Penumbra-Quando Luce e Oscurità si confondono

di LarcheeX
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Tutto perduto...? ***
Capitolo 2: *** Le cose che cambiano ***
Capitolo 3: *** Una terribile scoperta e una descisione... avventata? ***
Capitolo 4: *** Missione e fallimento ***
Capitolo 5: *** Il Rituale ***
Capitolo 6: *** Alleanza - La storia di Roxas ***
Capitolo 7: *** Salvataggio ***
Capitolo 8: *** Un imprevisto da allungare l'attesa - Un nuovo nascondiglio ***
Capitolo 9: *** Piani per Serrature ***
Capitolo 10: *** Cadute, Trappole e Heartless ***
Capitolo 11: *** Movimenti del sottosuolo ***
Capitolo 12: *** La situazione si complica. ***
Capitolo 13: *** Catene spezzate ***
Capitolo 14: *** Piani falliti e situazioni accomodate ***
Capitolo 15: *** Manca una Chiave ***
Capitolo 16: *** Un aiuto da...? ***



Capitolo 1
*** Prologo: Tutto perduto...? ***


In attesa dell'ispirazione per l'altra mia fic metto il prologo di quella che mi è piaciuta più scrivere e che sto ancora scrivendo :) Spero piaccia^^

 

Prologo: Xemnas' side...

 

Tutto perduto?

 

Era tutto perduto.

Xemnas lo sapeva da quando aveva visto il numero VII scomparire implorando il suo cuore.

Lo sapeva da quando aveva visto la sua Organizzazione XIII sgretolarglisi tra le mani.

Lo sapeva da quando la zizzania era fiorita tra i tredici membri e, da allora, non era riuscito a riparare il danno.

Era tutto perduto ma non aveva il coraggio, l’autocritica e l’umiltà per ammetterlo. La sua cocciutaggine, caratteristica – una delle poche – che non se ne era andata assieme al cuore, lo rendeva cieco. Come un bambinetto infantile e saccente.

Si era sempre convinto che con Kingdom Hearts il suo cuore sarebbe tornato indietro, e pensava che, nonostante tutto, lui e i suoi compagni sarebbero sopravvissuti e avrebbero ricordato con piacere che il loro capo li aveva portati al traguardo e, quindi, al cuore. Una visione fin troppo rosea del futuro. Infatti in quel momento era solo.

Solo e con poche possibilità di vittoria. E se, in un miracoloso, vittorioso, futuro, avesse trionfato, cosa avrebbe fatto? Chi avrebbe accolto un Nessuno che si era ripreso un cuore con la forza? E lui, Il Superiore, avrebbe pianto i compagni? Li avrebbe vendicati? Buffo, non lo sapeva nemmeno lui.

Era curioso che, anche nel suo freddo e vuoto essere Nessuno, aveva paura di morire. La paura non era la sua compagna, come tutti gli altri i sentimenti. Non ne era degno. E, allora, cos’era quella voglia di fuggire lontano, lontano dalle responsabilità, lontano dalla resa dei conti e lontano da chi lo avrebbe altrimenti ucciso? Non era paura questa? O era semplicemente vigliaccheria?

Qualunque cosa fosse lo avrebbe mantenuto in vita fino a quando i due Eroi del Keyblade sarebbero venuti a riscuotere il pegno di questa futile esistenza: la sua stessa vita. Quella che sembrava giustizia era venuta e aveva travolto tutti e undici e presto sarebbe venuta a prenderlo.

Ma era giustizia, quella? Perché ai suoi occhi risultava brutalità? Era la sua mitica cocciutaggine a offuscare la verità oppure stava recitando – una volta tanto – la parte della vittima?

Paura?

Xemnas guardò con i suoi alteri occhi arancioni i suoi avversari, la veste bicolore che sventolava sulle caviglie, i capelli argentei che svolazzavano intorno al viso. Un impercettibile sospiro triste gli sfuggì dalle labbra, ma la sua espressione corrucciata fu sostituita da una risata profonda.

L’ironia della sorte aveva davvero un pessimo senso dell’umorismo. Lui che aveva bramato tanto quel momento – il momento in cui si sarebbe trovato dentro il suo amato Kingdom Hearts – ora non vedeva l’ora di uscire, se sarebbe uscito.

Xemnas posò di nuovo lo sguardo sui due Eroi del Keyblade, tutti e due pronti al combattimento. Era ora di vendere cara la sua seppur misera, inutile, vuota pelle.

Che Kingdom Hearts sappia che ho lottato, che abbiamo lottato per il nostro cuore fino alla fine!

 

 

… che la battaglia abbia inizio!

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Capitolo 2
*** Le cose che cambiano ***


Dedicato a Elisa, che mi sorregge sempre con la sua Amicizia con la A maiuscola.

 

Penumbra.

 

Le cose che cambiano.

 

Anno 15° dall’incoronazione di Sua Maestà Re Topolino, Re e Imperatore dei Mondi.

 

Sala del Trono, ore 18,00.

 

Il vento spazzava impetuoso e prepotente sul vecchio giardino del Castello Disney, sollevando turbini e mulinelli di foglie e polvere e sferzando sui cespugli e gli arbusti che una volta erano stati curati con amore, ma che, in quel momento, risultavano secchi e terribilmente brutti. Il vialetto di ghiaia era sporco e pieno di sassi appuntiti, mentre la porta scrostata sembrava gemere a ogni contatto con l’aria.

Una lingua particolarmente biforcuta di vento, un alito freddo e silenzioso, si intrufolò aggraziatamente e sinuosamente attraverso le ante socchiuse, spalancandole con forza e rumore.

Gli occhi di chi trovava nella stanza della suddetta finestra si posarono con irritazione sull’anta fastidiosa: “Pippo, chiudi la finestra. Bene questa volta.” Ordinò una voce acuta in tono imperioso, e una specie di grosso cane nero con un cappellino dalla forma allungata in bilico sulla testa avanzò a grandi passi e chiuse la finestra.

Il proprietario della voce acuta ritornò con lo sguardo su quello che lo aveva occupato prima della fastidiosa interruzione: “Jack Sparrow, dimmi dov’è il nuovo nascondiglio che i pirati hanno dato all’oro azteco e dimenticherò ogni offesa e rifiuto e ti accetterò alla mia corte.”

Il pirata chiamato Jack Sparrow sussultò quando venne richiamato in causa, e borbottò: “Capitan Jack Sparrow! E comunque preferirei essere trattato con maggior riguardo, dato la galera non è proprio un posto accogliente.” Le orecchie del topo si rizzarono, in segno di rabbia: “Dimmi dov’è l’oro!” minacciò: “Oppure marcirai in galera per il resto della tua misera vita.”

Jack valutò l’idea. Galera o amici? Amici o galera? Lui non era famoso per la sua onestà. Ma ormai non era più così giovane da poter far parte di una resistenza, anche perché si trovava lì proprio a causa di una sua idea di resistere all’invasore dalle orecchie tonde. Sgamati e imprigionati, lui, Will, Elizabeth, Barbossa, la sua ciurma e altri pirati. E soprattutto, la sua amata Perla Nera era stata distrutta. Cos’era un pirata senza una nave? Valeva la pena cedere la sua vita per una causa persa?

“Non conosco il posto dove Barbossa ha messo l’oro. Chiedetelo a lui.”

Topolino digrignò i denti: Sparrow aveva detto che non sapeva nulla, ma che bisognava chieder a Barbossa, ma quest’ultimo ha nominato Elizabeth Swann, e lei aveva nominato Will Turner, e Turner aveva nominato Sparrow. Quei dannati pirati si erano messi d’accordo per farlo impazzire.

“Sora.” Chiamò, e il suo fedelissimo braccio destro si fece avanti per ricevere ordini. L’Eroe del Keyblade era quasi irriconoscibile dopo quindici anni, e non solo fisicamente. I capelli castani erano leggermente più lunghi, e gli lambivano le spalle larghe e il fisico possente non rimandava di certo a quel ragazzino smilzo che quindici anni prima aveva salvato il mondo dalla minaccia dell’Organizzazione XIII. Anche i suoi migliori amici facevano fatica a riconoscerlo, anche perché, per seguire il suo Re, il suo carattere e la sua bontà erano stati orribilmente trasformati.

“Porta questo pezzente al suo posto e mandami Mulan.”

Il pirata, quando venne tirato su, fece uno scatto felino verso la porta e, quindi, la salvezza. Anche se era piuttosto vecchio si dimostrò ancora arzillo, soprattutto se si trattava di salvare la propria pellaccia. Ma la sua bizzarra corsa venne recuperata da Sora in pochi, agili, balzi, e intanto l’Eroe del Keyblade lanciò la sua arma, chiamata “Portafortuna”, verso Jack, che venne violentemente sbattuto e inchiodato al muro. “Ora verrai con me, Jack Sparrow, che tu lo voglia o no.” Sentenziò, minacciandolo con l’altro suo Keyblade, chiamato “Lontano Ricordo”.

Capitan Jack Sparrow!” strillò il pirata, come se la mancanza di quell’appellativo fosse un’onta ben peggiore della galera e della fame.

 

I singhiozzi si sentivano per tutto il corridoio, rimbalzavano tra le pareti e arrivavano alle orecchie di chiunque fosse passato, quindi per Riku, che faceva la ronda al quinto piano, non fu difficile sentire la sua amica Kairi piangere. Eh sì, era proprio Kairi, dato i singhiozzi provenivano dalla sua stanza.

Riku alzò gli occhi al cielo: era la quarta volta che Kairi si disperava a quel modo nel giro di una settimana, e questa storia andava avanti da ben quattordici anni, e lui si sentiva terribilmente in colpa perché, in parte era anche per merito suo se si trovavano in quella situazione.

Entrò a passo felpato, trovando nella bella camera una Kairi trentenne in preda a un pianto disperato e una piccola Naminé che la guardava con occhi tristi, senza trovare nessuna frase in grado di consolarla, dato che il cuore magico che le aveva regalato Merlino non era in grado di regalarle davvero dei sentimenti.

Non appena Riku entrò la piccola Nessuno lo guardò con occhi supplichevoli, implorandolo con lo sguardo di fare ciò che lei non era riuscita a fare: “Ha appena visto Jack in prigione, mentre portavo il pranzo ai detenuti. Già piangeva per le loro condizioni, ma quando ha visto Sparrow è scappata. Sai… lui e Sora erano molto amici. L’aveva aiutato a cacciare da Port Royal Luxord, dell’Organizzazione XIII.” I suoi occhi vuoti si posarono sui capelli spettinati della ragazza, unica parte del volto non affondata nel cuscino di piume. “Siamo costretti a recitare una parte troppo pesante per noi.” Continuò, accennando a Kairi: “Sora pretende ancora di essere fidanzato con lei, e lei ovviamente non può rifiutare per paura di essere uccisa.”

Riku sospirò. Era tutto vero, Naminé non mentiva mai. Sora faceva paura anche a lui ormai, visto che lo aveva superato in forza, abilità e persino in altezza, ma non per questo il ragazzo ne dimostrava timore, almeno non in pubblico. Aveva paura che a causa sua Sora avrebbe potuto fare qualcosa a Kairi o a Naminé, con le quali ormai passava tutto il suo tempo libero.

La parte da recitare era difficile da imparare a memoria per tutti e tre, e se si sbagliava o ci si scordava anche solo una battuta per loro sarebbe stata galera o morte sicura. Riku si chiedeva cosa potesse provare Naminé, o cosa avrebbe potuto provare, dato che anche il suo ruolo era molto duro da sopportare. Infatti la piccola Nessuno, piccola perché conservava ancora le sembianze di una ragazzina, anche se interiormente aveva anche ventinove-trent’anni, era stata tirata a forza dal corpo di Kairi ed era stata usata molte volte per manovrare le memorie delle persone utili al Re ma riluttanti a servirlo, in modo da renderle fedeli a chi sarebbero state sicuramente d’aiuto. Cosi si trovavano tra le file dell’esercito, insieme a misteriosi combattenti, Sephiroth, Aerith, Cid, Merlino, Léon, Hayner, Olette e molti altri, senza contare i numerosi antagonisti di ogni mondo: Capitan Uncino, Jafar, la Regina di Cuori, Clayton, Ade, Ursula… tutti risorti e alleati di chi, in teoria, li avrebbe dovuti distruggere. Naminé era entrata a forza nella loro testa, nei loro ricordi, e li aveva modificati, manovrata e obbligata da qualcun altro che, di sicuro, non si preoccupava di ferirla, visto che lei non poteva provare nulla. Chissà come doveva essere vagare nei ricordi di qualcun altro.

“Com’è?” chiese, ma Naminé, che di sicuro non aveva seguito il filo dei pensieri del ragazzo, alzò un biondo sopracciglio e chiese: “Com’è cosa?”

“Manovrare le menti delle persone.” Il Nessuno si strinse le ginocchia al petto, pensierosa e triste: “Orribile. Io odio esercitare il mio potere. È la cosa più brutta che io possa fare. Come diceva Diz, io sono e rimango una strega in grado di manipolare i ricordi altrui. Topolino mi aveva promesso che non mi avrebbe utilizzato per i suoi scopi, ma, a quanto pare, non è capace di mantenere le promesse. Mi sembra di essere tornata nel Castello dell'Oblio.” Gettò un’occhiata fuori dalla finestra, forse in preda a chissà quale temibile ricordo, poi posò di nuovo gli occhi su Kairi. La rossa, intanto, aveva smesso di piangere e si era seduta vicino a Riku, ascoltando con occhi gonfi di pianto quello che dicevano i suoi amici.

Per lei era ancora più difficile fingere di essere dalla parte di Sora e del Re, poiché doveva far finta di essere ancora la fidanzata di Sora, anche se lui sembrava chiamarla solo quando gli era utile. Lei, inoltre, quando era arrivata la lettera, era stata riluttante a lasciare le Destiny Islands per il castello Disney, e avrebbe davvero preferito la sua umile casetta dove si sentiva a casa rispetto a quell’enorme castello dove si sentiva prigioniera.

Il filo dei pensieri dei tre fu interrotto dal prepotente rumore prodotto da delle nocche che sbattevano sul legno laccato della porta, e il loro proprietario entrò senza neanche aspettare che gli si desse il permesso: Sora entrò nella camera di Kairi e si sedette accanto al suo migliore amico, incurante, o forse, incosciente del fatto che l’atmosfera si era gelata non appena aveva messo piede nella stanza.

“Salve! Di che si parla?” chiese. Naminé rispose prima che qualcun altro – ad esempio, Kairi – potesse tradirsi a causa di qualche emozione malcelata: “Del più o del meno… dimmi, Sora, cosa ti porta qui? Non eri nella sala del trono?”

Lui lasciò vagare lo sguardo sui volti dei compagni: su quello di Riku, dove sembrava essersi ghiacciato un sorriso amichevole, su quello di Kairi, che, per qualche ragione, sembrava umido di lacrime, e infine su quello di Naminé, che, come al solito, non sembrava permettere a nessuna emozione di prendere il controllo del suo viso. Eh, certo, era un Nessuno!

“Ero alla sala del trono e ho accompagnato quel pirata di Jack in prigione, ma poi sono venuto qui perché Topolino mi ha ordinato di mandarvi tutti e tre in missione per convincere Malefica a collaborare, visto che in questi quindici anni si è rinchiusa nella sua casa senza aiutarci. Tu, Naminé, le devi modificare i ricordi, mentre voi due la dovete distrarre abbastanza in modo da evitare che disturbi lei mentre sta lavorando. Partirete domattina.” E, detto questo, si eclissò dietro la porta.

 

 

 

Alluras!

Questa fic è un po' un esperimento, poiché ho provato a "stravolgere" le parti del buono e del cattivo... e per la prima volta ho provato a utilizzare Riku, Kairi e Naminé come personaggi, anche se non mi vanno molto a genio °-°'  beh, che dire... spero che sia di gradimento ^_^

Sora è moooolto diverso dall'originale, ma proprio tanto. Quindi di Sora conserva solo il nome.

ah, per evitare equivoci: Penumbra è una parola inventata. Non è né latino né italiano. il titolo doveva essere PenOmbra, ma non mi piaceva molto il suono, perciò ho levato la O e messo la U.

Com'è nata la storia? stavo passeggiando per la spiaggia con la mia amica Clicy e chiacchieravamo del più e del meno. Beh, l'idea mi è venuta in un lampo. A svilupparla ci ho messo un po' di più. Però spero che sia abbastanza corretta^^

Sayonara!

 

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Capitolo 3
*** Una terribile scoperta e una descisione... avventata? ***


Rieccomi qua!

Behm, allora, questo capitolo non è stato molto difficile da scrivere, credo, e l'ho riletto molte volte onde evitare errori o orroracci vari...

Fantasy is my passion: Caaraaa ciao^^ sono contenta che almeno il prologo ti sia piaciuto^_^ personalmente vedo Xemnas un tantino troppo depresso (l'hai scritta tu, idiota ndVoceRompipalleNellaMiaTesta), ma poi ho pensato che, pur essendo un Nessuno, non si deve sentire troppo su di giri sapendo che metà dell'Organizzazione l'ha tradito... comunque non ti preoccupare, i commenti sono i benvenuti, anche quelli critici. Spero che il prossimo capitolo ti piaccia :)

Mikhi: lo so, Sora è OOC, però, visto che è il fulcro, insieme al Topastro, di tutto il mio Odio, ho provato a metterlo nei panni del cattivo. Eh, behm, dovevo fare in modo che anche Riku provasse un po' di timore nei suoi confronti, per questo l'ho fatto crescere un po' di più... Kairi bacucca? YES! anch'io l'ho pensato però... non so, certe idee mi vengono così e le prendo per buone... neanche a me Naminé è molto simpatica, fin troppo insicura per i miei gusti, però devo dire che avrà l'occasione di riscattarsi. Spero che il prossimo capitolo ti piaccia un po' di più :)

ALLORA VAMOS CON IL PROSSIMO CAPITOLO!

 

Una terribile scoperta e una decisione… avventata? 

 

Archivi del Castello Disney, ore 20.10.

 

Riku camminava a grandi falcate per i corridoi degli Archivi, impensierito dalla missione. Malefica era certo fortemente invecchiata e indebolita, ma era pur sempre la strega più potente di cui si conoscesse il nome, e non si sarebbe certo piegata al volere di qualcun altro. Lo sapeva soprattutto lui, che quando aveva quindici anni si era alleato con lei per salvare il cuore di Kairi. E, come se non bastasse, era stato Sora a salvare il cuore di Kairi, lui e la situazione. Infatti era lui l’Eroe del Keyblade, non Riku. Avrebbe potuto dire di essere invidioso, una volta, ma ora che il comportamento del suo migliore amico era cambiato era semplicemente arrabbiato con il destino che ha voluto essere così perfido. L’Eroe buono, puro e gentile era diventato pericoloso, cinico, freddo e spietato. Magnifico, davvero magnifico.

Doveva trovare una mappa della Fortezza Oscura per Kairi, visto che, secondo il piano, lei sarebbe andata in visita a Malefica come “amica”, mentre lui e Naminé sarebbero arrivati dopo per modificare la memoria della strega.

Perché lo faceva? Beh, prima di tutto teneva ancora alla sua vita. Poi teneva anche a quelle di Kairi e Naminé. Per loro sopportava tutto quello che doveva sopportare. Non potevano fuggire, perché tutti i territori ormai erano stati conquistati dal misterioso esercito di Re Topolino, e l’unico mondo che non era stato toccato era il Mondo Che Non Esiste, caduto in rovina dopo la morte di Xemnas, Il Superiore dell’Organizzazione XIII. Non era stato sfiorato per evitare che qualcuno potesse pensare di ricostruire Kingdom Hearts, ma, comunque, era uno dei mondi più sorvegliati. E, per di più, era proibito andarci.

Si fermò davanti a una libreria di legno, come ne aveva viste alla Fortezza Oscura di sedici anni prima, piena di libri. Ce n’erano davvero di tanti colori. In una circostanza più allegra Riku avrebbe pensato ad un arcobaleno. Lasciò correre lo sguardo per gli scaffali prima di allungare il braccio a prendere un atlante con la scritta consunta sulla costa: Hollow Bastion. Sì, era quello.

Nello tirare fuori il libro desiderato ne fece cadere un altro, decisamente più grosso, con la copertina viola. Dopo essersi fatto contundere l’alluce dal peso del libro ed aver imprecato sottovoce prese in mano il libro e fece per rimetterlo a posto. Poi, però, fu attirato dal titolo, che recitava, a belle lettere:

"Storia Universale: l’Età Oscura dell’Organizzazione XIII"

Quel libro parlava degli anni in cui l’Organizzazione XIII ebbe il suo sviluppo, narrando dei sei apprendisti, Xehanort, Braig, Dilan, Even, Aeleus e Ienzo, che persero il cuore con un esperimento, e di tutti gli altri membri e della loro storia.

Riku avrebbe davvero voluto rituffarsi nel passato, tornare a quando doveva sconfiggere Lexaeus e Zexion, non perché voleva ucciderli di nuovo, non perché avrebbe potuto svagarsi, ma semplicemente perché a quei tempi aveva ancora qualcosa in cui credere. Qualche motivazione o principio, per quanto stupido che fosse, che potesse sostenerlo o rafforzarlo. Si era sentito perso quando, circa quindici anni prima, dopo qualche mese di pacifica convivenza tra mondi, Re Topolino e Sora mossero guerra al Paese delle Meraviglie, che si stava lentamente riprendendo dopo essere stato divorato dagli Heartless. Lì, ogni cosa per cui aveva lottato era andata in frantumi. Lì aveva visto Sora catturare Alice e scatenare il panico alla tavolata del Tè del Buon Non-Compleanno, e aveva visto l’Esercito, quel misterioso esercito che uccideva chiunque. I Nessuno. Perché Re Topolino, con l’aiuto di Yen Sid, era riuscito a sottomettere al suo volere i Simili e i Nessuno di Alto Rango. Il piano era sempre lo stesso: Topolino e Yen Sid, senza farsi vedere, scatenavano la furia dei Nobodies, Sora e qualche volta Riku svolgevano la vera missione, cioè rapivano o uccidevano chi era di turno, Naminé modificava i ricordi di chi era utile, Kairi, Riku, e dopo anche Sora e il Re, si facevano vedere dalla popolazione mentre uccidevano il loro esercito momentaneo, in modo da ottenere la loro riconoscenza e la loro obbedienza. Era successa la stessa cosa per ogni mondo, in modo che Re Topolino potesse estendere il suo dominio su tutti.

Dopo essersi liberato di questi cupi pensieri, Riku aprì a caso il libro, desideroso di leggere come il “Pacifico Regime”, come lo chiamava lui, avesse gettato il fango anche su il più inutile e debole dei Nessuno: Demyx.

 Il numero IX dell’Organizzazione XIII, altrimenti conosciuto come Demyx, avrebbe potuto confondere le idee anche al più astuto dei combattenti. Difatti, codesto Nessuno diceva di non essere molto bravo a combattere e, a detta dell’Eroe, sembrava quasi incapace di intraprendere qualsiasi movimento battagliero.

Ma il numero IX era assai più spietato di quello che lasciava a vedere: infatti, gettò lo scompiglio nell’Olimpo, uccidendo non si sa quanti atleti che lo ostacolarono nel suo intento di rubare la Pietra dell’Olimpo, in grado di placare l’energia negativa dell’Oltretomba. Inoltre scatenò montagne di Heartless in modo da lasciare l’Eroe del Keyblade a combattere per liberare cuori…

Per un solo, illusorio momento, che corrispondeva più o meno al tempo che impiegò nel leggere le prime quattro righe e mezzo, Riku aveva pensato che quella fosse una cronaca dettagliata dei fatti, ma la metà delle parole che erano presenti in quel breve pezzo erano una menzogna. Demyx non era spietato, era solo un fifone. Non aveva mai ucciso nessun umano, non direttamente, e scatenò montagne di Heartless solo perché il suo Superiore glielo aveva ordinato. Quella era la storia che insegnavano ai bambini a scuola. Il ragazzo non osò continuare per il livello altamente menzognero riscontrato nel testo e lo rimise al suo posto, vicino ai libri dalle copertine viola. Poi prese il libro che gli interessava e fece per andarsene.

Tlack!

Quel rumore lo fece voltare di scatto, giusto in tempo per vedere la libreria spostarsi scorrendo verso sinistra e lasciare lo spazio a un corridoio buio.

L’albino si guardò in torno, titubante ma anche curioso di vedere cosa ci fosse di tanto segreto da essere nascosto dietro la libreria e, alla fine, optò per addentrarsi nell’oscurità e soddisfare quella dannata consigliera di nome Curiosità.

Non vedeva assolutamente nulla. Procedeva a tentoni, appoggiando una mano al muro sporco di umidità e stingendo convulsamente l’atlante, motivo per cui si trovava in quel corridoio umido e puzzolente. Alla fine, vide un piccolo spiraglio di luce che indicava uno schermo di un computer attivo. L’unica cosa che riluceva era proprio quel monitor di medie dimensioni, che riluceva di un colore più o meno verdognolo, pieno di numeri che scorrevano da destra a sinistra.

Il primo impulso che Riku ebbe fu quello di toccare lo schermo, ma da tempo aveva imparato a non affidarsi al primo istinto, quindi rimase per un po’ ad osservare il movimento meccanico delle cifre, per poi cominciare a esplorare con il tatto tutto quello che stava intorno allo schermo. Tastava pulsanti, leve, altri monitor più piccoli, metallo e bottoni vari, finché la sua attenzione non tornò sull’unica fonte di luce. E, alla fine, si decise.

Posò, come al rallentatore, un dito nel centro dello schermo, come se fosse un punto premeditato e il verdognolo mutò in azzurro. Riku rimase sorpreso per il fatto che quell’azzurro sembrava il più bell’azzurro che avesse mai visto, perché era il medesimo colore del mare a casa sua, le Destiny Islands, e si stupì di quanto gli mancasse la sua dimora.

L’azzurro cominciò a mutare, e l’immagine tornò indietro, come se fosse uno zoom che torna sui suoi passi, e l’albino, effettivamente, vide le Destiny Islands dall’alto. L’unica cosa che distingueva da quell’altezza era il grande albero dove spesso lui e Sora giocavano con le spadine di legno fatte in casa quando ancora erano marmocchi. Rimase ipnotizzato a guardare delle lettere che cominciavano ad apparire, come scritte sul momento.

Anno 15°

Progetto Nessuno = terminato

Progetto Bottiglia = terminato

Progetto Conquista = terminato

Progetto Distruzione = in Atto (fine tra 02.24.21,20,19…)

Incuriosito ancor di più dai titoli cominciò a ispezionare ogni progetto, toccando sopra il titolo per avere ulteriori informazioni.

Così scoprì che il progetto Nessuno era per eliminare l’Organizzazione XIII e per assumere il controllo su quelli minori, che il progetto Bottiglia consisteva nel mandare una bottiglia agli Eroi del Keyblade e invitarli a palazzo una volta ucciso Xemnas, e che il progetto Conquista era per la conquista dei mondi. Mancava l’ultimo.

Progetto Distruzione.

Stato: In Atto

Descrizione: Distruzione Definitiva e Irreversibile delle Destiny Islands e relativa popolazione.

Scopo: Evitare distrazioni da parte degli EdK.

Tempo Rimanente alla Distruzione: 02 ore 10 minuti 03, 02, 01… secondi

Particolari: Schianto di Gummiship carica di esplosivo, Heartless e Nessuno.

Riku rimase di sale. Nulla più sembrava aver un senso, nella sua testa, dove giravano immagini confuse di ricordi passati e nostalgici. Solo due parole si stagliavano, lampeggianti come due insegne al neon, nella sua mente stravolta: Distruzione e Destiny Islands. Due cose che non sarebbero dovute mai essere vicine.

Con uno scatto impaurito e rabbioso, il ragazzo di uscire: doveva correre, doveva scappare, impedire tutto ciò, doveva salvare, ancora una volta, casa sua.

Dopo quell’attimo di follia si ricompose, cercando di analizzare la situazione a mente lucida: era in uno sgabuzzino segreto che in teoria non avrebbe dovuto trovare, quindi non doveva sapere dei Progetti, ma aveva scoperto che uno di questi era indirizzato alla distruzione di casa sua, dei suoi genitori e dei suoi amici, e aveva due ore per salvare tutto. Ma rimase immobilizzato nella dura e cruda consapevolezza di non poter fare assolutamente nulla. Se fosse uscito se ne sarebbero accorti, e due ore erano troppo poche per raggiungere le Destiny Islands con la gummiship e, inoltre, tirandola fuori dal gummihangar avrebbe scatenato la curiosità del Re. Rimpiangeva in quel momento di non essere un Nessuno, perché se lo fosse stato avrebbe aperto un varco oscuro e se ne sarebbe andato via. Ma non lo era.

E poi, perché Re Topolino aveva deciso di distruggere proprio in quel momento le Destiny Islands? Avrebbe potuto farlo anni prima… o forse pensava che non fosse necessario, che i suoi servi fossero fedeli… allora aveva cominciato a pensare che la fedeltà non era ovvia e che doveva costringerli all’obbedienza. Distruggendo Destiny Islands avrebbe comunque e indirettamente costretto i tre Eroi a rimanere, perché non avevano più una casa. Doveva vendicarsi. Questa era la goccia che faceva traboccare il vaso.

Uscì in fretta e furia, richiudendo il meccanismo della libreria e precipitandosi in camera sua.

 

Camera di Riku, ore 20.45.

 

Kairi e Naminé si trovavano nella stanza di Riku da circa un’ora e stavano aspettando che l’amico tornasse per prendersi la mappa che lui aveva promesso loro, poiché ancora non riuscivano ad ambientarsi, e intanto il Nessuno disegnava. Eh sì, disegnare era ancora la sua passione e lo sarebbe stata per sempre, poiché era l’unico modo di esprimere dei sentimenti che non aveva. Il rosso era la passione, l’amore, il giallo l’allegria, l’arancione l’emozione, l’azzurro la serenità e così via… l’unico modo per ricordare qualcosa che non aveva. Ma tra quei ricordi, grazie a quella passione, sbucavano anche le ombre oscure di un castello tutto bianco e di due cappotti neri. Non voleva pensare ai nomi di quegli esseri visto che li avrebbe volentieri eliminati dalla sua – seppur vuota – memoria da Nessuno. Anche senza un cuore, quei due la terrorizzavano.

Kairi guardava pensosa ora Naminé che disegnava, ora la porta che si doveva aprire con l’arrivo di Riku, ma più osservava più quella sembrava immobile. Era indecisa se andare a dormire in camera sua per il fatto che il giorno dopo si sarebbe dovuta alzare presto per la missione o se aspettare l’amico fino a quando non sarebbe venuto.

“Che bello, cos’è?” chiese al suo Nessuno quando ella finì il disegno al quale stava lavorando da un giorno. “Come, non le riconosci? È casa tua, le Destiny Islands!” esclamò lei, indicando con un dito la macchia verde dell’albero gigante. Kairi sorrise: “L’hai vista nei miei ricordi, vero?” annuì: “Mi piacerebbe andarci, per vedere com’è la spiaggia.” Continuò il Nessuno.

“Oh, è bellissima, è bianca e la sabbia è fine, poi dal grande albero si vede il mare, e c’è un’isoletta con un ponte che…” ma poi fu interrotta dal rumore della porta che si apriva e dall’entrata di Riku. L’albino sembrò sorpreso di vederle nella sua camera, ma poi si ricompose e fissò lo sguardo sulle due ragazze: “Beh, che ci fate qui?” chiese, incuriosito.

“Ti stavamo aspettando, ma non importa… che hai fatto? Sembri piuttosto scosso.” Chiese Naminé, distogliendo l’attenzione dal ritoccare gli ultimi particolari del disegno e rivolgendosi a Riku.

“Come…?” cominciò, ma fu interrotto: “Sono un Nessuno, Riku, e mi accorgo più facilmente delle emozioni degli altri, anche se magari chi ha un cuore non se ne accorge del tutto. Ormai mi sono allenata a capire voi due, ma non pensiamo a me. Dimmi, cosa ti turba?”

Riku si morse un labbro: quella ragazzina a volte era irritante. Ok, non aveva sentimenti, e questo la giustificava, ma la mancanza di un cuore era anche la mancanza totale di tatto, o no?

Anche se in difficoltà, Riku oltrepassò il Nessuno e si sedette sul letto con la testa fra le mani.

Kairi, che si era accorta che qualcosa non andava da quando l’amico si era morso il labbro e non aveva risposto, gli si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla: “Riku, tutto bene?” gli chiese il più dolce possibile.

Lui per un po’ ignorò la sua mano calda sulla spalla, poi sussurrò: “Le distruggerà.”

La rossa inclinò leggermente il capo in segno che non aveva capito, ma non lo costrinse a parlare se lui non voleva.

“Le distruggerà. Destiny Islands.”

Si sentiva uno stupido. Stupido perché non aveva capito che non doveva fidarsi del Topo, stupido perché i suoi genitori erano stati tanto in ansia per lui e li aveva fatti soffrire, stupido perché l’ultima volta che aveva visto la sua adorata casa era stato quindici anni prima, stupido perché non era mai andato a trovare i suoi genitori e non li avrebbe più rivisti, stupido perché non aveva capito le intenzioni del Re e ora non poteva farci nulla.

“Riku, cosa stai dicendo!?” esclamò all’improvviso Kairi, impaurita dal suo tono atono e terribilmente atterrita da quello che aveva capito. Lui posò lo sguardo sulle due ragazze per poi comunicare: “Re Topolino vuole distruggere Destiny Islands per evitare che qualsiasi attaccamento che noi abbiamo verso la nostra casa gli impedisca di usarci al meglio. E tutto accadrà tra due ore e senza che noi possiamo fare nulla.” Spiattellò tutto con il suo tono atono, tipico di quando ha capito che la speranza è persa.

“No, dobbiamo andarcene, dobbiamo salvarli!” protestò Kairi, mentre i suoi occhi già si riempivano di lacrime, di nuovo. In quel mondo c’erano le sue amiche, i suoi genitori, la sua famiglia, come poteva lasciarli uccidere così?

“Non possiamo, con una gummiship non faremmo in tempo ad arrivarci e poi si accorgerebbero della nostra assenza. E ora per favore uscite dalla mia camera.” Disse Riku, con lo stesso tono atono di prima. A testa bassa le due uscirono, anche se erano desiderose di parlare ancora con lui.

Non fece in tempo a disperarsi abbastanza che cadde addormentato, vestito, sul suo letto, accanto al disegno che Naminé aveva finito pochi minuti prima.

Camera di Riku, ore 02.30.

Progetto distruzione = terminato

Si svegliò di soprassalto, coperto di sudore e sconvolto. Il suo mondo era stato già distrutto. Si sentiva sempre più stupido. Non aveva potuto fare niente e quell’impotenza lo sconvolgeva e lo annientava più di qualsiasi altra cosa. Era sempre stata una persona che sapeva tenere in pugno la situazione e la sua forza interiore non era mai venuta meno, ma in quel momento si sentiva così inutile che non sapeva cosa gli dava la forza per resistere dal buttarsi dalla finestra.

Non poteva rimanere in quello stato per sempre, e il suicidio non avrebbe risolto la situazione e il Re avrebbe continuato a marciare per i mondi anche senza di lui. Bisognava reagire. Doveva reagire. Per sé stesso, per Kairi e Naminé, per chi era morto quella notte.

Già… reagire. Erano in tre, di cui una, Naminé, non sapeva combattere, e un’altra era pur sempre una ragazza, quindi era l’unico in grado di fronteggiare un nemico degno di questo nome. Anche se non avrebbe di certo potuto rivaleggiare contro Sora, Yen Sid, Merlino, Topolino, Léon, Sephiroth e altri da solo… bisognava avere alleati. E automaticamente pensò a chi, tra le persone ancora libere, poteva essere un alleato utile e potente. Rimaneva Yuffie, ma era latitante e praticamente impossibile da contattare, poi rimaneva quel ragazzo grassoccio che si chiamava Pance, Pence… qualcosa del genere, ma dubitava fosse abile come combattente quanto come divoratore di ghiaccioli… forse Pietro Gambadilegno, ma se non era stato comodo a Malefica figuriamoci a lui.

Riku scandagliò mentalmente mondo su mondo, ma, a quanto pareva, Re Topolino aveva pensato prima di lui ad accaparrarsi tutti gli elementi validi, e quelli potenzialmente pericolosi le aveva sbattuti nelle grandi prigioni del Castello Disney. Riku sbuffò. Da quelle prigioni era impossibile evadere perché i detenuti erano stati marchiati con un simbolo che impediva loro di attraversare la soglia della cella di loro spontanea volontà. Dovevano essere presi in braccio e trasportati fuori. No, non poteva far evadere nessuno.

Riassumendo la situazione, erano soli, nessun alleato dentro o fuori dal castello, e qualcuno da detronizzare e qualcun altro da uccidere. Proprio così, Riku aveva deciso di uccidere Sora e detronizzare Re Topolino. Ma, come detto prima, non c’era nessuno che potesse aiutarli. Forse, in una remota possibilità sarebbe accorsa Yuffie… se fosse stata ancora in vita.

Dopo un momento che parve lungo giorni a causa dei pensieri confusi che gli giravano per la testa un’idea folgorante lo illuminò con la potenza del sole. Perché si accontentava di un’alleata quando ne poteva avere tredici?

Si alzò di scatto e irruppe nella camera di Kairi e Naminé con la forza di un silenzioso uragano. Il Nessuno scattò a sedere, stupida da quell’intrusione notturna, mentre Kairi si svegliò dopo ripetuti richiami della compagna di stanza.

“Che c’è, Riku?” chiese quest’ultima, stropicciandosi gli occhi.

“Reagiamo!” disse lui, incurante che le due cominciassero a pensare che era uscito di senno.

“Ehm…?” provò a cominciare Kairi, cercando le parole più gentili per dire che doveva tornare a dormire e lasciarle in pace.

Riku, dopo quel momento di esaltazione, ritornò serio: “Stavo pensando che ci dovremmo vendicare, visto che hanno distrutto casa nostra.” Non servì spiegare oltre, poiché vide gli occhi di Kairi farsi lucidi. Evidentemente aveva pianto per i genitori e gli amici, e a lungo anche, poiché egli poteva vedere nei suoi occhi la disperazione di chi ha perso tutto, anche nella penombra della stanza illuminata dalla luna.

“L’ho pensato anch’io.” Disse la rossa, distogliendo lo sguardo dal ragazzo per lasciarlo vagare fuori dalla finestra socchiusa.

Naminé si sentiva estraniata dal dolore dei due, sia perché non aveva un cuore e il dolore non poteva provarlo, sia perché Destiny Islands non era mai stata casa sua e non sapeva cosa significava perderla. A pensarci bene, non aveva mai avuto una dimora degna di questo nome. Nemmeno il Castello che-non-voleva-ricordare-come-si-chiamasse, quella era stata una prigione, non il luogo dove le sarebbe piaciuto tornare canticchiando ‘casa dolce casa’.

Addolorata o meno per i suoi amici, manteneva una certa lucidità, la stessa cruda lucidità che la costrinse a dire: “Riku, siamo in tre, cosa possiamo fare contro un esercito, un impero e un guerriero praticamente invincibile?” già. Invincibile. Perché Sora, grazie ad alcuni, mirati incantesimi di Yen Sid, era diventato terribilmente potente, e quelle formule erano le stesse che impedivano a Kairi e a Riku di non potersi potenziare più di un certo livello per evitare di eguagliare l’Eroe del Keyblade. Per questo nessuno dei due era in grado di reggere un confronto con lui. Su di lei non era stato fatto nessun sortilegio, forse perché già ritenuta inoffensiva. “A meno che non abbiamo uno o molti alleati potenti non potremmo fare assolutamente nulla.” Continuò.

Riku fissò lo sguardo su Naminé, pensieroso: “Roxas, quando è stato tirato fuori da Sora, ti ha detto che i Nessuno, se muoiono, possono essere riportati in vita con un rituale, vero?” chiese, indagatore.

Lei annuì, anche se era insospettita dalla domanda: “Sì, ma non vedo cosa c’entri questa cosa con…”

“Scommetto che Malefica sa come svolgere questo rituale.” Dichiarò il ragazzo sicuro di sé.

“Cosa vuoi fare, Riku?” chiese Kairi, un tantino dubbiosa: “Non vorrai mica…?” chiese, con un filo di voce, ma fu subito interrotta: “Voglio far rinascere l’Organizzazione XIII per vendicarmi e combattere il Nemico.”

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Capitolo 4
*** Missione e fallimento ***


Rieccomi qua!

clicy_clicexia: Ma ciao! Vedo che la mia Fic è apprezzata anche dal tuo misterioso (!) ospite. Bweh, va bene, ti può piacere, ma addirittura darmi della scrittrice... ! sono lusingata^_^

Fantasy is my passion: ehm... per l'Organizzazione ci vorrà un po'...

Ikumi91: sono contenta che ti piaccia! Questa è una delle Fic in cui ho messo tutta l'anima e l'impegno. Yuffie è latitante, è lei che non si vuole far trovare... ma non dico nulla... ehh Cloud, Cloud... non dico niente! Lo vedrai nel capitolo che fine ha fatto! Non l'ho messo nella lista sperando che nessuno si accorgesse di lui per l'entrata a sorpresa... mannaggia mi hai sgamata XDXD Sephiroth e Aerith... mmm... interessante... potrei anche combinarci qualcosa! (ahh, allora essere pazzi non è una malattia che ha colpito solo me XD.. no, apparte questo non ti preccupare, ogni commento mi va bene :) ) Jack... evabbè, non voglio annunciare nulla ù.ù!

 

Missione e fallimento.

 

Lo sbigottimento iniziale delle due ragazze cedette il posto alla diffidenza. Possibile che Riku fosse uscito di senno a tal punto?

Evidentemente il ragazzo capì i loro pensieri, poiché disse, con forza: “Non sono pazzo! Sto solo pensando che, dopo tanti anni, visto che Topolino ha distrutto tutto quello che avevamo, dovevamo ribellarci. Ma se voi non volete me ne andrò da solo a vendicare i nostri genitori.”

Kairi e Naminé si scambiarono uno sguardo timoroso. Avevano voglia di ribellarsi, poiché entrambe erano state ferite nel profondo dal Re, ma al tempo stesso avevano paura per le loro vite.

“Anche volendo, non sai come fare.” Dichiarò la voce limpida di Naminé dal letto più lontano. Riku alzò gli occhi al cielo: si era aspettato una reazione del genere da parte sua. Infondo poteva avere anche ragione, ma non capiva che così ostacolava la loro libertà? Insieme all’Organizzazione avrebbero potuto davvero provare a vincere contro Re Topolino, Sora, Yen Sid e gli altri. Solo loro erano in un numero così considerevole e così potenti da poter contrastare il nemico. Perché quella ragazza permetteva ai ricordi di ostacolarla? Non era lei quella che era abituata a manipolare le memorie altrui?

“Ti ho detto che Malefica lo sa di sicuro, quindi quando andremo da lei le proporremo un patto che non può rifiutare…” cominciò.

“Cioè, intendi patteggiare dicendo che se ci svelerà il rito la lasceremo libera? E Sora come reagirà sapendo della nostra sconfitta? O non intendi aggiornarlo?” chiese Kairi, che già cominciava a comprendere come l’amico aveva intenzione di agire. Lui sorrise, compiaciuto del fatto che avesse capito: “Esattamente.”

Naminé, però, non demordeva e aveva intenzione di convincere almeno Kairi della pericolosità del piano. Ma, oltre il rischio che non voleva correre, c’era anche il desiderio di non rivedere mai più Marluxia, che tanta paura le aveva fatto da bambina. Semplicemente si rifiutava di vederlo. Si stupì di quanto potesse essere egoista, ma quell’impellente voglia di cancellarlo dalla sua mente la costringeva a evitare di far risorgere l’Organizzazione. Quindi chiese: “E dopo aver imparato il rituale di cui stai parlando, dove hai intenzione di svolgerlo? Qui, in seno al nemico?”

Riku spalancò gli occhi. Non ci aveva pensato. Preso dal furore del momento non aveva mai pensato a dove poteva compiere quel rito. No, di sicuro non poteva farlo nel castello. Se ne sarebbero accorti e lo avrebbero imprigionato insieme alle sue complici. “No, lo faremo in un posto sicuro e appartato. Non possiamo permetterci di bruciare l’unico asso nella manica.”

Kairi si convinse che era un buon piano per vendicare i genitori. La vendetta era passata anche nella sua mente pura, perché da tempo serbava nel cervello l’idea di ribellarsi, e ora che aveva anche un motivo realmente valido era il momento di muovere la resistenza.

“Non ci aiuteranno. Noi abbiamo causato la loro morte, non ci aiuteranno per nulla al mondo e recupereranno da soli i loro cuori, utilizzando di nuovo Kingdom Hearts.” Disse Naminé, cercando di dissuadere una Kairi ormai determinata.

“Kingdom Hearts non esiste più.” Disse all’improvviso la rossa. I due, alla notizia, sobbalzarono, stupiti: “Cosa!?” Kingdom Hearts… distrutto?

Lei arrossì: “Beh, stavo camminando per il corridoio quando l’ho sentito… c’era il Re che ne parlava con qualcuno che non sono riuscita a vedere, non ho riconosciuto nemmeno la voce.” I due si fecero attenti: “Continua.” Le disse Riku. Doveva assimilare ogni minimo dettaglio a suo favore per conquistarsi la fiducia dell’Organizzazione. “Parlavano del vecchio progetto di Diz, quello di trasformare in dati i cuori, ricordi?” Riku annuì. Il progetto consisteva nel rendere il cuore astratto un qualcosa di concreto, trasformarlo in dati. Però era andato tutto in fumo perché Ansem, ovvero Diz, non aveva calcolato l’instabilità di ogni cuore. E Ansem era morto nel tentare la datificazione.

“A quanto ho sentito ora il Re è riuscito a portare a termine il progetto. Ora c’è una grande stanza piena di scaffali dove ci sono miliardi di cubetti verdi pieni di numeri che pulsano proprio come un cuore. Il Re ha aggiunto che quelli dell’Organizzazione, di cuori, sono in un nascondiglio segreto che nessuno a parte Sora è in grado di trovare.” Concluse il discorso guardando fuori dalla finestra.

“E ci sei entrata nella stanza dei cuori, vero?” chiese Naminé un po’ sconcertata dal fatto che la sua amica fosse così curiosa. Lei annuì arrossendo un poco.

“Quindi se i loro cuori ce li ha Topolino credi che siano disposti a darci una mano?” chiese Riku a Naminé, visto che, dopo Roxas, era quella che li conosceva meglio. “Chi lo sa? Forse sì, forse no… o magari cominceranno di nuovo a litigare e tradirsi a vicenda e qualcuno ci seguirà e qualcun altro no… non so.” Disse il Nessuno a labbra strette, come se non fosse d’accordo.

“E se in un fortunato caso riusciremo a far rinascere l’Organizzazione, dove andremo?” chiese ancora Naminé. “Non lo so, però penso che sarei il primo a dirci di cercare una specie di covo dove nasconderci.”

Il silenzio si materializzò tra loro come una nebbia notturna, e gli unici rumori a romperlo erano i sospiri esasperati del Nessuno e i colpetti di tosse di Riku che cercava di far parlare le altre due.

“Ehm… allora io vado a dormire, domani ci dobbiamo svegliare presto, sapete, la missione…” e, farfugliando qualcosa del genere, se ne andò in camera sua, sperando che Naminé si convincesse e li aiutasse.

 

Fortezza Oscura, ore 09.30.

 

“Allora?” chiese Riku, spazientito, perché aveva rivolto a Naminé la stessa domanda più volte nel giro di due ore e lei ancora non si era degnata di rispondergli. Lo guardava con i suoi occhi azzurro cielo e emetteva un piccolo sospiro, quasi esasperato. Avrebbe dato qualsiasi cosa per leggerle nei pensieri, anche solo per qualche secondo, per capire cosa pensasse in quel momento.

Naminé stava pensando dalla notte precedente a cosa avrebbe fatto, visto che Riku sembrava così risoluto e deciso a portare a termine la sua vendetta. Non aveva voglia di rimanere sola ancora mentre i suoi amici rischiavano la vita, ma, se avesse dovuto decidere tra il rivedere il numero XI e il numero XII e darsi una pugnalata al cuor… stomaco avrebbe preferito di gran lunga la seconda opzione.

Camminava un po’ timorosa di farsi vedere in giro, poiché ormai in tutti i paesi l’avevano bollata come ‘la strega’ ed aveva la stessa fama di Malefica di quando era all’apice del potere. Quando passava la gente faceva gli spergiuri e gli scongiuri e rinchiudeva i bambini in casa, perché, si sapeva: “Che quella ragazza era una strega in grado di manipolare la persone.” Naminé non era così. Non lo era mai stata ed essere trattata come un qualcuno di cattivo e pericoloso la faceva soffrire. Non come soffrono gli umani, piangendo o disperandosi. Quello lei non lo poteva fare, non le era permesso piangere per un gioco del destino in cui lei perdeva in partenza. Lei soffriva come i Nessuno, crogiolandosi nel vuoto che premeva nel petto e sperando in una morte che tardava ad arrivare, forse deridendola del fatto che non avesse un cuore.

“Allora?” chiese Riku ancora una volta, alzando gli occhi al cielo quando lei si rifiutò di rispondere, usando come scusa il fatto che dovesse controllare la strada per evitare di essere vista.

Fece per muoversi verso il crepaccio, Malefica abitava nei pressi dell’Abisso Oscuro, ma l’albino la prese per un braccio e lasciò andare avanti Kairi: “Kairi, vai intanto da Malefica, ti raggiungiamo dopo.” Disse, mentre il Nessuno fissava attonita il vuoto, sapendo che quello era il momento per la verità.

“Allora?” chiese strattonandola leggermente, ma lei non diceva nulla: c’era qualcosa di molto simile alla paura che la bloccava. Buffo… lei che controllava le memorie degli altri era colei che si faceva spaventare da un ricordo, un ricordo dai capelli rosa. “Naminé, mi vuoi rispondere?” chiese ancora Riku, strattonandola piano. Lei posò gli occhi tra i suoi, poi sul braccio che lui stringeva con una presa salda. “Oh, scusa.” Disse lui, e la lasciò.

“Non so cosa fare Riku. Se avessi un cuore avrei paura.” Lui la guardò, quasi ferito: “E la tua paura ti impedisce di aiutare i tuoi amici a salvarsi?”

Naminé fissò lo sguardo su un’ape che ronzava pigra nonostante l’atmosfera carica di tensione. In quel momento avrebbe voluto essere quell’ape: nessuna scelta, nessun amico che cercava di farsi aiutare, nessuna paura, un cuore. Avrebbe davvero permesso a un ricordo di ostacolarla?

“Va bene, ti aiuterò.” Disse infine. L’amico si illuminò: “Ma non intendo intraprendere nessun tipo di discorso su Marluxia. Non ho intenzione di parlargli né di compiere missioni con lui, e lo stesso vale per Larxene. Sono stata chiara?” disse, come se quelle fossero le condizioni di un contratto. O forse lo erano davvero. Lui annuì: “D’accordo. Grazie Naminé!” disse, e l’abbracciò. Lei rimase stupita di quanto potesse esserle grato, infondo non aveva fatto nulla di speciale, ma quell’abbraccio era piacevole e confortante. Quasi fosse l’abbraccio di due fratelli che si vogliono molto bene.

 

“Avanti.” Disse la voce della strega, oltre la porta, dopo che Kairi si decise infine di bussare. Aveva serbato un po’ di timore nei confronti di Malefica, poiché lei era ancora molto potente, anche se ormai era vecchia e debole fisicamente. Entrò a passo lento nella baracca che si dimostrò molto, molto più grande di quanto lasciasse intendere dall’esterno. Evidentemente la donna sia accorse della sua espressione curiosa e stupita, perché emise qualcosa di molto simile a una cupa risata: “La magia è sorprendente non trovi?” chiese, forse retoricamente, anche perchè Kairi non si prese il disturbo di rispondere.

Rimase un po’ a fissare gli oggetti che erano riposti in scaffali di legno, dato che erano tra i più strani che avesse mai visto: vinceva la classifica delle stranezze un barattolo con quello che sembrava un gomitolo di pelle che rifulgeva, argenteo come la luna. Le ricordava il colore dei capelli di Xemnas.

“Io…” provò a dire, ma fu interrotta dalla voce di Malefica: “So già tutto. So cosa volete e so perché siete qui.” La voce era amara e piena di odio. Forse odio perché, quindici anni prima, aveva aiutato coloro che poi si sarebbero rivelati traditori. “E cosa pensi di far…”

“No.” Fu interrotta di nuovo, da una sillaba prepotente e secca, così totale che la rossa dovette metterci qualche secondo per comprendere il significato di quella parola: significava ovviamente che nessuna Organizzazione li avrebbe aiutati, nessun modo per scappare, e che le toccava rimanere in quel pozzo senza fondo dal quale stava cercando di uscire.

La porta si aprì ancora prima che potesse replicare, e sulla soglia apparvero Riku e Naminé. Il primo aveva l’aria soddisfatta di chi è riuscito a portare a termine un affare molto vantaggioso, mentre l’altra aveva l’aria seria e inespressiva di sempre. “Buongiorno.” Esclamò l’albino quasi allegro. Allegro? Malefica lo guardò male, l’occhiataccia di chi pensava che non fosse affatto un buon giorno.

