Mentre ti aspetto

di Ryta Holmes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Desclaimer: Merlin e tutti i suoi personaggi non mi appartengono, se lo fossero, sarei ricca, la serie non sarebbe finita e Ginevra avrebbe sposato Lancillotto.
 

MENTRE TI ASPETTO

 
Prologo

“Buonasera signori e benvenuti a questa edizione straordinaria del tg nazionale.”

La voce della speaker fuoriuscì dalla vecchia tv un po’ gracchiante ma abbastanza forte da catturare l’attenzione dell’unica figura presente tra le quattro mura di quella catapecchia.

Una mano rugosa andò ad afferrare il telecomando con ansia per aumentare il volume, come se già non fosse piuttosto alto e per un attimo parve che la speaker del telegiornale fosse stata catapultata nella stanza e parlasse direttamente in faccia all'uomo seduto a un tavolo di legno un po’ muffito, come lui e come tutto il resto in quella casa.

“E’ ufficiale, è una femmina! La regina ha dato alla luce una bambina! I reali hanno dato l’annuncio-“

La speaker venne immediatamente zittita da un grido di rabbia, basso e gutturale e dal lancio violento del telecomando contro lo schermo del televisore, che si crepò spegnendosi di colpo. Uno sbuffo di fumo seguì un lampo di elettricità ma l’occupante di quella casa non se preoccupò, troppo intento a rovesciare anche il tavolo e l’unica sedia di quella abitazione da pescatore, umida e ammuffita.

Il vecchio spalancò la porta e uscì all’esterno, dove la luce della luna riverberava riflessa in un lago. Là dove il terreno si faceva più umido fino a bagnarsi, si inginocchiò e il suo grido di frustrazione si propagò nell’aria, risuonando di un’eco lugubre e portando nel vento quelle note di rabbia e di disperazione che si dispersero tra le acque del lago e nei boschi intorno.

Lacrime di amarezza scivolarono per terra da occhi di un azzurro così intenso che il tempo non aveva intaccato a differenza della pelle ormai raggrinzita e dei capelli che con la barba lunga sembravano fatti di ovatta bianchissima.

“Non sarà mai il momento…” un mormorio, prima di accasciarsi al suolo e di pensare a quanto sarebbe stato bello lasciarsi andare e smettere finalmente di aspettare. Di aspettarlo.

////////

Ehilà! Ogni tanto ritorniamo a scrivere XD Avevo questa idea che mi frullava in testa, dopo il triste finale della serie e una sfilza di letture angst di cui non faccio nome (Emrys*cooooff*) mi hanno fatto venire la voglia di metterla giù… quindi eccoci qui! ^-^
Qualche breve precisazione: ovviamente ci troviamo ai giorni nostri, ho giocato sul fatto che Merlin attende il ritorno di Arthur ma non sa quando e nemmeno come tornerà. Per cui il povero caro Merlo non solo lo aspetta sulle sacre sponde ma spera in cuor suo che il Re rinasca come Re, appunto.
Ma sarebbe troppo facile. E questa storia non sarebbe angst u_u
Perciò vi dico a presto! La storia vien fuori da sola che è una bellezza quindi conto di aggiornare senza tempi biblici! (anzi se sono buona il primo capitolo ve lo invio pure presto presto)
Aspetto vostri commenti, ovviamente!! ;)
Baci
Ryta

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Desclaimer: Merlin e tutti i suoi personaggi non mi appartengono, se lo fossero, sarei ricca, la serie non sarebbe finita e Ginevra avrebbe sposato Lancillotto.

 

MENTRE TI ASPETTO
 

 
Capitolo 1

 
“Tutta l’Inghilterra festeggia la nascita della primogenita dei reali. Una bella bambina di quattro chili nata alle 3 di questa notte…”

La voce maschile alla radio annunciava la notizia per la decima volta. Quel giorno non si parlava d’altro che dell’ultima arrivata della casa reale e ovunque, tra le strade e sui mezzi di comunicazione era un via vai di notizie circa lo stato di salute della regina e la bellezza della figlia... che a detta dell’ultimo commentatore a cui il giornalista aveva appena dato la parola, sembrava “assomigliare tutta al papà!”

Lucius sbuffò contro la tazza del caffè e voltò una pagina del Times, continuando la sua lettura. A differenza del resto del mondo che cercava febbrilmente novità sulla notizia del giorno, lui leggeva tranquillamente i risultati dell’ultima partita del Manchester. La radio nel frattempo, continuava a decantare la bellezza di questa bambina che in realtà, nessuno a parte la famiglia reale, aveva ancora visto, considerato il numero spropositato di vigilanti intorno all’ospedale blindatissimo e a prova di fotoreporter, che lui stesso aveva predisposto. I reali infatti, avevano scelto la cittadina di Glastonbury per il lieto evento, lontano dal caos di Londra.

Il bussare della porta non lo scompose, mormorò un “Avanti!” continuando a sorseggiare il suo caffè e a leggere il giornale.

“Signor Chaste, c’è un giornalista che la sta aspettando”, la segretaria catturò la sua attenzione, costringendolo ad abbandonare quel momento di relax. La sua visuale accolse la figura abbondante dell’impiegata che posava sulla scrivania una quantità infinita di cartelle o come lui le definiva, di maledette scartoffie.

“Queste sono le pratiche per il piano di intervento Baby on Board e più tardi le invierò…”

Baby on Board? A chi diamine è venuto in mente di chiamare questa operazione con un nome così ridicolo?” domandò seccato, osservando le cartelline tutte accuratamente rinominate in quel modo.

“E’ stato il sergente Gwalchmeil a proporlo, signore. Ha detto che un’operazione ridicola doveva avere un nome ridicolo e la proposta è stata accolta con entusiasmo da tutti.”

La sua segretaria lo guardava come se da un momento all’altro sarebbe esploso.

“Ma non a me.” Sentenziò infatti a denti stretti, reprimendo l’impulso di gridare il nome del suo sottoposto per fargli un bella ramanzina. Lui odiava le cose… ridicole.
Lucius Chaste era un uomo di sani principi e soprattutto coi piedi ben piantati per terra. Era un realista che aveva scelto una strada difficile in un ambiente dove con la realtà dura e cruda bisognava averci a che fare ogni giorno. Solo con quella sua pragmaticità e con una buona dose di coraggio, che non gli era mai mancata, aveva fatto carriera nel mondo della polizia britannica divenendo a soli 32 anni, Ispettore Capo di uno dei cinque distretti del Regno Unito. Una posizione molto ambita che però a lui ancora non bastava, perché il suo senso del dovere gli aveva fatto desiderare molto di più.

“Se vuole lo faccio cambiare, modifico tutto…”

“No lascia stare…” sbuffò interrompendo la segretaria e accompagnando le parole con un gesto della mano. “Mandami piuttosto quel giornalista… mi auguro non voglia dettagli sull’operazione Baby on Board!” si chiese distorcendo la voce sulle ultime parole.

La donna non gli rispose, preferendo il silenzio forse per paura di scatenare altra rabbia. Si avvicinò alla porta dell’ufficio per aprirla e richiamare l’attenzione di una persona che attendeva di fuori. Poco dopo entrò un uomo dall’aria saccente e poco simpatica… come tutti i giornalisti, ricordò Lucius.

“Buongiorno Ispettore Chaste. Posso disturbarla per alcune domande?”

Lucius lo osservò per bene, mentre gli restituiva il saluto con una stretta di mano. “Di che tipo, se posso sapere?”

“Delle sue recenti dichiarazioni… politiche, se così possiamo definirle.”

Lucius sorrise. Quel giornalista era lì per cose importanti, non per inezie come la figlia dei reali d’Inghilterra. “Bene, mettiamoci comodi.”

***

Scendere nei bassi fondi era sempre un po’ come tornare indietro nel tempo. A quando lui non era che una recluta, appena diciottenne e tutto quel mondo era tutto ciò che lui aveva sempre sognato. Il suo ufficio aveva la sede esattamente sopra una delle tantissime centrali di Polizia che gestiva dall’alto della sua carica. Nonostante gli impegni della giornata, non aveva scordato lo scherzetto del sergente Gwalchmeil e aveva tutta l’intenzione di fargli una lavata di capo. Primo, perché quel nome era davvero ridicolo e non appena la stampa lo avrebbe saputo ci avrebbe impietosamente ricamato sopra e poi – soprattutto, avrebbe aggiunto – perché i nomi delle operazioni li decideva lui. Era una questione di principio!

Perciò si trovava a gironzolare tra il caos della centrale, degli agenti in servizio, degli arrestati e dei comuni cittadini lì per qualche richiesta. Gli era stato detto che il sergente dal nome impronunciabile e anche piuttosto brutto – a detta sua – era sceso in centrale per interrogare il testimone di un omicidio. Non che lui avesse più competenze di questo tipo, ma la natura passionale dell’uomo lo costringeva di tanto in tanto ad abbandonare carte e scartoffie per tornare a fare il poliziotto come un tempo.

“Dove trovo Gwalchmeil?” domandò a un agente semplice in servizio all’accettazione. Il giovanotto dall’aria inesperta lo squadrò poco convinto.

“Chi lo cerca?”

Lucius sollevò gli occhi al cielo. “Come sarebbe a dire chi lo cerca! Trovami immediatamente il sergente se non vuoi che ti licenzi sul posto!”

Il giovanotto parve scuotersi. Sgranando gli occhi e intuendo finalmente chi avesse davanti, si sollevò in piedi mimando un gesto militare e poi scattò alla ricerca del sergente Gwalchmeil.

Lucius scosse il capo sospirando con quieta disperazione. “Tutti a me…”

Il suo gesto teatrale non raccolse l’attenzione di nessuno, perché all’improvviso un grido immobilizzò l’intera centrale. Lucius sollevò il capo in direzione della baraonda che di lì a poco si creò e con passo veloce raggiunse il punto in cui diversi agenti cercavano di immobilizzare… un vecchio.

“Ma si può sapere che…” provò, mentre osservava l’uomo dimenarsi e gridare frasi senza senso, respingendo gli agenti con una forza innaturale per un anziano della sua età.

“Tenetelo fermo!” gridò qualcuno. Poi avvenne qualcosa di ancora più assurdo: uno dei poliziotti si ritrovò a capitombolare su una scrivania senza nemmeno essere toccato. Fu a quel punto che Lucius si intromise e gridò.

“Smettetela tutti quanti! Lasciatelo andare!”

Il comando così imperioso, fu accolto senza alcuna reticenza. Evidentemente la centrale non era fatta solo di pivelli e qualcuno ancora riconosceva la sua autorità. Vide il vecchio crollare a terra e ansimare per l’agitazione o forse lo spavento… o forse qualcos’altro che Lucius non capiva.

Aveva l’aria di un vecchio barbone, con quel cappello di lana in testa e gli abiti sdruciti ma emanava un forte odore di pesce.

“Da dove viene?” domandò a uno degli agenti che aveva provato a fermarlo.

“Sarà un vecchio ubriacone, signore. Lo abbiamo trovato incosciente sulle rive del lago e lo abbiamo portato qui.” A quelle parole, Lucius strinse la labbra ma non diede altro segno di turbamento. Quella frase l’aveva già sentita un'altra volta.

Fu a quel punto che si inginocchiò per guardare meglio quel vecchio e… non vide nient’altro che un vecchio. Sporco e impaurito. Ed esausto. Con gli occhi di un azzurro vivido che adesso ricambiavano lo sguardo.

“Non dovrebbe stare qui. Quest’uomo va portato in ospedale o in un osp-“ non concluse la frase. La voce gli morì in gola, quando la mano raggrinzita ma forte del vecchio lo arpionò sull’avambraccio. Vide quegli occhi azzurri sgranarsi di sorpresa e poi quella bocca nascosta dalla folta barba bianca spalancarsi come per dire qualcosa.

Ma non ne uscì nulla alla fine. Il vecchio lo guardò iniziando inspiegabilmente a piangere. E lui si sentì a disagio.

“Mi… occuperò io di lui.”


Continua…


/////

Ehilà! Sono stata buona e ho pubblicato ad appena 24 ore di distanza, visto? u_u la verità è che effettivamente nel prologo non c’è assolutamente nulla ed ero curiosa di farvi leggere il primo capitolo della storia vera e propria! :D

Storia che mi auguro abbia qualche recensioneeeeeeee >______< suvvia, non fatevi pregare!! Ora entriamo nel vivo, il vecchietto incontra questo giovanotto di nome Lucius, che… non continuo ma spero di avervi incuriosito! ^-^

Solo qualche piccola precisazione: ho cercato la struttura della Polizia Inglese su wikipedia e se non ho capito male, in teoria dovrei aver scritto tutto bene! Ma se dovessero esserci errori, chiedo venia! ;)

Altra precisazione, o meglio consiglio, fate caso ai nomi. Nessuno è stato scelto a caso! :D vediamo se via via indovinate a chi fanno riferimento!
Stavolta vi lascio una piccola anticipazione!
 
“Lo ripeto tu sei un folle.”

Lucius sghignazzò compiaciuto, la tazza del caffè ormai vuotata del tutto. “No, io sono una leggenda!”

Cocci sul pavimento. Il rumore improvviso lo fece sobbalzare, per un attimo dimentico che in casa vi era qualcun altro.
 
Bene! E con ciò vi saluto al prossimo capitolo! Aspetto commentiiiiii!
Baci
Ryta

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Desclaimer: Merlin e tutti i suoi personaggi non mi appartengono, se lo fossero, sarei ricca, la serie non sarebbe finita e Ginevra avrebbe sposato Lancillotto.
 

MENTRE TI ASPETTO

 

Capitolo 2


“Lei è un suo parente?”

“No.”

“Conosce qualcuno che possiamo chiamare?”

“Senta, ho già detto alla sua collega che non lo conosco, lo abbiamo trovato in centrale e io mi sono offerto di portarlo qui. Sono un ispettore capo.”

“Guardi, qui conta poco chi è lei, a noi servono documenti o contatti. In ogni caso dubito potremmo tenerlo qui.”

Lucius si passò una mano tra i capelli in un gesto esausto e anche piuttosto seccato, considerata la disponibilità della simpatica infermiera di turno. Quella donna aveva il potere di farlo innervosire – non che fosse poca la gente con quella capacità – ma lei, si vedeva chiaramente, provava un certo compiacimento nel rispondere a tono alle sue parole.
Intorno a loro, il caos del Pronto Soccorso dell’ospedale di Glastonbury che quella sera sembrava più agitato del solito.

“Come sarebbe a dire che non potete tenerlo qui? E’ vecchio e malato! E deve aver passato tutta la notte al freddo! Come potete dimetterlo?”

“Per sua informazione, quel vecchietto è più in salute di me e di lei messi insieme! E’ sano come un pesce, perciò non possiamo tenerlo qui. L’ospedale è in subbuglio per la nascita della principessa e abbiamo ordine di non tenere nessuno se non per necessità.”

“Lo so benissimo, quell’ordine l’ho dato io.” Replicò a denti stretti, reprimendo una rabbia sempre più pressante.

“Ora la farò parlare con il medico di turno” continuò l’infermiera più conciliante. “Così mi crederà!”

Si fece accompagnare dentro la sala, dove trovò un dottore in camice bianco intento a compilare una cartellina e il vecchio abbandonato semi-seduto su un lettino. Lo sguardo fisso nel vuoto si riscosse, quando lui entrò e si sentì i suoi occhi azzurri puntati addosso.

Ignorando il disagio che quello sguardo gli provocava, si rivolse al dottore. “Mi scusi ma l’infermiera mi ha detto che… sta bene?”

L’uomo sollevò lo sguardo dalla cartellina e incrociò quello di Lucius, mostrando tutta la sua sorpresa. “E’ lei che lo ha accompagnato qui? E’ un suo parente?”

Lucius evitò di sbuffare di nuovo. “Sì e no. L’ho accompagnato io ma non lo conosco, vengo dalla centrale di Polizia dove è stato portato in questo stato.”

“Ma lei è un poliziotto?” Quando Lucius scosse il capo, spiegando di essere l’Ispettore Capo, il medico si fece più sorpreso. “E come mai ce lo ha portato lei, qui?”

Lucius si spazientì, quella situazione stava raggiungendo livelli di assurdità che lui non era in grado di sopportare. “Senta, non lo so. Vorrei soltanto capire cosa devo fare con questo vecchio.”

“Ah, per quel che mi riguarda può farci che vuole. Può riportarlo dove lo avete trovato o lasciarlo in un ospizio. L’unica cosa certa è che qui non può stare. Ordini dall’alto.”

“Lo so!” esclamò Lucius. “Sono miei quegli ordini!” si massaggiò le tempie cercando di calmarsi. “Posso sapere perché non potete tenerlo qui?”

“Non gliel’ha detto l’infermiera? E’ sano come un pesce.” Replicò il medico senza scomporsi. “Parola mia, non avevo mai visitato una persona della sua età con un cuore così forte come il suo. E tutti i valori sono nella norma, non un problema. Se riesce anche a farlo parlare, gli chieda come ha fatto e venga a dirmelo, perché sono proprio curioso!”
Lucius emise un lungo, lunghissimo sospiro. Quella giornata sembrava continuare a regalare sorprese.

***


Aveva acceso tutte le luci, giusto per dare un’aria più accogliente a quella grande villa. Non che avesse molto senso, quel gesto. Stava mostrando casa sua a un vecchio ubriacone che puzzava di pesce e che probabilmente non era mai entrato in un’abitazione tanto grande in vita sua. Ma quello lo seguiva in silenzio, guardandosi intorno e per un attimo ebbe anche l’impressione che l’ombra di un sorriso comparisse su quel volto affaticato da chissà quali pensieri.

Mentre mostrava tutte le stanze, Lucius chiedeva a se stesso, perché diamine se lo fosse portato a casa. L’ospedale non lo voleva, riportarlo in centrale gli pareva assurdo, lasciarlo per strada inumano. Gli ospizi a quell’ora erano sicuramente chiusi e in ogni caso non era convinto di voler pagare un soggiorno a cinque stelle a uno sconosciuto.
L’opzione più logica era stato portarlo a casa sua. In barba ai pericoli che avrebbe potuto correre. Che ne sapeva lui se quel vecchio altri non era che un feroce assassino? Magari con il compito di assassinare l’ispettore capo di Glastonbury?

Domande che però, gli parevano assurde quando incrociava quegli occhi azzurri che continuavano a guardarlo in una maniera che gli creava disagio, perché… perché sembrava lo venerassero.

“Qui c’è la tua stanza.” Il giro si concluse in una camera al piano di sopra. Non molto grande ma accogliente e completa di ogni confort. “Quella porta è il bagno, voglio che ti dai un ripulita e indossi degli abiti puliti che troverai in quell’armadio. Hai… bisogno di una mano?” quando il vecchio scosse il capo, gliene fu grato. Non aveva familiarità con certe cose e soprattutto non era molto abituato al contatto fisico. Lui che in tutta la sua vita non aveva mai avuto un abbraccio… o forse più semplicemente non lo ricordava.

“Perfetto, buonanotte allora.”

Si chiuse la porta alle spalle, concedendosi infine un sospiro stanco. Chiedendosi ancora se quello che stava facendo fosse giusto o meno, si ritirò nella sua stanza, pensando bene di chiudersi a chiave. Quella notte avrebbe dormito ben poco.

***


L’odore del caffè si propagò nella cucina, spandendosi anche nelle stanze adiacenti. Lucius spense il gas e si riempì una tazza di fumante liquido nero, pregustandosi la consueta lettura della sezione sportiva del Times. Peccato che non appena si era seduto, il telefono aveva preso a squillare, interrompendo ogni idillio.

“Chaste che intenzioni hai?” la voce dall’altra parte sembrava sorpresa.

Lucius sorrise compiaciuto. C’era una cosa che non aveva controllato ma adesso aveva la conferma anche senza bisogno di riguardare il giornale. “Ti riferisci all’intervista che mi è stata fatta ieri?”

“Mi riferisco a questa grande cazzata di concorrere alle primarie del partito Laburista!” a inveire contro di lui, era Carter Knight, la figura più vicina a un amico che Lucius conoscesse. Carter lavorava in polizia come lui, soltanto che aveva scelto la via dell’azione, a quella del comando, cosa che aveva scisso per sempre i loro mondi dopo alcuni anni di percorso comune come agenti semplici.

“Non è una cazzata. O meglio lo sarà, se non mi darai una mano e non mi voterai alle prossime primarie.”

“Tu sei un folle.”

Lucius prese un sorso del suo caffè, dimostrando spavalderia anche se l’altro non poteva vederlo. “No, sono un realista. E ho buone idee e ottime capacità per diventare Primo Ministro.”

“Lucius, qui non si sta parlando di organizzare la protezione per la principessina reale, fare il Primo Ministro significa guidare una nazione! Hai una vaga idea di cosa significhi?”

“Mi sembra ovvio.” Replicò lui quasi piccato dalla poca fiducia riposta nell’amico.

“Bene.” Si arrese Carter. “Mi auguro allora che tu sappia anche come muoverti adesso. Per arrivare a fare il Primo Ministro, dovrai diventare famoso!”

“Knight adesso stiamo esagerando. Sono l’Ispettore Capo di uno dei cinque distretti dell’Inghilterra, io sono già famoso! E ad ogni modo ho approntato un programma di propaganda che come hai visto ha già preso il via. L’intervista di oggi non è che l’assaggio!”

“Lo ripeto, tu sei un folle.”

Lucius sghignazzò compiaciuto, la tazza del caffè ormai vuotata del tutto. “No, io sono una leggenda!”

Cocci sul pavimento. Il rumore improvviso lo fece sobbalzare, per un attimo dimentico che in casa vi era qualcun altro. Sulla soglia della cucina, il vecchio che si era portato a casa la sera prima, si chinava per raccogliere i resti di un barattolo che lui stesso aveva appena fatto cadere dal ripiano di marmo.

“Carter ti richiamo.” Aveva messo giù e poi aveva raggiunto il vecchio per fermarlo. “Lascia perdere, tra mezzora arriva la cameriera, ci penserà lei a ripulire tutto.”
“No…” quella risposta negativa lo sorprese, ma solo perché l’uomo aveva finalmente parlato. Lo aiutò allora, raccogliendo i pezzi più grossi e poi togliendo di mezzo i più piccoli con una scopa. Quando il pavimento fu di nuovo pulito, Lucius lasciò che il vecchio si sedesse al tavolo.

“Vuoi un po’ di caffè?” lo vide annuire e allora riempì nuovamente la sua tazza assieme a un’altra, che porse all’uomo. Poi sedette dall’altro capo del tavolo, studiando i movimenti di quell’ospite insolito.

“Posso chiederti come ti chiami?”

Il vecchio prese un sorso di caffè, poi lo guardò e scosse il capo.

“Quanti anni hai?”

Ancora nessuna risposta. “Dove vivi?”

“Vicino al lago.” Lucius fu contento di sentirlo parlare ancora. Ma il riferimento al lago lo infastidì un poco.

“E’ da molto che vivi lì?”

Un altro sorso e un altro sguardo. “Da sempre.”

“E vivi da solo? Non so, c’è qualcuno che vuoi che chiami? Un parente… un amico.”

“Sono solo. Da sempre.”

Lucius annuì e ingoiò. Perché quel vecchio lo metteva tanto a disagio? Adesso non solo con lo sguardo ma anche con ciò che diceva.

“Come vi chiamate? Qual è il vostro nome?”

Lucius rimase sorpreso da quella domanda che gli venne posta subito dopo con una cortesia così insolita. Guardò il vecchio che continuava a scrutarlo con quegli occhi azzurri e pieni di qualcosa che ancora non capiva.

“Mi chiamo Lucius… Lucius Artorius Chaste.” Perché gli aveva detto il suo nome per intero?

E poi vide ancora quegli occhi farsi lucidi. E un sorriso farsi strada tra i fili argentati di barba. Al disagio si unì un brivido dietro la schiena.


Continua…
 
//////
 
Ehilà! Innanzitutto buon sabato a tutti! ^^ Pubblico oggi, anche se volevo mantenere un ritmo di un capitolo a settimana ma visto il capitolo era pronto e betato (al tal proposito ringrazio il mio terzo occhio Emrys ;) ), ho deciso di postare!

Penso che si commenti da solo, anzi lascio a voi lo spazio per questo! =P sono accette critiche, supposizioni, ingiurie e anche parolacce! Giuro non mi offendo u_u
La lista di personaggi dai nomi studiati aumenta e io vi esorto ancora a leggere tra le righe!

Attendo vostri commenti! :)

Intanto ringrazio di cuore Emrys, Poll e None To Blame per i loro commenti! A loro è dedicato questo capitolo!
Vi lascio con l’anticipazione del prossimo ;)
 
Non può essere lui.
Eppure… è identico. La voce, gli occhi… il sorriso. Persino l’aria saccente con cui affronta il mondo è la sua. Persino il nome. Lucius Artorius Chaste. E Artorius suona troppo come Arthur, come il Re Arthur…
Ma non può essere lui.
 
E’ tutto! A presto!
Ryta
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Desclaimer: Merlin e tutti i suoi personaggi non mi appartengono, se lo fossero, sarei ricca, la serie non sarebbe finita e Ginevra avrebbe sposato Lancillotto.
 

MENTRE TI ASPETTO

 
Capitolo 3
 
Lo sguardo di Lucius ricambiava quello dello specchio senza particolare espressione. Occhi celesti che guardavano occhi celesti. Si passò una mano tra i capelli biondi, lunghi quanto bastava per essere sempre in ordine ma non tanto da sembrare un soldato dell’esercito. Si osservò Lucius, ripensando alle parole di quel vecchio sconosciuto, poi con un gesto secco afferrò la schiuma da barba per rasarsi.

Un leggero filo di peluria iniziava a crescere e a lui piaceva essere sempre ben sbarbato, per dare lustro alla sua immagine di persona per bene, di capo ispettore e adesso, forse, anche di politico.

Mentre la lama passava sulla pelle recidendo ogni pelo biondo che trovava sul cammino, ripensò alla reazione del vecchio, quando gli aveva detto come si chiamava.

Si era commosso. Una commozione veloce, che era svanita subito dopo, così come era uscita fuori ma che lui aveva notato bene. Non gli aveva chiesto perché si chiamasse così. Di solito tutti lo facevano, un nome così insolito generava sempre la solita domanda a cui era riluttante a rispondere. Anzi di solito evitava anche di pronunciare il suo nome per intero ma chissà perché a quella richiesta così sentita non aveva saputo sottrarsi.

Quell’uomo dall’età incomprensibile però, non gli aveva chiesto niente. Si era limitato ad annuire e poi aveva continuato a sorseggiare il suo caffè in silenzio, lanciandogli di tanto in tanto alcuni lunghi sguardi quasi lo stesse studiando.

Quegli occhi, tuttavia, continuavano a metterlo a disagio, per cui, oltre a sfuggirli, aveva deciso di mettere le cose in chiaro.

“Perché continui a guardarmi?”

Il vecchio aveva posato la tazza sul tavolo e gli aveva mostrato un’espressione molto seria. “Somigli a qualcuno che conosco…”

“Beato lui.” Sentenziò, dando un’ultima passata con la lametta e iniziando a lavarsi la faccia per eliminare ogni traccia di schiuma da barba. Lui non conosceva nessuno che gli somigliasse.
 

***

 
“No aspetta… no, ascoltam-… ti ho detto che voglio iniziare quanto prima! Come sarebbe a dire che ci vuole una settimana?!”

Lucius camminava avanti e indietro per l’ingresso di casa, vestito di tutto punto e con il telefonino incollato all’orecchio.

“Non mi interessa! Dobbiamo iniziare la campagna subito, non ai comodi loro!” sbottò infuriato mentre dall’altro capo una voce femminile sciorinava parole a raffica di cui lui ne ascoltava la metà. Non gli importava che la sala del suo primo comizio fosse stata allagata dal guasto di una conduttura, doveva pensare alla sua campagna, diamine!

“Trovane un’altra! Lascia perdere la caparra, intenterò causa contro di loro se faranno storie!”

Dall’altra parte giunse una risposta di assenso, assieme a una serie di parole poco gentili. Lucius allontanò il cellulare dall’orecchio, finché la voce non si spense assieme alla chiamata. Poi sospirò.

“Accidenti…” avrebbe dovuto fare il suo primo comizio il giorno dopo e adesso per tutta quella storia, ne avrebbe persi di sicuro altri due!

“Perché non va' a trovarla?”

Quella voce gracchiante lo fece sobbalzare. Possibile che fosse così insolito per lui, avere un’altra presenza per casa? Si voltò in direzione del vecchio che sulla soglia doveva aver ascoltato tutta la conversazione.

“Non andrò a vedere una sala allagata, non potranno certo aiutarmi.” Replicò seccato e distogliendo lo sguardo da quel vecchio impiccione.

“Parlo della principessa. Perché non va' a trovarla? Ha il potere di entrare in quell’ospedale e porgere gli omaggi alla regina a nome di tutta la comunità.”

Lucius tornò a guardarlo incredulo. Davvero gli aveva appena suggerito l’idea più brillante delle ultime settimane? Erano giorni che programmava, studiava, progettava ogni sua mossa pubblica e in un attimo quell’uomo gli aveva proposto la più semplice ma soprattutto la più proficua?

Sollevò una mano in un gesto di attesa, poi trafficò sul cellulare in cerca di un numero, quello del giornalista che lo aveva intervistato appena un giorno prima.

“Pronto? Parlo con il signor Roland? Sono Lucius Chaste. Forse le interesserebbe sapere cosa farò nel pomeriggio.”

Dall’altra parte una risposta di assenso. Lucius sorrise al vecchio – che con quelle idee avrebbe tranquillamente potuto continuare a impicciarsi quanto voleva – e sollevò il pollice in segno di vittoria.

***


Gocce. Con un ritmo cadenzato. Uno stillicidio continuo che risuona tra le pareti del bagno. Una goccia. Due gocce. Tre gocce. Potrebbe continuare a contarle all’infinito, ma quel rumore che si propaga fin dentro la sua stanza è quanto di più fastidioso conosca. E allora è un attimo, gli occhi da azzurri si fanno dorati e la porta si chiude: ora il rubinetto che perde non si sente più e lui può pensare con calma.

Non può essere lui.

Eppure… è identico. La voce, gli occhi… il sorriso. Persino l’aria saccente con cui affronta il mondo è la sua. Persino il nome. Lucius Artorius Chaste. E Artorius suona troppo come Arthur, come il Re Arthur…

Ma non può essere lui.

Lucius è un uomo di questi tempi, non ha la minima idea di cosa sia la vita medioevale, di dame e di cavalieri e di Camelot. Lucius usa un cellulare e guida un’auto e dirige un intero distretto di Polizia!

Eppure… Eppure vive in una grande dimora, ha attitudine al comando e aspira a diventare il capo di una nazione…

Ma non può essere lui.

Lo avrei sentito altrimenti, quando è risorto! E invece non ho sentito niente! Non sento niente in lui! Quando è rinato? Da chi? Non ha sangue reale nelle vene, come può essere Re?

Non può essere lui… non può esserlo…

Eppure… lo vorrei…

No no… no! No, stupido vecchio, non lasciarti condizionare, non lasciare che la stanchezza e la disperazione ti facciano perdere il senno, no! Ciò che vuoi non è ciò che è.

Non può essere lui. Ma il destino mi ha portato qui e devo capire perché.

 
Continua…
 
/////
 
Aloha!! A-rieccomi con un nuovo capitolo! Un po’ corto lo ammetto ma prometto che i prossimi saranno più lunghi! Intanto… le cose vanno avanti! Ghghggh e sono contenta di aver attirato la vostra attenzione! Anzi ci tengo a ringraziarvi, perché… wow! Non mi aspettavo così tante letture!

Un bacione e un grazie affettuoso va ovviamente, a chi ha anche commentato! Emrys, Jaya, Poll, None To Blame e Chibiusaru81. A voi è dedicato questo capitolo! ^-^
E a tutti coloro che leggono, se vi va di lasciare un commentino, non andrà sprecato, lo giuro! u_u Ad ogni modo grazie cmq, perché la leggete e perché l’avete inserita tra le seguite e pure tra le preferite! *-*

Prima di lasciarvi alla solita anticipazione, voglio fare una piccola precisazione. Sono contenta abbiate apprezzato la storia dei nomi ma non voglio che pensiate siano tutti i personaggi improvvisamente resuscitati per una strana coincidenza. Ho soltanto voluto rendere omaggio ai tanti personaggi di Merlin, citandoli di tanto in tanto in questa fanfic ^^

Il mio amato Gwaine è stato il primo, con uno dei nomi con cui è conosciuto: Gwalchmeil. Carter Knight è Lancelot, ovvero il Cavaliere della Carretta (the Knight of the Cart è diventato Cart Knight e poi Carter Knight XD lo so sono folle!). Ce ne saranno altri, ovviamente…. Anzi già nel prossimo ne avremo un altro! A tal proposito….

 
“Io sono già bello e magnanimo.” Replicò prontamente lui, mostrandosi serissimo a riguardo.

“Lo so!” esclamò Jennifer, accompagnando la parola con una pacca sulla spalla. “Ma alla gente lo dobbiamo far vedere! E io in questo sono bravissima.”

