sa? In realtà, se lo prendessi
io anche lei vedrebbe solo una copertina bianca, mentre io vedrei A
spasso con i Vampiri, di Allock. Lo conoscerà sicuramente, era
un abile scrittore prima di finire ricoverato, poveretto” il
libraio, dal tono chiaramente vivace con cui aveva iniziato a
spiegare le particolarità di quell'oggetto, aveva via via
fatto scemare la sua gaiezza nel nominare Gilderoy. Sicuramente il
sapere rinchiuso in un ospedale per infermi mentali il suo scrittore
preferito, non doveva essere gradevole.
“Sì,
l’ho sentito nominare... grazie per la spiegazione”
biascicò Blaise, senza neanche notare il repentino cambio di
umore dell'altro.
“Prego,
resto a disposizione!”
In
effetti il tipo aveva ragione. Non appena il francese aveva
riconosciuto il libro, una morsa nostalgica aveva preso possesso del
suo stomaco. Con espressione assorta accarezzò la vecchia
copertina con i polpastrelli e l’ombra di un sorriso apparve
sulle labbra carnose.
Non
era un sentimentale ma aveva profondamente amato sentire la voce di
sua madre leggere quelle storie per lui, senza delegare il compito
agli elfi domestici. Constance era sempre stata una madre diversa
dalle altre purosangue.
Con
un sospiro, decise che quello sarebbe stato ciò che avrebbe
regalato a Mathias: il libro avrebbe sicuramente preso le sembianze
di qualcosa che al bambino sarebbe piaciuto, quindi non doveva aver
timore di poter non indovinare le sue preferenze. Soddisfatto di ciò
che aveva trovato, si diresse verso la cassa portando a termine il
suo acquisto.
Tuttavia,
durante il corso della giornata, l’umore di Blaise colò
decisamente a picco.
Si
era spremuto le meningi sin quasi a sanguinare e fu con un’emicrania
da record che rimise piede dentro casa, senza essere riuscito a
trovare qualcosa da regalare a Paciock. Si accorse di conoscere
veramente molto poco l’altro ragazzo, di certo non abbastanza
da poter scegliere cosa regalargli.
Mathias
era sveglio e stava leggendo, di nuovo, le Fiabe di Beda il Bardo.
*
Neville
osservò il pacchetto con espressione assorta. Spostò il
peso dalla gamba destra alla sinistra e lanciò uno sguardo
alla cucina silenziosa. Avrebbe potuto nasconderlo lì, almeno
Alberic non ci avrebbe messo le mani; lui entrava in cucina solo per
mangiare, mai per cucinare. A stento sapeva dove si trovavano i
piatti! La sola idea che il ragazzo avrebbe potuto scoprire che cosa
stava nascondendo lo fece rabbrividire.
Non
appena sentì la porta dell’ingresso aprirsi, si affrettò
ad infilare il pacchetto in un cassetto, che richiuse appena in
tempo. Infatti quando si voltò, si ritrovò ad osservare
gli occhi azzurri di Alberic.
“Che
cosa stai facendo?” chiese il suddetto, assottigliando le
palpebre con sguardo indagatore.
“N-niente!
Controllavo solo cosa manca... per la spesa, sai...” rispose
Neville, incespicando un po' nelle parole. Come non sapeva
raccontare le bugie lui, non lo sapeva fare nessuno. Difatti...
“Nev...
guardi ovunque tranne che me quando racconti balle” commentò
Alberic, il principio di una risata divertita sulle labbra sottili.
“Ma
che dici...” si grattò la testa, continuando a guardare
per l'appunto ovunque tranne che verso il biondo di fronte a lui.
Con
un sorriso sornione Alberic si avvicinò suadente al
Grifondoro, portando il suo volto ad una spanna da quello dell’altro
ragazzo; puntò gli occhi azzurri in quelli nocciola di
Neville, sondandoli con attenzione.
“Mi
stai facendo una sorpresa?” sussurrò, con un che di
tenero a colorare il tono della sua voce.
“Al,
che palle, ti voglio fare un dolce, va bene? Però non credevo
saresti rientrato così presto!” sbottò l'altro,
cercando di scivolare via con non chalance da quello sguardo
perforante. Quando ci si metteva Alberic sapeva essere davvero un
maledetto segugio. Peggio di una suocera impicciona.
“Un
dolce! Che bello!”
Alberic
scoccò un bacio a stampo sulle labbra del Grifondoro, che
arrossì fino alla punta dei capelli. La cosa causò un
momento di ilarità nel ragazzo biondo dagli occhi azzurri, che
si ritirò dando un buffetto affettuoso sulla guancia di
Neville.
“Che
carino che sei quando diventi tutto rosso!” esclamò,
mordendosi il labbro inferiore con una certa malizia malcelata.
“Piantala
di imbarazzarmi ogni volta!”
“Un
orsacchiotto da sbaciucchiare non sarebbe più tenero!”
“Al,
ti do tre secondi!” Neville gli lanciò un'occhiataccia,
anche se le guance non smisero di andargli a fuoco.
“Posso
chiamarti ciccino?” continuò imperterrito quello,
sfarfallando le ciglia.
“Tre”
“E
zuccottino?”
“Due”
“Roaaar,
quanto sei arrapante quando minacci il prossimo!”
Neville
non aspettò di pronunciare ‘uno’. Prese la prima
cosa che gli capitò sotto mano e la tirò appresso ad
Alberic che con una risata cristallina, fuggì dalla cucina
correndo su per le scale. Neville si appoggiò al mobile della
cucina, sospirando pesantemente, mentre cercava di acquisire il
controllo sulla propria faccia che stava praticamente ribollendo.
Alberic
faceva sempre così, certe volte avrebbe voluto veramente
strozzarlo! Quando sentì i passi del biondo sopra la propria
testa, si voltò verso il cassetto chiuso nel quale aveva
nascosto il pacchetto ed un’espressione incerta fece capolino
sul suo volto. Chissà se stava facendo la cosa giusta. Chissà
se a Blaise sarebbe piaciuto...
Con
una punta di vergogna, si asciugò i palmi sudati sui
pantaloni, proprio come faceva quando andava ancora a scuola. Invece
di progredire, tornava indietro.
Che
sciocco.
NOTE
DELL'AUTORE: Ooooh, eccoci qui con una new entry in questa
storia! Io adoro Alberic, sul serio, LO AMO. E' davvero adorabile, ve
lo assicuro! So che questo capitolo è un po' corto ma è di transizione e mi serviva fosse proprio così. Grazie mille a chi ha recensito il capitolo scorso, a
chi ha aggiunto la storia tra preferiti/ricordati/seguiti ed Arianna
che ha una santa pazienza che neanche vi immaginate. La faccia di
Alberic me la immagino come quella di Justin di Queer as Folk. Questa
settimana sono stata indaffaratissima ma non potevo non aggiornare <3
siete sempre tra i miei pensieri adorabili zuccottini e vi amo tutti
<3
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Capitolo 13 *** Capitolo 13 ***
TREDICESIMO
CAPITOLO
Let
him know that you know best Cause after all you do know best Try
to slip past his defense Without granting innocence Lay down a
list of what is wrong The things you've told him all along And
pray to God he hears you
(The
Fray, How to Save a Life)
Blaise
aprì improvvisamente gli occhi, trovandosi a fissare il
soffitto sopra la sua testa. Lo sguardo era perso, confuso ed
assonnato.
Guardò
l’orologio posizionato sul suo comodino: le cinque del mattino.
Con
un sospiro, si passò una mano sulla faccia, la fronte
imperlata di un leggero strato di sudore. Scostò con dei calci
le coperte, ma rimase sdraiato sul letto con le gambe e le braccia a
quattro di spade. Il battito del suo cuore era più veloce del
normale e nel silenzio di quella mattina fredda e nuvolosa, a quanto
poteva scorgere da dietro le tende della finestra, lo sentiva pompare
sangue attraverso le vene.
C’erano
momenti in cui era talmente assorto che smetteva addirittura di
respirare e ricominciava a farlo solo quando il corpo necessitava
davvero di ossigeno.
Senza
attendere un minuto di più, come una furia si alzò dal
letto, liberandosi del pigiama lungo la strada verso il bagno; si
gettò sotto la doccia, aprendo l’acqua fredda. L’impatto
improvviso con quella temperatura gli fece passare di colpo tutto il
suo languore e gli causò la pelle d’oca. Mise la testa
sotto il getto, lasciando che le gocce gli accarezzassero il volto
accaldato di sudore; le sentiva scorrere lungo il corpo, ed agivano
da calmante per i battiti del suo cuore ed il suo respiro frettoloso.
Chiuse gli occhi, poggiando le mani sulle piastrelle del muro e
mantenne la testa bassa sotto il getto.
Decise
che girare intorno al problema sarebbe stato deleterio. Forza Blaise,
in una botta sola, pensalo!
Aveva
sognato Paciock.
Cristo,
aveva
sognato Paciock!
Il problema era il modo
in cui l’aveva sognato.
No,
non mentre sbagliava un incantesimo a scuola o come spesso gli era
capitato, di inciampare mentre camminava per i corridoi.
Non
mentre preparava gli ingredienti che servivano alle sue pozioni, o
mentre cenavano tutti insieme con Mathias.
Non
mentre giocavano al fottuto ping pong o che diavolo ne sapeva lui.
No.
Aveva
sognato di baciarlo.
Ah,
Blaise, ma hai appena promesso di essere sincero con te stesso.
Mantieni la tua parola, per piacere.
D’accordo.
Aveva
sognato di sbatterlo letteralmente al muro e di infilargli la lingua
in bocca, cazzo.
Ed
era stato fantastico, cazzo.
Una
cazzo di limonata come poche volte ne aveva fatte in vita sua.
Cazzo.
Scosse
la testa sotto l’acqua, avvertendo di nuovo i bollori cercare
di ritornare a galla. Si morse il labbro inferiore, socchiudendo le
palpebre. Lì sotto le cose sembravano sbattersene altamente
dell’acqua fredda che scorreva sulla pelle, cercando di
cancellare l’eccitazione causata da quel sogno.
Aprì
le ante della doccia e con movenze frettolose, gettò sulla
cornice del quadro appeso in bagno un asciugamano (aveva lasciato la
bacchetta in camera da letto). Con urgenza richiuse quindi le porte e
con un gemito arrendevole, portò una mano verso il basso
assecondando le esigenze della sua eccitazione. Appoggiò la
fronte contro il muro ed iniziò lentamente a muovere il polso.
Nella sua mente apparvero di nuovo quelle scene.
Neville
costretto tra le sue braccia, schiena contro il muro. Le guance
spolverate di lentiggini colorate di rosso per l’eccitazione,
le labbra umide di baci ed i capelli spettinati. La pelle morbida del
viso, le fossette da mordere e la curva del collo bianco.
Blaise
fu attraversato da una scarica elettrica, che contribuì solo a
peggiorare lo stato della sua eccitazione. Il polso iniziò a
muoversi più in fretta.
La
lingua di Neville, quello che sarebbe dovuto essere il suo sapore
secondo l’immaginazione di Blaise, il suo odore, la pelle
liscia e soffice sotto la maglietta, la sua voce roca, gli occhi
lucidi ed i suoi sospiri.
Il
francese morse il pugno della mano libera con i denti bianchi,
soffocando un gemito roco e profondo, prossimo all’orgasmo.
Il
modo in cui Neville inarcava la schiena, come il sudore gli imperlava
la fronte e la pelle del corpo, il contrasto che la sua pelle creava
con la propria, le cosce morbide coperte da un velo di peluria
chiara, la sua eccitazione ed il modo in cui si era lasciato
prendere.
Tutto
quello provocò a Blaise un orgasmo debilitante. I muscoli si
irrigidirono una frazione di secondo prima di venire e tutta la
tensione sembrò defluire insieme al suo umore. Con un sospiro
gutturale si rilassò, lasciandosi scivolare a terra, con
l’acqua fredda che cancellava le prove del delitto dal suo
corpo. Appoggiò la schiena nuda contro le piastrelle del muro
e chiuse gli occhi, avvertendo un senso di smarrimento.
Cosa
diavolo gli stava prendendo? Non poteva essersi appena masturbato
pensando a Paciock, non era possibile. Ma il membro ora rilassato tra
le gambe, confermava le sue paure.
Imprecò
a mezza voce, chiudendo l’acqua congelata; ora che
l’eccitazione si era scaricata, iniziava ad avvertire davvero
freddo. Si alzò in piedi, uscì dalla doccia e si infilò
in un accappatoio. Osservò quindi la sua immagine riflessa
nello specchio, cercando di scorgere qualcosa in fondo ai suoi stessi
occhi.
A
che cosa stavi pensando, Blaise? Ti sei preso una cotta per quel
Grifondoro? Le labbra si stesero in un mezzo sorriso ironico e si
disse che quell’assurdo sogno era probabilmente dovuto al
totale azzeramento della sua vita sessuale da quando Mathias era
piombato nella sua vita. Del resto, a parte il bambino, quello con
cui aveva più contatti era proprio Paciock. Era normale che il
suo cervello elaborasse un desiderio inconscio del suo fisico
mettendo come protagonista la persona con la quale parlava di più.
Scosse lentamente la testa, sorridendo di se stesso.
Si
era lasciato prendere dal panico per nulla.
Più
tardi, quello stesso giorno, Neville andò da loro a fargli
visita. Erano le tre del pomeriggio quando Blaise aveva udito
l’ascensore fermarsi al suo pianerottolo.
Il
Grifondoro era entrato in casa spiegando che aveva deciso di mostrare
a Mathias in cosa consisteva il suo lavoro. Con sé portava una
piccola borsa a tracolla marrone scuro, dalla quale tirò fuori
questo mondo e pure quell’altro non appena riuscì a
guadagnare l’intera superficie del tavolo del soggiorno.
Mathias,
interessato a quella novità, aveva preso posto su una delle
sedie intorno al tavolo, deciso a non perdersi neanche una virgola di
ciò che gli avrebbe insegnato Neville. Gli occhietti attenti
scrutavano già tutti i tipi di erbe che il Grifondoro aveva
estratto (come un vero mago faceva dalla sua borsa magica), ponendosi
varie domande. Blaise non gli permetteva mai di sbirciare come
preparare una pozione e per una persona dall’indole
estremamente curiosa, quale era Mathias, fu esaltante la prospettiva
proposta da Neville. Ma se il francese impediva al bambino di
assistere alla preparazione delle pozioni, c’era un motivo.
Mathias
era intelligente, dannatamente intelligente. E, semplicemente, Blaise
non voleva metterlo nelle condizioni d’essere in grado di
preparare un veleno che avrebbe potuto aiutare il bambino ad
ucciderlo durante il sonno. Ci teneva alla pelle ed era già
abbastanza raccapricciante percepire gli occhi di quel mini demonio
studiarlo come una cavia da laboratorio per la maggior parte del
giorno, grazie tante.
Lo
stomaco del Serpeverde si era contratto, all’arrivo di Neville.
Il ricordo del sogno che aveva fatto quella notte era riaffiorato
nella sua memoria non appena aveva posato lo sguardo sulle guance
lentigginose dell’erbologo, ma si era sforzato di propinargli
un sorriso cordiale, come se andasse tutto bene. Restando in
disparte, appoggiato con le spalle contro la parete del salotto,
aveva osservato come Mathias si era lasciato rapire dalle nozioni di
Neville, sciorinate con facilità e passione. Il ragazzo era
sempre stato più bravo degli altri in erbologia, addirittura
in competizione con la Granger (il che era tutto dire) e
quell’interesse era solo cresciuto con il passare degli anni e
l’avevano portato a diventare uno dei più giovani
ricercatori inglesi del mondo magico, nonostante dovesse finire
ancora gli studi al Collegio degli Speziali.
Sottoponendolo
ad uno sguardo assorto, Blaise pensò che nonostante la sua
goffaggine, sotto quella zazzera di capelli scompigliati il
Grifondoro celasse un cervello accademico niente male, o che per lo
meno lo rendeva di certo brillante nell’ambito che più
gli si confaceva. Non solo Neville collaborava con il Ministero per
mantenere sempre le scorte a livelli sicuri, ma aveva contatti anche
con il San Mungo e diverse cliniche private. La sua profonda
conoscenza delle erbe e la collaborazione con erbologi più
anziani ed esperti di lui, gli avevano permesso di imparare nozioni
base in diversi ambiti delle scienze magiche, compreso quello della
medimagia. Non era certo un medimago, ma era in grado di intervenire
perfettamente in caso di primo soccorso. Come per le medicine
esistevano determinati princìpi attivi adatti a determinate
patologie, per le erbe e piante esistevano determinati princìpi
magici, adatti a determinate sintomatologie.
Si
poteva dire che Neville era tante cose, oltre ad essere un aspirante
ricercatore.
Blaise
provò un certo rispetto per lui e per la sicurezza che
utilizzava nello spiegare questo o quel dettaglio riguardo la
belladonna che Mathias si rigirava tra le mani coperte da un paio di
guanti di gomma.
“Giusto
Zabini?”
“Eh?”
Il
ragazzo agitò le palpebre, mettendo a fuoco la situazione.
Accantonò i suoi ragionamenti, ponendoli da parte e si
concentrò sul volto interrogativo di Paciock che lo stava
osservando. Senza parlare, provò ad intuire a cosa si stesse
riferendo il Grifondoro ma non avendo prestato molta attenzione ai
loro discorsi, troppo intento ad effettuare un’auto analisi
sulla scoperta di certi (pericolosi) sentimenti, dovette ritenersi
sconfitto.
“Non
stavo ascoltando” ammise, “qual era la domanda?”
“L’opposto
della belladonna è la camomilla, la quale può mitigare
gli effetti velenosi della sua controparte con una pozione dalla
preparazione abbastanza complessa, se non ricordo male” spiegò
Neville, con un sorriso mite sulle labbra, accompagnato però
da uno sguardo confuso.
Era
una rarità cogliere Blaise impreparato.
“Sì,
è vero” rispose questi con tono pacato ed annuì
lentamente; osservò Neville togliere dalle mani di Mathias la
belladonna per pestarla, così da ricavarne il succo.
“Chi
sa dirmi che effetti può avere la belladonna?” domandò
nuovamente il Grifondoro, atteggiandosi un po' a professorino di
turno.
La
stanza calò nel silenzio, mentre più di chiunque altro
Mathias era intento a rimuginare. Blaise lo osservò con
un’espressione beffarda, perché lui conosceva la
risposta a quella domanda. Il fatto di sentirsi superiore ad un
bambino di otto anni, non fu sufficiente a scalfire il suo orgoglio,
né amor proprio.
Perché
nonostante tutto, dopo tutto quel tempo, il ragazzo ne era ancora
fermamente convinto: Mathias non era un bambino. Non era nemmeno
umano.
“Dipende
dalle dosi. Può ridurre la sensibilità al dolore sino
ad arrivare a causare una paralisi. Si dice aiuti a combattere
l’ansia, ma non ne sono molto convinto...” alla fine fu
proprio Blaise a rispondere, senza però entrare nel dettaglio:
era il suo campo, ma fino ad un certo punto. A lui interessavano solo
alcune delle proprietà della belladonna; quelle che non
tornavano utili nella preparazione di pozioni, potevano anche restare
ignote per quanto lo riguardava.
“Mia
madre la usava per questo” commentò lentamente il
bambino, con uno sguardo assorto.
Mathias
si sentì osservato da un paio di occhi silenziosi ed attenti.
Lui piuttosto, si tenne occupato ad osservare il succo che Neville
aveva fatto uscire dalle bacche della pianta.
“Diceva
che la belladonna l’aiutava a dormire” aggiunse,
quietamente, con un tono di voce che era un soffio di aria.
Neville
sorrise, facendo in modo tale da far scivolare il succo all’interno
di un’ampolla, con sguardo attento e con una certa delicatezza.
“Bravo
Mathias. In quel caso è sempre meglio mischiarla con un po’
di valeriana, che mitiga l’effetto tossico della pianta in sé.
Al contrario, se ci si aggiunge del crine di unicorno, la belladonna
può diventare un potente afrodisiaco. Tuttavia necessita
sempre di una certa preparazione ma qui il pozionista non sono io”
concluse, con una nota di divertimento tra le parole.
Chiuse
l’ampolla con un tappo di sughero e la agitò per qualche
secondo, fino a farla diventare di un colore celestino. Poi la porse
a Blaise, con uno sguardo eloquente.
“Belladonna
e valeriana. E non guardarmi così, mi è stato richiesto
di preparartene un po’!”
Con
uno sguardo confuso, Blaise afferrò l’ampolla per
riflesso incondizionato.
Neville
schiarì la gola con una certa non chalance ed indirizzò
velocemente lo sguardo ai quadri appesi sulle pareti del salone.
Il
francese chiuse lentamente gli occhi, respirando silenziosamente;
intanto, fece scattare il conto alla rovescia: se da dieci fosse
arrivato a zero riuscendo a mantenere la calma, i quadri sarebbero
rimasti appesi ed illesi. Se allo scattare dello zero avesse ancora
avvertito quel fastidioso prurito alle dita delle mani, se la sarebbe
presa con qualcuno. O, per essere precisi, qualcosa.
Aveva
coperto il quadro della maledetta donna pesce nel bagno, era sicuro
di averlo fatto. E si era ficcato un pugno in bocca, per essere il
più silenzioso possibile. Doveva
essere bastato, diavolo!
Si
girò lentamente verso le cornici, riscoprendole deserte.
Se l’erano data tutti a gambe, quei vigliacchi, traditori,
infingardi, impiccioni, viscidi che non erano altro. La radio, per
Natale, gliela avrebbe spaccata sulla tela, maledizione.
Avvertì
quattro paia di occhi perforargli la base del collo, alle sue spalle.
Quando si voltò, dovette affrontare la faccia interdetta di
Paciock e lo sguardo penetrante di Mathias.
Non
disse una parola.
Fu
dunque Neville, dopo essersi schiarito la gola con una certa
difficoltà, a tirarlo fuori dall’impiccio.
“Bene,
devo andare. Ho un appuntamento al San Mungo e poi devo passare da
un’altra clinica” commentò, raccattando le proprie
cose dal tavolo, che finì di pulire con uno svelto gratta
e netta.
“Ci
vediamo prima della vigilia, d’accordo?” e con un
sorriso, svanì dall’appartamento insieme all’ascensore.
Blaise
si rigirò l’ampolla tra le dita fredde delle mani, con
uno sguardo assorto. La sentiva ancora calda sulla pelle, calda dalla
presa del Grifondoro. Schiuse le labbra, la mente attraversata dal
ricordo di un calore simile che non aveva in realtà mai
conosciuto.
“Cosa
avete mangiato?” domandò all'improvviso, senza alzare
gli occhi dal rimedio di belladonna e valeriana.
Mathias,
ancora seduto sulla sedia, intensificò la profondità
del suo giovane sguardo; stava osservando Blaise da quando Neville se
ne era andato ed aveva percepito che nella mente del francese c'era
qualcosa.
I
bambini a volte hanno un intuito spaventoso perché la loro
innocenza gli permette di essere ancora schietti e privi di peli
sulla lingua. Quando si diventa grandi, invece, si rifuggono certe
domande, certe verità. Forse per la loro scomodità o
probabilmente perché approfondire la conoscenza di se stessi è
un processo doloroso. L’intelligenza di Mathias era dovuta
sopratutto a quello: alla sua capacità di essere franco con
chiunque gli capitasse a tiro, non pensando all’effetto che
queste o quelle parole avrebbero potuto causare. E non lo pensò
anche quella volta.
“Che
intendi dire?” rispose lui, guardingo.
“Quella
mattina, quando sono venuto a prenderti a casa di Neville. Cosa avete
mangiato per cena?” finalmente Blaise lo guardò, avvolto
in un alone di calma apparentemente impenetrabile.
Ma
c’erano cose che, onestamente, Mathias non era in grado di
capire. Non ancora. La natura di quella domanda gli sarebbe rimasta
sconosciuta per anni.
Il
bambino corrugò la fronte con un’espressione confusa,
mille domande a premergli sulle labbra. Cosa c’entrava? Che
razza di domanda era? E chi aveva mai detto che avessero mangiato
qualcosa?
“Niente...
non abbiamo mangiato niente. Ho comprato un sandwich mentre andavo a
casa sua...”
Il
suo tono di voce fu incerto, mentre vide le dita di Blaise stringersi
intorno all’ampolla. Allora capì che quel dettaglio per
lui, era importante. Ma non avrebbe saputo dire se la riposta che
aveva dato, fosse giusta o sbagliata. Non sapeva cosa Blaise s’era
aspettato di sentirgli dire.
Il
profilo scuro della mascella si irrigidì, gli occhi parvero
divenire qualche secondo più duri ed assenti.
Voltando
le spalle al bambino, Blaise si diresse verso la cucina, con passo
soffice sulla moquette.
“Vado
a preparare la cena”
NOTE
DELL'AUTORE: Ragazze ma qui le settimane volano °_° mi
sembra ieri che ho aggiornato! (O forse mi sto confondendo con la
Merthur, non lo so xD Alla fine ho optato per quella anziché
per la Draco/Pansy! Ma è solo rimandata ;) ) Che dire? Le cose
iniziano finalmente ad assumere un certo spessore e a diventare
(spero) più interessanti. Sappiate che sono quel genere di
scrittrice che non ama scrivere scene di sesso esplicite, quindi se
vi aspettate capitoli pieni di ginnastica da camera, credo resterete
amaramente deluse. I miei riferimenti sono piuttosto vaghi, anche se
non lascio dubbi a come le cose vanno, tra due personaggi. Diciamo
che preferisco far lavorare l'immaginazione del lettore in certi
casi. Primo perché ho paura di diventare ripetitiva e secondo
perché, per l'appunto, ciò che può immaginare il
lettore io non riuscirei mai a raggiungerlo. Mi piace di più
concentrarmi sui sentimenti e sugli sviluppi dei rapporti tra i
personaggi, oltre che seguire passo passo la loro crescita interiore
;) sarò troppo profonda? Ahahaha! Un ringraziamento immenso a
chi ogni benedetta volta mi recensisce e a chi, puntualmente ad ogni
aggiornamento, aggiunge la storia tra preferiti/seguiti/ricordati.
Questo capitolo è dedicato a voi.
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Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
QUATTORDICESIMO
CAPITOLO
Waking
up to you never felt so real
I
don't wanna sleep
I
don't wanna dream
'cause
my dreams don't comfort me
The
way you make me feel
Waking
up to you never felt so real
(Skillet,
Comatose)
Stravaccato
sulla poltrona di pelle nera, illuminato dalle fiamme del camino
acceso, fece roteare dolcemente il vino rosso lungo i bordi del
calice che stringeva tra le dita affusolate. Gli occhi grigi erano
assorti ed i capelli biondissimi catturavano il riverbero delle
fiamme trasformandolo in riflessi che avrebbero richiesto attenzione
per ore, in quanto indiscutibilmente belli. Accanto a lui c’era
l’anima in pena, il povero disgraziato in cerca di asilo, che
già se ne era scolati cinque di calici di vino.
Sulle
labbra di Draco affiorò un sorrisetto sardonico, mentre con
distrazione fece ciondolare una gamba aldilà del bracciolo
della poltrona. Sospirò silenziosamente, lo sguardo che vagava
ora lungo le pareti dell’immenso e freddo salone, lasciando che
quel silenzio perdurasse ancora un po’.
Blaise
si era catapultato a casa sua verso le undici di sera e, come faceva
di solito, aveva iniziato a parlare.
A
raffica.
Il
mondo era convinto che il ragazzo fosse un tipo riservato ed
introverso ma Draco lo riconosceva per quello che era in realtà:
una logorroica checca del cazzo. Eppure, nonostante l’appellativo
dispregiativo che Malfoy aveva affibbiato all’altro nella sua
mente, non l’aveva interrotto mai, neanche una volta. Non aveva
mostrato segni di noia, né di insofferenza, né di
derisione. Si era seduto, gli aveva versato del vino (più di
una volta a dire la verità) e l’aveva ascoltato, con
attenzione, tacendo anche laddove avrebbe dovuto zittirlo e prenderlo
a schiaffi.
In
sintesi, Paciock lo stava facendo ammattire.
Draco
non capiva come un sogno avesse potuto scombussolare tanto l’animo
dell’algido ex compagno di scuola (ma per sempre leale amico).
In realtà aveva intuito che l’avvenimento aveva
rivestito solo un ruolo di pretesto; aveva
infatti rivangato dettagli che all’insaputa del francese
stesso, si erano impressi nella sua memoria.
In
quel salone, davanti quelle fiamme, Blaise si era ritrovato a
descrivere particolari del Grifondoro che solo un attento osservatore
avrebbe potuto ripetere con altrettanta sicurezza. Blaise stesso era
rimasto stupito da quella incosciente conoscenza, scoperta solamente
dopo il breve discorso avuto con Mathias. Tra le mura della cucina,
tutto era venuto a galla, il subconscio aveva cominciato a ritrattare
di sua spontanea volontà avvenimenti e cose e parole e non
sapeva più neanche lui cos’altro, diavolo! Un insieme di
particolari che avevano anche dato luce alla domanda fatta a Mathias,
quando Neville se ne era andato. Zabini non aveva idea della
motivazione che l’aveva spinto a porla, ma in cucina l’aveva
capito. E la situazione l’aveva semplicemente sopraffatto.
Dopo
aver mangiato ed aver aspettato con impazienza che Mathias fosse
andato a letto, si era catapultato da Draco, perché era
l’unico con il quale poteva scoprirsi.
In
quel momento, dunque, Malfoy aveva l’arduo compito di aiutarlo.
Perché se quel gran viziatello di un platinato era convinto di
qualcosa, era di conoscere Blaise forse anche più di
Constance. Anzi, sicuramente pure più di lei, dato che i figli
alle madri nascondono sempre qualcosa. Insomma, se davvero lo
conosceva come era convinto, Blaise si sarebbe sottoposto
autonomamente ad una tortura psicologica che l’avrebbe condotto
per la via più breve al reparto per malattie mentali del San
Mungo. Perché lui era fatto così, doveva sempre
psicanalizzare qualsiasi cosa, dargli un significato, un attenuante,
attribuirla a fatti o parole, capirla ed assimilarla. Non era una
persona semplice e Draco sapeva di avere la profondità di una
pozzanghera rispetto a Blaise, però era suo dannato compito
aiutarlo e che Salazar l’avesse impalato, se non l’avrebbe
fatto.
Con
un sospiro leggero, Malfoy osservò le fiamme, parlando con un
tono di voce basso e conciliante.
“Che
ne sai, magari un piatto era per il primo ed un piatto era per il
secondo” la buttò lì, allargando un po' le
braccia per minimizzare quella questione che gli faceva soltanto
venire voglia di ridere a crepapelle.
“C’erano
due forchette nel lavandino” rispose prontamente Blaise,
ingollando altro vino, cosa che non intaccò minimamente la sua
sicurezza.
“Magari
è un tipo schizzinoso”
“Draco...”
“Facevo
per dire, sto solo ipotizzando per evitare di far soffriggere il tuo
cervello. Lo sento crepitare da qui” il sogghigno che gli
rivolse sferzò l'aria, fu quasi palpabile.
Blaise
accennò un lieve sorriso, la testa leggera grazie all’alcool
che gli circolava nelle vene. Si lasciò andare contro lo
schienale del divano e socchiudendo le palpebre, puntò lo
sguardo vitreo sul soffitto.
“Perché
proprio adesso?” la voce di Draco gli accarezzò le
orecchie con garbo. Era una bella domanda, dovette ammettere Blaise.
Perché gli erano tornati in mente quei due piatti con quelle
due forchette che aveva intravisto nel lavello, non appena aveva
messo piede nella cucina di Paciock? Peccato fosse un quesito già
vecchio, quello: lui stesso, da un po', si stava chiedendo la stessa
cosa. Passarono lunghi attimi di silenzio, durante i quali il
crepitio delle fiamme cullò l'animo agitato del moro, con la
discrezione necessaria dovuta a qualcuno che si sentiva in bilico.
“Non
lo so. Quando se ne è andato, oggi pomeriggio, mi è
venuto in mente di getto. Come quelle cose che ricordi
all’improvviso, quando meno te lo aspetti e senza una
motivazione apparente. È stato un flash...” la sua voce
si spense lentamente sulle ultime sillabe, gli occhi scuri persi in
un vuoto che solo lui poteva vedere.
“Oh
Merlino, Paciock...” Draco lagnò una nota di sofferenza,
affondando le dita delle mani nei capelli con la disperazione di un
attore vissuto e consumato.
“Ho
toccato il fondo Draco, sono alla deriva” alla sofferenza del
padrone di casa si aggiunse la disperata consapevolezza del suo
ospite. Sembravano due condannati.
“Eh,
me ne sono accorto” disse il primo, la voce soffocata dai palmi
caldi.
“Vaffanculo”
seguitò il secondo, secco e conciso, gli occhi ancora persi
nel vuoto cosmico.
“Senti,
di certo tutto mi aspettavo tranne che Paciock. Ovvio, sempre meglio
di Sfregiato. Credo che in quel caso ti avrei sbattuto fuori di qui a
calci nel culo”
Blaise
rise, una risata calda ed un po’ brilla. Tanto per restare in
quello status di confusione che attenuava lo scorrere dei suoi
pensieri, si scolò un altro calice di vino come fosse acqua.
Era destabilizzante non sapere cosa fare o come comportarsi, lo era
davvero.
“Pensi
che sia una cosa passeggera?” Draco tornò all'attacco
con una di quelle domande che minacciavano prepotentemente l'effetto
di leggerezza che il vino aveva sulla sua capacità mostruosa
di ragionare in continuazione ed in ogni circostanza. Blaise piegò
le labbra da un lato, desiderando solo di affogare nel Merlot.
“Non
lo so. Considerando che mi sono tornati alla mente anche dettagli
assurdi risalenti al periodo scolastico, direi che era entrato nella
mia sfera degli interessi già da un bel pezzo e neanche me ne
sono reso mai conto. Come lo spieghi?”
Draco
sospirò, appoggiando il suo calice sul tavolino. Una piccola
ruga tra le sopracciglia deturpava l’aura serafica di quel
volto. Era sempre stato affascinante, Draco, e per un certo periodo
Blaise si era sentito anche attratto da lui. Quando aveva capito,
però, che la sua amicizia era più importante di
qualsiasi altra cosa, se l’era fatta passare. Non era stato
particolarmente difficile, si era trattato di semplice attrazione
fisica.
Il
biondo si accarezzò il mento e le labbra con una mano, in
procinto di dire qualcosa di personale. Nonostante la loro amicizia,
erano rari i momenti in cui il francese riusciva a spillare a Draco
qualcosa di veramente suo.
Blaise
si fece attento, gli occhi scuri che scrutavano il volto dell’altro
con una certa curiosità.
“Sai,
prima di mettermi con Pansy, neanche calcolavo la sua esistenza. Ero
abituato ad essere seguito da lei praticamente ovunque ed il fatto
che fosse così appiccicosa mi infastidiva. La consideravo
stupida, oca e frivola. Era la mia ombra...” sorrise, scuotendo
con lentezza la testa “...ed io cercavo di liberarmi di lei in
tutti i modi possibili. Frequentavo altre ragazze, non rispondevo
alle sue domande, guardavo altrove quando era in mia presenza. Era
come se non esistesse, come se non fosse presente” inumidì
velocemente le labbra con la punta della lingua ed a Blaise parve di
vederle tremare per qualche secondo (tuttavia non ne ebbe mai la
certezza).
In
quei pochi secondi di silenzio, Draco raccolse il coraggio e le
parole necessarie per continuare a parlare, perché nominarla e
ricordarla faceva ancora male (nonostante fosse lui lo stronzo, il
coglione, la testa di cazzo). Inspirò profondamente e si mise
seduto meglio. Piegò dunque la schiena in avanti, appoggiò
i gomiti sulle ginocchia ed incrociò le dita tra loro, con gli
occhi fissi sul tappeto.
“La
questione, come ben sai, andò avanti per anni. Precisamente
fino al quarto anno. E lei, durante tutto quel tempo, non si era mai
arresa, neanche un attimo. Probabilmente già lo sapeva, è
sempre stata più acuta di me per certi versi. Lo sapeva per
entrambi, sia per me che per lei. Doveva solo prendermi a schiaffi e
farmi connettere il cervello” un lieve sorriso tornò a
piegargli le labbra fini, un sorriso che si tramutò in una
breve risata di divertimento, forse mista ad imbarazzo.
“Venne
da me ed anche se, come al solito, pretesi di non stare ad
ascoltarla, mi disse che sarebbe andata al ballo con Nott. Girò
sui tacchi e se ne andò come niente fosse”.
Blaise
allargò gli occhi, mentre uno strano presentimento si faceva
spazio nella propria mente, presentimento che si tramutò senza
ombra di dubbio in consapevolezza. Osservò attentamente il
volto di Draco, andando alla ricerca di una conferma della quale non
aveva certamente bisogno.
“E’
per questo che avete fatto a botte nello spogliatoio, dopo gli
allenamenti?”
Lo
chiese ad alta voce, perché percepiva che Draco aveva bisogno
di ammetterlo. Di farlo a parole, non solo nella sua testa. Il biondo
annuì, continuando a ridacchiare sommessamente.
“E
lo sai qual è l’assurdo di tutto quello che è
successo?”
Blaise
continuò ad osservarlo, in attesa che l’altro
proseguisse senza necessitare di motivazioni per farlo. Scoprì
che gli faceva piacere ascoltare Draco parlare, aprirsi nel tentativo
di consigliarlo. Era bravo ad acquietare le maree della sua anima.
“Non
era vero. Nott non aveva mai chiesto a Pansy di andare al ballo, così
come lei non l’aveva chiesto a lui. Era stato un pretesto,
Blaise. Solo un pretesto per farmi aprire gli occhi, per dimostrare
che lei lo sapeva
ed aveva avuto sempre ragione. Certo, forse avrebbe potuto usare un
metodo più ortodosso per farmelo capire ma sappiamo entrambi
che il soggetto con il quale aveva a che fare a volte può
essere davvero un idiota. Era riuscita a farmi andare il sangue al
cervello così bene che non ci vidi più. Dopo gli
allenamenti, quando me lo ritrovai di fronte, non resistetti. Dubito
ancora oggi che Theo abbia compreso la motivazione di quella lotta.
Lo presi a pugni come meglio potevo e ne presi altrettanti. Una
settimana dopo mi disse semplicemente che mi perdonava per aver dato
di matto, perché in fondo lo aveva sempre saputo che un po’
lo ero. Matto, intendo. Quando ci separarono, non andai neanche in
infermeria. Ero arrabbiato, furioso per come Pansy era riuscita a
manipolarmi, a raggirarmi, neanche fossi stato un povero deficiente.
Oh, Blaise, ma io ero
un povero deficiente. Lo ero per davvero. E quando entrai in sala
comune con la sola voglia selvaggia di fargliela pagare, l’unica
cosa che fui in grado di fare, guardandola in faccia, fu di chiederle
scusa. Le chiesi scusa per tutto quello che le avevo fatto passare
negli anni addietro. Perché se fossi stato meno cieco, le
avrei risparmiato un sacco di sofferenze”.
Con
l’amaro in bocca, Draco prese direttamente la bottiglia del
vino, attaccandovisi come un assettato nel deserto si attaccherebbe
alla pioggia. Gli occhi lucidi erano attribuibili al calore del fuoco
troppo vicino, non ad un destino che aveva scelto di imboccare solo
per compiacere, ancora una volta, i desideri di suo padre. Quelli che
non includevano Pansy nella sua vita, ma Astoria.