“Allora, in poche parole…” cominciò a spiegare Riku, ma fu interrotto di nuovo dalla strega: “So già tutto, e ho anche detto di no.”

Il silenzio dominò la scena per altri lunghissimi minuti, interrotto solo da Naminé che camminava curiosa tra le cianfrusaglie della casa, facendo scricchiolare le assi di legno.

“Non vuoi nemmeno ascoltare la proposta?” chiese lui, fissando la vecchia con cui si era ritrovato a collaborare tempo prima. Lei lo fissò, calcolatrice, forse chiedendosi perché non se ne andavano e lasciavano in pace una vecchia strega caduta in rovina. “Parla.” Ordinò, secca, dopo essersi seduta su una sedia con aria stanca.

“Tu sai che ultimamente Re Topolino sta cercando di tenere ferme le redini dei mondi, anche se cominciano a sorgere vari gruppi di ribelli in tutti i mondi, ma questi piccoli gruppi sono troppo deboli per contrastare una forza composta dagli elementi più potenti della storia.” Cominciò. Sembrava che si fosse preparato il discorso. “Ho sentito che anche Sephiroth si è unito al Re. È vero?” chiese Malefica, inespressiva, anche se cominciava a interessarsi.

“Sì.” intervenne Naminé: “Il Re ha usato me per modificargli la memoria e fargli credere di essere sempre stato fedele alla corona, così come tutti gli altri i tuoi vecchi colleghi che sono stati ritenuti utili.” Furbo davvero, il Topo! Modificare i ricordi… un’idea intelligente, non c’è che dire. “Continua.” Esortò, gelida, e il ragazzo cominciò a parlare: “Ultimamente Topolino ha intenzione di eliminare o soggiogare anche chi non gli è utile o chi non vuole aiutare. Come te. Anch’io e loro due” e indicò Kairi e Naminé: “Abbiamo intenzione di ribellarci, poiché non riusciamo a reggere quindici anni di tirannia. Visto che far evadere qualcuno dalla prigione è letteralmente impossibile abbiamo deciso di ricorrere a un rituale che tu conosci di sicuro.” Lasciò che Malefica avesse il tempo di pensare, poi continuò: “Noi ti garantiamo la salvezza se tu ci sveli il rituale per far risorgere i Nessuno.”

Lei parve molto turbata o impensierita dal discorso di Riku, e forse aveva anche deciso di fare, una volta tanto, qualcosa di buono e aiutare delle persone che si rivolgevano a lei.

“Ottimo discorso, davvero.” Aggiunse una voce terribilmente familiare e fatale, considerato il momento in cui fu sentita dai quattro.

Come in un racconto tra i più raccapriccianti, Sora comparve sulla soglia, brandendo i suoi Keyblade. No, i Keyblade che ha rubato a Roxas. Pensò Naminé, quasi con rabbia, mentre si costringeva a guardare ciò che sarebbe successo, impotente.

“Ottimo discorso. Lo dico io che Riku ha ottime doti di oratore.” Disse, freddo e spietato come non lo era mai stato: “Peccato che sia un traditore che ha cercato di corrompere due innocenti.” Concluse, puntando “Lontano Ricordo” contro quello che era il suo migliore amico e indicando le due ragazze con un movimento della testa.

La mente di Riku lavorava spedita: non avrebbe assolutamente potuto battere Sora, perché ormai lui era diventato, grazie agli incantesimi di Yen Sid, molto più forte di lui, e l’unico modo per salvare almeno Kairi e Naminé e, contemporaneamente, permettere loro di farsi svelare il rito, era scappare per prendere tempo. Inoltre avrebbe donato il suo Keyblade, “La Via Per l’Alba” a Naminé, in modo da poterle dare un modo per difendersi.

Accadde tutto in un lampo: “Naminé, dammi la mano!” gridò, cogliendo di sorpresa Sora, che rimase basito per un attimo.

Senza aspettare alcun segnale prese la mano della ragazza, la destra, e la strinse forte. Una luce blu scura si sprigionò dalle mani dei due, segno che il trasferimento era in atto. “Fate anche senza di me. È di vitale importanza.” Sussurrò, teso, mentre l'Eroe Sora, che già stava reagendo a quell’inaspettato movimento, stava lanciando il suo Keyblade “Portafortuna” verso l’albino, che però si scansò e scappò dalla finestra rompendone il vetro.

“Bastardo!” imprecò Sora inseguendolo, mentre non si accorgeva minimamente della traiettoria dell’arma lanciata, che andava proprio a finire contro Malefica che, impotente fino a quel momento, non riuscì a scansarsi data la vecchiaia, venendo colpita a morte. Non gridò. Emise solo una specie di rantolo strozzato, chiedendosi come mai la vita fosse così ingiusta. O, meglio, così meschina da ucciderla proprio quando non se l’aspettava. Avrebbe preferito saperlo, almeno, con anche pochi secondi di anticipo, in modo da rassegnarsi all’inevitabile. Invece no, era stata colpita all’improvviso. Com’era ingiusta, la vita.

La rossa e il Nessuno la guardavano, quasi pietose, cosa che trovò estremamente rivoltante. Lei non aveva bisogno della pietà di nessuno. In quegli ultimi istanti di vita anelava solo a una cosa: vendetta.

“Va bene, vi svelerò il rito. Ma voi uccidete Sora per vendicarmi.” Disse, e cominciò a spiegare, pregando che i minuti che la separavano dalla morte bastassero per parlare.

 

Aveva corso abbastanza, ormai si era addentrato in uno dei tanti corridoi di roccia del crepaccio, e aspettava il suo destino appoggiato al muro cobalto, ansimando. Non aveva mai corso così.

Ma, infondo, quello era solo un diversivo per dare a Kairi e Naminé la possibilità di convincere Malefica. Aveva fiducia in loro ed era certo che avrebbero potuto benissimo svolgere il rituale senza di lui. Farsi catturare era solo un diversivo, tutto qui.

“Ti sei fermato, finalmente, dannato traditore!” proruppe Sora, avvicinandosi a lui e rievocando il “Portafortuna” che era rimasto a casa della strega. L’aveva uccisa, ne era sicuro. Due in un colpo solo. Pensò soddisfatto, guardando la lama chiara rifulgere di un’aura sanguigna.

“Già.” Sorrise Riku, triste. Avrebbe davvero voluto tornare ai tempi in cui faceva le corse con lui per toccare una stella e per decidere il nome di una zattera, o per dividere un frutto di paopu con Kairi. Già… quelli erano i bei tempi.

“Sei riuscito a farti seguire anche da Kairi e Naminé, complimenti, oltre che come oratore sei buono anche come corruttore, complimenti.” Cominciò con voce gelida. Meno male che Sora credeva che avesse costretto le due ragazze a seguire il suo piano, sennò sarebbero state entrambe nei guai.

“Già.” Ripeté, giusto per gustarsi una conversazione allegra con il suo migliore amico. Certo. Come no.

“Bene, visto che non opponi resistenza, non credo che ti dispiacerà se ti sbatto in prigione vero?” chiese Sora, brandendo i due Keyblade e gettandosi su di lui.

Riku provò a schivare i primi colpi, giusto per fargli capire che quello non era un diversivo. Le lame saettavano a pochi centimetri dal suo volto, mentre indietreggiava verso il muro, in trappola.

Quando il primo colpo lo percosse, cadde in ginocchio. Aveva corso troppo, era andato troppo lontano, dove nessuno lo poteva aiutare, e si era stancato. La sua resistenza era a dir poco calata sotto le scarpe. Un attacco arrivò dall’alto, e Riku alzò istintivamente il braccio sinistro per proteggersi, ma si accorse troppo tardi che Sora non si sarebbe mai fermato davanti a quella resa, e difatti l’arma calò sul suo avambraccio, devastante. La prima cosa di cui si accorse fu di un fiotto di sangue che colava giù dalla ferita come una fontana maledetta.

Crollò a terra. L’ultime cose che vide furono le scarpe dell’Eroe avvicinarsi pericolosamente a lui.

 

L’unica cosa che riportò a Riku i sensi fu il fuoco d’inferno che veniva ripetutamente impresso nella sua pelle, come un marchio per il bestiame. E allora, seppur ancora semicosciente, aveva capito dove si trovasse: era nella sala antistante la prigione, dove venivano segnati con la magia i prigionieri, in modo che fossero soggetti alla stregoneria delle celle che impediva di scappare.

Riku emise qualcosa di simile a un debole gemito quando il ferro incandescente bruciò definitivamente il tratto di pelle sul collo, lasciando un segno a forma di un minuscolo Keyblade.

Il ragazzo riprese del tutto i sensi quando un paio di mani rudi lo lanciarono in una cella, sbattendolo al muro con una forza devastante. Grugnì un paio di imprecazioni e di maledizioni, massaggiandosi la testa. Odiava le prigioni.

“Ehi, amico, ci vai forte con le parole.” Disse una voce leggermente strascicata, mentre i suoi occhi misero a fuoco un uomo piuttosto vecchio, o che, comunque, si portava male i suoi anni, vestito con una camicia molto vissuta e un paio di logori pantaloni, infilati malamente in un paio di stivali. Un pirata, considerata la benda che portava sui capelli. “Jack?” Esalò: “Capitan Jack Sparrow?” chiese, ricordandosi di quanto il pirata fosse permaloso in quanto a appellativi. “In persona, o meglio, quello che ne rimane. Tu sei Riku, esatto?” chiese a sua volta. Annuì. “Beh, Riku, era ora che arrivasse un ospite, l’amico silenzioso non è molto loquace.” Disse, indicando con un gesto della mano un ragazzo biondo, giovane, vestito di nero, che guardava inespressivo fuori dalla minuscola feritoia munita di sbarre. Ci mise un po’ per ricordarsi che quel ragazzo così serio era Cloud. Era così pallido e smunto che non lo aveva riconosciuto a primo impatto.

Spero solo che Naminé e Kairi facciano in fretta. Pensò disperatamente. Quella prigione già gli era stretta.

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Capitolo 5
*** Il Rituale ***


rieccomi qua!
 

allora! vado subito con il capitolo di cui ho perso il conto... ehm... comunque! Buona Lettura e le risposte alla fine con qualche spiegazione...
 


Il rituale
 

 

Camera di Kairi e Naminé, ore 17.00.
 

 

La stanza le stava stretta. Ora se ne era accorta. Non vedeva l’ora di uscire e vendicarsi. Ora che sia lei che Kairi sapevano il rituale sarebbero scappate di lì a qualche giorno, per far risorgere l’Organizzazione. Ora che Riku era in prigione la sua determinazione era letteralmente raddoppiata, visto che senza di lei Kairi sarebbe stata da sola contro tredici Nessuno. Non che con Naminé a proteggerla fosse al sicuro, ma era sempre meglio essere in due.
Riku le aveva donato il suo Keyblade, “La Via Per l’Alba”, e aveva scoperto di avere riflessi abbastanza pronti, dato che aveva completamente disintegrato due Heartless alle sue spalle, in giardino con l’amica. Almeno era in grado di difendersi da eventuali nemici che, chissà perché, le sembrava che avessero tutti le sembianze del numero XI. La stava torturando persino dall’aldilà, e ora che stava per ritornare la opprimeva ancora di più.
Ma se c’era una cosa che Marluxia non sapeva era che Naminé non era rimasta quella ragazzina ingenua che seguiva i suoi ordini, e ora lei non era più disposta a sottomettersi a lui in alcun modo, non ora che aveva anche un Keyblade. Aveva acquistato questa consapevolezza nel momento in cui aveva ucciso gli Heartless. Ora era un Nessuno a tutti gli effetti.
Kairi entrò con il passo strascicato di chi è esausto e si buttò sul letto esalando un lieve: “Uff.” chiuse gli occhi un attimo, per poi mettersi a sedere. “Re Topolino ci ritiene inoffensive.” Proruppe, infastidita. “Probabilmente perché siamo donne. Comunque… stavo pensando a quando dovremo fare quella cosa.” Cominciò. Avevano deciso di non nominare mai apertamente il rito, perché il rischio di essere spiate era molto alto.
L’irritazione di Kairi svanì in un attimo, e il suo viso assunse un’espressione corrucciata: “Non lo so, anche se credo che non dovremmo aspettare molto, no? Prima facciamo e prima arriviamo alla fine. So che tu…”
“Io ho preso la mia decisione. Ti aiuterò e mi lascerò il passato alle spalle.” La interruppe Naminé: “Per il bene comune.” Finì con un mezzo sorriso, pensando a quello che aveva fatto Riku per convincerla, fino al giorno prima, quando era stato catturato.
Kairi annuì, visibilmente soddisfatta della risposta, e rassicurata dal fatto che non sarebbe stata sola: “Domani sera c’è la luna piena. Ci recheremo nel bosco vicino Crepuscopoli, per seguire meglio tutte le istruzioni che Malefica ci ha dato.” Decise. A Crepuscopoli, da quando era stato conquistato, l’alternarsi di giorno e notte sembrava aver preso il sopravvento, per questo avevano deciso di svolgere lì il rituale, perché la gente, essendo abituata al sole perenne, nelle ore notturne non usciva mai. Il buio veniva spesso associato al pericolo.

 

 

Prigioni del Castello Disney, ore 20.00
 

 
Riku stava morendo di fame. Si ricordava che ai prigionieri veniva servito una specie di rancio, ma da quando era stato sbattuto lì non aveva visto nemmeno l’ombra di un pezzo di pane. E la ferita inflittagli da Sora continuava a sanguinare, copiosa, anche se si stava richiudendo lentamente.
“Dovresti metterci qualcosa, amico.” Disse Sparrow, infine, rompendo il silenzio. Lui gli gettò un’occhiata sarcastica: “E cosa? L’unica soluzione è evitare che si infetti troppo.” Concluse, amaro.
Cloud si girò a guardarlo, incuriosito: non aveva mai visto un ragazzo così forte. Lui, non appena era stato incarcerato due anni prima da Léon, al quale avevano modificato la memoria, aveva perso ogni speranza. Aspettavano che perdesse abbastanza forze per farlo stravolgere dalla ragazzina che modificava i ricordi. Ma in due anni aveva resistito e l’aveva sempre respinta, anche se sapeva che presto sarebbe crollato per fame – il rancio era poco e niente – e stanchezza.
“Stai pensando a una possibile evasione?” sussurrò, le prime parole che diceva da ormai due anni. Aveva sempre mantenuto il silenzio per paura di tradire, anche per sbaglio, l’unica amica che rimaneva in libertà.
Riku si stupì di quelle parole sottili e perspicaci, che avevano colto in poco tempo tutte le sue speranze e i suoi pensieri. Annuì semplicemente. Non vedeva l’ora di scappare.
 

 

Castello di Yen Sid, ore 01.30.
 

Kairi aveva sonno. Si erano svegliate presto per scappare inosservate e avevano sfruttato una porta che mandava direttamente nella camera degli specchi della casa di Yen Sid, come per magia. Era stata creata dal mago in persona in modo da velocizzare ogni visita e contatto con il Re, che ovviamente si spostava dal Castello alla dimora di Yen Sid. Speravano solo di non essere viste. Erano tutte e due terribilmente pallide per la tensione, perché se Yen Sid le avesse viste avrebbero dovuto inventarsi delle scuse decenti per continuare nel loro percorso e di sicuro non avrebbero potuto prorompere in un allegro: “Ah, no, passavamo di qua e pensavamo di fare risorgere l’Organizzazione…”, quindi avevano pensato di dire che erano state mandate da Sora per controllare se Pence fosse tornato a Crepuscopoli, visto che anche lui era latitante. Ma Pence, per quanto grassoccio, imbranato e tontolone, non era mica stupido, ed era diventato estremamente prudente da quando Hayner e Olette, i suoi migliori amici, lo avevano pugnalato alle spalle per catturarlo, cinque anni dopo la scomparsa di Roxas. Quindi evitava di farsi vedere in giro.
“Vieni.” Sussurrò Naminé, facendo cenno alla rossa di avanzare, entrando nello studio di soppiatto, dove Yen Sid era indaffarato a leggere, assonnato, alcune formule scritte in rune, decifrandone il contenuto con le sue conoscenze. Era talmente concentrato – o addormentato – che non fece caso al Nessuno che strisciava a gattoni dietro di lui e gli dava un colpo di Keyblade sulla nuca, per farlo svenire. Cadde dalla sedia, senza un suono.
“Bene, ora andiamo, abbiamo un treno da prendere.” Disse Kairi, prendendola per un braccio e trascinandola fuori dalla porta.
Scesero la Scalinata Imprevedibile di corsa, e quando giunsero alla base della torre si fermarono nel giardino antistante, ansimanti e esauste. Fecero in tempo a riprendersi minimamente dal fiatone per essere aggredite di spalle da una voce burbera: “Ehi, chi siete?”
Naminé e Kairi sobbalzarono all’unisono, per poi girarsi e trovarsi di fronte a una specie di cane molto grosso da una grande mandibola tremolante. “Pietro?” chiese Kairi, perplessa alzando un sopracciglio. “Eh no, quello sono io, ma chi siete voi?” chiese Gambadilegno sospettoso, indicandole con un dito grassoccio.
Kairi stava per aprire bocca, ma Naminé la interruppe, fermando la sua voce con un gesto della mano: “Nessuno. Ora vai via, questo non è posto per te.” Pietro sbatté le palpebre, confuso. “Ma Malefica mi ha mandato qua…” ma non fece in tempo ad aggiungere altro che le due si stavano allontanando. “Malefica è morta. Vai e salvati la vita, piuttosto.” Concluse Naminé, saltando sull’unica carrozza del treno magico che portava a Crepuscopoli.
Non appena anche la rossa salì, le porte si chiusero di scatto e la carrozza si mise in moto sferragliando rumorosamente come meccanismi che erano rimasti immobili da tanto tempo.
“Sai, Naminé, mi dispiace un po’ per Pietro.” Cominciò Kairi, mentre si sedeva su uno dei tanti seggiolini: “Infondo serviva ancora la sua padrona… anche se non sapeva che era morta.”
Naminé lasciò vagare lo sguardo sul paesaggio nebuloso che andava mano a mano definendosi, non più soggetto alla magia: i campi verdi che circondavano la Stazione erano pieni di erbacce, ingialliti e deturpati dall’Oscurità che permeava nell’aria, come un cappotto troppo stretto. Nuvole malsane coprivano la luna tonda, minacciose, come intenzionate a far sparire l’unica luce rassicurante in un modo altrimenti oscuro. Si sarebbe anche lei dispiaciuta per Pietro, ma non poteva, quindi il problema non si poneva nemmeno.
Evidentemente Kairi si accorse del suo sguardo vacuo, per poi arrossire e scusarsi. Certe volte faceva fatica a credere che Naminé fosse senza cuore, lei era così buona e gentile con tutti che sembrava impensabile, piuttosto non avrebbe scommesso su quello di Sora, che sembrava essere stato spazzato via.
Il treno giunse alla Stazione un po’ prima due del mattino, e le due ragazze poterono verificare con un’occhiata di quanto la situazione fosse cambiata. Naminé si stupiva del fatto che la Stazione fosse così malmessa, anche perché l’ultima volta che c’era stata risaliva a un mese prima. Le mattonelle dei vialetti erano sconnesse e piene di buchi, e sembravano aver perso il loro caratteristico colore arancione, forse perché l’eterno sole era stato oscurato, almeno la sera, dal buio, e i muri erano logori e pieni di muffa, per non parlare dell’aria pesante e tesa che riempiva quei luoghi, anche se erano le due del mattino. “L’Oscurità fa brutte cose, vero?” sussurrò Kairi, mentre guardava allibita il tram distrutto e tenebroso fermo al capolinea. L’unica cosa in movimento sembrava un gatto troppo coraggioso che era uscito che si rifugiò immediatamente nel buco dal quale era spuntato fuori, impaurito da quelle figure notturne. Naminé annuì.
Crepuscopoli le era sempre piaciuta, per molti motivi: per prima cosa era il luogo dove Diz l’aveva portata dopo averla liberata dal Castello dell'Oblio, poi lei apprezzava davvero il tramonto, e poterlo rimirare anche nelle ore mattutine le dava sollievo, e per ultima cosa, ma non meno importante, era proprio a Crepuscopoli che aveva conosciuto Roxas per la prima volta. Uno dei pochi ricordi piacevoli che conservasse. Ma, per quanto le fosse piaciuta in passato, ora le incuteva timore. Il buio non le era mai piaciuto, perché Marluxia e Larxene spuntavano nella stanza dove era rinchiusa attraverso le tenebre.
Basta! Non devo più pensare così! Sarò io a riportarli in vita e saranno in debito con me! Esclamò Naminé mentalmente, scuotendo leggermente la testa.
“Naminé tu sai dov’è il buco? Io non riesco a orientarmi qui, di notte.” Le chiese Kairi, insicura. Crepuscopoli non le era mai rimasta impressa nella memoria come un ricordo piacevole, sin dalla prima volta che c’era stata. Infatti, la prima volta, che risaliva a quindici anni prima all’incirca, era stata rapita da Axel proprio mentre stava parlando con Pence, Olette e Hayner, gli amici di Sora.
Lei annuì, e la guidò verso la piazza del tram, dove si poteva già intravedere una fessura in un muro.
“Kairi…” disse Naminé, all’improvviso. Avvertiva una sensazione opprimente nell’aria, come se fossero…
“Circondate!” gridò Kairi, evocando il suo Keyblade, pronta al combattimento. C’erano almeno una ventina di Heartless, tutti in torno a loro, che si muovevano nella loro danza confusa. Ma non c’erano solo quelli.
“Ma quelli sono Nessuno!” disse, riconoscendo uno dei Ballerini che Demyx era in grado di evocare. Stava ballando vicino agli Heartless, che nel frattempo erano aumentati, e con ogni mossa ne eliminava uno. Riconobbe man mano tutti i tipi di Nessuno che l’Organizzazione era in grado di evocare. Ma, per uno strano motivo, erano dalla parte loro.
Naminé non ebbe il tempo di indugiare oltre, perché uno dei tanti Heartless che erano spuntati la atterrò con un colpo particolarmente violento e cerco di rubarle il cuore, infilando un artiglio ombroso nel suo petto. Fu disintegrato da un fendente della bionda. Hai cercato nel posto sbagliato pensò, con una punta di ironia.
Kairi saltava qua e là, schivando ogni colpo di Heartless e uccidendoli, senza, ovviamente, toccare i quattordici Nessuno che le stavano intorno, aiutandola. Percepiva che non erano manovrati da Re Topolino, anche se egli ne aveva conquistato l’obbedienza, ma da qualcun altro. Come se l’Organizzazione cercasse di portare dalla sua parte coloro che cercavano di farla risorgere.
Gettò uno sguardo sulla bionda, per vedere come se la cavasse e rimase sbigottita: Naminé non si era mai allenata con lei e Riku e, paragonata alla rossa, era assai brava! Non credeva che un corpo così fragile, perché infondo lei era ancora sotto le sembianze di una ragazzina, potesse essere così agile e scattante anche senza un allentamento.
Kairi pagò caro quell’attimo di distrazione, poiché fu sbattuta al muro vicino alla fessura da due Heartless, che si stavano avvicinando pericolosamente. L’avevano ormai inchiodata alla parete quando fu liberata dal Berseker che le stava vicino. Buffo, l’aveva salvata il Nessuno dell’uomo che l’aveva rapita, quindici anni prima. Quando si dice un gioco del destino.

 

Se avessi un cuore probabilmente mi metterei a ridere.

“Eh!?” esclamò, stupita. Aveva appena sentito la voce di Saïx nella sua testa. E l’aveva sentita non appena aveva sfiorato il corpo lucido del suo Nessuno. Rimase ancora qualche secondo sbattendo le palpebre, presa alla sprovvista da quel contatto inaspettato. Rabbrividì leggermente: quella voce era gelida come in ghiaccio infilato nella maglietta.
Naminé non si accorse degli avvenimenti successi tra Kairi e il Berseker, perché era troppo impegnata a finire di eliminare tutti gli Heartless rimanenti, che, con l’aiuto dei quattordici Nessuno, era riuscita a uccidere nella gran parte.
Quando ebbe finito si appoggiò alla parete vicino al buco, accanto a Kairi, ansimante. “Cre… credi che li abbia mandati il Re?” chiese, mentre l’aiutava a rialzarsi. Kairi fece segno di diniego: “Forse gli Heartless, ma i Nessuno sono dalla nostra parte. Ci hanno aiutati a ucciderli. So che non sono del Re.” Concluse, gettando un’occhiata a un Cecchino che se ne stava tranquillamente appeso a testa in giù.
Un Nessuno Stregone si avvicinò svolazzando, mentre i suoi cubi gli giravano intorno secondo geometriche mosse.

 

Il rito.

Ricordò con la voce di Xemnas, come se fossero lì perché avevano sentito qualcosa sul loro piano. Kairi sbatté le palpebre ancora una volta, rivolgendosi a Naminé: “L’hai sentito? Ha parlato!” la bionda la guardò, stupita: “Come? Io non ho sentito niente.”
Quindi lei non li sentiva. Curiosa capacità, quella di capire ciò che dicevano i Nessuno di Alto Rango. “Dobbiamo muoverci. Sai…” disse, guardando obliqua lo Stregone che sembrava essere a capo degli altri: “Il rito.”
Naminé annuì con vigore, e si diresse verso il buco nel muro, infilandocisi con facilità.
 

 

Prigioni del Castello Disney, ore 02.57
 

Cloud guardava malinconico fuori dalla finestra della cella, godendosi un piccolo raggio lunare che filtrava attraverso le sbarre. Ogni tanto gettava un’occhiata pensierosa a Riku, steso sopra un piccolo angolo di pavimento a cercare una posizione comoda che non infliggesse al braccio fitte di dolore. Se lo ricordava molto bene, prima di finire in prigione. Era andato a trovarlo per chiedere aiuto, per trovare un modo di nascondersi insieme a Léon, Yuffie, Tifa e Aerith, ma Sora li aveva trovati prima che potesse fare altro. Aveva catturato lui, Tifa e la sua amica con le trecce che, sfortunatamente,  ci misero poco tempo per crollare sotto il potere della bambina bionda dagli occhi tristi. Lui resisteva ancora solo perché sapeva che fuori c’era Yuffie che era ancora libera. Sospirò: quando quell’incubo avrebbe avuto una fine?
Un cigolio di chiave che apriva e porta scricchiolante che si spalancava lo distrasse dai suoi cupi pensieri e vide l’immagine di Sephiroth stagliarsi in contrasto con la luce delle candele, svegliando Jack, che era immerso in un sogno abbastanza movimentato, e Riku, che balzò a sedere con una smorfia riferita al braccio gocciolante di sangue.
Sephiroth rivolse loro un’occhiata di disprezzo, poi prese Riku per il bavero e gli puntò la Masamune alla gola: “Il Re” cominciò: “È molto arrabbiato. Sostiene che hai convinto le due ragazzine a fuggire. Dove sono?” gli soffiò a due centimetri dal volto. Riku provò a dire qualcosa, ma se avesse emesso un suono, il suo collo sarebbe stato affettato dalla lama poggiata sulla pelle. Raccogliendo il messaggio silenzioso del prigioniero, Sephiroth lo lasciò andare, facendolo cadere rovinosamente al suolo dove un secondo prima c’era il pirata.
Riku pensava. Se Kairi e Naminé non c’erano probabilmente si trovavano da qualche parte a svolgere il rito. Doveva depistarli. A Crepuscopoli non sarebbero andate di sicuro, lì dimorava Yen Sid e sicuramente avranno considerato il pericolo… sì, era sicurissimo che a Crepuscopoli non ci sarebbero state. “A… a Crepuscopoli. Da Yen Sid.” Disse. Almeno avrebbero perso tempo a interrogare il mago.
 

 

Radura nel bosco di Crepuscopoli, ore 03.00
 

Kairi prese un bel respiro. Un altro. Un altro ancora. Di lì a una mezz’ora si risarebbe ritrovata davanti all’Organizzazione. Doveva prepararsi. Soprattutto per il rito. Naminé si era inoltrata nel bosco per cercare alcuni elementi utili e ancora non tornava. Al suo arrivo tutto sarebbe cominciato. Malefica aveva detto che quel rito prosciugava le energie di chi lo compiva e in alcuni casi portava alla morte. Sperava solo di farcela, perché non aveva voglia di lasciare Naminé da sola con Marluxia alle costole. Solo lei sapeva quanta fatica aveva fatto per autoconvincersi.
Kairi perse un battito quando vide il Nessuno tornare con un mucchio di ramoscelli per il fuoco e dei petali di rosa rosa. Con le mani tremanti dispose i bastoncini in cerchio, e cercava di raddrizzarli alla bene e meglio. I quattordici Nessuno dell’Organizzazione avevano cominciato ad agitarsi e muoversi tra gli alberi, strusciando i loro piedi sulle foglie secche.
“Cominciamo.” Disse, forse per incitarsi da sola.

 

Un raggio di luna piena colpì in pieno il cerchio di bastoncini.

“Luna. Saïx, il numero VII. Torna a danzare sulla luna.”
 

Sussurrò Kairi, mentre alzava il Keyblade in aria gridando “Thunder!”
 

“Fulmine. Larxene, il numero XII. Torna, ninfa selvaggia.”
 

Il fulmine creato andava ad accendere un fuoco incendiano i bastoncini in cerchio intorno alle due.
 

“Fuoco. Axel, il numero VIII. Torna, fiamme eterne.”
 

Cominciò a spirare un vento impetuoso, mentre il cerchio, lo spazio, si restringeva.
 

“Vento. Xaldin, il numero III. Torna, signore delle tempeste.
 

Spazio. Xigbar, il numero II.  Torna a tirare, cecchino dalla mira infallibile”
 

La terra cominciava a bruciarsi intorno al fuoco, creando polvere.
 

“Terra. Lexaeus, il numero V. Torna, signore dei terremoti.
 

Polvere, il nulla. Xemnas, il numero I. Torna a essere Il Superiore, signore dei Nessuno.”
 

Kairi sentiva le forze venir meno, ma continuò ugualmente, sapendo di non poter lasciare il lavoro a metà. Le sue ginocchia stavano per cedere cominciava a vedere illusioni
 

“Illusioni. Zexion, il numero VI. Torna a tessere i tuoi fili, Burattinaio Mascherato”
 

Ansimò.
 

Naminé, attenta, fece ghiacciare il terreno sotto i piedi dell’amica.

“Ghiaccio. Vexen, il numero IV. Torna a sperimentare, Freddo Accademico”
 

Non riusciva a reggersi in piedi, anche perché il terreno ghiacciato la faceva scivolare. Prese una carta dalla tasca e la lanciò nel fuoco, mentre ulteriori energie l’abbandonavano.
 

“Carte. Luxord, il numero X. Torna a continuare la tua sfida contro il tempo.”
 

Il momento cruciale per Naminé. Prese i tre petali di rosa e li lanciò sul terreno ghiacciato, dove furono cristallizzati.
 

“Fiori. Marluxia, il numero XI. Torna a mietere, Leggiadro Sicario”
 

Kairi stava per cadere in ginocchio. L’ultimo. Mancava l’ultimo.
 

“Acqua. Demyx, il numero IX. Torna a suonare nella notte.”
 

E detto questo una cascata d’acqua si infranse sul luogo del rito, sul loro due, sulla terra ghiacciata.
Kairi cadde a quattro zampe, esausta. Era in fin di vita, lo sentiva. Ma non doveva perdere la concentrazione, né tanto meno abbassare la guardia.
Naminé la soccorse, lasciando che l’amica si appoggiasse a lei per rimanere in piedi, mentre il rito finiva.
Da quando era caduta l’acqua erano apparse delle figure, come statue, che rappresentavano ogni membro dell’Organizzazione, escluso Roxas, nell’ultimo istante di vita.
Sembravano respirare, anche perché i capelli e i lembi delle loro vesti si muovevano a ogni alito di vento residuo del rito. Quelle che rappresentavano Xemnas, Vexen e Marluxia erano sospese in aria, come se l’ultimo istante l’avessero passato volando. Il Superiore aveva ancora la sua veste bicolore. Saïx, invece, aveva una mano protesa verso il cielo. Kairi se la ricordava bene, la sua morte, nonostante l’avesse vista solo da lontano. Era rimasta stupita di come anche lui, il freddo, spietato secondo in comando, lasciasse cadere la sua maschera impassibile ormai infranta per rivolgere un’ultima prece e Kingdom Hearts. Anche Zexion era leggermente sollevato da terra, ma meno degli altri tre, forse perché, in effetti, non stava volando, ma era stato sollevato per il collo dal clone di Riku. Larxene era piegata su sé stessa, come se stesse per cadere in ginocchio. Axel era sdraiato per terra. Sora aveva raccontato che l’aveva salvato suicidandosi. Xigbar era in ginocchio, con ancora una delle sue pistole stretta nella mano destra. Demyx era in ginocchio, mentre Xaldin era in piedi, a braccia aperte, il viso rivolto verso il cielo. Lexaeus era leggermente piegato, con la bocca socchiusa, anche se il suo sguardo e la sua espressione erano impassibili come al solito. Luxord era in ginocchio, vicino a un albero frondoso. Su ogni volto era dipinta un’espressione di intensa sofferenza, disperazione, la stessa disperazione di chi ha perso l’unica occasione della propria vita.
Naminé fece scorrere lo sguardo su ogni volto, rievocando a ogni vista diversa tutti i ricordi, piacevoli o meno, che quei dodici Nessuno le avevano impresso nella memoria, mentre reggeva una Kairi con la vista appannata dallo sforzo. Sussurrò a mezza bocca un incantesimo per ripristinare le energie, ma non le riuscì. Era l’unica magia che doveva ancora imparare.
“Gua… guarda!” esclamò Kairi, appoggiandosi a un albero. I Nessuno di ogni membro stavano entrando dentro la statua dei loro padroni. Il Ballerino di Demyx si accostò al suo corpo con la sua eterna danza e, con un balzo degno di un atleta, lo attraversò, restituendogli la vita. Dopodiché il Ballerino svanì nel nulla. Così fecero tutti e dodici i Nessuno.
Il Samurai di Roxas e il Simile fecero come per guardarsi intorno, spaesati, poi svanirono con un grido acuto che solo le orecchie di Kairi percepirono.
Ma la rossa non poté pensare molto al lamento dei Nessuno, perché l’Organizzazione si stava cominciando a muovere. Zexion, Xemnas, Vexen e Marluxia caddero a terra con un gemito strozzato, mentre Axel si stava alzando con l’espressione di chi aveva un gran mal di testa e Luxord e Demyx barcollavano leggermente sopra le gambe appena riconquistate. Larxene cadde a terra di sedere, con una smorfia di disappunto dipinta sul volto.
Poi, insieme, realizzarono che, per qualche strano motivo, erano vivi. Di nuovo.
“Bentornata Organizzazione XIII.” 







dunque, ribadisco... Rieccomi qua! XD
Ikumi91: già già, non sei l'unica a odiare Sora. Lo trovo schifosamente puro e innocente... XD ehh, Malefica è passata a miglior vita... *partecipa al mini funerale della strega*
ahhh, che bello! anche tu pensi che Jack, Riku e Cloud siano una bella squadra! è da tempo che sognavo di farli collaborare...
sono contenta che trovi la mia fic originale! in effetti ho provato un "esperimento" capovolgendo i ruoli del buono e del cattivo... e ovviamente a vantaggio dell'Organizzazione ^_^

su Sephiroth non ho detto niente perchè... oh, va bè ma non dico nulla *fischietta* così come Yuffie e Cid... dico solo che saranno entrambi importanti^_^ (Cid, però è stato convertito al "puro lato oscuro" di Sora nda)
e la pazzia è un bene che va preservato, sì XD

Fantasy is my passion: caVissima! ehehe Sora ha i suoi informatori... comunque, per curiosità tua, Riku si era dimenticato l'atlante nella sala segreta dei progetti, e Sora ci ha messo poco a fare 2 + 2... (incredible! nella mia fic l'ho fatto più intelligente di quanto non fosse! nda) Naminè... evabbè! ti anticipo tutto!? ma anche no!

Mikhi: ciaoo! sono contenta che la trama ti ispiri! devo dire che è abbastanza articolata, quindi faccio fatica anch'io a gestirla tutta e tutta insieme, ma ce la farò! (anche perchè sennò mi prende il blocco dello scrittore nda) Cloud mi ispirava in prigione ù.ù e poi, diciamocelo, era sempre meglio che al fianco di Sephiroth e Sora, no? e Jack e la sua ironia io credo che siano sempre fuori luogo. Kairi è meno utile di un cucchiaio bucato, devo ammetterlo... XD
beh, per schierarti devi vedere da quale punto di vista vedi la luce *lampadinaaa *-* <-- ok, questo lo puoi anche eliminare
Cloud verrà liberato al più presto^^

clicexion_kh forever: welà! sì, Sora, tu sei un bastardo, inutile che ti illudi! Non mi strozzare Marluxia, poverino, è già morto, e poi mi serve! per Xaldin e Demyx: beh, dovete prima leggere! dai che siete tornati *li spupazza*

  

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Capitolo 6
*** Alleanza - La storia di Roxas ***


rieccomi qua :DDD

allora, specifico che questo è un capitolo di transizione, usato allo scopo di chiarire come Roxas e Naminé siano stati tirati fuori da Kairi e Sora e specifica (più o meno) la fine che ha fatto Roxas.

Fantasy is my passion: cara la mia Fantasy che si è letta e ha recensito tutti i miei capitoli :) anch'io sono contenta che sia tornata l'Org, ora comincia il bello yeeeeah oh, mannaggia, si vede troppo che Saix è il mio preferito? OH DEUS!!! Sora al posto di Kairi? poi mi cambia tutta la fic D: ^-^ bon spero che ti piaccia anche questo capitolo :)
 

Ikumi91: Olà! son contenta che ti sia piaciuto il capitolo! oh, sì, Riku è un cretino, ma un cretino buono perchè non lo sapeva ù-ù... Eh Eh Pietro... mi dispiace dirlo ma non credo che si allei con le persone giuste... STOP! non dirò più nulla se sei curiosa per Roxas avrai la fretta di leggere il capitolo :) mi dispiace per lui, Roxas, intendo. Cloud resiste per Yuffie, sì, e avrà la sua sorpresa nel prossimo capitolo :D eh, sì, il rinfresco per la grande Strega ci sta bene *prende pasticcino*... "Debelliamo il mondo dai Sora di KH"? MI PIACE :DDD
clicexion_kh forever: nuooo, non mi strozzare Marly, mi serve ancora DD: ... se devi strozzare qualcuno fallo con Sora... o con Axel... Roxas ha fatto una fine... STOP! non dico nulla :) spero che il  capitolo ti piaccia ^^
 

per ultima cosa, ma non per importanza, vorrei ringraziare dragon ball zLettore 01 per aver messo la mia fic tra i seguiti :) - oltre a Ikumi91 e Mikhi, che recensiscono :)
 e poi vorrei ringraziare ancora Avis, Ayesha, dragon ball z e metal_darkness - oltre a clicy che recensisce - per averla messa tra i preferiti :D
significa tanto per me... poi, se volete esprimere il vostro parere, anche negativo, fatelo, tanto non vi mangio :DD *cicale* ah ehm... comunque se vi va lasciate una recensione ;)
bon, procediamo con il capitolo!!! :D 


Alleanza.

La storia di Roxas.

 
Ehm, ma non mi sono perso qualcosa? Non ero morto?” si chiese Demyx, fintamente pensieroso. Si ricordava quelli che dovevano essere i suoi ultimi momenti, anche se doveva ammettere che i suoi ricordi riguardanti la sua morte erano abbastanza frammentati. Era comunque strano ritrovarsi vivo.
Tra i membri dell’Organizzazione scorreva una pulsante vena di incredulità. La maggior parte stava cercando di recuperare le loro memorie per capire cosa fosse successo, dato che non riuscivano a collegare le loro morti con il fatto di essere vivi e vegeti in una foresta sconosciuta.
Xemnas fece scomparire l’abito bicolore, trasformandolo di nuovo nella divisa dell’Organizzazione. Doveva assolutamente mettere ordine tra i suoi pensieri che si stavano affollando e sovrapponendo nella sua mente. Era vivo.
Uno per uno, i membri si guardarono intorno spaesati, per poi vertere la loro attenzione sulle due ragazze che avevano di fronte. Marluxia, Larxene e Axel furono i primi a riconoscere la bambina bionda che reggeva una donna dai capelli rossi che si reggeva a malapena su due piedi.
“Naminé?” lei li ignorò bellamente. “Esatto.” Disse invece, rispondendo a Demyx: “Eravate morti. Ma vi abbiamo richiamato in vita noi.”
I dodici osservarono la ragazza dai capelli rossi, non riconoscendola. Chi mai era così disperato di avere il loro aiuto – perché se li erano andati a cercare nell’Aldilà era aiuto quello che desideravano – da ricorrere alla magie per riportarli tutti e dodici alla vita?
“Inutile dire che non mi riconoscete.” Disse Kairi con un filo di voce, dopo aver recuperato il minimo delle forze. “Kairi vi dice qualcosa?”
Al suono del nome sia Saïx sia Axel capirono. L’unica cosa che rimaneva oscura era come fosse cambiata così tanto nel giro di…? Nessuno dei dodici avrebbe potuto dire con esattezza quanto fosse passato dalla loro morte. Potevano essere pochi secondi come potevano essere anni.
“Beh, ci avete riportato in vita, grazie, ma perché?” proruppe Xigbar dopo un silenzio pesante come piombo. Naminé provò a parlare, ma fu interrotta da Zexion che disse: “Sephiroth è ancora vivo?” chiese, come se niente fosse. Inutile dire che anche per lui ritrovarsi a respirare era qualcosa di meravigliosamente strano, e cercava di capire come fosse successo, ma non trovava né capo né coda alla situazione. Ma da quando aveva riaperto gli occhi anche il suo insuperabile fiuto aveva ricominciato a funzionare alla perfezione e quello che percepiva, oltre all’odore di bosco e quello di oscurità dell’Organizzazione, era proprio l’odore di Sephiroth.
“Sì, ma perché ce lo chiedi?” chiese Kairi, allarmata. “Si sta avvicinando.” Disse semplicemente il numero VI. Le due ragazze si guardarono intorno spaurite, per poi ordinare a tutti: “Scappate! Alla casa abbandonata! Presto!”
Detto questo si precipitarono verso l’edificio che, infondo, non distava molto dalla radura nel bosco. “Perché?!” chiese Xemnas, contrariato. Sephiroth si poteva benissimo battere, ora che erano in quattordici. E di fatti non si mosse proprio per questo, appoggiato dal suo stratega, Zexion, e dal suo secondo in comando, Saïx. Ma Naminé, invece di rispondere, tornò indietro e prese il numero I per la manica, facendogli il gesto eloquente che indicava che si doveva dare una mossa. “Non riuscireste a batterlo nemmeno se foste tutti e tredici! Sono passati quindici anni dalla tua morte, le cose sono cambiate!” esclamò, supplichevole. Ma la voce gelida di Saïx la fece voltare: “Possiamo comunque batterlo. Abbiamo i Nessuno di Alto Rango.” Constatò. Naminé avrebbe davvero voluto vedere come se la sarebbero cavata e come la delusione di non poter controllare i loro Nessuno li avrebbe portati alla morte, ma, in quel momento di fretta, non poteva lasciarsi andare in vendette personali solo per far vedere che aveva ragione: “No che non ce li avete! Per favore, ascoltatemi! Rifugiamoci, poi vi spiegherò tutto!” disse, mentre l’altro gruppo con Kairi si allontanava.
 
Kairi stava acquistando man mano le forze, anche se lo sforzo di correre gliele stava divorando di nuovo. Non ce la faceva. Cadde in ginocchio, ma fu presa al volo da Xigbar: “Eh, no, non mi puoi crepare quando ho bisogno di spiegazioni, non trovi?” disse, mentre con una mossa abbastanza sinuosa la prese in braccio e si teletrasportò davanti a tutto il gruppo che correva. “Bene, ora dove dobbiamo andare?” chiese Xaldin, guardandosi attorno. Lì non c’era mai stato, contando tutte le missioni di cui serbava il ricordo. “Di qua, muovetevi!” gridò Vexen, portandoli nel giardino di una casa piuttosto malmessa. Il numero IV se lo ricordava fin troppo bene, quel posto. Nonostante ciò li guidò fin dentro la casa, anche se non era affatto tranquillo. Dovevano trovare un nascondiglio migliore.
“Ma dove sono Xemnas, Saïx e Zexion?” chiese Xigbar posando Kairi per terra. “Sono… rimasti… indietro.” Ansimò la rossa, appoggiandosi al muro. Si aspettava che il rito fosse qualcosa di più tranquillo, tipo pronunciare qualche formula magica e attendere che si compiesse ciò che si doveva compiere, ma da quando aveva finito quello per far risorgere l’Organizzazione non era più riuscita a formulare un pensiero in fila a un altro. Sapeva solo che scappavano da… Sephiroth, le pareva. Ma non era riuscita a seguire oltre la conversazione di Naminé con il resto dei Nessuno.
“Sei piuttosto fragile, ragazzina.” Constatò Larxene, con un sorrisino sarcastico sul viso. Da quello che Naminé le aveva detto l’unica donna dell’Organizzazione non sprecava mai l’occasione per dire qualcosa di perfido, e quella ne era la dimostrazione. Kairi, nonostante lo sguardo appannato, la guardò bieca: “Primo: sono più vecchia di te. Secondo: le mie energie le ho sprecate per far risorgere te e i tuoi compagni, stupida.” Almeno l’arrabbiatura le aveva permesso di riacquistare lucidità.
“Ci devi ancora spiegare come mai ci ritroviamo in una Crepuscopoli dove c’è la notte.” Disse Vexen, appoggiandosi al muro. Axel intervenne: “Questa non è Crepuscopoli.” Irritato. Sembrava davvero irritato. Peccato che non poteva esserlo.
“Invece sì, Axel. Sotto troverai la stessa stanza in cui tu e Roxas avete combattuto. L’Oscurità ha cominciato a mangiare anche questo mondo, e per questo che è buio.” Rispose Kairi, sedendosi per terra. Non le andava molto di parlare, anche perché, tra loro due, quella più brava a parlare era Naminé. Forse perché, non avendo un cuore, non si lasciava coinvolgere da alcuna emozione e la sua esposizione risultava più limpida e precisa.
In quel momento Vexen concentrò la sua attenzione su Axel, come se lo avesse visto solo in quel momento. La sua espressione cambiò di poco, anche se era evidente la finta rabbia repressa. Quel bastardo lo aveva ucciso. Avrebbe davvero voluto avere un cuore per incazzarsi davvero, ma, dato che ancora non ce l’aveva, era inutile e impossibile perdere le staffe. Gliel’avrebbe fatta pagare, fosse stata la sua ultima cosa prima di morire di nuovo.
Axel dal canto suo ancora non si capacitava di come potesse essere vivo e, se tutti i Nessuno erano risorti, perché non aveva ancora visto Roxas. Era un Nessuno pure lui, o no?
L’Organizzazione si sparse in vari punti del salone principale della casa abbandonata, chi ancora recuperava i ricordi, chi, come Xaldin, esplorava il luogo perché non ci era mai stato.
Alla fine, anche Naminé con gli altri tre Nessuno entrarono trafelati dalla porta, ma non si fermarono, piuttosto cominciarono a salire ai piani superiori.
“Sephiroth sta arrivando. Ha visto Naminé, quindi ci dobbiamo nascondere. Dice di sapere dove si trova un nascondiglio decente.” Spiegò Xemnas, mentre gli esortava a muoversi.
Naminé guidava l’Organizzazione in un posto che nessuno, a parte lei, conosceva, nemmeno Diz, che comunque era morto. L’aveva scoperto nel suo periodo di permanenza lì a Crepuscopoli, e non ne aveva parlato. Aveva sempre pensato che sarebbe potuto essere utile, visto che quel luogo era simile a una grossa mansarda.
“Ecco.” Disse, una volta nella sala bianca, acchiappando con un salto una corda e aprendo una botola sul soffitto. Prese una scala e l’appoggiò in modo da farla arrivare in cima. Era un po’ pericolante ma andava bene se ci si muoveva con cautela.
“Dopo di me fate salire Kairi.” Ordinò, mentre cominciava a posare il piede sul primo scalino: “Io vado a reggere l’altra estremità.”
La salita, per quanto breve, fu abbastanza faticosa, visto che la scala era pericolante e rischiava di cadere all’indietro. Ma, alla fine, riuscì a entrare nella mansarda, e gettò un sguardo intorno: il pavimento era impolverato come se non avesse visto una scopa da quarant’anni, c’era una specie di materasso con qualche molla di fuori, impolverato anche quello, e dal soffitto pendeva un ragno peloso.
“Naminé, muoviti!” gridò una voce da sotto: “Sephiroth è entrato.” Quella frase ebbe il potere di scuoterla, e cominciò a reggere la scala. Il primo a salire fu Lexaeus con Kairi aggrappata debolmente alle spalle, poi tutto il resto dell’Organizzazione. L’ultima fu Larxene, che ancora doveva salire.
“Larxene!” sussurrò Kairi tesa, visto che sentiva i passi del nemico sul pavimento del corridoio antistante la sala bianca: “Muo… muoviti!”
Il numero XII, invece, levò la scala da davanti la botola, appoggiandola per terra con il minimo rumore. “Ma che fai!?” esclamò sottovoce Vexen. Vuoi vedere che quella sgualdrina li avrebbe traditi di nuovo?
Ma la bionda fece l’impensabile. Con uno scatto degno di un felino spiccò un salto, appoggiò i piedi sul muro per darsi la spinta e si fiondò ad afferrare la corda della botola che pendeva, dandosi la spinta ondeggiando due volte e piombando, con la corda e chiudendo la botola da dentro, nella mansarda. Tutto in due secondi.
“Acci!” esclamò Demyx, fissandola stralunato. Non aveva mai visto fare una cosa del genere. Da una ragazza, per giunta!
Larxene si guardò intorno, divertita e seccata al tempo stesso: “Beh, vi aspettavate che vi tradissi?” li canzonò, malefica. Distolsero tutti lo sguardo, tranne Marluxia, che la guardò con l’aria di chi la sa lunga, mentre un sorriso beffardo si faceva strada sulle labbra del numero XII.
“Non sarebbe la prima volta.” Brontolò Vexen, fissando bieco la sua sottoposta. Larxene stava per rispondere a male parole, ma Zexion le fece segno di tacere, poiché la porta della sala bianca si stava aprendo. Tutti si zittirono e trattennero il respiro.
 

 

Castello Disney, ore 05.00
 

“Maestà.” Chiamò qualcuno, una voce maschile. Re Topolino si girò, facendo oscillare pericolosamente la corona che teneva tra le orecchie tonde. Vede Léon inchinato a qualche metro di distanza da lui, che aspettava gli ordini. Beh, c’era un motivo se l’aveva chiamato. Da dietro la porta della sua stanza, chiusa per privacy, spuntò una testa, questa volta femminile, seguita da un cappello a cono azzurrino.
La donna che entrò era molto bella: aveva i capelli color castagna, lisci, acconciati in una romantica treccia fermata da un bel fiocco rosso, e i ciuffetti che sfuggivano erano stati sistemati in due trecce più piccole, vicino alle orecchie. Era vestita con una camicetta bianca e rosa con un fiocchetto a reggergliela sulle spalle, e una gonna rosa e bianca, e ai piedi due stivali scuri. L’uomo invece era piuttosto vecchio, vestito con una palandrana azzurra e un cappello conico del medesimo colore, con ai piedi due scarpe a punta in tinta con il resto. La cosa più strana era una lunga barba bianca che era impegnato a tenere lontana dai piedi. “Sua Maestà!” gracchiò.
“Léon, quali sono le novità?” chiese il Topo, puntando gli occhi sul ragazzo, ancora inginocchiato.
“Abbiamo avvistato Yuffie, mio signore.” Decretò. Gli altri due annuirono. “Fonti certe ci dicono che si trova nella Terra dei Dragoni. Shan Yu ha affermato di averla catturata nel bosco di bambù, anche se è scappata prima che la riconoscessero.” Continuò Aerith.
“Avete scoperto come riesce a muoversi di mondo in mondo senza gummiship?” chiese il Re allora.
Yuffie era imprendibile. Da circa due anni la stava cercando e ancora non era riuscito a catturarla. Riusciva a muoversi tra un mondo e un altro senza bisogno di gummiship, questo significava due cose: o era riuscita a padroneggiare i varchi oscuri, o aveva inventato un nuovo modo per muoversi. Propendeva più per la seconda, perché i corridoi che usava l’Organizzazione erano molto difficili da imparare, se non si aveva un maestro.
“No. Ma crediamo che dietro ci sia qualcuno dell’Organizz…” cominciò Aerith, ma fu bloccata da una correzione del Re: “Innominabili. Loro sono gli Innominabili. Ricordatelo, la prossima volta non sarò clemente.” Lei annuì, spaventata.
In quel momento, a Merlino successe qualcosa di curioso. Nella sua mente sconvolta da Naminé cominciarono a succedersi delle immagini a lui sconosciute. Léon che combatteva contro un Sora bambino, Aerith che litigava con un computer, lui che litigava con Cid. Fu solo un attimo, poi tornò tutto come prima.
“Bene andate nella Terra dei Dragoni, dunque. E tornate con dei risultati.” Ordinò, congedandoli.
Nel momento in cui i tre uscirono entrò Sephiroth, con un’espressione piuttosto contrariata.
Si inchinò ai piedi del Re e proclamò: “Non ho catturato le ragazzine, mio signore. Non sono riuscito a prenderle. Ho intravisto la bionda, ma non ho fatto in tempo a prenderla.”
Topolino represse un ringhio infastidito. Questo significava che non erano state convinte da Riku, ma avevano agito di testa loro. Doveva farle fuori prima che potessero creare un gruppo abbastanza forte di ribelli.
“Fate setacciare Crepuscopoli. Le voglio vive.” Ordinò, e Sephiroth uscì a grandi passi dalla stanza.
“Vi troverò, fosse l’ultima cosa che faccio!” giurò a sé stesso con un ringhio.
 