Lucius alla fine sorrise e le afferrò il braccio per avvicinarla a sé. Il contraccolpo la fece sbilanciare e per non cadere finì per poggiare entrambe le mani sulle sue spalle, un ginocchio sulla sedia dove lui era seduto, tra le sue gambe.

“Lo so!” Le fece il verso, abbassando poi il tono di voce. “Altrimenti non ti avrei scelto.”

Jennifer a sua volta, lo ricambiò con un sorriso malizioso. “Signor Chaste, sa benissimo che non mischierò vita privata e lavoro… una seconda volta.”

 
Ed è tutto! Alla prossimaaaaaaaaa
Baci, Ryta
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


 
Desclaimer: Merlin e tutti i suoi personaggi non mi appartengono, se lo fossero, sarei ricca, la serie non sarebbe finita e Ginevra avrebbe sposato Lancillotto.

 

MENTRE TI ASPETTO
 

 
Capitolo 4
 
“Credimi sono senza parole! Hai guadagnato in un attimo almeno il 10% dei consensi in più!”

Lucius sorrise compiaciuto, gonfiando il petto solido e sollevando anche il mento in maniera sfrontata. Se i consensi erano aumentati del 10%, il suo ego di certo era salito ancora di più. Guardava la tv dove la sua immagine raccontava alle telecamere, davanti a un numero imprecisato di microfoni di altrettante testate giornalistiche, della bellezza della piccola principessa appena nata e di quanto i reali avessero gradito la visita dell’Ispettore Capo di Glastonbury che aveva portato fiori e congratulazioni a nome di tutta la comunità.

Ora la tv rimandava le immagini dello speaker del telegiornale nazionale che riferiva a tutti le intenzioni di Lucius Chaste di concorrere alle primarie del partito Laburista e dell’inizio della sua campagna elettorale.

Il compiacimento, se possibile, aumentò ancora di più.

“E’ fatta!” esclamò entusiasta.

“Vacci piano, non montarti troppo la testa! Hai avuto un colpo di genio ma non hai ancora vinto le elezioni!”

A parlare era stata la sua addetta stampa, ovvero colei che aveva messo letteralmente in piedi tutta la sua campagna per concorrere alle elezioni. E Jennifer Fawr era la migliore sul campo. Bella e intraprendente, Jennifer aveva già lavorato per altri politici portando avanti campagne sempre vincenti. Lucius l’aveva contattata immediatamente, non appena aveva preso quella decisione, prima che qualcun altro se la accaparrasse.

La donna all’inizio non aveva preso bene la decisione di presentarsi in ospedale per far visita alla principessa ma Lucius sospettava fosse stata più una questione di orgoglio per non averci pensato personalmente, per cui evitò anche di riferirle che a dargli l’idea brillante era stato un vecchietto sconosciuto dall’aria misteriosa.

Per non ledere ancora di più la sua dignità di addetta stampa, si fece più conciliante. “D’accordo d’accordo, lo sai che sono nelle tue mani. Io non sono bravo in queste cose.”

“Beh, se hai queste idee non direi…” replicò lei con una punta di sarcasmo nella voce. Gli stava di fronte, seduta sul piano della scrivania dello studio, le mani appoggiate al legno e le gambe elegantemente accavallate. Il volto olivastro e incorniciato da una cascata di riccioli scuri, era rivolto a lui e lo guardava con fermezza. “Ad ogni modo te l’ho già detto, lascia fare a me. Tu hai buone doti, il mio compito sarà quello di farle uscire tutte fuori al meglio!”

Lucius le guardò con nonchalance le gambe lasciate scoperte dalla minigonna, poi tornò a dedicare attenzione alla tv accesa. “E io cosa dovrei fare?”

“Quello che fai sempre, Lucius, il buon samaritano.”

Se voleva essere ironica, non ci riuscì. O forse era solo maledettamente seria.

“Io sarei un buon samaritano? Sono un ispettore capo!”

Jennifer sbuffò, sollevando gli occhi al cielo. “Diamine, Lucius! Possibile che non capisci? Guidi la polizia inglese, fai visita alle partorienti e adesso ospiti anche un vecchio barbone in casa tua! La gente ama queste cose!”

Il riferimento al barbone lo infastidì ma non si chiese il perché. D’altronde glielo aveva appena accennato quando giunta a casa sua, si era vista davanti il vecchio. Ma non le aveva detto altro… e poi perché diavolo se la prendeva tanto?

Sbuffò corrugando la fronte. “Jennifer, io voglio che la gente mi voti per le proposte che ho, non perché sono buono…”

“… e bello…”

“Pure!” esclamò.

Jennifer sospirò. Poi gli posò una mano sulla spalla con l’aria di una zia che si rivolge al nipotino troppo piccolo e troppo stupido per capire. “Lucius… mio caro Lucius. Tu di questo mondo, non sai niente. La gente per votarti ti deve amare, non si deve annoiare. Tu avrai la possibilità di presentare il tuo programma, io se permetti ti farò sembrare bello e magnanimo quel tanto che basta per farti votare da tutti!”

“Io sono già bello e magnanimo.” Replicò prontamente lui, mostrandosi serissimo a riguardo.

“Lo so!” esclamò Jennifer, accompagnando la parola con una pacca sulla spalla. “Ma alla gente lo dobbiamo far vedere! E io in questo sono bravissima.”

Lucius alla fine sorrise e le afferrò il braccio per avvicinarla a sé. Il contraccolpo la fece sbilanciare e per non cadere finì per poggiare entrambe le mani sulle sue spalle, un ginocchio sulla sedia dove lui era seduto, tra le gambe.

“Lo so!” Le fece il verso, abbassando poi il tono di voce. “Altrimenti non ti avrei scelto.”

Jennifer a sua volta, lo ricambiò con un sorriso malizioso. “Signor Chaste, sa benissimo che non mischierò vita privata e lavoro… una seconda volta.”

Lucius rispose con un mugolio, mentre premeva con una mano contro la schiena perché si chinasse a baciarlo. “Perché no…”

“Perché…”

Qualsiasi cosa stesse per dire fu interrotta da quello che accadde dopo. Non un bacio. Niente di simile. Fu la sedia girevole su cui si trovavano entrambi a cedere all’improvviso. Forse fu il troppo preso o forse una strana coincidenza: la sedia si ribaltò all’indietro e di colpo si ritrovarono a terra in un groviglio di braccia e di gambe.

Jennifer scoppiò a ridere, mentre Lucius ancora si dimenava sul pavimento per liberarsi della sedia dispettosa.

“Non ci credo! E’ destino mi sa…” commentò la donna, continuando a ridere. Si riassettò, lisciandosi poi la gonna e facendo il giro della scrivania.

Lucius sbuffò infastidito, mentre si alzava in piedi e rimetteva la sedia apposto. Nel cadere aveva anche battuto la testa, accidenti a quel trabiccolo. “Sfortuna forse…”

Jennifer afferrò la borsa e la giacca abbandonate su una poltrona e si avvicinò poi alla porta. “Chiamala come ti pare! Ci sentiamo domani, signor Chaste!” uscì dallo studio, senza attendere che lui la accompagnasse. Quando si avvicinò all’ingresso, incrociò il vecchio barbone ospitato in quella casa e gli sorrise.

“Io lo lascerei perdere adesso!” gli consigliò, poi uscì.

Neanche un attimo dopo sulla soglia dello studio comparve Lucius, che imbronciò le labbra, quando si rese conto che la donna se n’era appena andata via. Sbuffò rassegnato, incrociando lo sguardo del vecchio che lo guardava come in attesa che gli dicesse qualcosa.

Lucius non riusciva a capirlo, pareva quasi che stesse lì per aspettare un suo comando. Quando il silenzio si fece più lungo, decise di interromperlo. “Devo ringraziarti, sai? La tua idea è stata molto apprezzata… e ha avuto un grande successo.”

“Non ne dubitavo.” Rispose prontamente e Lucius si incuriosì. Dov’era finito il vecchio esanime del giorno prima? Chi era adesso questo anziano così pronto alla risposta e così improvvisamente sicuro di sé?

“Beh, ad ogni modo grazie. A me non sarebbe mai venuto in mente di fare una cosa del genere.”

“Non dubitavo nemmeno di questo.”

Aveva… sentito bene? Lucius sgranò gli occhi sorpreso e restò in silenzio mentre il vecchio sorrideva.

“Se volete arrivare là dove volete, avrete bisogno di molte di queste idee geniali e vi servono consigli. Buoni consigli. Sono pronto a darvi il mio aiuto, se lo desiderate.”

Tutto ciò che Lucius fu in grado di fare fu annuire, mentre lo guardava come se all’improvviso si trovasse davanti un pazzo. Un pazzo pieno di sicurezza. E si sa, più uno è sicuro, più è folle. Eppure gli ispirava una insolita fiducia, come se quell’uomo potesse davvero guidarlo per la strada giusta. Forse era quell’aura di saggezza che tutto a un tratto emanava, sapienza frutto di una antica esperienza affondata in chissà quali radici.

Quell’uomo lo rassicurava, nonostante ciò che rappresentava. Il nulla per lui, forse addirittura un pericolo.

No… cosa andava a pensare? Quel vecchio non era un pericolo. Forse sarebbe stata la sua salvezza.
 

***

 
Due settimane. Sono due settimane che vivo in questa grande villa. Giorni che hanno richiamato alla mia mente ricordi sopiti nel tempo… e che mai avrei pensato di rivivere.
La Storia si ripete. Nessuno tranne me potrà mai capire cosa significhi appieno questa espressione. Io che la storia l’ho vista scorrere con questi occhi, non avevo davvero compreso cosa volesse dire… fino a ora.

Questi giorni che paiono l’ombra di quelli di un tempo… ciò che cambia è solo il contorno, tutto il resto sembra rivivere come allora. Eppure ancora non sento nulla… so che non è lui il mio Re. Per quanto mi sforzi la mia magia non reagisce.

Inizio a pensare che Lui non rinascerà più. E che il Destino ha voluto che io adesso serva quest’uomo.
 
“Insomma, Vecchio! E’ tardi!”

Lucius si palesò sulla soglia della cucina, richiamando l’attenzione del suo ospite non più ospite, intento a preparare il caffè sul fornello.

Era così che lo chiamava da due settimane a quella parte. Visto che non aveva voluto saperne di dirgli come si chiamava, Lucius aveva deciso semplicemente di non chiamarlo. Perciò il vecchio, era diventato Vecchio.

Quanto al fatto se fosse più o meno un suo ospite, c’era da discutere alcuni dettagli. Un ospite non incomincia di sua spontanea iniziativa a farti trovare la biancheria pulita, la colazione pronta e la macchina lucida tutte le mattine, per esempio.

Un ospite non ti consiglia la cravatta giusta o ti dice che tra il discorso che hai preparato e il raglio di un asino non c’è alcuna differenza e che bisognerebbe riscriverlo daccapo. Per esempio.

Lucius aveva riflettuto su quel comportamento che molto spesso – soprattutto agli inizi – lo aveva spiazzato e alcune volte – ovviamente sulla faccenda del discorso – anche fatto infuriare. Poi però, si era detto che quel vecchio strambo in realtà voleva solo trovare un modo per sdebitarsi. E alla fine, visto che tutte quelle premure sotto sotto gli facevano piacere, lo aveva lasciato fare e se l’era tenuto così.

Quella mattina però, era in ritardo e il suo caffè ancora non era pronto. Non che lo pretendesse, chiaro! Ma visto che ormai aveva presto quell’abitudine…
“E’ quasi pronto, abbiate pazienza.” Rispose il vecchio senza scomporsi.

Lucius si sistemò la cravatta e sbuffò. “Ma perché continui a darmi del voi?” chiese. Se l’era chiesto un sacco di volte ma in quei giorni così pieni aveva sempre rimandato quella domanda, assieme a tante altre che in fondo gli parevano tutte troppo indiscrete.

“Abitudine…” soffiò invece il vecchio, con noncuranza, mentre spegneva il fornello e versava il caffè in una tazza. La porse a Lucius e poi si avvicinò al tavolo della cucina per recuperare anche il Times.

“Prendete. Sul mobile dell’ingresso ho lasciato la cartellina con il vostro discorso, assieme ai documenti che avete scordato ieri sera sul tavolo."

Lucius continuava a fissarlo senza capire. Che intendeva con “abitudine”? A cosa poi? Che fosse stato in passato un qualche maggiordomo? Per un attimo se lo immaginò vestito di tutto punto in una dimora tre volte la sua villa, con un vassoio in mano e trent’anni di meno. Chissà com’era stato da giovane, quell’uomo che adesso nascondeva tutto il suo viso dietro quella coltre di ovatta bianca. Tutto il volto, tranne gli occhi di un azzurro fin troppo vivido. Già.

“Perché lo fai?” gli sfuggì, fissando quelle iridi, mentre prendeva dalle sue mani il Times.

Il vecchio stavolta non lo guardò, come faceva sempre. Si finse occupato, decidendo di rassettare il disordine sulla cucina. “Abitudine.” Rispose ancora.

Lucius capì che non avrebbe ottenuto altre risposte, per cui si ricordò di essere in ritardo e decise di chiudere lì quella discussione. “D’accordo. Ci vediamo stasera, oggi ho un comizio a Londra.”

“Lo so, vi guarderò in tv.”

A quelle parole sorrise. Non sapeva perché, ma in qualche modo gli faceva piacere. “Perfetto. A più tardi allora.”

Quando lasciò la stanza, non vide il vecchio sospirare con tristezza. “Se solo fossi tu…”
 

***


Buio. Il silenzio di quella grande villa. Solo la voce del presentatore in tv e la luce dello schermo a illuminare l’unica stanza abitata.

“… e questo è ciò che abbiamo scoperto di Lucius Chaste, signori telespettatori.”

Non è possibile… non può… essere…

“A pochissime ore dalla fine del suo comizio londinese, gli scheletri nell’armadio di Chaste vengono fuori con una facilità disarmante, quasi che lui non abbia voluto nasconderli poi così bene.”

Pensieri indistinti. Ricordi. Speranze. Paure. Troppe cose si agitano in me in questo momento. Non posso… non posso credere che… sia tutto vero.

Ma come è possibile? Come è successo? Quando… è successo?

“…e noi del settimanale di gossip più in del Regno Unito non potevamo non condividere con voi queste insolite sorprese.”

Ho sempre fatto affidamento sulla mia magia, l’unica certezza a cui potermi affidare… e allora perché adesso mi viene meno? Perché non reagisce di fronte… a questo?

“Nel frattempo attendiamo anche una replica da Chaste! Sua eccellenza, si faccia avanti!”

Ma perché non lo sento?

Eppure è Lui. Lucius è Arthur.

 
Continua…
 
/////
 
Lo so. Sono infame u_u ma visto che manco mi commentate, ho deciso di prendermi i gusti =P Iniziamo lentamente ad entrare nel vivo di questa storia, a concretizzare un rapporto tra questi due, a rendere sempre più ambiguo sto Lucius… e a presentare qualche altro personaggio =P Jennifer per esempio, troppo facile stavolta XD ovviamente è Gwen… una Gwen diversa però. Ma che vi piaccia o no è Gwen u_u

Ringrazio col cuore e mando anche un bacione a Jaya, None to Blame e AsfodeloSpirito che hanno voluto lasciarmi un commentino… a tutti gli altri che l’hanno letta e inserita tra le seguite e le preferite, grazie. Se poi vorreste commentare, anche voi, vi assicuro che il vostro sforzo non andrà perduto! Anzi, di sicuro potreste farmi accelerare scrittura e pubblicazioni ;)

Vi lascio la solita anticipazione

 
E quel tocco improvviso del vecchio, bruciò ancora di più degli sguardi e dei ricordi e lui raggiunse il culmine.

“Non toccarmi!” ringhiò, scostandosi con un passo indietro. L’altro sollevò le braccia, come spaventato e aprì la bocca per parlare, ma Lucius non gliene diede il tempo.

“Non impicciarti di faccende che non ti riguardano, Vecchio.” Un sibilo. Pieno di rabbia, che gelò sul posto il suo interlocutore.

 
E’ tutto!
A presto u_u
Baci, Ryta

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Desclaimer: Merlin e tutti i suoi personaggi non mi appartengono, se lo fossero, sarei ricca, la serie non sarebbe finita e Ginevra avrebbe sposato Lancillotto.
 

MENTRE TI ASPETTO

 
 
Capitolo 5

 
L’immagine del suo viso gli tornava riflessa dal vetro del treno su cui viaggiava. Lucius guardò pigramente se stesso e poi le luci che fuori dal mezzo illuminarono a un tratto un poco del tragitto.

Ancora una mezzora e sarebbe rientrato a Glastonbury. Aveva preso il treno per tornare da Londra, che distava da casa appena tre ore. Nella capitale aveva tenuto il suo primo comizio importante, nonostante fossero giorni ormai che il suo nome rimbalzava su tv e giornali.

Jennifer aveva fatto un buon lavoro in fondo, e mentre lui era impegnato a concordare il suo programma di intervento come possibile futuro leader del partito laburista, lei lo aveva reso famoso. E nel vero senso della parola.

Prima di allora non aveva mai capito cosa volesse dire, essere davvero una celebrità. Si considerava una persona importante e di prestigio, un uomo che la gente a Glastonbury conosceva bene e che veniva rispettato da tutti. Ma vedersi ovunque, con il suo bel viso su manifesti, giornali e tv, era una cosa a cui non era abituato. Non che gli dispiacesse, anzi! La fama gli piaceva, essere da tutti ammirato e benvoluto era qualcosa che riempiva il suo ego e gli procurava una bella sensazione di appagamento, soprattutto poi se si aggiungeva che i motivi per cui stava facendo tutto quello erano per lui i più giusti e i più alti.

Persino a Londra, mentre si era diretto verso il luogo del comizio, la gente lo aveva guardato come una celebrità e non passava giorno che non sbucasse sul Times una sua foto.
Tutta questa fama era stata sublimata quel giorno dall’assemblea che aveva tenuto a Londra e che aveva raccolto una platea di consensi. L’incontro aveva visto un confronto di tutti i candidati alle primarie del partito e lui ne era uscito con una buona reazione da parte di un pubblico che non aveva avuto nessun problema a fischiare altri suoi concorrenti.

Per lui c’erano stati applausi e qualche “Continua così!” che secondo Jennifer, che lo aveva accompagnato, “Potrebbero far ben sperare… ma non montarti ancora la testa, che è presto!”

Lui non si montava la testa. Lui era solo convinto. A differenza di molti suoi avversari era giovane e voleva portare una ventata di freschezza nel partito con proposte che avrebbero giovato a tutta la nazione. Puntava alla modernità eppure al tempo stesso non spaventava con le sue idee, aveva in programma di fare le cose con calma, per abituare la cittadinanza. E poi aveva ottime proposte per uscire dal periodo di crisi economica che i suoi tempi vivevano; idee che lui aveva proposto e che avevano raccolto numerosi consensi e nel contempo fatto storcere il naso ai suoi avversari.

Quel particolare non lo aveva preoccupato più di tanto. Lui era un uomo tutto d’un pezzo, che mai in vita sua aveva fatto qualcosa di sbagliato. La sua carriera in Polizia legittimava una fedina penale pulitissima e un elenco di ottime qualità e di buone azioni che in quei giorni – grazie a quella donna scaltra che era Jennifer – erano uscite allo scoperto con una noncuranza da maestro.

La sua campagna politica andava a gonfie vele, insomma. E lui era esausto.

Quella giornata lo aveva provato, pur avendolo soddisfatto oltre ogni dire. Adesso però, aveva solo voglia di tornare a casa e rilassarsi. Si ritrovò a sorridere quando pensò che a casa c’era qualcuno che lo aspettava, che gli aveva sicuramente preparato una bella cena e a cui avrebbe raccontato com’era andata quella lunga giornata.
Che si stesse affezionando a quel vecchio strambo?

Era insolito per lui. Da che ricordava aveva sempre fatto affidamento solo su se stesso e mai aveva sperimentato cosa volesse dire affezionarsi davvero a qualcuno ma soprattutto condividere qualcosa. Ora invece, si ritrovava ad abituarsi a qualcosa che gli faceva piacere e tuttavia un poco lo spaventava.

Perché con quel vecchio era così facile? E stava facendo la cosa giusta? Se un giorno se ne fosse andato… o peggio ancora, se la vecchiaia avesse fatto il suo corso… lui, cosa avrebbe fatto?

Non riuscendo a trovare risposta, scosse il capo sospirando. Era inutile farsi certe domande, in fondo adesso contava soltanto il presente. E in quel presente qualcuno lo aspettava a casa per una tranquilla serata dopo una giornata intensa. Tutto il resto non aveva importanza. Aveva persino spento il cellulare per non avere rogne e mentre il treno si fermava lentamente in stazione, tornò a sorridere e affrettò il passo per fare più presto.

***


Il selciato nel vialetto sfrigolò contro le ruote dell’auto, mentre Lucius la posteggiava vicino all’ingresso. Avrebbe dovuto riporla in garage ma era troppo stanco e poi in fondo, poteva fare quello che voleva dato che si trovava nella sua proprietà privata. Scese quindi dall’auto che piazzò in mezzo quasi a farlo apposta e si avvicinò alla porta, chiedendosi nel frattempo cosa mai il vecchio gli avesse cucinato quella sera.

Così tra i suoi pensieri non si era accorto che tutte le luci di casa erano spente e che non proveniva nessun buon profumo, quando girò la chiave nella toppa e aprì la porta.  Ciò che invece lo colse di sorpresa fu l’improvvisa presenza agitata che si palesò di fronte a lui, non appena mise piede dentro l’ingresso.

“Siete voi?!” la domanda si perse tra l’incomprensione generale che lo assalì, assieme alle mani del vecchio che si artigliarono sulle sue braccia.

Lucius sgranò gli occhi, riconoscendo il suo ospite nella penombra e preoccupandosi immediatamente che fosse successo qualcosa. “Vecchio ma che…”

“Chi siete? Dovete dirmelo!” continuò l’altro agitato. Prima che lui potesse rispondere, si sentì lasciare da quella presa così salda e il rumore di un grosso respiro fu ciò che seguì. Forse cercava di calmarsi? E per cosa poi? Perché lo aveva accolto in quel modo? Senza indugiare oltre, premette l’interruttore della luce, infastidito oltre che dalla situazione, anche da quel buio.

“Che cosa è successo?” provò. Il vecchio lo guardò, gli occhi azzurri che saettavano su di lui e lo guardavano come se non lo avessero mai visto.

“Da dove venite?” quella domanda lo turbò all’istante e serrò la mascella, improvvisamente sulla difensiva.

“Perché vuoi saperlo?” rispose con un’altra domanda, conscio di non voler dare nessuna risposta. Eppure un presentimento lo attraversò, in quei pochi attimi. Un brutto presentimento che percepì con un brivido dietro la schiena.

Il vecchio lo guardò ancora con quella stessa intensità che adesso quasi gli bruciava addosso e parlò con aria grave. “Perché in tv dicono che venite dal lago… e io devo sapere… devo chiedervelo… se è vero… dovete dirmi la verità!”

La sensazione del piombo sullo stomaco gli mozzò il respiro, mentre recepiva quelle parole e tutto il loro significato. La tv. Il lago. Allora… avevano scoperto tutto.

Il silenzio di Lucius non parve convincere l’altro, che – inspiegabilmente agitato – si fece di nuovo avanti e gli toccò le braccia. “Ascoltatemi, è tutto vero quello che-“

Ma il contatto fu troppo per Lucius. Quelle parole ancora vorticavano nella sua testa, mentre un insieme indistinto di ricordi gli confuse ogni cosa. Ricordi che aveva chiuso in un cassetto in tutti quegli anni. Ricordi a cui era sfuggito tutta una vita e che adesso tornavano a galla… in balia del mondo intero.

E quel tocco improvviso del vecchio bruciò ancora di più degli sguardi e dei ricordi e lui raggiunse il culmine.

“Non toccarmi!” ringhiò, scostandosi con un passo indietro. L’altro sollevò le braccia, come spaventato e aprì la bocca per parlare, ma Lucius non gliene diede il tempo.

“Non impicciarti di faccende che non ti riguardano, Vecchio.” Un sibilo. Pieno di rabbia, che gelò sul posto il suo interlocutore.

Lucius girò sui tacchi e uscì di casa senza curarsi della sua reazione. I propositi di una serata tranquilla, ormai dimenticati.

***


La linea dell’acqua rifletteva la luce della luna ormai alta nel cielo. Uno specchio immobile che non si lasciava disturbare nella sua perfezione dalla leggera brezza notturna. D’un tratto qualcosa rovinò quella perfezione. Un peso solido planò sulla superficie e poi infranse il piano provocando schizzi e increspature. Infine calò sul fondo, spostando ancora acqua e creando una serie di onde circolari che lentamente si allargavano fino a disperdersi. Lo specchio d’acqua tornò liscio e immacolato.

Poi una voce. “Sei! Questo è un mio record!”

Lucius osservò compiaciuto il risultato del suo ultimo lancio. Il sasso era rimbalzato sulla superficie del lago, confermando il suo primato, prima di inabissarsi sul fondo. Sorrise e poi guardò per terra in cerca di un altro sassolino piatto che facesse al caso suo. Camminò un poco lungo la riva, finché non trovò quello che cercava e poi tornò a guardare il lago.

“Uno a zero per me. Vediamo adesso.”

Lanciò il sasso ma questa volta non con la stessa precisione della prima: ci furono soltanto due rimbalzi, che Lucius constatò con un sospiro.

“Uno a uno… riesci sempre a fregarmi.” Chinò il capo, affranto, senza più voglia di lottare contro quel lago a cui tanto era legato e che odiava nella stessa maniera. Calciò la brecciolina con rabbia, infilandosi le mani nelle tasche e sbuffando ancora.

Che altro poteva fare? Il suo passato era legato a quel posto… prima o poi sarebbe venuto allo scoperto. E poi…

“…meglio adesso che dopo.” Pensò ad alta voce. Un altro sospiro e un altro sguardo alla superficie dell’acqua.

Alle sue spalle, un rumore lo distolse da quei pensieri tetri e lo costrinse a voltarsi. Quando riconobbe chi arrivava, grazie alla luce della luna e ai lampioni sulla strada poco lontano che gettavano una tenue luce lì intorno, si sentì improvvisamente peggio. Alla malinconia e all’impotenza si aggiunse anche il senso di colpa.

“Mi dispiace… non volevo farvi arrabbiare.”

Lucius chiuse gli occhi in un gesto stanco e cacciò una mano fuori dalla tasca per posarsela sugli occhi. “Non devi scusarti, Vecchio. Sono io lo stupido che ti ha trattato male.”

L’anziano si fece più vicino e gli sorrise. Nel frattempo un pensiero gli attraversò il cervello: Come diamine aveva fatto a trovarlo?

“Su questo non ci sono dubbi.” Gli replicò, sorprendendolo a tal punto da scordarsi ogni domanda. “Quando vi ci mettete, avete la delicatezza degli asini.”

E quelle parole lo colpirono a tal punto che… scoppiò a ridere. Lucius rise di gusto, improvvisamente conscio di quanto ridicola fosse quella situazione e di quanta verità – ma senza esagerare – ci fosse nelle parole irriverenti di quel vecchio.

“Ma da dove vieni tu?” gli sfuggì, divertito, mentre lo osservava avvicinarsi fino a che non fu accanto a lui.

Il vecchio non lo guardò. Prese a fissare quella grande distesa d’acqua con lo sguardo perso in chissà quali ricordi.

“Ve l’ho detto, vengo da qui. Da Avalon.” Poi lo guardò. E Lucius scosse il capo, un po’ esasperato.

“Per favore, non chiamarlo così. Questa storia mi ha ossessionato fin da bambino!”

“Dunque… è vero? Quello che dicono…” c’era incertezza nella voce del vecchio, che vibrò di un’ansia che Lucius non riusciva a comprendere. Ad ogni modo ormai, il fattaccio era uscito allo scoperto, quindi perché continuare a negarlo?

“Sono un orfano.” Decise di spiegare partendo dal principio. Da quel principio che aveva origine proprio lì, su quella spiaggia. “Non so da dove vengo, non so chi sono. Quando avevo cinque anni mi trovarono qui, solo e spaventato e senza sapere niente di me. Mi portarono in un orfanotrofio, dove ho vissuto fino all’età di sedici anni. Dopodiché ho deciso di entrare in Polizia, lasciandomi indietro tutto il mio passato.”

Il Vecchio rimase in silenzio. Aveva lo sguardo chino, come se soppesasse le parole che ascoltava ma quegli occhi erano illuminati da una strana luce, un brillio che affascinava Lucius e lo spaventava nello stesso tempo.

“Mi chiamo Lucius Artorius Chaste, perché la direttrice dell’orfanotrofio volle un nome speciale per me. Disse che mi avevano trovato vicino al lago dove riposa Re Arthur, quello della tavola rotonda… e quindi utilizzò uno dei nomi con cui è conosciuto nelle leggende. In fondo, devo ringraziarla per avermi dato Lucius come primo nome… almeno alla gente non devo presentarmi come il protagonista di quella storiella.”

A quelle parole, vide il vecchio irrigidirsi e lanciargli uno sguardo in tralice. “Re Arthur non è una storiella.” Quanta convinzione c’era in quelle parole? Lucius non sapeva dirlo eppure per un attimo fu sorpreso dalla veemenza con cui replicò.

Nonostante tutto ridacchiò e agitò una mano come a dare poca importanza alla cosa. “Oh, andiamo! Non mi dire che ci credi! Per favore! Se mai è esistito un Arthur o un Lucio Artorio Casto o come diavolo si chiamava lui, di sicuro è morto e sepolto e non fa sonnellini tra le acque di un lago pieno di umidità e di trote!”

Ne aveva abbastanza di quella storia. E di Avalon e di tutta quell’acqua malsana. E di re e tavole rotonde. E poi aveva una campagna politica in rovina e chissà Jennifer cosa avrebbe combinato, una volta scoperto tutto. Anzi, forse lo aveva già saputo e chissà quante volte aveva provato a chiamarlo sul cellulare che aveva spento da ore.

“Andiamo via di qui, Vecchio! Andiamo… a casa.”

***


E’ Lui. Oppure no?

Viene dal lago. Non ha ricordi del suo passato, non sa da dove viene. Eppure…

Cosa c’è che non va? Il fatto che non creda alla leggenda? No, no… c’è dell’altro. E’ come se fosse lui… ma al tempo stesso non lo fosse. Credo sia per questo che la mia magia non reagisce.

Eppure i dettagli sono troppi, perché possano essere solo coincidenze. E il Destino, per quanto sia maledetto, non si sbaglia. Me lo ha messo davanti… o meglio, gli sono capitato davanti. Eppure…

Eppure. Eppure. Sciocco vecchio che non riesce più a ragionare con lucidità! Odio questo corpo, odio queste membra stanche, questa barba bianca. Credevo sarei tornato quello che ero un tempo, quando Lui fosse rinato e invece sono ancora qui, intrappolato nel corpo di un vecchio.

Forse… forse è vero. Non è Lui. O forse sì… e io ho perso la mia magia.

 
Continua…
 

\\\\\\

 
Ehilàààà!! Buon lunedì e buon inizio di settimana! Io ho deciso  di iniziarla così e visto che ho la giornata pienissima, spero di godermi questa sera i vostri bei commenti per sorridere dopo le tante fatiche che mi aspettano!

Tornando alla storia… beh, un mistero è stato svelato. Uno…. Uhauhauhauha vabbè non pensate che sia tutto qui. Sarebbe troppo facile u_u spero questa storia continui a piacervi! Una parte di me è contenta perché le letture sono tantissime e continuate ad inserirla tra le preferite e le seguite, quindi grazie. Davvero. Spero di essere all’altezza fino alla fine! Perché ora viene il bello! XD

Spero come sempre anche in qualche vostro commento, visto siete così tanti! Forza forza! Anche per dirvi che fa schifo, non mi offendo, anzi u_u apprezzo la sincerità! :D

Ad ogni modo ringrazio Parre, None to Blame, AsfodeloSpirito, Jaya e Gosa per i loro commenti e a loro dedico questo capitolo <3

Prima di salutarvi, ecco il momento dell’anticipazione!

 
“Io non mi illudo. Credo in voi, tutto qui.”

“Ma insomma!” sbottò alla fine Lucius. Lo afferrò per un braccio, costringendolo a guardarlo. “Si può sapere, perché? Perché credi in me? Perché ti comporti come un servo?
E non inventarti storie per non…”



Piccola ma significativa u_u
A prestoooo
Ryta
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Desclaimer: Merlin e tutti i suoi personaggi non mi appartengono, se lo fossero sarei ricca, la serie non sarebbe finita e Ginevra avrebbe sposato Lancillotto.
 


MENTRE TI ASPETTO
 

 
Capitolo 6
 
“Lucius, sei in onda tra cinque minuti!”

Annuì al richiamo di Jennifer che di fronte a lui, nascosta dalle telecamere, gli faceva segno di prepararsi. Tutto intorno lo studio televisivo brulicava di gente, tra operatori, registi, fonici e truccatrici. Una di queste gli passò un’altra maledetta volta la cipria sulla faccia e lui sbuffò infastidito, guardandola di sbieco.