Blaise
non disse niente, perché Draco non era una persona che aveva
bisogno di sentirsi propinare delle consolazioni. Gli bastava
condividere il suo dolore con qualcuno che tenesse a lui. E Blaise,
in quel momento, condivise il suo dolore come solo un amico avrebbe
potuto fare.
Quando
Malfoy riprese a parlare, lo fece con una certa nota di rassegnazione
e risentimento che aiutarono il francese a riflettere in una maniera,
se possibile, ancora più profonda.
“Quello
che voglio dirti Blaise è che alcuni di noi, i più
stupidi, i più spavaldi, boriosi e superbi, non si accorgono
di quello che hanno sotto il naso finché non rischiano di
lasciarselo soffiare da persone più sveglie ed intelligenti.
Io amavo Pansy da non so neanche quanto e non me ne ero mai accorto.
Ha dovuto sbattermelo in faccia. E nonostante il mio amore guarda
com’è finita. L’ho ferita, ancora una volta. Mi
sembra che in tutta la mia cazzo di esistenza non abbia saputo fare
altro che causarle questo” si alzò con impeto dalla
poltrona, passandosi le mani tra i capelli in un gesto nervoso.
Voltando le spalle al camino, si diresse con ampie falcate verso il
finestrone che dava sulla terrazza, osservando il cielo scuro carico
di nuvole di pioggia, come a rispecchiare la furia nella quale il suo
giovane animo ribolliva.
Blaise
restò seduto a contemplare il fuoco, colpito dalla
consapevolezza che quando la vita decide di cucirti addosso un
destino di merda, lo fa per tutta la durata dei tuoi sacrosanti
giorni.
C'erano
persone destinate a vivere felici, altre a conoscere la sofferenza
prima della gioia (o viceversa). Altre, semplicemente, erano
destinate a conoscere solo il dolore. A Blaise era andata bene, non
era mai stato infangato come Draco nella questione Mangiamorte.
Nonostante l’assenza di un padre, aveva avuto una madre al suo
fianco, una madre che aveva sempre dimostrato la sua presenza ed il
suo affetto in un modo o nell’altro. Draco aveva avuto
Narcissa, ma la presenza costante di Lucius aveva impedito la nascita
di un qualsivoglia rapporto che andasse aldilà delle
apparenze. Ancora ricordava la frustrazione e l’umiliazione che
l’amico aveva provato nello scoprire che non era in grado di
effettuare Patronus di alcun genere.
Perché
non aveva abbastanza ricordi felici.
Poi
era arrivata Pansy, la ventata di aria fresca che al sesto anno di
scuola aveva permesso a Draco di realizzarsi laddove aveva
precedentemente fallito. Anche quella gioia, gli era stata portata
via da suo padre.
All’inizio
Blaise era stato convinto che l'amico poteva incolpare solo se
stesso, se non aveva avuto il coraggio di contraddire le volontà
di Lucius, oramai chiuso ad Azkaban. Ma se c’era una cosa che a
Draco era mancata più di tutte, nella sua vita, era una
famiglia. E nonostante la visione malsana di rapporto padre-figlio
che aveva, il biondo non avrebbe mai avuto il cuore né il
coraggio di contraddire l’unica persona dalla quale, dopo
venticinque anni di vita, ancora anelava di udire una parola di
apprezzamento. C’erano stati momenti in cui Blaise aveva avuto
voglia di sbattere quell’uomo borioso al muro e costringerlo,
se fosse stato necessario anche sotto Imperio, a pronunciare una
sola, singola frase. Bravo,
Draco. Solo quello.
Ma ovviamente non sarebbe mai potuta andare così.
Perché
altre persone, semplicemente, sono destinate a conoscere solo il
dolore.
Blaise
quella volta non si chiese perché non fosse mai concesso avere
due prospettive. Piuttosto, si domandò perché fosse
permesso solo ad alcuni.
“Draco,
hai scelto tra il giusto ed il facile. Eri consapevole che poi te ne
saresti pentito per tutta la vita”
“Sì,
lo ero. Sono un masochista del cazzo, che vuoi farci”
Uno
sbuffo di risata, che durò troppo poco perché fosse
reale. Incrociò le braccia al petto e si voltò verso il
divano. Ora Blaise era in piedi e lo osservava con un’espressione
comprensiva. Stava ancora condividendo il suo dolore, non aveva mai
smesso di farlo.
“Te
ne sei innamorato?” domandò a bruciapelo Malfoy, con
occhi attenti.
“Credo
che sia un termine azzardato”
“Ti
consiglio di capirlo più in fretta che puoi Blaise, perché
anche se lo pensiamo, non abbiamo tutto il tempo del mondo a nostra
disposizione. Non chiederti perché
proprio adesso. Sii
grato che sia successo abbastanza presto”
NOTE
DELL'AUTORE: Ho tante
cose da dire riguardo questo capitolo. La prima: è in assoluto
il mio preferito, ho adorato scriverlo come nessun altro, in questa
fanfiction. Draco è un personaggio che mi piace da morire e ho
voluto regalare un pezzo di lui anche a questa storia. Mi dispiace se
Neville non appare in nessuna scena, vi avevo promesso che sarebbe
stato praticamente sempre presente, ma era necessario, per sbrogliare
un po' la matassa che martoria il cervello di Blaise e direi che gli
esempi che Draco ha fatto, sono stati di grande aiuto. Inoltre,
Neville è il motivo della visita che Blaise fa a Malfoy,
quindi è come se ci fosse, dai. Poi: Blaise
non si chiese perché non è mai concesso avere due
prospettive:
stavolta non se lo chiede, ma la prima volta che l'ha fatto, ci
trovavamo nel prologo. Cioè un bel po' di roba fa ;) questa
cosa mi emoziona. Terzo: abbiamo finalmente scoperto perché
Blaise ha fatto a Mathias, nel capitolo precedente, quella strana
domanda. Quando è arrivato a casa di Neville (se andate a dare
un'occhiata), noterete che Blaise fa caso a due piatti e due
forchette che sono nel lavello della cucina del Grifondoro. Queste
frivolezze rientrano in dettagli che tutti possiamo notare quando
mettiamo piede in casa di qualcuno, come una tazza appoggiata sul
tavolino, un vassoio di frutta stagionale, delle calamite attaccate
sul frigo... diciamo che certe volte, sono i dettagli meno importanti
a scatenare (a nostra insaputa) dei meccanismi nel nostro cervello e
subconscio. E per Blaise non c'è nessuna Pansy abbastanza
arguta da sbattergli la realtà dei fatti in faccia, quindi ho
dovuto trovare una soluzione: ho voluto sfruttare le due forchette
per far arrivare Blaise a porsi la domanda: Neville
ha cucinato per Mathias o vive con qualcuno?
E' stato un processo lento ma alla fine tutti i nodi vengono al
pettine e dopo il sogno che Blaise ha fatto, è scattato una
sorta di effetto domino in lui, durante il quale non solo ha
ricordato ciò che ha visto in cucina, ma senza volerlo
realmente gli sono tornati alla mente anche eventi di lui risalenti
al periodo scolastico. Insomma, ha iniziato a ricordare tante cose
come avesse rotto una diga, cose che non sapeva neanche di sapere.
Non so se sono riuscita a spiegarmi, ma spero di sì, perché
per me tutto questo processo ha un senso logico, non l'ho creato
tanto per, chessò, provare a spiegare una situazione
inverosimile. Il corso delle cose è stato così voluto
sin dal prologo. Nei prossimi capitoli, come vi ho già
promesso, spenderò qualche parola in più anche per
Mathias. Concludo questo papiro per ringraziare
tutti voi che mi sostenere con commenti, letture, preferiti e
ricordati e seguiti.
Ho messo più di un anno per scrivere questa storia e non avete
idea di quanto mi stiate rendendo felice tutti quanti con la vostra
presenza tra queste pagine. Un abbraccio!
|
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Capitolo 15 *** Capitolo 15 ***
QUINDICESIMO
CAPITOLO
Where
do we go from here?
Where
do we go from here?
I
threw some rocks up at your window
I
broke some rocks right through your window
(Rocks,
Imagine Dragons)
La
vigilia di Natale era finalmente giunta. Appena una settimana prima,
Blaise si era catapultato a casa di Draco con il casino nel cervello.
La matassa non era ancora stata sciolta ma durante i giorni
successivi, Blaise aveva riflettuto molto ed aveva visto la presenza
di Neville da un altro punto di vista.
Da
quando il dettaglio dei due piatti nel lavello aveva fatto scattare
nel suo animo Merlino solo sapeva cosa, faceva consapevolmente caso a
molte più cose ed ogni volta si stupiva di come, invece, non
le avesse notate prima.
Sì,
aveva sempre avuto la consapevolezza di accorgersi, ad esempio, come
le lentiggini sul volto del Grifondoro aumentassero non appena
venivano accarezzate anche solo da un’ora di sole. Ma non aveva
mai fatto caso a quante
diavolo di volte si soffermasse a pensarlo.
Adesso
lo faceva.
E
la cosa lo atterriva: erano dannatamente troppe.
Si
sentiva una donnicciola in preda ad una crisi ormonale e questo lo
rendeva irrimediabilmente nervoso.
Neville
ogni tanto gli lanciava delle occhiate sospettose, apprensive, perché
a lungo andare aveva percepito che qualcosa non andava, nel
Serpeverde; di fatti Blaise non era l’unico a prestare
attenzione a certe cose e se questi, solo, avesse
saputo...
se solo avesse saputo cosa si era celato nella mente del Grifondoro,
sin dall’inizio, probabilmente avrebbe negato la fattibilità
della cosa anche davanti l’evidenza. Ma non è il caso di
divagare, c’è ancora tanto da raccontare.
Blaise
sognava Neville più spesso, non necessariamente in scenari
altamente compromettenti. Certe volte lo sognava così, in
maniera semplice... lo vedeva concentrato, nel suo camice bianco, le
mani coperte dai guanti, a studiare le sue piante... mentre lui lo
guardava dal divano, fingendo di leggere un libro, ma più
rapito dall’espressione del suo volto che dalle parole sulle
pagine ruvide.
Sognava
di raggiungerlo fisicamente e mentalmente.
Era
chiaro cosa il suo subconscio stesse tentando di suggerirgli:
Neville, in un modo che a lui era ancora sconosciuto, lo attirava
tutto. Il modo in cui si mostrava accondiscendente con qualsiasi
persona esistente sul pianeta, il sorriso e le fossette delle guance,
lo sguardo esuberante ma attento, i capelli scompigliati e dall’aria
soffice, la sua tendenza a risolvere i problemi degli altri con
spirito di immedesimazione, come schiudeva le labbra e corrugava la
fronte quando era concentrato... non c’era una cosa, in lui,
che non fosse fonte di attrazione.
Blaise
soffriva molto per queste novità. Non aveva mai provato
seriamente dell’interesse per qualcuno e gli sembrava d’essere
regredito, di essere tornato un ragazzino alle prime armi, in grado
di affrontare solamente situazioni la cui complice era una libidine
adducibile esclusivamente ad una considerevole dose di alcool. A
venticinque anni si rifiutava di darsi all’alcool per
fronteggiare una cosa simile; non ne aveva più quindici, anche
se la cosa gli avrebbe fatto comodo in quei momenti.
Quando
incrociava lo sguardo indagatore del Grifondoro, lo sosteneva.
Distogliere l’attenzione da lui sarebbe passata come una tacita
ammissione che qualcosa, in effetti, stava vorticando in quel
frullatore che era il suo cervello. Ma volendo dar a vedere che non
aveva niente da nascondere, Blaise sosteneva il suo sguardo sino a
quando l’altro non lo abbassava, forse colto da un velo di
imbarazzo a giudicare dalle chiazze rosate che puntualmente facevano
comparsa sulle sue guance.
Non
avevano mai affrontato realmente l’argomento ed il francese non
aveva davvero intenzione di farlo, almeno sino a quando non fosse
riuscito ad ottenere la sicurezza di poter avere il controllo su
quella... cosa.
Non
c’era neanche lontanamente vicino, però.
Ne
sarebbe dovuta passare di acqua sotto i ponti, per controllare
l’emozione più forte che una persona
possa mai avere la (s)fortuna di provare.
Ma
Blaise non lo sapeva. Non ancora.
I
giorni precedenti la vigilia erano passati in una calma che sapeva di
ozio. La tranquillità di quello strambo trio non era stata
disturbata da nessuno ed a tratti era sembrato di vivere in un mondo
parallelo, quando erano loro tre da soli. Il destino a volte poteva
essere beffardo, nel decidere di voler connettere tra loro persone in
maniera del tutto inaspettata. Aveva ripensato più volte alle
parole che Draco gli aveva detto ed in certi momenti gli si stringeva
il cuore, perché l’amico aveva deciso di condannarsi da
solo ad una vita che non poteva essere tale e lui non poteva fare
niente per fermarlo, solo stargli vicino e cercare di attenuare il
suo dolore (almeno un po’).
Per
quel particolare giorno, gli adulti avevano deciso (o meglio, Neville
aveva imposto) che sarebbero andati tutti alle giostre. Il primo
Natale senza i suoi genitori si avvicinava per Mathias e Blaise
comprendeva perfettamente il desiderio dell’altro di voler
distrarre, anche solo per cinque minuti, l’animo del bambino da
quel pensiero. Tuttavia al francese non sembrava che Mathias fosse
molto turbato da quell’avvento. In realtà non l’aveva
visto sconvolto neanche una volta, durante quelle settimane, per non
parlare delle lacrime. Forse piangeva quando non poteva essere visto,
da solo, chiuso nella sua stanza? Il pensiero lo infastidì,
causandogli una strana fitta contro il costato.
Avvertì
l’incessante bisogno di focalizzare la sua attenzione su
qualcos’altro, prima che il senso di colpa si rivelasse come
tale alla sua comprensione ed iniziasse a divorarlo senza sosta
dall’interno. Perché diavolo avrebbe dovuto sentirsi in
colpa, li aveva uccisi per caso lui, i suoi genitori? Ne aveva tante
di grane a cui pensare, quelle bastavano da sole a tenerlo occupato
per mesi e grazie tante.
Mentre
si avvicinavano all’ingresso del parco divertimenti, Blaise
osservò il nanetto di sottecchi. Teneva per mano Neville,
camminava di fianco a lui docilmente, gli occhietti scuri ed il volto
inespressivo puntati verso la gigantesca ruota panoramica visibile
addirittura dall’esterno delle mura di cinta.
I
capelli bruni, lisci come spaghetti ma un po’ spettinati,
incorniciavano un visetto pallido dai lineamenti dolci. Le piccole
labbra rosse, erano chiuse e piegate un po’ verso il basso e
sotto gli occhi capeggiavano leggere un paio di occhiaie che, da come
poteva ricordare Blaise, c’erano sempre state. Erano forse
quelle il segno di ciò che la sua coscienza gli aveva fatto
poc'anzi sospettare? Strinse le mani in un pugno, all’interno
delle tasche del giaccone nero, rifiutando di ritornare su
quell’argomento. Mathias si comportava sempre come se non fosse
realmente presente. Come stesse semplicemente osservando
il mondo, senza farne davvero parte. Era il suo modo di mostrare
sofferenza? Blaise abbassò un po’ le palpebre sugli
occhi, lo sguardo divenne inevitabilmente più assorto insieme
all’espressione. Se ne stava lì con il suo cappottino
verde, i pantaloni marroni di quel tessuto simile al velluto ed un
paio di scarpe un po’ antiquate. Mathias voleva scegliere da
solo i suoi vestiti. E puntualmente, somigliavano tutti a quelli che
aveva il giorno in cui l’aveva prelevato dal ministero.
Blaise
non aveva mai commentato, per svariate ragioni. La prima era che non
voleva discutere con lui se non era necessario; la seconda era che
non credeva di avere il diritto di mettere bocca laddove il desiderio
di Mathias celava motivazioni ben più profonde di quanto lui
potesse comprendere. Come terzo punto avrebbe voluto sottolineare che
non gliene importava niente, ma sarebbe stato un bugiardo.
L’aveva
notato e, semplicemente, aveva preteso di non averlo fatto.
Cercò
di immaginare cosa gli passasse per la mente, in quei momenti. E cosa
c’era passato durante tutto il periodo che avevano trascorso
insieme, ma non riuscì a venire a capo di niente. Era troppo
strano, troppo indecifrabile, troppo non-bambino. Ma Paciock...
Paciock, ancora una volta, sembrava saperci fare.
“Sai
ho sempre avuto un po’ paura delle altezze, Mathias”
commentò il Grifondoro, notando che lo sguardo del bambino era
diretto verso la ruota panoramica. Il piccoletto distolse gli occhi
dalla giostra per studiare il volto di Neville con una muta domanda
dipinta negli occhi scuri. L’erbologo rise, con una mano
stuzzicò imbarazzato la base del collo, sotto l’attaccatura
dei capelli.
“Durante
il mio primo anno ad Hogwarts fui vittima di uno scherzo veramente
tremendo nella mia prima lezione di volo. Non sto ad entrare nei
dettagli, ma ho perso il controllo della scopa e sono rimasto
impigliato in una specie di grata. Era talmente alto che, quando il
tessuto del mantello ha ceduto e sono caduto giù, mi sono
rotto il polso”
Neville
alzò la mano che stringeva quella di Mathias, mostrandola agli
occhi del bambino con un sorriso gentile sulle labbra.
“L’infermiera
è stata talmente brava che non m’è rimasto
neanche un segno sulla pelle. Quello che non è riuscita a
curare è stata la paura che iniziai a provare per i posti
alti. Anche affacciarmi dalla finestra della Torre di Grifondoro mi
costava una certa dose di coraggio che spesso non avevo”
Rise
con un tono di voce che Blaise definì soffice.
Ricordava perfettamente come erano andate le cose quel giorno e
ricordava anche come poi, Potter, s’era rivalso su Draco. Provò
una certa nostalgia per quelle giornate, quando ancora erano bambini
con la coscienza pulita.
“Tu
di cosa hai paura, Math? Sai, è normale averne. Tutti ne hanno
almeno una e non deve essere necessariamente qualcosa di materiale,
come avrai capito”
Nel
frattempo, si misero in coda per fare il biglietto; avevano davanti
soltanto un paio di famiglie. Blaise avvertì del calore sul
proprio volto e per l’ennesima volta, benedì Merlino per
averlo fatto nascere con la pelle scura.
Erano
andati in un posto per famiglie.
Ci
erano andati sul
serio.
Salazar
eremita.
Spostò
l’attenzione su Mathias, in un certo qual modo incuriosito
dalla risposta che avrebbe potuto dare. Il bambino fissava con
assenza le persone davanti a loro. Il papà teneva tra le
braccia una bimba di circa tre anni, tutta infagottata con le guance
rosse per il freddo ma gli occhietti lucidi di gioia per essere stata
portata alle giostre. La mamma invece teneva le mani poggiate sulle
spalle del figlio più grande, all’incirca dell’età
di Mathias, anno più, anno meno. Parlavano tra di loro,
sorridevano e progettavano il percorso che avrebbero fatto tutti
insieme una volta entrati nel parco.
“Non
lo so” rispose, dopo un po’, quando ebbero tra le mani i
biglietti per l’ingresso al parco. “Non ho mai provato la
paura”
*
Mathias
era assente, Neville se ne accorse. L’avevano portato su
parecchie giostre, ma il suo sguardo intelligente era puntato sempre
altrove. Gli costava ammetterlo, ma l’erbologo aveva paura per
lui. Se avesse continuato a restare bloccato in quell’incapacità
di parlare, a lungo andare avrebbe causato dei danni. Anche se adesso
Mathias non se ne rendeva conto, si stava distruggendo. Lo stava
facendo e sembrava non avere intenzione di smettere.
Neville
le aveva provate davvero tutte durante le settimane che aveva
trascorso con lui e con Blaise, si era scervellato nella maniera più
assoluta per cercare di incrinare quella corazza di intangibilità
nella quale il bambino si era chiuso. Ma tutti i suoi sforzi, tutti i
suoi tentativi sembravano essere valsi a nulla.
All’inizio
aveva pensato di potercela fare, perché Mathias sembrava
accettare di buon grado la sua presenza, più di quella di
Blaise. Non che ci sarebbe voluta una scienza a capirne il perché,
il francese per la maggior parte del tempo era intrattabile; era pur
vero che Merlino aveva fornito Neville di una buona dose di
sacrosanta pazienza e non avrebbe permesso, proprio al Serpeverde, di
fargliela esaurire tutta, di mandarla alle ortiche. La sua pazienza
era leggendaria e anche dopo la sua maledetta morte, la gente avrebbe
dovuto ricordarlo come quello
che aveva la sacrosanta pazienza.
Ma
il problema non era Blaise; almeno, non quello principale.
Il
problema era Mathias.
Con
un cipiglio che la diceva lunga su cosa stava pensando, Neville aveva
cercato di comprendere cos’era esattamente che il bambino
fissasse con tanta insistenza. Ma non aveva visto niente. Ed aveva
visto tutto.
Mathias
osservava gli altri. Osservava le famiglie, i bambini con i loro
genitori e Neville si sentì davvero una merda
insulsa.
Nel
disperato tentativo di aiutarlo, di farlo reagire o di allietarlo
almeno un po’, l’aveva buttato nella fossa dei leoni con
una grazia ed un savoir faire che avrebbe attributo solo ad uno
stronzo
come Draco Malfoy (Blaise pretendeva
di essere stronzo
come stronzo
lo era Draco Malfoy, ma Blaise era meno stronzo
di Draco Malfoy, anche se più machiavellico).
Restò
in silenzio, camminando accanto a loro con aria meditabonda, diretti
verso la ruota panoramica, quella che sarebbe dovuta essere la loro
ultima tappa. Le braccia incrociate contro il petto, lo sguardo che
vagava in giro senza reale interesse, la coscienza che gli stava
calpestando amabilmente le budella ballando la hola al ritmo di
musica hawaiana. Non era quasi mai stato peggio di così.
“Devo
andare in bagno”
Si
voltò, notando che Mathias si era fermato pochi passi dietro
di lui, insieme a Blaise. Il francese si guardò attorno,
vedendo la struttura della toilette poco distante.
“D’accordo,
vuoi essere accompagnato?” chiese il ragazzo, abbassando lo
sguardo su di lui.
“Penso
di sapere da un po’ come si va al bagno” replicò
il bambino, sagace come al solito.
“Allora
vacci da solo” il suo tono sferzò l'aria seccamente.
Neville
si schiaffò una mano sulla fronte, domandandosi perché,
perché
Blaise
doveva essere sempre, ogni dannata volta, così
Blaise? Osservò Mathias allontanarsi verso il bagno e quando
fu abbastanza lontano, scavò la faccia del francese con gli
occhi. Intendeva far comprendere all’altro cos’era appena
successo solo con la forza del suo sguardo e, diamine, ci sarebbe
riuscito! Blaise lo osservò di rimando come accadeva da un po’
di tempo a quella parte, in un modo che come al solito gli causava un
familiare senso di nausea bloccato nella gola. Ma non avrebbe
distolto lo sguardo, non quella volta, perché c’era una
cosa che doveva far comprendere al Serpeverde una volta per tutte ed
intendeva mettere il punto alla faccenda quel giorno stesso.
“Pensavo
avessimo superato da un po’ la fase delle risposte acide”
esclamò, allargando le braccia con un'eloquenza che enfatizzò
le sue parole.
“Perché,
la sua com’è stata?” sibilò Blaise,
irrigidendosi visibilmente.
“Dimentichi
che c’è una differenza”
“Sono
certo che stai per rimediare a questa mia mancanza” stese le
labbra in un sorrisetto sarcastico che tuttavia non arrivò
fino agli occhi. Non era molto in vena di ironizzare troppo.
“Lui
ha otto anni, tu ne hai venticinque. Non credi che debba significare
qualcosa?” Neville corrugò la fronte, fingendosi
confuso.
“Questo
gli dà il diritto di comportarsi da maleducato?”
“No,
ma ha delle buone motivazioni se ogni tanto dimentica di essere
carino e coccoloso con chiunque gli capiti a tiro!” il tono
della sua voce risultò un po' infastidito, forse
dall'indifferenza che Blaise stava mostrando per i sentimenti di
Mathias.
“Disse
quello che era stato sempre trattato con carineria e coccolosità.
E’ inutile che fai quella faccia scandalizzata, prova a
negarlo!”
“Non
ti è mai passato per l’anticamera del cervello che forse
Mathias con me è più gentile perché non lo
tratto come fosse un peso od un capro espiatorio?” non ci fu
sarcasmo in quelle parole. Neville lo chiese per davvero,
perché voleva capire quali strani meccanismi muovessero la
mente del Serpeverde.
“Non
sono solito comprare vestiti, cibo e quant’altro ai miei capri
espiatori” ribatté quello, asciutto, schioccando la
lingua contro il palato.
“Allora
cos’è Mathias per te? Cosa è diventato?”
Blaise
tacque, indurendo il profilo della mascella. Scrutò il volto
di Neville con un’intensità che fece temere al
Grifondoro di aver appena detto qualcosa di sbagliato. Se ne stava
immobile, davanti a lui ed onestamente Neville pensò che
avrebbe potuto fare qualsiasi cosa, perché era talmente
indecifrabile la sua espressione che l’erbologo non avrebbe
potuto prevedere nulla. Blaise inspirò profondamente, prima di
parlare, il tono di voce più calmo ma non per questo meno
tagliente. Non tagliente in senso di cattivo, tagliente per la
capacità di spiazzarti ogni volta che decideva di aprire
bocca.
“Forse
non sono l’unico qui che dovrebbe assumersi delle
responsabilità” fece rotolare con lentezza le parole
sulla lingua.
“Cosa
vuoi dire?”
“Credi
forse che io sia stupido, Paciock? Ho notato anche io quello che hai
notato tu. Non credo sia stata una brillante idea portare Mathias in
un posto per famiglie. Lui non ce l’ha più e di certo
noi non siamo la sua”
Neville
allargò gli occhi per la sorpresa, trattenendo per qualche
attimo il respiro. Quello era un colpo basso.
Non
se lo aspettava, non da Blaise. O forse, invece, sapeva che sarebbe
successo ma semplicemente non aveva voluto ammetterlo?
Quelle
parole gli fecero male, perché in un modo o nell’altro
si era affezionato all’idea del loro strambo trio. Ma sua nonna
gliel'aveva sempre detto: affezionarsi con facilità alle
persone era sempre stato uno dei suoi più grandi difetti.
Strinse le labbra tra loro, distogliendo lo sguardo dal volto di
Blaise.
Zabini
se ne accorse. Se ne accorse di averlo ferito per quell’ombra
che era calata sui suoi occhi, ma semplicemente non era stato in
grado di tenere a freno la lingua. Si era sentito attaccato, si era
sentito in colpa e le sue difese come al solito erano scattate in
automatico.
“Da
quando abbiamo iniziato a vederci ho sempre e solo cercato di
aiutarlo, di alleviare il suo dolore, perché so che cosa vuol
dire avere dei genitori che ti sono stati portati via da un branco di
maledetti fanatici imbecilli, ma queste non sono cose che devo stare
a spiegare a te” sibilò Neville, facendo dei respiri
profondi, per non perdere la sua stoica calma. Non gli avrebbe dato
anche quella soddisfazione. Blaise incassò il colpo senza
fiatare, mentre alla mente riaffiorava anche quel dettaglio. Da che
aveva sentito dire da Draco, i genitori di Neville erano rinchiusi al
San Mungo da minimo vent’anni.
“Persone
come me e Mathias non hanno bisogno dell’appoggio e della
compassione di nessuno, hanno solo bisogno di riuscire ad andare
avanti. C’è sempre stata mia nonna accanto a me, pronta
ad insegnarmi come fare, ma lui non ha nessuno Blaise. E di certo tu
non gli sei stato di aiuto, non ci hai neanche provato a capirlo!
Speravi solo che le cose filassero lisce, attendendo il momento che
questo peso ti fosse tolto dai piedi! Hai mai pensato a come possa
essersi sentito, per un attimo? Non è stupido, l’hai
visto anche tu, credi che non abbia capito di essere di impiccio per
te? Del resto non ci sarebbe voluto di certo un genio, glielo hai
fatto chiaramente capire quel giorno che me lo sono ritrovato davanti
la porta di casa mia. L’hai ferito talmente tanto da spingerlo
a rivolgersi ad un altro sconosciuto. Anche se ci tratta in maniere
differenti, io sono uno sconosciuto per lui tanto quanto lo sei tu,
lo vuoi capire una buona volta? E’ un bambino come gli altri
Blaise, è spaventato ed ha solo bisogno di non sentirsi solo!”
Interrompendo
all’improvviso il fiume di parole che aveva sempre voluto
dirgli, il Grifondoro voltò le spalle all'altro, passando
entrambe le mani sulla faccia, nel tentativo di scacciare il magone
che gli stava stringendo la gola ed i ricordi dei suoi genitori che
gli avevano offuscato la ragione. Continuò a respirare ad
intervalli irregolari, strofinò gli occhi lucidi e cercò
di riprendere il controllo su se stesso; i volti di Alicia e Frank
Paciock iniziarono lentamente a sfumare via dalla sua testa.
Pazienza
Neville, te la ricordi? Quella sacrosanta.
C’erano
tante altre cose che avrebbe voluto dire a quello zuccone ma non era
sicuro di esserne in grado. Non si sentiva tranquillo e l’ultima
cosa di cui aveva bisogno era che Blaise si accorgesse di quanto
fosse facilmente provocabile. Era un sentimentale, prendeva quasi
tutto a cuore, e allora? Se il Serpeverde aveva intenzione di ridere
di lui poteva anche accomodarsi.
Acquisita
la certezza che per lo meno non sarebbe scoppiato a piangere come una
donnicciola per colpa del nervoso, si voltò di nuovo, con
lentezza. E sobbalzò.
Neville
non si aspettava certo di ritrovarsi a fissare, da una distanza
irrisoria, i bottoni del cappotto di Blaise. Un profumo pungente lo
mandò in confusione.
Alzò
gli occhi in alto, quel tanto che bastò ad incontrare quelli
di Blaise che lo scrutavano. Anche se le labbra del francese erano
chiuse, Neville aveva come la sensazione che il Serpeverde gli stesse
dicendo un sacco di cose. Quella vicinanza, l’odore così
tipicamente suo… lo stomaco del Grifondoro ebbe un’altra
dolorosa contrazione. Non si allontanò quando le mani agili e
forti di Blaise lo afferrarono gentilmente per la stoffa delle
maniche, non credeva comunque che l’avrebbe fatto, anche se ne
avesse avuto la forza.
Blaise
inclinò con lentezza la testa in avanti, fino ad arrivare a
sfiorare con la punta del naso, quello di Neville.
L'erbologo
lasciò che gli occhi del pozionista studiassero i dettagli del
proprio volto... le pieghe, le sfumature, i difetti ed i pregi. Gli
permise di indagare, di guardarlo come poche volte era stato
veramente guardato e non poté impedirsi di provare imbarazzo
per quello. Blaise fu in grado quindi di osservare, anche, come le
guance di Neville potevano prendere facilmente colore quando si
trovava a disagio. Non si lasciò sfuggire nulla.
“Ti
sentivi solo?”
La
voce calda del moro accarezzò soffice la pelle del suo volto.
Neville smise di respirare, ma non se ne accorse. Sentiva le
ginocchia stranamente molli e le mani che sudavano, come quando
andava a scuola ed era costretto ad asciugarle sulla stoffa dei
pantaloni. Si stava scoprendo, la sua risposta avrebbe potuto mettere
a nudo una parte di sé che aveva sempre celato, a volte anche
a se stesso.
Ma
era Blaise, quello che lo stava stringendo sulle braccia.
Era
Blaise e, dannazione, era una vita che desiderava di essere vicino a
lui così, in quel modo.
“Sì”
Ecco,
l’aveva detto. E, Merlino, com’era stato liberatorio
farlo. Sì, dannazione, sì, si era sentito
maledettamente, irrimediabilmente solo, abbandonato dai suoi stessi
genitori che avevano deciso di fare gli eroi invece di pensare ad
occuparsi di lui!
“Ed
ora?”
Questa
non se l’aspettava, non se l’aspettava proprio. Ed il
respiro di Blaise che gli solleticava le labbra lo stava mandando al
manicomio. Da quella distanza poteva vedere quanto scuri
effettivamente fossero i suoi occhi, tanto che la pupilla era a
malapena distinguibile. Il contorno delle labbra piene e morbide, la
punta un po’ fredda del naso che toccava quella del suo in
maniera così intima e confidenziale. Oh Godric, gli stava per
venire un infarto, lo sentiva, ne era certo.
Anche
se addosso aveva freddo, avvertiva il volto bollente.
“I-io…”
Fu
un attimo.
Neville
si ritrovò a sfarfallare le ciglia con confusione, il volto di
Blaise più distante di quanto in realtà avesse voluto
in quel momento. Il francese, con la fronte corrugata, osservava
l’entrata del bagno, l’espressione assorta.
“Dove
diavolo è finito Mathias?”
*
Misero
piede nella toilette con una certa apprensione. Controllarono ogni
cubicolo, ogni anfratto; con sfacciataggine, entrarono anche nel
bagno delle donne, ma di Mathias nemmeno l’ombra.
Nell’improvvisa
tachicardia dovuta all’ansia, Neville si insultò
pesantemente. Lo fece sul serio, perché era innervosito dal
fatto che Blaise si fosse allontanato, impensierito dal ritardo del
bambino. Fino a quel giorno sembrava non gliene fosse mai importato
nulla e nel momento più catartico che avevano avuto da sempre,
si era distratto.
Il
pensiero di Mathias che ancora non tornava dal bagno l’aveva
distratto.
Neville,
invece di congratularsi con se stesso per quel successo fatto
raggiungere al Serpeverde (perché, diavolo, di certo era anche
suo maledettissimo merito se era riuscito a far infiltrare Mathias
tra i primi pensieri del ragazzo), si ritrovò ad imprecare
contro i contrattempi del destino. Era ovviamente preoccupato per
Mathias, una preoccupazione che lo stava facendo velocemente agitare,
ma non mancò di chiedersi perché
proprio oggi.
Scambiò
uno sguardo breve con Blaise, il quale alzò con accortezza le
mani in aria come a volerlo bloccare.
“Datti
una calmata. Se mi inizi ad iperventilare adesso, non mi sarai di
nessun aiuto”
Neville
annuì meccanicamente, passando i palmi delle mani sul
cappotto.
Blaise
lo vide osservare il parco giochi senza sapere da che parte iniziare
e sospirò, volendo ottenere una calma che, dannazione, non
aveva anche lui.
Mathias
era sparito.
Da
sotto il suo naso.
L’aveva
mandato al bagno ed ora non era più al bagno.
Che
si fosse solo allontanato senza dire niente? L’avevano rapito?
Era scappato? Il francese cercò di analizzare la situazione
con mente fredda, la pelle del volto che già aveva dimenticato
il calore rubato alla vicinanza del Grifondoro. Non aveva tempo per
quello, ora. Doveva trovare Mathias e… e niente.
Doveva
trovarlo e basta.
“Non
credo si sia allontanato per andare su qualche altra giostra. Non
aveva motivo di farlo, lo sa che siamo qui e che l’avremmo
visto” cercò di ragionare, massaggiando le tempie con
due dita, come riuscisse così a concentrarsi meglio sulla
situazione.
“E’
stato rapito!” disse immediatamente Neville, pensando subito al
peggio, l'ansia che arrivava alle stelle.
“Non
credo neanche questo, in bagno c’è sempre qualche
genitore con prole al seguito, inoltre Mathias non si lascerebbe
rapire con tanta facilità…”
“Allora
è scappato!” il Grifondoro si schiaffò le mani
sulla faccia, già gli sembrava di vedere Mathias tutto solo
camminare per i pericolosi quartieri di Londra. Inghiottì a
vuoto.
“E’
l’ipotesi più accreditata” si trovò
concorde Blaise, lasciando scivolare le dita dalle tempie sino al
mento, in un gesto lento ma non calcolato.
“Perché
avrebbe dovuto farlo?” l'erbologo guadagnò uno sguardo
assorto da parte del Serpeverde con quella domanda, che sembrava
trapassarlo da parte a parte.
“L’hai
detto tu, Neville. Forse si sente solo ed è spaventato”
I
due ragazzi si guardarono in silenzio, nelle orecchie del Grifondoro
la voce di Blaise che per la prima volta lo chiamava per nome.
Schiuse le labbra come per dire qualcosa, poi sembrò
ripensarci qualche secondo. Ci riprovò solo quando
l’indecisione decise di provare a soffocarlo.
“Credo
di sapere dove potremmo trovarlo…”
“Dove?”
Blaise
lo scrutò con aria guardinga e Neville gli rivolse un sorriso
mesto.
*
Nubi
pesanti coprirono il cielo di Londra, donandogli una tonalità
violetta che non prometteva nulla di buono. L’aria fredda
sferzava la pelle scoperta in folate di vento che erano aumentate
d’intensità, ma faceva troppo freddo per nevicare, la
temperatura era sotto lo zero, probabilmente di un bel po’.
Correvano
fianco a fianco, il respiro pesante che si condensava in piccole
nuvolette. Stavano costeggiando il cancello da un po’, ma
bisognava fare un bel giro per accedere alla parte magica del
cimitero. Non avevano potuto smaterializzarsi perché nessuno
dei due ricordava l’ubicazione perfetta del posto ed avevano
deciso di non rischiare l’amputazione di qualche parte del
corpo, nella troppa fretta di arrivare a destinazione.
La
zona era illuminata regolarmente da lampioni che lanciavano chiazze
di luce sull’asfalto, circondate da un buio pesante, quello
tipico dell’inverno. Le fronde degli alberi scuri a volte
invadevano quelle pozze lucenti, ma irregolarmente, a causa del vento
che le scuoteva.
Blaise
fu il primo a raggiungere l’ingresso, seguito da un Neville
ansante e con la faccia rossa più dal freddo che dalla fatica.
Senza aspettare che nessuno dei due avesse il tempo di riprendersi
dall’ansia e dallo sforzo, il francese a passo di marcia entrò
nel cimitero, puntando con determinazione i suoi passi verso un
vecchio mausoleo, tramite il quale si poteva accedere alla parte
magica di quel luogo consacrato.
“Guarda,
la porta è socchiusa!”
Neville
annuì velocemente, seguendolo senza fare il minimo fiato.
Per
raggiungere il cimitero avevano preso il Nottetempo e grazie alla
guida incosciente del vecchio autista, si erano risparmiati un sacco
di traffico. Neville benedì quell’autobus con tutte le
sue forze, ma sapeva anche che era l'unico mezzo di spostamento
tramite il quale Mathias aveva potuto raggiungere quel posto. Come
l'aveva intuito? Il fatto che la sua bacchetta fosse misteriosamente
scomparsa dalla tasca del suo cappotto gli aveva dato un vago
suggerimento (ma, per degli attimi, aveva seriamente pensato di
averla persa, ipotesi più che probabile conoscendo fin troppo
bene la propria sbadataggine). Fortuna che c'era stata quella di
Blaise! Quando erano saliti sul Nottetempo, avevano domandato ad un
certo Stan se per caso gli era capitato di dare un passaggio ad un
qualche bambino. La risposta affermativa del bigliettaio aveva
cancellato ogni loro dubbio.