 

Mansarda segreta di Crepuscopoli, ore 05.00
 

Tutti e quattordici emisero un sospiro di sollievo quando sentirono Sephiroth uscire dalla sala bianca e ritornare al Castello Disney.
Kairi si appoggiò al muro, stremata. Aveva bisogno di una lunga dormita e di riposo. Oppure di una dose massiccia di incantesimi energetici. Ma non avrebbe contato sull’aiuto dell’Organizzazione.
Non appena formulò questo pensiero sentì un nuovo vigore farsi strada nel suo corpo. Alzò uno sguardo incuriosito su i dodici, e vide un ghignetto soddisfatto sul volto di Xigbar: “Beh, ora che ti abbiamo energizzato, dolcezza, dovresti raccontarci cosa è successo da quando siamo morti.”
Tutti si fecero più attenti. La rossa sospirò. Si preparava un terzo grado decisamente opprimente: “Voi siete morti quindici anni fa. Beh, sembrava che il bene avesse trionfato. Invece no. Sora, il Re e Yen Sid sembrano essersi convertiti all’Oscurità. Hanno cominciato a conquistare mondo su mondo, finché non si creò, nel giro di dieci anni, un impero con Topolino al comando. Qualcuno si è opposto: o è stato ucciso o, se era utile all’impero, è stato soggiogato dal potere di Naminé.” Dodici paia d’occhi si puntarono sulla bionda, che si incupì notevolmente. “Qualcuno che ha avuto la mia stessa idea. Poco originale direi.” Si lamentò Marluxia, appoggiandosi al muro di fronte a Kairi, dall’altra parte della stanza. Evidentemente non si accorse dell’occhiata rancorosa di Naminé – una delle poche – perché la sua espressione sicura di sé non cambiò di un centimetro.
“Ma Naminé non era rientrata nel tuo corpo?” chiese Xemnas, pensieroso. Ancora non riusciva a collegare la presenza di Naminé con quello a cui aveva assistito da lontano. “Yen Sid è riuscito a trovare un modo per estrarre il Nessuno dal corpo del proprietario, senza far sparire né l’uno né l’altro. Lei è stata tirata fuori da me perché poteva modificare i ricordi e portare dalla parte di Topolino persone come Léon, Sephiroth eccetera.” Spiegò Kairi.
“Ehm” esordì Axel: “Ma allora Roxas dov’è finito?” chiese, mentre il clima tra lui e tutta l’Organizzazione si faceva terribilmente più teso.
Era stato più forte di lui, non ci poteva fare niente. Era morto per Roxas e per Roxas era stato il suo primo pensiero da vivo, che il resto dell’Organizzazione lo volesse o no. Attese comunque la risposta, che non arrivò da Kairi, bensì da Naminé: “Roxas non tornerà. È definitivamente morto.” Annunciò, come se volesse far cominciare un lutto. Perché lei era in lutto da quindici anni ormai, e Roxas le mancava più di ogni altra cosa, persino più del cuore.
“Roxas è stato tirato fuori da Sora nello stesso momento in cui io sono uscita da Kairi. Ma non serviva a Topolino, perché di keyblader ne aveva fin troppi.” Cominciò, mentre tutti si facevano più attenti.
 
Doveva eliminarlo. Gli stava creando solo problemi. Già per due volte per colpa sua non era riuscito a compiere la missione affidatagli dal Re. Perché Roxas sbagliava, cercava di convertirlo a una perversa dottrina da Nessuno per appropriarsi del suo corpo.
O, meglio, questo era quello che Re Topolino gli aveva spiegato. E lui ci aveva creduto. Il Re era buono, era Roxas a sbagliare.
Lui, Sora, aveva più volte tentato di metterlo a tacere, insieme ai pensieri controllati della sua mente, ma quel bastardo ricompariva sempre, ogni volta più insistente. Doveva eliminarlo.
“Sora” lo chiamò il Re: “Yen Sid ha trovato la soluzione che cercavamo. Così potremo liberarti.”
Annuì.
“Finalmente potrò eliminarti per sempre, Roxas.”
Si avviò per i corridoi del Castello che ormai conosceva a menadito, seguendo il Re nella sala della Prima Pietra, dove Yen Sid si stava preparando per svolgere l’incantesimo.
Trovò anche Riku e Kairi nella stanza, poiché anche Kairi doveva sottoporsi alla “cura”. Naminé non le stava dando alcun fastidio, ma forse perché il suo Nessuno non aveva una volontà abbastanza forte da riuscire a sottomettere il proprietario legittimo del corpo.
Non appena si avvicinò al gruppo di persone sentì l’animo farsi inquieto, agitato da un Roxas che percepiva la sua fine. Lo sapeva, perché da tempo aveva imparato a leggergli nella mente.
“Lasciami stare! Sei tu ad essere in torto!” protestò Roxas, la voce acuta di chi ha paura. Ma lui non aveva paura, piuttosto la stava facendo provare a lui.
“Sei un Nessuno, è chiaro che vuoi solo riprenderti il mio corpo. Ma preparati, questa è la tua fine.”
“Se la mia fine farà da inizio a qualcos’altro, allora ben venga.”
“Ha! Cosa pretendi di fare da morto?”
“Io? Nulla. Ma non ho detto che sarò io ad ucciderti.”
“Stolto, credi davvero che uno dei tuoi amichetti dell’Organizzazione vengano a salvarti?”
Ma non poté dire oltre, poiché il Re stava dando il via per cominciare l’incantesimo.
 
Il risveglio fu piuttosto brusco, dato che furono sbattuti immediatamente in una cella vuota.
La bambina bionda si stringeva le ginocchia al petto e tremava di freddo. Perché l’avevano risvegliata?
Il ragazzo, invece, era tutt’altro che perplesso: si guardava intorno, nervoso, quasi impaurito, e sarebbe stato anche credibile se quelle emozioni le avesse potute provare davvero.
“Roxas.” Lo chiamò, ed egli si girò subito, folgorato dal sentire di nuovo quella voce.
“Naminé.”
“Perché ci hanno risvegliati?”
Lui non rispose, anzi, si voltò per vedere se ci fosse qualcuno in corridoio e le sussurrò, teso: “Non sarò vivo ancora per molto, perciò ascoltami.” esordì in un sussurro frettoloso e bloccando le sue parole terrorizzate con una mano.
Le raccontò ogni dettaglio della sua conversazione con Sora, negli ultimi istanti di quando era nel suo corpo, ogni piccolo particolare della nuova cattiveria dell’Eroe veniva accuratamente esposto dal sussurrio frettoloso del Nessuno. Tutto quello che poteva essere utile.
“Naminé, ascoltami.” disse infine, prendendola per le spalle: “Quando ancora ero nell’Organizzazione ho scoperto che esiste un rituale per far risorgere i Nessuno. Ti prego, usalo in caso di necessità. Malefica lo saprà di sicuro. Usalo, ricordati di questa importantissima cosa. Mi raccomando.” finì in tempo per sentire la voce di Sora farsi strada nei corridoi: “Finalmente avrò il piacere di eliminarti, Roxas”
L’ultimo ricordo di Naminé riguardo a Roxas fu il suo volto disperato e teso mentre l’Eroe del Keyblade lo prendeva per un braccio e lo trascinava di peso verso una stanza ignota.
Sentì un urlo, poi nulla, solo grida di giubilio del Re e dell’Eroe.
“Me ne ricorderò. Promesso.”
 
Le ultime parole di Naminé sembrarono galleggiare nell’aria come un triste palloncino, per poi evaporare sotto una coltre di significati: il primo e il più triste era che Roxas era morto e non sarebbe tornato, il secondo era che Roxas, nonostante fosse solo un ragazzino, fosse riuscito a prevedere il ritorno dell’Organizzazione, il terzo, che più che un significato era un invito, era che dovevano collaborare per detronizzare Sora e il Re.
Xemnas avrebbe davvero voluto vendicarsi, ma non sapeva se l’Organizzazione avrebbe voluto seguirlo di nuovo, dopo aver scoperto che anche il loro Superiore aveva fallito come un miserabile.
“Quello che ancora non capisco è il perché ci avete riportati in vita dopo quindici anni.” Esordì Luxord, dopo aver riflettuto: “Cioè, prima ci uccidete, poi ci fate risorgere, e magari quando non vi saremo più utili e cercheremo di riprenderci il cuore ci farete di nuovo fuori. Dove ci guadagniamo?” disse. Kairi dovette ammettere che non avevano tutti i torti.
“Sono d’accordo con Luxord.” Continuò Vexen: “Alla fine siete voi che ci avete fatti fuori, o ci avete indotto a ucciderci a vicenda,” questa ultima frase la disse scoccando un’occhiata gelida al numero VIII: “Risolvete i vostri problemi da soli, no?” in molti annuirono.
Questo era quello che temeva Naminé: l’Organizzazione non si sarebbe mai e poi mai alleata con qualcuno che aveva fatto loro un torto o, peggio, con coloro che avevano messo la parola fine sulla loro unica speranza di riprendersi il cuore. E doveva ammettere che non avevano tutti i torti.
“Esatto, voi ci avete uccisi, perché dovremmo collaborare con voi?” chiese Demyx. Ancora ricordava il suo ultimo istante di vita. Anche il cavaliere, guerriero o combattente più valoroso avrebbe avuto paura, mentre a lui, che era anche abbastanza fifone, non era concesso il lusso di impaurirsi.
Ma Kairi intervenne scocciata e infastidita dal comportamento egoista dell’Organizzazione: “Prima di tutto, se volete fare i puntigliosi, siete voi a dover chiedere scusa a noi, visto che siete i responsabili del rapimento di Naminé” e indicò Larxene e Marluxia: “E del mio.” Concluse guardando sia Axel che Saïx. “Se siete così arrabbiati potete esserlo con Sora, anche con Riku se volete, ma con noi due dovete essere solo grati visto che, oltre ad essere state usate per le vostre macchinazioni, vi abbiamo anche fatto il favore di riportarvi in vita.” Finì con uno sbuffo a metà tra lo scocciato e l’irato, poi, essendosi accorta di essersi alzata in piedi in preda alla rabbia, si risedette.
Saïx, Axel, Larxene e Marluxia dovettero ammettere, nell’angolino sperduto del loro essere chiamato coscienza, che effettivamente Kairi aveva ragione.
Passò un silenzio che aveva un che di imbarazzato, prima che Lexaeus, per la prima volta da quando era vivo, aprisse bocca: “Se collaboriamo con voi…” cominciò: “Sarete liberi di far ciò che volete per riprendervi il vostro cuore.” completò Kairi, speranzosa: “Questa è una promessa.” Giurò, come termine di garanzia. Lentamente, incrociò le dita dietro la schiena. Forse stavano arrivando a una conclusione positiva.
“Ci sto.” Concluse Demyx.
In effetti la proposta era allettante. Perfino uno stupido come Demyx lo aveva capito. Certo, era allettante se filava tutto liscio e se non morivano nel tentativo di uccidere Sora, questo lo sapevano. Però, scoprire che qualcuno era dalla loro parte, alla fine, sarebbe stato utile. Anche perché, se avessero agito per conto loro, avrebbero pagato a caro prezzo la loro indipendenza, poiché, come aveva testimoniato la notte a Crepuscopoli, non erano più in grado di ambientarsi in mondi dei quali conservavano un confuso ricordo, che corrispondeva a una diversa realtà.
“Anch’io.” Disse Lexaeus, seguito da Vexen, Marluxia, Larxene, Saïx, Axel, Xigbar, Xaldin, Luxord e Xemnas. Solo Zexion tentennò un pochino, ma alla fine aggiunse la sua voce quando tutti gridarono: “Morte al Topo!
La resistenza aveva inizio.
 

 

Mansarda segreta di Crepuscopoli, ora adibita a quartier generale provvisorio della resistenza, ore 22.08

 
Il giorno era passato, ozioso, senza nessun avvenimento particolare perché ognuno potesse organizzarsi al meglio per compiere il primo passo della neonata resistenza: liberare Riku. La riunione vera e propria si sarebbe tenuta la sera, quando tutti sarebbero stati pronti e saziati dalle cibarie che Xigbar, grazie al suo potere di teletrasportarsi, era riuscito a sgraffignare a ignari cittadini. Ma, oltre a lui, nessuno era uscito dalla casa abbandonata.
Fino a un momento prima i dodici dell’Organizzazione erano indaffarati a allenarsi, sempre facendo il minimo rumore possibile, per verificare se le loro abilità fossero ancora integre dopo la morte, ma ora si ritrovavano stipati di nuovo nella mansarda, con Naminé e Kairi che illustravano i punti deboli per una possibile evasione dei carcerati: “Il carcere del Castello Disney è estremamente difficile da espugnare, poiché è previsto di porte magiche e di serrature a trabocchetto, per non parlare delle guardie che pattugliano i corridoi.” Cominciò Naminé, facendo un disegno approssimativo di quella che era la piantina delle prigioni.
“Tuttavia ogni dodici ore, quando le guardie si trovano in questo punto per il cambio di turno” e indicò il luogo dove era indicata la Stanza della Marchiatura: “Dall’altra parte del corridoio, cioè all’entrata, c’è un punto morto dove non viene effettuata la sorveglianza. Lì ci si può infiltrare fingendosi una guardia che sta andando a prendere il servizio.” Concluse, posando lo sguardo sui Nessuno, ognuno impegnato a riflettere sul piano.
“Sì, va bene, ma come ci arriviamo, al Castello Disney?” chiese Xemnas: “Kairi ci ha detto che lì i varchi oscuri non possono essere aperti.”
“C’è una porta magica che da Crepuscopoli conduce lì e viceversa, che viene aperta nella sala della Prima Pietra. L’unico problema sarebbe scendere da quella sala fino alle prigioni senza essere visti.” Rispose Naminé: “Ma mettendo insieme le vostre abilità riusciremo a raggiungerle abbastanza velocemente.” Rifletté, cercando un modo per portare quattordici persone, che poi sarebbero state quindici con Riku, nel carcere: “Xigbar, teletrasportandosi, potrebbe portare con sé alcuni di noi, magari in due viaggi.” Il numero II annuì. Niente da fare, con il potere che si ritrovava gli sarebbe toccato molte volte fare la spola.
“Numero VI, il potere delle illusioni è di nuovo richiesto.” Ordinò Xemnas: “Dovresti creare un’illusione abbastanza potente da poter nascondere gli altri che non possono essere portati da Xigbar mentre camminano.” Zexion rifletté. Doveva creare una scenografia di un Castello in cui non era mai stato, quindi anche abbastanza improvvisata, per nascondere persone che lo avevano volentieri sfruttato. Non gli andava molto a genio, ma era comunque per il bene comune. Infondo, anche lui voleva la sua piccola parte di vendetta. Solo dopo questi pensieri si accorse di essere al centro delle attenzioni di tutti. “Va bene.” Disse, incolore.
“Ottimo. Dunque, fingendosi una delle guardie, uno di noi si installa davanti alla cella di Riku e, alla prima occasione, mentre gli altri tramortiscono le guardie, apre la cella e lo fa uscire. Ricordate che i prigionieri sono marchiati e come tali non possono uscire. Dovete prenderli voi e portarli fuori.” Concluse, sperando di essere stata abbastanza chiara.
“Sarebbe meglio stabilire dei ruoli, giusto per non cadere nel panico quando ci toccherebbe entrare in azione.” Intervenne Marluxia, sostenuto da Larxene: “Esatto, altrimenti sarebbe molto più difficile urlarsi dei comandi rischiando di far intervenire il moccioso.” Convenne.
“Ok, allora.” Esordì Xemnas, che, con la sua aria altera, sembrava emanare un’aura di superiorità e comando: “Xigbar, come detto dovrai trasportare qualcuno con te in una sala limitrofa alle prigioni…” si guardò intorno, come per studiare i suoi sottoposti, per poi dire: “Larxene, Axel, Saïx, Marluxia, Kairi andate voi con lui.” I nominati annuirono: “Gli altri andranno con me e Naminé. Zexion con noi per nasconderci. Lexaeus, Xaldin, siete gli incaricati a sfondare la porta della cella, anche se temo che ci vorrà ben oltre che forza fisica. Gli altri saranno a distrarre guardie e affini. Sono stato chiaro?” finì, autoritario come sempre. Annuirono.
“L’unica consolazione sarà che alla fine potremo riprovare a conquistare Kingdom Hearts.” Si disse Marluxia.
Naminé e Kairi si guardarono: come avrebbero reagito i membri dell’Organizzazione sapendo che il dono al quale avevano tanto agognato era stato trasformato in dati e i loro cuori rinchiusi chissà dove?
“Kingdom Hearts non esiste più.” Dissero in coro, seminando il simil-panico tra i Nessuno e anche molta indignazione.
In effetti, detto così, sembrava che per tutto il tempo trascorso dalla loro rinascita le due avessero mentito loro riguardo alla seconda possibilità di riconquistare un cuore. “Calma, non abbiamo detto che non potrete riprendervi il cuore! Diciamo che esiste un altro modo…” intervenne Kairi per placare le proteste nascenti. Tutti si zittirono. “Cioè?” chiese Vexen, alzando un sopracciglio.
“Kingdom Hearts è stato datizzato, e i cuori sono stati trasferiti in una stanza nel Castello Disney, chiamata Stanza dei Cuori.”
La vena di stupore che passò tra i dodici fu più che comprensibile: infondo, si trattava sempre del loro desiderio più grande, e sentire che il proprio cuore astratto e puro era stato manomesso e trasformato in volgari dati faceva sempre il suo effetto.
“Bene, allora sarà tutto decisivo per l’attacco” intervenne Axel: “Liberiamo Riku, ci riprendiamo i cuori e già che ci siamo uccidiamo il Topo.”
Nessuno se la sentì di contraddirlo, anche perché Axel, reso assai emotivo dal suo stesso elemento, raggruppava in quell’energica proposta i desideri di tutti. Annuirono, decisi. Con un po’ di fortuna si sarebbe risolto tutto in una volta. 

 

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Capitolo 7
*** Salvataggio ***


Salvataggio.
 


Prigioni del Castello Disney, ore 20.06

 

“E neanche un goccino di rum!” brontolò Jack per l’ennesima volta: “Sto morendo di sete!” piagnucolò infine, depresso. Riku, con il braccio sano, visto che quello ferito sembrava riluttante a cicatrizzare la ferita, gli porse la fiaschetta d’acqua che era arrivata qualche ora prima con quello che chiamavano pranzo (anche se era una brodaglia informe, incolore e insapore): “Tieni, è rimasta un po’ d’acqua.” Gli disse. Non l’avesse mai detto: il pirata balzò in piedi, indignato: “Io?! Acqua?! Ma io sono capitan Jack Sparrow, il più famoso pirata dei sette mari! Io, bere acqua!? Ma stiamo scherzando?”
A Riku venne quasi da ridere, considerato che quel pazzo stava facendo lo schizzinoso in una situazione in cui era inutile farlo. Comunque sia gettò uno sguardo curioso al terzo compagno di cella, ignorando bellamente le proteste indignate di Jack, notando che non si era mosso dalla posizione della sera prima. Aveva due pesanti occhiaie intorno agli occhi, che lo facevano sembrare ancora più affamato di quanto realmente non fosse: “Cloud, vuoi un po’ d’acqua?” chiese, porgendogli la fiaschetta che Jack aveva rifiutato. Lui scosse la testa.
Cloud rifletteva da quando Riku gli aveva accennato a una possibile evasione. Cosa avrebbe fatto? Si sarebbe nascosto? Avrebbe combattuto? Non lo sapeva. Sapeva solo che avrebbe passato la sua ritrovata libertà per cercare Yuffie.
Non appena focalizzò nella mente il nome della sua amica il suo sguardo, perso al di fuori della finestra della cella, si concentrò sul minuscolo spazio che c’era tra le due sbarre, notando solo in quel momento un pacchetto sgualcito e sporco. Non fece caso a quanto fosse malmesso, ma su come ci fosse arrivato. La sua cella era sì ai piani inferiori, ma aveva comunque una vista del paesaggio intorno alla Rocca Disney, anche se era impossibile arrivare alla sua finestra, perché era posta in alto a strapiombo sulla Rocca.
Pur capendo che era impossibile arrivare fino a lì prese il pacchetto tra le dita magre, se lo rigirò un paio di volte tra le mani e lo aprì. Non c’era niente di speciale, anzi, in un primo momento credeva che non ci fosse nulla, poi, affilando lo sguardo stanco, era riuscito ad individuare un nastrino nero arrotolato alla meglio. Era il nastrino che Yuffie utilizzava per legarsi il ciuffetto dei capelli dietro la testa.
Le possibilità erano due: o era un trucco di Re Topolino per indurlo a svelare dove fosse il ninja, anche se doveva ammettere che non ne aveva la più pallida idea, o la vera Yuffie era passata e gli aveva lasciato il pacchetto.
“L’hai vista?” chiese la voce di Riku, che ebbe il potere di riscuoterlo dai suoi pensieri. Fece un segno di diniego. No, non l’aveva vista. Strano, perché aveva passato tutta la notte in bianco.
“Sai cosa significa?” chiese ancora Riku. Perspicace, il ragazzo. Aveva capito in poco tempo chi fosse l’ipotetico mittente e il significato del messaggio.
“Certo. Verrà tra poco.” Concluse lui, e un semi-sorriso si faceva strada sulle labbra dell’albino, mentre Jack, che per tutto il tempo della loro silenziosa conversazione non aveva fatto altro che protestare sul perché Riku gli avesse offerto della volgare acqua, finì con uno sconclusionato: “Viva il rum!”

 

Villa Abbandonata di Crepuscopoli, ore 21.15
 

Era passato un giorno da quando avevano deciso i dettagli della missione, e tra gli inquilini, con cuore e non, scorreva l’impazienza e l’agitazione.
Tra tutti i Nessuno quello più agitato, o che sarebbe stato il più agitato, era senza dubbio Demyx. Non aveva mai imparato a combattere come si deve e non aveva mai trovato la voglia e il coraggio necessari per farlo. Della sua vita di umano ricordava che, in effetti, non era molto diverso da come era in quel momento: Myde (sì, era una delle poche persone che si ricordava il proprio nome da umano) era fifone, allegro e evitava gli scontri diretti con ciò che era più grande di lui, anche se adorava fare il gradasso e fingersi più forte di quanto realmente fosse. Non che avesse paura, per carità, però gli dava molto fastidio tornare a casa pieno di lividi e sentire sua madre che si lamentava. La madre non era rimasta impressa molto nella sua mente, anzi, di lei ricordava solamente la voce esasperata di quando lo vedeva tutto sporco per qualche lotta momentanea con un amico.
Kairi, se possibile, era ancora più spaventata del numero IX. Anzi, era possibilissimo, dato che lui non poteva esserlo.
Ma la rossa si sentiva sola. Terribilmente sola perché aveva un cuore. Le sembrava di sentire il proprio battito cardiaco rimbalzare tra le pareti della Villa, sonante. E le sembrava di scorgere anche lo sguardo invidioso di Axel, o quello carico di rancore di Larxene. Era sicura di essere odiata persino da Naminé per la sua fortuna. Ma la bionda non sembrava dimostrare il proprio odio, e se ne stava zitta il più lontano possibile da Marluxia.
“Dov’è il numero XI?” chiese ad un certo punto Xemnas, guardandosi intorno sospettoso. Da quando la notizia del tradimento era giunta alle sue orecchie la fiducia nel numero XI e nel numero XII era calata ad un livello identificabile con il suolo. Non sapeva nemmeno perché li teneva ancora
tra le fila dell’Organizzazione. Forse perché sono terribilmente potenti? Hai forse pauraXemnas? Paura dei tuoi sottoposti? Gracchiò la fastidiosa vocina chiamata coscienza, scacciata bruscamente dai suoi pensieri perché non poteva avere paura. E poi, io sono più potente di loro, e sono il capo, quindi faranno bene a ricordarsene! Esclamò mentalmente.
“Di sopra.” Rispose la voce del numero XI, che apparve un secondo dopo l’arrivo del suo varco oscuro. Ci fu una sorta di lotta di sguardi tra quello enigmatico e ceruleo di Marluxia e quello dorato e autoritario di Xemnas, finché il sottoposto cedette e fece scorrere lo sguardo sui presenti, frustrato. Niente da fare, Il Superiore non avrebbe assolutamente posto più la fiducia in lui. Si prospettava per lui e per Larxene una lunga faida contro Xemnas e Saïx, che di sicuro non avrebbe abbandonato il capo. Da tempo Marluxia si era convinto che il numero VII fosse un grandissimo leccaculo. Che cosa ci guadagnava a essere comandato a bacchetta da un superiore così intransigente? Non aveva mai pensato, anche per un solo istante, a ribellarsi? A prendere il comando lui stesso? Proprio non lo sapeva.
“Gradirei essere informato su dove scappi, numero XI.” Sibilò Xemnas, assottigliando gli occhi. La risposta di Marluxia fu un falsissimo ‘sarà fatto’, ma così falso che Larxene scoppiò quasi a ridere. Peccato che Xemnas non comprese la venatura ironica della sua voce.
“Allora, abbiamo intenzione di liberarlo, questo poveraccio, o lo dobbiamo far morire di fame ancora un altro po’?” chiese Xigbar, riferendosi ovviamente a Riku. Tutti sembrarono riscuotersi dalla tensione generata dalla lotta silenziosa di Xemnas e Marluxia.
“Sì” disse Kairi, nervosa: “Quando partiamo?” chiese infine, posando lo sguardo su Naminé, che fece spallucce.
“Beh, suggerirei prima di prenderci una vacanza…” ridacchiò ironicamente Larxene.
“In questo momento.” Decise invece Xemnas: “Preparatevi immediatamente. Vi voglio pronti tra cinque minuti.”

 

Castello Disney, ore 21.15
 

“Cid, io vado a dormire. Mi raccomando, mi serve assolutamente quel file per modificare Tron.” Disse Topolino, congedandosi dalla riunione che andava avanti dalla mattina. Era letteralmente esausto. “Sì Sua Maestà.”
“Sora.” Chiamò, davanti alla porta della sua camera, e presto il fido guerriero si fece davanti a lui, in ginocchio.
“Maestà?” rispose, ubbidiente. Il Re pensò che era davvero stata una fortuna essere riuscito a convertirlo ai suoi voleri senza utilizzare Naminé, perché così era assolutamente sicuro di avere la sua fiducia e, soprattutto, il suo rispetto. Sora era estremamente malleabile e deliziosamente innocente, anche da adulto. Non aveva faticato per niente per metterlo ai suoi piedi, era bastata qualche bugia ben costruita che mascherasse i suoi veri progetti ed ecco che si ritrovava un Eroe del Keyblade convertito a lui. “Notizie di Naminé e Kairi?” chiese.
Il moro alzò leggermente la testa, per permettere al Re di vedere la sua espressione irritata: “No, mio signore. Non sono rintracciabili.”
“Pensi che Riku ci abbia mentito?”
“No. Penso piuttosto che abbia sparato un mondo a caso per coprire il fatto che non lo sa nemmeno lui.” Rispose.
Annuì, lentamente. Quelle ragazzine potevano costituire un problema. Un grosso problema.
“Sora, aumenta la sorveglianza, ho brutti presentimenti.” Ordinò infine, sulla porta della sua stanza. Sora annuì: “Sarà fatto.”

 

Crepuscopoli, ore 21.30
 

Si erano avviati verso il Castello di Yen Sid, poiché Kairi aveva spiegato loro che i varchi oscuri nel Castello non potevano essere usati perché intrappolavano lo sfortunato viaggiatore nel limbo tra i due mondi a morire di fame. Perciò avrebbero usato la stessa porta che le due ragazze avevano utilizzato per arrivare a Crepuscopoli, tre giorni prima. Dopo aver accuratamente messo KO il mago.
Una volta arrivati nel giardino sottostante si nascosero alla base e cominciarono a ricordarsi a vicenda i propri compiti, che dovevano avere una precisione cronologica perfetta, sennò avrebbero mandato a monte l’intero piano. E si sarebbero fatti catturare.
“Dunque.” Esordì Xemnas: “Numero II tu cosa farai?” e pronta arrivava la risposta di Xigbar: “Prendo le donne, Marluxia, Axel e Saïx.” Il Superiore annuì. “Numero III?”
“Con Il Superiore, Naminé e Zexion, poi incaricato a sfondare la porta della cella.” E così via.
“E non dimentichiamoci che dopo aver liberato il vostro amichetto sarete voi ad aiutarci.” Ricordò Vexen alla fine dell’elenco. Naminé annuì, precisando che lei e Kairi avrebbero dovuto cercare insieme al di nuovo libero Riku la Stanza dei Cuori. “E poi facciamo fuori il Topo.” Ghignò Luxord. “E Sora.” Precisò poi Lexaeus.
Annuirono.
“Bene, ora che ci ricordiamo cosa fare che ne dite di passare all’azione?” chiese Axel, avviandosi verso la casa di Yen Sid, ma fu fermato per un braccio da Saïx: “Ti vuoi fare tutte le scale?” chiese, alzando un sopracciglio. Il rosso scosse la testa giusto in tempo per vedere Xigbar scomparire teletrasportandosi con Naminé nella stanza in cima alla torre, dove c’era la camera di Yen Sid.
Aspettarono si e no cinque minuti, il tempo di dare una botta in testa in silenzio e senza farsi vedere al mago. Poi videro il numero II spenzolarsi dalla minuscola finestra per far loro segno di entrare e aprirono un varco oscuro per salire.

“E questa sarebbe la porta?” chiese Demyx, osservando il muro. Beh, per essere una porta era nascosta benissimo! Poi vide che tutti gli altri membri stavano entrando in quella che, effettivamente, era una porta e che lui stava fissando un banalissimo muro.
Si affrettò a raggiungere gli altri.
Superarono l’apertura in pochi secondi e si ritrovarono subito nella sala della Prima Pietra. Istintivamente tutti si misero il cappuccio, per celare il volto.
Si radunarono in cerchio: “Allora, sapete cosa fare.” Disse Xemnas: “Al lavoro.”
Subito Xigbar prese in braccio Naminé: “Dove andiamo dolcezza?” chiese, il suo solito ghigno strafottente nascosto dal cappuccio scuro. “Sala delle torture, vicino alle celle.” Sussurrò quella. Stava cominciando a sentire il groppo in gola tipico di quando faceva qualcosa di pericoloso, quello che le veniva di solito quando combatteva.
Xigbar si materializzò dopo pochi secondi sopra al tavolo di tortura, con un’imprecazione mista a un’esclamazione di disappunto circa l’atterraggio su un oggetto non programmato. “Bene, ora vado a prendere gli altri.” Comunicò, sparendo di nuovo.
Naminé si nascose dentro l’armadio dove Sephiroth conservava i suoi attrezzi da tortura, stando bene attenta a non sfiorarne nessuno, anche perché sembravano tutti sporchi di sangue. Fresco. Rabbrividì, raggomitolandosi sulla parete sinistra, l’unica libera, dell’armadio. Sentì di nuovo l’imprecazione di Xigbar, e qualcuno aprì la porta del mobile, infilandosi accanto a lei. Percepì la presenza di Axel, e un lieve odore di rose. Marluxia. Pensò, appiattendosi ancora di più, se possibile, sulla parete legnosa.
Ancora una volta Xigbar apparve nella sala, portando questa volta Larxene e Saïx. Quest’ultimo annusò un po’ l’aria, come se captasse pericolo. Naminé aprì lo sportello per intravedere il viso del Nessuno, che annunciò: “Sephiroth e Léon si stanno dirigendo qui.”
I sei si guardarono l’un l’altro, mentre cercavano un posto dove nascondersi: il tavolo era di legno e di sicuro sarebbe stato molto facile vederli, entrando dalla porta, e l’unico mobile era quello dove erano nascosti già in tre. “Muovetevi, venite qui!” esclamò Axel, prendendo Larxene per un braccio e trascinandola dentro. “Non ci entreremo mai.” Decretò il numero II. “Non abbiamo altra scelta.” Disse invece Saïx, entrando dopo Larxene, seguito infine da Xigbar che chiuse l’anta.
Naminé, alla fine, si era ritrovata schiacciata tra la parete dell’armadio e il petto di Marluxia, che, nel buio, sembrava ghignare. Lo incenerì con un’occhiata cupa, ma nessuno fece in tempo a parlare che la porta della sala delle torture si aprì, mentre Léon e Sephiroth entrarono, trascinando un prigioniero. “Ma quello è Hercules!” sussurrò Marluxia, scostando di qualche millimetro l’anta per vedere chi fosse. Gli altri annuirono. Ma solo Saïx sembrava cogliere il significato di quell’entrata: “Se devono marchiarlo dovranno aprire l’armadio.” Sussurrò a sua volta. Gli altri sembravano nervosi. “Beh, facciamoli fuori non appena aprono l’armadio.” Propose Larxene, parlando a voce bassissima. “Noi dovremmo essere morti, finché lo credono ancora meglio è, possiamo contare sull’anonimato.” Ribatté Saïx.
Léon, intanto, si stava avvicinando per aprire l’armadio. I sei trattennero il respiro.

 

Corridoio del Castello Disney ore 21.45.
 

Zexion aprì il suo libro di nuovo, respirando ancora una volta il suo confortante odore di antico. Era l’unica cosa che gli ricordasse il suo cuore, perché aveva sempre avuto l’abitudine di girovagare per la biblioteca di Ansem, senza sapere da quale libro cominciare, tanti ce n’erano. Poi, all’improvviso, veniva attratto dal colore della copertina di uno, o dal fregio di un altro, e cominciava a leggere.
Anche in quel momento, da Nessuno, aveva il desiderio di leggere, perché, anche se non lo dava a vedere, per lui i ricordi sbiaditi che conservava erano oro, oro che doveva lucidare ogni volta, aprendo uno dei tanti manoscritti che gli passavano sotto al naso.
Qualche mormorio, ed ecco la barriera fatta di illusione che li avrebbe protetti fino al giungere alle celle. Era identica al muro del Castello, e, anche se riusciva a mascherare completamente chi ci passava dietro, era estremamente fragile. “Non la oltrepassate.” Avvertì: “Se si dovesse rompere non so se riuscirei a farne un’altra in fretta.” E, detto questo, lasciò andare avanti Kairi, per far sì che li guidasse.
Erano in fila, ordinati, anche se piuttosto agitati. Anzi, l’unica preoccupata era Kairi, ma lo era così tanto che bastava per tutti quanti. Con il cuore in gola guidò il gruppo per i corridori del Castello, finché non giunse davanti alle scale per scendere nei sotterranei.
Lì si immobilizzò quando la figura esile di Aerith comparve davanti ai suoi occhi. In quel momento si fermarono tutti quanti, nervosi.
Aerith era tranquilla, quasi felice, e non sembrava conservare dentro i suoi occhi alcun ricordo della manipolazione che Naminé aveva compiuto su di lei. Eppure Kairi ricordava che il suo Nessuno era stato costretto a fare un grande lavoro per riuscire a penetrare nella sua testa, ma, alla fine, c’era riuscita.
La giovane passò loro davanti, tranquillamente, senza accorgersi di niente. Fu allora che gli otto emisero un respiro di sollievo, rilassandosi. Ma non si accorsero di essere stati sentiti, e videro Aerith tornare indietro, incuriosita. Si piazzò davanti a Xemnas, analizzando il muro che lei vedeva, senza accorgersi del Nessuno, ovviamente nascosto dall’illusione. Il Superiore, cautamente, fece qualche lento passo indietro, fino ad appiattirsi al muro. Così fecero tutti quanti, alla fine.
Dopo circa dieci minuti che Aerith aveva passato ad osservare il muro decise di toccarlo. Era la cosa che Zexion temeva: toccandolo avrebbe di sicuro rotto la sua fragile illusione. Trattennero tutti il respiro.
Luxord stava riflettendo: se il cambio delle guardie era alle dieci e che Aerith stava lì da almeno dieci minuti significava che ne avevano solo cinque per scendere e catturare delle guardie da utilizzare per camuffarsi. Era qualcosa di impossibile.
Però, alla fine, Aerith sembrò essere stata distratta da un richiamo, e lasciò cadere la sua concentrazione per il muro illusorio per dirigersi da qualche altra parte. “Muoviamoci!” sibilò Kairi, visibilmente agitata.

 

Sala delle torture, ore 21.55
 

Sephiroth e Léon depositarono Hercules sul tavolo, facendo penzolare le braccia muscolose, inerti. Larxene osservò, attraverso lo spiraglio che aveva aperto Marluxia, il volto dell’Eroe: era pieno di graffi, e aveva un occhio nero e gonfio. Per non parlare della veste stracciata sul petto e della caviglia sinistra che assumeva un’angolazione irregolare. Doveva essere rotta.
Probabilmente Hercules aveva lottato, e molto, prima di farsi catturare, anche se, alla fine, era stato costretto a soccombere.
Ma non poté riflettere oltre perché vide la mano di Léon appoggiarsi sull’anta. Chiuse gli occhi: presto anche lei avrebbe venduto cara la pelle.
“Aspetta.” Lo interruppe poi la voce di Sephiroth: “Hanno appena fatto il cambio delle guardie, lo farà uno di loro.” Disse. Dopo pochi secondi la mano minacciosa si spostò mentre, assieme al suo proprietario, se ne andava. Emisero un sospiro di sollievo.
“Hanno già fatto il cambio delle guardie?” chiese Axel, agitato. “A quanto abbiamo sentito sembra di sì.” rispose Saïx.
“Ma noi dovevamo confonderci tra loro, adesso cosa facciamo?” chiese ancora una volta Axel. Nessuno rispose. Non avevano calcolato imprevisti nel piano, e questo li metteva in difficoltà.
Ad un certo punto, la porta si aprì, e i sei sobbalzarono, per poi vedere comparire sull’uscio la chioma rossa di Kairi, mentre si rifugiava, trafelata, dentro la stanza, seguita dagli altri.
“Cos’è successo?” chiese Xigbar. “Te lo racconto dopo…” rispose lei, mentre si affacciava al corridoio delle celle. “Hanno già fatto il cambio!” esclamò poi, nervosa. La sua voce era diventata più acuta per l’ansia: “Cosa facciamo?” squittì.
“Forse ho un’idea.” Disse Zexion, guardando una delle guardie che ronfava seduto su una sedia. Neanche era entrato in servizio che già dormiva. “Xigbar, riesci a trasportarmi al posto di quell’uomo mentre lo porti qui?” chiese. Il numero II annuì.
Prese Zexion per le ascelle e sparì, trasportandosi esattamente sopra la guardia pigrona. Lo fece dondolare un paio di volte, finché il numero VI non si lanciò addosso al soldato, facendolo svenire. Dopodiché, grazie al potere delle illusioni, prese le sue sembianze, rimettendosi a dormire. In questo modo nessuno si sarebbe accorto della differenza, e nessuno di estraneo avrebbe scoperto i compagni.
Dopodiché il numero VI diede il via libera.
Tutti quanti entrarono nel corridoio delle celle, cercando quella di Riku. Larxene, Xigbar, Xemnas, Saïx, Axel e Marluxia si gettarono invece sulle guardie che stavano girando l’angolo, e, sempre coperti dal cappuccio, cominciarono a combattere.
Xaldin, seguito da Lexaeus, stava cercando la cella di Riku. Vedeva Ariel, Mulan, Pinocchio… ma nessuno che somigliasse all’albino. Poi, ad un certo punto, scorse un braccio magrolino che fuoriusciva dalle sbarre, come se gli stesse facendo un segnale. Si diresse velocemente verso la cella del braccio, ignorando tutte le suppliche e i lamenti degli altri prigionieri.
Jack stava segnalando all’uomo vestito di nero di venire nella loro cella. Gliel’aveva detto Riku, che, dato aveva ancora il braccio sanguinante ed era ancora piuttosto debole, non riusciva ad alzarsi.
I suoi occhi color acquamarina brillarono, quando vide la figura possente dal soprabito nero oscurare la luce che traspariva dalle sbarre. Un lieve sorriso gli incrinò le labbra. Era contento perché finalmente qualcuno l’avrebbe liberato.
Lexaeus cominciò a menare fendenti contro la serratura, una volta estratto il suo tomawhk *, e lo stesso fece Xaldin con le sue lance. Ma, niente da fare, la serratura non cedeva.
Saïx si accorse, guardando con la coda dell’occhio, che Xaldin e Lexaeus avevano trovato la cella di Riku e stavano provando a liberarli.
Stavano procedendo bene, nonostante il ritardo con le guardie erano riusciti a cavarsela, grazie al cielo. Una volta liberato Riku, avrebbero potuto uccidere Sora e i suoi compagni. Non vedeva l’ora di assaporare la sua vendetta. Mentre pensava a ciò, con un colpo di claymore aveva già mandato all’altro mondo la quinta guardia. Non dovevano rimanere testimoni.
“Smettila di saltare e combatti da uomo!” esclamò una guardia, frustrata, mentre Larxene, con un salto, schivava uno dei suoi fendenti. Inutile dire che si sentì punta nell’orgoglio, essendo stata invitata a combattere da uomo. Tirò un kunai accuratamente mirato, e colpì alla gola la guardia, levandogli la vita. “Sono una donna, idiota.” Brontolò, pestandogli il naso con la punta dello stivale.
Naminé schivò ancora una volta un fendente di spada, per poi colpire il suo nemico con il Keyblade allo stomaco, aprendo una ferita profonda e sanguinante. Poi fece per dirigersi verso la serratura ma, dato che non era ancora una guerriera esperta, nonostante le sue doti particolari, non si accorse dell’uomo dietro di lei, che la inchiodò al muro con la spada: “Le bambine non dovrebbero giocare al soldato.” Le soffiò nell’orecchio, con il suo alito pestilenziale. Non fece nemmeno in tempo a rispondere che una falce sgozzò il suo avversario, mentre nella sua visuale entrava Marluxia, con il suo solito sorriso furbo: “Non gli do torto.” Decretò posando lo sguardo sulla mano bianca di Naminé che stringeva il Keyblade: “Fatti da parte.” Ringhiò invece la bionda, spostandolo con un colpo di Keyblade sul fianco e andando a mietere la vita della guardia che stava di lì a qualche metro.
Xemnas e Luxord evitarono per la terza volta uno dei proiettili di Xigbar che, per evitare errori, aveva deciso di sparare su tutto e su tutti. Almeno stava facendo questo finché un proiettile viola inchiodò la manica del numero X al muro. Luxord trasformò il numero II in carta e proseguì il suo combattimento.
Axel e Demyx, invece, stavano combattendo l’uno accanto all’altro, anche se non si accorgevano che l’uno spegneva il fuoco dell’altro e l’altro faceva evaporare l’acqua dell’uno. Ma, tra i due, quello più in difficoltà era chiaramente il numero IX. Mandava schizzi d’acqua ovunque, senza curarsi di infradiciare anche i suoi alleati, e sembrava fare sforzi immani per non cadere.
Vexen fu costretto a ghiacciare un po’ dell’acqua che Demyx stava usando per allagare il corridoio, ma la cosa riuscì a passare a suo vantaggio, perché usò le lastre di ghiaccio sul pavimento per muoversi più velocemente, come se stesse pattinando, e così riuscì a mettere al tappeto tre guardie.
Quando, con l’ultima fiammata, tutte le guardie furono uccise, i Nessuno decisero di dare man forte a chi cercava di rompere la serratura della cella di Riku.
Alla, fine, con uno scatto metallico di qualcosa che si rompe, la porta ormai malmessa della cella cadde al suolo, fracassandosi in mille sbarre di ferro deformato.
“Bene, prendete Riku e andiamocene.” Ordinò Xemnas, che però fu contraddetto da Jack: “Scusate messeri, ma aprite la porta della nostra cella e non ci fate uscire?” chiese, imbronciato. Riku rifletté. Se scappava solo lui di sicuro Sora avrebbe costretto Cloud e Jack a dire la verità sul come era riuscito a uscire: “Prendete anche loro.” Disse, infine.
In pochi secondi i tre furono presi in braccio e riuscirono a passare dalla prigionia alla libertà, anche se il marchio che avevano sul collo, durante il passaggio oltre la porta, aveva cominciato a bruciare.
Jack, non appena fu messo giù, fissò lo sguardo su una figura più o meno robusta, che sembrava parlare con un accento strascicato. “Ci rivediamo Jack Sparrow.” Salutò quello, abbozzando un inchino. Il pirata avrebbe scommesso la sua ormai morta Perla Nera che dietro quel cappuccio si celava il ghigno strafottente di Luxord. “Capitan Jack Sparrow.” Precisò con un ringhio.
“Bene, ora, se vogliamo andare noi dovrem-” provò a dire Vexen, ricordando la promessa fatta da Kairi e Naminé, ma fu interrotto da una voce gracchiante che si levava da una cella: “ALLARME, ALLARME! GUARDIE! I PRIGIONIERI SCAPPANO!!!”

 

Camera da letto di Re Topolino, 22.30
 

 Il bussare insistente aveva svegliato il regale dormiente, facendolo rizzare a sedere, innervosito e soprattutto irritato. “Chi è?” chiese, con voce autoritaria, ma non fece in tempo a dire altro che Sora si precipitò nella sua stanza: “Maestà! Ci sono degli intrusi nelle prigioni. Sembrano in quattordici.” Disse, preoccupato.
Al suono del ‘quattordici’ le tonde orecchie di Topolino si fecero più attente e preoccupate. “Attivate tutti gli scudi. Non deve uscire nessuno.” Ordinò, e Sora, seppur stupito, fu costretto ad ubbidire.

 

Prigioni del Castello, ore 22.31
 

Tutti i presenti ancora in vita si girarono immediatamente nella direzione della voce, ma solo Jack riuscì a riconoscerla: “Barbossa, dannato cane! Perché gridi?!” strillò, decisamente irritato, ma quello sibilò: “Se non esco io non esce nessuno.”
Dannato egoista! Pensò Xemnas, ma non fu capace di formulare il suo pensiero in una forma ben più offensiva a parole che Riku lo interruppe, più agitato di Kairi: “Presto, dobbiamo uscire, prima che att-” ma fu interrotto anche lui, stavolta dal suono assordante di una sirena. Sembrava quasi un allarme. Intanto una luce rossa sembrava lampeggiare nelle prigioni, come per magia.
“Scappate!” gridò Riku: “Torniamo alla sala della Prima Pietra, presto!” sembrava parecchio nervoso. Ma non fu necessario dirlo, perché l’Organizzazione XIII, Jack, Cloud, Kairi e Naminé se la stavano già dando a gambe. Non abbastanza in fretta, però.
“Più veloce!” gridò ancora una volta. Se fossero stati catturati sarebbero morti tutti. Perché quando si attivava anche un solo scudo, gli avevano spiegato, ogni accesso e ogni uscita veniva bloccata a tempo indeterminato. Al suo incitare, Cloud si librò in volo con la sua ala nera, portando in braccio Kairi e Larxene, anche se quest’ultima non sembrava molto entusiasta. La porta della prigione si stava bloccando con delle sbarre, che si stavano abbassando sempre di più.
Per Riku sembrò un miracolo quando Axel uscì in scivolata da sotto le sbarre, ma la sua espressione sollevata si trasformò in terrificata quando si accorse che Xigbar e Zexion erano rimasti chiusi dentro.
Tutti si fermarono a guardarli, ma Xigbar si teletraportò davanti al gruppo, prendendo Zexion per un braccio e trascinandolo con sé, borbottando: “Questa si chiama non fiducia delle mie capacità!” protestò, ma fu zittito dalla voce affannata per la corsa del numero VI: “Taci e corri.”
“Ehi!” protestò però Vexen: “E i nostri cuori?”chiese, preoccupato: “Non c’è tempo, se perdiamo anche solo un minuto ancora rimarremo bloccati qui per sempre!” Rispose Riku, mentre incitava ancora una volta i suoi compagni. Cloud fu uno dei primi ad arrivare, grazie alla sua ala nera, e posò Kairi e Larxene per terra, mentre Naminé e Xigbar entravano trafelati nella stanza, dopo aver aperto totalmente il passaggio nella sala del trono.
In un altro momento Larxene avrebbe fatto notare a Cloud che detestava essere portata in braccio, ma pensò piuttosto ad aprire un varco oscuro dentro la porta magica, per far si che riuscissero ad arrivare direttamente alla casa abbandonata.
Intanto l’allarme si era fatto più insistente, e la luce rossa lampeggiava anche dove si trovavano i Nessuno. Demyx provò a fare il primo passo verso la salvezza, ma una scossa molto violenta di terremoto li buttò tutti a terra.
“Presto!” gemette Kairi, rialzandosi e appoggiandosi ad Axel, che si stava rimettendo in piedi a sua volta. Ben presto tutti quanti, bene o male, riuscirono a passare.
Fu un passaggio un po’ strano: dall’assordante sirena rossa al silenzio più totale.
I Nessuno e i loro compagni si accasciarono al suolo, uno più stanco dell’altro.
“Phiew.” Sospirò di sollievo Riku, buttandosi con malagrazia su una sedia, facendo una smorfia per il taglio sul collo. Stava sanguinando da quando aveva oltrepassato la soglia della cella. Come se non avesse anche un braccio sanguinante a cui pensare.
 
* pronunciate tomauàk 










e rieccomi quiii ^^ bene, devo dire che sono abbastanza soddisfatta di questo capitolo XD, ma i commenti li lascio a chi legge.
bon, credo di aver risposto  a tutte le recensioni con il nuovo metodo di efp, e spero di essere stata chiara.. se non avete capito basta chiedere^^

bene bene... Riku, Cloud e Jack sono liberi... ma perchè l'Orghi non si è presa i cuori? eh eh :D

spero vi piaccia.
sayonara


Larchy

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Capitolo 8
*** Un imprevisto da allungare l'attesa - Un nuovo nascondiglio ***


ehehe... non vi aspettavate che aggiornassi eh?

e invece eccomi qua >BD

se questo capitolo vi annoia sappiate che nel prossimo comincia l'avventura :D *yyeeee*

BUONA LETTURA ^^

Un imprevisto da allungare l’attesa.

Un nuovo nascondiglio.

 

Casa abbandonata di Crepuscopoli, ore 03.57

 

Schiuse gli occhi, infastidito dalla luce del lampadario che avevano acceso per rischiarare la notte di Crepuscopoli, e con un grugnito che sapeva di irritazione provò a ricollegarsi con quel mondo che lo aveva riaccettato come Nessuno.

E in pochi secondi tutto ciò che aveva passato la notte prima gli ritornò alla mente, come un fulmine.

Si doveva essere addormentato. Beh, era anche ovvio considerato che per combattere in quella prigione ammuffita aveva faticato non poco. Ma non ci poteva fare niente perché, come gli ripeteva ogni volta Vexen con tono saccente, l’acqua non è un elemento che può essere facilmente adoperato da chicchessia. Ma non era solo il numero IV a pensarlo: ormai tutta l’Organizzazione si era fatta un’idea molto precisa di Demyx, che veniva spesso descritto come fannullone, pigro e terribilmente sbadato. Ma la colpa, non era mai stata sua: i suoi undici compagni non si erano mai resi conto di quale pesante e impegnativo potere fosse costretto a controllare. L’acqua era semplicemente tutto, da una semplice fonte di vita alla più grande devastazione. Possibile che gli altri non comprendessero il peso di tale responsabilità?

Demyx la sentiva, ogni volta che combatteva, l’acqua che premeva per uscire e manifestarsi in tutta la sua potenza. Ed era terribilmente difficile da controllare.

Posò infine lo sguardo sui compagni: Zexion era di nuovo immerso nella lettura di un libro pescato dalla biblioteca, Marluxia e Larxene stavano combattendo per ingannare il tempo, ma la maggior parte dei presenti stava seduta da qualche parte a sonnecchiare o riflettere.

Tutti i suoni dell’ingresso erano poi interrotti a intervalli irregolari dagli ‘ahia’ e dai brontolii di Riku, mentre Kairi cercava di disinfettare le sue ferite con un panno bagnato, aiutata da Naminé.

Marluxia parò uno dei molteplici kunai di Larxene con il manico della falce, e un sorriso sghembo che sapeva di vittoria gli incurvò trionfante le labbra, mentre il numero XII schivava con un salto un fendente della lama.