La ragazza non lo degnò di un’occhiata, fece il suo lavoro e poi dedicò un momento a incipriare anche il presentatore che lo doveva intervistare, prima di nascondersi nel buio della sala. Lucius soffiò dal naso per eliminare quel fastidioso pizzicorìo dato dalla cipria e cercò di concentrarsi. Quanto odiava tutte quelle manfrine? Figurarsi se uno come lui aveva bisogno del trucco per uscire in televisione!

Raddrizzò le spalle mettendosi più comodo sulla poltrona, mentre una voce gli ricordava che mancavano tre minuti. Poi sarebbe apparso via digitale in tutte le case degli inglesi. O almeno in quelle che avrebbero guardato quel canale a quell’ora della sera. Ad ogni modo, viste le tantissime voci che circolavano in quei giorni sulle sue insolite origini, era convinto sarebbero stati in molti a seguire il programma.

L’idea era venuta a Jennifer ovviamente. Un’intervista in un noto programma che si occupava di spettacolo poteva venire in mente solo a lei. Perché lui aveva proposto un comunicato stampa in cui chiariva la sua situazione, da bravo politico. Non immaginava di dover finire a rispondere alle domande di un presentatore – perché quell’imbellettato che si controllava il sorriso smagliante in camera non poteva certo essere un giornalista professionista – abituato a intervistare attori, cantanti e soubrette.

E lui come c’era finito, lì in mezzo? Registrò mentalmente di diminuire la paga di Jennifer. Sapeva però – e ammetterlo costava fatica persino a se stesso –  che la mossa era stata piuttosto scaltra. Un comunicato stampa o un noiosissimo programma di politica non lo avrebbe seguito nessuno. Se voleva invece, aumentare consensi alle elezioni, doveva rivolgersi alla massa, abituata a guardare quel genere di programmi. E considerato che la sua vita era improvvisamente balzata sui tabloid inglesi diventando un romanzo strappalacrime da far invidia ad Oliver Twist, era giusto cavalcare l’onda e aggiustare la storia continuando a sfruttare quel settore a lui sconosciuto.

“Due minuti!”

Lucius sospirò affranto. Certo non poteva farsi vedere così. Decise di assumere un’aria più sicura di sé e intanto si guardò intorno alla ricerca di un volto familiare. Non c’era ovviamente, ma avrebbe desiderato che fosse lì. E si diede mentalmente dello stupido.

Quando era diventata così importante nella sua vita, la presenza di quel vecchio? Possibile che si fosse affezionato tanto a lui? Diamine, era diventato un sentimentale tutto d’un tratto?

Eppure era così… rasserenante sapere che c’era qualcuno che teneva a lui. E quel pensiero gli scaldava il cuore. Così come gli aveva scaldato il cuore il modo in cui lo aveva convinto a non arrendersi, quella sera, davanti al lago…

 
“Andiamo via di qui, Vecchio! Andiamo… a casa.”

L’altro era rimasto a guardarlo un po’ interdetto. Lucius si era voltato quando si era reso conto che non lo aveva seguito e aveva aggrottato la fronte.

“Non vuoi? Dai, che se siamo fortunati posso rinchiudermi dentro prima che i giornalisti assedino la proprietà! O al massimo posso metterli tutti sotto con la macchina se stanno già lì…” aveva soppesato quelle parole, pregustando un poco di vendetta, dopo tutto quello che era accaduto. 

“Ma questo non potrebbe ledere… un tantino alla vostra campagna?”

Lucius si era lasciato andare ad una risata amara. “Campagna? Credo che quella ormai sia rovinata! Sarà già tanto se potrò fare l’ispettore capo!”

“Non dite assurdità.”

Quelle parole lo avevano un po’ sorpreso; l’aveva guardato mentre lo seguiva lungo il selciato che portava sulla strada principale e al parcheggio.

Il vecchio gli aveva rivolto quello sguardo intenso e poi aveva fermato il suo incedere afferrandolo per un braccio. “Voi dovete continuare.”

Lucius aveva scosso il capo, il sorriso triste ancora sulla faccia. “Andiamo, Vecchio! C’è gente che si è destituita da incarichi importanti per molto meno! Siamo in Inghilterra!”

“Voi non avete fatto niente! Eravate orfano prima e lo siete ancora… che male c’è? Non siete stato certo scoperto a infrangere la legge!”

“No, certo che no!” aveva replicato Lucius, quasi scandalizzato da quelle parole. Se c’erano delle cose in cui credeva erano proprio le regole e la giustizia.

“Bene. Avete per caso rovinato la reputazione di qualche fanciulla?”

“Vecchio, guarda che non siamo nel Medioevo! Le fanciulle non hanno più reputazione… e comunque no. Non ho fatto niente di tutto questo.”

Il vecchio gli aveva sorriso incoraggiante, sollevando le spalle. Gli occhi azzurri illuminati ancora di quella luce che tanto lo affascinava. Poteva credere alle sue parole? Poteva… fidarsi?

“Dovrete soltanto spiegare come stanno le cose. Il popolo vi amerà ugualmente, siete buono e intelligente… e sarete una grande guida per questa nazione!”

Aveva parlato con una foga che aveva lasciato Lucius interdetto. Possibile che si stesse rivolgendo a lui, con tutta quella convinzione? Eppure per un attimo lo aveva notato: lo sguardo del vecchio si era perso, forse dietro un pensiero o… chissà, a inseguire un ricordo lontano. Ma poi era tornato vigile e lo aveva fissato come a voler imprimere sicurezza anche con gli occhi.

E di fronte a quello, Lucius non aveva potuto fare altro che annuire e lasciarsi convincere.

“D’accordo… continuerò per questa strada.”

 
“Perfetto, tutti pronti signori!”

Il grido di richiamo lo distolse dai suoi pensieri. Prese un forte respiro e assunse l’aria più rispettabile che conoscesse. Avrebbe partecipato a quella farsa ma a modo suo.
“Siamo in onda tra… tre, due, uno…”

Sorrise. Quella strada fatta in compagnia, era sicuramente molto meglio.
 

***

 
“Sei ubriaco!”

“Non dire idiozie, Carter. Mi gira solo un po’ la testa.”

Lucius non guardò l’amico, con la scusa di mantenere una mano sulla faccia per sorreggersi la testa. Aveva davvero mal di testa e aveva bevuto ma non era ubriaco.
Carter guidava verso casa sua, dopo averlo convinto a riportarcelo. Avrebbe potuto tranquillamente guidare ma il suo animo ligio al dovere glielo aveva impedito. Oltre all’eccessiva apprensione di Carter nei suoi e nei confronti di tutti.

“Non fare la mamma con me, Knight.”

“Non ce l’hai, qualcuno deve pur farla.”

“Beh, ho sempre pensato che mia madre fosse bellissima, tu fai schifo.”

Carter ridacchiò, continuando a guardare la strada. Nonostante tutto quello che avevano bevuto durante quella serata tra colleghi, era perfettamente sobrio. Lucius ipotizzò avesse solo fatto finta di bere. Dannato lui e la sua noiosa integrità.

“Non puoi saperlo, magari anche lei aveva i baffi…”

Lucius mugolò infastidito. “Ohhhh ti prego! Non rovinare i miei sogni di bambino!” sbuffò, sollevando la testa e sbattendo un po’ gli occhi per riabituarli alla vista. La testa continuava a dolergli e aveva una gran voglia di andarsene a letto.

“Comunque grazie per avermi accompagnato… non sia mai faccia cose stupide in questo periodo.”

“Guarda che già l’hai fatta, nominando Gwalchmeil tuo sostituto mentre sei impegnato a fare il politico.”

Lucius gli lanciò un’occhiata per vedere se l’amico fosse serio o meno mentre parlava. “Pensi abbia sbagliato?”

“Ti demolirà l’intero distretto!”

No, scherzava. Lucius rise, pensando al suo passionale sottoposto che sotto sotto era un ottimo elemento e che avrebbe mandato avanti la baracca sicuramente in maniera egregia. Non come lo avrebbe fatto lui, ovvio… ma quasi al suo livello, ecco.

Raddrizzò la schiena sul sedile e poi sospirò teatralmente. “Povero me, non oso immaginare cosa mi aspetta quando tornerò.”

“Tornerai?” gli domandò a bruciapelo Carter e lui cacciò un altro lungo sospiro, dimostrando un certo scoraggiamento.

“E’ probabile… gli ultimi dati riportano un altro candidato al 10% di consensi in più rispetto a me.”

“Beh, meglio no? Ti sarai tolto questo sfizio e tornerai a fare il tuo lavoro.”

Lucius non rispose. Serrò la mascella evitando di dirgli che in realtà non voleva tornare a fare il suo lavoro, perché voleva continuare quella scalata, perche aveva altre idee per se stesso e per la sua strada. Ma Carter non poteva capirlo. E il fatto che il suo migliore amico non potesse farlo, lo innervosiva.

Rimasero in silenzio per diversi minuti, finché Carter non sbottò. “Ti sei addormentato?”

“No, certo che no! Ma per chi mi hai preso?”

“Ti stai facendo vecchio, Chaste, non reggi più l’alcool come prima… forse dovremmo smetterla con queste serate.”

Lucius sollevò le sopracciglia, nonostante il movimento gli facesse male ma ignorò il dolore. Nel frattempo l’auto percorreva il vialetto di casa sua, presto sarebbe andato a letto e quel mal di testa sarebbe scomparso con qualche ora di sonno.

“Ora sembri mio padre. E lui forse quella brutta faccia ce l’aveva pure! E comunque mi dispiace ma ho intenzione di replicare… che ne dici di domani?”

Carter si fermò davanti l’entrata dell’abitazione e aprì la bocca un po’ incerto nel parlare. “Ehm…. Veramente avrei un appuntamento.”

“Ah! E con chi?” domandò l’altro, mentre cercava di liberarsi della cintura di sicurezza. Poi alla risposta dell’amico si fermò, con la cinghia in mano.

“Esco con la tua addetta stampa.”

Lucius spalancò la bocca, rivolgendogli un’espressione indignata. “Ehi! Guarda che usciva con me, prima!”

Carter sollevò un sopracciglio, senza scomporsi, le mani ancora appoggiate al volante, nonostante l’auto fosse spenta. “Uscivi? Non mi pare fosse il termine indicato… uscire.”
“Vabbè, quello che è!” scattò lui, districandosi finalmente dalla cintura di sicurezza e sbuffando. “Ma giuro che le riduco la paga, stavolta lo faccio!”

“Oh, andiamo Lucius, non fare il bambino! Andare a letto con una donna non equivale a uscirci! E Jennifer credo voglia una storia, non una… cosa senza senso che non sai manco tu che cos’è!” sputò alla fine tutto di seguito.

Aveva centrato nel segno. Inutile negarlo, soprattutto a uno come Carter che lo conosceva benissimo. Rimase in silenzio e l’amico gli sorrise accondiscendente.

“Quando ti verrà voglia di legarti a qualcuno, seriamente?” gli chiese subito dopo. E Lucius non seppe cosa rispondergli. Dopo alcuni attimi, decise che era arrivato il momento di andare a letto. Aprì la portiera dell’auto e con uno scatto di reni, fu fuori dall’auto.

“E sia! Hai la mia benedizione. Buonanotte, Knight.”

“Notte, Chaste!”

“…e grazie.”

 
Salutato l’amico, si avvicinò alla porta di casa con passo un po’ malfermo. La sbornia era ormai passata ma quel fastidioso mal di testa continuava a martellargli le tempie. L’auto di Carter sgommò leggermente sul selciato e si allontanò, mentre lui entrava in casa e chiudeva la porta.

La villa era al buio, ma un leggero chiarore, unito alla voce di una donna, provenivano dalla cucina. Lucius si avvicinò, incuriosito, trovando il vecchio seduto al tavolo, assorto nel guardare la tv, dove una giornalista riassumeva la situazione delle primarie ormai prossime.

“…entrambi i candidati si trovano nella medesima posizione ma qualche decina più in su, abbiamo invece la new entry Lucius Chaste, salito improvvisamente alla ribalta per le sue doti nascoste come politico ma anche per le misteriose notizie circa le sue origini. Chaste, nonostante abbia messo a tacere le dicerie più fantasiose, si è guadagnato un consenso di pubblico non indifferente, che lo ha fatto balzare tra le stelle degli indici di gradimento. Ma la bravura e la fama di Chaste non possono niente, con il primo della lista, Geoffrey Monmouth, capolista ormai da anni del partito e che anche quest’anno intende mantenere il suo ruolo. Monmouth punta chiaramente alla carica di Primo Ministro, ruolo che gli è sfuggito ogni volta…”

Aveva sentito abbastanza. L’amarezza ogni volta che sentiva quel nome era tanto grande che ormai lo odiava. Si fece più avanti allora, entrando in cucina e facendo rumore perché il vecchio lo sentisse.

“Insomma ha praticamente detto che non ho speranze.”

Il vecchio si voltò non mostrandosi stupito della sua presenza. Immaginò lo avesse sentito rincasare. Lo vide spegnere la tv e posare il telecomando sul tavolo, mentre la cucina rientrava nella penombra. La luce filtrava soltanto da uno dei lampioni da giardino che circondavano la villa, perciò riuscì a distinguerlo ancora, mentre si alzava in piedi con una calma che gli invidiava. Lui aveva la tempesta dentro.

“Non è detto.”

“Ma l’hai sentita la giornalista… Monmouth è dato per vincitore.”

La sagoma del vecchio intanto, accostò la sedia al tavolo con tranquillità. “Sono solo pronostici senza garanzia, non dovete perdere la speranza…”

Tutta quella convinzione, inspiegabilmente, lo innervosiva. “Sei troppo sicuro, Vecchio. Non illuderti… e non illudere anche me.” Soffiò passandosi una mano tra i capelli in un gesto stanco.

L’uomo intanto fece il giro del tavolo per uscire dalla cucina e lentamente si avvicinò a lui che ancora era sulla soglia.

“Io non mi illudo. Credo in voi, tutto qui.”

“Ma insomma!” sbottò alla fine Lucius. Lo afferrò per un braccio, costringendolo a guardarlo. “Si può sapere, perché? Perché credi in me? Perché ti comporti come un servo? E non inventarti storie per non…” qualunque altra parola avrebbe voluto dirgli, morì in gola, nel momento in cui il riflesso del lampione gli mostrò meglio quegli occhi azzurri.

Quando incontrò quello sguardo così profondo e così… complicato per lui, ingoiò la voce e una strana sensazione lo attraversò da parte a parte. Come di malinconia e di tristezza assieme, come se la tempesta si infrangesse improvvisamente contro qualcosa che lui non riusciva a identificare.

Il vecchio lo fissò in silenzio per alcuni istanti, senza scostarsi da quella presa che ancora premeva sul suo braccio. “Lo faccio, perché… è il mio destino.”

Lucius mollò la presa, come se all’improvviso scottasse. La tempesta dentro di lui continuò a vorticare, senza più quell’ostacolo che era improvvisamente sparito. “Non ti capisco.”

“Faccio tutto questo, per quello che siete… e per quello che potrete diventare.”

La voce gli tremava. Lucius se ne accorse. E se avesse visto meglio si sarebbe accorto anche che gli occhi del vecchio si erano fatti lucidi e che un brivido interno lo aveva scosso impedendogli di dire altro.

“Sei l’unico a questo mondo che crede davvero in me.” Constatò e quel pensiero espresso ad alta voce, all’improvviso sedò la bufera. Quella sensazione di calore nel petto, si acuì un po’ di più e come non mai si rese conto di esserne affamato. Una brama, che lo spaventò.

“Scusami… vado a dormire.”

Si allontanò lasciandolo sulla soglia della cucina ad asciugarsi gli occhi ormai pieni di lacrime.

 
Continua…
 
/////////
 
Buongiorno!! Buon inizio di settimana! Ho notato che mi piace iniziare il lunedì postandovi un capitolo, è un buon incentivo ad iniziare il tran tran quotidiano! ^^

Questo diciamo che è un capitolo di passaggio ma spero vi abbia soddisfatto, considerato che qui vediamo ‘sto caro vecchietto alle prese con un Lucius bisognoso di incoraggiamento! Dal prossimo, comunque, annuncio faville! O meglio… il colpo di scena! Hahahaha

Come avrete notato, la guest star di questo capitolo è stato il grande Geoffrey Monmouth che ho voluto lasciare così com’è, dandogli una piccola particina e ancora non ho deciso se tornerà XD intanto a lui, l’omaggio!

Come sempre rinnovo l’invito a commentare! Ho visto che le letture sono tantissime, continuando ad aumentare i click su preferiti e seguite e ricordate e davvero di questo vi ringrazio! Ma sentire anche le vostre voci mi farebbe molto piacere, credetemi! ^^

Ringrazio in particolare crownless, Emrys (ma i trattini li devo mettere? XD e a lei un bacione che ha la pazienza di betare ogni capitolo!), AsfodeloSpirito (i numeri? Li devo mettere? XD), Gosa, Parre e Jaya (anche tu hai un trattino! XD) che hanno voluto lasciarmi un commento!! ^__^

E ora, il momento dell’anticipazione! Questa volta voglio divertirmi! XD

 
Gli occhi celesti, lo sguardo fiero. Incorniciato da fili di grano accomodati in maniera quasi perfetta. Come se non avessero mai attraversato mille anni, come se non avessero mai combattuto una battaglia suicida e non avessero affrontato un viaggio senza speranza verso la salvezza.

Merlin trattenne il fiato nel riconoscere il suo re e il suo amico. Il suo compagno sulla strada del Destino.

“Sto arrivando, Merlin! Vieni a prendermi… io sto per arrivare!”

 
Hahahaahahah a voi le reazioni! =P

Con ciò, saluti a tutti e buona settimanaaaaaa!!
Baci
Ryta
 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Desclaimer: Merlin e tutti i suoi personaggi non mi appartengono, se lo fossero sarei ricca, la serie non sarebbe finita e Ginevra avrebbe sposato Lancillotto.

 

MENTRE TI ASPETTO

 

Capitolo 7
 
Il bollitore del the sul fornello fumava con insistenza, spargendo vapore sul piano della cucina. Nessuno si era accorto che il punto di ebollizione era stato superato da parecchio e se qualcuno non lo avesse spento, presto si sarebbe consumata tutta l’acqua che c’era dentro.

All’improvviso qualcuno entrò in cucina correndo e spense il gas, sbuffando.

“Vi ho detto di no!”

“Oh ma insomma, Vecchio! Perché no!”

“Ve l’ho già detto, non c’è bisogno che io sia presente.”

“E invece ti dico di sì!”

“E perché mai?”

Silenzio. Nell’aria per alcuni istanti si sentì solo il soffio dell’acqua che ancora bolliva nel pentolino. Lucius si umettò le labbra incerto sulla risposta, mentre il vecchio lo guardava attendendo con le braccia incrociate e l’aria compiaciuta per essere riuscito a zittirlo.

“Beh, perché…”

Perché lo voleva assolutamente con lui durante lo spoglio delle primarie? Perché ci teneva tanto? Ma soprattutto, perché quel testardo di un vecchio non voleva esaudire il suo desiderio?

“Non c’è un perché!” sbottò infine, esasperato. Erano due ore – precisamente da quando era suonata la sveglia – che cercava di convincerlo. Quel giorno alle 14 avrebbero chiuso le votazioni delle primarie e poi avrebbero dato il via allo spoglio; lui doveva presenziare presso il centro di raccolta assieme ai suoi avversari, dove la stampa e le tv erano pronte a decretare il vincitore.

Era un giorno importante. E Lucius quel giorno voleva il vecchio con lui. Ne aveva bisogno. Ma come fare a spiegarglielo?

“Non è vero. Ditemi perché volete che venga.” L’uomo lo fissò con aria di sfida, sollevando le sopracciglia.

E Lucius si sentì ancora più in difficoltà. “Mi farebbe piacere, ecco.” Era la verità. A modo suo e piena di sottintesi ma era la verità.

Il vecchio sorrise, scuotendo il capo. “Lo so. Ma è meglio che non ci sia, credetemi! Davvero, non posso fare un viaggio in treno, sono vecchio ormai. E poi la gente si chiederà perché il politico Chaste si porta dietro un decrepito rimbambito in un giorno così importante.”

Lucius si sentì scoraggiato dalla convinzione del vecchio che pareva irremovibile. Sospirò affranto, non nascondendo per niente la sua delusione.

“Mi mancherai. Avevo bisogno di una faccia amica, oggi.”

“Mi troverete qui al vostro ritorno. Così mi potrete raccontare della vostra vittoria.”

“…o della sconfitta.”

Il vecchio scosse il capo. “Siate ottimista! Al vostro ritorno, dovrete permettermi di dire, ve lo avevo detto!”

Lucius finalmente ritrovò il sorriso. “Allora speriamo di perdere, odio sentirmelo dire!”


***


Tutto era grigio intorno a lui. Un vapore denso che lo circondava e gli impediva di capire dove si trovasse. Nonostante quel grigiore, il suo animo era tranquillo. Percepiva il suo respiro regolare.

Quando nelle orecchie risuonò lo sciabordio dell’acqua, si accorse di essere su una chiatta. Sbatté le palpebre e l’immagine della barca si diradò, oltre quella che ormai riconobbe come nebbia.

La nebbia di Avalon. Lo sentiva. Lo sapeva. Il posto era quello.

Nell’esatto momento in cui seppe, si rese anche conto che la barca si muoveva. Guardò davanti a sé senza vedere nulla e allora aspettò di conoscere la sua meta, anche se… la conosceva già.

“Merlin…”

Una voce risuonò attraversando il velo delle nebbie e lui la sentì così distinta e perfetta che ebbe un brivido. Sollevò gli occhi verso il suono di quella voce ma non vide niente.

“Merlin!”

Di nuovo il suo nome e allora si alzò in piedi sulla barca e nonostante ondeggiasse cercò la sua fonte. Sapeva di chi era quella voce. Sapeva a chi appartenevano quelle note che tanto aveva desiderato ascoltare… un’altra volta, ancora.

Aprì la bocca per parlare ma si accorse di non potere. Forse era il pianto impellente o ancora una forza più grande di lui glielo impediva. Soffiò un nome senza però sentire il suono e allora continuò a guardarsi intorno, sperando di essere visto. Ma le nebbie lo avvolgevano fin quasi a soffocarlo.

La barca ondeggiò all’improvviso in maniera violenta e uno scossone lo fece barcollare fino a crollare seduto. Non sentì dolore. Sentì invece – ancora – quella voce.

“Merlin.”

Più vicina, adesso. Più tranquilla. E quando sollevò lo sguardo, lo vide.

Gli occhi celesti, lo sguardo fiero. Incorniciato da fili di grano accomodati in maniera quasi perfetta. Come se non avessero mai attraversato mille anni, come se non avessero mai combattuto una battaglia suicida e non avessero affrontato un viaggio senza speranza verso la salvezza.

Merlin trattenne il fiato nel riconoscere il suo re e il suo amico. Il suo compagno sulla strada del Destino.

“Sto arrivando, Merlin! Vieni a prendermi… io sto per arrivare!”

Il mago provò a parlare ma ancora la voce gli venne meno. Sollevò una mano, incerta eppure desiderosa di toccare, di afferrare la consistenza di un corpo tanto anelato. Ma non riuscì nemmeno a sfiorare. Il re iniziò a disperdersi tra le nebbie, la sua figura si fuse con il vapore perdendo consistenza.

E Merlin si sporse in avanti gridando e gridando ma la sua voce era persa chissà dove. Le nebbie lo avvolsero sempre di più, smise di distinguere la chiatta, poi se stesso ma a lui non importava nulla, voleva vederlo, voleva….


“Arthur!!”

Il grido si perse tra le pareti della camera. La testa si volse più volte intorno, prima di rendersi conto di aver sognato. E di non essere sul lago di Avalon ma in casa. Nella dimora di Lucius Chaste.

Posò una mano sul petto che si alzava e si abbassava violentemente, a ritmo del respiro affannoso. Una pellicola di sudore freddo gli imperlava la fronte e non gli servì sforzo per rendersi conto che sul viso colavano scie di lacrime.

Si prese un po’ di tempo per calmarsi, continuando a massaggiarsi il petto, mentre in testa i pensieri vorticavano a una velocità che lui non riusciva quasi a distinguere. Poi quel respiro si fermò. Per un solo istante. Giusto quello per rendersi conto che la mano poggiata sul cuore era diversa da quando qualche ora prima si era addormentato.

Sollevò l’arto rigirandolo, mentre l’intuizione sovrastava tutto quel marasma di pensieri. Come se qualcuno gli avesse all’improvviso dato una spinta, schizzò dal letto e corse incespicando fino al bagno, verso lo specchio.

L’immagine riflessa lo costrinse ancora una volta a trattenere quel respiro che nonostante tutto non voleva saperne di calmarsi. La conseguenza fu che si sentì soffocare e per un attimo venne colto da un eccesso di tosse. Cercò di calmarsi e di ingoiare e di tornare a respirare normalmente… doveva farlo se non voleva restarci secco, proprio ora!

Si costrinse a farlo, sedendo sul bordo della vasca da bagno e concedendosi alcuni minuti per calmarsi. Intanto la voce di Arthur e il suo viso, le sue mani, il suo corpo tornarono alla mente. E quelle parole.

Quando fu convinto di essere di nuovo in sé si alzò in piedi e tornò a guardarsi allo specchio. L’immagine di un uomo di circa trent’anni lo fissava sbigottito. I capelli corvini spettinati, il viso pulito come di barba appena fatta, gli occhi azzurri sempre vivi e lucenti. Era tornato giovane. E questo poteva significare soltanto una cosa.

“Arthur…”

Il Re stava tornando. Lui doveva andare a prenderlo. Tutto il resto, non aveva importanza.


***


Quante mani aveva stretto nelle ultime due ore? Lucius aveva letteralmente perso il conto. Ma d’altronde era ovvio che tutte le persone presenti in quel luogo volessero fare le congratulazioni al vincitore.

“Signor Chaste, un’intervista!”

Da lontano una giornalista seguita dal fidato cameraman lo puntò venendogli incontro e superò con malagrazia alcuni signori avvicinati a lui per salutarlo. Lucius era troppo felice per dispiacersi della cosa. In realtà era troppo felice per dispiacersi di alcunché.

Aveva vinto. A dispetto di statistiche, pronostici e altre diavolerie, lui aveva vinto. Si era aggiudicato il 40% dei voti, sbaragliando la concorrenza e persino il vecchio capolista Geoffrey Monmouth, dato per vincente fino a poco prima.

Aveva vinto. Lucius non riusciva a crederci. Aveva vinto. Ok, forse doveva smettere di ripeterlo nella sua testa…. Ma che importanza aveva? Aveva vinto!!

Sorrise con aria che qualcuno avrebbe definito un po’ ebete e accolse la giornalista che gli piazzò un microfono vicino la bocca, chiedendogli qualcosa sulla vittoria. In realtà non la ascoltò granché ma lui ripeté il discorsetto che aveva studiato con Jennifer nel caso di vittoria.

Che era molto contento, che ovviamente non si montava la testa perché la strada era ancora lunga, che i suoi avversari erano stati all’altezza – ma quando mai? Pensò tra sé e sé gongolando – e che adesso si sarebbe impegnato per concorrere alla carica di Primo Ministro.

“Le aspettano due mesi di fuoco. Come ha intenzione di prepararsi?” le domandò la giornalista e lui stavolta dovette ascoltare.

“Farò del mio meglio per far conoscere agli inglesi le mie proposte con cui vorrei portare avanti la nazione.” Rispose di getto, con una convinzione che costrinse la giornalista ad annuire.

“C’è qualcuno che vorrebbe ringraziare per questa vittoria?”

Lucius si avvicinò al microfono, pronto a rispondere mentre, a dispetto delle parole, l'immagine di una persona gli attraversava il cervello. “I miei elettori, ovviamente. Non sarei qui se non fosse per loro, quindi dal cuore, grazie. E poi tutte le persone che mi sono state vicine.”

Alla giornalista sembrò abbastanza, perciò lo ringraziò lasciandolo andare. Sparì velocemente inghiottita da altra gente che voleva salutarlo e stringergli la mano. Ma lui a quel punto ne aveva avuto abbastanza e quel pensiero che lo aveva colto, si era fatto quasi un bisogno.

Ora aveva voglia di tornare a casa e farsi dire dal vecchio “Ve lo avevo detto!”

Poteva immaginarsi la scena, mentre lui faceva finta di prendersela e poi con una risata gli chiedeva di mettersi comodo per raccontargli ogni cosa.

Le mani da stringere, però, non volevano diminuire. A quel punto decise di ricorrere a Jennifer, che dall’altro capo della stanza, era incollata al cellulare probabilmente a continuare a fare il suo lavoro. Inutile dire che quella donna – nonostante avesse ormai iniziato a uscire regolarmente con Carter e la cosa ancora un po’ gli bruciava – era stata l’acquisto migliore che avesse potuto fare in vita sua. Se aveva vinto, in buona parte, era stato proprio per merito suo.

Camminando e continuando a stringere mani riuscì lentamente e con molta fatica a percorrere la sala fino ad avvicinarsi a lei. Quando le fu accanto, la afferrò per un braccio catturando la sua attenzione.

“Mi porti in salvo?” soffiò all’orecchio, quasi disperato.

Jennifer scoppiò a ridere e decise di prendere in mano la situazione. “Signor Chaste, eccola qui! C’è l’auto fuori che la aspetta! Venga con me!”

Il grido servì a scoraggiare alcuni avventori ma non tutti, qualcuno continuò a seguirli fin sulla strada, dove Lucius fu costretto persino a firmare un autografo. Ancora sorpreso per la richiesta – ma in fondo era stata una ragazzina quasi sicuramente folgorata dal suo fascino – riuscì a ficcarsi in macchina, seguito a ruota da Jennifer, che continuò nel frattempo a parlare al cellulare, accordando e organizzando cose che lui al momento non voleva sapere.

Era stanco. Voleva soltanto tornare a casa. Aveva intenzione di festeggiare la vittoria ma non quella sera. Quella sera sarebbe tornato a casa a raccontare tutto al suo ospite. Al suo amico. All’unico che aveva creduto in lui e con cui avrebbe voluto davvero festeggiare.

L’auto, guidata da un autista che Jennifer si era premunita di affittare per fare più scena, imboccò l’autostrada diretta verso Glastonbury e lui finalmente rilassò le spalle, sorridendo. Tornava a casa.
 

***

 
Si era sbagliato. Purtroppo non aveva tenuto conto dei suoi colleghi e di quell’infame di Carter che lo aveva osteggiato fino alla fine e che poi gli aveva organizzato persino una festa. Quando arrivati in città, l’auto non si era diretta verso la sua abitazione, aveva intuito che qualcosa lo avrebbe fatto attardare. E quando si erano fermati esattamente sotto il suo distretto, aveva capito tutto.

Con un coro di congratulazioni, di pacche sulle spalle – molto più apprezzate di tutte quelle strette di mano – e di parolacce – in fondo sempre di poliziotti si parlava – Lucius si ritrovò a partecipare alla festa più lunga a cui avesse mai partecipato, con la testa altrove. A casa sua, precisamente e al suo amico che probabilmente lo aspettava con una battuta sulle labbra e un sorriso assieme. Cose che lui desiderava, perché sapevano scaldargli il cuore come mai prima gli era accaduto.

Così, dopo un po’, fu costretto a dire a tutti di essere stanchissimo e che la tensione per le elezioni lo aveva distrutto a tal punto da desiderare nient’altro che il suo letto. Nonostante la delusione generale, salutò Carter, disse a Jennifer di restare con lui e se ne andò.

Quando fu sulla strada, affrettò il passo e intimò all’autista di riportarlo a casa sua il più in fretta possibile. Il viaggio gli sembrò interminabile, mentre dentro si accorse di fremere. Poi si sentì stupido e si impose di calmarsi. In fondo, cosa mai doveva fare?

Eppure quando l’auto parcheggiò davanti casa sua e lui ebbe congedato l’autista, si accorse di nuovo che il passo si affrettava verso l’entrata. Cercò le chiavi impaziente nella valigetta e quando le trovò le inserì bruscamente nella toppa aprendo la porta. Se la richiuse alle spalle con un colpo e si insinuò in casa, trovandola spenta.

“Vecchio! Dove sei?” al piano di sotto era tutto buio e immobile. Provò in cucina nel caso fosse attaccato alla tv, come lo beccava sempre ma anche lì non c’era nessuno. Ipotizzò allora fosse di sopra, in camera sua. Fece le scale a due a due e poi quasi correndo si avvicinò alla stanza degli ospiti dove lui dormiva.

La spalancò ancora sorridente, convinto di trovarlo lì. “Vecchio! Guarda che sono rientrato!”

La stanza era buia. E vuota.

Il sorriso si spense lentamente, mentre una strana sensazione si insinuò prepotente nella bocca dello stomaco. Si fece avanti, provando anche in bagno ma senza risultato. Quel presentimento sempre più acuto.

“Vecchio… dove sei…?” un sussurro, preoccupato. Poi sul letto vide qualcosa, si avvicinò riconoscendo un foglietto.

Quando lesse, quella sensazione spiacevole gli aveva ormai artigliato lo stomaco. E un senso di nausea lo colse, facendo sparire tutta la felicità di poco prima.

«Mi dispiace. »

Lasciò cadere il foglietto e serrò la mascella. Il vecchio se n’era andato.