Quando
entrarono nel mausoleo, magicamente di fronte a loro si rivelò
la vista di un prato immenso; c'erano lapidi piantate lungo il
terreno in maniera abbastanza disordinata, ma permeate di un fascino
che solo un luogo magico avrebbe potuto donare ad uno di morte.
Alcune lanterne svolazzanti, galleggiavano attraverso le file,
illuminando saltuariamente questa o quella effige.
Blaise
scese i gradini, affondando le scarpe nella terra umida. Strizzò
le palpebre colto alla sprovvista, quando una goccia di pioggia gli
precipitò sul naso.
Avrebbe
voluto urlare il suo nome, trovarlo immediatamente e portarlo via di
lì prima che iniziasse seriamente a venire giù il
diluvio, ma qualcosa gli suggerì che sarebbe stato meglio
comportarsi con tranquillità. Urlare probabilmente sarebbe
stato poco rispettoso verso i sentimenti che avevano condotto Mathias
in quel luogo. Ù
Si
voltò, cercando Neville con gli occhi. Era lì, ad un
paio di passi da lui e lo guardava con una luce di consapevolezza.
Annuì un paio di volte e si diresse silenziosamente verso il
lato ovest, mentre qualche secondo dopo Blaise iniziò a
perlustrare quello est. Si trovavano in uno dei maggiori cimiteri
magici di Londra. Di anime, lì, ne avevano sepolte davvero
tante.
Estrasse
la bacchetta dalla tasca e la puntò davanti a sé.
“Lumos”
Un
lieve fascio di luce iniziò ad illuminare i suoi passi. Le
lanterne vaganti non erano abbastanza e lui non voleva rischiare di
lasciarsi sfuggire qualche ombra che poteva essere Mathias. Non era
andato al funerale dei genitori, il Ministero aveva accompagnato il
bambino, quindi non aveva idea di dove potessero trovarsi le lapidi;
ma lo avrebbero trovato.
Nel
momento in cui aveva messo piede lì, era stato certo che vi
avrebbe trovato Mathias.
Mentre
camminava tra le effigi e ne leggeva i nomi distrattamente, realizzò
che non era molto pratico di cimiteri a dire la verità; non
c’era mai andato, non aveva avuto l’occasione e sperò
che si presentasse il più tardi possibile.
Il
silenzio che permeava quel posto lo metteva in un certo qual modo a
disagio, perché sapeva bene che anche se una persona moriva,
non lasciava mai definitivamente la terra. I fantasmi erano solo un
blando esempio di tutte le cose che un’anima poteva diventare.
Anche
se era solo, si sentì osservato, scrutato da occhi invisibili,
dai quali non poteva ripararsi. Il freddo sembrò farsi più
pungente e si strinse nel cappotto, sperando di trovare presto
Mathias. Gettò un’occhiata alle proprie spalle,
individuando un puntino luminoso in movimento alla parte opposta
dalla quale si trovava lui; Neville doveva aver acchiappato una delle
lanterne svolazzanti in mancanza della bacchetta.
Con
un sospiro lento, venne improvvisamente colpito da qualcosa. Anzi,
più di una.
“Merde*”
Dal
cielo iniziarono a cadere giù pesanti gocce di pioggia, con
una frequenza che andava via via crescendo. Voltandosi nuovamente per
guardare avanti, cercò di velocizzare la sua ricerca,
mettendosi a camminare celermente tra le effigi.
“MATHIAS!”
Adesso
trovarlo era diventata una vera necessità e anche se forse non
avrebbe dovuto farlo, iniziò a chiamarlo a voce alta.
“MATHIAS!”
Gli
pareva di girare a vuoto; anche se i nomi erano diversi, le lapidi
sembravano tutte uguali e nella fretta di cercare il bambino, Blaise
aveva smesso di seguire uno schema, con il risultato che gli sembrava
di passare sempre davanti gli stessi pezzi di pietra. Imprecò
infastidito, oramai la pioggia veniva giù che una bellezza.
Passarono
dei minuti, durante i quali alcune gocce si infiltrarono nello scollo
del giacchetto, scendendo lungo la sua schiena. Rabbrividì
infreddolito ed in preda al nervosismo, fece per dare un calcio ad un
albero spoglio e rinsecchito, quando lo vide.
Era
inginocchiato davanti a due lapidi, la fronte poggiata contro una di
queste, le mani affondate nella terra ch’era diventata
fanghiglia. Se ne stava lì, a farsi sommergere dalla pioggia,
immobile come fosse incosciente.
Il
cuore di Blaise perse un battito. Si era fatto male?
“Mathias!”
chiamò di nuovo, stavolta con convinzione, letteralmente
correndo verso di lui “Mathias stai bene?”
Si
lasciò cadere in ginocchio accanto al bambino, fregandosene
altamente di star inzaccherandosi di terra. Era già fradicio
fino alle mutande, non poteva davvero preoccuparsi anche per quello a
quel punto.
Dato
che non rispondeva, Blaise allungò le mani verso di lui ma non
appena toccò la sua spalla, Mathias scattò come fosse
stato scottato e allontanò malamente il braccio del francese,
inchiodandolo con uno sguardo pieno di ira, di rancore e
rassegnazione.
“VATTENE!”
gridò, con tutto il fiato che aveva. Nonostante fosse fradicio
anche lui, gli occhi rossi denotavano quanto avesse pianto. Il tono
di voce ringhiante, denotava quanto ancora lo stesse facendo. La
pioggia poteva nascondere solo alcune tracce, tra cui non erano
presenti le spalle che a singhiozzi gli tremavano.
Blaise
rimase accanto a lui, osservandolo con un’espressione
indecifrabile. Indurì il profilo della mascella e restò
a guardarlo, in attesa che il resto uscisse fuori. Oh, perché
c’era dell’altro, lo vedeva chiaramente.
“VATTENE
HO DETTO! PERCHÉ SEI VENUTO? LO SO CHE NON TI IMPORTA!”
Avvertì
dei passi veloci alle sue spalle, rallentare gradualmente. Forse le
grida di Mathias avevano attirato l’attenzione di Neville.
Anzi, era certo fosse andata così. Ma ora il Grifondoro se ne
stava in disparte, osservando entrambi con uno sguardo così
cupo ed addolorato che spiegava da solo quanto comprendesse i
sentimenti di Mathias.
Quanto
fosse stato come lui.
Zuppo
come uno straccio, lasciò ciondolare le braccia lungo i
fianchi, senza intervenire.
Blaise
apprezzò la sua discrezione, perché voleva che Mathias,
una volta per tutte, gli dicesse tutto quello che gli passava per la
testa. Solo così avrebbe capito cosa fare.
“Non
importa a nessuno che loro non ci sono più! Tutti continuano a
fare quel che diavolo vogliono, si svegliano ogni mattina come hanno
sempre fatto, come se non fosse successo niente! Sono morti, i miei
genitori sono morti e tutto quello che hanno ottenuto è stato
uno stupido funerale dove erano presenti persone che neanche li
conoscevano!”
Prese
un respiro profondo, perché urlare gli costava fatica. Il
volto si era fatto rosso per lo sforzo, oltre che per il freddo ed
una volta dato il via alle parole, anche i singhiozzi erano
aumentati. Affondò ancora di più le mani nel fango,
battendo i pugni sul terreno con rabbia.
“Mi
hanno lasciato da solo! A che serve essere salvati se poi devi vivere
da solo?! Ho solo otto anni, se avevano pensato che me la sarei
cavata, sbagliavano di grosso! Dovrei anche ringraziarli?” si
voltò verso le lapidi, urlando a pieni polmoni la sua
sofferenza “Grazie mamma per essertene fregata di cosa sarebbe
stato di me! Grazie papà per non aver pensato a cosa sarebbe
potuto succedermi dopo!” si voltò nuovamente verso
Blaise, la rabbia che invece di diminuire, aumentava ad ogni sillaba
“Sai cosa ti dico? Avevi ragione! Avrei voluto anche io fosse
andata come volevi tu! Vorrei essere morto quel giorno, avrei
risparmiato un sacco di problemi a me, a te ed a quelli del Ministero
che ogni volta mi sorridono come gli facessi pena o come se fossi un
povero stupido che non può di capire! Non si tratta di te che
vuoi una rivincita o di loro che vogliono arrestarti ad ogni costo,
qui si tratta di me! Di me! Non sono qualcosa da usare, sono
una persona ed i miei genitori sono morti! Non ci sono più, ed
io sono solo e non so che cosa fare…”
Mathias
emise un lamento profondo, prima di piegare la schiena in avanti,
raggomitolato su se stesso; piangere tanto da respirare male gli
sembrava l’unica cosa logica da fare.
A
gran voce e con un’intensità dolorosa, piangeva per
essere udito. Per essere aiutato.
Neville
distolse lo sguardo, chiudendo gli occhi. Ringraziò la
pioggia, perché non aveva saputo trattenersi ed aveva iniziato
a piangere a sua volta. Condivideva la sofferenza di Mathias, la
condivideva come fosse sua.
Perché
lo era stata.
E
lo era ancora, con la differenza che aveva imparato a controllarla.
“Non
so che cosa fare… loro non ci sono più… non ci
sono più…” aveva iniziato a ripeterlo come una
litania, perché non riusciva a dire altro.
Blaise
inghiottì, con una certa difficoltà. Era stato un
idiota. Sin dal principio.
Uno
stupido, borioso, idiota.
Ma
se c’era una cosa che sapeva, era che si poteva smettere di
essere idioti quando si ammettevano certe colpe.
Si
poteva rimediare; avrebbe quindi cercato di farlo.
Si
sporse in avanti e senza incontrare resistenze, stavolta riuscì
ad attirarlo contro di sé. Circondò la schiena del
bambino con un braccio, lasciò affondare l’altra mano
nei suoi capelli bagnati e se lo premette addosso, poggiando una
guancia sulla sua testa.
Un
inerme Mathias continuò a disperarsi tanto da far male al
cuore, ma Blaise lo tenne stretto. Lo abbracciò per quelle che
sembrarono ore e forse lo furono per davvero. Vaffanculo la pioggia,
vaffanculo tutto. Non si sarebbe mosso di lì.
In
una maniera che gli sembrò ironica, ebbe la sensazione di star
abbracciando una versione passata di Neville. La similitudine tra i
due, per quanto riguardava gli eventi cui avevano dovuto far fronte,
glielo ricordava.
Cercò
il Grifondoro con lo sguardo, che trovò quasi subito.
Neville
aveva un’aria mesta, era completamente zuppo, la punta del naso
rossa come le guance e gli occhi lucidi. Era tenero.
Mentre
stringeva Mathias con tutta la convinzione che poteva dargli, pensò
di star consolando anche Neville. Sentiva il bisogno di farlo. Lo
guardava e cercava di farglielo capire. Ti
sto abbracciando, non sei da solo.
"Non
avere paura Mathias, non avere paura"
Poco
dopo, smise di piovere.
*
In francese nel testo
NOTE DELL'AUTORE: Eccoci qui
con il quindicesimo capitolo, sudato, partorito, revisionato e di
nuovo partorito. Questo capitolo è pieno di ANGST. Dopo averlo
letto dovrete guardare qualcosa di divertente per riprendervi
adeguatamente, credo XD ed ecco che Mathias diventa umano! COLPO DI
SCENA :P Il suo atteggiarsi a ragazzino robotico, sempre sul chi va
là, era una difesa per cercare di non provare più
emozioni (perché ogni volta che lo faceva, si sentiva
sopraffatto dalla sofferenza). La sua mania di osservare gli altri
con attenzione quasi scientifica, era una sorta di difesa naturale
contro il mondo che non conosce: un bambino non sa come funzionano le
cose, non sa come funziona la vita. I genitori ci guidano in questo
passaggio, ma lui non li ha più. Quindi diciamo che il suo
istinto ha prevalso in una sorta di autoconservazione ed il mondo
circostante per lui è diventato di vitale importanza perché
analizzare ogni minimo dettaglio gli dava la parvenza di riuscire a
proteggersi da tutto e da tutti. È da dire che sin da piccolo
ha sempre avuto una spiccata intelligenza ma la paura folle che prova
in questo periodo della sua vita acutizza tutte le sue capacità,
sia quelle negative che positive. Più che l'istinto di
sopravvivenza fisica, in lui è scattato quello della
sopravvivenza mentale. Originariamente questo capitolo doveva essere
diviso in due, ma... non ce l'ho fatta a farvi questa cattiveria. Non
ce l'ho fatta proprio, ma solo perché siete tutti troppo
fantastici ed io vi adoro. Mancano esattamente 8 capitoli alla fine,
siamo a più di metà dell'opera. È davvero
emozionante per me! Un abbraccio grandissimo a tutto voi! <3
|
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Capitolo 16 *** Capitolo 16 ***
SEDICESIMO
CAPITOLO
Well,
the time it takes to know someone
It
all can change before you know it's gone, for it's gone
So
close your eyes and feel the way
I'm
with you now believe there's nothing wrong, nothing wrong
You
think that I wanna run and hide
I'll
keep it all locked up inside but I just want you to find me
I'm
not lost, I'm not lost, just undiscovered
(James
Morrison, Undiscovered)
Blaise
sedette sul divano, accanto a Neville. Il calore che proveniva dalle
fiamme del camino lo fece sentire meglio ancora una volta. Erano
rincasati circa mezz'ora prima e guardando l'orologio appeso al muro,
il ragazzo constatò che erano le tre e mezza del mattino.
Erano
rimasti al cimitero esattamente tre ore, ma gli era parso molto,
molto di più. Aveva i muscoli del corpo intorpiditi dal freddo
e dall'acqua che si era preso, sopratutto quelli delle braccia (che
fino a quando non era crollato, avevano stretto Mathias senza sosta).
Aveva
dato a Neville degli asciugamani ed una coperta; stava per
domandargli anche se avesse voluto farsi una doccia ma non l'aveva
fatto. Sarebbe stato troppo strano.
I
capelli umidi del Grifondoro erano stati frizionati dal panno
asciutto, che ora pendeva intorno al suo collo. Si stringeva nella
coperta che gli era stata data, mantenendosi vicino il fuoco affinché
le ossa si riscaldassero come la pelle. Aveva asciugato i vestiti con
un incantesimo, ma non ce n'era uno per scacciare anche il freddo. Si
erano beccati un bell'acquazzone, entrambi.
Il
riverbero delle fiamme illuminava il volto dei due giovani maghi che,
poco a poco, iniziarono a scrutarsi a vicenda, ma in silenzio.
Nessuno dei due avrebbe mai dimenticato quella vigilia, per svariate
ragioni.
"Sta
dormendo" soffiò piano, Blaise, la voce cullata dal
crepitio delle fiamme.
Neville
annuì piano, socchiudendo gli occhi.
"Credo
gli stia salendo la febbre. Non ne sono molto sicuro, non... non ho
mai avuto a che fare con queste cose ma... credo che avrei dovuto...
non lo so, prevederlo. Voglio dire, dopo tutta quell'acqua, la febbre
mi sembra il minimo"
"Non
avresti dovuto fare niente di più di quello che hai fatto,
Blaise" abbozzò un sorriso stanco, i capelli arruffati
intorno al volto dalle linee morbide.
"Davvero?"
fu sarcastico, ma solo contro se stesso.
"Davvero.
Anche se tu non lo pensi, l'hai aiutato. Mathias non dimenticherà
questa serata, ti puoi fidare"
Blaise
affondò il volto nelle mani, sospirando profondamente. Adesso
che si era seduto, cominciava ad accusare anche lui una notevole
stanchezza.
"Cosa
faccio se si ammala sul serio?" le parole vennero in parte
soffocate dai palmi che premevano sulla bocca.
"Abbiamo
tutti avuto la febbre, Blaise"
"Io
solo quando ero bambino e non ricordo come venivo curato. Facevano
tutto gli elfi"
"Potresti
preparare una pozione" Neville parlava in modo placido ed un po'
roco, le palpebre socchiuse sugli occhi, la pelle del volto
illuminata di una morbida luce arancione, quella delle fiamme.
"Non
ho mai fatto pozioni di questo genere e non conosco gli ingredienti,
anche se posso avere un'idea di cosa utilizzare..."
"Li
conosco io. Ma devo andare a casa a recuperarli, al massimo te li
faccio recapitare dal mio gufo"
Blaise
tolse le mani dal viso ed inchiodò Neville con uno sguardo
oscuro. Il Grifondoro vide delle ombre passare sul volto dell'altro e
corrugò la fronte, avvertendo improvvisamente un certo
disagio.
"Resta"
Sfarfallò
le ciglia, credendo di aver capito male. Non che il Serpeverde avesse
tentennato nel fare quella richiesta, anzi... del resto, non sarebbe
stato nella sua natura; tuttavia Neville aveva percepito una sorta di
insicurezza nella voce. Ma forse era stata solo una sua impressione.
In
realtà, nemmeno Blaise sapeva cosa diavolo stava facendo o
cosa gli fosse passato per la testa. Ma se avesse detto che la bocca
s'era mossa prima del cervello, avrebbe mentito. Era arrivato il
momento della resa dei conti e pure le pietre sapevano che quando lui
prendeva una decisione, non c'era verso di farlo tornare indietro.
"Cosa?!"
esclamò il Grifondoro, con aria quasi tramortita.
"Perché
devi mandare il tuo gufo per farmi avere degli ingredienti?"
Blaise era rimasto immobile, con le mani sospese a pochi centimetri
dal volto, la schiena ancora piegata in avanti ed i gomiti poggiati
sulle ginocchia.
"No,
non deve essere per forza così, l'ho detto solo perché
pensavo di-"
"Pensavi
che tornare qui non sarebbe stato così facile, no?" il
suo tono fu un po' sprezzante.
"Ma
che diavolo dici?!"
"E'
così quando devi rendere conto a qualcuno oltre te stesso, lo
capisco"
"Blaise,
se non avessi passato tutto il tempo con te potrei pensare che hai
bevuto" Neville allentò la presa sulla coperta e sgranò
gli occhi, completamente nel pallone. Non aveva idea di cosa stesse
passando per la mente del Serpeverde. Neanche la più vaga.
"Lo
so che c'è" insisté l'altro, perso in una
consapevolezza tutta sua che il Grifondoro non riusciva ad afferrare.
"C'è
cosa? Non guardarmi così, non riesco a capire cosa ti
sta facendo arrabbiare!"
"Non
sono arrabbiato!"
"No
certo, ed io ho rinunciato alla carriera di cercatore per fare
l'erbologo!" Neville schioccò seccamente la lingua contro
il palato, ben lungi dall'essere ancora quel ragazzino che invece di
rispondere a tono si impappinava nelle sue stesse parole.
"Non.
Sono. Arrabbiato" scandì Blaise, guardandolo con estrema
convinzione (la sua). Ma l'altro non mollò la presa.
"Non
provare a troncare il discorso proprio adesso, sei tu ad essertene
uscito blaterando delle assurdità e non ti lascerò fare
come tuo solito!"
"Come
mio solito cosa?!"
"Cambi
discorso come meglio credi o glissi finché quello con cui
parli non si stufa di insistere e va oltre per disperazione!"
Blaise
arcuò le sopracciglia con aria fintamente lusingata.
"Non
credevo di saper indurre alla disperazione così facilmente"
"Lo
stai facendo anche ora!" "Che cosa?"
"Stai
glissando!" Neville allargò le braccia con esasperazione,
ma il gesto fu nascosto dalla coperta pesante che lo avvolgeva. Le
guance avevano assunto una deliziosa tonalità accesa, ma la
causa poteva anche essere il camino così vicino.
"Non
è vero" dichiarò Blaise, con un tono che lasciava
intendere la fine del discorso. Distolse lo sguardo e lo piantò
sulle fiamme, incrociando le braccia contro il petto. Neville non
poteva credere ai suoi occhi... stava davvero facendo l'infantile con
lui?! L'aveva già visto assumere atteggiamenti che poco si
sposavano con la sua indole così maledettamente razionale, ma
mai con lui! Strinse brevemente le labbra e si intestardì
ancora di più.
"Dimmelo!"
"Niente!"
"Blaise,
dimmelo!"
"Non
me lo ricordo!"
"Bugiardo,
dimmelo adesso!"
Neville
allungò una mano ed afferrò il polso del Serpeverde in
un gesto del tutto istintivo, senza abbassare lo sguardo per un
attimo, perché sapeva che perderlo di vista avrebbe dato a
Blaise la possibilità di ideare un piano di fuga. Tuttavia,
non si rivelò una mossa molto brillante.
Il
Serpeverde tirò indietro il polso imprigionato dall'altro,
sbilanciò Neville in avanti e quando gli fu praticamente
addosso, con la mano libera racchiuse la parte bassa del suo volto,
parlandogli praticamente sulle labbra con una stizza così
gelida che il Grifondoro non si sarebbe mai aspettato.
"Perché
due forchette?"
Forchette.
Oh Dio, l'odore del bagnoschiuma di Blaise. Sapeva di pulito e gli
faceva venire voglia di affondare la faccia nell'incavo del suo
collo! Forchette.
La pelle scura come il cioccolato, sembrava così morbida e
liscia, così da morso! E se l'avesse morso? La faccenda era
seria, perché voleva farlo. Voleva morderlo. Forchette.
Sentiva il contatto delle dita che lo stringevano sulle mascelle,
lasciare impronte ardenti; ognuna gli bruciava la pelle dove la
falange affondava senza troppa irruenza, ma con decisione. Si era
sempre chiesto come sarebbe stato stringere le mani di Blaise... ma
se erano loro a stringere lui, andava bene comunque. Due
forchette?
E, dannazione, doveva smetterla di fissarlo così! D'accordo,
forse era un ragazzo un po' timido ma non è che fosse immune a
certe provocazioni, perché quella lo era! Lo era eccome!
Perché Blaise doveva essere sempre così
Blaise?
Se l'era già chiesto un'altra volta, ma non aveva ancora
trovato una risposta. Come
sarebbe a dire due forchette?
E comunque poteva anche smetterla di respirargli così vicino,
con tutto il diavolo di caldo che faceva lì dentro, gli
sembrava il caso di starsene così appiccicato? Coperta? E chi
diamine aveva bisogno di una coperta? La allontanò malamente,
con distrazione. Che
c'entravano le forchette?
Sì ma non andava per niente meglio. Era troppo vicino e gli
sembrava di sentire caldo anche nelle orecchie. E non poteva
strapparsi le orecchie, no? Anche perché non aveva le mani.
Cioè, sì, le mani ce le aveva, ma stavano facendo
altro. Tipo testare la muscolosità imbarazzante delle spalle
di Blaise. Merlino benedetto, era stato uno scempio coprirle con la
maglia del pigiama. Che diavolo gli era passato per la testa? Chi gli
aveva detto che poteva vestirsi in casa sua? Erano solide però.
E calde. E solide. E non avrebbe mai più usato delle
forchette. Se le forchette lo facevano arrabbiare, fanculo le
forchette! Le avrebbe bruciate tutte una volta tornato a casa, ed
avrebbe riso nel mentre. Una risata malvagia. Cattiva.
Oddio,
perché indossava ancora la stupida maglietta dello stupido
pigiama?
"Preferisci
le bacchette cinesi?"
Blaise
si avventò sulle labbra di Neville come avesse aspettato fino
ad allora un semplice pretesto. Non fu gentile, fu piuttosto
irruente, si impose su di lui come si imponeva sulla vita, gli morse
il labbro inferiore soltanto con il fine di fargli schiudere la bocca
e quando questo accadde, si infiltrò in quel calore pulsante
con una lingua pretenziosa.
Neville
registrò distrattamente le mani di Blaise che gli afferravano
interamente il volto con decisione, perché il resto del suo
cervello era intento ad imprimere la sensazione che si poteva avere
nell'affondare le mani nei suoi capelli scuri.
Non
c'era dolcezza, c'era la frenesia che entrambi avevano covato per
giorni e che finalmente era stata liberata; non potranno quindi
esserci parole romantiche per raccontare come fu esattamente quel
bacio. Va descritto con schiettezza, perché anche quella ne
faceva parte.
Le
labbra di Blaise erano morbide e sembravano volerlo mangiare,
dall'intensità e la mancanza di pudore con le quali divoravano
la sua bocca.
Come
non sarebbe dovuto esserci un maledetto domani.
Lo
suggeva con impeto, lo esplorava, lo conosceva, lo voleva.
Neville
mugugnò qualcosa di così poco importante che non vale
neanche la pena riportare.
Come
volesse rendere quel contatto ancora più intimo e sfrontato
e profondo,
Blaise si tese verso di lui, costringendolo ad indietreggiare finché
non si ritrovò con le spalle costrette contro il divano.
Neville
si accorse di averlo sopra di lui solamente quando avvertì le
dita fredde del Serpeverde esplorare ciò che c'era oltre il
bordo della maglietta; mugolò per la sorpresa, ma i suoi
vaneggiamenti furono soffocati ancora una volta dalla bocca di Blaise
che gli leccava le labbra, gli lasciava una scia di baci umidi sulla
mascella e si avventava sul collo, potendo scoprire finalmente cosa
si provava nell'affondare i denti in quella pelle così
maledettamente candida che per notti l'aveva destato in un bagno di
sudore, con un'allegria in corpo davvero inopportuna per essere solo
le tre (o cinque) del mattino.
Neville
arcuò la schiena quando un brivido incontrollabile lo
attraversò lungo la spina dorsale fino a raggiungere
l'inguine.
Blaise
aveva perso il controllo e lo stava facendo perdere velocemente anche
a lui.
In
quello stesso istante, il Serpeverde ne approfittò per far
scivolare entrambe le mani sotto la maglietta del Grifondoro,
guidandole lungo la spina dorsale a saggiarne le vertebre con i
polpastrelli. Oddio,
Neville era così morbido e la sua bocca sapeva di qualcosa di
dolce ed era così caldo e le guance rosse e lentigginose ed i
capelli sulla fronte e l'incavo del suo collo e porco
di quel Salazar eremita del cazzo.
Lo
voleva lì, sul divano, in quell'istante.
Non
ci stava capendo più un accidente! Il suo sapore, il suo
odore, l'avevano mandato letteralmente al manicomio.
Non
aveva mai perso il controllo così. Mai. Solo che in quel
momento gliene sbattevano altamente le palle del maledetto controllo.
Gli avrebbe strappato i vestiti di dosso e l'avrebbe preso come
diavolo voleva lui.
Neville
fece scorrere le mani sulle sue braccia, odiando a tal punto le
maniche della maglia del pigiama che ringhiò frustrato.
La
lingua di Blaise risalì lungo il suo collo, seguendo la scia
di una vena sottile e raggiunse l'angolo che c'è tra la
mascella e l'orecchio, mordendolo con leziosità.
"Adesso
resti?"
La
sua voce calda ed arrochita d'eccitazione gli accarezzò
l'orecchio, provocando un intenso tremito che gli causò la
pelle d'oca. Socchiuse gli occhi verso il soffitto bianco, le mani
impegnate nell'intento di far sparire una volta per tutte
quell'odiosissimo pigiama; schiuse le labbra ma la sensazione delle
dita bollenti di Blaise che lo tenevano saldo per i fianchi, gli
impediva di recuperare lucidità.
"Non
volevo andarmene" mormorò, voltando la testa verso di
lui, ritrovandosi a parlare contro la sua guancia liscia.
Il
Serpeverde abbassò le palpebre, sentiva letteralmente il
sospiro caldo di Neville rotolare sulla sua pelle. Le sue dita
affondarono maggiormente nel mare soffice dei suoi fianchi; dovette
inspirare profondamente, per evitare di voltarsi e ricominciare a
brutalizzare quella bocca come aveva fatto fino a quel momento. C'era
una cosa che doveva sapere, prima. Poi avrebbe continuato a
molestarlo.
"Non
ti importa di quello che lei potrebbe dire?" replicò,
senza guardarlo. Una morsa d'acciaio lo afferrò per lo
stomaco, ma non disse altro.
"Lei
chi?"
Neville
intrufolò una mano tra i loro corpi e cercò il contatto
con il volto di Blaise. Gli sfiorò una guancia, ma lui non lo
guardava, sentiva ancora il suo respiro vicino l'orecchio. Il suo
tocco si fece più deciso, voleva vederlo, voleva capire una
volta per tutte cosa diavolo gli passasse per la testa perché
il germe di un dubbio si era insinuato nella comprensione di Neville
e se veramente quel germe aveva ragione, doveva troncare
quell'ipotesi sbagliata sul nascere. Doveva farlo subito.
Con
gentile fermezza, costrinse Blaise a voltare la testa verso di lui e
quello che vide nei suoi occhi fu incertezza.
Di
nuovo, Neville non si sarebbe mai aspettato di vedere un sentimento
del genere provenire proprio da un tipo come Blaise. Lui, il maniaco
del controllo, il sempre composto mai casuale Zabini, quello
machiavellico che otteneva solitamente con facilità ciò
che voleva, quello dalla risposta sempre pronta che anelava ad avere
l'ultima parola su tutto. Quel genere di persona che non poteva
davvero essere insicura di qualcosa! E, francamente, non ci credeva
neanche un po'. Non credeva che proprio lui, Paciock l'imbranato,
potesse essere la causa di un simile fenomeno astrologico,
astrofisico, fantascientificamente catastrofico. La fine del mondo
era vicina e lui non ne aveva saputo niente?
"Blaise,
ma fai sul serio?"
Il
Serpeverde corrugò la fronte. Non si aspettava una risposta
del genere. Sopratutto non se il tono che il Grifondoro aveva usato
era da ma
guarda te 'sto deficiente.
"No...
no va bé!"
Iniziò
a ridere come un ebete, cercando di soffocarsi da solo per non
svegliare Mathias. Il fatto che Blaise lo stesse praticamente
uccidendo con gli occhi non fece altro che aumentare il suo
divertimento.
No,
sul
serio!
Blaise non stava scherzando! Si schiaffò le mani sulla bocca,
cercando di darsi una calmata, un contegno, perché era sicuro
che Blaise gli avrebbe stretto le mani attorno alla gola per
ucciderlo se avesse continuato a ridere così. Ma era più
forte di lui, non ce la faceva proprio! Strinse gli occhi, la pancia
che gli doleva per lo sforzo di essere il più silenzioso
possibile.
Oh
per Merlino, era geloso!
Blaise era geloso di
lui!
Questa consapevolezza lo gasò tantissimo. Si sentì
potente, invincibile ed anche fico, se propri vogliamo dirla tutta.
Godric sacrosantissimo, aveva nutrito qualche speranza quando aveva
ingegnato quel piccolo piano malvagio quasi due mesi prima, ma
davvero, neanche nelle sue più rosee aspettative avrebbe
sperato che finisse così! Blaise era geloso e lui se la stava
godendo alla grande, stava gongolando come un porco e sapeva che
avrebbe dovuto darci un taglio ma ogni tanto voleva pure gioire delle
sue scarse vittorie! E quella era stata clamorosa! Merlino quanto si
sentiva potente.
Dal
canto suo il Serpeverde, innervosito da quella che aveva interpretato
come un'umiliazione bella e buona, liberò il corpo del
Grifondoro dal suo peso e si mise seduto sul divano il più
distante possibile, assalito da un improvviso freddo. Di scatto, con
movimenti stizziti che celavano una sorta di incazzatura profonda,
sfilò la coperta da sotto il corpo di Neville e se la gettò
addosso, senza lasciarne un pezzettino disponibile. L'avrebbe fatto
morire di freddo quel maledetto fedifrago e poi l'avrebbe sepolto in
giardino a ci avrebbe fatto crescere sopra un albero di banane.
Iniziò a vagliare tutte le maledizioni di cui era a
conoscenza, indeciso su quale fosse più dolorosa. Certo,
probabilmente dopo sarebbe stato definitivamente sbattuto ad Azkaban,
ma ne sarebbe valsa la maledetta pena. Non avrebbe mai negato che,
sì! Lui
aveva ucciso Neville Paciock ed aveva provato gioia nel farlo! Tutto
il mondo doveva sapere che era merito
suo,
che lui aveva posto fine alla sua inutile vita!
"Blaise..."
Neville si era messo seduto e lo guardava con un'espressione che era
un misto tra colpevolezza e divertimento, le labbra che ancora
tremavano per colpa di risate che volevano uscire. Quindi si sentiva
in colpa ma ne era comunque divertito! Vaffanculo l'albero di banane,
ci avrebbe costruito sopra una maledetta piscina.
"Blaise!"
"Che
vuoi?" soffiò, come un gatto incattivito.
"Non
fare il bambino!"
"Prego?"
lo fulminò con un'occhiata da maledizione senza perdono.
"Okayokayokay,
niente! Comunque, credo tu ti sia fatto un'idea sbagliata..."
"Ah
davvero? Ma non dirmelo" si ostinò a stringere la
coperta, senza guardarlo. Ma la coperta aveva l'odore di Neville e
Blaise non avrebbe potuto sopportarlo a lungo.
"Non
conosco nessuna lei
che potrebbe farmi la ramanzina se rientro tardi a casa..."
"Mh"
"E
non c'è nessun lui
in grado di dirmi cosa posso o non posso fare..."
"..."
"Ma
se tu mi spiegassi cosa c'entrano le forchette in tutto questo
delirio, forse potrei aiutarti a vedere la situazione da un'altra
prospettiva"
Blaise
gli lanciò un'occhiata bieca, soffermandosi particolarmente
sulla bocca rossa e gonfia di baci. Era merito suo! Un sorriso felino
gli piegò le labbra quando vide Neville arrossire. Ben gli
stava!
"Quando
sono venuto a prendere Mathias a casa tua, nel lavello c'erano dei
piatti sporchi. Due. E c'erano anche delle forchette. Due" calcò
bene la parola due, cosicché fosse palese la
conclusione dei fatti.
"E
quindi?" il Grifondoro sbatacchiò le palpebre con aria
interdetta. La sua mente non era diabolica come quella di Blaise.
"Quindi,
Paciock? Con chi vivi?"
"Ti
sei incastrato il cervello su delle forchette?" le labbra
tremarono di nuovo, ma Neville si fece violenza pur di non darlo a
vedere: avrebbe altrimenti firmato la sua definitiva condanna a
morte.
"Stai
evitando la domanda"
"Non
sto evitando la domanda, sto solo cercando di accettare il fatto che,
per Godric, ti sei incastrato il cervello su delle forchette!"
Blaise
sbuffò infastidito.
"Perché
non rispondi e basta invece di incastrarti sul fatto che mi sono
incastrato su delle forchette?"
"Perché
non puoi aver sollevato tutta questa problematica per delle
forchette! E se ne avessi usate due perché sono schizzinoso?"
Blaise
allargò gli occhi, incredulo. Ma che diavolo... aveva
parlato con Draco?!
"Stai
offendendo la mia intelligenza" replicò, gelidamente.
"Disse
quello che si era incastrato su delle forchette!" rispose
l'altro, arcuando con eloquenza le sopracciglia.
Il
Serpeverde si alzò dal divano, lasciando ricadere la coperta a
terra. Era infastidito, si sentiva preso in giro e si sentiva anche
stupido, perché Paciock aveva ragione. Non poteva davvero
essere andato in crisi per delle stupide posate. Ma cosa gli aveva
detto il cervello? Merlino com'era imbarazzante tutto quello, non lo
sopportava! Gli lanciò un'occhiata, prima di aggirare il
divano.
"Vado
a dormire. Tu fa come ti pare" disse, con tono di voce
incolore. Aveva già lasciato trapelare abbastanza, quel
giorno.
“No
dai, scusami!” sentì dire dal divano, ma non si voltò,
continuando a camminare verso la sua camera, aggiungendo un
diplomatico “Buona notte”.
Neville
dovette alzarsi velocemente, per impedire che Blaise lo mollasse lì
per davvero come un babbeo. Con movenze un po’ goffe, perché
lui alla fin fine era quel che era, gli si piazzò davanti con
espressione dispiaciuta. Blaise lo trafisse con uno sguardo di
acciaio, sembrando per nulla incline a lasciarsi fermare da lui. Il
Grifondoro pensò che l’avrebbe calpestato, pur di
passare; sapeva perfettamente che Blaise era un tipo abbastanza
permaloso, quindi se l’era cercata. E dato che se l’era
cercata, stava a lui mediare alla situazione. Quando aprì
bocca per parlare, utilizzò il tono più sincero e serio
che avesse. Perché rivivere quella discussione una seconda
volta l’avrebbe gettato nel baratro dell’imbarazzo più
profondo.
“Vivo
con qualcuno, Blaise”
“Questo
l’avevo capito”
Il
francese sibilò infastidito. Lo sapeva, eppure sentirselo dire
così era un’altra cosa. Veder confermare le sue
supposizioni con tanta tranquillità, gli aveva fatto sentire
il sapore della bile in bocca. Per fortuna, era una persona calma,
che non cedeva alle manie di gelosia. Non aveva nessun diritto su
Neville e non lo aveva anche per porgli domande del genere. Però,
quando l’aveva baciato, era stato ricambiato (anche abbastanza
allegramente,
avrebbe azzardato a dire). Neville aveva partecipato eccome a quello
scambio di... opinioni. E quindi? Qualcosa doveva pur significare,
no? Oppure Blaise si stava comportando come la classica ragazzina di
turno che costruiva castelli per aria, inventandosi di sana pianta
storie infinite nella sua testa? La sola possibilità che
potesse far parte di quella categoria di persone, lo fece
rabbrividire disgustato. Mai
si
sarebbe abbassato a sospirare con aria sognante e a scrivere il nome
di Neville ovunque, contornato da cuoricini. Mai.
Corrugò la fronte... come diavolo era arrivato a pensare ai
cuoricini?
“Quel
qualcuno si chiama Alberic. È una persona che mi sta molto a
cuore e gli voglio un bene dell’anima...” la voce pacata
di Neville lo riportò alla realtà. Sbatté le
palpebre, concentrandosi su di lui.
“Commovente”
commentò, muovendo la lingua contro voglia sul palato.
“...
ed è mio cugino. Si trova qui a Londra per studio, mi sono
offerto di ospitarlo perché non può permettersi di
pagare un alloggio, oltre la scuola”
Colpito-affondato.
Suo
cugino.
Neville
viveva con suo cugino.
Perché
l’ipotesi che il ragazzo potesse aver ospitato qualche amico,
quella sera, o che potesse vivere con un maledetto parente non gli
aveva mai neanche sfiorato la mente? Aveva pensato subito alla
possibilità più catastrofica. E perché non ci
aveva pensato nemmeno Draco? Era anche colpa sua, si disse; si
sarebbe vendicato su di lui, considerando che con qualcuno doveva pur
prendersela! Doveva giustificare la totale stupidità con la
quale aveva fatto fronte alla situazione; aveva covato i suoi dubbi
segretamente, alimentandoli sempre più con pensieri che non
avevano fatto altro che allevarli nella luce sbagliata della
prospettiva di cui Neville ora parlava. Restò immobile davanti
a lui, respirando piano.
“E’
tuo cugino” ripeté, cercando di salvare quella poca
faccia che gli era rimasta.
“Sì
Blaise, è mio cugino”
“Non
è qualcun altro”
“Non
è nessuno con il quale sia solito fare...” Neville
gesticolò con aria imbarazzata verso il divano e passò
la mano dietro il collo con le guance accaldate. A Blaise quelle
guance facevano venire voglia di smetterla di fare l'offeso.
“Fare?”
insinuò, senza pietà, perché offeso lo era
ancora e Neville avrebbe dovuto pagare per le risate che si era fatto
a spese della sua dignità.