“Avanti, combatti da uomo!” la canzonò, ripetendo le parole che la guardia le aveva rivolto quella stessa notte, mentre la sua avversaria con una smorfia irritata gli mollava un calcio sul petto, facendolo squilibrare all’indietro. Ma il numero XI prese a suo vantaggio quello squilibrio e ne approfittò per puntellarsi sul manico della falce e girare, mandando al tappeto Larxene, piuttosto contrariata della sconfitta. “Ho vinto.” Sussurrò Marluxia, tronfio, mentre l’aiutava a rialzarsi.

“Non ho capito come fanno ad avere tutta questa energia.” Si chiese Zexion, alzando gli occhi dal libro. Lui solo per creare quelle due illusioni prolungate aveva consumato un sacco di forze. “Beh, loro sono abituati a combattere.” Gli rispose Xigbar, sedendosi accanto a lui sul divanetto pendente per l’assenza delle gambe del lato sinistro. Il numero VI rispose con un mugolio che indicava che aveva capito, e ritornò alla sua lettura.

“Hai intenzione di ucciderli?” chiese Saïx, in una stanza appartata, mentre discuteva con Xemnas circa quello che avrebbero fatto per riprendersi i cuori. Si stava riferendo ovviamente ai tre disertori, tralasciando ovviamente il fatto che, un tempo, anche lui aveva provato a ribellarsi a Xemnas.

Il Superiore lasciò vagare lo sguardo per la sala candida, piena dei disegni ormai sgualciti di Naminé. “No.” Rispose infine: “Anche se dovranno riconquistarsi la mia fiducia.” Il numero VII annuì.

 

Prigioni del Castello Disney, ore 04.00.

 

Una nera, agile figura scivolò lentamente tra le sbarre, verso l’interno delle prigioni, strisciando sul muro ammuffito senza produrre nemmeno un rumore, coprendosi il volto con il cappuccio di un mantello color fango.

Il corpo esile sembrava quasi invisibile, sotto lo spesso strato del mantello ampio, ma si potevano intravedere, ogni volta che l’individuo allungava il passo, le suole piatte di quelle che probabilmente erano le suole di scarpe.

Sempre appoggiata al muro, la figura si girò nella direzione del suo obiettivo, mentre con un lampo sorpreso degli occhi celati dal capuccio si accorgeva della strage compiuta: le guardie con l’effigie di Re Topolino, animali e non, giacevano morti sul pavimento, ricoprendone quasi totalmente la superficie. Il sangue stava cominciando a seccarsi sulle pareti.

Con una mano guantata l’individuo esaminò il muro: sembrava bruciato e umido al tempo stesso, come se acqua e fuoco ci fossero passati insieme. Come testimone del passaggio di una grande quantità d’acqua c’era anche una pozzanghera ormai piena di sangue dove un corpo giaceva senza testa, come tagliato da una lama. Come a provare ciò, un petalo rosa era adagiato, galleggiante, sull’acqua vermiglia, riflettendo un poco quel suo colore sfumato.

Da altre parti, invece, il suolo era ghiacciato, e sui muri, un po’ dappertutto, erano seminati solchi puntiformi, come fossero stati il bersaglio di un cecchino.

La figura, affilando lo sguardo, si accorse di un pezzo di stoffa nera buttato tra la polvere e il sangue, strappato.

Ad un certo punto, nella sua testa balenò un ordine, come se fosse stato dato a voce: fai sparire le prove. E dovette ammettere che era proprio quello che voleva fare, come se quei dettagli di battaglia fossero i biglietti da visita di alcuni suoi vecchi amici che non vedeva da tempo.

Con rapidi gesti e incantesimi, fece evaporare l’acqua, inumidì le tracce del fuoco, sbriciolò e fece sciogliere ilo ghiaccio e raccolse il petalo e il pezzo di stoffa scura. Tutto nel modo più silenzioso possibile, senza svegliare nemmeno un prigioniero. Alla fine sembrava semplicemente una strage compiuta da armi da taglio, niente di straordinario.

E, dopo aver compiuto quei gesti anomali, la sua mente verté di nuovo verso il suo obiettivo principale, quello per cui era giunta fino nelle umide viscere di quel Castello tanto odiato. Si diresse fino alla cella dove aveva lasciato il suo avvertimento, ma, ancora una volta, rimase stupita: era vuota, e pure aperta. Qualcuno lo aveva già fatto evadere.

“Ehi, tu!” gridò qualcuno, e la figura si voltò, per poi vedere un uomo dai capelli argentei farsi avanti. “Cos-” chiese l’uomo, ma si interruppe nel vedere l’individuo prendere la rincorsa verso di lui, saltare, fare una capriola a mezz’aria e sparire in una nube di fumo violetto.

 

Casa abbandonata di Crepuscopoli, ore 07.14.

 

La riunione era stata finalmente convocata, e tutti i presenti erano seduti in cerchio attorno al tavolo della sala bianca, in silenzio, mentre Xemnas si alzava, autoritario come al solito: “La riunione di oggi è stata convocata in base ai recenti sviluppi del nostro “salvataggio”.” Cominciò. Kairi dovette notare che Xemnas si esprimeva proprio come un capo: conciso e dettagliato al tempo stesso. Ma fu costretta a seguire perché fu chiamata in causa: “Ci era stato garantito da Kairi e Naminé che avremmo potuto riappropriarci dei nostri cuori, una volta fatto uscire il prigioniero in questione” disse, indicando Riku con il gesto della mano sinistra: “ma, a quanto vedo, non è andata così. Gradiremmo delle spiegazioni.” Disse, e si sedette di nuovo. Kairi non avrebbe mai saputo dire quali fossero i pensieri di Xemnas in quel momento: sembrava solo impassibile. Forse stava pensando ad un probabile inganno da parte sua e di Naminé, ma lei non sapeva che ci fosse un allarme nel Castello e quando Riku le aveva detto di scappare aveva seguito il consiglio. Non aveva pensato all’Organizzazione. Subito dopo questo pensiero si sentì terribilmente meschina ed egoista. Aveva pensato a scappare, mentre i Nessuno non erano riusciti a riprendersi ciò che era loro più caro. Abbassò la testa e si fissò i piedi con intensità.

Intanto Riku si era alzato. Tutti videro che aveva il braccio fasciato con un pezzo di stoffa di fortuna e il collo rosso e graffiato, ma sembrava in salute. “Volete sapere perché non avete potuto riprendervi i cuori, eh?” disse, serio. I Nessuno annuirono.

“Esiste un sistema estremo di allarme, nel Castello Disney.” Cominciò a spiegare: “Per cui vengono attivati degli schermi totali da impedire un qualsiasi spostamento dal Castello.” Lasciò cadere un attimo le sue parole, mentre i presenti, soprattutto Jack e Cloud, ascoltavano, curiosi, visto che non sapevano niente di niente. “Questi scudi sono molti, e una volta attivati nessuno può entrare o uscire dal Castello, che in questo caso diventerebbe autosufficiente grazie ai campi coltivati che sono presenti nel cortile. Ebbene, quando stavamo ancora nel Castello, Re Topolino ha fatto attivare tutti gli scudi. Se avessimo temporeggiato ancora qualche secondo saremmo rimasti bloccati per sempre dentro quel posto, in balia di Sora e di tutti gli alleati.”

E fu allora che i Nessuno compresero. Avrebbero preso sì il loro cuore, ma sarebbero morti immediatamente perché sarebbero stati di sicuro scoperti. Annuirono. “Le comunicazioni con l’esterno sono possibili?” chiese Saïx. “Non lo so. Di questo non me ne hanno parlato.” Rispose l’albino, abbassando un poco lo sguardo. “Ed è possibile rompere queste protezioni?” intervenne ancora il Nessuno dai capelli turchini, calcolando. Se erano chiusi fuori non voleva dire che non esistevano modi per aprirsi la via con la forza. A quella domanda gli occhi di Riku brillarono come quando riusciva a far comprendere un concetto complicato a qualcuno, come se fosse estremamente soddisfatto della domanda: “Qui ti volevo, caro il mio Saïx.” Disse, con un lieve ghigno: “Serrature.” Disse infine, come se fosse la sentenza di una cosa estremamente piacevole. “Ogni scudo è comandato da una serratura e i Keyblade possono aprirla.” Disse, soddisfatto, mentre, con un movimento della mano, si riprese la “Via per l’Alba” dalle mani di Naminé. Lei lo sapeva, che non avrebbe potuto tenerlo ancora per molto, e si era ormai rassegnata all’idea di rimanere per sempre un Nessuno inutile e privo di ogni potere utile per combattere, ma c’era qualcosa, nel suo ragionamento, che non la convinceva. Come se qualcuno le stesse dicendo che non era vero.

“Un momento.” Disse Zexion: “Dici che Re Topolino ha i nostri cuori, e non potrebbe distruggerli mentre noi siamo in giro per mondi ad aprire serrature?” dal tono di voce, sembrava preoccupato. A quel punto intervenne Kairi: “Ho sentito dire da Topolino che nella sala dei cuori è stato messo uno scudo a parte, e probabilmente sarà stato attivato insieme agli altri.” Disse. Tutto quello che sapeva sulla sala dei cuori era quello che aveva origliato in una conversazione tra il Re e qualcun altro di non meglio definito, la stessa dalla quale aveva appreso la datizzazione completa di Kingdom Hearts. “Nessuno potrà entrare lì.” Disse Riku, confermando quello che aveva spiegato l’amica.

“Quindi, dovremmo vagabondare di mondo in mondo ad aprire serrature!?” sbottò Larxene, contrariata: “Avete almeno la minima idea di quanto ci metteremo?” chiese ancora, girandosi verso Riku, furiosa.

“Se trovi un’idea che riesca ad aprire tutte le serrature in un tempo più breve sarei ansioso di sentirla.” Sibilò l’albino. E che cavolo, lui aveva persino accettato di allungare i tempi della sua vendetta e Larxene protestava?

Cloud e Jack erano rimasti in silenzio per tutto il tempo, il primo perché non aveva nulla da dire, non volendo intromettersi in promesse e patti fatti in sua assenza, il secondo perché non ci stava capendo nulla. Cuori, promesse e serrature rimbalzavano nella sua testa senza un ordine preciso, sconvolgendo quel poco che sapeva. Si ripromise di farsi spiegare tutto da Riku, una volta che l’Organizzazione avesse finito i problemi da chiedere.

Non trovando altre soluzioni, il numero XII si zittì. Xemnas fece per parlare, ma prima che la sua voce profonda potesse proferire anche una sola parola una violenta scossa di terremoto smosse tutta la casa, riuscendo a far cadere i mobili e qualcuno dalle sedie.

“Cos-” provò a dire Xigbar, ma non fece in tempo a finire la sua imprecazione che la terra tremò di nuovo, facendolo cadere dalla sedia.

Xemnas, cercando di reggersi in piedi dopo una terza scossa, si precipitò alla finestra, vedendo una marea argentea che attaccava la villa, tumultuosa. “Ma quelli sono Nessuno!” gridò Demyx: “Non dovrebbero attaccarci!” protestò, affacciandosi a sua volta. Rientrò qualche secondo dopo, quando l’ennesima scossa lo costrinse ad appoggiarsi al muro. “Non scappate!” ordinò Xemnas: “Siamo in grado di controllare i Ness-” ma si interruppe, scendendo nell’atrio, dove erano già arrivati gli altri. Vide che l’Organizzazione stava già tentando di imporsi sui loro Nessuno, invano, mentre quell’enorme marea argentea faceva di tutto per entrare. E, alla fine, rompendo i vetri, sfondando le porte, furono invasi. Il Superiore, con un balzo, scese nel grande ingresso ormai gremito di Nessuno, sfoderando in aria le sue armi.

Riku stava proteggendo Naminé dai Nessuno, quando vide Xemnas entrare in azione, e gli gridò: “Xemnas, dobbiamo scappare, non possiamo controllarli!” ma Il Superiore sembrava sordo, tanto che si avvicinò ad uno dei suoi Nessuno Stregone, cercando evidentemente di prenderne nuovamente il possesso.

Riku si staccò da Naminé, mentre con un salto finiva davanti al numero I, uccidendo lo Stregone. “Cosa diamine stai facendo!?” gli urlò, mentre l’altro si voltava, ignorandolo.

Non passò molto tempo di combattimento che alla casa abbandonata comparvero Léon e Merlino, giunti evidentemente in soccorso dei Nessuno. Dietro di essi, però Kairi riconobbe la capigliatura scomposta di Sora, tanto che corse verso Riku, gridando: “Riku, è Sora! Andiamocene!” implorò.

I Nessuno, però, non sembravano dell’idea di seguire l’ordine impartito dall’albino, e, anzi, si volsero dalla parte del nuovo arrivato, uno più furioso dell’altro.

Sora, dal canto suo, era sbigottito: “Cosa…?” sussurrò, mentre i tredici si facevano avanti.

Naminé, intanto, vedendo l’Organizzazione in grave pericolo, decise di intervenire. Prese la rincorsa e saltò oltre i suoi alleati, frapponendosi tra loro e Sora.

Quello, alla vista della bionda, sembrò ritornare in sé: “Oh, certo, allora deve averlo detto a te…” ragionò, anche se Naminé non riuscì a capire il senso di quella frase e, nel tempo che ci impiegò per cercare di comprenderla, fu scostata dal keyblader, che le sembrava davvero troppo alto per lei, perché Sora voleva confrontarsi di nuovo con i suoi antichi nemici.

“Zexion, per favore, apri un varco!” gridò Riku, mentre con un movimento fluido prendeva Jack per un braccio e lo accostava al numero VI, che era il membro dell’Organizzazione che gli stava più vicino. Zexion lo squadrò con l’aria di chi sta per dire non prendo ordini da te, tanto che Riku fu costretto a implorarlo: “Non avete capito che in questo modo morirete tutti?” chiese, sgomento: “Fidati di me, ti prego.” Disse.

Gli occhi cerulei del Nessuno si spalancarono, sorpresi. Sapeva che Riku era dannatamente orgoglioso, e supplicare per lui equivaleva a umiliarsi, perciò sembrò credere alle sue parole: “Dove dobbiamo andare?” chiese stendendo la mano per aprire un varco. Ma Riku non poté rispondergli, poiché Sora, attaccandolo con un Keyblade, lo aveva attaccato al muro più vicino.

Ignorando l’Organizzazione intera, Sora si avvicinò all’albino, che intanto si era liberato: “Lo sapevo che dietro c’eri tu.” Ringhiò, mettendosi in posizione da combattimento. Riku fece qualche calcolo veloce: se avesse combattuto non sarebbe sopravvissuto di sicuro poiché le sue ferite erano ancora doloranti e non aveva ancora messo in bocca nulla, e inoltre, morendo, avrebbe lasciato Naminé senza protezione e i Nessuno in balia del loro acerrimo nemico. No, non valeva la pena perdere la vita, anche perché non ne aveva assolutamente voglia.

La situazione sembrava immobile, almeno finché Larxene non decise di avventarsi sul keyblader, venendo però respinta con un gesto pigro del braccio. Il numero XII ringhiò: “Voltati almeno, quando combatti con me.” Era, più furiosa che mai. In ogni sua rancorosa parola sembrava spuntare a fiotti l’odio stupido e inutile di un Nessuno che aveva perso tutto a causa di qualcuno. Sembrava davvero furiosa, inutile dirlo.

Sora, dopo un po’, lasciò perdere Riku e concentrò l’attenzione su Larxene, per poi rivolgersi a tutta l’Organizzazione: “Come sei brava a recitare, Larxene.” Disse, mentre il numero XII ringhiava ancora una volta: “Sì, voi Nessuno siete sempre stati degli ottimi attori.” Tutti quanti, in quel momento, si misero in ascolto, pur non abbassando la guardia: “Non so come siete riusciti a ritornare in vita.” Cominciò, minaccioso: “Ma sappiate che ben presto tornerete nell’Oscurità dalla quale siete venuti.” Finì, lanciando il Keyblade contro Larxene, che però riuscì a scostarsi prima di essere uccisa.

Riku si lanciò contro il suo avversario, mentre Léon e Merlino, fino a quel momento immobili, cominciarono a combattere. “ZEXION! IL VARCO!” gridò, mentre con un colpo di Keyblade disarmava la mano destra di Sora.

“Dove lo devo aprire?” chiese il numero VI, cercando di avvicinarsi ai suoi compagni senza essere ucciso dal Keyblade caduto dalla mano di Sora. A quel punto, Jack e Cloud, che fino a quel momento avevano deciso di rimanere vicini e organizzare un gioco di squadra davvero vincente contro un’orda di Nessuno Ballerini, decisero che era ora di andarsene, e il biondo si librò in volo prendendo il pirata per un braccio.

Atterrò accanto a Zexion, mentre gli diceva: “Fortezza Oscura, crepaccio.” Il numero VI sembrava sorpreso, ma obbedì, aprendo finalmente il ponte che li avrebbe portati in salvo.

Tutti si precipitarono dentro, tranne Lexaeus, che sembrava ancora deciso a combattere. “Lexaeus?” lo chiamo Zexion, prima di entrare.

Il numero V scosse la testa. Li avrebbe tenuti occupati in modo da evitare che Sora il seguisse anche nel varco oscuro. Dopo aver lanciato un’occhiata obliqua all’unica porta della salvezza concentrò la sua attenzione su Sora. Notò che era davvero cresciuto, dall’ultima volta che l’aveva visto, anche se non era riuscito a superare la sua mastodontica altezza.

“Avanti.” Incitò il suo avversario. Quello sembrò non aspettare altro, tanto che si lanciò, seguito da Léon, verso di lui, sguainando i suoi Keyblade.

Il primo colpo di tomawhk finì per terra, poiché Sora sembrava diventato davvero veloce. Il secondo colpo, invece, andò a segno, anche se riuscì solo a disarmarlo di Lontano Ricordo. Posò il piede sull’arma, mentre minacciava Sora con il tomawhk. “Ah, credi che sia rimasto il ragazzino quindici anni fa?” lo schernì, mentre con un movimento rapido della mano richiamò a sé Lontano ricordo e usava Portafortuna per colpirlo alla spalla, con un salto.

Sentì immediatamente un dolore fortissimo, così forte che fu costretto a ritirarsi. Dall’alto evocò qualche decina di massi e li fece cadere tra lui e Sora, nascondendosi alla sua vista. Dopodiché, cercando di reggersi in piedi, se ne andò alla Fortezza Oscura.

 

Castello Disney, ore 08.34.

 

“Come sarebbe a dire l’Organizzazione XIII?!” gridò Re Topolino, sbattendo uno dei suoi pugni guantati sul tavolo della scrivania in biblioteca. Sora, Léon e Merlino sembravano più dispiaciuti che mai, come se fosse stata colpa loro se i loro vecchi nemici fossero risorti. “Sono sicuro che c’è Roxas dietro a tutto questo.” Accusò il keyblader, prendendo la parola dopo un imbarazzato silenzio. Topolino, invece di rispondere, spostò lo sguardo sugli altri due presenti: “Testimoniate?” sia Léon che il mago annuirono: “Erano in dodici, mancava solo Roxas.” Disse Merlino.

“Spiegazioni?” chiese il Re, sempre più preoccupato. Diniegarono tutti e tre. Il sovrano si lasciò cadere sulla sedia, non si sa se più sconsolato o deluso da Sora che non aveva ucciso un potenziale pericolo. “Almeno non possono entrare qui, abbiamo attivato gli scudi.” Si consolò: “Voglio che sappiate che voi, oltre a Sephiroth, siete gli unici in grado di uscire dalle protezioni senza farvi male. Yen Sid continuerà a comunicare tramite voi.” Dopodiché spostò lo sguardo sulla porta che si apriva per far entrare l’alta e argentea figura di Sephiroth, seguito da un personaggio più basso e tozzo, con la faccia da cane e una mascella tremolante.

“Mio Signore.” Salutò Sephiroth: “Ho trovato questo che si aggirava per l’ingresso. Deve essere entrato nel momento in cui abbiamo attivato gli scudi. Dice di volersi arruolare.” Detto questo si eclissò, lasciando il tremante, grosso cane a vedersela con il suo futuro Re.

 

Strano corridoio nel crepaccio, Fortezza Oscura, ore 07.59.

 

“Dove saremmo?” chiese Axel, spuntando per ultimo dal varco oscuro. “Al crepaccio.” Rispose Cloud, mentre si guardava intorno con aria furtiva. Dopodiché si avviò per un ripido sentiero in discesa, quasi invisibile per quanto fosse stretto, seguito da Jack.

Riku aveva notato che tra Cloud e Sparrow si era creata una specie di complicità, quasi riuscissero a comunicare con un solo sguardo. Probabilmente era davvero così, essere compagni di cella vuol dire condividere tutto, dal cibo allo spazio vitale. Credeva persino che Cloud trovasse Jack divertente.

Dall’alto si poteva vedere solo una coda formata da persone per la maggior parte vestite di nero, anche se si notava l’assenza dell’imponente figura di Lexaeus. Zexion, nonostante in teoria non potesse, era molto preoccupato. Il numero V tardava ad arrivare e, se fosse venuto ancora più tardi probabilmente non sarebbe riuscito a trovare il nascondiglio. “Sono sicuro che se la caverà. È un ottimo membro.” Lo rassicurò Luxord, mettendogli una mano sulla spalla. Annuì, non tanto convinto.

Cloud li guidò in una specie di conca, come se fosse un crepaccio minore, non grande come il primo ma sempre imponente. Le mura color indaco si ergevano pesanti e oppressive in tutto il perimetro, così sfolgoranti nel loro blu da rendere praticamente invisibile lo stretto corridoio dal quale erano appena usciti. Sembrava quasi fossero in trappola, cosa che Xaldin sembrò notare, dicendo: “Dall’alto si può vedere tutto ciò che c’è qui.” Protestò: “Potrebbero vederci dall’alto, considerando che Sephiroth può anche volare.” Cloud, che fino a quel momento era rimasto in un pensieroso silenzio, si rabbuiò al sentire nominare il suo acerrimo nemico, e borbottò: “Non ho detto di essere arrivato.” E, detto questo, si avviò verso una parete che per lui sembrava particolare, ma che per tutti gli altri rimaneva solo un anonimo muro blu. Si avvicinò a grandi passi, gettando un’occhiata verso l’alto, come per controllare che non ci fosse nessuno che spiasse, dopodiché picchiettò lievemente con il dito su una fessura, che si allargò fino a diventare delle dimensioni di una porta.

“Beh, devo dire che come tana può andar bene!” esclamò Jack, mentre superava tutti quanti ed entrava prima di Cloud, sempre con la sua particolare andatura ancheggiante.

“Dovresti stare attento alle-” provò a dire Cloud, ma fu interrotto dal pirata: “Sciocchezze, io sono Capitan Jack Sparrow, sono nato con il senso dell’orientamento perfett-” ma si interruppe anche lui, mentre un coro di “ahi”, “ouch” e “porc’” si sostituiva ai suoi pavoneggi.

“Alle scale.” Completò l’altro, mentre, si affacciava per cercare di scorgere, nell’oscurità della fessura, il corpo malconcio dell’amico, o comunque quello che ne restava dopo un volo per centoventisette scalini di pietra blu.

Dopo essersi assicurato dell’integrità del corpo di Jack, invitò i compagni a seguirlo raccomandando di stare attenti ai gradini irregolari. C’era il buio più totale, l’unica cosa chiara erano i riflessi azzurrini che la roccia mandava ogniqualvolta veniva colpita da un evanescente raggio di sole penetrato da una fessura. Axel provò ad costruire una specie di torcia, ma fu redarguito da Cloud, che gli camminava vicino: “Non ti conviene accendere il fuoco, qui. Siamo circondati da esplosivo.”

In quel momento tutti coloro che erano appoggiati alle pareti si ritrassero.

La scala procedeva per centoventisette gradini, in una direzione curva verso sinistra, e sbucava in una specie di minuscolo stanzino strapieno di scatole e casse. C’era perfino un baule. Dopo quello stanzino entrarono in una vera e propria conca, così grande che chi poteva rimase spiazzato dallo stupore: era una grotta sotterranea dalle pareti azzurre e nere, di forma circolare, che aveva sulla destra tre piccole rientranze, grandi abbastanza per farci entrare altri bauli e scatole, mentre in alto a sinistra, a circa quattro metri dal suolo, c’era un buco, che faceva presupporre un cunicolo, vicino al quale era appoggiata una scala. Per tutto il pavimento erano sistemati letti, materassi e cuscini, in ordine sparso, come se fossero stati sconvolti da un terremoto. Invece, vicino alle tre rientranze, sembrava ci fosse un altro cunicolo, stavolta quasi attaccato a terra, ma non si vedeva bene la forma della fessura poiché era situata in penombra. Tutto il resto della sala era illuminato da dei cristalli trasparenti, che sembravano avere luce propria, diffondendo nell’ambiente una strana atmosfera azzurrina. “Catturano il calore della terra e lo ritrasmettono sotto forma di luce.” Analizzò Vexen, picchiettando uno dei cristalli che sporgevano dalla parete accanto a lui. Cloud annuì.

Piano piano, tutta l’Organizzazione e i suoi alleati si ambientò, mentre ognuno si guardava intorno, spaesato da tanta innaturale luce.

“Beh, come covo direi che possa andare.” Approvò Xemnas. “Anche perché non c’era molta scelta.” Ghignò Xigbar.

 

Castello Disney, ore 8.40.

 

“Che ne pensi di tutto questo?” gli chiese Cid, appoggiandosi con i gomiti al tavolo di legno della sua stanza. Merlino si sistemò il cappello: “Non sono tenuto a esprimere un mio parere.” Comunicò, meccanicamente. Cid alzò gli occhi al cielo: da qualche settimana quel mago da strapazzo pareva distratto e confuso, e si ricordava a stento le cose che gli diceva, come se fosse preso da tutt’altri pensieri: “Senti, potresti anche dirmi cosa c’è che ti turba!” sbottò, infastidito.

Merlino non rispose. Non poteva certo dire che la sua memoria stava subendo sbalzi e intromissioni, e soprattutto non poteva ammettere davanti a un fedele servitore del Re che sognava di aver avuto un’altra vita, specialmente se riguardava l’Eroe del Keyblade da giovane.

Spesso e volentieri, appena chiudeva gli occhi, si insinuavano dentro di lui immagini che non ricordava di aver mai visto: vedeva un Sora di circa quattordici anni allenarsi con lui a fare magie, vedeva Heartless per la Fortezza Oscura, in preda a minacce elettroniche, vedeva anche Naminé che era Kairi e Kairi che era Naminé. Era tutto molto confuso.

Cid brontolò qualcosa, ma poi decise che era meglio lasciar perdere: “Andiamo.” Invitò il mago: “Da quando sono stati attivati gli scudi c’è sempre bisogno di noi.”

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Capitolo 9
*** Piani per Serrature ***


Piani per serrature.

Castello Disney, ore 19.06.

 

“Distruggete i cuori dell’Organizzazione, immediatamente!”

La voce tonante del Re si poteva sentire anche nelle cucine, e, dato il tono decisamente minaccioso con il quale era venuta fuori, sia Sora che Sephiroth si precipitarono seduta stante al quinto piano, quello nel quale, nascosto dietro una parete, era presente l’accesso per la stanza dei cuori.

Sora si fece pensieroso. Sapeva che quei dodici cuori erano molto forti, dato che la loro mancanza aveva dato origine a dei Nessuno particolarmente potenti, e temeva che per distruggerli ci sarebbe voluto più impegno del previsto.

“Dove andate così di fretta?” chiese loro una voce femminile, mentre i due fermarono la loro andatura frettolosa per concentrare la propria attenzione sulla loro interlocutrice, per poi vedersi squadrati dai cerulei occhi azzurri di Aerith. “Non so se siamo autorizzati a risponderti.” La liquidò Sephiroth, tagliente, per poi proseguire a passi rapidi nel suo compito.

“So che hai incontrato Yuffie, qualche giorno fa.” Gli disse la ragazza. L’uomo dai capelli argentei si irrigidì. Da quando quella ragazzina era diventata così perfida nei commenti?

Ma, purtroppo per lui, era tutto vero, ed era vero anche il fatto che la ninja era scappata prima che potesse anche solo tentare di attaccarla. Come fosse scappata, dopo l’attivazione degli scudi, era ancora un mistero…

“Non abbiamo tempo da perdere, con te.” Le sibilò, voltandosi poi verso di Sora: “Muoviti.”

“È impossibile entrare nella stanza dei cuori.” Annunciò infine Aerith.

“Per te, forse. Noi possiamo attraversare gli scudi.” Disse Sora, alzando un sopracciglio. La ragazza, allora, si avvicinò: “È uno scudo difettoso, non lascia entrare nessuno.” E, infilata la mano in una fessura, fece scattare il meccanismo che nascondeva l’accesso alla sala, dissimulando l’illusione.

“Provate a entrare.” Consigliò loro, eclissandosi dietro il primo angolo: “Io mi dedicherò ad attività più produttive.” E li lasciò da soli con l’incognita dello scudo difettoso.

Sia Sora che Sephiroth esitarono un secondo prima di entrare, almeno finché il primo non ordinò all’altro di farsi avanti. Sephiroth guardò quel ragazzino con una punta di odio, ben sapendo che non avrebbe potuto disobbedire ad un superiore e, con un ringhio frustrato, cercò di penetrare lo scudo con il proprio corpo. Sentì immediatamente una schifosissima sensazione, tipica di quando stava per accadere qualcosa di sgradevole, e la barriera, accumulando tutta l’energia di cui era capace, lo rispedì indietro con una forza devastante, diritto a cozzare contro il muro opposto.

Sora, d’altro lato, guardava lo scudo con interesse, come se fosse divertito dalla questione, ma non toccò la superficie traslucida dell’incantesimo.

“Chiama immediatamente il Re.”

 

Quartier generale della resistenza, ore 20.00

 

La sveglia, se era  definibile come tale, era stata molto traumatizzante. Consisteva in un elettroshock da parte di Larxene o una secchiata d’acqua da parte di Demyx. Per lei c’era stata l’acqua, e le ci era voluta un’ora e mezza per asciugarsi tutta quanta. Ringraziava il fatto che i suoi capelli rossi fossero abbastanza corti, perché sennò ci avrebbe messo ancora di più.

“Kairi?” la chiamò Riku, vedendola imbronciata. “Non ti preoccupare. È colpa della sveglia.” L’albino ridacchiò. “Dobbiamo pianificare gli spostamenti, dobbiamo aprire un po’ di serrature, sai.” Annuì, un po’ cupa. C’era qualcosa che non le tornava, come se mancasse un pezzo ad un puzzle, ma aveva la fastidiosa sensazione di avere la soluzione sulla punta della lingua ma decisamente fuori portata.

Lasciò scivolare lo sguardo intorno alla conca, come se non avesse nulla da fare, e notò che sembravano dei profughi – non che poi si allontanassero molto da quel concetto – : l’Organizzazione si divideva in chi se ne stava tranquillamente stravaccato su un materasso, come Xigbar, chi se ne stava rigidamente e silenziosamente seduto nel suo angolino pensoso, come Saïx, e chi cercava di ingannare il tempo leggendo, Vexen, o combattendo, i soliti Larxene e Marluxia.

Zexion era, o comunque fingeva molto bene, dannatamente preoccupato. Lexaeus non si vedeva da ore, e aveva paura, o almeno avrebbe avuto paura, che Sora l’avesse ucciso. Non sapeva come, o perché, ma sapeva che gli sarebbe dispiaciuto un pochino. Insomma, aveva passato tutta quella cazzo di schifosa vita accanto a lui, avrà significato pur qualcosa!

“Zexion?” gli disse Axel: “Tutto a posto?” storse un po’ il naso a sentire di nuovo la sua voce, ma non disse nulla, e si limitò a gettargli un’occhiata velenosa e andarsene in un posto riparato dalla fastidiosa presenza del numero VIII.

Axel chinò un po’ il capo. Se avesse saputo come sarebbe stato trattato dai suoi colleghi in una vita nuova probabilmente sarebbe stato più cauto nel farsi solo i propri comodi. Si vedeva benissimo negli sguardi di tutti, nessuno voleva dargli fiducia. Persino Kairi e Riku lo squadravano con sospetto, e, infondo, non poteva far altro che incassare il colpo e farsi divorare dai (finti) sensi di colpa. Forse per Saïx. Infondo lui era stato il primo ad essere tradito.

Come spinto dai suoi stessi pensieri, gettò un’occhiata fugace al numero VII, trovandolo seduto con la schiena appoggiata contro il muro, con la fronte un po’ aggrottata. Chissà quali pensieri lo impegnavano, in quel momento. Da come lo conosceva, Saïx era sempre stato bravo a trarre conclusioni esattissime con pensieri contorti, e la cosa che più lo aveva stupito quando lo aveva conosciuto erano i passaggi assurdi che spesso mormorava tra sé e sé, che probabilmente avevano più senso di quello che sembravano dire, ma che ad un ascoltatore al di fuori della sua mente risultavano sconclusionati e stupidi, e la cosa che lo aveva stupito ancora di più era come le decisioni del numero VII fossero sempre quelle più giuste e severe.

Ma i suoi pensieri furono interrotti da un tonfo sordo e cupo. Ad un primo avviso aveva pensato che qualcuno fosse caduto sul freddo terreno di pietra della conca, ma vedendo tutta l’Organizzazione ormai in piedi e tesa a causa dello stesso suono, dedusse che proveniva da fuori.

Cos’era stato? Kairi cominciò a preoccuparsi, perché temeva che Sora li avesse già scoperti, ma il suono non si ripeté, e l’aria rimase ferma insieme al silenzio, interrotta solo dai loro respiri.

“Fo-forse qualcuno è caduto.” Balbettò Naminé, sedendosi su una sedia e cominciando ad arrotolarsi una ciocca di capelli attorno al dito, unico segno del suo nervosismo.

“Siamo abbastanza in profondità, l’unica possibilità è che un elefante sia inciampato e caduto sopra di noi.” Valutò Vexen, alzando gli occhi dal suo libro e riponendolo in un canto del divano sul quale si era appoggiato. “Conosco una sola persona con una massa simile.” Decretò Xemnas.

“Venite tutti.”

Il corpo di Lexaeus era stato trovato sul freddo terreno dell’altopiano che si trovava esattamente sopra la “zona notte” della conca e sembrava morto.

Era esanime e privo di forze, e non sembrava rispondere a nessuna chiamata né stimolo. “È morto.” Disse Kairi sull’orlo delle lacrime. Non aveva mai avuto vere occasioni per parlare con il numero V, anche perché risultava comunque difficile strappargli qualche parola, ma rimaneva comunque qualcuno a cui aveva promesso il cuore, e le dispiaceva da morire vederlo andare – di nuovo – all’altro mondo privo di quella cosa tanto preziosa.

Come faceva l’Organizzazione ad essere così tranquilla? Insomma, era morto un loro compagno e non si dispiacevano nemmeno un… un attimo… ma i Nessuno non provano emozioni… si diede semplicemente della stupida.

“Se fosse morto sarebbe già scomparso da un pezzo.” Valutò Xemnas, esaminando uno strappo del soprabito sulla spalla sinistra e il corrispondente taglio inflitto a Lexaeus. Keyblade, senza ombra di dubbio.

Non si accorse nemmeno del piccolo ‘oh’ che uscì dalle labbra della rossa, e, anzi, ordinò agli altri membri di aiutarlo a trasportare Lexaeus nel covo. “Siamo già a due feriti.” Brontolò Xigbar, ricevendo un’occhiataccia da Riku, che vedeva come un grande impedimento il fatto di non poter usare il braccio sinistro, ancora troppo infettato per essere mosso. Come aveva detto Vexen: sono stati recisi tutti i muscoli dall’alto fino all’osso, e anche questo è messo abbastanza male, quasi rotto. Ti conviene non usarlo per un bel po’ di tempo.

E così lui si era ritrovato quel braccio fasciato e steccato tra capo e collo, ulteriore impedimento in una situazione ben grave. E poi, lui non aveva mai combattuto con un braccio solo, e questo poteva essere un problema, perché il suo equilibrio era stato scombinato e non poteva far altro che provare a imparare a muoversi in battaglia usando solo la destra.

Furono Saïx, Xemnas e Xaldin a trasportare Lexaeus attraverso le scalette dell’entrata fino alla conca e poi anche Cloud e Jack, che erano rimasti sotto per evitare di impicciarsi in fatti non loro, decisero che era ora di allestire una branda degna di questo nome ad un ferito.

Zexion, nonostante vedesse il numero V in condizioni abbastanza gravi, si era tranquillizzato – non che prima fosse agitato, intendiamoci – poiché era riuscito a scoprire che Lexaeus non era morto.

“Bene.” Disse Xemnas, girandosi verso il resto dell’Organizzazione: “Ritengo sia opportuno cominciare la riunione seduta stante.” Nessuno trovò il coraggio di dissentire.

 

“Prima di tutto vorrei ricordare ai disertori” cominciò Xemnas, non appena tutti ebbero trovato posto, lanciando un’occhiata severa a Marluxia, Larxene e Axel: “che ogni loro carica di potere è sospesa e che sono in prova come membri.” I tre sembravano abbastanza stupiti: insomma, avevano pensato che, ritornati in vita, sarebbe stata anche ovvia la loro riammissione, anche perché, fino a quel momento, si erano proposti di aiutare la causa di Naminé, Kairi e Riku insieme a tutti gli altri membri. Proprio non si aspettavano un colpo così basso. Umiliati davanti a tutti, poi!

“Ora credo che sia indispensabile accordarci su un piano d’azione.” Cominciò, rivolgendosi a Riku: “Non penso proprio che possiamo permetterci di girovagare per i mondi senza sapere come e dove muoverci, con un nemico che voi dichiarate così potente, poi.” Disse, come se non credesse alla nuova potenza acquistata da Sora e alleati: “Penso inoltre che, prima di trasferirci in un mondo per aprire la rispettiva serratura, si renda necessaria una serie di sopralluoghi per studiare la nuova morfologia del territorio e dei luoghi.”

Riku annuì: era perfettamente d’accordo, anche perché, essendo loro assai pochi, sarebbe stato solo uno stupido azzardo avventurarsi nel primo mondo che capitava a tiro senza nemmeno studiarlo. “Sono d’accordo.” Disse: “Ma non ho ben capito se per una serratura soltanto sia obbligatorio trasferirci tutti insieme nel medesimo mondo. In quel caso sarebbe anche controproducente, dato che potremmo dividerci in due gruppi per liberare due mondi in un colpo solo. Infondo abbiamo due Keyblade.” Concluse, indicando sé stesso e Kairi. Lei ancora una volta provò la fastidiosa sensazione che qualcosa non quadrasse, ma non disse nulla.

“Se posso prendere la parola.” Cominciò Saïx, guardando Il Superiore, che gli concesse l’intervento con un rapido cenno della mano: “Penso che sia controproducente il separare un gruppo che è poco numeroso di per sé per crearne due ancora meno numerosi che dovrebbero destreggiarsi in due missioni diverse contemporaneamente, perché, se da una parte accadesse qualcosa di pericoloso o ci si trovasse in una situazione critica, gli aiuti tarderebbero ad arrivare e dubito che qualcuno voglia ripetere ancora certe esperienze prima del tempo.” Disse, alludendo alla morte: “Inoltre mi verrebbe da chiedere se le serrature, una volta aperte, si possano richiudere.”

Molti annuirono, cupi: “Sono della stessa opinione.” Disse Luxord, col suo tipico accento strascicato: “Inoltre sarebbe più utile che tutti gli elementi magici siano presenti sullo stesso mondo, per evitare di imbatterci in incantesimi che poi rischierebbero di rimanere insoluti.”

“E poi dubito che vi riusciate ad ambientare a Port Royal senza una guida adeguata, ora come ora.” Intervenne Jack, dal suo cantuccio, dopo una lunga sorsata del suo tanto amato, carissimo e mancato rum. “Hic.”

“Mi verrebbe da chiederti se tu sia sobrio o meno, Jack Sparrow, ma glisserò sulla domanda e continuerò su argomenti più idonei alla situazione.” Disse Luxord, guardandolo un po’ storto per l’odore di alcool che era riuscito a sprigionare dopo un sorso di quella roba: “Penso che dovremmo prima cominciare dalla Fortezza Oscura. Infondo è il mondo più vicino.”

“No.” Dissero almeno quattro persone: “Così equivarrebbe a dichiarare dove siamo e dove ci muoviamo.” Disse Xaldin: “Sarebbe stupido.”

“Concordo” convenne Vexen: “Ma allora da quale mondo cominciamo?”

Il silenzio cadde tra i presenti, rotto solo dagli ‘hic’ di Jack.

A quel punto fu Naminé a prendere la parola: “Perché non cominciamo dal primo mondo conquistato?”

“Non mi pare una buona id-” provò a dire Marluxia, ma fu interrotta da il sibilo della Nessuno dall’abito bianco, totalmente inaspettato e sorprendente: “Taci, membro in prova.”

Le era uscito naturale, partorito dalla finta rabbia e frustrazione covata dentro sé per tutti gli anni che era stata costretta a sottostare ai suoi ordini, ed ora che era libera non avrebbe certo consegnato il documento di resa così presto!

Kairi strabuzzò gli occhi, disarmata, mentre Riku si mise a fissare la sua amica come se avesse dichiarato di essere Kingdom Hearts.

Il numero XI, intanto, sembrava aver ingoiato un insetto dal sapore disgustoso. Non solo l’umiliazione da parte di Xemnas, ma anche da parte di quella mocciosa…!

Non passarono che pochi secondi che Naminé si ritrovò al muro con una falce pericolosamente vicina alla gola.

“Come?” ringhiò il numero XI, avvicinando il viso a quello di Naminé, che, ovviamente, non era per nulla spaventata. Per prima cosa perché non avrebbe potuto esserlo, ma anche perché era cresciuta, almeno interiormente, ed era psicologicamente molto più forte rispetto a sedici anni prima, e non aveva più paura di quell’incubo dai capelli rosa. Aveva messo da parte il timore per Riku e Kairi, e non avrebbe di sicuro abbandonato il suo impegno.

“Ti ricordo, numero XI, che ho libero accesso alla tua memoria.” Disse, a voce alta, in modo che si potesse sentire.

“Non lo useresti mai.” Rispose l’altro, beffardo, ma prima che potesse finire la frase, la bionda aveva mosso il polso in maniera circolare, e alla fine del giro nelle sua mano apparve una carta rosa.

“Cosa…?” provò a chiedere Marluxia, ma Naminé rispose immediatamente: “Questo è il ricordo legato al tuo nome. Potrei distruggerlo in questo istante.”

Imprecò sottovoce. Era stato umiliato non una volta, ma tre, due delle quali da Naminé, una sua sottoposta.

No… non più una sottoposta, ormai. Nei quindici anni che era stato nell’Aldilà probabilmente anche lei era cresciuta, anche se non fisicamente. Sembrava davvero determinata.

Fece sparire la falce: “Come vuoi.” Disse, laconico: “Ma non ti aspettare che finisca qui.”

E, sentendosi troppo umiliato per proseguire la riunione, uscì fuori dalla grotta.

Il silenzio serpeggiò tra i presenti come un pitone malefico, e sembrò durare ore, almeno finché Xemnas decise di romperlo con la sua voce profonda: “Quindi… trovo che quella di Naminé sia un’idea abbastanza buona, anche se io fossi Topolino mi verrebbe da pensare a dei paladini che con un atto provocatorio di liberazione del primo mondo conquistato vogliono andare contro la dittatura e devo ammettere che l’idea non mi attira più di tanto.” Seguirono molti cenni di assenso da parte dell’Organizzazione.

“Bene.” Decise Riku. “Propongo il Monte Olimpo: è il secondo mondo conquistato e c’è ancora un piccolo gruppo di atleti ribelli.”

Non trovando proposte migliori, finirono col votare quella.

 

Monte Olimpo, ore 22.45

 

“Spiegatemi perché sono qui.” Disse Jack, quando ruzzolò fuori dal varco oscuro, finendo a fare un’analisi da vicino dello sterrato dell’arena. “Abbiamo detto che è meglio muoversi tutti insieme o sbaglio?” gli disse Luxord, tirandolo su per una manica, storcendo il naso nel percepire l’odore di alcool ancora ben presente sui vestiti del pirata.

“No, il fatto è che io non c’entro nulla con voi.” Replicò Jack, ma fu snobbato alla grande. “Rassegnati.” Gli disse Cloud, mettendogli una mano sulla spalla.

“Spostiamoci.” Ordinò Saïx: “Stiamo attirando l’attenzione.” E, detto quello, disintegrò con la claymore tre sventurati Heartless di ronda.

“Siamo qui per?” chiese Naminé, allontanandosi dalla figura di Marluxia che, a quanto pareva, era benintenzionato a riscuotere la propria vendetta. “Non puoi dargli torto.” Disse Xigbar, accorgendosi dei suoi movimenti: “Con sì e no tre frasi hai completamente distrutto la sua dignità.” Lei gli tirò lo sguardo più acido che riuscì a simulare, ma non disse niente e si avvicinò alla figura di Kairi, che, alla fine, sembrava una delle più determinate.

“Diciamo che siamo in perlustrazione.” Rispose Xemnas: “Anche se gradirei chiudere le diatribe con questo mondo nel giro di una notte.” Riku, a quel punto, storse la bocca in un sorriso sprezzante: “Non ci contare, non è così facile come sembra.”

 

Oltretomba, ore 22.56

 

Ade si accomodò meglio sul suo trono, gustandosi il suo drink dalla dubbia provenienza, o almeno stava facendo quello finché Pena e Panico non proruppero nella sua stanza, uno in pena e l’altro impanicato: “Signore, signore Ade, signore.” Gridarono, mettendosi a correre in cerchio, strillando. I suoi capelli, solitamente rappresentati da una fiamma azzurrina, divennero di un vivace rosso fuoco: “Cribbio, la smettete di correre come donnine avanti e indietro!?” i due si immobilizzarono nell’esatta posizione che il loro corpo aveva preso al momento del grido.

Ade ripristinò la calma: “Dunque. Cosa c’è?”

Pena rispose, con un inchino: “Ci sono intrusi, e sono tanti.”

“Numerosi.” Sottolineò Panico: “E vestiti di nero.”

A quel punto il dio dell’Oltretomba si bloccò: “Aha… allora è proprio come ha detto l’amico inviato di Sua Maestà.” Disse, con una voce affabile e morbida come il velluto, circondando poi un Léon immobile e apatico fermo in un angolo con il suo braccio freddo come la morte: “Vedrai Léonuccio caro, come ci divertiremo a farli fuori uno” e diede un calcio a Pena, facendolo rotolare giù dalle scale: “per uno” finì con il condannare anche l’altro piccolo demone a capitombolare fino all’Infernodromo.  Ade, deliziato dal suo hobby nato sul momento, emise una lieve risatina: “Oh vedrai Léonuccio caro, alla fine di questa faccenda saremo tutti molto, molto, molto più sollevati.”

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*ninjapoof*

avete visto? non vi ho abbandonato :D

*cri cri*

aehm... lo so, è un capitolo balordo, ma poi odio mischiare le cose, e rischiavo di fare un capitolo lungo quindici pagine ç__ç

cercate di apprezzare questo capitolo nonostante sia molto balordo e, per favore, non linciatemi per i miei tempi di aggiornamento.

con questo voglio anche ringraziare sesshoyue (l'ho scritto bene?) per aver dimostrato un minimo interesse per la mia fic *-*

buona vita a tutti e tante care cose.

Aghathé Tykhè

*ninjapoof*

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Capitolo 10
*** Cadute, Trappole e Heartless ***


L’Heartless della discordia.

 

Caverna nascosta all’ingresso dell’oltretomba, ore 23.30.

 

“Non abbiamo un piano d’attacco.” Sentenziò Larxene, con aria annoiata, appoggiandosi al muro roccioso della caverna. Già il fatto di non poter usare il proprio potere a causa della maledizione dell’oltretomba le dava fastidio, inoltre c’era una puzza terrificante di cadavere. In quel momento stava rimpiangendo Lexaeus, ancora svenuto e adagiato su un materasso del loro covo, che non aveva preso parte alla spedizione.

“Il fatto di non averlo non ci impedisce di organizzarlo adesso.” Disse Xemnas: “D’altronde non potevamo certo stabilire granché senza sondare il campo di battaglia.” Valutò, cercando di delineare una mappa approssimativa dei cunicoli sotterranei.

“Mi pare che Ade abbia fatto scavare altre gallerie, perché prima ce n’erano tre principali e poche di collegamento.” Disse Demyx: “E ora ce ne sono almeno sette principali e un labirinto di cunicoli e trappole.”

Quello era il mondo in cui Demyx era il più esperto, tanti erano stati i giri di perlustrazione ai quali Il Superiore l’aveva costretto prima di fargli sfidare il cerbero. Anche se il paesaggio era cambiato di molto, riusciva quanto meno a orientarsi per uscire.

“E come se non bastasse non possiamo usare i nostri poteri per la maledizione dell’oltretomba.” Aggiunse. Il medaglione, però ce l’aveva Sora.

Saïx rifletté: avevano un membro in meno, dato che Lexaeus era stato esentato, per quella volta, dalla battaglia, e di sicuro Kairi e Naminé non potevano essere valutate come combattenti valide. Kairi, inoltre, serviva unicamente allo scopo di aprire la serratura che, tra l’altro, situata in un luogo ignoto e probabilmente molto protetto.

Notò che Axel lo stava osservando, ma lo ignorò, simulando tutta la sua finta rabbia dietro la sua quotidiana maschera fredda. Non poteva certo andare ancora in bersek per quel membro in prova.

“Penso che sia utile dividerci per cercare la serratura.” Disse: “Almeno così riusciremmo a farci un’idea del posto.”

Riku annuì: “Bene, io prendo Kairi e Naminé.”

“Xigbar, Vexen, Saïx, Axel, Jack e Cloud verranno con te.” Decise Xemnas, stando ovviamente attento a non riunire i traditori, e soprattutto costringendo Marluxia e Larxene a stare nel proprio gruppo proprio per essere controllati.

Marluxia, più del fatto di essere stato messo ‘sotto controllo’, sembrava essere irritato dal fatto di essere allontanato da Naminé, ancora sua preda per la sua vendetta.

Ma quello che voleva da lei, ovviamente, non era solo l’umiliazione di essere stata sconfitta davanti a tutti, no, pretendeva anche di avere il ricordo del proprio nome da umano, perché, ora che l’aveva avuto praticamente sotto al naso, smaniava per riaverlo.

“Bene.” Disse Riku: “Noi andiamo di qua.” E detto ciò, si inoltrò per di un cunicolo in discesa, stando attento a scansarsi dai puntini bianchi delle anime dei morti.

“Bene” ripeté Xemnas, guardando Xaldin, Zexion, Demyx, Luxord, Larxene e Marluxia uno per uno: “Allora noi prenderemo il cunicolo di sinistra.”

 

Stanza di Ade, ore 23.30.

 

Si insinuò con passo felino nella stanza, producendo solo quei rumori non rilevabili dall’orecchio umano, rumori che però furono percepiti benissimo dagli Heartless di guardia, che si riscossero dal loro torpore e attaccarono.

Inutile dire che dopo tre balzi e due shuriken ben piazzati, le due creature si dissolsero in una nuvoletta di fumo.

Non era lì di certo per battersi con avversari di così infimo livello, aveva ben più alti obiettivi. Come per esempio neutralizzare la serratura per evitare che interferisse con il suo piano. Certo che, però, ce ne aveva messo di tempo prima di giungere in quella stanza, dalla quale provenivano di sicuro le vibrazioni magiche causate dal sigillo appena attivato.

Non appena mosse il primo passo verso il centro della stanza, nella sua visuale apparve l’ultima persona che aveva previsto di incontrare. “Léon…” mormorò, mentre l’uomo sfoderava la propria gunblade per attaccare. Schivò il colpo, incapace di ribattere all’offesa e, prima che potesse finire col perdere la propria vita, si smaterializzò con un balzo e una piroetta e sparì dalla visuale del suo amico che non la riconosceva più.

 

Cunicolo dalla collocazione ignota, ore 23.40

 

“Certo che qui fa freddo, eh?” disse Jack, strofinandosi le braccia per crearsi un po’ di confortante calore che, però, a causa della fantomatica maledizione, si spense velocemente. Cloud annuì, con un’aria grave che non lasciava prevedere nulla di buono.

“E ovviamente Xemnas si è preso l’unico membro con qualche ricordo sul luogo.” Si lamentò Vexen, mentre Xigbar, avvicinandosi a Naminé, le disse: “Avrai capito con quali manovre Marluxia deciderà di attaccarti, vero dolcezza?” lei, piccata per essere stata provocata da Xigbar, tirò una steccata ai suoi ricordi, facendogli da promemoria sul fatto che avrebbe tranquillamente potuto attaccare anche lui. Il numero II, sorpreso, si ritrasse da lei, tornando indietro di almeno tre passi.

Poi, non serviva ricordarglielo, Naminé ormai aveva messo in conto il fatto di poter essere attaccata dall’ormai numero XI in prova e aveva già preparato la propria difesa. Aveva ovviamente capito che Marluxia non mirava solo alla vendetta, ma anche ai propri ricordi, e avrebbe di sicuro provato ad estorcerli con la forza.