 
Continua…
 

//////
 
Non picchiatemi u_u oggi è lunedì e io sono malaticcia e triste in casa, perciò non picchiatemi! Tutto ha un perché, ve lo assicuro! Avevo detto qui e là che questo sarebbe stato il capitolo della svolta eh… beh, a me le svolte piace farle in grande! Hahaha

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, perché da adesso in poi vi annuncio che cambieremo punto di vista, diciamo che complichiamo un po’ le cose, va =P

Intanto vi invito come sempre a lasciarmi un commento!! Su su, che siete tantiiiiiiii >_____<  non volete fare felice una povera anima malaticcia che vuole sorridere un po’? *mostra occhi lucidi stile Gatto con gli Stivali di Shrek*

Comunque vi devo ringraziare per tutte queste letture, per i preferiti che aumentano e per tutti quelli che inseriscono questa storia tra le seguite e le ricordate! Non immaginavo tanto successo, davvero! Ma se avete anche qualcosa da dire, io sono qui, perché sono curiosissimaaaaaaaaa :D

Voglio ringraziare col cuore la mia beta Emrys che più va avanti questa storia e più si sorbisce le mie pare mentali e i miei dubbi esistenziali! Un baciooooo

E grazie anche a Parre, AsfodeloSpirito, None to Blame eGosa, che non mancano mai con i loro commenti bellissimi! *-*

E adesso, il momento dell’anticipazioneeeee

 
Merlin lo scorse da lontano mentre si avvicinava al lago, l’aria un po’ sperduta ma il passo veloce e marziale, come se una rabbia incontrollabile lo avesse condotto fin lì. Merlin sollevò gli occhi al cielo, sospirando, quasi seccato da quell’intrusione.

Eppure avrebbe dovuto immaginare che quell’uomo avrebbe provato a cercarlo. O meglio a cercare quello che lui credeva solo un vecchio.

Si alzò in piedi – non con senza difficoltà, dopo essere stato fermo per così tante ore – e piegò un paio di volte le ginocchia per sgranchirle, mentre Chaste si avvicinava sempre più velocemente appena lo aveva notato.

“Mi scusi!” lo richiamò.


Complichiamo, complichiamoooo hahahaha

Un bacione a tutti e a Lunedì prossimoooo ;)
Ryta

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Desclaimer: Merlin e tutti i suoi personaggi non mi appartengono, se lo fossero sarei ricca, la serie non sarebbe finita e Ginevra avrebbe sposato Lancillotto.

 

MENTRE TI ASPETTO


 
Capitolo 8
 
Quante volte aveva guardato quel lago? Quanto tempo aveva sprecato, fissando quelle acque nebbiose attendendo un cambiamento che non arrivava mai?

E adesso era di nuovo lì. Dopo tutto il giro che aveva fatto, e che ormai gli appariva inutile, dopo aver sperato di trovare quel cambiamento altrove, era ritornato al punto di partenza. Di nuovo su quelle sponde, a guardare l’orizzonte e ad aspettare.

Ma stavolta era diverso, no? Stavolta Lui lo aveva chiamato, lo aveva avvisato! Arthur, il Re Arthur stava per risorgere, lo aveva visto in sogno.

“Vienimi a prendere”, gli aveva detto, “Io sto arrivando.” E Merlin si era precipitato sulle rive del lago di Avalon, abbandonando tutto, lasciandosi alle spalle quei barlumi di speranza che lo avevano acceso nelle ultime settimane e che lo avevano portato altrove, a cercare. A cercarlo.

Ad illudersi, pensò. Non era un caso che la sua magia non avesse reagito di fronte a quella persona che lui aveva creduto essere la reincarnazione del Re. Perché nell’esatto momento in cui il vero Re lo aveva chiamato, la magia era rinata da sola, lo aveva ritrasformato nel giovane mago che era stato un tempo e gli aveva ridato forze e speranze. Vere speranze.

Dunque era tornato sulle rive di Avalon. E si era seduto lì, ad aspettare. Il Re stava arrivando e lui era pronto ad accoglierlo.

Aveva trascorso tutta la notte sulla spiaggia, incurante del freddo, dimentico del buio e di ogni altra cosa. Soprattutto di ciò che si era lasciato indietro. Di quella persona che lo aveva ospitato e che forse, adesso, si era anche accorta se ne fosse andato. Ma nient’altro aveva importanza, ora che Lui tornava. Ogni cosa gli sembrò inutile e priva di importanza, perché aveva atteso secoli che arrivasse quel momento.

Aspettò, Merlin. Aspettò tutta la notte e anche dopo, quando il cielo si schiarì e lentamente sorse il sole.

Aspettò… ma le acque di Avalon non si mossero. Il vapore fumoso delle nebbie che lievi aleggiavano al centro del lago non rimandò altro che grigio. Nessun mantello rosso a sventolare, nessun filo dorato di capelli, nessun brillio lucente di occhi celesti.

Merlin aspettò. Ma il lago non gli restituì nessun Arthur.

Quando il sole ormai fu alto nel cielo e gli occhi bruciavano per il troppo fissare, impotenza e delusione si mischiarono dentro di lui, trasformandosi in un globo spesso e pesante, che gli strinse il petto quasi soffocandolo.

Voleva piangere… ma quante volte lo aveva fatto inutilmente? Certo, avrebbe sfogato tutto quel dolore ma in fin dei conti a cosa serviva? Il lago lo aveva mai ascoltato? Si era mai impietosito di fronte a quelle lacrime?

Ingoiò amaro, imponendosi di non disperare. Arthur lo aveva chiamato, la magia aveva reagito. Non potevano essere futili dettagli, non potevano essere vane speranze. Avrebbe aspettato, ancora. Di nuovo. Prima o poi qualcosa sarebbe accaduto.
 

***

 
La giornata era ormai inoltrata, quando qualcosa avvenne su quelle rive. Nessun Re, però. Nessun Arthur. Solo quel Lucius Chaste che lui aveva scambiato per il suo sovrano reincarnato.

Merlin lo scorse da lontano mentre si avvicinava al lago, l’aria un po’ sperduta ma il passo veloce e marziale, come se una rabbia incontrollabile lo avesse condotto fin lì. Merlin sollevò gli occhi al cielo, sospirando, quasi seccato da quell’intrusione.

Eppure avrebbe dovuto immaginare che l’uomo avrebbe provato a cercarlo. O meglio a cercare quello che lui credeva solo un vecchio.

Si alzò in piedi – non con senza difficoltà, dopo essere stato fermo per così tante ore – e piegò un paio di volte le ginocchia per sgranchirle, mentre Chaste si avvicinava sempre più velocemente appena lo aveva notato.

“Mi scusi!” lo richiamò.

Merlin, nel ritrovarselo davanti ebbe un fremito. Quell’uomo era così simile ad Arthur che davvero era stato impossibile non sperare che fosse lui. Ma Chaste arrivava dal parcheggio, non dal lago, pensò con amarezza.

“Ha per caso visto un vecchio da queste parti? Ha la barba bianca e gli occhi a….zzurri.” Lucius si era avvicinato parlando velocemente e quando aveva incrociato il suo sguardo, aveva di colpo tramutato la sua espressione in una di sorpresa.

Merlin non capì. Per un attimo pensò lo avesse riconosciuto ma poi si chiese come fosse possibile e si diede dell’idiota. Aprì la bocca per parlare ma dovette tossire un paio di volte prima di riuscire a farlo, dopo tutto quel silenzio.

“Vecchio dice? No… non saprei. Non ho visto nessuno.”

Si impose di non dargli del Voi. D’altronde chi era Chaste se non un semplice uomo moderno? Eppure in quel momento, mentre alle sue spalle il lago continuava a tenergli precluso Arthur, avrebbe desiderato fosse lui.

Lucius intanto, lo fissava. Le labbra strette tra di loro tanto da assottigliarsi. “Ne è sicuro? Magari lo conosce… abitava qui prima.”

Perché mai avrebbe dovuto conoscerlo? Insomma, per quel che ne sapeva Chaste, poteva essere un turista a passeggio per la città! Che cosa mai faceva credere a quell’uomo che lui conoscesse il vecchio del lago?

Pensieri veloci che si susseguirono nella sua mente, mentre Lucius continuava a fissarlo con insistenza, lo guardava negli occhi come se lo studiasse e…

Un momento. Lo guardava negli occhi. Gli occhi. E capì.

“Ahhhh quel vecchio! Intende il vecchio pescatore del lago! Io sono suo nipote ma… mi dispiace. Se n’è andato.”

Lucius sgranò gli occhi all’improvviso e Merlin si rese subito conto di cosa aveva capito. Agitò le mani in avanti cercando di rimediare. “No no aspetti! Non se n’è andato a miglior vita! E’ solo… partito.”

“Per dove?” replicò prontamente Lucius, lo sguardo che di colpo si induriva. “Ma soprattutto, perché?”

Quella seconda domanda fu carica di un risentimento che gli causò una violenta ondata di sensi di colpa. Lucius era lì per lui, perché gli si era affezionato in quelle settimane. E in fondo anche Merlin… nonostante quell’uomo non fosse Arthur…

“Mi aveva detto di essere solo! Com’è che adesso spunta un suo nipote?” al silenzio di Merlin, seguirono le domande dell’altro, che adesso non conteneva in nessun modo la rabbia. Allargò le braccia, mentre parlava e poi le incrociò quando fu chiaro che volesse una risposta da lui.

Forse dire di essere suo nipote, non era stata una buona idea.

“Senta, non lo so! In realtà anch’io lo stavo cercando!”

“E allora come sa che se n’è andato?”

Ok, la situazione stava degenerando. Va bene che Lucius non era Arthur ma quell’uomo era esasperante quasi quanto il sovrano in persona!

Sbuffò agitando di nuovo le mani per avvalorare le sue parole. “Sono giorni che vengo qui e non lo trovo più! Se ne deve essere andato per forza!”

“Non se n’era andato via!” sbottò Lucius più esagitato di lui. “Era a casa mia fino a ieri, è adesso che se n’è andato!”

Rimasero in silenzio per alcuni istanti, continuando a guardarsi in cagnesco, entrambi per motivi diversi.

Merlin si sentiva attaccato e si dava dell’idiota per essersi infilato in quella situazione da solo – ma dove era finita la sua saggezza millenaria? Persa con la barba? – Lucius invece, perché si sentiva tradito dall’abbandono del vecchio.

Altrimenti, perché era lì a cercarlo? Nonostante l’orgoglio e la rabbia, era arrivato fino al lago per trovarlo e Merlin a quel pensiero, avvertì un moto di affetto per quell’uomo. E si dispiacque di essersene andato.

Sospirò, rilassando le spalle e chiudendo un attimo gli occhi. “Senti non so dove sia andato mio nonno… ma era una persona buona. Se lo ha fatto, sarà stato sicuramente per un buon motivo.” E in fondo era la verità.

“Sì, ma non doveva farlo…” quando Lucius si rese conto di quello che si era fatto sfuggire, strinse le labbra e arretrò di un passo. Poi scosse il capo.

“D’accordo ti ringrazio. Ora scusa, ma devo andare a lavoro.” Non attese risposta, gli voltò le spalle e si incamminò lungo la spiaggia.

Merlin si sentì uno schifo. Non aveva potuto non notare quella nota di tristezza nella voce. Aveva vibrato un attimo ma lui l’aveva sentita. D’altronde quella voce era così simile a quella di Arthur, che lui ne avrebbe potute riconoscere tutte le inflessioni. E durante quelle settimane in cui aveva vissuto con lui, aveva più volte desiderato che Lucius conoscesse il suo nome, soltanto per poter essere ancora chiamato in quel modo e con quella voce.

“Se vuoi…” quando si rese conto che le parole uscivano fuori da sole, fu troppo tardi. “Se vuoi posso avvisarti quando torna…”

Lucius si voltò, restando alcuni istanti a soppesare le sue parole, poi sorrise in quel modo che tanto somigliava ad Arthur quando invece di rimproverarlo o di lamentarsi di qualcosa, lo sorprendeva dimostrandogli un gesto di affetto.

“Ti ringrazio… ma non c’è bisogno. Tornerò.”
 

***
 

Ed era tornato. Lo rivide il giorno dopo, sempre su quella riva. Di Arthur neanche l’ombra.

Le nebbie avvolgevano il centro del lago imperturbabili e niente aveva smosso quell’immobilità, nessun segno di magia, nessun movimento insolito. Merlin aveva aspettato ancora, tornando nella vecchia casetta muffita in cui si era insediato anni prima, per essere il più vicino possibile, per non dare nell’occhio e per aspettare.

Quella nuova attesa si rivelò ancora più sfiancante, perché un barlume di speranza si era insinuato in lui solo due giorni prima, riaccendendogli la fiducia che si era affievolita nel corso dei secoli e che infine aveva perduto, troppo provata dalle continue delusioni. Adesso quella speranza aveva preso a brillare, assieme alla magia che era tornata a scorrere forte nelle sue vene. Ma furono soltanto quelle a tornare, perché in realtà Arthur ancora non si vedeva e il pensiero che quell’attesa avrebbe potuto prolungarsi ancora, lo dilaniava.

Fu preso da questi tormenti, che lo trovò Lucius, quando tornò sulla riva di Avalon appena il giorno dopo. Merlin lo vide e si innervosì, dimenticando tutti i sensi di colpa. Lui voleva il suo re, non la sua copia fasulla.

“Ma tu non lavori?” gli chiese, seccato, quando lo vide avvicinarsi. Sedeva su una panchina di legno appena fuori la catapecchia che lui chiamava casa.

Lucius aggrottò la fronte, sorpreso da quel benvenuto e lo guardò con sospetto. “Potrei farti la stessa domanda.”

“E’ affar mio cosa faccio.” Replicò Merlin, stizzito. Odiava sentire la sua voce, odiava vederlo con quelle espressioni che gli ricordavano ciò che desiderava e non poteva avere. Lo odiava, perché era lui ma non era Lui. E odiava se stesso, perché il suo corpo e il suo cuore reagivano in maniera incontrollata al suono di quella voce e alla vista di quella faccia.

Lucius incrociò le braccia, improvvisamente innervosito. Anche il carattere insopportabile e irascibile era come il suo. Maledizione.

“Guarda che potrei farti arrestare per vagabondaggio, visto che io un lavoro ce l’ho e sono un Ispettore Capo.”

Persino la presunzione! Lo odiava, lo odiava!

Merlin sollevò gli occhi su di lui, guardandolo arrabbiato, un po’ come se fosse colpa di quell’uomo se Arthur non arrivava.

“Fino a prova contraria, io sono venuto a trovare mio nonno.”

A quelle parole, Lucius sgranò gli occhi e lasciò andare il nodo di braccia. “E’ tornato?” domandò velocemente, sorprendendo Merlin per quel repentino cambio di espressione. E dire che un momento prima era pronto alla guerra, poi d’un tratto sembrava un bambino in attesa di Babbo Natale.

“No…” quasi gli dispiacque dovergli dare una risposta negativa. Difatti, leggergli la delusione in viso fu un gioco da ragazzi.

“Anch’io sto aspettando qualcuno…” forse doveva attivare da qualche parte il filtro bocca-cervello, perché diamine se ne usciva con quelle rivelazioni a uno sconosciuto? Ok, un estraneo con la faccia di Arthur ma pur sempre tale! Forse era la somiglianza che lo fregava…

Eppure rivelandosi gli sembrò quasi di consolarlo, di fargli capire che non era il solo che aspettava.

Lucius gli lanciò un’occhiata, scrutandolo in volto, forse per capire se dicesse o meno la verità. Sicuramente lesse sincerità nei suoi occhi, perché li fissò a lungo prima di sorridere e di lasciarsi andare a un sospiro.

“Tutti e due aspettiamo qualcuno… quindi?” si sedette accanto a lui sulla panchina. Merlin strinse le labbra infastidito, nonostante gli avesse fatto posto. Ma perché non se ne andava, invece di accomodarsi senza nemmeno chiedere il permesso?

“Così pare.” Sentenziò di nuovo, seccato.

Se Lucius si rese conto del tono di voce, non lo diede a vedere. Però guardò fisso verso il lago e gli occhi si persero lontano, tra le nebbie che celavano la vista al centro.
“Buffo… e quindi secondo te, dovremmo starcene qui buoni in eterno aspettando che torni chi potrebbe anche… non voler tornare?”

La domanda lo spiazzò. Nel momento in cui ne registrò il significato, si costrinse a voltarsi per guardarlo e si chiese se parlasse di se stesso o di lui… o di tutti e due. Ma poi cosa ne poteva sapere di lui e di chi aspettava?

“Beh… no. Non penso… no! Voglio dire, io so che chi sto aspettando vuole tornare.”

“E come lo sai?” gli domandò a bruciapelo Lucius, poi scosse il capo concedendosi un sorriso venato di amarezza. “Ti ho osservato per un po’, prima di avvicinarmi, scusa. Ma guardi il lago con una tale intensità che quasi mi dispiaceva disturbarti.”

Merlin si chiese per quanto tempo lo avesse guardato, visto che lui era tutta la mattina che stava lì a fissare le acque immobili.

“Io sto aspettando qualcuno.” Ripeté, come per chiarire l’importanza del suo fare. “Ed è qualcuno di molto speciale.”

“Anche per me è così. Ma forse non voglio fare come te…” Merlin sentì una morsa all’altezza dello stomaco nel sentire quelle parole. “Forse se sono importante per quella persona, quando tornerà sarà lei a cercarmi.”

Si alzò in piedi, ignaro di cosa avesse appena scatenato nell’animo di Merlin. Quelle parole gli erano scivolate addosso come una doccia fredda e gli avevano lasciato un vago senso di inquietudine.

“Beh, io torno a lavoro… visto che ce l’ho. Anzi, adesso ne ho addirittura due.” Gli sorrise ancora e poi sollevò velocemente una mano in segno di saluto. “Ci vediamo.”

Merlin rimase lì, seduto alla panchina. Lucius se ne andò e la quiete tornò a circondarlo, assieme al silenzio che lo aveva accompagnato per anni. Le acque di Avalon continuavano a restare immobili, senza dare alcun segno del Re. Rimase lì, mentre il sole si spostava lungo il suo arco naturale, fino a iniziare la sua discesa verso il tramonto. Quando la luce aranciata colorò le acque e le ombre si allungarono, Merlin si alzò in piedi.

Mosse alcuni passi verso la riva, si avvicinò e lanciò un lungo sguardo per tutto l’orizzonte. Poi voltò le spalle allo specchio d’acqua e si incamminò verso l’acciottolato che portava sulla strada principale. Lontano.

Nella mente le parole di quell’uomo e un solo altro pensiero.

Perdonami, Arthur.
 

***

 
Non sapeva cosa ci facesse lì. Ad essere sinceri non sapeva proprio cosa volesse in quel momento. Si era soltanto alzato dalla panchina della casa sul lago e aveva camminato fin là; e adesso guardava il portone d’ingresso senza muoversi di un passo.

Non aveva avuto grandi difficoltà a trovare la centrale di Polizia dove si trovavano gli uffici del Distretto. Conosceva Glastonbury, perché l’aveva vista nascere e ingrandirsi nei secoli in cui era andato e tornato dal lago di Avalon.

Un tempo, quando aveva compreso che ci sarebbe voluto del tempo perché il Re del passato e del futuro rinascesse, aveva deciso di spostarsi da quel luogo e allora era tornato a Ealdor, poi a Camelot. In seguito, aveva viaggiato in lungo e in largo, conoscendo l’Inghilterra e guadagnandosi da vivere come cantastorie delle gesta del mitico Re Arthur e di Merlin il mago e cercando di far passare più in fretta quegli anni. Poi, quando aveva compreso che anche il suo tempo era finito e che la Gran Bretagna iniziava a vivere una nuove epoca la cui importanza seppelliva la sua fama e la sua storia, decise di tornare lì, dove tutto era finito e dove un giorno avrebbe ricominciato.

Si era stanziato sulle rive del lago, in una casetta di legno e vi era rimasto per anni e anni, aspettando e studiando i tempi, illudendosi che in quelli più bui Lui potesse rinascere e poi restando deluso perché ciò non avveniva.

Ma ora tutto cambiava. Ora aveva deciso di non aspettare più. Aveva deciso che il Re, se mai fosse risorto, lo avrebbe raggiunto in qualche modo. In fondo era sempre lì che restava, solo aveva smesso di fissare così insistentemente il lago. Gli aveva voltato le spalle e si era diretto dall’unica persona che – strano a dirsi visto viveva lì praticamente da sempre – conoscesse.

Quando si era ben reso conto di cosa stesse facendo, già entrava in centrale e chiedeva dell’Ispettore Capo Lucius Chaste. I suoi piedi si erano mossi da soli.
“L’ispettore Chaste dice? Gli uffici sono al secondo piano ma le avviso che deve avere un appuntamento.”

Merlin sorrise annuendo e assumendo l’espressione più convincente che conoscesse. “Sì sì, certo che ce l’ho.”

L’uomo a cui l’aveva chiesto – un poliziotto stempiato dell’ufficio informazioni – lo guardò poco convinto ma poi smise di dedicargli attenzione. Merlin salutò cortese e si incamminò verso le scale, zigzagando tra il caos della centrale in pieno giorno.

Superò un paio di prostitute che gli fecero gli occhi dolci, un accattone che cercava di spiegare agli agenti che non aveva voluto rubare quegli alcolici di proposito “ma solo perché mi era presa una sete tremenda!” e una signora pienotta che camminava a passo spedito reggendo una scatola coi propri effetti personali e che borbottava stizzita.
“Non riesco a crederci! E’ una schiava che vuole, non una segretaria!”

Merlin la osservò, mentre prendeva le scale, poi dedicò completamente attenzione ai gradini e raggiunse il secondo piano in pochi istanti. Quando fu arrivato nella sezione del Distretto, fu costretto nuovamente a chiedere dove fosse l’ufficio di Chaste e solo quando fu davanti la sua porta, pensò che avrebbe potuto non esserci, visti i suoi impegni di neo leader del partito laburista.

Provò comunque a bussare, dopo aver notato che la scrivania accanto all’entrata solitamente occupata dalla segretaria, era vuota. La mano non toccò il legno della porta, perché all’improvviso l’uscio si aprì e Chaste comparve nella sua visuale, in mano un plico di fogli e sulle labbra una serie di improperi poco felici.

Quando Lucius si accorse di lui, quasi si scontrarono. Si fermò appena in tempo, sgranando gli occhi e spalancando la bocca emettendo un “Oh!” sorpreso.

Merlin strinse le labbra improvvisamente in imbarazzo. Esattamente, cosa era andato a fare lì? Se lo chiese sentendosi immensamente ridicolo.

“Ehm…”

Per alcuni istanti calò il silenzio, poi Lucius decise di far qualcosa e si fece indietro per lasciarlo passare. “Vieni dentro.”

Lasciò che chiudesse la porta e una volta entrato, che facesse il giro della scrivania, per sedersi alla grande sedia imbottita di pelle. Poi fece segno a Merlin di accomodarsi a sua volta su quella più piccola lì davanti. Visto così, gli parve come su un trono. Scacciò quel pensiero e si umettò le labbra cercando le parole giuste da dirgli… o meglio, cercando qualcosa di sensato da dirgli.

“Sono venuto qui.”

Oh, perfetto. La cosa più sensata, proprio.

“Per caso è tornato tuo nonno?” chiese poi Lucius e Merlin non poté non notare ancora la speranza nella sua voce. Ma quando scosse il capo, dovette poi far fronte alla delusione che lesse negli occhi. Scostò lo sguardo, infastidito da quanto quel viso e tutte le sue espressioni gli ricordavano Arthur in una maniera che era dolorosa e attraente assieme.
Lucius non commentò alla sua risposta, ma continuò a fargli domande. “Come mi hai trovato?”

“Mi hai detto tu di essere un Ispettore Capo.”

“Ah, giusto. Hai ragione. Quindi? Come mai qui?”

“Non conosco nessuno…”

Dove volesse arrivare non lo sapeva nemmeno lui. Sperò che fosse Lucius a trovarsi da solo una spiegazione qualsiasi a cui si sarebbe potuto aggrappare, ma scoprì con sgomento che quell’uomo assomigliava ad Arthur anche in intuito.

“E la persona che stavi aspettando?”

“Quando arriverà potrà cercarmi, tanto resto qui vicino.”

Lucius sorrise e annuì. “Dove hai deciso di fermarti?”

Merlin non sapeva cosa dirgli. Fu tentato di alzarsi in piedi e di andarsene, scusandosi per l’intrusione ma all’improvviso la porta si spalancò ancora e questa volta comparve sulla soglia una donna dai ricci bruni. Merlin si ricordò di lei, perché era l’addetta stampa di Lucius: Jennifer Fawr.

“Insomma, ti chiamo da un’ora! Devi far qualcosa per questa storia della segr -“ si fermò quando notò un’altra persona nella stanza. Dopo un attimo di silenzio però, invece di scusarsi per non aver bussato, sorrise e si avvicinò alla scrivania allegramente.

“Perfetto, vedo che stai già risolvendo!” entrò nell’ufficio sbatacchiando la cartellina sulla scrivania e porgendo la mano a Merlin. “Piacere, io sono Jennifer, sei già stato assunto?”

“C-come?” Merlin balbettò un po’ confuso, mentre Lucius si alzava in piedi.

“Aspetta! Non voglio mica lui…” non finì la frase perché Jennifer di nuovo lo interruppe.

“Oh, Chaste, non hai tempo per fare lo schizzinoso!” poi si rivolse di nuovo a Merlin. “A occhio e croce mi sembri un bravo ragazzo e io per queste cose ho intuito!”

Merlin sorrise al complimento ma continuava a non capire. “La ringrazio ma io…”

 “Giovanotto, hai un lavoro?”

“No…”

“Ne hai bisogno?”

“Beh… ssssì… in teoria…” rispose ancora, titubante. Ok, forse in effetti era lì per un lavoro, ma non immaginava di trovarselo così su due piedi! 

Vide Jennifer sorridere con una strana luce negli occhi, poi la sentenza. “Perfetto, sei assunto!”

 “Jennifer aspetta!” Lucius provò a lamentarsi ma la donna già raccoglieva la cartellina, dopo aver lasciato alcuni fogli e spariva verso l’uscita.

“Chaste lì c’è la lista dei tuoi appuntamenti della settimana! In bocca al lupo, giovanotto! Ne avrai bisogno!”

Merlin rimase interdetto, folgorato da quel ciclone che in un attimo aveva deciso il suo destino per lui. O forse era sempre il destino che decideva sotto forma di altre persone?
Rivolse uno sguardo un po’ confuso a Lucius che fece spallucce, rassegnato più di lui. “E’ fatta così… ma d’altronde abbiamo mille cose da fare ora…” non capiva se parlasse a lui o a se stesso, ma poi lo guardò e lui represse un altro fremito cercando di non darlo a vedere. “Ma davvero vuoi questo lavoro?”

“Beh… ne avrei bisogno in effetti…” era vero ma all’improvviso si rese conto che non aveva capito di che lavoro si trattasse. Stava quasi per chiederlo, quando Lucius si alzò in piedi e si avvicinò a un tavolo dove erano ammassate due pile di documenti.

“Se è questo che vuoi… benvenuto a bordo allora.” Afferrò una delle torri e la portò alla sua scrivania, facendola cadere pesantemente sul piano di legno. “Direi che potresti iniziare subito.”

“In che… senso?” all’improvviso una strana sensazione si impadronì di lui. Come di… inquietudine.

“Questi sono da riordinare e inserire in archivio. E tra dieci minuti voglio il caffè, bollente, mi raccomando! E sbrigati perché tra un’ora ho un dibattito in tv!”

Merlin sgranò gli occhi interdetto, registrando appena quelle parole e iniziando a collegare varie cose: la segretaria che scappava via, la scrivania vuota, gli improperi di Lucius con i documenti in mano… di colpo si sentì come finito… in una trappola.

“Aspetta un attimo ma cosa ho accettato di fare esattamente?!” esclamò alzandosi in piedi a sua volta.

E Lucius sollevò le spalle come se avesse appena fatto una domanda stupida. “Ovvio, il mio assistente.”

“Un momento… che intendi con assistente?”

Lucius ridacchiò colpevole sollevando una mano. “Ah giusto giusto, dimenticavo di dirtelo. Io sono un Ispettore Capo sì, ma sono anche un politico adesso e per un po’ dovrò fare entrambi i lavori. Purtroppo adesso non posso delegare nessuno qui, perché lederebbe alla mia campagna politica – ordini di Jennifer – per cui avrò bisogno di un… sostegno. Di un assistente, insomma!”

“Cioè di un servo.” Replicò subito Merlin.

Lucius sorrise amabile, sembrò quasi divertito da quella storia e la cosa lo infastidì. “Assistente, servo, chiamalo come vuoi. Anche valletto personale, se più ti piace.”

Merlin non sapeva cosa dire. Era indeciso più che altro tra lo scoppiare a ridere oppure il mettersi a urlare. In entrambi i casi però, avrebbe fatto la figura del pazzo e dubitava sarebbe servito a qualcosa. Anche perché quel Lucius non avrebbe mai potuto capire quanta ironia ci fosse in tutta quella storia.

Allora fece la cosa più sensata da fare. Restò in silenzio, ingoiando improperi contro quel destino che proprio non riusciva a capire e che trovava si divertisse in maniera alquanto grottesca, e afferrò la pila di documenti trovandola particolarmente pesante.

Era quasi uscito dalla stanza però, quando Lucius lo aveva richiamato. “Aspetta un attimo! Non mi hai ancora detto come ti chiami!”

Lui si voltò e vide quegli occhi celesti tingersi di curiosità. E questo, unito al fatto che lo aveva appena nominato valletto personale, non fece altro che scatenare in lui un desiderio morboso. Il motivo forse principale per cui aveva resistito in tutti quegli anni e con cui si era fatto forza per andare avanti. Voleva sentire quella voce chiamarlo per nome. E allora decise.

“Merlin. Mi chiamo Merlin.”

Lucius non rispose. Rimase a fissarlo per alcuni istanti senza reazione. Poi annuì un po’ titubante.

“D’accordo, piacere Merlin.”
 
Continua…
 
 
////////
 
Ehilà!! Buona serata a tutti e buona domenica! Contenti dell’aggiornamento anticipato? ^^ Domani ho una giornata pienissima e dovevo scegliere tra l’anticipare oppure pubblicare martedì. Considerate le minacce di gente di cui non faccio nome (Asfo*coof*), ho deciso di farlo oggi u_u

Spero che il capitolo, bello lungo lungo pure :D vi sia piaciuto! Come sempre vi esorto a commentareeee!!! Sono piacevolmente sorpresa dal successo che sta avendo questa storia, il ritmo delle letture è altissimo e ogni volta aumentano i preferiti! Io vi ringrazio, davvero di cuore! ^_^ spero di essere all’altezza fino alla fine!

Un ringraziamento speciale fa però, alla mia beta Emrys, che adesso si becca anche i miei dubbi esistenziali! E poi a chi ha commentato! (e scusate se non vi ho risposto a sto giro ma un po’ non vi ho risposto, un po’ temevo di darvi troppe anticipazioni e mi spiaceva XD) Grazie quindi ad AsfodeloSpirito (come stalkeri te non lo fa nessuno u_u), Strangerinthistown (grazieee e benvenuta! Sono contenta che mi leggi!! ^^), Parre (nooo piangere addirittura! XD), Gosa (dai, pensa sei quella che ha aspettato di meno! XD), Jaya (hahaha leggere la recensione in contemporanea mi ha fatto morire! Perché sapevo come finiva e temevo i commenti! Hahahaha).

E ora…. L’anticipazione!!

Salì le scale e si diresse subito verso la stanza di Lucius, aprì la porta e la trovò al buio, con le imposte chiuse. Non ci mise molto a capire che quell’idiota non aveva sentito la sveglia e continuava a dormire beato, come se al mondo non ci fosse nient’altro che il suo letto.

Sbuffò esasperato, conscio che il risveglio brusco non avrebbe di certo giovato al suo carattere irritabile e che di sicuro per questo si sarebbe sfogato con lui, l’unico a sopportarlo al mattino.

Ma a quel punto, tanto valeva fare a modo suo, perciò si avvicinò alle imposte per aprirle e far entrare la luce, poi si accostò al letto e avvicinatosi sussurrò dolcemente.

“Buongiorno, Raggio di Sole! E’ ora di svegliarsi.”

 
Sto buona oggi, pure l’anticipazione lunga! XD

E’ tutto! A Lunedìììììì
Baci
Ryta

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Desclaimer: Merlin e tutti i suoi personaggi non mi appartengono, se lo fossero sarei ricca, la serie non sarebbe finita e Ginevra avrebbe sposato Lancillotto.
 

MENTRE TI ASPETTO

 
 
Capitolo 9
 
“Merlin!”

Il suo nome, per la centesima volta in soli tre giorni, risuonava nelle orecchie.

“Merlin!”

Erano passati secoli dall’ultima volta in cui qualcuno lo aveva chiamato per nome. C’erano voluti mille anni perché ciò accadesse e soprattutto per sentirsi richiamato con quella voce.

“Merlin!”

Non lo avrebbe mai detto ma probabilmente in soli tre giorni aveva recuperato tutti e mille gli anni in cui nessuno lo aveva più chiamato.

“Insomma, Merlin! Ti vuoi muovere?”

“Un attimo, ho solo due mani io.”