“Merlino,
non bacio mio cugino così!”
sbottò, avvampando fino alla radice dei capelli arruffati.
“Vuol
dire però che lo baci?”
“Come
si baciano i cugini!”
“E
come si baciano i non
cugini?” socchiuse le palpebre e lo sguardo divenne
provocatorio come il sorriso obliquo che lo accompagnava.
“Mi
stai mettendo in imbarazzo!”
“Lo
so, credo che la tua faccia scomparirà per autocombustione tra
quattro, tre, due...”
“Stronzo,
lo stai facendo a posta!” gli mollò una manata sul
braccio, ma avrebbe volentieri scavato una fossa nel terreno finché
non fosse arrivato in Cina; doveva scegliere tra quello o morire
presto per la vergogna.
“Non
posso proprio nasconderti niente” lo sbeffeggiò il
Serpeverde, “Sei una volpe”
Ecco
Blaise, hai avuto le tue risposte e adesso? Come esci da questa
situazione, possibilmente salvando anche la faccia?
Piegò con capriccio le labbra, inclinando di poco la testa da
un lato, con aria assorta. La risposta sembrava essere una sola.
“Considerando
i fatti in nuova luce, possiamo anche riprendere da dove abbiamo
lasciato”
“Cos-”
Neville
non poté mai finire di pronunciare la frase, perché le
labbra di Blaise incollate alle sue gli tolsero tutto il fiato di cui
disponeva.
NOTE DELL'AUTORE:
TA-TA-TA-TAAAN! L'ho betato da cima a fondo e se pubblico così
tardi è perché ho modificato un bel po' di cose.
Diciamo che rileggere i capitoli dopo parecchi mesi che li hai
scritti te li fa guardare sotto una nuova luce (o prospettiva, tanto
per restare in tema con il titolo, ahahah! :D) Finalmente Blaise e
Neville si fanno una sana limonata, lo so che la stavate aspettando
trepidanti da ben QUINDICI e dico QUINDICI capitoli. Alla faccia del
'abbiate un po' di pazienza' eh? Ahaha spero di non essere risultata
stucchevole o troppo poco naturale, diciamo che questo genere di
scene non sono il mio fiore all'occhiello ;) Vi lascio immaginare
sino a che punto arriveranno dopo aver ripreso da 'dove si erano
interrotti' :p Siamo al sedicesimo capitolo, sono passati
praticamente due mesi, qualcosa doveva pur succedere prima o poi! Ma
il bello deve ancora venire :) Ringrazio immensamente chi ogni volta
commenta questa storia con tanta pazienza, chi la legge in
silenzio, chi la segue, la preferisce e la ricorda:
siete tutti così fantastici che non posso descrivervi. Ci
terrei però a fare un ringraziamento molto particolare a
BogartBacall aka Alice, che mi ha gettata nel baratro
dell'imbarazzo più totale segnalando addirittura questa storia
da inserire tra le scelte. Cioè, io davanti a queste cose mi
metto a frignare in modo indecente, come faccio a salvare la mia
immagina nonché reputazione di Serpeverde?! Accipicchia donna,
come mi hai ridotta: ad una gelatina insulsa senza volontà.
Grazie mille davvero...
Un abbraccio forte a tuuutti tutti!
|
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Capitolo 17 *** Capitolo 18 ***
DICIOTTESIMO
CAPITOLO
If
this is all there is
Then
this is all there can be
Cause
I don't see no road
That
leads to you, and me.
Paved
the way on empty roads
Into
a gray of old headstones
And
the path you take might be your own
(Streets
of Gold, 30H!3)
“Non
ci penso nemmeno!” indietreggiò con titubanza,
altalenando gli occhioni increduli dall'uno all'altro.
Non
l'avrebbe fatto, nossignore! Perché era sempre lui quello che
finiva per fare il lavoro sporco?!
“Non
puoi tirarti indietro” lo vezzeggiò la sua voce,
carezzevole come il sibilo di un serpente non proprio innocuo.
“Perché
non lo fai tu?!” rispose per le rime, sentendosi praticamente
braccato. Come ci era finito in quella situazione?
“Perché
voglio farmi due risate, coff”
Blaise
si strinse con leggerezza nelle spalle, sulle labbra un sorriso
maledettamente serafico.
“Scusa,
che hai detto?!”
“Ho
detto: dove diavolo è finito il leggendario coraggio di cui
voi Grifondoro andate tanto fieri?”
Neville
si indispettì, se possibile, ancora di più. Sempre con
quest'orgoglio Grifondoro di qua ed orgoglio Grifondoro di là!
Era un vizio!
“L’ho
esaurito tutto quando ho ammazzato la lucertola di Voldemort!”
rispose lapidario, incrociando le braccia contro il petto, fermo
sulla sua posizione. Quando diceva no, era no.
“Ah,
quello è stato un colpo da maestro, te lo devo dire Paciock”
Blaise lo graziò di quel riconoscimento con parole garbate e
cristalline. Era una constatazione, quella. Ma Neville non si lasciò
raggirare, cominciava a capire bene come funzionavano gli ingranaggi
che muovevano la mente del Serpeverde.
“Oh,
grazie Blaise, avrai saputo anche della spada che ho usato! La
possono impugnare solo i veri Grifondoro, quindi è inutile che
tenti di premere su questo tasto perché qualsiasi cosa dirai,
quella spada è la conferma di ciò che sono davvero!”
Blaise
sfoggiò un'espressione ammirata, annuendo lentamente in segno
di comprensione. Ma Neville sapeva che c'era dell'altro. C'era
sempre,
con lui!
“Mh-mh.
Mi chiedo se saresti in grado di impugnarla anche adesso...”
commentò infatti, facendo scivolare con studiata casualità
le parole sulla lingua. Il Grifondoro corrugò la fronte.
“Che
vorresti dire?!”
“Guardalo!”
Mathias
avanzò al momento giusto e sfarfallò le ciglia,
sporgendo il labbro inferiore con una malvagità
di
cui Neville non riusciva a capacitarsi. Non era giusto, semplicemente
non
era giusto il
modo in cui riusciva a farlo sentire in colpa!
“Con
quale coraggio infrangi i sogni di un povero bambino innocente?”
ci mise il carico sopra, Blaise, senza nessuna pietà.
“Con
lo stesso coraggio che il tuo simpaticissimo ed adorabilissimo
amichetto Malfoy mi ha gentilmente sottratto durante la nostra prima
lezione di volo!”
Il
Grifondoro distolse lo sguardo da loro e si incaponì ad
osservare una nuvola. Erano belle, le nuvole. Avevano un sacco di
forme strane, a volte buffe, così soffici...
“Non
ti facevo tipo da restare così attaccato al passato. Butta
l’ascia di guerra ed insegna a Mathias come si cavalca un
scopa!”
Così
leggiadre, sospinte dal ven-... Neville allargò il occhi,
spalancando la bocca. Non poteva crederci! Arrossì fino alla
punta delle orecchie, osservando il modo provocatorio e saputo con il
quale le labbra di Blaise si erano tese. Era stato indecente,
indecente!
Il
tono di voce che aveva usato per ‘come
si cavalca una scopa’ era
stato indecente! Erano in presenza di un bambino, dannazione, come
aveva potuto?!
“Sei
proprio senza vergogna!” sputò indignato, accompagnando
le parole con un'occhiata di commiserazione. Purtroppo per lui,
Blaise, aveva una faccia di bronzo così scolpita che di
commiserazione gliene sarebbe servita a vagonate, prima di riuscire
ad offenderlo almeno un po'.
“Non
so di cosa tu stia parlando”
“Invece
lo sai benissimo!”
Il
Serpeverde osservò le unghie perfette, controllando che
fossero rimaste tali.
“Vaneggi”
sentenziò, con leggerezza.
“Ti
piacerebbe!”
Con
una faccia da gnorri totale, Blaise spinse delicatamente la schiena
di Mathias, facendogli compiere un passo in avanti; in tutto ciò,
il bambino non aveva smesso un attimo di corrompere la coscienza di
Neville con espressioni che avrebbero fatto uggiolare di tenerezza
pure Draco Malfoy. Neville trattenne il respiro,
indignato da
quella coalizione che mai, mai si sarebbe aspettato. Aveva fatto male
ad aiutarli, malissimo. Se quelli erano i risultati, significava che
s’era scavato la fossa da solo! Incrociò le braccia al
petto e tornò a guardare altrove, esaminando il grande prato
soleggiato; proprio come avevano previsto, era domenica e c’era
bel tempo. Significava che la promessa fatta a Mathias il giorno di
Natale, andava mantenuta. Bé, in realtà era stata una
proposta
ma
considerando come il bambino aveva rigato dritto nell’assumere
le pozioni senza fiatare, s’era guadagnato per diritto quella
giornata. E pensare che era stato lui stesso ad avere quell’idea.
Maledizione al suo vizio di non stare mai zitto; perché non si
era fatto gli affari suoi una buona volta?! Abbassò lo sguardo
sul suddetto interessato quando lo sentì tirare una manica del
suo cappotto. Con riluttanza, lo guardò negli occhi,
inconsapevole di star così firmando la sua condanna. Dei
lunghi secondi passarono nel silenzio, durante i quali Neville e
Mathias rimasero a scrutarsi piuttosto intensamente.
Un
secondo
Due
secondi
Tre
secondi
Quattro
secondi
Cinque
secondi
Sei
secondi
Sette
secondi
Otto
secondi
Nove
secondi
Dieci
secondi
Undici
secon-
“Oh,
diavolo, va bene! Basta che la smetti di guardarmi così!”
“Neville,
lo sapevo che sei il migliore del mondo!”
Reggendo
sotto braccio la sua nuova scopa fiammante, Mathias trotterellò
in mezzo al prato con un sorriso che gli partiva da un orecchio e
finiva all’altro. Neville rimase immobile qualche altro
secondo, con espressione profondamente interdetta.
“Perché
ho la sensazione di essere appena stato preso in giro da un bambino?
L’ha detto con troppa enfasi...”
Blaise
annuì lentamente a quella consapevolezza, con una faccia che
la diceva assai lunga di cosa ne pensava al riguardo.
“Benvenuto
nel club”
C’era
da ridere, sul serio.
Neville
sembrava avere a che fare con un mostro, anziché con una
scopa. La guardava con diffidenza e la toccava solo se strettamente
necessario. Di certo non era uno dei suoi mezzi di trasporto
preferiti e Blaise non faticava a capirne il perché; del
resto, non piaceva molto anche a lui e quello era uno dei motivi per
i quali aveva riversato il lavoro sporco (leggasi insegnare a Mathias
come volare) sul Grifondoro (quello, in aggiunta alla prospettiva di
vedere come Neville se la sarebbe cavata in un’impresa del
genere). Blaise non credeva che le parole sarebbero mai valse come le
scene cui assistette. Avvertiva i muscoli della faccia praticamente
paralizzati dal dolore, nel tentativo di non buttarsi a terra e
ridere come non aveva mai fatto in vita sua.
Paciock
era proprio imbranato
e
goffo
e
così
carino quando
si impegnava a fare qualcosa che chiaramente non gli piaceva e che di
certo non era il suo forte. Però, diavolo, si impegnava
davvero, era da riconoscerlo.
Fatto
sta che, comunque, era riuscito a far sollevare Mathias di qualche
centimetro dal terreno, la qual cosa aveva mandato letteralmente il
bambino in visibilio. Ciondolava le gambe avanti ed indietro, come
volesse far muovere la scopa in quel modo e nel frattempo incitava
Neville a spiegargli altre cose perché voleva raggiungere lo
spazio
e
voleva farlo subito.
Il
Grifondoro sbiancò davanti a quelle pretese ed anziché
incoraggiare l’intraprendenza di Mathias, cercò di
riportarlo a terra con tutte le buone e sante ragioni. Ma Mathias
voleva verificare se gli alieni esistessero davvero e con una scopa
niente e nessuno avrebbe potuto fermarlo!
La
faccia cianotica di Neville causò un altro spasmo ai muscoli
facciali di Blaise che, da una panchina non molto distante, si stava
godendo la scena.
Erano
stati molto attenti nella scelta del luogo e per sicurezza avevano
gettato qualche incantesimo qua e là che allontanasse i
curiosi (leggasi babbani).
Quando
il bambino riuscì a capire (da solo) come far almeno
avanzare
la scopa, Neville iniziò a (in)seguirlo a rotta di collo per
tutto il prato, pregandolo, per
l’amor di Godric, Mathias!
di rallentare un attimo e di starlo a sentire perché non era
così
bello
come pensava, puoi
farti male se non sai certe cose!
A
quel punto Blaise dovette cedere per evitare di morire soffocato
perché, davvero, non poteva più resistere! Si prese
tutto il tempo di cui aveva bisogno per farsi una sana e grassa
risata, che durò in verità circa un lungo minuto,
dopodiché si alzò dalla panchina dirigendosi verso di
loro con il sorriso che proprio non voleva sparire dalla faccia.
Erano troppo divertenti!
“Mathias,
direi che è il caso di rallentare davvero” esordì,
seguendo con gli occhi i movimenti incerti ed a zig-zag del bambino
“a meno che tu non voglia la dolorosa morte di Neville per
esserti corso dietro tutto il tempo. Lo sai che presto o tardi finirà
per inciampare in qualcosa e si spaccherà la testa”
“Oh,
grazie Blaise, grazie davvero! Il tuo aiuto è sempre gradito”
biascicò sarcastico, con il respiro corto e gli zigomi
arrossati. Il Serpeverde sorrise con gentilezza.
“Non
c’è bisogno che mi ringrazi”
“Forse
hai ragione...” fu Mathias a parlare infine, mentre saggiamente
decideva di far riprendere fiato a quel povero disgraziato di
Neville, che non
poteva crederci!
si sentì offeso dal fatto che il bambino fosse d’accordo
con Blaise!
“Io.
Vi. Odio. Entrambi. Dico sul serio. Vi odio” scandì con
decisione, tenendosi il fianco con una mano. Non era mai stato
portato per l'esercizio fisico. Era la natura ad essere diventata la
sua vocazione, principalmente perché implicava una certa
sedentarietà.
“Non
è vero” “Bugiiia!” risposero quelli nello
stesso istante. La sorpresa fu tale che, per brevi secondi,
riuscirono a zittirlo.
“Sì
invece. Vi preferivo prima. Quando bisticciavate e non parlavate in
coro come adesso”
“Non
essere nostalgico” “Un’altra bugiiia!”
Neville
optò per un religioso e dignitoso silenzio; era una battaglia
persa e se non era certo di poter affrontare con coraggio una faccia
da schiaffi, figurarsi due! Perché era così che lo
guardavano! Con delle facce da schiaffi!
Sospirando,
prese la saggia decisione di lasciar correre, riprendendo da dove
Mathias l’aveva interrotto.
Blaise
restò qualche minuto con loro ad osservarli mentre,
inconsapevolmente, imprimeva nella sua memoria particolari come i
riflessi più chiari dei capelli di Mathias bagnati da sole, il
modo in cui Neville gentilmente gli suggeriva di reggere la scopa, le
manine inesperte del bambino che cercavano di seguire i suoi
suggerimenti, l’espressione naturale
che
incredibilmente vedeva affiorare sul suo volto e la tristezza che
suoi grandi occhi scuri non riuscivano più a celare.
Mathias
non avrebbe mai potuto superare la morte dei suoi genitori perché,
di fatto, quelle erano cose che non
si
superavano e basta; d’altra parte, forse avrebbe potuto...
No.
La
famiglia cui era destinato, l’avrebbe sicuramente aiutato a
convivere con quel dolore. Se ne sarebbe occupata lei.
Frugò
all’interno del cappotto, estraendo una macchina fotografica
magica; nell’obiettivo inquadrò i due ignari soggetti e
scattò la foto, affinché anche il Grifondoro ne potesse
avere una di lui ed il bambino, da guardare in futuro o magari da
mettere nel cassetto
di un settimino.
Mentre
Mathias e Neville si allontanavano da lui mano a mano che il bambino
riusciva a far avanzare la scopa con un certo controllo, Blaise
strinse i denti senza nemmeno rendersene conto.
Si
stavano allontanando da lui.
Erano
lì, a qualche passo di distanza ma... si
stavano allontanando.
In
futuro, ripensando a quei momenti, Blaise avrebbe capito il
significato di quella sensazione; sarebbe stato in grado di definire
cosa,
esattamente,
si stesse allontanando (la
loro quotidianità, il tempo che avrebbero ancora speso
insieme)...
anche se in quel momento non riuscì a spiegarsi perché
avesse pensato una cosa del genere.
I
capelli di Mathias scompigliati dal vento che, come la prima volta in
cui si erano incontrati, gli davano un’aria da delinquente.
Il
sorriso incerto sulle labbra, nato da quelle piccole vittorie dovute
ai movimenti precisi della scopa.
Gli
occhi grandi, dove assieme alla tristezza si annidava la meraviglia
per un mondo che ancora doveva conoscere.
Il
visetto pallido, macchiato da alcune chiazze rosse dovute al freddo e
spolverato di efelidi sul naso.
Blaise
distolse lo sguardo, tornando verso la panchina in silenzio. Sì,
in futuro avrebbe ricordato quelle cose, che ora non sapeva nemmeno
di aver impresso nella memoria.
*
Con
uno sbuffo, Neville si sedette accanto a lui, senza perdere di vista
Mathias, neanche per un momento. Aveva voluto metterlo alla prova,
lasciargli la libertà di praticare da solo ciò che gli
aveva insegnato, ma una parte di lui temeva ancora che avrebbe
tentato di raggiungere lo spazio per incontrare qualche alieno.
Corrugò
le sopracciglia con una certa apprensione ma si impose di tenere il
sedere incollato alla panchina e di restare ad osservare,
promettendosi di intervenire solo se strettamente necessario. In
fondo era da più di un’ora che gli correva dietro come
un pazzo ed aveva sentito il bisogno fisico di riposarsi cinque
minuti.
“Cosa
stai leggendo?”
Blaise
distolse lo sguardo da quelle righe oramai divenute familiari e gli
lanciò uno sguardo assorto, come lo stesse in un certo qual
modo sottoponendo ad una valutazione.
Ma
Neville, che non aveva per questo intenzione di smettere d’osservare
i movimenti di Mathias, non riuscì a studiarsela,
quell'espressione. Fu per questo che la ruga tra le sopracciglia,
dovuta alla sopra citata preoccupazione, si approfondì
maggiormente.
“Che
c’è?!”
Il
suo tono di voce tradì un pizzico di ansia.
Sì,
Blaise gli metteva l’ansia, perché ogni volta lo
costringeva a fare una fatica immane per capire che diavolo gli
passasse per il cervello, data la sua natura non proprio loquace. Lo
obbligava a fare tutto il lavoro sporco, ma in quel momento avrebbe
richiesto troppa attenzione e non voleva che per una sua distrazione,
Mathias rischiasse di farsi male.
Strinse
i pugni sulle ginocchia ed inspirò profondamente, per evitare
di lasciarsi prendere dall’isteria.
Qualche
secondo dopo, Blaise allungò la lettera verso di lui ed il
Grifondoro gli gettò un’occhiata veloce, tradendo una
certa curiosità; la cosa che riuscì a distinguere più
chiaramente di tutte, fu il bollo Ministeriale.
“Che
è successo?”
“Leggila”
fu la lapidaria risposta del Serpeverde, abbastanza priva di
intonazione da indurre Neville ad abbassare un attimo la guardia e
darsi ad una veloce lettura.
Gentile
Sig. Zabini,
la
presente per ricordarLe l’imminente appuntamento mensile che
avverrà in sede ministeriale al fine di monitorare le
condizioni di salute del soggetto a Lei assegnato, Sig. Ramos Mathias
Alan. Ribadiamo che in caso di mancata presenza ed in assenza di un
qualsivoglia avviso tale a posticipare la data del colloquio, il
Ministero in appello al Decreto per la Tutela dei Maghi Minori, 1857,
Comma C aprirà un’inchiesta a suo nome.
Neville
strinse la lettera con una certa stizza.
Blaise
sarebbe stato indagato, nel caso non si fosse presentato senza
avvertire.
Ancora.
Quelli
del Ministero iniziavano a fargli veramente schifo.
La
informiamo inoltre che in occasione della consueta visita, sarà
presente la famiglia che da gennaio prenderà ufficialmente in
custodia il soggetto affidatoLe, sollevandoLa dal Suo incarico di
Tutore temporaneo. In sede verranno forniti ulteriori informazioni al
riguardo.
Buona
giornata.
Cordialmente,
Hesperia
Sludge
Ufficio
per la Tutela dei Maghi Minori
Ministero
della Magia
Neville
inghiottì a vuoto e schiarì la voce, continuando a
fissare la lettera senza realmente vederla.
Quindi...
quelli sarebbero stati gli ultimi giorni che avrebbe passato in
compagnia di Mathias... che avrebbero
passato
con Mathias.
Inumidì
le labbra con la punta della lingua, lanciando un’occhiata
incerta verso Blaise, che osservava il bambino con uno sguardo
indecifrabile.
Il
Grifondoro avrebbe tanto voluto saper leggere i suoi pensieri... non
riusciva a stabilire se fosse sollevato o meno, da quella notizia.
C’erano tante cose, ancora, che non sapeva né capiva
dell'altro...
“Non...
non sei sollevato?” azzardò, incespicando nel tono di
voce, nel dubbio d’aver scelto le parole sbagliate per
togliersi quel punto interrogativo dalla testa.
All’inizio
Blaise non rispose, perché francamente non sapeva che cosa
dire. Poi, optò per una risposta ragionevole.
“Sì,
lo sono. Sicuramente loro, chiunque essi siano, sapranno occuparsi di
lui molto meglio di come sto facendo io” di
come avrei potuto mai fare,
aggiunse mentalmente, ma tenne per sé quell’osservazione.
Aveva detto a Neville semplicemente ciò che si era ripetuto
dal giorno di Natale, quando quella fotografia di lui e Mathias, dal
mobile della cucina era finita nel cassetto
del suo settimino. Cassetto
che ogni sera doveva aprire per procurarsi della biancheria pulita.
Neville,
pur trovando giusta
quella
risposta, non la valutò soddisfacente.
Aveva come la sensazione che Blaise non gli stesse veramente dicendo
ciò che pensava, ma non sapeva se insistere l’avrebbe
aiutato, in quel frangente.
Guardò
il suo viso a lungo, cercando di penetrare senza far troppo rumore,
quella patina impalpabile in cui Blaise era quasi sempre avvolto,
quella che lo faceva apparire scostante e poco incline al dialogo. Ma
Neville sapeva che era la sua natura
e
che il ragazzo non era né l’una né l’altra
cosa, almeno con chi lo meritasse.
Si
chiese se lui fosse riuscito a meritarselo o se, ancora, dovesse
percorrere altra strada prima di arrivare ad
un certo punto.
Quel punto in cui la patina, per lui, non sarebbe stata più un
problema... quel punto in cui avrebbe semplicemente saputo guardare
oltre,
superandola senza doverla necessariamente fare sparire.
Sospirò
silenziosamente, richiudendo la lettera con lentezza; quelli del
Ministero prima avevano fatto cuocere Blaise nel suo brodo, senza
informarlo nemmeno del tempo in cui avrebbe dovuto occuparsi di
Mathias e poi, da un giorno all’altro, glielo
toglievano.
Così,
con una lettera.
Fece
una smorfia, ricacciando giù per la gola il sapore della bile.
“Solitamente
non fai la parte del modesto Blaise ed io credo tu te la stia cavando
più che bene, con Mathias”
“Se
anche fosse, questo non cambierebbe le cose”
“Quali
cose?”
Dopo
aver lanciato un veloce sguardo a Mathias, tornò a tentare di
leggere l'espressione del Serpeverde.
“Entrerà
al Ministero con me e se ne andrà con degli sconosciuti”
disse quello, ancora con quel tono privo di colore. Neville poteva
sentire il rumore che faceva la sua mente anche da lì.
“Ed
è questo che vorresti cambiare? Vorresti che lui uscisse da lì
con te?”
Blaise
strinse le labbra, voltando la testa verso di lui con uno sguardo
turbato, il cervello che frenetico formulava pensieri talmente veloci
da essere inafferrabili. Strinse i pugni all’interno delle
tasche del cappotto ed affondò il mento nel bavero, sfiorando
la stoffa con la bocca, in una carezza distratta.
Quegli
occhi neri, in quel momento così espressivi, fecero venire
voglia a Neville di toccarlo.
Quello
che lo fermò, fu la presenza di Mathias poco distante da loro
che dirigeva la scopa verso la panchina.
“Guardatemi,
guardatemi! Va dritta, va sempre dritta e riesco a farla girare senza
perdere l’equilibrio!” trillò, entusiasta. La
risata cristallina che riempì l'aria, sembrò imbottire
anche i loro cuori.
Blaise
guardò il bambino, accennando un sorriso così
tranquillo
che la diceva ben lunga, su cosa provasse per Mathias.
Ma,
come già specificato, c’erano tante cose che Neville
ancora non coglieva bene sul Serpeverde.
Perciò,
sorrise anche lui.
NOTE
DELL'AUTORE: lo so, lo so, il capitolo finisce in un punto
un po' critico. Ma, ditemi voi, quand'è che i capitoli in
generale finiscono in punti non critici? Che scrittrice (o presunta
tale) sarei se non vi facessi penare almeno un po'? Devo con mio
sommo rammarico avvisarvi che i prossimi capitoli non saranno molto
corposi, questo a causa di esigenze di trama. Tuttavia può
consolarvi il fatto che, cascasse pure un meteorite, ogni sacrosanto
venerdì avrete il vostro benedetto aggiornamento Parola di
scout. Spendendo un attimo un paio di parole per la trama... Proprio
questo, per l'appunto: la trama. Questa storia ce l'ha e come avrete
ben notato (o almeno lo spero), non ruota tutto intorno a Blaise e
Neville, anche se sono la coppia principale e il fandom è
Harry Potter fino a prova contraria. Ultimamente la mia voglia di
leggere fanfiction è drasticamente diminuita. Non solo per
l'assenza di trame interessanti nelle storie... ma anche perché,
quando magari ce n'è una, questa solitamente verte intorno
unicamente alla coppia principale. Ci sono delle autrici che ancora
non hanno contratto questo virus e che silenziosamente leggo con
molto affiatamento, ma la situazione è piuttosto triste in
generale. Il punto focale di ogni storia sembra essere diventato
quello di far accoppiare i protagonisti come animali. Francamente
sono fiera di appartenere ad un'altra scuola. Un abbraccio fortissimo
a tutti e quando dico tutti, intendo tutti.
Siete meravigliosi, dal primo lettore all'ultimo recensore. Senza di
voi sarei una misera particella di sodio.
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Capitolo 18 *** Capitolo 17 ***
DICIASSETTESIMO
CAPITOLO
I’m
gonna pick up the pieces,
And
build a Lego house
When
things go wrong we can knock it down
[...]
And
it’s dark in a cold December, but I’ve got ya to keep me
warm
And
if you’re broken I’ll mend ya and keep you sheltered from
the storm that’s raging on
(Ed
Sheeran, Lego House)
Mathias
schiuse gli occhi verso un soffitto dall’aria familiare.
Sentiva la faccia andare a fuoco e nonostante il sudore che gli
imperlava la fronte, il corpo era scosso da brividi di freddo. Stava
uno schifo, per non parlare del cerchio invisibile che gli comprimeva
la testa.
Arricciò
la punta del naso facendo una smorfia dolorante; la febbre aveva
donato alle sue guance un colorito che non aveva mai avuto, smorzando
le occhiaie violacee che era solito sfoggiare con fierezza per
incutere terrore nel prossimo.
Lentamente,
gli tornarono alla memoria gli eventi di qualche ora prima e come se
non avesse pianto abbastanza, una morsa gelida gli strinse il cuore;
doveva sicuramente averlo fatto, perché iniziò a
sentire più freddo di prima, se possibile. Cercò di
rigirarsi nel letto ma era sepolto sotto talmente tante coperte che
quel peso gli rendeva difficoltoso qualsiasi movimento, per non
parlare del dolore alle ossa. La febbre era veramente uno schifo.
Sospirò,
notando attraverso il velo lucido che gli appannava gli occhi, un
bicchiere di acqua sopra il comodino. Cacciò fuori dalle
coperte un braccio, afferrandolo con lentezza: adesso che l’aveva
visto, aveva realizzato di avere una sete bestiale.
Si
mise seduto, aiutandosi con l’altra mano e poggiò la
schiena contro i cuscini. Solo in quel momento, sentì un peso
sparire dalla fronte e ricadergli sulle gambe. Confuso, adocchiò
una pezza bagnata; non era stata quella ad avergli dato la sensazione
di compressione dolorosa, però sentiva la testa più
leggera. Allora lo sapevano, che stava male!
Un
egoistico senso di soddisfazione lo sfiorò prepotentemente. In
una maniera che lo faceva arrabbiare, desiderava
che
qualcuno si preoccupasse per lui. Lo desiderava con tutto il cuore,
perché la sua mamma quando stava male era sempre agitatissima
e suo padre si inventava questo mondo e pure quell’altro, per
distrarre entrambi. Anche se si trattava di una semplice febbre.
Un
timido sorriso fece capolino sulle sue labbra, al ricordo di come un
giorno, insieme ad entrambi, aveva giocato a raccontare storie
creando delle ombre cinesi sul muro con il solo ausilio delle mani e
di una lampadina; strinse la pezza bagnata, sentendola ancora fresca
sotto il suo tocco, segno che non doveva essere stata cambiata da
molto.
Portò
il bicchiere alle labbra e spostò la frangia umida dalla
fronte, azzardando uno sguardo alla sua stanza con cautela, perché
la testa a tratti gli girava.
Qualcosa
di voluminoso, sul comodino, attirò la sua attenzione; prima
non l’aveva visto, rimbambito com’era ancora di sonno, ma
ora i suoi occhi stavano osservando un pacchetto di carta bianco
latte con al di sopra una bella, voluminosa, coccarda rossa. Ricordò
che era Natale.
Dopo
un’occhiata alla finestra, si rese conto che era anche
pomeriggio inoltrato, perché il sole era tramontato da un po’,
anche se dalla strada provenivano ancora i rumori frenetici del
traffico.
Dopo
aver bevuto a sufficienza, poggiò il bicchiere sul mobile e
con le dita sfiorò il pacchetto; c’era un bigliettino
attaccato alla coccarda, che riportava con una calligrafia fine il
suo nome.
Solo
Mathias.
Restò
ad osservare il pacchetto per un lungo, silenzioso minuto, durante il
quale cercò anche di cogliere eventuali rumori provenienti dal
di fuori della sua stanza. L’idea che qualcuno potesse entrare
mentre decideva di scartare il suo regalo, lo metteva a disagio. Si
era comportato male, ne era fermamente convinto oltre che consapevole
e nonostante questo, qualcuno gli aveva fatto un regalo. Qualcuno che
quasi sicuramente doveva essere Blaise, perché tra le tante
cose che aveva osservato di lui, era presente anche il modo in cui
scriveva. Non poteva credere che proprio lui, dopo tutto quello che
aveva combinato, gli avesse fatto un regalo! Se lo sarebbe aspettato
forse da Neville, ma non da Blaise.
Prese
il pacchetto tra le mani e senza ancora scartarlo, lo appoggiò
sulle gambe, osservandolo con attenzione. Cosa poteva essere?
Indovinare il contenuto dei regali era un gioco che aveva sempre
adorato fare con suo padre.
Lasciò
scorrere le dita lungo i lati del pacchetto, studiandone gli angoli.
Sorrise,
non era così difficile! Doveva sicuramente essere un libro!
Accarezzò
la coccarda, indeciso se aprirlo o meno.
Si
vergognava a scartare un regalo di Blaise. Fino al giorno prima se ne
erano dette di tutti i colori, perché gli aveva fatto un
regalo?! Ma lui era pur sempre un bambino e la sua titubanza cedette
il posto alla curiosità. Cercando di fare il minor rumore
possibile, iniziò a rompere la carta, scoprendo effettivamente
la copertina di un libro, bianca come l’involucro che l’aveva
celata.
Mathias
corrugò la fronte, rigirandoselo tra le mani. Che strano...
non c’era scritto niente, né all’esterno né
all’interno! Blaise aveva voluto prenderlo in giro, dopo tutto?
Non fece in tempo ad offendersi sul serio che tra le sue mani il
libro iniziò a prendere forma; si assottigliò, la
copertina si colorò di varie sfumature verdastre e le pagine
all’interno vennero macchiate da fiumi di parole che prima non
c’erano. Con sorpresa, Mathias sgranò gli occhioni
nocciola ed aprì la bocca. Non poteva essere!
Aprì
il libro, sfogliandone velocemente le pagine, con uno stupore davvero
impareggiabile. Quel libro gli era stato comprato da suo padre l’anno
prima ed al suo interno si susseguivano le descrizioni di tutte le
razze di draghi esistenti al mondo! Come poteva essere finito lì?!
Arrivò
all’ultima pagina, cercando qualcosa in basso. E lo trovò.
Al
nostro futuro Signore dei Draghi! Con affetto, mamma e papà.
Era
proprio lui, non c’era dubbio! Lasciò ricadere il libro
sulle coperte, constatando con confusione che dopo qualche secondo,
il libro tornò completamente lindo e pinto. Non solo aveva
avuto la capacità di assumere l’aspetto di qualcosa a
cui teneva, ma era diventato letteralmente
quello stesso oggetto! Lo riprese alla velocità della luce e
se lo strinse al petto così forte che gli angoli del libro
lasciarono dei segni sulla sua pelle. Ma non importava.
Al
di là della porta, avvertì dei passi avvicinarsi e
delle voci che cercavano forse di essere discrete. Buttò la
carta del regalo sotto al letto, ficcò il libro sotto il
cuscino e si stese di nuovo sotto le coperte, chiudendo gli occhi.
Quando la porta si aprì, Blaise e Neville entrarono
cautamente; il secondo allungò il collo, come per accettarsi
che il bambino dormisse ancora.
“Non
si è ancora svegliato! Dovremmo preoccuparci?” lo sentì
sussurrare, il bambino, piuttosto cautamente.
“Lo
dici tu che non si è svegliato” rispose l'altro, usando
meno accortezza “Sono ben lungi dall’essere cieco e non è
che se tieni un occhio chiuso ed uno mezzo aperto per sbirciare,
Mathias, non me ne accorgo, sai?”
Mathias
sbuffò ed aprì entrambi gli occhi, roteandoli verso il
soffitto.
“Ti
ho sottovalutato” rispose, con un tono di voce roco; sentì
il suo stesso respiro bollente accarezzargli la pelle del volto.
“Come
al solito!”
Neville
gli propinò una mezza specie di gomitata e si avvicinò
al letto, sedendosi accanto al bambino. Prese la pezza umida e la
appoggiò di nuovo sulla sua fronte, accarezzandogli i capelli
con gentilezza.
“Hai
dormito un sacco lo sai? Come ti senti?” gli chiese il giovane,
con una sorta di preoccupazione mista ad affetto che fece battere più
velocemente il suo cuore.
“Così...”
si strinse nelle spalle “sono stato meglio...”
“Mi
sembri mia nonna, anche lei dice sempre così” Neville
rise brevemente, sembrando già più sollevato.
“Allora
hai una nonna saggia!”
“Sì,
lo credo anche io...” ci fu una breve pausa, durante la quale
il Grifondoro inumidì le labbra “Abbiamo provato a darti
una pozione ma non siamo riusciti a fartela ingoiare, mentre
dormivi...”
“...
Non la ingoierò adesso. Odio le pozioni, hanno un sapore
disgustoso!” Mathias si ritrasse sotto le coperte, come fossero
una fortezza inespugnabile.
“Ma
se vuoi guarire la devi prendere!” esclamò Neville,
assistendo a quello che aveva proprio temuto di più. Eppure,
quella reazione così normale da parte del bambino,
l'aveva quasi fatto sorridere di sollievo.
“Non
la voglio, non mi piace!”
“Ma
io e Blaise l’abbiamo preparata con tanto amore...”
“Non
è vero” intervenne quello, sentitosi ingiustamente
tirato in causa “Ci ho messo tanta professionalità, ma
l’amore no”
“Stai
zitto Blaise” soffiò Neville, lanciandogli
un'occhiataccia minatoria.
“Non
puoi raccontare bugie a chiunque ti capiti a tiro, Paciock” si
difese il ragazzo, allargando le braccia come se la cosa fosse ovvia.
“Non
berrò la pozione, neanche sotto tortura!” il malato
della situazione attirò di nuovo l'attenzione degli unici
adulti presenti in stanza (anche se a volte si faticava a crederlo...
Che fossero due adulti, si intende) e sbucò da sotto le
coperte puntando il naso all'insù.
“Mathias,
Blaise non diceva sul serio, ci ha messo anche tutto il suo amore”
“Mathias
non ti fidare”
“È
inutile che insistete, ho detto di no!”
“Però
è un peccato Mathias, lo sai?” Neville abbandonò
il suo tono diplomatico e cambiò completamente registro,
mostrandosi piuttosto affranto.
“La
la la la la”
“Diglielo
che è un peccato, Blaise!” attirò l'attenzione
dell'altro con un pizzicotto sulla gamba.
“Una
tragedia, a dire il vero. Non sai che ti perdi” si staccò
dallo stipite della porta e sillabò un silenzioso ti uccido
verso il Grifondoro.
“La
la la la la”
“A
quanto pare non vuole sentire ragioni. Va bé, lo daremo a
qualcun altro” Neville si alzò dal letto con un sospiro
e lisciò la stoffa dei pantaloni con un certo savoir faire.
“Sì,
che ne dici del figlio di Potter? Sicuramente ne sarà
contento” commentò Blaise, facendo già per uscire
fuori dalla camera e lasciare così Mathias al suo destino.
“La
la l-”
“James,
dici? Mah, forse è un po’ troppo piccolo... però
sarebbe adatto per quando crescerà...”
“Sicuramente
sarebbe un bambino in grado di apprezzare”
“Tu
dici?”
“Di
che state parlando?” si intromise il fagotto nascosto sotto le
lenzuola, uscendo allo scoperto con cautela.
“Oh
no, niente Mathias. Lasciamo stare. Sei affaticato, hai la febbre
alta e senza pozione ci metterai un sacco di tempo per guarire.
Meglio lasciarti riposare” esclamò Neville, sventolando
la mano per aria con poca importanza.
“Sì,
lasciamolo riposare. Più tardi ti porteremo qualcosa da
mangiare, ora cerca di dormire ancora un po’” Blaise
accennò un mezzo sorriso.
Neville
sistemò le coperte affinché seppellissero Mathias come
un povero martire e gli sorrise gentile. Notò anche che il
bicchiere era quasi vuoto e, con un colpo della bacchetta (che gli
era stata restituita con uno sguardo talmente mortificato da
cancellare all'istante qualsiasi traccia di arrabbiatura), lo riempì
nuovamente di acqua. Quando uscirono dalla stanza sotto lo sguardo
indeciso e combattuto di Mathias, dovettero farsi violenza per non
lasciar cadere la copertura. Chiusa la porta, camminarono lungo il
corridoio in silenzio fino a raggiungere il salone.
Neville
fu il primo a cedere; iniziò a ridacchiare con sentito
divertimento, avvicinandosi all’albero di Natale per esaminare
l’enorme pacco che vi giaceva sotto. Blaise sorrideva,
appoggiato contro lo stipite della porta, le braccia incrociate al
petto.