Solo in quel momento Naminé si rese conto del guaio in cui si era cacciata: Il Leggiadro Sicario avrebbe di sicuro provato per tutta la durata della sua vita da nessuno a farla fuori o a umiliarla e, dato che non era proprio un fenomeno in ottimismo, aveva l’impressione che quell’agonia sarebbe durata in eterno.

Certo che fare la cattiva era proprio faticoso.

Lo aveva messo nel suo stesso gruppo per tenerlo sotto controllo, lo sapeva. Axel ormai aveva capito che Xemnas lo avrebbe fatto marcare stretto dal suo secondo in comando. Infatti Saïx, dietro a tutti, non faceva altro che scoccare occhiate gelide e rancorose al suo sottoposto dai capelli rossi. Vexen, intanto, stava cercando di trovare dei punti di riferimento per tornare indietro – quel ragazzino sprovveduto sta pensando solo all’andata! – ma in quel fottuto cunicolo tutto era uguale a sé stesso, anzi, avrebbe potuto scommettere sul fatto che quelle anime stessero creando una falsa luce per fuorviare il suo senso dell’orientamento.

A causa di questa operazione di analisi dei luoghi era rimasto parecchio indietro rispetto agli altri, tanto che non riusciva a vedere nemmeno la capigliatura assurda di Axel. Fantastico.

All’improvviso, una risatina alquanto fuori luogo interruppe i suoi calcoli e i suoi lugubri pensieri a riguardo delle anime. Una risatina.

Sentendo di nuovo quel suono inquietante, il numero IV si girò di scatto, lanciando un blizzard per cercare di congelare un eventuale nemico, ma, con quel goffo tentativo di sfida, la risatina si ripeté ancora una volta, accompagnata, però, da un suono sibilato: “Lentooosisisi.

Senza pensarci troppo evocò “Orgoglio Gelido” e si mise in posizione di attacco, anche se non si mosse oltre. Aspettava che il suo avversario venisse fuori da sé, in modo da poter studiare i suoi movimenti e partire al contrattacco.

Le risa si fecero più forti e scroscianti, e il numero IV sentì un tonfo sordo dietro di sé. Girandosi, sempre più fintamente nervoso, scorse un ragazzino che, uscito alla scoperto, cercava di tornare dentro il proprio nascondiglio, ma fu più rapido di lui e gli si avvinghiò alla caviglia, inchiodandolo al suolo. Lui, dopo aver spostato dagli occhi i riccioli biondi che gli cadevano fino alle spalle, e quindi dopo averlo visto, cominciò a starnazzare: “Oh, no, e ora mi prendono, stupida Fanny che non fai altro che fare scherzi idioti, oh, no, ora mi prendono e Ade mi farà mangiare dal Fido a tre teste, il Fido a tre teste è cattivo perché ha i denti scuri e sanguinolenti e gli occhi iniettati, oh, no, ora mi prendono e-”

“Vuoi tacere!?” tuonò Vexen, dopo essersi avvicinato. “Oh, lo sapevo che mi avrebbero preso e io allora cosa faccio? Cosa faccio?” Il Freddo Accademico cercò qualche battuta antipatica per far zittire quel dannato moccioso, ma prima che potesse aprir bocca quello, con un ghigno, gli tirò un calcio in mezzo alle gambe e, ridendo, filò via in un canale.

Si trattenne dall’imprecare e inseguì quella maledizione almeno per ricambiare il gentile favore.

“Preso!” gridò, dopo averlo acciuffato per i capelli, dopo una corsa lunga quasi mezz’ora che era finita con il moccioso, se possibile ancora pieno di energia, che era tornato indietro per sfotterlo adeguatamente riguardo la sua fiacchezza, ma lui gli si era avventato contro immobilizzandogli braccia e piedi. “Sarò un po’ vecchio, ma mica tanto.” Mugugnò, più a sé stesso che a quella peste che si dimenava ancora. In quel momento pensò che quella ridicola quanto infruttuosa lotta fosse finita. Beato lui.

“Lasciami, lasciami!” il ragazzino, nel vano tentativo di liberarsi, rotolò pericolosamente vicino ad un dirupo e cadde quasi giù.

Accaddero poi le seguenti cose: Vexen, che era freddo e accademico ma che non voleva marmocchi sulla “coscienza” si sbilanciò per riacchiapparlo, ma quello, invece di farsi prendere, gli morse un polpaccio – dannato moccioso! – e si buttò giù. Ovviamente fu così gentile da portare giù anche lui.

Nel momento in cui stava precipitando verso il molto basso avrebbe potuto pensare mille cose, ma gli uscì naturale epilogare con un: “Che morte ridicola.”

 

Altro cunicolo dalla collocazione ignota, ore 00.45.

 

Gli occhi di Xemnas lampeggiavano in tutto il loro austero arancione ora verso Larxene, ora verso Marluxia, osservando con un’attenzione particolare i cenni che si facevano durante la marcia.

Stavano camminando da circa un’ora e mezza, e il paesaggio non era mai cambiato: sempre e solo un cunicolo buio e appestato di maledizione e anime anelanti alla pace. Ne stava giusto scansando una con la mano quando Zexion gli si avvicinò: “Superiore, avverto uno strano odore.” Annunciò.

“Oscurità?” chiese lui fermandosi. Il numero VI scosse la testa: “No, è qualcosa di indefinito, come un ammassarsi di tonalità differenti di odori.” Disse: “E poi c’è odore di morte.”

Xemnas rifletté: un luogo dove potevano trovarsi molti odori differenti tra loro e anche quello di morte. Beh, poteva essere un campo di battaglia o, meglio, una prigione.

Una prigione pareva più probabile, e inoltre in quel tempo, chi era che non avesse un luogo adeguato in cui  carcerare i traditori e gli individui scomodi?

“Se non sbaglio ora dovremmo prendere quel cunicolo laggiù.” Disse Demyx, indicando il corridoio più stretto, buio e soffocante. “Secondo me sbagli.” Ribatté acidamente Larxene, decisamente contrariata dal fatto di doversi muovere a gattoni in quel dannato vicolo.

Il numero IX dissentì: “No, guarda, lassù c’è la torre di Ade e questo punta dritto verso di quella.” E indicò una specie di torrione di nuova forgia, perché di sicuro non se lo ricordava, sopra il quale spiccava una torcia dall’instabile fuoco blu. Larxene, per quanto riluttante, fu costretta ad inginocchiarsi e gattonare in fila con gli altri colleghi.

“Certo che questa puzza fa a concorrenza con una taverna a Port Royal” brontolò Luxord: “Ed è tutto dire.”

Demyx era il primo della coda inchinata e procedeva tastando il terreno e tirando in avanti i sassi troppo grossi che le sue ginocchia incontravano con una fitta di protesta, anche se poi, rincontrandoli, era costretto a rilanciarli qualche passo più in là. Anche se era lievemente faticoso, per Demyx era un metodo per controllare il tempo che stavano impiegando ad attraversare quello stretto passaggio. In quel momento erano entrati da dodici lanci.

Probabilmente quello più in difficoltà risultava Xaldin che, con le spalle larghe e massicce che si ritrovava, era costretto talvolta a demolire un piccolo pezzo di muro. Zexion, dietro di lui, gli ordinò di smetterla perché gli stava facendo franare il basso soffitto sulla testa.

Quattordici lanci.

Ad un certo punto, i sette sentirono un rumore simile ad un inquietante crack che lasciava presagire poco e niente di buono. “Dimmi che non è quello che penso io.” Mormorò Marluxia, allarmato. “A cosa stai pensando?” gli chiese Larxene, davanti a lui.

“Ad una trappola.”

Ma Il Leggiadro Sicario non fece in tempo a finire la frase che il terreno sotto di loro franò rovinosamente, e l’unica cosa chiara poi fu semplicemente qualcosa gridata da Larxene a proposito dell’imbecillità di Demyx.

 

Buca nei pressi del fiume di morti, ore 00.27

 

“Ehi, guardate, è vivo!”

Con una protesta mugugnata, Vexen si alzò a sedere, scombussolato. La prima cosa che mise a fuoco fu una ragazzina dai capelli rossi e così ricci da sembrare una nuvola sanguinolenta, gli occhi verdi e una lieve coroncina pericolosamente in bilico sulla matassa di riccioli. “Ciao.” Disse lei, porgendogli un bussolotto pieno d’acqua. La respinse, diffidente, e lei ne parve offesa.

“Fanny lascialo stare, sarà stanco e indebolito, dato che Rial lo ha strapazzato per bene!” disse una voce di donna, querula eppure gentile, tipica delle nonnine tutte trine, e nella sua visuale affaticata apparve una donna non troppo vecchia, dai lineamenti duri e severi e corpo robusto, stranamente muscoloso.

“Sei un emissario di Ade?” grugnì, con la sua voce querula. Vexen assottigliò gli occhi, sospettoso. Nessuno gli garantiva che quella non fosse un Heartless. Si alzò, sulla difensiva, ma ricadde subito a terra quando vide la propria caviglia incespicare in una catena.

“Non mi hai ancora risposto!” esclamò lei, con un tono più minaccioso, esibendo un gladio da arena contro la sua gola. “No.” Rispose lui, secco, evocando Orgoglio Gelido e tranciando la sua costrizione con una delle punte.

La donna fece per attaccarlo con la piccola spada, ma trovò la resistenza dello scudo del Freddo Accademico  che, non volendo altre rogne, la spinse per terra con la forza di entrambe le braccia e si defilò al di fuori della piccola stanza in cui era stato riposto.

Si ritrovò in un’enorme arena sotterranea, tanto che cominciò a chiedersi, a ragione, dove fosse finito con quella caduta assurda. In quel grande spazio c’era gente di tutti i tipi e tutte le età che si allenava a combattere, a fare magie e a schivare i colpi.

C’era anche il ragazzino pestifero che lo aveva trascinato lì, e si stava dando da fare con un bastone lungo il doppio di lui contro un gigante dalla pelle bronzea.

Usò il bastone per percuotere il suo avversario sulla spalla, ma ovviamente il colpo non riuscì nemmeno a smussarne l’equilibrio, tanto che quello prese la pertica per un’estremità e la lanciò lontano, con tanto di ragazzino appeso, che volò dritto dritto dentro una fossa piena di fango.

Il gigante si guardò intorno, spaesato, totalmente ignaro di aver fracassato un suo avversario, e poi puntò gli occhi su di lui. Vexen ebbe uno spasmo di freddo che gli impose di correre a gambe levate, ma fu costretto ad avvicinarglisi, pronto alla battaglia, quando quello puntò un tozzo dito contro di lui, muggendo: “Tu combatti!”

La donna di prima gli si avvicinò in fretta e furia con fare concitato, balbettando: “Acconsenti prima che ti faccia a fettine.”

Oh, fantastico! Mai che si potesse rimanere più di due secondi tranquillo. Lui era uno scienziato, diamine!, non poteva certo stare a correre qua e là come un cretino ad aspettare che qualcun altro pensasse a porre una fine ai suoi giorni come tanto piaceva ai numeri XI e XII! La scienza era esatta per obbligo, e come tale richiedeva calma e silenzio.

“No.” Ribatté, secco, e fece per andarsene quando una mano della portata di un bue lo sbatté tre metri più avanti.

“TU COMBATTI!” muggì quello, brandendo una mazza rubata ad un altro combattente. Tutti i presenti si girarono verso di lui, ansiosi di vedere come avrebbe risposto a quella aperta provocazione. Si girò, con fare scocciato, e gelò il suo probabile avversario con uno sguardo freddo. “Io dico di no.” Sibilò, girando i tacchi e allontanandosi a grandi passi.

La donna che lo aveva accolto al risveglio si avvicinò, ma il gigante la superò e si abbatté sul Freddo Accademico, pronto allo scontro e sicuro che quell’uomo mingherlino avrebbe risposto all’attacco.

Vexen credeva che la sua risoluta freddezza avrebbe spento i bollenti spiriti di quell’ammasso di muscoli senza cervello, invece si ritrovò schiacciato tra il suo scudo oppresso dal quel gigantesco peso e il pavimento di pietra dell’arena. Un coro di spavento si levò dagli altri atleti, che si mobilitarono a dividerli, più che altro per evitare un omicidio.

Un po’ per riflesso, un po’ per istinto di sopravvivenza, Vexen fece leva sui reni per alzare il busto e infilargli un pezzo di ghiaccio tra le costole.

Quello, trafitto dal dolore, si scostò rotolando e cominciò ad agonizzare con mugolii e muggiti, tipici del suo cervello di gallina.

Si rialzò un po’ a fatica, esausto, e fece sparire lo scudo, per allontanarsi, un po’ zoppicante, in un angolo dell’arena al riparo dagli sguardi di quel pubblico fastidioso.

 

Gallerie della discordia, ore 00.30.

 

“Dov’è il numero IV?” chiese Saïx, dopo qualche minuto che Vexen fu sparito tra i corridoi di quel labirintico Aldilà. Si girarono tutti, compresi Cloud e Jack. “Beh…” disse Axel: “Se è morto non è un proble-” ma si zittì nell’essere squadrato con odio da tutti i suoi compagni.

“Se cominciamo a perdere membri alla prima missione non possiamo certo pensare di sopravvivere!” esclamò Xigbar, sbuffando. Riku annuì, deciso: “Esatto, non possiamo assolutamente permetterci certi lussi.”

“Allora che facciamo?” chiese Naminé, guardandosi intorno: “Possiamo dividerci per cercarlo o…” provò a proporre, anche se fu immediatamente interrotta da Saïx: “Andremo io e il numero II.” Decise. “Nah, ci va Axel al posto mio.” Borbottò Xigbar, sventolando una mano per sviare l’oneroso compito. Saïx mantenne un’espressione neutra e, girando i tacchi, si avventurò nel buio del percorso già fatto, illuminato solamente dalla cupa luce delle disperate anime dei morti.

Axel, dopo un attimo di imbabolamento, si riscosse e seguì la chioma azzurrina del suo superiore.

Camminarono per ancora un’ora, brancolando nel buio, almeno finché non si ritrovarono davanti ad un bivio a più tunnel. Ce n’erano dodici, e nessuno di loro sembrava particolarmente deciso a svoltare in uno di essi.

“Prendiamo quello dell’estrema destra!” esclamò Kairi, dopo qualche minuto di smarrito silenzio, ma fu subito smentita da Xigbar: “Scusami dolcezza, ma, venendo da destra, rischieremmo di ritrovarci al punto di partenza.”

“Ma non è vero!” esclamò lei: “Ci potrebbe essere una svolta!”

“Tacete.” Disse Riku, secco: “Quello lì.” E indicò il terzo tunnel da sinistra.

“Percepisco una strana aura…” borbottò Cloud, mettendo mano alla sua spada, ma, stranamente, in quel momento fu Naminé a contraddirlo, e anche abbastanza maleducatamente: “Oh, beh, per uno che è stato in prigione due anni anche uno spiffero di vento è una strana aura.”

Ma nessuno si accorse della risposta della piccola bionda, perché Kairi, Riku e Xigbar erano troppo impegnati a prendersi ad improperi e minacce riguardo la strada da prendere. Cloud, offeso, minacciò il Nessuno dall’abito bianco con la sua arma: “Ripetilo se hai il coraggio!” ringhiò a bassa voce.

Jack rimaneva più sconvolto ogni minuto che passava tra insulti e risposte acide, sempre più crudeli nei confronti dei compagni. Cosa stava succedendo? Anche lui avvertiva quella strana aura che il suo amico aveva nominato poco prima di cadere nella ragnatela.

Ragnatela?

Istintivamente, il pirata guardò verso l’alto, e vide un enorme Heartless a forma di ragno ergersi sopra i suoi compagni, tessendo i fili che scorrevano tra le braccia di Riku, Kairi, Xigbar, Cloud e Naminé, tenendoli stretti, avvolgendoli, mangiandoli. Possibile che non li vedessero?

Vide l’Heartless posare i suoi occhi gialli e misteriosi su di lui, cominciando a tessere una corda di ragnatela anche per lui. “Oh, oh…” mormorò, cercando di sfoderare la sua cara spada.

Quella dannata! Si era incastrata nel fodero! Tirò con tutte le forze che aveva, ma quella non ne voleva sapere di venirne fuori. Cambiò mano, slegò la custodia dalla cintura e la infisse per terra, per poi far leva sui piedi e combattere la maledetta. “Porc’” imprecò, quando il fodero scattò in avanti verso di lui a causa della troppa forza impiegata, facendolo rotolare tra i piedi di Xigbar.

Il numero II lo guardò con il suo unico, inquietante occhio, come a cercare un segnale della sua sanità mentale, ma poi continuò a discutere con Riku a riguardo dalle direzioni.

L’Heartless aveva artigliato il braccio del Capitano, che cercò di opporre qualche resistenza. Cominciò a correre con la sua tipica corsa zampettata, sperando che i movimenti bruschi rompessero la ragnatela, con l’unico risultato di arrotolarsi con i fili dei compagni.

Gli sembrò di essere mangiato da quella enorme creatura, quando sentì uno sparo.

Due spari.

Una serie infinita di spari.

Xigbar, dimentico dei litigi che aveva intrapreso, aveva sfoderato le sue pistole e stava crivellando di colpi quel subdolo avversario, tanto che, dopo qualche lungo secondo, l’Heartless crollò a terra con un tonfo da scuotere tutta la galleria, dissolvendosi dopo qualche secondo.

Caddero tutti a terra.

“Che mal di testa…” mormorò Kairi.

Il numero II li squadrò con un’espressione stranamente seria, totalmente incoerente al suo carattere sbruffone e ironico, per poi avviarsi nel corridoio centrale.

Gli altri si affrettarono a seguirlo, turbati.

Fu Naminé a rompere il silenzio: “Xigbar, cosa è successo?” il numero II ci mise un po’ per rispondere, come se qualcuno lo avesse costretto a parlare. Il fatto era che, per un momento, vedendo l’unico Heartless in grado di far litigare le persone, si era illuso di poter provare un’altra volta la rabbia, come se quell’essere potesse restituirgli per un tempo limitato una delle emozioni perdute. Inutile dire che, anche avvolto nelle spire della ragnatela, continuava a essere immerso nel vuoto più totale. Si sarebbe potuto definire deluso.

“Quell’Heartless è in grado di instillare zizzania anche tra i più cari amici.” Disse, con voce piatta. “Pensavo di ingannarlo finché se ne stava sul soffitto e poi ucciderlo, come ho fatto.”

“Ma…” provò a dire Naminé, che si era ritrovata stranamente coinvolta in quel battibecco nonostante fosse anche lei un Nessuno, cercando spiegazioni, ma Xigbar la interruppe: “Tu hai un cuore posticcio, che è stato comunque influenzato dalla ragnatela.”

Kairi, con le lacrime agli occhi per aver insultato Riku, il suo più caro amico, quello che si stava facendo in quattro per aiutare tutti, quello che anche con un braccio rotto riusciva a rimanere energico e positivo, si tratteneva dal piangere, cercando di scusarsi. Riku le passò un braccio sulle spalle, cercando di consolarla. “Anche tu sembravi molto preso dal litigio.” Affermò, dopo averle dato qualche pacca sulla spalla.

Xigbar assunse un’espressione amara ma non disse nulla.

 

Trappola dei ribelli nell’oltretomba, ore 01.09.

 

“Bene, bene, bene.” Ridacchiò Ade, appoggiandosi al muro di fronte a quella cella tanto affollata, squadrando uno ad uno i nuovi arrivati. “Abbiamo… qualcuno che è tornato a farci visita.” Mormorò, squadrando Demyx da cima a fondo: “E qualche allegro compare!” esclamò, battendo le sue fredde mani violacee, come un bambino felice.

Poi posò gli occhi su Xemnas, con aria fintamente lusingata: “Oho, abbiamo addirittura ricevuto la visita dal capo dell’Organizzazione XIII! A cosa devo questo onore?”

Il Superiore, che era stato legato più stretto e più degli altri, alzò il viso e guardò il suo aguzzino con aria di sfida, ringhiando qualcosa di indefinito.

Ade, dopo quell’antipatico discorso di benvenuto, si affacciò attraverso le sbarre della cella: “Scommetto che vi hanno chiamato quel gruppo di ribelli da strapazzo, vero?” sussurrò, suadente, come se stesse parlando di ben più amati argomenti.

I Nessuno, stupiti, rimasero in silenzio. Erano totalmente ignari di quello che succedeva in quel mondo, come potevano avere contatti con un gruppo di ribelli che, lo ammettevano, avrebbe fatto loro molto comodo ma che a conti fatti non conoscevano?

“Rispondete.” Mormorò.

“Tzè.” Esclamò Larxene, sprezzante nonostante la situazione tutt’altro che vantaggiosa. Il dio degli inferi si girò di scatto verso di lei, supponendo che sapesse qualcosa ma che non volesse rivelarlo.

Un ghigno si dipinse sul suo volto violaceo: “Tu sai qualcosa, non è vero?”

Il numero XII ricambiò il suo sguardo con un sorrisino dolce e minaccioso: “Può darsi.”

Zexion, allarmato, tirò una gomitata alla Ninfa Selvaggia, intimandole prudenza. Lei sembrò ignorarlo.

“Oh, il tuo amichetto sembra essere spaventato dalle tue parole…” valutò Ade.

Xaldin, capendo il gioco di Larxene, decise di recitare la sua parte: “Non lo dire.” Larxene sbuffò, ammiccando a Luxord di fare la stessa cosa: “E cosa cambia?” esclamò, fingendo davvero bene un moto di disperazione: “Oramai è tutto perduto!” e fece, nascondendo il viso tra le mani, fingendo di nascondere le lacrime. Xemnas era allibito. Non poteva essere un tradimento, no? Gettò uno sguardo a Marluxia, ancora semisvenuto e appoggiato alla spalla del Feroce Lanciere. Aveva combattuto strenuamente, appena finiti in prigione, e Ade era stato costretto a colpirlo sulla nuca con una roccia appuntita. Non ricordava di aver provato – se sempre così si può dire – così tanto dolore fisico per un’altra persona.

Si chiese cosa avrebbe potuto dire in quel momento il numero XI, vedendo la sua collega più fidata comportarsi in un così strano modo. Forse avrebbe preso le redini della situazione.

Merda. Era lui il capo, non poteva permettersi certi pensieri!

Fortunatamente Ade non conosceva i Nessuno sul serio, perché chiese a Larxene se volesse confessarle tutto quanto, quasi con dolcezza, e lei annuì, nascondendo un ghigno di soddisfazione.

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Era un venerdì buio e tempestoso e LarcheeX decise che era ora di aggiornare Penumbra.

beh, capitolo nuovo, non ho molte spiegazioni da fare... mmhh... spero vi piaccia e a presto! ^^

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Capitolo 11
*** Movimenti del sottosuolo ***


Movimenti del sottosuolo.

Cunicolo senza orientamento logico, ore 00.35.

 

I passi del numero VII e del numero VIII erano le uniche cose udibili a distanza di chilometri, e rimbombavano minacciosi ribalzando sulle contorte sculture di pietra della galleria.

Saïx non sapeva da dove cominciare: non aveva nemmeno percepito l’allontanarsi del numero IV, semplicemente all’improvviso si era accorto della sua sparizione, e non riusciva nemmeno a capire dopo quanto tempo dall’effettivo allontanamento di Vexen.

Quanto avevano camminato prima di capire che mancava un uomo alla loro truppa?

Forse, acuendo lo sguardo, avrebbero potuto scorgere qualcosa che indicasse una lotta, o un combattimento, sempre calcolando l’ipotesi che fosse stato rapito o trascinato via e che non se ne fosse andato di sua spontanea iniziativa. E poi, perché avrebbe dovuto farlo? Vexen non era certo il tipo da negoziare con il nemico senza un motivo. Forse il suddetto nemico aveva avanzato una proposta che il numero IV non aveva potuto rifiutare, forse gli avevano addirittura offerto il cuore.

Ma più ci ragionava, più l’ipotesi del rapimento gli sembrava plausibile. Vexen non era un bravo combattente, ed era assai più probabile che, cercando di contrastare la maledizione che impediva a loro di usare la magia, si fosse gettato per orgoglio contro un nemico.

Però, se ci fosse stato un qualsiasi pericolo, era molto difficile che il resto del gruppo non lo avesse né udito né percepito, nemmeno lui stesso, che aveva un udito sopraffino, aveva sentito nulla.

Probabilmente Saïx avrebbe continuato all’infinito il suo ragionamento fino ad un’intuizione che avrebbe potuto soddisfarlo, se Axel non avesse esclamato, tutt’un tratto: “Saïx!”

Il diretto interessato si girò verso il suo sottoposto in un falso atteggiamento di fastidio, ringhiando: “Per te sono il numero VII.” Ma, appena pronunciate queste parole taglienti, si ritrovò circondato da un nugolo di soldati che minacciavano lui e il suo compagno con delle lunghe lance.

“Muovete un passo e vi trafiggiamo.” Era stata una donna a parlare, anche se, come Saïx poté notare, donna non lo sembrava molto: aveva i capelli lunghi fino alle orecchie e un corpo stranamente tozzo e muscoloso, lucido di sudore e guizzante come quello di un combattente esperto, vestito con una tunica di tela grezza dall’aria pruriginosa. Tutto della sua espressione, dagli zigomi alti tirati con aria truce sugli occhi insieme con la fronte corrugata alla smorfia distorta che le caratterizzava la faccia, trasudava il più genuino e completo disgusto.

“Demeter, sono in due” le fece notare un soldato, abbassando lievemente la propria arma: “non possono far nulla contro un gruppo di venti persone.” Ma fu redarguito dalla voce aspra di Demeter: “Non abbassare la lancia!”

Squadrò Axel e Saïx per qualche secondo, dopodiché li costrinse a muoversi verso una direzione solo a lei nota.

Axel non sapeva cosa fare: era certo che Saïx stesse per escogitare qualcosa. Aveva corrugato le sopracciglia in un’espressione concentrata, tipica di quando rifletteva. Dopo qualche secondo si accorse che stava cercando di andare in bersek, ma evidentemente la maledizione incombeva anche su di lui, tanto che, dopo un po’, desistette e si lasciò guidare come lui fino al quello che sarebbe potuto essere il covo del gruppo.

La galleria scese di profondità, facendosi anche più stretta e bassa, tanto che il soffitto sfiorava le loro teste e i soldati furono costretti ad camminare con le lunghe lance in orizzontale.

Sembravano un gruppo di disperati: le loro armature molto diverse da un uomo all’altro, le loro capigliature scomposte e spettinate, anche il loro incedere lento e cauto, li identificavano come un gruppo di ribelli. Probabilmente anche Saïx se n’era accorto. Se fossero stati dell’armata di Ade avrebbero avuto tutti la stessa uniforme.

“Siete ribelli?” chiese, forse un po’ ingenuamente, ma non ebbe modo di pentirsene, perché, non fu ascoltato: erano giunti ad una porta di pietra massiccia, con una piccola feritoia orizzontale.

“Aprite.” Ordinò Demeter, e nella feritoia apparvero due bellissimi occhi viola: “Parola d’ordine.” Decretò una voce fredda, e, quando la chiave per entrare fu mormorata, entrarono.

La proprietaria della voce e degli occhi non si fece vedere, poiché, oltrepassata la porta, nessuno c’era ad accoglierli.

Si ritrovarono in un corridoio buio, illuminato solo da una fiammella che incespicava in ogni alito di vento e proiettava ombre cupe sul muro. I due prigionieri si aspettavano di entrare finalmente nel covo dei loro aguzzini, ma, prima di arrivarci, incontrarono altre sei porte. Erano sempre gli occhi viola e la voce fredda ad accoglierli, anche se non riuscirono mai a capire chi fosse ad aprire loro quelle così pesanti lastre di pietra.

Dopo di ciò, furono condotti per un piccolo corridoio adiacente ad un enorme muro e, dopo aver intravisto un pezzo di quella che doveva essere un’enorme arena da gladiatori, furono sbattuti in prigione.

La cosa che stupì Axel fu la totale impassibilità e pacatezza di Saïx. Lui non si sarebbe fatto mettere in gabbia così facilmente, avrebbe potuto benissimo fare qualcosa di diverso, come per esempio tirar fuori la claymore. Alla fine, anche senza il proprio potere, rimaneva un combattente micidiale.

Però… non lo aveva fatto. Come lui non aveva usato i chakram. Non si poteva certo dare una spiegazione plausibile, si era detto che li avrebbe tirati fuori quando Saïx avrebbe deciso di attaccare.

Possibile che il numero VII avesse un altro piano?

Era rimasta solo Demeter con loro: “Non avete opposto resistenza.” Asserì, con una voce totalmente diversa da quella furiosamente rauca che aveva usato prima, che anzi lasciava intendere una buona dose di comprensione e affetto. Sembrava la voce di una nonna che parla ai propri nipoti.

Saïx la squadrò con scarso interesse: “No.”

“E non avete emesso un fiato di protesta.”

“No.”

Evidentemente per la donna qualcosa non quadrava. “Allora siete qui per un motivo preciso?”

“Esatto.”

Ma dove voleva andare a parare?

“E cosa?”

Ma Saïx non fece in tempo a emettere la propria risposta che la porta di legno della piccola prigione si aprì di scatto. “Siete due idioti!”

 

Stanza di Ade, ore 01.18.

 

Larxene fu condotta in una stanza, se possibile, ancora più tetra e fredda delle altre che aveva attraversato, con un grande tavolo di pietra grezza al centro e un trono scolpito in uno schienale alto e liscio. Ade si sedette sul suo posto d’onore, facendo accomodare lei su una sedia.

“Ebbene?” disse, squadrandola con rinnovata diffidenza.

Nel tempo che ci mise ad attraversare il Palazzo dell’Oltretomba fino a quella stanza, Larxene aveva inventato tante di quelle scuse e storie da poter ingannare alla grande il dio dei morti, quindi la sua espressione non sfociò nell’impreparazione quando fu il momento di parlare. “Siamo stati chiamati da un gruppo di ribelli che si è insediato sotto l’Infernodromo. Ci hanno chiesto di sradicare il tuo potere basato sugli Heartless.”

Lui ne sembrò quasi convinto: “Interessante.” Disse: “Continua.”

“Non abbiamo fatto in tempo a congiungerci con i nostri alleati che ci avete catturato.” Non fu degnata di molta attenzione, perché Ade sembrava attratto da qualcosa acquietato in un angolo buio, tanto che si diresse da quel lato della stanza e ne trasse fuori un ragazzo dai capelli scuri.

Larxene ebbe l’impressione di averlo già visto da qualche parte, e la cicatrice che gli passava sul naso sembrava scolpita in qualche parte della sua memoria. “Léon.” Chiamò Ade, con voce suadente: “Che ne dici, la nostra graziosa traditrice mente o dice la verità?”

Léon sembrava un Nessuno. Apatico, lento da morire a pensare e parlare, freddo e privo di volontà. Larxene si chiese se gli avessero asportato il cuore per renderlo obbediente, ma non poté interrogarsi oltre sul tristo destino di Léon, perché la sentenza di quest’ultimo la colpì in pieno viso: “Sta mentendo, è chiaro. Non ci sono stati contatti tra loro e i ribelli, e i ribelli non si trovano sotto l’Infernodromo.”

Il numero XII rimase basita, ma si riebbe quasi subito, utilizzando il proprio carattere altezzoso e arrogante come punto di forza: “Oh, certo, peccato che tu ne sappia meno di me.” Ringhiò, estraendo un kunai. Ade sembrava divertito da tutta quella finta rabbia, e si fece di nuovo vicino a lei. Le prese il mento tra pollice e indice e la costrinse a guardarlo nei suoi occhi di pietra: “Allora di sicuro ci mostrerai la via.” Disse, in tono affabile ma che minacciava chissà quale terribile dolore in caso che qualcuno avesse osato smentire. Larxene si divincolò e grugnì il proprio assenso.

Era schifata: sia perché le dita di Ade erano viscide come delle anguille, sia perché quando lo aveva avuto vicino si era fatto strada nelle sue narici un appestante odore di cadavere i putrefazione. Si trattenne dal commentare e aspettò.

All’improvviso un demone grasso e roseo come un maiale, differente da esso solo per la sfilza di denti affilati di cui faceva mostra nella propria smorfia disperata, si scaraventò all’interno della stanza, seguito da un suo simile blu e magro come uno stecchino: “Sua Eminenza, signor Ade!” uggiolò: “Ci sono intrusi nell’anticamera per la serratura! Sono in sei!”

“E l’Heartless della Discordia è stato abbattuto!” continuò il secondo con voce querula: “Un dono di Sua Maestà, che perdita!” e perpetuarono la loro disperazione con gridolini sul genere “invasori” e “perdita”, almeno finché Ade, i capelli fiammeggianti di irritazione, li pestò con rabbia: “Piantatela di lagnarvi e parlate chiaro!”

Il demone blu si alzò, raddrizzò le lunghe corna e disse, fermo e dritto come un soldato: “Sì! Ci sono sei intrusi nell’anticamera davanti alla sala della serratura. L’Heartless della Discordia, prima di essere abbattuto, ha inviato un messaggio che ci informava che questi sei sono composti da un uomo brutto col cappotto nero, un pirata, un guerriero biondo e uno con i capelli chiari, due ragazze, una bionda l’altra rossa.”

Il dio dei morti ascoltò il resoconto con attenzione, e non fece caso al lieve stupore del numero XII nel sentire che Xigbar – solo lui poteva essere l’uomo brutto col cappotto nero – e gli altri erano arrivati così vicini alla serratura. Forse quel soggiorno nel primo mondo era concluso?

Evidentemente la situazione era grave, perché Ade ordinò a Léon di seguirlo e tenersi pronto al combattimento. Poi guardò la sua ospite e disse, con voce affabile: “E la nostra parthenos ci aggrada della sua presenza?” Larxene guardò dubbiosa le cinque dita viscide che le erano state offerte e, reprimendo un moto di disgusto, si fece guidare fin nelle profondità dell’Oltretomba.

 

Piscina infernale, ore 01.38.

 

“Bleah.” Borbottò Kairi, prendendo un bastone e infilandolo nel liquido nerastro: “Non ho mai visto niente di così viscido e sporco.”

Non aveva torto, in effetti.

“Oh, allora non sei mai andata a Port Royal di questi tempi!” disse Jack, dando un calcio ad un sassolino, mandandolo nella grande pozza vicino la quale si erano fermati. Il sassolino rimase per un tempo paurosamente lungo in bilico sulla superficie traslucida del liquido, poi si inabissò lentamente fino a farsi sommergere dai fanghi viscidi della piscina. Jack rabbrividì.

Dopo aver affrontato l’Heartless ragno avevano camminato seguendo l’istinto e l’olfatto di Xigbar, e la cosa lo stava cominciando a preoccupare, se il suo naso li aveva condotti lì. La strada era monotonamente scura e pietrosa, e l’unico senso che potesse utilizzare era l’olfatto, dato che l’udito veniva disturbato dagli scrosci e gli sciabordii dell’acqua d’umidità sulle pareti rocciose, e si era fatto guidare dall’odore di corrente fresca che aveva incontrato appena entrato in un cunicolo adiacente alla grotta dell’Heartless. Sembrava una buona pista.

“Fa ufficialmente schifo.” Disse Naminé, ritraendosi dal bordo.

Riku si guardò intorno: a parte la piscina, non c’era nulla che potesse aiutarli a proseguire, e l’unica via percorribile sembrava proprio la più repellente: attraversare il laghetto.

“Beh, suppongo bisogni provare a vedere cosa c’è sotto tutto questo… fango.” Borbottò, lasciando intendere che lui non sarebbe stato il valoroso volontario, perché purtroppo aveva un braccio fasciato.

“Mh-mh.” Annuì Xigbar, sedendosi sul bordo a gambe incrociate. Nessuno, a ragione, sembrava davvero intenzionato ad immergersi in quel poco rassicurante liquido, e rimasero ad aspettare circa dieci minuti prima che Cloud, innervosito, estraesse il proprio spadone e lo infilasse con un certo impeto nel fango. La lama penetrò con uno shplof a metà tra il comico e il desolante e, dopo essere affondata di qualche centimetro, lì rimase.

“Mh-mh.” Ripeté Xigbar, guardando il biondo guerriero in bilico tra il rimanere con i piedi saldamente poggiati a terra e tenere con un braccio la propria arma. Cloud provò a estrarla o affondarla ancora, con l’unico risultato di ammonticchiare un po’ di fango nei pressi del bordo. Lo spadone era irremovibile. “È come se lo avesse afferrato.” Valutò Naminé, per poi rivolgersi al numero II: “Prova a sparare un proiettile.”

Per tutta risposta lui tirò fuori le proprie pistole e sparò un numero spropositato di proiettili, tanto che la volta della grotta rimbombò a lungo di caricatori e tintinnii metallici. Ogni punta rimase infilzata nella melmosa corazza, per poi venir inghiottita con lentezza.

Si sentirono delle voci sommesse, e i sei rimasero gelidamente immobili al proprio posto, come pietrificati dalla paura. Le voci rimbalzavano fino a loro, e sembravano due acute e querule mischiate ad una fredda ma sinuosa come un serpente. “Questi…” mormorò Kairi, atterrita: “Sì” confermò Riku: “Sono Ade, Pena e Panico.”

Si resero conto che non c’erano nascondigli degni di questo nome, a parte la massa melmosa, e si prepararono al combattimento, sicuri che non ci sarebbero state altre vie d’uscita. Xigbar, però, l’unico che riuscì a ragionare, libero dal timore, si accorse che l’entrata era sovrastata da un lastrone largo e apparentemente stabile, e sembrava ci fosse abbastanza spazio per tutti e sei. Con uno scatto fulmineo si arrampicò sulla piccola colonna laterale all’entrata e, dopo essersi assicurato che la pietra non cedesse, incitò gli altri a fare come lui. Cloud, suo malgrado, fu costretto a lasciare la propria arma infilzata nella melma.

Jack fu l’ultimo a salire e lo fece per il rotto della cuffia: era scivolato su una roccia umida e stava per cadere sopra il dio dei morti, ma per fortuna Cloud lo agguantò prima che l’amico potesse svelare il loro nascondiglio di fortuna.

Ade entrò col passo sicuro di chi è il padrone di casa, seguito da un Léon silenzioso e apatico, i piccoli demoni al proprio servizio e…

Larxene, brutta troia, ci hai traditi di nuovo! Imprecò mentalmente il numero II, nello scorgere la chioma bionda della Ninfa Selvaggia e dovette trattenersi dallo scendere e crivellare di colpi la figura sinuosa che in quel momento si faceva portare per mano dal capo di quella spedizione.

“E ora entriamo” cominciò Ade, ma poi vide l’arma di Cloud impigliata nel fango, e fece per prenderla. “Probabilmente quei disperati hanno provato a entrare.” Valutò Larxene, muovendo la mano: “Saranno già sotto.” E le dita viscide e bluastre di quella mano pericolosa si ritrassero: “Hai ragione, mia parthenos, allora entriamo.”

Mosse qualche passo fino al bordo della piscina, poi continuò a camminare fino a trovarsi al centro di quel disgustoso liquido scuro e lì rimase immobile. Poi, un tentacolo melmoso si allungò fino alle sue caviglie, divenne un’intera onda e lo sommerse fino a farlo sparire nei suoi fondali.

Che schifo! Esclamò Kairi dentro sé stessa, mettendosi una mano sulla bocca per impedirsi di commentare più a fondo, e si rese conto che, purtroppo, avrebbe dovuto fare la stessa cosa se avesse voluto continuare la missione.

La stessa fine fecero gli altri seguaci di Ade, fino a che non rimasero di nuovo soli.

Jack balzò giù dal lastrone di pietra: “Quei disperati!? Quella donna pagherà cara quest’offesa!” esclamò, indignato. “Pagherà anche il tradimento.” Decretò Riku, schifato.

Aveva pensato che i Nessuno, dopo essere ritornati in vita, sarebbero cambiati e avrebbero messo da parte i propri vizi e i propri affari personali, capendo che l’unica via per sopravvivere era collaborare nonostante le inimicizie, ma evidentemente si era sbagliato. Certo, era assai più conveniente la parte comoda del più forte, come Larxene aveva intuito, ma valeva davvero la pena macchiarsi del tradimento solo per un mero vantaggio sul campo? Si era forse resa conto che quello sparuto gruppo di ribelli come loro non potesse in alcun modo giungere ai propri scopi?

“Soprattutto quello.” Soggiunse una voce fredda che in un frangente più allegro avrebbe ritenuto spaventosa ma che in quel momento suonava come le campane nel giorno di festa.

“Saïx!?”

 

Prigioni del Castello, ore 02.01.

 

“Secondo voi cosa starà facendo in questo momento quella serpe?” chiese Luxord, cercando di lavorare sulle corde che gli legavano i polsi, ma quelle sembravano restie a farsi slacciare e i guanti scivolavano senza fare presa sui lembi finali dei nodi. “Conoscendola, qualcosa di viscido.” Constatò Zexion. Sembrava indispettito dal fatto di non essere stato legato perché considerato basso e innocuo. Insultò mentalmente il proprio aguzzino per la sua stupidità, perché non aveva pensato che così libero di muoversi avrebbe potuto sciogliere i propri compagni.

“Il numero XI ancora non si è ripreso?” chiese Xemnas, cercando una posizione comoda per respirare, perché i cordami che gli tenevano le braccia serrate al busto erano troppo stretti per permettere i movimenti dei polmoni. Sembrava avesse il fiatone.

Marluxia giaceva ancora inerte in un angolo della piccola cella, ed era l’unico a sembrare vagamente comodo in quel groviglio di gambe e sbuffi impazienti. La nuca era livida per la botta ricevuta e sembrava in qualche modo provocare una certa sofferenza fisica, dato che il volto del Leggiadro Sicario, pur nell’incoscienza, sembrava contratto e pallido.

“No.” Rispose Demyx, allungando il collo fino a scorgere il proprio collega oltre la spalle larghe di Xaldin: “E sembra che ci toccherà portarlo in spalla.”

Il Superiore guardò il numero IX col sopracciglio alzato: “Non lo porteremo da nessuna parte, non vedi che la porta della cella è chiusa?”

“No che non è chiusa.” dissentì Demyx, convinto: “L’umidità di questo posto ha reso difettosa la serratura che scatta ma non sigilla. Non vedi che l’angolo in alto a destra non coincide con lo stipite?”

Zexion si alzò in piedi: “Ci stai dicendo che potevamo uscire dalla cella da quando ci hanno chiuso dentro?” il numero XI annuì. “Ma vaffanculo!” ringhiò Xaldin, mollando un calcio all’inferriata che gemette con stridore e si spalancò.

Ancora impacciati per i cordami, rotolarono o saltellarono fuori, rimproverando con stizza Zexion di non averli slegati subito. Il numero VI li guardò con indifferenza, segno che non si sarebbe adoperato volentieri per loro, ma poi cominciò a darsi da fare sugli stretti nodi che impedivano i movimenti dei compagni.

Libero dalle corde, Demyx si massaggiò i polsi: “E comunque me ne sono accorto solo ora.”

“Beh, comunque ora siamo fuori.” Disse Xemnas: “Xaldin, prendi Marluxia e muoviti.”

Il numero III obbedì, anche se nella sua ottica tutto sembrava troppo semplice: o Ade era un cretino, o stava architettando qualcosa servendosi di loro. Insomma: lasciava un prigioniero slegato, la porta aperta e la prigione incustodita! Era davvero così sprovveduto o stava dimostrando di essere fin troppo astuto persino per Xemnas?

Prese il numero XI in modo da portarlo con facilità sulla schiena, facendosi passare le sue braccia inerti sulle spalle: se avesse dovuto combattere sarebbe stato svantaggiato, ma almeno in quel modo si sarebbe riparato da eventuali colpi alle spalle, oltre che permettere al ferito di recuperarsi un po’ più velocemente. “Leggiadro Sicario un par di palle…” grugnì, ma nessuno sembrò averlo udito.

“Dove potrebbero essere andati?” si chiese Luxord: “Larxene è stata condotta nella camera di Ade… ma non credo che per noi sia utile raggiungerla. Se sta architettando qualcosa vuol dire che ha previsto tutto, o almeno quasi tutto, quello che poteva fare da sola.” Valutò, ma avrebbe davvero voluto sentire l’opinione del suo alleato per eccellenza. Come la si girava e la si rivoltava, Marluxia era l’unico a comprendere le sfumature di Larxene, e forse avrebbe potuto indicar loro il comportamento da seguire. “Sarebbe più utile trovare una via per la stanza della serratura.” Disse Xemnas, ma subito dopo si rese conto che, non avendo i Keyblade, ben poco avrebbero potuto fare con la serratura. Nessuno si era accorto che Demyx si era allontanato.

Il numero IX, intanto, era scivolato in una stanza adiacente, ricordandosi che in quei pressi ci sarebbe dovuto essere una specie di archivio delle milizie presenti nell’oltretomba, e sarebbe stato più che utile sapere in anticipo quanti e quali Heartless avrebbero dovuto combattere.

Aveva frugato per un bel pezzo senza trovare nulla, almeno finché non mise le mani su di una lista particolarmente interessante.

Uscì fuori a dichiarare la scoperta, ma quando tornò nella prigione trovò solo una guardia. “Ehi!” gridò quella, evocando dal nulla una lancia dalla punta pericolosa. “O-oh!” esclamò Demyx, colto di sorpresa, mentre cercava di schivare il primo fendente che l’avversario gli indirizzò. Intascò la pergamena e tirò fuori il proprio sitar, pronto a combattere. Scivolò sotto il braccio della guardia e la mise al tappeto con un colpo ben assestato sulla nuca, poi se la diede a gambe prima che ne arrivassero altre.

Corse a perdifiato per gli innumerevoli corridoi quasi fino a perdere l’orientamento, ma poi ritrovò facilmente il corridoio principale, quello che portava nel cuore del mondo dei morti, quando vide il muro davanti al quale anni prima aveva incontrato il cerbero. “Ma saranno davvero andati giù?” si chiese. Non avevano un vero e proprio indizio per muoversi, dato che Larxene era sparita insieme ad Ade e non avevano notizie degli altri, perciò dove sarebbe potuto andare Xemnas?

“Numero IX che ci fai qui? Credevo fossi col gruppo del Superiore.”

Demyx si girò di scatto, colto alla sprovvista, e evocò istintivamente il sitar, ma poi lo ripose, notando che aveva di fronte il Freddo Accademico: “Vexen… che ci fai qui?” chiese, per poi allungare lo sguardo oltre la figura esile del numero IV: “E chi sono questi tizi dietro di te?”

A quel punto una donna dai lineamenti rudi e virili si fece avanti con un portamento fiero e composto: “Siamo il gruppo di ribelli più grande dell’oltretomba. Abbiamo deciso con Vexen e i suoi due compagni che questo era il momento giusto per attaccare definitivamente.”

“Oh.” Commentò Demyx, ma poi un pensiero urgente si fece strada nella sua mente: “Devo dirvi una cosa!” esclamò concitatamente, ed estrasse la pergamena trovata nell’archivio: “Questo foglio indica le postazioni di ogni armata dell’oltretomba.” Disse, e mostrò loro il proprio ritrovamento. “Nella sala della serratura c’è una donna di nome Kore che tiene a bada un milione e mezzo di Heartless, aspettando solo che l’invasore attraversi l’entrata per scatenarli.”

Il terrore e la sorpresa serpeggiò tra i soldati di quel piccolo esercito e Vexen, scettico, afferrò la pergamena per consultarla di persona. Ovviamente, si disse Demyx, non si fidava di un sottoposto, specialmente se era lui.

“Dobbiamo muoverci!” Esclamò, poi: “Il numero VII e il numero VIII stanno guidando un’altra truppa proprio lì dentro. Rischiano lo sterminio.”

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note stonate dell'autrice

vi sembraaaava che fossi morta, eh? e invece no! ahah

dunque, la situazione è molto intrecciata (riassuntino riassuntino): Xigbar, Kairi, Naminé, Riku, Jack e Cloud sono nelle profondità/cuore dell'oltretomba, a quanto pare vicini alla serratura, Axel e Saix sono stati catturati dai ribelli mentre cercavano Vexen, Larxene ha "tradito" l'Organizzazione per colpire Ade al momento giusto, Xemnas, Xaldin, Zexion, Luxord, e un semimorto quanto inutile (LOL) Marluxia sono andati chissà dove lasciando indietro Demyx che, per caso, incontra Vexen a capo di una banda ribelle e sembra che Saix sia riapparso alla sua squadra. ho dimenticato qualcuno?

cosa sarà successo nel frattempo?

mah. 

ah, ad un certo punto incontrate una parola greca (mi sento potente) parthenos che vuol dire fanciulla. beh, siamo nell'antichità, nell'OlimpOltretomba greco, si parla greco u.u

...

è tutto molto greco. u.u

ringrazio niki_ e Tikal per aver aggiunto questo groviglio alle preferite e StellaCadente per averlo aggiunto alle ricordate.

ho finito le cose da dire. bene.

addio.

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Capitolo 12
*** La situazione si complica. ***


La sitazione si complica.

Cuore dell’Oltretomba, ore 02.03

 

“Saïx?” chiese Riku, sorpreso: “Credevo foste tornati indietro a cercare Vexen.”

Il numero VII annuì: “L’abbiamo trovato.” Disse, semplicemente, e non diede altre spiegazioni. Si guardò intorno con circospezione, poi si rivolse ai soldati dietro di lui: “Cosa c’è sotto il fango?” fu un nanerottolo dai capelli ricci e lunghi che teneva in mano una lancia dalle misure sproporzionate rispetto al suo piccolo corpo a rispondere: “Lì Ade tiene la moglie!”

Axel fece un commento che doveva sembrare divertente, ma che nessuno notò o sembrò notare, e Saïx gli lanciò un’occhiata per ordinargli di tacere e di parlare solo se interpellato. Nonostante non fossero più amici come prima, notò il numero VIII, riuscivano ancora ad intendersi con lo sguardo, e quello di Saïx era così poco rassicurante che non pensò nemmeno di opporsi. “Ammazza” gli disse uno dei soldati, avvicinandosi di soppiatto: “Il tuo amico deve essere proprio nervoso, per guardarti così.”

Era un giovane col quale si era messo d’accordo per la spedizione, insieme ad altri soldati ribelli, e gli somigliava parecchio, era anche lui spiritoso e chiacchierone. Per questo lui si era sentito in dovere di entrarci in confidenza, sembrava di parlare con Lea: il suo modo di parlare era vivace e colorato da una perenne sfumatura di ironia non cattiva ma solo allegra, nata per far ridere, e gesticolava un sacco, anche solo per dire piccole cose. Se avesse avuto un cuore era sicuro che l’unico sentimento a pervaderlo sarebbe stata una sorta di paterna tenerezza nel vedersi attraverso gli occhi chiari di quel giovane soldato.

Chinò il capo: “Penso che darebbe tutti i capelli per esserlo.” Mormorò, e sorrise alla sua espressione perplessa, senza però aggiungere altro.

Saïx, a capo di tutto il gruppo, stava discutendo con Riku sul da farsi: “Cosa intendete fare con questi uomini?” chiese Riku.

“Questa è metà dell’armata ribelle” spiegò, indicando le decine di persone che stavano quiete dietro di lui, in attesa: “Gli altri aspettano che noi sferriamo il primo attacco per avanzare. Sanno che sotto il fango c’è qualcuno, come hai appena sentito, anche se non ho capito se per moglie Ade intenda altro.”

A quel punto, il nanerottolo ricciuto che prima aveva parlato, Rial, caracollò tra i due uomini con la lunga lancia ancora stretta nel pugno dalle piccole dita, e, avendo origliato la conversazione, decise di intervenire: “Ade ha davvero una moglie!” esclamò, come imbronciato per non essere stato preso sul serio solo perché piccolo: “Lo sanno tutti! Si era messo d’accordo col Padre degli dei per sposarla, ma la madre di Kore si è opposta e non ha voluto darla in moglie a lui, così Ade l’ha rapita.” Riku e Saïx guardarono il nanerottolo con interesse, questa volta: “Kore?” chiese il numero VII, cercando di capire se stesse raccontando balle o se stesse dicendo la verità, e il bambino annuì: “Sì, è il nome della ragazza che è stata rapita.”

“Capisco.”.

Cloud e Jack, intanto, erano impegnati a cercare di disincastrare lo spadone del primo dalla fanghiglia ostile e puzzolente, con scarsi risultati e molti grugniti da parte del pirata. “Ma porc’!” gridò, dopo un tentativo fallito che lo aveva scaraventato tra le gambe di Xigbar, che intanto guardava i due con l’aria di chi si sta divertendo un mondo, estraneo alle chiacchiere di Saïx e Riku.

Kairi e Naminé cercavano di aiutarli come possibile, utilizzando le magie che sembravano poter essere utili allo scopo, sempre invano, tanto che il Capitano, irritato oltremodo, si alzò e infilò un piede nella fanghiglia, prendendo a calci la punta dell’arma per svellerla una volta per tutte: “Non è ancora stata forgiata una spada che mi metta in ginocchio, non me, Capitan Jack Sparrow!” esclamò. “Io non credo dovresti entrar-” aveva provato a dire Kairi, ma non fu ascoltata, anche perché quel liquido denso e scuro cominciò a ribollire, allungandosi sulle ginocchia del malcapitato.