Merlin lanciò un’occhiata obliqua al suo capo, che avrebbe potuto essere tranquillamente definito padrone. La facilità con cui quel Lucius Chaste si era abituato ad avere un assistente e a delegargli qualsiasi compito dal più stupido al più gravoso, lo aveva impressionato. E di sicuro aveva a che fare con il fatto che la sua faccia, la sua voce e la sua asineria fossero identiche a quelle del Re del passato e di chissà quale futuro. Lucius somigliava ad Arthur in maniera impressionante…

Ma non era lui.

Merlin lo sapeva, anzi lo sentiva. Perché non solo aveva sognato Arthur pochi giorni addietro che gli diceva che presto sarebbe tornato – anche se ancora non era successo niente – ma poi c’era dell’altro. La magia, certo, anche quella contava tantissimo. Ma adesso c’era anche un particolare in più.

“Merlin…”

“Sì…?”

“Ti ho mai detto che con questo atteggiamento potrei licenziarti su due piedi?”

“Da tre giorni a questa parte, ovvero da quando mi hai assunto, credo almeno un centinaio di volte.”

“E allora, credo non ti sia entrato bene in testa… Merlin!”

Eccolo il motivo. Merlin, non era quel Merlin che lui era abituato a sentire. Erano passati mille anni ma lui ricordava ancora perfettamente l’intonazione con cui soltanto il Re Arthur era in grado di dire il suo nome. Una cadenza tutta sua, che sapeva di ammonimento e di affetto assieme, di potere e di rispetto. Un modo così speciale di chiamarlo che Merlin non avrebbe mai potuto scordare. E che Lucius non sapeva fare.

Per quante volte lo avesse chiamato con quella stessa voce, non lo aveva mai fatto nello stesso modo perfetto con cui lo faceva Arthur.

Per questo Merlin era convinto non fosse lui. Per questo e per una miriade di altri dettagli più o meno lampanti.

Eppure era lì, a fargli da servo-pardon, da assistente. Perché in quell’epoca moderna era così che si chiamavano i valletti al servizio di gente ricca. Merlin, senza volerlo davvero, si era ritrovato ad assistere quel Lucius Chaste e a seguirlo praticamente in tutti i suoi spostamenti e soprattutto in tutti i suoi capricci.

“Qui c’è il vostro dannato giornale, qui il caffè. Qui il discorso che mi avete costretto a correggere al posto vostro e qui i documenti che mi avete chiesto… vostra altezza.”

Lucius acchiappò la tazza fumante portandola alle labbra e intanto sollevò lo sguardo piccato sul proprio assistente che in piedi davanti la sua scrivania, gareggiava con lui a chi fosse il più irritato quella mattina. Lo aveva svegliato all’alba chiamandolo al cellulare che gli aveva dato per rintracciarlo più facilmente e lo aveva costretto a raggiungerlo a casa sua perché, secondo le sue parole, “doveva sbrigare alcune faccende della massima importanza”.

E poi si era ritrovato a fare un caffè e a correggere quel discorso che a occhio e croce sembrava fatto coi piedi in cinque minuti appena. Da quello che aveva capito, quando era ancora un vecchio e abitava in quella casa, Lucius non era portato molto per i discorsi per cui aveva sempre bisogno di assistenza o da parte di Jennifer o… dello sfigato di turno. Lui per esempio.

“Appena arriverà Jennifer le dirò che mi hai costretto a fare il tuo lavoro.”

Lucius ancora non rispose e continuò a sorseggiare il suo caffè, studiandolo. Merlin incrociò le braccia ancora più infastidito. Quando fino a qualche giorno fa abitava lì con le sembianze di un vecchio, lo assisteva in qualche modo, ma non con quella frequenza e soprattutto non ripreso con quell’arroganza. Complici l’età avanzata e forse un certo timore nei suoi confronti, Lucius non aveva mai osato chiedergli più di tanto e lui aveva acconsentito a dargli una mano convinto di avere a che fare con il futuro Re del passato.

Ma adesso l’idiota sembrava sentirsi in dovere di trattarlo in quel modo, semplicemente perché aveva un contratto che attestava la sua situazione lavorativa. Glielo aveva fatto firmare due giorni prima e Merlin detestava averlo fatto, perché se n’era pentito subito dopo.

Intanto si chiese per l'ennesima volta come mai fosse ancora lì e non se ne fosse andato…

“Fai pure. A Jennifer non interessano queste cose. A lei basta che il discorso sia pronto. Ad ogni modo…” Lucius replicò serafico, poi lasciò la tazza sulla scrivania e prese un plico di fogli che Merlin riconobbe subito come il suo contratto di lavoro. Per un attimo pensò di approfittarne e stracciarlo, poi però qualcosa di non ben definito gli fece cambiare idea.

“Leggevo i tuoi dati… hai scritto che vieni da… Ealdor?”

“Sì, è il paesino dove sono nato.”

“Non ricordo di un posto simile…”

“Infatti non è in questo distretto.” Merlin sapeva bene cosa rispondere. Aveva studiato tutta la faccenda e grazie alla magia si era persino procurato un documento che attestasse la sua esistenza a livello burocratico. Molti dati però, aveva voluto lasciarli così come erano.

“E hai sempre vissuto lì?” domandò ancora Lucius, questa volta più per curiosità. Merlin lo riconobbe dalla voce.

“Fino a una certa età sì, poi ho girato per l’Inghilterra e vi sono tornato per assistere mia madre quando si è ammalata.”

“Spero si sia ripresa.”

Merlin strinse le labbra. “No… veramente è morta. Ma va bene, è successo tanto tempo fa.” In fondo era la verità. Il dolore per la perdita di sua madre giaceva sepolto da mille anni di vita e di ricordi e anche se ogni tanto ancora si faceva sentire, era di quei dolori sordi e senza contorni, di quelli che passano così come sono arrivati, volando via come le foglie secche.

Lucius però, a quella risposta chinò il capo, facendosi più gentile. “Oh, mi dispiace. Se ti può consolare io mia madre non l’ho mai conosciuta.”

Merlin non disse nulla, decise di sedersi di fronte a lui, intuendo che la conversazione si sarebbe prolungata.

“E poi sei venuto qui da tuo nonno?” continuò Lucius imperterrito. Come mai voleva sapere tutti quei dettagli? Non era meglio ordinargli qualcosa invece di chiedergli tutte quelle cose?

“Più o meno… non conoscevo bene mio nonno, sono qui perché cercavo un’altra persona.” Altra verità fatta di parole piene di sottintesi. “Però non ho trovato né l’uno né l’altra alla fine.” Decretò.

Lucius lo guardò fisso, facendosi per un attimo pensieroso, poi scosse il capo tornando alla realtà. “Beh, non è detto… magari torneranno.”

“Devono.” La risposta secca di Merlin provocò uno sguardo curioso di Lucius ma l’uomo non chiese altro. Si limitò a sorridere e poi a sospirare.

“Sei sempre così convinto. Ti invidio sai? Io sono sempre più sicuro che le persone più le aspetti e meno vogliono tornare da te.”

Merlin si morse l’interno della guancia, avvertendo una certa inquietudine nel sentire quelle parole. Perché facevano male e lui temeva si avverassero.

“Ma io non posso smettere di sperare… è il mio destino” soffiò senza pensarci due volte. Quando si rese conto di cosa stava dicendo, Lucius aveva già risposto con un “Il tuo che?” e lui si era alzato in piedi.

“Guarda che è tardi, sono quasi le nove e cinque! A che ora devi essere in ufficio?”

Lucius non fece in tempo a chiedere altro: quando recepì le parole di Merlin, sgranò gli occhi e si guardò l’orologio che aveva al polso, imprecando. “Dovevo essere lì cinque minuti fa!”

Poi scappò via seguito a ruota da Merlin che lo inseguì. Nella fretta si era scordato il discorso.

“Idiota, questo me lo hai fatto fare a vuoto?”

“Chiamami ancora così e ti licenzio!”

 

***

 
La porta della casetta di legno sbatacchiò sollevando un poco di umidità. Merlin ignorò il fatto, continuando il suo cammino malfermo fino all’angolo dove era posizionato un lettino accomodato con delle lenzuola bianche. Ci si lanciò sopra, abbandonandosi alla stanchezza e sbuffando.

Non aveva voglia di svestirsi, voleva solo perdere i sensi e dormire. Era così stanco che davvero sollevarsi ancora, anche solo per togliersi la camicia equivaleva a un’impresa titanica. Sarebbe rimasto così, tanto a chi doveva dare conto se non a se stesso? Senza contare che era diventato un vero e proprio esperto nello stirarsi gli indumenti con la magia.

Si concesse soltanto lo sforzo di sfilarsi le scarpe, poi si accucciò sul materasso tirandosi le coperte in modo da coprirsi dalla frescura primaverile.

Sospirò ancora, godendo del piacere di un materasso e di un cuscino a sostenere le sue membra sfinite. Lucius Chaste era un vero dittatore. Lo aveva costretto tutto il giorno a fare su e giù da casa sua fino agli uffici del Distretto e poi ancora fino al partito a sbrigare alcune commissioni, tra cui un’imponente spesa per una cena decisa all’ultimo momento con i colleghi di partito di Lucius, che lui avrebbe dovuto trovare un modo per organizzare. Ovviamente aveva fatto affidamento all’intelligenza e aveva usato il denaro che gli era stato consegnato per contattare un servizio catering, per cui alla fine aveva predisposto un buffet a villa Chaste, che aveva avuto un grande successo.

Successo che era andato in forma di complimenti interamente al padrone di casa.

Non a lui, ovvio. Lui si era limitato a sorridere dalla cucina, mentre i camerieri affittati assieme al catering, portavano in tavola il dessert e Jennifer da lontano gli faceva il segno della vittoria con uno sguardo complice.

Si chiese per la milionesima volta perché facesse tutto quello. Avrebbe potuto andarsene, dire a Chaste di organizzarsele da solo le cene, di aver diritto a un giorno di riposo vero e proprio, non con un cellulare che squilla in continuazione per ogni capriccio. Oppure avrebbe potuto stracciare quel dannato contratto e tornare libero.

Merlin si chiese perché lo facesse. E poi si diede una risposta. Lo sapeva perfettamente, perché aveva accettato volontariamente quella tortura.

Merlin non voleva tornare indietro. La sola idea di riprendere ad aspettare guardando il lago, lo angustiava. Doveva tenersi occupato perché tornare come prima era ormai fuori discussione. La stanchezza dell’attesa era una cosa che aveva covato per decenni ma soltanto dopo quel sogno in cui si era illuso che finalmente tutto stesse per cambiare, era venuta tanto a galla che lui non era più riuscito a riportarla a fondo e a nasconderla sotto cumuli di speranze.

Arthur sarebbe tornato prima o poi, questo lo sapeva. Ma finché non succedeva lui doveva far qualcosa. E stare al servizio di Lucius Chaste era sicuramente la cosa più impegnativa che al momento conoscesse.

Chaste era pretenzioso e indisponente esattamente come Arthur perciò in qualche modo Merlin sapeva con chi avesse a che fare. Era un po’ come fare il suo vecchio lavoro, solo che almeno Chaste era perfettamente in grado di vestirsi da solo e non lo costringeva a lavargli la schiena quando faceva la doccia.

E poi qualche genio nel corso degli anni aveva inventato la lavatrice per cui non doveva più strofinare panni sporchi di fango e lucidare armature e stivali. Certo, il lavandino del bagno che perdeva avrebbe potuto pure farlo aggiustare da un idraulico invece che da lui – anche perché poi aveva combinato un disastro inondando il bagno di acqua e beccandosi pure la ramanzina – ma alla fine Merlin si era reso conto che il lavoro dell’assistente era molto meno faticoso di quello del servo.

Ad ogni modo non era meno stressante. Questo perché il padrone o meglio, il capo, era petulante e puntiglioso e ora che sbrigava due lavori contemporaneamente e portava avanti una campagna politica per essere eletto Primo Ministro, era diventato ancora più irascibile.

Merlin cercò di non pensare all’ultima sfuriata che aveva avuto quella mattina sul ritardo con cui gli aveva riconsegnato alcuni documenti, preferendo concentrarsi poi sulla sua replica sprezzante che lo aveva zittito e nella quale gli aveva fatto notare che continuando così, la prossima volta nelle cartelle ci avrebbe disegnato prati fioriti e barchette.

Altro punto a favore, nei tempi moderni non esisteva la gogna. Per cui il massimo che Chaste avrebbe potuto fare, sarebbe stato licenziarlo. Ma chissà perché, nonostante minacciasse di farlo almeno venti volte al giorno, ancora non lo aveva cacciato. Per cui Merlin, una volta capita l’antifona, non si era fatto problemi a rispondere pan per focaccia a tutti i suoi urli e strepiti, guadagnandosi probabilmente anche un certo rispetto.

Quella sera era stata sicuramente la più faticosa ma in fondo, era stata anche la più soddisfacente. Perché Lucius alla fine della serata non lo aveva ripreso, né lo aveva minacciato di licenziamento. Gli aveva detto “Grazie”. E a lui quella parola aveva fatto un gran piacere.

Si rendeva conto che un poco a quell’uomo si era affezionato. E non c’entrava il fatto che avesse la faccia di Arthur e buona parte del suo carattere. In fondo sapeva perfettamente che non era lui e non aveva nessuna intenzione di sostituire il suo Re con una copia. Però c’era qualcosa di buono in Lucius che lo attraeva, una scintilla che lo affascinava e che in qualche modo gli provocava il desiderio di restare. E di aiutarlo in quel cammino così ambizioso che si era scelto.

Merlin era attratto da Lucius perché emanava una luce buona, come quella che aveva visto nel cuore del Re e che sapeva avrebbe portato bene.

E ogni tanto, quando il sonno lo coglieva e la sua coscienza perdeva stabilità, i pensieri si facevano confusi e lui pensava a come sarebbe stato perfetto Arthur nel ruolo di Lucius e poi, un attimo prima che Morfeo lo abbracciasse del tutto, li vedeva. Due eppure uno, come la stessa persona fusa in due entità. Poi non vedeva più nulla e il sonno lo portava via.
 

***

 
L’ingresso monumentale dell’abitazione di Lucius Chaste svanì dalla sua visuale, mentre entrava in casa e chiudeva la porta. Lasciò le chiavi che gli erano state date in custodia sul tavolino dell’ingresso e si guardò intorno. Silenzio.

Merlin strinse le labbra, sospettoso. A quell’ora del mattino non poteva esserci tutta quella calma. Di solito c’era la tv accesa, l’odore del caffè – quando non era lui a prepararlo – che si propagava nell’aria e Lucius che faceva su e giù dalla cucina allo studio, mettendosi la cravatta e cercando di ricordare tutti gli impegni della giornata.

A quel punto arrivava lui che spegneva il fornello e sistemava il caffè in una tazza, che poi porgeva a un affrettato Lucius, irritato dal fatto che non ricordasse dove diavolo dovesse presenziare quel giorno prendendosela con lui. Merlin gli diceva di bere e di star zitto e poi gli elencava tutti i suoi impegni, rinfrescandogli la memoria e calmandolo.
Questo insieme di azioni, erano diventate quasi un rito al mattino da due settimane ormai, con Merlin che tutte le volte lasciava il letto della casetta sul lago e si dirigeva da Chaste per una giornata di lavoro.

Quella mattina però, la casa era silenziosa. Nessun rumore, nessun odore di caffè. E Merlin ebbe un brutto presentimento.

Salì le scale e si diresse subito verso la stanza di Lucius, aprì la porta e la trovò al buio, con le imposte chiuse. Non ci mise molto a capire che quell’idiota non aveva sentito la sveglia e continuava a dormire beato, come se al mondo non ci fosse nient’altro che il suo letto.

Sbuffò esasperato, conscio che il risveglio brusco non avrebbe di certo giovato al suo carattere irritabile e che di sicuro per questo si sarebbe sfogato con lui, l’unico a sopportarlo al mattino.

Ma a quel punto, tanto valeva fare a modo suo, perciò si avvicinò alle imposte per aprirle e far entrare la luce, poi si accostò al letto e avvicinatosi sussurrò dolcemente.

“Buongiorno, Raggio di Sole! E’ ora di svegliarsi.”

Lucius sorrise nel sonno e si rigirò su un fianco. “Mhmmm… no, ancora no…”

Merlin sollevò un sopracciglio. “Ehi, Raggio di Sole! Guarda che è tardi!” provò con meno dolcezza, smuovendogli leggermente una spalla.

Lucius agitò la mano mollemente. “Mmmerlin, ora mi alzo, apri le tende…”

“Ma quali tende, che nemmeno ce le hai? Lucius!”

A quel richiamo, l’uomo aprì gli occhi che poi richiuse un paio di volte, cercando di abituarsi alla luce che entrava, e di focalizzare nel frattempo la figura che lo sovrastava.

Merlin si vide osservato prima con sorpresa, poi via via l’espressione di Lucius si fece seccata. “Che ci fai nella mia stanza?”

Merlin sbuffò, mettendosi dritto e allontanandosi dal materasso. “Sei in ritardo! Sono arrivato ma non eri sveglio.”

Lucius allora guardò l’orologio che aveva al polso e sobbalzò sul letto mettendosi a sedere con uno scatto. “Ma è tardissimo!”

“E’ quello che sto cercando di dirti… Raggio di Sole!”

Lucius lo guardò malissimo, mentre lanciava in aria le coperte e si infilava nel bagno con passo spedito. “Fammi il caffè, boll-“

“-llente mi raccomando!” gli fece il verso Merlin, conoscendo ormai quelle raccomandazioni a memoria. Ignorò gli improperi che Lucius continuò a borbottare in bagno riguardanti il ritardo e una dubbia presunzione del suo assistente e scese al piano di sotto per preparargli il caffè.

Sorrise, mentre faceva le scale. Per un attimo aveva ricordato di quando cercava di svegliare Arthur, tirando le tende rosse della sua stanza e prendendolo in giro quando quegli non voleva alzarsi. Lucius somigliava troppo ad Arthur per certi aspetti e la cosa non poteva non fargli piacere.

Anche se c’era una sorta di meccanismo autolesionista in questo, che lui sapeva ma che non voleva accettare. Il fatto era che Lucius sapeva di Arthur ma aveva anche qualcosa di suo e nel tempo Merlin aveva apprezzato entrambe le cose. Poteva ricordarsi continuamente del suo Re, quasi ce lo avesse davanti e nel contempo stringeva un legame con un’altra persona che non era lui e che gli donava un alito di vita.

D’altronde avere rapporti con altra gente, era una cosa che non gli succedeva da anni e solo quando ne aveva avuto nuovamente modo, si era accorto di quanto gli fosse mancato.

“E’ pronto?”

La domanda di Lucius, era giunta più vicina di quanto credesse. Si era affacciato sulla soglia della cucina, proprio mentre lui osservava la macchinetta versare nell’ampolla il liquido nero.

“Quasi… e comunque hai ancora venti minuti, questa mattina hai un comizio, non devi andare in ufficio.”

Lucius, che era sparito dalla visuale per sistemarsi la cravatta davanti lo specchio del corridoio, tornò ad affacciarsi in cucina e aggrottò la fronte. “E perché non me lo hai detto prima, invece di farmi scapicollare come un matto?”

Merlin ridacchiò, versando il caffè in una tazza. “Perché è stato divertente vederti ammattire.”

L’altro afferrò il recipiente facendo schioccare la lingua. “Dovrei licenziarti per questo.”

“Ah-ha” gli fece eco Merlin, continuando a sorridere. Prese un’altra tazza e versò del caffè anche per sé, prendendo a sorseggiarlo con noncuranza.

“Dico davvero, non mi prendi mai sul serio… e non va bene!”

“Lucius… mi minacci di licenziamento almeno venti volte al giorno… come faccio a prenderti sul serio?”

“Perché prima o poi lo farò.”

Merlin bevve e poi lo guardò, incuriosito. “E perché non lo fai?” c’era una sorta di tranquillità con cui si rivolgeva a lui. Perché in fondo sapeva di avere a che fare con una persona normale da cui non si aspettava nulla. Era un po’ come se non avesse niente da perdere, per cui perché non vivere serenamente quella situazione?

Lucius a quella domanda, strinse le labbra pensieroso. “Non lo so… forse perché temo la reazione di Jennifer…”

Merlin sapeva che non era vero. Era per qualcos’altro che lo teneva lì e lui non voleva dirglielo. “Non sarà per riguardo a mio nonno, spero…”

“Uhm… forse, ma… no, non è per quello.” Lucius vuotò la tazza e la poggiò sul tavolo, certo che l’altro l’avrebbe poi lavata e riposta nel lavello. “Bene, direi di andare a lavoro.” fece per andarsene ma Merlin lo seguì.

 “No, aspetta! Dimmi perché!” ora era davvero curioso. Lui un motivo ce lo aveva, ed era più che valido ma Lucius? Perché se lo teneva, se non faceva altro che lamentarsi?
“Avanti, dimmelo!” lo seguì mentre passava attraverso il salotto diretto allo studio, dove sapeva c’erano da recuperare cartellina e documenti.

Lucius scosse la testa, andando avanti per la sua strada nonostante l’insistenza del suo assistente. “Ho le mie buona ragioni, Merlin… soltanto una cosa…” si fermò e si voltò di scatto. Merlin dovette arrestarsi di colpo per non andare a sbattergli contro e si vide il dito indice puntato davanti agli occhi.

“…chiamami ancora Raggio di Sole e ti licenzio sul serio!”

Merlin dapprima sgranò gli occhi, poi imbronciò le labbra indispettito. “Ah sì? E allora, Raggio di Sole, dimmi perché non mi licenzi?”

Lucius fece finta di non aver sentito e tornò a camminare verso lo studio. Merlin lo raggiunse fin dentro la  stanza, poi si fermò allargando le gambe.

“Raggio di Soleee!! Ce l’ho con te!” poggiò i pugni sui fianchi con fare sfrontato. “Non fare il finto tonto con me, Chaste, che già lo sei!”

A quel punto Lucius decise di fermarsi. Si voltò ancora, ma stavolta con una lentezza che voleva incutere… minaccia? Lo guardò assottigliando lo sguardo.
“Il fatto che io non ti possa licenziare… non vuol dire che non possa fartela pagare.”

Merlin si fece avanti, fino a raggiungerlo. Deglutì non sapendo il senso di quella frase ma ormai era troppo tardi per tirarsi indietro. La cosa assurda era che ci trovasse una nota divertente in tutta quella storia.

“E in che modo? La gogna non esiste più da anni.”

Lucius sollevò un sopracciglio. “Che c’entra la gogna? Oh no, Merlin… forse potrei farti lavorare un po’ più come un servo e un po’ di meno come assistente.”

Merlin ridacchiò sprezzante del pericolo. “Cambierebbe qualcosa da quello che già faccio?”

“Merlin…” lo richiamò severo, il suo datore di lavoro.

“Orsù, Raggio di Sole. Perché non mi licenzi?”

“Merlin…”

“O perché non mi dici allora cosa ti vieta di farlo…”

“Merlin…”

“Perché sai, senza una scusa valida potrei pensare che tu sia davvero un babbeo!”

«Merlin! »

“Ma insomma, vuoi fare silenzio?”

Trattenne il fiato, mentre Lucius lo guardava in cagnesco e anche un bel po’ irritato.

“Stai esagerando adesso, Merlin! Devo ricordarti quali sono i ruoli? Sei il mio assistente, diamine! Nemmeno il mio migliore amico è così… esasperante come te!” nel frattempo afferrò la cartelletta e si avvicinò alla porta dello studio, superandolo. Era davvero arrabbiato e probabilmente pensò di aver fatto il suo effetto, perché Merlin era rimasto immobile sul posto e lo fissava a bocca aperta, le iridi azzurre spalancate.

“Cerca di darti una calmata e fai il tuo dovere!”

Se ne andò, sbattendo la porta e lasciandolo solo, certo di avergli fatto una bella ramanzina. Ma Merlin non era sconvolto per quello. Perché c’era stata un’altra voce a sovrapporsi a quella di Lucius che sbraitava. Era risuonata nella sua testa e lui l’aveva riconosciuta subito. Il tono era uguale ma la cadenza era quella perfetta che solo Lui sapeva dare.

Arthur lo stava chiamando. Di nuovo.
 

***

 
Era tornato. Avrebbe dovuto non farlo, ma non aveva resistito. Una parte di lui, quella speranzosa che nonostante gli anni e le delusioni non si era mai arresa del tutto, lo aveva condotto di nuovo lì, sulle rive di quel maledetto lago. E di nuovo, come tutte le altre volte, non era successo niente.

L’acqua era cheta, le nebbie immobili. La luna adesso, che si rifletteva sullo specchio d’acqua, illuminava la natura aggiungendo staticità a quel posto.

Merlin fissava il centro del lago e sapeva benissimo ormai, che non sarebbe successo niente. Ma non poteva farne a meno. Arthur lo aveva chiamato. Era la seconda volta che succedeva in pochi giorni, dopo che quel richiamo gli era stato negato per secoli. Ed era così bello, il modo con cui diceva il suo nome che avrebbe voluto sentirlo ancora e ancora. Ma a parte quella mattina, il Re Arthur non si era fatto vivo e Avalon di nuovo aveva taciuto.

Era stato lì tutto il giorno, se n’era andato da casa di Chaste, era tornato sulle rive e lì era rimasto. Aveva disatteso il suo lavoro, i suoi nuovi impegni ed era tornato a fare quello che aveva fatto per quasi una vita intera. Aspettare. Anzi, aspettare inutilmente, per essere più precisi.

“Ma cosa devo fare io con te?”

La voce lo aveva fatto sobbalzare. Perché l’inflessione era la stessa che lui voleva sentire. Eppure dopo il primo smarrimento si era accorto che non lo era. Quella voce era di Lucius.

Si voltò, scorgendolo a pochi passi da lui, il profilo distinto a malapena dalla luce della luna ormai ridotta a uno spicchio. Non lo aveva visto né sentito arrivare e in fondo, si rese conto con amarezza che non avrebbe potuto, perché era così stupidamente assorto nel guardare il lago, che non si sarebbe accorto nemmeno del passaggio di un drago accanto a lui.

Non rispose a quella domanda retorica. Si limitò a prendere un lungo respiro mentre Lucius si avvicinava e intanto si chiese cosa gli provocasse dentro l’improvviso arrivo di quell’uomo. Non sapeva cosa pensare, se essere infastidito da quella intrusione oppure contento, perché fosse andato a cercarlo.

Ma forse era lì solo per licenziarlo, dopo essere sparito in quel modo…

“Credevo fossi un po’ più resistente ai miei rimproveri. Non immaginavo ti avrei fatto scappare via.” Lucius continuò a parlare, avvicinandosi accanto a lui. Più da vicino, riusciva a scorgere altri dettagli della sua persona e non poté non notare il sorrisetto accondiscendente che tante volte gli aveva ricordato Arthur.

Si sentì un po’ in colpa per essersene andato ma soprattutto si sentiva un idiota, perché di nuovo aveva mollato tutto per andare lì, convinto di trovarci Arthur e beccandosi solo l’ennesima delusione. O meglio, più che mollare tutto, aveva mollato Lucius. Quell’uomo che aveva riposto fiducia prima nel lui da vecchio e poi nella sua versione giovane e che per ben due volte si era visto abbandonare.

“Non sei stato tu. Scusa se ho saltato il lavoro.”

“Io non dovevo risponderti a quel modo. Sapevo stavi scherzando.”

Non voleva che lui si scusasse. In fondo era colpa sua se lo aveva provocato e poi se n’era andato, facendogli credere di essersela presa per quella sfuriata. La rabbia contro se stesso aumentò.

“Sai perché non ti ho ancora licenziato?”

Merlin non gli aveva più risposto e allora Lucius aveva continuato a parlare, forse credendo ce l’avesse ancora con lui. Lo guardò e nella penombra vide quegli occhi puntati prima verso il lago, poi nei suoi. Si sentì ancora peggio, quando si rese conto che erano velati di tristezza.

“Io e te siamo uguali.”

Merlin sollevò le sopracciglia, sciogliendo finalmente il silenzio.

“Che vuoi dire?”

Lucius fece spallucce. “Che siamo uguali. Entrambi siamo soli.”

Calò di nuovo il silenzio. Merlin registrò lentamente quelle parole, ripetendosele in testa diverse volte, ben conscio di quanto fossero vere.

“Non ti ho ancora licenziato e tu non te ne sei andato, perché siamo soli. Tutti e due.”

Non aggiunse altro ma Merlin aveva capito quanti sottointesi ci fossero in quella frase. Essere soli ti fa diventare più forte certo, ma avere qualcuno con cui percorrere la propria strada in compagnia è qualcosa in più che non si può barattare con niente. E sia lui che Lucius avevano sperimentato quella sensazione nelle ultime settimane. Si erano fatti compagnia, riempiendo quei vuoti lasciati da altre persone che nonostante tutto, ancora aspettavano.

“Credo che tu abbia ragione.” Merlin ruppe il silenzio, con la voce arrochita da un sentimento che non riusciva a definire. Era gratitudine forse? Ma c’era anche tanta tristezza e tanta frustrazione. Perché ciò che desiderava non c’era, eppure aveva accanto qualcuno che a modo suo e in una maniera un po’ strana, gli aveva fatto capire che teneva alla sua presenza.

Non era più così solo, in quella strada. E quel pensiero riempì un poco la voragine che sentiva nel petto ormai da secoli e smussava la sensazione di sentirsi sempre a metà, diviso, senza l’altra faccia della sua medaglia.

“Mi conosci così poco, davvero pensi che sia conveniente la mia presenza nella tua vita?” domandò decidendo di utilizzare un tono ironico. Era così stanco delle tragedie…
Lucius sollevò le braccia per stiracchiarle e poi intrecciò le dita dietro la nuca sospirando. “Ammetto di pentirmene ogni tanto ma sai… è come se averti tra i piedi sia la cosa più naturale del mondo, come se non avessi mai fatto altro in vita mia.”

Merlin non riuscì a cogliere a pieno quelle parole, però sorrise. La voragine nel petto che si riempiva di un’altra goccia. “Ma hai detto che sono un pessimo assistente. E poi è divertente chiamarti Raggio di Sole…”

“Merlin…”

“Sì…?”

“Non esagerare.”

“D’accordo…”

 
Continua….
 
/////
 
Hola! Buongiorno e buon lunedì! :) beh beh? Scommetto che ho aggiunto qualche altro interrogativo vero? :D lo so, mi odierete u_u ma ogni cosa ha un perché e prima o poi sarà tutto svelato!

Intanto sono curiosa di leggere le vostre teorie! Hahaahah secondo voi, perché Arthur lo chiama ma non arriva? Su su, non vi sprecate u_u attendo con ansia i vostri commenti, le vostre domande e anche le vostre minacce! (ogni riferimento a fanwriter è puramente casuale!)

Ringrazio col cuore tutti i miei lettori silenziosi (che sono tantissimi *-*), chi ha aggiunto questa storia tra le preferite, le seguite e le ricordate ma soprattutto il mio grazie va a chi fa sentire la sua voce e mi fa ridere/commuovere/migliorare con i propri commenti!

Un bacione speciale quindi a Gosa, Parre, AsfodeloSpirito, None to Blame eJaya! A Sheireen_Black 22 oltre al mio grazie, porgo anche il benvenuto!! :D E poi un grazie speciale alla mia beta Emrys che sopporta anche le mie pare mentali XD

E’ per caso il momento dell’anticipazione?? Eccola eccola u_u
 

Merlin sbadigliò ancora e guardò l’orologio. Erano le tre e mezzo del mattino. “Beh, credo sia il caso torni a casa.”

Solo allora Lucius sollevò lo sguardo su di lui interrompendo la lettura. “Resta a dormire qui.”

“Come?” chiese Merlin, sorpreso.

“Ormai è tardi per tornare a casa, a piedi poi! Resta qui a dormire, c’è la stanza che prima usava tuo nonno che è libera.”

 
E ora giù con le ipotesi! XD
Baci a tuttiiiiii
Ryta

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Desclaimer: Merlin e tutti i suoi personaggi non mi appartengono, se lo fossero sarei ricca, la serie non sarebbe finita e Ginevra avrebbe sposato Lancillotto.

 

MENTRE TI ASPETTO


 
Capitolo 10
 
"Questo è ciò che voglio portare avanti e se mi voterete, potete star certi che...."

Il monologo di Lucius andava avanti già da un po'. Non tantissimo, perché per ordine di Jennifer tutti i suoi discorsi dovevano essere brevi, per evitare cali di attenzione, ma abbastanza perché Merlin desiderasse avesse finito.

Primo perché quelle parole le aveva sentite negli ultimi giorni, fino alla nausea e poi perché erano sue. Quel famoso discorso che tutti elogiavano e che Lucius aveva imparato con una memoria certosina, in realtà era farina del suo sacco.

Ormai si era rassegnato al fatto che Lucius fosse più un uomo di azione che di parole e quindi aveva preso l'abitudine di controllare tutti i suoi discorsi, spesso trovandosi costretto a rifarglieli da capo. Buffo che volesse fare il politico, ma d'altronde Lucius mirava a governare, non a chiacchierare. Aveva lasciato gli onori al suo datore di lavoro ma non mancava mai di fargli notare - in privato - di quanto fosse fondamentale la sua presenza. E ogni volta Lucius gli rispondeva che fino a prova contraria era sopravvissuto benissimo senza di lui per 32 anni e avrebbe potuto continuare a farlo.