“Allora,
che ha detto?”
Constance
li adocchiò dal divano, rigirando tra le dita un bicchiere di
vino rosso, di quello maledettamente buono e costoso. Sua madre era
solita venirlo a trovare per la giornata di Natale, solo che lui...
preso da altre faccende,
l’aveva dimenticato. Ma non si sentiva in colpa, neanche un
po’. Anzi, la maledetta soddisfazione che gli ribolliva nel
sangue era incomparabile. E se solo Neville si fosse tolto quella
stupida e ridicola sciarpa, sua madre ne sarebbe rimasta
scandalizzata.
Bé,
non si sentiva in colpa nemmeno per quello, era stato suo dovere
marcare il territorio, punto e basta.
Le
aveva detto, comunque, che Neville era solo un amico, perché
sinceramente non avrebbe potuto affermare diversamente. Non è
che dopo aver fatto, per una volta, quello che avevano fatto (e come
lo avevano fatto, che Salazar l'avesse fulminato in quell’istante!),
potevano finire insieme e dichiararsi amore eterno. Sarebbero...
usciti, ecco. Si sarebbero conosciuti a vicenda e poi... il resto
sarebbe venuto da sé. Insomma, funzionava così di
solito, no?
Blaise
aggrottò le sopracciglia, realizzando che non aveva mai visto
abbastanza una persona, da poter arrivare ad affrontare una
situazione del genere. Era una novità per lui, ma la cosa non
lo spaventò. Era una novità che scoprì di
volere.
“La
sua resa è vicina, gli è stato dato un ultimatum,
abbiamo la vittoria in pugno” esclamò il Serpeverde, con
tono fin troppo serio.
“Sapevo
che non avresti deluso il tuo popolo Blaise” Constance sollevò
il bicchiere verso di lui con orgoglio, i magnifici occhi scuri
sembravano brillare di luce propria.
“Lo
sapevo anche io, Madre”
Neville
si girò con una faccia che dire comica sarebbe stato un
eufemismo. C’era una sorta di orgoglio, misto a nobiltà,
misto ad onore, misto a che diavolo ne sapeva lui, nel tono di voce
dei due Zabini. Erano matti. E lui si era preso una sbandata per un
matto. Quindi lo era anche lui! Matto, si intende.
Scosse
leggermente la testa, decidendo di lasciar perdere, mentre di nuovo
lo sguardo indagatore di Constance lo metteva in un certo disagio.
Era come se lei sapesse.
Ma non era possibile, no? Come faceva a sapere? Suppose che forse,
una madre, sapeva sempre tutto. Per onniscienza. Per dono di natura.
Per qualcosa.
Sperò di sbagliarsi, mentre la voglia di scavare una voragine
nel pavimento per raggiungere direttamente la Cina lo stava
letteralmente mangiando minuto dopo minuto. Peccato che la sera
prima, troppo impegnati a succhiarsi l’anima a vicenda sul
divano, si fossero dimenticati di coprire i quadri. Un vero, vero
peccato.
“Sarà
divertente vedere la sua faccia quando scoprirà che cos’è!”
esclamò la donna, sembrando più impaziente lei di veder
Mathias scartare il suo regalo che il bambino stesso ad
appropriarsene.
“Mamma,
dimmi che non gliel’hai comprata solo per accaparrarti la sua
simpatia...” Blaise corrugò la fronte, sondando il volto
di sua madre con un cipiglio saputo.
“Non
essere sciocco Blaise, se l’avessi fatto se ne accorgerebbe
subito. Ho
sentito dire
parecchio, sulla sua intelligenza!”
“Questa
storia deve finire” il ragazzo schioccò seccamente la
lingua contro il palato, improvvisamente infastidito da qualcosa.
“Ne
abbiamo già parlato, è la soluzione migliore e tu lo
sai” Constance parlò con tono leggero, di chi dava poca
attenzione a dei capricci inutili.
“A
volte dimentico di saperlo e vorrei solo buttarli nel camino...”
Blaise
si voltò lentamente, inchiodando con uno sguardo glaciale i
personaggi, tutti compressi come al solito nel quadro della povera
Morgana, che aveva il naso deformato contro la cornice, tanto la
stavano spingendo. Erano tutti bianchi cadaverici e sembravano aver
preso con molta serietà la minaccia neanche tanto velata del
loro padrone.
Tenendoli
sott’occhio fino a che poté riuscirci, si diresse verso
la cucina per controllare a che punto fosse l’arrosto; mentre
ne assaggiava un pezzettino, con espressione assorta si chiese se a
Mathias il suo regalo fosse piaciuto. Aveva notato che non si trovava
più sul comodino, ma non l’aveva visto in giro. Chissà
cos’era diventato il libro, nelle sue mani… ma non glie
l'avrebbe mai chiesto. Un giorno, se lui avesse voluto farlo, avrebbe
potuto raccontarglielo di sua spontanea volontà. Sperava solo,
davvero, di non aver fatto un’altra cosa sbagliata.
Aprì
lo sportello della credenza e prese il barattolo del sale, per
aggiungerne un po’ alla carne che stava terminando di cuocersi;
ne prese una piccola quantità con le dita e ce lo lasciò
cadere sopra, con fare distratto. Nel riporre il barattolo al suo
posto, l’occhio gli cadde su un sacchettino di velluto blu
scuro nascosto in fondo alla credenza. Restò in silenzio a
guardarlo per interminabili secondi, con uno sguardo indecifrabile,
senza però che per la mente gli passasse qualcosa.
Semplicemente,
restò ad osservarlo.
“Come
procede?”
La
voce di Neville lo colse di sorpresa. Cercando di essere il più
naturale possibile, mise il barattolo al suo posto e chiuse l’anta
della credenza; senza voltarsi, si strinse appena nelle spalle e
finse di girare l’arrosto, tanto per tenere le mani impegnate,
così come la mente.
Il
Grifondoro si avvicinò al mobile della cucina e vi si appoggiò
contro, con tranquillità. Blaise si sentì stranamente
osservato.
“Che
stavi guardando?” chiese Neville.
“Mi
era parso di vedere un pacco di sale già aperto, ma mi sono
sbagliato”
L’erbologo
sembrò accettare quella spiegazione e lasciò che Blaise
continuasse a dilettarsi nell’arte culinaria. Passò
circa un minuto nel silenzio più totale e poi, quando il
Serpeverde poggiò la forchetta sul ripiano della cucina per
lanciare uno sguardo verso Neville, lo vide.
Con
orrore,
lo vide.
Il
Grifondoro tra le mani stringeva qualcosa che aveva tanto l’aria
di essere un regalo di Natale. E data l’aria imbarazzata e
contrita con la quale continuava a stuzzicarne la carta,
probabilmente era per lui.
Blaise
restò immobile, tentando di mimetizzarsi con l’arredamento
della cucina. Il momento che più temeva di tutti, era
arrivato. Per Salazar, era
arrivato.
Quanto, quanto
aveva desiderato che l’altro non gli avesse fatto un regalo!
Fino all’ultimo ci aveva sperato, sinceramente, e vedendo
avvicinarsi l’ora di cena del giorno di Natale, senza intoppi,
Blaise aveva quasi osato pensare di averla scampata. Ma Natale non
era finito e Neville era lì davanti a lui con un maledetto
regalo.
“Non
fraintendere,
non è niente di che ma… sapevo che ci saremmo visti
tutti e tre per le feste di Natale e… niente, ho pensato che,
sai, sarebbe stato carino… forse… non lo so, ma non è
niente, davvero!”
Blaise,
in un gesto istintivo, afferrò il pacchetto che l’altro
gli porgeva e se non si fosse sentito così
in difetto,
probabilmente avrebbe riso per l’aria mortificata che l’altro
ostentava, neanche avesse cercato di ledere alla sua persona. Ma
Neville sapeva bene quanto Blaise fosse un tipo volubile
e certe volte, davvero, proprio non sapeva stabilire se stava facendo
una cosa che avrebbe potuto irritarlo o meno. Sperò, in quel
caso, di non udire nessun commento sarcastico al riguardo, volto al
fine di sminuire il suo pensiero.
Il
francese, senza commentare nulla, aprì il pacchetto con lenti
movimenti delle dita, come avesse voluto rimandare quel momento a
data da destinarsi, anche se sapeva sarebbe stato tutto inutile. Si
sentiva a disagio,
come se fosse stato lui
a fare qualcosa di sbagliato, al contrario di quello che pensava
Neville.
Quando
la carta strappata svelò il contenuto del pacchetto,
l’espressione di Blaise si fece ancora più
indecifrabile.
Il
Grifondoro aveva smesso addirittura di respirare, osservando con
ansia il modo in cui l’altro stringeva tra le dita il suo
regalo. Ecco, lo
sapeva.
Sarebbe stato meglio che si fosse fatto gli affari suoi. Perché
l’aveva fatto? Perché?
Del resto, non aveva senso. Si conoscevano, neanche tanto, solo da…
un paio di mesi? Perché diavolo aveva voluto per forza fargli
un regalo? Sarebbe morto,
sì; sarebbe morto impiccato ed avrebbe provveduto lui stesso
all’esecuzione. Non è che volesse fare il
melodrammatico,
intendiamoci, ma… si sentiva così melodrammatico!
Ed intanto i minuti passavano e Blaise non parlava.
Neville
si agitò sul posto, mentre un’ondata di calore gli
imporporava le guance; con una mano, distrattamente, si grattò
il collo a disagio, indeciso se dire qualcosa o meno. E se l’aprire
bocca avesse solo peggiorato le cose? Chi glielo diceva che con le
parole se la sarebbe cavata meglio che con le azioni? Sospirò,
non sopportando di non sentirsi dire neanche un insulto od un
mugugno.
“Senti,
lascia stare, non avrei dovuto” fece per togliergli la cornice
dalle mani, ma Blaise le ritrasse all’indietro, boicottando il
suo tentativo.
“No”
disse, inumidendo le labbra con la punta della lingua “Mi
piace”
“Dalla
tua espressione funerea non si direbbe” Neville si mostrò
piuttosto scettico, forse un filo sarcastico.
“Paciock,
questa è la mia faccia normale
e smettila di fingere
di
disprezzarla perché oramai non ti crede più nessuno!”
“Non
ho mai detto di disprezzarla!” spalancò gli occhi
castani, preso in contro piede.
“Certo
che non l’hai detto, perché come invece io
ho detto, sarebbe una bugia” un sorrisetto odioso piegò
le labbra di Blaise.
“Sto
perdendo il filo del discorso” ammise Neville, grattando
nuovamente la base del collo. Lo faceva spesso, quando era nervoso.
“Ho
detto che mi piace” ribadì il ragazzo, smorzando il tono
della voce.
“Ma?”
“Ma…
” Blaise si morse l’interno della guancia, sospirando
silenziosamente “… io non ho un regalo… per te”
Neville
si sentì così leggero a quella notizia che quasi si
mise a ridere, scaricando tutta l’ansia.
“È
per questo che hai fatto quella faccia?! Solo per questo?”
domandò, poggiandosi al mobile della cucina. Il sollievo era
destabilizzante.
“Cosa
aveva macchinato il tuo cervello deteriorato?”
“Non
vuoi saperlo”
“No,
infatti, hai ragione” concluse pragmatico, con la fronte
lievemente corrugata.
Blaise
passò il pollice sul vetro che proteggeva la fotografia, di
quelle babbane, non in movimento. Ritraeva un Mathias addormentato
sul divano e lui, sedutogli accanto, intento a leggere un testo di
pozioni. Era uno dei rari momenti in cui quei due non si erano
guardati in cagnesco e non avevano litigato. Mathias, nel sonno,
aveva lasciato cadere la testa sulla spalla di Blaise e dormiva
placidamente, con espressione serena. In quella foto, il Serpeverde
non sembrava essere disturbato da quel contatto ed entrambi emanavano
una sorta di tranquillità che Blaise si stupì ad
osservare.
“Non
me ne sono neanche accorto, quando l’hai scattata”
commentò sommessamente, lo sguardo ancora catturato da
quell'immagine che non sembrava neanche appartenergli. Neville
accennò un piccolo sorriso, accompagnato da un paio di
fossette.
“Lo
so, era questo il mio intento. Non è stato facile beccarvi
insieme, avrei voluto che Mathias fosse sveglio ma in quel caso non
me la sarei cavata. E se vi avessi chiesto di lasciarvi scattare una
foto, non sareste apparsi naturali. Siete due animali testardi ed
orgogliosi!”
“Animale
a chi?” l'occhiataccia di Blaise lo fece ridere.
“A
quello dietro di te, naturalmente”
“L’avessi
detto io a te, ti saresti sicuramente voltato”
“Non
è vero!”
“Ah,
no?” il ragazzo arcuò un sopracciglio, sfidandolo a
dimostrare il contrario.
“Non
sono così scemo!” “Mpf. E chi è che è
andato in giro per il Ministero convinto
che per togliersi lo scotch magico dalla faccia avrebbe dovuto
farsela asportare?”
“Quello
è stato un colpo basso!” Neville si colorò di
indignazione (e forse anche un po' di imbarazzo, a dirla tutta). Non
aveva fatto proprio la figura dello sveglio.
“Oh,
credimi
Paciock, se avessi voluto darti un colpo
basso,
te ne saresti sicuramente accorto”
Blaise si era sporto verso di lui con un movimento lento e languido,
finendo per sussurrargli quella frase praticamente sulle labbra. Con
occhi socchiusi che celavano una certa malizia, sorrise contro la
bocca di Neville, ricevendo come premio per la sua vittoria un
religioso silenzio di sconfitta. Neville era arrossito fino alla
punta dei capelli, la sfacciataggine del francese certe volte aveva
il potere di spiazzarlo come poche cose riuscivano a fare. Blaise gli
regalò un leggero bacio a stampo, che non soddisfò
nessuno dei due, ma con la mammina nell’altra stanza non gli
sembrava il caso rischiare.
“Grazie”
Neville
si schiarì la gola, cercando di districare le proprie facoltà
mentali dall’ingorgo in cui s’erano incastrate dal
momento che Blaise si era avvicinato. Come diavolo facesse a
rincoglionirlo così nel giro di due secondi, era un mistero.
“Non
importa se non hai un regalo, Blaise. Io non te ne ho fatto uno per
ricevere qualcosa in cambio. L’ho fatto perché mi
andava. Perché ne avevo piacere. E perché ho pensato
sarebbe stato carino conservare un ricordo di Mathias, per quando se
ne andrà con la sua futura famiglia…”
Il
Serpeverde appoggiò la fotografia sul ripiano della cucina,
pensando che in quella foto sarebbe dovuto esserci anche Neville. Con
tutto l’aiuto che aveva dato, era parte integrante di quel
trio.
Se
l’era guadagnato.
Tuttavia
non espresse i suoi pensieri a parole, perché sarebbe stato
sin troppo diabetico
dire una cosa del genere e che Salazar l’avesse impiccato! se
si sarebbe mai lasciato andare a confessioni da donnicciola! E doveva
ammette, anche, che da un paio di settimane a quella parte, non aveva
più pensato all’eventualità di Mathias fuori
dalla sua vita. Aver sentito dire da un’altra persona come
sarebbero andate effettivamente le cose, presto o tardi, lo incupì.
Desiderava
che Mathias trovasse presto una famiglia con cui stare, che
sicuramente sarebbe stata in grado di prendersi cura del bambino
meglio di come stavano facendo lui e Neville, però…
Però?
Però
niente.
Quella
soluzione era la migliore per tutti, in primis per Mathias. Vivere
con un pregiudicato della società che rischiava un giorno sì
e l’altro pure di finire ad Azkaban se solo a quelli del
Ministero fosse girato il culo nel verso sbagliato ed essere
cresciuto con l’aiuto di un ricercatore con le rotelle non
tutte proprio al loro posto, non era auspicabile.
Non
era il meglio,
per lui.
Un’altra
famiglia avrebbe potuto dargli sicuramente delle chance migliori di
quelle che Blaise poteva offrirgli. Senza contare che il suo lavoro
lo teneva impegnato, per non parlare di quello di Neville. Il suo
aiuto doveva essere temporaneo, non poteva tramutarsi in qualcosa a
lungo termine. I loro impegni ne avrebbero risentito.
Lanciò
un ultimo sguardo alla foto, percependo un fastidioso vuoto nello
stomaco. Mathias.
“Blaise,
caro! Neville! Abbiamo visite!”
Quando
tornarono in salotto, i due ragazzi videro Mathias sulla soglia del
corridoio che portava alle altre stanze, stretto nel suo pigiama
grigio, con gli occhi lucidi e le guance rosse. Si mordicchiava le
labbra con aria incerta, lanciando delle occhiatine verso Constance
che gli sorrideva dal divano con aria incoraggiante.
“Avvicinati
pure Mathias, non temere. È da tanto che non ci vediamo, come
ti senti?”
La
voce gentile della donna invogliò il bambino a compiere
qualche passo. Constance poteva pure avere la nomea di vedova nera,
considerando che i suoi consorti presto o tardi morivano sempre in
circostanze misteriose, ma l’istinto materno non l’aveva
mai perso ed inconsciamente Mathias ne era attratto. Si avvicinò
al divano e si sedette accanto a lei, mentre il calore proveniente
dalle fiamme del piccolo camino giovava ai suoi brividi di freddo. Si
lasciò accarezzare i capelli dalle mani delicate e soffici di
Constance, restando in religioso silenzio.
“Sei
venuto qui per prendere la pozione perché vuoi stare meglio,
non è vero?”
Mathias
la scrutò da sotto la frangia scapigliata, annuendo
timidamente. Constance sorrise, continuando a vezzeggiarlo con dita
gentili e premurose. Fosse stato un gatto, probabilmente il bambino
si sarebbe messo a fare le fusa; se chiudeva gli occhi poteva quasi
immaginare
che quel tocco fosse della sua mamma. Gli piaceva, Constance.
Avvertiva provenire da lei un senso di sicurezza, di tranquillità.
Non l’avrebbe mai ammesso, ma la stessa tranquillità
riusciva ad emanarla Blaise.
Lanciò
un’occhiatina verso il suddetto interessato, che lo osservava
con un lieve stupore. Era la prima volta che il Serpeverde vedeva
Mathias così collaborativo; evidentemente sua madre riusciva a
stregare anche i ragazzini, oltre agli uomini facoltosi di cui
solerte si circondava. Come tutti ben sappiamo, comunque, Mathias non
era uscito dal nido delle sue coperte perché, da bravo
bambino, desiderava stare meglio; aveva messo piede in salotto perché
stava letteralmente delirando
dalla curiosità.
Le
parole di Neville e di Blaise gli avevano messo la pulce
nell’orecchio e non aveva fatto altro che arrovellarsi il
cervello nel tentativo di capire di cosa avessero parlato.
Quindi,
quando gli fu dato il bicchiere contenente la pozione dalle proprietà
curative, decise di stare al gioco e la bevve, senza fare un fiato,
compensando però con una sequela di smorfie disgustate
che,
davvero, parlavano da sole. Per togliere il sapore cattivo dalla
bocca, mangiò la caramella offertagli da Neville e si
accoccolò sul divano, in attesa di ricevere il suo benedetto
premio; pensò che se non era stata dimostrazione di coraggio
quella,
allora niente poteva esserlo.
Osservò
in rassegna tutti e tre, con un sopracciglio alzato verso l’alto
e l’espressione che diceva ‘e
allora? Quanto devo aspettare ancora?’
Constance
lo trovò molto divertente e quasi con la stessa impazienza, si
alzò dal divano.
“Poiché
quest’anno passerai il Natale con la nostra famiglia, ho deciso
io stessa di farti un regalo, Mathias! Perché non vai a
sbirciare sotto l’albero?”
Constance
gli aveva fatto un regalo. Suo malgrado arrossì, nonostante la
febbre colorasse già le sue guance pallide e con cautela,
scivolò giù dal divano, guardingo. Si sentì
invadere da uno strano calore, perché nonostante quelle
persone non lo conoscessero avevano deciso di fargli dei regali.
Pensava di essere un peso per loro, ma forse non lo era così
tanto.
No?
Avvolto
in una sorta di disagio dovuto all’imbarazzo (si sentiva grato
per tutto quello ma non sapeva come dimostrarlo o come dirlo) si
avvicinò all’albero di Natale, notando solo in quel
momento che sotto c’era un pacco dalle dimensioni mostruose
(almeno per lui, che era un soldo di cacio). Si voltò verso
Constance, come a chiedere conferma che era quello, il pacco che
doveva aprire. Con un sorriso meraviglioso, la donna annuì in
segno di incoraggiamento; Mathias si accucciò per terra e con
una sorta di infantile meraviglia iniziò a strappare la carta
(ma senza troppa foga, non voleva sembrare troppo curioso). Tuttavia
i suoi propositi andarono a farsi benedire quando, capito di cosa si
trattava, si affrettò a togliere gli ultimi rimasugli della
carta da regalo.
Allargò
gli occhi e spalancò la bocca, restando ad osservare il suo
regalo con una faccia che definire ebete sarebbe stato puro
eufemismo. Guardò Constance per assicurarsi che non fosse uno
scherzo e poi tornò sul suo regalo.
“Ti
piace?” chiese la donna, conoscendo già la risposta.
Mathias
si alzò in piedi, stringendo tra le mani il suo primo
manico di scopa. Li aveva visti solo in vetrina, perché sua
madre l’aveva sempre ritenuto troppo piccolo per provare a
cavalcarne uno ed ora... ora ce l’aveva! Non credeva di
meritarsi cose così
costose, sul serio. Aveva combinato un sacco di guai e gliene aveva
fatti passare di tutti i colori al figlio di quella donna. Sentiva di
non poter accettare, era semplicemente troppo.
Con
un senso di vergogna che iniziò a divorarlo celermente, si
avvicinò velocemente a Neville e si nascose dietro la sua
schiena, con la faccia che andava a fuoco, affondando il volto nella
stoffa morbida del suo maglione. Una delle sue manine artigliò
un fianco del Grifondoro, che provò una sorta di tenerezza, di
fronte a quella reazione.
Anche
se aveva voluto dare a vedere il contrario, Mathias era tutt’altro
che insensibile.
Non
era un bambino come tutti gli altri, era più speciale,
ma voleva essere trattato come quelli della sua età.
Sapeva
che il silenzio non l’avrebbe aiutato a superare l’imbarazzo
e prendendo un sospiro profondo, Neville lasciò che
continuasse a nascondersi dietro la sua schiena mentre decideva di
parlare.
“Giusto
in tempo per domenica! Dovrebbe fare bel tempo e se fino ad allora
Mathias prenderà regolarmente la pozione, con molte
probabilità potrai portarlo a provare la sua scopa!”
Blaise
accennò un sorriso, restando appoggiato contro lo stipite
della porta della cucina, con le braccia incrociate.
“Vedremo.
Direi che è arrivato anche il momento di cenare, ho bisogno di
una mano per portare i piatti di qua”
*
Molte
ore dopo, quando la cena era terminata da un bel pezzo e Constance si
era ritirata a causa dell’ora tarda, Neville restò per
aiutare il Serpeverde a riordinare e Blaise ne approfittò per
controllare Mathias, che se ne era andato a letto circa un’ora
prima per la stanchezza.
La
pozione aveva fatto effetto, la febbre si era abbassata, ma com’era
logico che fosse, si sentiva tutto indolenzito.
Aprì
piano la porta, affacciandosi all’interno della camera
fiocamente illuminata da una abat jour. Il fagotto dentro il letto
non si mosse e Blaise azzardò ad avvicinarsi per controllare
che fosse tutto a posto. Sfiorò la fronte del bambino con le
dita, sentendola finalmente fresca dopo ore. Si accertò che il
bicchiere dell’acqua sul comodino fosse pieno e dopo aver
sistemato meglio le coperte, fece per lasciare la stanza. Sulla
soglia, la voce del bambino che pronunciava il suo nome, lo fermò.
Tornò a voltarsi verso il letto, incontrando gli occhietti
stanchi di Mathias che lo osservavano.
“Non
riesci a dormire?” chiese, tornando sui suoi passi con
lentezza.
Senza
rispondere, Mathias frugò sotto le coperte fino ad estrarre il
libro che Blaise gli aveva regalato. Il ragazzo lo osservò in
silenzio, mentre quello se lo stringeva contro il petto senza
smettere di guardarlo negli occhi; lui vedeva solo una copertina
bianca ma, per Mathias, era sicuramente qualcos’altro.
“Grazie”
soffiò Mathias, con una certa titubanza.
Blaise
gli sfiorò i capelli e dopo aver accennato un sorriso, lasciò
la stanza; nessuno dei due era un tipo da molte parole. Finalmente,
Mathias si addormentò, con la scopa regalatagli da Constance
in un angolo e la sciarpa donatagli da Neville sulla scrivania.
Quando
il Serpeverde tornò in salotto, c’era rimasto poco da
fare. In silenzio si prodigò nell’aiutare Neville a
sbrigare le ultime cose, compreso il lavaggio delle stoviglie. Quando
entrarono in cucina, lo sguardo di Blaise venne inevitabilmente
catturato dalla foto che Neville gli aveva regalato ed alla mente
tornarono ancora pensieri cupi e scomodi.
“A
cosa stai pensando?” chiese il Grifondoro, sistemando alcuni
piatti nella credenza.
Blaise
scrollò le spalle senza rispondere, minimizzando la cosa. Non
si sentiva ancora in grado di condividere certi pensieri con Neville,
ma ebbe la certezza che qualcosa
era cambiato. La sua percezione, la sua prospettiva
della situazione in cui si trovava era cambiata. Sentiva la testa
galleggiare in una sorta di incertezza, non avrebbe saputo dire se
quel cambiamento gli piacesse oppure no. Non sarebbe tornato a fare
lo stronzo con Mathias, ovviamente, ma c’erano delle cose che
doveva ancora capire.
Doveva
capire fino a che punto gli
importasse,
perché onestamente non ne aveva idea.
Finirono
di sistemare in silenzio, dopodiché Blaise si appoggiò
contro il tavolo della cucina, osservando Neville che raccattava le
sue cose per andarsene.
“Se
ci sono problemi mandami un gufo” estrasse la sciarpa dalla
borsa e la avvolse attorno al collo.
“Mh-mh”
“La
febbre non dovrebbe salire di nuovo, ma non si sa mai” indossò
la giacca marrone senza però abbottonarla.
“Mh-mh”
“Ogni
tanto ricordati di andare a controllarlo, meglio prevenire che
curare” si guardò intorno con aria corrucciata,
controllando di non star dimenticando qualcosa.
“Mh-mh”
“Domani
mattina prima di dargli la pozione, fallo mangiare, meglio che abbia
lo stomaco pieno” fece passare la cinghia della tracolla su una
spalla e la sistemò contro il fianco.
“Ma
non stai mai zitto?”
Neville
si voltò verso di lui con espressione interdetta. Blaise lo
guardava con un sopracciglio alzato che esprimeva un certo sarcasmo;
il Grifondoro aveva delle leggere occhiaie a causa del sonno perso, i
capelli più incasinati del solito ed un’espressione
vagamente confusa che gli fece venire voglia di sbatterlo lì,
sul tavolo della cucina.
Certe
volte pareva così genuinamente ingenuo che Blaise sentiva il
sangue ribollirgli nelle vene.
Era
inconsapevolmente attraente, con quel suo modo di fare così
cristallino e puro e lui sentiva di desiderare quella purezza per sé.
Allungò
un braccio, afferrò la cinghia della borsa a tracolla che
Neville aveva indossato e lo fece avvicinare, appoggiando le braccia
sulle sue spalle ed incrociando le mani dietro la sua testa con la
pigrizia d’un gatto lezioso. Neville apparve subito un po’
impacciato, del resto quella era una situazione nuova
tra di loro, avrebbe avuto bisogno di un po’ di tempo per
accettare quel determinato tipo di attenzioni come qualcosa di...
naturale.
O almeno, nel profondo, sperava sarebbero diventate tali. Era ancora
tutto incerto, non stavano insieme e quella sorta di punto
interrogativo lo irretiva.
“Blaise,
non posso restare” biascicò, debolmente. Non sembrava
tanto convinto.
“Lo
so” rispose comunque l'altro, serafico.
“Devo
controllare che Alberic non mi abbia demolito casa, mio cugino è
un disastro” sospirò e probabilmente quella ruga che
aveva in mezzo alle sopracciglia, era dovuta alle preoccupazioni che
il cugino gli procurava.
“Siete
proprio parenti allora” Blaise lo sbeffeggiò senza
ritegno, con un sorrisetto irritante sulle labbra piene.
“Che
vorresti dire?!” un pizzicotto vendicativo accompagnò
quell'indignazione.
“Non
lo so, tu che pensi?”
Ma
il Grifondoro non poté rispondere perché ogni
rimostranza fu catturata dalle labbra leste di Blaise; baciarono le
sue con una sorta di pretenziosità che il giorno prima non
aveva percepito. C’erano stati il desiderio e la ricerca
reciproca, ma quel bacio gli sembrava diverso.
Neville
non poté impedirsi di ricambiare, appoggiando le mani sul suo
petto; l’odore che tanto gli piaceva lo distrasse dai suoi
iniziali intenti e restò lì avvinghiato al padrone di
casa per circa un’altra mezz’ora. Ah, benedetto
Godric,
Blaise lo stava portando sulla cattiva strada.
Ma
la cosa, non lo spaventava.
NOTE DELL'AUTORE: Scusate. Scusate
infinitamente questo ritardo mostruoso! Oggi è stata una
giornata piena di impegni e non ho trovato il tempo materiale per
aggiornare! Per questo mi sono ripromessa di non andare a dormire
sino a quando non l'avessi fatto! Ecco anche spiegato il motivo
dell'ora indecente che ho scelto per pubblicare. SCUSATEMI! Arriviamo
finalmente al diciassettesimo capitolo e credetemi quando vi dico che
di cose da dire, ce ne sono tante ancora. Tra l'altro, c'è chi
tra le recensioni ha definito Neville un santarellino. Io lo terrei
d'occhio questo ragazzo, fossi in voi. Ma non dico altro, altrimenti
sarei incoerente con la nomea di diabolica e Malefica che mi sono
guadagnata con tanto sudore della fronte x) che dire? Grazie a tutti
dal più profondo del cuore per i commenti, i preferiti, i
ricordati e seguiti: grazie a voi questa storia mi sta dando più
soddisfazioni di quel che mi ero aspettata! Siete indescrivibili *_*
vi abbraccio tutti anche contro la vostra volontà! :D
|
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Capitolo 19 *** Capitolo 19 ***
DICIANNOVESIMO
CAPITOLO
I'm
gonna try and see how I find the real world
There's
a hole in my heart I knew from the start that we'd see these times
Barely
begun but I still feel too young for the real world
But
if I don't do this now I won't live it down and you'll hate me more
You
don't know and I don’t know that this is the end
We
both know that I can't go until it's been said
(Back
home, Trail)
Hesperia
gli rivolse un mero sorriso di cortesia, che non raggiunse mai i suoi
occhi celesti ed acquosi. Il silenzio si poteva tagliare con la lama
d’un coltello, mentre attendevano che il medimago, nell’altra
stanza, terminasse di sottoporre Mathias alla visita di routine.
Anche se sedeva composto nel suo completo sobrio ed elegante,
perfettamente calmo ed immobile, Blaise era un fascio di nervi.
Neville,
prima di lasciarli andare e confermare che li avrebbe aspettati
nell’atrio, gli aveva chiaramente intimato di doversi dare una
calmata. Il fatto che il Grifondoro fosse riuscito ad intuire così
facilmente il suo stato d’animo, non aveva fatto altro che
agitarlo ancora di più; non voleva dare nessuna soddisfazione
a quell’arpia della Sludge e se si fosse accorta del suo
disagio, probabilmente avrebbe fatto di tutto per rendergli quella
cosa
il più difficoltosa possibile.
Incrociò
le mani in grembo, lasciando che gli occhi viaggiassero
distrattamente per l’ufficio di quella mégère*;
dopo la visita, avrebbero finalmente incontrato quelli che sarebbero
stati i nuovi tutori di Mathias. Blaise fece una smorfia, ripensando
a come l’umore del bambino fosse precipitato di nuovo durante
quei giorni. Non aveva neanche iniziato ad abituarsi alla sua nuova
condizione che già doveva cambiarla ancora. Non era giusto e
non era una cosa che gli avrebbe fatto bene.
Neville
cercò di pettinargli i capelli inutilmente, c’erano un
paio di vertigini che proprio non volevano saperne di stare giù.
Con un sospiro, rinunciò a quell’impresa e sistemò
il colletto della camicia azzurra, sulla quale Mathias aveva voluto
abbinare una piccola cravatta rossa. Il bambino lo lasciò fare
in silenzio, gli occhi grandi e scuri conquistati da un pensiero che
solo lui poteva conoscere.
Da
quando gli avevano detto che quella sarebbe stata la sua ultima
visita al Ministero, almeno in loro presenza, Mathias si era
ammutolito di nuovo. Non era tornato il bambino pieno di rabbia che
era stato, semplicemente non parlava, restava chiuso nei suoi lunghi
silenzi. Neville si sentiva stringere il cuore ogni qual volta gli
occhi muti di Mathias incontravano i suoi, come se nel fondo vi fosse
sepolta una sorta di richiesta.
Il
Grifondoro strinse le labbra ed appoggiò le mani sulle spalle
del bambino, piegando le ginocchia per abbassarsi davanti a lui.
Cercò di sorridergli in maniera rilassata e tranquillizzante,
mantenendo salda la presa. Ingoiò il groppo che aveva in gola,
prima di parlare.
“Vedrai
che ti piaceranno” commentò “E sicuramente non ti
impediranno di venire con noi, ogni tanto, per prendere un gelato!”
Mathias
annuì meccanicamente, sfuggendo con passività al tocco
del Grifondoro. Si infilò la giacca pesante e chiuse la lampo,
con le manine che tentavano di non farla inceppare nella stoffa.
Quando fu pronto, si avvicinò a Blaise e si fermò
accanto a lui per alzare il visetto verso l’alto. Lo guardò
con quella che al Serpeverde parve rassegnazione; Mathias, sapendo di
non poter avere neanche il maledetto diritto di decidere qualcosa
della sua vita, aveva rinunciato ad essere arrabbiato ed aveva
iniziato a subire gli eventi che continuavano a sconvolgergli il
destino ed il suo precario equilibrio interiore con disillusa
aspettativa. Sapeva che quella sera sarebbe entrato in casa di
qualcuno che non conosceva e non poteva fare niente per cambiare le
cose, perché lui aveva solo otto anni ed anche se aveva
cercato di averne altrettanta, la crudeltà del mondo reale era
ancora troppo profonda per lui. Non era ancora in grado di
fronteggiarla, non da solo.
Blaise
appoggiò una mano sulla sua testa, affondando le dita nei
capelli come volesse tenerlo fermo lì.
“Andrà
tutto bene, Mathias”
Ma
il suo tono di voce non convinse neanche lui.
Mathias
uscì dall’ambulatorio per primo, tenendo la giacca sotto
le braccia. Il medimago lo seguì un paio di secondi dopo,
richiudendo la porta alle sue spalle. Appoggiò alcuni fogli
sulla scrivania di Hesperia e fece un cenno di saluto a Blaise,
giusto per cortesia. Mathias si era già avvicinato al
Serpeverde, come volesse mettere più distanza possibile tra
quelli del Ministero e lui.
Bravo
bambino.
“Come
la volta precedente, non c’è nulla da segnalare Hesp, a
parte qualche traccia di pozione curativa dovuta all’influenza
di cui il Signor Zabini ci ha parlato. Sta ancora facendo effetto sul
sistema immunitario del bambino ed anche gli strascichi del
raffreddore che ha, se ne andranno presto”
Hesperia
annuì seccamente, non si aspettava nulla di diverso del resto.
Aveva capito, già dalla loro prima visita al Ministero, che
Blaise era fin troppo furbo per permetterle di metterlo in
difficoltà. Spostò l’attenzione sul medimago,
indirizzandogli un vago cenno con la mano.
“Falli
entrare” esclamò schietta, incrociando le mani dalle
unghie vistosamente colorate di fucsia, sulla scrivania. Al di sotto,
vi era una cartellina celeste che riportava la dicitura Mathias
Alan Ramos.
*
Mary
e Benjamin Moore erano una giovane coppia felicemente sposata.
Vivevano nella periferia di Londra in un discreto villino, amavano
così tanto gli animali da avere un cane ed un gatto ed avevano
già sfornato un figlio, quindi Mathias non sarebbe stato la
loro prima esperienza genitoriale. Lei aveva un sorriso dolce, dei
capelli a caschetto neri che le incorniciavano alla perfezione il
viso a forma di cuore e dei grandi occhi verdi. Lui aveva cortissimi
capelli castani, uno sguardo azzurro perdutamente innamorato di sua
moglie e la capacità di emanare una sorta di aura di
tranquillità, di fiducia disarmante.
Erano
disgustosamente perfetti,
si trovò a pensare Blaise, e
proprio per quel motivo non avrebbe mai saputo trovare uno straccio
di motivazione per odiarli.
Era
da parecchio tempo che i Signori Moore stavano cercando di adottare
un bambino perché, nonostante fossero in grado di concepirne
di propri, volevano poter aiutare chi ne avesse bisogno (e sembravano
possedere una vagonata
di amore da donare tutto a Mathias).
Blaise
arricciò la punta del naso e sappiamo bene tutti quanti,
oramai, cosa quel vizio stesse a significare.
Lei
lavorava in una elegante boutique di Diagon Alley, mentre lui era un
giovane imprenditore; si erano conosciuti al negozio, quando Ben
aveva avuto bisogno di comprare un completo nuovo per una riunione
molto importante. Era stato un primo incontro davvero divertente e
romantico.
Blaise
avrebbe voluto vomitare
e temette di dover assistere allo scambio di un languido sguardo
d’amore quando i due sposi intrecciarono le mani.
Alla
fine del colloquio, dovette ammettere contro voglia che sembravano
decisamente molto più competenti di lui; si disse che il
Ministero aveva interesse nel danneggiare esclusivamente lui
e che quindi aveva valutato sicuramente nel miglior modo possibile la
scelta di una famiglia che fosse adatta per Mathias. Forse avevano
scelto loro perché, avendo già un figlio di cinque
anni, Mathias si sarebbe sentito meno solo. Francamente il Serpeverde
non ne aveva idea ma quando si alzarono tutti in piedi, seppe che era
arrivato il
momento.
“Lo
accompagno a prendere la sua roba” disse con tranquillità,
mentre Mary e Benjamin Moore annuivano, comprendendo di dover
lasciare loro un attimo. Anche su quello, si mostrarono corretti.
Blaise
poggiò la mano contro la schiena di Mathias e lo condusse
nella stanza adiacente l’ufficio, dove avevano lasciato i
borsoni contenenti tutti i suoi averi, che durante quelle settimane
erano aumentati esponenzialmente. Chiuse la porta della stanza e
sospirò, adocchiando Mathias iniziare a raccattare tutto
quello che doveva prendere, con lentezza.
“Che
cosa ne pensi?” domandò il Serpeverde, cercando il suo
viso con lo sguardo. L'altro continuò a dargli le spalle.
“Sembrano
delle persone per bene…”
“Sì,
ma che cosa ne pensi?”
“Che
importa?” il tono di Mathias perse un po' della sua rigidità.