“Oh-oh.” Fu l’unica cosa che riuscì a dire, prima di essere travolto e risucchiato giù.

“Diamine!” esclamò Xigbar, mobilitandosi per afferrare all’ultimo momento il compagno che affondava, invano. Evidentemente non si potevo tornare indietro per quella via. Cloud, dall’alto della sua espressione indifferente, sembrava davvero preoccupato, come lo sarebbe stato Riku per Kairi o Naminé, perché il legame che si era creato tra il silenzioso guerriero dai capelli biondi e il pirata fanfarone era molto più che amicizia. Condividendo giorni e giorni di prigione, dividendo pasti esigui e poca possibilità di bere, i due avevano intessuto, quasi inconsciamente, una sorta di fratellanza silenziosa e fidata, unica catena della loro vita che non poteva essere spezzata tanto facilmente, perché nata nella difficoltà e nella disperazione e resistente a qualsiasi altra cosa. Quante volte Jack gli aveva detto, scherzosamente o meno, che “quando saremo liberi, amico muto, perché lo saremo, te lo dico io, ti prometto che ti porterò alla mia nave che nel frattempo sarà ricostruita e ti farò fare il capitano per un giorno” e quante volte lui, nel suo mutismo lungo due anni, si era immaginato navigare per le acque cristalline del mare piratesco del suo mondo, libero da qualsiasi responsabilità e qualsiasi pericolo! Jack per Cloud rappresentava ciò che non aveva mai avuto, la libertà, anche nei confronti dei doveri: sapeva che un pirata vive svincolato da qualsiasi laccio, persino da quello della legge, e bazzica senza pensieri tra le onde del mare, in cerca di qualcosa di divertente, mentre lui, Cloud, aveva sempre passato i suoi giorni ad arrancare dietro al pressante fardello della presenza di Sephiroth, la sua oscurità, la sua parte crudele, e anche il simbolo del suo futuro sacrificio. Ma perché, si chiedeva in quel momento, mentre guardava impotente il proprio amico affondare nell’ignoto, perché doveva sacrificarsi per il bene, quando tutto quello che gli veniva in cambio era paura, vuoto e incertezza? Perché, lui che aveva lottato per eliminare il male, riceveva il peggio? I suoi amici erano spariti dietro il trono di un Re troppo malvagio per esistere, lui stesso era stato imprigionato, lui stesso, in quel momento, assisteva alla sparizione del suo compagno più caro. Si sentiva frastornato.

Poi, si disse, Jack non era mica morto, aveva visto che quei fanghi portavano da qualche altra parte, e perché solo vederlo affondare lo aveva scosso così tanto? Forse era stato così solo che bastava anche una sparizione simbolica a impressionarlo? Oppure il suo animo era davvero fragile, accidenti, così non sarebbe mai riuscito a sconfiggere Sephiroth.

“Cloud!” lo chiamò Naminé, scuotendolo con forza, e lui si riscosse dai suoi contorti pensieri, anche perché gli era parso di essere stato chiamato altre volte perché il tono della bionda celava anche una strana preoccupazione. Scosse la testa, come a voler fare uscire tutti i pensieri con una semplice scrollata di capo, e si diresse verso il bordo della fanghiglia. “Sembra che non inghiottisca a caso.” Mormorò, poiché aveva notato che lo spadone era ancora conficcato al suo posto nonostante tutti i tentativi del pirata di tirarlo fuori. Gli altri, intanto, attirati dal trambusto, si erano avvicinati e guardavano, chi con curiosità, chi riflettendo, il punto in cui era sparito Jack. Riku rifletté: “A pensarci bene quando Ade e gli altri” e qui si fermò un attimo, pensando con rabbia a Larxene. Gli sembrava di vederla, quella traditrice, sorridere maliziosamente come suo solito e saltare via agilmente come per definire quel gesto totalmente. Non aveva capito che sarebbe solo stata sfruttata?

“quando Ade e gli altri sono entrati non sono stati risucchiati subito come lui, hanno camminato fino al centro e solo lì sono riusciti a scendere.”

“È probabile che questa Kore possa controllare a suo piacimento questa massa puzzolente.” Intervenne Xigbar, cercando di toccare lo spadone e rinunciando all’impresa, pensando di non voler fare la stessa fine del pirata.

“Entriamo.” Decise Saïx, dopo aver scrutato a lungo la superficie viscida ma, come a volergli impedire di procedere oltre, questa cominciò a brillare così tanto da risultare accecante, da rischiarare l’intera grotta. Molti si misero le braccia davanti agli occhi per evitare di rimanerne accecati, e i soldati alzarono i loro variopinti scudi, ma alcuni non fecero in fretta e si bruciarono gli occhi. Sembrava di guardare il sole da vicino.

Spenta quell’innaturale fonte di luce, chi poteva si guardò intorno, rimanendo basito: il fango si era trasformato in uno spessissimo e duro strato di roccia, tanto che lo spadone di Cloud pareva ormai irrecuperabile.

“Come…?” si chiese Kairi, mentre Axel saltava sopra la superficie appena formata: “È asciutto!” esclamò, come se volesse rassicurare gli altri e Rial, il ragazzino, caracollò in avanti e tirò la manica di Saïx: “Hai una spiegazione anche per questo?” gli chiese freddamente il numero VII, prima di lasciarlo parlare, e lui annuì energicamente facendo danzare i riccioli color rame: “Sissignore!” esclamò, raddrizzandosi come se stesse di fronte ad un generale: “Kore ha avvertito che la madre sta arrivando e si sta difendendo.”

“A proposito di genitori” gli disse un soldato: “Dov’è tua madre?, è un sacco che non la vedo.”

L’attenzione di tutti verté sul piccoletto dai riccioli di bronzo, che fece cadere la lunghissima lancia a terra e incrociò la braccia: “Megara ha detto che sono grande e devo badare a me stesso.” Replicò, diventato all’istante più freddo, cosa strana per un bambino come lui, che doveva avere al massimo dieci anni. Borbottò qualcosa e, alla fine, si rivolse a Saïx: “Questa difesa dura due giorni ed è impenetrabile tranne che per le anime che devono giungere negli Abissi.” Spiegò, e si sedette, segno evidente che non c’era nulla da fare.

“Due giorni!?” esclamò Kairi, avvicinandosi ai due: “Non possiamo aspettare così tanto!”

In quel momento, la sua frustrazione cresceva a dismisura: davanti a tutto, il dovere che aveva nei confronti dei Nessuno la forzava a voler sbrigare in fretta ogni cosa, e, inoltre, aveva timore che gli altri potessero essere in pericolo mentre loro erano costretti a perpetuare quello stallo per un lasso di tempo che in effetti era breve ma, in quella situazione, pareva lunghissimo.

“Non è possibile!” si scaldò Axel, aggiungendosi alla discussione: “Chissà cosa potrebbe succedere mentre noi siamo qui ad aspettare!” ma, mentre lo diceva, non aveva nemmeno la benché minima idea di quello che sarebbe potuto succedere.

 

Corridoio sperduto nei meandri dell’Oltretomba, ore 02.23.

 

Il terremoto fu così forte da far cadere la maggior parte delle guardie e dei soldati che stavano marciando con una certa fretta verso il cosiddetto “cuore dell’Oltretomba”, anche se durò poco. Vexen fece in tempo ad aggrapparsi ad una roccia sporgente prima di crollare tra gli altri uomini, ma non bastava la scossa per sconvolgere il proprio animo da scienziato, dato che cominciò ad analizzare probabili cause ed effetti di un avvenimento abbastanza strano, per trovarsi nell’Oltretomba. Di sicuro non era stato un terremoto naturale: tanto per cominciare non erano stati percepiti piccole scosse di preludio, cose che invece sono sempre presenti, e poi non era crollato nulla a dispetto della magnitudo.

Notò che Demeter era rimasta tutto il tempo della scossa in piedi, come se per lei il terreno non sussultasse e, per quanto potesse essere muscolosa, era qualcosa di inspiegabile. Come aveva fatto a non cadere insieme ai propri uomini? La donna chinò lievemente il capo, ma Vexen non poté leggerle il viso poiché, essendo a capo della truppa, si trovava davanti, ma, quando si girò verso di loro ad ordinare che si alzassero immediatamente e che non perdessero tempo, nella sua espressione c’era una determinazione e una freddezza così tremendamente autoritarie che, nel giro di qualche secondo, tutta la truppa fu in piedi e in completo assetto da guerra. Sembrava quasi brillare un’aura di potere, intorno a lei.

“L’hai vista, vero?” gli chiese Demyx, caracollando verso di lui. All’inizio il numero IV non riuscì a comprendere di cosa stesse parlando, poi annuì, come se la cosa lo preoccupasse molto: “Sembrava doversi trasfigurare da un momento all’altro.” Assentì.

Demyx sembrava capire qualcosa che agli altri sfuggiva, tanto guardava Demeter con l’aria di chi aspetta un qualche avvenimento straordinario. Con un certo sarcasmo, pensò che alla fine il numero XI era più informato rispetto agli altri solo quanto riguardava quel mondo, e per quello sembrava avesse interesse nel completare la missione, diciamo anche per vanità. Tutto, dalla capigliatura alla gestualità, di quel ragazzo faceva trasparire un modo di fare appariscente e spettacolare, utile solo a non passare inosservati, e a causa di ciò Vexen aveva imparato a catalogare il proprio sottoposto come goffo e poco responsabile: Demyx parlava a voce molto alta, e gesticolava, e non sapeva combattere, era vigliacco e poco capace. Fin dal primo giorno in cui era stato arruolato da Xemnas Vexen aveva avuto che da ridire.

Se lo ricordava troppo bene, quel giorno: stava giusto cominciando ad abituarsi all’entrata in scena di quei due perditempo di Saïx e Axel che un ragazzino irrompeva nel palco della loro finta vita con una scivolata. Un ragazzo di circa vent’anni, un po’ spaurito non dal fatto che non sentisse il proprio cuore battere, ma dagli Heartless che ondeggiavano placidamente negli angoli bui del Mondo Che Non Esiste, che, non appena Xigbar si accinse a spiegargli cosa fosse diventato, dichiarò candidamente di non aver capito ma che non importava, avrebbe inteso più tardi perché in quel momento aveva fame. Non faceva altro che bazzicare di salone in salone chiedendosi perché otto persone abitassero in un posto così grande senza affittarlo ad altri, senza essere di alcun aiuto né a lui, né agli altri.

Non sapeva proprio cosa ci fosse in lui.

Ma se c’era qualcos’altro che Vexen non sapeva o non prendeva in considerazione, era senza dubbio il fatto che, se Demyx era lì, era perché il suo cuore era stato forte abbastanza da resistere allo stravolgimento effettuato dagli Heartless. Basandosi solo sulla sua goffaggine e limitandosi a redarguirlo, non si era mai soffermato sulle sue difficoltà: il potere di Demyx era l’acqua, ed essendo l’elemento naturale più turbolento e mutabile del cosmo era molto più difficile da controllare rispetto alla rigida compostezza del ghiaccio, e questo ne faceva uno dei membri più potenti. E Demyx, molto probabilmente, se n’era accorto.

Semplicemente tanta responsabilità pesava troppo sul carattere spensierato e candido di ciò che era stato, stravolgeva troppo gli ideali e i comportamenti del Myde che, suo malgrado, si era trovato coinvolto in qualcosa di troppo grande per la sua semplicità.

E Vexen, dall’alto della sua algida, rigida, categorica, fredda logica, proprio non ci arrivava.

 

???, ore 02.35

 

Un vento lieve sibilava tra le catene, smuovendole lievemente e producendo un lieve tintinnio.

Il sangue macchiava gran parte del pavimento, e la luce sembrava smorta, come se provenisse da un’altra stanza.

I lamenti ormai flebili si intrecciavano in quella sala circolare, con qualche picco di disperazione acuta.

“Anni…” quel sussurro roco ed assetato sembrò scuotere tutti i prigionieri, anche se, dopo l’attimo di confusione, tutti tornarono al proprio posto, sicuri che nulla di nuovo sarebbe successo.

“Anni…” questa volta fu più convinto, più disperato, più morente. Qualcuno scosse la testa.

“Anni! Anni! Anni!” le grida si levarono alte dalla bocca della donna appesa per i polsi su di una parte particolarmente ruvida della pietra delle mura, una donna che nel buio, nonostante l’aspetto sciupato e trasfigurato, ancora splendeva di una certa bellezza, tanto che, in quella che era considerata vita, sarebbe stata chiamata la Bellezza in persona.

“Piantala, Afrodite, è da circa dieci anni che te ne vai strillando solo quelle quattro fottute lettere, per Zeus!” sbottò il giovane accanto a lei, spostando con un soffio un ciuffo di capelli biondi che era scivolato, unto e sporco, sul naso.

Un uomo alto e massiccio sbuffò, e alzò di poco la testa: “Dovrei considerarla una battuta?” mormorò quelle parole scherzose col tono di chi ha perso tutto in un colpo e si ritrova a fare i conti con un destino troppo duro per essere guardato in faccia, tanto che, se un tempo sarebbero state pronunciate con una voce burbera ma gioviale, in quel momento suonavano come una sentenza di morte.

“Alla fine… ha vinto lui.” Sussurrò, mentre le grida e le lacrime di Afrodite aumentavano.

 

Monte Olimpo, ore 03.02.

 

“Fallo un’altra volta e ti ritroverai la mia falce in un posto poco piacevole.”

Sì, Marluxia si era svegliato.

Il gruppo di uomini in soprabito nero si lasciò cadere, sfinito, ansimante e sudato contro le scalinate in rovina e ammuffite di quella che un tempo era stata l’arena principale. Luxord aveva estratto due carte dalla manica e le utilizzava per farsi vento, mentre Zexion tentava di scostarsi dagli occhi il ciuffo divenuto appiccicoso per il sudore, infilandoselo con riluttanza dietro l’orecchio. Se c’era una cosa che odiava, o che avrebbe odiato se avesse avuto la facoltà di farlo, era essere guardato negli occhi da chi parlava, o almeno in entrambi gli occhi perché, lo sapeva, fin troppo facile era intuire i pensieri di una persona, se la si poteva fissare nello specchio dell’anima.

“E chi lo avrebbe detto che dietro il ciuffo avessi un altro occhio!” esclamò il numero X, con un sogghigno che per Zexion ebbe il risultato di farlo sembrare ancora più idiota del solito. Era già abituato alle sue battute di dubbio gusto, ma quella lo aveva fatto cadere ancora più in fondo.

“Che corsa, eh?” esclamò Marluxia, gioviale, incrociando le mani dietro la nuca. Era l’unico dei suoi compagni ad essere, letteralmente, fresco come una rosa, e se ne stava stravaccato sulle gradinate come chi è venuto fino a lì per prendersi il sole o, dato che era notte, la luna. Xaldin grugnì.

Appena usciti dalla prigione, si era scatenato il pandemonio; evidentemente c’era una contromisura per eliminare i detenuti che erano riusciti a scappare, perché erano stati sommersi da qualsiasi cosa si potesse definire pericolosa: Heartless, Nessuno e varie guardie infernali li avevano praticamente circondati e sembravano essere a migliaia.

Xemnas aveva imprecato tanto sonoramente da far sussultare tutti gli altri: era naturale, lui, che voleva concludere la missione nel giro di una notte, si vedeva complicare le cose davanti, come se qualcuno si stesse prendendo gioco di lui, e questo non poteva far altro che complicarle ancora.

Il Superiore, da quando era tornato in vita, sempre che di vita si potesse parlare, non aveva visto altro che panorami e situazioni troppo complesse perché le potesse controllare e modificare come era abituato a fare con i membri dell’Organizzazione, tanto che persino i suoi sottoposti sembravano quasi reticenti ad obbedirgli. Anche quelli più fedeli, come Xigbar e Xaldin, che prima di morire eseguivano con una puntualità decente i compiti a loro affidati, dopo la rinascita lo guardavano come un individuo nel quale non si dovesse riporre fiducia e questo, purtroppo, lo riconosceva anche da solo. Mettendo da parte la propria, fantomatica cocciutaggine e buona parte dell’orgoglio, si accorgeva che, dietro la morte di tutti loro, c’era solo lui.

Con uno scatto, Xemnas evocò le proprie lame e si precipitò all’attacco. Nonostante si battesse più furiosamente del solito, cosa che Zexion e gli altri non mancarono di notare, il frastuono dei corpi in movimento e delle lame e armi che cozzavano tra loro non riusciva a distoglierlo da quel pensiero fastidioso, che in un mondo in cui aveva un cuore sarebbe stato chiamato senso di colpa.

Semplicemente non riusciva a non pensarci.

Era lui che aveva mandato Marluxia e gli altri al Castello dell'Oblio, lui che aveva assunto Roxas con tutte le conseguenze, lui che aveva manipolato anche la fiducia di Saïx e l’aveva spedito a morire come tutti gli altri, lui che, in principio, aveva costretto tutti a quel viaggio penoso e senza fine.

Ad ogni constatazione i colpi si facevano più potenti e letali, ad ogni pensiero un nemico soccombeva e, estraneo al fracasso prodotto, Xemnas si inoltrava sempre di più nella matassa di Heartless che occupava tutto il grande corridoio in cui si erano ritrovati a correre, ignaro che, continuando così, sarebbe stato solamente ucciso.

“Ma che gli prende?” chiese Xaldin, che portava ancora uno svenuto Marluxia sulle spalle e che avrebbe davvero voluto lasciarlo tra gli Heartless per poter scappare in pace. Ma, purtroppo, già la loro ribellione contava pochi uomini, figuriamoci a perderne uno solo per un pretesto di fuga.

Fortunatamente per il Superiore, Luxord e Zexion si fecero abbastanza spazio per raggiungerlo e spiegargli brevemente che erano troppo pochi e che le loro forze si sarebbero esaurite prima di poter annientare una massa così imponente di nemici – e qui Zexion si premunì di eliminare un Heartless troppo insistente per permettergli di parlare – e che avrebbero piuttosto dovuto cercare un posto sicuro per permettere al numero XI di riprendersi.

A quel punto Xemnas ritornò in sé e, sbattendo le palpebre come se si fosse svegliato sul momento, guardò i propri sottoposti con un aria un po’ persa, forse non capendo davvero la situazione ma, comunque, decise di correre al riparo prima di perdere anche la dignità dopo i ricordi, la vita e il cuore.

E così si erano ritrovati a correre come dei pipistrelli in trappola, sbattendo con frustrazione in ogni vicolo cieco che si parava loro davanti, ringhiando ad ogni deviazione che erano stati costretti a prendere per colpa di qualche guardia di troppo e maledicendo ogni dannato corridoio in più che era stato costruito durante la loro assenza.

Ad un certo punto avevano avvertito un terremoto così forte da farli cadere tutti per terra. Xaldin fu sbalzato indietro nonostante la sua corporatura massiccia, ma, per fortuna, il corpo di Marluxia attutì buona parte del colpo. Vedi com’erano utili i sottoposti, alle volte! Ma, concentrato com’era a rimanere tutto intero, forse non si accorse dei vivaci insulti che provenivano dal peso non più inanimato che si portava sulla schiena, perché, se il numero XI non era sveglio, almeno aveva ripreso parte delle forze, ma ovviamente era troppo profittatore per scendere e mettersi a correre come gli altri.

Fortunatamente, la scossa durò poco, e così i quattro più uno poterono mettersi in salvo.

Dopo un’altra decina di minuti di penoso peregrinare di corridoio in vicolo, riuscirono a vedere il cielo che si apriva sullo stadio diroccato da cui avevano cominciato la loro missione e, stremati, si erano accasciati uno dopo l’altro sulle scalinate. Solo il Feroce Lanciere rimaneva in piedi. Aveva sentito benissimo l’insulto di Marluxia al momento della caduta, e aveva intenzione di fargli pagare il passaggio: così, libero dalla maledizione dell’Oltretomba, sollevò un piccolo turbine che mandò un Marluxia tranquillo di essere al sicuro a sbattere contro il muro di cinta dell’arena.

E da qui era partita la colorita minaccia: “Fallo un’altra volta e ti ritroverai la mia falce in un posto poco piacevole.”

“Piuttosto, tu la prossima volta te ne vai a piedi come tutti gli altri.” Rimbeccò Xaldin, squadrando il proprio sottoposto dalla sua estrema altezza e incrociando le braccia come un uomo che cerca di domare la rabbia invece di prendere a pugni il poveraccio di turno.

Marluxia trovò sfogo in uno stizzoso ‘tzè’, e, dopo un secondo in cui valutava se far diventare realtà la propria minaccia, si sedette sulle scalinate, accavallando le gambe. Si guardò intorno: “Dov’è Larxene?”

“Oh, giustappunto” disse Xemnas: “Quando stavamo nella prigione” ma fu subito interrotto dal numero XI che, perplesso, aveva domandato: “Ci avevano presi?” Il Superiore annuì: “Sì, e anche legati, ma non è quello il problema: infatti, quando eravamo in prigione Larxene è riuscita ad uscire con la scusa di sapere qualcosa che in realtà non sapeva, e non abbiamo proprio idea di che cosa abbia in testa.” Finì con lo scrutare il Leggiadro Sicario con aria di attesa, anche se non sapeva quanto sarebbe stato sincero con lui, che lo aveva messo in discussione come membro umiliandolo davanti a tutti. Però, rifletté, non gli sarebbe convenuto molto mentire, dato che lui stesso si ritrovava coinvolto. Intanto, si accorse  che Marluxia lo squadrava, impassibile. Chissà cosa passava per quella testa astuta… forse si erano precedentemente accordati per tradire ancora l’Organizzazione, ma perché? In due non avrebbero mai e poi mai potuto combattere contro Topolino, erano entrambi forti, certo, ma non abbastanza da fronteggiare in due una dittatura! Erano già pochi in quindici!

Mentre Marluxia era ancora immerso nei propri pensieri, Zexion si rivolse a Xaldin, che, precedentemente, aveva fatto capire di aver inteso il gioco della Ninfa Selvaggia: “Ma tu non avevi capito cosa aveva in testa?” gli chiese, e il tono, sebbene rimanesse indifferente, celava una lieve accusa, come se fosse colpevole di non essersi ancora spiegato, ma il numero III scrollò le spalle: “Avevo solo capito che voleva uscire per fare qualcosa, e prima ancora mi aveva detto di reggerle il gioco… Credo abbia voluto infiltrarsi.” Ma, se ne rendeva conto solo in quel momento, avrebbe potuto provare a tradire ancora l’Organizzazione senza essere ostacolata, facendo passare il piano per un sotterfugio a vantaggio dei Nessuno.

“Non credo ci abbia traditi” si intromise Luxord, prendendo un’altra carta e aggiungendola al proprio ventaglio per potersi fare più aria: “Larxene non è stupida, avrà capito che facendo la voltagabbana sarebbe stata consegnata direttamente a Topolino… ed inoltre mi sembra difficile da credere che abbia fatto tutto da sola, senza il suo collaboratore più stretto.” E detto questo ammiccò verso Marluxia, che, invece di reagire alla sottile accusa del numero X, fece una domanda che, all’apparenza, sarebbe stata solo inutile: “Cos’ha detto Larxene prima di andarsene?”

“Ha importanza?” chiese Xemnas, con alterigia, e il numero XI lo fissò con odio: “Sì.” ringhiò, pronto allo scontro, ma Zexion, decisamente poco disposto ad un litigio, bloccò immediatamente il rimbrotto del Superiore: “Ha detto ‘Oramai è tutto perduto’ … c’è un qualche significato in questa frase? È un codice?”

Il numero XI guardò Zexion, indeciso: certo che c’era un codice, ed era anche quello d’emergenza, ma lo scocciava il fatto di doverlo rivelare per poter spiegare l’esplosione che sarebbe arrivata di lì a qualche ora. Certo, Larxene era stata avventata, ma almeno in quel modo, avendo vicino i loro avversari, avrebbe potuto eliminarli immediatamente. Vedendo che gli altri ancora lo guardavano con l’aria di chi attende spiegazioni, si arrese: “Sì, è un codice… Sta per Ordigno Elettrico a Tempo, che sono le iniziali di ‘oramai è tutto’ e il tempo è indicato in ore e si ricava dal numero di lettere della parola ‘perduto’, quindi sette. È l’attacco estremo di Larxene, un’onda elettromagnetica che ucciderebbe chiunque si trovi nelle vicinanze, quindi probabilmente sta progettando di uccidere il nemico dall’interno.” Spiegò. Avrebbe dovuto crearne un altro codice per Larxene, altrimenti la volta successiva sarebbe stata scoperta subito: “Quante ore sono passate da quando ha pronunciato quelle parole?”

“Un’ora e cinquanttotto minuti.” Rispose Luxord, riponendo le carte dentro la manica e tirando fuori un dado. “Mh.” Valutò Xaldin: “Quindi ne mancano cinque circa.”

Marluxia annuì: “Almeno così avremo tempo per avvertire gli altri di allontanarsi. Qui riuscite ad aprire varchi oscuri?”

Xemnas lo sentì. Avvertì che il tono di Marluxia era diventato più autoritario e diplomatico, tipico di quando si danno ordini, e si avvide immediatamente del fatto che volesse proclamarsi ufficiosamente capo cominciando con il favore degli altri membri per sminuire la sua autorità. Fece per parlare e rimetterlo al posto di membro in prova ma, prima ancora che lui potesse aprir bocca e che gli altri potessero rispondere, un secondo terremoto aprì la terra sotto i loro piedi.

“Accidenti!” ringhiò, mentre, impotente, precipitava verso il fondo da cui era da poco uscito.

Zexion si aggrappò al bordo con tutte le sue forze, tentando di rimanere saldamente attaccato al suolo che franava sotto i suoi piedi e sembrava friabile alla presa dei guanti. Quando riuscì a risalire, però, gli altri erano tutti precipitati. Poco male, si disse, l’unico di cui si sarebbe preoccupato stava comodamente sdraiato su di un materasso a riposare, gli altri gli erano indifferenti. Si allontanò dallo squarcio per evitare che qualche cedimento trascinasse giù anche lui, e si sedette sulle scalinate dalla parte opposta alla quale si trovava.

Cosa poteva fare? Separato dal suo gruppo, ormai non poteva far altro che cercare di raggiungere gli altri. Ma dov’erano? Lui in quel mondo non ci era mai stato, come avrebbe potuto orientarsi? Forse Demyx sarebbe servito allo scopo, ma dove si trovava in quel momento?

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Questo capitolo è stato tremendo... non sapevo che titolo mettere DDD:
Inoltre, questo in teoria era il primo pezzo di un capitolo che complessivamente contava 18 pagine di word ed era
MOSTRUOSAMENTE lungo, perciò ho dovuto spezzettarlo. Che fatica!
Comunque... riassumiamo la situazione per chi non c'ha capito una mazza per chi non ha capito bene?
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Riku, Kairi, Naminé, Cloud, Xigbar, Axel, Saix e soldati sono bloccati nel Cuore dell'Oltretomba;
Jack è stato risucchiato chissà dove;
Larxene si è apparentemente alleata col nemico, ma poi farà esplodere tutto tra cinque ore;
Xemnas, Marluxia, Xaldin e Luxord stavano discutendo sul da farsi ma sono stati inghiottiti chissà dove;
Zexion si è salvato e non sa che fare.
Quante cose succedono sul Monte Olimpo!
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Ah, ho cambiato rating perché nei prossimi capitoli certe descrizioni potrebbero essere un filino cruente, quindi mi premunisco.
Bene. Salute a tutti e credo che i prossimi capitoli non si faranno attendere molto, essendo già pronti :P
Ciao!

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Capitolo 13
*** Catene spezzate ***


Catene spezzate.

 

???, ore 03.14.

 

“Mmmh…”

Luxord si alzò, ruzzolando poi giù dalle macerie che, crollando, avevano causato quel grande problema in cui, letteralmente, erano stati inghiottiti. “Dove siamo?” chiese Xemnas, mettendosi a sedere e guardando in alto. Solo l’oscurità. Evidentemente erano precipitati di molto, dato che non riusciva a vedere il cielo. Si alzò: “Manca il numero VI.” Si disse, mentre vedeva gli altri che scivolavano o saltavano giù dal mucchio di macerie. “Stiamo diminuendo sempre più:” valutò Luxord, mentre si guardava attorno: “Prima Larxene, poi Demyx e ora Zexion… si direbbe che la fortuna ci è contraria.” Sembrava indispettito e Xemnas lo sapeva bene. Essere lo Sfidante del Destino per lui implicava accreditare una buona dose di fiducia alla fortuna, nel caso, nel destino appunto, e vederlo voltare le spalle e abbracciare qualcun altro sarebbe potuto essere pericoloso. Appena entrato nell’Organizzazione, Luxord gli aveva fatto capire, con una filosofia un po’ traballante, che la Fortuna tiene i fili di ogni esistenza e li giostra come le aggrada, senza guardare la sofferenza che potrebbe causare, perché bendata, ma gli aveva anche fatto intendere che lui fosse un prescelto, un uomo baciato dalla fortuna. “Ludor” aveva detto, per spiegare questa sua cieca fiducia nella cieca dea, e a Xemnas ci era voluto nemmeno un secondo per capire che quel nome fosse quello che aveva utilizzato prima di perdere il cuore: “era un giocatore d’azzardo, e dei più incalliti, ma, per quanti soldi scommettesse, non ha mai perso nemmeno una partita, né a poker, né ad altri giochi di carte. Non è forse questo il più grande segnale della protezione della Fortuna?”

Più volte, e in particolar modo quando il numero X descriveva nel rapporto il fallimento di una missione, al Superiore era capitato di pensare che, se tutti avessero ragionato come lui, non sarebbero esistiti né la scienza, né la coscienza della volontà umana come unico motore degli avvenimenti. Non nascondeva il fatto che, alla notizia della morte di Luxord, non gli avesse rivolto un sarcastico pensiero: “Dov’era la tua fantomatica fortuna, quando sei morto, numero X?”

E proprio ricordando quelle parole che Xemnas si convinse del fatto che, mentre il numero X elencava ciò che era capitato loro durante quella missione, pensasse con finto rammarico alla fortuna che gli aveva voltato, di nuovo, le spalle.

“Chi…” una voce flebile e stanca cercò di fendere le parole dei membri restanti dell’Organizzazione che discutevano su come risalire, e immediatamente tutti e quattro si azzittirono, attenti a captare di nuovo quel suono fievole. “Chi… chi è… chi è là?”

Era una voce maschile, stanca, disperata, roca come se, prima di pronunciare quel suono a malapena bisbigliato, non avesse fatto altro che urlare, e i Nessuno si avvidero che, comunque, non apparteneva a nessuno di pericoloso, visto il tono spento.

Xaldin cercò di vedere oltre il buio, riuscendo però solamente a scorgere un fascio allungato che si ergeva verso l’alto. “C’è… della corrente…” disse, mentre, effettivamente, un lieve vento sibilava nel luogo dove erano caduti, reso sonoro dai numerosi fori e increspature delle pareti rocciose sulle quali sbatteva. Da dove sarebbe potuta venire, questa corrente? Il Feroce Lanciere, da perito del vento di ogni genere, seguì con lo sguardo il percorso contrario a quell’aria sibilante fino a giungere ad un punto indefinito dal buio. Quella, si disse, sarebbe stata la strada da seguire in caso di fuga precipitosa.

“Chi è là?” ripeté la voce, questa volta resa più decisa dal sospetto. In silenzio, Xemnas guidò i propri sottoposti verso la direzione di quelle tre parole, scoprendo di essere in una sala circolare di medie dimensioni illuminata fiocamente, come se la luce provenisse dall’esterno, ed infatti poco più in là si poteva intravedere una piccola voragine che emetteva una luce giallastra. “Non… non venite avanti!” esclamò uno squittio che proveniva da destra. Era stato un sussurro terrorizzato e paurosamente acuto, un po’ roco, e tutto ciò che esplicava era una paura smodata, quasi folle, e chiunque avesse potuto anche solo immaginare la disperazione celata in quelle parole sarebbe stato mosso da pietà e avrebbe rispettosamente tenuto le distanze, ma i Nessuno erano incapaci di provare sia l’angoscia che la pietà, quindi Marluxia mosse qualche passo in avanti. Lo squittio si rivelò essere un ometto gracilino e dalla pelle bluastra vestito con una tunica che in tempi migliori sarebbe stata bianca e il numero XI, che in missione in quel luogo ci era stato, lo riconobbe come Hermes, il messaggero degli dèi. Cosa ci fa qui? Si disse, mentre lo vedeva ritrarsi il più possibile, anche se, dalla sua posizione inginocchiata, con i polsi incatenati, non si poté muovere più di tanto.

Intanto, gli altri erano andati avanti a vedere chi altro fosse tenuto lì prigioniero, scoprendo, uno a uno, tutti gli dèi dell’Olimpo. Luxord si era avvicinato ad una donna dai corti capelli scuri afflosciata come se fosse priva di sensi, e sarebbe stata di sicuro per terra se e non fosse stato per le catene che le legavano i polsi e che la tenevano forzatamente in ginocchio. L’uomo accanto a lei, invece, forse in un tentativo di spezzare le catene, si era slogato entrambe le braccia, e, mentre il corpo giaceva bocconi, gli arti superiori si erano storti, scomposti. Faceva anche abbastanza senso.

La donna gemette, forse accorgendosi della sua presenza, e, con una fatica che si poteva facilmente immaginare dall’espressione sofferente, alzò lo sguardo su di lui. “Ade?” chiamò, scoraggiata, ma qualcosa nel suo tono di voce faceva capire che non credeva alle sue stesse parole. “Chi…?”

Luxord, in quel momento, cercava qualcosa da dire alla prigioniera, forse per tranquillizzarla, ma un grugnito che poi si era trasformato in un tono roco e burbero lo distrasse: Xemnas si era diretto al centro, dove vedeva la sagoma più imponente, e aveva attirato l’attenzione di colui che un tempo era il più potente degli dèi: “È la prima volta che qualcuno viene a farci visita. Chi siete, emissari di quel bastardo?” al contrario degli altri, aveva serbato più energia, la stessa energia che dava vita alla rabbia della sua domanda.

Xemnas cercò di studiare una risposta: di sicuro non erano nemici, perché in quel momento il loro nemico era lo stesso, ma si potevano considerare alleati? Il loro obiettivo non era mai stato liberare gli dèi prigionieri, anzi, neanche sapevano della loro cattura, ma potevano girare la situazione a loro vantaggio? Forse in quella condizione anche il più potente tra loro era inutilizzabile, ma sicuramente conoscevano il posto meglio di loro, quindi sì, valeva certo la pena liberarli. Oltre a farseli alleati con la gratitudine, avrebbero potuto usarli come guide e anche come combattenti, rimettendoli in sesto con gli incantesimi dovuti.

“No” rispose: “non avevamo in programma di liberarvi, non sapevamo nemmeno che foste qui, ma lo faremo volentieri.” A quelle parole si risvegliarono tutti quanti, anche l’uomo con le braccia slogate e ormai inutilizzabili, e un mormorio incredulo smosse l’aria pesante di polvere. “Tch.” Brontolò un giovane dai capelli biondi: “Tutta questa gentilezza… cosa volete in cambio?” le intenzioni di Xemnas erano state capite subito, ma poco importava, in quel momento erano loro quattro ad avere il coltello dalla parte del manico. “Beh, allora…” disse, e fece per andarsene. Gli altri tre rimasero immobili per un secondo, non capendo la strategia del Superiore, poi decisero di stare al gioco e fecero per seguirlo.

Fu Atena a richiamarli, gridando il più possibile: “Aspettate, ve ne prego!” facendo leva sulle ginocchia, si era sporta il più possibile verso l’esterno, in un tentativo vano di afferrare i loro unici salvatori: “Aspettate! Febo è un po’ scettico, ma perdonatelo, liberateci!”

La dea della Sapienza si era molto umiliata per richiamarli, pregarli, ma, saggiamente, aveva valutato bene che l’umiliazione di una preghiera valeva bene la libertà e la fine di quella prigionia che durava da anni. A quel grido, l’unica donna che ancora giaceva nell’intontimento della fame e della fatica, una donna che, nonostante i capelli sporchi e arruffati, la veste stracciata che non riusciva nemmeno a coprirle il seno, la pelle incrostata e nera di lividi, era ancora bellissima, si destò, mormorando sempre la stessa parola: “Anni, anni, anni…”

Forse era stata resa folle dalla prigionia, ipotizzò Marluxia, che aveva riconosciuto Afrodite solo dopo un’accurata analisi, infondo, per la dea della bellezza e dell’amore era difficile sopravvivere più degli altri, essendo diventato il mondo vuoto e privo del sentimento che lei manifestava con l’incantamento amoroso e la passione. Le era crollato tutto sotto i piedi, e il suo amore era stato disconosciuto e disprezzato, era solo una debolezza.

“Eccola che ricomincia…” mormorò il ragazzo chiamato Febo: “Ares, colpiscila di nuovo.”

A quel punto, l’uomo con le braccia slogate che si trovava tra la donna dai capelli corti e Afrodite, ridacchiò, sarcastico: “E con quale braccio, secondo te?”

Atena cercò di sfruttare quel triste dialogo per convincere gli unici loro salvatori, poiché aveva visto che, con la preghiera disperata di prima, era riuscita a bloccare l’allontanarsi dei quattro Nessuno: “Avete visto? Ormai siamo stremati, ve ne prego, liberateci!” e alle sue suppliche si aggiunse Poseidone, un po’ riluttante ma desideroso di liberarsi, e poi ancora Artemide: “Vi daremo qualsiasi cosa!”

Soddisfatto, Xemnas fece tornare indietro i propri sottoposti: “Liberateli.” E tosto Marluxia e Xaldin, tirate fuori le armi, tranciarono, non senza una certa fatica, tutte le catene. Man a mano che il clangore del metallo andava avanti, si sentivano, a intervalli più o meno regolari, i tonfi dei corpi degli dèi che, potendo respirare di nuovo come si deve, si lasciavano cadere per terra a prendere grandi boccate d’aria. Zeus, stranamente, non aveva proferito parola, si era semplicemente alzato e, barcollando, si era trascinato davanti al Superiore. La sua stazza era molto più grossa di quella di Xemnas, che si disse che probabilmente avrebbe potuto superare anche Lexaeus, e lo sovrastava di almeno cinque spanne. Lo guardò con un’espressione indecifrabile, come se dovesse assicurarsi della sua affidabilità, poi proferì parola, e la sua voce sembrava provenire da un’altra dimensione, tanto era solenne: “A nome di tutti gli dèi dell’Olimpo,” e mosse una mano dal polso martoriato a indicare la piccola folla in abiti stracciati che, zoppicante, si stava radunando dietro di lui: “Ti ringrazio e ti offro il nostro aiuto in qualsiasi occasione tu ne abbia bisogno, a te e ai tuoi compagni.” Guardò Xaldin, Luxord e Marluxia: “Però non convincerti del fatto che la vostra natura ci sia sconosciuta, e ti avverto, Moira vi è contraria.”

Luxord emise un grugnito scontento, ma fu Xemnas a rispondere per tutti e quattro: “Grazie dell’avvertimento, ma la fortuna è poco, rispetto alla volontà.” Detto questo l’aura solenne si disperse.

“Non so perché…” rise Ares, estraneo alla sensazione di orrore che le sue spalle al contrario e le braccia storte suscitavano: “Ma ho la voglia di fare a pezzi Ade.”

Stavano riprendendo vigore, gli dèi, e la vendetta probabilmente era la medicina migliore, almeno dal loro punto di vista, perché altri si unirono alla dichiarazione di Ares con altre ben più colorite. “Ah!” esclamò Ermes, aggiustandosi la tunica lacera: “Bisogna prima aggiustare i tuoi, di pezzi!”

Stavano riprendendo le forze molto velocemente, per essere stati prigionieri anni, ma l’espressione perplessa di Luxord fu rassicurata dal sorriso della donna dai capelli corti e scuri, che poi si presentò come Artemide: “Siamo divinità, ci basta poco per riprenderci.” Lui annuì, non sapendo cosa dire. Ben presto ogni pelle tornò luminosa come prima, ogni sguardo tornò fiero ed ogni voce sempre più alta, come se non riuscissero a contenere la voglia di far immediatamente sapere ad Ade del loro ritorno.

“Bene!” tuonò Zeus, rivolgendosi al messaggero degli dèi: “Ermes, tu vai a prendermi le folgori e fatti accompagnare da Efesto in caso ci sia bisogno di forgiarne altre.” Ma il dio fece spallucce: “Non ho i sandali alati, come faccio ad andarci? D’altronde le tue folgori sono insieme allo scudo e l’elmo di Atena, i miei sandali, l’arco di Artemide e tutto il resto, quindi nella stanza accanto a quella di Ade.”

Zeus sembrò ancora più imponente mentre squadrava con irritazione il dio di più bassa statura, per poi tuonare con crescente fastidio: “E l’utilizzo dei sandali ti ha inibito la facoltà di camminare?!” le mura sembravano dover crollare. A parte la loro natura divina, come poteva un essere riprendersi così velocemente da anni di stenti e prigionia? Pensando a questo, Marluxia si avvicinò alle catene, o a ciò che ne rimaneva dopo il passaggio della sua falce, e ne prese un anello: non sembrava in qualche modo un metallo molto forte, ma conteneva una consistente dose di magia reflex, e probabilmente era stato proprio quell’incantesimo a deflettere fuori la particolare forza divina dai corpi degli déi. Se si concentrava, poteva anche percepire quel piccolo anello che cercava di annullare il potere che vedeva essere contenuto nel suo, di corpo, e, sempre più interessato alla questione, raccolse il pezzo più lungo rimasto, che misurava più o meno come un suo braccio, e, dopo averlo avvolto in un pezzo di stoffa trovato lì vicino, lo ripose al sicuro dentro una tasca del cappotto. Aveva la sensazione che gli sarebbe servito, infondo non era un bene sottovalutare un metallo in grado di fermare la forza magica di un avversario.

“Numero XI, cosa stai facendo?” la voce di Xemnas lo sorprese mentre lasciava scivolare il trancio di catena nella tasca interna e, sempre sul filo dei propri pensieri, Marluxia pensò che la prima cosa che avrebbe potuto fare con quel metallo era strozzarci Il Superiore. Magari nel sonno. E poi si sarebbe divertito a infierire sul cadavere prima che l’Oscurità se lo mangiasse di nuovo. Fu per questo pensiero che, quando si girò a rispondere, sulle labbra sottili del Leggiadro Sicario si era formato un lieve sorriso che di amichevole aveva ben poco: “Stavo analizzando il terreno.”

Risposta che, tra l’altro, non convinse molto Xemnas, ma non fu ripresa in alcun modo, perché gli déi premevano per rivedere la luce del sole.

 

Corridoio sperduto nei meandri dell’Oltretomba, ore 03.17.

 

L’avvenimento straordinario atteso da Demyx non tardò a manifestarsi.

Dopo il secondo terremoto, il numero IX aveva rapidamente cominciato a spiegare a Vexen che in quel mondo, a parte i normali esseri umani, esisteva una casta di esseri superiori che la popolazione chiamava divinità e che gli individui di questa cerchia non molto ristretta erano caratterizzati da immortalità e onnipotenza, oltre alla capacità di potersi trasformare in qualsiasi cosa per nascondersi tra gli umani. “Perché queste cose non le hai dette a tutti prima che ci sparpagliassimo alla rinfusa per l’Oltretomba?” lo rimproverò Vexen, e lui non poté far altro che ammutolire. “Sei inefficiente come al solito!” sbottò, e avrebbe continuato con un sermone ben più lungo se non si fosse verificata un’altra scossa.

“Prima che tu possa riprendere a sbraitare” gli disse Demyx, aggrappandosi allo stesso grosso masso a cui erano corsi il numero IV e altri tre soldati per evitare di essere spazzati in lungo e largo per il corridoio: “Volevo dire che Demeter è una di loro!”

Nell’esatto momento in cui la sentenza del Nessuno si fece strada sulle sue labbra, una grande luce esplose dal corpo della loro condottiera, lacerando i muscoli sudati e tunica grezza per lasciare spazio ad un corpo ben più longilineo e seducente. I soldati, riconoscendo una delle loro, come aveva ben intuito Demyx, divinità, appena terminata la scossa si lanciarono ai suoi piedi, qualcuno persino per ardire a toccare la tunica di morbido lino bianco.

Estranei alla trepidazione della truppa ormai sconvolta dall’idea di essere sempre stati guidati da una dea, Demyx e Vexen rimasero indietro, mentre la luce sfolgorante man a mano andava scemando, lasciando intravedere una capigliatura mossa da vari riccioli tenuta ferma da un copricapo piatto e vagamente a forma di disco e un viso rigido e altero dalle lunghe ciglia e gli occhi tristi. “Numero IX, chi è quella donna?”

“Demeter, è la protettrice dell’agricoltura, ed infatti viene chiamata in un sacco di modi diversi, Malophoros, per esempio, tutti epiteti di origine bucolica.”

Vexen gli lanciò un’occhiataccia: “Non tentare di farmi il verso con i pochi vocaboli che hai sentito a caso da qualcuno!” ringhiò. Quando si metteva in discussione la sua scienza o si prendeva in giro la sua competenza anche la glaciale maschera da scienziato veniva sciolta dalla finta rabbia: non aveva mai permesso a nessuno di recriminare sulla sua capacità, non lo aveva permesso a Larxene, Axel e Marluxia una volta e non l’avrebbe permesso ad un fallito come il numero XI, perché era l’unica cosa che l’esperimento più disastroso della sua vita non era riuscita a strappare via, ciò che aveva bisogno di utilizzare per ottenere ciò che aveva perso, e solo la sua brillante intelligenza in laboratorio sarebbe potuto diventare il mezzo per arrivare al proprio cuore anche perché si era reso conto che sul piano fisico non era mai stato granché.

Aveva avuto molto tempo per rifletterci, mentre perdevano tempo alla tanto odiata vecchia villa di Crepuscopoli: ogni membro aveva un’utilità particolare sul campo di battaglia, tra il cecchino, l’illusionista e i vari combattenti in falce, coltelli, claymore e altre armi, mentre lo scienziato, lui, veniva valutato poco e niente. Si stupiva di come Zexion e soprattutto Xemnas potessero lasciar semplicemente correre, infondo anche loro erano scienziati come lui, – ed era merito dello studioso Xehanort se si trovavano ad affondare in quella schifosa esistenza, alla fine – perché non agivano? La salvaguardia e la difesa dei propri membri non è una prerogativa massima del Superiore? Perché lui sembrava sempre così lontano dalla loro realtà?

Non trovò risposta alle proprie domande – come avrebbe potuto? – perché Demeter, volgendosi indietro e allontanando con un gesto i soldati adoranti ai suoi piedi, si era avvicinata a loro due, che erano gli unici a non essersi inchinati, fissandoli con uno sguardo indecifrabile: “Vexen, Demyx” cominciò, rivelando un tono pulito, né gracchiante né astioso, forse un po’ distante, ma pulito: “So che al momento non capite in cosa siete finiti, voi che semplicemente cercate la serratura, ma permettetemi di spiegarvelo.”

“Mi pare invece che mi sia tutto abbastanza chiaro.” Replicò Vexen, le cui capacità di deduzione, nonostante la morte, erano rimaste intatte: “Se tu tendevi ad assumere un’altra forma significa che sei ricercata/sei in incognito, e il fatto che tu abbia organizzato un intero esercito è un chiaro indizio del fatto che vuoi muovere guerra ad Ade, magari anche per riprenderti qualcosa che ti è stato tolto, qualcosa che magari ti ha dato forza fino ad adesso.” Vexen parlava ed intanto spiava l’espressione della dea, che stava iniziando a incrinarsi: “Forse, un figlio o una figlia, o un amante? Un oggetto sarebbe più improbabile, se sei una dea sei in grado di ricrearlo facilmente…”

Demeter era rimasta in silenzio, ma il suo sguardo era diventato d’un tratto astioso, intenso, come se desiderasse che l’essere davanti a lei morisse immediatamente e Demyx non poté trattenersi dal fare qualche passo indietro, come per non voler immischiarsi in guai che altri avevano creato.

Evidentemente punta sul vivo, probabilmente infastidita dai mormorii dei soldati, la dea sembrò trattenere a stento la propria rabbia: “Sottospecie di essere umano, tieni a bada la lingua e sarò clemente non adempiendo immediatamente le predizioni di Moira!” la voce si era fatta vibrante e alta, tipica delle predizioni e degli oracoli, e, mentre la dea finalmente tornava all’altezza superiore alla norma caratteristica delle divinità, perfino Vexen fece un passo indietro.

“Che imprudente!” commentò uno dei soldati vicino a loro, per poi rivolgersi al numero IV con un tono sussurrato e saccente, come se fosse uno scempio che lui non sapesse: “Lo sanno tutti che Demeter vuole riprendersi la figlia, ci prova da anni, e questa potrebbe essere la volta buona!”

Demyx, intanto, per cercare di riparare al danno fatto dal proprio collega, in un bizzarro rovesciamento di ruoli in cui era lui a rimproverare e l’altro a essere rimproverato, dopo aver lanciato un’occhiata divertita a Vexen, parlò per giustificare la scarsa educazione del Freddo Accademico: “O Demeter, chiedo scusa per le parole offensive del mio collega, e ti pregherei di illustrarci la situazione, se non ti disturba.”

La dea divenne silenziosa, si girò e ordinò ai propri seguaci: “Marciate.”

Se Vexen avesse avuto un cuore, in quel momento l’unica cosa che avrebbe potuto dire sarebbe stata quella di essere profondamente umiliato. Xigbar avrebbe detto che si era dato una fucilata su di un piede, e in quel momento allo scienziato parve la maniera più giusta per commentare la propria saccente voglia di capire. Ma la cosa più umiliante in assoluto era stato essere salvato da quell’inefficiente smidollato che era il numero IX, solamente perché era già a conoscenza delle regole di quel mondo, mentre lui non vi era mai stato.

Demeter era alta almeno tre spanne in più rispetto ai normali esseri umani ma, nonostante la sua stazza superiore, il suo corpo manteneva una certa armonia, e Vexen si chiese se tutti gli déi che gli aveva descritto Demyx fossero così. E poi chi era Moira? Forse un’altra divinità?

Erano arrivati, marciando in silenzio e ogni tanto chiedendo a Demeter in che punto dell’Oltretomba si trovassero, senza però trovare risposta, ad una specie di anticamera dalla quale si dipanavano molti corridoi, come se si trovassero all’inizio di un labirinto.

La dea in quel momento sembrò aver ritrovato la voglia di parlare: “Qui dovrebbe esserci un Heartless molto pericoloso, detto l’Heartless della Discordia, perché è ciò che rimane di Eris, la dea del caos e della discordia, quindi state molto attenti che, in caso voi dovesse cadere nella sua rete, ne uscirebbe solo una guerra, dato che siete un centinaio.” Ma non sapeva che qualcun altro era già passato e aveva risolto il problema.

“Io non percepisco alcun Heartless.” Disse Vexen, guardando verso l’alto, che, alla fine, era l’unica posizione possibile per una creatura di grandi dimensioni, ma non vedendovi nulla.

“Che sia stato distrutto?” mormorò un soldato, provocando sussurri stupiti: “E chi avrebbe potuto farlo? Era troppo grande e troppo facile era cadere nella sua trappola!” rispose un soldato, tanto che Demyx, incuriosito, chiese ulteriori spiegazioni. “È un Heartless che è in grado di insinuare la zizzania anche tra i più grandi amici, influenzando il loro cuore con sentimenti negativi, e spesso fa in modo che coloro che cadono nella sua rete si uccidano a vicenda, perciò è molto pericoloso.”

Il numero IX rabbrividì, reprimendo la voglia irrefrenabile di scappare a gambe levate. Dopo un attimo di lucidità nel quale aveva impedito che Demeter spedisse Vexen di nuovo nell’Aldilà, il numero XI era tornato il solito di sempre, e, in quel momento, non avrebbe mai potuto capire cosa l’avesse spinto a pararsi davanti a uno che, tra l’altro, lo disprezzava nel profondo. Comunque sia, quel favore poteva benissimo riutilizzarlo per ricattare il numero IV, tutti sapevano quanto fosse orgoglioso, e certo non voleva che qualcuno venisse a sapere di certi imbarazzanti episodi, no?

 

Cuore dell’Oltretomba, ore 03.58.

 

Avevano tentato di rompere quella spessa barriera di terra una marea di volte, ed altrettante Cloud aveva provato a estrarre lo spadone, senza risultati, tanto che si era accasciato, esausto, senza però spostare le mani dal manico. E, come se non bastasse, Jack era in pericolo e non poteva aiutarlo.

Saïx, arrendendosi all’evidenza dei fatti, aveva ordinato ai soldati di accamparsi e di aspettare ulteriori sviluppi, ed Axel aveva avuto da ridire: “Come accamparsi!?” aveva esclamato: “Ma potremmo semplicemente cercare un’altra strada, ci riusciremo, siamo almeno cento! Non ci faremo certo fermare!”