Merlin non gli aveva mai creduto.

 
Il monologo era finito e così il comizio: Lucius scese dal pulpito e si portò sul retro della sala congressi, seguito da uno scroscio di applausi. Si avvicinò a Merlin e a Jennifer che lo avevano ascoltato dal fondo e sbuffò esasperato.

"Bene, dove mi tocca, adesso?"

Merlin gli passò velocemente un fazzoletto perché si asciugasse la fronte imperlata di sudore a causa dei riflettori della sala e poi gli fece sfilare la giacca, porgendogliene una pulita e identica alla prima.

"C'è l'inaugurazione di un asilo nido, devi presenziare al taglio del nastro." Jennifer rispose prontamente, passandogli un foglio dove c'erano le parole che avrebbe dovuto dire alla cerimonia e poi si voltò.

"Veloci, siamo già in ritardo."

Lucius non se lo fece ripetere due volte, seguito a ruota da Merlin che nel frattempo gli passava una bottiglietta d'acqua e si riprendeva il fazzoletto. I loro gesti, in perfetta sintonia, non fecero che dare credito al fatto che senza di lui, Lucius non sarebbe sopravvissuto a quella campagna a estenuante che ogni giorno si faceva sempre più faticosa.
Lucius bevve un sorso d'acqua e poi lanciò la bottiglietta a Merlin che la prese al volo.

"Non arriverò vivo fino alla fine." Commentò stancamente, mentre raggiungevano tutti e due Jennifer, già pronta in macchina.

"Lo dici in continuazione, eppure sei sempre qui a brontolare." Gli fece notare Merlin e Lucius fu costretto a sorridere.

"Giusto. A tal proposito, perché non mi hai procurato un caffè?"

Merlin sollevò gli occhi al cielo e sospirò. "Vai avanti, sto arrivando!"

Lucius si fermò assieme a lui e lo guardò nervosamente. "Guarda che è tardi ormai, dovevi pensarci prima!"

"Vai!" Gli ordinò spingendolo avanti e lui alla fine cedette dandogli le spalle ma continuando a lamentarsi. "Peggio per te! Te la vedi tu con Jennifer!"

Nell'esatto momento in cui aveva smesso di guardarlo, gli occhi di Merlin si erano tinti di oro e in un attimo si era ritrovato un bicchiere di caffè fumante tra le mani. Poi aveva affrettato il passo fino all'uscita ed era entrato in macchina giusto in tempo, mentre Jennifer si chiedeva dove diavolo fosse finito.

"Sua altezza voleva il caffè!" Spiegò, mentre Lucius rispondeva con un lamento e intanto sorrideva contento. Poi però lo aveva guardato di sottecchi, mentre sorseggiava rumorosamente dal bicchiere di carta.

"Come hai fatto?"

Merlin, che già guardava il panorama sfrecciare dal finestrino, si voltò verso di lui sollevando le sopracciglia. Poi sorrise enigmatico.

"Magia..."

Lucius aveva fatto schioccare la lingua convito della ridicolezza di quella risposta e aveva continuato a dedicarsi alla sua bevanda rigenerante.

"Posso dire che l'asilo accoglierà i mocciosi pestiferi delle famiglie del quartiere?"

"Lucius!"

Quando Jennifer si accorse che l'altro stava scherzando, lui e Merlin erano ormai scoppiati a ridere.

"Fate poco gli spiritosi, tutti e due!"
 

***

 
Non era stanco, di più. Controllò l’orologio appeso alla parete e poi sospirò, le mani tra i capelli a reggersi la testa che sarebbe potuta crollare tranquillamente sul ripiano della scrivania a cui era seduto. Merlin non ricordava più da quante ore fossero a lavorare su quel piano di sicurezza.

Di lì a due giorni si sarebbe tenuto un importante incontro tra tutti i candidati alla carica di Primo Ministro con i reali d’Inghilterra e il distretto interessato era quello in cui Lucius era l’Ispettore Capo.

Questo aveva comportato non soltanto un lungo lavoro di presentazione per dare il meglio di sé come politico ma anche una strategia perfetta che avrebbe dovuto valorizzarlo nel suo importante ruolo di Ispettore. Jennifer non aveva avuto dubbi: “Fatti apprezzare dai reali per il tuo lavoro, aumenterà la tua credibilità! E a queste elezioni sfondiamo!!”

Per quanto fosse una donna seria e professionale, anche lei ormai si era lasciata coinvolgere dall’entusiasmo di quella campagna sempre più pressante e avvincente. La sintonia con cui lavoravano lei, Lucius e adesso anche Merlin si era consolidata a tal punto che il loro rapporto era andato ben oltre i confini lavorativi ed era sfociato in legami ben più importanti di amicizia e di affetto.

Per Merlin era un po’ come avere di nuovo Gwen accanto, l’amica Guinevere, poi Regina che per tanti anni aveva accompagnato la sua vita a Camelot. La stessa Regina che aveva poi regnato su Albion con coraggio e forza fino alla fine dei suoi giorni. E a cui aveva dato l’ultimo saluto, con la consapevolezza che con lei morivano le ultime speranze di un regno unito.

Gwen era stata una grande amica per Merlin e una persona che aveva sentito molto vicino, perché avevano condiviso un sentimento comune di totale dedizione verso la stessa persona. Non aveva mai invidiato il rapporto che lei aveva con Arthur, perché semplicemente era diverso da quello che aveva avuto lui. Erano due cose completamente diverse, perché il Re aveva diviso se stesso in due parti ben distinte senza togliere niente all’una o all’altro. Gwen era stata per Arthur una moglie, lui invece l’altra faccia della medaglia. E quando il Re era venuto a mancare, entrambi avevano vissuto un dolore di uguale entità che li aveva legati per sempre in un sentimento di fraterna amicizia, che era continuata negli anni immediatamente successivi, quando Merlin era tornato più volte a Camelot e si era poi spenta con la morte della Regina, ormai anziana e debilitata.

Quando Gwen era scomparsa, Merlin era stato male, perché con lei se n’era andata l’ultima persona a cui lui fosse veramente legato: prima c’era stata sua madre, prima ancora Gaius. Guinevere rappresentava l’ultimo appiglio a cui aggrapparsi e quando era venuta a mancare, era rimasto definitivamente solo. Era stato difficile, molto difficile, ma nel frattempo tempi oscuri si erano affacciati all’orizzonte perché con la morte della Regina che non aveva lasciato eredi, il regno stava per disgregarsi ed era stato a quel punto che Merlin aveva iniziato a sperare che Arthur risorgesse. E aveva iniziato ad aspettare.

“Lucius per l’ultima volta, spiegami perché vuoi far passare i reali da una strada invece che dall’altra! Cosa cambia!”

La disperazione di Jennifer lo distolse dai pensieri e dai ricordi in cui si era perso. Sollevò la testa per osservare la donna agitare le braccia animatamente, mentre Lucius scuoteva il capo incrociando le sue.

“Cambia, ti dico.”

“Certo, cambia che devi rifare daccapo tutto il piano!” Jennifer non avrebbe dovuto aiutarli in quel compito – e nemmeno Merlin, a detta tutta avrebbe dovuto farlo ma questi erano dettagli – però non aveva saputo resistere alle loro facce stanche dopo un intero pomeriggio passato a preparare discorsi e a pianificare al meglio ogni minuto della giornata che di lì a due giorni li avrebbe impegnati il doppio.

“Ma no, non necessariamente. Ho predisposto la sicurezza in modo molto schematico, basterà cambiare i punti di controllo.”

“Sì, ma continuo a non capirti! Sono ore che disponiamo tutto e ora mi dici che non ti convince?”

Lucius strinse le labbra pensieroso, guardando davanti a sé. Quando faceva così, Merlin sapeva benissimo che non era convinto neanche un po’ di ciò che faceva e Lucius doveva essere sempre convinto di tutto, prima di muoversi.

“Questa è strategia militare, Jennifer. Quella strada è meno sicura di questa qua. Non vorrai mica rischiare qualcosa a poche settimane dalle elezioni!”

E’ fatta, pensò Merlin con un sorriso. Lucius sapeva benissimo quali tasti toccare con la sua addetta stampa. La campagna elettorale. Jennifer si sarebbe persino esibita nuda nella pubblica piazza, se questo avesse giovato ad aumentare consensi per Lucius Chaste. Non a caso nel suo lavoro era la migliore.

La donna infatti, sollevò le mani in segno di resa. “Ah no no! Allora il discorso cambia! Per quel che mi riguarda, puoi anche ficcarli in un carro armato invece che farli arrivare in Rolls Royce!”

Merlin rise, attirando la loro attenzione un momento, poi Lucius sospirò stancamente e si stropicciò gli occhi con due dita. “D’accordo, ora dobbiamo solo fare qualche modifica. Jennifer vai a casa o Carter se la prenderà con me… non fa che ripetere che ti sto stressando troppo!”

Jennifer fece schioccare la lingua, decidendo però di raccogliere la giacca e la sua valigetta di pelle. “Lascialo perdere… non ne capisce niente di queste cose!”

“Ma non è il tuo ragazzo?” Merlin la guardava con una mano che reggeva la guancia e gli deformava un po’ il viso. La donna sorrise al suo indirizzo, prima di lanciare un bacio ad entrambi e di andarsene.

“Certo! Ma resta che non ne capisce niente! Buonanotte ragazzi!”

Lucius e Merlin si scambiarono uno sguardo divertito mentre Jennifer lasciava casa Chaste chiudendo la porta dell’ingresso. Poi Lucius guardò l’orologio da polso e sospirò.
“Merlin va’ a casa anche tu, il tuo orario di lavoro è passato ormai.”

Il diretto interessato scrollò le spalle per non dare peso alle sue parole. “Non c’è problema, finiamo qui prima, non mi pare fosse solo qualche modifica.”

Lucius sorrise con fare colpevole. “Potevo forse dire a Jennifer che dobbiamo davvero rifare tutto daccapo?”

“E se li ficcassi davvero in un carro armato come ha detto lei?”

“Non male come idea. Poi magari piazziamo la Regina Madre a cavalcioni sul cannone così può salutare i suoi sudditi.”

Merlin ridacchiò mentre Lucius si avvicinava a lui e gli sedeva di fronte. “Perché no! Sarebbe originale!”

“Facciamo poco gli spiritosi! O domani il piano di sicurezza dovremo inventarcelo su due piedi!”

Tornarono a lavorare con impegno, il desiderio di chiudere quel documento quanto prima e togliersi un peso dal cuore. Da quell’incontro e dalla sua buona riuscita dipendeva troppo per la carriera di Lucius e persino Merlin non poteva non lasciarsi entusiasmare da tutta quella faccenda.

Anche se bisognava ammettere che il pensiero di poter evitare tutto quel lavoro e affidarsi a lui e alla sua magia, gli aveva più volte attraversato il cervello – soprattutto nei momenti di maggiore stanchezza – ma questo avrebbe comportato il dover rivelare a Lucius di essere un mago e allora sarebbe stato preso per pazzo, oppure odiato, oppure… chissà. Non voleva saperlo.

Ci vollero altre tre ore prima di poter vedere completo quel piano di sicurezza. Quando videro uscire dalla stampante l’ultimo foglio – oltre a scriverlo, Merlin era stato costretto pure a ricopiarlo al computer – un enorme sospiro di sollievo si liberò dalle rispettive labbra.

“E’ finita, non ci credo…” mormorò Merlin stiracchiandosi le braccia e poi lasciandosi sfuggire uno sbadiglio.

Lucius controllò velocemente tutti i fogli, per dare retta alla sua meticolosità e non rispose all’altro che intanto si era alzato e si era stirato anche la schiena intorpidita dalle tante ore seduto.

Merlin sbadigliò ancora e guardò l’orologio. Erano le tre e mezzo del mattino. “Beh, credo sia il caso torni a casa.”

Solo allora Lucius sollevò lo sguardo su di lui interrompendo la lettura. “Resta a dormire qui.”

“Come?” chiese Merlin, sorpreso.

“Ormai è tardi per tornare a casa, a piedi poi! Resta qui a dormire, c’è la stanza che prima usava tuo nonno che è libera.”

Merlin scosse il capo. “Ma no, non preoccuparti! Faccio due passi a piedi!”

Lucius sollevò un sopracciglio facendolo sentire stupido. “Ma se dormi in piedi.”

“Ma…” perché non voleva restare? Cosa glielo impediva?

“Non ti farai problemi spero.”

“Ma ho lasciato casa nel caos totale…”

“Potrai sistemarla domani mattina. Hai un paio d’ore mentre io sarò in riunione con il personale.”

“…e non ho un cambio di biancheria…”

“Ti presto una mia camicia se vuoi, anche se ne entrano due di te dentro.”

“… e poi quella stanza la terrai pronta se torna mio nonno!”

Silenzio. Lucius lo guardava come se avesse davanti un cretino. Proprio come si sentiva lui. Perché si era agitato tanto? Aveva già vissuto in quella casa e adesso doveva solo stendersi su un letto per qualche ora, per non dover tornare a casa così tardi. Lucius gli stava facendo soltanto un favore… che bisogno c’era di animarsi in quel modo?

“Sei un idiota lo sai?” Lucius sorrise passandogli accanto. “Va’ a riposarti, la stanza è la seconda a destra dopo le scale. Io vado a dormire.” Prima di uscire dallo studio, lo colpì sulla testa con il plico dei fogli che aveva in mano.

«Merlin… »

Un soffio, debolissimo. Nell’esatto momento in cui aveva avvertito i fogli sul capo, l’aveva sentita di nuovo. La voce di Arthur. Guardò in silenzio Lucius che usciva dallo studio e spariva attraverso la porta. Poi chinò gli occhi al pavimento e strinse le labbra.

Stavolta no.

Uscì anche lui dalla stanza e si avviò verso le scale del primo piano.
 

***
 

Doveva avere qualche problema. Non c’erano dubbi. Altrimenti si sarebbe addormentato, invece di fissare il soffitto e contare le lame di luce dei lampioni che attraverso le fessure delle persiane, rimbalzavano sopra la sua testa.

Eppure cascava dal sonno fino a poco prima e mentre concludevano quel dannato programma di sicurezza non aveva fatto altro che agognare il suo lettino.

Peccato che poi era finito in un altro letto e la cosa lo aveva scombussolato a tal punto da svegliarlo completamente e da togliergli il sonno.

Si era chiesto il perché e l’unica spiegazione logica che aveva trovato era stata che il fatto di allontanarsi così dal lago, lo innervosiva. Perché in fondo aveva sì, ripreso a vivere decidendo di non starsene più lì seduto ad aspettare, però quando la sera rientrava nella sua casetta umida da pescatore, uno sguardo al lago era d’obbligo. Non succedeva niente, però in qualche modo si sentiva giustificato come se così non avesse mai smesso di aspettare Arthur, anche se durante il giorno era così impegnato che quasi non ci pensava.

Adesso invece, aveva rifiutato anche quello sguardo, andando avanti. Decidendo volontariamente di restare in quella casa accanto a Lucius Chaste – che non poteva essere Arthur – e persino ignorando quel richiamo che troppo spesso negli ultimi tempi aveva udito. E che per contro, non aveva prodotto nient’altro che agitarlo inutilmente, visto che di Re del passato e del futuro non se n’era vista nemmeno l’ombra.

Sbuffò rigirandosi un paio di volte tra le coperte, sapendo perfettamente che ormai non avrebbe dormito più. Lo avrebbe fatto il giorno dopo, in piedi, beccandosi sicuramente qualche rimprovero da parte di Chaste che al momento immaginava nel mondo dei sogni meglio di un pargolo nella sua culla.

Decise allora di alzarsi, sperando di combattere la frustrazione dovuta all’insonnia almeno con un po’ di mobilità. Avrebbe potuto farsi in the o guardare la tv. Quando scese le scale nel più assoluto silenzio però, si sorprese di sentire dei rumori provenienti dalla cucina. Vi si affacciò con circospezione, preoccupato che fosse entrato qualcuno in casa e poi si fermò sulla soglia, stupito.

Chaste trafficava ai fornelli per preparare qualcosa che gli parve del the. Merlin lo fissò in silenzio chiedendosi perché diamine anche lui fosse sveglio a quell’ora della notte e soprattutto perché avessero avuto la medesima idea. Restò lì impalato per un tempo interminabile, finché a un certo punto Lucius lo scorse con la coda dell’occhio e si voltò sobbalzando leggermente.

“Che ci fai qui?”

Merlin scrollò le spalle. “Potrei farti la stessa domanda.” Entrò in cucina, cercando di apparire a suo agio. “Non riuscivo a dormire…”

“Strano… ti credevo nel mondo dei sogni.”

“Anch’io.”

C’era nell’aria una sorta di imbarazzo, come se entrambi si fossero scoperti in un momento di intimità e la cosa li avesse turbati. Lucius spense il gas, quando il bollitore prese a fischiare. “Ne vuoi una tazza?”

Merlin nel frattempo ne aveva già prese due dal lavello e gliele aveva porte tenendole per i manici. Lucius aveva versato perciò l’acqua bollente nei due recipienti.
“Domani dormirai in piedi e mi farai perdere un sacco di tempo.”

Merlin sogghignò. “Dimentichi che io ho due ore libere domani mattina, sei tu quello che farà il Bello Addormentato.”

Lucius imbronciò le labbra indispettito. Prese la sua tazza e ci piazzò dentro l’infuso, avvicinandosi al tavolo. “Potrei revocartele quelle due ore, magari ti faccio sistemare l’archivio dell’ufficio.”

“Schiavista.” Lo rimbeccò Merlin indignato, sedendo di fronte a lui.

“Non ne ho mai visti di schiavi bianchi come mozzarelle. E magri come un giunco per di più.”

“Invece di viziati babbei come te ne ho conosciuto anche un altro!” buttò lì Merlin, senza pensarci. Quando si rese conto di cosa aveva detto però, trattenne il fiato stringendo le labbra. Pensò di dissimulare la reazione – visto che Lucius lo aveva guardato sollevando un sopracciglio – bevendo un sorso di the ma troppo tardi si ricordo che c’era ancora l’infuso dentro, che non era zuccherato e che per di più era incandescente.

Il risultato fu che allontanò la tazza dalle labbra con un lamento di dolore e il liquido dentro ondeggiò finendogli anche sulla mano e sul braccio, ustionandolo.
“Ahia!” esclamò alzandosi in piedi, avvertendo la pelle bruciare. Riuscì miracolosamente a poggiare la tazza sul tavolo e poi agitò la mano colpita e dolorante, mentre con l’altra si teneva il labbro che bruciava ancora di più.

Nel frattempo Lucius lo guardava immobile e vagamente divertito dai suoi movimenti sbadati. Quando Merlin riuscì a recuperare un panno per asciugarsi e ritrovare sensibilità alla mano, si voltò a guardarlo, trovandolo nella medesima posizione, con la tazza a mezz’aria e quel sorrisetto ironico che tanto gli ricordava Arthur. Anzi, in quel momento sembrava proprio lui.

“Hai mai pensato di lavorare in un circo? Saresti più bravo lì che qui con me come assistente…”

“Fai pofo lo spiritofo…” lo redarguì Merlin tenendosi il labbro dolorante tra i denti e passandoci sopra la lingua sperando inutilmente di attenuare il fastidio.

Lucius sorseggiò il suo the, dopo aver tolto l’infuso e lo fece con cura, soffiandoci sopra, prima di portarlo alle labbra. “Guarda che dico sul serio. Non c’è bisogno nemmeno che qualcuno ti metta in difficoltà per avere quelle reazioni, fai tutto solo…”

“E’ che…” Merlin chinò il capo tornando al suo posto e asciugando il the versato sul tavolo. Il tono di voce, contrariato. “Lascia perdere…”

“Davvero hai già conosciuto uno come me? Devi essere un masochista per aver accettato questo posto di lavoro…”

Merlin sollevò lo sguardo e poi con naturalezza gli venne da sorridere. “Ne sono sempre più convinto…”

“Chi era?”

La domanda a bruciapelo lo costrinse a trattenere nuovamente il fiato. Fissò Lucius sgranando un poco gli occhi e poi tossicchiando, per dissimulare di nuovo quello stato di agitazione. Lucius era solo curioso, non poteva certo sapere tutte le implicazioni di quella domanda.

Ad ogni modo Merlin tornò a guardare il piano del tavolo e il sorriso ancora sul volto che si tinse improvvisamente di malinconia. “Era un mio amico. Un mio caro amico.”
“Non lavoravi per lui, spero.”

“Sì! Cioè no… no, ok, lavoravo per lui. Ma non c’era solo un rapporto di lavoro tra noi… eravamo amici…” le parole, senza che se ne accorgesse, scivolarono via con una facilità inaspettata per essere quello un rapporto che aveva tenuto nel cuore per tanti secoli e di cui non ne aveva parlato mai a nessuno. “Eravamo molto più che amici. Era come… una parte di me e io ero una parte di lui… un tizio che conoscevo una volta mi disse che eravamo due facce della stessa medaglia. E all’inizio non ci credevo, perché era davvero un babbeo odioso e arrogante ma poi… scoprii che era anche buono e generoso e che era pronto a tutto pur di fare la cosa giusta… perciò decisi di servirlo e di seguirlo nella sua strada… finché non se n’è andato.”

Calò il silenzio per un momento, Merlin continuò a fissare il tavolo ripensando a quella confessione e chiedendosi perché lo avesse fatto proprio con Lucius. Poi l’uomo posò la tazza sul piano facendo rumore.

“E’ lui che stai aspettando?”

Merlin annuì, brevemente, chiudendo gli occhi e immaginando ancora una volta la superficie del lago di Avalon, immobile e nebbiosa.

“E… sei convinto… che tornerà?” la voce di Lucius gli parve titubare per un momento e lo convinse a sollevare lo sguardo.

“Mi è stato promesso. Tornerà.”

“Sì, tornerà.”

Rimase sorpreso, quando vide sorridere Lucius. Di quello stesso sorriso rassicurante che il suo Re tante volte gli aveva regalato nei momenti di maggiore sconforto, donandogli un calore al centro del petto che sovrastava ogni preoccupazione, ogni ansia, ogni fardello. Merlin ebbe un fremito osservando quel profilo nella penombra che mai come in quel momento gli sembrò Arthur in persona.

«Merlin…»

E poi di nuovo, la sua voce. Merlin si alzò in piedi, di scatto, facendosi leva con le mani.

“Credo… credo che tornerò a letto. Sì… vado…”

Sparì dalla cucina mentre alle spalle la voce di Lucius lo seguì indistinta lungo la strada.

“Buonanotte, Merlin…”
 

***

 
Alla fine si era addormentato. La stanchezza era stata più forte delle sue paturnie e aveva vinto più o meno quando il cielo aveva iniziato a schiarire, poco prima dell’alba. E decisamente lo aveva sconfitto, perché quando si era svegliato, era ormai giorno fatto.

Non appena si era reso conto di dove fosse e poi si era ricordato di dove avrebbe dovuto essere, era schizzato dal letto come un grillo, rischiando persino di ribaltarsi sul tappeto. Poi aveva controllato l’orario: a quell’ora Lucius avrebbe dovuto essere in riunione.

Merlin aveva controllato nella sua stanza e poi nel resto della casa e non lo aveva trovato. Nessun messaggio lasciato da qualche parte, come se Chaste lo avesse abbandonato lì o – miracolo? – avesse deciso di farlo riposare dopo la nottata di lavoro.

Sorridendo, ormai propenso verso la seconda opzione, si era fatto una doccia, aveva cambiato gli abiti con la magia e si era diretto verso il distretto, dove sapeva che Lucius era in riunione. Avrebbe atteso che finisse e si sarebbe fatto trovare pronto con il caffè “bollente” come piaceva a lui.

La giornata era calda e luminosa e Merlin fu felice di dover fare la strada a piedi. In quelle settimane era capitato spesso che diluviasse al mattino o che l'umidità fosse così eccessiva da fargli battere i denti e lui, che non aveva altri mezzi di trasporto se non i suoi piedi, aveva spesso maledetto la lontananza della sua casetta da villa Chaste.
Si ritrovò a sorridere al pensiero che per una volta che avrebbe potuto risparmiarsi il tragitto visto che aveva dormito lì, il tempo era stato clemente.

Il sorriso si spense un po' quando ricominciò a riflettere su quanto accaduto quella notte. Si era confidato con Lucius, rivelandogli dell'esistenza di Arthur o meglio di quella persona che lui stava aspettando e che tanto lo tormentava. E la cosa, nonostante il momento di imbarazzo iniziale che poi lo aveva spinto a tornarsene a letto, gli aveva in qualche modo alleggerito l'animo. Era contento di aver parlato con Lucius perché si stava affezionando e sapeva che per arrivare ad abbattere quel muro che lui stesso aveva eretto nel corso dei secoli, doveva essere nato senza volerlo, un affetto sincero per quell'uomo così simile eppur così diverso dal suo Arthur.

Era così contento, Merlin, che raggiunse in un attimo il distretto e salì le scale senza neanche fermarsi al bancone delle informazioni per salutare il poliziotto di turno, come era solito fare.

Una volta agli uffici, si diresse velocemente verso la sua postazione, rispondendo qua e là ai saluti dei colleghi e si avvicinò alla porta dell'ufficio di Chaste per accertarsi che la riunione fosse ancora in corso. Da dietro il vetro provenivano le voci degli ispettori e dei collaboratori di Chaste che avrebbero poi divulgato le direttive a tutti gli agenti in servizio per l'incontro coi reali.

Merlin guardò l'orologio e sorrise ancora. La riunione sarebbe finita di lì a poco, poi Lucius aveva un impegno in un centro sociale e lui si sarebbe già fatto trovare pronto con il caffè e la lista delle cose da fare. E una battutina irriverente sulle labbra, ovviamente.

Preparò il caffè e intanto dalla stanza le voci si fecero un poco più concitate, segno che la riunione era finita e già qualcuno commentava le disposizioni.

La porta all'improvviso si aprì e Merlin guardò sfilare gli ispettori davanti la sua scrivania, attendendo pazientemente che la stanza si svuotasse per poter entrare da Lucius.
Non si aspettò invece, che uscisse fuori anche lui, con un plico di fogli in bocca e le mani impegnate a infilarsi in fretta la giacca.

Quando lo vide, Merlin sorrise e sollevò la tazza con il caffè. "Lucius!" Lo richiamò.

L'altro sollevò le sopracciglia e poi continuò a tirare dritto.

Merlin immediatamente pensò fosse irritato dal fatto che avesse dormito troppo e allora lo inseguì porgendogli la tazza in segno di pace.

"Andata bene la riunione? Ora dobbiamo andare al centro sociale."

Lucius a quel punto si fermò, lanciando uno sguardo alla tazza ma senza prenderla. Si tolse i fogli dalla bocca e guardò Merlin piuttosto seriamente.

"Ti sbagli, io andrò al centro sociale. Con Jennifer, che sta arrivando."

Merlin pensò si fosse davvero arrabbiato ma in fondo lui aveva due ore libere, che cosa voleva? Fu per questo pensiero che gli attraversò il cervello, che decise di smetterla con quel tono conciliante e rispondergli per le rime.

"Andiamo, Chaste, te lo avevo detto che non avrei riordinato l'archivio! Mi spettavano due ore libere questa mattina."

"Non solo due ore." Merlin improvvisamente si rese conto di quanto fosse diventato freddo. Il modo con cui gli parlò non era il solito falsamente irritato con cui lo redarguiva in continuazione e lo minacciava. C'era risentimento nelle sue parole e anche il gelo.

"Per quel che mi riguarda hai l'intera mattinata libera. E anche il resto dell'anno. Sei licenziato."

Merlin rimase con la tazza in mano e un'espressione stupefatta in viso. "Posso sapere perché?" Si azzardò a chiedere poi, assordato da quel silenzio imbarazzante che era sceso all'improvviso.

Lucius gli diede le spalle. "Ho i miei buoni motivi."

"Stai scherzando spero." Per quante volte Lucius aveva minacciato di farlo, quella era la prima volta che Merlin ci credeva davvero. E la sensazione che lo colse fu di nausea.

"Questa volta no. Ora lasciami andare."

Lo lasciò solo, la tazza ancora in mano e una sgradevole sensazione addosso. Come di abbandono, come di tradimento. Come se ancora una volta fosse stato lasciato solo da chi voleva bene.

Strinse le labbra, mentre nella sua testa risuonò ancora la Sua voce.
 

«Merlin… »



/////////
 
Hola! Pensavate mi fossi dimenticata, eh? :D e invece dovevo soltanto finire questo capitolo. Per fortuna due ore di treno e una buona dose di minacce mi hanno dato la possibilità di concluderlo giusto stasera! Ad ogni modo, questo anche per dirvi che l'undicesimo capitolo ancora non esiste, quindi non posso garantire la pubblicazione lunedì prossimo! Mi spiace tanto >_<

Come sempre però vi esorto a commentare, chissà che le vostre recensioni non mi spingano ad abbandonare il resto della mia vita per scrivere XD hahahahaha

Comunque scherzi a parte, ringrazio di cuore tutti coloro che leggono questa storia, chi la continua ad inserire tra i preferiti e le seguite e soprattutto il mio grazie speciale va alle mie adorate fedelissime, che non mancano mai di commentare!

Grazie quindi ad Emrys, AsfodeloSpirito, Gosa, Parre, None to Blame, Strangerinthistown, Jaya eSheireen_Black 22! E scusate se non ho risposto questa volta ma proprio mi è mancato il tempo! Magari lo faccio ora che pubblico XD

Mi dispiace di non potervi dare la solita anticipazione ma almeno vi posso dire che nel prossimo capitolo uscirà la verità :) quindi rimanete sintonizzati! XD un bacione grande a tutti! E alla prossima!

Ryta

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Desclaimer: Merlin e tutti i suoi personaggi non mi appartengono, se lo fossero sarei ricca, la serie non sarebbe finita e Ginevra avrebbe sposato Lancillotto.

 

MENTRE TI ASPETTO

 

Capitolo 11
 
Il viale era gremito di gente. Applausi, qualche tipica bandierina inglese, le braccine dei bambini che si agitavano cercando invano di attirare l’attenzione degli occupanti del Rolls Roys nero che sfilava lungo la strada, accompagnato da poliziotti in moto di grossa cilindrata.

Merlin osservava la folla che accoglieva festosa l’arrivo dei reali e non provava nulla. O meglio, c’era solo un’emozione che sentiva dentro bruciargli l’anima ed era la rabbia. Tutto il resto veniva offuscato da quel sentimento che lo avvolgeva e non gli dava tregua.

Ignorò gli spintoni della gente che cercava di osservare meglio il passaggio dei reali e che tutto intorno lo inghiottiva. Il suo sguardo era fisso alla struttura che si trovava alla fine della strada: il Municipio, dove si sarebbe tenuto l’incontro dei candidati alla carica di Primo Ministro con la Regina Madre e i suoi discendenti. Un evento importantissimo, che segnava la fine della campagna politica. Dopo di ciò, sarebbe caduto il silenzio su tutti i mezzi di comunicazione decretando la fine della campagna. Le elezioni erano alle porte ed entro una settimana, l’Inghilterra avrebbe conosciuto il suo nuovo Primo Ministro.

La Rolls Roys passò e andò oltre. Merlin la adocchiò quando si avvicinò ai cancelli del Municipio, fino a sparire dietro una coltre di agenti disposti in una maniera che lui sapeva benissimo, perché era stato ore a guardare quel documento con cui erano state date le disposizioni e aveva persino dovuto riscriverlo al computer sotto minaccia del suo ideatore.

A quel pensiero e soprattutto ai ricordi a cui erano legati, non poté non sentire una morsa allo stomaco e quella rabbia si acuì ancora di più. Avrebbe voluto gridare ma poi a cosa sarebbe servito? In fondo nemmeno lui riusciva a spiegarsi il perché fosse così arrabbiato con Lucius Chaste per averlo licenziato.

Sulle prime si era detto che era stato per il fatto di non aver avuto una spiegazione logica. Poi aveva avuto modo di pensare e lentamente la sensazione del tradimento aveva acquisito dei contorni distinti, andando a delinearsi nella sua mente con forza e acuendo quella rabbia che adesso gli incendiava l’anima.

Lucius lo aveva tradito. Lo aveva usato finché gli aveva fatto comodo e poi lo aveva licenziato su due piedi, adesso che non aveva più bisogno di lui.

Non riusciva a trovare altra spiegazione, perché altrimenti cambiare idea così nel giro di pochi giorni? Se ripensava a quella volta in cui era andato a ripescarlo al lago, dopo che aveva sentito Arthur per la prima volta…

Gli aveva detto che entrambi erano soli e forse avrebbe dovuto capire meglio il senso di quella frase. Entrambi erano soli, per cui Lucius aveva bisogno di qualcuno che gli facesse compagnia fino a che gli avrebbe fatto comodo.

Non vedeva nient’altro Merlin, mentre annegava in quella rabbia sorda e dolorosa. Si allontanò dalla folla, sgomitando perché riuscisse a liberarsi e dopo diversi spintoni riuscì a imboccare una stradina secondaria, meno frequentata, allontanandosi così dalla bolgia.