“Vorrei
saperlo” rispose Blaise, molto sinceramente, avvicinandosi a
lui quasi fino ad affiancarlo. Il bambino lasciò uno dei
borsoni ed arricciò la punta del naso, un po' com'era solito
fare il Serpeverde. Si scambiarono un'occhiata indecifrabile.
“Penso
di non aver mai visto qualcosa di così smielato!”
esclamò, Mathias, raggrumando le labbra con una faccia
schifata.
“E
poi?”
“E
poi non lo so. Non li conosco! Non so cosa pensare! Non mi piacciono
adesso.
Non mi piacciono perché sono troppo felici ed io non
sono felice. Mi da fastidio tutta quella gioia. Ma se io non sono
felice non vuol dire che anche gli altri devono essere tristi. Non è
giusto. Quindi va bene così”
Blaise
espirò dal naso e si avvicinò a Mathias, con
un’espressione greve. Non andava bene, non andava bene affatto
perché come aveva detto lui, non era giusto. Tutto quello, non
era giusto.
Quando
il bambino gli tese la mano aspettando che lui la stringesse in un
saluto da uomo a uomo, sbuffò con insofferenza; artigliò
il suo polso, lo attirò a sé piegandosi in avanti e lo
abbracciò. Fece affondare il volto di Mathias nel bavero del
suo cappotto e se lo strinse contro, come aveva fatto quella notte al
cimitero. Il bambino all’inizio subì inerme e passivo
quel contatto, ma gli occhi grandi e scuri si erano già
riempiti di lacrime. Titubanti, le manine si aggrapparono sulla
schiena di Blaise e Mathias pianse, cercando di essere il più
silenzioso possibile. Non voleva piangere, lui era forte, anche se il
mondo era cattivo. Tirò su con il naso ed appoggiò la
guancia bagnata sulla spalla del Serpeverde.
“Neville”
sussurrò, con tono di voce tremolante.
Blaise
sentì le sue dita sulla schiena, come volessero bucare la
stoffa del cappotto (non
lasciarmi!,
dicevano).
“Sì,
vorrei poter fartelo vedere un’altra volta, ma non posso
portarti nell’atrio” mormorò, pacato come il
soffio di una brezza.
Mathias
si allontanò un po' da lui per poterlo guardare in viso. Il
Serpeverde avvertì un fitta dolorosa allo stomaco, trovandosi
faccia a faccia con quegli occhi grandi e lucidi di malinconia.
“Lo
so… sai perché sono andato da lui?”
Blaise
aggrottò la fronte e si spostò quel tanto che gli
permise di passare una mano sul volto del bambino per asciugarlo alla
meno peggio. Si riferiva a quella famosa mattina.
“No,
ma se vuoi puoi dirmelo”
Mathias
continuò a guardarlo, lasciando vivere lunghi attimi di
silenzio. Poi, lo disse sul serio.
“Il
suo odore.
Assomiglia a quello del mio papà... Anche a lui piacevano le
piante... Hanno lo stesso odore…”
Il
Serpeverde accennò un sorriso gentile e prese un fazzoletto
dalla giacca del cappotto. Adesso cominciava a capire come mai
Neville riuscisse a cavarsela molto meglio di lui, con Mathias.
“Soffiati
il naso” mormorò e Mathias eseguì in silenzio,
mentre con lentezza si calmava.
“L’ho
capito, sai?” esordì, con il fazzoletto ancora stretto
tra le mani pallide.
Blaise
arcuò le sopracciglia, dedicandogli un'espressione
incuriosita.
“Che
cosa?”
Fu
ripagato da un sorrisetto saputo.
“Neville
ti piace. E tu piaci a lui. Ma non siete smielati come Mary e
Benjamin, siete meglio. Mi piace il modo in cui vi piacete. Non ci
litigare, per favore”
Il
Serpeverde si mostrò interdetto da quella affermazione.
“Perché
dovrei litigarci?”
“Perché
a volte sei un po’ scemo”
“Ehi!
Che cosa hai detto, Mostriciattolo?”
Mathias
rise, sfuggendo alle mani dell’altro che cercavano di
pizzicarlo.
“Sei
scemo come me, perché non parliamo” aggiunse il bambino,
sorridendo con incertezza.
Quel
sorriso incerto, fu l’inizio del cambiamento.
*
Neville
comprese la situazione e non si arrabbiò, quando vide tornare
Blaise da solo, senza Mathias. Certo, non poteva dire di non averci
sperato fino all’ultimo, ma una parte di lui aveva immaginato
che non gli avrebbero permesso di salutarlo. Comunque non importava,
perché sarebbe andato lui stesso a trovare il bambino, un
giorno di quelli. Sentiva un legame con Mathias, che aveva avuto un
destino così simile al suo e non poteva semplicemente
pretendere di ignorarlo. Neanche se lo avesse voluto.
Stese
le labbra abbozzando un sorriso ed allungò le braccia per
poggiare le mani quasi sulle spalle di Blaise.
“Ha
detto che non dobbiamo litigare” esordì il Serpeverde,
con occhi piuttosto assorti. Probabilmente ancora doveva rendersi
conto di non avere più Mathias con sé.
“Perché
dovremmo farlo?” Neville lo guardò, aggrottando le
sopracciglia castane. Blaise sorrise.
“Perché
ha detto che a volte sono un po’ scemo”
“Questo
è vero!”
Il
Grifondoro venne spinto per dispetto ed a prescindere dalla
situazione, riuscì anche a ridere.
“E
sappi che, per quel che vale, significhi molto più di quello
che pensi, per lui” aggiunse Blaise, dopo averlo riacchiappato
per la manica della giacca. Lo avvicinò di nuovo a sé.
Aveva bisogno
di sentirlo.
“Che
intendi dire?” chiese Neville, anche se la prima cosa che
avrebbe voluto domandare, istintivamente, sarebbe stata ‘e
per te?’
Blaise
sorrise ed incurante del fatto che si trovassero nell’atrio del
Ministero, sotto gli occhi di tutti, si sporse in avanti per baciarlo
con delicatezza. Neville non capì, ma tramite quel tocco di
cui (ne era certo) non ne avrebbe mai avuto abbastanza, percepì
che non aveva nulla di cui preoccuparsi, perciò non fece altre
domande; afferrò la mano dell’altro senza più
temere di dover pensare a cosa avrebbe potuto dargli fastidio oppure
no e diresse entrambi verso uno dei camini ministeriali.
“Torniamo
a casa”
NOTE
DELL'AUTORE:
oggi sto a c a s a. Che scansafatiche sono! Però in compenso
vi posso dare un aggiornamento rapido ed indolore! Eccoci arrivati al
fatidico momento... Mathias se ne va sul serio. Pensavate fino
all'ultimo che qualcosa glielo avrebbe impedito? Purtroppo nella
realtà solitamente questo genere di fortune non accadono.
Chissà cosa accadrà ora? Alcune hanno fatto delle
supposizioni davvero machiavelliche, in confronto mi sono sentita una
vera sempliciotta XD ditemi che cosa vi passa per la testa, sono
curiosa di sapere cosa avete escogitato! Ci terrei ad avvisarvi che
in questo momento sto passando un periodaccio, ma cercherò
comunque di aggiornare con costanza e puntualità. Questa
storia è diventata un modo per staccare un attimo il cervello
dalla realtà. Per l'asterisco alla parogla megérè:
*in
francese nel testo, uno dei tanti modi per dire stronza.
Ah,
un'altra cosa per concludere: in uno dei capitoli precedenti, nessuna
ha colto un 'indizio' che ho dato su Blaise e Neville. In particolar
modo dal punto di vista di Blaise. Mentre una di voi, Mimì, ne
ha colto un altro, ma non dico quale XD Il particolare di cui parlo,
verrà riproposto nell'epilogo... chissà se ci farete
caso ;) spero abbiate gradito, un abbraccio!
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Capitolo 20 *** Capitolo 20 ***
VENTESIMO
CAPITOLO
Need
to know if you're letting go
It's
alright, alright, it's alright
Didn't
know I was hurting you so
It's
alright, alright, it's alright.
See
me then investing so much
In
you, in you, in you
Came
so close to the edge
I
do, I do, I do
This
is just one of those lonely night
The
good times gonna come
(Good
times gonna come, Aqualung)
Fine
gennaio, un mese dall'adozione di Mathias.
Doveva
fare qualcosa, non poteva continuare a vederlo così.
Non
che ci fosse qualcosa che non andasse, apparentemente.
Appunto.
Apparentemente.
Neville
tamburellò le dita sul trattato di ricerca che stava
scrivendo, appollaiato sul davanzale della finestra in camera sua.
Sul naso cadevano degli anonimi occhiali da vista che utilizzava solo
per leggere e che in quel momento non gli erano di nessuna utilità.
Si era alzato dal letto in silenzio, con tutte le buone intenzioni
del mondo; adorava la mattina, perché il mondo era avvolto in
una sorta di calma così surreale che neanche la sera
possedeva. La luce gradualmente illuminava le strade, i tetti delle
abitazioni e l’interno della sua casa; assistere a quel cambio
così lento ma costante tra oscurità e chiarore, farne
parte
con gli occhi ben aperti, lo rilassava.
I
suoi begli occhioni castani, tuttavia, benché le sopra citate
buone intenzione fossero del tutto nobili, erano calamitati dal corpo
di Blaise semi celato dalle lenzuola del suo letto.
Finalmente
aveva avuto il coraggio di invitarlo a casa sua, una volta tanto. Se
non l’aveva fatto prima, la colpa era stata di Alberic, che
aveva l'incredibile capacità di imbarazzarlo anche a distanza,
con i suoi modi di fare. Gli bastava pensare
al cugino che una smorfia di vergogna tentava di fargli raggrumare le
labbra.
Alberic,
tuttavia, era pur sempre suo cugino e prima o poi avrebbe dovuto far
conoscere quei due! Senza contare il fatto che andare a casa di
Blaise, ultimamente, lo metteva a disagio per diversi motivi, a
partire dai suoi quadri guardoni.
Sì,
si era finalmente accorto di loro ed era praticamente certo,
ora, che la madre di Blaise sapesse tutto.
A
Natale, un mese prima, aveva avuto solo la vaga sensazione che
Constance lanciasse loro delle battutine sapute. Ma con la
consapevolezza che aveva acquisito, ripensando a quello che la donna
aveva detto durante il corso della cena, avrebbe voluto tentare il
suicidio. Altro che buca per raggiungere la Cina! Gli ritornarono in
mente alcune frasi...
“Blaise,
caro, non credi ci siano un po’ troppe “forchette”
in tavola?”
“Cosa?
No, mamma. Sono quattro, non vedi?”
“Oh,
che sciocca! Deve essere l’età che avanza a rendermi
così distratta. Spero che il tuo compagno
non ci faccia caso!”
“Il
mio cosa?!”
“Compagno
di scuola! Lo so che non siete più degli studenti, ovviamente,
ma sei mio figlio, ai miei occhi apparirai sempre come-”
“Okay
va bene così mamma, abbiamo capito”
“Neville,
non lo trovi delizioso
quando si infervora?”
“Emh...
veramente io...”
“Oh,
ma, caro! Hai preso freddo, stanotte? Quella sciarpa
ha l’aria di essere pesante. Eppure le temperature erano così
miti...”
“No...
no è che... cioè...”
“Magari
in Scozia lo sono state, ma non qui, mamma. Perché non assaggi
l’arrosto?”
“Tu
pensi che-“
“Assaggialo”
Neville
sentì la faccia andare a fuoco. Adesso i discorsi di Constance
avevano un senso e probabilmente Blaise aveva capito prima di lui a
che gioco stesse giocando sua madre, considerando che ogni tre per
due aveva tentato di ficcarle qualcosa di commestibile in bocca per
farla tacere. Era sicuro che l’altro non gli avesse detto nulla
per non metterlo in imbarazzo; il Serpeverde, in effetti, spesso lo
accusava di essere troppo imbarazzevole.
Con
un sospiro tranquillo sorrise, osservando la schiena di Blaise
muoversi con lentezza ad ogni placido respiro. Il contrasto che la
sua pelle scura creava con le lenzuola bianche lo affascinava; Blaise
era bello ed aveva eredito la sua bellezza dalla madre, alla quale
somigliava davvero tanto.
Non
avrebbe mai pensato che sarebbero giunti a quel
punto.
A
fine gennaio, ancora non avrebbe saputo dire cosa fossero,
esattamente, lui ed il Serpeverde, ma Neville era sempre stato un
tipo paziente; del resto, ci era voluta proprio quella, la pazienza,
per giungere al risultato che infatti aveva ottenuto. Non che ci
avesse creduto sul serio, ma ultimamente il tentar
non nuoce
era diventato il suo motto da battaglia.
Blaise
era una persona molto ragionevole, fuori le lenzuola ed ogni cosa che
faceva, ogni cosa che diceva, aveva un suo perché; calcolatore
fino al midollo, per riuscire a capire cosa stesse pensando, ti
costringeva a sudare sette camicie.
Eppure...
eppure quando si scoprivano, quando lui lo toccava e lo baciava e lo
faceva suo, Neville non vedeva ragione nei suoi gesti, ma solo puro
impulso. Blaise lo faceva sentire desiderato senza neanche aprire
bocca e questo era uno degli aspetti che maggiormente esercitavano
fascino su di lui, alimentando giorno dopo giorno (sempre più)
la cotta che s’era preso.
E
la cotta non era recente.
E
non risaliva neanche a tre o quattro mesi prima.
E
probabilmente, a quel punto, di banale cotta
neanche si poteva parlare.
Appoggiò
la testa contro il vetro della finestra, stringendosi nel plaid che
aveva recuperato dall’armadio, perché la stoffa leggera
del pigiama (ritrovato a tentoni), non era il massimo, da sola, per
combattere il freddo.
Anche
lui aveva
desiderato
Blaise e non si era comportato proprio nobilmente, per cercare di
averlo.
Mathias
era stato un pretesto.
Un
pretesto che aveva usato per avvicinarsi a lui.
Benché
volesse davvero bene al bambino ed i suoi sentimenti fossero stati
nobili, volti
ad una buona causa,
sapeva di aver voluto di proposito sfruttare la situazione a suo
vantaggio per creare un contatto. Un legame.
Aveva finto innocenza da parte sua, puro altruismo,
ma non c’erano stati solo quelli.
Si
era sentito incredibilmente subdolo e Serpeverde quando Mathias si
era presentato, quella
mattina, sulla soglia di casa sua; ma sapeva
che
sarebbe successo. L’aveva visto, mentre si infilava in tasca il
suo biglietto da visita al Ministero, ma non aveva detto nulla. In
realtà, aveva ardentemente sperato che le cose andassero come
poi in effetti erano andate.
Forse
Neville desiderava Blaise più di quanto l’altro
desiderasse lui.
Era
stato un cattivo Grifondoro, realizzò, ma tutti i suoi sensi
di colpa vennero scacciati via quando la sensazione soverchiante di
attrazione,
mentre beveva
metaforicamente gli occhi di Blaise che si schiudevano su di lui nel
momento del risveglio, gli tolse il respiro.
Lo
amava.
Lo
amava dannatamente, ma credeva che dirglielo, non sarebbe stata una
buona idea. Aveva paura di allontanarlo e non poteva permetterlo, non
dopo tutta la fatica che aveva fatto per avvicinarlo.
“Ehi...”
“Ehi”
La
voce resa roca dal sonno di Blaise era un balsamo per le orecchie di
Neville. Non c’era una singola cosa, nel Serpeverde, che non lo
attirasse. Si chiese per quanto tempo ancora gli sarebbe stato
concesso di assistere al suo risveglio.
“Che
ore sono?” il moro si passò una mano sulla faccia,
cercando di scacciare via i rimasugli della lunga dormita.
“Quasi
le undici...”
“Che
cosa?!”
Neville
rise di gusto, Blaise odiava alzarsi tardi, non era un pigrone ed
aveva un mucchio di cose da fare. A sua detta.
“Perché
non mi hai svegliato?” commentò infatti quello, senza
neanche cercare di mascherare la sua stizza. Neville se la fece
scivolare addosso con abilità consumata.
“Perché
avrei dovuto farlo? Dormivi così bene... e mi avevi detto che
oggi non saresti dovuto andare al Ministero”
Blaise
mugugnò qualcosa, forse quella che sarebbe dovuta essere una
protesta, ma la morbidezza del cuscino riuscì a corrompere la
sua insofferenza. Affondò la faccia tra le coltri, godendo del
calore delle coperte e del pallido sole che illuminava la stanza. In
silenzio, lanciò un’occhiatina verso Neville, che si era
tolto gli occhiali: sapeva che non avrebbe più scritto un
accidente e tanto l’ispirazione gli era pure passata (anche se
i trattati collegiali non avrebbero dovuto basarsi su mera
ispirazione, coff).
Blaise
scostò le coperte dal lato vuoto del letto con un braccio.
“Vieni
qui” lo invitò, senza tanti preamboli, con un tono che
sembrava più un comando che una richiesta.
Neville
ebbe una specie di palpitazione ed accantonò la ricerca sul
davanzale della finestra, trascinandosi invece dietro il plaid.
Gattonò sul letto fino a sdraiarsi accanto a Blaise, che
infilò le mani sotto la coperta del Grifondoro, per avvolgerlo
con le braccia. Quando scoprì che sotto il plaid c’era
il pigiama, arricciò la punta del naso. Non
ci siamo Paciock, non ci siamo proprio.
“Sto
aspettando, Paciock”
“Eh?”
Neville
sfarfallò meravigliosamente le ciglia, tutto arruffato.
“Ho
detto che sto aspettando” insistette Blaise, parlando più
lentamente.
“Sì,
ho capito. Ma che cosa?”
Il
Serpeverde schioccò seccamente la lingua sul palato.
“Allora
non hai capito” sentenziò, criptico. Neville iniziò
da subito a mostrare segni di insofferenza.
“Merlino,
perché devi sempre parlare per enigmi?”
“Io
non parlo per enigmi”
“Sopratutto
appena sveglio, ma come ti va?”
“Solo
tu li consideri enigmi”
“Ma
non lo spegni mai il cervello?”
“Potrei
chiederti invece se tu lo accendi, ogni tanto”
“Sono
un comune mortale!”
“È
il buongiorno più triste che abbia mai ricevuto”
Il
Grifondoro restò in silenzio per istanti troppo brevi, perché
avesse afferrato bene il senso della frase.
“Scusa,
ora che lo so, la prossima volta ti farò trovare una banda di
folletti canterini! La vuoi?”
Blaise
emise un lamento che seppe di profonda esasperazione.
“No,
brutto
idiota
che non sei altro, voglio questo”
Affondò
le mani nei capelli di Neville, percorrendo prima la sua schiena
sopra la stoffa del pigiama e lo attirò contro di sé
per baciarlo. Lo baciò lentamente, carezzando le sue labbra
per indurle a socchiudersi, prima di mangiarle con un languore che
solo il sonno appena terminato avrebbe potuto dare. Neville sentì
dei brividi percorrerlo lungo il corpo. Era un bacio dannatamente
erotico
e la bocca di Blaise che viziava la sua, sembrava avere tutto il
tempo del mondo per farlo.
Solitamente,
presi dalla cupidigia del momento, non ci andavano proprio cauti.
Quel
modo di fare però, era nuovo
e Neville si sentì imbarazzato dall’idea che, così
facendo, Blaise avrebbe avuto tutto il tempo che voleva per
osservarlo, per vedere come reagiva.
Fortuna
che era sdraiato, perché sentiva le ginocchia ridicolmente
molli.
Rotolarono
tra le lenzuola e Blaise lo sovrastò, lasciando scendere le
labbra lungo il profilo della mascella, cercando la pelle morbida e
calda del collo. Con un sospiro lieve, Neville toccò la
schiena nuda del Serpeverde, percorrendone con le dita la spina
dorsale, nell’esatto momento in cui Blaise lo mordeva proprio
lì,
in quel punto che gli indirizzava sempre una scarica di eccitazione
direttamente all’inguine. Inumidì le labbra con le
palpebre socchiuse ed avvertì gli occhi di Blaise sul suo
viso; inevitabilmente arrossì e l’altro, un sorriso
obliquo che si stendeva contro la sua pelle, accarezzò con la
punta del naso la sua guancia lentigginosa.
“Mi
piace quando ti imbarazzi” sussurrò malignamente ed il
suo respiro non gli parve mai più caldo di così.
Neville sarebbe voluto sparire all'istante, sentiva la faccia andare
a fuoco.
“Zitto!”
sibilò, cercando di incenerirlo con lo sguardo. Blaise però,
sembrava essersi perso in un mondo tutto suo.
“E
mi piacciono le tue lentiggini”
“...”
Neville
lo guardò con un colorito che sfiorava le sfumature del viola,
il cipiglio vagamente offeso perché l’altro gli stava
dicendo quelle cose di proposito. Per metterlo in difficoltà.
Lo
odiava.
E
lo adorava.
Era
un bel dilemma, accipicchia.
Socchiudendo
gli occhi, Blaise gli mordicchiò la guancia, dove di solito
faceva capolino la fossetta della felicità, come lui l’aveva
rinominata, perché quando appariva voleva significare che
Neville stava sorridendo. Ovviamente aveva tenuto per sé quel
nomignolo, si rifiutava di assecondare certe smancerie verbali.
Il
Grifondoro, per evitare di morire di vergogna, voltò la testa
verso di lui e senza preavviso lo baciò, perché era
l’unico modo che aveva per distrarlo.
E
a Blaise, francamente, stava bene.
Puntò
i gomiti ai lati della sua testa e scavalcò con una gamba il
corpo steso sotto di lui, mettendosi a cavalcioni sulla sua vita,
senza smettere di baciarlo. Con le mani scacciò il plaid, per
infilare le dita oltre il bordo della maglietta che l’altro
indossava ed accarezzò la pelle calda dei fianchi, muovendo
con malvagità
il bacino contro il suo. Quel movimento riuscì a strappargli
un gemito sorpreso.
Blaise
era avvantaggiato, perché non aveva niente addosso e Neville
poteva sentire sotto le sue mani i muscoli della sua schiena
tendersi, quando si chinava per togliergli il respiro con le labbra.
Avrebbe voluto...
“Buon
giorno cugino!”
Neville
spalancò gli occhi, sentendosi letteralmente gelare
sul letto. Si ritrovò a fissare il soffitto, con Blaise troppo
occupato a marcare il territorio contro il suo collo. Almeno, quello
fino a qualche secondo prima.
“Buon
giorno anche a te, ragazzo di mio cugino!”
Le
labbra del Serpeverde abbandonarono la pelle calda e soffice di
Neville e si atteggiarono in un poco-serio broncio di delusione.
Voltò la testa verso Alberic, che se ne stava appoggiato
contro lo stipite della porta a braccia incrociate, un sorrisetto
irriverente e saputo a piegargli le labbra fini.
Non
ha
neanche
la decenza di sentirsi in imbarazzo!
Pensò Neville, diventando a quel punto davvero
paonazzo. Si era dimenticato di chiudere la porta ma, ne aveva la
certezza, da quel giorno sarebbe stata la prima cosa che avrebbe
fatto ogni maledetta volta che sarebbe entrato nella sua maledetta
camera.
Porco
Godric!
Inspirò
a stento, girandosi a sua volta verso il cugino che ammiccava con
aria saputa; Blaise, rimasto seduto sopra di lui, aveva drizzato la
schiena e lo guardava con una sorta di calma piatta.
Non
gliene fregava un accidente di essere nudo?!
A
Neville fregava eccome, però, tant’è che si
accertò che le coperte celassero alla vista di Alberic tutto
ciò che non fosse il petto di Blaise. E
già quello era un po’ troppo!
“Non
agitarti zuccottino, volevo soltanto controllare foste vivi”
sciorinò suo cugino, con una certa nonchalance.
“Alberic!”
Neville cercò di mettere sin da subito un freno alla
situazione, prima che questa gli sfuggisse di mano. Il biondo non fu
neanche vagamente intimidito dal tono minaccioso che il Grifondoro
gli riservò.
“Sai
sono le undici passate e-”
“Fuori!”
“Di
solito a quest’ora ficchi già il naso tra le tue strane
piante e-”
“Fuori
dalla mia stanza!”
“Non
sono in grado di usare il tosta pane ma, ehi! Posso rinunciarci se
questo vorrebbe dire permettere a-”
“Dov’è
la bacchetta? Dov’è la mia bacchetta?!”
“Due
fantastiche tortorelle quali siete voi di tubare amore e gioia
nell’aria, questa casa ne ha bisogno! Ma-”
“Sto
per schiantarti Alberic, sappilo, sto per schiantarti!”
“Credo
che la prossima volta dovresti prendere precauzioni migliori,
pasticcino, se non vuoi-”
“Blaise,
non trovo la mia, dammi la tua bacchetta!”
Alberic
allargò gli occhioni azzurri, le labbra candide formarono una
O perfetta.
“Oh-oh,
ecco il lato nascosto di mio cugino mentre fa proposte oscene!
Andateci piano con le parole, ragazzi, sono ancora un’anima
innoc-”
“FUORI!”
Un
libro dalle dimensioni considerevoli (le mille proprietà della
belladonna, tanto per intenderci), sfiorò l’orecchio di
Alberic, che giusto in tempo evitò la collisione con uno
scatto agile, quasi felino. Il biondo guardò il cugino con
tanto d’occhi, fingendo sconcerto con una sapienza che Blaise
apprezzò.
“Hai
tentato di uccidermi!” esclamò, pieno di melodramma,
poggiando una mano all'altezza del cuore. Il suo sconcerto parve
quasi vero, tuttavia Neville non si fece impietosire, nemmeno un po'.
“E
non ci sono riuscito! Ma aspetta che riprovo, magari stavolta mi dice
meglio!”
“Ferisci
i miei sentimenti, schiopodino” Alberic sfoderò senza
ritegno la sua arma migliore: il labbro tremulo “Ma un
gentiluomo sa quando è il momento di ritirarsi! A mai più
rivederci, miei Lords!”
Il
ragazzo chiuse la porta con uno scatto ed il silenzio cadde
nuovamente nella stanza. Un sorrisetto che sapeva di divertimento
piegò le labbra di Blaise, ma Neville non si mosse,
continuando a fissare la porta con aria astiosa. Dopo qualche
secondo, quella si schiuse nuovamente.
Lo
sapeva!
“Ci
hai ripensato?”
Il
Grifondoro ringhiò pericolosamente.
“NO!
FUORI!”
“Uffa...”
La
testa bionda di Alberic sparì (stavolta definitivamente) dalla
sua camera.
Neville
espirò rumorosamente, schiaffandosi le mani sulla faccia per
cercare di combattere il rossore che lo stava facendo andare a fuoco.
Maledetto Alberic, gliel’avrebbe fatta pagare! L’avrebbe
sfrattato e l’avrebbe mandato a vivere sotto i ponti!
Blaise
intanto se la stava ridendo di gusto, con le mani appoggiate sullo
stomaco del Grifondoro; questi, schiudendo le dita, lo spiò
silenziosamente ed un pensiero fugace gli attraversò la mente.
Forse suo cugino non era stato così
inutile, dopo tutto.
“Dico,
davvero, non posso credere che siate parenti!” commentò
il Serpeverde, cercando di darsi un certo contegno. Ma era davvero
difficile, Alberic era così... così anti
Paciock!
“Non
ci credo nemmeno io” la voce laconica di Neville cozzò
terribilmente con il suono della risata di Blaise.
“Tuo
cugino è troppo divertente!”
“Ehi,
vorresti dire che io non lo sono?!”
Blaise
sorrise, osservandolo con aria ruffiana dall’alto. Si chinò
per dargli un bacio sulle labbra.
“Sei
divertente, a
modo tuo”
soffiò, tirandosi di nuovo su per guardarlo bene, con
un'espressione di quelle che sapevano irritare abilmente Neville,
perché erano da stronzo.
“Cioè?!”
“Vuol
dire che sei divertente per
me”
“Cioè?!”
“Santo
Salazar eremita, Paciock! I tuoi modi di fare, sono buffi!”
Il
Grifondoro mostrò sincera indignazione.
“Io
sarei buffo?!” ripeté, perché onestamente non
poteva credere alle sue orecchie.
“Sì!”
“Ora
sono anche offeso, oltre ad essere buffo!”
“Mi
piace quando sei offeso...” Blaise provò ad aggirare
l'ostacolo con tono suadente, ma avrebbe dovuto fare meglio di così.
“Non
ci provare, sono troppo concentrato, non riuscirai a rincoglionirmi
anche stavolta!” sbottò infatti Neville, deciso a non
lasciarsi distrarre per l'ennesima volta. Il Serpeverde arcuò
le sopracciglia con eloquenza.
“Lo
vedi che sei buffo?”
“Non
stavo mica scherzando!”
“Lo
so, è questo che rende ciò che hai detto... buffo”
“Se
lo dici un’altra volta ti uccido!”
Blaise
adocchiò con sufficienza il dito che gli venne puntato contro.
“Davvero?”
commentò, facendo rotolare pigramente le parole sulla lingua
“I libri sul tuo comodino sono finiti”
“Ho
i miei metodi!”
Un
sorriso indecente sferzò l'aria.
“Mh...
la cosa potrebbe interessarmi...”
“È
inutile che cerchi di infilarmi le mani sotto la maglietta, sono
ancora concentrato!”
“Mi
piace anche quando tuo cugino ti fa farneticare come un isterico”
“Non
so, c’è qualche altra offesa di cui vorresti mettermi al
corrente? Visto che ci siamo! E smettila
di fare... quello!
Tanto non funziona!”
“Ah,
no?”
Tanto
per la cronaca, le mani di Blaise si erano infilate eccome
sotto
la sua maglietta. L’avevano sollevata senza troppe difficoltà
e poi la sua bocca era scesa a tracciare il profilo della clavicola
con la punta della lingua. Dal centro del petto, una serie di baci
umidi e di morsi, avevano deconcentrato
Neville, anche se lui era convintissimo di essere ancora concentrato.
Ma convinto, eh.
Mentre
Blaise teneva le mani sulle spalle di Neville, le sue labbra
vezzeggiarono lo stomaco, provocando dei tremori tutt’altro che
spiacevoli.
Il
respiro caldo del francese contro la sua pelle, la bocca morbida che
lo toccava delicatamente e che dallo stomaco scendeva verso la
pancia, come seguendo un sentiero...
“Questo
funziona?” la sua voce roca e bassa, gli causò una fitta
all’inguine.
Oh,
Godric,
sì, sì, funzionava!
Blaise
leccò la pelle della pancia ed i muscoli del corpo sotto di
lui, si tesero per il desiderio che iniziò ad incendiare la
sua pelle. Nei punti in cui la bocca del Serpeverde aveva lasciato un
segno, Neville avvertì come delle impronte fatte tracce
bollenti. Dischiuse le palpebre, vide che Blaise lo stava osservando
con un sorriso saputo e molto
poco
candido. Lo costrinse a mantenere il contatto visivo e scese a
chiudere i denti candidi sull’elastico dei pantaloni del
pigiama.
Neville
credette di morire, mentre lo osservava tirarli giù con
lentezza... Merlino,
era riuscito a rincoglionirlo ancora!
*
Stavolta
fu Neville a trovare Blaise già sveglio, seduto sul davanzale
dove qualche ora prima era stato lui; stava guardando fuori, oltre il
vetro chiuso, ed aveva di nuovo quell’espressione assorta. Il
Grifondoro, avvolto nelle coperte, restò ad osservarlo in
silenzio, acquietato da un languore che non avrebbe mai voluto
abbandonare.
Come
aveva detto, doveva fare qualcosa. Qualsiasi cosa.
“Hai
risposto al suo gufo?”
Blaise
non si voltò nemmeno verso il letto, continuando ad osservare
il paesaggio dalla finestra. Una strada e dei villini a schiera,
uguali a quello dove si trovava lui. Una visione piuttosto monotona,
ma la zona era tranquilla. Indossava solo una maglia ed i boxer, ma
sembrava non sentire freddo.
“No”
rispose in un soffio appena percettibile.
“Perché?”
Neville corrugò la fronte, ponendo la domanda con un tono di
voce quieto. Voleva che Blaise si sentisse tranquillo.
L’altro
sospirò silenziosamente, lo dedusse dal petto che si era
gonfiato e sgonfiato nel giro di qualche secondo.
“Che
senso avrebbe?”
“Blaise...”
“Cosa?
Dimmelo, rispondimi. Che senso avrebbe?”
Si
voltò verso di lui, il volto privo di espressione.
“A
lui farebbe piacere” rispose piano Neville, tirandosi su di un
gomito.
“Lo
so”
“E
allora?”
“Allora
che?” il tono secco del Serpeverde fece quasi titubare il suo
coraggio Grifondoro.
“Non
ti basta questo? Sapere che a lui farebbe piacere?”
“No!
Cioè, sì...”
“Blaise,
mi spieghi qual è il problema? Perché è evidente
che c’è”
L'altro
rimase in silenzio qualche secondo, abbandonato contro il vetro della
finestra.
“È
di questo che si tratterà?” pronunciò con
lentezza, non troppo forte “Uno scambio di lettere sempre più
informale?”
“No,
avevamo detto che ci saremmo visti, qualche volta!” Neville
corrugò la fronte, cercando con tutta la buona volontà
di riuscire a cogliere il nocciolo della questione.
“Sì,
bel contentino che gli diamo” rispose l'altro, mentre le labbra
assumevano una piega contrariata.
Il
Grifondoro sospirò e si mise a sedere, ma non appena lo fece,
un brivido gli percorse la spina dorsale. Guardandosi intorno, andò
a raccattare la sua maglietta poco distante e la infilò.
“Non
eri tu quello che voleva una famiglia più giusta per lui?”
domandò, mentre i capelli arruffati sbucavano fuori lo scollo.
Blaise distolse lo sguardo con una certa difficoltà.
“Sì
e lo voglio ancora”
“Adesso
ce l’ha!” rincarò l'erbologo, arcuando le
sopracciglia con perplessità.
“Neville,
non dirmi che non capisci perché non ci credo. Se non lo puoi
fare tu, allora nessuno può”
Il
Grifondoro strinse le labbra, distogliendo lo sguardo da Blaise per
fissare intensamente le pieghe delle lenzuola. Si sentiva già
abbastanza tirato in causa, non c'era bisogno che l'altro lo
sottolineasse a quel modo.
“Voglio
una famiglia più giusta per lui” continuò Blaise
“Ma non sono sicuro che siano loro quelli giusti”
“Mi
hai detto che ti sono sembrate persone carine”
“Sì
e penso che lo siano davvero. Ma sono troppo
carine”
“Che
vuoi dire?”
Il
Serpeverde sospirò quasi con frustrazione, prima di
continuare.
“Voglio
dire... non mi sembrano tipi da aver superato chissà quali
diavolo di problemi nella vita. La maggior preoccupazione di lui è
quale cravatta mettere al mattino e quella di lei è essere la
sposina e la mammina perfetta, te lo dico io”
“Se
anche fosse, cosa c’è di sbagliato nel voler dare il
meglio di sé come moglie e come madre?”
“Niente,
se non hai a che fare con un bambino dalla vita devastata che non
può
essere capito da persone che non
hanno
provato sofferenza”
Neville
alzò le braccia per aria, prima di lasciarle ricadere
pesantemente sul materasso, con una certa esasperazione.
“Ma
non puoi esserne certo!” ribatté, cercando di risultare
conciliante “I problemi ce li hanno tutti Blaise, non te lo
devo dire io”
Il
Serpeverde si stava comportando in un modo stranamente irrazionale,
rifletté guardingo.
“Mathias
è venuto a stare da me ad ottobre ed ha ceduto solo a
dicembre. Ha resistito più di un mese, perché non ci
conosceva, non si fidava di noi ed aveva paura. Gli ho detto che non
doveva più averne, ma adesso?
Si trova di
nuovo con
persone che non conosce, di cui dubito seriamente si fidi, che non
sanno niente
di quello che gli passa per la testa e non so se ha ricominciato ad
avere paura”
Neville
ammutolì, perché capì con una lucidità
sconcertante che Blaise si sentiva responsabile.
Si sentiva responsabile della possibile infelicità di Mathias.
Trovò
da qualche parte anche i pantaloni e le mutande e dopo aver indossato
entrambe le cose, si alzò dal letto per avvicinarsi al
Serpeverde.
“Devi
chiederglielo Blaise, chiedigli se ha paura” sussurrò
accorato, cercando di imprimere in quelle parole tutta la convinzione
di cui disponeva. Ovviamente non bastò.
“No”
rispose quello, con cocciutaggine, tornando a guardare fuori la
finestra.
“Perché
no?”
“E
se dovesse dire di sì?”
Neville
lo vide stringere con forza l'orlo della maglia che indossava.
“Lo
aiuteremo insieme” tentò ancora, gentilmente. Blaise
respinse con cinismo anche quel tentativo.
“Certo,
ci installeremo a casa dei Moore come tu ti sei installato a casa
mia” il suo tono di voce sarcastico e sprezzante indispettì
Neville una volta per tutte.
“Lo
sai cosa? Lascia perdere Blaise, cuoci pure nel tuo dubbio e continua
a farti domande che non avranno risposta. Continua ad ignorare i gufi
di Mathias, altro che lettere informali! Non ci saranno nemmeno
quelle, se intendi continuare a comportarti come stai facendo! Se non
volevi che Mathias andasse con altre persone, avresti dovuto
semplicemente impedirlo! Non avresti mai pensato di poter vedere le
cose da questa prospettiva,
non è vero? Volevi talmente tanto che se ne andasse che adesso
non riesci nemmeno ad ammettere di rivolerlo indietro! Ma se non ci
arrivi tu, Blaise, io non posso aiutarti davvero!”
Neville
lasciò la stanza con un’espressione scura sul volto. Non
avrebbe mai voluto sbottare a quel modo, ma il Serpeverde era così
testardo che in certi momenti gli si poteva parlare solo sbattendogli
le cose in faccia.
Questo
non voleva dire che era stato facile.
Non
fece in tempo a chiudere la porta che fu sommerso dai sensi di colpa.
Si sentì uno schifo, aveva capito che Blaise si riteneva
colpevole per aver lasciato andare Mathias, dopo le promesse che gli
aveva fatto... E lui invece di aiutarlo, gli aveva risposto per le
rime.
Imponendosi
di non cambiare la sua posizione, un passo dopo l’altro, scese
le scale e si diresse in cucina.
Blaise
era ancora seduto sul davanzale della finestra, ma non era più
rilassato. Si era evidentemente irrigidito ed aveva la fronte
aggrottata.
Voleva
indietro Mathias?
Aveva
solo venticinque anni, non era davvero la persona più ideale
per prendersi cura di un bambino! Non ne era capace, era troppo
giovane (ma comunque Potter aveva la sua età ed aveva un
figlio)!
Avere
indietro Mathias... Maledetto mostriciattolo con l’abilità
di fare il lavaggio del cervello alle persone.
Puntò
lo sguardo verso la scrivania di Neville, dove erano appoggiate
quelle che il Grifondoro aveva chiamato penne.
Servivano per scrivere, a quanto sembrava.
Si
alzò dal davanzale ed andò a frugare nei cassetti della
scrivania, trovando alcuni fogli puliti. Non sapeva cosa stava
facendo, non lo sapeva davvero.
Impugnò
la penna, osservandola con aria critica e cercò di capire come
farla funzionare. Tolse quello che doveva essere il tappo ed apparve
la punta.
Ah,
ecco come.