Saïx l’aveva guardato con il tipo di occhiata che si riserva agli acerrimi nemici e alle persone che si odiano profondamente, cosa che atterrì non poco Axel, dato che quello stesso sguardo era anche quello che assumeva prima di andare in bersek. Non che avesse detto nulla di male, era un suo diritto contestare una decisione di un superiore se esso non aveva esplicitamente escluso ogni protesta, ma evidentemente essere messo in discussione da lui aveva oltremodo infastidito il numero VII, pertanto non protestò ancora e si sedette accanto al soldato con cui era entrato precedentemente in confidenza, quello che gli somigliava, che, nel frattempo si stava sbracciando per farlo sedere vicino a lui.

“Hey, ma quello ti odia particolarmente?” chiese, passandosi una mano tra gli arruffati capelli biondi: “Ogni volta che ti guarda sembra covare l’immenso desiderio di ucciderti!”

Axel ridacchiò, come se la cosa per lui non avesse peso: “Beh, penso che tu abbia ragione.” Poi guardò Saïx, seduto esattamente all’opposto dello spazio di terra che stava davanti al fango solidificato: “Ma non credo sarebbe capace di odiarmi, neanche se volesse.”

Il giovane soldato osservò l’espressione di Axel, incuriosito: “Che intendi? Siete forse…” dall’esitazione che percepì nel suo tono, il numero VIII si rese conto che stesse per dire qualcosa di scomodo, anche per lui che riusciva sempre a girare la situazione a suo favore, ma non riuscì a fermarlo: “amici?”

Prima di rispondere, Axel si prese il tempo per girarsi nuovamente verso la direzione di Saïx, che in quel momento stava ascoltando qualcosa che gli stava riferendo Xigbar, ma poi rispose con semplicità: “No, io non ne ho…” non valeva la pena specificare, non aveva la benché minima intenzione di attirare l’attenzione di Saïx con un discorso su Roxas, ma non riuscì a impedire alla propria espressione di incupirsi. Ogni pensiero sul numero XIII ormai per lui era tabù, dato che, non sapeva in che modo, ogni volta che rimandava la mente al fatto che non avrebbe mai potuto vederlo in quella vita, si sentiva più vuoto del solito, come se non mancasse solo il cuore, ma tutta la sua anima, come se avesse lasciato nell’Aldilà tutto ciò che potesse dargli forza. Un motore privo di carburante, ecco come si sentiva.

Il soldato, nel frattempo, aveva studiato l’espressione seria di Axel e, pensando che qualcosa non andasse, decise di non intromettersi, e il dialogo finì lì.

Saïx spiò un attimo Axel, dedicandosi poi ad altre attività. Non gli importava ormai più nulla del numero VIII, c’era solo il vuoto.

“Potremmo mandare qualcuno a trovare un’altra strada.” Propose Naminé, e Saïx stava per risponderle, ma avvertì uno scalpiccio cadenzato avvicinarsi sempre di più, perciò scattò in piedi, seguito da Xigbar che, da bravo cecchino, aveva avvistato delle figure muoversi attraverso l’oscurità della galleria d’entrata. “C’è qualcuno?” chiese Riku, evocando il proprio Keyblade, seguito da Kairi.

Anche le figure nella galleria si arrestarono, in allarme. “Chi è là?” chiese una voce fredda che fu riconosciuta molto velocemente: “Numero IV?” chiamò Saïx, assottigliando lo sguardo, e tosto spuntarono dal buio il numero IV e il numero IX, seguiti da Demeter ed il resto dell’esercito. Tra i soldati già accampati si fece strada un mormorio eccitato e sollevato al sapere i propri compagni al sicuro e al vedere l’esercito riunirsi senza i tristi annunci di perdite di uomini.

“Non siete ancora entrati.” Osservò Vexen: “Ci siamo diretti qui pensando che aveste già varcato la soglia per il Cuore dell’Oltretomba, e credendo vi servisse aiuto.”

“Infatti” continuò Demyx: “Sotto di noi c’è Kore, una donna che controlla un numero spropositato di Heartless, tanto da sconfiggere un esercito.”

Xigbar rise: “Ah!, non ti preoccupare, non c’è assolutamente pericolo!” e allargò le braccia, indicando con una mano il lago solidificato: “Come, vedi, è impossibile entrare!”

Demeter, rimasta in disparte tutto il tempo, rimuginando sulle parole di Vexen che tanto l’avevano irritata, all’improvviso si riebbe e si fece avanti in tutta la sua imponente altezza. I soldati che la videro in quel momento si gettarono ai suoi piedi, meravigliati e devoti, ma lei non sembrò neanche farvi caso e si diresse verso il bordo. Dava la schiena a tutti, perciò nessuno riuscì a leggere la sua espressione, ma, dopo aver osservato per qualche minuto la roccia, circondata dal silenzio dei presenti fermi a fissarla, crollò in ginocchio, tanto che non furono pochi quelli che si scapicollarono a consolarla.

“Cos’è successo?” chiese Kairi a Demyx, e lui scosse la testa: “Temo che si sia resa conto del fallimento, ma non saprei dirti…”

Demeter si era lasciata andare alla più grande disperazione, alle lacrime e alle maledizioni, e non c’era parola che la potesse distogliere dal pensiero di quella barriera impenetrabile, tanto il dolore l’aveva sopraffatta. Sua figlia… sua figlia la chiudeva fuori, la estraniava, la odiava… non c’era pensiero più umiliante e terribile, perché sapeva benissimo che era stata Kore, sua figlia, a chiudere l’accesso al cuore dell’Oltretomba, d’altronde era lei che aveva il controllo di quella parte, lo aveva saputo con tanti, tanti anni di appostamenti e informazioni datele da Hercules, che era anche stato catturato, per questo.

Ma si sentiva anche arrabbiata: che figlia ingrata cerca di allontanare la madre, una madre che, tra l’altro, ha già tanto penato per lei? Quando era stata rapita da Ade non aveva fatto altro che cercarla, e in quel momento si sentiva come se fosse stato tutto inutile: l’Oscurità era entrata nel suo cuore, ormai, e la colpa era proprio del signore degli Inferi.

“Credo che tu debba fornirci qualche spiegazione.” Esordì Saïx, destando stupore nell’esercito per il suo tono freddo e privo di educazione, e Demeter, quasi a scatti, si girò verso di lui. Non si sapeva dire cosa avesse visto di rassicurante nel volto impassibile del numero VII, ma non lo rimproverò e cominciò a spiegare: “Come hanno capito i tuoi colleghi” e indicò con un cenno della testa Vexen e Demyx: “sono una dea, una dei tanti esseri superiori che governano questo mondo, o meglio, che governavano questo mondo prima che tutti venissero imprigionati e Ade prendesse il controllo. Io sono riuscita a scappare prendendo le sembianze di una vecchia donna e facendomi aiutare da Hercules, e ho giurato di riprendermi mia figlia Kore che, per circostanze che non vi spiegherò, è diventata sua moglie. Però, le cose sono andate peggiorando, e Ade ha esteso l’Oltretomba, aumentandone il potere, ha rinchiuso tutti gli altri dèi e catturato Hercules, e noi eravamo l’ultimo baluardo per la libertà. Sapete, il governo di Ade è molto oppressivo in particolare nei confronti dei contadini, i miei protetti. Poi, però, quando ho incontrato Vexen ho capito che il Destino mi avrebbe aiutato, che già mi aveva mandato un valente guerriero e me ne avrebbe mandati altri, e così è stato.” Indicò tutti i presenti. “Solo che ora siamo prigionieri e bloccati.” Concluse, abbassando lo sguardo: “Kore non mi farà mai passare.”

“Guerre tra dèi e difficoltose relazioni familiari” grugnì Xigbar, appoggiando il gomito su di un ginocchio e il mento sul pugno: “proprio bello questo Olimpo, uno dei mondi più semplici.”

“Questo perché non sei stato nel Paese delle Meraviglie o a Port Royal.” Provò a ironizzare Naminé, ma il suo tono spento non aiutava a capire il senso sarcastico della frase.

Axel si alzò: “Beh, ora non possiamo far altro che accendere un bel fuoco e aspettare, magari mangiando qualcosa, eh?”

Improvvisamente nella mente di tutti comparve per la prima volta una delle falle del piano d’azione: la fame. Non avevano alcun approvvigionamento. Né cibo, né acqua.

“Oh, perfetto” brontolò, appoggiandosi al muro: “E ora, dato che lo spazio è poco, si starà anche stret-AAAH!”

All’improvviso, Axel non c’era più.

 

Corridoio, ore 04.10.

 

La via d’uscita individuata da Xaldin si rivelò utile per uscire da quella sala, ma consisteva in un lunghissimo corridoio che scendeva ancora più in profondità, e non verso la luce. Intanto, tutti e quattro i Nessuno erano stati informati delle regole dell’Olimpo, inclusa quella della misteriosa Moira, e quella in particolare non andava loro particolarmente a genio. Zeus aveva chiaramente detto che Moira era contraria ai Nessuno, e ora sapere che la sua identità era semplicemente il Destino e che non si poteva in alcun modo revocare non aiutava la situazione. Praticamente, perdevano in partenza. Almeno questo è quello che pensava Luxord, e il numero X sapeva che questo non aveva influenzato minimamente i comportamenti degli altri tre suoi colleghi, men che meno Xemnas, che tanto si affidava alla volontà umana. “Gli uomini deboli scelgono di credere in qualcosa al di là delle nubi, perché non sanno modificare il corso degli eventi da soli. E tu ti affidi alla tua Dea Bendata perché non hai il coraggio di assumerti le tue responsabilità.” Era una frase con la quale Il Superiore l’aveva accusato di inerzia, e mai era uscita dalla sua testa, e in quel momento sperò che fosse l’eccezione che confermava la regola, perché non aveva voglia di morire così presto.

Ma, se i pensieri di Luxord si avvitavano su argomenti incerti come le decisioni del fato, quelli di Marluxia erano molto più concreti: era passata un’altra ora, ancora quattro e Larxene avrebbe fatto saltare in aria tutti. Si disse che, come al solito, quella donna fosse solo una gran testa calda. Fosse stato lui, al suo posto, avrebbe di sicuro trovato un piano per uccidere i nemici senza coinvolgere elementi utili alla missione successiva, invece che minacciare un’esplosione con il rischio che nessuno venisse avvertito.

Ma i suoi pensieri durante la marcia lungo il corridoio furono interrotti da una mano che gli si posò sulla spalla con una certa rudezza e, voltandosi, vide Zeus. “Tu sei già stato qui molto tempo, vero?” era un sussurro praticamente inudibile, e Marluxia, prima di rispondere con un piatto “in missione” si prese il tempo di pensare come fosse strano che una voce tonante come quella di Zeus potesse bisbigliare così piano. La presa sulla spalla si fece stretta come una tenaglia, e il numero XI dovette reprimete l’istinto di piegarsi per evitare il dolore: “No, tu hai vissuto qui per molto tempo, io mi ricordo di te, tanto tempo fa… eri un ragazzo.”

Il braccio scattò a scacciare quella mano pesante: “Ti sbagli, mi starai confondendo con qualcun altro.” E, detto questo, allungò il passo.

Quello è ciò che veniva definito un ricordo indiretto, cioè una memoria che non viene fornita da un naturale sforzo della mente, ma che, invece, viene proposta dai ricordi di qualcun altro, e raramente accadeva, ma Marluxia era cosciente di aver appena trovato un pezzo di sé stesso in Zeus. Non riusciva a comprendere come quel pezzo potesse combaciare con gli altri, dato che non rammentava nessun soggiorno nell’Olimpo, ma ne fece tesoro. Che dovesse cercare lì per trovare gli altri suoi ricordi? C’era qualcun altro che sapeva di lui, che magari lo conosceva? Forse… forse avrebbe ricordato.

E fu per questo che, invece di continuare a seguire la piccola folla di divinità, rallentò il passo, rimase ultimo e, dopo essersi assicurato che nessuno si voltasse, ripercorse i propri passi e sparì dall’altra parte del corridoio, nell’oscurità.
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Popolo: LarcheeX, qual è il tuo concetto di "non si faranno attendere molto"?
LarcheeX: due o tre settimane, perchè?
Popolo: ALLORA CI DICI PERCHè DIAMINE SONO PASSATI QUASI TRE MESI DALL'ULTIMO AGGIORNAMENTO!?
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Ahem. sì, lo so, sono imperdonabile, ma non è colpa mia. Il capitolo non è giunto per una serie di motivi:
1. Il mio computer si riavviava dopo cinque minuti, e io in cinque minuti non riesco a rivedere e correggere un intero capitolo, mettergli l'HTML e postarlo.
2. Microsoft Word, cioè ciò che uso per scrivere, si era impallato e non mi faceva aprire nessun documento superiore alle 15 pagine, e Penumbra attualmente ne conta 73.
3. Sono partita, e in college non ho potuto assolutamente toccare un computer.
4. Da me è mancata la corrente per una settimana e, niente corrente, niente connesseione.
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Fine.
HowevaH, il capitolo nuovo è arrivato, no? Non siete contenti?
Ebbene sì, Marluxia è un amabile traditore <3
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Allora, in questo capitolo c'è qualche rinvio alla mitologia greca, quindi qui c'è il vocabolarietto per chi non si ricorda qualcosa:
Kore: anche detta Persefone, chiamata Proserpina o Libera dai Romani, è figlia di Demeter ed è stata rapita da Ade, che la voleva in moglie;
Demeter: dea dell'agricoltura e della fertilità, dopo il rapimento di Kore ha passato tutta la sua vita a cercarla, non curandosi della natura e facendo appassire tutto;
Zeus: padre degli dèi, usa le folgori;
Hermes: messaggero degli dèi e protettore dei ladri e dei viaggiatori;
Ares: dio della guerra;
Afrodite: dea dell'amore, della passione e della bellezza;
Artemide: dea della caccia;
Atena: dea della sapienza e della guerra;
Poseidone: dio dei mari;
Efesto: il fabbro degli dèi;
Ade: lo conoscono tutti :DDD

ovviamente voi conoscerete già tutti, ma io ho messo qui l'elenco per sicurezza ^^
e, ah, scusate se questo capitolo è molto lungo ç____ç
ho finito! Alla prooossima!

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Capitolo 14
*** Piani falliti e situazioni accomodate ***


Piani falliti e situazioni accomodate.

 

Cuore dell’Oltretomba, ore 04.12.

 

Nel momento in cui Axel era sparito, quelli che si trovavano vicino a lui, primo tra tutti il soldato che era entrato in confidenza con lui, scattarono in avanti per vedere che fine avesse fatto, ma trovarono solo un impassibile muro di roccia. Non potevano nemmeno tentare di riprodurre i movimenti del numero VIII, perché metà del suo corpo era coperto da un masso, ma qualcosa era sicuro: c’era un meccanismo lì, tra le pietre, e Axel lo aveva attivato per sbaglio.

“Accidenti, ma dov’è finito?” chiese il soldato, esaminando la roccia palmo a palmo: “Non trovo niente che somigli a una leva o ad un pulsante!”

“Beh, l’Oltretomba è pieno di passaggi del genere, e non sarebbero segreti se fossero così facili da individuare.” Replicò un altro soldato, volgendosi poi a Demeter: “Mia signora, dovremmo andarlo a cercare?”

“Non importa.” Intervenne Saïx: “Riuscirà a ritrovarci.”

Ma lui non è il secondo in comando? Non dovrebbe preoccuparsi dei propri compagni? Si chiese Kairi, ma ovviamente lei non sapeva quasi nulla della storia di Saïx e Axel, e proprio per paura per suscitare l’irritazione del numero VII che si stette zitta. Inutile dire che, sebbene lei non dovesse temere molto da parte sua, Saïx le incuteva ancora un certo timore.

“Giusto.” Disse Xigbar, alzandosi. Gli stavano venendo i crampi alle gambe. “Ora che ne dite di cercare un modo per entrare?”

 

Corridoio accanto alla sala di prigionia degli dèi, ore 04.40.

 

Marluxia si era allontanato abbastanza dal gruppo, ma, sebbene gli altri non fossero affatto vicini, affrettò il passo, temendo che, non appena Xemnas si fosse accorto della sua sparizione, avrebbe mollato tutto e tutti e si sarebbe gettato al suo inseguimento. Capiva bene che la missione era una delle priorità, ma aveva automaticamente anteposto i propri ricordi. Se Zeus diceva il vero, quello era il suo mondo, il luogo dov’era nato e cresciuto, dove magari vivevano ancora i suoi genitori, dove la matassa aggrovigliata della sua vita, di cui aveva in mano solo un piccolo filo, si era srotolata e snodata, dove doveva per forza esserci un segno del suo passaggio, magari una piccola impronta che ammiccava verso di lui, in attesa di essere scoperta ed interpretata. Avrebbe preferito non separarsi dal gruppo per non destare immediatamente i sospetti del Superiore, ma i suoi ricordi avevano precedenza assoluta, anche più di Larxene e la sua maledetta testa calda.

Sulla via del propri passi, Marluxia ebbe modo di pensare a come riuscire a risalire senza usare il proprio potere, bloccato dalla maledizione, e aveva risolto il problema con l’unica soluzione possibile, cioè una lunga e pericolosa arrampicata. La cosa non gli piaceva affatto ma non avrebbe potuto fare altrimenti: avrebbe potuto generare una pianta tanto alta da portarlo in superficie, ma le condizioni generali glielo impedivano. Se avesse avuto fortuna avrebbe trovato qualcosa a cui aggrapparsi per tutta la scalata.

Giunse alla sala della carcerazione degli dèi con una sorta di passo frettoloso, forse modulato dalla preoccupazione costante di essere seguito e, con dei movimenti febbrili, si avvicinò in fretta alla parete di roccia lungo la quale erano caduti, calcandosi il cappuccio sul  capo per confondersi con la penombra dell’ambiente. Se ci fosse stata Larxene probabilmente si sarebbe fatta quattro risate: il suo sorriso affabile e sarcastico si era tramutato in una sorta di smorfia pensosa che si addiceva maggiormente a Saïx, e non a lui.

Nel momento esatto in cui realizzò ancora una volta la figura del numero XII nella sua mente fu fulminato da una domanda terribilmente logica: se si trovavano nell’Oltretomba, dove quindi Larxene si trovava a sua volta, come avrebbe fatto a usare la sua bomba a tempo?

Quell’idiota! Si trovò a pensare Ha creato tanto scompiglio per nulla! Quando imparerà a ragionare col cervello!? Sperava che anche Xemnas si fosse accorto di quell’incongruenza, ma poi, si disse, non gli importava granché. Che Il Superiore corresse di vicolo in vicolo, se volesse, ma lui non avrebbe assolutamente perso tempo in quel modo.

La scalata fu più semplice del previsto, dato che trovò tantissimi appoggi per la sua salita, e non si dovette neanche preoccupare della paura di cadere, dato che non avrebbe potuto provarla. Inoltre, era tutto così buio che anche se Xemnas fosse arrivato, non avrebbe assolutamente potuto vederlo.

Arrivò in cima verso le sei.

 

Sala interna del Cuore dell’Oltretomba, ore 05.23.

 

Ade se l’era presa schifosamente comoda a spiegare dove fossero, cosa stessero facendo e dove dovessero andare, perché probabilmente voleva testare Larxene, che, se avesse mostrato un minimo di impazienza, lo sapeva, sarebbe stata immediatamente dichiarata spia. Più tempo passava, però, più si dava della stupida: aveva gettato l’amo e aveva detto la propria frase segreta senza pensare al fatto che fosse nell’Oltretomba, quindi era incapace, almeno in quel momento, di scatenare il cannone elettromagnetico. Inutile dire che le strategie erano prerogativa di Marluxia, lei era sempre stata utilizzata come strumento e raramente aveva potuto pensare un piano efficiente, quindi per forza quel suo tentativo di fare a modo suo era andato a farsi fregare! Odiava sentirsi inferiore, ma in quel momento l’unico pensiero che riuscisse ad elaborare era la sua totale sconfitta. Aveva ragione lui quando la chiamava testa calda.

Lanciò un’occhiata prima a Léon, poi ad Ade. Mentre il primo aveva conservato la propria espressione impassibile e guardava fisso davanti a sé, il dio sembrava davvero preoccupato: che gli intrusi fossero penetrati in profondità, fino alla serratura? Re Topolino gli aveva tassativamente proibito di far avvicinare il personale, quindi figurarsi dei nemici! E poi, avendo i Keyblade avrebbero benissimo potuto aprirla, e sapeva fin troppo bene che ne servivano tre per sigillarla, quindi sarebbe stato impossibile chiuderla, con due traditori.

Larxene sperava che gli altri fossero avanti, che l’avessero già aperta, anche se non era così ottimista, era già così stanca dell’aria pesante dell’Oltretomba che avrebbe fatto di tutto per uscire. E, non per ultima cosa, voleva che qualcuno avesse già inconsciamente rimediato alla sua stupidaggine, che aveva dato false speranze e si era rivelata inutile.

Solo che, arrivando davanti alla serratura, non trovarono nessuno. Ade rivolse un sorriso tronfio e rilassato a loro due: era evidentemente sollevato dal fatto che l’incolumità sua e del suo regno fosse ancora inattaccabile. Anche perché, se non erano riusciti a trovarla in quel momento, spiegò, non avrebbero potuto trovarla mai più, perché aveva appena deciso che sarebbe rimasto lì di guardia “insieme alla mia adorata moglie.” Non appena menzionò la parola moglie indicò la colonna della serratura, dove, Larxene non l’aveva assolutamente notato, era imprigionata una fanciulla. La pietra ormai le aveva mangiato il corpo fino all’inguine e le teneva le braccia appese per i polsi, mentre la testa ciondolava verso il petto nudo. Ade sorrise con soddisfazione: “La figlia della dea della fertilità non poteva trovare un posto migliore che sopra il più importante oggetto del mio regno nella più importante stanza del mio multiforme palazzo.” Sembrava un complimento, anche se Larxene non riuscì ad intenderlo come tale.

La fanciulla alzò il capo biondo, posando su di loro un paio di occhi scuri, tristi: “Sì, mio signore.”

“Lei è a capo della più grande armata di Heartless di tutti i mondi!” tuonò lui: “E ora sta per essere scatenata!”

Sebbene si trovassero non solo sotto l’ormai dura coltre di fango, ma anche parecchi corridoi più in fondo, lei era sicura che l’ultima frase avesse rimbombato per tutto l’Oltretomba, dato che il pavimento sembrava aver tremato.

Od era qualcos’altro?

 

Stanza di comando dell’Oltretomba, ore 05.23.

 

Nell’esatto momento in cui era caduto aveva pensato di essersi rotto la schiena, perché aveva sentito un intenso dolore tra le spalle, ma poi si era alzato e si era accorto di essere franato sopra un povero porcospino di passaggio. L’animaletto se ne stava mezzo tramortito nel buio, e si riebbe solo quando Axel, con quel poco tatto che aveva, lo aveva afferrato sotto le zampe anteriori e lo aveva scrollato con energia.

Quel porcospino gli aveva istillato una strana voglia di ridere, perché un animale piccolo ed indifeso come quello era decisamente fuori posto rispetto a tutta quella situazione, e, anzi, probabilmente stava semplicemente scappando dal trambusto di tutti i soldati che erano appena arrivati e lo avevano cacciato dalla sua tana.

Dopo essersi assicurato la compagnia di quell’animale confuso, si guardò intorno: “Dove cavolo sono finito?”

Aveva parlato senza neanche aspettarsi una risposta, né dal porcospino – come avrebbe potuto? – né dal luogo in cui si trovava, senza neanche pensare che ci potesse essere qualcuno, ma, non appena pronunciò la domanda avvertì un ringhio sommesso e una voce fredda e femminile: “Sala di comando dell’Oltretomba, Nessuno.”

Si accese una torcia, e lui si ritrovò in una piccola stanza completamente vuota se non per due meccanismi di corde e rotelle collegati a due leve. Accanto a lui, c’era un enorme corpo legato come un salame, e riuscì a distinguere un volto dall’espressione ottusa. Un classico gigante forzuto dal cervello di gallina. Accanto a lui, una donna esile con dei capelli mossi e sciupati che le ricadevano sul viso e sulle spalle con mollezza. Evidentemente un tempo erano stati ben curati. La donna aveva due occhi viola freddi come il ghiaccio, e fu solo dopo qualche secondo che Axel riuscì a ricordare dove li avesse già visti: “Tu sei la donna che ci ha aperto le porte quando ci hanno catturato!” esclamò, puntandole contro un dito, come a minacciarla di non negare l’evidenza, ma lei non sembrò sconvolta dal fatto che la sua identità fosse stata svelata, anzi, si presentò: “Mi chiamo Megara.”

“Che ci fai qui?” chiese lui, ma Megara alzò un sopracciglio: “Cosa ci fai tu qui!” rimbeccò, glaciale e lui, non sapendo se dire che aveva per sbaglio attivato un passaggio segreto, fece spallucce, e alla fine Megara disse: “Io sono qui perché ho scoperto il modo per distruggere la barriera che si è indurita per non far passare il mio esercito.”

Qualcosa non quadrava: “Il tuo esercito?” chiese, aggrottando le sopracciglia: “L’esercito di Demeter, vorrai dire!” non avrebbe potuto dire cosa peggiore, dato che lei si infiammò subito: “No, il mio! L’ho allestito io per vendicarmi della cattura di mio marito!” ringhiò: “Non ve l’ha detto mio figlio?!” sembrava davvero arrabbiata. Demeter aveva fatto intendere un’altra cosa, si disse Axel, ma poi che importava? Tanto il fine era sempre uccidere Ade, quindi cosa cambiava dicendo di Demeter o di Megara?

“Come vuoi.” L’accontentò, per poi cambiare discorso: “Ma se hai trovato il modo, perché non lo usi?” e quella volta toccò a lei fare spallucce: “Ci sono due meccanismi, non so quale attivare.”

Capiva il problema. Come poteva tirare una leva a caso senza sapere cosa sarebbe successo? Poteva anche essere una trappola. Il gigante dietro di loro ringhiò ancora una volta, e Megara gli assestò un calcio: “Si combatte tra poco, stupido essere, sii paziente!”

Non aveva in effetti un vero motivo per prendersela col gigante, in fondo non aveva mai fatto particolare rumore, e scommetteva che, per essere legato in quel modo, lo avevano aggredito almeno in dieci. Era solo un po’ frustrato. Quella impaziente era proprio lei, che percepiva di star perdendo tempo appresso ad un marchingegno che non offriva indizi per essere utilizzato.

“Beh, alla fine, si tira ad indovinare.” Si espresse tutto ad un tratto, facendo qualche rapido passo verso le leve e, ignorando le preghiere della donna di non fare assolutamente nulla di stupido, che non voleva ancora morire, che sbagliando avrebbe mandato tutto a monte, posò la mano su una delle due e tirò con tutte le sue forze: l’unico risultato fu un rombo anche abbastanza vicino, che scosse la terra e fece urlare a Megara tutti gli insulti possibili.

“Hai rovinato tutto! Ora moriremo tutti!”

 

Cuore dell’Oltretomba, ore 05.38.

 

La terra tremò un’altra volta, ma in quel momento sembrava che la scossa provenisse da estremamente vicino, perché fu decisamente più violenta. Inoltre, non fu come le altre, che in qualche modo potevano essere naturali poiché erano cominciate piano per poi diventare più intense, ma era iniziata con violenza, come se la base del pavimento fosse venuta meno all’improvviso, e in un certo senso, era proprio quello che era accaduto. Dopo qualche minuto che tutti i soldati impiegarono a rialzarsi e mettere apposto gli scudi, si accorsero della situazione, e il primo fu Cloud che, forse per controllare, lanciò un’occhiata nel punto in cui il suo spadone era incastrato, non trovandolo. Passò circa un secondo, in cui lui realizzò cosa quello volesse significare, e si lanciò verso il bordo di quella che prima era la piscina infernale, spalancando gli occhi: il fango indurito era completamente franato un piano più in sotto, dove riusciva a scorgere la propria arma, lasciando quindi via libera per entrare nel cuore dell’Oltretomba.

“Questo semplifica le cose.” Ghignò Xigbar, lanciandosi giù. Riku e Kairi, avvicinandosi anche loro al bordo, provarono a fermarlo, ma, prima che anche Demeter potesse aprir bocca, quello si era già buttato. “Cosa stai facendo, numero II?” disse Saïx, assottigliando lo sguardo. Sebbene non avesse alzato il tono della sua voce, quella arrivò con facilità alle orecchie a punta del cecchino, che rise: “Non ti sto tradendo, non ti preoccupare!” allargò le braccia: “Faccio solo una piccola ricognizione, non posso?” Saïx non disse nulla. Sebbene gli avesse dovuto ricordare di essere il secondo in comando, si trattenne dall’evidenziare la propria superiorità, poiché fin troppe volte Xemnas lo aveva avvertito che i suoi antichi colleghi, per quanto potesse ricordare, non erano persone a cui piaceva essere subordinati a qualcuno, e che perciò doveva trattarli con la dovuta cautela.

Riku voleva dire qualcosa a Saïx, di richiamare Xigbar, ma anche lui si arrese, rivolgendosi a Demeter: “Sarebbe meglio che anche noi scendessimo, avete delle corde a disposizione?”

“Sì, potremmo legarle a delle rocce e calarci giù.”

Proprio quello che lui voleva evitare: legare le corde alle rocce significava lasciare una traccia e, benché ormai la loro presenza non fosse più tanto inosservata, sarebbe stata una buona idea non dare idea a chi li seguiva, se c’era qualcuno che li stava seguendo, di cosa avessero fatto.

Demeter sembrò interpretare il suo pensiero, e disse, con un tono che sembrava di chi avesse la soluzione a tutti i problemi: “Non ti preoccupare, Rial rimarrà qui a controllare le corde e slegarle una volta finito, poi potrà saltare giù. In fondo, è per un quarto divino quindi dovrebbe resistere all’impatto.” E gli indicò il ragazzino con i capelli boccolosi: “Ehi Rial! Vieni qui!” gridò, con la sua voce tonante da dea, e tosto il ragazzino caracollò da loro.

“Sì?” chiese, tenendo con una mano la sua lunghissima asta. Al contrario del resto della truppa, che si rivolgeva a Demeter con un sacco di epiteti gloriosi e alti, lui, forse per la sua innocenza infantile, sembrava stesse parlando con un vicino di casa, tanto era informale il suo tono. Demeter non volle farci caso, e gli spiegò la situazione: “… e quindi, dopo che tutti si saranno calati, dovrai sciogliere tutte le corde dagli appigli e saltare giù. Pensi di farcela?”

Il ragazzino annuì con energia: “Certo che sì, del resto mio papà è il grande Hercules!” esclamò, con un sorriso a trentadue denti.

“Bene.” Borbottò la dea, per poi alzare la voce, rivolgendosi a tutti i suoi soldati: “Ora, legate tutte le corde che avete ad un appiglio e calatevi giù.”

Alla fine, riuscirono a scendere in fretta, nonostante fossero almeno un centinaio, anche perché Xigbar, reso frettoloso dalla voglia di combattere, aveva deciso di utilizzare un tipo di proiettile che non aveva mai pensato di usare: si trattava di un gancio a quattro punte che, sparato, si attaccava ad una superficie e produceva una corda molto resistente. In questo modo avrebbe potuto velocizzare la discesa di quel piccolo esercito.

Cloud fu il primo a toccare il suolo, e, appena posò i piedi sul terreno, si lanciò a recuperare la propria arma. Xigbar si accorse che anche lui, a dispetto della solita espressione calma e composta, era piuttosto impaziente, e probabilmente era perché voleva riprendersi il suo amico pirata. Era piuttosto evidente che fossero molto legati e Xigbar, dal basso della sua misera condizione, non era in grado di comprendere un’amicizia come la loro, forse perché non ne aveva mai avute. Per questo motivo non disse nulla quando vide Cloud allontanarsi alla ricerca di Sparrow. Alla fine non doveva neanche essere troppo lontano, dato che dovrebbe essere stato abbastanza intelligente da non inoltrarsi in un posto che non conosceva senza nessun compagno.

Furono tutti giù in un tempo relativamente breve, e decisero di dirigersi in un corridoio più largo degli altri. Se era come Demyx diceva, e cioè che nel cuore dell’Oltretomba c’era un’armata di Heartless, di sicura la via che poteva permettere un rapido passaggio di quest’ultima era senza dubbio la più larga.

“Avverti la presenza di qualcuno?” chiese Riku a Saïx, e tutto quello che ricevette fu una scrollata di spalle. Che fosse impensierito dalla scomparsa di Axel?

 

Sbocco del corridoio, ore 05.57.

 

“Manca il numero XI!” gridò Luxord, dopo aver contato almeno tre volte tutti i presenti. Chissà da quanto se n’era andato… che stesse progettando un altro tradimento?

“Cosa!?”

Xemnas si bloccò lì dov’era arrivato. Riusciva a vedere, a dispetto dell’oscurità che li circondava, una sorta di uscita, e questo, in qualche modo, gli aveva sollevato il morale, ma sentire che Marluxia si era allontanato senza dire nulla gli aveva rovinato di nuovo l’umore. Ci mancava solo che quell’idiota rovinasse tutta l’operazione per una ripicca nei suoi confronti. Ma, purtroppo, quella notizia aveva portato nuovi dubbi nella mente del Superiore: se Marluxia aveva programmato tutto, era possibile che avesse mentito fin dall’inizio, anche sul messaggio in codice di Larxene, e quindi che avesse già progettato di allontanarsi. Si diede dell’idiota per aver dato fiducia al numero XI, fiducia che, tra l’altro, neanche si meritava, visti i suoi precedenti ma, piuttosto di continuare a rimproverarsi, provò a pensare dove sarebbe potuto andare. Nella sala dove avevano liberato gli dèi non c’erano altre vie d’uscita, aveva controllato un sacco di volte, quindi l’unica soluzione era che volesse fare all’indietro il percorso con cui erano giunti fino a quella sala tonda. Si consolò dicendosi che, comunque, sopra quel crepaccio c’era Zexion che, di sicuro, era rimasto ad aspettarli e che, quindi, poteva fermarlo, e ci sarebbe di sicuro riuscito, dato che sapeva benissimo di essere uno dei membri più forti. Quindi il problema non era grave come aveva pensato.

“Il Burattinaio Mascherato prenderà visione della questione.” Dichiarò: “Vedo un’uscita, meglio continuare.”

Gli dèi, in particolare Ares, sembravano d’accordo, tanto che superarono i Nessuno e si fecero strada fino alla fine della galleria.

Sbucarono in una specie di balconata che si trovava in una grande sala, molto in alto, molto vicino al soffitto di pietra. Ad un certo punto c’erano delle scale che portavano in basso ma, prima di scendere, gettarono uno sguardo verso il basso, rimanendo decisamente sorpresi.

La sala era pressappoco enorme, piena di stalattiti di pietra e varie colonne, mentre ce n’era una che sembrava più grande delle altre alla quale, con somma sorpresa di tutti gli dèi, era collocata una fanciulla dai capelli biondi. Evidentemente la riconobbero perché, pur rimanendo in silenzio, si guardarono spaventati. Ma non fu la presenza di quella ragazza a sorprendere i Nessuno, bensì quella di Larxene, che si trovava in compagnia di Ade e Léon e sembrava presa dal discorso animato che stava facendo il dio dei morti. La prima cosa che passò per la mente di Xemnas fu quella di saltare giù dalla sua postazione e farle pagare il prezzo del tradimento, ma, prima anche che potesse dare degli ordini ai due membri accanto a lui, la Ninfa Selvaggia, annoiata dalle parole di Ade, fece scorrere lo sguardo attorno alla sala, vedendoli. Se fosse stata una traditrice avrebbe di sicuro dato l’allarme, cosa che non fece, e, anzi, tornò a guardare il dio con un nuovo interesse, come se volesse evitare in ogni modo che il suo sguardo cadesse sugli intrusi.

Quindi ha solo finto di tradirci…pensò il Superiore, un po’ più tranquillo. Rimaneva, quindi, solo Marluxia.

Silenziosamente, fece abbassare tutti in modo da non essere visti, in attesa che Larxene desse un qualche segnale, cosa che dovette attendere a lungo. Intanto, però, percepiva una sorta di agitazione, come se un gran numero di persone si stesse avvicinando.

 

Corridoio interno dell’Oltretomba, ore 06.01.

 

Avevano camminato per circa venti minuti, seguendo quella larga via che permetteva di muoversi velocemente, il più silenziosamente possibile, per quanto un esercito potesse essere silenzioso. C’erano stati due risvolti positivi, che avevano tirato su il morale di quella truppa sgangherata: primo, Cloud aveva ritrovato Jack, che si era nascosto dietro un muro non illuminato da nessuna torcia ed era schizzato fuori nel momento in cui il soffitto rischiava di cadergli addosso. Cloud l’aveva agguantato nell’esatto momento in cui gli era passato davanti senza vederlo, alla folle ricerca di un nascondiglio al riparo dalle macerie, e aveva dovuto dargli un pugno in testa per riportarlo alla calma. La prima cosa che aveva detto era stata qualcosa tipo: “Diamine, potevi fare più piano!” ma, alla fine, gli confessò di essere molto felice di vederlo, insieme a tutti gli altri, anche se stavano cominciando a puzzare di cadavere. Cloud fu costretto a ricordargli che anche lui avesse un urgente bisogno di una doccia, e lui scoppiò a ridere senza ritegno.

Recuperato Jack, era passata una manciata di minuti che ritrovarono anche Axel, sbucato da chissà quale altro passaggio in compagnia di Megara e quello che Vexen riconobbe come lo scorbutico cervello di piccione che lo aveva attaccato nell’arena clandestina. Aveva detto che aveva trovato, insieme alla donna al suo fianco, due leve, e tirandone una aveva fatto crollare tutta la barriera di fango indurito.

Quindi, ormai riuniti e pieni di speranza, velocizzarono il passo verso il cuore dell’Oltretomba.

 

Sala interna del cuore dell’Oltretomba, ore 06.10.

 

Larxene percepì il rumore di centinaia di piedi che camminavano e clangore d’armi, e, seppur involontariamente, gettò un’occhiata preoccupata verso la balconata dove aveva intravisto Xemnas. Sperava che fossero lì per rimediare al suo errore di calcolo, e fortunatamente Ade non si era accorto di nulla. Aveva pensato che fossero stati loro a produrre quel rumore, ma si ricredette quanto il dio dei morti, allarmato, indicò un punto indefinito nella sala, dove un corridoio piuttosto largo si immetteva nel luogo dove si trovavano loro. In effetti, in quel buio sembrava esserci un certo movimento. Chiunque fosse, erano in tanti e stavano arrivando.

“Sono i ribelli, li percepisco.” Disse Léon, apparentemente impassibile, ma questo, invece di tranquillizzare Ade, lo fece innervosire ancora di più: se erano nemici, non doveva assolutamente permettere che si avvicinassero né a Kore né alla serratura, o altrimenti Topolino lo avrebbe fatto a pezzi. Si era raccomandato in maniera particolare di custodire la serratura, quindi aveva pensato che qualunque trasgressione sarebbe stata punita con violenza.

Prima di cominciare ad evocare la sua armata di Heartless, però, si rivolse con sconcerto alla fanciulla legata alla colonna, quasi si sentisse tradito: “Perché non mi hai avvertito?! Li potevi fermare!” urlò, furioso, i capelli fiammeggianti che da blu erano diventati rossi. Avrebbe scatenato tutto il suo potere pur di fermarli, di questo Larxene era certa.

Non giunse alcuna risposta da Kore, che rimase con lo sguardo fisso nel punto in cui sentiva il rumore di armi farsi più vicino e Ade, sempre più rabbioso, le afferrò una ciocca di capelli e la tirò forte: “Evoca tutti gli Heartless, ora.” Ordinò, e la ragazza, sempre impassibile, bisbigliò un atono ‘sì, mio signore’ e, dopo qualche attimo in cui sembrava doversi preparare, si inarcò all’indietro, entrando direttamente dentro la colonna, come inghiottita.

Passò qualche secondo ancora e la terra tremò di nuovo, anche se in maniera violenta e improvvisa, tanto che Ade stesso fu costretto ad aggrapparsi a qualcosa. Larxene cadde a terra ed il mondo vorticò, l’unico punto fermo era la luce emanata dalla serratura. Si chiese cosa stesse succedendo a Xemnas e gli altri, e sperò che la balaustra reggesse fino alla fine.

Dal pavimento cominciarono a sorgere gli Shadow, silenziosi e piatti, a migliaia, seguiti dai Soldato e dagli Stregoni. Erano tantissimi, troppi anche per un esercito.

Si alzò a fatica, accorgendosi di essere finita vicino all’imbocco del corridoio da dove stavano arrivando i presunti nemici e, quando fu in piedi, scorse finalmente tutti i soldati. Erano vicinissimi.

Erano uomini e donne, giovani e vecchi, armati alla buona, comandati da due donne alte e longilinee, delle quali una delle due sembrava assai più grande di tutti gli altri, e pensò si trattasse di una dea come Ade.

Intravide Demyx e Vexen, anche Axel, ma, prima anche di poter dire qualsiasi cosa, fu colpita e trapassata da un proiettile violetto. Spalancò gli occhi, invasa dal dolore, e fece in tempo a bere una piccola pozione che aveva nel cappotto prima di cominciare a dissolversi. Barcollò, ma rimase in piedi. La ferita era un buco all’altezza della spalla e, nonostante avesse arginato gli effetti, bruciava da morire. Il poco sangue scuro che i Nessuno avevano gocciolava copiosamente, e le sporcò il guanto quando mise la mano sul taglio.

Aveva capito solo dopo che a colpirla era stato Xigbar, solo quando lui le si parò davanti come se stesse fronteggiando un nemico. “Che ti prende, idiota!” gridò lei, accecata dal dolore, mentre faceva qualche passo in avanti.

I soldati si erano riversati all’interno della grotta con urla di guerra, lanciandosi il più vicino possibile ad Ade, chi evitando gli Heartless, chi spazzandoli via con la propria arma, perciò, per farsi sentire sopra il rumore di metalli che cozzavano e grida, fu costretta ad alzare il tono della voce fino a farsi bruciare la gola: “Perché mi hai sparato!?”

Per tutta risposta lui le puntò una delle sue pistole sulla fronte, freddo come il ghiaccio. Larxene spalancò gli occhi, invasa da una finta paura. Non che fosse terrorizzata come il suo viso dichiarava, ma sapeva che non voleva assolutamente morire lì. Non poteva. “Xig… bar…?” mormorò, cadendo in ginocchio.

Riku aveva preso la mano a Kairi, che a sua volta aveva preso quella di Naminé, e si lanciò a tutta velocità verso la serratura, deciso in ogni modo a perdere meno tempo possibile, voleva aprirla e andarsene immediatamente. Aveva percepito che la situazione stesse degenerando, che ben presto avrebbero perso quel poco vantaggio acquistato con il loro arrivo a sorpresa con l’arrivo di altri Heartless, ma la sua corsa fu ostacolata da un’altra scossa, questa volta proveniente dall’alto, che, giungendo all’improvviso, lo scaraventò in avanti con una velocità assurda e, per evitare che le due ragazze si facessero male con lui, poiché Kairi sembrava decisa a non lasciare la sua mano, si costrinse ad atterrare prima di schiantarsi sulla colonna più vicina. Abbassò il piede per fare in modo che facesse attrito con il terreno ma, sfortunatamente, arrivò con il peso suo, di Kairi e di Naminé sul braccio rotto. Era riuscito a far rimanere intere le due ragazze, anche se non poteva dire lo stesso di lui. Urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, il dolore troppo opprimente per rimanere senza voce.

Dopo quell’attimo di debolezza che si concesse, però, fu rapido a rimettersi in piedi. La serratura era al centro della stanza e pareva irraggiungibile. Una montagna di Heartless le si era ammassata davanti, nascondendola allo sguardo, e Ade si era parato davanti, sbaragliando col suo potere divino tutti i soldati che gli si paravano davanti. “Non avrete mai la serratura, sciocchi!” urlò, scatenando una montagna di fiamme rosse e viola che si chiusero a cerchio attorno a lui e l’obiettivo di Riku.

“Dannazione!” provò a imprecare, ma non fece neanche in tempo a finire che fu costretto trascinarsi nella mischia a causa di un Heartless che aveva attaccato Kairi. Sebbene entrambe le ragazze erano abbastanza brave a combattere, lui doveva assolutamente proteggerle perché una aveva il Keyblade ma non era abituata a così tanti nemici e l’altra non aveva nessun’arma utile.

Aveva visto Xigbar attaccare Larxene, probabilmente infastidito per il suo tradimento, ma non ebbe modo di seguire oltre il combattimento perché aveva visto i membri dell’altro gruppo, o almeno una parte, saltare giù da una balaustra vicino al soffitto e lanciarsi a combattere insieme ad altre persone che sembravano divinità. Ne fu molto sollevato. Anche loro avevano trovato dei rinforzi, allora la situazione non era così disperata.

Nell’esatto momento in cui aveva visto Xigbar attaccare Larxene, che probabilmente ai suoi occhi era una traditrice, Xemnas aveva dato l’ordine di attaccare, almeno per evitare che le fiamme di Ade bruciassero tutta l’armata che l’altro gruppo era riuscito a raccattare. Inutile dire che, però, contando sia quel piccolo esercito che le varie divinità, gli Heartless erano ancora troppi, e continuavano ad essere generati dalla colonna nella quale era entrata la fanciulla dai capelli biondi. Aveva quindi capito che, per passare in vantaggio, c’era bisogno di distruggere quella colonna, quella più grossa.

Aveva gridato ai suoi sottoposti di mirare lì, ma nessuno sembrò poterlo ascoltare, perché, a peggiorare il trambusto, ci fu un’altra scossa di terremoto.

Vide Riku, Kairi e Naminé venir lanciati verso una colonna, e fu quasi tentato di lanciarsi a salvarli, ma, prima ancora che potesse fare anche solo un passo, il suo sguardo fu attirato verso la parte più alta del soffitto, talmente in alto che sembrava quasi perdersi nel buio.

La pietra sopra la loro testa si crepò, per poi frantumarsi definitivamente. E, dopo quelli che parvero anni, i suoi occhi rividero il cielo.

E non solo quello.

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abbelli! 

Vi sono mancata, vero? ('ntedico!)

Allora, prima di tutto mi devo scusare molto con tutti voi, ma il mio computer mi ha definitivamente abbandonato, quindi ho dovuto aspettare un sacco di tempo prima di ottenerne un altro, ed ero tanto felice, ma poi è successo che quello "nuovo" (era quello vecchio di mia madre) ha voluto disconnettersi per sempre dalla rete, lasciandomi scollegata da Internet.

Quindi alla fine mi sono ritrovata con un computer munito di connessione che si accendeva ogni morte di Papa, e uno che si accendeva sempre ma che non aveva neanche una tacca di connessione. Ho dovuto scivere su uno per tutto il tempo e ora asto utilizzando l'altro per postare (a Moira piacendo).

Ora, però, sono qui col nuovo capitolo e voi siete tanto contenti (?), vero? Devo dire che con questo è quasi finito il soggiorno nell'Oltretomba, nel prossimo saranno tutti a casa, si spera. Riusciranno i nostri eroi a riveder le stelle?

O, più che le stelle, i propri cuori?

Non ci conterei più di tanto, visto che sono molto sadica. Tanto sadica :3

Quindi, che dire, vi lascio con un capitolo piuttosto lungo (9 pagine di Word! D:) e spero che continuerete a seguirmi nonostante la mia lentezza nell'aggiornare <3

Ciao bbbbelli!

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Capitolo 15
*** Manca una Chiave ***


Allucinazione? Miraggio? Avete bevuto troppo ieri sera (non fate gli gnorri, so che vi siete ubriacati come pigne ieri sera :3)?
No, non è una mera illusione, è un capitolo nuovo di Penumbra.

Pensate che era così tanto che non postavo un capitolo che non mi ricordavo più il font con cui solitamente scrivo le note :S
Buona lettura, le note in fondo alla pagina!

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Manca una chiave.

Sala interna del Cuore dell’Oltretomba, ore 07.04.

 

E, dopo quelli che parvero anni, sebbene fosse neanche un giorno che era giunto nell’Oltretomba, i suoi occhi rividero il cielo.

E non solo quello, perché, in effetti, anche se a prima vista sembrò non esserci nessuno, Xemnas vide in lontananza, molto in lontananza, la chioma rosa di Marluxia. La sua testa sembrava una capocchia di spillo, e questo faceva pensare a quanto in alto fosse effettivamente il soffitto, e ci volle qualche secondo prima che si accorgesse che, oltre a lui, c’era anche la capocchia di spillo di Zexion. Come aveva pensato, il Burattinaio Mascherato aveva bloccato il traditore fuggito alla sua sorveglianza. Non poté nascondere un sorriso compiaciuto.

L’unico problema era, però, che la visuale del cielo di una tersa aria mattutina fu immediatamente oscurata di qualcosa di enorme e nero come la pece. “È Cerbero!” esclamò Axel, che, nella foga del combattimento, si era trovato accanto a lui. “Non doveva essere morto?” chiese Xaldin, e Xemnas si disse che non aveva tutti i torti, ma poi, se Ade era tornato in vita, perché non avrebbe dovuto farlo anche quel malefico cane a tre teste?

Ma, piuttosto, come avevano fatto Marluxia e Zexion a finire contro Cerbero?

 

Monte Olimpo, ore 06.12.

 

Marluxia arrivò in cima verso le sei, lo poté capire benissimo dal colore del cielo: era di un azzurro fioco, segno che l’alba era passata e che il sole stava salendo, e, in un certo senso, ne fu più che grato. Uscire dall’Oltretomba era stato un grandissimo sollievo, sia per i suoi polmoni, stanchi di respirare l’aria stantia del sottosuolo, sia per i suoi occhi, che finalmente riuscivano a vedere qualcosa diverso dal buio e la penombra, e sia per il proprio potere, che non era più soggetto alla maledizione. Il fatto che non fosse così abituato a vivere nell’Oltretomba gli fece pensare che neanche nella sua vita ci avesse passato molto tempo. Chissà, forse era un semplice atleta che insieme a tanti altri si allenava alla luce del sole.

Comunque sia, il suo sollievo durò molto poco, perché non aveva calcolato che il numero VI potesse ancora trovarsi dove l’avessero lasciato con la loro caduta improvvisa. Aveva pensato che sarebbe sceso ad aiutare l’altro gruppo, o che almeno che avrebbe provato a rintracciare qualcun altro, ed invece non si era mosso dalle gradinate.

Quando lo vide spuntare dalla voragine lo guardò con uno sguardo interrogativo. Evidentemente non aveva previsto che qualcuno potesse fare quello in cui Marluxia era appena riuscito, e lui se ne compiacque, perché adorava essere imprevedibile.

“Che ci fai qui, numero XI?” chiese Zexion, inquisitorio.

“Potrei chiederti la stessa cosa, numero VI.”

Vide Zexion assottigliare lo sguardo, sempre più sospettoso: “Non sei con il gruppo del Superiore?”

Marluxia sapeva che l’altro avesse già intuito ciò che aveva fatto, ma la cosa non lo preoccupava più di tanto, poiché erano entrambi nella stessa posizione: se lui era accusato di aver lasciato la missione per motivi personali, l’altro era di sicuro imputabile di inerzia perché, nonostante avesse chiaramente visto dei compagni in difficoltà, non aveva mosso un dito pur di recuperarli. Si era seduto sulle gradinate più lontane dal crepaccio e si era messo a leggere.

Fu per questo che rispose in maniera piuttosto acida: “Non credo siano affari tuoi.”

Il Lexicon apparve in mano all’illusionista dell’Organizzazione: “Ora che ho preso un traditore con le mani nel sacco, direi che, sì, sono affari miei.” L’aria vibrò, segno che stava già cominciando a preparare il campo di battaglia con una delle sue maledette magie, tanto che Marluxia evocò la propria falce. Non era per nulla un eccesso di zelo, quell’ostilità di Zexion, sapeva bene che, per lui, se lui fosse stato un traditore o no non gli sarebbe importato per nulla, semplicemente non voleva procurarsi guai con Xemnas. Alla fine, Marluxia ne era a conoscenza da tempo, anche Zexion ad un certo punto aveva deciso di non obbedire più agli ordini del Superiore e fare di testa sua, solo che, al contrario del Leggiadro Sicario, non era il tipo di persona che si esponeva facilmente, quindi preferiva rimanere nell’ombra insieme al proprio tradimento.

“Ovviamente.” Ghignò, complimentandosi per l’acutezza del proprio ragionamento e scartò di lato per evitare tutti i Blizzaga che gli erano stati lanciati contro. Zexion era ancora troppo lontano perché lui potesse colpirlo con la falce, e avrebbe dovuto far crescere qualche pianta per colpirlo alle spalle, ma non gli lasciava neanche il tempo di pensare, gli stava lanciando incantesimi su incantesimi senza neanche curarsi di colpirlo. Stava organizzando qualcosa, Marluxia se ne rendeva conto, e quelle magie erano solo uno scudo per permettergli di creare un’illusione potente, ma non riusciva a capire cosa stesse cercando di fare. Che stesse ancora attuando la costruzione del campo di battaglia?

Neanche fece in tempo a porsi la domanda che il terreno sotto i suoi piedi, dallo sterrato che era, si trasformò in sabbia e poi in sabbie mobili. Riuscì ad uscirne fuori facendo crescere una liana che fece attaccare alla parete di fronte a lui, quella con le grate, con la quale balzò fino al muro.