«Merlin… »

La voce di Arthur risuonò ancora nella sua testa. E ancora e ancora. Aveva ormai perso il conto delle volte in cui era successo. In quei giorni poi, era diventata una fastidiosa litania. Quel suo nome, ripetuto continuamente, con la stessa cadenza e lo stesso tono. Un richiamo che però continuava a non portare a nulla di concreto. Anzi, adesso si era trovato non solo senza Re ma anche senza quel nuovo legame che con tanta fatica era riuscito a costruire dopo anni di solitudine.

«Merlin… »

Ignorò quella voce, stringendo i pugni e le labbra e aumentando il passo, desideroso adesso di allontanarsi da quel caos. Non si accorse che nel dedalo di strade, si era avvicinato al Municipio più di quel che credeva.

«Merlin… »

“Smettila… smettila…” mormorò stancamente, il passo che non accennava a rallentare, anzi adesso quasi correva; le persone che gli passavano accanto sfrecciavano alla sua vista.

«Merlin… »

“Basta!!” un urlo, infine. Merlin gridò portandosi le mani alle tempie e poggiandovi sopra i palmi, poi le abbassò in un gesto stizzito.

“Merlin!”

Un altro richiamo. Diverso da quello che gli risuonava in testa. Questo era tutto vero e la voce era quella di una donna. Sollevò lo sguardo per riconoscere Jennifer, poco distante da lui, dietro le sbarre di un cancello attorniato da agenti in divisa. Merlin si guardò bene intorno e si rese conto di aver raggiunto il retro del Municipio. Anche lì la sicurezza era disposta a puntino ma mancava tutta la folla che salutava i reali davanti la struttura.

La donna fece segno a uno degli agenti di lasciarla passare e in un attimo lo raggiunse, senza dargli il tempo di scappare via. Cosa che probabilmente non era in grado di fare, tanto si sentiva spaesato. Jennifer lo guardava con aria spiacente e fu con un bacio sulla guancia che lo volle salutare: non lo aveva mai fatto.

“Merlin, si può sapere che fine hai fatto? Sei sparito nel momento più importante!”

La guardò sorpreso, rimanendo zitto per un momento, mentre gli sfiorava il braccio e lo controllava come per accertarsi che stesse bene.

“Lucius sembra che stia per scoppiare da un momento all’altro, servi tu per calmarlo…”

“Lucius mi ha licenziato, Jennifer.” Il tono di voce gli uscì aspro e risentito, mentre la guardava freddamente. “Non lo sapevi?”

La donna sbatté gli occhi, mostrando tutta la propria incredulità. “No… non è possibile, Merlin! Andiamo! Lucius non farebbe un passo senza di te, lo sai! Non sarà che avete litigato?”

“No. Mi ha licenziato senza motivo. E’ tutto qui.”

Jennifer scosse il capo, non riusciva ad accettare quella storia e dal tono di voce con cui parlò, si avvertì un certo nervosismo. “Senti, la situazione è troppo delicata adesso per fare i bambini. Sicuramente vi sarete presi per qualcosa ma adesso bisogna essere uniti, manca così poco e Lucius da due giorni sembra così strano…”

“Jennifer, non mi importa!” la interruppe Merlin seccato. “Qui se c’è qualcuno che fa il bambino, quello è lui! Io so soltanto che mi sono ritrovato per strada senza motivo! E poi…” inghiottì le sue parole, quando scorse l’auto di Chaste che si avvicinava al cancello.

“Oh, è arrivato finalmente!” Jennifer sospirò abbozzando un sorriso. “E' l'occasione buona per chiarirvi!”

Merlin sollevò gli occhi al cielo, esasperato. “Guarda che non c’è niente da chiarire! Anzi, se permetti io me ne vado.”

L’auto attraversò il cancello e Merlin poté vedere distintamente il volto di Lucius che rimandava lo sguardo su di lui con espressione seccata. Esattamente come la sua. Strinse le labbra, scostandosi da Jennifer.

“Merlin, aspetta! Se magari vi parlaste…” lo sportello nel frattempo si aprì e la figura di Chaste comparve in istante dopo alla luce del sole.

“Non voglio parlare, ti ho detto! Senti Jennifer, lasciam-“

Un grido. Poi tante voci indistinte. Merlin e Jennifer ebbero appena il tempo di voltarsi, prima di sentire alcuni spari che riecheggiarono di un suono inquietante nel silenzio di quel luogo.

“Lucius!” Jennifer esclamò spaventata, portandosi una mano alla bocca mentre Merlin si era già mosso in avanti, preoccupato non del pericolo ma da cosa quegli spari avessero colpito. “Merlin, aspetta!” Jennifer provò a fermarlo ma la voce si perse lontana nelle sue orecchie, pronte invece a captare altri suoni. Un pensiero spaventoso gli artigliò lo stomaco e per un attimo gli mozzò anche il respiro ma poi sentì la sua voce riecheggiare.

“Calmati! Nessuno ti farà del male ma lascia quell’arma!”

Merlin si fece ancora più vicino scorgendo finalmente un uomo con indosso un lungo cappotto rattoppato, che puntava una pistola contro Lucius trattenendolo per le spalle. A terra vi erano alcuni agenti della sorveglianza e Merlin sperò che fossero ancora vivi.

“Dovete morire! Tutti! Questa Nazione va allo sfacelo per colpa vostra!”

L’uomo con la pistola era un invasato. Merlin lo poteva capire dal tono di voce e dal modo con cui tremava mentre puntava l’arma. Veloce si spostò in modo da non essere visto. L’uomo non era stupido, si era posizionato di spalle al muro in modo da proteggersi e con la pistola contro la tempia di Lucius non poteva essere colpito dagli agenti che circondavano il piccolo cortile del Municipio. Merlin sapeva bene che non vi erano cecchini pronti a colpire da quel lato della struttura, perché gli agenti predisposti a quel tipo di sorveglianza così estrema erano stati posizionati sul davanti, per proteggere il passaggio dei reali d’Inghilterra.

“Cerchiamo di ragionare, amico! Io non sono ancora stato eletto, anche se ammazzi me, ne verrà comunque nominato un altro!” Lucius cercava di far ragionare il folle, con una voce che traspariva una calma surreale ma poi Merlin ricordò il suo ruolo di Ispettore Capo nella polizia inglese e che sicuramente doveva avere delle buoni doti da negoziatore.
Il folle però, non si mosse dalla sua posizione, anzi scoppiò a ridere selvaggiamente, provocando un brivido dietro la schiena di Merlin.

“Ho detto che dovete morire tutti! E morirete.” Nel parlare aveva scostato leggermente il cappotto e Merlin, assieme a tutti i presenti aveva capito. L’uomo portava della dinamite addosso.

Deglutì a vuoto, tenendosi pronto a usare la magia, cercando di scacciare la paura di vedere Lucius morire sotto un colpo di quella pistola o peggio carbonizzato dall’esplosione di quel pazzo.

Lucius non disse più nulla, probabilmente cercava le parole per cercare di convincerlo o forse aveva capito che non sarebbero servite più. Merlin si acquattò dietro il muricciolo e studiò la situazione. Se anche avesse fatto volare via la pistola all’uomo, quegli avrebbe potuto farsi esplodere e a quel punto cosa avrebbe potuto fare?

Forse… ucciderlo? Strinse le labbra sentendo la gola inaridirsi a quel pensiero. Già lo aveva fatto in passato: aveva ucciso Argravine, poi Morgana. E in entrambi i casi gli era costata una parte della sua anima. Avrebbe potuto farlo ancora?

Nel guardare Lucius in pericolo, ebbe paura: perché si rese conto che avrebbe ucciso, se questo avrebbe significato salvarlo.

Scosse il capo e si impose la calma. Doveva ragionare, doveva trovare una soluzione meno estrema. Meditò ancora qualche istante, poi decise di giocarsi il tutto per tutto. Doveva rischiare.

Non poteva usare la magia davanti a tutti facendo levitare qualcosa, perciò materializzò tra le mani un sasso e lo incantò in modo che centrasse l’obiettivo limitando però la forza al solo scopo di stordire, poi si alzò in piedi all’improvviso e prima che i presenti potessero rendersene conto, lanciò.

La pietra colpì sul capo l’uomo che immediatamente mollò la presa su Lucius, con un grido di dolore. Chaste fu svelto e non appena si rese conto di essere libero – dopo aver lanciato un’occhiata stupita e aver incrociato lo sguardo di Merlin – si voltò bloccando entrambe le braccia del folle perché lasciasse la pistola e non attivasse in qualche modo la dinamite che aveva addosso.

Immediatamente anche gli altri agenti furono addosso all’uomo e gli strapparono via la dinamite, mentre questi ancora intontito dal colpo in testa, si dimenava gridando. Fu così che venne portato via, ormai innocuo e ridotto in manette.

Merlin era rimasto fermo per tutto il tempo, assistendo a quella scena, pronto a ogni evenienza nel caso avesse dovuto usare ancora la sua magia e anche paralizzato da una scarica di adrenalina che gli impediva di muoversi. Jennifer nel frattempo, aveva raggiunto Lucius, in lacrime e spaventatissima e lo aveva abbracciato per accertarsi che fosse tutto intero. L’uomo per contro, le aveva sorriso e Merlin aveva potuto leggergli negli occhi il sollievo per la conclusione positiva di quell’episodio. Solo dopo che il pazzo fu portato via e che Jennifer si fu calmata, Merlin venne preso in considerazione.

Dapprima si avvicinarono alcuni agenti per ringraziarlo. Fortunatamente quelli sopraggiunti dai colpi di pistola, non erano stati uccisi. Un uomo era stato ferito alla gamba, l’altro al torace ma il giubbotto anti-proiettile lo aveva salvato. Era però svenuto quando nel cadere a terra aveva battuto la testa.

Merlin strinse un paio di mani, finché Jennifer non si avvicinò per abbracciare anche lui.

“Vedi che ha bisogno di te? Lo vedi?” gli mormorò lasciandosi ancora sfuggire qualche lacrima di sollievo.

Merlin sospirò, avvertendo una certa ansia nello stomaco. Lucius era l’unico che ancora non si era avvicinato a lui. Quando lo vide, sollevando il capo oltre la spalla di Jennifer, non poté non trattenere il fiato.

«Merlin… »

Ignorò la voce di Arthur che lo chiamava ancora una volta e sostenne lo sguardo di Lucius in attesa che lui dicesse qualcosa. Jennifer pensò bene di allontanarsi, in silenzio, consentendogli un confronto privato.

“Ti devo ringraziare.“ esordì Lucius. Dal tono di voce gli parve in difficoltà.

“Non c’è bisogno…” replicò velocemente Merlin, deglutendo.

«Merlin… »

Scosse il capo per scacciare quella voce.

Lucius spostò il peso del corpo da un piede all’altro, poi annuì a vuoto. “Ok, bene. Grazie comunque… ora devo andare.”

Prima che l’uomo potesse muoversi, la voce di Merlin uscì da sola, carica di rabbia. “Tutto qui?”

Lucius sollevò le sopracciglia ma non diede altro segno di sorpresa. “Non è cambiato niente, Merlin.”

“Vorrei tanto sapere che cosa è cambiato.” Sbottò ancora lui. “Perché tu hai cambiato le carte in tavola ma ti sei dimenticato di spiegarmi il perché!”

“Merlin, io sono sempre stato il tuo datore di lavoro. Se ti ho licenziato è stato perché ho i miei buoni motivi, perciò stop. Il nostro rapporto di lavoro è chiuso. Mettiti l’anima in pace.”

“Credevo non ci fosse solo un rapporto di lavoro, tra di noi.”

Lucius attese alcuni istanti prima di rispondere, parve meditare le parole, poi sollevò le spalle. “Hai creduto male, allora. Addio Merlin.”

Avrebbe dovuto dargli un pugno. Avrebbe dovuto inseguirlo e picchiarlo. Invece restò lì, immobile. La rabbia a mangiarlo vivo e un fastidioso pizzicore agli occhi.

***


Nebbia e acqua intorno a lui. Avalon lo circondava con la sua calma asfissiante. Merlin si guardò intorno riconoscendo il lago e la barchetta sulla quale già una volta si era ritrovato. Si sporse oltre il bordo, cercando qualcuno e lasciando vagare lo sguardo oltre le nebbie fumose.

Sapeva chi stava per comparire, lo aveva sempre saputo. Attese impaziente, finché il grigiore non si schiarì e dal nulla comparve quella figura che tanto aveva atteso.
Arthur Pendragon lo salutò e gli sorrise.

“Arthur…” mormorò, ma la voce si perse nel nulla.

“Merlin…”

Lo vide mentre si accostava alla barchetta, figura fusa con il lago, come fosse una sua essenza.

“Vieni a prendermi Merlin… io sto arrivando, vieni a prendermi…”

Voleva chiedere dove, voleva chiedere quando, ma la sua voce era persa e lui non aveva più la forza. Lasciò che la figura del Re del passato e del futuro iniziasse lentamente a sbiadire fino a perdersi nuovamente nelle nebbie.

Poi chiuse gli occhi…e quando li riaprì, torno alla realtà.

 
Si mise a sedere, lentamente. Gli occhi bagnati di lacrime e le immagini di quel sogno, ancora a premere sulle sue pupille. Aveva sognato di nuovo Arthur.

Arthur che gli diceva stava tornando. Arthur che gli diceva di andarlo a prendere.

Strinse i pugni e il tessuto del lenzuolo del suo letto. Era tornato nella sua muffita casetta da pescatore, non sapendo più cosa fare, dove andare.

Ma in quegli ultimi giorni qualcosa si era rotto in lui. Si era rintanato in quella casa senza più voglia di mangiare o di vivere. La rabbia lo divorava, la sensazione di smarrimento lo annegava e quella voce, la voce del Re, non faceva che risuonare nella sua testa sempre con più frequenza. Lo chiamava giorno e notte e più lui provava a scacciarla più quella tornava insistente. E adesso erano tornati anche i sogni.

Quando quel miscuglio di sensazioni si fece insopportabile, lanciò un grido e di colpo si alzò. Il pianto e la foga di quel gesto aumentarono il suo respiro ma lui non ci badò. Uscì fuori da casa e si avvicinò alla riva, come aveva fatto tante volte.

Il lago, come immaginava, era calmo e immobile.

“Che diavolo vuoi da me?! Che diavolo vuoi!!” la sua voce gridò sfogando tutta quella sofferenza che sembrava non avere mai fine. “Dimmelo, maledetto!! Non ce la faccio più! Cosa vuoi da me!! Cosa vuoi…” Non sapeva a chi si stesse rivolgendo, se a quel lago silenzioso, al Re che lo ignorava o a chi per ultimo lo aveva ferito.

Si accasciò al suolo, la faccia nella terra, senza più forze nemmeno per piangere. Singhiozzò un’ultima volta, sfinito, desiderando semplicemente di abbandonarsi lì una volta per tutte.

Non avrebbe più dovuto aspettare, non avrebbe più dovuto soffrire, non avrebbe più dovuto vivere. Sarebbe stato tutto più facile…

***


Quando aprì gli occhi, vide solo una luce sbiadita. Sapeva di trovarsi in una posizione scomoda perché non respirava bene e quando lentamente riacquistò padronanza di sé, si rese conto di essere in un posto conosciuto e che delle braccia lo sorreggevano.

“Si può sapere perché mi avete chiamato?” sentì una voce. Anche quella aveva qualcosa di familiare ma aveva la mente così vuota e si sentiva così stanco. A stento sapeva chi fosse ma non aveva altro da ricordare.

“Signore, lo abbiamo trovato incosciente sulle rive del lago e lo abbiamo portato qui.”

Immediatamente reagì, iniziando a dimenarsi, col desiderio di essere lasciato in pace ma aveva così poche forze … non riusciva a pensare a nulla, sapeva solo di dover andare via.
Si dimenò ancora senza successo, mentre chi lo sorreggeva gli diceva di star fermo e di nuovo quella voce gli risuonò nelle orecchie.

“Spero sia qualcosa di importante, perché mi avete fatto lasciare la sala di voto sul più bello!” era seccata e impaziente.

“Lasciatemi andare…” mormorò Merlin, stordito. “Lasciatemi stare…”

“Che ci fa lui qui?” ancora quella voce, sorpresa.

“Signore è per quello che l’abbiamo chiamata! Insomma, non sapevamo cosa farne, lei lo conosce bene e beh… era una situazione particolare… conosciamo tutti questo giovanotto, non potevamo certo sbatterlo in cella.”

Nel suo campo visivo si materializzò una capigliatura bionda e poi un paio di occhi celesti. Dove li aveva già visti? Sbatté stancamente le palpebre, mentre la sua mente sfinita riportava a galla un barlume di ricordi. A chi appartenevano quei tratti così familiari? Di chi erano?

“D’accordo… Mi… occuperò io lui…”

Dove aveva già vissuto questo momento? Si sentì rimesso in piedi ma le sue gambe erano così pesanti, che fece molta fatica a seguire quella persona che lo trascinava via.
“Sei un idiota…” gli sentì mormorare. “Un completo idiota.”

Venne sospinto fino a un’auto in cui lui crollò come un sacco di patate e non si oppose quando venne con malagrazia incastrato dentro perché si potesse chiudere lo sportello. Rimase a occhi chiusi lungo tutto il tragitto, la mente vuota e la stanchezza a impedirgli qualsiasi reticenza.

“Non è possibile che tu mi faccia fare queste figure! Sei tra i piedi anche se non mi vieni dietro! Accidenti… accidenti a te e accidenti a me!”

Quelle parole scivolarono su di lui senza trovare spiegazione. La sua mente affaticata continuava a dirgli che doveva conoscere la voce che si rivolgeva a lui ma non riusciva a delineare un nome. Tutto era confuso e sbiadito e ogni cosa aveva perso di importanza. Solo quegli occhi e quei capelli biondi comparivano a tratti, come se fossero l’unica cosa degna di essergli rimasta impressa.

Dopo poco tempo, l’auto si fermò e quella persona lo trascinò fuori con la stessa dolcezza di prima, se lo caricò in spalla e lo portò chissà dove. Riconobbe il suo letto, solo dopo che ci finì sopra, rimbalzando leggermente per il contraccolpo.

“Dormi per piacere. E quando ti svegli mangia qualcosa. Verrò a controllarti più tardi.”

La voce si era fatta improvvisamente più dolce. Gli occhi celesti comparvero ancora nella sua visuale e si accorse lo fissavano preoccupati. Un lieve calore lo avvolse, assieme a quello sguardo rassicurante.

“Non fare scherzi…”

Poi svanirono e lui sentì un vuoto enorme propagarsi nel petto e la sensazione di smarrimento si acuì, tanto che si mise a sedere con uno scatto e finalmente i ricordi tornarono, all’improvviso, materializzandosi in un solo nome.

“Arthur!”

Aprì gli occhi e vide quella figura tanto familiare in piedi sulla soglia, voltata verso di lui in un’espressione di sorpresa.

“Arthur, non te ne andare ti prego! Torna da me!”

Vide quella figura aprire la bocca come per dire qualcosa, poi portarsi una mano alla testa e infine scuotere il capo.

“Io… devo andare.”

Quando svanì dietro la porta, Merlin era già svenuto.

***


Nebbia. Ancora nebbia. Avalon lo avvolgeva per l’ennesima volta. Merlin aveva vissuto troppe volte quella scena per non sapere cosa sarebbe accaduto di lì a poco.

Non si mosse infatti, attendendo il momento in cui le nebbie avrebbero iniziato a diradarsi. Poi però, fu preso come da un gesto di stizza e con un lampo di magia, decise di contrastare quello che sapeva essere un sogno. Un fastidioso sogno per la precisione, perché ormai non gli faceva più nessun effetto. Ora lo odiava. Fu per questo che utilizzò la sua magia per costringere la barchetta su cui si trovava a tornare indietro.

Non avrebbe visto Arthur stavolta, non lo avrebbe chiamato. Si voltò di spalle, portando l’attenzione al lato opposto, scorgendo lentamente la riva del lago, che a poco a poco si materializzò sempre di più, fino a farsi vicinissima.

La barchetta si insabbiò e Merlin scese nell’acqua, per percorrere gli ultimi passi e allontanarsi del tutto da quel posto. Sapeva di stare sognando e si chiese perché ancora non si fosse svegliato.

Fu quando fatti i primi passi sulla spiaggia, non notò Arthur Pendragon, il Re del passato e del futuro, che capì il perché sognasse ancora. E gli venne spontaneo ridere.

“Merlin!”

Lui scosse il capo esasperato e si avvicinò al Re senza troppa convinzione.

“Non ci credo…”

Trattenne il fiato, quando si accorse che questa volta poteva parlare. Sollevò lo sguardo su Arthur e gli parve diverso, come se la sua consistenza fosse più reale rispetto alle altre volte.

“Merlin, stai andando a prendermi?”

“Dove? Dove devo andare?”

Arthur lo guardò con aria di rimprovero, quella che lui tanto tempo fa aveva odiato e amato nello stesso tempo. “Possibile che tu non l'abbia capito?”

“Ma io ti ho aspettato a lungo!”

“Lo so… ma non ero pronto ancora. Adesso sono completo, puoi venire!”

Merlin sbuffò frustrato. “Ma tu non sei qui! Arthur, dove posso trovarti?”

“Idiota, tu lo sai già! Vieni a prendermi!”

 
Merlin aprì gli occhi di colpo e si sentì mancare il fiato. Aveva capito.

 
Continua…

 
///////
 
Vogliatemi bene…. Sono stanca e distrutta e non so se questo capitolo sia uscito come volevo ma ce l’ho fatta. Soprattutto non so se ci sono strafalcioni perché ho appena finito di scriverlo e anche se tecnicamente non è più lunedì facciamo che è come se avessi tenuto il passo!

Se non vi è piaciuto o c’è qualcosa da correggere, ditemi pure che sistemo tutto! Ad ogni modo spero abbiate notato alcuni parallelismi e che insomma... si è capito ormai :P

Saluto molto velocemente e ringrazio tutti i lettori e un bacino lo mando a Gosa, Parre, AsfodeloSpirito, Strangerinthistown e Poll che hanno voluto lasciarmi un commento!

Ora crollo a letto! Baci a tutti e alla prossima! ;)
 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


------------ Chiedo umilmente perdono per il mostruoso ritardo ma i mille impegni della vita a volte mi assorbono completamente! Non indugio oltre e vi auguro buona lettura!! ------------

 
Desclaimer: Merlin e tutti i suoi personaggi non mi appartengono, se lo fossero sarei ricca, la serie non sarebbe finita e Ginevra avrebbe sposato Lancillotto.

 

MENTRE TI ASPETTO

 

Capitolo 12
 
Merlin seppe di essere arrivato troppo tardi. La sala di voto era ormai deserta, quando varcò la soglia, senza fiato. Aveva dovuto far ricorso alla magia per ristabilirsi, perché quando si era risvegliato e aveva cercato di rimettersi in piedi, quasi era svenuto di nuovo.

Allora si era imposto un incantesimo che lo aveva anche ripulito, dopo giorni di negligenza nei quali aveva sperato semplicemente di essere inghiottito. Aveva voluto perdersi, smettere di pensare e soprattutto di soffrire, finché poi non era arrivato a scordare tutto, finalmente. Tanto era stato il suo desiderio che il cervello aveva fatto da sé, portandolo nella confusione. Eppure, ancora una volta, il destino lo aveva guidato, anche in quelle condizioni. Senza saperlo era stato riportato nella centrale di Glastonbury e lì qualcuno aveva richiamato Lucius. Avrebbe dovuto sbatterlo in cella, invece se l’era caricato in spalla e lo aveva portato fino a casa. Lo aveva messo a letto e si era preoccupato per la sua salute.

Avrebbe potuto non farlo, eppure ricordava ancora la sua espressione preoccupata. E Merlin, adesso, sapeva perché.

Aveva corso a perdifiato fino alla sala di voto, sapendo che Lucius aveva scelto di non andare a Londra se non in caso di esito positivo. Era troppo orgoglioso per permettere a qualcuno di vederlo, se fosse stato miseramente sconfitto, perciò aveva scelto di attendere gli esiti nella sezione della sua cittadina.

Quando aveva raggiunto la sala, aveva però, trovato soltanto tanto disordine: sedie rovesciate, a terra qualche coriandolo e alcune bottiglie di prosecco. Non gli servirono quei dettagli per sapere che Lucius aveva vinto ed era diventato il Primo Ministro dell’Inghilterra, perché lo sapeva già.

Lo aveva sempre saputo, in fondo.

Doveva raggiungere Londra e per un attimo si sentì scoraggiato, quando si rese conto che la sua magia non avrebbe potuto portarlo fin lì. In fondo aveva sempre viaggiato a cavallo o a piedi in passato e da quando aveva iniziato a lavorare per Lucius era anche stato iniziato ai mezzi più moderni.

In un attimo ebbe l’immagine dell’auto di Lucius nel vialetto di casa. Prese un forte respiro e poi tornò a correre, abbandonando la sala di voto e raggiungendo villa Chaste.

Immaginò che l’uomo fosse stato condotto con qualche altro mezzo fino a Londra, magari in elicottero vista la sua importanza, per cui l’auto doveva essere ancora lì.

Fu con un sospiro di sollievo che la trovò immobile, sul selciato. Si servì della magia per introdursi nel giardino e per aprire l’auto. Poi ancora per farla partire. Quando mise mano sul volante, si fermò qualche istante.

Aveva imparato a guidare. Non benissimo, visto il poco tempo che aveva dedicato alle lezioni di guida, ma le nozioni base le ricordava bene. Il pedale della frizione, la marcia, poi il volante e il pedale dell’acceleratore.

Ok… si muoveva. Si lasciò sfuggire una risata a metà tra il nervoso e l’esaltato. Poteva farcela, ricordava bene la strada e per ogni evenienza lasciò defluire la sua magia, perché controllasse l’andamento del mezzo e non corresse il rischio di sbandare contro qualcosa o di tamponare qualcuno.

Imboccare l’autostrada non fu cosa semplice. Per quanto conoscesse un poco il codice della strada e avesse visto Lucius o i suoi autisti muoversi in auto, si rese conto che la pratica era tutt’altra cosa. Dovette far ricorso ancora alla sua magia e qualche volta fu la macchina a guidare lui e non il contrario.  Riuscì comunque a imboccare lo svincolo giusto e quasi non gli parve vero quando si ritrovò a correre sulla strada sospinto dalla magia che lo proteggeva.

Ci vollero più di un paio d’ore per arrivare a Londra. Durante quel tragitto Merlin continuò a pensare a ciò che era accaduto, a tutta quella storia e a come ogni cosa adesso gli apparisse chiara e lampante. Al punto da sentirsi uno stupido per non averci pensato prima, per aver dubitato fin dall’inizio. Per non aver avuto fiducia nei segnali che Arthur gli aveva inviato continuamente.

Ora tutto aveva un senso. E Merlin non vedeva l’ora di constatare quella teoria che a momenti, gli appariva quasi assurda, come se lui non avesse potuto vivere nessuno degli avvenimenti degli ultimi mesi.

Più volte premette l’acceleratore e fu solo grazie alla sua magia che non corse il rischio di schiantarsi contro qualche auto in fase di sorpasso.  Quando infine, intravide i primi grattacieli della periferia londinese, sentì come se un peso sullo stomaco si liberasse. Solo un poco però, perché finché non avesse avuto la verità davanti agli occhi, non avrebbe mai potuto sentirsi finalmente libero da quel fardello.

Arrivato a Londra si presentò il problema di come muoversi. Non conosceva la strada con l’auto, fino al Palazzo di Westminster dove si riunivano le Camere e nel quale doveva essere presentato il Primo Ministro. Qualche volta ci era passato assieme a Lucius, mentre si muovevano per Londra, accompagnati spesso dagli autisti assoldati da Jennifer. E allora usò ancora una volta la sua magia, ormai viva e pulsante, particolare che gli provocò un fremito al pensiero di cosa questo significasse.

Si accostò e uscì dall’auto, cercando la strada giusta con la sua vista magica. Quando finalmente visualizzò la sua meta, ripartì senza indugio, inchiodando un paio di volte appena in tempo per non tamponare con alcune auto. Fu un’altra impresa, perché il traffico londinese non era quello della ridente Glastonbury e lui, che l’auto aveva appena iniziato a guidarla, non poteva uscirne vivo. Fu quando infatti, andò quasi a finire contro un palo della luce – e si salvò solo perché mormorò un incantesimo e l’ostacolo saltò dal suo piedistallo per ricomporsi come se niente fosse dopo il suo passaggio – che si rese conto di doversi fermare. Si avvicinava al centro e al  Palazzo di Westminster e lo intuì nel constatare una folla di gente sempre più numerosa, muoversi sventolando bandierine inglesi. Era il benvenuto per il nuovo Primo Ministro.

La Regina in persona avrebbe assistito al suo discorso e questo significava tanti sudditi felici, pronti ad allietare l’evento. Si avviò a piedi, posteggiando l’auto nel primo pertugio che trovò libero e seguì la folla, ben consapevole di dover trovare il modo di vedere Lucius più da vicino, invece che in mezzo al caos che si sarebbe assiepato fuori dal Palazzo.

Via via che la sua meta si avvicinava, diventò sempre più difficile districarsi tra le persone e ben presto si rese conto che dalla direzione che aveva preso, non avrebbe mai potuto entrare per vedere il Primo Ministro. Cercò allora una via laterale, sgomitò diverse volte e riuscì a liberarsi, facendo il giro nella speranza di trovare un ingresso secondario, più tranquillo.

La sua speranza si rivelò vana, quando vide la grande e altissima cancellata che circondava la struttura, continuare imperterrita senza lasciar intravedere un passaggio. Ma Merlin non si diede per vinto e dopo aver controllato che in giro non ci fossero occhi indiscreti – cosa non facile visto il traffico che c’era, tanto che dovette fare diversi tentativi per evitare di essere beccato da qualche passante – riuscì con la magia a piegare le sbarre per aprirsi un passaggio.

Nel mentre sentì una voce propagarsi nell’aria e non poté fermare quel brivido che gli attraversò per intero la spina dorsale.

“Cari uomini e donne dell’Inghilterra. A voi tutti, grazie. Accolgo con onore la carica di Primo Ministro…”

Merlin chiuse per alcuni istanti gli occhi, figurandosi Lucius che parlava da quel grande palazzo, mentre la sua voce amplificata da un numero imprecisato di altoparlanti, si propagava per le strade. Da lontano avvertì il boato di accoglienza che venne riservato alla nuova guida dell’Inghilterra.

“E’ grazie a voi se oggi posso essere qui e per voi d’ora in poi ci sarò. Per guidare questa nazione con coraggio e in nome della giustizia.”

Merlin non si accorse che il rumore del pubblico si era affievolito, perché tutti i presenti erano ammutoliti per ascoltare le parole del nuovo Primo Ministro. Merlin era troppo impegnato a richiudere le sbarre di ferro senza farsi notare e a scappare nel cortile, in cerca di una porta da aprire o di una finestra da scavalcare. C’erano guardie di sicurezza, pastori tedeschi pronti a mordere e tantissime telecamere di sorveglianza. Per questo dovette rendersi invisibile e confondere l’odorato dei cani per non essere scoperto. Così si sentì quasi un ladro ma cosa altro poteva fare? Una volta raggiunto Lucius, avrebbe anche potuto palesarsi, perché lui avrebbe saputo cosa fare.

“Ci attendono tempi migliori adesso, perché so che insieme e con la forza che ci contraddistingue, potremmo vivere una nuova epoca di pace e di prosperità.”

Merlin lo sentì ancora, poi la sua voce si affievolì quasi del tutto, ovattata dalle pareti del Palazzo, dove il mago era riuscito a introdursi scavalcando una finestra e aprendola ancora con la magia.

Avrebbe voluto ascoltare quel discorso ma pensò che avrebbe potuto farlo in seguito, magari rivedendolo per bene in tv: adesso aveva qualcosa di più urgente da fare. Non sapeva dove poi Lucius si sarebbe spostato, per cui doveva agire in fretta.

Muovendosi velocemente, percorse lunghissimi corridoi e salì scale, in cerca della grande sala dove Lucius enunciava il suo discorso di inizio mandato. Superò diverse stanze e dovette salire e scendere alcuni piani più volte, prima di trovare la via giusta. E quando finalmente intraprese una corsa verso la sua meta e si accorse di Jennifer, che piangeva commossa, si palesò interrompendo il suo incantesimo e tornando visibile.

“Merlin!” gridò la donna, sorpresa e quasi spaventata nel trovarselo così davanti.

“Jennifer!” gli risponde il mago, afferrandola per le spalle, sentendo l’agitazione aumentare. Lo avrebbe visto, finalmente, gli avrebbe parlato… e sarebbe stato come aveva sempre sognato. “Jennifer, devo parlare con Lucius!”

La donna si aggrappò ai suoi gomiti e tirò su col naso, sorridendo felice. “Merlin, ha vinto! Hai visto? Ha vinto!”

“Lo so! Lo so! Ma devo vederlo adesso!”

Jennifer scosse il capo. “Non puoi… chissà quando potrai ormai… ma non preoccuparti, sono convinta che appena avrà un attimo di tempo vi parlerete e potrete anche chiarirvi…”

“No no, non capisci! Devo vederlo ora! E’ qui? Dove sta?”

“Ma non puoi! Lucius si è già spostato!”