Quando
con la mente annebbiata dalla confusione si chinò sul foglio,
sentì un fastidioso beccare ai vetri della finestra.
C’era
un gufo e stava cercando lui.
NOTE DELL'AUTORE:
oh-santo-cielo. Quattro ore. Ci ho messo ben quattro ore, per betare
questo capitolo. Ogni quarto d'ora mi fermavo a scrivere delle e-mail
a caso (ogni riferimento a cose o persone è puramente
casuale) e mi sono distratta un sacco di volte XD Ma io vi adoro, lo
sapete <3 spero di non essermi lasciata sfuggire niente! In questo
capitolo scopriamo il primo indizio: Neville non ce la raccontava
giusta sin dall'inizio, ammettiamolo. Altro che innocente
Grifondoro... :p Per il secondo, dovrete aspettare l'epilogo,
bwahaha. Conosciamo inoltre e finalmente quel piccolo essere
adorabile di Alberic, che personalmente adoro fino al midollo.
Peccato che la trama non gli lasci molto spazio! Un ringraziamento
sentitissimo a tutti, ma proprio tutti quelli che recensiscono, che
leggono e basta, che aggiungono le storie tra le
preferite/ricordate/seguite e che mi contattano a destra e sinistra
per chiacchierare amorevolmente! Non fate che accrescere la mia
logorrea. Vi adoVo!
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Capitolo 21 *** Capitolo 21 ***
VENTUNESIMO
CAPITOLO
This is how I show my
love.
I made it in my mind
because
I blame it on my ADD
baby.
This is how an angel
dies
Blame it on my own sick
pride
Blame it on my ADD baby
Maybe I should cry for
help
Maybe I should kill
myself
Blame it on my ADD baby
Maybe I'm a different
breed
Maybe I'm not listening
So blame it on my ADD
baby
(Sail, Awolnation)
Gentile
Blaise,
perdona
questo gufo, ma ho bisogno di parlarti.
Aspetterò
alle 5 al caffè davanti alla boutique di Madama McClan.
Se
non verrai, saprò che sei stato occupato e che il nostro
incontro sarà solo rimandato.
A
presto,
Mary
Moore
L’entrata
di Blaise all’interno del locale fu accompagnata da un allegro
scampanellio. Lì dentro faceva caldo ed il chiacchiericcio
delle persone sedute ai tavoli riempiva l’aria di un soffice
brusio. Sostò per qualche secondo sulla soglia, scandagliando
i volti della gente alla ricerca di quello di Mary. Da un tavolo
abbastanza in fondo al caffè, la vide alzare il braccio in sua
direzione ed indirizzargli un sorriso un po’ titubante. Blaise
rispose solo con un breve cenno del mento, camminando tra i tavoli
per raggiungerla.
L’espressione
del Serpeverde non tradiva tutta l’ansia che invece aveva
cominciato a provare dopo aver ricevuto la sua lettera. Mary poteva
averlo contattato solo per un motivo e quel motivo era Mathias. Era
successo qualcosa? Doveva preoccuparsi? Quando raggiunse il tavolo,
abbozzò un sorriso di pura cordialità.
A
Neville aveva detto di dover fare alcune commissioni, ma non avrebbe
saputo dire perché gli avesse mentito; aveva intuito,
tuttavia, il motivo che l’aveva spinto a farlo: sapeva che se
gli avesse detto con chi sarebbe andato ad incontrarsi, dopo, il
ragazzo l’avrebbe sommerso di domande.
A
Blaise serviva del tempo per pensare, pensare con la sua testa.
Mary
ricambiò il sorriso con molta più spontaneità di
quanta lui gliene avesse dimostrata, ma si mosse un po’ nervosa
sulla sedia.
“Sono
contenta che tu sia riuscito a venire” esclamò, con un
tono di voce dolce e sinceramente sollevato.
Blaise
tolse il cappotto e lo appoggiò sulla sedia, prima di prendere
posto davanti a lei. Mary stringeva le mani attorno ad una tazza di
tè fumante, dalla quale aveva preso al massimo solo un paio di
sorsi. Aveva stretto le labbra in una linea sottile ed osservava le
venature del tavolo come fossero molto interessanti. Quando la
cameriera si avvicinò a loro, il Serpeverde ordinò un
semplice caffè ed incrociò le mani sul tavolo, in
attesa. Non aveva mandato lui il gufo, quindi non era lui quello che
aveva qualcosa da dire. Ma non dovette aspettare molto.
“Si
tratta di Mathias”
Ma
va?
“Cos’è
successo?”
Mary
dovette percepire qualcosa di strano nel suo tono, perché alzò
gli occhi per guardarlo con un pizzico di ansia.
“Oh,
sta bene, non preoccuparti! Almeno credo…”
Almeno...
credo? Blaise arcuò
un sopracciglio.
“Che
vorrebbe significare?”
Mary
si mosse di nuovo sulla sedia, come fosse scomoda e sistemò i
capelli dietro le orecchie, nonostante li avesse talmente corti che,
davvero, non c’era proprio niente da sistemare. Gli occhi verdi
e limpidi della donna tornarono a guardarlo con una certa
apprensione.
“Mio
marito dice che è normale, che passerà, che dobbiamo
dargli tempo… ma io non credo sia così. Oh, è
nella natura di Ben dire a chiunque cose rassicuranti, lui è
fatto così. Crede sempre nel meglio ed anche io! Per questo ho
voluto incontrarti Blaise. Perché credo fermamente alla parte
migliore di ogni cosa e…” si zittì, inspirando
profondamente e prendendo un sorso del suo tè. In quella
pausa, arrivò anche il caffè ordinato dal Serpeverde,
ma il ragazzo non si mosse, lasciando che la cameriera lo poggiasse
sul tavolino e si allontanasse.
“Signora
Moore…” anche se la donna lo chiamava per nome, Blaise
non aveva intenzione di prendersi altrettanta confidenza, non era
nella sua natura, “Ho bisogno che lei sia più specifica”
Mary
abbozzò un sorriso, annuendo brevemente.
“Non
credo che la soluzione migliore per Mathias possiamo essere noi”
Quella
frase lo lasciò interdetto e Blaise sbatté le palpebre
un paio di volte. Non era quello che aveva detto lui, in fondo? Che
forse i Moore non erano le persone più adatte ad occuparsi di
Mathias? Ma un conto era pensarlo, magari consapevole di essere anche
un po’ maligno nel farlo. Un conto era sentirlo dire da lei.
Fermi
tutti, un momento.
“Suo
marito sa che lei si trova qui?”
Come
una bambina colta a fare qualcosa di sbagliato dai genitori, Mary
abbassò vergognosamente lo sguardo con aria colpevole e scosse
la testa, senza riuscire a dire qualcosa. Blaise sospirò
profondamente, stringendo la sella del naso tra le dita con lentezza.
Chiuse brevemente gli occhi, permettendo al suo cervello di lavorare
quelle informazioni con una velocità impressionante. Ma che
diavolo…
“Ben
non sa niente, perché crede che la situazione cambierà
e non sarebbe mai stato d’accordo ad organizzare un incontro
del genere. Ma io dovevo parlare con qualcuno che capisse, Blaise!
Forse tu pensi che io non me ne sia accorta…”
“Accorta
di cosa?” il ragazzo la sbirciò oltre le dita che aveva
davanti al volto.
“Di
quello che pensi”
“E
che cosa penso?”
Mary
si zittì per qualche attimo, forse in preda ad un dubbio:
quello che le diceva di essersi sbagliata. Tentennò, questo è
vero, ma non troppo a lungo.
“Che
non avremmo mai capito Mathias” esclamò infine,
assecondando l'istinto femminile.
Blaise
prese la tazza del caffè e ne bevve un sorso.
“Perché
mi sta dicendo queste cose?” domandò, soppesando con
cautela le parole, come se da quella domanda potesse scaturire
qualcosa di pericoloso.
“Perché
non è vero” rispose immediatamente Mary, gli occhi che
le brillavano di una luce determinata, “Io ho capito Mathias,
ho capito che cosa vuole. E non vuole stare con noi. Lui vuole te. Ed
un certo Neville, di cui una volta mi ha parlato, ma non so chi sia.
Quello che so è che quando parla di voi, e lo fa talmente
poche volte che non mi pare vero il momento in cui succede, sono le
uniche circostanze dove appare per ciò che è: un
bambino. Io e mio marito non l’abbiamo adottato per donargli
una vita triste, l’abbiamo adottato perché vogliamo
renderlo felice!”
“E’
soltanto un mese che si trova con voi, non può pretendere che
in così poco tempo si mostri aperto e disponibile al dialogo,
dopo quello che ha passato”
“E’
questo il punto, non capisci? Tu lo sai che cosa ha passato?”
“Sì,
lo so” Blaise strinse la tazzina del caffè senza nemmeno
rendersene conto.
“Anche
io lo so” riprese Mary, implacabile, “Però non
lo so, perché
con me, con Ben, non parla. So che i suoi genitori sono rimasti
uccisi in maniera brutale, ma non
so che ha passato.
Cosa sta ancora
passando. E questo è un processo che ha iniziato con te, sei
tu
quello a cui ha deciso di parlare. Credo… credo che si senta
tradito? È solo una sensazione, chiamalo istinto materno,
femminile, come vuoi, ma c’è questa voce nella mia
testa, quando guardo Mathias, che mi dice non
c’è fiducia.
Aspetta! Lo so che stai per dire di
nuovo che è
solo poco tempo che sta con noi! Sono d’accordo Blaise, sono
d’accordo davvero! Ma… io sono convinta
che lui si senta davvero così. A partire dal fatto che non
rispondi ai suoi gufi” il suo tono assunse una piega di
rimprovero neanche tanto celata “… e poi c’è
questo dettaglio… lui ti ha parlato di come si sente ma poco
tempo dopo vi siete dovuti separare. Temo abbia paura che, se si
aprisse con noi, accadrebbe di nuovo di doversene andare chissà
dove. Ma perché non rispondi ai suoi gufi?! Ti ha aperto il
suo cuore, lo vuoi far pentire di averlo fatto?”
Blaise
appoggiò la tazza sul tavolo, infastidito. Al suono secco che
ne conseguì, Mary si ammutolì all'istante e rimase ad
osservarlo con occhi agitati, che non stavano fermi un attimo.
Il
Serpeverde non coglieva il succo del discorso.
Lo
stava rincoglionendo con un mare di parole e, per la miseria, lui
odiava i logorroici ma… qual era il maledetto punto? L’aveva
voluto incontrare per farlo sentire in colpa?
Quella
donna lo irritava.
Ma
era vero che non riuscisse a cogliere il succo del discorso? O forse
non voleva farlo e basta?
“Signora
Moore” si sforzò di mantenersi su toni cordiali, “Perché
sono qui?”
“Lo
sai perché. Lui vuole stare con voi. Questo non ti importa?”
Blaise
la freddò con un'occhiata così penetrante che Mary
cercò subito di rimediare a ciò che aveva detto, perché
qualunque cosa avesse voluto intendere, l'aveva buttata fuori nel
modo sbagliato. Non fece neanche in tempo ad aprire bocca che la voce
del Serpeverde sembrò sferzare l'aria come fosse stata una
lama. Una lama vera.
E
tanti bei saluti alla cordialità.
“Avreste
dovuto preoccuparvi dei suoi desideri prima
di adottarlo”
“Non
fingere che la cosa non ti interessi! Non sono un uomo, sono una
donna.
Non puoi pretendere di fregarmi con quel tono disinteressato! Mathias
non avrebbe mai parlato con qualcuno di cui non si fida!”
Blaise
si sporse verso di lei con un movimenti fluido, un po' serpentino.
“Lo
dica” sibilò, socchiudendo le palpebre sugli occhi.
“Che
cosa?”
Mary,
per contro, si ritirò un po' sulla sedia. Ma non poteva andare
molto lontano.
“Lo
dica esplicitamente, cosa vuole”
La
donna fece un bel respiro e decise che fosse il caso di guardare
Blaise negli occhi, perché la questione era importante. E
voleva davvero, davvero
che l'altro lo capisse.
“… Vorrei…
che condividessimo la custodia di Mathias. Non voglio rinunciare alla
sua tutela e farlo finire di nuovo tra le mani del Ministero. Io e
Ben abbiamo lottato tanto per riuscire ad ottenere un'adozione e dopo
tutto quello che abbiamo passato, non posso a rinunciare a lui. E'
diventato parte della famiglia ancora prima che sapessi il suo nome.
Quindi, vorrei
che potessimo diventare entrambi
suoi tutori…”
Seguì
un silenzio abbastanza pesante, riempito solo dalle chiacchiere del
mondo che di certo non aveva smesso di girare per permettere a quei
due di discutere con tranquillità. Si guardavano a vicenda,
negli occhi, ma con modi molto diversi. Gli occhi verdi di Mary erano
determinati, mostravano una forza d’animo non indifferente, ma
anche sofferenza. Forse si sentiva impotente. Gli occhi di Blaise
erano freddi, la facevano sentire come se volessero perforarla da
parte a parte ed erano risoluti. Forse si sentiva confuso.
Che
cosa doveva fare?
Che
cosa voleva
fare?
NOTE
DELL'AUTORE: al solito, esigenze di trama hanno voluto la scarsa
lunghezza di questo capitolo transitivo. Ne mancano oramai solo due,
quindi non siate ansiose di arrivare alla fine :p ne approfitto per
fare auguri di buona Pasqua a tutti quanti, io non mancherò di
uccidermi di cibo, non so voi!! Un ringraziamento speciale a
Mimiwitch che ha betato questo capitolo :D Vi ringrazio per
tutti i pareri positivi riguardo Alberic, lui ne è stato
letteralmente folgorato, ve lo assicuro :D E se proprio devo dire la
mia, a me la famiglia Moore non dispiace. Vi assicuro che le loro
intenzioni sono del tutto sincere... ora sta a Blaise capirlo!
Un
ultimo grazie di cuore a chi legge e basta, a chi aggiunge la storia
nelle varie categorie e chi aspetta il venerdì per leggere un
nuovo capitolo di questa storia: non mi sarei mai aspettata tanto
affetto, vi adoro!
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Capitolo 22 *** Capitolo 22 ***
VENTIDUESIMO
CAPITOLO
So
I haven't given up,
But
all my choices, my good luck...
Appear
to go and get me stuck,
In
an open prison.
Now
I am tryin' to break free,
Be
in a state of empathy.
Find
the true and inner me,
Eradicate
the schism.
No-one
can take it away from me,
And
no-one can tear it apart.
Because
a heart that hurts,
Is
a heart that works.
A
heart that hurts,
Is
a heart that works.
(Bright
lights, Placebo)
Constance,
in tutta franchezza, non riusciva a capire dove diavolo fosse il
problema. Non era come adottare sul
serio un
bambino, insomma... Blaise non se ne sarebbe di certo dovuto occupare
ventiquattro ore su ventiquattro. Lui e quella lì, quella
Mary, avrebbero potuto tenerlo un mese per uno o qualcosa del genere.
Si potevano organizzare! Tra l'altro, sarebbe stata una custodia
condivisa non ufficiale; per legge il bambino, com'era ovvio che
fosse, poteva essere affidato ad una sola famiglia, quindi Blaise
sarebbe stato vincolato da un semplice accordo verbale a quella sorta
di... patto.
Facilmente
eludibile, dunque.
Forse
il problema era proprio quello, rifletté Constance osservando
il profilo di suo figlio seduto composto al tavolino. Forse Blaise
non aveva preso neanche in considerazione la prospettiva di uno
svincolo; se avesse accettato la proposta di Mary, l'avrebbe fatto
con tutte le conseguenze del caso.
Avrebbe
preso quell'impegno per tutta la vita.
La
donna sospirò silenziosamente, appoggiando la schiena contro
la sedia.
L'appartamento
di Blaise era immerso nella penombra ed un quieto silenzio sembrava
voler rispettare la moltitudine di pensieri che in quel momento
sconvolgevano la mente del suo unico erede.
Constance
lo osservò con attenzione, come tante volte aveva fatto da
quando la vita glielo aveva donato: quella serietà, quel
quieto e sottile senso del dovere, quel particolare rispetto che
mostrava verso determinate situazioni... non aveva ereditato da lei
quelle qualità (ma neanche dal padre, visto il modo in cui se
l'era svignata, lasciandola da sola con una moltitudine di problemi
sulle spalle). Blaise gli ricordava piuttosto Elemia Zabini, suo
padre, nonché defunto nonno del giovane. Avrebbe dovuto
immaginare, che suo figlio non sarebbe mai stato in grado di
affrontare quella scelta con la serenità che invece avrebbe
avuto lei; non riusciva a capacitarsi di come potesse sentirsi
minacciato dal peso di una promessa che non richiedeva nessuna firma,
di una promessa che poteva essere infranta in qualsiasi momento.
Eppure...
Eppure
Constance era maledettamente orgogliosa di quella consapevolezza. Era
orgogliosa perché Blaise continuava a darle motivazioni che
glielo facevano amare sempre di più.
"Bé...
pensa anche alla tua povera mamma, Blaise caro"
Lui
sollevò gli occhi dalla tazza di caffè quasi vuota, per
studiare il volto di sua madre che, dal canto suo, non voleva
saperne di lasciarsi seppellire dall'austerità e dall'aura
depressa che emanava suo figlio.
Lei
roteò gli occhi di fronte alla sua espressione interrogativa e
sbuffò una risata.
"Non
vuoi regalarmi un nipotino? La gioia di essere chiamata nonna?"
sfarfallò le ciglia con ben architettata affabilità.
Lui aggrottò la fronte, gli occhi che trasudavano scetticismo
a secchiate.
"Non
ti faresti chiamare nonna neanche se ti offrissero un premio in
denaro" commentò, schioccando seccamente la lingua sul
palato. Constance sventolò una mano per aria con leggerezza.
"Dipende
dalla cifra di cui stiamo parlando, figlio mio. Ognuno ha il suo
prezzo!"
Blaise
fece una smorfia, ma non replicò, perché sua madre
aveva ragione.
"Non
prenderebbe comunque il nostro cognome"
"Non
è il cognome che farebbe di lui uno di famiglia!"
Di
nuovo, il ragazzo si zittì, perché sua madre stava
abbattendo, senza pietà, tutti i paletti che si erano posti
sulla strada dell'accettare la proposta di Mary Moore.
Penserò
io a sistemare Benjamin, Blaise. Devi solo dire di sì gli
aveva detto, con uno strano sguardo da girl
power celato
negli occhi verdi.
Certe
volte le femmine riuscivano ad inquietarlo; potevano sembrare candide
ed innocenti, ma sotto lo strato di purezza che sbattevano in faccia
agli altri come un biglietto da visita, erano tutte delle sporche
calcolatrici.
"Il
mio lavoro mi tiene molto impegnato" riprese poi, rigirandosi la
tazza tra le mani con aria distratta.
"Ne
sono certa. Per fortuna hai me e quel tuo simpaticissimo amico
Neville, che sicuramente sarebbe disposto ad aiutarti come lo sono
io!"
"Non
esserne troppo sicura"
"Piacerebbe
a te, non esserlo, così avresti un motivo in più per
rifiutare" Constance disintegrò il suo insulso borbottio
con una sentenza da tribunale.
Blaise
si morse l'interno della guancia, consapevole di star perdendo
miseramente la guerra.
Dio,
perché sua madre doveva essere così
sua madre? Un po' come quando Neville certe volte si chiedeva perché
Blaise dovesse essere così
Blaise.
Evidentemente
era una caratteristica della genetica Zabini essere sempre così
così.
"Anche
lui lavora e comunque non capisco cosa possa entrarci in tutta questa
faccenda"
Sua
madre arcuò le sopracciglia e lo guardò con un'occhiata
che da sola sembrava dire fai sul serio?
"Io,
invece, campo di rendita” rispose con una serenità
diabolica, “ Ed ho un sacco di tempo libero. Per quanto
riguarda il tuo amico, non credo ci voglia una magia per capire che
si è affezionato al bambino quanto Mathias si è
affezionato a lui"
"Come
verrebbe trattato se venisse associato ad uno come me?!" Blaise
si mosse nervosamente sulla sedia, facendo scorrere una mano tra i
corti capelli neri.
"Non
mi sembra ti sia mai importato qualcosa di quello che pensano gli
altri"
"Non
importa a me, ma potrebbe importare a lui!"
Constance
schioccò le dita affusolate ed un sorriso accattivante le
piegò le labbra piene.
"Ma
guardati! Pensi già in funzione a cosa possa essere meglio per
Mathias! Ti sei praticamente calato nel ruolo da solo, non ti resta
che mandare un gufo a quella Mary e dirle di sì!"
"Non
ho risposto ai suoi gufi, non credo proprio voglia rivedermi così
presto"
"Mio
figlio: un vero prodigio! Perché non mi hai mai parlato delle
tue capacità divinatorie,
Blaise caro? O forse hai avuto un sogno premonitore che ti ha
permesso di darlo per certo?"
Il
ragazzo le lanciò un'occhiatina, aveva l'aria di uno che era
stato messo alle strette contro la sua volontà.
In
effetti, era proprio ciò che sua madre stava facendo.
"Ho
venticinque anni!" tentò, non sapendo a cos'altro diavolo
aggrapparsi.
"Io
ne avevo venti quando sei nato tu"
"Sono
stato voluto!"
"E
tu vuoi Mathias altrimenti non staremmo qui a parlarne né mi
staresti costringendo a calpestare ogni tua sentenza. Perché è
questo che vuoi da me, Blaise. Tu vuoi che io riduca ogni tua
considerazione ad un livello talmente irrilevante, da convincerti che
non valga neanche la pensa starci a pensare. Vuoi forse prendere in
giro la tua mamma adorata e devota, osando negare questa ovvietà?"
Il
Serpeverde ebbe l'impulso di vomitare davanti alle ciglia
sfarfallanti di Constance che, in un modo davvero crudele, riuscivano
sempre a farlo sentire in colpa. Lo sapeva che lo stava facendo
apposta, tuttavia non riusciva a resisterle, non era mai stato in
grado di farlo. E lei lo sapeva.
Strega!
"E
comunque ci saremmo anche noi, eh"
Blaise
neanche si voltò, anzi: sperò ardentemente che ignorare
sin dal principio quell'intervento non richiesto, potesse salvarlo
dall'ennesima sceneggiata.
Ah!
Povero
illuso.
"Sta
zitta Morgana, non riesci neanche ad evitare che ti schiaccino contro
la cornice, come pensi di poter aiutare Blaise a badare ad un
bambino?"
"A
parte questo, dovresti parlare al singolare Morg, perché io
non ho intenzione di fare da balia proprio a nessuno!"
"Ah,
è così? Se proprio vuoi saperlo, Bacco,
con quello stomaco enorme che ti ritrovi è un po' difficile
non lasciarsi schiacciare contro la cornice. Magari se chiudessi la
bocca, oltre ad attivare il cervello perderesti anche un po' di
ciccia. In quanto a te, meravigliosa
Ginevra, se Ser Lancillotto ha smesso di farti la corte è
proprio per questo tuo acidume!"
"Disse
quella che tradì il sangue del suo sangue!"
"Come
osi?
Il passato è passato, parlo di nuovo con Artù se non te
ne sei accorta, quello stesso Artù che hai ben pensato di
cornificare come una sciacquetta da taverna!"
"Sciacquetta
a chi, strega?
Per lo meno io non morirò zitella e con le ragnatele nelle
mutande!"
Quando
la situazione iniziò a farsi preoccupante, Don Chisciotte
balzò in mezzo alle due cercando di calmare gli animi, che già
stavano per prendersi per i capelli.
Blaise
passò stancamente una mano sul volto, mentre sua madre rise di
gusto.
Certe
volte la sua vita gli pareva una barzelletta!
*
Mathias
guardava il cielo nuvoloso al di là del vetro della finestra,
mentre Dennis, il fratellastro di cinque anni, giocava con i
modellini di alcune scope seduto sul tappetto della sua stanza: era
tutto intento ad inscenare un'avvincente partita di Quidditch, con
mostri e draghi annessi (non si faceva mancare niente).
Da
quando Mathias aveva messo piede in casa Moore, Dennis era diventato
la sua ombra. Lo seguiva ovunque, pretendeva di fare le cose che
faceva lui e, certe volte, cercava di parlare come lui. Gli occhioni
verdi del bambino lo scrutavano capeggiando sotto una zazzera di
capelli castani, il visetto a forma di cuore come quello della sua
mamma.
Mathias
non apprezzava essere costantemente osservato da qualcuno, che fosse
un individuo di cinque o trenta anni aveva poca importanza: trattava
Dennis con distacco, cercando di farsi odiare; lo stesso distacco, lo
propinava senza tante cerimonie anche ai due coniugi che lo avevano
adottato, ma il fallimento continuo dei suoi tentativi non faceva
altro che alimentare la sua rabbia.
Mary
e Benjamin con lui erano stati fin dall'inizio maledettamente
gentili, premurosi ed attenti ad ogni suo bisogno. Gli sorridevano e
lo trattavano allo stesso modo in cui Dennis veniva trattato e,
davvero, ci stava ancora provando a farsi odiare, ma i suoi tentativi
diminuivano di intensità e determinazione di giorno in giorno.
Non ce la faceva proprio a comportarsi male con quella gente che gli
stava dimostrando affetto senza chiedere nulla in cambio, quella era
una cosa al di fuori delle sue capacità! E poi, se sua madre
fosse stata ancora viva, sicuramente non avrebbe benvisto quel modo
di fare, quell'irriconoscenza. I suoi genitori non gli avevano
insegnato ad essere un bambino maleducato ed ingrato, quindi si era
detto una buona volta che doveva piantarla di sbattere i piedi e
ringhiare a chiunque gli rivolgesse la parola, perché così
facendo avrebbe dato un dispiacere anche a loro.
Tuttavia,
nonostante le sue buone intenzioni, non poté fare a meno di
sentirsi uno schifo mentre il cielo plumbeo si rifletteva nei suoi
occhi scuri.
Si
sentiva solo, non capito e non aveva voglia di parlarne. A cosa
sarebbe servito ricominciare tutto da capo? L'aveva fatto con Blaise
e com'era finita? Ignorava i gufi che gli spediva!
Mathias
aveva smesso di scrivergli una settimana prima; i sentimenti
stracciati dall'indifferenza che il Serpeverde aveva mostrato nei
suoi confronti, gli avevano fatto perdere il coraggio di continuare a
farlo.
Mary
se ne era accorta, ma non gli aveva chiesto niente e continuando a
sorridere gli aveva accarezzato i capelli e ficcato tra le mani una
cioccolata calda con una montagna di panna sopra. Mathias era
arrossito, perché se c'era una cosa cui non sapeva resistere
era proprio la panna e senza dire niente, vi si era praticamente
affogato, evitando di incrociare gli occhi verdi della donna,
inteneriti forse da qualcosa che solo lei poteva vedere.
Ovviamente
Dennis aveva preteso la stessa identica quantità di cioccolata
con la stessa identica quantità di panna; Mary, roteando gli
occhi verso il soffitto, lo aveva accontentato con un'espressione
divertita ad illuminarle il volto gentile.
Mathias
avrebbe definito la vita in casa Moore soffice.
Entrare
lì dentro, era come sentire una coperta calda che ti avvolgeva
nelle fredde giornate invernali e c'era da dire che sia Mary che
Benjamin avevano fatto veramente di tutto, per metterlo a proprio
agio. Il fatto che continuasse a pensare a Neville e Blaise, quindi,
lo faceva sentire ancora di più in colpa; quanti di quei
sentimenti avrebbe potuto ancora sopportare un bambino di otto anni
come lui?
Mathias
distolse gli occhi dal cielo scuro perché Dennis lo stava
tirando per una manica, chiedendogli di giocare con lui. Con uno
sbuffo, si sedette a gambe incrociate sul tappeto e si rigirò
tra le dita uno dei modellini di scopa appartenenti al fratellastro;
gli venne quindi naturale lanciare un'occhiatina al muro della sua
stanza, al quale era appesa la scopa che Constance gli aveva regalato
per Natale. Piegò le labbra in un debole sorriso, ricordando
la domenica in cui era stato portato a provarla ed un piacevole
calore gli invase il petto.
"Mathias
il mio drago sta mangiando la tua scopa!"
Dennis
riportò la sua attenzione sul gioco che aveva deciso di fare;
notò così che il modellino della sua scopa. veniva
gradualmente e magicamente inghiottito dalle fauci di un drago di
plastica, dalle discrete dimensioni.
"Non
vale, non stavo guardando!" replicò, senza nemmeno
tentare di salvare la scopa.
"E
perché non stavi guardando?" la voce del suo fratellastro
risuonava sempre con un tono di tale candore ed innocenza da minare
spesso alla salute del suo cipiglio perennemente irritato.
"Perché
stavo pensando"
"Perché
stavi pensando?"
"Perché
la gente pensa!"
"E
tu che cosa pensi?"
"Penso
a... penso alle scope!"
"Alla
tua scopa?"
"Sì,
alla mia"
"Perché
non mi fai mai giocare con la tua scopa?"
"Perché
sei piccolo!"
"E
quando divento grande?"
Mathias
venne investito dagli occhi chiari del fratello, che lo guardarono
con una sorta di aspettativa e speranza. Realizzò in quel
momento che avrebbe davvero
vissuto per
sempre con
i Moore e che quindi sarebbe giunto davvero
il momento in cui Dennis sarebbe diventato abbastanza grande per
poter giocare con la sua scopa.
E
lui sarebbe stato lì ad assistere a quel processo, a quella
crescita.
Ed
avrebbero anche frequentato alcuni degli anni ad Hogwarts insieme!
Schiuse
le labbra con espressione piuttosto babbea, fissando Dennis come non
lo vedesse realmente.
Il
suo futuro, tutta la sua vita sarebbe stata con i Moore!
Gettando
il modellino della scopa (o ciò che ne restava) sul tappeto,
si alzò boccheggiando.
Come
aveva fatto a non pensarci prima? Aria, gli serviva aria,
immediatamente!
Si
catapultò verso la porta della sua stanza e dopo averla
aperta, volò al pian terreno guadagnando l'uscita della
villetta come un razzo.
Mary,
che era in salotto a sistemare i panni puliti da poco ritirati,
allargò gli occhi incredula, credendo di aver visto male,
tanto Mathias era stato veloce; ma quando vide Dennis scendere le
scale nel tentativo di andare come al solito dietro al fratellastro,
capì invece di averci visto benissimo. Corrugò la
fronte accantonando i suoi doveri di casalinga e si diresse verso la
porta di ingresso mentre Dennis la affiancava.
"Mathias?"
provò, cautamente, affacciandosi sull'uscio ed osservando il
giardino curato che precedeva l'entrata della casa.
Nell'udire
la sua voce, l'interpellato si girò verso di lei con uno
sguardo perso ed il respiro inframmezzato.
Mary
uscì di casa, preoccupata dalla confusione e dal turbamento
che leggeva sul volto delicato di Mathias.
Dennis
la seguì con un cipiglio curioso e passò le manine tra
i capelli castani, cercando di incasinarli come lo erano quelli del
suo fratellastro. Ciò che faceva Mathias gli sembrava sempre
giusto, quindi voleva essere letteralmente
come lui! Il più piccolo dei Moore rimase in silenzio, semi
nascosto dietro le gambe di sua madre.
"Mathias,
cos'hai?" domandò Mary, con tono di voce gentile che
cercò di essere anche tranquillizzante. Ebbe l'istinto di
allungare le mani per accarezzargli il viso, ma si trattenne: aveva
capito che il più grande dei suoi figli non amava il contatto
fisico. Non quello delle persone di cui non si fidava, per lo meno.
Mathias
percepì una strana nota nel tono di voce della donna che aveva
di fronte, ma era pur sempre un bambino e non poteva capire che lei
gli stava chiedendo, ti
prego,
di lasciarsi aiutare.
"Voi
mi avete adottato" esordì, incapace di tenere tutti quei
pensieri per sé. Doveva parlare, doveva
farlo o sarebbe letteralmente esploso, lo sentiva. Era un bambino,
pretendeva di essere rassicurato ed aveva il sacrosanto diritto di
fare tutte le domande del mondo perché
sì.
"Sì
Math..." rispose Mary, incerta, attendendo che il bambino
continuasse a parlare. Che fosse arrivato il momento, si chiese con
una sorta di magone speranzoso a stringerle la gola?
"Lo
sapete che è per tutta la vita?"
Lei
annuì senza parlare, ma cercò gli occhi scuri
dell'altro con i suoi, perché voleva che capisse
che lo sapevano, l'avevano sempre saputo e questo non li aveva mai
distolti dai loro propositi.
"Lo
sapete che non potrete ridarmi indietro se non vi piaccio più?"
"Sì,
certo!"
"Lo
sapete che tra vent'anni sarete ancora i miei genitori?"
"Sì!"
"Lo
sapete che se per caso facessi dei guai poi dovrete pensarci insieme
a me?"
"Lo
sappiamo, Math!"
"Lo
sapete che se vi stufate o ci ripensate non potrete cacciarmi via?"
"Buon
Merlino, ma come ti vengono in mente certe cose?!"
Mathias
unì le labbra, abbassando lo sguardo verso il terreno.
Era
stato piuttosto schietto, ma aveva bisogno di parlare con sincerità
e di sentire delle risposte altrettanto sincere. Voleva capire se i
Moore erano davvero convinti di quello che avevano fatto.
Lui
non era un giocattolo od un oggetto e ne aveva veramente abbastanza
di cambiamenti drastici nella sua vita. Ne avrebbe avuto per molti,
molti anni a venire!
Mary
si avvicinò a lui e poggiò le mani sulle sue spalle in
un contatto non troppo invasivo.
"Io
e Benjamin" esordì, con un tono di voce gentile ma fermo,
di chi non aveva intenzione di essere contraddetto,
"Abbiamo deciso di prendere in adozione un bambino dopo
la
nascita di Dennis, Mathias. Non prima. Non abbiamo nessun problema ad
avere figli, ma il nostro desiderio di adottarne uno era grande.
Sopratutto quello di Benjamin, che ha un cugino rimasto orfano ancora
prima di te. Abbiamo visto con i nostri occhi la felicità che
la sua famiglia adottiva è riuscita a donargli, lo abbiamo
visto attraversare momenti veramente bui e difficili durante il corso
della sua vita, ma i suoi genitori, perché io mi ritengo tua
madre a dispetto di ciò che pensi, non l'hanno lasciato solo
nemmeno per un secondo. Mai. Quando qualcuno adotta, Mathias, lo fa
per tutta la vita ed è quello che abbiamo fatto con te. Ti
abbiamo desiderato così tanto e, davvero, tu non puoi avere
neanche la minima idea di quello che stai dicendo. Lo capisci? Io e
Ben cercheremo di essere sempre tua madre e tuo padre anche se tu non
ci permetterai di farlo"
A
quelle parole, il bambino divenne paonazzo. Dalla rabbia.
"Voi
non sarete mai mia madre e mio padre! Li ho già avuti e sono
morti, non sarete mai come loro!" ribatté ad alta voce,
incurante di poter attirare gli sguardi curiosi dei vicini rintanati
nelle loro case.
Mary
sospirò, conscia di essersi espressa solo a metà e
tentò di rimediare.
"Nessuno
vuole prendere il posto dei tuoi veri genitori Math, né io né
Ben. Non vogliamo farlo e comunque non saremmo in grado. Tuttavia
questo non mi impedirà di comportarmi con te come una madre
farebbe, perché per me sei mio figlio. Lo sei diventato ancora
prima che ti conoscessi quel giorno al Ministero. Lo sei diventato
quando hanno accettato la nostra richiesta di adozione e ho sentito
di amarti ancora prima di sapere il tuo nome"
Stava
piangendo, ma non se ne era accorto. Credeva di aver esaurito tutte
le sue lacrime quel giorno al cimitero... Invece aveva pianto al
Ministero, quando aveva dovuto separarsi da Blaise e lo stava facendo
di nuovo.
Si
sentiva così stanco,
così
stanco che quando Mary lo abbracciò teneramente avvolgendolo
in un calore confortante, la lasciò fare.
Singhiozzò
indecentemente sul suo cardigan verde pastello che arpionò con
le mani, stringendolo tra le dita. Piangeva perché si sentiva
effettivamente amato da quella famiglia e non sapeva se sarebbe mai
stato in grado di ricambiare. Piangeva perché sentiva di avere
come una zavorra che gli impediva di sbloccare il suo tormento.
Piangeva perché Blaise l'aveva abbandonato, nonostante le sue
tacite promesse. Piangeva perché avrebbe voluto sentire ancora
l'odore di Neville, così simile a quello di suo padre.
Piangeva perché forse, forse,
voleva credere a quello che Mary gli aveva detto... Perché se
non l'avesse fatto allora sarebbe stato perduto per sempre e non ci
sarebbe stato nessun Blaise
in grado di salvarlo da se stesso.
Mary
continuò a stringerlo tra le braccia con un sorriso
comprensivo sulle labbra, sussurrando gentilmente per cercare di
calmarlo. A quel punto, entrambi si sentirono circondare le gambe da
qualcosa. Abbassando gli occhi, videro Dennis che cercava di
abbracciarli entrambi, per quanto nelle sue possibilità,
tenendo il naso puntato all'insù con gli occhi verdi e lucidi.
"Perché
piangi Mathias?" pigolò con tono di voce incerto,
combattuto tra l'idea di farlo anche lui (per imitare il fratello)
oppure no.
"Non
vuoi stare con noi? Non ti piaccio?"
La
sola idea sarebbe bastata come pretesto per piangere, ma Dennis non
era in grado di capirlo.
"Giuro
che non ti chiederò mai più di farmi giocare con la tua
scopa, ti prego non te ne andare! Io voglio stare con te!"
La
faccia devastata di Dennis sull'orlo delle lacrime, gli fece tremare
le spalle nel tentativo di non mettersi a ridere. Aveva
un'espressione troppo comica!
Incredibilmente
la prima a cedere fu Mary che, meno sensibile di lui nei riguardi dei
sentimenti del suo secondogenito, scoppiò in una fragorosa
risata priva di ritegno.
Dennis
lanciò un'occhiata di fuoco a sua madre, che avrebbe forse
potuto incenerirla, offeso nel profondo orgoglio tipico dei bambini e
cominciò a lagnarsi sul serio; a Mathias tremolavano le
labbra, mentre si asciugava la faccia con la manica della maglietta,
ma tentò comunque di trattenersi, per evitare che gli acuti
del bambino arrivassero fino all'altro mondo. Si inginocchiò
sull'erba e lo guardò con espressione esitante, gli occhi
attraversati da un'ombra di incertezza. Le sue
braccia sembrarono vacillare lungo i fianchi, ma le mantenne
saldamente attaccate al corpo; questo non impedì a Dennis di
capire cosa Mathias stesse per fare e togliendolo sia dall'imbarazzo
che dall'impiccio, gli gettò le braccia al collo in una presa
da boa constrictor.
Lo
slancio fu talmente entusiasta che il più grande dei due
crollò con il sedere per terra, reggendo il peso di entrambi
con una mano, per evitare di finire distesi sull'erba umida;
sfarfallò le ciglia con espressione perplessa, avvertendo
Dennis cercare di mettere quanta più forza possibile in
quell'abbraccio, come a volerlo costringere a portarlo con sé
ovunque sarebbe andato.