Nell’attimo in cui poggiò i piedi sulla superficie verticale della parete, però, si accorse che, di Zexion, in quel momento, ce n’erano due, uno che lanciava gli incantesimi, l’altro che manovrava le illusioni. Quando era ancora in piedi di fronte a lui non se n’era accorto perché vedeva le cose in prospettiva ma, cambiando visuale, il trucco era saltato fuori. Ora rimaneva da scoprire quale fosse quello vero. Probabilmente era quello che manovrava le illusioni, ma non poteva essere assolutamente sicuro.

Posati per un secondo i piedi sul muro, usò quella stessa spinta per lanciarsi in avanti, in direzione del proprio avversario che ancora non aveva fatto in tempo a orientarsi di nuovo per colpirlo. Per questo Marluxia non si era munito di neanche uno scudo per il suo attacco a mezz’aria, tanto era sicuro che Zexion non avrebbe fatto in tempo a modificare il proprio schermo di battaglia per provare a scalfirlo, e perciò rimase piuttosto sorpreso quando vide una decina di Firaga venirgli incontro troppo velocemente per essere schivati, cosa che comunque non avrebbe potuto fare, essendo praticamente in volo.

Pertanto fu preso in pieno da tutti gli incantesimi, che esplosero al contatto col suo corpo, avvolgendolo in una nube grigia impenetrabile.

Zexion osservò con indifferenza il numero XI venir colpito da tutti i suoi incantesimi, e sapeva bene che, nonostante fosse stato colpito tutto il suo corpo, la battaglia non era assolutamente finita lì. Perciò rimase in piedi accanto alla propria copia, in attesa.

Quando la nube si dissolse, vide Marluxia accovacciato per terra, dietro alla lama della sua falce, che aveva lievemente attutito i danni, ma non li aveva evitati, e si vedeva, poiché il cappotto risultava bruciacchiato in più punti, il guanto destro, con cui teneva la propria arma, si era completamente disintegrato e il viso era per metà scottato.

Il Leggiadro Sicario si alzò in piedi, barcollò leggermente ma poi acquisto pienamente l’equilibrio. Si sfiorò la guancia che doveva bruciare con la mano nuda e, sorpreso, la trovò fredda come quella di un Nessuno in stato normale doveva essere. E allora capì, e si mise a ridere.

“Capisco.” Sghignazzò: “Ho capito!” sembrava sinceramente divertito, non smetteva di ridacchiare, tanto che Zexion, mosso più dalla finta irritazione che dalla curiosità, chiese: “Cosa hai capito?”

La risposta arrivò solo dopo qualche secondo, durante il quale Marluxia ebbe modo di scaricare l’eccesso di risa fasulle, solo per deridere apertamente il proprio avversario: “Sei quello che lancia illusioni.”

Scoperto. Gli si leggeva in faccia: “Come…?” boccheggiò, seriamente colpito. Riuscire a distinguerlo da una sua copia era difficile persino per lui, che spesso si era chiesto se lui fosse uno dei tanti cloni ed il vero Zexion stesse da un’altra parte, quindi come aveva fatto a capire?

“Non avevi tempo per programmare la copia a cambiare direzione, perciò hai dovuto agire come se fossi stato tu, però eri troppo impegnato a manovrare lo spazio accanto a te per usare contemporaneamente magie e illusioni, e hai usato attacchi illusori a forma di Firaga.” Spiegò, sornione, soddisfatto per aver intuito tutto: “Ma le illusioni hanno effetto finché si crede che siano vere, perciò nel momento in cui ho sentito la guancia scottata fredda come al solito ho distinto te e la tua copia.” Finita la spiegazione, schioccò le dita, e tosto un ramo spuntò fuori dal terreno, prendendo Zexion per il collo: “Beh, Xemnas sarà felice di sentire che il numero VI si è sacrificato eroicamente per proteggermi.” Il Lexicon cadde a terra, inutilizzabile.

La vista di Zexion si faceva sempre più sfocata mano a mano che la presa del ramo si faceva più stretta sul suo collo, e fu quasi certo di morire quando sentì Marluxia dire, con una risatina: “È stato un piacere rivederti di nuovo, numero VI.”

Ma, sebbene stesse già rimproverandosi per la propria debolezza, sicuro di morire ancora, niente delle proprie previsioni accadde.

Ci fu un tremito della terra che fece perdere l’equilibrio al Leggiadro Sicario, e quindi anche il controllo sul ramo, e, dopo qualche secondo di immobilità che Zexion impiegò a massaggiarsi il collo, stralunato, la parete con le grate esplose, facendo schizzare nella loro direzioni le macerie, tanto che Marluxia fu costretto ad innalzare una piccola barriera di rami.

“Che diamine…?” gridò, colto alla sprovvista, ma la voce gli morì in gola quando dal buio che fino a quel momento era rimasto sigillato dietro le grate emerse il corpo gigantesco di un cane a tre teste nero come la pece.

“Cerbero!?” esclamò Zexion: “Credevo fosse stato ucciso!”

“Credevi male, evidentemente.” Grugnì Marluxia. La situazione stava peggiorando a vista d’occhio, e ancora una volta la loro inesperienza con quel mondo del futuro ne era la colpa. Certo era che, se fosse stato informato che quella bestia infestava ancora il Monte Olimpo avrebbe evitato di ingaggiare un combattimento che lo avrebbe svegliato. Ma in quel momento era troppo tardi, tutte e tre le teste avevano fiutato il loro odore.

Un terremoto interruppe i propositi di Cerbero in quanto a far di loro la propria colazione, distraendolo e disorientandolo, e i due riuscirono ad indietreggiare, in modo da poterlo colpire con maggior precisione. Si scambiarono un’occhiata: in quel momento avrebbero dovuto dimenticare il combattimento di prima e avrebbero dovuto lottare insieme. Marluxia aveva sempre pensato che il potere delle illusioni di cui si fregiava il numero VI fosse un perfetto compagno per ogni tipo di capacità, poiché era in grado sia di replicare qualsiasi attacco, sia di nasconderlo per garantire l’effetto a sorpresa. L’illusione aveva un grandissimo potenziale, se lo si sapeva sfruttare.

Stava quasi per mettere a punto la propria strategia per uccidere Cerbero in breve tempo, ma non si era accorto che il suolo dell’arena, già vessato dalla scossa, da una voragine e dal peso dell’enorme animale, franò completamente, di nuovo, aprendo uno squarcio più piccolo ma largo abbastanza da far passare una testa del cane.

Distratto dal buco che si era aperto, non si accorse dei denti di Cerbero ad un centimetro dal suo viso, troppo vicino perché potesse schivare. Dopo Zexion, fu il suo momento di temere la morte che, però non venne perché proprio il Burattinaio Mascherato si intromise, lanciando una sorta di nuvola nera in direzione della bestia che, colpita da chissà cosa, indietreggiò e crollò a terra, guaendo.

“Che gli hai fatto!?” domandò Marluxia, scioccato più per il fatto che Zexion l’avesse salvato che per Cerbero che piagnucolava come un normalissimo cagnolino. “È un’illusione che istilla dolore,” spiegò l’altro: “ma non ho fatto in tempo a costruirla bene, quindi durerà molto poco.” Quindi indicò l’apertura appena formata: “Conviene che ci buttiamo lì dentro.”

Prima di rispondere con un: “Ma che, sei impazzito!?” Marluxia guardò dentro la voragine. Riusciva a vedere del movimento, molto difficilmente, poiché ciò che stava tentando di osservare era molto in basso, ma poi, abituandosi di nuovo al buio, scorse tutti i propri colleghi impegnati a combattere, anche Larxene che, per un motivo che non capiva, stava combattendo contro Xigbar. C’erano pure gli dèi e Ade, chiuso a riccio dietro una barriera di fiamme per proteggere una luce che sembrava, anche se da così lontano era difficile da capire, la serratura.

“Oh, mi sa che hai ragione.” Disse, e, dopo aver raccolto tutto il potere che gli rimaneva, fece crescere una liana lunga e robusta, che, dopo essere stata lanciata in basso, aderì sulla colonna più larga, quella estremamente vicina ad Ade e dove, anche se Marluxia non poteva saperlo, era situata Kore. Fissò l’altra estremità alle gradinate e, dopo aver saggiato la resistenza, strappò un lembo di cappotto coi denti e, fissatolo alla liana, si lanciò nel vuoto.

 

Sala interna del Cuore dell’Oltretomba, ore 07.08.

 

Xemnas vide i due membri mancanti lanciarsi nella sala interna sulla corda di fibre vegetali di Marluxia, a mo’ di carrucola, e si accorse solo in un secondo momento che sarebbero arrivati esattamente sopra Ade, che probabilmente non si era accorto di nulla a causa del suo scudo di fiamme. Davanti ai suoi occhi si delineò la fine della loro prima missione, se il piano appena pensato avesse funzionato. Febbrile, lasciò perdere tutti gli Heartless che stava annientando e richiamò Xigbar e Larxene, che stavano combattendo uno contro l’altra: “Xigbar, Larxene non è una traditrice, piantala di attaccarla!” urlò: “Preparati a colpire Ade al mio segnale!” il numero II si riscosse, guardò la Ninfa Selvaggia come se dovesse cercare conferma di quanto avesse detto il suo Superiore, ma poi si mise in posizione d’attacco modificando le due pistole in un fucile da cecchino.

Xemnas ordinò di fare lo stesso anche a Demyx, Luxord e Xaldin, poi gridò, rivolto ai due che stavano scivolando verso di loro, sperando che la sua voce potesse superare il rumore della battaglia e arrivare fino a loro: “Marluxia, Zexion, colpite la colonna, siete gli unici che potete farlo!”

Affidare l’esito del proprio piano a Marluxia lo scocciava alquanto, sia perché questo sarebbe stato un pretesto per soffiargli la posizione di capo, sia perché lo avrebbe inorgoglito abbastanza da renderlo ancora più strafottente, ma, in quel momento, decise di non lasciare posto alla diffidenza, del resto, arrivando dall’alto, era vero che solo loro due avrebbero potuto colpire con un buon esito sia la colonna che Ade.

Il Leggiadro Sicario, come da nome, seguendo gli ordini di Xemnas, e accorgendosi che la colonna era più sottile al punto a cui si stavano avvicinando, fece dondolare con leggiadria il proprio corpo, aiutato dalla velocità che aveva acquisito, e, dopo qualche ondeggiamento sempre più ampio, riuscì a staccare la presa dal pezzo di stoffa che gli faceva da carrucola e posare i piedi sulla liana. Per Zexion fu difficile fare quel movimento, sia perché la sua massa, rispetto a quella di Marluxia, era nettamente inferiore, e quindi oscillava con più difficoltà, sia perché aveva sempre avuto una muscolatura gracile, sia perché aveva timore di schiantarsi al suolo con una manovra maldestra, tanto che il Nessuno dai capelli rosa, pur reggendosi a malapena in equilibrio e scivolando sempre più velocemente verso la colonna di Ade, si chinò alla stregua di un surfista, bilanciando il peso, e lo trasse sulla sua schiena, come se fosse una grossa bambola di pezza.

“Stiamo per salvare la situazione, numero VI” gli disse, estraendo la falce, chinato lievemente in avanti: “ora devi colpire la colonna il più forte possibile.” E, detto questo, lo lanciò, letteralmente, contro il sostegno principale del soffitto, che era ad una distanza più che buona per essere colpito in pieno da una decina di incantesimi e, sempre in volo, aprì il Lexicon e ne fece uscire tutti i Firaga che aveva forza di produrre.

La colonna tremò, colpita nel punto più sottile, mentre il rinculo di tutti le magie spedì Zexion nel vuoto. Preso dalla fretta, non aveva calcolato nessun punto di atterraggio, anche perché, poiché Marluxia l’aveva lanciato senza neanche un minimo di preavviso, non aveva avuto neanche un minuto per pensarci. A quel punto sentì Xemnas urlare qualcosa a Demyx, e la sua caduta fu fermata da una bolla d’acqua.

Fu letteralmente inghiottito dalla bolla, che si infranse non appena toccò il suolo, lasciandolo bagnato fracido, ma salvo.

Nel frattempo, Marluxia aveva approfittato del suo attacco per colpire un punto già indebolito del sostegno di Kore, che attaccata, emetteva dei lamenti che sembravano uccidere tutti gli Heartless mano a mano che diventavano più forti. Non aveva difese con cui evitare che venisse uccisa, la ragazza, infondo era solo una figlia di una dea non troppo potente che era stata rinchiusa contro la sua volontà, e, forse, voleva semplicemente essere liberata dalla sua triste condizione. Il numero XI menò un primo fendente quando la sua discesa libera lungo la liana finì, poi, sfruttando la spinta data dalla velocità, posò il piede sulla colonna e effettuò una capriola in aria, raddrizzandosi con un colpo a forma di mezzaluna che diede il colpo di grazia e tagliò in due Kore, che cominciò ad urlare di dolore.

Anche Marluxia fu recuperato da una bagnata bolla d’acqua, ma non ebbe modo di protestare perché, con le urla di Kore che si facevano sempre più forti e penetranti, il soffitto stava crollando, ed insieme ad esso l’enorme corpo di Cerbero.

“Presto, scappiamo!” ordinò Xemnas, ma il grido di Kairi lo costrinse a girarsi: “Riku!”

Infatti, dopo essere stato sbattuto contro una colonna dal terremoto precedente insieme alle altre due, Riku non aveva più ripreso coscienza, sia perché la ferita sul braccio si era riaperta e gli aveva fatto perdere una marea di sangue, sia perché, sbattendo la testa, aveva perso i sensi. Così, furono le due ragazze al suo fianco a portarlo in salvo nel corridoio per il quale erano entrati, mentre tutti i membri dell’Organizzazione riuscirono a trovare riparo in un tunnel sotterraneo che Axel aveva scoperto inciampando nella foga della corsa.

Ade, ormai intrappolato nelle sue stesse fiamme, non si accorse di ciò che stava accadendo, e morì

come un topo in trappola, schiacciato dal suo stesso Oltretomba, magari chiedendosi come fosse possibile che lui, un dio, potesse morire in un modo così ridicolo e senza gloria.

Demeter, invece, fu trascinata ad un lato sicuro della stanza, dove il soffitto non era ancora crepato tanto da crollare, ma non faceva altro che gridare di lasciarla andare, in lacrime, disperata.

Sebbene quel gesto avesse potuto mettere una fine a quegli anni di penosa vita sottoterra, sua figlia, la sua unica e amata figlia, era stata uccisa senza pensarci due volte, e lei, da madre, voleva morire con lei. Gli altri dèi si precipitarono a trattenerla, dato che i suoi soldati non riuscivano a resistere alla sua forza sovrumana. “Kore! L’avete uccisa, l’avete uccisa!” gridava, sempre più forte, sempre più incontenibile: “Kore!”

“Demeter, datti una calmata!” tuonò Zeus, spazientito, esasperato e preoccupato per il fatto che anche loro rischiassero di finire schiacciati sotto il peso dell’alto soffitto: “Tutti noi abbiamo perso almeno un figlio, quindi taci!” e, sottomessa all’ordine perentorio del padre degli dèi, Demeter  si accasciò e tacque, ma continuò a singhiozzare senza sosta, emettendo un gemito di tanto in tanto.

“Riku, svegliati, per favore.” Mormorò Kairi, troppo tesa per piangere, cercando di ripararsi dai sassi che rotolavano verso di loro, nonostante fossero al sicuro dentro un corridoio. Cercò di creare un po’ di ghiaccio da mettergli sulla fronte, ma la paura di essere colpita da un sasso vagante le impediva di concentrarsi pienamente, anche perché Cerbero, praticamente caduto dal cielo e disorientato all’estremo, non faceva altro che azzannare indistintamente gente e Heartless, tanto che Artemide, in uno scatto di ira, gli lanciò tutte le frecce della faretra. “Stasera braciola di cane.” Sentì dire Kairi, dopo che l’ormai carcassa del cane a tre teste si afflosciò al suolo.

Poi, all’improvviso, le scosse finirono, il rimbombo delle urla dell’ormai morta Kore si estinse, il ringhiare di Cerbero di spense, e tutto tacque.

Incoraggiata dal silenzio improvviso, Naminé si arrischiò ad uscire fuori, e ciò che vide fu la più grande devastazione: la sala era crollata per metà, mentre il resto era senza soffitto, aperto in due a causa della fessura che avevano usato Marluxia e Zexion per calarsi giù, e la colonna di Kore era ridotta in frantumi sparsi per terra; i soldati raccoglievano i morti, in silenzio, e li disponevano in fila lungo una parete che era rimasta in piedi; gli dèi si erano tutti raccolti attorno a Demeter, cercando di consolarla, ma le sue lacrime sembravano infinite: si era rannicchiata per terra, tanto che sembrava aver perso il suo portamento divino per sembrare una qualunque povera donna che aveva perso qualcuno di importante; solo i Nessuno erano estranei a tutto il loro dolore, sebbene tra i deceduti figurasse anche il giovane soldato che aveva riscosso le simpatie di Axel, ed erano i Nessuno che riuscivano a vedere la parte positiva di quella devastazione: la serratura era libera e agibile.

Xemnas scostò con un piede il cadavere di Ade, allontanandolo definitivamente da ciò che cercava di proteggere, e si avvicinò per esaminare la tanto agognata prima serratura, ed eccola là, a brillare tenuamente come se si stesse per spegnere. Si trovava sull’unico pezzo della colonna di Kore rimasto intero, probabilmente per lo scudo naturale che si trovava attorno ad essa, ed era l’inizio definitivo della loro impresa disperata: aprendola, di sicuro Topolino avrebbe capito che l’Organizzazione XIII era entrata in azione, pronta a tutto e con nulla da perdere, e la battaglia sarebbe cominciata senza esclusione di colpi. Ora che il primo mondo era stato liberato, gli altri erano minacciati in egual misura, e sarebbero stati allertati. Il Monte Olimpo era stato il più veloce da conquistare perché Topolino non aveva fatto in tempo ad organizzarsi e dividere le truppe al di fuori della barriera, e perché Ade, pur essendo un dio, non costituiva una minaccia grande quanto altre persone sarebbero state, ma a partire da quella serratura tutto sarebbe stato più difficile, perché il Re aveva avuto un saggio della loro determinazione e, spaventato, avrebbe stretto la morsa fino a rendere gli altri mondi inespugnabili.

“Dove sono Riku e Kairi?”

“Riku è ancora svenuto.” Disse Luxord, guardando dalla parte di Naminé e quindi degli altri due.

“Tzè, è stato inutile per tutta questa battaglia e ora che ci serve dorme!” sbottò Larxene, resa ancora più acida dalla ferita sulla spalla che non aveva intenzione di smettere di sanguinare, nonostante provasse a tamponarla con un pezzo della propria divisa. “Oh, quante storie!” grugnì Xigbar: “Toh, ti va bene?” e, schioccate le dita, inviò un incantesimo di guarigione al giovane steso bocconi accanto a Kairi, nel corridoio in fondo alla grande sala.

“Cosa… è successo?” fu la prima frase di Riku che, nonostante fosse ancora confuso, ben si ricordava di essere crollato nel bel mezzo della battaglia, ma non ebbe modo di mettere a fuoco la situazione con la calma dovuta perché Marluxia e Zexion, che erano quelli più vicini alla sua posizione, lo richiamarono bruscamente alla realtà: “Siamo nell’Oltretomba.”

“Devi aprire la serratura.”

Perciò, seppur con poco equilibrio, ben conscio di quale fosse il suo compito, si alzò e, sorretto da Kairi e Naminé, si diresse, nel silenzio generale interrotto solo da qualche guardia infernale agonizzante che non era stata falcidiata da una divinità e i singhiozzi di Demeter, davanti alla serratura.

“Finalmente una serratura.” Mormorò, con un sorriso stanco che lasciava chiaramente intendere quanto fosse effettivamente lucido. Tuttavia, richiamò il proprio Keyblade e lo puntò verso di essa, seguito a ruota da Kairi.

Come la luce che fendeva le nubi dopo una tempesta, un raggio partì da entrambe le armi e si insinuò nella fessura di pietra della serratura, che si illuminò e diede il suono di una chiave che girava dentro una toppa, e sia Riku che Kairi che Naminé fecero un passo indietro, in attesa.

Però, a dispetto del fatto che ben due Keyblade si fossero adoperati ad aprirla, la chiusura rimase dov’era, muta ed enigmatica.

“Eh?” sbottò Demyx che, dopo tutto quel parapiglia che avevano scatenato, si stava aspettando che la faccenda finisse al più presto, ma, a quanto pare, invano. “Perché non è scomparsa?” chiese Larxene, infilzando i due custodi con un’occhiata accusatoria: “Non avrete sbagliato?”

“No che non abbiamo sbagliato!” ribatté Kairi, stizzita: “Non si può sbagliare.”

Questo, però, non tranquillizzava affatto gli altri tra Nessuno e divinità, tanto che si levò una sorta di mormorio pensoso, in cui ognuno cercava a modo proprio di capire perché la serratura fosse al suo posto.

Axel guardò dalla parte di Saïx, ben sapendo che sarebbe uscito dalla propria elucubrazione con un’idea intelligente, ma Ares, il dio che aveva le braccia slogate, intervenne prima di lui: “Quando sono venuti a metterla, erano in tre.” Dichiarò, aggressivo come se tutti gli stessero dando torto, cosa che atterrì sia Kairi che Naminé: non c’era assolutamente bisogno di parlare in quel modo.

“Ah.”

Quella sorta di suono a metà tra un sospiro e un gemito che provenne da Riku inquietò in un certo modo Xemnas, che, sempre più preoccupato, almeno idealmente, si rivolse verso di lui e chiese, non senza una velata aggressività, come se stesse sospettando di un’omissione di informazioni da parte del Keyblader: “Se devi dirci qualcosa, dillo, invece di sospirare.”

Riku lo guardò con stanchezza: “Qualche anno fa siamo venuti a sigillare lo scudo del palazzo in questo mondo, ed eravamo io, Kairi e Sora, e così per ogni mondo, o quasi. Non credevo ne servissero tre per togliere il sigillo.”

Gli occhi di Xemnas andavano da Kairi a Riku, come per cercare una spiegazione più felice, trovando, però, solo due Custodi. Naminé, percependo il pericolo di un’eventuale furia di Xemnas che, sebbene non avesse un cuore, era pur sempre in grado di fingersi furioso, si ritrasse verso la spalla del ragazzo accanto a lei, anche se le condizioni di Riku non l’avrebbero protetta per nulla.

“Ci stai dicendo che non possiamo in nessun modo aprire nessuna serratura?”

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Bene, ora che ho evitato il lincianggio addolcendo (?) i miei eventuali lettori con la lettura di questo malloppo di capitolo che conta ben 7 pagine di word (può sembrare poco, ma è assai u.u), posso cominciare con le note.

Dunque, come al solito, mi sono dilungata troppo, e il capitolo conclusivo del primo mondo è diventato il penultimo, ma giuro che nel prossimo saranno tutti a casa, e nulla potrà mettersi in mezzo ai nostri eroi e una bella dormita - e, di conseguenza, tra me e la tastiera di quel catorcio che pretende di essere il mio computer.

Comunque, credo che non abbia null'altro da dire, credo, se non ringraziarvi di cuore per aver letto, recensito, messo tra le seguite e tra le preferite <3

uhm, con questo font il cuoricino esce molto bene <3

beh, buona Pasqua a tutti, perché non credo ci sarà un altro capitolo prima delle vacanze di Pasqua... io ci proverò, ma non aspettatevi nulla, eh!

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Capitolo 16
*** Un aiuto da...? ***


No, che fate, non uscite dalla pagina, questo non è un miraggio! Ho veramente postato il nuovo capitolo di Penumbra con solo un mese di distacco!

Ci vediamo sotto :3

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Un aiuto da… ?

Quartier generale della resistenza, ore 13.04.

 

“Ho fame.”

Le parole ciancicate di Xigbar, sdraiato su di un materasso con le gambe su di un comodino, aleggiarono come un palloncino nell’atmosfera pigra e soffice del nascondiglio, dove più o meno tutti erano impegnati a sonnecchiare.

L’unico vigile era Lexaeus che, dopo aver ripreso completamente le forze dopo l’attacco di Sora, se ne stava seduto appoggiato al muro di ruvida pietra blu, immobile e attento alle parole dei propri compagni, come se volesse ripagar loro il fatto di averlo lasciato a riposare invece che trascinarlo a combattere. Dopo la dichiarazione di Xigbar si guardò intorno, evidentemente cercando qualcosa da mangiare, ma non trovò nulla, anche perché nessuno sembrava intenzionato ad alzarsi.

Kairi aveva avuto la mezza idea di andare a cercare un po’ di cibo, sentendo anche i propri e personali borbottii di stomaco, ma la stanchezza si era rovesciata su di lei da quando erano tornati, come se si fosse tenuta lontana dal suo corpo per tutto il tempo che erano stati nell’Oltretomba e si stesse facendo sentire solo in quei momenti: aveva le palpebre che si chiudevano, ma per la fame non riusciva ad addormentarsi.

Naminé, intuendo il suo stato d’animo, si levò dalla propria seggiola e si diresse verso il gruppo di scatoloni che Cloud le aveva indicato come dispensa, ma, apertone uno, aveva trovato solo del latte scaduto da chissà quanto e alcune scatole di fagioli che avevano l’aria di essere state dimenticate da secoli, pertanto si voltò verso il gruppo di persone stravaccate in maniera sparsa per tutto il rifugio, annunciando: “Non abbiamo cibo.”

“L’importante è che ci sia da bere.” Fu la risposta a tutti i problemi di Jack, che aveva fatto svolazzare un braccio per consigliarle di non preoccuparsi, ma Naminé non si era affatto tranquillizzata: “Non c’è neanche da bere.”

Jack, trovato all’improvviso un incontenibile desiderio di muoversi, scattò in piedi: “Cosa?! Allora dobbiamo fare scorte!”

Xigbar, dettosi che star sdraiato sul suo materasso non avrebbe risolto la situazione, si levò a sua volta: “Ho capito, ho capito, vado e torno.” E, detto fatto, si teletrasportò fuori dal nascondiglio.

Xemnas se ne stava semi-sdraiato su di un vecchio tappeto, con la schiena appoggiata su un vecchio cuscino bitorzoluto, con un braccio sugli occhi. Stava tentando di dormire, o comunque di ripararsi dalla luce costante che filtrava a causa dei Cristalli di Terra – o come Vexen aveva deciso di ribattezzarli dopo un accurata analisi – ma il fatto stava che gli eventi vissuti quella notte non lo aiutavano a fargli abbassare le palpebre: era stato tutto così frenetico e stancante che non riusciva neanche a sentirsi affaticato, e gli occhi sembravano bruciargli.

Per un attimo aveva visto la prima missione concludersi, ma poi, come se tutte le fatiche di qualche ora prima non fossero bastate, la strada gli era stata sbarrata di nuovo dal fatto che quella maledetta serratura si potesse aprire solo utilizzando tre chiavi, e lì aveva davvero pensato che non ci sarebbe stata soluzione: la terza chiave era comunque in possesso di Sora e di sicuro lui non si sarebbe prestato a garantire il suo aiuto.

Ma fortunatamente, per quanto la situazione non avesse vie di uscita, la soluzione era arrivata, quasi fosse caduta dal cielo.

 

Sala interna del Cuore dell’Oltretomba, ore 07.40.

 

“Ci stai dicendo che non possiamo in nessun modo aprire nessuna serratura?”

La voce di Xemnas era profonda e calma come al solito, ma era molto facile da intuire una vena di accusa e rabbia: d’altronde era anche semplice da capire che stesse pensando ad una possibile menzogna da parte di Riku solo per avere il loro aiuto. Evidentemente era talmente tanto semplice che Riku, intesa immediatamente la velata accusa, provò a discolparsi immediatamente: “Ragiona, cosa ci sarebbe stato di utile nel mentire e nell’ottenere il vostro appoggio solo nel primo mondo? Non avrebbe senso!”

A quelle parole Xemnas parve accantonare la propria rabbia, seppur finta, ma il problema rimase insoluto, e la serratura sigillata.

“Tch, ma ti pare che facciamo tutta ‘sta fatica per un punto morto?” sbottò Larxene, girando di scatto la testa come se si fosse offesa. Semplicemente non trovava possibile che in due – i due Keyblader – non si fossero ricordati di un dettaglio tanto importante: se non si trovava una soluzione, tutto il loro progetto sarebbe andato a farsi fregare, e con esso i loro cuori.

Nella sala ormai in macerie, era calato il silenzio più completo: gli dèi, divisi tra chi aveva seguito la conversazione tra Riku e Xemnas e tra chi si stava ancora occupando di Demeter, accasciata al suolo, posarono gli occhi sulla serratura, muto enigma che si stagliava sul pezzo rimasto della colonna, cercando di aiutare chi li aveva liberati dalla prigionia, ma nessuno arrivò ad una conclusione; i Nessuno e i loro compagni, invece, spostavano lo sguardo altrove, pensierosi, riflettendo, cercando di trovare una soluzione, invano.

“Tanto vale che torniamo indietro, qui non c’è più niente da fare.” Mormorò il Superiore, con un’espressione che lasciava bene immaginare la frustrazione immensa che quella missione a vuoto gli aveva costretto a fingere.

Naminé, svuotata di ogni pensiero a causa della stanchezza, alzò lo sguardo a cercare quello di Riku, che però sembrava perso nel vuoto, rincorrendo chissà quali speranze di concludere in quel momento l’avventura nel Monte Olimpo. Probabilmente stava pensando che, comunque, la situazione sarebbe stata uguale a quella, perché tutte le serrature in tutti i mondi erano state sigillate da tre Keyblade. La bionda abbassò lo sguardo.

 

Castello Disney, ore 07.42.

 

Il mal di testa lo stava uccidendo, si disse Merlino, togliendosi il cappello e lanciandolo con una certa stizza dietro le sue spalle, dove l’attaccapanni, animandosi improvvisamente, lo andò a raccogliere. Probabilmente era solo una delle tante conseguenze della vecchiaia, ma, perbacco, non era mica diventato vecchio da due settimane! Sapeva che gli stava succedendo qualcosa di strano.

Prima di arrivare nella sua piccola stanza era stato costretto a presentarsi ad una riunione quando avrebbe preferito declinare, e più di una volta, al Re che parlava, si erano sovrapposte delle immagini che facevano stridere tutto quanto e gli annebbiavano il cervello.

Perché in quelle visioni Riku e il Re erano vestiti come l’Organizzazione? E perché Riku era bendato o aveva la forma dell’Heartless di Xehanort? E perché Sora era così piccolo e puro? Era davvero possibile che fosse stato così… limpido?

Merlino, piegato da quella feroce emicrania, si sedette sul letto con la testa bianca tra le mani. C’erano momenti in cui non sapeva neanche se stesse vivendo in un sogno o in un altro mondo, perché gli sembrava di non avere sufficienti ricordi per tutta la sua vita, che aveva la sensazione fosse stata molto lunga, come se stesse galleggiando in una bolla.

Preso dai propri pensieri, non badò al volatile bruno che lo osservava dalla cima dell’armadio con sguardo severo e le piume arruffate in un atteggiamento di superiore distacco. Lui non se ne ricordava perché il Re non aveva detto a Naminé di badare ai particolari quando era stato il suo turno a subire la modificazione della memoria, ma quel volatile era suo, e il suo nome era Anacleto. Quando il proprio padrone aveva subito l’atrocità della piccola strega, il caro gufo non aveva smesso di essergli fedele, osservandolo e controllandolo da lontano, non riuscendo a staccarsi a quel vecchio barbogio di un mago. E la presenza silenziosa di Anacleto, il gufo brontolone, era uno dei motivi per cui in Merlino i ricordi fasulli non erano attecchiti completamente e stavano per essere soppiantati da quelli veri. L’altro motivo era che, per quanto Naminé potesse essere brava a manipolare i ricordi, il potere del mago rimaneva sempre superiore, e stava rompendo quella catena di ricordi finti che gli era stata imposta.

“Ahi ahi, che male…” mormorò, aggrottando le sopracciglia.

 

L’Eroe del Keyblade era più piccolo di quanto avesse immaginato: solo quattordici anni e un fardello enorme da portare, difficoltà che neanche avrebbe immaginato e tanta, tanta sofferenza.

Se c’era una cosa che l’aveva colpito quando aveva incontrato Sora per la prima volta era il fatto che, sebbene il peso da portare fosse quello previsto dal mago, lui non sembrasse per nulla stanco o provato: gironzolava per la grande stanza della sua casa rotonda, guardandosi attorno con una curiosità e un candore tipici di un marmocchio piccolo e inesperto la prima volta fuori di casa. “E questo cos’è?” aveva chiesto, stuzzicando con un dito lo stomaco di Anacleto, che, stizzito, lo aveva apostrofato in malo modo, tanto da strappargli un sorriso: “Io sono un gufo reale, marmocchio, piuttosto, che cosa sei tu, che hai ancora il moccio al naso.”

“Eh? Io sono Sora!”

 

“Già, Anacleto era stato buffo…” borbottò non badando alle parole perché gli erano uscite dal cuore e non dalla bocca, ma poi rifletté sul loro significato e balzò in piedi. “Anacleto!”

Il gufo si scosse, sorpreso: per dieci anni il mago non aveva fatto altro che ignorarlo, e ora lo chiamava così improvvisamente che non sapeva che fare.

“Anacleto! Dove sei?”

“Era ora che ti svegliassi, vecchio rimbambito!” era la prima frase che scambiava con lui da anni, ma, al contrario dell’irritazione che voleva dimostrare, nascondeva una buona dose di sollievo e gioia nell’aver ritrovato il proprio padrone, e tosto gli volò sulla spalla.

“Oh, sei qui amico mio!”

“Già. Ti sei ripreso?”

Il mago non rispose, affaccendato com’era: “Ohibò, la situazione è grave! Molto grave!” si disse, camminando in tondo, tra tutti i suoi libri, ma poi, dopo tre o quattro giri della stanza, la risoluzione fu che ci fosse qualcosa di molto urgente da fare.

“Andiamo!” esclamò, totalmente dimentico del mal di testa: “Dove accidenti ho messo il cappello?”

L’attaccapanni gli bussò gentilmente sulla spalla, porgendogli il puntuto copricapo: “Oh, grazie.”

“Dove stiamo andando?”

“Ci serve uno specchio.”

 

Sala interna del Cuore dell’Oltretomba, ore 07.50.

 

“Non avete trovato nulla che vi possa aiutare?” aveva chiesto Zeus e a rispondere al posto di Xemnas, che avrebbe di sicuro trovato il peggior modo per esaudire la domanda a causa del malumore, fu Kairi, che, per quanto si scervellasse, non arrivava a nulla: “No, non potete fare qualcosa voi, che siete dèi?”

Zeus scosse tristemente la testa: “L’unica cosa su cui non possiamo agire è l’operato del Keyblade, è superiore a noi.” Kairi chinò la testa.

Il silenzio ricadde tra i presenti, rotto solo dal suono di un calcio di Riku contro un sasso che rotolò per la grande sala fino a sparire dalla sua vista. “Beh, torniamo alla base.” Disse Marluxia: “È chiaro che non si può fare nulla, tanto vale elaborare un piano diverso dove possiamo agire tranquillamente.”

“Sono d’accordo.” Disse Xigbar: “Non dobbiamo dimenticare che potrebbe arrivare qualcuno dal Castello Disney.”

Naminé, nel frattempo, si era staccata da Riku, vedendo che Xemnas non costituiva più un pericolo e, con una sorta di movimento involontario nato dalla sua voglia di contraddire Marluxia il più possibile, invece di allontanarsi come già qualche membro stava cominciando a fare, si avvicinò alla colonna e alla serratura.

Se fosse stato chiunque altro che Marluxia a proporre di tornare al nascondiglio, probabilmente lei non avrebbe avuto quell’impulso di analizzare ancora la situazione, che non si sarebbe per nulla risolta, anzi, sarebbe stata per sempre un enigma. Era uno dei quei movimenti umani e irrazionali che quel cuore artificiale che le batteva nel piccolo petto le inculcava come naturali, tanto che lei neanche se ne accorgeva, e li eseguiva senza neanche analizzarli, perché non aveva la lucidità per controllarli. Non sospettava nemmeno che il cuore finto avesse un qualche effetto su di lei.

Con una mano sfiorò la colonna, per poi arrivare, seguendo le linee come un codice, alla pietra di colore diverso che componevano la serratura: era fredda, ma, per uno strano motivo, si riscaldò quando le sue dita la sfiorarono. “Eh…?” mormorò, incuriosita, ma non fece in tempo a chiamare Riku o Kairi, che il calore si trasformò in una luce intensa, quasi solida, che la inghiottì.

 

« Naminé! »

 

Era tutto così luminoso che non riusciva ad aprire gli occhi o, se era riuscita ad aprirli, non riusciva a distinguere più i contorni dell’ambiente in cui si trovava, anche se poteva benissimo sospettare di essere stata trasportata da qualche altra parte. L’unica cosa che sapeva era che qualcuno, una donna, presumibilmente dalla voce, la stesse chiamando.

 

« Chi sei? »

 

Quel modo di parlare triste e malinconico le sembrava familiare, ma non riusciva a ricondurlo a nessun volto.

 

« Ora non c’è tempo, apri la mano! »

« La mano? »

« Sì, quella con cui disegni! »

 

C’era da fidarsi? Naminé successivamente non avrebbe saputo spiegare perché avesse seguito quelle istruzioni così enigmatiche, ma non percepiva nulla di pericoloso od ostile, e pertanto tese destra la mano in avanti.

In quel momento riuscì a intuire la forma dell’ambiente, perché si accorse di aver infilato il braccio nel buco della serratura: non credeva che potesse entrarci, per quanto lei potesse essere piccola quella rimaneva una fessura per una chiave, ma, ancora una volta, si fidò della voce dolce e malinconica.

 

« Prendi! »

 

C’era qualcosa di duro, sul fondo dell’apertura, e sembrava che la proprietaria della voce gliel’avesse passato, perché sentì le sue dita stringersi su qualcosa di cilindrico. Un manico?

 

« Fanne buon uso. »

 

E, detto questo, Naminé fu spinta indietro con una forza abnorme per qualsiasi corpo, e sbattuta contro il muro più vicino. In mano aveva ancora ciò che aveva trovato, e sembrava l’unica certezza quando aveva sentito che i sensi la stessero abbandonando. Evidentemente il colpo era stato troppo per lei…

“Naminé!” Sentiva qualcuno che la prendeva per le spalle: “Riku?” Era tutto così confuso e delirante, c’erano delle voci e dei passi, ma poi qualcuno pensò bene di somministrarle un incantesimo di guarigione, e la visione si fece più chiara.

Era circondata da tutti quanti, Nessuno e dèi, con Kairi e Riku che la tenevano stretta per non farle fare movimenti bruschi, tanto che fu costretta ad intimar loro di lasciarla andare, perché stava soffocando. La botta aveva avuto meno effetto grazie all’incantesimo, in quel momento di sentiva solo come se avesse sbattuto la testa contro uno spigolo, un dolore sopportabile.

Teneva stretto nella mano destra ciò che aveva trovato nella serratura, e riuscì a vedere di cosa si trattasse solo dopo che entrambi si furono spostati… e rimase a bocca aperta.

“Un…” cominciò a dire, ma fu Xemnas a completare per lei.

“…Keyblade.”

Castello Disney, ore 07.50.

 

I passi rapidi di Sora rimbombavano per tutto il corridoio, indice della fretta dell’Eroe del Keyblade. Uno degli scudi si era appena frantumato davanti ai suoi occhi, e quello non poteva essere che un segno che i tre traditori e i loro alleati avessero fatto la prima mossa. La faccenda rischiava di diventare spinosa, se non si prendevano provvedimenti: i ribelli avevano attaccato prima che loro potessero muovere una difesa in tutti i mondi, ed era stato colpito proprio uno degli ultimi ad essersi mobilitato, il Monte Olimpo.

Chissà come avessero fatto ad indovinare l’unico mondo che non aveva controlli ancora stabili, che Riku avesse trovato una mappa delle barriere?

Sora bussò alla porta del Re, impaziente. Non aveva fatto in tempo a partire per fermare quel gruppo di folli che già un mondo era stato espugnato e non poteva essere risigillato, perché servivano comunque tre chiavi.

Un momento.

Di Keyblader, in quel gruppo di ribelli, ce n’erano due, e avevano aperto una serratura chiusa con tre Chiavi. “Non è possibile…” borbottò, sempre attendendo che la porta davanti a lui si schiudesse per lasciarlo entrare. Dato il tempo che ci stava mettendo, evidentemente il Re era stato buttato giù dal letto.

L’unico Keyblade che rimaneva era quello di Roxas, ma, se il suo Nessuno fosse tornato in vita, lui lo avrebbe di sicuro percepito, o almeno una delle due Chiavi che aveva sarebbe scomparsa e se ne sarebbe accorto. La soluzione a quell’enigma era una.

“Entra, Sora.”

Il Custode entrò a passi larghi, segno che non volesse perdere tempo, e si diresse immediatamente alla scrivania del Re: come aveva previsto, Topolino era stato svegliato di colpo dal suo bussare, perché aveva ancora gli occhi appesantiti dal sonno, ma era comunque vigile. “Qualcosa di grave, suppongo, vista l’irruenza.”

“Si è frantumata una barriera, quella che faceva capo al Monte Olimpo.”

Topolino si fece più attento, rizzando le orecchie: “Proprio l’unico mondo che avevamo lasciato per ultimo perché aveva un esercito di Heartless. Léon avrebbe dovuto essere lì, non ha mandato nessun rapporto?”

Chissà perché il Re facesse così tanto affidamento su Léon nonostante egli fosse diventato praticamente inservibile: era stato così ostile a Naminé che aveva sacrificato la propria volontà di intendere e volere piuttosto che rendersi un utile strumento nelle mani del Re. Altro non era che un burattino coi fili tagliati, immobile se non mosso da cause estrinseche.

Capiva benissimo che fosse un’ottima fonte di informazioni, ma non sarebbe stato meglio cercarsi una vera e propria spia?

“Intendo le tue perplessità, ma Léon ha ancora dei lati molto utili, fidati.”

“Mi fido, solo che…”

“Registra qualsiasi cosa veda, e sarà in grado di dirci cosa sia effettivamente successo al Monte Olimpo. Piuttosto, sugli altri fronti, come procede la situazione?”

Sora poteva chiaramente intuire i pensieri di Sua Maestà: non aveva assolutamente intenzione di cedere altre serrature all’Organizzazione, e avrebbe messo chiunque davanti a sé e il suo castello. Non voleva morire così presto, e non voleva cedere il proprio regno a nessuno.

“Oramai ogni serratura è monitorata e sorvegliata perpetuamente, non c’è nulla da temere. Se i ribelli vorranno fare un passo in avanti, cadranno di sicuro in una buca.”

Il Re sembrava soddisfatto con quelle informazioni, sicuro com’era, ma Sora, ricordandosi di ciò che aveva pensato prima di entrare, riferì queste parole al suo sovrano: “Sua Maestà, è possibile che sia comparso un altro Custode, perché una serratura da tre sigilli è stata apparentemente rotta da due Keyblade.”

Topolino si fece molto serio: “Non è possibile che sia…”

“No, se fosse stato Roxas almeno “Lontano Ricordo” sarebbe svanito.”

“Capisco. Ti convocherò stasera insieme agli altri che possono oltrepassare gli scudi, per studiare la situazione.”

“Ricevuto, Sua Maestà.”

 

Quartier generale della resistenza, ore 13.33.

 

Xigbar era tornato con una busta di pane, spiegando la povera spesa con un “non sono riuscito ad arraffare più di tanto, c’era troppa gente”, ma, sebbene non ci fosse abbastanza cibo per un pranzo per diciassette persone appena uscite da una battaglia massacrante, tutti furono più che contenti di mettere qualcosa sotto i denti. In più, tutto veniva annaffiato con acqua e vino, cosa che riuscì almeno a rinfrancare un minimo gli animi spossati dei ribelli.

Naminé non riusciva ad essere tranquilla: tutti la guardavano, chi incuriosito, chi sospettoso, non credendo al fatto che lei fosse riuscita ad estrarre un Keyblade dalla serratura, cosa che, in effetti, neanche lei riusciva ad elaborare. Era stato tutto troppo confuso perché riuscisse ad assorbirlo: la luce, la voce, il Keyblade spuntato dal nulla, e, finalmente, il primo obiettivo che si schiudeva e apriva la porta per un’altra missione, un’altra serratura. L’unica cosa che ricordava bene era il movimento che aveva dovuto fare per aprirla, la serratura: si era messa in linea con Kairi e Riku e aveva puntato in Keyblade verso la colonna, poi l’arma aveva fatto da sola, un raggio era nato dalla punta ed era finito nella fessura, che poi sparì.

La Chiave, dopo ciò, era svanita, e Naminé sapeva, non aveva idea di come, che per riprenderla sarebbe bastato infilare di nuovo il braccio nel buco della serratura, perché la voce dolce e malinconica l’avrebbe guidata di nuovo. Non sarebbe riuscita ad usare il Keyblade come arma, ma almeno sarebbe stata utile a Riku, invece che essere un peso morto e basta.

“Grazie al cielo abbiamo un po’ di pane… stavo morendo di fame…” mormorò Kairi, che si guadagnò il sorriso amichevole di Demyx, il quale era, se possibile, ancora più affamato: “Già, ho sempre detto che il potere di Xigbar fosse molto utile.”

Per qualche minuto calò un silenzio laborioso di mandibole che masticavano, essendo tutti troppo impegnati a mangiare che parlare.

Quella missione era durata solo una notte, ma era bastata per far loro esaurire forze che sarebbero durate per due settimane, e probabilmente era anche stata colpa della maledizione dell’Oltretomba che, oltre a inibire ogni forma di potere, infiacchiva l’anima e il corpo. Tra tutti, il più esausto, nonostante il ruolo avuto nell’esito della battaglia contro Ade, era Marluxia, e ciò era dovuto a parecchi fattori: prima di tutto, non si era accorto di subire ancora qualche effetto collaterale della botta ricevuta sulla nuca che si riconduceva a fitte alle tempie ogniqualvolta muovesse la testa in maniera troppo brusca, inoltre la scalata a cui era stato costretto con ancora la maledizione addosso non aveva contribuito a migliorare la sua situazione a cui si era aggiunto anche il combattimento contro Zexion. In più, aveva completamente rimosso il frammento di catena assorbente – così l’aveva ribattezzato – che aveva riposto all’interno del cappotto e che gli aveva risucchiato qualche etto di energia. Non sapeva se quegli anelli metallici e magici gli sarebbero serviti, ma aveva avuto l’impulso di prenderli e così aveva fatto.

A peggiorare il tutto c’era la fastidiosa sensazione di doversi ricordare qualcosa a tutti costi, ma quel qualcosa era talmente evanescente che non riusciva a intuirlo né riportarlo alla luce: da quello che gli aveva detto Zeus la sua vita si era svolta in quel mondo, e avrebbe dovuto investigare ancora. Aveva avuto l’intenzione di rimanere indietro, ultimo, ed infine dileguarsi almeno finché non avesse trovato qualche indizio utile sul vecchio sé stesso, ma si era accorto di avere lo sguardo del Superiore puntato addosso e aveva desistito. Il fatto di essersi già allontanato aveva funto da calamita per il sospetto di Xemnas che, quando era caduto giù dopo aver colpito Kore, sebbene si fingesse completamente assorbito dai propri problemi con la serratura, non gli aveva staccato gli occhi di dosso.

Xemnas aveva in qualche modo allentato la presa su Larxene perché lei si era resa utile e non aveva tradito i propri compagni, ma la morsa sopra di lui restava ancora pronta a scattare. Non sarebbe stato facile allontanarsi dal campo visivo del Superiore o del suo vice senza suscitare dubbi, ma una sorveglianza troppo rigida era l’ultima cosa di cui aveva bisogno. Doveva acquistarsi il suo favore per potersi liberare di quelle due paia d’occhi indiscreti e, infine, dirigersi sul Monte Olimpo e indagare.

Marluxia non poté formulare altri pensieri che la voce di un vecchio distrusse il silenzio del nascondigli, mettendo tutti sull’attenti: “Riku!”

Il diretto interessato scattò in piedi, brandendo il Keyblade con fare sospettoso, e tosto davanti a lui comparve l’immagine, un po’ sfocata, di mago Merlino.

Era proprio Merlino: a testimoniarlo erano il gufo Anacleto sulla sua spalla, la tunica che lasciava intravedere le caviglie secche e il cappello a punta.

“Cosa ci fai qui?” ringhiò l’albino che, nonostante con un braccio ferito e fasciato sembrasse molto poco pericoloso, assunse il suo atteggiamento più aggressivo, che sembrò in qualche modo spaventare e divertire il vecchio mago: “Non essere così bellicoso, Riku, vengo in pace.” E poi si rivolse a Naminé: “Le tue catene sopra la mia memoria si sono rotte, sono tornato me stesso.”

Il sollievo volatilizzò ogni traccia di ostilità sui volti dei diciassette ribelli.

“Cosa…?” balbettò Riku, sorpreso, ma fu interrotto dalla voce del vecchio: “Non posso spiegare tutto ora, sono in una stanza che non è la mia e potrebbero entrare estranei da un momento all’altro. Ascoltatemi!”

E cadde il silenzio: nessuno sembrava più interessato a come Merlino avesse potuto trasportare la sua immagine lì, quanto più, allarmati dal tono urgente che egli aveva assunto, da ciò che stesse per dire: “Come dicevo, sono tornato me stesso, e ho intenzione di aiutarvi, ma dall’interno.”

Riku si illuminò: “Davve-”

“Non mi interrompere!” lo fermò il mago, irritato e frettoloso: “Devo darvi alcune informazioni: primo, lo scudo che porta alla stanza dei Cuori è difettoso, e non lascia passare nessuno, neanche me, che in teoria potrei passare attraverso le barriere. È collegato alla serratura che si trova nel Mondo Che Non Esiste, perciò, in caso l’apriste, sappiate che Sora e Sephiroth si getteranno di corsa a distruggere i vostri cuori, che si trovano in una stanza che solo Sora può aprire. Dedicatevi a quella serratura per ultima.”

Annuirono.

“Gli altri mondi sono molto più sorvegliati del Monte Olimpo, state attenti. Mi è difficile collegare i ricordi finti a quelli veri, ma da quanto ho sentito sono state sistemate truppe un po’ ovunque. Inoltre, cercate quanti più alleati potete, non sarà facile entrare neanche con un alleato all’interno.”

“Come faremo?” chiese Xemnas: “Qui tutti ci sono ostili.”

Merlino addolcì stranamente lo sguardo, come se avesse visto Xemnas e i suoi sottoposti solo in quel momento e avesse pietà di loro: “Ci sono più persone favorevoli a voi di quanto credete, Xemnas, non ti preoccupare. L’unica difficoltà è trovarli.” Poi si rivolse di nuovo a Riku: “Cercate Yuffie, mi raccomando! Sarà una preziosa alleata, visto che è ancora libera.”

Cloud, al sentire il nome della sua unica amica rimasta, fece un passo in avanti, come se volesse chiedere altre informazioni, ma la figura di Merlino si girò di scatto verso qualcosa che, nella realtà, si stava muovendo dietro di lui: “Sta arrivando qualcuno, devo andare. Riku, proverò a mettermi in contatto con te di nuovo, non toglierti mai di dosso ciò che ti ho regalato, perché è con quello che ti riesco a raggiungerti.” La sua parlata si stava facendo sempre più veloce: “Vado, e, ricordate, ora sono dalla vostra parte.”

E, detto questo, la sua immagine si frantumò in una nuvoletta bianca e scomparve, lasciando i diciassette ribelli nei propri pensieri.
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EHEH, non vi aspettavate mica che fossi così veloce, eh?

E dopo solo sette capitoli, ecco a voi che finisce la missione nel primo mondo! E pensare che ce ne mancano ancora... molti. In un certo senso la cosa mi deprime xD Vi prometto che la missione nel Bosco dei Cento Acri non durerà così tanto!
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Anche perché, in effetti, cosa mai potrei inventarmi su Winnie The Pooh, di malvagio?
Do. Not. Ask.
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Ehm Ehm. Comunque, il prossimo capitolo - che non ho idea di quando potrebbe essere aggiornato - farà parte di una serie di flashback, chiamata Chain Of Memories, che saranno sparsi per tutta la storia e inseriti al momento opportuno.
Su cosa saranno questi flashback?
Sono i ricordi, perduti e non, dell'Organizzazione, e verranno inseriti quando qualcosa delle loro vite salterà fuori, anche in minima parte. Il fatto che siano postati non vuol dire però che il personaggio interessato abbia recuperato la memoria. Devo però dire che la maggior parte sono inventati, non provengono da nessuna fonte in particolare. Giusto per essere chiari.
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Nei capitoli scorsi si è citato il passato di Marluxia, ergo il prossimo capitolo sarà su di lui.
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Alla prossima <3
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p.s. chi indovina dove andranno i nostri eroi nella prossima missione farà 1076 punti e vincerà un biscotto \(^o^)/
p.s. Cliss, tu non vali perché già lo sai °^°



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