Merlin perse un respiro, sentendo l’agitazione aumentare. Jennifer allora sorrise e gli scostò delicatamente le mani dalle spalle. “Lo hai mancato di poco… anche se non so come tu abbia fatto a entrare. Comunque ora dovrà essere ricevuto dalla Regina, si sta già spostando con lei nell’auto reale fino a Buckingham Palace.”

Merlin si morse un labbro, frustrato. Entrare lì era una cosa. Introdursi nel palazzo dei reali d’Inghilterra era tutto un altro paio di maniche! Cercò di essere ragionevole.
“E poi? Cosa farà dopo?”

Vide Jennifer sollevare le sopracciglia sorpresa. “Merlin, ma che ti prende? Sai benissimo cosa succede. Ci sarà la cena di gala per festeggiare la carica del Primo Ministro e poi le interviste, c’è una conferenza stampa non appena arriva a palazzo, prima di vedere la Regina! Anzi, io devo già essere lì, sono in ritardo!”

“Portami con te, ti prego!” la supplica gli sfuggì dalle labbra, prima di poterla pensare. Ma poi rifletté che altro non poteva fare, vista la situazione.

La donna scosse nuovamente il capo ma Merlin si accorse di un certo nervosismo. “Avanti, lo sai che non posso farlo. Potrebbero crearmi problemi, controllano tutti quelli che entrano a Buckingham Palace!”

“Ma io sono il suo assistente, diamine! Sarà servito a qualcosa, essermi sorbito tutte le paturnie di quell’idiota!”

Jennifer non poté fare a meno di ridacchiare. Titubò ancora qualche istante, infine cacciò un lungo sospiro. “Merlin, c’è qualcosa che io possa fare per convincerti a lasciarmi andare sola?”

“No.” La sua voce risoluta risuonò tra le pareti della stanza.

“E sia! Ma sia ben chiaro che se mi creeranno problemi, ti ucciderò e poi ti abbandonerò in pasto alle guardie!”

“Mi va benissimo.”

Jennifer sbuffò. “Andiamo, forza.”

***


C’era voluta una mezzora buona prima di riuscire a raggiungere Buckingham Palace. Erano tantissimi i londinesi giunti ad accogliere il Primo Ministro, molti incuriositi in particolare da questa figura giovane e così piena di buone intenzioni, che sembrava donare una luce di speranza al futuro dell’Inghilterra.

Jennifer venne accompagnata in auto fino a palazzo e con lei Merlin passò inosservato finché non si trovarono davanti al cancello secondario di entrata, mentre ancora su quello principale tantissime persone applaudivano il Primo Ministro appena passato di là assieme alla Regina.

Le guardie al cancello chiesero i documenti di Jennifer e quelli di Merlin ma poi chiesero chi fosse lui e la donna senza indugio spiegò che quello era l’assistente del Primo Ministro e avevano urgenza di vederlo prima della conferenza stampa. La guardia si piegò per guardare dentro l’auto dal finestrino e osservò Merlin con occhio criticò, poi sentenziò.

“Lui non può entrare.”

Jennifer sbuffò, fingendosi offesa e Merlin accanto a lei strinse i pugni, indeciso se usare o meno la magia e introdursi senza permesso.

“Andiamo, io sono la sua addetta stampa e lui è il suo assistente! Sono settimane che andiamo in giro in formazione, possibile che non siate stati avvisati?”

“Io ho solo lei in lista per entrare. Non esiste nessuno Emrys qui nell’elenco, mi dispiace.” Fu a quel punto che a Merlin venne un’idea. Finse di schiarirsi la voce, distogliendo lo sguardo dalla guardia, poi lasciò andare un velo di magia e con un guizzo dorato degli occhi, sull’elenco comparve il suo nome, in fondo alla lista.

“Guardi meglio, per cortesia. Abbiamo davvero molta fretta e se non gli porto il discorso che dovrà dire in conferenza, saranno guai!” si lamentò con fare scherzoso per non insospettire la guardia. Quella allora si risolse a dare un’altra occhiata e fu con un’aria piuttosto sorpresa che lesse il nome del mago in fondo alla pagina.

“Sì… mi scusi. Scusate, non lo avevo visto. Eppure ero convinto non ci fosse…”

Merlin sorrise e fece spallucce da dentro l’auto. “Cose che capitano! Scuse accettate!”

La guardia si rimise in piedi e fece segno ai colleghi di lasciarli passare. Merlin tirò un sospiro di sollievo, mentre Jennifer lo guardò sorpresa quanto la guardia. “Ma che ci facevi tu in lista?”

Il mago accennò un sorriso imbarazzato, celando la preoccupazione di essere stato scoperto a usare la magia, poi si strinse ancora nelle spalle. “Non lo so… forse Lucius mi voleva accanto?”

Jennifer annuì contenta. “Lo sapevo! Non poteva essere diversamente, hai visto? E tu che gli dai dell’idiota!”

Merlin non rispose. Lasciò che l’auto li conducesse verso uno degli ingressi del palazzo. Scesero dal mezzo e vennero investiti da uno stuolo di giornalisti che non potendo ancora entrare a Buckingham Palace prima dell’inizio della conferenza, avevano deciso di soggiornare almeno nella zona a loro consentita, intervistando, fotografando e scrivendo di tutti coloro stessero per mettere piede nella dimora dei reali.

Jennifer riuscì a districarsi, dopo aver guardato l’orologio ed essersi accorta del ritardo colossale. Merlin invece, venne inghiottito dai rappresentanti della stampa che iniziarono a tempestarlo di domande come se lui fosse il fratello gemello del Primo Ministro. Cercò di liberarsi ma Jennifer ormai era andata e allora si avvicinò alla porta dove altre due guardie delimitavano l’ingresso.

“Mi scusi, dovrei entrare.”

“Solo stampa e personale autorizzato.” Fu la risposta secca.


“Io sono autorizzato, sono l’assistente del Primo Ministro.”

“Non abbiamo ricevuto nessuna comunicazione in merito.”

Merlin sentì il nervoso aumentare sempre di più. Ma cosa aveva fatto di male? Possibile che fosse così difficile persino per uno come lui, raggiungere Lucius?

“Controllate le vostre liste! Io sono autorizzato, mi chiamo Merlin Emrys e sono l’assistente di Lucius Chaste!” intanto le grida avevano attirato nuovamente i giornalisti. Il fatto che quell’uomo fosse così vicino al nuovo Primo Ministro, poteva significare solo avere informazioni più ghiotte di quelle esigue che erano riusciti a racimolare.

“Non abbiamo una lista, mi spiace. E lei non è autorizzato.”

“Ma come fa a saperlo!” l’ultima esclamazione, si perse nella marea di domande che all’improvviso risuonarono nelle sue orecchie.

“Lei è il suo assistente?”

“Può darci qualche informazione?”

“Vuole fare una dichiarazione sul nuovo Primo Ministro?”

“Se lei lo conosce così bene, allora…”

Merlin si ritrovò circondato da microfoni di ogni forma e colore e non riuscì a capire più niente. Non si accorse che le guardie, spazientite dal caos che occupava l’ingresso, avevano deciso di risolvere la questione. Si intromisero nella bolgia e afferrarono Merlin per le braccia, prendendo a trascinarlo via.

Il mago sperò che con quel gesto avessero deciso di farlo entrare a palazzo, invece le guardie lo portarono nella direzione opposta, decise ad accompagnarlo all’uscita. Merlin provò a divincolarsi ma la presa ferrea dei gendarmi fu troppo per lui e poi non poteva certo usare la sua magia per scatenare chissà quale disordine.

“Ma insomma, perché non volete credermi! Mi hanno anche fatto passare al cancello, perché ero in lista!”

“Noi sappiamo chi può entrare e lei non è autorizzato. Solo stampa e personale autorizzato.”

“E allora sono la stampa!” gridò arrabbiato ma senza risultato. Le guardie lo portarono via e non lo lasciarono andare finchè non fu fuori dal cancello. Lo abbandonarono con uno spintone poco gentile a cui lui cercò di resistere ma con poco risultato. Barcollò, guardando malissimo i loro colleghi e la guardia che lo aveva lasciato passare all’inizio e poi voltò le spalle decidendo di allontanarsi prima di lasciarsi andare e fare qualcosa di avventato. Sarebbe stato stupido e i suoi mille e più anni di vita in fondo, lo avevano reso un poco più saggio di quello che voleva far credere.

Si allontanò dal palazzo, sentendo quel peso sul cuore acuirsi e mischiarsi al nervosismo. Era un grande e potente mago, come aveva potuto perdere in quel modo? Ma soprattutto poteva arrendersi così?

Restò per diverso tempo nelle vicinanze del palazzo, sperando che la gente diminuisse o che per qualche oscura ragione, il nuovo Primo Ministro decidesse all’improvviso di uscire da lì. Quando ormai fu buio, la gente iniziò ad andarsene. Mentre Merlin ancora gironzolava lì intorno, lanciando occhiate di astio verso Buckingham Palace, si ritrovò ad ascoltare una conversazione tra due giovani.

“E’ inutile restare qui ormai… il Primo Ministro rimarrà tutta la notte lì, ne sono certo. Quelle cene di gala durano ore e ore e poi probabilmente si fermerà a dormire, per andarsene poi domani mattina con calma e senza tutto questo caos.”

“E tu che ne sai?”

“Mio cugino lavora lì come aiuto-cuoco! Non hai idea di quello che mi racconta! Tu pensa che…”

Merlin non li ascoltò più. Cacciò un sospiro e si sentì improvvisamente molto triste.

Sì, si sarebbe arreso. Per ora.

***


Tornò a casa. Gli sembrò totalmente inutile restare in giro per Londra, considerato che non avrebbe potuto avere notizie di Lucius e che sarebbe stato impossibile contattarlo in qualche modo. Allora tornò alla sua auto, riuscì a ritrovarla a fatica e poi con altrettanta fatica si incamminò sulla strada del ritorno. Era stanco e scoraggiato e in più lo stomaco continuava a brontolargli.

D’altronde erano giorni non mangiava e la magia che lo aveva ristabilito, si stava esaurendo via via che il tempo passava. Comprò qualcosa da mangiare al volo e poi ritornò sull’autostrada, diretto verso Glastonbury. Tornava a casa, non sapendo dove altro andare.

L’indomani avrebbe potuto riprovare, avrebbe cercato Lucius. Magari sarebbe tornato a casa e lì lo avrebbe aspettato, pronto a parlargli… e vedere. Non poteva fare altrimenti.
Il viaggio di ritorno fu piuttosto piatto e noioso e non provò nulla quando vide il cartello della sua cittadina, palesarsi sul bordo della strada assieme alla parola “Welcome”.
Non si premurò di riportare l’auto a casa Chaste, se la portò appresso fino al lago, desideroso di tornare a casa e di non pensare più a nulla fino al giorno dopo.

Quando attraversò il sentiero e le sponde del lago di Avalon furono davanti a lui, non poté non soffermarsi alcuni istanti. Si avvicinò quasi fino a toccare l’acqua che lentamente bagnava il terreno in piccoli movimenti pigri. Lasciò vagare lo sguardo tra le nebbie, sospirando e provando il desiderio di sorridere. Incurvò gli angoli della bocca spontaneamente, rendendosi conto che in fondo, adesso poteva guardare quel lago in maniera diversa.

E restò lì, immobile per un tempo interminabile. Guardava quella distesa godendo della nuova prospettiva che finalmente cambiava tutto. Anche se ancora non aveva verificato, anche se chissà quanto avrebbe dovuto aspettare prima di avere la conferma e questo lo intristiva e lo appesantiva al punto da fargli mancare il fiato.

“Ma che fai, ti metti a rubare?”

Sgranare gli occhi e voltarsi fu un attimo. Merlin trattenne il fiato, ancora prima di distinguere nella penombra quegli occhi celesti che lo fissavano irriverenti, perché aveva già riconosciuto la voce.

Era un sogno? Il frutto della sua immaginazione? La magia che gli faceva brutti scherzi?

“Hai forzato la mia proprietà e ti sei appropriato della macchina, senza il mio permesso.”

Eppure era lì, poteva scorgere perfettamente la consistenza di quel profilo che si stagliava illuminato dai lampioni della strada poco più in là.

“Lo so.” Provò a rispondere, non ancora certo della realtà di quella visione. E soprattutto di cosa ciò comportava: aveva atteso centinaia di anni quel momento, immaginandolo in tutti i modi possibili… eppure adesso non sapeva più cosa fare o dire. Era come se il suo cervello avesse resettato tutto, anche il dolore. C’era solo una mischia confusionaria di sentimenti non definiti.

Lucius si fece più vicino e incrociò le braccia, fingendosi indispettito. “Eppure ti avevo lasciato moribondo nel tuo letto, come hai fatto a riprenderti così velocemente?”
“Forse… non ero così moribondo.” Provò a tergiversare, mentre le domande premevano impellenti contro la lingua. Poteva chiedere una cosa del genere? Poteva azzardarsi a fare la tanto temuta domanda che avrebbe sciolto ogni dubbio?

“Che ci fai qui? Ti credevo con la Regina.” Chiese invece. Intanto lo studiava, cercando una luce diversa nei suoi occhi o un’espressione del viso che potesse fargli intuire qualcosa… ma Lucius sembrava sempre lo stesso Lucius.

“La cena è finita da un pezzo. E ho declinato l’invito a dormire a Buckingham Palace, non voglio già passare per uno che si è dato alla bella vita.”

Merlin sorrise di rimando. Era per quello che faceva e di cui parlava, che Lucius sarebbe stato un grande Primo Ministro per l’Inghilterra. Solo che…

“Quindi? Perché sei qui?”

“Volevo accertarmi che tu fossi vivo. E poi Jennifer mi aveva detto che mi cercavi ma che poi ti ha perso di vista.”

Merlin roteò gli occhi infastidito. “Lasciamo perdere… ho lottato all’ultimo sangue con un paio di guardie e con un’orda di giornalisti affamati di notizie.”

Lucius ridacchiò. Merlin continuò a guardarlo e si sentì deluso, perché non dava alcun cenno di essere cambiato in qualche modo. All’improvviso sentì vacillare tutte le sue convinzioni. Intanto quella domanda premeva sempre di più ma lui non riusciva a pronunciarla, perché conoscere la risposta avrebbe potuto cambiare tutto, nel meglio ma soprattutto nel peggio del peggio.

Aveva paura di conoscere la verità, perciò continuò con le domande stupide. “Avrei potuto essere ancora a Londra con la tua macchina, che ci fai qui?” ripeté imperterrito.
L’altro ficcò le mani nelle tasche e sollevò le spalle. “Ho tirato a indovinare. Considerato che non sono stati avvistati incidenti stradali lungo il tragitto, ho ipotizzato fossi tornato a casa.”

“Spiritoso.”

“Non direi, considerato come guidi male. Ho temuto per la mia auto.”

Merlin si fece offeso e intanto sentiva lo stomaco torcersi dolorosamente. Doveva sapere la verità ma il terrore di sbagliarsi, lo aveva congelato.

“E poi…” Merlin era così impegnato a farsi uscire quella domanda che non si accorse che Lucius continuava a parlare. “…sapevo che non potevi che essere qui.”

Il mago sollevò lo sguardo che si era abbassato per un attimo in cerca di coraggio e trattenne il fiato.

“Perché?” chiese in un soffio.

Chaste sorrise per un momento lasciando trasparire una nota di malinconia. Merlin trattenne ancora di più il fiato e il suo stomaco fece un altro giro… poi lo vide scrollare le spalle.

“Perché questa è casa tua, idiota! Per cos’altro se no?”

In un attimo ogni speranza si infranse. Lucius continuava ad essere Lucius e nient’altro. E nessun’altro. Merlin cacciò un lungo sospiro, avvertendo quasi il desiderio di piangere mentre la delusione si propagava nel suo petto, sciogliendo la tensione ma lasciando un gorgo nero di tristezza.

“Dai, ho deciso che sono buono e ti reintegro come assistente.”

Merlin si voltò per evitare che Lucius si accorgesse dei suoi occhi lucidi. Sollevò una mano a quelle parole e cercò di non far tremare la voce.

“Va bene, come vuoi…” nel frattempo iniziò ad avviarsi verso la sua casetta, deciso a buttarsi nel letto e a perdere i sensi con il sonno. O magari a sfogare tutta la tensione e la delusione con il pianto.

“Non ti ho detto di andartene, parlo sul serio!” lo rimbeccò Lucius. “Dove vai?!” lo seguì, mentre il mago continuava imperterrito, convinto di voler essere lasciato in pace.
“Ci vediamo domani, Lucius…”

“Meriteresti la gogna sul serio! Peccato non esista più.”

“Ah-ha…”

“Ma soprattutto sei ancora più stupido di quanto ricordassi!”

“Non più di ieri quando mi hai visto…”

“Ma insomma, Merlin!”

Si fermò. L’ansia, la paura, i nervi attorcigliati intorno allo stomaco. Tornò tutto insieme. Merlin si voltò lentamente, tornando a guardare Lucius che gli rimandava uno sguardo allegro e ironico assieme. Uno di quelli che lui conosceva bene, che Chaste aveva usato tante volte con lui e che a Merlin avevano sempre dato un fremito perché gli riportavano alla mente ricordi scolpiti nella sua memoria e che mai avrebbe scordato.

Quello sguardo così identico che gli era sempre saputo un po’ dell’uno e un po’ dell’altro e che adesso invece era di entrambi. Così come la voce. Un po’ di Lucius e un po’ di…

“A-Arthur…”

Merlin vide quel sorriso farsi più luminoso e quando le sue mani gli sfiorarono le spalle in una stretta gentile, tutta la paura si sciolse, inondandolo dall’interno di un calore che mai prima d’ora aveva provato. Non così, non con quella intensità da distruggere qualsiasi sentimento negativo avesse provato nei suoi tanti secoli di vita.

Merlin…”

Quel calore sciolse ogni barriera al punto da liberare anche quel pianto che troppo spesso aveva trattenuto. E quando sentì la consistenza delle braccia di Arthur - del suo Re Arthur! - cingerlo per le spalle, gli sembrò il gesto più naturale del mondo aggrapparsi a lui e abbandonare il capo contro la sua guancia, piangendo come un bambino.

“Sei tornato… sei tornato…” mormorò stringendo forte i denti per trattenere almeno i singhiozzi. Perché si sentì improvvisamente così stupido e debole, tra le braccia forti del suo Re, come se avesse lottato e lottato per tanto tempo e adesso tutto quello che voleva era lasciarsi andare a lui.

“Grazie per avermi aspettato. E per avermi risvegliato.”

Merlin, tra le lacrime, sorrise. Era sempre stato lui. Arthur era sempre stato in Lucius e Lucius in Arthur. Lo aveva sempre saputo in fondo. E ora che tutto aveva un senso, poteva finalmente dire di aver portato a termine il suo compito.

Il Re del Passato e del Futuro era tornato.

FINE
 
///////

Prima di essere linciata viva o peggio ancora sommersa di domande (ma che dico, fatemele pure! :D), avviso già che ci sarà un Epilogo nel quale spiegherò tutto quello che non ho ancora detto qui che volevo dedicare solo alla scena finale. Epilogo che ovviamente pubblicherò prestissimo considerato è già in fase di scrittura, anche perché approfitto del fatto che oggi dopo secoli ho una giornata libera e ho voluto dedicarla a questa storia ^_^

Io spero vi sia piaciuta. Spero di non aver fatto molti strafalcioni, soprattutto dal punto di vista “londinese” XD mi sono un po’ documentata sulle sedi parlamentari e reali ma non ho la minima idea di cosa faccia un Primo Ministro quando viene eletto, per cui ho usato la mia enorme immaginazione che ci stava bene con le traversie del povero Merlo! :D

Per quanto riguarda la questione Merthur… vi dico di attendere l’Epilogo, poi vi spiegherò anche qualcos’altro, per cui alle fan sfegatate che si chiederanno: ma Merlin e Arthur quando si amano? Avranno una risposta a breve, promesso!

Detto ciò ci tengo a scusarmi ancora per il mostruoso ritardo e ringrazio col cuore tutti i lettori di questa storia. I silenziosi, chi ha voluto inserirla nelle sezioni speciali e soprattutto chi ha voluto lasciarmi un commento. Un grazie specialissimo a Sheireen_Black 22 che si è fatta la maratona e ha voluto commentare capitolo per capitolo! Sei stata meravigliosa! *-*

Grazie ad Orchidea Rosa, Silv_, _Jaya, None to Blame, Gosa e Strangerinthistown, per i loro ultimi commenti e per i complimenti! Con questo ritardo non me li merito! Grazie anche ad AsfodeloSpirito e alle sue minacce che mi hanno spronata a non mollare nonostante i mille impegni!

A tutti, come sempre, esorto a commentare, perché adesso voglio proprio sapere cosa ne pensate! ^__^

Che altro dire? Ci risentiamo all’Epilogo! A prestissimo!
Ryta
 

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Capitolo 14
*** Epilogo ***


Desclaimer: Merlin e tutti i suoi personaggi non mi appartengono, se lo fossero sarei ricca, la serie non sarebbe finita e Ginevra avrebbe sposato Lancillotto.


 
MENTRE TI ASPETTO

 
Epilogo
 
Il mio nome è Lucius Chaste e sono il Primo Ministro. Ah e sono anche la reincarnazione del Re del Passato e del Futuro nonché uomo della leggenda, Arthur Pendragon.
Ma di questo piccolo particolare siamo a conoscenza soltanto io e il mio fidato Merlin.

Chi è Merlin? E’ il mio assistente, un tempo era il mio valletto. E’ anche un mago e mille altre cose per me, che senza di lui non avrei mai sperimentato.

Merlin è il mio punto di riferimento, senza di lui questa carriera di guida dell’Inghilterra, sarebbe finita già da un pezzo e non sarebbe mai arrivata a festeggiare oggi, il suo decimo anniversario.

Sono dieci, sì, dieci anni che svolgo il ruolo di Primo Ministro. Dieci anni importanti, nei quali l’Inghilterra ha trovato la forza e i modi per risollevarsi dalla crisi economica, per vivere un momento di serenità e di pace.

Non voglio risultare troppo arrogante nel dire che è tutto merito mio, anche perché come ho appena detto, se non avessi avuto Merlin accanto, probabilmente sarei stato rimpiazzato molto tempo fa. Però sì. In parte è merito mio. Perché io sono il Re del Passato e del Futuro, l’arte del governare ce l’ho nelle vene e se sono rinato dalle acque di Avalon, è stato proprio perché questo Paese avesse una guida importante in un momento molto critico.

La persona giusta al momento giusto, insomma. Ecco quel che sono.

In questi dieci anni ho lavorato con costanza e ho dato il meglio di me per promuovere, incentivare, cambiare e dare coraggio a chi aveva perso le speranze e oggi posso guardarmi indietro con soddisfazione perché tutto quell’impegno ha dato i suoi frutti.

Oggi sono felice di essere Lucius Chaste e Arthur Pendragon. Separate sono due persone diverse, ma assieme si completano del tutto. Perché quando ero solo Lucius Chaste mi perseguitava un senso di incompletezza che io avevo sempre associato all’assenza di origini. Vivevo sempre come se mi mancasse qualcosa e ricercavo continuamente me stesso, attraverso gli altri e il lavoro.

Arthur Pendragon invece dormiva. Dormiva dentro di me e quando finalmente ho preso in mano la guida del Paese e lui si è risvegliato, tutto è divenuto più chiaro. Mi sono finalmente sentito completo, mi sono sentito Io. E Arthur si è completato con me che rappresento la sua versione moderna. Oggi so che da soli non avremmo mai potuto far tutto questo, insieme sì.

E con il contributo di Merlin, come ho già detto. Lui è l’altra faccia di una medaglia che ormai sembra avere assurdamente tre lati. Ci siamo io Lucius, io Arthur e Merlin… ed è insieme che siamo una cosa sola.

Sono anni ormai, che sono abituato a pensarlo e non provo più l’effetto così strano che mi faceva durante i primi tempi. Quando scoprimmo che quell’affetto così intenso che aveva superato secoli e incertezze, altro non era che più di semplice amicizia. O di devozione tra servo e padrone. Quel sentimento aveva un nome, importante e spaventoso che implicava una serie di conseguenze troppo complicate per poterle accettare così facilmente.

Non è stato facile infatti. Per entrambi. Ancora oggi mi chiedo – ma solo raramente – come sia stato possibile arrivare ad accettare di amare Merlin.

Perché io amo Merlin. Lo amo come se fosse una parte della mia anima già abbastanza affollata. Non saprei immaginare una vita senza Merlin, e non perché lui è l’unico che riesce a tenere a freno le mie paturnie e il mio caratteraccio.

Ok… anche per quello… però le mie ragioni sono più profonde. Merlin dà un senso alla mia vita.

Sembra ridicolo per uno che fa il Primo Ministro e che dovrebbe avere il mondo in mano. Eppure è così. Tutto questo ha senso grazie a Merlin e questo è un dato di fatto.
Capire questo ha dato una motivazione a gran parte delle mie azioni sbagliate, per intenderci. Come quando ancor prima che si risvegliasse in me Arthur, decisi di licenziare Merlin dal suo ruolo di assistente.

Mi ha sempre chiesto per anni, il perché io lo avessi fatto ma avrei mai potuto dirgli che era stato per gelosia? Per la paura di affezionarmi a lui ancora più di quanto già non lo fossi e poi di perderlo?

Parlava di quella persona che attendeva con una tale passione, che gli leggevo negli occhi tutto l’affetto che provava per lui. E quando quella persona – che altro non era se non Arthur Pendragon – sarebbe tornata, io cosa avrei fatto? Lui sarebbe andato via per la sua strada e io?

Ancora oggi mi vergogno di ciò che è scaturito da quelle paure. Quando mi portarono Merlin in centrale e lo vidi in quello stato mi resi finalmente conto della frattura che avevo causato in lui. Abbandonato non una ma ben due volte.

E’ per questo che mi tengo dentro la verità, non mi giustificherò con lui per mettermi a posto con la coscienza. Ho cercato di rimediare negli anni, quando poi ho scoperto che aspettava me e che non se ne sarebbe mai andato.

Sono un egoista, vero? Lo so. Me lo ripeto spesso. Ma poi mi dico che in amore si diventa sempre un po' egoisti e questo è stato il fulcro di tutto. Il pensiero che mi ha permesso di sondare i miei sentimenti e di capire finalmente cosa io provassi per Merlin.

Io amo Merlin. L’ho amato anche da Arthur, quando ero il Re di Camelot. Solo che allora non lo sapevo, c’era Guinevere e non mi rendevo conto di come in realtà amassi entrambi. In maniera diversa ma con la stessa intensità.

Guinevere rimarrà sempre nel mio cuore e resterà nel mio passato come un felice ricordo. Merlin continua ad essere il mio presente e sarà il mio futuro.

Anche quando non sarò più il Primo Ministro, quando questa nazione non avrà più bisogno di me e io potrò godermi un meritato riposo vivendo la mia vita con lui. Magari anche alla luce del sole.

Ora la mia carica impone un certo rigore e non posso sbandierare ai quattro venti l’amore che ho per il mio assistente. Il suo ruolo, però, ci consente un’intimità che in altre situazioni non si avrebbe, per cui nessuno ha mai sospettato nulla e se anche lo avessero fatto, portare delle prove concrete è stato impossibile.

Merito anche della magia di Merlin, sia chiaro. Perché resistere e non stringerlo forte o a sfiorarlo in alcune situazioni è stato per me una prova molto ardua. Conoscerlo fisicamente è stata infatti, un’altra piacevole scoperta che non mi aspettavo e che ammetto in un primo momento, mi ha terrorizzato.

Io, l’uomo per eccellenza. Accettare di amare un altro uomo e di desiderarlo. E’ stato un trauma, inutile dirlo. Ma è vero anche che non mi sento di definirmi un omosessuale. Io amo Merlin, non gli uomini. Se Merlin fosse stato una donna, l’avrei amata uguale. Ma siccome il Destino è strano, l’altra faccia della medaglia è stata forgiata come un uomo e io ho dovuto adattarmi.

Inutile dire che dopo dieci anni, ogni remora è sparita e io sono ben felice di avere accanto un compagno come Merlin.

Io sono Lucius Chaste. E sono anche Arthur Pendragon. Sono il Primo Ministro, il Re del Passato e del Futuro e il compagno di Merlin il mago. Sono tutte queste cose che insieme fanno un tutt’uno.

E attendere mille anni per essere tutto ciò, ne è valsa veramente la pena.

 
La penna premette il punto con forza, lasciando un segno più scuro rispetto al resto lasciato sul foglio. Lucius sorrise compiaciuto osservando il testo che rappresentava le sue memorie. Quando gli era stato proposto di scrivere un libro su di lui, ci aveva riso sopra e scherzato come se gli avessero detto un’idiozia.

Ma poi ci aveva riflettuto con calma e si era reso conto di desiderare di fissare e mettere su carta i suoi ricordi. Quella era una storia che non sarebbe mai giunta a pubblicazione, ovviamente, però si rese conto di quanto fosse appagante fare il punto della situazione dopo tutto quel tempo e rendersi conto con orgoglio di quanto la sua vita fosse diventata felice e completa.

“Sua altezza ha finito con le reali memorie?”

La domanda ironica provenne dall’uscio dello studio. Lucius sollevò il capo e sollevò un angolo della bocca in un sorriso sardonico, già pronto alla replica.

“Ovviamente no. Le mie memorie sono molto importanti, ci vuole tempo.”

Merlin sciolse il nodo di braccia che fino a quel momento aveva tenuto intrecciato sul petto, poi si scostò dallo stipite della porta e fece alcuni passi per entrare nello studio. Lucius sostenne quello sguardo che nel tempo si era fatto più maturo ma soprattutto più sereno.

“Certo… hai iniziato da quando eri uno sbruffone viziato…reale?” domandò ancora il mago, mantenendo il tono giocoso. Come sempre tra loro due, che si amavano proprio per quello.

“Uhm…. No. Ho iniziato da quando ho incontrato un servo idiota e incapace.”

“Troppo indietro! Io non ero ancora arrivato allora!”

Lucius rimase seduto, mentre Merlin lo raggiungeva dall’altro lato della scrivania e si piegava in avanti posando i palmi delle mani sul ripiano di legno. Lo guardò sollevando entrambe le sopracciglia e regalandogli un’espressione arrogante.

“Noto che il mio valletto continua ad essere idiota e incapace anche dopo mille anni.” Posò i gomiti sulla scrivania e a sua volta si fece più vicino.

“Idiota lo è sicuro, se continua a venirti dietro, anche dopo mille anni.”

“E’ fortunato.”

“E’ masochista.”

Lucius si fece più avanti con uno scatto e gli rubò un bacio a fior di labbra.

“E’ un bugiardo…” sussurrò vicino alla sua bocca. Merlin si piegò di più in avanti e accorciò del tutto quella distanza baciandolo a sua volta, ma con più sentimento.

“E’ innamorato.”

Lucius sorrise incontrando quello sguardo azzurro e poi socchiuse gli occhi per sfiorare ancora quelle labbra. Se lo trascinò un altro po’ in avanti, cingendogli la testa con un braccio per agevolare il movimento e Merlin lo lasciò fare, godendo di quel contatto. Come sempre. Come tutte le volte che lo sentiva dentro di lui. Un anima nella sua anima, legate assieme da fili indistruttibili.

“Lo è anche il suo Re.”

 
FINE
 
 ////////
 
Questa è davvero la fine. E adesso voglio i COMMENTIIIII!! Mi rivolgo a tutti i lettori silenziosi di questa storia. Ora voglio un vostro parere. Se vi è piaciuta, se è stata bella, se non vi ha detto nulla, se si è rovinata sul finale, se non doveva finire così, se fa schifo…. Va bene tutto! Ma sono curiosa =) perché sono convinta ogni commento sia importante per migliorare e crescere. Soprattutto i negativi!

Quindi, COMMENTATE, COMMENTATE!!

Una piccola precisazione, prima dei ringraziamenti. La storia qui è finita. Doveva finire così. Perché questa storia parla del ritorno di Arthur, e non dell’amore tra lui e Merlin. O meglio, parla anche di questo, perché tanto fervore e tanta devozione la puoi avere solo per amore. Però parlare del loro avvicinamento amoroso avrebbe implicato una storia nella storia. E non mi piaceva prolungare il brodo in questo modo e scostarmi dalla trama di base.

Perciò ho preso la decisione di chiudere la storia così. Con un epilogo che parli del lungo percorso – perché deve essere lunghissimo – con cui Arthur e Merlin hanno scoperto di amarsi e con una fine che includa tutto. Successo e amore.

La storia quindi è conclusa così… ma non disperate. Se ho tempo e ce la faccio, vorrei scrivere alcuni missing-moment di questa storia che abbracciano proprio l’arco dei dieci anni in cui Arthur è Primo Ministro e si innamora di Merlin. Li farò, qualcosa ce l’ho già in mente, perciò aspettateveli! :D

Un ringraziamento specialissimo va a chi mi ha seguito fino alla fine, a chi ha avuto la pazienza di aspettare le pubblicazioni di ogni capitolo e a chi con le sue battute mi ha fatto fare quattro risate e mi ha dato lo stimolo per continuare a scrivere nonostante qualche incertezza! ^^

Grazie ad AsfodeloSpirito, Gosa, Strangerinthistown, NakamuraNya eYukkiko! E a tutti i lettori =)

A presto!
Baci
Ryta

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