Mathias
non capiva, davvero non
capiva cosa
avesse fatto per guadagnarsi tutto quell'affetto da parte del
fratellastro. Per una volta, però, prese a calci la sensazione
di non meritarsi tutto quello; si lasciò avvolgere dalla
famiglia Moore come non gli aveva mai permesso di fare e la sincera
gioia che lesse sul volto di Mary gli fece capire che stava facendo
la cosa giusta.
Si
lasciava avvolgere dai Moore e lasciava scivolare via Blaise.
Quando
si furono tutti rimessi in piedi e dopo aver cancellato ogni singola
traccia di pianto dalle facce, fecero per tornare dentro casa.
Il
cielo plumbeo aveva iniziato a buttar giù qualche goccia di
pioggia e nel giro di qualche attimo si sarebbero trasformate in una
sorta di diluvio universale, Mary poteva scommetterci la sua
collezione di cardigan color pastello (in tutte le tonalità
esistenti).
Dennis
entrò per primo, seguito da un pacato Mathias, imbarazzato
dalla scenata che aveva fatto in giardino.
Benedetto
ragazzo,
pensò Mary scuotendo la testa e promettendosi di riuscire a
farlo comportare come un bambino normale, prima o poi. Prima
di Hogwarts per lo meno,
aggiunse mentalmente con un cipiglio battagliero.
Fece
per chiudere la porta, quando nel cielo scorse un puntino nero,
piccolo, ma in avvicinamento. Restò con la mano sulla
maniglia, gli occhi verdi sempre diretti verso quello che capì
essere un gufo. Il suo cuore perse un battito e lanciò così
una veloce occhiata all'interno della casa, per assicurarsi che i
suoi figli avessero già lasciato il salotto. Uscì
nuovamente sull'uscio ed accostò la porta, attendendo con una
certa impazienza l'arrivo del volatile.
No,
Mary, non attivare il cervello. Non. Lo. Attivare. Aspetta prima,
devi aspettare. Potrebbe essere di chissà chi, magari non è
lui. Non iniziare a partire con i filmini mentali perché poi
lo sai come va a finire. Non è sano!
Quando
il gufo arrivò, la dolce, carina e pacata signora Moore quasi
lo aggredì. Gli strappò la lettera dalle zampe con una
foga eccessiva, tanto da guadagnarsi uno schiocco indignato del becco
di Zeus (così c'era scritto sulla targhetta che portava
intorno al collo) e ruppe il sigillo, estraendo la pergamena al suo
interno.
Quando
ebbe finito di leggere, le sue labbra si tesero in un sorriso.
NOTE DELL'AUTORE:
ventiduesimo capitolo. Oddio, sto scrivendo davvero questa parola...
ventiduesimo. Siamo a meno uno ragazze, oramai l'ufficiale fine di
questa storia è alle porte. L'epilogo è lì che
mi guarda, ma il pensiero di doverlo pubblicare venerdì
prossimo mi fa sanguinare il cuore, sul serio. Comunque, pensando a
cose ben più allegre: è venerdì, ciò vuol
dire che domani è sabato! Evviva! Ringrazio moltissimo
Mimiwitch per il betaggio, un grosso bacio a tutte quelle che mi
scrivono su Twitter, per e-mail e per messaggistica privata, a chi
legge e basta, a chi spende due minuti per farmi sapere cosa ne
pensa, a chi aggiunge la storia nelle varie liste ed a chi vi si è
affezionato! Offrirò a tutti da bere prima o poi, statene
certi, ahahah :D buon weekend sweethearts!
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Capitolo 23 *** Epilogo ***
EPILOGO
I never
understood before
I never
knew what love was for
My heart
was broke, my head was sore
What a
feeling
Tied up in
ancient history
I didnt
believe in destiny
I look up
you're standing next to me
What a
feeling
(Brighter
than the sunshine, Aqualung)
TRE
ANNI DOPO
"Blaise
non la trovo, dov'è la mia camicia?!" i capelli di
Neville sono sparati da tutte le parti per l'agitazione. Inutile
essersi pettinato con impegno, dovrà farlo di nuovo.
"Hai
controllato sotto il comodino? L'ultima volta l'hai ficcata lì
, ma ancora devo capire come ci sei riuscito" dice
l'interpellato, rimirando la sua perfetta figura allo specchio. Con
un cipiglio contrariato, liscia il colletto della camicia e passa le
mani sul maglione scuro.
"Sì,
ho controllato e non c'è! Oddio,
faremo tardi, faremo tardi, me lo sento!" solleva per aria
coperte e lenzuola, alla disperata ricerca del pezzo mancante. In
camera sembra essere esplosa una bomba.
Tramite
lo specchio, Blaise lo osserva e stringe le labbra in una linea
sottile. A distanza di anni, ancora mal sopporta il caos che il
Grifondoro riesce a creare con tale sconcertante maestria. Non lo
sopporta, proprio non ce la fa. Schiocca la lingua contro il palato.
"No,
mio caro, tu
farai tardi. Io andrò, con o senza di te"
"Sei
cattivo!"
Blaise
arcua le sopracciglia con aria menefreghista, minimamente toccato. Si
volta verso il compagno ed incrocia le braccia contro il petto.
"E
tu sei disorganizzato. E' dalla sua fondazione che Hogwarts inizia il
ciclo scolastico il primo di settembre. Avresti dovuto prepararti con
anticipo!"
"Non
è colpa mia se stamattina mi sono svegliato tardi! Qualcuno
si è alzato senza chiamarmi e sempre quel qualcuno
ha avuto la brillante idea di fare le ore piccole!" Neville apre
i cassetti del settimino, cominciando a cacciare fuori qualsiasi
indumento: lo sparpaglia senza pietà oltre le spalle.
Blaise
stringe con due dita la sella del naso, ammirando le mirabolanti
giravolte che pantaloni e magliette compiono nell'aria prima di
ricadere a terra. Il
segreto è respirare, Blaise. Respira.
"Qualcuno
mi ha detto che sembravi apprezzare
le ore piccole!"
"Blaise!"
"Hai
iniziato tu, è inutile che ora ti fai andare a fuoco le
orecchie come fossi la vittima"
La
porta si spalanca di botto.
"Buon
giorno colombelle!" un trillo gioioso ed euforico invade la
stanza. Neville distoglie lo sguardo dai cassetti e fulmina suo
cugino sulla soglia.
"Alberic!
Piantala di entrare in camera mia senza bussare!"
"Neville,
tortorella mia, non è la prima volta che ti vedo senza
camicia, sai?" civetta quello, sfarfallando le ciglia con una
faccia da figlio di buona donna.
"Non
è questo il punto!" lo rimbecca Neville, un po' acido.
Alberic si lascia scivolare addosso il suo tono antipatico come fosse
aria e stende le labbra in un sorriso mozzafiato.
"Come
stai, anatroccolino?
"Che
cosa vuoi?!"
"Il
tuo tono mi ferisce. Ero accorso in tuo aiuto, ma evidentemente non
ne hai bisogno..." rimira le proprie unghie con una certa
nonchalance, restando appoggiato con una spalla allo stipite della
porta, le caviglie incrociate.
"Sei
solito accorrere in mutande, in aiuto della gente?! Vestiti, per la
decenza di Godric e non irritarmi, sono già in ritardo!"
"Quindi
questa non ti serve, mio piccolo colibrì?" da dietro la
schiena tira fuori qualcosa, che fa sventolare davanti gli occhi del
cugino. E no, il fatto di essere visto da terzi in mutande, non lo
turba nemmeno un po'.
"La
mia camicia! Dove l'hai trovata?!"
Neville
si tuffa verso di lui nel tentativo di riprendersela, ma la sua
proverbiale goffaggine gli fa guadagnare una poderosa ginocchiata
contro il bordo del letto.
Lui
impreca.
Alberic
ammicca.
Blaise
ride.
"Non
ti agitare rondinella, vogliamo che tu possa arrivare intero dal
vostro giovin usignolo in procinto di spiccare il volo, non è
così?"
"Perché
la tua vasta conoscenza sulle specie di volatili che usi per
rivolgerti a Neville, mi lascia sempre inquieto?" il Serpeverde
si intromette in quello scambio di battute con tono piuttosto
serafico.
"Perché,
Blaise, sei gay. E i gay amano gli uccelli,
non lo sapevi?" gli occhi azzurri di Alberic brillano di gioia.
"ALBERIC!"
esclama il Grifondoro, con evidente indignazione.
"Nev,
passerottino, se non respiri ti esploderà qualche vena nei
pressi della fronte, ne sei conscio?"
"Dammi
la mia maledetta camicia e vattene prima che ti uccida con le mie
mani!" gesticola furiosamente, cercando di certo la bacchetta
per affatturare una volta per tutte suo cugino.
"Come
vuoi. Ma sappi che te l'ho stirata io. Con tutto il mio magico
amore"
Alberic
chiude la porta in tempo per evitare che Neville gli stringa le mani
attorno alla gola. Mentre infila la camicia, nota che Blaise lo sta
osservando con un sorriso sulle labbra, attraverso lo specchio nel
quale è riflessa la sua immagine.
"Cos'hai
da ridere?!" sbotta allora, allacciando malamente i bottoni,
cosa che lo costringe a ripetere l'operazione da capo.
"Qualche
anno fa ti ho detto che sei buffo?"
"Ancora
questa storia?!"
"Rimangio
quello che ho detto. Sei una comica
Paciock, sul serio. E penso di stimare tuo cugino"
"Ricordarti
che stai con il cugino
di Alberic, non con lui! Vi affatturo entrambi!"
"Oh-oh,
saremo mica gelosi?"
Neville
avvampa fino alla radice dei capelli e chiudendosi in uno stoico
silenzio, continua a vestirsi senza più degnare Blaise di uno
sguardo. E' grazie a questo che il Serpeverde riesce a coglierlo di
sorpresa, raggiungendolo alle sue spalle. Gli passa le braccia
intorno al collo e lo attira contro di sé, facendo aderire il
petto alla schiena calda di Neville. Con le labbra ancora tese in
quel sorriso soffice che addolcisce i suoi lineamenti, scende con la
bocca a sfiorargli la pelle del collo, morbida e liscia. Lo sente
rilassarsi contro di lui. Deposita un leggero bacio sulla gola
scoperta e respira contro la sua pelle con un'espressione così
serena che se Neville la vedesse, perderebbe sicuramente un paio di
battiti.
E'
questo il posto dove voglio stare. Da nessun'altra parte tranne che
qui.
Lì,
con le braccia strette intorno al corpo del Grifondoro, con il suo
odore sotto al naso e con il sapore della sua pelle sulle labbra.
E'
quello il suo posto.
Neville,
durante gli anni, ha smesso di temere il punto interrogativo che
all'inizio lo ha tormentato, perché silenziosamente è
certo che loro due siano diventati un punto esclamativo, anche se a
voce non hanno mai ammesso nulla. Ma non ce n'è bisogno, a lui
sta bene così e finché può bearsi del calore di
Blaise contro di lui, andrà tutto maledettamente bene.
*
"Oh,
eccoli! Li vedo! Aspettate qui, gli vado incontro!"
Blaise
dà una leggera gomitata a Neville, indicandogli con un cenno
del mento Benjamin che si dirige verso di loro, sbracciandosi per
farsi vedere in mezzo alla bolgia che affolla il binario. Il
Grifondoro si concede un sospiro di sollievo, mentre il terrore di
aver fatto troppo tardi gli scivola di dosso come una coperta
spiacevole da stringere.
"Ehy
Ben, come stai?" domanda il ragazzo con gentilezza, sinceramente
lieto di vederlo.
L'uomo
ricambia il sorriso di Neville e saluta con un accenno della testa
anche Blaise.
"Tutto
bene! Pensavamo che non ce l'avreste fatta, il treno parte tra tre
minuti esatti! Sarebbe stata una tragedia, Math ci tiene molto, anche
se..." abbassa il tono della voce e si getta uno sguardo alle
spalle, controllando di essere a debita distanza dalle orecchie del
suo primogenito "... anche se non lo ammetterebbe mai, nemmeno
sotto tortura" conclude con aria confidenziale, aggiungendo una
breve risata divertita.
"Io
ce l'avrei fatta di sicuro, ma non garantisco per altri" Blaise
sogghigna, adocchiando Mary qualche metro più avanti intenta
ad acciuffare il figlio più piccolo, eccitatissimo a causa di
tutto quel movimento.
Neville
schiarisce fastidiosamente la gola e lo ignora elegantemente,
continuando a parlare con Ben.
Stronzo.
Sono innamorato di uno stronzo. O forse lo stronzo sono io a questo
punto?
"Ok,
allora sbrighiamoci, non ci resta molto tempo"
Benjamin
annuisce e seguito dai due ragazzi, si avvicina alla sua famiglia.
Dennis sta pestando i piedi per terra, pretende
di salire su quel treno e pretende
di farlo insieme a suo fratello.
"Dennis,
salirai anche tu su quel treno, ma tra tre anni" esclama sua
madre, con un tono di voce così esasperato da far ridacchiare
Ben sotto i baffi. Lui è quello che i suoi figli li difende
sempre e comunque. Mary combatte una battaglia già persa in
partenza.
"Io
voglio farlo adesso!" protesta quello, stringendo le braccia al
petto con aria corrucciata.
"Adesso
non puoi, non hai l'età adatta e non è come se tuo
fratello starà via per tutta la vita! Tornerà per le
vacanze di Natale e forse qualche fine settimana, sai?"
"E
io che faccio da solo tutto questo tempo?!" il bambino sgrana
gli occhi e piagnucola senza vergogna. Mary rimane qualche istante
interdetta, ma cerca comunque di essere ragionevole.
"Come
sarebbe a dire, da solo? Ci siamo io e papà!"
"Figurati,
che barba!" Dennis rotea gli occhi verso il cielo e si imbroncia
con cipiglio testardo; sua madre sospira, invocando la sacrosanta
pazienza, la stessa che spesso invoca anche Neville ed è solo
in quel momento che si accorge del loro arrivo. Subito il suo volto
si illumina di un bellissimo sorriso e bando ai convenevoli, si
avvicina per schioccare un bacio sulla guancia di entrambi.
Blaise
ha imparato a conoscere l'esuberanza di quella donna, ma ciò
non vuole dire che vi si è abituato, difatti si mostra un po'
rigido a quella confidenza. Fortuna che c'è Neville a valere
per due! La Signora Moore infatti, è solita spargere amore e
gioia sia a destra che a manca e potrebbe benissimo fare concorrenza
ad un maledetto leprecauno.
Le
labbra del Serpeverde si stirano in un sorriso cortese, ma la sua
attenzione è già tutta per qualcun altro. Dietro Mary,
Mathias lo guarda con un'espressione sufficientemente nera.
"Vi
siete degnati allora" si scolla controvoglia dal palato,
schioccando la lingua.
"Il
fatto che tu abbia pensato il contrario mi offende" replica
Blaise, arcuando le sopracciglia.
Mathias
resta in silenzio per qualche secondo ad osservarlo, ingaggiando con
lui una battaglia di sguardi.
"E'
colpa di Neville, non è vero?" soffia monocorde ad un
certo punto.
"Come
sempre, aggiungerei" Blaise è piuttosto eloquente.
Mathias
sbuffa, mentre viene raggiunto anche dal Grifondoro, sentitosi tirare
in causa.
"Ehi,
Math! Allora, sei nervoso? Eccitato? Felice? Cosa si cela sotto
quello strato di 'che
noia vorrei essere altrove'?"
L'interpellato,
vedendosi sommergere da tutte quelle domande, raggruma le labbra con
espressione poco entusiasta; tuttavia, il modo in cui il suo sguardo
corre a destra e sinistra, come a non volersi lasciare sfuggire
nessun dettaglio, la dice ben lunga sulla sua impazienza. Difatti,
tra i presenti, nessuno si lascia ingannare dalla sua assenza di
entusiasmo. Oramai, tutti conoscono Mathias... e nessuno vorrebbe
cambiare una virgola, di lui.
E'
sempre stato un bambino speciale.
Il
ragazzino si stringe nelle spalle gracili ed inconsciamente si
accosta di più a sua madre. Sorridendo bonariamente, Mary gli
circonda le spalle con un braccio e sfrega con forza la sua spalla,
imprimendo coraggio.
"Vedremo..."
commenta con un'aria diplomatica che fa tanto Blaise. Neville lo nota
e non può fare a meno di scoppiare a ridere. Durante quegli
anni che hanno trascorso insieme, dividendolo con la famiglia Moore,
ha notato come Mathias sia riuscito ad assorbire alcune
caratteristiche delle persone che lo circondano. Ringrazia
mentalmente che da lui abbia preso ben pochi vizi.
Il
treno accanto a loro sbuffa rumorosamente, il brusio della banchina
sembra addirittura aumentare. Nell'aria serpeggia all'improvviso una
certa frenesia e Mary, stringendo maggiormente la spalla di suo
figlio, prende in mano la situazione.
"Vieni
Math, credo sia arrivato il momento che tu vada a prendere posto.
Sembra manchi davvero poco..." commenta, con aria un po'
spaesata. Anche per lei è un'esperienza nuova, del resto, ha
solo frequentato
Hogwarts... ma non ci ha mai spedito nessuno dei suoi due figli.
Tutta
la combriccola si muove, raggiungendo così l'entrata del
vagone più vicino. Dennis inizia seriamente a piagnucolare e
Ben, accanto a lui, gli accarezza i capelli chiari con un sorriso
intenerito. Mary sembra intenzionata a non mollare più la
presa sulla spalla di Mathias, ma lui non le dice niente; piuttosto,
allunga una mano verso il fratello più piccolo e gli fa cenno
di avvicinarsi. Dennis non se lo fa ripetere due volte, ha imparato
che certe iniziative, da parte del fratello, sono perle rare. E' per
questo che gli si fionda addosso, stringendolo in una morsa quasi
mortale. Mathias barcolla sotto la sua irruenza, ma gli stringe
comunque le braccia per allontanarlo quanto basta a guardarlo in
viso.
"Smettila
di piangere" decreta con un cipiglio severo ed un tono di voce
fermo. Dennis tira su con il naso, continuando a fare l'esatto
contrario.
"Ma
io..." pigola, la voce tremolante, "...io voglio venire con
te!"
Mathias
lo trascina un paio di passi più in là, come voglia
avere una sorta di privacy. I signori Moore, Blaise e Neville fanno
finta di niente, guardandosi intorno con forzata casualità. A
parte Blaise, sono tutti dei pessimi attori. Mathias sospira con una
certa gravità e tiene il fratello per le spalle.
"Lo
sai che posso fidarmi solo di te, Den. Se vieni con me, poi a chi la
lascio la mia scopa, eh? Te l'ho affidata per questo! Proprio perché
quelli del primo anno non ne possono avere una personale! Vuoi che la
lasci a papà? Vuoi che lo faccia? Lo sai cosa succede quando
papà si avvicina ad una scopa! Io credevo di poter contare su
di te!"
Dennis
annuisce freneticamente ed anche con espressione un po' impaurita.
Ben smette di fare il vago e li inquadra con aria interdetta. Cosa
stanno insinuando?!
"Per
non parlare della mamma" aggiunge Mathias implacabile, "Sarebbe
capace di portarla alla boutique ed usarla come appendi abiti. Ti
rendi conto della gravità della situazione, Den? Del
sacrilegio che compiresti nel lasciarla incustodita? Sei la mia unica
speranza. Dimmi che non mi sono sbagliato a fidarmi di te!"
I
Signori Moore si scambiano uno sguardo che dire comico sarebbe
riduttivo. Dennis drizza la schiena e si impettisce; nonostante i
lacrimoni negli occhi chiari, si batte una mano sul petto con fare
pomposo e lo guarda deciso.
"Ci
penso io, Math! Non farò avvicinare nessuno, te lo prometto!"
esclama, sentendosi importante come poche volte è successo.
Mathias sorride, scompigliandogli affettuosamente i capelli. Si china
su di lui e gli sussurra qualcosa all'orecchio. Quel qualcosa è
veramente una bomba, perché Dennis sgrana gli occhi, grida di
gioia ed inizia a saltellare in giro come un esaltato. Il tutto in
quest'ordine.
"Davvero
davvero davvero?!" domanda il bambino, con un sorriso che parte
da un orecchio e termina all'altro.
"Lo
sai che quando dico una cosa, la faccio. Ma tu devi compiere bene il
tuo dovere, hai capito?"
Mathias
lo vede annuire freneticamente ed a quel punto sospira di sollievo. E
una questione, è archiviata. Voltandosi verso la sua famiglia
(e con famiglia intende tutti e quattro gli stoccafissi che sono
venuti a salutarlo), non può fare a meno di notare che sua
madre si sta mordendo nervosamente le labbra. Il primo ad
avvicinarlo, però, è Ben. Il Signor Moore gli poggia
una mano sulla testa e gli strizza l'occhio.
"Ci
penso io alle crisi nostalgiche di tua madre. Cercherò di non
fartela apparire nel bel mezzo della scuola in un momento di
astinenza acuta. Salverò io la tua reputazione, d'accordo?"
Mathias
unisce le labbra per cercare di non ridere in modo troppo palese. Se
la intende bene con suo padre e spesso si coalizzano per prendersi
gioco della povera Mary. La suddetta, sentitasi tirare in causa,
senza tante cerimonie spintona di lato suo marito e stringe suo
figlio maggiore al petto così forte che Mathias teme per un
attimo di stare per morire soffocato. In quella morsa piena di
affetto e preoccupazione, arrossisce fino alla punta dei capelli.
"Mamma!"
borbotta, non sapendo come fare per non risultare troppo scorbutico,
"Smettila, ci stanno guardando tutti!"
La
donna lo tiene stretto ancora per dei lunghi istanti, mostrandosi
sorda e cieca davanti quella richiesta di pietà. Il treno
sbuffa ancora, oramai la maggior parte degli studenti sono saliti a
bordo e gli ultimi ritardatari si affrettano ad imitarli. Di questo
passo, Mathias non troverà neanche posto a sedere. Con
un'evidente difficoltà immane, Mary si stacca dal suo
primogenito e lo inchioda sul posto con uno sguardo da sergente. Lui
la spia quieto, oltre la frangia scomposta che gli ricade sugli occhi
grandi e scuri e resta in silenzio.
"Mi
raccomando, non combinare guai, non litigare con i tuoi insegnanti,
non saltare le lezioni, fai tutti i compiti, non saltare la
colazione, né il pranzo, né la cena, sii gentile con i
tuoi compagni di casa, non andare a zonzo per la scuola in orari in
cui dovresti startene in dormitorio, non andare a ficcanasare dove
non dovresti ed usa tutta la tua benedetta curiosità solo
quando è necessario, vale a dire in esclusivo ambito
didattico! Non perdere la bacchetta, lavati i denti tutte le sere e
non lasciare la tua roba in giro, soprattutto i soldi! Non farmi
preoccupare, Mathias, lo sai che poi la notte non chiudo occhio!"
dice tutto d'un fiato, terminando con una poco delicata gomitata
nello stomaco di suo marito, che fino a quel momento, piazzatosi alle
sue spalle, l'ha scimmiottata per sdrammatizzare un po' la
situazione. Mathias unisce di nuovo le labbra in una linea sottile,
per evitare di scoppiare a riderle in faccia: è impossibile
restare seri davanti le facce che sa fare suo padre. Con un sospiro
profondo, Mary si sposta di lato e prende un dolorante Ben
sottobraccio; senza dire niente, si allontanano di qualche passo,
raggiungendo Dennis che si è fermato ad osservare un rospo
rannicchiato in un angolino. Probabilmente qualcuno lo ha perso.
Neville distende le labbra in un sorriso, ricordando tutte le volte
in cui anche lui ha smarrito il suo povero famiglio, pace all'anima
sua.
Mathias
si avvicina ad entrambi lentamente, tenendo lo sguardo basso. Non sa
cosa farne delle mani, quindi le ficca nelle tasche dei jeans,
strusciando la punta della scarpa a terra. E' davvero arrivato il
momento dei saluti.
"Lo
sai, no?" dice Blaise d'improvviso, piuttosto tranquillo,
attendendo di incontrare lo sguardo del bambino.
Mathias
gli lancia un'occhiata indecifrabile, restando sin troppo rigido,
fermo sul posto. E' vero, non è come partire per la guerra,
però sarà anche la prima volta in cui passerà
così tanto tempo da solo, senza la sua famiglia. La cosa un
po' lo spaventa... da quando i suoi genitori non ci sono più,
ha sviluppato una sorta di muto terrore per la prospettiva di restare
solo. L'irrazionale paura che non riuscirà a farsi degli
amici, da giorni, lo divora. Neville, come al solito, sembra intuire
il corso dei suoi pensieri e gli da un buffetto su una guancia. In
quegli anni è diventato praticamente un asso, ad interpretare
la sua faccia.
"Vedrai,
sarai il miglior Grifondoro che Hogwarts abbia mai visto!"
esclama con decisione e fierezza, puntando i pugni chiusi sui
fianchi. Un sorriso soddisfatto ed orgoglioso già gli piega le
labbra. Blaise corruga la fronte, voltando con lentezza la testa
verso di lui, inequivocabilmente interdetto.
"Prego?"
commenta, lo scetticismo che gronda da ogni lettera, "Ovviamente
finirà a Serpeverde"
"Non
credo proprio" replica Neville, senza neanche guardarlo, "Mica
è subdolo come te!"
"Lo
dici come se fosse un insulto..."
"Lo
è infatti!"
"La
furbizia è molto più utile dello sventato coraggio di
cui tanto andate fieri, Paciock"
"Ho
detto subdolo, non furbo!" tiene a precisare il Grifondoro, con
un cipiglio testardo.
"E'
la stessa cosa!" Blaise rotea gli occhi verso l'alto con un
sospiro.
"No
che non lo è! Subdolo sa di malvagio!"
"Mi
stai dando del malvagio?"
"Come
se non ne fossi già consapevole..." in quella sentenza il
sarcasmo fa da padrone.
"Allora
dovresti sapere che non è saggio discutere con i malvagi.
Vedi, allora, che ho ragione? Il vostro coraggio mette perennemente a
rischio la vostra incolumità..."
Neville
fa per ribattere, ma Blaise lo spintona pigramente e si piazza
davanti a Mathias. "Non ascoltarlo, è statisticamente
provato che sono i Serpeverde, quelli che riescono a vivere più
a lungo. Domandati il perché"
"Ma
stai zitto! Se non ci fossimo noi a pararvi il sedere ogni tre per
due sareste una specie protetta in via di estinzione!" il
Grifondoro guadagna di nuovo la sua posizione, spalleggiando Blaise
con aria battagliera. Per un fugace attimo, il Serpeverde prova
l'ardente desiderio di mordergli una guancia.
Nel
bel mezzo del loro battibecco, Mathias cede alle emozioni che gli
stanno facendo rivoltare lo stomaco da quella mattina e li circonda
entrambi con le braccia, affondando il viso nel bavero del cappotto
di Neville. I due cessano immediatamente di stuzzicarsi ed abbassano
lo sguardo su di lui nel medesimo istante. Mathias inspira forte: il
Grifondoro ha ancora lo stesso odore di suo padre. Blaise appoggia
una mano sulla sua schiena in un tocco fugace e leggero, Neville gli
accarezza i capelli con un sorriso dolce, che sa di casa e di
quotidianità. La stretta di Mathias attorno ai loro corpi si
solidifica ancora di più.
"Sai
cosa?" commenta l'erbologo, continuando a vezzeggiarlo tra i
capelli, "Non mi importa in quale casa finirai, so già
che comunque sarai un passo avanti a tutti, cervellone. E se c'è
qualcuno che tenterà di boicottare la tua scopa durante le
lezioni di volo, fammelo sapere. Gli farò passare io la voglia
di volare!"
Il
bambino ride, socchiudendo gli occhi in un agognato stato di calma
che all'improvviso gli ha sciolto il nodo nella pancia.
Quando
Blaise parla, il suo tono di voce gli vibra nell'orecchio, perché
lo ha appoggiato vicino al petto, all'altezza del suo cuore.
"Fatti
rispettare, Mathias. Se mi metti in condizione di dover intervenire,
poi va a finire che quelli del Ministero ci ripensano e mi sbattono
ad Azkaban una volta per tutte. Non li costringiamo a riaprire quella
pratica, vuoi?"
Il
bambino li lascia andare lentamente ed annuisce in silenzio.
Da
quel momento, sembra tutto un susseguirsi di flash confusi.
Il
fischio del capotreno che annuncia la partenza, Ben che lo spintona a
bordo con cipiglio un po' rigido a causa del nervosismo, Dennis che
corre a fianco del treno da quando ha iniziato a muoversi, Mary che
agita una mano ordinandogli di scrivere non appena giunto a scuola,
Blaise e Neville che quieti, l'uno accanto all'altro, gli sorridono
con una fiducia così cieca che, per la seconda o terza volta
in tanti anni, riesce a sentirsi maledettamente fortunato.
La
vita ha voluto donargli quella famiglia un po' strampalata, un po'
allargata.
Tutto
sommato, deve ammettere mentre li vede sparire oltre una curva, non
gli dispiace affatto.
Quando
prende posto in uno scompartimento piuttosto affollato, la prima cosa
che fa è tirare fuori dalla borsa il libro che Blaise gli ha
regalato nel lontano Natale di tre anni prima.
Abbozza
un sorriso, riconoscendo gli angoli oramai consunti della sua
enciclopedia sui draghi.
Mamma,
papà, statemi a guardare, mentre divento per davvero un
Signore dei Draghi. Manterrò la mia promessa, vi renderò
fieri di me.
*
Neville
ride proprio di cuore, seduto sul divano, davanti al caminetto
spento. Oltre i vetri della finestra, il cielo punteggiato di stelle
è reso ancora più luminoso dalle luci artificiali
provenienti dalla strada. Anche se la questione con il Ministero è
stata risolta tempo addietro, Blaise non è voluto tornare al
maniero Zabini; quella sua moderna abitazione gli piace, si è
ambientato bene ed ha delle comodità che la sua vecchia
dimora, invece, non può vantare di avere. Una canzone anonima
serpeggia sino a lì dall'ingresso, canticchiata a mezza voce
da Morgana (o forse Ginevra, non riesce bene ad intuirlo). Si rigira
la pergamena tra le mani con espressione beffarda e scuote la testa
incredulo, intento ad assimilare la notizia appena ricevuta.
Mathias
ha fregato tutti.
Uno
intelligente come me, non poteva che finire a Corvonero, no?
Non
litigate, per favore.
Potrò
sempre fingere di essere un Grifondoro, con Blaise ed un Serpeverde,
con Neville.
Ce
ne sono tanti di modi, per infastidirvi.
"Io
lo sapevo" commenta Blaise, entrando proprio in quel momento.
Dalla cucina, porta con sé due tazze di tè e qualcosa
che Neville non riesce bene ad identificare, forse perché lo
sguardo che gli dedica è frettoloso.
"Certo,
come no, non avevo dubbi" replica infatti, prendendo la piuma
dal tavolino, "Che cosa rispondiamo?"
Il
Serpeverde appoggia le bevande calde sul ripiano davanti al divano e
si siede accanto a lui. Lo osserva rileggere ancora quelle poche
righe inviategli da Mathias ed in realtà si sorprende
addirittura, per averle ricevute: il primo giorno di scuola, lui, si
è sentito talmente stanco che ha rinviato qualsivoglia lettera
al giorno dopo.
Sente
all'improvviso lo sguardo curioso di Neville su di sé e si
stringe nelle spalle.
"Digli
di non fraternizzare troppo con i Tassorosso, non ho mai afferrato
che ruolo dovrebbero avere tra le quattro case"
Neville
gli da una gomitata poco convinta, con aria crucciata, "Non dire
così, la professoressa Sprite era una Tassorosso ed anche una
gran donna, per la miseria! Aveva una costanza ed una volontà
di acciaio!"
Blaise
lo guarda, aspettando di sentire la vera
parte degna di nota in tutta quella faccenda. Il Grifondoro lo
capisce e sbuffa esasperato.
"Come
parlare con un muro... " biascica, mordicchiando pensieroso la
punta della piuma. Sta per scrivere qualcosa, ma la voce di Blaise lo
distrae ancora.
"Ti
ricordi il nostro primo Natale?" dice quello, con un tono
piuttosto leggero. Si è abbandonato contro lo schienale del
divano ed ora, con la testa reclinata all'indietro, osserva il suo
personale imprevisto
con la coda dell'occhio. Neville non sa quante volte l'ha già
fatto, in quegli anni, ma lo pensa di nuovo: Blaise ha degli occhi
maledettamente magnetici. A quella domanda, comunque, non può
fare a meno di corrugare la fronte, cercando di cogliere il senso del
discorso prima ancora di vederselo sbattere sotto al naso dal
Serpeverde stesso.
"Sì..."
risponde, con titubanza, "Perché?"
Blaise
inumidisce con lentezza le labbra. Arriccia il naso quando qualcosa
non gli piace; bagna la bocca quando vuole dire qualcosa, ma deve
prima trovare le parole giuste. Alza un po' le mani, poi le fa
ricadere pesantemente sulle cosce.
"Tu
mi hai fatto un regalo" commenta, ma non è una domanda,
si intuisce dalla piega che prende la sua voce. Neville apre ancora
di più gli occhi con perplessità e sbatte le palpebre.
"...
Sssì. Sì, l'ho fatto. E tu no. Ma non sto
recriminando!" si affretta a specificare, all'occhiataccia di
Blaise.
"Lo
so che non lo stai facendo" dice quello, piuttosto quieto, "Ma
dovresti, perché non sono stato del tutto sincero"
Il
Grifondoro inizia un po' a preoccuparsi, perché non è
da Blaise girare intorno alle cose. Raccogliendo i pensieri per dare
loro un ordine, allunga una mano verso il vassoio, lì sul
tavolino, e lo vede. Nel momento in cui prende la tazza di tè,
vede il sacchettino di velluto blu che il Serpeverde ha portato con
sé dalla cucina. Lo guarda con circospezione, Neville, perché
non sa cosa contiene (e lui odia,
odia non sapere cosa
doversi aspettare dal suo ragazzo). Lancia uno sguardo verso di lui e
lo vede accennare un sorriso, uno di quelli che paiono fugaci per
quanto sono effimeri.
"Prendilo"
gli dice, incoraggiandolo addirittura con un cenno del mento.
L'erbologo
mostra una certa titubanza e, non sa per quale motivo, il cuore
comincia ad avere un battito irregolare. Non ha idea di quello che
sta accadendo e quel suo modo di fare così enigmatico, lo fa
sentire impacciato ed inadatto. Afferra il sacchettino blu,
constatandone l'estrema leggerezza, come se dentro non ci sia nulla;
lo tiene sul palmo della mano aperta e lo guarda, ma non lo apre,
quasi debba aspettare il permesso di fare anche quello.
Neville
ha già visto quel sacchetto, ma non se lo ricorda.
"Non
è vero che non avevo un regalo per te" continua Blaise,
mantenendo la sua posa che sa di inerzia, "Ma non ne ero ancora
sicuro"
Il
Grifondoro non può fare a meno di chiedersi
di cosa, non era
stato sicuro, mentre scioglie i lacci che tengono chiuso il suo
regalo di Natale di tre anni prima.
"Perché
me lo stai dando ora?" domanda invece, capovolgendo il sacchetto
sul palmo, per farne scivolare fuori il contenuto.
"Perché
adesso lo sono" risponde Blaise senza ombra di dubbio, senza
tentennare o incespicare nelle parole, ma Neville non lo guarda,
quindi lui aggiunge "Sono semi di-"
"Semi
di maggiorana" completa per lui l'erbologo, con un tono di voce
così sottile che l'altro riesce ad udire solo grazie alla
vicinanza.
Blaise
resta in silenzio e lo guarda far rotolare i semi nella mano con
un'attenzione che avrebbe riservato ad un essere umano.
"Mi
ricordo quel giorno che sei venuto qui, per far vedere a Mathias in
cosa consiste il tuo lavoro. Che gli hai detto, quando hai parlato
della maggiorana?"
Neville
alza un paio di occhi persi e maledettamente vulnerabili su di lui.
Ha l'aria di uno a cui è appena stata acchiappata la coda
dell'anima.
"Gli
ho detto che la maggiorana aiuta ad accettare i cambiamenti nella
vita..."
Un
battito di ciglia, delle labbra che si tendono.
"Sei
tu il mio cambiamento"
Neville
avverte chiaramente l'esatto momento in cui il sorriso di Blaise crea
un solco doloroso sulla parete del suo cuore. L'emozione è
troppa, non crede di poterne uscire vivo.
Chiude
la mano in un pugno, sente il profilo dei semi premere contro la
pelle. Li stringe forte, bloccato in una voragine di gioia così
selvaggia che vorrebbe semplicemente gridare e piangere e ridere
insieme.
Ama
Blaise, lo ama dai tempi della scuola e nonostante i tre anni che
hanno speso insieme, la mattina ha ancora paura di svegliarsi e
scoprire che si è trattato solo di un sogno.
Smentire
quell'irragionevole timore ogni mattina, è la cosa più
incredibile che gli sia mai capitata.
Tu,
tu sei la cosa più incredibile che mi sia mai capitata,
pensa, mentre lo bacia e lo ama, sempre di più, sempre di più,
ogni istante, ogni giorno.
Guardate
fuori dalla vostra finestra.
Che
cosa vedete?
Una
strada, forse. Oppure un giardino, altre case, il mare... non importa
davvero.
Adesso,
uscite fuori: guardate lo stesso paesaggio dall'esterno della vostra
casa.
Che
cosa vedete?
La
solita strada, probabilmente, o ancora quel giardino, le stesse case,
ancora il mare...
Ma
c'è una differenza.
Avete
appena cambiato prospettiva.
NOTE
DELL'AUTORE: Zan zan
zaaan. Oh Jesus, è arrivato davvero. L'ultimo capitolo è
arrivato. Prima di tutto, ci terrei a dire che lo dedico con tutto il
cuore a mia nonna:
proprio oggi è stato celebrato il suo funerale e trovo un po'
simbolico che la fine di questa storia coincida proprio con questo
giorno. Eppure sono positiva: probabilmente si sarà già
reincarnata da qualche parte nel mondo, deve essere per forza così.
Continuo con il ringraziare tutti, ma proprio tutti: ero
io, garwood e fliflai (che
mi hanno seguita proprio dal vero inizio), white7
(che ha avuto sempre parole gentili), Ignition
(che
mi ha dato un paio di suggerimenti utilissimi), BogartBacall
(non
potrei sostituirti con nessun altro stalker al mondo, come lo fai tu,
nessuno lo fa), Mimiwitch
(con
i suoi immancabili viaggi mentali e la pazienza che ha messo nel
betare gli ultimi capitoli), VexDominil
(ed i suoi messaggi subliminali ma neanche tanto :D) e la last new
entry Baby_Barby!
Non so descrivervi la gioia che questa storia mi ha donato, ma questo
è potuto accadere semplicemente grazie a voi che mi avete
seguita e sostenuta ed avete avuto fiducia nelle mie umili capacità.
Non avrei mai creduto che questa ff mi avrebbe dato tanta
soddisfazione ma le cose inaspettate sono anche quelle più
belle. Non so come ringraziarvi tutti dal più profondo del mio
cuore e come sempre, un immenso abbraccio a tutti i lettori
silenziosi ed a tutti quelli che hanno aggiunto SUQDP tra
seguite/preferite/ricordate. Questo è un finale molto aperto
e, se vorrete, potrete fantasticare sulla loro vita futura come
meglio preferite :) E... che altro dire? Spero di rivedervi presto su
questi schermi :D
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